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1
THE NEW YORK PUBUC UBRARY
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LA
DIVINA COMMEDIA
DI DANTE
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LA DIVINA
DI
COL COMENTO
DEL P. BALDASSARRE LOMBARDI
M. G>
ORA NUOVAMENTE ARRICCHITO
DI MOLTE ILLUSTRAZIONI
EDITE ED INEDITE
. VOLUME I.
FIRENZE
PER LEONARDO ClARDETTl
1830
AL CHIARISSIMO
LEOPOLDO CIGOONARA
G&l lMVI)]<
jy/eWoi
offerirvi questi Volumi ^ né quali
è compreso quanto in volgar Lingua det-
tò la dii^ina mente delVAucuiERiy noi ere--
diamo j Veneratissimo Signor Conte ^ di
tributare il maggiore omaggio che nói
possiamo alla vostra celebrità . Ninno
ignora quale splendore accrebbero ed
alV illustre nascita ed alle dignità soste-
nute V opere vostre immortali y di cui si
onora altamente V Italia nostra^ per avere
in esse a suo maggior lustro mostrato
quanto possa il vostro sublime ingegno
sulle belVArtiy le quali avete talmente e
fecondate, e promosse , e nobilitate , che
ne sarete dolici piii tarda posterità, sic-
come da' vostri contemporanei y onorato,
quale restauratore e maestro. Scegli è
difficile a piìi assennati distinguere qual
sia maggiore nelle vostre Opere o la for-
za deir intelletto, o la squisitezza del
gusto j o la vastità deW erudizione, muno
certo pub dubitare che la nervosa e nel
tempo stesso gentil ìnaniera d'esprimervi
non si formasse nel meditare e rivolgere
gli esemplari di quel Divino ^ dal quale,
sono già cinque secoli y prendono Ièna per
segnalarsi e poeti y e artisti , ed oratori ,
e filoso/i . j4 niuno dunque tal opera piii
si doveva che a Voi. E poiché nulla noi
trascurammo perchè la nostra Edizione
riuscisse y come non inferiore ad alcuna
per proprietà tipografica , così superiore
a tutte e per ingenuità di lezione e per
copia d'illustrazioni y piacciavi y Signor
Conte Veneratissimo y accoglierla y e per
sostenerla con l^ autorità d'un gran no-^
mcy e per averla a dimostrazione di
queir altissima stima y che abbiamo e
avremo sempre l'onore di professarvi .
AVVISO
DEGLI EDITORI FIORENTINI
Lea migliore Edizione delta DIVINA COMMEDIA
è certamente quella intrapresa in Padoua dalla tipo'^
grinta della Minerv^a. Noi dunque non potevamo pren-*
dere miglior consiglio ^ che riprodurla quale fu pubbli^
cata . j^d utilità peraltro degli Eruditi aggiungeremo nel
quarto Volume le altre Opere del divino ALIGHIERI >
non solo in rima come le Canzoni e i Sonetti ^ ma in
prosa eziandio , quali sono il CONVITO e la VITA
KUOVA, secondochè furono recentemente ridotte a mi^-^
gliore lezione.
•i
l
VII
PREFAZIONE
DEGLI
EDITORI DELLA MINERVA
JXaTvivato essendosi^ per buona ventura^ in que*
sii ultimi tempi T amore allo studio de' grandi e più
pui|[ati scrittori del nostro bellissimo idioma y e da*
tasi per ciò appunto la italiana gioventù a leggere
con molta applicazione le immortali Cantiche del-
l'Alighieri , che sono il monumento più splendido
della nostra gloria letteraria ^ e la più ricca sorgente
di ogni bellezza di lingua e di poesia, abbiamo cre-
duto che molto vantaggio airavanzamento delle buo-
ne lettere si sarebbe per noi recato^ se avvenuto ci
fosse di procurarne una edizione , la quale per la esat-
ta emendazione del testo, e per tutte quelle dichia-
razioni che ne rendessero più facile la intelligenza
e utilissima la lettura , dovesse riuscire in modo di
andare non solamente del pari colle migliori com-
parse finora alla luce , ma di meritarsi ben anche so«*
pra tutte la preferenza •
Con tale divisamento si esaminò attentamente
da noi tutto ciò eh' erasi adoperato dai più reputati
tlll
Editori della divina Commedia per conseguire e Tuno
e r altro de 'due fini suddetti; e, compiuto siffatto
esame^ abbiamo giudicato ^ che sebbene alcuni di
loro non sieuo rimasti molto indietro della nobile
meta, e che i lavori di tutti ^ insieme considerati,
contengano forse poco meno di quanto desiderare sì
possa intomo a tale argomento, ciò nonpertanto a
niuno era toccata la sorte di appagare interamente
le brame degli studiosi del divino Poema , e che ri-
maneva tuttavia a noi pure lieta speranza di trarre
a buon esito il nostro proponimento.
Colla persuasione di nonesserci ingannati in tale
giudizio, abbiamo senza più posto mano al lavoro,
del quale rendiamo qui ragione ai cortesi Lettori .
Ad ottenere il fine propostoci nella emenda^
zione del testo, il quale, a malgrado delle grandi
cure degli Accademici della Crusca e di più altri
dotti , rimane tutt<H*a difettoso in alcuni luoghi e di
assai controversa lezione, il metodo più opportuno e
più certo sarebbe stato quello dì collazionare tra loro
le prime e più pregiate edizioni, i preziosi codici
della ricca collezione trivulziana, e gli altri mol-
tissimi sparsi per la nostra Italia e per le nazioni stra-
niere, e, istituitone confronto diligentissimo, colla
scorta infallibile della saggia critica e del buon gu-
sto nel fatto della lingua e della poesia , e coU'aiuto
insieme di quanto i letterati hanno finor pubblicato
intomo ad un tale soggetto, fermare una lezione cosi
emendata e corretta, che^ se non rendesse intera
Tautografa smarritasi sventuratamente fin quasi dal-
IX
la morte dell'Alighieri, toccasse almeno quella mag-
gior perfeziona a cui giugnere si potesse > e in modo
da mettere un ultimo termine alla speranza di emen-
dazioni ulteriori.
Ma questa via non potendosi da noi correre e
per mancanza del tempo e de' mezzi a tal uopo ne-
cessari , e più ancora perchè sarebbe stata impresa
superiore alle nostre forze, a conseguire nel miglior
modo Tiiiteuto da noi bramato non ci restò phe di
sc^liere, fra le diverse lezioni , quella che finora me-
ritato avesse i maggiori suffrag) de^dotti, e adottan-
dola pel nostro testo , soccorrerla di utili emenda*
ziooi^ e riprodurla più netta che per noi si potesse dai
tipografici errori .
Abbiamo pertanto ^ senza punto esitare, prefe-
rita ad ogni altra la Nidobeatina, cosi denominata
perchè pubblicatasi la prima volta in Bflilano nel 1 478
per (fura di Martin Paolo Nidobeato^ e come fu già
riprodotta dal celebre P. Lombardi • £ seguendo que-
sta lezione , coli' aiuto di ottimi codici e delle più ac-
creditate edizioni abbiamo escluse alcune pocJie le^
ùooi, per sostituirne altre che ci parvero migliori^
usando però sempre di que' sommi riguardi, co'quali
devesi procedere in aimìglianti lavori, e rendendo
nelle note per noi aggiunte alle diiose la ragione di
ogni nostro benché minimo mutamento al testo pub-
bUcato da quell'illustre Cementatore.
£ in questa parte vorremmo essere stati anco-
ra più ritenuti che per avventura non fummo , con-
tentandoci di esporre nelle sole note il sommesso no-
atro parere ogni yolta che poteva insorgere il pia
lieve dubbio intomo la preferenza da accordarsi alle
nuove lezioni; perciocché ^ cosi adoperando (i), non
avremmo sostituito nel testo ^ al u. 6o. del canto II*
dell'Inferno, al ntoné/o della Nidobeatina la voce molo
della lezione di Crusca, adottata dal Yellutello, se-
guita e spiegata si bene dal Magalotti e dal Poggia-
li, e si caldamente sostenuta dal fiiagioli e dallo Sco-
lari. £, a dir vero, tale lezione parve a noi pure
più filosofica; e trovandola avvalorata pur anche dal
codice Vaticano, la credemmo la vera ed originale.
Ma il passo era già fatto quando comparve in luce
il quintp volume della Proposta, in cui trovammo
la lezione Nidobeatina rivendicata e difesa dal eh.
cav. Monti con tale apparato di belle ragioni da non
lasciare più alcun dubbio intomo alla preferenza.
Altrettanto dobbiamo dire della voce eterna del v. 8.
del canto UI. dell'Inferno, da noi pure introdotta
nel testo invece della etemo, che vuoisi intendere
detta avverbialmente, sebbene anche la prima, ri-
ferita alla porta dell' Infiemo , e convenga egualmente
bene a tutto il concetto della intera sentenza, e si
possa difendere con sode e forti ragioni. Ma fatti per
ciò più cauti, nel progresso del nostro lavoro ci sia-
mo astenuti quasi sempre dall'alterare la lezione se-
guita dal Lombardi , anche ove il nostro giudizio ci
suggeriva di poter renderla migliore; restringendoci
(i) Noi abbiamo folle queste dae correzioni» restitoendo con
la Nidobeatina al testo le yoci mondo ed eterno. (Gli Editori fio-
rentini, )
XI
a qae'^li cambiamenti che si reputarono assoluta-
mente necessari per la maggiore intelligenza del te-
sto, e registrando nelle nostre note tutte quelle va-
rianti lezioni che possono essere utili per qualche
modo agli studiosi .
Tali varianti , oltre quelle del testo di Crusca
notate dallo stesso P. Lombardi , si trassero per noi
dalle seguenti edizioni della divina Commedia , cioè
da quella procurata dal Poggiali, Livorno 1807, dal-
le due del De-Romanis, Roma 1815-17 e i8ao in
corso, e da quella del Biagioli, Parigi 1818; e pro-
vengono tutte da sette codici riputatissimi , de' quali
diamo qui breve notizia •
n primo si è lo Stuardiano, appartenente a
Milord Stuart, segnato del i3oo, esaminato dal sig.
Biagioli, che più e più varianti di sommo pregio ne
trasse, le quali sulla fede di lui si sono a' loro luo-
ghi da noi riportate.
U secondo è quello che fu del sig. Gaetano Pog-
giali, anteriore , per quanto egli ne scrisse, al 1 33o,
0 di quel torno . Abbonda di lezioni assai commen-
dabili, e potrebbe servire a migliorare molti luoghi
del Poema , cosi riguardo al sentimento che alla ver-
sificazione .
n terzo si è il Cassinese, ossia della biblioteca
dì Montecassino, anteriore al i368, e però scritto
prima del comento di Benvenuto da Imola . È pre-
giatissimo, e venne illustrato dal P. Abate di Co-
stanzo con una lettera che si vedrà riprodotta nel
quinto volume della presente edizione.
XII
n quarto è Vjingdico^ e trovasi nella biblio-
teca Angelica di Roma, T. 6. 22. Esso è in carattere
semigotico I e piega all'ortografia del dialetto roma-
nesco, o pugliese, senza alterare punto la vera le-
zione toscana . Manca ( ignorandosi per qual vicenda)
dell'intera seconda cantica, e, per quanto ne dice
il sig. De-Romanis, è antichissimo e correttissimo;
e certamente le sue varianti sono molto pregevoli.
n quinto è il Caetani , posseduto da S. E. il
sig. Don Enrico Duca di Sermoneta , del quarto o
quinto lustro del secolo decimoquinto, e postillato
in margine, per quanto si crede, da Marsilio Pici*
no, l^gendovisi , come afferma il De*Romanis, scrit-
to nell'ultimo foglio: Hoc comentarium est Mar si-
ili Ficini; e molte ragioni concorrono a metterne
fuori di dubbio l'autenticità .
Il sesto è VjintaldinOj cosi nominato da IT il-
lustre suo possessore il nob. sig march. Antaldo An-
taldi di Pesaro. Non è molto antico , noa è cosi ricco
di belle varianti, che si reputa qual copia fedele di uu
assai vecchio e prezioso manoscritto . IjO varianti di
questo codice furono trasmesse all'editore Decorna-
nis dalla nobile sig. contessa Gostanza Monti-Per-
ticari, la quale, tenera ed intelligente com'è delle
cose di Dante, si adopera a favorirne lo studio e a
dilatarne la gloria. Ma le Poste avendo sgraziata*
mente ritardato di trasmettere i cartolari a Roma ^
queste varianti, riportate dal De-Romanis nella sud*
detta edizione in corso, non vanno oltre il cantoXKL
dell'Inferno. Ha però egli promesso di dare le man*
XIII
canti alla prima Cantica in fine della citata edizio-
ne, e di apporre ai respettivi loro luoghi quelle del
Pui|[atorio e del Paradiso; e, ov'egli tenga la sua
promessa y non mancheremo noi pure di fregiarne
questa nostra edizione.
U settimo finalmente si è il famigerato codice
Faticano, segnato col numero 8199, del quale fino
dal caduto anno fu pubblicata la sola prima Cantica
mercè le amorevoli cure del novello tipografo il colto
«g Luigi Fantoni di Rovetta . Contiene molte e sin-
golari varianti, e noi vorremmo pure assentire aU
l'opinione di quelli che lo reputano scritto di mano
del Boccaccio 9 offerto da questi in dono al Petrarca ,
e dal Petrarca medesimo in alcuni luoghi postil-
lato; ma gli errori de' quali va deformato, le false
lezioni che spesso contiene, i versi che tratto trat^
to vi a' incontrano di non giusta misura , e più
poi l'osservare che la sua lezione non' corrisponde
a quella de' versi che si citano per entro il comento
a Dante^ attribuito comunemente allo stesso Boccac-
cio, sono-i principali motivi che ci fanno grande-
mente dubitare della sua autenticità ; e concorre-
ranno forse &cilmente nel nostro parere quegli at.
tenti Iiettori che vorranno esaminare alcune delle
varianti lezioni che da quel codice si riportarono
nelle nostre note.
Data cosi notizia de' codici sopraddetti, dob-
biamo anche avvertire che per le abbreviature usa-
te nelle nostre note di cod. Stuard., Cass., Ang.,
Fol. I. b
XIV
Caet ^ Antald., yat.>8'iiitenderanno indicatigli stes-
si codici Siuardiano, Cassinese^ jingelico^ Cae*
tano ^ Antvldino i Vaticano^ Ed avendo proceduto
nel detto modo per tutto ciò che riguarda le varianti
lezioni j diremo ora del metodo da noi seguito nella
interpunzione.
Per giovar meglio alla chiarezza e alla più fa-
cile intelligenza del testo ^ è da noi creduto ben
fatto di riformare quasi interamente quella adottata
già dal P. Lombardi . Ci siamo attenuti invece ^ co*
me a guida più sicura, all'uso che ne fece il dUigen-
l^issimo sig. Poggiali, allontanandocene però qualche
volta o quand'egli pure si scostò dalla solita unifor-
mità , o quando ci parve che la troppa frequenza del-
le virgole potesse nuocei'e alla chiarezza ed al sen-
timento.
Non occorre di far parola intorno le poche mu-
tazioni da noi introdotte nella ortografia, giaochè
l'accorto Lettore potrà ccmoaceme la ragione esposta
nelle nostre note.
Per quanto concerne alle dichiarazioni del te-
sto ^ due vie diverse ci erano parimente aperte: o
Tuna di compilare un tutto nuovo comento, profit-
tando di quelli che vennero finor pubblicati, e di
quanto si avesse potuto raccogliere suU' argomento
dalle altre opere che di proposito o per incidenza
>spiegano ed illustrano la divina Commedia; o Tal-
tiii di scegliere quello tra i comenti che ci fosse sem-
brato il migliore, riprodurlo per intero, ed arric-
XV
chirlo per nuore illustrazioni . Alla prima questa se-
conda via si è da noi preferita, e perchè più certi
di offerir per tal modo ai nostri Lettori un prege*
vole comento della divina Commedia y indipenden*
temente dal merito di ogni nostra aggiunta ; e per-
chè, seguendo un tale sistema^ ci riusciva più facile
il far conoscere gli autori che concorsero in questa
nostra edizione a maggiormente illustrare il Poema ;
e perchè finalmente in tal guisa abbiamo potuto te-
nerci sovente dal proferire il nostro giudizio sulla
interpretazione di molti passi controversi, riportan-
do imparzialmente le diverse opinioni de' Chiosato*
ri y e lasciando che il Lettore ne giudichi pur da sé
«tesso, costringendolo cosi a far uso frequente del
proprio criterio.
La nostra scelta cadde percid sul comento del
celek'e P* Lombardi, il quale, per comune consen-
timento de' veri dotti, è il migliore di quanti ne
furono pubblicati fino a' nostri giorni. Quel chiaris-
simo Gomentatore, insinuatosi più di ogni altro nel-
\o pirite filosofico ed istorico de' tempi dell'Alighie-
rì, e nelle pittoresche immagini di lui , giunse a ri-
sarcire molti luoghi del Poema guasti o per T incu-
ria o per la ignoranza degli amanuensi , a porre in
chiara luce parecchi oscuri passi stati fino a lui dalla
moltitndine degl'interpreti o senza veruna chiosa tran-
senniti, o malamente spiegati, ed a farsi il più valido
apologista contro que'&stidiosi e temerarj che ne' lo-
ro scritti osarono di censurare il grande Alighieri.
XVI
Pubblicato ch'ebbe il Lombardi in Roma nel.
l'anno 1791 pei tipi del Fulgoni questo suo illu-
stre lavoro, riveduto da capo a fondo dal tanto ce-
lebre Ennio Quirino Visconti , i dotti ne presagi-
rono grandi cose^ e riscosse meritamente gli applau*
si non solo della Italia nostra , ma ben anche del-
l'estere e più colte nazioni • La Lombardina del 1 79 1
venne con favore accolta ovunque, e con avidità ri-
cercata cosi, che ne mancarono ben tosto gli esem-
plari al commercio ; né v' ha ristampa della divina
Commedia a quella posteriore, per cui gli Editori
non siensi giovati a dovizia di si pregiato comento .
Due altre edizioni della divina Commedia col
comento Lombardi si eseguirono in Roma dal colto
tipografo il sig. Filippo De-Romanis. La prima, ni-
tidamente stampata , nel 1 8 1 5-i 7 in quattro volumi
in 4-^^ e la seconda in 8»^ nel i8ao, la quale, come
si avverti, è tuttora in corso di stampa. Per questa
nostra edizione, e come si disse nel Manifesto vj
Aprile 1 81 9 , abbiamo seguita particolarmente quel-
la del 1815-17, avendo però avuto ricorso anche alla
prima del 1791 ove ci occorse di riprodurre intero
il comento Lombardi, quando il De-Romanis, per
dar luogo a nuo\e chiose, avealo tralasciato. Si è
{ktto pur uso della sovraccennata del i8ao, ia or-
dine alle antecedenti , detta da noi terza romana ,
e in cui, per opera dell'egregio Editore, oltre le va'
rianti de* codici Angelico , Vaticano 8199 e Antal"
dino, si leggono altre nuove dichiarazioni.
XVII
Tutte le giunte al coinento Lombardi , inserite
dal De-Romanis nella edizione 181S-17, si sono da
noi riportate in questa nostra^ indicandole coU'aste-
risco da lui pure usato. Ai loro luoghi per entro il
comento si collocarono le poche illustrazioni del te-
sto che si comprendono nelle giunte raccolte nel
quarto volume dell'anzidetta edizione , e sono quel-
le de' chiarissimi sigg. Urbano Lampredi e cav. Dio*
nigi Strocchi. Notiamo qui di averlo anche seguito
nella cura ch'egli si è data di citare, invece del Pro-
spetto de' verbi toscani y come fece il Lombardi, la
Teoria e Prospetto ile', verbi itiUiani del Prof. Ab,
Mastrofini, per quanto concerne aUe anomalie dei
verbi e loro esemp) • Come poi tutto ciò che il
De^Romanis ha pubblicato nel quarto volume della
citata edizione siasi da noi e con quali aggiunte
riprodotto nel quarto e quinto di questa nostra j si
potrà conoscere dalle prefazioni di quei volumi me-
desimi.
Pochissime illustrazioni di qualclie momento
intomo alla divina Commedia si pubblicarono dopo
il Lombardi e fino a' giorni nostri , che non siensi
da noi esaminate, e delle quali non rendasi conto
nelle nostre giunte al comento di lui • Si ebbe per-
ciò ricorso al Dante colle note del Portirelli, Mila-
no i8o4; alle già citate edizioni del Poggiali, Li«
vomo 1807, e del Biagioli, Parigi 181 8; alla splen-
dida fiorentina dell'Ancora 1819, pubblicata per
opera de' sigg. Renzi ^ Marini e Muzzi; alla bologne-
* I.
XVIII
se 1819 ili corso 9 procurata dal Macchia velli; alle
note del celebre Magalotti ai primi cinque canti ^ e
a quelle del sig. Filippo Scolari ai canti medesimi;
alle Correzioni del Perazzini^ e a tutte le illustra-
zioni sparse per entro la Proposta del eh. cav. Mon-
ti. Si ha dato pur luogo al breve comento inedito
dell'insigne letterato veronese Giuseppe Torelli^ co-
municatoci nel ms. autografo dalla gentilezza del
dotto Archeologo il eh. sig. Labus. Sul fine di quel
ms. leggesi notato dall'Autore stesso cosi: L. D, G.
io Gius. Torelli Veronese terminai eU stendere
queste dichiarazioni sopra la divina Commedia di
Dante ^ cominciando dal Can. i3. dell' Inferno, e
da quello imparandola a mente , questa mattina
delti 1 1 Giugno 1 776 in Verona . Ma ne dichiarò
in seguito anche i primi dodici canti ^ trovandosene
le dichiarazioni autografe aggiunte al ms. medesi-
mo . Questo pregevole lavoro del Torelli intese cer-
tamente di acceimare il Perazzini alla fac. 58 del-
l'opera stampata pel Moroni di Verona nel 1775
ili 4*^ col titolo : Correctiones et adnot. in Danti s
Comoediam, ove dice: si litterati s^eronenses vettent,
et praecipue losephus Torellus^ nr ingenio y eru-
ditionCf studiisque geometriae et poesis illustrisi
si vellentj inquam , in communeconferre y quae sin-
guli detexerunt, novamque Danti s editionem su-
sciperey diifina Comoedia prodlret in soccis novis
et suis .
Moltissime altre operette filologiche, uscite in
'^
XIX
questi uhimi tempi alla luoe^ e che tendono ad illu-
strare qualche passo del nostro grande Poeta , sono
state per noi svolte a fine di cogliere tutto quel me-
glio cheda noi si poteva ; e possiamo far fede al Pub-
blico che non abbiamo perdonato certamente né a
spese^ ne a ricerche^ né a fatica^ onde nulla man-
casse a questa nostra edizione ; e y così avendo adope-
rato^ abbiamo altresì potuto aniochirla di varie ine-
dite illustrazioni^ comunicateci dalla cortese amicizia
di alcuni letterati^ il nome de' quali si è da noi r^
cordato ai respettivi luoghi con sentimento di ben
giusta riconoscenza. Né a ciò soltanto si é ristretto
il nostro lavoro^ rari non essendo que' luoghi ^ ne'qua-
li non siasi qualche cosa aggiunto anche del nostro ,
Che se talvolta ci siamo forse sviati dal vero, o male
abbiamo còlto nel segno , ci confidiamo che il discre-
to Lettore terrà buon conto della retta nostra inten-
zione.
Ed a giovare viepiii gli studj de'giovani ^ ai quali
la presente edizione vuoisi precipuamente raccoman-
dare^ inserito abbiamo ai loro luoghi le osservazioni
grammaticali di nostra lingua^ e quelle sull'esame
letterario del Poema , che si riscontrano nel comento
del sig. Biagioli^ lavoro che in questa parte ^ a nostro
parere , ha molto pregio •
Non così possiam dire del resto di quel suo co-
mento^ perchè^ più presto che la verità e la sana
crìtica^ vi predomina lo spirito di contraddizione >
la Anania di jHimeggiare ^ e la intolleranza delle al*
•
e eia cui deriva la massima gloria di ogni tipografica
impresa^ palesiamo^ e assai volentieri, che molto
aiuto ci hanno prestato le attente cure dell' ispettore
della Tipografia l'egregio sig. Angelo Sioca, nel<{uale
lo studio di ogni diligenza non va disgiunto dalle
necessarie cognizioni dell'arte bella che con tanto
amore professa.
Per tutto ciò poi che al preg^ deUa stampa ap-
partiene y la Società tipografica della Minerva non ha
risparmiato ne cure y né spese , affinchè potesse in-
contrare il pubblico aggradimento ; e non paga di
avere ^ per gli esemplari in 8.0 ordinario^ sostituita
carta più grande e migliore di quella che fece cono-
scere col Manifesto 27 Aprile 1819^ ha procurato
inoltre che il valentissimo sig. Giovanni Valania,
direttore della di lei fonderia, incidesse i punzoni,
e gittasse due nuovi caratteri^ il primo pel testo^ e
l'altro per le contronote^ aflBnchè tutti quelli die
doveano servire al divino Poema fossero non sola-
mente nuovissimi , ma ben anche tra loro nella più
armonica proporzione.
Se il Pubblico si mostrerà soddisfatto delle cure
sì da noi che dalla Società tipografica sostenute per
la presente edizione, noi, palesandone molta rico-
noscenza, ci studieremo di meritarne sempre me-
glio l'approvazione col dare in seguito nella stessa
forma dì carta , cogli stessi caratteri , colla medesima
diligenza y e con nuove illustrazioni , non solo le ri-
manenti Opere dell'Alighieri , le Rime del Petrarca ,
XXIII
il Furioso deirAriosto , e la Gerusalemme liberata
del Tasso ^ ma col riprodurre altresì di quando in
quando , compendiate brevemente , come altrettante
appendici delle nostre giunte al comento Lombardi ,
tutte le dichiarazioni della divina Commedia che si
pubblicheranno dai dotti .
V
}
ÀI
CORTESI LETTORI
BALDASSARRE LOMBARDI
H,
.0 nel frontespizio (*)f con quella precisione che vi si
conviene i accennato i tre capi della lunga mia fatica sopra
delia presente Commedia con dirla nuovamente correità^
spiegata e difesa. Un ragguaglio più esteso » per chi lo
bramasse ) sono qui a darlo.
La correzione, eh' è il primo capo , non consiste nello
aver tolto degli errori di stampa (che Tedizionci di cui
mi sono valuto per questa mìa , è la Cominìana correttis-
sima J, ma nel toglimento di molte prave lezioni dagli
amanuensi introdotte ne* manoscritti ^ e da' manoscritti pas«
sate impunemente nelle stampe fino a' nostri tempi.
Per simile ammenda fare , presero nel i SpS gli Accade-
demici della Crusca a collazionare l'edizione Aldina del ì 6oa
con quasi un centinaio de* più celebri manoscritti di quelle
doviziose loro biblioteche.
L'opera degli Accademici ebbe, per verità , profittevole
nascimento; ma avrebbelo avuto viepiù se, non contenti
dell'Aldina e de' mas*, steso avessero il confi*onto ezian-
dio alle poche edizioni fatte nel secolo anteriore ; ch'essen-
do pnr esse tratte da antichi mss., sparsi in difi*erenti luo-
ghi, potevano somministrare qualche utile divario-
(*)II frontespizio, dei qunlo qui iiarla il P. Lombardi, è
quello della edizione da lui fatta io Roma Del 1791» ed è il se-
gaente : La Divina Commedia di Dante Alighieri nuovamente
corretta, spiegata e difesa da F. B. L. M, C.
rol. I. e
XXYI
Tale appunto ho io U'ovato Tedizione falla in Milano del
147B per Manin Paolo Nidobeato. Questa edizione, quan-
to dee meno alla diligenza degli stampatori 1 che fino di due
intieri versi (1) lasciaronla mancante, tanto dee maggior-
mente alla bontà del ms. onde fu tratta: imperocché , oltre
al contener essa quasi tutto il bello ed il buono che gli Ac-
cademici hanno ripescato nella moltitudine de* mss. j emen-
da poi da sé sola altri guasti moltissimi. Eccone un saggio.
Nel canto XXIV. dell* Inferno f u. 85. e segg., hanno
gli Accademici nell* Aldina e in tutti i mss. trovato:
Pili non si uanii Libia con sua rena.*
Che se Aelidrif iaculi e farce
Produce f e ceneri con anfesibena;
e y cosi avendo essi Accademici nella loro edizione ricopia-
to> furono in seguito imitati da tutte le altre edizioni .
La milanese Nidobeatina legge in cambio s
Più non si i^anti Libia con sua rena
Chersiy chelidri iaculi e farce
Producer chencri con anfesiberta.
Pongansi a questa in confronto la descrizione da Lucano
fatta, e dal Poeta nostro imitata, dei serpenti appunto delle
libiche arene :
ChersjrdroSf tractique t^ia fumante cheljrdri^
Et semper recto lapsurus limite cenchris.
Et gravis in geminum uergens caput amphisibaena ,
Et natrix uiolator aquae , iaculique volueresj
Et contentus iter cauda sulcare phdxreas (2).
V ha egli dubbio che non sia il Chersi della Nidobea*
lina il Chersjdros di Lucano , e il chencri , o ceneri (3) ,
(i)I1ii8. eiltig. del capto zix. del Purgatorio,
(3) Phmrs, lib. it. v, ^ji^. e segg.
(3) Cosi legge il Bali cit. nei Yoc. della Crusca alla voce Cenerò.
XXMI
il cenchrisy e che Produce iii luogo di Producer non si
scrìvesse, per rìsarcimeuto della sintassi, in sequela dcl*
rerroneo Che se (i)7
Non però tutte le correzioni da me fatte sono della Ni-
(i) Essendosi coirarriso dato al Pubblico della presente mia
open divolgata insiene questa stessa prefiizione, Monsig. CUuio-
nìco Gio. Iacopo de'Marehesi Dionist Veronese , non contento di
affermi con prWata lettera sìgoìBcato il suo dispiacere inlomo a
colai Tarlante Nidoheatina lezione, lo ha inoltre voluto pubblicare
in iilampa nel DMego apologetico recentemente in quella sua
illastre patria dato alla luce. Ecco in succinto le di lui opposizio»
ni, con aggionta a ciascuna (vaglia quanto può valere) La mia ri-
sposta.
Op. Ne*nomi proprj Vapocope di siUaha intiera non si fa
maif e poi mai. Pag. zzviii.
Jt. Era anche troppo il mai detto una volta , senza ripeterlo ;
inperoccbè» omettendo di cercare in altri poeti « troviamo aver
Dante scritto Pier, BelUsar ec, invece di Pietro ^ Bellisario ec.
E noti Monsìg. Canonico , il quale > per difendere intieri altri no-
mi parecchi da esso rammentati , rìcorre al greco idioma « che
BifXÀiffetpiO^ scrìvono anche i Greci nella Bizantina. Vegga , tra
gli altri , Cedreno.
Op. Ghersidro è detto da terra ed acffua , perchè serpente
anfibio: il dir cherso non sarebbe né mccel^ né bestia, Fag. !czviii,
il. Né nccel , nò brstia sarebbe per la medesima ragione an-
che ùfro, detto invece di chelidro\ Nicandro nondimeno nel poe-
metto Teriaca e lo dice e lo attcsta detto anche da altri , i^. 4i 4*
e 4^0. Questi adunque hanno a chelidro coiraferesì troncato il
capo; e Dante (se pur egli è stato il primo) ha colFapoGope tron*
etto a chersidro la coda .
Non posso però tenere celato un dubbio che mi nasce nel-
l'animo, che, insegnando Servio, il celebre Cementatore di Vir-
gilio, appellati chersidri e ehelidriìx serpenti medesimi , perocché
ora in terra ed ora in acqua dimoranti {Geor^^ iv. k\^.)f non ab-
bia Dante, a correzione di Lucmìo , che, come ne' riferiti versi
scorgesi, fa di qae* serpenti due spezie, voluto di chersidri e che»
iidri com porne un nome solo, chersiéhelidri •
La medesima identità di serpenti, che Servio asserisce , con-
frrina Enrico Stefano nel sno Tesoro della lingua greca ^ arU
0/>. Qualunque sìa la punì a tura che fasciasi alla Jine del
XXVIII »
dobeatina; ma sono «iltre ricavate altronde» massimamente
da'mss. delle ccIelH*rrime biblioteche Vaticana e Corsini,
che ne'proprj luoghi andrò di volta in volta notificando.
Bisogna dalla moltitadine de' testi scegliere ed adunare
teneitOf Più non si vanti ce.» egli mom ha eomnessiome eoi sugte*
gueniCf Né taote |icstilenze «e. Pag. «mxuf.
it. Per qaenta dìf6coltà rimettiisi Monsigoore ai Grannatiei»
e 6pgnaian[ieDte al Trattalo dì Beoetlelto Mensini Della coMlru*
u'one irregolare della lingua toscana « cap» ai «Vedrà quindi aver
Dante potuto in princìpio del terzetto. Né tante pestil^ize ee. eie-
ganlcmeote tacere una cAe; piii della quale partìceUa non veggo
che altro mai si possa Monsignore per la conneuione desiderare*
Troverìb ivi ansi ragione della omissione, che parimente rimbrot*
ta , della e avanti ceneri m
Op. Notate di grafia il Producer troppo staccalo da quel
si vanti; il quale a natundetMa di lingua riehtedereldfe par tia"
finito col segno del genitivo . Pag. xxxu.
it. Il Producer della Nidobeattna sta per elegante trasposi*
zione tra le prodotte cose, come vi sta il Produce delle altre edi«
sioni s e scrivendo Dante, In/» ii. 84*9 ove tornar iu ardi » e non,
come avrebbe Monsignore voluto, ove di tornar tu ardi, mostra
al medesimo Monsignore malamente fondata cotalsoa pretensione.
Op* Simile compenetratione di lettere (Prodocer ceneri) in
tutto Dante non si ritrova • Pag. xsxii.
it. Temo che non manchi questo detto pnre di ana compiuta
ed esatta ossenrasione. Io prego Monsignore a voler riveder Dante
ben bene» e ad osservare da quella via quante fiate ritrovasi il
concorso delle sillabe uce e ce, che vorrebb*egU invece leggendo
Produce e ceneri.
Confessa nel suo Dialogo Monsig. Canonico, che al primo
sgoanlo rimase dal lustro delta nuova controvena lesione abba*
glielo; ma che in seguito la connessione eoi tersetto Né tante pe»
stilema ec., fu la prima a render|^ìela odiosa. Pagina zxxiii.
Dopo dunqne manifestata lui per elegante spessissimo prati*
cata ellissi taciuta la connettente particella che , e dopo appianati ,
mi lusingo, gli altri capi di diiBcoltit»dovrebb* essa lesione rispien*
dergli col primiero lustro.
Sia nondimeno com' esser si voglia di questa. Ora che Mon-
signore si degnerà, spero» di ricevere ed aggradire da nn suo ser-
vitore il presente primo volume» contenente la cantica dell'/ii/èr-
no^ con ili feudo la tavola delle ad essa appartenenti varie lezio-
XXXIII
AVVISO
DEL P. LOMBARDI
liei citare j che spesso accoderà, il Convito di Dan"
tCy seguirò il metodo tenuto dal Cinonio nelle sue Os-
ier?azk>iii della lingua italiana , di citarlo a trattati e ca*
pitoli • Il primo trattato si estende dal principio del
Coavito fino alla canzone prima; gli altri tre sono i
cementi alle canzoni che loro si premettono • I capitoli
pd si fanno scorgere dallo interrompimento dello scrii'-
to.Monsig. Canonico Gio. Iacopo de^ Marchesi Dionisio
nel ìium. IL della serie degli eruditi Aneddoti recente^'
mente in V^erona stampati y ne promette una edizione
del G)nTÌto di Dante coi numeri prefissi a ciascuno trat"
tato e a ciascun capo; cosa che stupisco non sia già stata
fatta dagli altri Editori della medesima opera*
ItH]F.]&lH(D
CANTO I.
ARGOMENTO
Mostra il Poeta che, essendo smarrito in una oscu ris-
si ina selva, ed impedito da alcune Jiere di salire
ad un colle i/u sopraggiunio da F^irgilio, il quale
gli promette di fargli vedere le pene dell'Inferno ,
dipoi il Purgatorio, e che in ultimo sarebbe da
Beatrice condotto nel Paradiso» Ed egli seguitò
FUrgilio •
N
el mezzo del camnilù di nostra vita
t ^el mezzo ec. Stabilendo Dante nel suo Conirito cbc il
della vita degli nomini perfettamente naturati sia nel
trtntneimjuesimo anno [a], di tale età dee qui intendersi,
loenlre dice : Nel mezzo del cammin di nostra vita : ed una
tale mezaui età dee egli avere scelta per questo viaggio (che
in renila non è che un viaggio della mente , o sia meditazio»
ur } ftllosivainente alle parole del santo re Ezechia: Ego dìxi
in dinddio dierum meorum yadam adportas /n/!?ri[£];che,
giusta V interpretazione di san Bernardo [e], indicano l'aiuto
drlla divina grazia » per cui l'uomo dimezza i giorni suoi 9 e
lifipo data una parte al male : Inferni meta incipit de bonis
4fujaerere consolationem . Facendoci poi Dante in più luoghi
di questo suo poema [d] capire che l'anno di colale suo vìag-
[«iTrati. 4- eap. aS« [b] Isai. 38. c^. 10. [e]Serm, de Cantico Enechiae.
\d} Tcdt tra gli altri Inf. xtt. 111. e Parg. tf. 9B.
rd. I. I
2 INFERNO
Mi rìirovai ]ier una selva oscura,
Gilè la diritta via era smarrita .
Ahi quanto a dir quaf era è cosa dura 4
gìo fosse il i3oOy viene perciò con questo piimo verso a con-
ferniare d'esser egli nato nel i'265 , comi; appunto scri\oiio
il Boccaccio, Lionaitlo Aretino ed altri , contrariamente al
Landino [a] , Daniello e Dolce , che lo dicono nato nel 1 2()o.
^ selì^a oscura appella metaforicamente la folla delle pas-
sioni e dei vizj umani, m^per una selva non in una sciita y
a dinotare che vi andava errando . Torelli . 4-«
3 Che dee qui valere talmeìUechè ^ come in que* versi del
Petrarca:
Di tai quattro faville , e non già sole j
Nasce 7 gr£u% foco , di cK io ui\^6 ed ardo :
Che son fatto un augel notturno al Sole [&] •
Vedine altri esempi presso il Cinonio [e] . •-► Qui y dice il Bia-
gioii 9 v* ha difetto della preposizione in, espleta col Volpi in
che o in cui , negando al che di questo verso il significato di
talmentechè e di perchè* — Lo Scolari è con lui rapporto al
perchè, ma difende l'interpretazione del Lombardi , non tro-
vandovi controsenso, come vuol supporre il Biagioli, il quale
chiosando poi : ai piedi della quale la diritta uia va a fi--
nire , mostra di non essersi attenuto egli stesso alla spiega-
zione proposta in che o in cui . 4-s
4 Ahi quanto Wge la Nìdobeatina , meglio assai di E quan^
to che leggono le altre edizioni •-►(e il cod. Vatic. ^tpo): 4-s
la qual cosa Ùl di languidezza cascare il poema su la bella pri-
ma mossa^echesopportei^bbesi appena (|ualora avesse Dante
premessa una divisione di punti da trattain;, il primo od uno
dei quali fosse il dir qual era ec. Ahi quanto usa il Poeta
nelle esclamazioni sovente: Ahi quanto mi parea pien di di-
sdegno l [d] ; Ahi quanto cauti gli uomini esser denno /fé] ;
Ahi quanto egli era nelt aspetto fiero I [f\ ec. Ah o Alti
invece di E vuole che qui si legga anche Benvenuto da Imola
^eir inedito suo latino comento sopra questo poema: testimoni
il Gelli nella Lettura sopra lo Inferno di Dante [g] ed il
[d\ Nelle edizioni anteriori alla coir<*z. del Sansovìnn. [6] Son. i3:i.
\C\ Pattic» 44* B* '^^- 34* W Id^* >^- ^^* i^] '^^' *V>« ' *^* [fi luf. V.KI. 3 I .
[g] Lcz. 4.
CANTO I 3
Questa sel%a selvaggia ed aspra e forte,
Che nel peosier riaoova la paura!
Tanto è amara, che poco è più morte, 'j
Venturi a questo verso. — dura vale qui quanto disgustosa
0 amara , come tre versi sotto dirà essere V impresa medesima
di descrìvere quella selva. m^Eh guanto ec. legge ilDionisi
sulla lede di pareccbi .codici 6orentini. E. R. — dura usasi*
come sinonimo dì difficile e penosa. Biaoioli. 4-«
5 seli^a selvaggia è detto non altrimenti che disse Virgv nel 2 .
dell' Eneide 9 cai^ae cat^ernaec - Intonuere canfae ^ gemitum-^
quededere ca^^ernae.DAVUOJéO. Anzi più propriamente ; im-
perocché tutte lo caverne sono cave, e non tutte le selve sono
selvagge, essendovene delle ai'tefatte pel diporto. — aspra e
fortec forte aggiunge non poco aWaspra; e quindi è che pel
forte del bosco intendiamo il piii folto ed intralciato di quello :
siccome V aspra j che vale inviluppata assai da tronchi e pruni ,
al selvaggia , che vuol precisamente significare abbandonata ,
senza alcuna coltura. Yeuturi . m^ forte può valere dura a su-
per arsi ^ come forti barriere ^ forti trincee . Cosi TE. R.^hì
7 Tanto è amara ec. Il Landino , Vellutello e Daniello in-
tendono congiungersi l'epiteto di amara alla medesima ^e/i^a •
Oltre però cne la sia già abbastanza stata caricata di epiteti ,
di selt^aggia ed aspra e forte ec. , e che male con essi epiteti
confacciasi amara ^ richiederebbe poi tinche la sintassi, che
come già delta selva parlando poc'anzi disse: ^hi quanto a
dir qual efa^ così dicesse qui: Tanto era^ e non Tanto è
amara. Dunque amara intende qui non la selva, ma l'im-
presa di fiivellar della selva, quella medesima cui già disse
cosa dura ; e può ragionevolmente riputarsi che cotal epiteto
di amara alla briga di favellar della seha^ ossia de' passati
vizj, attribuisselo Dante ad imitazione di quel parlare del pre-
fato Re Ezechia : Recogitabo tibi omnes annos meos in ama^*
ritudine animae meae [a], o di quell'altro del profeta Gere-'
mia : Scito j et uide quia malum et amarum est reliquisse te
Dominum Deum tuum [&]. wh¥ amara. Riferisci ciò alla sel-
va, non al parlare di essa, che sarebbe cattiva comparazione
il parlar della selva colla morte ; e detto avrebbe in tal caso
amaro e non amara, E. F. — - L'epiteto di amara si riferisce-
[aj Isai. SS. V. i5. [b] Gap. \v, ig.
4 INFERNO
Ma per trattar del ben, ch'ivi trovai,
Dirò dell'altre cose, chMo v'ho scorte.
Vuoti so beo ridir com'io v'entrai; io
dal Biagioli alla selva , dal Poggiali alla pena di favellarne; ma
lo Scolari fiosueae doversi riferire a paura: i.^ Perchè dopo
l'era non regge assolutamente Tè • 2.^ Perchè riferendo Voìna/'a
a paura si ottiene il piìi sublime e spontaneo concetto che dar
ai possa, cioè: il ricordarsene dà paura di tanta amarezza ,
che morire è poco più, 3.^ Perchè trova esservi più imme-
diata e natui*al i*elazione &a le idee di paura e di morte, che
tra l'amarezza della selva e il morire. 4-^ Perchè non si hanno
cosi due pensieri sulla cosa stessa, ma un solo, più efficace e
più atto a dar l'idea del terrìbile oggetto che vuol descrivere.^-v
8 g Ma per trattar ec. Adopera ellissi , e dee intendersi come
se detto avesse: Ala lasciando di descrissero V orridezza tlella
selva per trattar del bene ( del celeste aiuto ) che in quella
trovai f dirò delle altre cose che vi ho vedute ^ cioè del lumi-
noso colle che al termine della selvosa valle gli si appresentò,
e delle tre fiere che la salita ad esso impedirono ec. — ^^ivi
legge la nidobeatina: cKTvi l'altre edizioni . La vicinanza p«rò
del cWv*ho scorte , nel verso seguente, rende preferibile la
lezioneNidobeatina. -* 10 bello e intiero scrive la Nidobeatiua
qui e quasi dappertutto ove Taltre edizioni scrivono accorcia-
tamente T. CXtre la stima che la Nidobeatina si merita per le
oelebri correzioni che somministra, è poi anche osservabile,
ohe Dante medesimo nelle altre sue rìme non accorcia questo
pronome se non rarissime volte, w^del ben, cioè del frutto,
il quale si ritrae dalla meditazione di quel miserabile stato pie-
no di peno e di rìmordimenti , mediante la quale si arriva alla
contemplazione di Iddio, che è la fine propostasi dal Poeta «
Magalotti. — Il bene che vi trovò si è il solo mexzo di uscir-
ne.BiAOTOLk. ^^Dirò deir altre j cioè de'supplizj de' pecca-
tori: altre qui vale diverse dalle buone - E. F. —-Per V altre
Biagioli intende il monte di tutta gioia, le tre fiere e l'ombra
di Virgilio. — deWalte cose invece dell* altre cose insieme
col cod. CaeL leggono molti codici , e con essi il Dionisi • Le^
zinne che l' Edit. romano non trova spregevole , potendosi chia-
mar a/£e ( secondo l'uso fi'cquente &tto da Dante di questa
parola) le gravi e misteriose cose, di che egli nel poema ra«
giona . 4-«
CANTO r. 5
Tanl' era pìen di sonno in su quel punto,
Che la verace via abbandonai.
Ma po' ch'io fui al pie d'un colle giunto, i3
Là ove terminava quella valle,
Che m*avea di paura il cor compunto;
1 1 sonno per offuscamento della mente cagionato dalla vee^
mraza delle passioni. »-> Smarrimento d'animo, BiagioIiI —
ovvero T inganno in cui era circa le cagioni del suo esilio,
come pensa il Costa . 4-«
I a 9-¥- verace via • La via verace fu smarrita da Dante alla
morte di Beatrice (come osservano il Biagiolie lo Scolari) ay-
?enuta nel 1 290. Perduta la virtuosa sua amica, rimasto in balia
di sé stesso, con un vuoto immenso nel cuore, preso da false
speranze di bene , si abbandonò ai piaceri de' sensi , secondo il
Biagioli , o alle pubbliche faccende , secondo lo Scolari , che lo
condussero aUe amarezze estreme da lui sofferte. Comprovasi
questa verità di fatto dai seguenti versi del Purgatorio, e. xzx:
Si tosto , come in su la soglia fui
Di mia seconda etade e mutai vita ,
Questi si tolse a ine e diessi altrui.
f più sotto ivi :
E volse i passi suoi per via non vera,
' Immagini di ben seguendo false ,
Che nulla promission rendono intera, ^-m
i3 i4 al pie d^un colle eo. Incominciando la virtù dove ter-
mina il vizio, dee pei' cpiesto colle , posto al termine della sel-
vosa valle del vizio, intendersi la virtù. Ad insinuare però,
che per domare le viziose passioni e divenir virtuoso è neces-
saria air uomo la meditazione delle cose eteme, dira Virgilio
a Dante (che vorrebbe a dirittura, senz'altro mezzo, uscir
della selva) che gli converrà tener altra via dalla pretesa, e
seguir lui che trarrallo^er/ttog'o eterno [a]. 3^^ appiè colla
Cr. legge il Biagioli. Là oue terminava ec. Leggi ben questo
Terso, e sentirai quanto il suono della voce terminava ti ména
luigi coli' occhio, quasi voglia farti misurare quella valle im-
mensa. Bl AGIOLI • •«-«
iD compunto per afflitto ^ angustiato,
V Vedi io questo canlo dal y. gì. sino al fine.
6 INFERNO
Guardai in alto, e vidi le sue spalle i6
Vestile già de' raggi del pianeta,
Che mena dritto altrui per ogni calle.
Alior fu la paura un poco queta, 19
Gbe nel lago del cor m' era durata
La notte, eh' i' passai con tanta pietà .
16 Guardai la Nidobeatina, Guarda* raltr'edizioui . 9-^ Le
spalle del monte souo quasi la sommila sua. Biagioli. <4hi
17 18 pianeta , - Che mena dritto ec.y che mosUra la di-
riua via. Intende il Sole, m^ Allude , secondo il Biagioli , alla
scienza che in ogni tempo y stato e luogo addita la verità a chi
giunge a possederla. Indi soggiunge : « E gli sciocchi credono
» che Dante siasi raggirato cosi per finire il terzetto . » ^-m
19 20 lago del cor appella Dante quella cavita del cuore,
eh* è ricettacolo del sangue, e che da Harveio con somigliante
frase è detta sanguinis promptuariumet cisterna [a\: e bene,
la cagione per lo effetto prendendo (la paura per T agghiaccia-
mento del sangue che la paura opera ) dice durata la paura
nel lago del cuore. Ad imitazione del Poeta nostro scrisse
anche il Redi nel Ditirambo:
/ buoni v^ini son quelli che acquetano
Le procelle sì fosche e rubelle ,
Che nel lago del cor Vanirne inquietano,
wh¥ lago y per signimuire l'agitazione e fluttuazione del suo spi-
rito. Lami . E. F« — > l^o del core j è quella parte concava del
cuore y stanza degli spinti vitali e di ogni passione , onde si
ministra il sangue alle vene ed il calore a tutto il corpo . Bia-
gioli • — Lo cmamò lago , dice il Magalotti , credendosi forse
che il sangue vi stagni , non essendo in que' tempi alcun lume
della circolazione. — Ma lo Scolari pensa che il Poeta in più
luoghi abbia parlato dei movimenti del sangue con perfetta
conoscenza di causa, e che il ristagno e rafuuenza di quc^stcT
fluido nel cuore di Dante fosse prodotto dalla paura. - Ù cod.
CaeL legge adunata y altro legge indurata, E. R. «-«
2 1 La notte ec. La notte suppone il tempo in cui riconob-
besi smarrito nella oscura selva del vizio 9 allusivamente a
[a] De motu cord, csp. 4*
CANTO I. 7
E come quei, che con lena afTannata 11
Uscito fuor del pelago alla riva,
Sì volge all'acqua perigliosa, e guata;
Così r animo mio, che ancor fuggiva , 'iS
Si volse 'ndietro a rimirar lo passo,
Che non lasciò giammai persona viva.
qoeUe parole de] salmo 76. tf. y,iEt meditatus sum nocte ctan
corde meo , et exercitabar , et scopebam spiritum meum
' pietà , pronunciato coir accento svlVe , qui affanno e pena ,
altrove compassione . D*anibo i significati veojne escmpj nel
\ ocab. della Cr. »-► Biagioli intende che il trasponìmento del-
l'accento non debba mutare il significato di questa voce, ma
Aeriguardando il Poeta l^ effetto per la causa ^ ne uuoldare
ad intendere per la tanta pietà che avrebbe di se mossa j
quani*era il dolore e V affanno che V alleva oppresso . ♦-•
aa lenay respirazione. Vedi pure il Vocab. della Cr. •-►Me-
ravigliosa similitudine! Magalotti .- Biagioli nota Tartificioso
costrutto di questo verso, cbe non si può proferire j se non
con queir affannoso respiro che uuol esprimere il Poeta • <«-«
24 guata , guatare per guardare detto dagli antichi in
verso e in prosa. Vedi il detto Vocab. »-^ Secondo il Biagioli,
non significa semplicemente guardare, ma si hene guardare
con istupore . 4-«
25 ancor fuggiva vale quanto ancor ^ai^entof^a. Corrispon-
de al detto: jUlor fu la paura un poco (non del tutto) que-
ta; ed alla ciceroniana frase: Refugit animus , eaque refor^
midat dicere, quae ec. \a\ •->0 forse ha inteso d'imitare il
refugit animus vii^liano del v. 1 2. En. lib. 2.
Qaanu/uam animus meminisse horret , luctuque refugit»
— ancor fuggiva, rara maniera di esprimere una paura infi-
nita! Magalotti . <«-«
26 27 lo passo, il luogo ond*era passato, la selva de'vizj.
a-» L'Editore romano interpreta : questo passo non lasciò pas-
sare mai persona viva , perchè conduce al regno della mor-
ta gente. - In questo luogo il grande imitatore di Virgilio ebbe
in mente quel passo delFEn. lib. 6.: Lucqs stygios, regna in^
[a] Philipp, xjv. 9.
8 INFERNO
Poi eh* ebbi riposato '1 corpo lasso, q8
Ripresi via per la piaggia diserta ,
Sì che '1 pie fermo sempre era '1 pia basso :
wa 9Ìyisj^Aspicies ec. Pebticabi. — Che non lasciò ec. Che
sempre oscurò il nome di chi vi si trattemie. Della medesima
vita alla rinomanza intendendo dirà de' poltroni nel e. iii* 64- '
Questi sciaurati che nuli non fur wW. ♦-•
28 m-¥ Poi ch^èi posato un poco V corpo lasso* Bella va-
riante del cod. VaU 3199 e del Dionisì, ch'esprime il riposo
di chi si adagia y e la brevità del medesimo per riprender la
i'ia. Hei per ehhi è citato dal Masti*ofiiu. Ck>n bell'effetto pa-
rimenti il cod.Caet. ed nn altro leggono: Poi riposato un poco
il corpo lasso . E. R. <«-«
29 per la piaggia diserta j por la solitaria falda del colle,
al di cui piede si disse giunto. Piaggiai propriamente salita
di monte definisce il Vocab. della Cr., e ne adduce in prova
gli esempj .
30 iSì che 7 pie fermo ee. Dipinge la positura de' piedi di
chi camminando sale 9 che è, ch'ai fine di ciascun passo il pie-
de restato fermo trovisi in piti basso luogo dell' altro che si è
mosso. Dico però alfine ili ciascun pauso ; imperocché men-
tre il passo attualmente si fa, trovasi il piede fermo piìi basso
dell'altro che si muove, anche quando camminiamo in pianu-
ra, m^ Quantunque il Biagìoli non si spieghi , sembra però che
si attenga all'idea del salire: errore, come osserva lo Scolari,
comune a quasi tutti i Comentatori, e che si spera di non ve*
aere mai piii ristampato dopo l'illustrazione del Magalotti , che
riportiamo qui brevemente • Il pie fermo è sempre il piit basso
per chi cammina in piano, come ne convince la dimostrazione
e l'esperienza . Il verso : Ed ecco , quasi al cominciar deWer-
ta, prova che l'erta era vicina si, ma non cominciata; ma fin
allora avea camminato; dunque in piano. Non si opponga ciò
che Dante ha detto al %^. 1 3. : appiè d*un colle dicesi anche in
qualche distanza da esso, e cosi dev'essere se, come al y. 16.,
dovea comodamente vedergli le spalle. Molto meno offre dif-
ficoltà il t'. 61.: Abntre cKi* rovinava in basso locoy dicen-
do: dunque se ora scende ^ mostra che dianzi saliva. Sali-
va, ma aopo aver fatto il piano, per lo quale camminando il
pie fermo era il piii basso. — Crede pero il Costa che il Ma-
galotti, malgrado la tanta luce che ha sparso su questo verso.
CANTO I. 9
Ed ecco, quasi al cominciar dell' erta ^ 3i
Una lonza leggiera e presta molto,
Che di pel maculato era coperta .
£ non mi si partia dinanzi al volto, 34
Anzi 'mpediva tanto '1 mio cammino,
Ch' i* fui per ritornar più volte volto.
non Aia giiinlo a spiegarne il vero concetto* Premessa una sua
dimostrazione sui modi del camminare in piano e in luogo ac->
dive, passa ad osservare che Dante non camminasse già in
piano, ma si bene per luogo inclinato, ma cosi dolcemente in-
clinato, che al Poeta non era mestieri tener modo diverso da
<)aello che si tiene quando si va per pianiu^a. — Per dissipare
ogni ambiguità d'interpretazione si potrebbe leggere col cod.
Caet., e con molta ragionevolezza, il verso cosi: «Sì che H pie
fermo sempre era al piti basso . Basso , sostantivamente detto
per luogo basso, non fu straniero al nostro Poeta. E. R. -« a/
più basso legge pure il Vat. 3 199. ^-«
3i ertaj sustantivo^ salita. n->Non è sustantivo, non sino*
aimo di salita , ma vero aggiunto del nome sottinteso monta--
gna. BiAGioLi « *-m
3a lonzay pantera: per essa intende T appetito de' piaceri
disonesti , essendo fiera vaga a vedersi ed al sommo libidinosa .
VnrTuai. Pone questa fiera la prima, per essere la passione
della libidine la prima ch'assale V uomo . •-> Seguendo il Boc-
caccio, intende TEdit. rom. che questa lonza fosse un leopar-
do, Lionsa legge il cod. Ang. — La lonza è confusa da molti,
dice il Torelli , con la pantera, ma è la metà minore di quella :
ha la pelle bianca, sparsa di nere macchie in forma di anelli,
alcuni vuoti nel mezzo, altri con una 0 piii macchie nel cen-
tro: abita nei climi caldi- e vive di preda. 4-«
3'idipel maculato j di pelo con macchie di vario colore.Pa/t-
(era (scrìve nel suo Tesoro ser Brunetto) è una bestia toccata
di picciolo tacche bianche e neroy siccome piccioli occhi[aj.
•-^ Che del maculato ^ senza il pely ha il Vat. 3 199. <rm
Ì6 più i^olte volto y rivolto indietro. Scontro di parole che
ibrmano còl loro suono uniforme uno scherzoso bisticcio da non
[a] Lib. 5. cap. 6o.
IO INFERNO
Teinp' era dal principio del mattino, 87
E '1 Sol montava in su con quelle stelle ,
Ch' eran con lui, quando FAmor divino
Mosse da prima quelle cose belle j 4<^
cercarsi a bella posta , né curarsene gran fatto in grave poe-
sia . y BiiTVBi. Il consiglio è ottimo ; malamente però qui a pro-
posito, dove il bisticcio vedesi non cercato a bella posta, ina
dalla naturalezza del parlare importato. •-♦Bisticcio simile a
quello di Tibullo : ulli non illepuellae [a] , ed all'altro di Pro-
perzio: amore moram [b]. Magalotti • «-«
37 al 4o Temprerà ec. Nota il tempo, 0 sia l'ora del giorno
e la stagione dell'anno ; e dice che l'ora era la prima del gior-
no, e la stagione quella stessa in cui fu dall'Onnipossente crea-
to il mondo , e perciò essa pure la stagione prima . In vece però
di dire ch'era quella la stagione in cui fu creato il mondo, dice
( che è lo stesso ) che veniva il Sole alzandosi in compagnia dì
quelle medesime stelle ch'erano con lui quando da prima fu
mosso dall'amor disino j cioè da Dio, per effetto d'amore
verso dell'uomo.
Da vari altri luoghi di questo poema , e segnatamente da
ciò che dicesi nel secondo canto del Purgatorio, che, mentre
tramontava il Sole, la notte j Mopposita a lui cerchia^
- Uscia di Gange fuor con le bilance {9, 4' ^0' ^^^ segno
della Libra, resta deciso aver Dante per le stelle compagne del
Sole inteso l'Ariete segno alla Libra opposto.
Apportando a noi qui il Sole in Ariete la primavera, ver-
rebbe per questo riguardo il Poeta nostro ad unifoi-marsi al
parere di coloro che dicono creato il mondo in primavera. Ma
ponendo egli poi, diversamente da quanto tutti gli altri sup-
pongono, esistere il terrestre Paradiso, in sito a noi antipodo,
in cima al monte del Purgatorio , ed essendo colassotto autun-
no, mentre da noi è primavera, vien egli perciò, per rapporto
all'abitazione del primo uomo, a dir creato il mondo in au-
tunno; nella stagione de'firutd, de' quali la sacra Genesi sup-
pone che fosse il terrestre Paradiso doviziosamente provvedu-
to. ■-► Temprerà del principio legge il cod. Caet. E. R. - L'-//-
mor divino , Dio medesimo , e precisamente lo Spirito Santo [e].
MovTi . — Mosse , intendi la creazione delP universo , e non la
[a] Lìb. 4< carm. 6. v, 9 [b\ Lib. 1 . el. 1 3. y. 5. [e] Prop. voi i.p. 'i. fac. 4^-
CANTO I. II
Si eh' a }>eQe sperar m'era cagione
Di quella fera la gaietta pelle ,
L*ora del tein|K), e la dolce stagione; 43
Ma non sì , che paura non mi desse
La vista , che m' apparve d' un leone .
Qtiesti parca che contra me venesse 4^
Con la test' alta, e con rabbiosa fame,
Sì che parea che Faer ne temesse;
mossa data ai piaDeti. Magalotti . — Mosse inchìude due idee»
quella della creazione e quella del moto comuiucato a tutti i
corpi da] Creatore. Biagioli.^-*
41 4^ 4^ ^ l>cne sperar. Essendo l'oggetto di questo 5se-
rare la gaietta pelle della lonza (cioè T uccisione e scortica-
mento della medesima e il liportamento della di lei pelle in se-
gno di vittoria ) dee bene valere qui quanto ragionevolnveìite
o simile; tal che sia il senso: V ora del tempo e la dolce sta-
gione nC era cagione a ragionevolmente sperare la gaietta
pelle di quella fiera* Essendo poi Torà prima del giorno il
rinnovamento del giorno , e la primavera il rinnovamento
deiranno 9 di qui io direi che prendesse Dante speranza di
poter anch'esso rinnovare i suoi costumi. »-►« Stranissima al
» fermo e bugiarda è l'interpretazione del Lombardi . . . Tali
» stolidezze non potevano entrare nella sacra mente di Dante.
» Ben altra è la costruzione de' suoi versi y cioè : la gaietta
n pelle di quella fiera , Fora del tempo e la dolce stagione
» m^ erano cagione a sperar bene. 11 senso n'è poi tutto al-
» legorico, perchè Dante vuol significarci ch'egli era nellaprì-
n le degli anni suoi, e che, allettato della gaia sembianza dei
» piaceri, accoglieva nell'animo una buona speranza di ascen-
» dere alla cima dtlla felicità. » Pbkticaki . — Il Dionisi lesse
nel cod. Lanrenz. il 1^. 42. così espresso: Di quella fera alla
gaietta pelle : lezione avvalorata da una chiosa di Pietro Dan-
te. E. J. — e del cod. Vat. 3 199. — Il cod. Stuard. legge
m^eran cagione. Biaoioli . <«-«
44 aI 4^ ^^ ''^^ ^^ ^c* Superato che ha il Poeta T appe-
tito e sensualità carnale, gli si fa incontro il leone, che perla
superba ambizione si prende ; conciossiaché dopo gli assalti
della lussuria, ne vengono con gli anni insieme quelli del Pam-
12 INFERNO
Ed una lupa, che di tutte brame 49
Sembiava carca nella sua magrezza,
E molte genti fé' già viver grame .
Questa mi porse tanto di gravezza , 5t2
Con la paura oh'uscia di sua vista,
Ch^ i* perdei la speranza dell'altezza.
bisione: e dice che ne veniva con la testa alta; che il proprio
del superbo è andare altiero, disprezzando ed avendo a schivo
le umili cose. Dahiello. — vertesse per i^enissej antitesi in
grazia della rima . — rabbiosa fame j il cruccioso appetito di
prelatura che inquieta i superbi, -^parea che Vaer ne le-
messej frase somigliante a quella che comunemente adopria^-
mo di spaventar Varia,
49 5o 5 1 Ed una lupa ec, Fassegli incontro poi la lupa , che
l'avarizia significa ( vizio che regolarmente è l'ultimo ad en-
trar nell'uomo): perciocché y come il lupo è di ciascun altro
animale piii ingonlo ed insaziabile , cosi l'avarizia è vie più
d' ogni altro vizio peggiore ; che l' avaro mai non si vede sazio
di accumular danari e facol^. Onde soggiunge, che di tutte
brame sembrava carca, e che fé' già viver grame j triste , mol-
te genti ; perchè il proprio dell'avaro è di torre oggi a questo,
domani a quell'altro, o per forza o per firaude, il suo. Ovvero
(che piii mi piace) che fé' viver grame molte genti , intendendo
essi avari, che per accumular denari e ricchezze, ogni disagio
ed ogni incomodo patiscono, male mangiando e peggio beven-
do . Dah lELLo . •'Sembiare , lo stesso che sembrare . Yed. il Voc.
della Gr. •-> colla sua magrezza legge il cod. Vat. 3 199. <-•
62 mi porse tanto digrai^ezzay fecemi tanto grave, tanto
inerte, tanto mancante di spirito. »-► di grat^ezza, cioè di af-
fanno 0 torpore, agghiacciandosi gli spiriti che sostengono il
corpo. E. ÌP.^-m
53 sua vista >, dal suo aspetto. •-►Qui paura con bizzarra
significazione vale spavento in significato attivo, ed è forse
r unico esempio che se ne trovi . Magalotti . --* I molti accenti
di questo verso, osserva il Biagioli, dipingono a meraviglia il
fisso guardare della lupa . -* I suoi occhi partorivano spaven-
to , faceano paura : maniera cercata nella nobiltà de' pensieri
ala ed arditi • E. R. <«-«
54 perdei legge la Nidobeatina (ed anche il cod« Caet.);/>f?r»
CANTO I. i3
£ quale è quei, che volentieri acquista , 55
£ giunge 1 tempo, che perder lo face,
Che 'n tutt'i suoi pensier piange , e s' attrista ;
Tal mi fece la bestia senza pace , 58
Che venendomi 'ncontro a poco a poco,
Mi ripingeva là, dove '1 Sol tace.
de^ l'altro edizioni . - la speranza delV altezza , la speranza
di salire in alto . »-► delV altezza , cioè la ridente cima del mon-
te . Alfieri spiega JC arrivare in cima al monte. Biagioli . 4-«
55 queiy sincope di quelli, detto dagli antichi invece di
quello. Vedi il Cm., Par tic. ai 4* 5.
56 face per fa, adoperato anticamente anche fuor di rima.
Vedi Mastrofini, Teoria e prospetto de^ verbi italiani, sotto
il verbo fare, n. 3. \a\ •
58 bestia senza pace, impacifica, priva sempre di pace,
qaal suol essere di fatto T avarizia, m^ senza pace , nullo epi*
teto, nulla espressione può meglio ritrarre lo stato inquieto
della lupa 9 o di cui essa è donna. Biagioli . 4-«
og «-» a poco a poco , contro il parere dei piii, che vogliono
riferito Va poco a poco al ripingeva, r£dit.rom. lo riferisce al
venendomi incontro , non sembrandogli (e giustamente) che
il Poeta fosse con tanta lentezza respinto colà dove il Sol tace,
dicendo nel seguente verso eh' egli rovinava in ba^so loco. 4hì
6o ripingeva, \o stesso che rispingeva.Yedì il Vocab. della
Cx,''dove ^J Sol tace: catacresi giudiziosissima. Ferendosi gli
occhi dal lume ad ugual modo che dalla voce ferisconsi gli orec-
chi, applica il tacere, eh' è proprio della voce, al non illumi-
nare del Sole. Per la figura medesima fu dai Latini detto : luna
siUns quando {MmpUus non apparet \h]ì e dirà Dante ancora :
Io venni in luogo {fogni luce muto [e].
B-^cc Dante, dice il Perticar!, avea nella mente Geremia
» profeta, che disse: non taccia la pupilla dell* occhio tuo .
» Ma quella catacresi del tacer del Solci come che non altro
» significhi che la mancanza della luce , pure in quel luogo è
» piii bella ed evidente, perchè sembra che ti svegli nell'in-
» telletto , accanto V immagine dell'oscurità , ancgr l'imma-
[a] Roma De RomaDÌs 1814* a. voi; in ^J* [b] Bob. Steph. Tkesaur.
ling. Ul art. Sile/u. [e] lof. v. a8.
i4 INFERNO
Mentre eh' i' rovinava in basso loco, 6i
Dinanzi agli occhi mi si fu offerto
Chi per lungo silenzio parca fioco.
» giue del &iIeazio > che si bene aiuta la fierezza di quel con-
Mcetto. E per quel firanco traslato il leggitore già teme del
» gran Deserto che si stende fra la terra e Y inferno» e gli
» par vederlo non solo buio , ma anche muto j siccome con-
» viene dove, mancato il Sole, non è piii vita di cose.»- Dal
1^. 3i. sino al 60. il Biagioli non si fa gran coscienza, dice lo
Scolari , di questa verità di fiitto, che Dante nel dar Tidea
delle tre fiere non intese di parlare de' vizj suoi personali , o
di quelli dell* uomo in generale, ma dei predominanti al suo
tempo in relazione al fine del suo Poema, come si vedrà piii
sotto. •— Il cod. Vat. 3 199. legge : MI ^npingeya • 4-«
6*3 Chi per lungo ec. , chi pareva rauco cosi ccyme chi muo-
ve la voce dopo un lungo silenzio . O suppone Dante che non
solamente Virgilio gli si fiicesse vedere, ma gli dicess' anche
alcuna cosa, animandolo esempigrazia a non recedere ; o ciò
dicendo, risguarda il parlare che Vii^llio gli fece di poi. Pia-
cemi il pensiero del Landino e del Daniello , che voglia Dante
con tal lungo silenzio di Virgilio accennare quella totale non
curanza, in che dalla venuta dei barbari in Italia fino a' tempi
suoi erano gli scritti di Vii^lio giaciuti • •-¥ fioco per rauco
spiega U Biagioli; ma come Dante si accorse che Virgilio era
rauco ? Credo, risponde , per qualche sottil grido messogli
da colui che roi^inaua in basso loco per farlo accorto di
sé • — Supposizione gratuita , so^unge lo Scolari , e con*
traddettai 1.^ dal verbo /^orea, mentre se l'avesse sentito
fioco , non gli sarebbe tale paruto ; 2.^ dal verso : Quando
uidi costui nel gran diserto , donde appare che il Poeta non
V avea già sentito , ma solo per caso s' era avveduto di quel
fantasma , che non sapea poi discemere se fosse uomo od om^
bra . Scolari . - Il Magalotti chiosa : i P quando Dante scrisse
il verso , avealo già udito parlare ; liP che poi lo &ccia fioco ,
ciò è forza per tacciar la baibarie di quel secolo che avea po-
sti in dimenticanza gli scritti di Virgilio . — La prima pro-
posizione , ripiglia lo Scolari , manca affatto di prova . Rap-
porto alla seconda , il chiedergli che fa Dante se era uomo od
ombra , prova che non V avea conosciuto per Vii^lio . Gli al-
tri spositori 0 non si spiegano , 0 dauno neir allegorico , o
CANTO I. Il
Quando vidi costui nel gran diserto, 64
Miserare di me , gridai a lui ,
Qual che tu sii, od ombra , od uomo certo.
Risposerai : non uom ; uomo già fui ^ G7
£ li parenti miei furou Lombardi ,
fimno ipotesi come il Lombardi • Che dunque? Muratori, nella
xxxn. Djss. sulle Antich. ìtal., afferma che fioco significa prò*
priamente fiacco 9 debole ; e sempre in tal senso Tusò Dante
in parecchi luoghi. Però qui vuol dire : APasfyidi di tale 9 che^
standosi tutto in silenzio 9 pareami vinto da fiacchezza .
Forse Taver male inleso dapprima questo luogo fece deviare la
voce /Foco dal sovraespostosuo natm*ale significato. Sgolasi.^-*
64 Quando vidi legge la Nidobeatina: Quand' i' vidi V ai*
tre edizioni . — diserto invece di deserto adoprano molti al-
tri buoni antichi . Vedi il Vocab. della Gr.
65 ,JiEserere di me: abbi compassione di me. Usarono i
poeti toscani ed anche i prosatori qualche volta di sparger nei
loro componimenti voci latine. Il Petrarca nella canzone della
Beata Vergine: Miserere J*i<n cor contrito umile; e nel so-
netto 293.: Or' ab esperto vostre frodi intendo. Il Boccaccio
pure nella novella di Martellino: Domine 9 fallo tristo.YoLvi*
66 Qual 'per qualunque. Vedi il Cinonio, Partic. ao8. io.
— certo per vero, reale. Volpi e Venturi, ma prima di tutti
il Buti, citato dal Vocab. della Cr. alla voce rer^o .•-♦ Que-
sto dubbio del Poeta, dice TEdit. rom., è proprio di una per-
sona che di tutto paventa, e che in quella immensa solitudi-
ne dispera quasi di trovar uomo che l'aiuti incontro a guerra
Si perigliosa . 4hì
67 non uom , ellissi , intendi sono ; non sono uòmo , cioè
composto d'anima e di corpo. Non uomo duramente l'ediz.
diverse dalla Nidobeatina •
68 parenti per genitore e genitrice. Lat» parens. Cosi il
Petrarca nella canzone Italia mia ec
Madre benigna e pia ,
Che cuopre Cuno e V altro mio parente: Volpi .
Lombardia denominazione anticipata di molti secoli , ri-
spetto ai tempi , dei quali parla vagli | ma opportuna per farsi
meglio intendere da Dante nel tempo in cui gli parlava. Vek-
Tuai •
l
i6 INFERNO
E Maniovani per patria amendui .
Nacqui sub Julia ^ ancor che fosse tardi ^ ^o
E vissi a Roma sotto '1 buono Augusto ,
Il Mazzoni [a]) persuaso che Mantova sia fuori della Lom-
bai'dla» vuole che Lombardo vaglia qui qutinV Italiano . Il
Biondo però , TAlberti, il Baudrand ea altri geografi ascrivo-
no Mantova tra le città lombarde •
69 Mantoifani per patria y per via di patria. Vedi il Cino-
nio, Panie. iq5. i 8. Virgilio 9 come attestano concordemente
li scrittori della di lui vita, nacque in Andes (che Petula
\odie dicitur, scrive Ferrano [i] , e Pietola appella Dante,
Purgatorio xviii* 83. ) villa discosta da Mantova due o tre mi-
glia. Ma, o perchè solo per accidente nascesse ivi Vii^ilio^
ed avessero i di lui genitori fissa abitazione in Mantova [e] j
o perchè fosse quella villa nell'agro mantovano 9 come Manto-
vano fu sempre da tutti appellato Virgilio > cosi Mantovani
appella Dante i di lui parenti, i di lui genitori .
Per questo far dire a Virgilio i parenti suoi Mantovani
per patria amendui viene Dante dal Gasa nel Galateo ripre-
so di superfluità: perciocché y dice, niente rileuai^a se la ma^
dre di lui fosse stata da Gazuolo o anco da Cremona .
Neppur gran cosa, dich*io, avrebbe importato se di Ga-
zuolo o di Cremona stato fosse anche il padre di Virgilio ; on-
de, giacché la dilicatezza di Monsignore di buon grado sofiri-
va che dichiarasse Virgilio mantovano il padre, poteva par
soffrire che con un semplice amendui dichiarasse mantovana
(eziandio la madre, m^ Mantuani per patria ambidui legge il
Vat. 3199. <#-•
70 7 1 Nacqui sub Inlio, ancor che fosse tardi. Il Gastel-
vetro nelle Opere varie critiche date alla luce dal Muratori^
tra* molti passi di Dante, ai quali trova da dire , pone questo
il primo, ed asserisce: errore che Virgilio dice a esser na^
to sotto Giulio Cesare y e tardi; non essendo 'vero eh* egli
nascesse sotto Giulio Cesare , ma prima j nel tempo che
Roma era libera , e viveva a comune , cioè V anno del*
[a] Dir. di Daale, lib. 1 cap. 5. [b] Lexìc. Geogr. art. Andes* [c\ Tra
i \»T\ piirerl che Rueo (yirg. Hist. ) riferisce circa la condizione del
padre dì Virgilio» Pater (dice), ex Servio , civis mantuanus /uit ,
CANTO I. 17
fedificamento diJtoma 683, essendo consoli Gn. Pompeo
Magno e M. Licinio Grasso la prima volta y secondo che
tesiimonia Donato nella vita di lui.
Il Venturi inleipreta il riferito verso così : H senso è :
posso dire di esser nato sotto r imperio di Giulio Cesare ,
sebbene Cesare si fe^ Dittatore perpetuo un poco più tarili
rispetto al mio nascimento y che propriamente seguì nel
consolato di Gneo Pompeo e di Marco Licinio Grasso j
nelVanno della fondazione di Roma 684 [a] , avanti Cri'
sto 70; e convenendo tutti nelVanno della nascita di Vir^
gilio y male spiega il Daniello quel tardi negli ultimi anni
della dittatura ili Giulio Cesare .
Ma però y secondo la storia , nacque Y ìi^lio tanto Wf
Danzi alla dittatura perpetua di Giulio Cesare, che neppure è
ben detto , che fosse «pesti fatto Dittatore perpetuo un poco
più tarili . Imperocché non ottenne Cesare questo onore se
non quando , superate tutte le guerre civili , entrò vittorioso
in Roma [6J , cinque soli mesi prima che fosse ucciso [e] ; tal
che fu vero il pronostico di Cicerone [ J] , che il regno di lui
non avrebbe oltrepassato il semestre. Essendo adunque Ce-
sare rimaso estinto l'annodi Roma 709 [ej , viene di conse-
guenza , che tra la nascita di Virgilio e la dittatura perpetua
di Giulio Cesare scorressero anni 25.
E se anche con Cassiodoro [f] volessimo abusivamente
stendere il regno di Cesare ad anni quattro e mezzo, compu-
tando cioè come peipetua la prima dittatura che ottenne Ce-
sare , essendo consou Caio Claudio Marcello e Lucio Corne-
lio Lentulo f^j nell'anno di Roma 704 [AJ , resterebbero tut-
tavia dì mezzo anni ai.
Lopposizione del Castelvetro , dice il Sig. Filippo Rosa
Morando \i\ y è sciolta ila ijuesto verso con quelle parole an-
cor dbe ÙMe tardi y per le i/uali vien dinotato , che Virgilio
nacque attempi di Giulio Cesare , ma che Cesare si fe*Dit^
tutore perpetuo alcuni anni più tardi rispetto al suo nasci"
mento y come ottimamente spiega il Vellutello : la qual cosa
[à] à colai anno 684 (e non al 683 come il Castelvetro) assegna^
■o3 consolato di Gn. Pompeo e di M. Licinio Grasso , e la nascila
£ Vii^o anche il Petavio Ration, Temp, Rueo f^irg. Hist, [h] Fior.
BmL liK 4* Entrop. lib. 6. [e] YelL Patere, lib. a. cap. 1 6. [à] Jtiic.
bb.io.ep6, [e] Eotrop. lib. 7. [/]Chr(m* [g]Cae8ar.l>eòel/.ciP.2ibia.
[k] Sigoo. Fitsi* CoHSul, [i] OsservaUoni sopra la Cam- di Dante*
Farad, vi. 73.
Fol. /. a
i8 INFERNO
mi fa stupore come non sia stata a^ertita dcUC acutezza
di tanto critico .
Non v' ha dubbio , confermo io pure , che le parole ìmu-
cor che fosse tardi atte sono a modincare e verificare le an-
teriori nacqui sub Julio , e che ragionevolmente operando
non dobbiamo y senza esservi del tutto necessitati , persua-
derci che fosse Dante grande storico > e diligentissimo dei tem-
pi osservatore [a] in tutt'altro» fuorché circa i fatti di colui
ch*è il personaggio principale del suo poema . Dura cosa però
riesce tuttavia ad ammettersi , che &ccia egli dire a Virgilio
d* essere nato sotto di Giulio Cesare , solo perchè Giulio Ce-
sare fosse allora al mondo .
Nella vita di Giulio Cesare noi troviamo , ch'egli fino
da giovinetto col prepotente suo operare in molti incontri die
chiaro a conoscere la mira che aveva di usurparsi il princi-
pato; e ch'ebb'egli anzi in bocca firequentemente quel detto
d'Euripide , se si ha a violare la giustizia , ciò si dee fare
per cagione di signoreggiare [6] •
Edrei io adunque 9 che , mischiando Dante graziosamente
la storia colla satira y faccia parlare Virgilio in cotal modo ad
accennare 9 che sebbene non fosse Cesare proclamato Impe-
ratore se non tardi , colle sue animose mire però e colla sua
prepotenza signoreggiava già anche aS anni prima (vale a dire
m età di circa trent'anni) [cj , quando nacque Virgilio •
Augusto j Ottaviano , cosi legge la Nidob. Àgusto in-
vece d'^ii^ti^to inserirono nella edizione loro gli Accademici
della Cr. per avere così trovato scritto in sei mss.j ove tutti gli
altri , che ne confrontarono più di ottanta , e tutte l'edizioni
leggevano Augusto : e vi aggiunsero postilla y che gli scrii"
tori antichi dicevano Agusto per la pronunzia • Ma non
hanno essi badato , che i medesimi sei mss. qui discordi, erano
poi altrove in parecchi luoghi \d\ concordi con tutti gli altri
a leggere Augusto; talmentechè ve l'hamio ivi lasciato cosi
scrìtto anche nella stessa loro edizione . •-♦ Per ragion di sin-
tassi il fosse tardi deve riferirsi al nascere di Vii^ilio e non
al renare di Giulio • Nacque Virgilio sotto Giulio , ma es-
sendo morto costui mentr'egli era giovine , nacque troppo tardi
[a] Yeggansi» per cagion d'esemplo, le mie note. Par. xvi. 38. e
Kxxitf. 9S. [b] Vedi, Ira gli ahrl, Svetonro C. JuL Caésar. eap. So.
e] Tanti restano 9 levandosi -iS d.i 56 anni che visse Cesare. Syet. e* 88*
d] Inf. XXIII, 68. Purg. xxn. 1 16. Par. xxxii. 1 19.
CANTO I. ' 19
Al tempo degli Dei falsi e bugiardi .
Poeta fui, e cantai di quel giusto ^3
Figliuol d'Auchise, che veune da Troia,
Poiché '1 superbo Uion fu combusto .
Ma tu, perchè ritorni a tanta noia? y6
per poCer ^essere il suo poeta , sìocome lo fu poi di Augusto .
Dìcado che sotto il buon Augusto yissey intende che ehbe
Ia vita del nome , delVopere e della gloria , che è la sola vita
deirnomo , secondo Dante, che gli uomini oscuri appella non
vivi . Dicendo Vii^ilio ch'ei cominciò a vivere dopo i ^5 an-
ta , dà meglio a conoscere che qui non parla deUa vita ani-
male j ma si di quella che si vive per opere grandi e per virtii
cittadine. PsaTiCAmi • — » Vedi anco ( Convit. pag. 118. 119.
e 109. a I o.) ove Dante spiega cosa sia vivere nel senso in cui
ri deve intendersi. E. F. — ancor eh* e^ fosse tardi legge
3. ed* rom. (e noi col Vat. 3 199) , e intende di leggere se-
condo la mente dell'Autore e de'piii fini Spositori , e di tro-
varsi cosi d'accordo coli' interpretazione del Dionisi . «-•
73 m^ bugiardi y vani , che tale si è appunto il significato
della voce bugiardo. Biagioli. ^-c
73 74 J^gif^^ ^Figliuol d'jinchisey Enea, di cui Virgilio:
Mex erat Aeneas nobis j quo iustior alter
Nec piotate fuit , nec bello maior et armis [a] .
Troia qui non per la città che Ilion appella , ma per
latta la r^one di cm Ilion era la capitale . Ilium, scrive Ao-
bcrto Stetano y proprie civitas est : nam regio Troia est :
^anuris interdiunpro civitate Troiamponat f^irgilius [b].
— Bion acrive Dante uniformemente al greco IAiov; e sU"
perbo appellandolo y imita quel virgiliano: ceciditque supera
brnn Ilium y En. iii. 2. —<- combusto y dal lat. comùuro y per
abbruciato adoprano altri autori di lingua . Vedi il Vocab.
deOa Gr. «-^ L'armonia del verso 76 è pari alla grandezza del
concetto in lui contenuta . Biaoioli . -— Ilio o Ilione fu la
rocca di Troia y e qui prendesi per la città stessa . Così d'ac-
cordo tutti i Gomentatori contro il Lombardi. E. F. «hi
76 a tanta noia y alla noia dell'oscura selva predetta .
[«] Jemeid. i. 548* [b] Thesaurus ling. lat art. llium.
20 INFERNO
Perchè non sali il dilettoso monte y
Cììè principio e cagion di tutta gioia?
Oh! se' tu quel Virgilio, e quella fonte, 79
Che spande di parlar sì largo fiume?
Risposi lui con vergognosa fronte .
O degli altri poeti onore e lume, 82
Vagliami 1 lungo studio e 1 grande amore,
Che m' han £itto cercar lo tuo volume .
Tu sé' lo mio maestro, e 1 mio autore : 85
Tu se' solo colui , da cu' io tolsi
Lo bello stile , che m' ha fatto onore •
Vedi la bestia , per cu' io mi volsi : 88
Aiutami da lei, famoso Saggio,
Gb' ella mi fa tremar le vene e i polsi •
79 m^ Ohi sè*tu legge la 3. ed. rom., ch'esprime meglio con
una esclamazione la sorpresa del Poeta y ed è meglio così le-
gata la terzina che segue . Lezione danoi sostituita alP Or se*r«
del cod. Vat. 3 199 e della Nidob. seguita dal Lombardi . 4-«
84 cercar y vale qui quanto attentiUìfhente considerare ,
investigare y scruttinare. b-¥ Che rn^ha fatto invece di han
legee il cod. Caet. E. R. — e il Vat. 3 199. 4-«
Sj Lo bello stile y che m*ha fatto onore . Oltre che Dante
prima di questo ppema aveva composto la F'ita nuova [a] ed
altre rime italiane, egli attèndeva eziandio a comporre versi la«
tiniy ed aveva anzi incominciato a scrivere in versi latini que»
sto medesimo suo poema [ftj ; e ben potè per questi suoi con>>
ponimenti avere in varj incontrìriscossodegli applausi. «-^Dan-
te, già celebre per la sua F'ita nuova y perle sue belle can-
zoni e per le sue rime volgari , qui parla dello stile italiano
che gli avea fatto onore , e non de'suoi versi latini y come ^ina
il Lombardi . Vedi andbe il Convito . Cosi chiosa TE. F. «-«
90 tremar le vene e 1 polsi: cioè tremare pel grande spa^
vento tutte le vene y tanto quelle dove è più di sangue e meno
[a] V. VauL delle Mem* per la vita di Dante y $* xvii. [b] Lo
autore I ifi.
CANTO h 21
A te convien tener altro viaggio, 91
Rispose, poi che lagrimar mi vide,
Se vuoi campar d' esto loco selvaggio ;
Cbè questa bestia , per la qual tu gride , g4
di spiriti f e però non risaltano , quanto quelle dove é pia di
spinti e meno di sangue j e sono le arterie a pulsando dette
polsi . y XHT17BI . m-¥ Qui Dante y dice il Biagioli , mi dà cagione
di sospettare ch'egli avesse una idea anticipata della circola-
tione del sangue , della quale scoperta il nome di Haryeio s'è
Atto immortale . -* Pighò i polsi per le arterie 9 dice il Ma*
galotti j e spiega in modo da far conoscere Dante dotto nel
movimento ed ufficio delle arterie* — Che la invece di Ch^elr
la legge il cod. Caet. E. R. ^^
gì g^ jé te convien ec» G)mé se fuor d'allegoria parlando
dicesse : per partirti dal vizio 9 non dèi immediatamente cer-
car l'alto della virtìi , ma dèi prima per la meditazione dell'In-
femo ePui^atorio acquistarti ahboiTimento al vizio. m-¥ Quasi
dica: ben si può lussuria e superbia vincere > ma superare ava-
rizia y ciò è all'umane forze impossibile • Maoaxotti. - Trova
qui da notare con distinzione lo Scolari: altro essere che Vir-
gilio proponesse il viaggio come suo pensamento f altro che
per uscire della selva non vi fosse altro modo ; il che dando
un diverso giro all'allegoria j anderebbe soprattutto a U^lie-
re : i .^ la meraviglia dell'impensata maniera con cui sarà ca-
vato da quell* impaccio ; a.^ l'affetto che per la straordinarietà
del consiglio leeherà Dante a Virgilio 9 come a padre amo*
roso smarrito figliuolo ; 3.^ in fine u motivo della gratitudine
di cui Dante nel corso del poema si mostrerà penetrato verso
la sua guida • — Qui osserva il Biagioli > che non arriva alla
terità chi prima non conosce l'errore > e questo s'ha a cono-
fcere pei ninesti effetti che ne derivano ; che a questo prin-*
dpio di tutti i tempi e di tutti i luoghi mirò il viaggio di
Thnle nell'Inferno ; e che quindi non poco ingannossi il sig.
Ginguenè credendo che la visione del Poeta debbasi attn-
boire allo spirito dominante di quel secolo • <-«
93 esto -per questo 1 aferesi anticamente molto praticata [a] .
^ al c^fygriae per gridi j antitesi in grazia deUa rima. »-^ In-
tendi dell'avarizia y e non delFinvidia , non già perchè questa si
possa vincere e quella no 9 come chiosa^il Biagioli , ma si perchè ,
[«] Vedi a Tocab. della Crusca.
22 INFERNO
Non lascia altrui passar per la sua via ,
Ma lauto lo 'mpedisce, che l'uccide :
Ed ha natura sì malvagia e ria , 97
Che mai non empie la bramosa voglia ,
E dojx) '1 pasto ha più fame che pria.
Molti sou gli animali, a cui s' ammoglia , 100
£ più saranno ancora, infin che Ì Veltro
oome osserva lo Scolari , ì caraUeri deirinsazìabilita notati qui
dal Poeta più airavarìzia si convengono che ali* invidia . <«-•
99 dopo 7 pasto ec.y secondo quel trito verso :
Crescit amor nummi quantum ipsa pecunia crescita
m^ Il cod. Stuard. porta : ha più fame che ^npria. Biagioli. <^m
1 00 Molti son gli animali , ec. Il vizio dell'avarizia 9 sin»-
boleggiato nella lupa , si conginnge con altri viz| j per esem-
pio colla frode, coUa violenza ec. Vbhtubi.
lOi F'eltro • L'essere il veltro , 0 sia il levriere , cane : il
predir Dante nel Paradiso [a] le medesime cose , che predice
qui j espressamente a Gm Grande 9 fratello minore d' Alboi-
no, e «fi lui compagno nella signoria di Verona : Taver esso
Cane prese le armi contro i Guelfi» e l'esser il medesimo stato
eletto Capitano della lega Ghibellina [&] ; e finalmente il qua-
drare alla nazione di Cane la situazione 1 che quattro versi
sotto dirassi , tra Feltro e Feltro (come ivi farò vedere) , sono
circostanze che formano una convincente prova , che pel t^/-
tro intenda il Poeta lo stesso Gan Grande t e che predica cosi
favorevolmente di Ini in gratificazione del ricovero trovato
presso del medesimo in tempo del suo esilio [e] • m^ Ne» per^
ciò col YaU 3 199 leggiamo F'eltro con la F maiuscola • ^-s
Il primo a dare questa interpretazione fu , quanto scorgo ,
il Vellutello • I pili antichi , almeno gli stampati , il Boccaccio
e tutti gli altri , non seppero intendere pel i^eltro se non Cristo
giudice nella fine del mondo y e ^'Feltri i cieli 0 le nuvole .
Consiegue poi quindi y o non esser vero ciò che il mede-
simo Boccaccio (d] ed altri dopo di lui [e] raccontano che scri-
[a] C XVII. 76. e 8^g. [5] Corio tst. di Milano, P. 3. [e] Vedi tra gli
altri Lionardo Aretioo f^iia di Dante, [d] Nella F'iia di Dante e ael
Comentpaopn il e. vni. deU*Inr« [e] Vedi raatore delle Memorie ptsr
ia yita di Dante ^ $• >7-
CANTO I. 23
Verrà , che la £irà morir di doglia .
Questi non ciberà terra, né peltro, io3
Tesse Dante i primi sette canti di questo suo poema innanzi del
sofferto esilio ; od almeno > che commesso Boccaccio vi crede in-
serita posteriormente dal Poeta medesimo la parlata di Ciacco
nel sesto canto di questa cantica , cosi pm'e inserita abbia qui
posteriormente questa parlata di Virgilio y e posteriormente
uon di pochi , ma di parecchi anni . forcone la ragione •
Finge Dante , come nell' annotazione al primo verso è
detto, questo suo misterioso viaggio nell'anno i3oo ; ed in
Paradiso essendo [a] > fa da Cacciaguida dirsi Tetà di Cane di.
soli anni nove : concordando in ciò appuntino coli' antica Cro-
nica di Verona [&] , che dice nato il medesimo principe nel
1291 il di 9 marzo . Dunque allor quando successe l'esilio di
Dante , che fu nel i3o2 (e) f contava Cane soli undici anni :
età troppo al di sotto di quella in cui potesse Cane essersi
inunisdiiato ne' partiti e nell' armi 9 ed avere in esse dato
que' saggi di valore , che dovette già aver dato quando Dante
queste cose di lui scriveva • Nel 1018 successe la prefata eie*
sione di Cane in Capitano della lega GhibeUina [d] , e solo in
vicinanza di esso tempo pare che potesse Dante giudiziosa*
mente azzardare cotale predizione . m^ Il Villani dice , che
Can Grande fu il maggior tiranno che fosse in Lombardia ;
ma il Poeta lo vide dalT altro lato . Biagioli . 4-c
I oa con doglia legge la Nidob. , di doglia le altre edi^
rioni , »♦ e per nostro parere assai meglio , escludendo il di
ogni altra cagione di tal morte . <-«
f o3 Questi, Non solamente l'uso comune dello scrivere [e],
ma la buona sintassi vieta qui d' intendere questi d' altro caso
die del retto : sì perchè dee esso pronome reggere eziandio la
terrina seguente : di quelVunUle Italia fia ec. , si per l' uni*
fermi tà al questi che di nuovo ripetesi nel u. 109* — Il cod.
Gas. legge Costui in luogo di Questi ; lo che serve a confei^
mar 1* opinione del nostro P. L. , che Questi sta nel caso ret*
lo . E. R. •* non ciberà . Il retto caso del pronome questi im-
porta che ciberà vaglia quanto farà suo cibo , cioerassi , e
che per conseguenza adoperisi cibare ^ siccome pascere eva-
la] C zvii« V. 8o. e seg. [b] Tra gli scrittori delle cose d' Italia rac-
cnlii cl«l Morat. lóin. 8. [e] Il citato autore delle Jfcfifi^rie ec. $. io*
l«^] Corio €it« ivi. [e] Vedi il Cinon. Pariic. :aìS. 1.
a4 INFERNO
Ma sapienza^ e amore, e vìrtute;
E sua QaziOQ sarà tra Feltro e Feltro .
scolare i anche nel senso neutro . Per mancanza di queste con*
siderazioni , avendo gli Accad. della Gr. nel Vocabolario chio-
sato il verbo cìft<ire : dare il cibo , nutrire , lai. praebere ci"
bum y vi hanno pel primo esempio recato questo stesso verso
di Dante : Questi non ciberà terra , né peltro . Rimane d'av-
vertire che I come terra e peltro non sono propriamente ci-
bi , cosi cibare non ottiene qui senso proprio i ma metaforico
ed equivalente al far sua contentezza , far sue delizie. - ter^
ra per poderi e stati . — peltro (chiosa il Volpi ) per ogni
metallo, e conseguentemente per la pecunia . Questi non ci-
berà terra , né peltro j - Ma sapienza ec. Cioè questi non
appagherà il suo appetito col possedere molto paese e gran
tesoro t ma colla sapienza ec. Il Petrarca parimente congiunse
queste due cose nel Trionfo della Divinità : CTie w fa ir su-
perbi , oro e terreno ; e fra i latini Orazio nelV^^r te poetica
al V. 4^ f '' Dives agris 9 di%^es positis in foenore nummis. Alla
stessa guisa che Dante disse peltro per danaro j dicevano i
latini 4ies tei greci apyvftoVy imitati oggidì da*francesi , che in
questo significato dicono arsent.m-^Cioare nell'addetto esem-
pio quantunque equivalga al neutro, pm*e è di andamento atti-
vo , perchè porta seco l'accusativo terra e peltro , e suona :
Questi non farà cibo eielle sue brame né il potere , né la
ricchezza , nia la sapienza . Moirri [a] . — Il Marchetti ed il
Costa credono che qui si alluda a coloro che condannarono
Dante : il Gozzi a quei Signorotti italiani di allora. Guardando
il fine per cuiDante mette in iscena Cane della Scala (1^. 1 06.),
si persuade lo Scolari che il Gozzi abbia toccato il vero . «-•
I o5 E sua nazion ec. Chiosando gl'Interpreti (quelli i quali
peli^e/tro intendono giustamente;Csni Grande signor di Verona)
che per sua nazione debbasi capire precisamente Verona o il
Veronese , e pe' due Feltri i precisi luoghi di Feltro , o Fel-
tre, nella Marca Tri vigiana, e di Monte Feltro in Romagna [&],
[<i] Ptop' voi, !• P. a.fac. t58» [b] In Rorongna dice beoeil Vellatello
essere Moote Feltro; ed errano il Daniello e il Volpi, che lo dicooo
D^lla Marca AucOQitaoa. Termina la Marca Anconitana al fiume Foglia,
alias Isauro (vedi Maginì lialia, nella pref. e nella tav. 4^0« ^ Mon-
te Feltro a*h di 111 alquante miglia: e Dante stesso al Conte di Monte
. Feltro ( nel xzvik di questa cantica 1 v. S^, } Romagna tua dice lui .
CANTO I. 25
Di qaell' umile Italia fia salute, io6
sul fondamento di cotale chiosa passa il Ventini nel tz. della
presente cantica , 9. 65. , ad allegare questo con altro mal in*
teso luogo [a] in prova ^ che circonacriva Dante con termini
inmo lontani^ e con istile geograficopochissimo scrupoloso.
Se però il Venturi avesse nelle sue chiose adoprato quello
scrupolo che desidera in Dante > avrebbe trovato che Verona
riponesi da' Geografi nella Lombardia [&] ; che Dante stesso
in Lombardia ricouoscela ^ e perciò appella gi*an Lombardo
il medesimo Can Gi*ande [e] ; e che u*a le italiane provincie
era la Lombai'dia quella nella quale U'ovavasi il maggior ner-
bo de 'Ghibellini [a] , dai quali sperava Dante rimedio a' suoi
guai • Ed avrebbe quindi potato persuadersi y che per la nor
zione di Cane non la sola Verona o il Veronese , ma la Lom-
bardia tutta potè Dante intendei e ; e che pe'due Feltri ( quan-
tunque dall' intieia Lombardia non cosi svariatamente disco-
sti come da Verona } potè sensatamente intendere j per una
parte tutta la Marca Trivigiana , in cui è Feltre nobue di lei
porzione , e per V altia parte Romagna tutta , nella quale è
Monte Feltro 9 sede alloia de* Conti signori di molti luoghi
di Romagna • Sai-ebbe con questo ìnleiidimento ogni difficoltà
svanita; msperocchè sono la Marca Trivigiaua e la Romagna
pt>vincie affatto contigue agli opposti lati della Lombardia •
•"►Ninno meglio del Gozzi na sciolto il nodo • Riferisce egli
che Maestro Michele Scotto prognosticò a Can Grande signor
di Verona , la signoria della Marca Tri vigiana e del Padova*
no ; ed il Poeta volendo gi'adire a quel Signore , che era di
parte Ghibellina y allargò la profezia di Maestro Scotto fino
ad abbracciare tutto il paese della Romagna , la quale era in
quel tempo piena di Ghibellini ^ ne' confini della quale sta
Monte Feltro . Strocgbi • *- Questa spiegasione mostra bel-
lissimo il verso tanto a prima vista strano e bizzarro ; cosi diio-
sa lo Scolari , meravigliandosi che ilBìagioli nel i8i8 segui-
tasse a spiegare che Dante siasi inteso di circoscrivere Verona
situata tra Feltre e Monte Feltro. <-«
1 o6 al 1 o8 Di qìielV umile Italia ec. Camilla donzella
guenriera, fiiglia di Metabo re de' Volsci nel Lazio y e Turno
[a] Par ix. a5. e seg. Tedi quella oola . [b] Vedi tra gli altri il citalo
Magioi nella prefazione j e Baudraod. art. Verona, [e] Par xvii. 71.
[d] Cerio Est di MOano, P. 3.
!i6 INFERNO
Per cui morì la vergine Gamilb ,
Eurialoy e Turno, e Niso di ferule:
figlio di Danno re de' Batoli , parimenti nel Lazio 9 combat*
tendo contra i Troiani in difesa del medesimo Lazio 1 vi pe-
rirono ambidue; e dall'altra parte nel troiano esercito rimas-
sero estinti Eurìalo e Niso amicissimi e valorosissimi giovani.
Pare ^ dice il Venturi in seguito al Landino , che ì^oglia Dan^
te accennare lo Staio pontificio y quasi fosse più d^ ogni
altro da ingorda cupidigia spogliato e oppresso . Ma per^
che usò queW aggiunto amile ? Forse perchè quella prouin^
eia deW Italia , che ora si chiama Maritima e Campagna ^
si stende la maggior parte in pianure ( ed anche in palu-
di); o forse Dante disse così, perchè F'irgilio nel iii.
delV En. ayea detto : humilemque videmus Italiam . Per
quest'ultimo riguardo , prima del Venturi altri interpreti han-
no istessamente pensato , che potesse Dante appeflar umile
V intesa parte d' Italia . Non hanno però essi avvertito 9 che la
porzicme d' Italia , Per cui morì la i^ergine Camilla (comun-
que appellare si voglia , o Lazio, o Maritima , o Campagna),
non ha niente a che fiure j anzi è in situazione totalmente op-
posta alla terra d' Otranto, la prima parte d'Italia scoperta
da Enea; e che dicendo quel capitano, Obscuros collesj hu-
milemque i^idemus Italiam [a], altro non volle dire se non,
che nelr avvicinarsi a quella vide ( come seimpre vede chi da
alto mare viene a teira ) i monti in prima , - Poscia i liti d'I-
talia [ij . -> morì legge la Nidoh. con altre antiche ediz.;
morie la ediz. degli Accad. della Cr. , che poi altrove ( esem-
pigrazia nel XXXIII. di questa cantica , y, jo.) legge istessa-
mente che le altre edizioni •
Quitti morì : e come tu mi vedi .
e non già altra volta il lezioso morìe . *- di ferule , pleona-
smo • reruta e ferule ^r ferita e ferito adoprarono altri an-
tichi non solo nel verso , in rima e fuor di rima , ma andie in
prosa . Vedi il Vocab. della Gr. «-^ umile atteso il suo mise-
rabile stato in que' tempi per l' intestine discordie ond' ella
ei*a sempre infestata . Magalotti . *- umile per oppressa ed
abbattuta sempre dagli stranieri . Tobelli • — Col Castelve-
tro spiega Biagioli : umiliata in dimostrazione della mise^
[a\ Aeneid, iii. S33 [b] Traduziooc crAiinibal Caro.
CANTO L 27
Questi la caccerà [)er ogai villa , 1 09
Fioche l'avrà rimessa nello 'oferno.
Là onde 'nvìdia prima dipartiila .
Ond' io per lo tuo me' penso e discerno, 1 1 2
Che m mi segui, ed io sarò tua guida,
E trarrotti di qui per luogo eterno,
ria e della afflizione sua • •— umile perchè aspettava quasi
in ginocchio rimpcratore che soccorresse la parte GhìbelliDa.
E. A. — ferule non è > soggiunge Biagìoli y come troppo leg-*
genneate dice il Lombardi , un pleonasmo 1 ma si formola de«*
terminante, fra tutte le altre, la più dolce e onorata morte ,
quella che a incontra pugnando per la patria •«-•
10^ per ogni trilla : per equivale a ila [a] j e villa ootri-
spondentemente alla lupa che caccerà , non dee prendersi
alla francese ( come il Volpi ed altri la prendono) per città ;
che le città non sono luoghi da lupi , ma piuttosto general-
mente per luogo • m^i^illa per città trovasi però usato dallo
stesso Dante anche nel e. xyiii. f^. 83. del Puraitorio , ove
dice : Bietola più che villa Mantovana , e dal Villani neUa
sua Storia [&1 • -— Il Biagioli non accorda che qjoiper sia pò*
sto per ila • tacendo vedere il per discoirere il veltro di vula
in villa , mentre il ila non determina che il punto onde si
parte il moto • Vedi la sua Grammatica . 4-«
1 1 1 Là onde ^nvidia ec* D'onde 1* invidia ch'ebbe Tavvei^
sano nostro 9 che l'uomo avesse a possedere quelle sedi , dalle,
quali egli per la sua superbia era stato cacciato , l'aveva pri-
ma dipartita 9 ed insieme con gli altri vizj introdotta nel mon-
do • Onde è scrìtto : Invidia Diaboli mors introivit in orbem
terrarum [e] . VbIiIiVTbllo. m^ prima inviilia y cioè la prima
invidia di Lucifero y oppure là onde ila prima invìdia lo di-
parti, preso quel^riiTuz avverbialmente. Magalotti. -Pren-*
ioprima per addiettivo y dice il Biagioli y perchè come avver-
bio parmi inutile • <-«
1 1 a me' per meglio y apocope molto in uso presso gli ai^
tori di lingua . Vedi il Vocab. della Crusca .
ìli m-^ ed io ti sarò guida legge il Dionisi . E. R. <-«
1 1 4 por luogo etemo y per luogo che durar dee eternamen-
!«] Vedi Cinon. Partic. igS. i4« [b] Sap, 9. t^. 94' [e] Lib. 8. e. 7^.
V
a8 INFERjya
Ov* udirai le disperate strida , 1 1 5
Vedrai gli anticlii spiriti dolenti ,
Che la seconda morte ciascun grida/
£ vederai color, che son contenti 1 18
Nel fuoco, perchè speran di venire,
Quando che sia, alle beate genti;
Alle qua' poi se tu vorrai salire , 1:21
le ; e intende l'Inferno • b-¥ Biagioli chiosa : io ti trarrò di
qui f facendoti passare per luogo eterno • 4-«
1 16 antichi spiriti appella Vii^lio Intti gli stati al mondo
prima di Dante ; come noi pure dicendo i nostri antichi in-
tendiamo tutti quelli che sono stati avanti di noi , tanto nei
vicini tempi 1 quanto ne*piti rìmoti . »-^ Una bella variante
dice : Di quelli antichi spiriti dolenti, E. R. <-«
wj la seconda morte ciascun grida , invoca ad alta voce :
allusivamente a quei dell' Apocalisse : Desiderabunt mori ,
etpigiet mors ab eis [a\ ; e dice la seconda per rapporto alla
prima già successa morte del corpo • »-^ Che a la seconda
morte ec. le^ge il cod* Caet. E. R. — e il VaU 3 199. «-«
116 E vederai leggono comunemente la Nidc^atina e tutte
Tantiche edizioni ; e legge pur Tedizione stessa degli Accade-
mici della Gr. nel iiv. di questa cantica , v. 1 2o.> e nel v. del
Paradiso , i^. 1 1 2. ec; ed oltre *& Dante ed altri poeti , lo ha
pei'fino in prosa adoprato il Boccaccio piii fiate \o\\ né capisco
come piaciuto sia agli Accademici detti d' inserire invece , per
l'autorità di pochissimi testi , K poi vedrcti \ e non abbiano
posto mente all'altro poi in principio della terzina seguente ,
per cui rendesi qui la medesima paiticella molto stucchevole •
w^ E poi vedrai legge pure il Biagioli y adducendo ragione ,
che questa maniera dimostra meglio l' intenzione del Poeta ,
che il viaggio neU' Inferno ha ad essere prima , quello in Pur^
gatorio poi y siccome in Paradiso dopo ; e non fa conto che la
voce poi ripetasi quattro versi più giii . «-•
1 20 Quandoché sia vale una voltaj adeguai senso del latino
ali quando. Vedine altri esempi nel Vocabolario della Crusca.
I a I qua* per quali , apocope usata pur da altri ottimi scrit-
tori . Vedi il Vocab. della Cr. alla voce Quale .
[a] Cap« iz. p. 6. [b] YeJi M<«strofiiii» Teorim e Prospetto dtt* verbi Hai
CANTO I. 29
Aaima fia a ciò dì me più degna :
Con lei ti lascierò nel mio partire .
Gbè qoeUo 'mperador, che lassù regna, ia4
Perch' i' fili ribellante alla sua legge,
laa Anima dime più degna ^ Beatrice, la quale a Dante
abbandonato da Virgilio nel xxvii, del Purgatorio appaiìsce 9
e scopresi nel zxx. per indi accompagnarlo al Paradiso . Nel
seguente canto al f^« 70. dirò il mio parere intomo al vero soff-
itto inteso dal Poeta nostro 9 e per Beatrice e per tutte quelle
altre penime 9 daUe quali dicesi aiutato in questo misterioso
yia^o-
ia5 Perch^ ffùi (/^' leggono l'edizioni diverse dalla Ni-
dobeatina) ribellante ec. Dovendo questo andar d'accordo con
^nell'altro , che lo stesso Yiiigilio oice :
per nìuValtro rio
Lo del perdei » che per non ai^er fé [a]
& di mestieri che ribellante alla divina legge vaglia qui lo
stesso che alieno dalla i^ra fede ; da quella fede , cioè nel
Tenturo Messia , che Dante con tutti i teologi \b\ pone essere
stata in ogni tempo necessaria per conseguire l'eterna beati-
tndine : e però del Paradiso parlando dice :
• ..•...•• a questo regno
Non salì mai chi non credette in Cristo ^
Né pria , uè poi , ch^el si chiavasse al legno [e] .
E per lo stesso motivo divide in Paradiso l'umano beato ge-
nere in due classi; in una riponendo Quei^ che credettero
in Cristo venturo {d]y e nell'allTO Quei f che a Cristo w*
nuto ebber li visi [e] .
Oltre di cotale mancanza di fede , altra positiva ed assai
piti grande reità cadrebbe in Virgilio ed in tutti que'Gentili
eroi , che fa lui Dante essere nel Limbo compagni \f\ se, come
volgarmente si pensa , credere si dovesse che tutto il gentile-
simo infetto fosse di politeismo j o sia di credenza in più Dei •
Dante però dovette aver letto ciò che nel sesto libro della sua
Storia scrive Paolo Orosio (quell'Orosio che la comtme degli
Espositori chiosa dal medesimo Dante (Par. x. 1 19. e aeg.) ,
[«] Pargat. vii. c^ 7. e segg. [b] Vedi Pietro Lombardo 1. 3. dist. a 5.
[e] Farad, zix. »• lol. e segg. [d] Farad, xzxii v. '^4* [tf] Ivi f^« 27;
[f] Vedi il canto iv. doUa presente cantica , w. 3i. e segg.
3o INFERNO
Non vuol che ^n sua città per me sì vegna .
In tutte parti impera, e quivi regge j 127
Quivi è la sua cittade, e l'alto s^io:
O felice colui, cu' ivi el^e!
Ed io a lui : Poeta , i' ti ricbieggio 1 3o
Per quello Iddio, che tu non coaoscesti,
Acciocch' io fugga questo male e peggio ,
inteso nella persona dell'allineato de^templi cristiani , - Del
cui latino Jlgostin si provvide): Pagani ^ quos jiMin decla--
rata veritas de contumacia magis , quam de ignorantia
convinciti quwn a nobis discutiuntur f non se plures Deos
sequi y sed sub uno Deo magno plures ministros i^nerari
fatentur ; e come y anche prima di Orosio , dimostrati aveva
conoscitori di nn solo Iddio tutti i Gentili filosofi Minnzìo Fe-
lice nel suo Dialogo Octai^iusy scrìvendo non aver essi in
realtà £itto altro che Deum unum multis designati nomini^
bus ; e piìi di tutti assolvendo dal politeismo Virgilio per
quelle di lui formole al politeismo del tutto opposte:
• . • • . Deum namque ire per omnes
Terrasque y tractusque maris y coelumque profundwn [a].
O qui res kontinumque Deumque
jietemis regis imperiisy et fulmine terres [&]•
1 27 In tutte parti ec. cioè, in tutte V altre parti stende il
potere del suo dominio , ma quivi propriamente fa sua resi-
denza e tien sua corte. Volpi • »-► Nota il Biagìoli j che imr
perare è Tatto di esercitare imperio con potenza ; reggere
quello di governar con amore. 4-«
129 cu" (V( elegge y cui Dio elegge a tal luogo.
1 3 1 quello Iddio y che ec. In conseguenza di quanto poc'an-
zi nella nota al f/« laS. si è avvisato , dee per quello Iddio
intendersi il nostro Salvator Gesii Cristo • Dio m vece d'A/-
dio con minore pienezza e dolcezza del verso leggono 1* edi-
zioni diverse dalla Nidobeatina •-> e il cod. Vat. o 199. <«-«
1 3a questo male y cioè l'oscura selva de' vizj , donde si for-
zava di uscire, —e peggio y altri vizj peggiori, e l'eterna
dannazione. »^ questo male y cioè quello di trovarmi qui
N
[a] Gtorg, ui. f». a^i. \b] AeneiJL i. v. a33.
CANTO I. 3i
Cbe tu mi meni là dov' or dicesti , 1 33
Si eh* io vegga la porta di san Pietro^
E color , che tu fai cotanto mesti .
AUor si mosse, ed io gli tenni dietro.
smanico; e peggio ^ cioè di non poter forse più uscire e di
restarvi morto dalle fiere. Bi agioli . ii-«
Importa di san Pietro. Mettendo Dante alla porta del
Piscatorio [a] per custode un Angelo colle chiavi di san Pie-
tro y e non dicendoci più in verun luogo d'altra porta che dal
Purgatorio metta in Paradiso, ma supponendo da quello a
<[iiesto un passaggio affatto libero, non v'ha dubbio che quel-
la, e non altra, s'abbia a intendere I^l porta di san Pietro;
né , se non male , pretende il Rosa Morando diversamente .
a-» Il Morando però viene difeso dal Biagioli , che per la porta
di $»n Pietro intende quella del Gelo. Cosi col Volpi TE. F.
e Io Scolari ; ma questi per ragioni ben diverse da quelle del
Biagioli , e sono: i.^ per essere già di antica e comune cre-
denza che a. Pietro sia il custode delle celesti porte; a.^ per-
chè nel f^. 1 34. il Poeta indica il Paradiso, e nel seguente Tln-
femo e il Purgatorio. 4-»
i35 color , che tu fai cotanto mesti ^ che gridano ciascuno
la seconda morte ^ ì dannati.
i36 9-¥ li per gli le^e il Lombardi e chiosa : « // invece
» di glif a lui , scrive Dante qui ed altrove . » —Noi però ,
[4] Canto IX. 1^. 76. e segg.
CANTO IL
ARGOMENTO
In questo secando CfintOy dopo la invocazione che so-
gliono/are I poeti ne* principi decloro poemi ^ mo-
stra che considerando le forze y dubitò che elle non
fossero bastanti al cammino da Firgilio proposto
delio Inferno; ma confortato da yirgilio. fimU-
mente prendendo animo j^ lui come duce e maestro
seguita.
JLlo giorno se n'andava, e Taere bruno i
Toglieva gli animai, che sono 'n terra
Dalle fatiche loro^ ed io sol uno
M'apparecchiava a sostener la guerra 4
Sì del cammino, e si della pietate,
I a Vaere bruno - Toglieì^a eli animai j ec. Imita Virgi-
lio in miei versi del lib. tiii. dell' Eneide:
Ifox eratf et terras ammalia fessa per omnes
uilituum pecudumaue genus sopor altus habebat [a J.
aere legge spesso la Niaob., ove altre edizioni leggono troiH*
catamente aeri e qui certamente apporta al verso pienezza in-
sieme e dolcezza* 9^aer leggono pure il cod. Vau ^199 e il
Biagioli.4-«
4 5 guerra i difEcoltà, "Si del cammino y che nel discen-»
dcre all' Inferno e poi salire al Purgatorio 9 e sì della pietate ^
che dell'anime etemalmente dannate a diversi crudeli tormenti
doveva avere. Vbllutbllo. •-^M'apparecchiala ec>y cioès'ap*
parecchiava a far forza al suo animo per non prender pietà dei
[a] Verso a6. e seg.
CANTO II. 33
Che ritrarrà la mente, che non erra.
0 Muse, o alto 'ugegno, or m' aiutate: 7
peccatori. Magalotti . — Cosi pure il Biagioli, ma non ne dice
il perchè y e il Magalotti spiega anche questo j mostrando che
Dante, come uomo dovea sentir compassione di quegli spasimi,
ma come cristiano doveva in essi ammirare la potenza e sa-
pienza inCnita di Dio , e per non fare offesa alla divina giustizia ,
fare ogni sforzo per soffocare il sentimento della compassione •
£ importantissimo, ripiglia qui lo Scolari, sin dalle prime con-
durre illettore a prender paitc in questo conti*asto del Poeta ,
in cui consiste tutto il drammatico deirazione. M"* affaticava
invece di AV apparecchiarla legge col Vat. 3 199 TE. R; ma le
ragioni ch'egli adduce in favore di tal lezione, non ci hanno
persuasi a scostarci dalla Nidobeatina . «hi
6 ritrarrà , racconterà , la mente , che non erra , la me-
desima mente j o sia facoltà della mente , che due versi sotto
dice le vedute cose avere scritte , cioè la memoria. Lo errare ,
dì fatto , non è che dell' intelletto , che giudichi essere la cosa
che non è; ove della memoria il maggior danno può solamente
essere lo scordarsi , e non l'errare , o sia il falsamente giudi-
care, w-^la mente, che non erra , non può essere la de6ni-
xìone della memoria , come suppone il Lombardi , poiché que-
sta può ingannarsi . Dante vuol far qui fede a chi legge della
tenta delle cose che dee narrare ; e perchè sono meravigliose
assai , e vincono il natui'ale , vuole assicurarci che la sua me-
moria non 6* ingannerà , e ne assegna la ragione dicendo : ch'el-
la non può errare, perchè ha scritto tutto ciò ch'ella ha vi-
sto . Pebticabi . ^ Per mente , che non erra intende lo Sco-
lari la mente Diì^ina e non quella del Poeta , spiegando: niap^
parecchiava a sostener quella guerra che darà idea e imma^
gine di quella mente che non erra, ossia della mente Divina.
(Vedine le sue note .) Il Vatic. 3 199 ha Mente coli' iniziale
inaioscola. — je non erra col cod. Ang. legge l'È. R., e preten-
de che questa lezione, inducendo il dubbio nel Poeta , sciolga
la difficoltà della interpretazione e renda ragionevole la se-
guente invocazione delle Muse . 4-«
7 O Muse , o alto *ngegno , ec. Da ciò che a Dante mede-
simo si fa dire da Cavalcante Cavalcanti, Inf. 1. 58. e seg., se
per questo cieco - Carcere vai per altezza d* i^tgegno, ^Mio
figlio (cioè Guido Cavalcanti) oi^'è Ascorgesi che il proprio in-
gegno in un colle Muse eccita qui Dante all'impresa ; e cne alto
FoL I. 3
34 INFERNO
O mente, che scrivesti ciò eh' io vidi,
Qui si parrà la tua nobilitate •
Io cominciai.: Poeta, che mi guidi, io
Guarda la mìa virtìi, s'ell'è possente.
Prima eh' all' alto passo tu mi lidi.
Tu dici , che di Silvio lo parente , 1 3
ingegno sospetta qui inteso Terudito autore degli
stampati recciitemeate in Verona (num. iv. cap. 6.). Ma nel
{principio del Paradiso ci avvisa Dante di non aver egli per Tln-
emo e Purgatorio incomodato se non le Muse y e di essersi ri-
serbato l'aiuto d'Apollo a queir u/f i/no lauoro. — *I1 cod. Gas.
decide la questione colla nota sopra la parola ingegno : scilicet
mei. E. R. »-► L'epiteto di alto dato al proprio ingegno è sem-
brato ambizioso a coloro che qui leggono . Ma torranno essi que-
sta macchia dalla fama di Dante , ove conoscano che questo epi-
teto egli dona all' ingegno umano , non al proprio ; in genere ,
non in ispecie : il che si conosce appieno dalla dottrina ch'egli
ne fonda nel Compito (pag. i46. i47')* ^^^ ^* quale niuno tro-
verà superbo il predicato di ctlto all'ingegno , considerato co-
me la più nobile ed ultima potenza che faccia fede agli uomini
della sapienza del Creatore. Perticari. —Lo Scolari ritiene
che quell'a/^o ingegno sia qui qualificazione onorevole delle
Muse che sono immagine della più perfetta intelligenza e di
ogni più nobile disciplina. 4-«
% niente , che scrii^esti ec, la memoria . »-► Lo Scolari , col Bia-
gioli , fa punto alla fine del 7. verso , e chiosa : ce nel che fidando
» (il Poeta) con un bel volo di fantasia ritoma a rivolgersi alla
^^ mente Divina, sciamando: O mente che scriv^esti ecciohy che
» decretasti ciò che io vidi, qui (nell'opera mia) la tua nobilitate
» (la tua elevatezza) farà gran mostra di sé medesima . » <-«
9 si parrà , si manifesterà — ^ la tua nobilitate , la tua ec-
cellente virtù .
1 2 alto per arduo , difficoltoso . »-► Il cod. Vat.]3 igg legge
Anzi invece di Prima , 4-«
li Tu dici: non che Virgilio allora lo dicesse, ma dicelo nella
sua Eneida .Dani ello. - di Silicio lo parente . Qui pure^aren te
'j^tv genitore j come nel precedente canto, ^. 68., e intendesi Euea.
CANTO II. 35
Gorrnuìbile ancora, ad immortale
Secolo andò, e fu sensìbilmente:
Però se l'avversario d' ogni male 1 6
Ck)rtese fu , pensando T alto effetto ,
Ch'uscir dovea di luì, e '1 chi, e '1 quale.
Non pare indegno ad uomo d'intelletto; ig
Ch'ei fu dell'alma Roma, e di suo mjìcro
Nell'empireo Ciel per padre eletto:
La quale , e '1 quale , a voler dir lo vero , 2 2
Fur stabiliti per lo loco santo,
i5 sensibilmente j cioè col corpo , e non per visione . Da-
HELLO . »-^ E il Biagiolì intende j con mente capace di sen^
tire le sensazioni , 4-«
16 al i^Però se Vavi^ersario ec. Gostruz. Ad uomo però
dintelletto non pare indegno , indegna cosa , iiragionevole^e
[avversario d*ogni male y Dio del solo bene amatore ^^e/i^an*
rfo, conoscendo, Valto effetto ch'uscir doi^ea di luiy e 7 chi
e V quale (sono questi il quid e il quale delle scuole , indicante
il primo sostanza y e l'altro qualità) conoscendo l'efiettcT im-
portantissimo y che da lui uscir dovea , della formazione del Ro-
dano impero ; e nella sua sostanza , nell'interna sua costituzio-
ne' e nella sua qualità y d'influii*e nello stabilimento della chiesa
diGesii Cristo y come in appresso dirà, cortese fu y accordò lui
tale andata . m-^ II Magalotti spiega '/ chi per Romolo fondatore
<ii Roma, e '/ quale per le sue aite qualità • — Il Perazzini in-
teade pel chi Roma , e pel quale V impero Romano . ^hi
30 CK* y vale imperaocchè .
2 1 padre j fondatore .
22 La quale y e 7 quale y la quale Roma y e il quale impe*
n>. — a voler dir lo vero : accenna che lo spirito Ghibelh'ne-
sco tentavalo a tacere la verità .
%i Fur stabiliti y da Dio . -^per lo loco santo , per l'apo-
stolica catte<ira , acciò per la comunicazione di tutti i popoli
i^onRoma potessero tutti dalla medesima cattedra ritrame gl'i u-
^gnamenti . Allude alla sentenza di s. Leone Papa nel primo
ormone de'santi apostuli Pietro e Paolo • Disposito divinitus
^peri maxime congruebat , ut multa regna uno confoede^
36 INFERNO
U* siede il Successor del maggior Piero.
Per questa andata, onde gli dai tu vanto, a5
Intese cose, che furon cagione
Di sua vittoria, e del papale ammanto.
Andovvi poi lo Vas d'elezione, 28
rarentur imperio , et cito peruios haberet populos praedi^
catio generalis , qnos unius tenetet regimen cii^itatis . b^Fu
stabilito legge il cod. Ang. E. R. 4-«
24 ^ col segno dell' apostrofo vale lo stesso che doi^e , ed
è molto familiare ai poeti. Vbwturi. Sta però qui invece del re-
lativo nel quale [a], — maggior , cioè primario Piero dee ap-
pellar Dante s. Pìetn) apostolo per rapporto agli altri santi del
medesimo nome , ch'erano già molti anche ai tempi di Dante y
come si può vedere nel Martirologio ; nò mi piace che dicasi
maggiore per riguardo agli altri Apostolico agli altri sommi
Ponte&ci , non mi parendo che a veruno di ouesti due sìgniB-
cati bastar possa cotale espressione. wh¥Piero lo riguarda ilBia-
gioli guai nome comune a tutti i Papi . — Pel maggior JPiero
Magalotti intende Cristo . — Lo Scolari sta col Lombardi e
soggiunge : « Se s'intende di autorità , la cosa è certa , e se di
a> santità , non tocca a noi il decidere.» -—nuig'^i ore per primo
(Vedi Par. e. xxxii. v. i36.)« Nel parlare del medio evo os-
serva il Lami che niaggiore significa capo 9 superiore j Pre-
sidente , e in tal senso trovasi adoperato dai Trecentisti. (Vedi
Bocc. Gior. 2. Nov. 7. e Gior. 6. Nov. i.) E. F. — Il P. Gu-
glielmo Delia-Valle pel siede di tempo presente è di parei*e
che debbasi intendere un Pietro allora sedente , e perciò Cele-
stino che appunto avea nome Pietro • 4-«
25 al 27 «-^Allude alla predizione fatta da Anchise ad Enea
nel VI. della Eneide. Magalotti . -Il senso di questa e delle ire
precedenti terzine vedilo ampiamente e nobilissimamente spie-
gato da Dante stesso nel suo Convito ((ac. 200. alla 2o3.) E. JP.
•-Intesi in luogo d'Intese ha il Vat. 3 199. 4-« Di sua uittoria ,
in prima contro Tumore dc'Rutuli, e consecutivamente ^e/^^-
pale ammanto j dello stabilimento in Roma della Papale digiù tk .
28 Andoyvi poi lo Vas d'elezione , san Paolo , vas dc^
ctionis appellato da Gesìi Cristo medesimo [&] . Non inteiKle
[a] Cioon. Partic» 98. 8. [b] Aei. g. v, i5.
CANTO ir. 37
Per recarne conforto a quella Fede ,
Ciré principio alla via di salvazione.
Ma io, |3erchè venirvi, o chi '1 concede? 3i
Io non Enea, io non Paolo son'o:
Me degno a ciò né io, né altri crede.
Perché se del venire io m' abbandono, 34
Temo, che la venula non sia folle.
però che andasse anche san Paolo airinfemo y ma al terzo cie-
lo, alle beate genti j alle quali pure disse Virgilio che po-
trebbe Dante salire [a] .
29 conforto , per le riportate notizie alla nascente fede cri«
stona . VmiTu»! .
30 principio alla via di salvazione appella la fede , per
r^sciv il primo requisito per entrare nella Oiiesa, ed anteriore
di Datura sua allo stesso battesimo 9 prima di ricevere il quale, se
rDomo è capace di ragione y dee professar di credere. m-¥ CVè
principio e yia di salivazione legge il cod. Ang. E. R. 4-s
3i perchè venirvi y o chiH concedei Detto avendo di es-
sere Enea e s. Paolo passati a que' luoghi e per ^uste cagioni
f fa cortesìa di Dio, però oltre del motivo di colà passar egli
pwe, cerca chi glielo permetta, e valeo chi*l concedei co-
tte se detto avesse : ovvero , posto che abbia cagione di pe-
«rw, chi me lo concedei m-^Ma io perchè venire legge il
«d. Angelico . E. R. <-«
33 né altri crede , la Nidob.; né altri il crede , Taltre ediz.
34 35 je del venire io m^abbandono , ec. ellissi : se mi ab-
bono, m^arrendo alla richiesta tua di venire, temo ec; nò
PMt" da seguirsi la chiosa del Daniello e Volpi : se io mi ritiro
^^àietro dal venire , se io non vengo , lo fo perchè temo che
^<imia venuta non sia folle y stolta e pazza. «-^Magalotti
'kioia col Rifiorito : perchè sUo mi lascio andare a venire,
^foi dubito del ritorno . — Lombardi , dice il Perticari [A],
|^»Q colse qui pienamente nel segno. Perchè non dee dirsi che
'^i Dante si abbandoni alla richiesta ; ma bensì al venire. Que»
^ maniera è bellissima e piena di evidenza , perchè non mo-
»<ra soltanto chi si consigli al viaggio e si an'cnda all'inchiesta
.**. ^-«oto precedente v, itii . e segg. [b] Prop, voi. u. fao. i65.
38 INFERNO
Se' savio, e 'nteudi me' eh' io non ragiono .
£ quale è quei, che disvuol ciò, che voile, 3;
E per novi pensier cangia proposta,
Sì che del cominciar tutto si toUe;
Tal mi fec'io in quella oscura costa; /{o
Perchè, pensando, consumai la 'mpresa.
Che fu nel cominciar cotanto tosta.
alti*ui y ma significa 1* uomo che si abbandona tuUo cosi alla
cieca , e prende la via senza badare ad alu*o . Per lo quale in-
tendimento veggiamo in Dante una bellezza nuova colà dov^al-
tri scorgeva una strana o troppo scura dizione • 4-«
36 me' per mes^Uoj adoperato da buoni scrittori in verso e
in prosa. Vedi il Vocab. della Cr. »-»me con un piccolo i an-
tico di sopra ha il cod. Gaet. E. R.'4-c
37 »-^Ci mette con mirabil similitudine davanti agli occhi
i contrasti di un^anima, che dal male al ben operare si rivolge .
Magalotti . 4-s
3g lolle dal verbo f oliere , che invece di togliere si lro\ a
anticamente usato. Vedi Mastrofini, Teoria e Prospetto dei
verbi italiani , - Qui si tolte significa lo stesso che si rimove,
40 in quella oscura costa ; in quella falda del monte , pM
la quale tenendo dietro a Virgilio camminava [a] : e come h^
già detto nel principio del presente canto y che : Lo giorno se
n^andaua , e Vaere bruno ec, perciò suppone e dice oscure
la costa medesima .
4 1 Perchè , pensando , vale quanto ^eroccAè riflettendo i
ciò che mi faceua* — consumai la ^mpresa. Consumare j ii
corrispondenza al latino consumare , vale finire cioè per fé zio
nare ; ma qui adopralo il nostro Poeta per finire y al senso uni
camente di cessare y di abbandonare; e vuol db'eche fcrm
1 passi coi quali teneva dietro a Virgilio, m^ L'amor dell' ini
presa , da principio con si lieto animo incominciata y ei*a pc
tali pensieri consumato e svanito . Magalotti. ♦-•
4^ cotanto tosta y cotanto presta ; imperocché srnza venni
esitazione si esibì a seguitar Virgilio , e Io seguiva di fatto , c^
me nel fine del precedente canto ha detto .
[a] Canto precedente, i>. uhimo.
CANTO II. 39
Se io ho ben la tua parola intesa, 4^
Rispose del magnanimo quell'ombra,
L'anima tua è da viltade offesa,
La qual molte fiate l'uomo ingombra, 4^
Si che d'onrata impresa lo rivolve,
Come falso veder bestia, quand'ombra.
Da questa tema acciocché tu ti solve, 49
Dirotti, perch'io venni, e quel che 'ntesi
Nel primo punto, che di te mi dolve.
Io era intra color, che son sospesi, 5 2
43 9^ parola y ossia il tuo conccUo . Torelli .
45 th¥ L'anima tua ec, cioè j tu hai pam*a , lo spirito e la
grandezza della tua mente si an*etrano per viltà . Monti [a].4-«
47 onrata , sincope d'onorata . — rivohe , per rwolge , n-
tiraj fa rinculare .
48 Conte falso veder ec. Ellissi y di cui l' intiero sai-el^be :
cwtte falso \federe fa rinculare bestia quand'ombra . Ow-
brare per metaf (spiega il Vocab. della Cr.) v^ale insospet^-
tire y temere ; e pia comunemente si dice delle bestie .
49 solide y antitesi in grazia della rima y invece di soha , da
salifere y eh' è lo stesso che sciogliere y qui al senso di libe^
rare .
50 m^quel cV io 'ntesi legge il cod. Vat. 3 igq. <-m
5 1 dolile per dolse , ad imitazione del latino aoluit,
52 Io era intra color y laNidob.; tra color l'altre edizioni .
— che son sospesi [6]. Sospesi gli spìriti del Limbo appella
Dante qpii , e nel canto tv. m. 43- e segg.
Gran duol mi prese al cor , quando lo ^ntesi y
Perocché gente di molto v^alore
Conobbi che *n quel limbo eran sospesi y
Tatti i Comentatori veccni e moderni chiosano appellati cosi
quelli spiriti , perché non sono ne beati in gloria y né tor^'
mentati con pena y né salvi y né dannati.
[a] Prop. voi. a. P. i. fac. 37. [b] Veggasi la noia del P. Abb. di Co-
starno a questo verso Della sua Leit, di un ant. testo ec. nei volume
quinto della presente edizioue.
4o INFERNO
E Donna mi chiamò beata e bella,
Tal che di comandare io la richiesi .
Ove però si supponessero quelli spiriti condannati eter-
nalmente a quel luogo y tanto malamente appcllcrebbersi per
la detta cagione sospesi , quanto malamente sospeso direb-
besi alcuno , a cagion d'esempio , condannato a perpetua car-
cere j a motivo di non essere il medesimo né affatto libero , né
condannato alla galera o alle forche • Sospesi adunque 9 direi
10 piuttosto , appella Dante gli spiriti del Limbo , perocché
intende che sieno essi realmente ivi sospesi dalTetenio fine loi^o
stabilito ; e che non ìsticno nel Limbo se non ad aspettar l'uni-
versale giudizio , dopo del quale venir debbano ad abitare la
rinnovata terra .
Non è già , corno pare che taluno teologo persuadasi, T in-
ventore di questo sistema Ambrogio Catarino , scrittore sul
principio del secolo decimosesto. Eglistesso abbracciandolo pro-
testa di abbracciar cosa, quam dodi quidam induxere\a^i e
cotesti dotti , che il Catarino ci tace , ben ne li fa nod il Tirino
nel comento a quella sentenza dell'apostolo s. Pietro : novos
coelos , et novam terroni secundum promissa expectamus [ij :
e sono alcuni di essi piii antichi non solamente del Catarino*
ma eziandio del Poeta nostro. Beatus Anselmus (scrive) , Guì--
lielmus Parisiensis , Picus RIirandulanus , Ahulensis , Cn-
ietanus , Salmeron , a Lapide , et Serarius censent parva-
los sine baptismo defunctos liabitationem suani habituros
in terra , quam dicunt novis rursunij et qui numquani mar'
cescent , floribus odoriferis , gemmis , arboribus , fontiÒus ,
aliisque ornamentis perpetuo decorandani .
Che poi sospesi nel Limbo medesimo , perocché privi di
Sialsivoglia attuale peccato [e] , ritrovinsi eziandio Vii^Iio ed
tri Gentili adulti, quest'è la poetica aggiunta che (a Dante al
prefato teologico sistema . m^ sospesi , cioè nel Limbo , dove né
godono, né dolgonsi l'anime. Magalotti . -iViè salvi j né dan^
nati spiegano il Biagioli e 1*E. F. coi più. — Il cod. Caci, legge
collaltre ediz. tra color, E. R. — e così il Vat. 3199.-4-»
53 Donna y Beatrice. Vedi al v, jo. m-^ cortese e bella legge
il cod. Vat. 3i99.-4-«
\à] Oposc De stalli futuro puerorum sine sacramento decedentium,
[b] Ep. a. cap. 3. [e] Vedi e. iv. v, 34. e segg.
CANTO IL 4i
Lucevan gli occhi suoi più che la Stella : >55
£ comiociommi a dir soave e piana,
Con angelica voce, in sua favella:
33 più che la Stella. Chi intende la stella Venere ; cosi il
Volpi; chi il Sole, per esser detta in questa forma assoluta-
mente: così il Daniello y il Landino e il Vellutello: e vi è
qualche ragionevol motivo per l'una e per l'altra interpreU-
zione. VEVTuai. — Dante però medesimo nel suo Compito nel«-
la canzone ii. che incomincia: Amor^ che nella mente mi ra^
ghnaf neir ultima strofa dice:
Afa li nostr^occhiy per cagioni assai ,
Chiaman la stella talor tenebrosa s
e poscia cementa in guisa, che ben rende chiaro di non avere
per stella inteso né Venere 9 né il Sole, ma le stelle general-
mente y e di avere adoprato il singolare pel plurale ; a quel
modo che comunemente diciamo avere alcuno l'occhio fiero o
vago, invece di dire ch'ha gli occhi fieri o vaghi. Per essere ^
dice, lo uiso debilitato*., puote anche la stella parere tur*
tata: e io fui esperto di questo che per affaticare
lo taso moUo a studio di leggere y in tanto debilitatigli spiJ
rài disivi j che le stelle mi pareano tutte d^ alcuno albore
ambrate [a]. •-♦Anche il Biagioli intende le stelle in ganerale,
e noi col Volpi la stella di Venere, detta per antonomasia la
stella • — Considerata l'idea di amabilità che qui vuol Dante
iosinnare, piuttosto che quella di abbagliante fulgore, crede
por io Scolari che convenga meglio l'intendere dell '^.r^ro
amoroso che del Signore delle Stagioni. — Tal opinione è
aivalorata eziandio dalla lezione del cod« Vat. 3199 che ha
ia Stella colla S maiuscola, da noi, per tale autorità, intro*
dotu nel nostro testo. — Qui l'È. R. con l'Ang. legge più
ch*una stella , intendendo cosi tolta ogni disputa e meglio de-
terminato il paragone. 4-«
56 soas^ e piana ^ cioè soavemente e pianamente, come le
oneste e graziose donne sogliono fare. Davibllo. a-^Non sono
avverbi, dice il Biagioli, ma sì addiettivi veri. La voce soa%fe
la spiega il Poeta in queste parole del Convito : soave è tanto
quanto suaao, cioè abbellito, dolce e piacente, e dilettoso. 4-a
37 ^^saa , doè divina. Toazi.u.4-a
'>] TraL 3. cap. 9.
42 INFERNO
O aDÌma cortese mantovana, ^S
Di cui la fama ancor nel mondo dura ,
E dureià quanto 1 mondo lontana :
L'amico mio, e non della ventura, Gì
S8 s-^NoU qui l'EdiL rom. : ci artificio di lodi le più teaerp
» adoperato da Beatrice per guadagnarsi ranimo diVii^ilio.iM-«
60 durerà quanto 7 mondo lontana , leggono la Nidobeat.
e parecchi mas. delle bibliotecbe Q>r8Ìni e Chigi (come altresì
il cod. Gas.), ed ecco tolti cosi gli arzigogoli ne' quali fors'era
che si cacciassero gl'Interpreti leggendo colla comune dell'edi-
zioni : durerà quanto '/ moto lontana . Al precedente : Di cui
lafanuM, ancor nel mondo dura^ qual miglior parlare poteva
in seguito venire che, E durerà quanto 7 mondo lontaiuiy
cioè lunfi[a? Lontano per lungo adopera Dante pure nel Para-
diso zv. 49., ove lontan digiuno dice invece di lungo digiuno^
ed anche Francesco Barberino lontane cure scrisse invece di
lunghe cure. Fediam lo Un per lontane cure in drappi [aj.
•^quanto il moto leggono il cod. Gaetano (E. R.) ; il Magalotti,
il Biagioli , l'È. F, e il V at. 3 199. -* Magalotti spiega : ^lontana
» dal verbo lontanare ; quanto il moto lontana , quanto il moto
» s'allontana dal tempo. Piglia moto per tempo alla peripate-
» tica, definendo Aristotile il tempo: tempus est numerus mo^
» tus secundum prius et posterius » -ed il Biagioli : «Beatrice
» ha detto , quanto 7 moto lontana , perchè il moto è la misura
» del tempo, e di questo il luogo in cui si compie.»-VelIu-
tello e il Venturi hanno ritenuta la lezione moto , ma non ne
diedero cosi netto il motivo, come osserva lo Scolari, il quale
non sa vedere come davanti al dotto Eldit. rom. non l'abbia vin-
ta, sopra l'autorità de' codici ciuti dal Lombardi, la filosofica
iublimita del concetto. — Anche il Torelli le^;e motOf e sog-
S'ugne: durerà quanto il moto lunga e perpetua. Traslazione
1 luogo al tempo, come fu traslazione dal vedere ali* udire
poco sopra ove dice: Mi ripingeva làj dove 7 Sol tace , in
luogo di du«, dove il Sole non si vede. -Noi leggiam moru/o
con la Nidob., come vogliono anche gli Elditorì della Minerva.
( gli Edàorì fiorentini • )
6 f Vomico mio , e non della ventura , vale quanto il caro
a mef e bersagliato dalla sorte ^ lo sventurato amico mio.
[a] Docum. eTAmore, sodo Industria, Docum. 5. Regola 14^
CANTO II. 43
Nella diserta piaggia è impedito
Sì nel camiuin , che volto è per paura ;
E temo, che non sia già sì smarrito, 64
Gli' io mi sia tardi al soccorso levata,
Per quel, eh' i' ho di lui nel Cielo udito»
Or muovi , e con la tua parola ornata , 6 7
E con ciò, che ha mestieri al suo campare,
L'aiuta sì, ch'io ne sia consolata.
r son Beatrice, che ti faccio andare: 70
9-* Biagìoli s'accorda col Lombardi . «— MagaloUi spiega : Vami-
co di me e delle mie yiriiìy non della ventura cVio fosòi
bella ; e lo Scolari: i* amico mioy quello della mia scelta ,
non quello della ventura delVacciaente o del capriccio^ tro-
vando questo luogo imitato dalF Alfieri nei Filippo , dove Perez
dice a Carlo: Jlmico tuo "Non di ventura io seno . • . . 4-«
64 ^0 E temo j ec. II senso allegorico è : temo che già non
siasi arreso alle prave inclinazioni . »-► L'Ang. legge tarda
invece di tardi. È. Tu "4-«
66 Per quel ec. per le querele cioè intese di lui •
67 muovi (adoprasi qui muovere a modo del latino movere
prò discedere) [a], vattene. Vedine altri esempj molti mi Vc-
cab. della Cr. 9-¥ Or muovi non vuol dir vattene 9 e ognuno
ne vede la differenza. Biagìoli. *- II citato cod. Angelico sop-
prime la copula e , contentandosi di quella che vien dopo : lE
con ciò j ec. E. R. 4-«
70 Fson Beatrice. Yi grande controversia tra gli scrittori, se
questa Beatrice , tanto dai Poeta nosti'o nella presente ed in altie
sue opere celebrata 9 sia la Beatrice Portinai i amata da Dante nei
suoi piii verdi anni , ed a questo di lui misterioso viaggio pre-
morta già da dieci anni [&J, ovvero soggetto ideale afl'atto ed
allegorico, significante la celeste sapienza, o sia la teologìa.
Quanto ( tra l'altre cose ) due terzine sotto dice Virgilio ,
che Fumana specie per la sola Beatrice superi in nobiltà tutte
le sublunari creature , ciò ne sforaa a capire per Beatrice la
sapienza celeste, 0 teologia, piuttosto che la donna amata da
[a] Vedi Rob. Slefiino Thesaur. lai. [h] Mem, per la Fita di Dante, { 7.
44 INFERNO
Vegno di loco, ove tornar disio:
Amor mi mosse, che mi fa parlare.
Quando sarò dinanzi ai Signor mio, 7 3
Di te mi loderò sovente a lui:
Dante ; ma quanto poi nel Purg. zxxi. 49* e segg. dice Bea-
trice stessa :
Mai non t*appresentò natura od arte
Piacer y quanto le belle membra j in cK io
Rinchiusa fui^ che sono in terra sparte.
ciò non si può intendere se non della donna dal Poeta amata .
A me sembra potersi e doversi questa controversia risol-
vere conistabilire che, siccome nelle Scritture sacre veri per-
sonaggi vestono il carattere di qualche virtù , TArcangelo Raf-
faello esempigrazia il carattere del divino aiuto , onde potè ve-
ridicamente rispondere a Tobia : ego sum j4zarias Ananiae
magni filius [aj, istcssamente Dante, in riconoscimento d*es-
sere stato da Beatrice guidato per il sentiere della virtù [i],
vesta l'anima di lei del carattere della celeste sapienza, o teo-
logia . In questo modo , pel carattere che sostiene , sarà vero
essere Beatrice il maggior pregio dell' umano genere , e per la
realtà del di lei essere vcrificnerassi quanto di sé medesima
dice: Mai non Rappresentò ec,
7 1 di loco y ec. di per da , cioè dal Paradiso . m^ del loco
ha il cod. Ang. E. R. — e il Vat. 3 igg. •*-«
7 a Amor , intendi , che a costui porto : — che vale qui quan-
to quello che. »-► Oltre al letterale attribuisce il Magalotti a
questo amore un senso allegorico , spiegando: è l'amor di Dio,
pel quale ei desidera che ciascun uomo si salvi. 4-s
74 Di te mi loderò ec. Se, come Beatrice vestita del ca-
rattere della celeste sapienza o teologia , intendasi vestito Vir-
gilio di quello della morale filosofia , non parrà inconveniente
che lodisi innanzi a Dio da Beatrice Virgilio. «-►Biagioli spiega:
« Potrà Beatrice lodarsi al Signor suo di Virgilio , perchè egli
» ha perduto il cielo non per reità , ma per non aver avuto
» fede. » — Il Magalotti ed il Celli riguardano come conso-
lante tal promessa per un'anima che si è perduta non per suo
fallo , ma per mancanza dì fede. — Qui lo Scolari molto op*
[a] Toh. 5. V. 1 8« Vedi ì sacri Interpreti, [b] Vedi Porg xxx. f. i a i . e Btg.
CANTO IL 45
Tacette allora, e poi comincia' io:
O Donna di virtù sola, per cui 76
L' umana specie eccede ogni contento
Da quel ciel, eh' ha minori i cerchi sui;
Tanto m'aggrada '1 tuo comandamento, 79
poftanamente osserva che Virgilio non devesi rìsguardare qual
anima perduta y come il Gelli suppone , mentre Dante non sa-
pendosi persuadere di mandare il suo divino Virgilio all' Infer-
no, lo fa soltanto sospeso j ponendolo nel Limbo. Di là tolto
al voler di Beatrice, lo fa passar per T Inferno, indi pel Pur-
gatorio 9 cercando cosi d' infondere nell' animo del Lettore la
cara speranza che, tolta un giorno la sospensione potesse sali-
re al Cielo. Ma conosciuto il pnnto scabroso assai, prima di
entrare in Paradiso trovò necessario disfarsene, e con molto ac-
coi^imento nel e. xxxiii. del Purgatorio finge di restare scemo
di lui senza avvedersene. Ma qual fosse la misericordiosa opinio-
ne di Dante sulla futura sorte degP incolpabili sospesi , lo ve-
dremo al canto iv. dietro le tracce del suUodato Scolari. 4-«
75 Tacette per tacque detto anticamente da buoni aptori
anche in prosa. Vedi il Prospetto de^ verbi italiani sotto il
verbo Tacere ^ n. 5.
76 al 78 O Donna di virtù ec. Donna di virtù dee Virgi-
lio in Beatrice appellare, non la persona di lei, ma la celeste
sapienza , cioè la teologia , di cui , come di sopra è detto , ella
ne veste il carattere : ed è certamente la cognizione delle divi-
ne cose la donna , ossia la regina delle cognizioni , per le quali
dicesi l'uom virtuoso ; è dessa la sola che forma il grande pre-
gio dell'uomo sopra ogni contento j vale a (Ure, sopra ogni
cosa contenuta Da quel cielj ch'ha minori i cerchi sui, da
quel cielo che ha piii ristretto giro degli altri, cioè dal ciel lu-
nare.— contento per contenuto non solamente l'adopera Dan-
te qui ed altrove pei suo poema \a\ , ma adoperanlo altri pure
scrivendo in prosa [6] , ed è preso dal latino supino del verbo
contineo , es. — sui per suoi , sincope imitante la maniera pur
de' Latini, in gi*azia della rima. — minor li cerchi suij leg-
gono l'edizioni diverse dalla Nidob. in^e il cod. Vat. 3 199.
-* Qui Beatrice per la teologia, per cui l'uomo è il piii no-
{«] Par. n. ii4- [à] Vedi il Vocab. della Crusca.
46 INFERNO
Che l'ubbidir, se già fosse, m'è tardi:
Più non t'è uopo aprirmi 1 tuo talento.
Ma dimmi la cagion, che noa ti guardi 8a
Delio scender quaggiuso in questo centro
Dair ampio loco , ove tornar tu ardi .
Da che tu vuo* saper cotanto addentro, 85
Dirotti brevemente, mi rispose,
Perch' io non temo dì venir qua entro .
Temer si dee di sole quelle cose , 88
bile di tatte le creatare contenate sotto la Luna. Ciò potreb-
be anche inteadersi ia quest' altro senso : o scienza per cui
l'uomo eccede j cioè trasvola coli' intelletto dalle sublunari
cose alle celestiali e divine. Magalotti . 4-c
8o se già fosse j sebbene già fosse in atto. Del se per quan^
tunque y sebbene e simili , vedine altri esempj nel Ginonio [a\ .
— m'è tardi j mi par tardo. Volpi . »-► Espressione piena di
forza, e significa: ancorché l'ubbidire già tosse in atto, non-
dimeno al suo desiderio parrebbe tardo. E. F. — Così Maga-
lotti , che poi soggiunge : or venga qualunque si pare , e mi
porti da altri poeti forme così merav^igliose e piene di si
forte espressiv^a . ^s^ ancor fosse legge il cod. Val. 3 199. 4-«
8f Più non ec. Costruz. N^on i* è uopo aprirmi ^ manife-
starmi, piàj maggiormente, il tuo talento y la tua volontà.
»-* Il cod. Val. i 199 legge : Più non i* è huo\ e' aprirmi '/
tuo talento . -^ Ako' si ha parimente nel Caet. , nel quale
sembra sia stato cassato il cA' avanti l'oprir/ni: e questa va-
riante non sai*à disprezzata da tutti. E. R. 4-«
83 centro per luogo centrale , terminante al centro j come
suppone Dante l'Inferno . tt^ quaggiù ha il cod. Vat. 3 199.4-«
84 ardi . ardere per ardentemente desiderare j arden^
temente amare , alla maniera de' latini adoprasi da ottimi ita-
liani scrittori. Vedi il Vocab. della Crusca.
85 »-► jPo' che tu vuoi ha il Vat. 3199. ^hi
87 »-^ ttenire qua dentro legge il cod. Ang. E. R. ♦-•
88 m^ Temer si dee sol legge il cod. Caet. E. R. 4-«
[a] Partic, ^a3. 9.
CANTO II. 47
Ch'hanno potenza di far altrui inale:
Dell'altre nò, che non son paurose.
r son fatta da Dio, sua mercè, tale, gt
Che la vostra miseria non mi tange,
JVè fiamma d'esto 'ncendio non m'assale.
90 paurose per paurevoli^ cagionanti paura , voce pure
adopraU molto. Vedi lo stesso Vocab. m^ paurose ^ aliter pO"
derose legge in postilla il cod. Ang. E. R. — paurose^ nota
Torelli ) si dicono tanto le cose che hanno paura , quanto quelle
che la mettono. Così Orazio nell'ode 5. degli Epodi: Formi'-
dolosis dum latent sihis ferae . •4-«
9 1 fatta da Dio , resa da Dio. — tale j di tempra talmente
impassibile .
92 non mi tange , non mi tocca , figuratamente per non mi
rattrista . Come tangente e tangibile dicesi da noi invece di
toccante e toccabile j così tangere fu da piii d'uno antica-
mente detto invece di toccare. Vedi il Vocab. della Crusca.
93 iVe, vale qui E [a]. — fiamma d*esto ec, perchè nel
Limbo , dove abitava Virgilio , non era fuoco ( come appari-
sce dal canto iv. v, 28 ), perciò il Venturi avverte qui che si
deve intendere per famma ed incendio il desiderio del cie-
lo scompagnato dalla speranza di ottenerlo , la pena cioè
ch'esse anime del Limbo patiscono [i] . Ma se il fuoco non era
lì , era però poco sotto , e dentro certamente del medesimo
centro j o sia centrale buca ; e ben potè Beatrice dire esto 'n-
rendio invece A^ incendio in questa buca contenuto . Esto
jxT questo , afei'esi molto dagli antichi praticata . Vedi il
\ncaD. della Cr. m->k V infelicità di 'voi sospesi y chiosa il
Magalotti , non mi tocca , ne fiamma delV incendio dei dan-
nati mi assale , notando che quella de' sospesi la chiama mt-
seria , non consistendo che in pura afflizione , e fiamma quella
dei dannati perchè tormenta positivamente il senso. — Biagioli
intende che l' Inferno di cui parla il Poeta sia questo mondo
die noi abitiamo . Così Beatrice vuol dire , che la sapienza non
teme le persecuzioni degli stolti e dei malvagi , né gli assalti
tA i colpi degli odj insani ec. Nega poi al Lombardi che il
Ae del f'. gS. significhi Ey ma invece E non, — Il cod. Caet.
però legge E j come afferma il rom. Editore. ^-9
««] Tedi il precil. Cinon. Partic, 178. 4« [à] Inf. iv. ^2,
48 INFERNO
Donna è gentil nel dei, che sì compiange 94
Di questo 'mpedimenio, ov'io ù mando,
Sì cbe duro giudicio lassù frange.
Questa chiese Lucia in suo dimando, 97
94 al 06 Donna è gentil ec. Vi è una nobile e cortese don-
na 9 cioè la divina clemenza , che meco insieme piange, e ramr
marìcasi dell' impedimento che danno le fiere a Dante nel suo
cammino, a superare il (juale io ti mando ; sicché fa quasi for-
za col suo pianto, e piega la severa giustizia in Cielo, che lo
voleva, perchè colpevole, lacerato dalle fiere e punito ( cioè
lo voleva abbandonato alle passioni). — duro qui non altro si-
gnifica che severo j e giustificasi a pieno questa espressione da
quella in tutto simile della Sapienza 6. u. 6. ludicium duris^
simum hisf qmpraesunt^ fiet. Vesturi . »-^ Questa Donna è
generalmente intesa dai Comentatori per la prima grazia , detta
dai maestri in divinità gratis data, la quale, perchè viene per
mera liberalità divina, è anche àelìA preveniente dal prevenir
eh* ella fa il merito delle azioni umane . Magalotti . — Biagioli
intende V anima , cioè la ragione , e lo Scolari la bontà divi--
na.'^^Sì che duro ec. sì potria intendere ancora, aggiunge
TEd. romano, il decreto che non lasciò giammai persona viva
passar per quelle vie , nelle quali Dante si era innoltrato ; e
qui duro può valere irrevocabile ^^-^ Il duro giudicio di las'
su è il severo decreto della divina giustizia sospeso dalla cle-
menza. Morti [a].<«-«
97 Questa in suo dimando j nella sua preghiera, nel suo
pregare , chiese Idicia : la divina grazia per Lucia intesa chio-
sano tutti gì' Interpreti. Dicendo però Dante medesimo di essa
Lucia nel Paradiso:
E contro al maggior Padre di famiglia
Siede Lucia , che mosse la tua Donna ,
Quando chinavi a ruinar le ciglia [6].
ed essendo realmente anime di beati quelle tra le quali Dante
annovera Lucia, conviene credere che, come la sua Bcatiùce
del cai*attere della sapienza [e], cosi una reale Lucia vesta
del carattere della grazia.
[a] Prop, voi. 3. P. 1. fac. 139. [b] Caalo xxxii. i36. esegg. [e] VefU
i<i aola al ^. 70. del presente canto.
CANTO IL 49
E disse : or abbisogna Jl tuo fedele
Di te, ed io a te lo raccomando;
Lucia, nimica di ciascun crudele, loo
Si mosse, e venne al loco, dov'io era,
Che mi sedea con l'antica Rachele;
Disse: Beatrice^ loda di Dio vera, io3
L'essere poi la grazia an effetto che ascrivesi allo Spi-
rito santo: lo avere la santa vergine e martire Lucia risposto al
(vanno giudice , che interrogavala se fosse in lei lo Spirito
santo: caste et pie ^viventes templum Dei sunt,et Spiritus
sanctus habitat in eis [a] : e finalmente la congruenza del no-
me di Lacia agli effetti che produce in noi la divina grazia ,
sembrano motivi pe' quali potesse Dante a rappresentai^e la di-
vina grazia scegliere la medesima Santa, m-^ Lucia ^ la grazia
seconda od illuminante, dal Poeta chiamata Lucia dalla luce
cb'ella ne infonde nell' anima. Magalotti. 4hì
98 il tuo fedele , quello che in te ( nella necessità del tuo
aioto contro l' empio dogma de' Pelagiani) ha sempre creduto.
^^ora ha mestier lo tuo fedele legge il cod. Ang. E. R. — or
ha bisogno il Vat. Siqg. 4-«
1 00 Lucia j nimica di ciascun crudele ; perocché amica dei
soli mansueti , giusta quel detto di Salomone : mansuetis Do*
nunus dabit gratiam [6].
ioa mi s^dea con V antica Rachele. Rachele bellissima
%Kadi LabanOy moglie del patriai^a Giacobbe. I dotti Intei>
preti delle sacre lettere pongono Raohele per la vita contem-
plaUva . . . Sedea giustamente Beatrice con Rachele » perchè il
pmprìo subietto della teologia ( intesa per Beatrice ) è la con-
ti'mplazione y ed in quella si ferma, e pon suo seggio. Lardi*
^^.^ antica appelb Beatrice Rachele, perocché stata al mon-
do quattro mille e piii anni innanzi di lei . Come poi cotal se-
dere vicino di Beatrice , donna del nuovo Testamento, a Ra-
elide, donna dell' antico, non si opponga a quello spartimento
cbe pone Dante in Paradiso , vedi Parad. xxxii. 8. e segg.
f o3 loda ( il medesimo che lode ) di Dio vera. Molti filo-'
sftfi e teologi gentili si sono ingegnati d'investigar Teccellcnza
f«) Adone acJ Mmlifoiag^ idtb. dvc^mbft [h\ Prot^erh. 3«fl»« 34*
Fol. L 4
So INFERNO
Che non soccorri quei, che t'amò tanto ^
Ch'uscio per te deUa volgare schiera?
Non odi tu la pietà del suo pianto, loG
Non vedi tu la morte, che*l combatte
Su la fiumana, ove'l mar non ha vanto?
della natura divina , ma nessuno lia potuto trovar il vero ^ come
la teologia de'Oristiani: dunque sola Beatrice è vera loda di Dio;
cioè 9 sola la nostra teologia loda Iddio di vere lodi. Lastdivo.
1 o4 I o5 che t*amò tanto j - Ch' uscio ec. Puossi intendere
delPamor di Beatrice e come donna, e come rappresentante la
teologia , e che per ambedue cotali riguardi uscisse Dante della
volgare schiera: riguardo a Beatrice donna, per essersi mosso
a scrivere versi e prose: riguardo alla teologia, per essersi con
lo studio di quella sollevato dal volgo de* secolari. »-► Cosi an-
che Maffalotu. Mm
to6 /a pietà del suo pianto. Vale pietà qui pure , come
nel u. 21. del canto preced. , affanno , angoscia •
107 108 la morte. Come tutti comunemente fingiamo la
morte del corpo a guisa di persona, cosi finge qui Dante a gui-
sa di persona la morte ancora dell'anima, eh è il peccato ; e
finge che da questa fosse combattuto ."Su la fiumana^ ove ec.
Piglia in questo luogo la fiumana per l'appetito e concupi-
scenza delle cose terrene. E per questo dice il Salmista: Cir^
cumdederuntmedolores mortis^et torrentes iniquitatis con^
turbaverunt me. E certamente non insurge in si turbolenta
tempesta il mar percosso da' venti , quanto son tempestose le
perturbazioni e varie passioni , che di continuo ondeggiano
nella mente piena di mondani desideri . Lakdiro. — Su vale
3 ut a/ lato , ideino , in riva^ come nel canto v, i^. ^. e seg.
irà Francesca da Polenta :
Siede la terra , dove nata fui ,
Su la marina ec*
fiumana e fiumara , lat. gurgesy aquarum congeries > spi^[a
il Vocab. della Cr., e ne arreca varj es«npj . »-► L' E. R. qui
P^** nu>rte intende quella del corpo non quella dell'anima. -Il
Biagioli al •/• 108. dice che non v'ha luogo a sposisione lette-
rale, e devesi riconoscere in questa fiumana questa nostra er-
ronea vita, ove 1* impetuoso torrente delle passioni ci ravvolgo
di cotttimu^. «Il Vat. 3 199 logge marina in luogadi/(ttmafia.4-«
CANTO li. 5i
Al mondo non far mai persone ralle ipQ
A far lor prò , ed a fuggir lor dapoo ,
Codi' io, dopo colai parole ^tle.
Venni quaggiù dal mio bealo scanno, 1 1 2
Fidandomi nel luo parlare onesto,
Ch'onora le, e quei ch'udilo l' hanno •
lOQ ratte y veloci, preste. Vedi il medesimo Vocabolai'io.
no m-¥jé far lor prode , né a fuggir lor danno legge col
cod. Ang. TE. R.9 sembrandogli che faccia miglior suono e ren-
da più intera la sintassi colla ripetizione del né. — Prode per
prò (cosa ntile) l'adoperò Dante ancora nel Purg, [a] , e Tusa-
lono parecchi altri antichi, come si può vedere nel Yocab. 4-«
1 1 1 fatte j intendi da Beatrice. 9^ Cosi tutte e tre le rom.
edizioiii ; ma forse per errore , o di stampa , od inavvertente-
mente sfuggito al Lombardi stesso , che avrà qui inteso di scri-
vere a invece del da , che non regge , e che stravolge il senso
di per sé stesao si chiaro . Intendi adunque : fatte da Lucia
<i Beatrice . <^m
Ila m^del in luogo di dal legge il Vai. Sigg.^-*
1 13 1 1 Sparlare onesto , ec. leggìadrostilee sentezioso, che
fa onore a te , ed a chi lo segue ed imita . Y BKTvai. »-► del tuo
parlare leggono i codd. Gaet., Vat. e l'Ang. E. R. - Al 1^. 1 1 3,
Lindino intende la moral dottrina . «^ onesto , secondo ilBia-
gioli, significa onestato , abbellito j ornato. — Al 1^. 1 14- 1^
opere di Virgilio dan fama a lui , e a chi segue la sua dottrina.
\ cLLUTBLiio. —E cosi chiosa pur anche il Magalotti. — - udito
^ qni sentimento di sentito . BiaoioIiI. —-Approvando Lo Sco-
lari la chiosa del Landino , per renderne il concetto piii intero
^gìange : questi versi danno la ragione della scelta fatta da
Matrice in Vii^lio per guida del suo Dante , che , come tra-
viato , non poteva essere aiutato che da un uomo virtuoso fra
tutti e insieme gran poeta , onde avesse in isuo potere ogni poar
|ibirarte di pei*suasÌQne. Or venendo al letterale rimarca: i.^che
^i fidandomi è palmola piena di affetto , e mostra tutto l'impegno
di Beatrice per lo bene di Dante ; a.^ ch/e pel verbo purlare
liaisi ad intendere quello che dicono le opere di Virgilio , e non
I«J C. IV. *». 4^., e e. XXI. »'. 7 1. P '
5a INFERNO
Poscia che m'ebbe ragionato questo, 1 15
Gli occhi lucenti, lagrimaado, volse;
Perchè mi fece del venir più presto:
E venni a te cosi, come ella volse; 1 18
Dinanzi a quella iiera ti levai ,
Che del bel monte il corto andar ti tolse .
Dunque che è ? perchè , perchè ristai ? ini
Perchè tanta viltà nel core allette ?
altro; 3.^ che onesto è qui usato nel suo proprio senso Aìper^
fezione morale y di cui manca il Vocabolario ; poiché onestà
è perfezione di legge ; questa prescrive soltanto ciò che è giu-
sto e doveroso y e costringe : V onestà ha in cura ancora il di
più y e si limita a perstiaderlo • 4-«
1 17 Perchè , vale qui per la qual cosa *— del , vale qui
quanto al y come il di per a adopera il Petrarca in quel verso:
Per cui ho insidia di quel inocchio stanco [al .
Presto adunque del venire significa medesimamente che pre-
sto al venire .
1 1 8 Volse per volle non rha (come il Venturi dice) voluto
la rima a dispetto della ragione y ma Tuso allora frequente
di scrivere cosi in verso e in prosa . Vedi il Prospetto de^ver^
a italiani sotto il verbo Volere , n. 7.
119 120 fiera , la lupa . Vedi il canto precedente y verso 49*
e segg. — del bel monte il corto andar ti tolse y t'impedì la
corta via di salila al bel monte della virtii y obbligandoti a
cercar meco la piii lunga sti*ada deirinfemo e del Purgatorio.
Vedi ciò ch'è detto nel precedente canto al verso 9 1 • e segg.
»-^mi tolse legge il Vat. 3199. 4-»
121 che è? che è ciò che tu fai ? — ristai, t'arresti. •-► /)«/*-
gue che è il perchè! Perchè ristai! legge l'Ang. E. R. ^-m
id2 viltà y paura, — > allette per alletti , antitesi in grazia
della rima . Gli Accademici della Cr. nel Vocabolario, dopo
spiegato allettare per invitare , chiatnare , incitare con pia--
cevolezza e con lusinghe , lat* allicere , passano a dire che
il medesimo verbo adoperi Dante qui e in quell'altro verso :
Ond*esta tracotanza in voi sgalletta [b] , metaforicamente
t«J San. 4a. [ftj ipf, i». ^3.
CANTO II. 53
Perchè ardire e franchezza non bai j
Poscia che fai tre Donne benedette 1 34
Curan di te nella corte del Cielo ^
£'1 mio parlar tanto ben t'iuiprometle?
Qaale i fioretti, dal notturno gielo 127
ChiDati e chiusi, poi chel Sol gì' imbianca,
Si drizzan tutti aperti in loro stelo;
Tal mi fec'io di mia virtute stanca; i3o
fet alloggiare, albergare. Che in questi esempj equivalga a/«
Iettare ad alloggiare , albergare , non vi ho difficoltà . Solo
mi pare strano che sia il medesimo già spiegato allettare
(pAh che qui metafoi'icamente s'adopera : imperocché pare
a me che sia il presente allettare un verbo anatto spropoi"*
lionato ti primo 9 e tanto da quello diverso , quanto esempi-^
grazia è diverso il verbo sperare « significante aì^re sperane
zoy dal verbo sperare , significante opporre al lume una cosa
per veder snella traspare [a] : panni cioè che questo a//&^*
tare di Dante significhi propriamente dar letto , come albèr'*
gare ed alloggiare sigmficano dare albergo j dare alloggio
(allcttarsi , per istare continoyamente a letto j dicono iRo"
mani), e che y per essere il letto la cosa principale che nel-*
Talloggio si dà 9 perciò adoperi Dante allettare per alloga
giare , albergare . m^ allette , cioè dai ricetto , accogli. E. F.
'-'Il eh. cav. Monti [&] consente alla metaforica significazione
<li questo verbo per albergare , alloggiare ec; ma non già
che sia diverso da quello definito dalui Crusca per iìii^tare j
chiamare con lusinghe , affermando anzi che sono la stessa
cosa sotto una medesima metafora .
y^ tre Donne y cioè quella ^en/i7, che si compiange eCj
t Beatrice , e Lucia .
127 9^ Quali fioretti legge il Vat. Sigg. 4-»
128 imbianca jfer illumina 0 per colorisce 9 come elegan-
temente Prudenzio:
Rebusgue iam color redity - fluita nitentis sideris [e] •
i3o lai mi fec^ io ec. Ellissi ; quanto se detto avesse: tal
( ittessamente ) mi fec'io forte di mia virtù 1 ch'era già stanca*
f«] Vedi il Yocab. della Cr. al verbo Sperare, [h] Prop* voi. itPt a»
^'* k^ [e] Bjnm. Halut.
54 INFERNO
E tanto buono ardire al cor mi corse ,
Ch'io cominciai, come persona franca:
O pietosa colei, che mi soccorse, i33
E tu cortese, ch'ubbidisti tosto
Alle vere parole, che ti porse!
Tu ra' hai con desiderio il cor disposto 1 36
Si al venir, con le parole tue.
Ch'io son tornato nel primo proposto.
Or va, eh' un sol volere è d'amendue: i3G
Tu Duca, tu Signore, e tu Maestro.
Cosi gli dissi; e poiché mosso fue,
1 3 a m^francaj libera da ogni impedimento. Biaoiojli. -Sem*
bra però che la franchezza di Dante sia l'opposto della mir-
iate stanca^ cioè deirabbattimento d'animo, di cui sì parla
nella terzina . Quindi uon libci*a d' impedimento y ma corag-
giosa j intrepida , cosi il rom. Edit., che dichiara di dover
quesU nota al sig. Salvatore Betti . 4-«
1 36 i^ere parole , consistenti massime in quella terzina- Z^a-
micomio^enon della i^enturay ^Nella diserta piaggiaecn\a\
1 3d proposto j sustantivo : col secondo o stretto > propo-
sito y deliberazione . Vocab. della Crusca .
i39 »-» Or mota y che un teiere è d^amenduez ha il cod.
Ang. E. R. — d^amendue noi (spiega il Magalotti) ; il tuo
d'andare , il mio di venire . 4-«
ì\o A-^Nota qui lo Scolari questa giusta qualiGcazione di
Virgilio in Duca , Signore e Maestro , con cui Dante si^aific^
la sua ferma volontà di seguirlo , ubbidirlo ed ascoltarlo . ««-i
i4i p*c. Sia detto ora per sempre (nòta alla voce fue Tait
tico Prospetto de* verbi toscani) , che il genio , e , dirò così
la natura della nostra linsfua è di non terminare le voci in ac
cento ; e perciò i nostri più antichi non terminavano quasi ma
le voci così [i]. — * Il Kìpi'oduttore però sig. Marco Masiifi
fini , nelle sue Teoretiche dimostrazioni sulle coniugazion
ed iìifiessioni de' verbi , dimostra di piii che fiie era la gc
[a] Verso 6 1 e seg% del presente canto, [b] Sotto il verbo Essere , n. «
CANTO li. 55
Entrai per lo cammino alto e Silvestro.
nuioa e regolare inflessione della terza persona sing. del pret.
iod., che poi restò monca ed in*egolare come tante altre. Vedi
Form. de^Perf. de^Verh. Aus* fac. 19. E. R.
\fyi alto . Prende qui questo aggettivo al senso medesimo
che neirottavo della presente cantica^ ove dice alto perim
glio [aj , e nel ventesimosesto, dove alto passo \b^j al 8en«
50 cioè di difficile e pericoloso [e] . — silvestre j salvatico j
impraticato . b^ Qui Magalotti intende alto nel suo proprio
significato , cioè di elevato e sublime y come spiegò il Manetti
nella sua ingegnosa operetta circa // sito y forma e misura
deir Inferno di Dante , di cui ne daremo un estratto nel 5.^
Tolmne di questa nostra edizione , e qual leggesi precisamente
neirE. F. — Biagioli per alto intende invece profondo. 4-»
[«]yeno^9.[6]yerso i3a. [c]yediiiyo€ab.delkCr.aIlavoce^to.{.v,
CANTO III
<•%• ^
ARGOMENTO
Dante i seguendo P^irgiliOy perviene alta porta dell' fn-
ferno : dove , dopo aver lette le parole spaven tose che
v'erano scritte , entrano ambedue dentro - Quivi in -
tende da Virgilio , che erano puniti i poltroni: e, se-
guitando il loro cammino, arrivano al fiume detto
j^cheronte , nel quale trovano Caronte , che tragetta
le anime all'altra riva. Ma come Dante vi fu giun-
to, su la sponda del detto fiume si addormento*
X er me si va nella ciità dolente: i
Per me si va nel!' eterno dolore:
Per me si va tra la perduta gente .
Giustizia mosse! mio alto Fattore: 4
»-► Da questo caato ha principio la narrazione del Poema.
Nel i.^ sono toccate le circostanze che T hanno occasionato, il
tempo in cni fu scritto 9 ed il fine proposto ; nel ^P è compresa
soltanto Vantiscena , ossia la narrazione dì quello che ha pre-
ceduto la proposizione dell'opera. Sgombrasi così qualunque
dubbio occasionato dairopinione del Gellì, come osserva il Ma-
galotti , che affermò cominciarsi il poema dal primo verso del
canto v; il che non può intendersi in senso alcuno. Scoi. ab 1. ^hi
I Per me ec. Sono questi primi nove versi , come dal de-
cimo ed undecimo appaiìrà , un' iscrizione sopra la infernale
polla , nella quale iscrìzione^nduccsì per prosopopeia a par-
lare la porta di sé medesima e dell' Inferno .
3 m-¥ nella perduta gente legge il cod. Cact. E. R. <-«
CANTO III: 57
Fecemi la divina Potestà te,
La somma Sapienza, e'I primo Amore.
Dinanzi a me non fur cose create, * 7
Se non eterne, ed io eterno duro:
Lasciate ogni speranza, voi, cbe'ntraie.
5 6 Fecemi la divina ec. Accenna ]a teologica massima , che
cyiera aò extra sunt totius Trinitatisc e per la diuina Potè-
itale intende l'eterno Padre; per la somma Sapienza il divin
Verbo ; per il primo Amore lo Spirito santo . Patri (dice san
Tommaso [a]) attribuitur et appropriatur potentia .... Fi'
Ho autem appropriatur sapientia . . • . Spiritai tuitem san do
appropriatur boni tas. Vedi anche , se vuoi. Dante medesimo
nel Convitto [b], •-►Dice più brevemente e piii chiaro il Torel-
I19 accennando che Dante con ragione teologica circoscrive la
Trinità, perocché le operazioni > che dai teologi si dicono ab
extra , sono comuni a tutte tre le divine persone. -Nota il Bia-
gioli che cjuesta terzina fu troppo inconsideratamente biasima-
ta dal sìg. Ginguenèf che non ne penetrò il sentimento. 4-«
j 8 Dinanzi a me ec. Indica creato da Dio T Inferno a pu-
nizione degli Angeli ribelli, come abbiamo nel santo Vange-
lo [e], e perciò non essere stata prima dell'Iuferno altra crea-
tura che gli Angeli stessi, cose eterne ^ cioè eternamente du*
revoli. »-^ Le cose dalFelemento del fuoco in su , che, secondo
i Peripatetici, furono ab-eterno per sé stesse. Biagioli. — La
materia prima, i cieli, gli Angeli (Landino Vellutello e il
Venturi). - Gli Angeli, dopo la cui ribellione si deve credere
fiibbrìcato V Inferno ; così Magalotti , che afferma poter dirsi
gli Angeli etemi , perchè immortali , benché creati da Dio •
" Lo Scolari opinando che la promessa d*un premio e la mi-
naccia d^un castigo debba essere stata contemporanea alla crea-
zione degli Angeli, ritiene che l'Inferno, se non fu ci'oato pri-
ma, noi fosse neppur dopo degli Angeli stessi. Quindi per
quelle vo'se eterne vuole che s* intenda, o Dio uno e trino, o
Duir altro di più preciso. — Il cod. Vat. 3199 legge, invece
di etemo t eterna ^ e cosi TAngelico, n ferendo qucst'addiet-
tivoalla porta. =Noi leggiamo eterno^ come pur vogliono gli
Editori della Minerva. == ( Gli Editori fiorentini. )
[a] V. I. q. 55. art. 6. [bj Tratl. a* cap. 6. [e] Malt. i5. v, ^^.
58 INFERNO
Queste parole di colore oscuro i o
Vid'io scritte al sommo d*una porta j
Perch'io: Maestro, il senso lor m'è duro.
Ed egli a me , come persona accorta : 1 3
Qui si convien lasciare ogni sospetto:
Ogni viltà convien che qui sia morta.
Noi sem venuti al luogo, ov^io t',ho detto 16
Che vederai le genti dolorose,
Ch'hanno perduto "i ben dello 'ut alletto.
IO ^^i colore oscuro j d! color negro*
12 duro per ispiacei^ole . Vediae altri eseinpj nel Vocab.
della Crusca, e dee intendersi cotale spiacere massimamente
riguardo alFultimo verso Lasciate ec» m^duro^ penoso. Bia-
GioLi; -aspro, spaventoso, e non, come altri vogliono, oscu-
ro. Magalotti. — // senno lor ine duro legge TAog. E* R*
— Ma questo senno leggesi forse per errore del copista. 4-«
1 3 m-^elli in luogo di egli qui ed altrove legge il Vat. 3 1 99*4-v
1 4 1 5 morta^ spenta, annichila ta. m^ Così nel 6. deirEneide :
Nuncanimis opus^Aenea^ nunc pectore firmo .Mao AhOTTu-*^
|6 sem per siamo qui ed altrove [a] adopera Dante, ed an-
che il Petrarca [AJ.
1 7 Che vederai , legge la Nidobealìna con tutte le antiche
edizioni , ed anche colla maggior parte de'rass. veduti dagli Ac-
cad. della Cr. I medesimi Accademici però hanno voluto piut-
tosto seguire il numero assai minore di quelli che leggono CAe
tu i^edraiy non avvertendo che questo tu, dopo appena il t'ho
detto j riesce stucchevole, e che il vederai^ oltre di trovarsi ado-
perato da molti altri in verso e in prosa [e] , viene poi da loro
medesimi accordato al Poeta nostro, se non altrove, nel xiv.
certamente di questa stessa cantica, v. 120., e Par. v* i'* ita»
Tu 7 vederai: però qui non si conta.
E per te vederai, come da questi,
18 7 ben dello intelletto; cioè Dio, nel conoscere il quale
a velatamente la beatitudine consiste. Vehtubi. •-» (jo&\ anche
\à\ fnf. ztii. 3?., Farad, xni. i3. ec. [b] Son. 8. [e] Vedi Teoria-e Pro*
spetto de' verbi itaU soUq il verbo flettere , d. 13.
CANTO IH. 59
E poiché la sua mano alla mia pose 1 9
Con lieto volto, oad'ìo mi confortai,
Mi mise dentro alle scerete cose .
Quivi sospiri, pianti, ed alti guai ati
Risooavan per l'aere senza stelle.
Perch'io al cominciar ne lagrimai.
Diverse lingue, orribili favelle, a 5
Parole di dolore, accenti d'ira,
Voci alte e fioche, e suon di man con elle
Torelli . -Nota il Biagioli che è tolto da Aristotile nel 3. del-
VAninuij oye dice: bonurnintellectus est ultima beati tudo*'^^
ig E poiché ec, E poiché m'ebbe preso per mano . '
a I scerete cose , perocché nascoste agli occhi de' mortali .
aa ■-♦ altri guai il cod. Ang. E. R. — In questo e nei due se*-
gnenti terzetti sembra che Dante , dice il Magalotti , abbia vo-
glia di superar Virgilio nell'espressione della miseria dei dan-
nati . S'ei se la cavi 0 no , giudichilo chi farà il confronto di
Ioesto luogo con quello della Eneide lib. ti. ^. bSy, e segg.
fine ejcaudiri gemitus , et saeya sonare efc. — Non ti'a*
scurò il Biagioli questa osservazione del eh. Magalotti . 4-«
a3 aere, la Nidob.; aer, l'altre edix, "^stelle , per ogni
celeste lume . -* Risonava in queir aer ha il Vat. 3 199. <-m
a4 al cominciar : su quel primo ascoltar quelle voci la--
menteuoli, chiosa il Venturi ; ma io amerei più d'intendere :
su '/ beir incominciar di cotale mia visita .
a5 Diverse lingue , idiomi diversi , ad accennare che nel-
llnfemo sono di tutte nazioni . — orribili favelle , linguaggi
ài orribile suono .
a6 Parole di ec. Potendo le stesse parole manifestanti do-
lore essere dette o in aria di cercare commiserazione , ovvero
in aria di solo sfogare l'impazienza e la rabbia , accortamente
perciò il Poeta , a significarne che non si dolevano que'tristi
che per isfogo di rabbia , dice che le parole erano di dolore ,
e gli accenti ( le maniere cioè di pronunciarle ) d'ira . m-^Pa^
rote dolorose ha il cod. Ang. E. R. -♦-•
ay alte , e fioche y sonanti e rauche ; — e suon di man con
elle : accompagnando i dannati le grida col percuotersi per
labbia da loro stessi . »-^ Rauche 9 ma con raucedine spavci^
6i INFERNO
Degli Angeli , che non furpn ribelli ,
Né f UT fedeli a Dio , ma per sé foro .
Cacciarli i Giel, per non esser men belli, 4o
Né lo profondo Inferno gli riceve ,
Ch'alcuna gloria i rei avrebber d'elli.
di furono molto osata da* poeti . Di cotal coro j o sia brigata,
d'Angeli per mera codardia alieni dai due detti contrarj par-
titi degli altri , pare che favelli Clemente Alessandrino nel
settimo degli Strami , in quelle parole : Novit enim aliquos
quoque ex Angelis propter socordiam humi esse lapsos ,
quod nondum per fede ex Illa in utramque portene prodi--
vitate 9 in simplicem illuni atque unum expediissent se ha^
bitum [a] . La loro situazione poi in questo luogo » e degli uo-
mini poltroni con essi , la è idea tutta del Poeta . m^ captii^o
coro f legge l'Angelico. E. R. — Qui 9 dice il Biagioli , ognu-
no si avvede che è intenzione del Poeta di avvilire 9 siccome
meritano 9 coloro i quali 9 nelle civili discordie e nei disastri
della Patria 9 sono 9 per viltà d'animo 9 indifferenti 9 ossia neu-
trali . — Né furo a Dio fedeli 9 ma per sé foro 9 ha il VaU
3 1 09 9 ma forse per eiTor del copista 9 alterando cosi la misura
del verso 9 come vedesi egualmente alterata nel seguente dello
stesso codice che legge : Cacciarli i Cieli j per non esser men
belli ; che forse Dante scrisse fedei e dei . 4-«
4o al 4^ (^Id per Cieli 9 apocope a causa del metro niente
pili licenziosa di molte dai poeti latini per simile cagione ado-
perate [i] . — ner non esser men belli 9 a fine di non rendersi
meno belli, a une di non perdere 9 perla costoro società , di loro
vaghezza, -^alcuna gloria ec«: glorìerebbersi quegl'infami pec-
catori di aver compagna gente vissuta senza infamia. '^PelUj
di loro9 d'essi [e]. m-¥ Caccianli con bella variante Wgono il
cod. Ang. ed il Caet. E. R. — Il P. Delia-Valle nelle Osservar
zioni in lode dell'ediz. romana 1 79 1 del Dante del Lombardi,
stampate in Torino per Bayno 1 792, sospetta che sia alterato
il pruno verso di questo tei'zetto 9 e che debba leggersi cosi :
Cacciolli il Ciel per non esser ben belli .
ponendo in singolare il Ciel , come Inferno nel secondo verso.
E stando a questo (tutto suo) parere 9 conviene intendere ben
[a] Edìz. d'OxCord 171 f». [b] Vedi, tra gli altri , Vossio , Lai, Grani'
maU d€ metaplasmo» [e\ Vedi il Ciuoo. Par tic. loi. 16.
CANTO IIL 63
Ed io: Maestro, che è tanto greve 4^
A lor, che lamentar li fa si forte?
Rispose: dicerohi molto breve.
Questi DOQ haopo speranza di morte: 4^
per motto* — ben belli legge pure la veneta ediz. i49i- * Il
seabmento di questi yeisi , secondo il Magalotti , è tale : pel
Cielo son troppo brutti , per l'Inferno troppo belli ; quindi
stanno disperati nel mezzo j cioè nel vestibolo deiriniemo •
• II signore Strocclii ritiene che i rei qui nominati sieno quelli
del Limbo 9 e che il genitivo d'elli si rìferisca ai dannati nel-
rinfemo 9 e chiosa : / Inferno rifiuta i rei, cioè 1 sospesi ^per^
che non debitamente riceverebbero qualche gloria d'ellij
cioè adesso Inferno • Elli per elio j ed elio per esso era usato
dagli scrìttoli del Trecento . — » Il eh. cav. Monti , nella sua
Prop. voi. I. P. 2. fac. 79., sostiene che alcuna abbia qui forza
di niuna , all'usanza Dantesca e d'altri antichi 9 e spiega : gli
scacciò il Cielo per non perdere flore di sua bellezza 9 n-
ienendo nel suo seno quei %^ili . Non li riceve e gli scaccia
pure r Inferno 9 perchè mwiB, gloria ne verrebbe ai dannati
dalCaverli in lor compagnia . - Il Biagioli si dichiara in fa-
Tore della interpretazione del Monti 9 - e lo Scolari pei* la co-
mime riportata da prima dal Biagioli 9 cioè : non li vuole il
profondo Inferno , perchè ivi trovandosi con questi vili in
una pena stessa , avrebbero la gloria di poter dire: almeno
noi Vabbiamo meritata pugnando . — In tanta diversità di
pareri a noi sembra che la spiegazione del Monti meriti so-
pra ogn'altra la preferenza . Alcuna per niuna trovasi usato
da Dante stesso al e. xii. v. 9. di quesU cantica. * C/» 'alcuna
via darebbe a chi su fosse ; e due volte nel suo Convito ^ co-
me osserva il Cinonio [a], e come puoi vedere nella nota del
nostro P. Lombardi al sopraccitato v. 9. e. xii. di questa. - Il
codice Stuard.9 consultato dal Biagioli , porta : Che alcuna
gloria non avrebber duelli . «^
i5 dicerolti dal dicere latino 9 usato talora dagli scrittori
toscani così intiero in luogo del sincopato dire. Vertuai. - Arc-
*^e in fi)rza d'avverbio , brevemente , in poche parole. Volpi.
46 al 48 Questi non hanno speranza ec. sono certi di do-
Tere nella loro miseria dm*are eternamente, '^ieca per oscura^
1«] Partie. 1 3. 6.
64 INFERNO
E la loro cieca vita è tanto bassa,
Che 'nvidiosi soq d'ogn' altra sorte.
Fama di loro il mondo esser non lassa : 49
Misericordia, e Giustizia gli sdegna.
Non ragioniam di lor, ma guarda, e passa.
catacresi molto dagli scrittori praticata. Vedi ilVocab della Gr.
ma qui traslativamente per inonorata. -* Che Nvidiosi san
d'ogni altra sorte . Il Yellutello e '1 Venturi per ogn'altra
sorte intendono ouella ancora de*dannati nel profondo Infera
no . Ma se dice il Poeta , che quei del profondo Inferno al-
cuna gloria avrebbero , avendo costoro in lor compagnia, segno
è che voglia questi di miglior condizione di quelli ; e che j se
non li vuole solamente pigri y ma anche scioccni y non possa far
loro invidiare lo stato di quelli che stanno peggio. Sorte adun-
que direi io intendersi in buon senso , e A^ogn^ altra sorte va-
lere lo stesso che d*ogni quantunque picciolissimo buon nome.
wh¥ Pensa il Magalotti che V intendimento del Poeta in questa
terzina sia di inferire j che la maggior pena di costoro è fa ver-
gogna di non essere almeno stati da tanto , poiché a perdere
si avevano , di perdersi , come suol dirsi , per qualche cosa.
- d'ogni altra sorte : persin di quelli che la giustizia piti
crucciata martella ; cosi il Biagioli . 4-«
49 Fanuty memoria, rinomanza.
50 Misericordia ec. non trova in costoro di che spiccare né
la Misericordia in perdonare , né la Giustizia m^umte. »->La
Crusca spiega gli sdegna , cioè gli ha a schifo. Spiegazione
che non si ammette dallo Scolari ; perocché , data la colpa ,
non trova possibile che la Giustizia divina non eserciti su chic-
chessia il suo potere : essendo 1* Inferno soggetto ad essa che
mosse FEtemo a farlo, ella ha già pronunziato sui rei, ed il
verso suddetto é appunto la ragione di sua sentenza . Quindi
egli spiega : Misericordia e Giustizia gli fa sdegnare 9 sog-
giungendo che sdegnare in senso attivo è de' Glassici. * Nota
il Torelli, che li sdegna però che i Cieli li cacciare , e Tln-
ferno non li riceve . Quindi poco dopo gli chiama : jd Dio
spiacenti ed nCnetnici sui . 4-a
5 1 w-¥ Non ragionar , leggono con bella variante i codici
Ang. e Caet., il ms. Stuaixliauo , e con essi la terza romana
edzione . ^-c
CANTO m. 65
Ed io, che riguardai, vidi una insegna, Si
Che girando correva tanto ratta ,
Che d'ogni posa mi pareva indegna:
E dietro le venia sì lunga tratta 55
Dì gente, eh' io non averci credulo,
Che Morte tanta n' avesse disfatta .
Poscia eh' io v' ebbi alcun riconosciuto, 58
Guardai, e vidi l'ombra di colui.
Che fece per vii tate il gran rifiuto.
5d insegna j bandiera.
54 Che d'ogni posa (pausa, riposo) nU pareva indegna.
Trasferisce nella insegna T indegnità di pausare, ch'era in co-
loro (cioè nei già da Virgilio indicatigli poltroni) che alla in-
stami dovevano correre appresso : e vuol dire, che per quel ve-
l<«e e continnato correre gli appariva, gli si manifestava la
indegnità loro di avere alcuna pausa . %^ indegna y sincope di
indegnata y come compra per comprata ^ mozza -fet mozzar
ta ecj ad imitazione del pontem indignatus Araxes di Virgi-
lio; osservazione dal sig. Dott. Gaspare Selvaggi comunicata al
lampredi , é da questi forse al Biagioli . -Ad ogni modo lo Sco-
Uri non sa convenire che \ indegna stia qui in luogo iUndegnor
ta^ non potendosi supporre, come accade in questi due luoghi ,
il dispetto di un fatto anteriore , di cui nel caso nostro non si ha
traccia alcuna . Spiega quindi indegna per isdegnosa 0 inde^
gnante come il cor^^a iìidignantia paoem dì Ovidio. — Ma-
galotti chiosa: incapace y od altra cosa equwalente . 4^
56 ch^io non alerei creduto : cosi , oltre la Nidob. , tutte
Taltre antiche edizioni e tutti i mss. veduti dagli Accad. della
Cr^ fuori che tre; coll*autorità dei quali è piaciuto agli stessi
Accademici di leggere invece ch^ V non avrei mai creduto ,
come se fosse Dante tanto della sincope amico , che non avesse ,
per cagìon d'esempio, scrìtto replicatamente cederai in luogo
dì vedrai \a\. m^ IlVat. 3 199 legge <iome la Nidob. 4-«
59 60 vidi l'ombra di colui ^ ec. Nel determinare il sogget-
U> dal Poeta qui inteso errano, a mio credere , tutti grinter-
{«] Vedi la noia al v. 1 18. del canto !• della presente cantica.
FpL I. 5
66 INFERNO
preti . Parecchi , tra' quali noTellamente il Venturi , vogliono
che per colui abbiasi a capire s. Pier Celestino, che rinunziò
il papato : alcuni dicono intendersi Esaii, che vendè la primo-
genitura al fratello Giacobbe: altri finalmente Dioclexiano,
che in sua vecchiaia rinunziò l'impero.
Quanto ad Esaii e Diocleziano, tra gli altri ostacoli vi è
quello insuperabile, che non conosce mai il Poeta in tntto que-
sto suo viaggio anime d'uomini vissuti avMiti di lui , se non gli
si manifestano o da sé medesime , o da altri ' e però conoscendo
egli qui l'ombra di colui di per sé (detto già avendogli Vir-
gilio: Non ragioniamdi lor, maguarda, epasfdj dee cer-
tamente cotale essere persona vissuta al tempo suo , e da lui
conosciuta quassii, quali non furono nò Esaii, né Diocleziano.
Quanto poi a s. Pier Celestino, omesso che Tolonuneo da
Lucca, storico al Santo contemporaneo, rifiorito da'BoUandisti
nella vita del medesimo Santo, scrivelo morto nelPanno i3oa, se-
condo la qual'epoca sarebbe nel 1 3oo (anno in cui finge Dante
di aver fatto questo suo viaggio) [a] stato s. Pier Celestino an-
cor tra'vivi ; ed omesso che l'epoca stessa siegue il Breviario Ro-
mano, e perciò conta Tanno iii3, nel quale fu il Santo da Cle-
mente V. canonizzato [&], per l'uadecimo anno dopo la di lui
morte , anno postquam decessit undecima; ciò , dico , omesso,
e supposto invece, come i BoUandisti per altri monumenti sta-
biliscono, morto s. Pier Celestino nd 1296, sottentrano tutta-
via a ritranie dalla pretesa assurda intelligenza altri riguardi.
Primieramente Dante medesimo ne dà chiaro ad inten*
dere la persuasione sua, che Celestino rinunziasse il papato
per inganno di Bonifazio Vili.
SeUu già costi ritto f Bonif agioì
Se^tu sì tosto di quell'after sazio >
Per lo (fual non temesti torre a 'nganno
La bella donna ^ e di poi fame strazio f fc]
Credesse però Dante ingannato Celestino da Boni&zio in q[ual-
si voglia de* due modi che si raccontano, cioè o per aperta per-
suasione di Bonifazio medesimo, ovvero per voci intronìesseglì
di nottetempo in istanza, a fiu*gli credere che tale rinunzia
era voluta da Dio 9 altro non risulterebbe nel santo Pontefice
che una profondissima nmika cristiana , virtii sommameute
\a] Vedi la noU al primo verso del poema . [b] Vedi ì BoUaDdikù ueU
U ^tia di s. Piar CeUsUno. [e] Inf. ux. 53. e segg.
CANTOIII. 67
OMmiieiidaU dal medesimo nostro Poeta [a] , od al più al più
tuia inayyediita semplicità; e non giammai viltà, ossia yi! ti-
more, che solo paò dirsi quello che nasce da motivo creduto
comunemente spi'egevole.
Inoltre lavorava Dante intomo a questa sua opera dopo>
e molto dopo , la morte dell' Imperatore Arrigo di Lucembui'go
settimo ed uldmo di tal nome, seguita nel i3ii[6]7 cioè dop0
la canonizzazione, che nell'anno medesimo fu fatta, di s. Pier
Celestino : e questi stessi primi canti o sciasse pur dopo , od al-
meno riattò a tenore de' nuovi fatti accaduti prima di compiere
latto il poema [cj. Ora chi bene considererà il procedere di
Dante in questa sua opera, confesserà del tutto inverisimile, che
>oiesse egli porre nell' Inferno chi dalla Chiesa era venerato su
gli altari. Biasima Dante bensì i vizj d^alcuni sommi Ponte-
fici, ma nondimeno l'autorità della Qiiesa, e de' sommi Pon-
tefici mai sempre rispetta, protestando di mitigare l'asprezza
tiel parlare vei'so JNicolò IH. per La riverenza delie somme
t'hiavi [d\ , dando tutto il valore, alle indulgenze [e] , e sco*
mmiiche [/], e trovando in Paradiso santi que' che la Chiesa
eziandio a' di lui tempi riconobbe esser santi, e tra essi ancora
un s. Pier Damiano \g\ , che pm*e rinunziò il vescovado per
timarsene alla primiera solitudine.
Agginngesi finalmente il dubbio, che tanto il Poeta no-*
»tro non vedesse mai s. Pier Celestino, quanto non vide mai
uè Esaù, né Diocleziano. Egli almeno è certo, che non fu
dalla sua repubblica mandato ambasciatore ad altro Papa che
a Bom'£uio VIII. [h].
Io, per dire il mio parere, piuttosto che a s. Pier Cele-
stino o ad alcun altro dei nominati soggetti , pendei'ei a qual-
< be concittadino dello stesso Dante , il quale , o per non ispen-
«lere danaro , o per akro vii motivo ricusando di sostenere il
partito de' Biancni , cacone fosse dei grandissimi avvenuti
icuai, tanto al Poeta, che a quei del suo partito.
7ra^er/a^aifra(scrive di quelle fiorentine vicende Dino
Oimpagni) e per Paifarizia 1 Cerchi di niente siprot^idono ,
r erano i principali della discordia ; e per non dar mangia"
re affanti, e per loro viltà niuna difesa né riparo feciono
{«} Vedi, Ira gli altri luoghi , Parg. x. 131. xn. 1 10. fftjVedi ^rislorìci.
lei Vedi la nota al i^. 10 1 • del e. 1 . delia presente cantica, [d] Ini. xix. 101.
k' Porg. ti. 98. vedi qacUa nota, [f] Parg. in. i3d. [g] Par. xxt. 1 '^i .
|A; Fìlelfo presso 1* autore delie Memorie per la Pila di Dante , $ 9'
68 INFERNO
nella loro cacciata \ e essendone biasimati e ripresi ^ ri'
spondeano che temeano le leggi ^ E questo non era ^cro j pe^
tocche venendo a' signori Messer Torrigiano de* Cerchi pet
sapere di suo stato , fu da loro in mia presenza confortalo ,
che si fornisse e apparecchiassesi alla difesa , e agli altri
amici il dicesse y e che fosse valente uomo . iVb/t lo feciono t
perocché per viltà mancò loro il cuore : onde i loro ai^er*
sarj ne presono ardire , e innalzarono; il perchè dierono
le chiasmi della città a Messer Carlo [a\
Per fissare che parlasse qui Dante di Torrigiano de' Cer-
chi altro non abbisognerebbe ^ se non che nell* anno 1 3oo, in
cuiy com'è detto > finge Dante di aver fatto questo suo viag^O)
trovassesi Torrigiano tra' morti . Ma se Torrigiano , come il rì-
fisrìto parlare delCompagni accenna , e con espressi monumt^nti
accerta il CSonacci \h\ , era tra' vivi nel 1 3o i , quando fu Carlo
in Firenze [cj, era però la fazionarìa briga già incominciata
molti anni innanzi [aj ; e ben potè della stessa famiglia dc'Ccr-
chi ) che generalmente il Compagni di capi della discordia e
di viltade accusa [e] , essere premorto cni in altra circostanza
facesse il medesimo rifiuto che fece Torrigiano .
Il monaco Celestino P. Barcellini nelle sue Industrie filo^
logiche sopra il presente passo di Dante, stampate in Milano
nel 1701 , fa autore il summentovato Cionacci leggersi in una
cronichetta manoscritta di DinoCompagni^ come partitosi Gia^
no della Bella da Firenze > il popolo restato senza sostegno f
ricorse al suo fratello per farlo suo capo; ed egli rifiutò j
e non volle attendere , quando pote\fa diifentar padrone
della città senza molto impegno y mentre veniva assistito
dal popolo e dalla forza d* altri par teggiani amici di Giano
sbandito : e però questi (soggiunge esso Barcellini) è quelFuo^
ma vile , codardo , e pusilìanimo , di cui intese Dante [f\i
La cronaca però di Dino Compagni , tanto la stampata da]
Muratori la prima volta, ed inserita nel tomo ix. degli Scrittori
[aj CroR.lib. a. [h] Storia della B. Umìliana^^* 4* ^^^P- 4- [c\ Compagni
Crotu ivi. [^jVeditra gli altri Paolino Pieri e Tolommeo da Lucca.[ej In
compro va mento di ciò, oltre il già riferito parlare del Cninpagai nel
lib. a. della soa Cronaca^ può servir quello che de' medesimi Cerchi
dice anche nel libro 1 . rapporto ad altri anteriori avvenimenti : Ì4m, par^
te Bianca non sappiendosi reggere , perchè non avea capo^ perché i
Cerchi schifavano non itoUre il nome della Signoria^ pili per viltà ,
che per pietà f perché forte temeano 1 loro avversari ce, [f] ingiusti t4
a. cap, 8.
CANTO III. 69
Iiìcontanente liitesi, e certo fui, 61
Che quest' era la setta de' cattivi
A Dio spiacenti, ed a' nemici sui.
delle cose d' Italia , quanto la ristampata in Firenze dal Manni,
nulla ha dì ciò ; anzi narra : Giano e suo lignaggio si partì
delpaese [a]* m^ Aìv. 69. yidi e conobbi ha l'Ang. £• n. e il
Tat 3199. **Maealottiy Bìagioli, la Bolognese iSig, e TE. F.,
il Ventorì e lo Scolari da noi consultati, tutti si accordano liei
determinare il soggetto dal Poeta qui inteso nella persona di
Celestino V., che innalzato alla prima dignità della Chiesa con
unÌTersale aspettazione di vederne riordinate le cose , parte per
posillaninutà propria, e parte per»raltrui sottigliezza, dopo
nove mesi s'indusse a rinunziato al papato, e rifuggissi in un
chiostro. Fu santificato nel 1 3 1 3, e Dante morto nel 1 32 1 p(H
tpTa correggere, come osserva lo Scolari, il suo scritto (fatto
non avvertito dal Biagioli); ma sapendo egli come era andata
ouella faccenda , non avrà creduto di doversi ritrattare, veden-*
do sempre nella pochezza di Celestino la causa indiretta deU
r esaltazione, secondo lui funesta, di Bonifazio VIII.4-«
61 »-»Il cod. Antaldino legge Immanianente. E. B. 4^
63 ^ Dio ec. Vuol dire , che gl'inerti uomini non solo di-
spiacciono a Dio, ma anche ai nemici stessi di Dio, ai demo-
ni, che bramerebbero in loro maggior reità. — sui, alla ma-»
uim latina per suoiy sincope in grazia della rima . a-» Bicnno-
^ct in questo luogo il Biagioli la conferma della spiegazione del
Monti di niuna gloria data al y. 4^* * Il cod. Antald. e l'Ang,
leggono spiacente, riferendolo a schiera. E. R. «^ Qui molto
«easatamente , per quanto ci pare, osserva lo Scolari che ninno
dei Comentatori di Dante ha sin qui ben distinto la vera qua»
lita dei sofferenti in questa vallata d'Inferno. Riflette che Dante
cmsse un poema per li suoi tempi , le parti del quale sono
tutte disposte in corrispondenza al fine politico ch'egli si pro-
P*>se; e che qui intose di parlare degli egoisti e dei yili . I primi
*<ino circoscritti dal m. 22. al 5 1., e li secondi dal v. 5 1. al 69,,
gli ani e gli altri con assoluta separazione di senso. Dei primi
'«de r aborrito esempio negli Angeli^ che nel givm conflitto
/^er sé foro; delli secondi lo ha davanti agli occhi in uno del
70 INFERNO
Questi sciaurati, che mai non far vivi, 64
Erano ignudi, e stimolati molto
Da mosconi , e da vespe , ch^ eran ivi •
Elle rigavan lor di sangue il volto, 6;
Che mischiato di lagrime, a' lor piedi
Da fastidiosi vermi era ricolto .
E poi , che a riguardar oltre mi diedi , 70
Vidi gente alla riva d'nn gran fiume;
Perch' io dissi: Maestro, or mi concedi,
Ch' io sappia quali sono, e qual costume 7 3
Le fa parer di trapassar sì pronte ,
fatti più luminosi del suo tempo , in quello cioè di Celestino V.
di cui si è l'agionato di sopra. Quindi conclude: non potersi
credere , che dove sono puniti gli egoisti ed i vt7i vi sieno i
sospesi j de* quali parla sopra lo Strocchi.^-s
64 ntai non fur i^ii^iy vale quanto nuti al mondo fur no*
minati f né in heney né in male. »-^ Morde acutamente con
questa forma di dire la perduta lor vita. Magalotti. — Vt^iì
la nota del Perticari al 1^. 70. del canto 1. - Il Yat. 2 199 Icgg<
sciagurati y che guasta il verso.
65 m^ stimolati, riguarda anche questo la loro pigrizia
Magalotti, ^hì
67 al 69 Elle rigaifan ec. Allusivamente al marcir nelle
poltroneria e neWozioy che dicesi de' pigri; accenna in co
storo un sangue da lentezza di moto corrotto e guasto , e per
ciò da fastidiosi, schifosi, vermi ricolto, pascolato .
70 »-^ Da questo verso al 120.9 Dante non fa che rappre
sentale la foga dell'anime dannate » che stimolate dalla divini
Giusiizia passano TAchei^onte. Tutto questo squarcio è pieni
di bellezze impareggiabili. Scolari. <-•
72 •-►Il cod. Antald. ci dà un miglior verso*- Perch'io
maestro mio, dissi, concedi. E. R. «-«
7H 74 costume, vale qui legge; e parer vale apparine
esser ueduto. •-►Ma qui pare che significhi qualità, coni
Par. XXXIII. V. 88.: Sus tamia ed accidente, e lor costumi
Torelli. <<-«
CANTO III. 71
Gom' io dìsceruo per lo fioco lame »
Ed egli a me: le cose ti fien conte 76
Qaando noi fermeremo i nostri passi
Su la trista riviera d'Acheronte •
AUor con gli occhi vergognosi e bassi, 79
Temendo no 1 mio dir gli fosse grave,
y 5 fioco lume » detto figuratamente per barlume » o lume de*
hole. \oLri • »-> Lo Scolari spiega come il Volpi , apertamente
dissentendo dal parere del Biagioli, il quale suppone che qui
abbia Dante voluto usare d'una traslazione , e che, come la
raucedine è difetto 9 cosi si possa qualificare con egual voca-
bolo il manco lume. Ma raucedine, oppone lo Scolali, non è
idea esprimente difetto , ma sì appannamento e impedimento di
voce; ed è poi imposaibile il dimosti*are che /foco voglia dir
rauco f e che fiochezza di voce sia eguale a raucedine. -Ma*
galotti n>iega : lume assai languido ; traslazione mirabile di
(peUo che è proprio della voce per esprimere con maggior for^
za quello che si appartiene alla vista • 4^
76 fien e fieno per saranno^ anche nelle prose adoprato:
Tedi r antico Prospetto de* verbi toscani sotto il yerho£sse^
re, n. i5. Reggendo /fé e fieno in questo siccome in molti altri
esempj al senso medesimo di si farà , e si faranno , sembra
rhe dal latino a questi corrispondente flet e flent possano es-
<eni introdotti ed uniti al verbo essere in luogo di sarà e
saranno . * A tal uopo vedi il Prospetto de^ verbi itaL di
Mastrofini , fac. 4^* È* I^* — conte ^ palesi. Vedi cotale pale*
Mmento al i/. i a i . e segg.
77 fermeremo i, la ^^ob»; fermerem li, Talti'e edizioni.
;8 risiera per fiume spiega il Volpi ; ma sul fiume non si
Inmano i piedi, Èiuiera adunque ottien qui il proprio suo si*
gnificato m riva . — Acheronte , nome del gran fiume stesso,
^la riva del quale vedeva Dwale gente i ed, ellissi usando, di-
ce Virgilio d^ Acheronte semplicemente, invece òxà\ved*A^
Atrontey che tu vedi. «-^Biagioli difende la chiosa del Volpi
dicendo, che per fermarsi 0 sedersi sul fiume non è necessa-
rio entrarvi dentro. G)sl nel e. v. Dante fa dire a Francesca:
Sitde la terra , doi^e nata fuij - Su la marina ec. 4^
80 Temendo che 7 mio dir , la Nidob. ; Temendo no 7 nUo
^ì l'altre edizioni, m^ e ultimamente quella del Biagioli , ed
7!i INFERNO
Infine al fiume di parlar mi trassi*
Ed ecco verso noi venir per nave ' 82
Un vecchio bianco per antico pelo
Gridando : guai a voi , anime prave !
Non isperate mai veder lo Cielo: .85
r vegno per menarvi all' altra riva
Nelle tenebre eterne in caldo ^ e 'n gielo :
E tu, che se costì, anima viva, 88
Partiti da cotesti , che son morti :
Ma poi eh' e' vide eh' io non mi partiva^
Disse : per altre vie , per altri porti 9 1
Verrai a piaggia , non qui , per passare :
i codd. Ang.9 Antald. e Caet. E. R. •— Lezione che si volle dt
noi adottare perchè dà maggior grazia e piii forza al verso.
Anche il Vat. 3igi) legge, Temendo né 7 mio dir ec.<<-«
8i mi trassi y mi ritirai , m'astenni. /
83 •-► Un vecchio ec* Forma assai rara e nobilissima per
esprimere la canizie del vecchio Caronte. Magalotti. 4-a
87 •-► in caldo e 'n gielo y intendi 9 tormenti di qualunque
sorta e qualità , Poggiali. «-«
88 al 90 m^ Non disse da codeste /ipenAìè come anime eran
vive; disse da codesti j cioè nomini, de' quali si potea vera-
mente dire che fossero morti . Magalotti . — Afa poiché vide ,
cK*io non mi partii^a^ ^^%?1^ P^^ nettamente il cod. Vat. £. R.
— Il Val. 3 igg. come la JVidob.
91 Per altre vie^ ecy per trovarti altre vie od altri porti
verrai a piaggia ^ ti presenterai tu a questa spiaggia non per
passar qui , qui dentro , nella mia barca . — porti , passi ( spe-
zie di barche, ) su i quali si varcano i fiumi. Daniello. Comu-
nemente cotali legni porti si appellano nella Lombardia anche
in oggi. Porto inteso, come solamente lo intende il Vocabol.
della Cr., per luogo nel lito del mare , doue per sicurezza
ricoverano le naui, non ha qui luogo, m^per altra via ha
il Vat. 3 1 Qq. — Col Rifiorito spiega il Magalotti per altri porti ,
cioè per altra condotta, per altri che si portino; e per lo più
licite legno j l'Angelo che passò Dante all'altra riva. — Due
passi distingue Dante , come osserva il Biagioli , per le anime
CANTO III. 73
Più Keve legno convien che ti poni .
E 1 Duca a lui : Caron , non ti cruciare : 94
Vuoisi così colà dove si puote
Ciò che sì vuole : e più non dimandare :
Quinci fur quete le lanose gote 97
AI nocchier della livida palude ^
Che 'ntomo agli occhi avea di fiamme mote .
che vanno all'altro mondo. Questo , cioè, ove s'imbarcano i rei
per r Inferno , e quello per cui passano l'anime buone desti*
* ~ " ' -^ * iidata da
porti di
parla Caronte. — L'oggetto che ci siamo proposti non può
dispensarci dal qui riferire una postilla degli Editori Bolognesi
a questo luogo, ritenuta di sonmio pregio dall' E. R. et altri ^
» quasi dica : altri ti passerà alV opposta piaggia , non io -,
spasserai in altro legno ^ non qui. Jfon essendo riell'Ache-
9 rontc altro passo , altra nave , si vede come queste parole sie-
» no piene d'ira e di scherno. » <^
93 Pili lieve legno ec. , legno cioè che piii di onesto gal-
leggi, talché il peso del tuo corpo noi faccia affondare, come
cerumente affonderebbe questo, che intanto regge in quanto
che non si carica che di spiriti.
94 Ducuj lo stesso che duce , cioè Virgilio. — Caron ap-
pella, al modo de' Greci e de' Latini, il tragittatore delle anime
ipellea macstiia ne dipinge
mando di Virgilio, e il tacere; e vuol dire, che le barbute
guance , che prima nel minaccioso gridare agitavansi , tacendo
s'acquietarono. — /iViV/a palude appella il fiume Acheronte
piT le torbide e pigre di lui acque . Livido propriamente ap-
pellasi quel nero colore che fa il sangue venuto alla pelle ;
ma qni adoprasi traslativamente per torbido e nericcio .
— Che ^ntorno agli occhi avea ( ave' leggono V edizioni di-
verse dalla Nidobeat. ) di fiamme ruote ^ cerchi di fuoco: al-
lude a quello che dice Vii^ilio dello stesso Caronte : stant
lumina fiamma, {Àeneid. vi. v. 3oo.)
74 INFERNO
Ma quell' anime, eh' eraa lasse e nude, loo
Cangiar colore, e dibatterò i denti,
Ratto che inteser le parole crude.
Bestemmiavano Iddìo, e i lor parenti, io3
L' amana specie , il luogo, il tempo , e 'i seme
Di lor semenza , e di lor nascimenti .
Poi si rìlrasser tutte quante insieme, loG
Forte piangendo, alia riva malvagia.
Ch'attende ciascun uom, che Dio non teme.
Caron dimonio con occhi di bragia i og
Loro accennando, tutte le raccoglie:
Batte col remo qualunque s' adagia .
Come d' autunno si levan le foglie , 1 1 a
L'una appresso dell' altra , infìn che 1 ramo
I oo Ma queWanime ; •-»• Il codice Cass. legge. Ma quelle
{lenti ec. Questa yarìante rende il verso pia sonoro , scansando
'elisione, e sembra aver più analogia colle espressioni segg.
Cangiar colore , ec. — Oltre di che, aggìimge FÉ. R., genie
nuda j cioè senza la mortai gonna , dice meglio che anima ,
alla quale inutile è certo Taddiettivo di nuda. Lezione bellis-
sima , e per solo rispetto alla comune , da noi non introdotta
nel testo. — Il cod. Vat. 3 199 legge anime. ^-«
102 Batto f avverb. subitamente. m-^Tosto invece di Hatto
leggono i codd. Caet. e Ang. E. R. — e il Vat. 3 199. ♦-•
I o4 I o5 9h¥seme - Di lor semenza , V origine delia loro ori-
gine , spiega Torelli. — Gli Avi e i Padri . Magalotti. ♦-•
1 09 occhi di bragia , occhi infuocati .
I I o Loro accennando , facendo loro cenno d'entrare in bar-
ca. — le raccoglie f le riceve nella sua barca.
I I I s^ adagia, ^adagiarsi vale qui prendersela adagio, co-
modamente, m^ s^adagiaj cioè si trattiene , e non già si acco-
moda nella barca , come spiega il Daniello , che sarebbe spro-
posito . Magalotti . — Biagioli come il Lombardi . -«-•
1 1 ^ al I i4>->Similitudine presa da Virgilio nel vi. dcllaEn.,
i^. ioq. e segg. Quam multa in siluis ec; ma qui meglio adat-
tata e p!ii nobile, come osservano il Magalotti ed il Biagioli.<«-«
CANTO III. 75
Rende alla terra tutte le sue spoglie;
Simìlemente il mal seme d'Adamo:. 1 1 5
Gittansi di quel lito ad una ad una
Per cenni , com' augel par suo richiamo .
Così sen vanno su per V onda bruna j 118
£d avanti che sien di Jà discese.
Anche di qua nuova schiera s' aduna .
Figliuol mio, disse il Maestro cortese, 1 1 1
Quelli, che muoion nell'ira di Dio,
Tutti convegnon qui d'ogni paese;
E pronti sono al trapassar del rio , 1 24
1 1 4 •^Alcuni testi , e con essi i codd. Caet., TAntald. e l'An-
irelico (come noU il rem. Ed.) , leggono Fede mveceàiBende.
— T. Tasso ( Dis. 3. ^rt. poet. ) segue questa lezione come
piena di energia, essendo una di ouelle traslaMom che met-
tono la cosa in atto. E. F. -Anche il Vat. 3 199 legge vede.*^
1 16 Gitumsi. Corrisponde questo numero plurale non alla
voce mal seme , ma alla moltitudine che per quella vien si-
gnificata ; come dice Virgilio: Pars gladios stnr^simt\a\ , e
come ne' sacri Salmi: Jttendite , popìUe meus, [6J. òinte.«
wn onesta figura dai grammatici appellata [e], ^ad una ad
una , qui vale quanto , ad uno ad uno , singillatim ; e cosi di-
cesi m «no e in una, simul; e mal semed: Adamo deesi mten-
dere per collettivo di anime, onde segua ad una ad una. lo-
ULLi . — Il cod. Vat. 3 1 99 legge Gittasi .'*■*
117 Per cenni , che loro va facendo Caronte, -come a«-
gel, come gli uccelli si gituno al paretaio o al boschetto, al-
lettati dal canto degli uccelli di gabbia. Vw»tw«i. •^Fer
cenno, legge l'Ang. E. R. •♦« • *
1 2 1 cortese , perche risponde adesso all'interrogazione lat-
tagli da Dante sopra [d]. Vehtijbi.
laaal ia6QBc//i,c*«etf.«^Co/or,cAe, legge 1 Ang.E.R.«^
Tutu quelli che mnoion nell' ira di Dio d'ogni paese convengon
qui. E questo per risposta di quello che dimandò dicendo: CA to
W Jeneid. xii. a^S. [b] Psalm. 77. i. [e] Gerard. Voss. Gtamm. D»
ctmitruct. figurata. [d\ Verso 73. e segg.
76 INFERNO
Che la divina Giusiizla gli sprona,
Sì che la tema si volge in disio.
Quinci non passa mai anima buona: 127
E però se Caron di te si lagna y
Ben puoi saper ornai , che 1 suo dir suona .
Finito questo, la buia campagna 1 3a
Tremò si forte, che dello spavento
La mente di sudore ancor mi bagna.
sappia quali' sono . Ora venendo a rispondere alla seconda do-
manda, la quale è: Ch^ io sappia guai costume li fa parer
sì pronti nel trapassare , dice esser sì pronti a trapassar lo
rio , perchè la divina giustizia gli sprona e punge tanto , che
la tema dell'andar alle pene eterne deirinlemo, si volge in
desiderio. y8LLUTELi.o. «-^a trapassar lo rio hanno TAntald.,
TAng. e il CaeU E. R. — * e il Yat. 3 199. — Opina il Maga-
lotti che Dante abbia preteso di esprimere un terribile effetto
della disperazione dei dannati, pei la qnale paia loro mil Panni
di piecipitarsi nei tormenti, ed empiere in sì fatto modo l'atro*
cita della divina Giustìzia, la quale, secondo loro, è si vaga
della loro ultima miseria. 4-«
1 29 Ben puoi saper er., puoi tu ben capire la cagion del-
le sue grida e di sua ripulsa. Accenna, che le ragioni addotte
da Caronte per non ammetter Dante, e perchè fosse egli an-
cor vivente , e perchè piii lieve legno conveniva che portarse-
lo , non fossero che pretesti ; e che la vera cagione fosse , per»
che egli vi andava per effetto di pentimento delle sue colpe ,
e per istabilirsì in tm salutevole timore dei divini e temi gasti-
ghi, cosa ai demonj rincresce v ole.
1 3 a La mente ^ qui pure , come nel canto precedente, t^» 8.,
per \^ memoria -^di sudore (disudor IVdizioui diverse dalla
Midob.) ancor mi bagna ^ anche ora colla sola ricordanza mi
fa sudare: non essendo f v'aggiunge il Venturi) che una cara
semplicità di taluno ^ l" interpretare ^ che Dante ^ da che
idde questo spettacolo j finché lo descrisse^ non as^sse mai
ancora asciugata la fronte da quel sudor freddo . E pure è
tale costui j che %^uole ogni dottore al lato manco . •-► Maga-»
lotti sostiene che m^nf^ sia ij nominativo dellagcute cbepro«
CANTO IH 77
La terra lagrimosa diede vento, i33
Che balenò una luce vermiglia,
dace il sudore, e sigidRchì fantasia , confutando 3 Vellutello
e il Daniello, che mente ritengono essere l'accusativo indi-
cante la cosa bagnata. —-Lo Scolari vuole cLe mente sia no-
minatJTO , ma che non significhi gùi fantasia , ma si bene me^
moria — Ancor men bagna , legge il cod. Aug. E. R. 4-«
1 33 ] 34 La terra lagrimosa , bagnata dalle lagrime de 'pol-
troni , come ha detto nel p. 68. — diede , esalò , \'ento , - Che
balenò , il quale fece balenare, una luce vermiglia. Per capir
ciò basta supporre il Poeta nostro del medesimo intendimento
che riferisce Cicerone : Placet Stoicis eos anhelitus terrae ,
qui frigi di sintj cumfluere coeperint^ yentos esse : cum aU"
lem se in nuÒem induerint , eiusque tenuissimatn quamque
partem coeperint diuidere , atque disrumpere , iaque cre^
brius facere , et i^ehenientius , tum et fulgura , et tonitrua
exsistere [a] . m^iede v^ento. Questo è conforme la volgare
opinione , che crede il ten*emoto prodursi da aria serrata nelle
viscere della terra ; la quale opinione sappiamo essere stata
alleila seguita da Dante. Magalotti . : — e continua spiegan-
ao: la terra diede i^ento , perche una luce i^ermiglia balenò;
per conseguenza fu quello occasionato da questa. Ritiene poi
che questa luce %fermiglia sia ciò solo che potè il Poeta vedere,
e che debbasi in sostanza intendere per 1* apparizione di un
Angelo , che fece a Dante passare il fiume mentre era tramor-
tito (e non addormentato , come pensano gli altri ) . Avvalora
questa sua opinione col passo della Scrittura: Elecce terrae
wotus factus est nuzgnus; Angelus enim descendit de Caelo;
osservando che l' introduzione del meraviglioso in occasione di
difficili avvenimenti è in pratica di tutti i grandi Autori. -Adun-
que, soggiunge lo Scolan , senza credere che il Biagioli sia stato
il primo a spiegare questo mistero della comparsa di un An-
gelo, chioseremo con esso lui: L* Angelo \fiene , un tremuoto
r annunzia {v. i3i.), F Angelo sia\^anza, un \fento impe-
tuoso il precede (v. i33.j. V Angelo giunge (i^. 1340» Dante
non dee vedere , ed una luce vermiglia lo abbaglia e lo atter^
fa coìne soprappreso da subito sonno (y 1 3 5 . 1 36.). -JE* balenò
d'una luce ì^ermiglia^ legge al u. \'i\, il cod. Ang. E. R. «-«
(«J De diinnai, llb. a. n. 44-
78 INFERNO
La qual mi vinse ciascun sentimento;
E caddi, come Tuora, cui sonno piglia.
i35 1 36 im mije,m'abbatlèy m'instapidl.- fcotfUi, co-
me /*ifOfn, cui sonno piglia : ed a guisa di addormentato cascai
per terra, m^che sonno piglia y legge il cod. Ang. E- K.^^*
Merita osservazione , che in ogni passaggio , tanto in que-
sto 9 come in quello al Purgatorio [a] , ed in quell'altro al Pa-
radiso [6] , sempre il Poeta s*addormenU . Vorrà egli forse
significare , che non si passi a questi luoghi né realmente , se
non per divina forza, né mentalmente, per via di medita-
zione , se non con una mente sgombra d'ogn^altro pensiero >
come d'ordinario suol renderla il sonno . Prova di ciò > almeno
in parte , pait* il »'. 4* del seguente canto :
E rocchio riposalo intorno mossi .
[m] Piurg. iz. II. e s«gg. [b] Purg. xxxiu 68* e segg.
CANTO IV.
ARGOMENTO
Desiato il Poeta da un tuono f e seguendo oltre colla
sua guida y discende nel Limbo , che è il primo cev-
chio dell* Inferno y dove trova l* anime di coloro che
erano colaggiù pel solo originale peccato . Indi è
condotto da Virgilio per discendere al secondo cer-
chio •
iLuppemi r alto sonno nella testa i
Un greve tuono , sì eh' io mi riscossi ,
Come persona , che per forza è desta :
E l'occhio riposato intorno mossi 4
Dritto levato , e fiso riguardai ,
Per conoscer lo loco, dov' io fossi .
I atto per profondo y ch'è T epiteto che suol darsi al mye
sonno ; — nella testa , pleonasmo , nonperò inatile y perocché in-
dicante che nella testa, cioè nel cerebro, formasi quel sopi-
mento che sonno appelliamo. «-^ Sta sul filo della similitudine
presa da chi dorme ; onde chiama sonno quello che .in realtà
era smarrimento di spiriti e svenimento. Magalotti • 4-«
a Un greve tuonoy il tuono dHnflniti guai^ che dirà nel v. 9.
4 5 £ rocchio ec. G>stmz. E diritto levato ( corrisponde a
CIÒ che disse nel fine del canto preced. E caddi j come Puom^
*c.) mossi, girai, intorno rocchio riposato j nel sonno, e r«-
guardai fiso, fissamente, attentamente, m^ Dritto levato , in-
tendi non rocchio , ma Dante. Tobelli* •4-«
Gm^LàV «' fossi ha il cod. Vat. 3 199,— ed il locoj invece
di lo loco , con miglior suono le^e coir Ang. la 3. rom. ediz.-^-^
8o INFERNO
Vero è che 'n su la proda mi trovai 7
Della valle d* abisso dolorosa ,
Che tuono accoglie d'infiniti guai.
Oscura , profond' era ^ e nebulosa io
Tanto, che per ficcar lo viso al fondo ,
Io non vi discernea veruna cosa .
Or discendiam quaggiù nel cieco mondo, i3
Incominciò 1 Poeta tutto smorto:
Io sarò primo , e tu sarai secondo .
7 Vero èj vai quanto la verità si è, fatto sta, e simili «
-^ proda , riva, sponda. Vedi il Vocab. della Crusca •
o valle d'abisso appella T infernale buca, perocché ^tta,
come in progresso apparirà , a guisa di rotonda valle , larga
nella cima e stretta nel fondo.
9 Che tuono accoglie ec. , che unisce nella sua cavila uno
strepito di guai infiniti. »->frono ha il cod.yat. 3 i^g,— e l'Ang.
ha pur trono j e di più, e infiniti guai. E. R. 4-«
1 1 m-^per invece di quantunque^ cioè quantunque ftcciis-'
si ec: piglia ficcar la vista per ussar gli occhi ; maniera assai
bizzan'a . Magalotti, — a /'o/i^^o ha il cod. Stuard., l'Ang. e
il Caet. E. R. <<-«
1 2 •^veruna cosa ; alcuna legge Lombardi colla Nidobeat.|
chiosando: ce Intendi massimamente nel fondo di essa valle infer-
» naie ; imperocché in non molta distanza dal luogo ove stava
» V* era un foco , - Ch'enUsperio di tenebre vincia {%^. 68. e
M seg.), e qualche lume per vedere le vicine cose sempre Dante
» lo suppone. — veruna cosa piacque agli Accad. della Cr. di
» leggere coirautorità di pochissimi testi. » «- Il Biagioli le^e
pure 'veruna ; e parendo a noi ch'egli noti opportunamente es-
sere questa lezione voluta dal sentimento e dairorecchioy l'ab-
biamo introdotta nel nostro testo.-Il Vat. 3 1 99 legge alcuna.^^
1 3 cieco 9 per buio , catacresi molto usata . Vedi il Vocab.
della Crusca .
f 4 s-^ ConUnciò il Poeta, tutto smorto: il Vat. 3199. ^"^
a5 m-¥ Verso assai chiaro quanto alla lettera, dice Magalot-
ti, ma vuol foTs'anche signincare che a descrivere 1* Inferno
Virgilio fu il primo , e I)ante il secondo . 4-«
CANTO IV. 8i
Ed io, che del color mi fui accorto, 16
Dissi: come verrò, se tn paventi,
Che suoli al mìo dubbiare esser conforto ?
Ed egli a me: l'angoscia delle genti, 19
tgm^ Ed egli a me: ec. Qui Dante entra a parlare del vero
LìidIm) da lui figurato ; ed a questo luogo meritano d* esser
lette le Note dello Scolari • Noi ci lìmiterenio a qui dame un
estratto , ciacche ro£Bnrle in disteso noi consente il metodo di
bievità Y<Hato dalle nostre aggiunte .
Si fa egli a parlare : i.^ dell' intenzione di Dante nel far
parala delle anime di coloro che vissero avanti Cristo in rela-
skme al ano poema ; 2P dell'opinione di Dante intomo alla
possibile intora 13>erazione di esse ; 'ÒP del suo pensiero di
dividere il Limbo in due difierenti stati .
iP Osserva che Dante 9 essendosi prefisso di scrivere un
poema pe' suoi tempi , a renderlo efficace cercò ritrame forza
di effetto e probabilità d' invenzione col regolarne il disegno
solle basi di nostra religiosa credenza, e che volendovi far per
entro risplendere la nobiltà e sapienza del divino consiglio nel
premiare e punire , sostituì nelle sue finzioni un sistema teo-
logico a quello della mitologia .
2.^ Dalla condizione medesima in cui Dante raffigura pò»
Ite tali anime, e dai discorsi ch'egli va tenendo a Virgilio > de-
some che , rapporto ai buoni e savj delle generazioni ante*
riori a G. C, non che ai bambini moiti senza battesimo , Dante
opinasse : poter la grazia ed onnipotenza divina condonar
loro quel danno che (data nei primi un'assoluta integrità
di vita) avevano incontrato senza loro colpa ^ come senza
colpa y tranne Voriginaley lo incontrano li secondi.
iP Osserva per ultimo , che nel Limbo immaginato da
Dante (che quello non può essere della religiosa nostra cre-
denza) le amme vivonvi in uno stato non avvivato da una spe-
fvoà assoluta , ma neppur rintuzzato da una certezza contra-
ria ; il che lo stato costituisce di vera sospensione : che a fiur ri-
di Sederini (soggetto del noto epigramma del Machiavelli) non
FoL L 6
8a INFERNO
Che son quaggiù , nel viso mi dipinge
Quella pietà , che tu per tema senti .
Andiam^ che la via lunga ne sospinge. 23
Cosi si mise y e così mi fé' 'ntrare
Nel primo cerchio, che l'abisso cinge.
Quivi , secondo che per ascoltare , a 5
Non avea pianto, ma che di sospiri,
avrebbe avuto a dolersi della ripulsa di Plnto, il quale , non
volendola airinfemo j la mandò al Limbo dei bambuii ; e che
a rendere un omaggio alla virtii eminente immaginò che la
divina grazia abbia colà avanzate le ombre degli antichi Saggi
sino ad occuparvi una sede luminosa , alta ed aperta , formata
da un castello cerchiato di alte mura , cinto da un finmicello ,
e all^rato all' intemo da verde smalto ec. «^
a I pietà I compassione, -^per tema sentii apprendi per ti-
more ; •-► orvero giudichi per timore , in senso deìVita sentio
de* Latini , cosi giudico. Vico. Cosi nota Biagioli. - Il Torelli
spiega: ^er tema, quellapietà che tuargomenti esser timore.^^
a a ne sospinge^ ne la fretta , non ci permette di perder
tempo .
23 Così^ ellissi, intendi, dicendo ; —>^iiiu>e, entrò egli.
a4 Nel primo cerchio 9 che ecy nel primo circolar ripiano»
che r infemal buca circonda . Qii sa com'erano disposti i gradi
intorno agli antichi anfiteatri , non ha , per formare idea dei
cerchi del Dantesco Inferno , a far altro, che concepire divisa
in soli nove altissimi e larghissimi circolari ripiani , a guisa di
gradi d'anfiteatro , tutta l' infernale discesa ; e sopra dei ripiani
medesimi intendervi ripartite le aninie de' dannati .
a5 secondo che per ascoltare . Cosi , ellissi adoperando ,
invece di secondo che per ascoltare parei^a . ■-► secondo che
per r udito sipotea raccorrei Magalotti ; — secondo che mi
parve di comprendere ascoltando ^ E. F. — QiuVi , secondo
c^^ io pote^ ascoltare , troviamo notato nel ms. Torelli : bellis-
sima lezione da lui riscontrata nel codice di Frate Stefano j
e che non senza qualche ripugnanza ci siamo trattenuti d*in«
scrire nel nostro testo . «^
^ a6 Non auea ( per non era ) pianto , ma che di sospiri ,
cioè I se non di sospiri ; ed è modo di parlare piuttosto lom*
chi
CANTO IV. 83
Che Faura eterna £icevaQ tremare.
E ciò avveoia di daol senza martìri , a 8
bardo, che fiorentino, perchè dicono : questo non è ma che
bene , cioè , questo non è se non bene . Lasdivo , seguito da al-
tri, e dal Venturi specialmente. — Se però non è in altre parti
della Lombardia , nel Milanese parmi di poter assicui'are che
cotal modo di parlare , almeno a' di nostri , non sia . Sarebbe
li mai questo tna che il mas què degli Spagnuoli, lo stesso
e il magis quam dei Latini 7 Egli certamente sembra che an-
che a questo senso tomi bene : jVon auea pianto , ma che di
sospiri, non era significazione di dolore piti che, maggiore chcj
di sospiri; cioè non erano lì, come altrove , gemiti e strida, ma
solamente sospiri. »-»> Prima del Lombardi fu già sospettato dal
Magalotti derivare il ma che dal magis quam dei Latini.— >Il
Perazzini Io ripete dal lombardo doma \a\ , ed il Conte Galeani
Napione di Cocconato dal ma eh* d' piemontese [i] , V uno e
raltro significanti solamente. — Il Perticari estima derivato il
ma che dal nuujue o machè dei Romani , che veramente usa-
nmo di questo avverbio allo stesso modo di Dante in signifi-
cato di piucchè [e] ; nel qual senso Fuso pure il Poeta nostro
ael canto xxviii. verso 66. di questa cantica: E non avea ma
ch^un* orecchia sola . Vuole il Biagioli che ma qui valga quan-
to più j osservando con esempi , che in tal senso fu usato anche
in prosa. — Il cod. Cass. legge , mai che ; lezione accettata dal-
rE. R. nella seconda e terza sua edizione, chiosando : se non
sospiri, e cavandone questo senso: si sospirat^a, e non sipian^
gfwì. Questa lezione fu ricevuta dagli Exlit. Bolognesi nella
moderna edix. 1819* — II Vat. 8199 legge, ma* che. ^^
a^ r aura etema : estende ed applica all' aura , ossia al-
l'aria dell' infernale prigione , l' epiteto che alla prigione stessa
più propriamente si conviene.
w di diiol senza martiri f da puro intemo dolor d'animo,'
icnza cagione d' alcuno estemo tormento : dal solo rammarico
d'esser privi della beatifica vision di Dio: non dal fuoco, o
altro esteriore tormentoso mezzo: dalla pena del danno , in
una paiola , non da quella del senso .
[«] Carreei. in DanU Com. Veronae 177$. [b'\ Vedi le Vote a questo
ctato della E. F. [e] Prop. voi. a. fac. i66.
84 INFERNO
Ch' a veaD le turbe , eh' eran molte , e grandi ,
E d'iafanti, e di femmine, e di viri.
Lo buon Maestro a me : tu non dimandi 3 1
Che spiriti son questi , che tu vedi ?
Or vo' che sappi , innanzi che più andi ,
Ch' ei non peccaro ; e s* egli hanno mercedi , 34
^ ^9 le turie, le comitive ^ le brigate; ^ grandi y copiose
ciascuna d' individui della propria classe.
3o femmine^ in contrapposto ad infanti^ e congiunto a viri,
vale quanto femmine di adulta etàj donne. — Wr/, uomini
fatti , voce latina , italianamente però adoperata anche da altri
ottimi scrittori . Vedi il Vocab. (fella Cr. 9^ Di infanti , senza
elisione, leggono il EKonisi e il Vat 3 199.— L'Ang., come nou
r E. R., pone un £ in principio , triplicandolo così con beli' ef-
fetto per la maggiore armonia che ne acquista il verso • Le-
zione per ciò appunto anche da noi seguita . <-m
32 JH^ Ch^ anime sono queste » invece di Che spiriti j ha il
c^d. Ang. E. R. 4-<
33 andi per vadi. L'autore delFantico Prospetto de^^erbi
toscani sospetta ragionevolmente che non (osse ai tempi di
Dante cosi difettivo il verbo andare come lo è al presente [a] ;
e ne arreca in conferma quell' altro verso del Burchiello :
Sesso , quando andi alla città Sanese [b] :
ove certamente non adoperasi an^i per cagion della rima.-*Per
via di molti esempj raccolti da' primi Autori italiani non resta
Ìiii dubbiosa una tale assertiva. Vedi Mastrofini, Teoria e
Prospetto ecy fac, 91. e seg. E R.
'i^ mercedi vale opere buone-, e però disse anche Gino da
Pistoia :
Che ben faria mercè chi vn! uccidesse \c\.
•-^ Ma il Biagioli sostiene che mercedi non voglia dire opere
buone, ma premio d'opera buona ; e siccome il premio suppo-
ne l'opera corrispondente, però usasi l'uno per l'altro.*- Ma-
galotti spiega: mercedi per meriti, come altrove al \f. 73. e- xxxi i.
del Farad.: Dunque^ senza mercè di lor costume, ^m
[a] Sotto il verbo Andare, n. i. [b] Pari, 2.8011. 6a. [e] Rim, ani. Fi-
rcosc i5a7.1ib. 5.
CANTO IV. 85
Non basta , perch' e' non ebber battesmo ,
Ch'è parte della Fede, che tu credi ;
36 Ch^èparte : lezione ammessa dalla comune de'testi ma-
noscritti e stampati avanti la correzione degli Accademici della
Crusca , e la sola che non incontra veruna difficoltà. Wh¥ G)sl
leggono pure i codd. Qiet. e Ang. E. R. — e il Val. Siop^^Hi
Basta avvertire di non prendere il che per il quale 9 relativo
alla sola voce battesmo , ma per lo che 9 relativo a tutta la sen-
tenza ; cioè che non bastano per salvarsi le buone opere senza
il battesimo : e la è questa veramente una parte ^ o sia un ar«
ticolo della fede che noi crediamo .
Per mancanza di questo intendimento è sembrata agli Ac-
cademici prefati gran sorte di avere tra li novanta e pili testi ,
cbe per la correzione del presente poema consultarono , trovati
dne, ne' quali era scritto porta in vece di parte ; e caccian-
done questa lezione , e quella inserendovi , scrissero in maiv
gine : Sappicndosi quanto il Poeta fosse scienziato in diyi'^
nitàj e da^ maestri a essa chiamandosi il battesimo janua sa-
cramentorum , abbiamo con P autorità j quantunque di pochi
testi y rimesso porta nel nostro testo : tenendo per fermo ,
^ luogo essere stato guasto dalla ignoranza de^copiatori*
Oltre alVessere indivisibile la ragion formale della fede 1
^n pare che possa dirsi a%f€r parti .
Egli è però ben diverso appellare il battesimo porf a dei
sacramenti j ed appellarlo porfa della fede ; imperocché apre
l>ensi il battesimo la via a ricevere gli altri sacramenti , ma
non già a ricevere la fede ; anzi (tutto il contrario) la fede di-
spone a ricevere il battesimo : creda filium Dei esse Jesum
Christum dovette protestare l'Eunuco al santo diacono Filippo
prima di esseme battezzato [a] : e istessamente y cosi santa
Obiesa ordinando, professar debbono tutti quelli che al mede*
cimo salutare lavacro aspirano. Il perchè non il battesimo por-
to della fede appellare si dee 9 ma piuttosto la fede por^a del
^tesimo . E tale , per dir vero , se non l'ha Dante espressa-
mente pronunciata , l'ha però evidentemente accennata nel se*
condo della presente cantica , dicendo essere la fede principio
olia via di salvazione \h] .
Qie poi la ragion formelle della fede , cioè l'autorìtà di
[à\ AcL 8. 37. [b] Verso 3o.
86 INFERNO
E se furon dinanzi al Gristianesnaio , 37
Non adorar debitamente Iddio :
E di questi colai son io medesmo .
Dio rivelante , sia una e indivisibile , ciò è verÌMÌmo : ma edi
è però ugualmente vero , che ha la fede distinti articoli ; e clic
per la ragione medesima che articoli sì appellano [a] , pos-
sono anche appellarsi parti .
Per un altro motivo vorrebbe che si leggesse porta , e non
parte , il sig. Bartolommeo Perazzini [b] , per corrispondenza
cioè a queiraltro passo del Parad. canto xxv. i'. 8. e segg.
in sul fonte
Del nUo battesmo prenderò V cappello :
Perocché nella Fede , che fa conte
L'anime a Dio , quiv entropio , ce. ^
Unendo noi però questo a quell'altro eia riferito parlar
di Dante , che la lede è principio alla via ai salvazione , ed
alla stessa verità del fatto della precedenza della fede al bat-
tesimo , tosto ci avvediamo , che altro qui non accenna il Poe-
ta , se non appunto l'anzidetto universale rito di professare i
battezzandi, nel luogo medesimo dove devono battezzarsi,
la fede al prete prima di riceverne il sacramento : e non già ,
che pel battesimo entrasse egli nella fede , come intende il
sig. Perazzini. »->Nota qui Torelli : altri leggono , ch^èpor^
ta , ma senza necessità , potendosi ritener ^aric ; essendo che
la fede cristiana ci propone da credere altre cose oltre il bat-
tesimo . •#-•
i 38 Non adorar debitamente Iddio : richiedendosi per co-
! tal debiu adorazione la fede , ch'essi non ebbero , in Cristo
venturo . Vedi ciò ch'è detto nel i. di questa cantica j y. 12.
Dio y leggono l'ediz. diverse dalla Nidobeatìna .
39 di questi cotai son io medesmo . f^irgilius ( scrive P<v
tavio) [e] Sentio Saturnino y et Lucretio Cinna Coss.anno
mundi 3960, ante Christum 19, Brundusii moritur. Unendo
però quanto rileva Rueo della morte di Virgilio l'anno 4^ ^^"
[à] Ut enim corporis membra articulis distinguunlur\ Uia etiam in
hac fidei confessione quidquid distincie, et separalim ab alio nobis
ctedendum est, ree te et apposite articulum dicimus, Gathec. RonL
cip. I. [b] Correct.in Dant, Com, Veropae 1795. [c\RaL Temp. F. 1.
lib. 4* cap. ai.
CANTO IV. 87
Per tai difetti, e non per altro rio, 4^
Semo perduti , e sol di tanto offesi ,
Che senza speme vivemo in desio.
Gran duo! mi prese al cor, (juandò lo 'ntesi , 4*^
Perocché gente di molto valore
r impero d'Ottaviano Augusto [a], e ciò che scrive Baronio
della nascita di Gesù Cristo l' anno del medesimo Imperatore
4i 0 4^ [^] 9 viene la moHe di Virgilio a seguire 3 o 4 ^^^^
dopo nato G- G. Ma anche a questo modo sarebbe vero che
fosse Virgilio dinanzi al cristianesimo; imperocché s'intende
incominciato il cristianesimo, non colla nascita, ma colla pre-
dicazione di Gesti Cristo •
4o rio y sustantivo, per reità ^ come in quell'altro passo
del Piupg- e. VII, V. 7. e seg.:
T son Virgilio ; e per nulV altro rio
Lo Ciel perdei, che per non aver Fé.
M^Per tai diffecti, non per altro rio, sopprimendo la
cepola e, legge il Vat. 3 199. <-«
4i Semo per siamo . Ayemo e semo (scrive il Cinonìo) che
nel Petrarca, e nel Boccaccio si leggono; e cotante si fatte,
che sì frequentemente in Dante si trovano e ch^entrano nel
parlar comune di tutta Italia, non si dovranno cacciare cor
me straniere; ma come parcamente usate dagli scrittori ,
parcamente usarle ancor noi [cj. — di tanto, in luogo di sem-
plice tanto, equivalente qui a talmente [d]; — offesi, molesta-
li,afflitti. m^Semo perduti. Avendo detto Virgiuo nel canto 11.
V, 53.: Io era intra color, che son sospesi , il semo va inteso
per maniera elittica esprimente: siamo tra li perduti; il die
è vero quanto alla collocazione di essi spiriti , ma non mai ri-
spetto alla condizione loro, mentre , se ciò fosse , Virgilio si
direbbe dannato e sospeso ad un tempo . Scolabi. <^
4^ senza ( sanza Pediz. diverse dalla Nidob.) speme vive"
mo [^fer viviamo, come sopra sem^ per siamo ) in desio : vi-
viamo in desiderio della beata vision di Dio senza speranza
di ottenerla .
43 »^ Gran duol mi prese allor , ha il cod* Ang. E R. 4-«
[a] Firg. HisU [li] Noi. ad Martirol. Rom. 95. decembr. [e] Tratt, d$i
Terbi, cmp. 3. [^J Vedi Cinon. Parile. 936. n. 4* 0 16 •
88 INFERNO
Conobbi , cbe 'n quel Limbo eran sospesi •
Dimnìi, Maestro mio^ dimmi, Signore, 4^
Comincia' io per voler esser certo
Di quella Fede , che vince ogni errore :
Uscinne mai alcuno o per suo merto, 49
O per altrui , cbe poi fosse beato ?
E quei, che 'ntese 1 mio parlar coverto,
45 sospesi: perchè «picsto termine adoperi , si è dello no I-
r Inferno, e. ii. i^. 52.
47 ^^pcr voler esser certo^Di quella Fede ec, per avere
ripi*ova di quella fede , che quantunque dagli errori impugnata
sempre trionfa .
49 »-► Uscì ci ha il cod. Vat. 3 199. ♦««
5 1 parlar coi^rto ; imperocché invece di apertamente di-
mandare se Gesti Cristo dopo morte discendesse colaggiù , e ne
traesse l'anime de 'giusti a lui premorti , addimanda solamente
se alcun mai uscisse di là o per proprio, 0 per altrui merito.
Ma perchè questa copertura di parlare? perchè tacere il
nome dì Cristo, tanto Dante nella proposta, che Virgilio nella
risposta? Forse per essere Virgilio stato uomo del gentilesimo?
Cosi l'intendono il Landino e il Daniello. Ma se non ostante
sapeva Virgilio ciò che fosse cristianesimo (come dal preceden-
te di lui parlare si scoile ) , e sapeva che dopo l' institozione
del cristianesimo era necessario per l' eterna salvezza il batte-
simo, perchè non poteva lui nominarsi, e nominar esso pure
l'ìnstitutore del cristianesimo e del battesimo Gesii Cristo?
Osservando io che non solamente qui , ma in nessun luo-
go dell'Inferno mai nomina Dante altro , né & da alcun nomi-
nare il nome di Gesii Cristo, eleggerei piuttosto di credere mo-
tivo di cotale silenzio quel sanctum et terribile , che del nome
di Gesù Cristo predisse Davide [a\ ; e per non propinare la
santità del nome in quell'infame luogo , e per evitare lo spa-
vento che il di lui suono avrebbe colaggiii apportato. »-»>Altra è
la ragione, secondo il Biagioli, di qacsto parlar covertoi^A me
» pare, die 'egli , che il giusto motivo sia che, se avesse Danto
» in altra forma fatto cotal dimanda , avrebbe mostrato di du-
[a] Psal. 110.1^.9.
CANTO IV. 89
Rispose: io era nuovo in questo stato, 52
Quando ci vidi venire un Possente
Con |segno di vittoria incoronato «
Trasseci l'ombra del Primo Parente , 55
D'Abel suo figlio, e quella di Noè,
Di Moisè legista j e l'ubbidiente
» bìtar di quello di cui era già certo • E poi la dimanda di Dan-
» te è semplice e naturale > siccome naturalissima è la rispo-
» sta di Yii^io f perchè conforme alla prima sensazione da
» lui provata in veder scendere nel Limbo quel Possente in-
» coronato con segno di vittoria . Infine , come sarebbe prò-
» iànato j pronunciandolo 9 il nome di Cristo là ove non si prcH
» fanò la persona medesima con andarvi ? Se nome tanto san-
» tissimo non si profima nelle piii vili taverne ? Se non nelle
9 impurissime bocche di chi tutto di lo bestemmia ? »4hì
5a era nuovo in questo stato y era venuto qui non molti
arni] prima, per essere 9 com'è detto al verso Sg., morto Vir-
gilio, o secondo Petavìo diciannove anni avanti Cristo 9 o se-
condo altri nel terso anno dalla nascita di Cristo • Secondo
ambedue questi , quantunque varj 9 pareri 9 risulta tra la morte
di Vii^Ho e la morte e andata di Qristo al Limbo un divario
d'anni che 9 paragcmato agli anni quasi mille e trecento scorsi
dalla morte di Cnsto al tempo che Virgilio cosi parlava 9 potè
ragionevolmente riputarsi picciolissimo •
53 5^ un Possente 9 Cristo Redentore. - Con segno di iàt^
tona incoronato 9 cioè incoronato di palma 9 che vittoria si-
gnifica , siccome il lauro trionfo • Vellutello . - Ma ben puos-
si per vi/toriaintendere trionfo; e lasciarsi la corona di palma
a'retori ed avvocati nelle forensi aringhe, ai quali solamente
Rassegnano gli antiquari M ' *^ Quando vidi venire un Re
possente , legge TAng. E. R, ♦«
55 Trasseci per trasse di qua • Vedi il Varchi nell'i^rco-
lano . VoLM. — Primo Parente, Adamoi parente ^er padre
alla maniera latina 9 che ha per sinonimi parens e pater.
57 legista (significa lo stesso che legislatore), e ubbidiente.
Sembra cJie voglia il Poeta con questa unione in Moisè di le^
[a] Laorent. Polymai. lìb. 5.
90 INFERNO
Abraam Patriarca, e David Re, 58
Israele col Padre, e co' suoi nati,
£ eoa Rachele, per cui tanto fé':
Ed altri molti , e fecegli beati : 6 1
£ vo' che sappi , che dinanzi ad essi
Spiriti umani non eran salvali .
Non lasciavam d'andar, perch'ei dicessi, 64
«
gista e ubbidiente sferzare rordmarìo costume de' legislatori ,
di più volentieri comandare , che ubbidire; e di facilmente in
favor della propria loro persona trovar epicheia a quella legge
che vogliono dagli altri rigorosamente osservata. Ubbidente^
invece à^uhbidientej leggono Tediz. diverse dalla Nidob. Ubbi-
diente però non solo si adatta meglio all'uso dello scrìvere; ma
sciogliendosi nella seconda i\ e pronunziandosi di cinque silla-
be, arreca al verso dolcezza. •-►Ckisi chiosava il Lombardi; ma
>f itenendo noi che Dante abbia qui voluto decisamente qualifi-
care Abramo , come in piii luoghi ce lo dimostra la Sacra S<:ril-
tura , modello di perfetta obbedienza al volere di Dio, abbiamo
perciò tolti i due punti che si riscontrano in tutte le edizioni
dopo ubbidiente^ affinchè subito s'intenda doversi quest'epiteto
non già a Mosè, ma bensì ad Abramo riferire. Questa lezione fu
I>ropostadal ch.sig. Ab. e Bib. Francesconi in una sua Memoria
etta nella I. R. Accademia di Padova nell'aprile del 1 8 1 3. <-«
59 Israele col Padre j la Nidob.; Israel con suo padre j le
altre edizioni . Israele fu il nuovo nome che impose l'Angelo a
Giacobbe , figlio d'Isacco^ dopo ch'ebbe con esso lui lottato [a].
«— nati "per figli j alla maniera latina, voce adoperata anche da
altri buoni italiani scrittori . Vedi il V ocab. della Gr »-^ Israel
con lo Padre ha il Vat. 3 199. ^-«
60 Rachele , figlia di Labano , per aver la quale in isposa
servi Giacobbe a Labano quattordici anni [i] .
63 non eran salitati, non erano in Paradiso, perocché dal
momento in cui Adamo peccò fino alla redenzione stato chiuso.
6^JYon lasciavam d'andewyperch^eiy la Nidobeatina; Ta/i-
daryperch*e\ l'altre edizioni, -"dicessi per dicesse j antitesi in
grazia della rima. m^VandarypercVè* dicessi^ leggono i codici
[a] Genes. 3a. v, a8. [b] Genes, 39. v. a3. e 5o.
CANTO IV. gì
* Ma passavam la selva tuttavia j
La selva dico di spiniti spessi •
Non era langi ancor la nostra via 67
DI qua dal sommo, qnand^ìo vidi un foco,
Gh' emisperio di tenebre vincia •
Vat. 3 199 — * e Angelico. E. fi* — ed anche il Magalotti, die
spiega: ancorché ei favellasse. 4-c
65 m^ tuttavia, forma elittica, e non sinonimo dell' avver-
bio sempre 9 siccome il Vocab. della Gr. e i suoi Compilatori
veglione ; ma dell' espressione in , o per tutta la via , e mo->
difica soltanto nn' azione cominciata una o piii volte, riguardo
al proseguimento della medesima . Biagioli. <-•
66 selva di spiriti spessi 9 vale quanto folla di moltissimi
spiriti.
67 m~^IV6n era lunga • Cosi il Lombardi colla Nidobeat., e
chiosava : non era ancor molto il viaggio da noi fatlo^'^Non
era lungi , leggiamo noi con tutte V altre edizioni , sembran-
doci che il lungi esprìma assai meglio il concetto, ^hì
68 69 Di qua dal sommo, di qua dalla sommità, dalla proda
della valle d^ abisso [a], su la quale essendo disse Virgilio;
Or discendiam quaggiù ec. [6 j. Kipetendo Dante col pensiero
in questa narrativa il viaggio realmente fatto, adopera lo stes/io
di qua, che avi*ebbe adoperato parlando colaggiù.-u;» foco ,
-(Hiemisperio di tenebre vincia. Tutti gli Espositori comur
Demente intendono detto t;i/icia in grazia della rima per vineea,
dal verbo ^vincere nel solito italiano significato, corrispondente
al latino vinco , is, di superare. Ma però se per V emisperio di
tenebre non può (come pare che certamente non possa ) inten-
dersi altro che tutto il rotondo buio dell' infernale buca ; po-
nendosi tutto questo buio da cotal fuoco superato , come potuto
avrebbeDante della medesima infernale buca dire: Oscura,pro^
fond^era, e nebulosa [e]? Io dubito che vincia adoperi qui
il Poeta nostro non al senso di superare , ma a quello di ay*
t^incere , di cingere , di circondare , corrispondentemente cioè
al Ì9tmo vinciovincisj non al vinco, iV.Egii almeno par certo,
che il fuoco, di cui Dante favella, suppor dovesselo aggirarsi a
tutta intomo la infernale buca. Abbiansi le seguenti xiflessioni.
[a] Vcfio 7 e 8. [b] v. i3. [e] v. io.
92 INFERNO
Di lungi v'eravamo ancora un poco, ^o
Ma non sì, ch'io non discernessi in parte,
Serviva colai fuoco a rendere illuminato il luogo abita-
to dai Gentili eroi in armi ed in lettere , in premio delle lur
chiare gesta.
Il luogo da questi abitato era una circolar divisione del
firimo infernal cerchio > fatta dal giro in esso, per tutta la di
ui estensione , di sette alte mura e di un fiumicello [aj ; ed
aveva cotale circolare striscia per termini esse mura da un lato,
e dall'altro r infernal vano. Si fatta circolare abitazione , oltre
che la intende e insegna ilVellutello, che nella infernale Dan-
tesca topografia è tra gli Espositori il piii dilìgente ed esatto,
viene poi anche stabilita dalla uniformità ; stile essendo di
Dante di non costituire mai difierenti magioni, se non circo-
lare ciascuna intomo a tutto Tlnfemo.
Il fuoco di una sola fiamma esistente in una sola parte di
esso giro , o non avrebbe potuto portare il lume a tutto intomo
il vastissimo giro , di miglia ( secondo il calcolo di esso Ycllu-
tello [&]) piii di ottocento; ovvero, posto che la smisurau
grandezza ciò avesse potuto, avrebbe eziandio dovuto spander
lume moltissimo a tutta V infernal valle , e non lasciarla es-
sere , come era, oscura e nebulosa [ci ; massime per non es-
sere ( al calcolare del prefato yellutello,[<iJ ) niente piii pro-
fonda che neir orificio larga.
Un fuoco adunque conviene intendere piccolo, ma che gi-
rasse tutto intomo quel cerchio; e che per conseguenza tutto
circondasse il buio infernale emisperio, m-¥ un foco , forse una
fiamma librata in alto nell' aria. Ne è da stare attaccato alia
forza delle parole , dovendosi qui Dante intendere come poe-
ta, e non come geometra . Magalotti. — Pare al Biagioli che
il Lombardi derivando il vincia dal verbo lat. wncioj tolga
al concetto ogni bellezza , e spiega vincea . Crede poi che il
fuoco, di cui qui si parla , sia un chiai*ore egualmente diffuso
per tutto il contenuto dal giro delle mura del castello ; chia-
rore che il Poeta chiamò fuoco , perche tale gli apparì dal luo-
go ond* egli il giudicò esser tale . — Alla parola emisperio vi
è nel cod. Ang. in postilla la parte de socio delVonfemo. E. B.
[à\ Verso 106. e w^^. [b] Descrizione dell'In ferno premessa al co-
mento . [e] Verso 10. [d] Ivi.
CANTO IV. 93
Gh' orrevol gente possedea quel loco :
0 tu, ch'onori ogni scienza, ed arte, 7 3
Questi chi son, ch'hanno cotanta orranza,
Che dal modo degli altri gli diparte?
£ quegli a me: l'onrata nominanza, 76
Che di lor suona su nella tua vita.
Grazia acquista nel Ciel, che si gli avanza.
Intanto voce fu per me udita: 79
'^ sonno ia luogo di sommo 9 hanno il Vat. 3199 e PAng. ;
i] CaeL però legge sono. E. R. -—Anche il Torelli legge
sonno, e intende, di qua dal luogo , dou^ io nC addormen"
tai ; ed il cincia , derivandolo pure dal latino vincio , lo spiega
per cerchiala ^"^(^ue^Ui lezione è pur seguita ed intesa egual-
mente dal Perazzini e dal Venturi ; e dietro Tautorità dei citati
codd.9 ed il parere di questi tre illustri Chiosatori , si potrel^-
be preferire a quella della Nidob. 4hì
72 orrei^olefer onorei^o/e, moho da'buoni antichi adoprato*
Vedi il Vocab. della Cr.; e dovrebbe essersi fatta questa voce
per antìtesi dalla sincopata onreuole, come fu fatto orranza
di onranza . m^ Il cod. Stuard. Xe^gi^possedean , e soggiugne
Biagioliy che forse Dante scrisse così .4hì
73 onori j fai col tuo scrivere salire in pregio* m^O tu
c'onori et Scientia et Arte ha il cod. Vat. 3 199. 4hì
74 orranza per onoranza, onore, voce pure da molti buoni
antichi usata . Vedi il Vocab. della Crusca.
73 dal modo , dalla condizione . * Il codice Cass. legge 9 dal
ikndo , ed il suo Postili, chiosa : guia non sunt in ea parte
in qua ala. Sebbene questa nuova lezione possa stimarsi mi-
gliore f non abbiamo creduto necessario di sostituirla nel te-
sto, e ci siamo contentati di qui riferirla. E. R.
76 onrata, sincope d^ onorata. Vocab. della Gr. — nomi''
nanza , nome , fama .
77 suona j rimbomba ; — su nella tua vita , lassù dove tu
ancor vivi, nel mondo.
78 Grazia, favore; — gli avanza, gli fa superiori di con-
dizione agli altri di questo luogo .
79 w-^per me eqmvale adfa me; maniera moltoelegante usata
da tatti i buoni sci*it(orì si antichi che moderni. Poooiali. ««
94 INFERNO
Onorate Taltissimo Poeta:
L'ombra sua toraà, ch'era dipartita.
Poiché la voce fu restata^ e queta^ 82
Vidi quattro grand' ombre a noi venire :
Sembianza avevan ne trista , né lieta •
Lo buon Maestro cominciommi a dire: 85
Mira colui con quella spada in mano^
Che vien dinanzi a' tre , si come Sire •
Quegli é Omero poeta sovrano : 88
L'altro è Orazio satiro, che viene ,
80 V altissimo Poeta j Virgilio.
81 dipartita y per assistere a Daate [a].
82 restata ^ e queta y pleonasmo in grazia della rima • »-^Ne-
ga irBiagioli che sia qaesto mi pleonasmo» e perchè non può
esserlo in alcuna lingua, e perchè Dante non fu mai servo
della rima 9 e perchè in fine le voci restata e queta hanno
qui una marcata differenxa di significato . <-«
84 ne trista j ee. Fa costoro e tutti gli eroi, che in seguito
dirà, esenti da quei gravi sospiri, Che Paura eterna faceyan
tremare [&J: e però uscendo dal luc^o loro , dirà dì uscire JF'uor
della queta nelVaura , che trema \c\ m^nè trista perchè non
erano in pena, né lieta perchè non erano in gloria. Poggi ali.4-«
85 Cominciommi a dire, la Nidob.; cominciò a dire^ Tal-
tre edizioni ; •-► e ^ncominciò , il cod. Vat. 3 1 99. ^hi
86 airSS con quella spada in mano , in simbolo delle da
lui cantate guerre. Anche (suggerisce opportunamente il dottisi,
sig. Ennio Visconti) nella famosa apoteosi d'Omero, antico bas-
sorilievo nella biblioteca dell'eccellentissima casa Colonna, una
figiira tenente la spada in mano simbolecgìa le da lui cantate
gueiTe|^aJu>ire,signore,prenape;jovrano,pnncipale,pnmano.
89 satiro , cioè satirico , compositor di satire : come i Latini
pure dissero satirus prò eo qui satiram scribit [e].
[a] Inf. II. Sa. e segg. [b] Vers. ^T»[c] Vers. 1 5o. [d] Vedi la fisura del
baMorilievOy e le illustrazioai al meclesimo fatte dal Caperò, Deitom. -j.
del Poleoi, SuppL al Tesoro delle aoticfait^i di Gre v io e Gronovio.
[e] Perottus Cornueop. in Bpìgr. 6., ed anche Roberto Stefano The-
jéuw. Jing. lat. art. Satirus.
CANTO IV. 95
Ovidio è '1 terzo, e T ultimo è Locano.
Perocché ciascun meco si conviene 91
Nel nome , che sonò la voce sola ,
Fannomi onore, e di ciò fanno bene.
Così vidi adunar la bella scuola 94
Di quel Signor dell'altissimo canto,
92 Nel norncy cioè di poeta $ — che sonò » che fece risuo-
nare ; — voce j quella cioè che disse : Onorate rattissimo
Poeta. - F^oce sola , per s^oce di molti , che gridino insieme
lo stesso y chiosa il Volpi , e ne adduce in esempio quel verso
di Maniale : f^ox diì^ersa sonat : vopulorum est yoac tamen
una [aj. E di fatto dicendo Dante cne , dopo udita colai voce,
vide avvicinarsi quelle quattro grand* ombre , accenna che
fosse la voce non a*una , ma di tutte e quattro insieme le om-
bre . m-¥ Fanno bene a onorarmi , perchè siamo tutti poeti , e
Tonore che è fatto ad uno toma sopra tutti . Magalotti. - Per-
chè gli eccellenti nella medesima facoltà è bene che si dimo-
strino una scambievole compiacenza del loro rispettivo merito.
PoGGiAi.1. — Godono di far onore al loro cor^ratello , spie*
ga invece lo Scolari , ritenendo che bene sia sostantivo e non
avveribio , ove giustificare si voglia l'approvazione che Virgi-
lio (sapposto bene avverbio) viene a manifestare degli onori
resi a lui stesso. '<-«
95 Di quel Signor eCj d'Omero, principe dell'epica poesia,
flit d*ogni altra sublime. Il Venturi, persuaso che fosse Omero
inventore del verso eroico, crede che a cotal 'invenzione miri
questa lode dì Dante ; ma n'è confutato dal Kosa Moi*ando [b].
m-^ Si è agitata in questi ultimi tempi la quistione, se per
la beila scuola quella di Omero si abbia ad intendere, o quella
dì Virgilio 9 e se quello 0 questo abbiasi a ritenere «Signore «/e/-
Caltissimo canto . — - Il Dolce intese qui Virgilio , e lo intese
rlmente lo Speroni , come rilevasi dalle sue postille ine^
marginali che si leggono in un esemplare Aldino della Di-^
vina Gom. posseduto dal eh. March. Giacopo Trivulzio. Tale
sentenza , data senz'altra spiegazione dai due predetti autori ,
venne sostenuta dal eh. signor Abate e Bib. Fi^ancesconi in un
[m] im amphitheatrum Caes* epigr. 3« [b] Osserv. sopra Flnfi al pre-
scQia cauto iv.
96 INFERNO
discorso Ietto alP I. R. Accademia di Padova nel i8i3^ e fu
dopo difesa anche dai eh. signori M arzari ed Ainalteo 9 dal pri-
mo con una Memoria , e dial secondo con un Dialogo , letti
alFAteneo di Treviso nel 5 marzo 18 1 5 [a] $ parendo loro che
cosi richiegga la convenienza di tutto il discorso : i.^ perchè
il Poeta allude all'inno poco sopra cantato dai quattro accen-
nati poeti, iquali al ritorno di Vii^ilio mossero incontro a lui
per onorarlo » e come a loro Capo intuonarono : Onorate rat-
tissimo Poeta; 2P perchè Dante , conoscitore di que*sommi
poeti e libero nella scelta , preferi Virgilio 9 anziché Omero,
a guida nel suo viaggio^ 3.^ perchè quell'el(^o di Dante, aven-
do in mira principalmente lo stile, deesi credere fatto a Vir-
gilio , e non già ad Omero , di cui non conoscendo la lingua,
non potea esseme giudice competente; 4*^ perchè se Dante
nel suo poema parla , all'occasione , con lode di Omero , o il
fa per bocca di Vii^ilio , o dove non sieno messi questi due
poeti a coufironto; 5.^ perchè il debito di gratitudine e di ci-
viltà l'obbligavano a preferire Virgilio ad Omero, come quello
che in cosi diiEcilc e disastroso viaggio gli si era di già offerto
a Duca . Fin qui Marzari ed Amalteo. — Aggiungi per 6.^ che
Dante riconosce sempre per suo autore Virgilio , a preferenza
d'ogni altro , chiamandolo onore e lume degli altri poeti y la
Musa maggiore , V onore di ogni arte e scienza; e per yP
che il posteriore supera in merito l'anteriore, come quello che
perfeziona; e come Aristotile è posto innanzi a Platone, ben-
ché fiorisse dopo, cosi nel coro de' poeti ha la preferenza Vir-
gilio, come il perfezionatore dell'epica poesia. Questi due ul-
timi ai^omenti si leggono nelle Note dello Scolari, il quale,
ciò non pertanto, accordandosi coi piii , ritiene che Dante al-
luda qui decisamente ad Omero: i.^ perchè il senso naturale
e proprio di Scuola unendo l'idea d'insegnamento, non si
conviene che a quella d'Omero; ^P perchè Virgilio stesso lo
qualifica ^oeM sovrano ; 3.^ perchè le poche lodi tributate da
Dante ad Omero, sono tali che equivalgono alle molte che dà
a Virgilio, chiamando Omero colui
Che le Muse lattar più ch^ altri mai;
4-^ perchè il verso: Di quel Signor delV altìssimo canto , con-
siderato il luogo in cui parla Dante in compagnia di Vii^ilio,
è ^iniOò'tr/z^iVod'uua persona che gli sia alquanto discosta, qoal
era appimto Omeix> che veniva incontro ad essi. 4-«
[a] Vedi Memorie Scienti f, e Leti, dell* Ateneo dìTreviso^t. i.fac. 4i.
CANTO IV. 97
Che sovra gli altri , com aquila , vola .
Da ch'ebber ragionato 'nsieme alquanto, 97
Volsersi a me con salutevol cenno :
E'I mio Maestro sorrise di tanto:
£ più d'onore ancora assai mi fenno, 100
Ch'essi mi fecer della loro schiera,
Sì ch'io fui sesto tra cotanto senno.
Cosi n'andammo infino alla lumiera, io3
96 ccm^aquilay volai ellissi , e sarebbe T intiero parlare >
con^e aquila sopra gli altri uccelli vola, estollesi.
97 al 99 »-► ce Qai non accade strologar molto quello che
u Virgilio a costoro dicesse, vedendosi manifestamente (tanto è
» artificioso qaesto terzetto) ch'egli li ragguagliò delFessere di
» Dante, del suo poetico spirito, e della sua profondissima
» scienza. Ciò si discopre dalla cortesìa del saluto ch'essi gli
x> fecero , e dal sorridere che ne fece Virgilio . Magalotti. » 4-«
sorrise , fece bocca ridente , mostrò piacere ; * di tanto dee
equivalere adi ciò. L'equivalenza della particella tanto alla
CIÒ vedesi in pertanto e perciò . m-^di tanto , sottintendi ono-
re j diiosa il Biagioli, negando che di tanto valga di ciò. ^-c
1 00 m^Ed anco più onore assai mi fenno , TÀng. E. R. 4-«
101 loa CK* essi mi fecer ^ l^gg^ ^^ Nidob., e istessamente
parecchi mss. veduti dagli Accademici della Cr. E mi fa mera-
vìglia , che non preferissero gli Accademici questa lezione alla
Ch*ei si, che dall'Aldina hanno trascritto nell'ediz. loro: le-
zione, nella quale o vuoisi la particella si per riempitiva, e
non produce se non deirimbrogliojin vicinanza massimamente
dell'altra sì nel seguente verso; o vuoisi posta per così, per
to/pit^n^e, ed allora abbisognerebbe che fosse Dante tra cotanto
senno stato fatto non il sesto j cioè l'ultimo, ma un de'primi.
— Sì cK*io vale onrf' io [a\. m-¥ Ch*ei sìmmi fecer ec. ha il
Vat. 3i99.4-a
io3 alla lumiera y al fuoco, che disse nel i^. 68., che o sem-
plicemente per isplcndente aerea circolare striscia dee inten-
dersi, o al pili per una circolar serie di fiaccole: al qual senso
[a] Del sì che o sicché a colale si^ificato vedi il Vocab. della Cr.
Fai. L 7
98 INFERNO
Parlando cose, che 1 tacere è bello ,
Sì com'era '1 parlar colà dov'era.
Venimmo al pie d'un nobile castello , io6
Sette volte cerchiaio d'alte mura,
aache pu5 lumiera adattarsi [al. «-^ Così andammo, legge
il cod. Ang. E. R. — e il Vat. 5 1 99. 4-«
I o4 I oS cose, che 7 tacere è bello ec; impeì*occhè qui ram^
meniate sarebbero affatto fuori del mio proposito: siccome era
bello e conveniente il parlarne dove se ne parlò. Veh rumi. Ma
forse accennar vuole Dante, che si parlasse ivi delle finezze
della poesia,' e che le medesime, come dal volgo non inlese,
non istarebbeì^ qui se non malamente rammemorate «a-^Garba
assai al Magalotti un pensiero del Rifiorito sul vero senso di
questi versi . Stima questi che tutto quel discorso fosse in lodar
Dante; e perchè mostra che ancor egli favellasse, il ano par-
lare non fu per avventura altro che recitare qualcuna delle sue
canzoni , secondochè da que' Poeti ne fu richiesto . Ciò toma
bene al costume non solo, ma anche al sentimento de' versi;
essendo verissimo che ora la modestia fa diventar bello il la-
cere quello che allora bellissimo era a parlare. — doi^Uo era^
al M. io5. , legge TAng. E. R. 4hi
1 06 1 07 d'un nobile castello , cioè delle aelte alte mura ,
che, come è dettQ al \f. 68., dividevano circolarmente in due parti
la larghezza del primo cerchio. Per queste sette mura , chiosa
il Laudino, e vi acconsente il yelltttello;jefte virtù y cioè quat-
tro moraluprudenzaf giustizia, fortezza e temperanza ; e tre
speculative: mfe/Zi^enza (che appellaìiO le scuole la cognizione
delle cose per sé «tesse chiarissime, come sono,esempig]^azia, i
geometrici assiomi), jcien^a (ch'è cognizione acquisuu coirà-
ziocmio), e sapienza ( ch'è la scienza di cose altissime). Il Da-
niello pensa invece, che per le sette mura intendere si deb-
bano le sette arti liberaIi,cioè: ^rammarica, rettorica^ dialet-
tica, aritmetica, musica, geometria, astronomia. L'esposizio-
ne però del Landino eVellutello si adatta meglio a tutti ì generi
di personaggi ch'eutro ad esse mura si rinvengono, cioè ai
virtuosi tanto in lettere, quanto in armi; agli ultimi de'qua li
non troppo bene larti liberali si convengono. Che ha egli a
[n] Vedi il Vocab. della Cr. sotto la voce Lumiera , J. 3.
CANTO IV. 99
Difeso ntorno d*uQ bel iìamicello.
Questo passammo come terra dura : 1 09
Per sette porte intrai con questi Savi :
Giugnemmo in prato di fresca verdura .
Genti v'erati con occhi tardi e gravi, 1 12
Di grande autorità ne'lor sembianti:
Parlavan rado con voci soavi.
Eire la grammatica o qualunque altra delle prefate aiti liberali
col Bruto, che cacciò Tanfuino, con Lucrezia , Julia ec?
»♦ Delle suesposte opinioni, ninna forse, dice il Biagioli , è la
▼era ; e vuoisi piuttosto per le sette mura significar quella
rocca, di ci^ la Filosofia ragiona a Boezio nel libro i. In tal
caso per le sette mura intenderebbesi e le sette arti e le sette
▼iitù sopraddette . 4-«
108 d*un bel ftumicello : l'eloquenza, per questo bel •/tu*
micelio y chiosano d'accordo il Landino, Vellutello e Daniello;
ed è a proposito il detto che reca quest' ultimo di Gcerone :
sapientiam sine eloquentia parum prodesse civitatibus [a]«
1 09 passammo come terra dura, per esser piccolo, ed es-
servi dentro poca acqua. Daniello. Ma io crederei piii volen-
tieri essere intenzione di Dante di accennare con tale asciutto
passaggio , che Teloquenza appo i sapienti ha poco o nissun
luogo : Neque indisertum academicum (fa Cicerone che V el-
ido dica) pertimuissem , nec rhetorem , quam^is etoqueri"
iem ; neque enim fiumine conturbor inanium verborum [&].
E QoiDtiliano insegna che , ^i sapientes iudices dentur ^per^
Satn sit eanguus eloquentiae locus [e] • m-¥ Rigettando come
sa questa opinione, il Biagioli opina che i Poeti cosi passa-
rono quel fiumicello, per diinostrare che nulla è al mondo che
non possano i v^si • ^-^
1 1 o Per sette porte , perocché disse ch'erano sette le mu-
raglie in tomo a quel castello.
f I a al 1 1 4 «-^Terzetto che può servir di norma a qualunque
piglia , descrivendo, a rappi'esentare il costume di gran persfH
naggio. MAGALoTti, - Genti ec, forse va letto , Gente v^eran,
\a\ De inventa lib. i. [b] De nat, deor* lib. a. n. ii. [e] instit. orai,
lib» 9. cap. 17.
tao INFERNO
Traeinmocl cosi dall'uà de' canti 1 15
Iq luogo aperto, luminoso, ed alto,
Sì che veder si potean tutti quanti .
Colà diritto sopra '1 verde smalto 1 1 8
Mi fur mostrati gli spiriti magni,
Che di vederli in me stesso n'esalto.
hóla Torelli, come in questo, v. 44- ^ *^g*' P^^à che gente di
tholto calore ^Conobbij che 'n quel Limoo aran sospesi ; e aW
Ito ve : gente , che sospira , -£ fanno< Infi cytuu. 1 1 8. e seg.^ni
1 15 »-i» L'essersi traui da un canto, prova che il castello
non era murato a tondo , come alcuni han creduto t e figuran-
docelo Dante semplicemente come un dilettevole prato intor-
niato di mura , è chiaro che in esso non vi doveva essere impe-
dimento di mura , case , od altro da potersi trarre da un canto.
Cosi Magalotti, il quale p&rlando dell'ubicazione e grandezza
di questo castello, intende di provare che non arrivasse colle
sue mura in su la sboccatura del secondo cerchio , ma che fos-
se tutto dentro all'orlo del Limbo in su la mano , su la quale
camminavano Dante e Virgilio . 4-«
I ly potean , che legge la Nidobeatina , preferisco allo strsH
vagante potéri^ che, a quant'osservo ^ leggono tutte Taltre
ediz. E se per l'andamento del verso converrebbe che potèn
o si pronunciasse colla seconda sillaba breve y ovvero si spez-
zasse e pronunciasse :
«Si che veder si po^en tutti quanti ;
una delle medesime licenze , aggiunta alla crasi delle due vi-
cine vocali e ay basta ad abilitarne anche il potean. Spezza-
tura di versi consimile all'accennata , per chi noi sapesse , ac-
cade da praticarsi indispensabilmente non solo in altri versi di
questo medesimo poema, nel i4* esempigrazia del canto vi«
della presente cantica, ma in alcuni eziandio d'altri poeti.
Vedi la nou al detto u. i4- m-^potèn , legge il Vat. Sigg^^-tf
1 18 diritto dee qui equivalere a dirimpetto j dirincontro.
— verde smalto appella metaforicamente il prato di fresca
verdura, m-^ Quivi diritto , legge il cod. Ang. E. R. ♦-•
1 20 esalto , antitesi in gi*azia della rima , per esulto ; e forse
fondata nella non del tutto improbabile supposizione , che f
latini yerhiexsultareQàexsaltare dcrivinsi da sinonimi fonti,
CANTO IV. loi
Io vidi Elettra con molti compagni , 121
Tra' quai conobbi ed Ettore , ed Enea ,
Cesare armato con gli occhi grifagni.
Vidi Cammilla, eia Peotesilea 124
miello da exilio e da salio j e questo da salto . N* esalto poi
dice o per enallage di tempo , invece di ri^ esaltai, ovvero fi
diaotare, che durava in lui il contento di quella vista fino al
tempo che ciò scriveva. m-¥Chedel vedere ha il cod, Vat. 3 igg.
— Che di vedere in me stesso rn* esalto , lezione non dispre-
gevole del codice Ang. — L'AntaJd. legge y me stesso nesal^
to. EL R. ♦^
lai Elettra, Tutti i Comentatori rìconx)6Cono questa ^let-»
tra per quella figliuola d'Atlante, moglie di Conto Re d'Ita-
lia, che di Giove generò Dardano fondatore di Ti^oia : e co|i
ragione 9 perchè vieue accompagnata e corteggiata dagli eroi
della discendenza di Dardano, Ettore, Enea e Cesare, che cU
Enea riconosceva la sua origine ; ^ascetur vulcra troianus
origine Caesar [a\ . Solo un niodemo ( il Volpi ) , senza ad-
dome ragione alcuna , condro il comyn parere , dice esser que-
sta anzi l'Elettra figliuola di Aganiennone e Clitennestra , dal
nome della quale intitolò Sofocle un^ sua tragedia , che ancor
si legge, VRKTfruj.
122 Ettore y figliuolo di Piìamq Re di Troia, e di tanto va^
lore, che quasi solo fu cagione che Troia si difendesse dieci
anni. -^Enea^ figliuolo d'Anchise Troiano, notis9i]^p nell^
storie e nelle favole» Volpi.
123 Cesare y Giulio, primo Imperatore romanoi^con gif
occhi grifagni, di sparviere grifagno: accenna gli occhi neri
e lucidi che dice Svetonio nella di lui vita aver esso avuto .
^•t con occhi, omesso ^^^rtìcolo, leggono T Ang. e l'Antald,
E. R, f.^
1 24 Canm^'lla^ donielì^ guerriera, figliuola di M^tabo Re del
Volsci , che combattè a favore di Turno . - Pent^sil^a , Regina
delle Amazoni, che andò in socporso de'Troianì , e fu upcisa d^
Achille . Vewtuhi, m^F'idi Cammilla e la PentesHea ; - Dal-^
r altra parte vidi 7 Re Latino , ec; cosi pi*opone di leggere jl
Per^zzìni [6],stimando che si debbano /separare Jegu^rri^re Cf^mm
[pì\ Yirg. Aeneidf i. 386« [b] Correct. in Dant, Cam, YerpTiap Y77$t
io:e inferno
Dall'altra i)arte, e vidi 1 Re Latino^
Che con Lavinia sua figlia sedea .
Vidi quel Bruto, che cacciò Tarquino; 127
Lucrezia, lulia, Marzia, e Goroiglia,
£ solo in parte vidi 1 Saladino .
nulla e Pentesilea dal paci Geo Zafmo e dairimbelleZaf^mia.
Questa interpunzione pur sì liscontra nel codice Antaldino,
come attesta il romano Editore ; e sembra al certo da preferirsi
alla comune. — >Non si può per altro dissimulare che la co-
mune lezione può reggere e sostenersi del pari, avendo Cam-
milla pugnato per Turno, e Pentesilea a favor de' Troiani, ^-m
125 Latino y Re degli Aborigeni , padre di Lavinia.
1 26 iMvinia , promessa in isposa a Turno Re de^Rntuli , e
poi sposata ad Enea ; cagione che adirato Turno muovesse guer-
ra a Latino e ad Enea. Lavina ^ leggono Fediz. diverse dalla
Nidobeat.9 «-^rAng., il Caeu E. R. — e il Val. 3 199. 4hì
127 Bruto ec. Lucio lunio (e non Marco, come dice un mo-
derno, il Volpi) 9 che cacciò di Roma Tarquinio Superbo , e
diede alla patria la libertà. Vertubi. — Tarquino per sincope
scrive Dante in grazia della rima .
1 28 Lucrezia , moglie di Collatino y violata da Sesto Tar-
quinio, figliuolo del Superbo y la quale si uccise per attestare
la sua innocenza . — Julia , figliuola di Cesare e moglie dì
Pompeo il grande» amantissima del marito. "^Marzia , mo-
glie di Catone utioense , ceduta da questo per moglie ad Or»
tensioy morto il quale, ritornò al primo marito. — Cornelia y
figliuola di Scipione Afiricano il maggiore, e moglie dì Grac-
co, donna di rara prudenza e facondia. Venturi. Comiglia
per Corneglia, antitesi a cagione della rima .
1 29 in parte , vale quanto in disparte , come scrìsse il Boc-
caccio: tratto Pirro da parte [a], invece di tratto in disparte
-— Saladino , fu Soldano di Babilonia , ed eccellente in arme .
Ed il Poeta dice averlo veduto solo , perchè pochi o nessun al-
tro di quella generazione s'è renduto famoso. Ed in disparte y
per essere stato di rcgion lontana. Vellutello. m^ ce Era costui
» oriundo di Persia, cioè del Kurdistan, e di semplice soldato ,
M messosi a militare con un suo fratello sotto Noradino Re della
la] Noi^. 9(1. 6.
I
CANTO IV. io3
Poiché innalzai un poco più le ciglia , 1 3o
Vidi 1 Maestro di color che sanno ,
Seder tra filosofica famiglia .
Tutti l'ammiran, tutti onor gli fanno, i33
Quivi vid'io e Socrate, e Platone,
Ghe'nnanzi agli altri più presso gli stanno,
Democrito, che 4 mondo a caso pone, i36
» Strìa e della Mesopotamia, pervenne col suo valore e co*8uoi
» talenti ad essere Soldano dell'Egitto, della Sona e paesi con*»
» tigoL Ck>nquistò Gerusalemme , di cui era allora Re Guido di
3B Lusignano. Mori colmo di gloria e di figliuolanza y e ricco di
» stati nel 1 1 94* Percbè fu eccellente neirarmi e dotalo di molta
» umanità in mezzo alle piii sanguinose gueiTe, Dante lo col*
» loca qui tra gli eroi infedeli, e a bello studio lo rappresenta
» solo in parte y cioè in disparte y essendo fino a que' tempi
a stata cosa rara l'umanità ed una certa costumatezza i^ UH
» conquistatore Maomettano . » Poggiali . 4-c
i3 1 Maestro y capo y principe ; intende Aristotile , al quale ,
dice nel Convito, la natura più aperse li suoi segreti [a] y ed
il quale solo a' suoi tempi era in grandissima voga*. «*- di color
chesannoy vale di coloroy che sapienti sonoyde^fitosofiyaotfoi^
cioè sapienti y appellati prima che Piltagora, per isfuggire rai"*
roganza del nome y scegliesse in vece quello di filosofo , di
amatore cioè solamente della sapienza. Vedi Gceron^ [^J e
Diogene Laerzio [e].
i33 »-» Bella è la variante de* codd. Antald. e Caet.: lo nuw
ran, E R. — e così pure legge il Vat, 3 199, 4-«
1 34 Socrate , filosofo ateniese y maestro di Platone . «* Pia*
toncy pur ateniese, maestro d'Aristotile.
i35 Che^nnanzi ec. Vuole accennare «Ae Socrate e Pia-»
Urne si avvicinino in grandezza di fama ad Ai*istotìle piii di
ogn* altro filosofo.
1 36 Democrito y Abderita . — a caso pone , intendi , fatto ,
Seguitando costui la dottrina di Leucippo, insegnò essere il
mondo composto di certi corpiqciuoÌi.inaivisil)ili a ca^o uuili
insieme. Volpi.
[a] Tratt, S. cap. 5. [b] Tusc. 5« [e] Proem. ad vii. philes,
io4 INFERNO
Diogenes, Anassagora, e Tale,
Einpedocles, Eraclito, e Zenone:
£ vidi 1 buono. accoglitor del quale, 189
Dioscoride dico ; e vidi Orfeo ,
Tullio, e Livio, e Seneca morale,
Euclide geometra, e Tolommeo, 142
1 37 Diogenes o Diogene y Cinico , da Sinope, filosofo ama-
tore della povertà e del disagio , e rigoroso riprensore degli al-
trui difetti. Volpi. — Anassagora ^ Clazomenio, filosofo do-
gmatico antichissimo ed eccellente. Volpi . — Tale o Taleie^
Milesio, uno de'sette Savj della Grecia. Volpi.
i38 Empedocles o Empedocle ^ filosofo d'Agrigento 9 città
di Sicilia y il quale compose un bellissimo poema , della natura
delle cose; in che fu poi da Lucrezio, poeta fatino, imitato. Volpi.
— Eraclito y d'Efeso, filosofo antichissimo, i cui scritti intomo
alla natura delle cose erano ripieni di oscurità. VoLpi.^-Ze-
noncy Cittico , cioè da Cittico, antica città di Cipro, principe
degli Stoici. Fu un altro Zenone, detto f/eate, dalla sua pa-
tria, dialettico acutissimo. Volpi.
1 39 1 4o 7 buono accoglitor y Teccellente raccoglitore e scrit-
tore ; ^^del quale , il concreto per l'astratto , per della qualità ,
della virtù cioè dell'erbe, delle piante e delle pietre e de' ve-
leni e loro rimedj ; delle quali cose scrisse Dioscoride d'Ana-
zarba nella Cilicia. — Or/eo , nativo di Tracia, figliuolo d'f^-
gro e della musa Calliope . Fingono i poeti che costui osasse
tanta maestria nel sonar la cetra , che i più fieri animali e gli
alberi stessi concorressero ad udirlo. Volpi.
1 4 1 Tullio y Cicerone. — Liuio , legge la NidobeaU, invece di
Linoy che leggono tutte l'altre ediz. ; e Livio istoriografo ro^
mano , ripete nella Nidobeatina anche il comento. Ed ecco tol-
to così il congiungimento di cose disparate imputato a Dante in
questo passo: Guarderaiiiy dice il Casa nel Galateo, di non
congiunger le cose difformi tra sé , come :,
Tullio y. e Lino , e Seneca morale.
Seneca morale y fu Spagnuolo, e maestro di Nerone, da que-
sti poscia fatto ammazzare. Volpi. m-^Lino ha rAntald.,eudf/ir
no legge l'Ang. E. R. — e il Vat. 3 199. 4-«
i4a Euclide y il celebre autore degli elementi geometrici*
CANTO IV. io5
Ippocrate, Avicenna, e Galieno,
Averrois^ che'l gran comento feo.
Io non posso ritrar di tutti appieno , 1 45
Perocché sì mi caccia '1 lungo tema ,
Che molte volte al fatto il dir vien meno.
La sesta compagnia in duo si scema : 1 48
— Tolommeo Claudio 9 rastronomo e geografo , autore dell'in
addietro comunemente ammesso mondiale sistema, detto Tb-*
hmmaico.
143 Ippocrate f medico greco antichissimo ed eccellente ,
nato neir isola di 0)0» della razza d'Esculapio. Volpi. «-*^^i-
cennay Arabo , medico eccellente. Fioii circa gli anni di no-
stra salute io4o« YoLri.^^Galieno appella Galeno, il famoso
medico pergamene ^ 0 per uso di parlare (appellandolo istes-
samente anche nel Corn^ito) [a], ojfer epentesi in grazia del
metro.
1 44* ^verrois o Averroe , Arabo 9 gran Comentatore d'Ari-
stotile) ma empio nelle sue opinioni. YoL?i. — /*eo per /i?\ ad
iscliivare Paccento e fare la rima l'adoprò j tra gli altri , anche il
Gasa, son 35.:
Per cui la Grecia armassi^ e guerra feo [&].
145 ritrar^ ponesi qui metaforicamente per descrivere y per
riferire.
146 mi caccia y mi spinge , mi dà fretta ; — 7 lungo tenuta
la vasta materia del mio assunto, m^ sìmmi stringe ha il cod.
Vat 3i99.4-«
i47 ^l fatto il dir vien meno, non può il dire stendersi
a tutto laccaduto.
148 sesta compagnia y per compagnia senaria , di sei.^in
due si scema y ellissi , invece di dire y in due parti dividendosi
si scema y si spicciolisce , rendesi di minor numero. Le due
parti, nelle quali si divide , sono: Virgilio e Dante una; Ome-
ro y Orazio, Ovidio e Lucano T altra; restando questi , e piro-
seguendo quelli il loro viaggio*
[«] Tralt. 1. cap. 8. [b] — * Trovasi però anche nelle prose He* buoni
•ntori aatichi /i;o peryè*. Vedine molti esempi nel Mastrofmì, Teo-
ria € Prosp* de verbi italiani, sotto il verbo Fare . n» 6. E. R.
io6 INFERNO
Per altra via mi mena 1 savio Duca
Fuor della queta nell'aura, che trema:
£ vengo in parte , ove non è che luca .
1 49 Per altra via , cioè non più per miella che passava tra
5 lì eroi 9 piana ed aperta, ma per un'altra affatto da quella
iversa, per cui scendevasi al secondo infemal cerchio.
i5o l'uor della queta. Che non fosse Paria nella magio-
ne degli eroi da* sospiri agitata, accennoUo Dante con dire che
avevano essi sembianza né trista^ ne lieta [a]. — nelVaura^
che trema y non per sospiri sólamente, come al di là delle
sette mura , ma per sospiri j pianti, ed alti guai, come dal
seguente canto apparirà •
i5i m^oife non è chi luca, legge il Vat, Si^g^^Hi
[a] Verso $4.
CANTO V
ARGOMENTO
Perviene Dante nel secondo cerchio dell' Inferno, al-
V entrar del quale tnva Minos, giudice di esso In-
ferno, da cui è ammonito, cVegli debba guardare
nella guisa ^ ch*ei v'entri • Quivi vede^ che sono
puniti i lussuriosi; la pena de' quali è l'essere tor-
mentati di continuo da crudelissimi venti sotto
oscuro e tenebroso aere . Fra questi tormeìUati ri^
conosce Francesca da Rimino; per la pietà della
quale s e insieme di Paolo cognato di lei, cadde
in terra tramortito.
G
osi discesi del cerchio primaio i
Giù nel secondo, che nien luogo cinghia,
£ tanto più dolor, che pugne a guaio.
m^ Ci chiama Dante in questo canto a meditare la mise-
ria delli carnali ; ma Dante sa qnanto sia 1* uomo soggetto al
potere del senso : Dante conosce quella passione che lu spesso
lo scoglio e degli eroi e dei sapienti ; e Dante parla colle voci
della compassione e del più tenero affetto. Ecco la ragione poe*
fica dell'orditura di questo canto, e della rappi*esentazioue del
pietoso fatto di Francesca di Arìmino, che lo termina. Scol ari .4-«
a cinghia y vai quanto cinge j circonda . Neiresempio del-,
l'anfiteatro 9 recato nel precedente canto, u> 24*' ^' capirà fa-
cilmente come di mano in mano debbano i più bassi infernali
cerch j cinger men luogo , fare un più ristretto giro .
3 tanto pia dolor j intendi, Aa, cioè contiene più dolore;
^ che pugne a guaio t che punge e loi*meuta quelli spìriti lino
io8 INFERNO
Stavvi Minos orribilmente ^ e ringhia: ' 4
a farli guaire, cioè fino a farli mandare altissimi lamenti e stri*
da; e non soli sospiri, come nel Limbo. Guaio è propriamente
la voce lamentevole clic manda fuori il cane percosso (agnan*
dosi, e allora si dice il cane guaire • Vehtubi.
4 Minos , figliuolo di Giove e d'Europa , Re e legislatore dei
Gretensi, uomo d'incontaminata e severa giustizia , il quale
finsero i poeti che fosse giudice airinfemo insieme con Eaco e
Radamante . Vox.pi. - ringhia ; ringhiare , digrignare i denti,
minacciando di mordere, proprio dei cani, vale qui dimo^
strarsi pieno di sdegno . m^Stauui Minos , e orribilmente
ringhia , cosi il cod. Ang. E. R. — - La descrizione qui fatta di
Minosse ha dato a molti motivo di tacciar Dante d' insoppor-
tabile stravaganza. — Landino se ne trasse d' impaccio affer-
mando che Minosse in figura di bestia feroce e ringhiosa rap-
presenta i rìmoixlimcnti e i latrati della coscienza. - Magalotti
osservò , che « conoscendo il Poeta l'obbligo ch*egli aveva di
» uscire piii che poteva dall' ordinario , rispetto al luogo e ai
» personaggi ch'egli aveva tra le mani , andò trovando maniere
» strane ed inusitate per significare i loro concetti. » — Bia-
gioii null'altro ha scritto, se non che quella coda è Vornamen^
to più proprio di lui , e che Dante non lo poteva rivestir
del robbone . — Riportate dallo Scolari siffatte opinioni , né
giudicandole sufficienti a giustificare il Poeta nostro , ed a mo-
strare quanto siasi anche qui contenuto entro i limiti del veri-
simile nell'ordine delle cose credute , si fa quivi a proporre
alcune sue osservazioni , di cui ne daremo qui un brevissimo
estratto, rimettendo i curiosi alle sue Note »
Minosse, figlio di Giove e di Europa, regnò in Creta fa-*
moso per la tremenda vendetta della morte di Androgeo , e
per molt'altri ingiusti fatti e crudeli . Non per la sua giustizia
adunque , ma per la sua ferrea severità e fermezza di carattei*e
fu da' poeti costituito giudice dell' Inferno. Se Dante l'avesse
giudicato innocente , posto non lo avrebbe per certo nell*Iii-
iemo cristiano. Ivi ponendolo , s'avvide non convenirsi rap-
presentarvelo come giudice dignitoso e tranquillo che senten-
zia . Lo trasformò quindi in un mostro orribile , incaricato dalla
divina Giustizia di ordinare quel grado e qualità di pene che
fossero le piii proporzionate al delitto e le piii corrispondenti
al supremo volere. A dimostrar poi la proprietà ^ conveiù<e9za
CANTO V. 109
Esamina le colpe nelF entra ta:
Giudica , e manda, secondo ch'avvinghia.
Dico che , quando l'anima mal nata 7
Gli vien dinanzi, tutta si confessa:
E quel conoscitor delie peccata
nell'invenzione della lunga coda di Minosse, osserva: i.^ es-
sere opinione ricevuta dai Naturalisti y che la coda sia stata data
alle firn per manifestare con essa i moti delPanimo; 2.^ che
nelle sacre Pagine vien riguardata come simbolo di possan-
M [a]; 'iP che nei geroglifici, come attesta il Valeriano [Aj,
rappresenta la non curanza di coloro, i quali nella vita lieta
badar non vollero al termine delle cose ed alFavvenire. Espo-
ste siffatte opinioni , conclude col dire che forse Dante de-
rivò quest'immagine da'principj della filosofia naturale degli
antichi , tanto in voga a tempi di lui , sulla preziosità della
spina dorsale 9 da cui derivarono le morali significazioni di essa
e della coda, termine della medesima, che fu presa quasi per
simbolo del fine delle cattive azioni degli nomini , quelle ap*
punto cui Minosse è delegato a punire. 4-«
5 neWentrataj neirentrare di ciascun'anima.
6 secondo ch^ avvinghia ^ che rivolge intomo a sé stesso la
coda; cooie in seguito spiega Dante medesimo. Giudice nel-
r Inferno Minos 10 hanno, come di sopra è detto, collocato
altri poeti, T ornamento però della coda, come a giudice in-
fernale, e cotale compendioso modo di sentenziare , sono idee
vaghissime del Poeta nostro* s-^ Qui manda va spiegato nel
suo proprio senso, che è quello di comanda; ciò che fa Mi-
nosse quando che avvinghia i 0 s^auyinghia^ come vogliono
alcuni altri. Scolari. 4-«
7 mal nata, scianrata, e che però meglio sarebbe stato per
lei il non nascere. Vevturi • G)sl di fatto disse Gesti Cristo del
suo traditore: honum erat ei, si natus nonfuisset [e]. Po-
trebbe però anche cotal aggettivo avere il più comun senso
d'ignobile e di wfc, sfornita d'ogni uirtù .
8 m^ li giunge innante ha il cod. Ang. E. R.*^
q peccata f peccati; è voce latina: dicesi però in italiano a
quella foggia che si dice carra , sacca , fusa , ginocchia , mem^
[a] Ap. e. 9. V. 19. [h] De ffierogljrpk. lìb. 34- [e] Mali. a6. m. a6.
no ì INFERNO
Vede qual luogo d'Inferno è da essa: io
Gignesi con la coda tante volte,
Quantunque gradi vuol che giù sia messa.
Sempre dinanzi a lui ne stanno molte : i i
Vanno a vicenda ciascuna al giudizio:
Dicono, e odono, e poi son giù volte.
O tu , che vieni al doloroso ospizio , 1 6
Disse Minos a me, quando mi vide,
Lasciando latto di cotanto ufìzio,
bra j ed altre simili voci« Volpi. Se però carra^ sacca, pua f
ginocchia ec. non sono voci latine , ma i femminini plurali
di carro j sacco ec, peixhè vorrem dire voce lAiìna peccata ,
o demonia?
10 m^da in luogo di per^ ed esprime attitudine , proprietà
e convenevolezza. Veggasi il Cinonio. Magalotti. 4-«
1 1 m^Cignesi: alcuni sospettano che debbasi l^gere ci^
gnele, prendendo in senso attivo Vatt^inghia del u* ò«, come
suonano attivamente gli altri verbi di queste terzine , e così
il senso è pili naturale e piii netto* 4-«
la Quantunque per quanti. Vedi il Vocab. della Crusca .
— gradi appella gl'infernali cerchj , e bene^ perocché , come
è detto 9 sono appunto come i gradi di anfiteatro.
i3 al i5 »^In questi tre versi è compresa un'esattissima e
puntualissima forma di giudizio. Magalotti. 4-«
i4 a vicenda qui non significa sautìbievolmente^ ma una
dopo r altra. Vertubi.
i8 Vatto di cotanto uftzio. Tatto di dudicarcj. »-»Qiu
tacciono i Gomentatori, dice Io Scolari, od accennano , come
isi il Biagioliy Vufizio del giudicare ^ e non altro; ma al giu-
dicare non si restringe solamente l'uffizio di Minosse. Davanti
a lui le anime dei perduti sono costrette a confessare le loro
colpe; egli destina loro la pena, pronunzia sulla qualità del luo-
go che nell'Inferno è da esse; gira la coda intomo al ventre,
quantunque gradi vuole che giù sian messe , ed a questo se-
gno del suo comando l'anime sono precipitate nel baratro. Co-
nosci ato cosi il vero uffizio di Minosse, pai^e che si possa ora
meglio valutare la fòrza di quel cotanto. — Prima dello Sco-
CANTO V. Ili
Guarda com' entri, e di cui tu ti fide: 19
Non t'inganni l'ampiezza dell'entrare.
E '1 Duca mio a lui : perchè pur gride ?
Non impedir Io suo fatale andare : 2 2
Vuoisi cosi colà , dove si puote
Ciò che si vnole , e più non dimandare .
Ora incomincian le dolenti note a 5
A Tarmisi sentire : or son venuto
Là, dove molto piantomi percuote.
Io venni in luogo d'ogni luce muto, 28
lari chiosava a questo luogo'il Poggiali : ce lasciando Patto ec.
» >aol dire: interrompendo V esercizio dì si importante, si au-
» torevole, ed insieme sì terribile ministero. Qual dignità ^qaa^
» le enei^a in questo versoi » 4hì
igdi cui tu ti fide: accenna la fiducia che aveva Dante
nella scorta di Virgilio. fUde per fidi j antitesi in grazia della
rima.
^olfon ^inganni ec. Allude BÌfacilis descensusjivemi,.*
Sed revocare gradum^ superasque evadere ad auras^^Hoc
opusj hic labor est [a]. Yeutvbi. Ma forse ancora all'avviso
<ii Gesii Cristo: Lataporta^ et spatiosa via est quae ducit
<^ perditionem [A].
31 pur gridai O la particella pzire accenna continuazione,
come se invece detto avesse : perchè continui tu a gridare ?
0 è meramente riempitiva. "^ gride -per gridi , antitesi, m-* Il
Biagioli la pensa diversamente, e dice, cne Virgilio ricordan-
<l^i del grido di Caronte , risponde con isdcgno a quello di
Mìqos : perchè gridi tu pure : anche tul ^-m
tifatale, voluto dal fato» voluto dal Cielo.
ii a4 F^uolsi così ec. Le stessissime parole dette da Vir^
gHio medesimo a Caronte, canto iii. qS. 96.
30 note per voci»
27 mi percuote , intendi, V orecchie .
28 muto per^rfVo, catacresi, m-^ Qui si noti col Magalotti ,
<^nie stando $eraprc su la medesima bizzarra traslazione di at-*
id] Àen, 6. i». 1^6. 1)8. e seg. [b] 3faU, 7. v, i3.
Ili INFERNO
Che mugghia , come fa mar per tempèsta ,
Se da contrarj venti è combattuto*
La bufera ioferoal, che mai non resta , 3i
Irìbuire il proprio della voce «1 proprio della vista , vaconti-
nuamente crescendo. Nella selva , dove Toscurità e Tombra era-
no accidentali , la luce si tace ( i^. 60. e i . ) • Nell'atrio deU'In-
femoy'dove roscorità non è accidentale , ma naturale , la luce è
fioca ( i/. 75. e. III. ). Innoltratosi finalmente nel profondo della
valle, per dinotare che le tenebre non sono accidentali, né a
tempo, ma spesse, ostinate ed eteme, la luce è mieto • «-«
3o contrarj venti , cagione della tempesta «
3i bufera y aria fiiriosamente agitata a modo di turbine. Il
Volpi vuole inoltre che venga insieme turbinando pioggia o
neve , acciò si nomini propriamente bufera , amando di attener-
si stretto alla Crusca . Ma il Boccaccio , a cui forza è che la Gru*
sca si sottometta, non vi richiede né pioggia, né neve, con*
tentandosi d'una furia impetuosa di vento, che s velia, schianti ,
abbatta , rompa quanto gli si para dinanzi. VEvruRL-Titai non
resta y non resta mai: non perchè non finisca mai di soffiare,
perchè tosto dirà : Mentre che 7 vento , come fa^ si tace ; ma
perchè, sebbene ha di tanto in tanto qualche pausa, con tutto-
ciò deve essere etemo in quel tenore ; e cosi inteso giustamente
il senso , non vi sarà bisogno del vix unquam del P. d'Aqui-
no per addolcire, come die' egli, la contraddizione di quei due
versi , eh' è solamente verbale ed apparente . Veuturi . La spic-
S [azione del Venturi conviene con quella del Daniello , il qua-
e , a quanto veggo , fu il primo ad apprendere la difficoltà di
combinare il presente con quell'altro verso: Mentreche ^lyentoy
come fay si tace. Ma io credo che il Daniello, il Venturi e il
d'Aquino falsamente tutti e tre suppongano che dicendo Fran-
cesca : Mentre che 7 ventOj come fa^ si taccy intenda tacere,
cioè essere cessata , la bufera non solamente per sé e pel com*
pagno, ma per la schiera tutta de' lascivi. E perchè non ca*
pirem noi piuttosto che, uscendo i due amanti della schiera ^
ov'è Dido [a], dalla schiera de'Iascivi , lasciassero essa schiei*a
nella continuante bufera? e che tacere il^vento dica Francesca
rapporto solamente a sé ed all'amante compagno ?»-»>Magalotti
[a] Verso 85.
CANTO V. ii3
Mena gli spirti eoa la sua rapiaa ;
Voltando, e percotendo gli molesta.
Quando giungon davanti alla ruina, 34
Quivi le strida, il compianto, e'I lamento;
Bestemmian quivi la virtù divina.
Intesi eh' a così fatto tormento 87
spiega, che tanto può esser vero che la bufera ricorra a volta
a volta, come che sia stata prodigiosamente sospesa; e non
per li due amanti , ma in grazia di Dante 9 che per divina di-
sposizione facea quel viaggio. -* Biagioli usa parole diverse e
diffuse, ma sta col Yeulmì, la cui opinione anche allo Scolari
sembra la migliore .^-c
3^ Mena , ti*ae seco. — rapina per rapidità • Vedi il Y ocab.
della Crusca, a-^cc Male spiega il Lombardi , come nota TE.F.,
» rapina per rapidità , mentre qui ha significato di rapimento
» in giro , ossia vortice • In tal senso l'usò pur Dante nel Con^'
n yito (fac. 1 15.) ove disse: La rapina del primo Mobile m^^
i'i percotendo • Chiosa il Daniello, che il \eutopercotessef
scagliasse quelli spiriti contro i duri massi dell'infemalripa:
intendendo essa ripa significarsi nel seguente verso col vocabolo
di nana ; e cosi appellarsi dal Poeta allusivamente alla opinio-
ne sua , d' essere rinfernal buca un ruinamento di ten'eno av-<
venuto allorché dal cielo in terra cadde Lucifero [a] .
34 dai^anti alla ruina , secondo la prefata chiosa vale , in
vicinanza della dirupata sponda, »-> Laudino spiega rKina
allegoricamente pel cadere della cosa amata. -— Magalotti pel
dirupamento delfapertura, giìiper la quale è disceso il Poeta,
e da dove sbocca il torrente dell'aria che li mena in giro«*Bia-
gioii intende le acute punte degli scogli ond' è irta la ripa del
girone .'Lo Scolari chiosa : ce rinicimo di Dante non va sempre
» al basso ? Minosse non fa egli voltare in giù le anime che
» ha giudicato ? A che dunque tanto ammaltii*e sul verso :
» Quando giungon davanti alla ruinal»^-m
35 Quivi le strida ec*, per avvicinarsi all'urto. Esprime ciò
la frequente peripezia de'lussuriosi di trovarsi inaspcttatameu-
le ed mevitabilmente vicini a grandissimi urti.
[«] lof. xxztv. lai. e segg.
Fot. I. H
ii4 INFERNO
Sodo dannati i peccator carnali,
Che la ragion sommettono al talento.
E come gli stornei ne por tan l' ali 4^
Nel freddo tem])o a schiera larga e piena;
Cosi quel fiato gh' spiriti mali
Di qua, di là, di giù, di su gli mena: 43
38 Sono dannati j legge la Nidob.; eran dannati , l'altre
edizioni. — ^11 cod. Gass. legge ennoj usato anche altrove da
Dante per sono* E. R. »-> enno legge pare il Vai. 3 199* ♦-■
39 talentOj-pergeniojinclinazionej anche nelPurg.xxi.64*
40 storneL Questa Toce storneo (chiosa il Venturi } nel Vo-
cabolario non la trovo ancor registrata . Leggiadro ay^^iso per
certo ( risponde il Rosa Morando [a]) , e da sapergliene gran-
de. Ho vergogna a dover qui dire^ che storaci non ha rori"
gine da stomeo 9 ma da stornello ; e che questa "voce è ac^
cordata da stornelli , conte bei da belli j e capei da capelli.
Zm Crusca ha registrato stornello : anzi questo stesso i^erso
di Dante ne vien citato . Non è però men vergognosa cosa
che in una Firenze siasi di fresco ristampato il presente poema
colle note dello stesso Venturi , senza neppure una virgola di
avvertimento a cotale apertissimo svarione . - neportan l'ali j
ne vengono portati dalle ali, ne volano. Sceglie, al paragone
dell'irregolare mossa data dal vento a quelli spiriti , il volo de-
gli stornelli, perocché di fatto è ìrregolarìssimo. •-►Bellissima
similitudine , e cavata con finissimo accorgimento da animali t<s
nuti in niun pregio, e per ogni conto vilissimi. Maoai;.otti.-#-v
4^ •sfiato, per vento, ''gli spiriti mali. Crede il Torelli
che il sentimento non debba continuarsi nel seguente terzetto,
e che dopo mali convenga mettere un punto fermo. La-ragione
è che Dante non avrebbe detto : gli spiriti mali gli mena , re-
plicando sii due volte senza necessità . 4-c
43 al 45 Di qua, di là, G>ndegno gastigo a quella rea in-
costanza ed agitazione d'animo , in cui si lasciano i carnali da
amore trasportare. •-►Espressione felicissima ed inarrivabile
di quel tormento , e che vince quasi il vedere stesso degli oc-
chi. Magalotti . 4-«
[a] Osserv. sopra Vlnf.
CANTO V. ii5
Nulla speranza gli conforta mai ,
Non cbe di posa, ma di minor pena .
E come i gru van cantando lor lai , 4^
Facendo in aer di sé lunga riga ,
Cosi vid'io venir , traendo guai,
Ombre portate dalla detta briga • 49
Perch'io dissi: Maestro, chi son quelle
Genti, che Faer nero si gastiga?
La prima di color, di cui novelle 5^
Tu vuo* saper, mi disse quegli allotta.
Fu Imperatrice di molte Svelle.
A vizio di lussuria fu sì rotta , 55
46 1 gru. Gra, gma , grae , nome di uccello noto » the al-
ami pronunziano come mascolino y ed altri femminino. Vedi
Q Vocab. della Gr. — lai , propriamente sono versi di lamen*
lo. Dalla significazione poi di versi lamentevoli passò a ouella
di lamenti , di voci meste e dolorose ; e in questo modo fu fire-
qnentemente usata dai Toscani . Dante poi trasportò qui que*
sta voce, significante lamentevoli veìvi , a significare il lamen-
tevole canto dei gru. Rosa Mobavdo [aj.
48 traendo guai. Trarre guai vale lamentarsi j dice e
prova con varj esempi il Vocab. della Crusca [&] .
4g briga dee appellare la suddetta bufera , avuto riguardo
all'accennata origine della medesima da briga y contrasto dei
venti . •-#> Magalotti nota che qui briga vale lo stesso che noia^
fastidio f tramaglio • ♦-■
5i aer nero y vale quanto vento in tenebroso luogo sof"
fante, m^aura nera^ legge TAng. E. R. — e il Vat. 3 igg.^-*
53 allotta , per allora j adoperato da buoni antichi anche
b prosa . Vedi il Vocab. della Crusca .
54 Fu Imperatrice ec. Signoreggiò molte e varie nazioni y
le quali parlavano diverse lingue ; o pure fu Regina di Babi-
lonia, dove prima furono confusi i linguaggi. Vbvtubi e Volpi.
bi fu sì rotta y ebbe cosi rotto ogni ritegno . »-^ Foima di
dire assai singolare y nota il Magalotti . 4-«
[«] Velie ctUte Osterà, [b] Sollo il verbo Tirare, | 1 17.
ii6 INFERNO
Che libito feMicito in sua legge,
Per torre il biasmo, in che era condotta-.
EU* è Semiramìs, di cui si legge, 58
Che succedette a Nino, e fu sua sposa:
Tenne la terra , che 1 Soldan corregge •
56 Che libito ec. Gostruz. Che in sua legge felicito libi"
io j cioè stabili che fosse lecito tutto ciò che fosse libito j che
piacesse .
57 Per torre ec, per rimovere da sé quel giusto biasimo
che la sua impudica condotta le cagionava .
58 Semiraniìs y il latino e greco nome di Semiramide y la
detta Regina di Babilonia .
59 Che succedette ec, Sinchisi in grazia della rima , in-
vece di dire che fu sposa di Nino j e succedette nel regno
ad esso •
60 che 7 Soldan corregge y che ora (parla del suo tempo)
governa il Soldano , ed ivi suol far residenza: essendo attempi
nostri de'Turchi y da poi che se ne insignori Selim, padre di
Solimano. Ma qui il Poeta piglia uno sbaglio y ed equivoca ,
perchè la Babilonia edificata da Semiramide è quella della Gal*
dea; e la Babilonia y che fu reggia del Soldano» è quella di
Egitto, detta altramente il Cairo. Ybrtubi. U opposizione (ri-
sponde il Rosa Morando ) è trascritta dal saggio d^aicune
postille y che fece a Dante il Tassoni y datoci dal Mur€Uori
nella sua vita . Ma ciò lasciando daWun desiali j è falso
che Dante in questo luogo equivochi da Babilonia sul Nilo
all'altra sulV Eufrate: qui non si parla di Babilonia, ina
si dice y che Semiramiae
Tenne la terra , che 1 Soldan corregge ,
cioè regnò in quel paese , che ora (parla del suo tempo) è
sotto il dominio del Soldano y e s'intende dell' Egitto j della
Seria y e di tutte V altre provincie y che a*Soldani furon sog^
gette. La 9oce terra in nostra lingua non significa s€>io città,
ma significa ancora regione , paese , e provincia. Esempio
tutto a proposito se ne ha nel Tesoro di Brunetto Latini:
il Re Nino tenne in sua signoria tutta la terra d^Asia • «Semi-
ramide successe nel regno a Nino suo marito > da cuiy se^
condo Ctesia Gnidio y riportato da Diodoro (lib. a. cap. i .)
furono soggiogati V Egitto y la Soria y e molte altre provine
CANTO V. 117
L'altra è colei, che s' a ncise amorosa, 61
£ ruppe fede al cener di Sicheo:
eie; anzi pure tutti ipopoli iV Oriente , seprestiam fede a
Giustino j che lo ci attesta nelle prime linee della sua sto^
ria [a]. 9-^ Se io avessi ad esaminarmi per la verità delF In-
tenzione che credo abbia avuto Dante , io starei y dice il Ma-
galotti , col Daniello e Venturi ; tanto più che ai tempi di Dan-
te non si aveva cosi esatta notizia di geografia da non poter
prendete equivoco intomo ad una città, nella quale era facilis-
stmo l'equivocare . Chi però sostener volesse che Dante non
abbia errato 9 potrebbe farlo col dire, che perSoldano intese
quegli stesso che nel suo tempo signoreggiava la vera Babi-
lonia di Semiramide j essendo la voce Soldano nome di di-
gnità , e perciò convenevole ad ogni principe . 4-«
61 6a colei j intende Didone moglie di Sicheo 9 la quale j
secondo racconta Virgilio [&] 9 dopo di aver promessa al de-
fimto marito castità vedovile , innamoratasi ed isposatasi al-
l'ospite Enea , e dal medesimo abbandonata , per ismania si
uccise. Il Petrarca (avvisa il Venturi) nel Trionfo della Ca-
stità rispettosamente senza nominarlo riprende Dante ; e
restituisce a Didone la fama toltale e dal latino poeta
maestre j e dal poeta toscano discepolo j là do^e canta'
Taccia 7 i^ulgo ignorante: indico Didoj
Cui studio d* onestate a morte spinse j
Non vano amer ^ cornee 7 pubblico grido .
Ma non è stato il primo a dir lo stesso dopo Virgilio il
poeta toscano discepolo: già detto lo avevano molto prima
di lai altri poeti latini discepoli e condiscepoli [e], Ovidio >
tra gli altri [d] y e Silio Italico [e] . Les sapants sont parta--
gès sur la perite de cette histoire , avvisa perciò nel suo Di-
xioiiario storico il Moreri . — s*ancise y il medesimo che si uc^
dse. Vedi il Vocab della Gr. •-►Molto opportunamente a
onesto proposito , dice lo Scolari , ha il Biagioli osservato che
il Petrarca nel Trionfo della Castità sta per un'opinione y e
nella canzone : Verdi panni ec. sta per Taltra . 4-«
f'I Osserv* sopra l'inf. a questo passo. [V] Aeneid.ts, [e] Adoprasi
cotal tennine rapporto ad Ovidio , che fiori coDtemporanearoente a
Virgilio, [d] Bpist. Heroid. 7. [e] Lib. vui.
ii8 INFERNO
Poi è Gleopatràs lussuriosa.
Elena vidi, per cui tanto reo 64
Tempo si volse; e vidi 'i grande Achille,
Che con Amore al fine combatieo .
63 CUopatràs j la famosa real cortigiana di Egitto » per
eoi Antonio ripudiò Ottavia. VairTvai. Cleopairàsj invece di
Cleopatra , è piaciato agli Accademici della Crusca d' inse-
rire nella loro edizione , per aver cosi trovato scrìtto in al-
<{uanti mss.; sema cioè avvertire che un numero assai mag-
giore di mss. •-► tra* quali y come accenna V E. R* , anche i
codd Caety Ang. e VaL Sigg.^-* ed inoltre 1* edizioni tutte
leggevano Cleopatra; e che finalmente Cleopatràs non è
nome né greco , né latino j né italiano •
Il sig. Bartolommeo Perazzini pare che accordi Cleopatràs^
ai&nchè possa reggere il verso. Versus y dice , procul tiubio
ita regendus est:
Poi è Cleopatràs lussuriosa.
Senza però cotale tenninazione e cotale accento, batta che
si pronunzii Cleopatra al modo che si pronunzia da'Grecie dai
Latini penultima correpta y come avvisa Roberto Stefano [a].
•-► Ciò non pertanto ci parve meglio , per l'armonia , di adot-
tare con la Crusca , Perazzini e Biarioh , il Cleopatràs, <*-■
64 65 Elena. Tutti i Comentaton naxrano Elena moglie di
Menelao , dal troiano Paride rapita : e solo il Landino vi ag-
giunge , come ad abbondanza : benché alquanti dicono che
non la rapì j ma essa di sua polontà lo seguì. Ma questa è
la circostanza appunto, per cui sola potè Dante collocare Elena
tra* lussuriosi. E tra gli alquanti dal Landino accennati, te^
s tifica cotale importante circostanza l'istoriarle eaccidioTroiad
attribuita a Darete Frigio, scrittore piii antico d'Omero, '^per
cui tanto ec, per cui passarono anni tanto sanguinosi per
guerre fira' Troiani e Greci . ^ Achille ^ figliuolo di Peleo e
Ted, l'eroe d'Omero nella Iliade. Voi.pi. Perchè tra' lussuri
sia messo vedi la nota seg. •-►Tocca di passaggio, dioe Ma
lotti 9 e con nobilissima maniera la guerra de'Greci, e le ulti
calamità de' Troiani • — E vidi Elèna ha il cod. Ang. E. R.
66 con Amore alfine combatteo. O allude all'amore « B:
[a] Thesaur* ling. lai. art. Cieopaira.
CANTO V. 119
Vidi Paris, Tristano; e più di mille 67
Ombre mostromrai, e nominoUe a dito,
seide portato > per cui si ritirò da combattere ; o all'amore por-
tato a Polissena j sorella di Paride , da cui fu ^ nell'atto di spo-
sarla y a tradimento ucciso ; e non all'amore di Deidamia j come
Tuole il Vellutello, che c'infrasca ancor questo: che ciò fu la
prima prodezza di questo eroe, quando era in abito femmi-
nile: o pure, che combatto alla fine con Amore, opprimen-
do i Troiani, per vendicare l'amato Patroclo, ucciso da Etto-
re. VniTVBi. Egli però cosi parla del Yellutello, perchè non
capisce l'obbligo che il Vellutello adempie, ed esso ometter^
d'insieme istruirci della cagione, per cui Dante ponga Achil-
le tra' lussuriosi • AchiUe { ecco la chiosa del \ellutello ) si
rende lussurioso e lascivo : prima per aver conosciuto Dei*-
damiaj figliuola di Licomede , la quale di lui generò Pirro
( chi non vede quanto a dimostrar Achille lussurioso vi stia be-
ne , anzi dì necessita , infrascata questa prima di lui pro^
dezza ? ); poi condotto per opera a Ulisse a Troia nelfe^
serciio de Greci , ^ ' innamorò e possedè /' amore di Bri"
seide , figliuola di Brisseo sacerdote , la quale essendogli
tolta da Agamennone , soffri , per grave sdegno , star piii
tempo senza colersi armare , e che i Greci fossero malme^
nati da* Troiani . Ultimamente s* innamorò di Polissena
figliuola di Priamo y e trattando con Ecuba j madre di leiy
di volerla sposare , si condusse per questo nella città , ove
fu da Paris a tradimento ucciso ; onde il Poeta dice , che
alfine combattè con Amore . - combatteo, per combattè j e
pel costume , altre volte detto , di volentieri schivare gli an-
tichi l'accento su 1' ultima sillaba, ed insieme per adattarsi
alla rima. Combattere però non ha qui senso di guerreggiare,
ma di capitar male , 0 di perire .
67 Paris. È incerto se Dante voglia intendere Paride troia-
no, 6gliaolo di Priamo e rapitore di Elena, notissimo nelle
£ivole ; o pure uno degli erranti cavalieri, famosi ne'romanzi,
di'ebbe tal nome. Volpi - Tristano, nepote del Re Marco di
Gyrnovia ( di Cornovaglia altri scrìvono ), ed il primo de 'ca-
valieri erranti che Artà Re di Brettagna tenesse in corte, co-
me si legge nel libro degli antichi romanzatorì: amò la Reina
Isotta , donna d' esso Re Marco , il quale trovatoli in fatto , ferì
a tradimento Tristano; della quale ferita fra brevi giorni si
mori. VzliLVTELLO .
120 INFERNO
Ch'Amor di nostra vita dipartille .
Poscia ch'io ebbi il mio Dottore udito 70
Nomar le doaue antiche, e i cavalieri,
Pietà mi vinse, e fui quasi smarrito.
Io cominciai: Poeta, volentieri 73
69 di' amor di nostra vita dipartille^ le quali Amore aveva
dipartite di questa nostra mortai vita ; volendo in sentenza in-
ferire 9 che esse erano morte per amore. Vellvtello. Semirami-
de, di fatto 9 cunt concubitumftliipetiissetj ab eodem interfe*
età est j narra Giustino [a] . Cleopatra , condotta dalF amore
verso Marc' Antonio ad esser divenuta prigioniera d'Ottaviano
Augusto 9 per evitare lo scorno di essere da Ottaviano menata
in trionfo, da sé stessa si uccise [&]. Elena, avendo col suo
adulterio con Paride cagionata la guerra , in cui mori Tlepole-
mo, fu perciò da Polisso, moglie di Tlepolemo, fatta strozzarefc].
Paride ( il Troiano ) medesimamente , per essere colla sua libi-
dine stato cagione del distruggimento della sua patria e del
regno, fini i giorni suoi trucidato \d] • Di Tristano e Didone
è già detto a suo luogo. Tutti adunque i nominati furono per
cagion d'amore tolti di vita. »-> Magalotti chiosa : « della morte
» delle quali fu cagione illecito amore ; » e Biagioli : « le quali
» (ombre) diparti amore della vita nostra. >9 Qui riflettendo
lo Scolari che V illecito del Magalotti non è necessario al pen-
siero di Dante , e che Biagioli ha dato per interpretazione la
cosa stessa , si fa a spiegare il verso in questo modo , ritenen-
do che Dante sia quello che parla : Le Ombre che Amore di'
sgiunse dalla vita che noi godiamo . 4-s
72 Pietà mi vinse ec. Dee qui il Poeta , accennando sé pure
macchiato dal vizio gastigato in costoro, voler esprimerne e la
compassione verso i medesimi , e lo smarrimento e paura per
propria parte. GÌ' istessi due effetti esprimerà in progresso pu-
re con Francesca da Polenta , dicendole :
Francesca , i tuoi martiri
A lagrimar mi fanno tristo , e pio [e].
[a] Lib. 1. cap. «.' [b] Svel. io Àug, ca)>. 17. [e] Pausaiiìa iipp«i Nettai
Conti, 3frihoiog,ì\b. 6. cap. a3. [d] Lo stesso Sfatai Conti, ivi.
[e] Verno 1 16. e sc^. di questo canto.
CANTO V. 121
Parlerei a que'duo, che 'nsieoie vanno,
E paioQ sì al vento esser leggieri .
Ed egli a me: vedrai. quando saranno 76
Più presso a noi ; e tu allor gli prega
Per quell'amor, che i mena; e quei verranno.
•-►Non trovando ragione di credere macchiato il Poeta
dal vizio gastigato in costoro ^ come troppo facilmente ac-
cenna il Lombardi y noi vogliamo intendere che fosse vinto da
pietà per sola compassione verso i medesimi. — Nota qui Bia-
gioii: OT sta' alla lettera , e credi che per la pietà che lo vinse
» di quegli infelici amanti , fu quasi smarrito ; e non già per
» paura di sé , come sogna il LombaitLi . » - Pietà mi giunse ,
legge il cod. Ang. E. £. — ed anche il Vat. 3 199. ^-m
78 m-^eiy legge il Lombardi, e chiosa: «sincope d'e//i , adope-
» rato dagli antichi nel retto caso e nell'obbliquo [a], equivale
a qui a loro. - ch*ei mena^ dice cosi invece di dii*e, ch*è loro
» cagione d^essere da quella buferadimenati,ì>'DiyeT8SL'm€i^
te la pensa il Biagioli e spiega: ch*eglimena insieme-, perchè
Dante, dic'egli , altiìmenti li pregherebbe per lo tormento che
gh alBigge, comodai senso dei versi i o4* e 1 o5.di questo canto.
— Magalotti chiosa: a per quelPamore cK^ei si portai^ono. E£-
» ficacissima preghiera e convenientissima a due amanti, scon-
» giurarli per lo scambievole amore.» — Vuole il Perazzini che
qui si legga che i invece di ch^ei , notando che questa lezione
tu già inmcata dall'eruditissimo Giuseppe Tomasclli , non tro*
vandosi esempio dellei in caso accusativo : Est enim (soggiun-
ge) ìpro li , ut nos (Lombardi) dicere solemus; e ne riporta
ad esempio i versi seguenti: La sconoscente ^ita , che ife*soz^
zi [A] ; - Inftno al pozzo , che i tronca , e raccogli fc]; - Pur
come gli occhi j eh* al piacer , che i mow [d]. — Che i legge
pur anche il VcUutelIo ; — che i aiTermano d'aver trovato nei
codici piii antichi e piii accuratamente scritti gli Editori del-
la E. F., credendo essi pure che la voce 1 , e non ei , sia quella
che significhi gli [e]. — Anche il Vat 3 1 99 legge che 1. - Che
f«] n Cinon. Partic loi. ia. dice: et voce sincopata dì egli] ma po-
teva per qaesto esempio di Dante dirla sincopala anche dV///. \ò] Inf.
ynu V, S3. [e] Inf. zvtii. v. i8. [d\ Farad, zìi. v* a6. [è\ YeUi il Vocab.
dcUa Cr. lettera I, $5. y. e vi.
iM INFERNO
Si tosto j come 1 vento a noi gli piega , 79
Muovo la voce: o anime affannate ,
Venite a noi parlar, s'altri noi niega.
Quali colombe, dal disio chiamate, 81
Con l'ali aperte e ferme al dolce nido
Yengon per aere da voler portate ;
i sia aferesi del pronome /f , ed antica maniera di favellare , lo
dimostra pure con molti esempj il eh. cav. Monti nella sua
Proposta [a]. - Tutte queste ragioni ci hanno persuasi a sco-
starci, senza tema di esseme ripresi, dalla Nidob.y leggendo
che i* Questa lezione è pur seguita dall'E. R. nella sua 3. ediz^
ma senza addume ragione alcuna che la giustifichi . 4-«
yg Wh¥ piega invece di piegò j scambiamento di tempo 9 in
relazione al Mossi che segue. G>si chiosa il Torelli , che qui
legge colla Crusca • «mi
80 Muoi^o, che hanno trovato in un ms. gli Accad. della Cr.,
accorda con Sì tosto , come 7 i^ento a noi gli piega , e non
già Afossi 9 che j solamente perchè trovato in un maggior nu-
mero di ms.y vi hanno essi Accademici inserito in luogo di
A^ioi^o ; contro però al costume loro lodevole di non badar
tanto al numero de' testi, quanto alla convenienza. m^Afuoi^Uo
la uoce j ha il VaU 3 199*- o anime affannate i aggiunto di mi-
rabile proprietà , e senza dubbio il piii proprio che dar mai si
possa ad anime tormentate da si fatta pena . Magalotti. ♦«
8 1 F^enite a noi parlar : fa servire la stessa a e per segna-
caso al pronome noi , e per preposizione al verbo parlare ;
come se detto fosse: venite a parlar a noi .
82 air84 Quali colombe. È la colomba animale molto los-
surioso , e per questo gli antichi dedicarono la colomba a Ve-
liere • Lavdiko. "Con Tali aperte e ferme : positura in cui le
colombe ed i volatili tutti tengono l'ali mentre abbassano il volo
per posare , e perciò atta ad esprimere il volo delle colombe
tendenti a ricovrarsi nel loro nido. ^^Vengonper aere da 'vo-
ler portate^ vengono, sono, per aria portate, mosse, dal volere,
dalla volontà, accondiscendente al detto disio \{xro."F^olanper
Vaer dal voler portate j leggono TedizionidiversedallaNidob.
[a] Voi. ni. P, 1. fac. 8o.
CANTO V. ia3
Colali uscir della schiera, ov'è Dido, 85
Venendo a noi per l'aere maligno,
Si forte fìi r affettuoso grido.
0 animai grazioso, e benigno, 88
Che visitando vai per Taer perso
B-^dal voler j dal desio de' loro nati . Biaoioli • — Graziosìssf-
ma similitndiiie epiena di tenero e compassionevole affetto. Gli
ultimi due Tersi possono avere due sentimenti , cioè: i.^ volan
per Taere con Tali aperte e ferme 9 cioè dirette al dolce nido
[fisse e ri%^olte intende pare il Torelli ) ; 2.^ volano al dolce
nido con Tali aperte e ferme, descrivendo in tal guisa il volo
delle colombe 9 quando con Tali tese volano velocissimamente»
sema ponto dibatterle ; in che si raffigura un certo non so che
più di voglia e di desiderio di eiugnere. Magalotti • — ali a/*
tate, al %^. 83*9 leggono i coda. Antald.9 Ang. e Caet. E. R. - e
il Yat. 3 1 99. * Fengon per Caere^ leggono pure i codd. Caet.,
Antald. e la 3. ediz. rom. — Volan per Vaer^ Ws^ ^1 Biagioli
(che difende l'antica lezione ) l'Ang. E. R. — ' e il V at. 3 1 QQ.'^hì
85 o»^' è Dido* Sceglie tra gli altri personaggi Dido per
esigenza della rima, m-^ Non per la rima 9 nota Biagioli, ma per
essere fina tutte quell'ombre famosa 9 a motivo del suo tragico
fine.4Hi
86 F^enendo a noi per Paere maligno 9 la Nidob.; jé noi
venendo per Vaer maligno 9 Taltre ecuz.9 »-► il Vat. 3 199 9 il
Biagioli 9 che disapprova la lezione della Nidob. 9 e i codici
Ca^ e Ang* E* R. 4-« maligno^ per infetto^ pestifero^ peroc-
ché infiemale.
87 Sì forte j vale così possente ^ efficace] -* F affettuoso gri*
doy o perchè supponelo fatto nel modo che Virgilio suggerì 9
Per queir iunorj che i mena; ovvero per l'affetto di compassio-
ne che ben da per sé stesso dimostra quelVo anime affanna'
te 9 - Venite ec.
88 animale j per uomo 9 il genere per la specie; quello che
diversificava Dante dalla parlante Francesca dell'animalità spo-
gliata • m^ grazioso 9 e benigno : per atto di gentilezza usatole
m darle campo 9 raccontando i suoi avvenimenti 9 di dare al-
quanto di sfogo al dolore . Magalotti. 4hì
6^ perso 9 nome di colore ; adopralo qui a cagion della rima
ui vece di nero 0 di oscuro . Perso (ne spiega Dante medesimo
i!i4 INFERNO
Noi y che tignemmo '1 mondo di sanguigno ,
Se fosse amico il Re dell' universo , g i
Noi pregheremmo lui per la tua pace,
Da eh' hai pietà del nostro mal perverso .
Di quel, ch'udire, e che parlar vi piace 94
Noi udiremo , e parleremo a vui ,
Mentrechè'l vento, come fa, si tace.
nel Cornato )è un colore misto di purpureo e di nero , ma
mnce il nero j e da lui si denomina [a] •
90 che tignemmo 7 mondo di sanguigno y che morimmo
ammazzati.
g3 Da ch^haipietdy legge la Nidob.» meglio che le altre edi-*
zioni; alcone, Po* eh' hai pietà j accorciando allo stesso modo
poi e poco ; ed altre j Poi cKhai pietà , creando l'ingrato suono
de' vicini oi e ai. m^Pó^c^ ài pietà y legge il Gaet. E. R. — e il
YaLSigo.^Hi
94 95 Di. Sopra questa voce pongono le moderne edizioni il
segno di verbo ; ma ella non è qui se non segno del secondo ca-
so. Il senso n*è abbastanza chiaro: noi parleremo a voi di quel
che vi piace udire » ed udiremo di quel che vi piace parlare.
^•^ti piace, invece di vipiace, leggono Tediz. diverse dalla Ni-
dob.9 m^ il cod. Gaet. E. R. — il Vat. 3 1 99 , ed il Biagioli che
difende la lezione comune.4-«Ma abbenchèparli Francesca con
Dante solamente 9 risponde però alla richiesta di esso Dante:
Fenite a noi parlar [&], ed inoltre accorda con parleremo a
*vui del seguente verso. — - vui per voi y antitesi in grazia deUa
rima. »> Che qui rispondesse la donna piuttosto che l'uomo,
ciò è molto adattato al costume della loro loquacità e legge-
rezza. Magalotti. 4HI
96 taccy catacresi 9 per istà quietOy non ci molesta. »-^Il
riposarsi del vento non è cosa impropria y anzi è accidente con-
facevole alla natura di quello; oltreché non sarebbe inverisi-
mile il dire eh' ei si fermasse per divina disposizione. Pieno è
il poema di grazie singolarissime dalla divina Bontà concesse
al nostro Dante. Magalotti. -ci tacCy leg^e il codice Vati-
cano 3199.
[a] Trstt 4* cap. ao [b] Verso 81.
CANTO V. 125
Siede la terra , dove nata fai , g^
Su la marina , dóve 1 Po disceade
Per aver pace conseguaci sui.
97 al 99 Siede la terra j ec. Era, la parlante ombra, Frai^
cesca y figlia di Guido da Polenta Signor di Ravenna , che visse
attempi di Dante , femmina bellissima e molto gentile , ma«
ritata dal padre a Lanciotto , figliuolo di Malatesta Signore di
Rimini, uomo valoroso , ma detorme della penona ; la quale
iimamoratasì di Paolo suo cognati 9 cavaliere di tratto molto
arvenente , ebbe con lui disonesta pratica, sino che, trovata in
sol fatto dal marito, fu daini con un sol colpo uccisa insieme
col drudo. Volpi* Dice adunane, che la terra, ove ella me
eque , cioè Ravenna , siede sul mare , perocché dal mare so*
lamente tre migUa discosta ; ansi un tempo vi era del tutto
ficina [a]. — • dove 7 Po discende , in vicinanza , a circa una
decina di miglia dove scarica il Po. — Per aver pace co* je-
guaci sui y per riposare le acque sue e dei molti numi che gli
s'immischiano e lo sieguono al mare* sid , alla maniera latina,
per suoi , sincope in grazia della rima, m^ L'espressione, dove
naia fui , usata da Dante due altre volte in questo senso nella
presente cantica , cioè al v. ^%. e xxii. ed al v. 94. e. zziii.,
pare che esprima: ove io nacqui , e vissi nei primi miei an-
ni j non senza però qualche latinismo e licenza in grazia della
rima. — Veg^asi circa ciò il Cinonio al cap. a6. del Tratt.
de verbi. Poggiali.
Persuasi di far co^^a grata ai piii de* nostri lettori , ripoi^
teremo qui sotto la narrazione di questo tragico fatto, e quale
nscontiasi nel Comento del Boccaccio alla Divina Commedia,
ediz. di Fir. 17^4» voi. 5., fiio. 3ia e segg, [&].
[«] BaiMlrand, Lexic, geogr.
[b] ce B dunque da sapere che costei fa figliaola dì Messer Guido veo-
cluo da Polenta , Signor di Ravenna e di Cervia ; ed essendo stata lun-
ga guerra e dannosa Ira lai e' Signori Malatesta da Rimino» avvenne
che per certi mezsani fu trattata e composta la pace tra loro. La qua-
le, acciocché pia ferniexza avesse , piacque a ciascuna delle parti dì
«lover fortificar per parentado: e il parentado trattato fu che il detto
Meuer Guido dovesse dar per moglie ana sua giovane e bella figliuo-
la , cfaiamala Madonna Francesca , a Gianciotto, figliuolo di Mcttser Ma-
Uasta. Ed ossendo questo ad alcuno degli amici di Mosser Guido già
ia6 INFERNO
Non dilicata né gradita cosa può agli occhi nostri parere
l'atto di Dante nel rimembrar questa macchia nelP illustre fa-
miglia di un benefattore e di un amico di lui. Ma le parole
BUDifesto , disse na di loro a Messer Guido 9 guardate come Yoi fate ,
perciocché se voi aoo preaderete modo ad alcuaa parte , eh' è io que-
sto pareotado, egli ve ne potr^ sesnire scandalo. Voi doYete sapere
chi è vostra figliuola, e quaalo elVè d'altiero animo; e se ella vede
GianciottOy avanti che il malrimouio sia perfetto» né voi, né altri po-
trà mai fare che ella il voglia per marito : e perciò quando vi paia , a me
parrebbe di doverne teaer questo modo : che qui non venisse Gian-
ciotto ad isposarla, ma venisseci un deTrategli, il quale « conse suo
n aratore , la sposasse in nome di Gianciotto • Era Gianciotlo oimiio
^ an sentimento p e speravasi dover lui , dopo la morte del padre »
rimanere Sienore . Per la qual cosa , quantunque sozzo della persona »
e sciancato fosse, il disiderava SI. Guido per genero, piuttosto che al-
cuno de' suoi frategU. E conoscendo, quello 9 che '1 suo amico gli ra*
gionava, dover poter venire, ordinò segretamente cosi si facesse» co*
me l'amico suo l'avea consigliato* Perchè ai tempo dato» Tenne in Ra*
venna Polo » fratello di Gianciotto , con pieno mandato ad isposare Ma-
donna Francesca. Era Polo bello, e piacevole uomo, e costumato
mollo: ed andando con altri gentiluomini perla corte dell' abitazion
di M. Guido, fu da una delle damigelle di là entro 1 che il conoscea,
dimostrato da un ))ertugio d' una finestra a Aladonna Francesca , di-
cendo, quelli è colui che dee esser vostro marito: a cosi ai credea la
buooa femmina. Di che Madonna Francesca incontanente in Ini punse
l'animo , e l'amor suo . E fatto poi artificiosamente il contratto delle
sponsalìzie; e andatane la donna a Rimino» non s'avvide prima dello
'nganno , che essa vide la mattina seguente al dì delle ooote» levar da
lato a sé Gianciotto ? di che si dee credere che ella , vedendosi ingan-
nata» sdegnasse» né perciò rimovesse dall'animo suo Paraora già po-
stovi verso Polo. Col quale ella poi si congiugnesse » mai non udii di-
re, se non quello, che l'autore ne scrive ; il che possibile è , che cosi
fosse . Ma io credo quello esser piuttosto finzion formata sopra anel-
lo, che era possibile ad essere avvenuto, che io non credo che Van-
tore sapesse, che così fosse, fi perseverando Polo» e Madonna Fran-
cesca in questa dimestichezza ; ed essendo Gianciotto andato in alcane
terre vicine per Podestà , quasi senza alcun sospetto » insieme comin-
ciarono ad usare. Della qual cosa avvedutosi un singnlare servidore di
Gianciotto , andò a lui , e raccoutògli ciò, che delle bisogne sapea ; pro-
mettendogli, quando volesse, di mrgliele toccare, e vedere. IK che
Gianciotto fieramente turbato , occultamente tornò a Rimino : e da
questo cotale » avendo veduto Polo entrar nella camera di Madonna
Francesca, fu in quel punto menalo all'uscio della camera, nella
quale non potendo entrare, che serrata era dentro, chiamò di foora la
donna, e die di petto nell* uscio; perchfe,da Madonna Franoesca, e da
Polo conosciuto, credendo Polo» per fuggir subitamente per una ca-
teratta , per la quale di quella camera si scendea in un'altra, o in tnito
o in parte potere ricoprire il fallo soo , si gittò per quella cateratta ,
CANTO V. 127
che egli pone ia bocca a Francesca sono tali da ispirare il più
TÌ?o interesse e destare il sentimento della piìi tenera compas-
sione*. Francesca nel sno racconto attribuisce la passione del
cognato non già a depravazione, ma bensì a nobiltà d'animo.
Confessa ch'ella fu avvenente, che amò perchè amata, che
questo pensiero trionfò di lei, e che un'indegna morte la spen-
se. Qui Dante unisce concisione a chiarezza, e la più ignuda
semplicità alla più profonda conoscenza del cuore. La fiamma
di Francesca sopravvive al castigo che il Cielo le infligge, ma
senza ombra di empietà • Ella non fu sedotta: soli e non con-
sapevoli del pericolo leggevano un'istoria d'amore: la felicità
dei due amanti dell' istoria che leggevano , inavvedutamente
li sospinse al doloroso passo. Fatta appena una tal confessio-
ne , affrettasi a compiere il quadro con un tocco che la riempie
di rossore e di confusione : — * quel giorno più non vi le^
gemmo innante. — Non proferisce altra parola!
Cosi sempre presso Dante la divina Giustizia punisce la
colpa oonunesaa ; ma l' umana pietà compiange ed attenua Tof-
dicemlo alla donna , che gli andasse ad aprire. Ma non avvenne , come
if fisato avea; perciocché gittandosi già, si appiccò una falda d'un co-
rei lo {armatura per difendere il core )« il quale egli avea in dosso , ad
na ferro, il quale ad un legno di quella cateratta era. Perchè avendo
già la donna aperto a Gianciotlo, credendosi ella, per lo non esservi
trofalo Polo, scusare: ed eotrato Giancìotto dentro, ìnconlanente
s'accorse Polo esser ritenuto per la falda del coretto; con uno stocco
in oiano, correndo là per ucciderlo; e la donna accorgendosene, ac*
csocebè quello non avvenisse, corse oltre presta , e misesi in mezzo
Ira Polo, e Giancìotto, il quale avea già alzato il braccio con lo stocco
in mano , e tutto si gravava sopra il colpo: avvenne quello eh' egli non
arebba voluto, cioè, che prima passò lo stocco il petto della donua,
che egli aggiugnesse a Polo . Per lo quale accidente turbato Gianciotto,
siccome colui, che più che sé medesimo amava la donna, ritratto lo
stocco, da capo riferi Polo, ed ucciselo : e cosi amenduoi lasciatogli
BMfti, sobitamente si partì, e tornossi all'uficio suo. Furono poi li
due amanti con molte lacrime la mattina seguente seppelliti, ed in
uoa medesima sepoltura.»
Non sarà discaro, dice l'È. R., il sapere che questa miserabile
scena avvenne nel ia88 in Pesaro, come il eh. sig. Teofilo Betti ha
preso di provare nelle sue Memorie inedite per la storia Pesarese ^
appoggiato priocifialmente sull'autentico documento della dimora che
Giovanni Sciancato, esule da Rimino con tutta la sua famiglia, faceva
io Pesaro di quell'anno . ^* Pietro Dante chiama il marito di France-
sca ioannes Ciottus ^ ian Ciotto, cioè zoppo, sciancato, per cui al-
cani mas. ne fecero malamente la voce Lanciotto, ÌL F.
ia8 INFERNO
fesa secondo le circostanze incoi venne commessa,
loda le persone secondo il bene o il male che hanno fatto alla
loro patria, secondo la gloria o l'infamia che hanno lasciato
dietro dà so . Per le nazioni che giacciono in uno stato semi-
barbaro, le passioni sono le leggi più forti ; e Dante, che scrisse
pe*suoi tempi, riputò onorevole la vendetta, come lo addi-
mostra questa sentenza, con cui chiude una delle sue liriche
composizioni : ce Ctiè bell'onor s^acquiHa in far vendetta, n
Queste ragioni chiariscono T episodio di Francesca, in tutto
conforme alle massime, alla poesia, ed alle inclinazioni di
Dante e del secolo in cui egli visse. Soddisfa alla divina Giu-
stizia ponendo Francesca nelF Inferno; ma ve la pone in tal
maniera, che l'umana fralezza ne risente la piii alta pietà.
La natura avea conferito a questa donna l'indole poetica; la
storia di lei era tale da non potersi rimanere nascosta • Dante
diede cosi alla figlia del suo amico quella celebrità che la po-
polar tradizione non potea compartirle. S'aggiunga a tutto
questo, che il marito di Francesca era ancor vivo e potente
5[uando Dante scriveva ; ma l'imperterrita vendetta del Poeta
0 consascra all'infamia, e predice che lo attende* T oscuro
pozzo dei firatricidi : - Caina attende chi in vita ci spense.
- Verità di fatto si è, che il padre di Francesca continnò a
proteggere Dante , e non solo ne accompagnò al sepolcro le
mortali i^eliquie, ma recitò un funebre elogio alla loro pre-
senza. E i suoi successori difesero essi pure la tomba del Poeta
contro il potere di Carlo di Valois, Re di Napoli, e del Pon-
tefice Giovanni XXII. , quando mandò da Avignone a Ra-
venna il Cardinal del Pogge tto, coli' ordine di trar fuori le
ossa del Poeta dal riposo del sepolcro , onde arderle e spar-
geme al vento le ceneri. Questo aneddoto, a dir vero, non
vien ricordato che dal Boccaccio nella vita di Dante , lavoro
biografico , e che generalmente e riguardato come un roinanzo .
Ma il fatto , a quanto ci pare, viene confermato per vero nelle
opere di Bartolo, celebre scrittore di ragion civile, che vìveva
in quel tomo , e che apertissimamente ad esso allude nel trat-
tare della legge De reiudicandis reis [a j .
Queste riflessioni si compendiarono da noi da un articolo
del eh. Ugo Foscolo, che si legge nella Beuista di Edimòor^
go , riportato in estratto nel Raccoglitore milanese , 1 8 iq,
Quad i.4-«
[a] Ad eod. lib. i. cod. De reiudic.
CANTO V. 1.9
Amor, che al cor gentil ratto s'apprende , 1 00
Prese costui della bella persona ,
Che mi fa tolta, e '1 modo ancor m offende:
Amor, che a nullo amato amar perdona, io3
Mi prese del costui piacer si forte,
100 cor gentil. Il Boccaccio vieta il pigliar quel gentile iii
significato di nobil lignaggio , o di animo adomo di gran vir-
tù ; ma vuole che significhi solamente cuor dolce , e natural-
mente disposto ad amare ; potendo (juesta facilità ad intene-
rirsi valere per qualche discolpa del grave fallo. Vehturi.
•-►a/ corj legge la Nidobcatina. — a cor , nota Torelli, è as-
sai meglio detto che al cor, e ci sarebbe piaciuto d* intimo-
darre questa lezione nel nostro testo . 4-«
101 Prese , accese, innamorò )" costui , Paolo, il cognato
soddetto. — persona, per corporatura. Vedi il Vocabolario
della Crusca .
102 e 7 ntodo ancor m'offende ' la maniera , con la qual
'e fo tolta, essendo stata colta in atto venereo, \ offende, per-«
che ricordandosene ne prendeva dolore. Dahiello. Ma ben an-i
die può intendersi del repentino modo, che non diede un mi-,
nimo tempo di chiedere perdono a Dio prima di morire ; ch*è
CIÒ di cui doveva quella coppia esseme piti ramm ancata .
^ Piuttosto del modo barbaro e disonesto , e deirerribile idea
che accompagna quella dell'assassinamento. Bvacioli. <-•
io3 nullo, per niuno, adoperato da buoni «lutorì anche in
pmsa. Vedi il Vocab. della Cv, -^ amar perdona , valeri/o-
^^^^, esenta di riamare. «-^E Biagioli: Amore che non
consente che chi è amato non riami. ♦-•
»o4 su prese, mi fece schiava ; — del costui piacer , del
PJ^cere di costui ; — sì forte , cosi fortemente, cosi indissolu-»
'^'Imeiìte . •-► Costui nel secondo caso stanza il suo segno si
|">n spesse volte usato dagli Autori (Vedi il Cinonio.) Può
"il^ndàrsi , secondo il Magalotti , questo verso in due sensi :
'• mi prese del piacere, della gioia di amar costui -, 2P mi
prese del piacere cVio faceva a costui, mostvando così d'es-
**'^\ innamorata non tanto per genio, quanto per vaghezza
d^^«)rgersi di piacere e di essere amata , e per certo obbligo
«• gentil corrispondenza.
f^oL L c)
i3o INFERNO
Che , come vedi , ancor qoq m' abbandona :
Amor condusse noi ad una morte: 106
Gaina attende chi vita ci spense:
Queste parole da lor ci fur porte .
Da eli' io 'ntesi (jueir anime oB'ense, 109
Chinai '1 viso, e tanto '1 tenni basso,
Fin che '1 Poeta mi disse: che pense?
Quando risposi, cominciai: o lasso! 1 n
Quanti dolci pensier, quanto disio
Menò costoro al doloroso passo!
Poi mi rivolsi a loro, e parlai io, ii5
1 06 ad una morte j peroochè uccisi tutti e due, com'è det-
to, GOii un sol colpo. »-► Arroge forza con la lena i*eplica, e
con graadissim'arte diminuisce il suo fallo ^ rovesciando sopra
di Amore tutta la colpa, Magalotti. 4-s
107 Caina, luogo nelP Inferno de' fratricidi , denominalo
così da Caino uccisore del fratello Abele. — chi vita ci spense^
chi la vita ci distrusse y ci tolse. — ^ chi ^n vita ci spense, leg-
gono malamente Tediz. diverse dalla Nidob. »-► e il cod. Ao-
tald. E. R. e il Biagìoli. — Il Vat. 3 199 legge, a vita,<rm
1 08 da loPj perocché parlava Francesca a nome ancon del
cognato. »-^E cosi Torelli , richiamando il I^^oi udiremo, e
parleremo a vui dì sopra . <-m
109 affense, per offese^ epentesi dal latino io grazia della
rima,
1 1 a o lasso f ec. Accenna con questa esclamazione qualche
rimorso in sé medesimo di simili talli. »^ A tale chiosa si op*
pone il Biagioli, affermando che questa non è altro che inte-
riezione di dolorosa compassione. — Si osservi di fatti che, se
si adotta questa chiosa del Lombardi , per la stessa ragione
inferh* si dovrebbe che Dante fosse pur anche un parassito*
giacche nel e. vt. al v, 59. l'affanno di Ciacco ( pai'assito) gli
pesa così , che lo invita a lagrimare . — Quand'io risposi ec^
banno TAng. e il Caet. E. II. ««-e
ì i^ al doloroso passo/ alla morte e dannazione .
1 15 parlai io , dice , perocché fino allora avevano parlato
^ssi , ossia Frapcesca a nome di tutti e due : e resclamaziooti
CANTO V, i3i
E cominciai: Francesca, i tuoi marliri
A lagrimar mi fanno tristo, e pio.
Ma dimmi: al tempo de' dolci sospiri, i i8
A che , e come concedette Amore
Che conosceste i dubbiosi desiri?
0 lassai — Quanti ec^j fu fatta parlando con yii^illo sola-
mente. Po' e parla* y invece di poi e parlai , leggono le cdiz«
diverse dalla Nidobeatina.
wj A iagrimar 0C^ sintesi, di cui la costrus.: Ali fanno
tristo e pio a (vale fino a) [a] lagrimarcy fino a i*ai*mi pian-
f^ere; ^^ tristo ^ pel proprio rimorso di simili colpe, e colise^
goentemente pel meritato ugual gastigo ; pio , per compassione
a quelle anime. »^A questa chiosa si oppone saggiamente Bia-
^o\\j ritenendo che sconvolga la natura, ed accusi ingiustamente
di adulterio il Poeta , cho si mostrò ne suoi amori santo e puro
più cfa^altri mai; e che quand'anche la cosa fosse stata alu*imeuti,
tiOD era qui luogo di frastornare con rimorsi il lettore intenerito
<li pietà per quelle anime. -Il Magalotti peròsi mostra dubbioso
se quel tristo abbia qui ad intendersi per iscellerato o per me-^
r/(i;e, quantunque egli inclini a credere che Dante l'abbia usato
in senso di mestOy maninconiosoec^, riflette che tristo in signi-
ficato di empio fa un bellissimo contrapposto con pio . <-«
ii8 al tempo de*dolci sospiri ^ al tempo eh* ognun di voi
^ft^pirava per amoroso fuoco, senza maniiestarvelo l'un l'ai-
trii. Suppone che in essi , come in tutti intravviene , facesse da
[irìma la modestia e la ragione qualche argine al ceneeputo
amoroso ardore.
119^ che , ad occasione di che, a quale incontro ; — « co^
»te , in qual modo. Questa ricerca non fa già Dante per mera
curiosità ed oziosità , ma per venire col fatto a renderci istilli-
li « quanto a sciorreil freno alle male nostre inclinazioni e pas-
^i^i abbiano possanza i eattivi libri e colloquj . •-» A che ,
♦piega Torelli , a quale indizio? Allo scolorare del viso ; — e
' '»'ie j per qual modo ? Per la lettura degli amori di Lanci-
l'»tio e di Ginevra . ♦-•
130 conosceste j intendi, accertatcunente ; -^1 dubbiosi
tUuri , i desirì non manifestati innanzi se non con segui dui^
'1] Vedi il CiuoQ. Pariic» lai. e il Vocab. delia Crusca.
i33 INFERNO
Ed ella a me: nessun maggior dolore, m
Che ricordarsi del teippo felice
Nella miseria, e ciò sa U tuo dottore.
Ma se a conoscer la prima radice .124
Del nostro amor tu hai cotanto affetto,
Farò come colui che piange, e dice,
biosi , equivoci . m^ dubbiosi , per non essersi ancora Tuii l'al-
tro discoperti • Magalotti» <-•
1 23 ciò sa 7 tuo dottore. Il Daniello e il Venturi , per non
trovarsi tra gli scrìtti di Virgilio sentenza che confermi il dello
di Francesca, sonosi rivolti a Boezio, scrivendo questi: In
omni adversittUe fortunae , infelicissimum genus infortunu
est fuisse felicem [a]. A me però sembra, che ciò sa 7 tuo
dottore non voglia dire , come questi due valent' uomini sup-
pongono, che ciò il dottore scritto avesse , ma che il sapesw
per prova, trovandosi anch'egli nella misepa dell' inferoalc
carcere : tanto piii che non era poi Francesca donna di leUeJc
»^Biagioli se ne sta col Venturi , osservando inoltre che Dante
nelle sue avversità aveva sempre tra le mani il Boezio, comt*
rilevasi da un passo del suo Contrito. — Ma sia dello a glo-
ria del vero, questa osservazione non è altrimenti sua, ma s»
bene del Magdotti , il cui Ck)mento, quantunque in allora ine^
dito, forse vide, benché noi dica , il Biagìoli; del che e in-
dusse egli in sospetto in parecchi luoghi di questi primi cin-
que canti: iVbn la miseria e ciò fa il tuo dottore , legge U
cod. Ang. E. R, 4-«
1 24 > 5i5 Ma se a, la Nidob.; Ma s'a , TaltT'ediz. — la pri-
ma radice — Del nostro amor^ la prima cagione dell'amo-
rosa nostra pratica • -— affetto , per desiderio •
iik6m^Farò ec; il Lombardi colla Nidob. legge Dirò in-
vece di Farò , chiosando : « Non vuole dire di più che nel v, 9-
» del canto xzziii. di questa cantica : Por/ore e lagrimarvc'
» drai insieme. » — Farò , invece di Dirò , hanno rediiioni
diverse dalla Nidob., il Biagìoli, a cui non garba la lezione di
Nidobeato, il cod. Ang. E. R., e il Vat. 3 199. Il ch.Slroccbl
difenda questa lezione, osservando che il verbo fare^ tss^^<
di sua natura ausiliare, può comprendere l'azione del pian
[a\ De consolai. , prosa 4*
CANTO V. i33
Noi k'ggevamo un giorno |)er diletto 1217
Di Lancilotto, come Amor lo strinse.
Soli eravamo, e senza alcun sospetto.
Per più fiate gli occhi ci sospinse i3o
Quella lettura, e scolorocci '1 viso: ^
Ma solo un punto fu quel, che ci vinse.
Quando leggemmo il disiato riso i33
Esser baciato da cotanto amante,
Questi , che mai da me non iìa diviso ,
gene e del dire insieme ; ma che poi non è buona sintassi dire
come colui che piange , perchè il verbo dire non è ausiliare •
Quindi conclude j che il ^. 9. e. xxxiii. deirinfemo non può
qui addursi per equivalente , mentre le parole non sono og-
getti di vedute se non pei moti delle labbra e per Talito del
parlatore. — Queste ragioni ci persuasero a mettere Farò nel
nostro testo • <^
f 27 al 1 29 Noi leggevamo 9 la Nidob. ed altre antiche ediz.;
Noi leggiauatno , dopo l'Aldina e quella della Ciiisca , tutte
le moderne. •-►Si osservi con quanta evidenza rappresenta
Tamoroso avvenimento di Paolo e di Francesca in questo ter-
ii*tto. Magalotti. *— iVbi leggiayamo , leggono pure il cod.
VaL 3 1 99 ed il Biagioli . <-• Di Lancilotto j come ec, di Lau-
ciloUOy cavaliere celebrato ne' romanzi (ma principalmente in
qoello intitolato Tavola ritonda , che era in prezzo ai tempi
dì Dante), come egli invaghito di Ginevra , giunse al suo in-
tento. VaiTTuai. — Amor lo strinse 9 per legò , rese innamo-
rato schiavo , intendi j di Ginestra .
i3o i3i Per più fiate ec. Tale lezione piii volte li mosse
a sospirare 9 e ad amorosamente riguardarsi 9 e ad impallidirsi ,
come sogliono il piii delle volte far gli amanti: onde Ovidio
nel lib. I . V. 729. de arte amandi : Palleat omnis amans j
color esthic aptus amanti. Davibllo.
1 33 il disiato riso , la bocca , ed è posto Teffetto per la ca-
gione, cioè il riso per la bocca, dalla quale esso ha depen-
denza. Davibllo.
i'i3 Questi j Paolo I il cognato.
i34 INFERNO
L;i ]}occa mi baciò tutto tremante. i3fì
Galeotto fu il libro, e chi lo scrisse:
l'Mì tutto tremante; non essendo ancora ben certo qiial Cos$e
in tal atto l'animo di quella. Vbllutello. »-^Non già prr Tìn-
certezza, ma per 1* impeto della passione che lo ardeva. E. F.
— pel sommo desiderio e per Tes trema paura. Biagioli. <-m
l 'òy Galeotto fu il libro 9 e chi ec. Galeotto y nome prò*
prio di uomo 9 che fu T infame sensale tra Ginevra e Lancilotto
(suddetti ) • Ma qui in senso di nome appellativo vuoi dire , che
quella impura leggenda e il suo autore indusse Paolo e Francc^
sca a quella enormità , come Galeotto quei due antichi amanti
a comspondersi illecitamente. Benvenuto da Imola ci dà con-
tezza, con tal nome essei*si in quel tempo appellato chiunque
facevasi mezzano d'intrighi d'amore : e quindi è , che ius4*-
cnandosi amorose malizie nelle cento Novelle del Boccaccio,
fu loro posto in fronte il cognome di Principe Galeotto y che
ritengono nel titolo i testi antichi. Veutuai.
Io però per crederglielo ne von'ei vedere qnalch' altro
esempio diverso da questo di Dante , e dall'allegato titolo del
Decamerone del Boccaccio •
Mai non adopei^ Dante , fiior di qui , il termine di ga-
leotto , che nel senso di semplice nocchiero; talmente che non
ischiva di appellar galeotto perfino lo stesso angelo che tj*a-
gitta anime dal mondo al Purgatorio [a] : ed ove accade di
mentovar ruffiani y mai d'altro che del medesimo chiaro è co*
mun termine di ruffiano si vale :
Bujflany baratti y e simile lordura [i] •
Bujftany qui non son femmine da conio \c\.
Ed il pretendere che al senso di mezzano d^intrighi d*amore^
ossia di rtifflanoy adoperi qui galeottOyàicenAo- Galeotto fu il
libroy e chi ec.y è un pretendere che stucchevolmente dica Dante
cosa che già per la precedente narrativa non può non essere in-
tesa . E chi mai dalla precedente narrativa non capisce piii die
abbastanza che fu quel libro incentivo al cadere de'due amanti?
Riguardo poi al titolo di Principe Galeotto attribuito
alle Novelle del Boccaccio, ne tutti i testi ve lo attribuiscono,
né moko meno piace a tutti la pretesa interpretazione {d\ •
[a] Pnrg. 11. 37. [&] Inf. zi. Go. [e] Inf xvin. fi6. \d\ Vedi le annota-
zioDÌ dei deputati allii correzione del Decameront At\ Boccaccia* n. t.
j
CANTO V. kH5
To per me adunque ^ attesa la universale asserzione de«
gV Interpreti (del Boccaccio , di Benvenuto suddetto , del Lan-*
(lino, e di tutti gli altrì), che Galeotto stesso 9 il mezzano de-^
gli amori ti*a Lancilotto e Ginevra j fosse lo scrittore di quel
libro 9 me la sbrigherei con dire f che Galeotto fóss* anche il
titolo del libro o datogli dall^autore medesimo, ovvero dal vol-^
go attribuitogli dal nome stesso delPautore (come j per cagion
d'esempio y appelliamo comunemente Ariosto il poema l*Or-»
landò Furioso^ perchè scritto dalVAiùostoj e Tasso il Goffrè^
do , perchè scritto dal Tasso) ; e che Galeotto fu il libro j e
chi lo scrisse j vaglia quantos Galeotto fu il Home del libro-, e
di chi lo scrisse. »->Il libro e l'autore die lo scrisse fecero tra
Paolo e Francesca la parte che fece Gsil^otto b*a Lancilotto e
Ginevra. AlAGALotTi. -cAe lo sctisse , legge il cod. Vat* 3 199»
— Il lihro che i due Amanti leggevano era il famoso ed antico
romanzo detto il Lancilotto ^ che si legge ancora in alcuni vec^*
chi mss. e nella rarissima ediz. del i558« Sono esposte in detto
libro tutte quelle cose che Dante qui descrive. Stimiamo pre-*
gio del nostro Comento il riportar qui parte del capitolo lxvk
di questo libro medesimo^ ove si legge chiaralnente quel fatai
passo, dopo cui Paolo e Francesca piii non lessero avanti .
Chi non vede da tutto questo, che il nome di Galeotto si
fece in antico > per questa Istoria , sinonimo di mezzano ? E
Capitolò LXVL
« Come la Heina conobbe Landlotio,; e còme la prima congiunzioni
Ju fatta fra Lancilotto e Ginevra per lo mezto di Galeotto •
Dicela Ginevra a Lancilotto. E quanto è che voi tanto mi amate?
Lane. Dal giorno ch'io fui Cavaliere. Gin. Per la fede adunque che
voi mi dovete 9 donde viede quest'amore che voi avete messo in me ?
Lame, Dama» da voi \ che di me faceste un vosti-o amico 9 se la vostra
bocca non mi ha mentito • Amico mio ! (dice elU ^ come ? Ed egli : Da-
ma, io venni davanti voi quando io presi licenza dal Re; e vi accomandai
a Dio; e dissi ch'io era vostro Cavaliere in tutti i luoghi* E voi midiceste,
che volevate eh' io foisi vostro amico . £d io dissi : addìo > Dama . E voi
diceste: addio »mio belloi e dolce amico . Questo fu il motto che mi fece
valente uomo , se io il sono: né mai poscia fui a s) gran perìcolo, ch'io
Don me ne ricordassi : questo motto mi ha riconfortato contra tutti i ne*
mìci miei : questo mi ha guarito da tutti i mali.' questo mi ha fatto ricco
io mexro la povertà. Per mia tk^ disse la Reina, questo motto fu detto
in buon'ora; ma io non la piglio per cosa certa» come voi fate ; perché
ho detto questo a molti valenti uomini . E tale è la costuma de'Gavalic*
i3G liM ERNO
ri, clic fauno sembiante dì pregiar tali cose a molte Dame « le qndlì non
SODO loro niente a caorc. E questo ella diceva per vedere come Do-
lesse darli martello, perchè vedeva bene die non pretendeva ad altro
amore che al suo; ma si dilettava di travagliarlo .Ond'egli ebbe si
grande angoscia , che mancò poco che non si venisse meno; e U Rei-
na, eirebbe paura che non cadesse, chiama Galeotto; ed egli viene
correndo. Quando vide che 'I suo compagno era si travasliato, n'ebbe
tanto dolore, che piii non potea. Ahi ! Dama ( dice Galeotto ) voi ce
lo potrete ben torre ; ma questo sarà gran danno .... Dama, se Dio
m' aiuti, è se gli può ben credere : che , cosi com' egli è '1 piti valente
di tutti gli uomini, così il suo cuore è piti veritabile che tutti gli al-
tri ... • Per Dio! Donna, abbiate di lui pietà! e fate voi così per me,
com' io farei per voi, se voi mi pregaste. Gin» Che pietà volete ch'io
II' abbia ? GaL Dama , voi sapete eh ei v'ama sovra tutte; che ba fatto
ver voi piti che Cavaliere facesse mai per donna .Certamente (dic'ella)
Ila egli fatto per me più di quello, ond'io lo potessi mai rimeritare : e
non potrebbe richiedermi cosa ch'io gli sapessi negare. Ma egli non mi
richiede di niente ! anzi è tanto roaniuconioso , che è maraviglia. Don*
Da, ( dice Galeotto) abbiate pietà ! egli è tale, che v'ama pih che sé
medesimo . E Ginevra : se m'aiuti Dio, io non sapea cosa alcuna della
sua volontà • ... Io ne avrò tale pietà quale voi vorrete . E Galeotto :
Dama , voi avete fatto quello di che io v'ho richiesto : e altresì deb-
b' io fare ciò che voi mi chiederete. Ma se egli (risponde Ginevra )
s'egli non mi richiede di niente! Certamente ( risponde Galeotto) e'
non s'ardisce : né vi domanderà mai cosa alcuna per amore , perchè
teme; ma io ve ne prego per lui; e sebbene io non ve ne pregassi , sì
lo dovreste voi procacciare ; perchè piò ricco tesoro non potreste con-
quistare giammai. Certamente , dic'ella , il so bene , e farò tutto che
voi mi comandate. B Galeotto ; Dama « gran mercè. Vi prego adunque
che gli doniate l'amor vostro; e lo ritegnate sempre per vostro Cava*
liere; che dive^^natesua leale Dama tutta la vostra vita ; e Farete fatto
uiò ricco che se gli aveste donato tutto il mondo. Certamente, dice
la Reina , lo prometto ; solo eh' egli sia mio, io sarò tutta sua ; e per
voi sieno emendate tutte le cose mal fatte • Dama , ( dice Galeotto )
or conviene che si facci» il comincia mento . Baciatelo avanti me per
principio di vero amore. Del baciare, dic'ella, io qui non veggono loco ,
né tempo . Non dubitate, eh' io non lo facessi; ansi volentieri lo farei.
Ma queste Dnme che sono qui, non potrebbe essere ohe non vedesse-
ro . Non neitanto , se voi il volete, io lo bacerò volentieri. E Lanci-
lotto ne fu si allegro . che non potè rispondere, se non tanto che di-
re: Dama, gran mercè . E Galeotto: o Donna , del sdo volere non
dubitate , perchè è già vostro ; e sappiate bene che ninno se ne accor-
gerà . Noi tre saremo insieme come se noi coosnltassiino • Di che mi
farei io pregare f diss'ella ; piii lo voglio io che voi. Allora si traggo-
no da parte sorridendo , e fanno sembiante di consigliare . E la Reina
vede cne il Cavaliere non ardisce, e lo prende, e lo bacia avanti Ga-
leotto assai lungamente . E la Dama di Malheanit seppe di vero ch'el-
la lo baciò .... Allora si levarono tolti a tre: ed era fattosi notte
grandemente; mn la Lon^ era levata , e facea chiaro si, ch'ella Iacea
per tutta la prateria. »
CANTO V. i37
Quel giorno più non vi leggemino avante.
Mentre che Tuno spirto questo disse, 189
L'altro piangeva sì, che di pietade
Io venni meno come s* io morisse^
£ caddi, come corpo morto cade.
con ragione Dante potè dire che crael libro tenne per Francesca
quel loco stesso y cne Galeotto già tenne per la bella Ginevra.
Fa specie che ninno dei Chiosatori di Dante abbia mai riferito
questo luogo , colpa forse 0 della rarità del libro ^ o deirosce-
nità sua. Imperocché è uno de* libri piii antichi che la Chiesa
abbia proibiti. E lo fulminò Innocenzo III. al tempo stesso di
Dante con una Bolla data Tanno 1 3 1 3. (Vedi Ducang. Diss. ti.
sulla Stor. di san Luigi Re.) Pbrticabi. E. F. ««-e
1 38 Quel giorno più non i^i ec. La particella tà vale in
J nello , in quel libro (Vedi il Cinon. Par tic. 26 1. 3.); e vuole
rancesca aire , che per quel giorno non andò più avanti la let-
tura in quel libro. «-^Accenna con nobil tratto di modestia Tin-
terrompimento della lettura, ed in conseguenza il passaggio
dai tremanti baci agli amorosi abbracciamenti. Magalotti. -Il
padre di Aquino ha elegantemente tradotto questo passo cosi :
cr Distulimus post haec sontes evolv^ere chartaSf
n Sontes! heu miserami grauius nocuere remotae^ E. F.4-«
iJ^i Io venni meno come sHo morisse , legge la Nidob. ,
ove Taltre ediz., F venni men così compio morisse ; •-» e cosi
legge anche il Vat. 3 199. — - Io uenni meno si come morisse j
ha il cod. Ang. E. R. ♦-« Morisse y per morissi y antitesi in gra-
zia della rima &
i»t» fta
CANTO vr.
•<»^
ARGOMENTO
Travasi il Poeta ^ poiché in sé stesso fu ritornato j
nel terzo cerchio, ove sono puniti i golosi, la cui
pena è l^esser fitti nel fango , e panmente tormen-
tati da grandissima pioggia con grandine mescola-
ta , in guardia di Cerbero , il quale latrando con
tre bocche, di continuo gli offende ed affligge. Tra
così fatti golosi trovando Ciacco^ seco delle di-
scordie di Fiorenza ragiona» Finalmente si parte
per discendere nel quarto cerchio .
AX tornar della mente, che si chiuse i
Dinanzi alla pietà de' due cognati ,
Che di tristizia tutto mi confuse ,
Nuovi tormenti , e nuovi tormentati 4
I Al tornar (sottintendi ad operar, firase però giustissi-
ma) della mente ^ che si chiuse, che restò senrata, l^ata,
inoperosa y per cagione del suddetto tramortimento del corpo ;
dalla cui atUludine, in questo stato d' unione , nelPoperar suo
Tanima necessariamente dipende .
a •-^Dinanzi , vale testé y poco prima. Tobelli.4-« alla pie--
tà. Il Vocab. della Crusca , ed altri appresso a quello , sola-
mente a ^lèfa^ coll'accento sulla penultima sillaba , attribuisco-
no il significato or di affanno e pena , or di misericordia e
compassione; e non sl pietà coU'accento suirultima. Ma, se
non altro, l'esempio presente dimostra chiaramente, che anche
pietà può significare, e che qui di fatto significa affanno e
CANTO VI. i39
Mi veggio intorno , come eh' io mi muova ,
E come eh' i' mi volga , e eh' io mi guati .
lo sono al terzo cerchio della piova 7
Etema , maledetta , fredda y e greve :
Regola , e qualità mai non V è nuova •
Grandine grossa, ed acqua tinta, e neve io
Per laer tenebroso si riversa:
Pute la terra, che questo riceve.
Cerbero, fiera crudele e diversa, i3
pena . Io credo che non passi tra queste due voci niente piti di
svario y che appo Dante medesimo tra podestà e podestà [al.
5 6 »-»> come eh'' io mi muova ec.j cioè in qualunque modo
0 per qualunque verso io mi muova o mi volga e mi guardi
intomo i cosi il Poggiali, che ritiene i mi di questi versi, e
r ultimo specialmente > come particelle ridondanti 0 riempi-
tive ; altrimenti io mi guati vorrebbe dire io guardo me stes^
so y Io che non si accorda col sentimento • — Lombardi colla
INidob. legge, E chUo mi volga e come ch^io guati; ma qne»
sta lezione non piace al Poggiali , ed è dal Biagioli considerata
come guasta. Trattandosi di non nuocere minimamente al con-
cetto, e di rendere d'altronde il verso piii sonoro, ci piacque
di sostituire alla lezione del Lombardi quella della Crusca e
di tutte le altre edizioni . — Il Cod. Vat. 3 1 99 legge come la
Nidob. •«-« guati , lo stesso che guardi •
ò greve j -oer facente gravi percosse ; perocché non di sola
aequa, ma ai grandine grossa ancora, come ora dirà, com*
posta. •-► Greve non è sinonimo di facente gravi percosse ,
ma qualifica la piova, rispetto alla sua gravità opesoy onde
deducesi Peffetto relativo. Biagioli. 4hi
9 Regola y e qualità mai ec.i né mai cessa di piovere , né
piove altro mai che le medesime materie •
ì% Pute, da putire f che significa lo stesso che puzzare ;
*• che questo riceve , sopra la quale cade cotale mistura .
i3 Cerbero j can di tre teste , crinito di serpenti , il quale
finsero gli antichi poeti essere custode della porta deirinfemo.
!«] Vedi in questo medesimo canto t v, 96.
i4o INFERNO
Con tre ^ole caniiiatnente latra
Sovra la gente, che quivi è sommersa.
Gli occhi ha vermigli , e la barba unta ed a ira , 1 6
E '1 ventre largo, e unghiate le mani :
y ox.?i. - diversa , per istrana , orribile j aspra y spiega il Vo-
cab. della Gr. alla voce diverso, e ne arreca in prova molti
chiarissimi esempi d'altri buoni scrittori. »-^6iagioli intende
invece sottinteso a diversa il secondo termine della relazicHie
che è dalle idtre fiere. <-•
ì^ContregolecaninamenteecDdiìlefifezzatiire di parole,
che si rinvengono talvolta nella fine decersi e greci e latiui ed
italiani} come, per un de' molti esempj, quella di Orazio:
non gemnUs | neque purpura »yh
Naléy nec auro :
argomenta , per mio giudico j egn^amente il signor Rosa Mo-
rando \a] , anche neimezso de' versi essersi fatto e doversi fare
uso della spezzatura per aggiustamento del metro; e siccome
que'versi del Petrarca :
Nemica naturalmente di pace [i] ,
E perchè naturalmente s aita [e] :
vuole che abbiansi a leggere come se scrìtti fossero :
Nemica naturai •— mente di pace ,
E perchè naturai — mente s^aita :
Ad uno stesso modo spezzato vuole che si legga anche il pre-
sente verso di Dante :
Con tre gole canina — mente latra
-— * Qui però il eh. Lombardi avrebbe potuto citare la
non dispregievole lezione che trovasi tra le varianti nelle po-
stille éà Volpi > Com. ly^y, cioè : « Caninamente con tre
gole latra. » Cosi legge pure il cod. Poggiali , ed il dotto Edi-
tore vi aggiunge : « che tal verso y come dai più si legge y
ingrato nel pronunciarsi y diviene colla nuova lezione di
spedita pronunzia , ed espressivo . » E. R.
i6 vermigli y infuocati ;- fmta , sudicia ;- afra, imbrattaU
di sangue, come desaivesi da Seneca: sordidumtabocaput\d].
ly inani y 'per zampe, m^ unghiate le maniy cioè le zampe
anteriori y dette mani per similitudine . Cosi Plinio , 1. 8, e 36.,
[u] Oss. sopra il Par. e. xxiv. [b] Caos. 5. si. 4. [e] Soo. 39. [d} Bere.
Fur. ;^84.
CANTO VI. i4i
Graffia gli spiiti ^ gli scuoia , ed iscjnatra •
Urlar gli fa la pioggia come cani : i q
Dell' UD de' lati fanno all'altro sclieriuo:
Volgonsj spesso i miseri piofaui.
Quando ci scorse Cerbero , il gran verino, a a
appella mani le zampe anteriori dell'orso , e propriameDte più
mani che zampe fti cnìamano qaelle della sciinia. Movti [aJ-'^hi
i8 isquatra. Questo isquatra ^ce il Ventui'i) non lo ha
ancora accettato nel suo Yocab. la Crusca. Ma dee essere que-
sto ou granchio con^agno dello storneo nel precedente canto t
V. 4o; dee egli cioè aver cei'cato nel Vocabolario della Ci*usca
isquatrare j e non squatrare . Squatrare ( legge in caratteri
maiuscoli nel suo Vocab. la Crusca) squartare lat. secare j
dissecare , lacerare : ed oltre al pi'esente di Dante 9 né arreca
un altro esempio tratto dalle Rime antiche i e la lettera i s'ag-
giunge a squatra nel presente vei*se non per altro che per ad-
dolcire la j^ impura pi'eceduta dalla d^ come in simil caso di-
remmo istudiare invece di studiare ^ istarsene invece di stat*^
sene ec. »> I codd. Antald. e Ang. hanno ingoia invece di
scuoia. E. B. — e cosi il Yat. Sigp.'^-*
ao a I DelVun de" lati ec. Vuol dire che sempre sono dalla
grandinosa pioggia percossi , e che non hanno altro riparo che
di sottrarre alla pioggia il lato più addolorato , e presentar Tal-
tro; e per questo aggiunge, che volgonsi spesso, "profaniy cioè
irreligiosi y appella costoro, che sono i golosi, per rapporto pro-
babilmcLitc alquorutn Deus i^enterest^ che di loro sta scritto [6 J.
aa il gran vermo. f^ermoy pevvermef in rima, chiosa il
Volpi . Kermo però anche fuor di rima appella Dante mede-
simo Lucifero :
. • mi presi
Al pel del vermo reo , che 7 mondo fora [e].
Chi sa poi perchè appelli Dante uermo il Cerbero e Lu-
cifero? Foi*se perchè animali nascosti sotto terra a guisa di lom-
btìchi e simili vermi ? O forse che pel verme , che le scritture
ftaci-e pongono insieme col fuoco al tormento de'dannati [^j,
(«1 Prop. voi 3. P. I. r«c 5)7. [b] Ep. ad Philip. S. v. 19. [e] fnf.xawv.
1^7. e seg. [d] f^ermis eorum non moritur , et ignis non extinguiiur,
le^gtanio iu Isaia, 66, %^. a4«f ed io s. Marco, 9. »*. 43-
i4ti INFERNO
Le bocche aperse, e mostrocci le sanne:
NoQ avea membro, che tenesse fermo.
E 1 Daca mio, distese le sue spanne, a 5
intende essi demonj ? O forse , per ultimo , invece di appcl-*
larli, come ben poteva, si l'uno che l'altro xer^en/i, gli ap*
pella vermi per quella somiglianza che vi ò tra '1 corpo del
•eipente e del verme ?
Al Bulgarìni (dice il Venturi) non va molto a grado Tap*
plicazion di tal voce , come troppo per quel mostro (Cerbero)
sproporzionata ; e per dir vero non sarebbe in simiglianti co-
sette lodevolmente imitato Dante da chicchessia .
Luigi Pulci (risponde il Rosa Morando) , puigato scrittor
fiorentino, senza temere quella j^ro/9orzione che il Bnlgarini
oppose, chiamò ancor egli(^er/iio una bestia orrìbilee smisurata:
E conoscea j che questo erudel vermo
Voffendea troppo col -flato e col caldo [a] ;
e l'accuratissimo Ariosto chiamò verme il diavolo , eh* è bea
maggior bestia di Cerbero :
E mostrargli delV arte paragone j
Che al gran verme infornai mette la briglia [b\ .
Può finalmente a queste ragioni aggiungersi , che inermi ^
con proprio vocabolo, trovansi appellati non piccioli insetti so-
lamente, come il Bulgarìni ed il Venturi mostransi persuasi,
ma animali eziandio dì tanta mole da mettersi a paro e da su-*
perare ancora Cerbero e Lucifero. In Gange (se scrìve vero
u Peroni) fiumine Indiaepisces sunt, quiafacie t^ermes di^
cuntUTj binis branchiis sexaginta cuhitorum , quibus tanta
%fis esty ut e/ephantos ad potum venientes y mordicus com-^
prehensa proboscide , abstrahant [e] .
- aS sanne y o zanne , diconsi propriamente i due denti sporti
fuor dal labbro de*porci, cinghiali ec^co'qnall sogliono essi ferire:
qui per lunghi ed acuti denti. m^La bocca , ha il Vat. 3 1 QQ.'^hì
24 J^on ayea membro y ec.i dimenavasi tutto, come fame-
lico cane vedendo il cibo. »-» Pittura terribile e piena di
evidenza . Cosi gli Editori della E. F. <-«
a5 spanne. Spanna è la lunghezza della mano aperta e di*
stesa dalla estremità dèi dito mignolo a quella del grosso ; ma
[a] aorg. e. tVf st. )5. [L] Cant.XLVi. st. 78. [e] Cornac, ad epigr. t*
art. yertnis»
CANTO VI. 143
Prese la terra, e con piene le pugna
La gitiò dentro alle bramose canne.
Qu^) è quel cane, ch'abbaiando agugna, 28
£ si racqueta poiché 1 pasto morde.
Che solo a divorarlo intende, e pugna;
Cotai si fecer quelle facce lorde 3 1
qai per nuino . m^ distese y in questo laogo è verbo 5 oppor no«
me, cosi che distese le sue spanne debba prendersi per abla^
tìvo assoluto? Torelli. '«-^
26 27 Prese la terra ^ ec. Virgilio nell'Eneide fa che la Si-
billa conducitrice di Enea all'Inferno , acquietasse Cerbero con
gettar lui a mangiare un pasticcio sonnifero:
Melle soporatani , et niedicatis frugibus offam
Obiicit [a\i
Per qnal motivo adunque fa qui Dante da Virgilio acquietarsi
Cerbero con deUa teiTa? Vorrebb^egli per avventura redarguire
taciumente la gentilesca persuasione di Virgilio, che si potes-
sero dagli uomini i demonj ingannare , e nel tempo stesso far
capire che la umiltà , intesa per la terra [&] , sia lo scudo piii
valevole contro quelli spiriti superbi? O vuol forse significare,
die l'umana carne, di cui Cerbero era bramoso, non è in so*
stanza altro che terra? — bramose canne , fameliche gole«
28 agugna, j4gugnare o agognare j desiderai'e con avidità,
V(.*dì il Vocab. della Ci*usca .
3o pugna . Pugnare , per combattere , adoperata da ottimi
Italiani anche in prosa .Vedi il detto Vocab. »-^£'Wo,hail
coA Ang. E R. 4Hi
3i fociy legge la Nidob. ; e facce ^ leggono invece tutte le
altre edizioni . Ma la faccia non è che dell'uomo, efociefai^
ci sono voci sinonime [e], e proprie d'ogni animale. Le fauci
adunque di Cerbero, lorde per la in esse gettata terra, cotai
si fecer ^ fecero come fa il cane nel detto paragone, s'impie-
garono cioè ad inghiottire la terra, e s'acquietarono. »-► Sem-
bra al Biagioli che la lezione foci della Nidob. tradisca ed ai^
[a] Lib VI V. 4^0. [b] Humus autem terra est, a qua humilfs, dice
Niccolò Perotù, Cornucop, epigr. io. art. Humus f e coaferioaQO tutti
gli ^iniologisii, [e] Vedi il Vocab. delia Crusca,
i44 INFERNO
Dello demonio Cerbero, che ^ntrona
L'anime sì, ch'esser vorrebber sorde.
Noi passavam su per l'ombre, ch'adona 34
La greve pioggia , e ponevam le piante
Sopra ior vanità, che par persona.
rechi gran guasto al sublime concetto di Dante , affermando col-
l'autorità della Cr., che si può benissimo chìnm^r faccia anche
il muso o ceffo di un bruto , giacché le parti del ceffo chiamaiiM
appunto come quelle della faccia vaaan&yocchijnasoj bocca er.
£ chiamandosi cognomi stessi le parti di due confrontati ogget-
ti, non sa vedere perchè le due totalità co' nomi medesimi non
si possano chiamare. Di piii, leggendo facccy tu vedi tosto quelle
tre agitai*si e dibattersi , odi suonar le mascelle e strìdere le
saune y mentre che leggendosi foci la comparazione non va ,
cessa ogni azione , si ferma il pensiero in contemplare ciò che
l'occhio non vede ^ e si affatica invano di trovar la ragione per-
chè il Poeta chiamò le non vedute foci lorde di terra . Per
tutte queste ragioni noi abbiamo sostituito facce al foci della
Nidob. — /Iwrcc , legge pure il Vat. 3 19^. ♦-#
3a ^ntrona, stordisce.
34 adona. Adonare y abhfissare ^ domare y spiega il Vo-
cab. della Cr.; ed oltre questo ne reca in esempio quelPaltro
passo di Dante : Nostra virtù , che di leggier j*adona, * Non
spermentar faj; e quelle parole di Gio. Villani: E così si
adonò la rabbia dello ingrato e superbo popolo di Firen^
ze \b\ : ed a cotal senso di adona corrisponde ottimamente ciò
che dice Dante di quelle anime, chìElle giacean per terra
tutte quante. ^^^ Adonato per abbattuto , e adonaniento per
abbattimento trovasi anche nelle rime di Bona^unta Urbi-
ciani, e sono voci derivate dal provenzale. E. F. <«-«
11 Venturi amerebbe d'intendere detto adona per aduna.
Non sarebbe certamente la mutazione delle inusitate; ma bi-
sognerebbe verificare che la greve e grandinosa pioggia adu-
nasse di fatto quelle anime : che altro è che le gettasse a terra ,
altro che le adunasse ed ammucchiasse.
35 ponevam , la Nidob.; ponayam^ l'altre edizioni .
36 Sopra Ior ec, sopra la loro incorporalità che par corpo.
[n] Pnrg. ix. 19. [b] Creo. lib. 6. cap. 80.
CA NTO VI. i4^
Elle giacean per terra tulle qtiaate, ^7
F'uor ch'una, eh' a seder si levò, ratio
Ch'ella ci vide passarsi davante*
O tu, che se' per questo loferno tratto, 4^
Mi disse, riconosci ali, se sai:
Tu fosti prima, ch'io disfatto, fatto.
£d io a lei: l'angoscia, che tu hai, 4^
Forse ti lira fuor della mia mente.
Si che non par, ch'io ti vedessi mai.
Ma dimmi chi tu se', che 'n si dolente 4^
Luogo se' messa, ed a sì fatta pena.
Che s' altra è maggior, nulla è sì spiacente.
3j giacean , la Nidob.; giacenj altre edizioni «
08 ratto j avverbio, subitamente. w^-^Fuor tfuna , ha il cod»
\ au 3 1 gc). 4-«
3g m^ Perchè ci %^ide passeggiar dai^ante^ legge diversa-
mente dagli altri il cod. Caet. E . B. <-«
4o tratto y condotto •
4'i Tu fosti prima fatto , cioè j tu pascesti prima ch'io fossi
disfatto^ morto. Ti Anizhho ^ Bisticcio sgradilo e svenatole
anzi che nò <, grida il Venturi a questo verso « Bisticcio però j
(L'cfj io lui , nulla piti sgradito e svenevole di c|uello si ha nel
>crsodi Cicerone riferito da Quintiliano neirundecimo libro
delle Instituzioni oreUorie y capo i •
O fortunatani natatn , me consule , Romam.
43 r angoscia y che tu hai, soi\\xLUsixà\ySVÌs€uidoti. m^Ed
io a lui, legge TAng. E. R. ««hi
44 niente y per iìèemoria.
47 »-» e hai si fatta pena , ha PAug^ E. R. <^
48 maggior , legge la Nidob., e con essa tutte Taltre anti^
«*lie edizioni. Agli Accademici della Cr. è piaciuto, per F au-
torità d'alquanti mss., di leggere invece maggio, peix>ccliè , di-
«xmii, molte altre volte in questo poema si legge maggio yve/*
maggiore. Maggio pcT maggiore adoperano molti buoni anti^
chi scrittori in verso ed in prosa , come so uè possono ved<»i'e
pli esempi nelVocab. della Cr.; ma Dante non lo adopera cb»
fol. /, IO
i46 INFERNO
Ed egli a me: la tua Città, eh' è piena 49
D'invìdia sì, che già trabocca il sacco,
Seco mi tenne in la vita serena ,
Voi, cittadini, mi chiamaste Ciacco: 5u
a &re la rima in fin del verso [a] ; ed uua sola volta dentro
il verso 77* del canto ixviii. del Paradiso:
Di maggio a più , e di iiUnore a meno ,
ove cioè la r guasterebbe il verso j ed altrove sempre scrìve
maggiore : maggior Piero [éj, maggior dolore [e J , maggior
pietà [d] ec.
Piuttosto da cotal usodi maggio senza accento acutosullo
io crederei che facilmente , al bisogno , pronunziassero gli anti-
chi istessamente anche magr^ibr, al modo cioè del latino maior;
ciò ohe nel presente verso agevolerebbe il metrico andamento.
»-»r Vuole il Biagioli che si abbia a leggere con la Crusca mag'
gio , e non maggior j che guasta il verso , dicendosi tuttora in
Firenze via maggio^evi^ia maggiore j e nel Contado ri maggio
per t/mo maggiore ec. Maggio hanno pm*e i codici Antald. ,
Caet. ed Ang., per quanto ce ne assicura il romano Rditoi*e>
•^^ ed anche il Vat, 3 199 , e dà al verso maggiore armonia . ••-•
5i vita serena , qui> e dolce mondo nel i'. 88. fa Dante
appellarsi da Ciacco la vita nostra e il nostro mondo , o a<l
imitazione di Virgilio j che dulcis vitae ea^sortes appella i
morti bambini [e], ovvero rispetti vnnien te al torbido ed amato
ch'è neir Infamo*
02 Ciacco significa in lingua fionMitina lo stesso che porco;
e per essere costui, che non si sa chi sì fosse^ stato un para»*
sito, era perciò tanto comunemente appellato Ciacco y cnegli
era questo vocabolo in luogo di nome , e come tale lo adopei*a
Dante sei versi sotto, parlando con luì medesimo: Ciacco, il tuo
affanno ec, segnale che non fosse cosi appellato solamente in
assenza , e come si suol dii*e , dietro alle spalle . Riferisce di cw-
stui il Landino, che (osse uomo assai eloi/uenle, e pieno d^ui'^
òanitàf e di motti j e di facezie , e di soavissima conversa-»
zione . m^ In una copia di antiche postille ad un certo codice
Cassinese affeiina il rom. Edit. d*aver letto intorno a questo
[a] Vedi maggio nel primo dei Ire ìndici dt-l Volpi. [^| lof. ii. v. u^.
[ì;] Inf. V, v. 121. [i/J Inf. vii. v. 99. [e] Aencid. vi. v^, ^à^.
CANTO Vr. i47
Per la dannosa colpa della gola,
Come tu vedi , alla pioggia mi iiacco :
Ed io anima trista non son sola, 55
Che tutte queste a siniil pena stanno
Per simil colpa; e più non fé' parola.
Io gli risposi : Ciacco, il tuo afianno 58
Mi pesa si , eh' a lagrimar m' invita :
Ma dimmi, se tu sai, a che verranno
Li cittadin della Città partita: 6i
\uùgo: (Ciacco) homo de curia fuit et gulosommvuldei, Ciac^
chus idest ciens ethos ; ma teme che il trascriuoi'e abbia erra-»
to, e cnnchittde che in tali oscurità nulla èda spregiarsi.-Bia-i
gi(»li ritiene che Ciacco sia nome proprio che » ai tempi di Dante ^
V forse ancora nel contado di Firenze,significava/43copo.Qui pero
è soprannome e vaie porco . Se vuoi sapere cui fu cotal sopran-
nome imposto leggi laNov* 8. Giom. 9. del Decanierone*'^-^
5354 Per la dannosa colpa della gola , -alla pioggia ini
fiacco. Circa la ragione di far Dante puniti i parassiti con que-
sta pioggia di Grandine grossa , e acqua tinta^ e ne^e [aj, più
file le molte e varie cose che dicono gli Espositori y e che non
iio flemma di riferire, piacerebbemi d* intendere che l'acqua
ùnta e la neve servano a formare il brago in cui cosUu'O, che
hanno menato vita da porci, possano voltolarsi ; e clic la gran*
«line simboleggi l'ingordigia ac' medesimi di consumar , se po-
tessero, in pochi momenti, a guisa di desolatrice tempesta,
(pianto la natura ha per l'universale vitto degli uomini prepa*
rato; e vi si confà quel proverbio : iVb» i/è /naggior tempesta
- Del buco della testa, m^ alla pioggia mi /tacco , vale : s^)n
fiaccato j cioè maltrattato e conquiso dcUla penai pioggia di
f/uesto cercJùo . Non è dunque qui mi fiacco verbo reciproco,,
(^)me a taluno sembrar potrebbe, ma neutro passivo, conio
"li struggo , mi rifinisco, e simili. Poggi ali. *-m
tìo a che verranno ^ a qual cosa fare si ridiUTanuo.
61 Città j Firenze; — partita yOicììe due fazjoui de 'Neri e
de' Bianchi .
'«• V
erfto IO.
i48 INFERNO
S* alcun v'è giusto^ e dimmi la cagione,
Perchè l'ha tauia discordia assalila.
Ed egli a me: dopo luuga tenzone 64
Verranno al sangue, e la pane selvaggia
Caccerà F altra con molla oHensione.
Poi appresso convien che questa caggia 67
Infra ire Soli, e che Talira sormonti
63 »-^ Perch^ella è tanta discordia salita j legge il codice
Aog* E A. -^ ma leggerebbe egli mai a tanta ? «-«
Ò4 tenzone , contrasto di parole e maneggi . V BVTumi . •-► E
quelli a me • Dipo^ec.y ha il VaU 3 1 99, ^p irpostill«Cass. a to/i-
zone nota : guoa diu oontenderant intus et extra^ Albi et Ni^
gri coram Cardinali Matthaeo et Papa Bonifacio. E. R.-4-c
65 66 f^erranno al sangue y veiTanoo alle mani , e sì spar-
gerà molto sangue . Vevtuhi . — la parte seli^aggia , la parte
Bianca, che alcuni intendono così denominata dall' avere iCei"-
chj , capi di essa, avuto origine dalla selvosa Yaldisicve ; altri
dall'essersl la medesima parte trovata a quel tempo cacciata da-
gli avversarj fuori diFii*enze. '^Caccerà Valtra^ la parte Nei-a.
Queste 9 che Ciacco predice , cran cose già accadute quau-
do Dante scriveva ; ma col fingere fatto il suo viaggio alP altro
mondo neiranno 1 3 00 fa] , prima che le cose accadessero , vierK*
con tal meazoa far profezia dellastoria. m^ parte selvaggiaj fu
così dettala parte de'Bianchi, perchù n'era capoVierì de'Gerchj,
uomo ricco e pregiato , ma di nobiltà allora nuova , e poc' anzi
venuto di Aoone e dai boschi di Val di Nievole > situata tra Pi-
stoia e Poscia. Dell'altra opposta de'Neri era capo Corso de'Do-
nati , di nobiltà antica e specchiata , ma non di tante ricchezze ,
uè dal popolo , pel suo troppo fasto , amato . Poggiali . •<-■
67 questa^ la parte Bianca; - caggia^ da caggere^ sìnOBimo
di cadere , verbo ( nota il Vocab. della Cr. ) di cui son rimase
e si usano solamente alcune terminazioni di certi tempi , ado-
perate in particolare e con vaghezza da'poetì, comuni pure agli
scrittori di prosa , eziandio del secolo migliore .
68 tre Soli , por tre giri del Sole intorno allo zodiaco , per
ire anni ; - r altra , la parte Nera ; - sormonti , superi , trionfi,
[(^] Vedi luf. XXI. 1 13 I e Purg. ii. gS.
CANT(5 vi: i4c)
Con la forza di tal, che testé piaggia.
AIro terrà lungo tempo le fronti, Jo
Tenendo l'altra sotto gravi pesi,
?H) Con la forza (ti tal , di Carlo di Vàlois , detto Catto
ienza terfa , fratello di Filippo il Bèllo Re di Fnineia. - che
testé piaggia 9 dee per enallage esser detto invece di che testé
piaggerà , e dee valere quslnto , che presto 9 che tra poco i
verrà per mettersi di mezzo a comporre le partii verrà ,
«•ioè , in qualità Ai paciere ; che di fatto con questo nome
portossi Carlo in Firenze , quantunque favorisse poi la Nera
parte , a depressione ed espulsione della Bislnca . Piaggiare
per istar di mezzo Io spiega il Buti [a] , e quadi'a qui assai
meglio che peradulare, com'altri lo intendono^ e non mi paion
Anzi cento miglia lontani da cotal verbo e cotal significai'e i
termini di pieggio epieggeHa^ ch'alcuni adoperano inJuogO
di mallevadore e malleverìa [A] . A prendere ^01 piaggia il
presente pel (ulvaro piaggerà j ne costringe la storia, che dice
venuto Carlo in Firenze nel novembre del 1 io i [t] , che vale
a dire, un anno dopo del i Hoo in cui fingesi questa profezia ;
r ben enallage cotale adopriam noi pure sovente nel nostro
rnmnn modo di favellare, quando esempigrazia di cosa in breve
futura parlando, diciamo: presto sen viene , ora sen va ec»
»^ CiW« il Biagioli che piaggiare sia queir imminere occa^^
sioni dì Q. Curzio , e ritiene col Daniello e col Venturi che tal
verbo valga star fermo nelle spiagge della marina , e ripo^
snre, aspettando il tempo favorevole per ingolfarsi | il che mo-
stra lo stato di chi fra le divisioni sta quieto , per poi di questi
torbidi approfittarsi . - testé vaile poco fa, poetanti j ma qui è
ev identemente adoperato "per or a^pr esentemente i Poggi ali.^hi
70 j4lto terrà ec. La detta con la forza di Carlo soiTOon-
tata parte terrà y nianten*à, lungo tempo alto, in altura , in
alterìgia ) le fronti j intendi dei partigiani suoi, m^^lta leg-
ge TAntald.; ^Ite l'Ang. E. R. — ed il Vat. 3 199. 4-«
7 1 Tenendo V altra sotto gravi pesi y opprimendo > cioè ,
Temala gravemente*
[n] OiUto nel Vocal>.delU Crtlsca nlla Voce Piaggiate, [h] Vtài TaR»
giunta al Vocab. della Crusca dei Bei glutini . [c\ Vedi Mem^ ffcr la
f^ita di Danieli 10.
ijo INFERNO
Come che di ciò pianga , e cbe n^ adonti .
Giusti soD due; e non vi sono intesi: ^l\
Superbia , invidia , ed avarizia sono
Le tre ia ville, ch'hanno i cori accesi.
Qui pose fine al lagrimabil suono; ^(ì
Ed io a lui: ancor vo'che m'insegni,
£ che di più parlar mi facci dono.
7-» Come che vale qui coìnunque , per quanto titai [a] ,
Wh-¥ secondo Poggiali y sta qui elegantemente per sebbene . <«h!
ìi^adonti' ne qui è pai*ticella riempitiva; »-^]l Hiagioli sostiene
invece che è vero pronome. <-« e adonti ha significato passivo,
come .ri adonti^ si crucci . Vuole in sostanza dire che uè per
riiangere , né per adirarsi della Bianca oppressa parte , cesserà
'altra d'aggravare la mano. »-► Cosi anche il Torelli <-■
75 Giusti son due . Chi siano questi due giusti qui non si
dice. Guido Frate Cai-melitano [b\ asserisce essere stato Dante
isresso e Guido Cavalcanti. »->Cosi pm'e il Postillatola del
(]aet. E. R.<-« Altri essere stato piuttosto Baixluccio e Giovanni
da Vespignano, de' quali parla Giovanni Villani , e ne riporta
r intero capitolo il Vellutello ; ed altri , ma con poca felicità
di ripiego , la legge divina ed umana intendono . VBifTumt.— e
non vi sono intesi^ non vi sono ascoltati. Giusti son duo^ ma
non i^i sono *ntesi j leggono altre edizioni , »->e i codd. Caet.
e Antald. E. R., — la Crusca e il Vat. 3 199; lezione che a noi
pure sarebbe piaciuto di preferii'e. - Il Biagiolì è persuaso che
Dante voglia qui lodare due singolarissimi suoi amici , il primo
de^ quali è Guido Cavalcanti , dal Poeta nella sua f^ita nuova
chiamato il primo degli atnici suoi ; è l'altro un tale parimenti
accennato nell'opera stessa con queste parole: Poiché detta fu
Ìjuesta canzone (quella cioè che incomincia : Gli occhi do-
entiec.) si venne a me uno 9 il quale ^ secondo i gradi dt*Ì^
r amistà , è amico a me immediatamente dopo il primo ec.«<«
76 suono j per parlare .
78 di più parlar mi facci dono 9 mi favorisci d*ulteri< vil-
mente rispondere .
[a] Vedi Ci non. Par tic. 57. 7. [b]Nelcoinenro yd ice Landino) ch*eì ft-ce
sopra veniiselte capitoli di qutfilo libro •
CANTO VL 1^1
Farinata^ e '1 Teggiiiaio, che fur sì degni, 79
Iacopo Rusticueci, Arrigo, e 4 Mosca,
E gli altri ^ eh' a ben flir poser gì' ingegni,
Dimmi ove sono, e fa ch'io gli conosca, Sit
Che gran desio mi siringe di sapere,
79 airs I Farinata $ e 7 Thgghiaio , ec: Quantùnque iiou
dica Dante il casato che del solo fiusticucci , contuttociò co*
mnnemente gli Espositori assegnano a tutti costoro il casato di
nobili fiorentine famìglie y e dicono Farinata essere stato de«-
5 li liberti y Tegghiaio Aldobrandi degli Adimari , Arrigo
eTisantì , Mosca degli Uberti o Lamberti .
Pretende il Volpi , che per ridursi il verso al giusto nu-
mero di undici sillabe 9 debbasi nel pronunziare la voce Teg"
ghiaio levarlesi la io ; e istessamente nel pronunziare UcceU
tatoio in quell'altro verso del Paradiso :
Dai vostro Uccellatoio j che cornee vinto fa].
Così y dice, usavano di fare qualche volta gli antichi . Bà"
sti per tutti il Petrarca nel cap. 4* ^l Trionfò d'Amore :
Ecco Cin da Pistoia , Guitton d'Arezzo .
Io però non so darmi a credere che né Dante , né il Pe-
trarca , né qualsivoglia altro poeta ^ intendesse doversi in co*
tal modo pronunziare alcuna parola dei loro versi. Bensì piut-
tosto persnadomi che 9 come'delle due e tre vocali sovente-
mente j COSI anche delle quattro formassero eglino in qtiesti
casi una sillaba sola : spezie di crasi che 9 giusta il Buommatr
tei, direbbesi quadrittongo disteso [frj. Esempio pure di quat*
tro vocali adunate in una sillaba é quello della voce figliuoi
fiel izifti. di questa cantica:
Nel viso armici figliuoi 9 senta far motto [e] .
^ che fur sì degni 4 Condannando il Poeta questi medesimi
soggetti airinfemo ^ e tra le anime più di Ciacco nere » ne fii
capire che f mentre dicegli sì degni 9 e che a ben far poser
gCingegni , cioè l' industria , non vuol esser inteso che d'una
bontà meramente civile 9 di retta amministrazione de' magi'
strati , e non già di morale cristiana bontà « Egli di fatto col-
loca di costoro Farinata tra gli eretici \d] ; Tegghiaio e Ru-*
[a\ Canto xv. p. i io. [6] Della lingua toscana ^ iralt. 5« [e] Verso 4^.
[d] Inf. X. f^. 3a.
i5i INFERNO
Se M Ciel gli addolcia , o Io 'nferno gli atlosr;t .
£ quegli : ei son ira T anime più nere: S5r
Diversa colpa giù gli aggrava al fondo.
Se tanto scendi, gli potrai vedere*
sticucci tra* carnali contro natura [a\; ed il Mosca (e col Mosca
dee intendersi quello che con lui qui | né mai più altrove, nieu-
lova Arrigo) tra' seminatori di risse tra congiunti f6]; e nìs-
suno di essi pone ti*a* barattieri o traditori defla patria : segno
che ver lei giusti fossero .
Altri (testimonio il Landino) hanno queste lodi intese per
una ironia .
m^ Molto opportunamente nota a questo luogo il Poggia-
li che Dante in questo suo poema parla per lo più da Te<^
logo 9 ma sovente ancora da cittadino, e da cittadino impegnato
nelle turbolenti fazioni. Quindi, come cittadini che pensarono
ed operarono virtuosamente verso la patria , egli loda questi
cinque , collocandoli d'a]ti*onde come uomini pecc^itorì in quei
luoghi deirinfenio che egli crede aver essi mirri tati per le lon»,
tc^ologìcamente considerate , colpe. 4-«
84 Se 7 Ciel gii addoicia ec.j se il Ciel li pasce di dol-
cezza , o rinfemo di amaro tossico. '^Addoiciare j per addol»
ciré , vedilo nel Vocabolario della Crusca adoperato da altri
buoni italiani scrittori .
85 più nere , vale quanto più ree , più dalle colpe nuu>
chiale ed annerite. m^W eh. cav- Monti [e] riflette, cJie tra*
sensi figurati di Nero , nel Vocab. della Cr. è stato dìmeiiti*
cato quello di Malvagio , citandone in prova questo esempio
di Dante • ^hì
86 Diversa colpa giù gli aggrava^ '^gg^ '" Nidob., meglio
che Taltre edizioni , l)ii»erse colpe giù gli aggrava. Diversa^
intendi , dalla golosità , eh 'è la colpa quivi punita. •-►Diver-
samente la pensa il Biagioli , il quale vuol che si legga diverse
colpe f spiegando poi colpe di diversa natura, -Ma il Poggiali
si dichiara in (avoi'e della Nidob. sfuggendosi così un atticismo
strano ed incongruo alla lingua nosti*a . — 11 Caet., l'Anta Id.
e TAiig. leggono li grava, È. R. — e cosi il Vat. 3199. •<-■
8j m-¥Se tanto scendi^ là i potrai veder e >, ha il Val. i 1 pp-^^-s
[a] liif. XVI. 4i- 44* L^j 1°^* xxvni. io6. [e] Prop. voi. 3. i\ i. fac i65.
CANTO VI. i53
Ma quando tu sarai nel dolce mondo, 88
Pregoti eh' alla mente altrui mi rechi :
Più non ti dico, e più non ti rispondo.
Gli diritti occhi torse allora in hiechi : 9 1
Guardomm' un poco, e poi chinò la testa:
Cadde con essa a par degli altri ciechi •
88 dolce mondo , il mon<Io nostro . Vedi ciò eh' è dello al
»^» Si* »> al dolce mondo , legge il cod. Ang. E. R. 4-«
89 Pregoti ch'alia mente ec.\ mente-, per memoria . Il
Landino e il Vellntello , i soli , a quanto veggo ^ che cercano la
ragione di qnesta petizione che Ciacco fa , dicono appartener
essa a dimostrare j che ancora quelli che sono in infimo sta'*
tOjC dannati d^abbominei^oli i^izi^ desiderano fama; e che
olirà di ciò era Ciacco in luogo che niente altro poteva chic
dere . Ma sebbene la stessa brama d' essere al mondo ramme*
morali si manifestasse ancora in alcuni altri dannati , e segna*-
lamenle in GuidogueiTa , in Tegghiaio Aldobrandi e Iacopo
Ruslicucci ( Inf. XTi. 83. e segg. ), la non è però universale in
tulli i dannati. Bocca degli Abati ^ alla esibizione che gli fa
Dante di recare al mondo notizia di lui 9 risponde :
. • • . « del contrario ho io brama :
Le^^ati quinci j e non mi dar più lagna : ec. [a].
Per questo e per queir altro parlare del Conte Ugolino allo
stesso Dante:
, • • , se le mie parole esser den seme ,
Che frutti infamia al traditor , cA' 10 rodo 9
Parlare ^ e lagrimar vedraimi ^nsieme [6]:
stabilirei io piuttosto essere ne' dannati la brama di ottenere
commemorazione tra' viventi un effetto di attacco eh' essi tut-
tavia ritengono al mondo ; ma essere cotal brama ed affetto in al-
cuni vinto e superato dal rossore delle troppo infami loro colpe .
91 Gli diritti occhi torse ec, i non U'avolti occhi fece al-
lora travolti .
93 Cadde con essa a par ec.^ corrisponde al i^. 3 7.: Elle
giacean per terra tutte quante . — ciechi , metafora , per
non avere veduta la via delle virili .
Lfl] Inf. zsxii. 95, e scgg. [b] Inf. xzxrii. 7. e srgg.
i54 INFERNO
E '1 Duca disse a me: più non si desta 94
Di qua dal suon dell* angelica troailia,
Quaodo verrà la dì mica podestà:
Ciascun ritroverà la trista tomba , 97
Ripiglierà sua carne ^ e sua figura,
ÌJdirà quel che in eterno rimbomba •
Sì trapassammo per sozza mistura no
Deir ombre, e della pioggia, a passi lenti,
p4^<'<^ '^^ ^i desta, per non sbalza più da giacere* m-^dis"
sballai ha il Vai. 3199. 4-*
95 Diqua^ yalquantodinanzif prima; — suon delV ange^
lica trombai rantecedente pel conscguente, la cbiamataairuni-
versale giudizio (che, giusta la frase del Vangelo fa], unissi da-
gli Angeli asuon di tromba) peri* universale giudizio medesimo*
96 la nimica podestà ( pronunzia in grazia della rima po^
desta senza accento acuto sulFa, come dai Latini pronunziasi
potestas ). La podestà grande, colla quale, dice il Vangelo [&],
che verrà Gesù Cristo a giudicare il mondo , fa qui Dante me-
tonimicamente da Virgilio porsi in luogo di Gesii Cristo me-
desimo : ella sarà veramente podestà ai dannati nimica , cioè
contraria ed odiosa . — lor nimica podestà , leggono l' edi-
zioni diverse dalla Nibod.; ma essendo pur lo stesso Vii^lio
tra' morti nelV ira di Dio [cji ^ quadra meglio che parli se-
condo la Nidobeatina. m-¥ Il Bìagioli disapprova e rifiuta la le-
zione di Nidobeato, perchè Virgilio non è tra' morti nell'ira
di Dio, poiché, avendo egli perduto il Cielo per sola mancanza
di fede, non è dalla divina vendetta martellato. — Diuinapo^
testa , legge TAntald. E. R. 4-«
97 •-►I codd. Ang. e Stuai*d. leggono riì^ederàj — - e cosi il
Vat. 3199. — Ciascuno ri\^edrà > legge TAutald. E. R. ♦-«
99. quelj la sentenza; — • rimbomba^ enallage di tempo in-
vece di rimbomberà ; ed in eterno rimbomberà vale quanto
in eterno av^rà effetto^ in eterno non si ritratterà. •-► Quel
non vuol dire la sentenza, ma determina il nome suono sottin-
teso. Himbomba non istà qui per rimbomberà , ma è questa
Tespressione piii positiva dannasi terribile verità. BiaoioIiI.4-«
[a] Maith. 34. i*. 3i. [b] Luoae ut. e 27. [e] laf. ut». i9a.
CANTO VI. i55
Toccando un poco la vita futura ;
Perdi' io dissi : Maestro ^ esti tormenti io3
Cresceranno et dopo la gran sentenza,
O fien minori, o saran si cocenti?
VA egli a me: ritorna a tua scienza, io6
Che vuol, quanto la cosa è più perfetta.
Più senta '1 bene, e cosi la doglienza.
Tuttoché questa gente maiadetta 109
In vera perfezion giammai non vada,
Di là, più che di qua, essere aspetta.
Noi aggirammo a tondo quella strada, t m
Parlando più assai , eh' io non ridico :
Venimmo al punto dove si digrada ;
iù% Toccando « per menzionando .
I o3 I o4 estif per questi ^ aferes! molto dagli antichi italiani
adopnta. Vedi il Vocab. della Cr. — eij per eglino [a].
io5 sìj cosìj come sono di presente.
106 loj a tua scienza^ alla tua aristotelica filosofia, la qua-
le insana che , quanto V uomo ha più della perfezione , tanto
è più atto a (rnir la beatitudine , e cosi a sentir maggior mise-
ria ; onde s. Agostino : Cum fiet resurrectio carnis , et bono^
rii/ngaudiutn erity et tormenta maiora. Dahibllo. Che fosse
Dante aristotelico nel fa sapere egli medesimo con appellar
Aristotile Maestro di color che sanno [&].
1 08 doglienza , per dolore , termine adoperato da buoni
scrittori anche in prosa. Vedi il Vocab. della Crusca .
1 1 1 Di là 9 più che ec.y ellissi • Coerentemente al già detto
Di qua dal suon deW angelica tromba y e al qui premesso 9
che non vadan mai quelle anime in vera perfezione y dee il ri-
stretto parlare di questo verso intendersi come se invece detto
frisse: aspetta nondimeno di essere per fetta più di lày dopo
deir universale giudizio , che di quay che dinanzi ad esso.
•-^ Di lày cioè più tormentata che meno. Toeblli.'4-«
11/^ si digrada , si scende «
[a] Cioon. Partii loi. a. [b\ Inf iv. i3i.
i56 INFERNO
Quivi irovammo Plato, il gran nemìoo .
1 1 5 Plato . Non bisogna confonder , né suppotre , comr il
Venturi ed altri Spositori suppongono , che confonda Dante
Plato con Plutone. Un soggetto dall'altro distinguono i Mi-
tologi [a]. Plato ( lat. Platas ) dicono nato di Iasione e Ce-
rere ; e Plutone (lat Plato o Platon) da Saturno ed Opi .
Plato dicono tutti il distributore delle ricchezze ; ed a Plu^
tane assegnano tutti V impeix) deUlnfemo • Platone con al-
tro nome alcuni appellano Dite [b] ; Plato nissuno con tal
nome appella . Perciò Danle fa qui al cerchio degli avari e
prodighi pi*esiedere Plato: e nel canto xxxiv. della presente
cantica riconosce Plutone nella persona di Lucifei^o, e Dite
lo appella [eie Jmperador del doloroso regno [d\ ^-^ grati
nemico dice Dante Pluto pel grande distui*bo che apportano
le ricchezze all' uman genere ; onde a Pluto stesso, come delle
ricchezze distributore , grida Timocreone : Per te omnia in"
ter homines mala [e] .
[a] Vedi tra gli ahrl NaUl Comi, Myihol lib. :i. cap. 9. e io. [h] €ic.
de nat. deor. lìb. 9. [e] Verso so. {d\ Verso aS. [e] Presso Kaul
Conti, dfythoL lib* a. cap. io.
CANTO VII,
ARGOMENTO
Pervenuto Dante nel quarto cerchio , trova nelVen-^
troia Pluto come guardiano e Signor di esso cer^
chìo . Quindi , per le parole di Virgilio avendo otte-
nuto di passare avanti i vede i prodighi e gli avari
puniti col volger Vano contra V altro gravissimi
pesi. JE di là passando nel quinto cerchio, trova
nella palude Stige gl'iracondi e gli accidiosi, quelli
percotendosi e molestandosi in varie guise , questi
stando sommersi in essa palude; la quale aven-^
do girata tt intorno y trovasi ultimamente appiè
d*un^alta ton'e.
JL ape Satan, pape Satan alepi>e, i
I Pape Satan j ec. Miscuglio di varj idiomi fatto dal Poeta
B Glie di render orrido il parlar di Pluto, o foiose anche per ad-
ditamelo perito in tutti i linguaggi .
Papae con ae dittongo è interiezione ammirativa greca
e latina , equivalente al nostro capperi. Satan è voce d[>raica»
signiCcante avversario , nemico , e perciò applicabile , qual
nome appellativo, non solo a Lucifero, ma a Pluto ed a tutti
i demoni ' perocché tutti d'Iddio e delTuman genere inimici.
Aleppei Valeph , prima lettera delPebraico alfabeto (aggiusta-»
U alla italiana, come aggiustasi loseph in loseppe e Giiiseppe)
ha tra gli altri signi6cati quello di capo , principe ec. [aj ; e
però essa voce pur bene appoggiasi a Pluto, s) per esser egli ,
rome dio delle ricchezze , il capo avversario dell' umana ieli**
(«J Vedi» tra gli altri, Calme!, Diclion, sa^r, scripi.
i58 INFERNO
cita, sì per la presidenza di questo ìnfemal luogo, e ti final-
mente per la unifoi*mità che ìisiSatan alephj pressialeph in
questo senso, con gran nemico , che l'is tesso Dante ap|)e!U
Plttto nel precedente verso , nltimo del passato canto :
Quiifi troxfammo Plato il gran nemico.
Intendo io adunque , che con queste per la foga interi*olte
r ripigliate voci brontoli Pluto irosamente seco stesso , ad
ugual senso che se detto avesse: Capperi Satanasso^ capperi
gran Satanasso ! E come in aria di proseguire: così poco sci
tu rispettato !
Il filati (citato nel Vocab. della Cr. alla voce aleppe ) il
Landino, il Vellutello, il Daniello ed il Volpi, riconoscendo
essi pure in aleppe Pebraico aleph , diconlo adoperato qui per
interiezione di dolore in equivalenza al nostro ah. Io però non
trovo alcun maesti*o di lingua ebraica, che attribuisca ad aleph
cotal significazione.
Nel tomo iv. di tutte le opere di Dante, stampate in ^ e-
nezia nel 1 760, alla pag. 64 si riferisce qual particolare e de-
cisiva la spiegazione di questo verso fatta da Benvennto Gel-
lini, in CUI pretende che il pape formato sia dal francese ^aix
pni^ y ed aleppe altresì dal francese alez. Ma (sia detto por
amor della verità , e non per togliere la dovuta stima a chi
si adopera in favor delle lettere) oltre che a questo riguardo
dcsidererebbesi che , assecondando Dante in tutto ciò che ago-
volmente poteva il francese dialetto , scritto avesse pe pe , e
non pape. Ve d'avvantaggio , ohe il paix paix ( zitto zitto,
cheto cheto ) 0 direbbelo Pluto a sé medesimo , esortandosi
ad aver sofièrenza , e mal gli si converrebbe quel rimbrotto
di Virgilio :
taci , maladetto lupo;
Consuma dentro te con la tua raòbia :
o direbbelo a Dante ; e mal si conveiTebbe al quieto suo pi-c*
sentarglisi .
L'anonimo autore de^pregiabilia/ie/Z^ofi stampati in que-
sti anni in Verona , per dimcoltà appoggiata sulla supposizione,
al Venturi e ad altri Spositori comune, che Dite, il l«e dcHIu-
ferno , e Pluto sieno un soggetto solo ( contro lavvertimeuta
posto in fine del passato canto) , e che Satan nome sia non ad
altri che al solo Lucifero applicabile (couti*o il teste divisata
significare della voce Satan) j adotta il parer del Celliiii fino a
volere che per sola ragione , senza autoritìi de' lesti , coireggasì
il pape inpe pcj e che cotal fitmcese parlare mirasse a ìris-
. CANTO VII. i59
ure lo a quel tempo ancor vivenle, ed al Poeta inviso, Filippo
il Bello Re di Francia [a]. - * Il nuovo Editore delle Opere di
Benvenuto Cellini (Milano 1806), il eh. signor Ab. Consigliere
Carpaniy si unisce al nostro P. Lombardi per ripi*ovare questa
opinione. E. R. •-> Il Biagioli interpreta il pape e l' aleppe co*
me il Lombaixii , e spiega il verso cosi : oh f Satannsso I oht
SaUmasso principe di questi luoghi/ un tenterario mortale
ardisce por qui dentro il piede •..../
Il cn.Cav. Monti I non adottando alcuna delle esposìzio^
ni fatte flnora dai varj Chiosatori a questo verso, si ristringe
a dire che, messa a parte la ridicola pretensione di spiegare
in modo clic soddisfaccia il senso parziale di tutte le barbare
voci componenti quel barbarissimoP/x^ei$afanec,,il senso lor
complessivo evidentissimamente è qnello di spaventai*e i due
Poeti per farli tornar addietro; e in fine dell' acutissima osser*
vazione sulle studiate parole di Dante conchiude che quelle
srmo voci be.itiali , e al tutto fuori dall'umano concetto, l' intel-
ligenza delle quali il Poeta riserba unicamente al sapere di
quel Savio gentil che tutto seppe [Aj .
L'eruditissimo signor Abate Michelangelo Lanci , Profes-
sore di lingue orientali nella Sapienza di Roma, in una sua
dotta Memoria colà pubblicatasi nell'anno 1819, in 8.^, coi
tipi del Contedini , ha inteso di dimostrare che questo verso
è composto di ebraiche voci, le quali significano : Tirnostra^
Satanasso; ti mostra nella maestà de* tuoi splendori , Prin"
ripe Satanasso .
Ma, primo del Prof. Lanci a credere ebraiche queste pa-
nile di Plutone, ed a spiegarle secondo l'ebraica lorooiìgin«
( e a nostro parere assai piii chiaramente che non fece il Lanci )
si fu il veronese signor Ab. Giuseppe Venturi in una lettera
del %'j febbraio 1 8 1 1 al suo amico G. B. Giramenti , stampata
aelPanno stesso in Verona dal Mainardi, ove ne rende il si-
gli ificato cosi : Qui qui Satanasso , qui qui Satanasso ò rin^
peraiore . E soggiugne che Plutone (dio della ricchezza), guar-*
diano del cerchio ove sono puniti i prodighi e gli avari, ve-
dendo venire alla volta sua Dante e Virgilio, non soggetti all'In-
femo e liberi dalle pene di quel cerchio, si adira, e per re-
spingerli grida contr'essi: audaci , come venite voi quii Qui
Lucifero è Imperatore ; qui egli comanda. Contro tale mi-
ra] jinetliL n cap. j.» e Ànedil. 4* ^^^i'* i^- W Pf'Op, ee, voi. 1. P, s.
r4cc« 33. e seg.
i6o INFERNO
GoniiDciò Fillio con la voce chioccia:
E quel Savio geatil, che lutto seppe,
Disse per coufortarmì : noa ti noccia 4
La tua paura; che |)oder, ch'egli abbia ^
Non ti torrà Io scender questa roccia •
naccia di Plutone ò acconcia così la risposta di Virgilio die in-
coraggisce Dante: non ti noccia ec.^-c/té poder ch^ egli ab-'
bia ec. ; e lo conforta a non temere di quella sovranità , la
quale ( come Virgilio risponde a Plutone e lo avvilisce ) è sog-
fetta al volere di Dio : Vuoisi così colà , doi^e Michele ei\
^er tal modo d' interpretazione vedesi tosto il fino accoi^-
mento di Dante nel chiamar qui Virgilio Savia gentil , che
tutto seppe f mentre se quel verso non avesse? esposto sigili-
Beato, e non fosse che una espressione di meraviglia, disde-
gno e di rabbia, non ci von^bbe ne savie%2a, né dottrina per
intenderla. 4-c
a chioccia , rauca , cosi fatta dal timore » <Jìiosai|o Landino ,
Vellutello e Daniello < Ma io dh*ei piuttosto rauca ed aspra per
l'ira. Che Pluto parlasse irato, non ne lascia dubitare il in-
ferito rimbrotto fiitti^li da Virgilio : Consuma dentro te con
la tua rabbia ; e che stendere si possa a cotale significazione
l'aggettivo chioccia apparisce da questo e da altri esempi
che al medesimo aggettivo sottopone il Vocab. della Crusca.
3 quel sai^io gentil ^ quel probo pagano, che d'ogni scienza
fìi fornito, Virgilio . »-> Piacerà a molti piuttosto , dice TE. B..
di ravvisare nel Sas^io gentil di questo verso lo Spirla gentil
di Petrarca, canz. xi.: Gentil mia donna y id. canz. xix. ed altri
molti , non altrimenti che intese dire lo stesso Alighieri , Inf. ii.
V, g6., v. 1^. IQÒ., XXVI. y. 62. ec« — Anche il Biagioli prende
gentil nel senso di nobile j cortese ec.-— Perciò, a meglio
indicarlo , abbiamo nel uosti*o testo innalzata la iniziale di
Savio j e come riscontrasi nel Vat, 3199. 4-c
4 non ti noccia ec., non ti abbatta la conceputa paura .
5 che , vale qui imperocché-, — poder , ch'egli abbia , el-
littica usi tata maniera d'esprìmersi , e vale per quanto podere
fh*egli abbia .
6 JVon ti torrà , la Nidob. ; non ti terrà , l'altre edizioni ,
9~^ e i] cod. Val. 3 i99.4-c Ma, oltre che non ti terrà vornliln*
éiallo scendere piuttosto che lo scendere , uuifoimasi poi aii«
CANTO VII. i6i
Poi si rivolse a quella entiata labbia , 7
£ disse : taci , maladetto lupo :
Cousunia dentro te eoa la tua rabbia .
che la Nidobeatina lezione meglio allo stile del Poeta in que-
gli altri luoghi :
Che del bel monte il corto andar ti toUe [a] :
i7 nostro passo
Non ci può torre alcun : ec. \K\ .
»♦ Non ci terrà , legge TAog. - Il ci di questa lezione , com-
prendendo nella stessa sorte i due viaggiatori , ed evitaudo
qae] ti tOy è dall'E. R. nella 3^ edizione sostituito al ti della
Nidob.; ma non cosi il terrà ^ come vorrebbe il Biagioli , cbe
ntieae per giusta e leggiadra tal forma di dire j sostenendo che
il volerla escludere sia un volere impoverire male a propo-
silo la lingua nostra di una sua particolare eleganza . — Gju-
fessa però il sig. Poggiali che il terrà della Nidob. esprime
megìio V impedire y anche secondo la mente di Dante , che in
ul senso ne ha fatto uso e al i^. 1 20. del e. 11. e al ^. 1 Ò5. del
e vili, di questa cantica . *-m roccia y per balza , ripa , tei^
mine adoperato da ottimi italiani scritturi anche in prosa , co-
me nel Vocabolario della Crusca se ne possono vedere gli
esempi ; dee c^ser preso dal francese roche .
7 a quella enfiata labbia y aPluto. Zaiiia , faccia , aspet-
to, spiega il Vocabolario della Crusca con molti esempi ^^^^
mano, non di Dante solamente , ma d'altri autori. — enfiata^
per superba ed altera y chiosano il Landino e il Vellutello >
allasivamente ad esser Pluto dio delle ricchezze, ed airalte-
ngia che sogliono queste produrre in chi le possiede . A me
però parrebbe meglio d' intepdere col Daniello enfiata p(!r
Sbuffante dalla collera; a norma di quel d'Orazio: Quid caitA-
toc est y merito quin illis lupiter aìubas -^ Iratus huccas
infltt .,..?[<?]
8 lupo. Per aver Dante fatto della liq)a simbolo dell avarì-
l'a [d^y pensano il Landino, Vellutello e Daniello, che appelli
Dante Pluto lupo a significazione d'avarizia . La non sembre-
rebbe però una interpretazione del tutto inv erisimi le, se si di-
cesse che cosi facesse il Poeta nostro da Virgilio appellarsi
'(Qel demonio 9 cagione del rauco ed orrendo urlai*e che face; va.
[«; lur. 11. I ao. [6] luf. vili. I o5. [e] Ai/ir. lib. 1 . sai. 1 . [d] lui', i . 49*
/ o/. /. I I
i62 INFERNO
Non è senza cagion T andare al cupo: io
Vuoisi cosi nell'alto ove Michele
Fé' la vendetta del superbo strupo .
Quali dal vento le gonfiate vele 1 3
Caggiono avvolte, poiché l'alber fiacca;
Tal cadde a terra la fiera crudele.
IO senea y la Nidobeatiaa ; sanza y alu« edìx. ^^iUcupoy
al fondo dello Inferno.
1112 Fuolsi così neWalto y in'Cielo . Vuoisi nelValto lày
redizioni diverse dalla Nidob^ »-^e i codd. Ang. e Anlald.E. R.
eil Vat.3 199,4^ JUicheley il santo Arcangelo. ^Fe'la vendetta
del superbo strupo • Strupo invece di stupro non per cagione
della rimay come pensano il Landino, Daniello e Volpi, ina
per metatesi molto dagli antichi italiani scrittori praticata an-
che in prosa. Vedi il Vocab. della Gmsca. Seguendo il Poeta
lo stile delle Scrittore sacre, le quali per catacresi appropriano
molte fiate , ai peccati d' infedeltà contro Dio , i nomi di carnali
peccati , di adulterio e di fornicazione \a\ , appropria egli il
nome di strupo alla infedeltà praticata dagli Angeli contro Dio
medesimo; e, come fu cotale mossa effetto di superbia, su-
perbo strupo perciò l'appella. »-► U P. Beccaria, celebre fisi-
co piemontese, meglio che la Crusca (che in senso metafo-
rico intende usata la parola strupo per stupro) dà alla voce
strupo il significato di branco. Di fatto stroup in dialetto pie>
montese significa branco d'animali specialmente ; il che otti-
mamente SI adatta alla turma degli Angeli ribelli. E. F. (Disc,
intomo al iv. canto delPInf. PoL iv. nota 6. fac* 3o.) <-m
i4 fiacca y non è (dice il Venturi d'accordo con Volpi) in
attivo significato, ma in sentimento di neutro passivo xi^occa.
Tra* molti esempj però che sotto il yerho fiaccare nel Vocab.
della Crusca si producono, sarebbe questo solo di Dante, in
f :ui adoprerebbesi in cotal sentimento : e ben anche in questo
stesso potrebbesi fiaccare riputare attivo , e come se detto fos-
se: quali y come , le uele gonfiate dal vento, poiché questo
t albero fiacca , caggiono avvolte.
[n] Tcji jimoè 7., LffvU. 19., Deulerom, 2a.« Pra^et-b. 23., Tob, 4* •>»
C0rfirl 6.,C0h$s.6g Hcb. i3.
CANTO VII. i63
G)si sceDdemmo nella quarta lacca, i6
Preadendo più della dolente rìj)a,
1 6 lacca. Non avendo (couvien credere) i Gompilatarì del V o-
cab. della Cr. ritrovata questa voce che in tre luoghi della pre»
•cute commedia , qui ed In£ zìi. J i . e Purg. vii. j- 1 . ; e scorto
a vendo titubauteil Buti nella spiegazione di essa \ oce, chiosando
e£[li qui lacca per china y scesa , o lama , ed Inf. xti. per ripa,
e Purg. VII. per yalle^ luogo concai^o e basso, sonosi perciò essi'
Compilatori astenuti d'assegnare al la medesima voce alcun signi-
ficato, ed altro non hanno fatto che registrare sotto di essa gli
acceunati tre passi di questa commedia, con sotto a ciascun pas-
•0 la chiosa del Buti, lasciando al lettore la briga di scegliei'e.
Variano poi anche circa la spiegazione della medesima
voce tutti gli altri Comentatori . Il Landino vuole che signifi-
chi ripa, il Vellutello yalle, il Daniello or ruina, ordisce^
M, il Volpi e il Venturi ripa .
In mente mia però tre motivi si uniscono ad esigere che
non diasi alla voce tacca altro significato che di cayiià, valle >
fossa , o simile. m-¥ Così anche il Cav. Monti [a] , dicendo
che, nel figurato linguaggio di Dante , lacca , pozzo , cisler^
na, esprimono sempre la stessa idea. 4-c
L'affinità, primiei'amente, che ha lacca coi latino /aci/.r,
f molto pia col latino barbaro laccarli , nome col quale ajy-
pellavansi gli scavatori di fosse [&].
La necessità, in secondo luogo, di cotal senso ad essa voce
nel citato settimo cauto del Purg., come ivi si può vedci-e .
L'adattabilità , per tono , del medesimo significato alla
▼oce stessa tanto qui che nel duodecimo citato canto dell* In-
famo; per conoscere la quale basta intendere gV infernali cei^
(^j> non di superficie piana , ma concava , e però contenenti
*l bisogno ove acqua [e] , ove sangue [d] ce. - * Il Postillatore
^^1 coi Cass. alla voce lacca nota : idest circulo, uniformali-^
<h>si alla chiosa di Iacopo della Lana: segue lo poema mom.
itrando come scese nel quarto cerculo. E. R. m^Lacca^ luoga
hasM>e concavo, e in piii largo comprendimento, fossato cu"
^i'rna. Cosi chiama il Poeta il quarto cerchio. Biagiou.*-»
i"; Prendendo più della ripa, vale quanto, in^oltrandoci
'*' Prop, voi. 3. P. 1. f»c. 8. [b] Vedi il GlossMKÙf del Du Frciiiit : «
y-'imnUea del Laureali, [e] Iiif. e. vn. i8. [r(^(af« e. su. 47*
\
i64 INFERNO
Che '1 mal dell' universo tutto 'nsacca.
Ahi giustìzia di Dio! tante chi stipa 19
Nuove travaglie e pene, quante io viddi?
E perchè liostra colpa si ne scipa ?
Come fa Fonda là sovra Cariddi, ni
vieppiù nella infernale ripa, - dolente^ ^r piena di dolori.
m^ I codd. Ang. e Caet. leggono j Pigliando più ec. E. B. <«-«
18 Che Umal delVuniv^erso tutto j che tutte le soeleraggiuì
del mondo 9 • insacca^ per aduna e punisce* Alouni , ti*a*quali
il Vellutello j intendono per questa ripa la sola che gira in-
torno al cerchio quarto 1 in cui si puniscono gli avarie i pro-
dighi , e spiegano, ch'essendo l'avarìzia cagione di tutti i mali
dei mondo , dicasi perciò essa ripa 9 contenente l'avarìzia , con*
tenere tutto il male dell'universo. Il primiero general senso
però, abbastanza chiaro , poteva questi Espositori esimeredalla
briga di stiracchiai* l'avarizia ad essere la cagione di tutti i mali.
19 al 21 m^ Ahi vendetta^ l^^g^ l'Antald. £• R. <#-« tante
chi stipa ec, chi stiva, ammucchia e calca laggiii: ochi puu
ristringere nella mente, e figurarsi immaginando tante e si stra-
ne pene! G)si il Venturi abbraccia quanto hanno detto prima
di fui i Comentatori. A me però (tralasciando affatto la prima
interpretazione, come quella per cui mostrerebbesi il Poeta trop-
po ignorante a non sapere che quante pene son nell" Inferno
sono tutte dalla divina Giustizia ordinate) piacei^bbe meglio di
chiosare che non della difficoltà di ristringere nella mente in-
tenda il Poeta, ma della difficoltà di stiìngere in versi , che nel-
l'atto di scrivere sentiva, m^ chi stipa ec* Questa spiegatone
del Lombardi non gai*ba punto al Biagioli, il quale spiega : chi
stiva, cioè accumula , ammucchia . II Poeta, dic'egli, nell'atto
della parola, è come chi , alzando gli occhi al cielo , e sorpreso
da tante meraviglie, esclamasse : chi mai potè tante dittine
oierav^iglie creare ? 4-« Di travaglia per travaglio^ e di scipare
per conciar male , vedi il Vocab. della Crusca. m-^JVuoyi tra'
yaglij ha il cod. Ang. E. R.4hì viddi in gi^azia della rima fece
Dante , o dell' usato veddij mutata per antilesi la e in 1, ov-
vero di vidif aggiuntovi per epentesi un'altra d.
22 'jt'ò lày nello 511*6110 di mare tra la Calabria e la Sicilia ^
appellato il Faro di Messina. ^ sovra Cariddi.- Charyhdis
( .scrive nel suo Tesoro della lingua latina Roberto Stefano)
CANTO VII- i65
Che si frange con qnellci, in cni s'inlop|)a;
Cosi convien che qui la gente riddi .
Qui vid' io gente, più ch'altrove, troppa, aS
E d'una parte, e d'altra con grand' urii
Voltando pesi per forza di poppa .
Percotevansi incontro, e poscia pur li 28
Si rivolgea ciascun, voltando a retro,
Gridando: perchè tieni, e perchè burli?
locus maris periculosus nautis inter Calubriam etSiciliam y
quod contrarios fluctuwn cursus facit . . • Fuit auiem Cha^
rybdis ftemina uoracissinia , guae , quia boves Herculis ra^
puitj a love fulnunata est , et in mare praecipitata ; unde
naturam pristinam serpat . — Che si frange con ec» La ra-
F'one è ( dice il Daniello ) perchè in quello stretto si scontrano
onde che vengono del mare Ionio con quelle del Tirreno .
^4 Cosìj intoppando gli uni cogli altri 9 come onda con onda
nel detto mare « -^riddù ìtiddare^ insegna il Vocabolario della
Cx^danzare^menarla ridda^ballo dimolte persone fatto in
giro * e per similitudine 9 andar rigirando a guisa » che si
{!s nella ridda : ed in esempio di questo yerbo per cotal simi-
itudine adoprato, oltre il presente di Dante , reca queir altrof
molto pure al proposito nostro confacente, del CiriffoCalvaneoi
Così passammo la crudele Scilla ,
Z^oi^e C€u:qua ritrosa par che riddi [a] •
25 troppa , per molta . Avveitesi nel Vocab. della Ci*usca
che la voce troppo , talora ha forza d^anH^erbio 9 ancorché
s* accordi j come aggiunto^ col sustantiyo ; e recasi in esem-
pio, tra gli altri y il presente passo di Dante. »-^ Qui uid'io ec.
Dice questo per significare che l'abuso delle ricchezze ò nel
mondo un male molto piii esteso d*ogn* altro. Pooouti. -Q»f
vidi gente ec.» ha il Vat. 3 199. «-e
a6 al 3o E d'una parte y e d^ altra y vale come in appresso
dirà, da ogni mano ^ cioè da destra, in sinistra, e da sinistra
in destra; — poppa y mammella, ipeì petto y la parte pel. tutto.
— pur liec. ( liy avverbio dì luogo, privato d'accento in gra-
[k] Lib. I. (ac 6«d«ll'ediz. veneta i535.
166 INFERNO
Cosi tornavan per lo ceicbio tetro
Da ogni mano all'opposUo punto,
Gridandosi anche loro ontoso metro :
sia della rima ) nel aito medesimo del percuotimento ciascun
si rivolgeva e tornava indietro • — Gridando : perchè ec. ,
pei*chè trattieni tu il mio peso ? gridando uno ; e perchè bur^
lif rotoli, tn il tuo? rispondendo Taltro. Burlare (con V u
Emnunziato a modo d' o chiuso ) per rotolare dicesi in Lem-
ai'dia, dalla quale ha preso Dante di certo altri termini fa] ;
e si differenzia da burlare per beffare^ che pronunziasi miesto
con u francese. Burlare , per termine lombardo significante
voltare e muov^ere , conobbelo anche il Vellatello ; al qnale
se avessero i Compilatori del Vocab. della G-usca posto nien-
te, non avrebbero per quest* unico esempio insegnato che bar*
lare signiGchi anche gittar uìa , usar prodigalità . Burli ,
cioè bui ( chiosa il Landino ) : buiare in lingua aretina signi-
-fica gettare . Troppo però è di veraa la formazione dell' uno e
dell'altro vocabolo. -^*11 Postili. Cass. su la voce tieni no-
ta: refertur ad av^aros; e sopra burli y adprodigos. Questa
breve spiegazione va perfettamente di concerto con la chiusa
di lac. aelia Lana. E diceche urlai^anoj cioè lamentauan^i
a modo di canij dicendo Vuna parte aW altra: perchè tie-
ni ? cioè, perchè fosti aifarot e V altra diceva: perchè burli 7
cioè , perchè gittasti lo tuo inordinatanienteì E. R. «^Pie-
tro Dante, Boccaccio , l'Anonimo ^ il Buti, il Cav. Monti ed il
Biagio!! concorrono tutti nella sentenza surriferita del Postili.
Cass. e di Iacopo della Lana . 4-c
3 1 al 33 Così tomat^an ec. Ricapitolazione è questa del già
detto. • cerchio tetro , circolare oscura strada . - Gridandosi
anche loro ontoso metro : la particella anche dee qui inten-
dersi valere come da ì^antaggio , di soprappiù , e come se
avesse invece detto che, oltre il travaglio di raggirare que' pe-
si e di percuotersi, che quelli scianrati soffirivano, si grida-
vano di soprappiù loro j essi f 5] gli uni agli altri , ontoso
metro, ingiuriose parole . -^* Il cod. Cass. legge. Gridando
ancora, cioè gridando sempre: perchè tieni 1 perchè burli?
[a] Vedi, percsgion d'esempio, Tnf. m. 9B. \b] Del pronome loro
aoche nelrettocaso Ulvoha adoperato, vedi it (jiionio, Partic. 159. 5.
CANTO VII. 167
Poi si volgea ciascun ^ quand'era giunto ^ 34
Per lo suo mezzo cerchio, alFaUra giostra •
Ed io, cb'avea lo cor quasi compunto,
Dissi: Maestro mio, or mi dimostra 37
Che gente è questa , e se tutti fur cherci
Questi chercuti alla sinistra nostra •
Ed egli a me : tutti quanti fur guerci 4^
Si della mente in la vita priraaia ,
Che con misura nullo spendio ferci .
Questa nuova lesione potrebbe preferirsi da ebi non ama gli
arcani in ogni conceUOt £• B.
34 iSPoisii^olgeaeCéiCOètruzìoue: Poi ciascun^ guaniTera
giunto (idV apposito punto intende) ^i uolgeaper lo suo mezzo
cerchio f pel medesimo già corso mezzo cerchio faceva rìtonio,
alCaltra giostra , a ripercuotere nuovamente nel primiero
ponto. •-» Il movimento di questi peccatori é oscuro qual fosse.
Il V^elltttello gli fa muovere per lo diametro del cerchio, pren-
dendo mezzo cerchio j nelle parole di Dante , per metà dello
spazio circolare, non della circonfei*enza . Io credo al contra-
rio ; credo y cioè i che si movessero per la circonferenza , se-
condo la quale intelligenza tutto il passo diventa chiarissimo:
Così tomai'an per lo cerchio tetro ec.
intendi per la circonferenza^ e non solamente del maggior cer-
cliiof ma di tutti i minori concenUici. Da ogni manoj da ogni
|Mirte della circonferenza suddetta i aW apposito punto ; poi-
ché muovendosi due per la circonferenza di contraria parte ^
il punto dove s'incontrano è opposto a quello donde partirono.
ToaaLLi. ^-m
36 m^Ed io e^ aveva e 7 cor ee.^ l^gge il Vat. 3 1^« ^^
38 cherci* Cherco, sincopato da chericOf av visa ilYocab. del-
la Cr.y e dimostralo adoperato da ottimi scrittori anche in prosa.
39 chercuti y sincopato da chericuto » che dicesi di chi ha
cherica» ossia quella rotonda rasura de'capelli, che si fanno in
capo le persone addette al sacerdozio.
40 al 4^ Ed egli a me : ec. Ha Dante fatte a Virgilio due
interrogazioni: la prima, che gente fosse quella, cioè qual razza
di peccatori si fosse; l'altra, se fosser tutti cherci li chercuti .
ir>8 INFERNO^
Assai la voce lor oliiaro T abbaia, 4-^
Quando vengono ai duo punti del cerchia,
Ove colpa coniraria gli dispaia.
Questi fur cherci, che non han coperchio 4^>
Filoso al ca))o, e Papi, e Cardinali,
la cui usò avarizia il suo soperchio.
Ed io: Maestro, tra questi cotali 49
Dovrei io ben riconoscere alcuni,
Che furo immondi di cotesti mali .
Incomincia adunque Virgilio a soddisfare alla prima dimanda,
ed invece di dirc ch'erano tuUi o avari , o prodighi, usando
cii*coscrizione 9 dice che nella primiera mortai vìla furono lotti
quanti sì guerci della mente ( catacresi ) cosi storti nel loro
pensare , che nullo spendio y ninna spesa , ferci ( la ci per ot^
namento \a] ed in grazia della rima) con misura; spendendo
cioè o troppo poco, come gli avari, 0 troppo eccessivamente,
come 1 prodighi, m^ ferci. Non v'ha posto ci , dice il Biagio-
li , né per ornamento , né in grazia della rima , ma si bene
ptTchè Virgilio ha riguardo alla vita primaia . 4-«
4^^ la uoce lor^ cioè il perchè tieni , che intendesi dica il
prodigo all'avaro, e \\ perchè burli y deiravai*o al prodigo;
baia , per manifesta . a-^ abbaia , secondo il Biagioli j non
vuol dire manifesta ciò , ma bensì manifesta ciò abbaian-
do j urlando come cani,*-^
44 4^ ^' ^''^ P^*^^' ^^^ cerchio , ai due diametralmente op-
posti punti del cei-chio ; -Oi^e , nei quali due punti; -^ colpa
contraria y l'avarizia e la prodigalità; -^gli dispaia ^ gli ri-
batte in parti cfmti'aiìe .
48 In cui usò , invece d'In cui usa ^ che leggono tutte Tedi-
zioni , hanno trovato in 1 3 mss. gli Accademici della Gr.| e sta-
riisco che, avendo essi, ove ragione il richiese, inserite voci su
'autorità di un assai minor numero di testi , non abbiano in-
serita la presente, la quale, oltre eh 'è richiesta dalla sintassi
in connspondenza a /%iro, toglie, o scema moltissimo la maldi-
cenza. Che se fosse mai per avventura sembrato agli Accademici,
[a] Vedi Cinon. Panie. ^S. 9.
CAUTO VII. 169
Ed egli a me: vano pensiero aduni: 5'i
La sconoscente vita, che i fé' sozzi,
Ad ogni conoscenza or gli fa brani .
In eterno verranno agli due cozzi : 55
Questi risurgeranno del sepnlcro
Col pugno chi uso « e questi coi crin mozzi.
Mal dare, e mal tener lo mondo pulcro 58
che r accento nelU voce usò potesse impedir Y elisione col se-
rvente a y doveva togliere loro ogni scrupolo il verso , tsagU
aKii 9 I i6é del canto xxvi. del Purgatorio:
Col dito ( e additò uno spirto innanzi)
»-» In emusò y legge pure il Gaet., ed usa hanno i codd. Aa-
tald. ed Ang. £• R. - e il Vat. 3 199- - Questa lesione ò pur s^
guita e difesa dal Biagioli ; ma le ragioni che ne adduce non
ci hanno persuasi a scostarci dalla Nibod., sembrandoci chiaris-
sima, da tutto il contesto^r allusione ai morti colà veduti.<«-«i/
suo soperchio^ il suo soverchiamente aiFezionare alle ricchezze.
Sa aduni , per a te unisci ^ abbracci .
53 i f per gli. Vedi il Vocabolario della Cr., lettera I, J. 5.»
•-^e le nostre giunte al cemento del Lombardi sul verso 78.,
e. T. di questa cantica. 4-s sozzi , laidi .
54 j^dogni ec. Rendeli ora brunii oscuri | talmente che
ad ogni cronoscimento li sottrae •
55 agli due cozzi ^ agli due urti nei due detti opposti punii
del cerchio •
56 57 sepulcro 9 per sepolcro , antitesi ed imitazione del la*
tino in grazia della rima . - questi col pugno chiuso, gli avari ,
in segno di tenacità; - questi coi crin mozzi j i prodigni» in se-
gno db arer venduti e consumati perfino i capelli, come per
proTCfbio dicesi» Accenna col pronome questi e gli avari, e i
prodighi, perocdiè tutti presenti a dito li segna . •-> G)si anche
il Torelli, ridiiamando il v. 4^. del e. xxu. del Purg. ^-c
58 Mal dare , del prodigo ; • mal tenere j dell' avaro, ^pul^
ero , per belloy Ifltinismo usato dal Pulci anche fuor di rima:
La faccia pnlcra , angelica , modesta [a] .
mondo pulcro^ il Paradiso: o forse, usando il concreto per
[a] Morg. STI. 38.
I70 INFERNO
Ha tolto loro, e posti a questa znflfa:
Quafeila sia, parole doq ci appulcro:
Or puoi, figli aol, veder la corta bufl& 6i
De' bea , che son commessi alla Fortuna ,
Perchè Fumana gente si rabbuflSi;
V astratto , mondo pulcro dice in luogo di mondana bellezza^
ehc 81 conosce e gode da qoe'solamenteche sanno contenersi nei
viituosiliniitidellamediocrità, lungi dai sempre >iziosiestreniì.
69 a questa zuffa , a questi urti.
dopatole non ci appulcro. Del suddetto aggettivo /»fi/*
ero forma qui appulcrare j al senso di ornare ed aiòellire ;
e la ci in luogo di qui adoprando [a] , viene a dire il mede-
simo che se avesse invece detto: Qual ella sia^ non isiò
qui a cercar belle parole per fartene la descrizione ; e in*
tende che bisogno non fosse » perocché vedovala Dante cogli
occhi proprj . •-> 11 cod» Va t. 3 1 99 legge, non cipidcro ; *- P Ang^
non li pulcro ; e TAntald., non cimpìdcro . E. R. 4-«
61 la corta buffa j la brieve vanità , disse Benvesato. K
Fì'ancesoo da Buti espone buffa , derisione. Ma ^roìpno buffa
è vento ; onde diciamo buffettare chi getta vento per bocca,
e sbuffare quando con snono di parole, o 9 a dir meglio , con
ventose ed enfiate parole alcuno minaccia • Cosi il Landino .
Corta buffa , per oreue *vento e vanità spiega pure il Daniel-
Io . Ma io direi di piti , che , per aiuto della rima , e per la li-
cenza , stata in uso presso degli antichi , di adoperare %HH:ifen^
minili per lo maschile [&] , dica Dante buffa invece di bi^fb »
sinonimo di soffto ; e che , trasferita essa voce a significare la
forza ed influenza in noi de'beni di fortuna , corta le agginn*
ga y per non estendersi a punto aintai*ci di là: come dichiarerà
ne' versi 64- e segg. m-¥ buffa . Il significato di questa parola
a questo luogo è quello di ridicolezza o vanità f onde 6u/*
fone dicesi chi fa o dice ridicolezze . Poogiali. 4-«
63 Perchè f valepei^iio/i &0ni, come usoUo il Petrarca pure;
Quanti lamenti lagrimosi sparsi
Fur i%n ; essendo quei begli occhi asciutti ,
Perch* IO lunga stagion cantai ed arsi ! [cj
[a] Tedi Cinon., Pariic, ^H, 5, [b] Sleniìut » Cosintz, irregol. cap. 1 ••
[e] Trionfo deUa Morte f tB^ 1.
CANTO VII. 171
Che tutto Toro, eh' è sotto la Luna, 64
O che già fa , di quest* anime stanche
Non poterebbe farne posar una .
Maestro, dissi lui, or mi di' anche: 67
Qnesta Fortuna, di che tu mi tocche,
Cheè , che i ben del mondo ha si tra branche ?
E quegli a me: o creature sciocche, 70
Quanta ignoranza è quella che v* offende !
Or vo\ che tutti mia sentenza imbocche •
•- si rabbuffa , s' accapiglia > e scompiglia . »-^Il cod. Vat 3 1 99
legge 9 (hiae V umana ec. «-«
64 65 foro y eh' è sotto la Luna y - O che già fu : V oro
rke presentemente esiste in terra , o che fu già consumato •
■-» Il cod. Staard. porta: E che già fu ; lezione che piace as^
sai al BiagioH. ^-m
66 poterebbe invece di potrebbe y come fu scrìtto andereb^
he y alerei ec. \a] invece di andrebbe , ai^rei ec. , i quali ,
come sincope che sono di quelli 1 debbono essere certamenttLi
pili recenti. E se in oggi 9 come avverte l'autore dell' antico
Prospetto de* inerbi toscani \h] y non si dmsi poterebbe se non
per potare y cioè tagliare alle piante il superfluo de* rami ,
QÒ credersi , che nel tempo in cui àÀ potere ùice\MÌ potereb-
fy dì potare facessesi potarebbey come 9 per avviso del me»
desimo autore [e], dicevasi amarebboy terminarebbe ec. in*
vece di amerebbe y terminerebbe ac. «-^ Il cod. Stuard. legge,
Son poterebbe far posar sol una* Biagioli. ** ed una variane
te , attribuita al Petrarca , e posta in margine al cod. Vat. 3 1 99 ,
Ab» ne potrebbe far posar pur una . ♦-■
G^hasi tra branche y ha cosi tra le unghie y traslativamente
detto invece di ha così in suo potere e balìa.
^^ Or ^o\ che tutti mia sentenza imbocche y legge la Ni-
dob. , meglio delle altre edisioni che leggono , Or vo* che tu mia
sentenza ne imbocche. Imboccare y letteralmente preso, vuol
dire mettere in bocca; Cy trasferendosi; come qui si trasferisce , a
L°
««1 Ycdi TaoUco Prospetto de* perìn toscani ne' citali verbi, [h] Sotto
il verbo Poltre, num. a 5. [e] Sotto il verbo Amare ^ n. 11.
171 INFERNO
Colui , lo cui saver tutto trascende, 7 3
Fece li cieli y e die lor chi conduce ,
Si eh' ogni parie ad ogni parte splende ,
Distribuendo ugualmente la luce : 76
Similemente agli splendor mondani
I Ordinò general ministra, e duce,
sentenze od a parole , imboccare alcuno vnol dire insegnar lui
ciò che tia a dire . Volendosi leggere colle edizioni diverse dalla
Nidob., bisogna per questo solo caso attribuire al verbo inJHM"
care il senso di ricevere in bocca , ossia d* apprendere , co-
me sono perciò forzati gì' Intei'preti di attribtui^lielo . — <m-
bocche e tocche , invece d^ imbocchi e tocchi ^ sono antitesi
in grazia della rima. »-► Il cod. Vat. 3 199. ha, tu mia senten^
tia ne ^mbocche • — Questa lezione è difesa dal Biagioli 9 cui
sembra non poter reggere quella di Nidobeato , non essendo
lecito il dire : mettere in bocca una cosà uno , ma ad uno . «-■
y'i Colui y Iddio.
74 chi conduce f cioè le motrici Intelligenze t Angeli [aj 9
ehe il loro moto governino: e però Farad, zxyiii. 76. e segg.:
Tu uederai mirabil contenenza
Di maggio a più , e di minore a meno
In ciascun cielo a sua Intelligenza •
76 76 ogni parte ad ogni parte splende ^ ec. Non intende
già che ogni qualunque parte de' cieli veggasi da ogni <|ualnn-
qùe parte della terra: altrimenti contraddii*ebbe alla verità, ed
a sé stesso, ove, delle stelle nel polo antai'lico fa vellando» escJaina:
O settentrional vedovo sito ,
Poiché privato se* di mirar quelle ì [i]
ma solo intende eoe ambedue gli emisferi di dascan cielo (ac-
ciausi girando vedere ad ambedue i terresti-i emisferi.
77 ^S^^ splendor mondani , agli opoii e rìcchezse.
78 general ministra y e duce , un' altra intelligenza y da noi
appellata Fortuna • Scrive s. Agostino nel quinto della Città di
Dio : Nos eas causas , quae dicuntur fortuitae ( undc etùun
fortuna nomen accepit) non dicimus nuUas , sed iatenies ,
[a] Cosi Daale sl«sto nel Convito, tratt. a.cap. a. [b] Pnr^ cant. i.
verso a6.
CANTO VIL 173
Che permutasse a tempo li ben vani 79
Di gente in gente, e d'uno in altro sangue,
Oltre la difension de' senni umani :
Perchè una gente impera , e T altra langue, di
Seguendo lo giudicio di costei,
Che è occalto, come in erba T angue.
Vostro saver non ha contrasto a lei: 85
Ella provvede, giudica, e persegue
Suo regno, come il loro gli altri Dei.
eas4f tt0 trihìiinuu , vel veri Dei y %fel quorumlibet spiri tuuni
{ (*ccu l'opinione del nostro Poeta ) v^oluntati •
7y a tempo , a tempo debito 9 0 di tempo in tempo .
80 sangue , per stirpe j famiglia .
8 1 Oltre ec^j superiormente ad ogni riparo posto dall'uma-
na industria contro i colpi di essa Fortima •
82 Perchè y vale qui per la qual cosa ; —* langue y intendi
soggetta . »-^ ed altra langue y legge l'Antald. E. R. 4-«
84 Che òy la Nidob. ed altre antiche ediz^ Chedèy Tediz.
della Crusca appresso dell'Aldina, m^ Che stày legge TAu-
tald. E« R. 4-« angue y -per serpe y adopralo pure il Petrarca ed
altri poeti. Vedine gli esempj nel Vocab. della Ci*usca .
85 m^non èy ha il cod. Stuard. Biaoioli. - contasto y per
errore , legge il Vat, 3 199* ^-«
86 persegue > chi per continua , chi per manda ad esecu-
zione chiosano gl'Interpreti ; ma intenderei io piii volentieri
posto qnì perseguire nel senso, a cui adoprarono talvolta i La*
tini il persegui y di difendere y dicendo: persegui suum ius.
a-^ Risponde piuttosto alla frase latina: factis persegui guod
dicimus ; peix^faè ha voluto esprimere il Poeta ratto che segue
il giudicare y che è l'eseguire , e vuol dire 1 che dopo aver prov-
veduto e giudicato 1 essa procede alla esecuzione delle cose .
BiAGioLi. — Il cod. Antald. ha > Questa provvede y giudica e
prosegue t e Questa legge pure TAng. E. R. «•-•
Sy gii altri Dei. Dei appella le Intelligenze mollici de Vie-
li t o allusivamente all'appellazione di Dei , che ( riferisce il
Poeta nel Convito [al ) danno alle medesime i Gentili , ov-
[a] Tratt. a. cap. 5.
174 INFERNO
Le sue permatazioa non hanno triegae: 88
Necessità la fa esser veloce ,
Sì spesso vien chi vicenda consegne.
Questue colei, eh' è tanto posta in croc^ 91
Pur da color , che le dovrian dar lode ,
Dandole biasmo a torto , e mala voce .
Ma ella s è beata ^ e ciò non ode : g4
vero pel nome. di Dei , che si attribuisce agli Angeli la fil«iui
luogo delle divine Scritture [a] .
80 triegue , per intermittenze^ il plurale pel singolare.
89 Necessità^ proveniente dalla divina ordinazione. »-»Bìa*
gioii attribuisce piuttosto questa necessità airimmensa molti-
tudine delle persone , che implorano con sollecite pi^hìere
continue il favor della Dea, che toglie ad uno per arricchir Tal-
Irò 9 precipita chi sta su per alzar chi va terra terra, ec <«-«
90 Sì I m questo modo ; - vien , si dà ; - consiegue , per sìà-
bisce; - vicenda y mutazione di stato. •-^•Torelli leggendo che
invece di chi^ spiega: così spesso avviene che vicenda se^
guita. — Poggiali diiosa: ttchiy è poeticamente per ciò che;
a» consegue vuol dire qui ottiene , e per catacresi esige . » Così
ne cava questo senso : giacché spesso accadon cose , che csi^
gono variazione e cangiamento • -Il Biagioli per ultimo in-
terpreta: «4$/ ; ed essendo cosi, spesso viene ctu consegue la
a» sua vicenda , la sua vice , la sua volta. a> — A noi sembra
però che il senso più ovvio e piii naturale di questo verso sia
il seguente : Tanta è F affluenza , la calca , aei ricorrenti e
soggetti alle variazioni e mutamenti della Fortuna . 4-s
9 1 posta in croce y per maladetta e bestemmiata •
92 Pur da color y ec.y eziandio da quelli che U dovreb-
bero ringraziare e lodare ; perchè fu grazia ciò che li lasciò
godere ; e non è ingiurìa se poi se lo ripiglia y essendo suo .
VBHTlTBt.
93 Dandole ecy a torto biasimandola e vituperandola •
94 ^'^9 P^i* ^i sta. 9-^ Qui e sotto al v, 9S. le particelle si
sono ridondanti y ma nondimeno sono molto espi'essive, ed ele-
ganti • Poggiali, ^-m
[a] Velli , ÌT» gli altri , Tirino « Idiotismi linguai ff ebraiche et Gr«#-
CANTO VII. l^S
Con l'altre prime creature lieta
Volve saa s})era , e beata si gode .
Or discendiamo ornai a maggior pietà : 97
Già ogni stella cade, che saliva
Quando mi mossi , e 1 troppo star si vieta •
Noi rìcidemmo 1 cerchio all'altra riva, 100
^ prime creature appella le Intelligenze motrici de' cieli ,
perocché, com'è detto, le suppone Angeli, che certamente fu*
inno leprime creature. •-♦ Il V at 3 199 legge , TralV altre, ^-m
96 rolve sua spera. Come le altre Intelligenze attendono
a Tolgcre le celesti sfere , cosi la Fortuna attende a volgere
la sfera sua de' beni temporali •
97 a maggior pietà , a maggiori angustie ed affanni, a più
tormentoso cerchio. »^ Non è tale il vero senso di queste pa-
role , secondo il Biagioli , e spiega : a luogo oi^e si sente corur
passione maggiore, 4-«
98 99 Già ogni stella ec. Dee intendersi come se detto
avesse : Già hanno passato il mezzo cielo , e cadono yerso
occidente le stelle ^ che mentre entrammo neW Inferno in
oriente salivano • Ed essendovi entrati mentre Lo giorno se
n' andava ^ e V aere bruno '^Toglieva gli animai , che sono
in terra j — Dalle fatiche ec, [a], eh' è quanto a dire , sul
principiar della notte , viene , cosi dicendo , a dichiarare pas-
sata la mezzanotte. Questo luogo di Dante , dice il Daniello ^
fii più chiaro quel di Yii^lio , che è nel secondo dell' Enei-
de : suadentque cadentia sidera sqnmos, — e 7 troppo star
si tneta : allude all' insegnamento degli Ascetici , che nella
considerazione de' vizj non si fermi la mente di soverchio, ma
solo quanto basta a conoscerne la bruttezza loro e pemizie.
»-» Riflette il Poggiali che , anche fuor di allusione , è ragio-
nevole il supporre (benché Dante noi dica) che la permis-
sione accordatagli per un viaggio di tal natm*a esser dovcssa
per più riguardi di un tempo molto limitato . <-■ *
100 ricidemmo , per attraversammo ; - alla valer dee i n-
fino air [b^ altra riva , opposta riva ; opposta a quella per
cui erano entrati nel cerchio medesimo •
[«] Inf. II. e se](g. {b] Vedi Cìnoa, Parlic, i. ai.
176 INFERNO
So vr' una fonte , che bolle , e riversa
Per un fossato, che da lei diriva.
L'acqua era buia molto più che persa; io3
£ Qoi ia compagnia dell' onde bige
101 1 03 Sovr^una ecy sopra la sponda di una fonte ^ che
bolle y che ivi pullulai scaturisce; - e rwersa - Per ec.^ e ro-
irescia l'acqua in un fossato, die da lei sgorga. YsNTuai. Della
particella per al senso d'in vedi il Gnonio [a]. m^Per noa è
qui posto per in , secondo il BiagioU ; imperocché ae Dante
-avesse voluto dire che Tacqua ivi stagna 9 avrebbe detto in \
ina disse per j a fiirci vedere quell'acqua discorrere pel suo
fossato. «-• Onde poi cali quest'acqua all' Inferno > vedi nel
canto XIV. di questa cantica 9 1^. 1 1 3. e segg.
io3 V acqua era buia molto più che persa * Trovando upi
avei« Platone a questa medesima infernale acqua della palude
Stige attribuito il colore cj-aneum prope [ij, non possiam du-
bitare che dallo stesso Platone non prendesse Dante idea , e
che non sia il medesimo colore che vuole qui Dante all'acqua
stessa attribuito. Perso (com'altrove è detto) spiega il Poeta
nel Conuito [e] ch'è un colore misto di purpureo e di nero,
ma uince il nero. Dunque un colore buio molto piti che perso,
cioè nn porporino de' più scuri, dovette, secondo lui , essere ii
ejyaneun^ prope.YoìgsTmente (a' tempi nostri almeno) perr^a-
neus intendesi azzurro o turchino y colorì che nulla hanno mi-
schiato di porporino . A giustificazione però di Dante può ba-
stare che il fiore ciano, onde prende nome il colore , per te-
stimonianza de' botanici [d], trovasi anche di colore porporino.
1 04 bige appellando Vonde dell'acqua già detta buia molto
più che persa , non può per bigio intendere se non buio od
oscuro , e non colordi cenere , come chiosan altii : e per buio
o nero dee lo stesso bigio essere adoprato anche nel Malmao-
file in que' versi :
Ultimamente la palude Stige 9
Che a Dite inonda tutto il circuito ,
E in sé racchiude furbi , e anime bige [#J.
[a] Pmvti'c, 1 95. 1 5. [b] Vedi il passo a tale proposito appArtenentc »
che dal Ft^doiie di Platone riferisce e traduce Natal Conti, Hj ih, l. 3.
Cftp. 3. [e] Tratt. 4* cap. 90. [d] Vedi Chabraei siirpium sciagraf»ina ,
€\.\5S, aS p e le annotazioni del Dodoneo a Tcofraato, Kb. 9* [«}€«ut«i «1.
si. ai.
CANTO VII- 177
Entrammo giù per una via diversa .
Uua palude fa , eh' ha nome Siige ^ 1 06
Questo tristo ruscel, quando è disceso
Al pie delle maligne piagge grige .
£d io, che di mirar mi stava inteso, log
Vidi genti fangose in quel pantano,
Ignude tutte, e con sembbnte offeso.
Queste si percotean non pur con mano, 112
io5 Entrammo giù , scendemmo più a dentro. — diversa^
3uì pure y come Inf. ti. lit., per orrida. Il Veli utello spiega
iversa per altra da ij nella che facevan t onde dell' acqua ^
mvegnachè andassero in compagnia di quelle. •-> Auclie
il Torelli spiega diversa per difllcile^ malagevole , — p^ia
diversa j secondo il Biagioli, qui non vuol alti'o significare che
tua dalle altre diversa , soggiugTiendo : tocca a chi legge a
discernere in che consiste la diversità , che nasce qui dal^
forridezsa e malagevolezza della scesa . <<--•
1 06 th* In lo palude va , legge l'Aug. E. R. ; — - Una pa^
lode va ec, il Yat. 3 199. 4-c
107 tristo denomina quel loisccllo, e rapporto al luogo
pien di tristizia , entro cui scorre y e rapporto al fine per cui
scorre, eh' è d'impaludarsi a rattristare e tormentar anime.
108 maligne piagge grige. Piagge j il plurale pel singo-
lare per piaggia , cioè per la costa intorno al quinto cei*chio.
^tnaligne , per male ^ malagevoli. ^ grige . iirigio (dice il
\<>cab. della Crusca , ed appresso al Voeab. spiegano qui il
\ ulpi e il Venturi ) y colore scuro con alcuna mescolanza di
bianco* Per oscuro però , senza altra misdiianza, dee qui
Dante esserselo preso . ■-♦ Dante probabilmente nei colori ^/'i-
^io e bigio non ha qui considerato se non quanto hanno di
Karo: altrimenti si conu-addirebbe, specialmente colF attri*
biure il bigio a quelle onde , che ha dette più nere del color
perso, che ù molto nero. À ciò ha dato forse motivo l'impc-
^no nella premeditata rima Stige, Poggiali. <-m
109 inteso y per intento y o in attenzione .
1 1 1 con sembiante offeso y con viso iracondo e crucciato.
I i 2 Questi y sottintende dannati; micosi leggeva e chiosava
il lombardi. — Elle, ha il cod. Antald. E. R.; le/jonr piìi ra-
178 INFERNO
Ma con la testa, e col petto, e co' piedi ^
TroQcaodosi condenti a brano a brano.
Lo buon Maestro disse: figlio, or vedi 1 15
L'anime di color, cui vinse Tira:
Ed anche vo', che tu per certo credi
Che sotto l'acqua ha gente, che sospira, 118
E fanno pullular quest'acqua al summo.
Come l'occhio ti dice, u'che s'aggira.
Fitti nel limo dicon: tristi fummo i ai
Nell'aere dolce, che dal Sol s'allegra.
Portando dentro accidioso fummo ^
gionevole di ogni altra, e che ci persuase di sostitaire al Que-
sti delle altre raizioni il Queste , che riferito sl genti , rende il
senso più chiaro 1 e la sintassi più regolare, ^-m si percotetuiy
intendi 9 vicendevolmente l'un l'altro , effetto dell'ira ; e però
nel seguente canto 9 v. 58. e segg. , dirà di Filippo Argenti:
Dopo ciò poco vidi quello strazio
Far di costui alle fangose genti ,
Che Dio ancor ne lodo 9 e ne ringrazio •
I f 6 cui vinse /* ira. Convenientemente dà cotal pena Dante
agFiracondi , per essere appunto rb*a un torbidamento dell'aiii-
mo f e per impedir la medesima perfino l'iutiero proferire delle
parole.
I ig Pullulare, propriamente è l' uscir de' germogli dalle
piante e da 'semi ; ma qui significa il gonfiarsi ed uscir l'acqua
fuor della sua piana superficie 9 come sempre interviene quando
sotto della medesima fassi movimento. - al summo (antitesi ed
imitazione del latino in grazia della rima ) alla sommità.
I ao ti dice j catacresi , per ti tnanifesta ; - if ' che^ lo stesso
che o^^e che , ovunque [a],
lai limo y fango 9 poltiglia; — tristi y pieni di mal talento.
1 22 »^ 11 cod. Stuai-d. legger del sol s^ allegra , ed al Bia-
gioii sembra forma più genti le . ^-m
123 dentro j intendi, di noi • '^ accidioso fummo. Non ca-
pendo gli antichi Sposi tori che potesse accidioso significar altro
[a\ Vedi Cinon», Partic. igZ, la.
CANTO VII. 179
Or ci attristiam nella belletta negra. 124
Questo inno si gorgoglian nella strozza,
Gbè dir noi posson con parola integra .
che annoiato del ben fare , sono quindi passati a persuader-
si che per costoro posti sott' acaua e portanti dentro acci"
dieso punmo si avessero a intenaere non i rei della piii cupa
rabbia j ma gli accidiosi. Il Daniello , recedendo il primo da cch
tale interpetrazione 9 vuole che accidioso fummo non altro si-
lenifichi die lenta ira . Trovando noi però a que' tempi ( testi*
monio Du Fresne fa] ) detto latinamente accidiosus al senso
di tristis j par meglio che accidioso fummo spieghisi per ispi^
rito di tristezza e di rabbia . m^ Il Poggiali sta qui col Da-*
niello e spiega questo vei*sQ cosi : ce covando dentro di noi tor*
u bìdi fumi di lento 1 ma Gero rancore, che proromper dovesse
9 un di nelle piii sensibili ingiurie ed oflese contro altiì . » <-«
I a4 Or ci attristiam* — ^ Il cod. Gass. legge , Or ci tufflant,
E. R. — belletta , lo stesso che poltiglia , fango : -^ ncgruj
perocché deposizione di aqqoa torbida e buia 1 quale ha già
Dante detto essere questa.
laS Questo inno gorgoglian nella strozza^ ^^SS^ 1^ Nido-
beatina , ove V altre edizioni, Quest* inno si gorgoglian ec*
Bene perù la Nidobeatina toglie di mezzo la particella ji, che
di leggieri potrebbe riputarsi corrispondente alla che in prin-
cipio del seguente verso, a formar sentimento di talmente che.
LoMBAEDi. •-♦Il Biagioli ritiene il sij dicendo: 1.^ essere im-
possibile di pigliarlo nell' eiToneo senso che accenna il Lom-
bardi ; :kP perchè si gor^j^oglian è modo piii toscano che il
semplice gorgoglian ; òP perdiè la lezione Midob. non si cou-«
forma all' azione come la comune ; ^P perchè mancando il siy
converrebbe supplirvi con una licenza ardita e affatto inutile .
— Per tutte queste ragioni ci piacque di adottare la lezione co*
mone . ^-m Inno y canto di lode i qui ironicamente per ^ersi di
lamento . -^ Gorgogliare , lo stesso che barbugliare, pro-
nunziare malamente ; — strozza , canna della gola . m-^ Il cod.
Sloard. legge, Quest^inno lor gorgoglia nella strozza y le-^
zione che al Biagioli sembra preferibile alla comune . 4hì
1 36 Ohe dir noi posson con parola integra ; imperoc-^
che, pel fango che ingozzano, noi possono intieramente pro-
a] Giossai'» mtd. aeri. Art. Accidiosus, \
i8o INFERNO
Così girammo della lorda pozza 127
Grand' arco tra la ripa secca, el mezzo,
Con gli occhi volti a chi del fango ingozza:
Venimmo appiè d'una torre al dassezzo.
nunziare. -^integra y per intiera ^ dal latiao in gi*azia della
rima.
1 27 1 28 pozza , pozzanghera ; propriamente (chiosa il Lan-
dino) significa piccola congregazion d'acqu£^(come le buche
ripiene d'acqua piovana nelle rotte vie)' ; ma qui la piglia per
la gran palude dì Stige, ed usa una figura molto trita appi-esso
de' greci e latini poeti , chiamata tapinosis y quasi abbassa^
mento y perchè pare che s' abbassi la cosa grande, descin Ven-
dola con dizione eh* importi cosa picciola. — Grand* arco .
Arco appellasi una porzione di cerchio ; onde Grand arco
vuol dire gran porzione di quel quinto cerchio ; — tra la
ripa secca , e 7 ììwzzo . Dee il Poeta avere aggiunto secca ,
cioè asciutta , alla ripa , per cui dal quaito citino nel quinlf>
cerchio discesi, a fine di meglio fare intendere che mezzo non
significa qui medie tà , ma l'opposto di secco , cioè il molle y
il molle della palude [a] ; e come se detto iuvcce avesse , ira
la ripa e la palude .
1 29 a chi del fango ingozza^ a chi del fango ingliiottisco ,
come conveniva che facessero que' sciaurati , perocché nel fan-
go del tutto immersi .
1 30 F^enimmo appiè ec. Significando al dassezzo il mede-
simo che finalmente y ultimamente [b] , dee essere la costru-
zione: f^enimmo al dassezzo appiè d'una torre.
[a] Vedi nel Vocab. della Cr. come dee cotal voce proounz tarsi, [b] V«ilt
lo flesso Vocabolario •
CANTO Vili.
ARGOMENTO
Trainandosi ancora Dante nel quinto cerchio , come fu
giunto al pie della torre ^ per certo segno di due
fiamme lessato da Ftegiàs, tragettatore di quel luo*
gp, in una barchetta, e già per la palude navigan-
dò , incontra Filippo jirgentl ; di cui veduto lo
strazio, i due Poeti seguitano oltre insino a tanto
che persfeugono alla città di Dite , nella quale en*
trar volendo , da alcuni demonj è loro serrata la
porta .
lo dico seguitando, eh* assai prim^l, t
Che noi fussiino al pie dell'alta torre,
Gii occhi nostri n'andar suso alla cima
I Iodico seguitando j ec. Ad alcuni , che da questo modo
d incomìociarc pretendouc di trarre conferma per T opinione
loro y che scritti avesse Dante i sette canti precedenti anterior-
mente al suo esilio, e che ricominciasse di qui dopo l'esìlio lo
intralasciato lavoro , risponde ^ a mio giudizio j ottimamente il
Marchese Scipione MajQTei, che per la medesima ragione potreb*
besi dire che anche V Ariosto interrompesse , e poi in altro
paese il suo poema rìassimiesse) perchè dice nel principio
del canto xvi.: Dico la bella istoria ripigliando ; e nel prin-'
cipio del XXII.: Ma tornando al lavor, che vario ordisco \a\.
a Cile noi fussìmo j laNidob.; Che no^ pissimo y l'altr^ediz.
3 n^ andar , si diressero .
[a\ Osserv. Leti. tom. a. fac. a^J^
\
^
i8a INFERNO
Per due fiamnieUe, che i vedemmo iiorre, 4
E un'altra da luagì reader cenno,
Tanto, ch'api^enal potea T occhio torre.
Ed io rivolto al mar di tutto 1 senno, ^
Dissi: questo che dice? e che risponde
Quell'altro fuoco ? e chi son que' , che '1 fenno?
Ed egli a me : su per le sucide onde i o
Già puoi scorgere quello, che s'aspetta,
4 Per due fiammette . Scrìvendo lo Scoliaste dì Tucidide
nel lìb. 3., che colai cenni di fuoco facessersi in tempo e di
Jnierra, e di pace , col solo divario , che in tempo di guerra si
acessero doppj di quelli che in tempo di pace si facevano ,
pensa il Mazzoni [aj che perciò finga Dante fatto cenno con
doppia fiamma a dinotare che Vanirne non erano pacificamene
te ricettate nella città di Dite . Potrebbe però anche pen-
sarsi che intendesse Dante essere sistema di accendersi su la
torre tante fiamme 9 ouant 'erano le anime che venivano. «» che
i vedemmo porre , legge la Nidob. , e significando la 1 istes-
samente che iyi [b\ , è cotal lezione preferibile alla che ve-
demmo porre dell'altre edizioni. m-¥ Spiacendo all' occhio ed
allo orecchio quell'aggiunta della i, è meglio sottintendere in
su la cima , e seguir la comune. Biagioli. 4^
5 6 un^ altra , torre al di là della palude ; — da lungi ren-^
der cenno j ''Tanto j cheec^ sinchisi, e dee essere la costruzione:
render cenno tanto da lungi , che ec, - rocchio torre* Torre j
per iscorgercj spiega il Buti, citato nel Vocab. della Gr. a questo
passo ; ma meglio si capisce per comprendere j daìpremiere y
che in sé racchiude, sinonimo di torre o togliere. lor %fia , per
comprendere j discernere y dicesi volgarmente in Lombardia.
7 mar di tutto '/ senno y Virgilio : perifi*asi di quel Savio
gentil^ che tutto seppe y del precedente canto y u. ó. «-^ Et io
mi volsi y legge il Vat. 3 199. *-•
I o sucide y sporche , fangose .
II Già puoi scorgere f legge ÌSiNiàoh,; Già scorger puoi ^
[al Dif, di Dante t lìb» i.cap. 97. [b] Vocabolario della Crusca soUo
lii Jeitora I, 5* ^*
N
CANTO Vili. i83
Se 1 fummo del pantao noi ti aasconde .
Corda non pinse mai da sé saetta , 1 3
Che sì corresse via per T aere snella ,
Com' i' vidi una nave piccioletta
Venir per V acqua verso noi in quella , i6
Sotto '1 governo d* un sol galeoto.
Che gridava: or se' giunta, anima fella?
Flegiàs, Flegìàs, tu gridi a voto, m
tatte r altre edizioni ; mày o con mancmza di un piede al ver-
aOy o costrìngendoci, con non mai praticato esempio y a pro-
muiziar qui puoi ài due sillabe, w^ quello , che s'aspetta^
da chi fece il primo segno , cioè ia barca. 'Bìkaxaui. ♦«
la fummo del pantan^ la nebbia (ch'espressamente dirà
nel canto stg. i^* 6. ), perocché formata da esalazioni sfumanti
da esso pantano.
i3 Corda^ intendi d*areoi -~ non. pinse mai da sòj non
spìnse , non cacciò mai lontano da sé •
i6 in quella f vale in quel mentre. Vedi il Vocabolario
della Crusca*
17 Sotto *l governo ec.y mossa e guidata da un sol remi-
gante; — galea to con un t solo, sincope in grazia della rima.
18 anima fellah disse d'una» e non di due 9 0 perchè solo
una Te n'era spogliata di corpo, o veramente pose il singolare
pel plurale 9 o veramente volle il Poeta esprimere il vizio del-
rincondoy il quale s'accende tanto» che spesso né vede» né
ode abbastanza « LAirnnro.
19 sio Flegiàs» Fingono le favole che 9 per aver Fl^às ab-
bruciato il tempio d'ApoUine, adirato per la figliuola» che era
da esso Dio slata violata » fu dal medesin|0 Apollo per vendetta
dannato all' Inferno. Di costui Virgilio nel sesto dell'Eneide:
Phlegjrasqi^ miserrimus omnes
j^dmonetj et magna testatur voce per umbrasc
Discite ìustitiam moniti j et non temnere Diuos [aj.
Ed è questo Fl^às posto in questo luogo dal Poeta sopra gli
inuHmdi» per esser egli stato iracondissimo. DasibiiIiO. Questa
[«] Vtrso 5iS. • Mf^
i84 INFERNO
Disse lo mio Signore, a questa volta :
Più noQ ci avrai , se non passando il loto .
Quale colui, che grande inganno ascolta, 22
Che gli sia fatto, e poi se ne ram marca.
Tal si fé' Flegiàs nell' ira accolta .
Lo Duca mio discese nella barca, a 5
£ poi mi fece entrare appresso lui ;
E sol , quand* io fui dentro , parve carca .
Tosto che 1 Duca , ed io nel legno fui , a8
Segando se ne va V antica prora
ullima asserzione però 9 d'essere Flegiàs messo ia qaesto luc^
sopra gC iracondi j per esser egli ec, quantanqoe sia oomn-
ne al Landino eziandio ed al Vellulello y a me sembra da non
ammettersi; imperocché l'uffizio ch'esercita Flegiàs di con-
durre anime alla città di Dite, luoffo, come in appresso Te*
diremo, dei miscredenti, mostralo alla medesima spettante; e
ììtemnere Diuos è delitto di miscredenza piii che altro . i^^JPre»
giasy ha sempre il Vat. 3199. — Disse lo mio maestro <, ha
il cod. Ang. E. R. >«-« ^ gridi a uotOj - Disse ea costrozio-
ne: disse lo mio Signore y tu a questa yolta (lo stesso che
per questa t^olta ) gridi a voto , invano.
a I Più non ci attrai ^ se non ecj non ci avrai teco per al«
tro tempo, se non mentre passeremo il fimgo, la fiingosa palu-
de. Loto e luto significano ugualmente fango y e sono di quelle
▼OGÌ che pronunziar si possono tanto coll'o, che coll'u, come
coUiifare e cultivare , sorgere e surgere f ed altre molte [a].
24 nel tira accolta 9 nell'ira presasi, nella concepnta ira.
m^Fecesiy legge TAng. E. R. — e il Vat. 3 199^ 4-s
27 E soly ec. , per non aver corpo alcuno dei tre, se non
esso Dante.
28 fuiy invece dì fummo y zcuma; come scrisse Virgilio:
hic illius armay - Hic currus fuit [b]» m^Fui non ista qui
per fummo , ed eccone la prova; tosto che il duca fu nel le*
gno f e tosto ch^iofui nel legno. Biagioli. ^-s
29 ioSegando^ dividendo, solcando. »^5ecam2o9 hailcod.
la] Vedi il Vocab. della Or. alla lettera O. [b] Aeneid. 1. 16. e seg.
CANTO Vili. i85
Deir acqua più, che non suol con altrui.
Mentre noi correvam la morta gora, 3i
Dinanzi mi si fece un pien di fango,
£ disse: chi se' tu, che vieni anzi ora?
Ed io a lui: s'io vegno, non rimango; 34
Ma tu chi se', che sì se' fatto brutto?
Rispose: vedi che son un che piango.
Vat. 3 199. <4-« prora y la parte anteriore della nave ^ per tutta
la nave ; - antica , perciocché fatta la suppone fin dal tempo
che fu fatto l' Inferno ; -pia , che non suol ec, per esser solita
a portar spiriti, e non corpi . Imitazione di Virgilio > ove della
nave di Caronte caricata del coi^o di Enea dice :
simul accipit alveo
Ingentem Aenetan. Gemuit sub pondere cjrmba
Sutilis y et m^ltam accepit rimosa paludem [aj .
3i correvamo la Nidobeatina; corrat^am. Tattile edizioni,
»-► e il codice Vaticano 3 1 99*4^1 morta gora , acqua stagnante
r pantanosa. Volpi, b-^ corras^anio j per correvamo , è una di
quelle antiche sconce inflessioni, che l'autorità di Dante e
de* suoi contemporanei non ha potuto far vìvei*e sino ai no-
stri tempi • Poggiali . - Gora è propriamente il canale per cui
divcrgesi l'acqua dei fiumi al volger mulini o simili edifizj. Il
Poeta per mezzo dell'aggiunto morta y l'applica a quella pa^
lode. Bi AG IOLI . <4-«
33 anzi ora, avanti il tempo, perchè scorge vaio vivente in
anima e corpo, e sapeva che non si andava a que' luoghi sa
Don da morti.
34 s^io "vengo l' non rimango , la Nidobeatina ; s^ f vegno ,
non rimango , Taltre cdiz. »-»> e il cod. Vat. 3 199. 4-« Val co-
me sSo vengOy non però vengo per rimanere y come tu pensi .
•-» Sembrando anche al Biagioli che la lezione di Midobeato
renda il verso assai meno dignitoso, noi, seguendo i più, abr-
biamo nel nostro testo soppressa la i\ e sostituito vegno a ven^
gOy per evitare il mal suono deUVng^o , ango . •<-•
36 vedi che son ec, i risposta che non serve ad altro, che a
far capire importuna e noiosa la richiesta .
[a] Aeneid, ti. 4i3- e scgg.
i86 INFERNO
Ed io a lui: con piangere e eoo lutto, 37
Spirito maladetto, ti rimani;
Ch'io li conosco, ancor sie lordo lutto.
Allora stese al l^no ambe le mani: 4^^
Perchè '1 Maestro accorto lo sospinse ,
Dicendo: via costà con gli altri cani.
Lo collo poi con le braccia mi cinse; 4-^
Baciommi '1 volto, e disse: alma sdegnosa,
Benedetta colei, che 'n te s'incinse.
3^ con piangere e con lutto j con pianto e tristezza.
39 ancor sie , invece di ancor che sii • Dell' omissione 9 che
sovente snol farsi della particella che^ vedi il Cinonio [a] ; e
del sie in luogo di sii, vedi il Prospetto de'* verbi toscani ,
sotto il verbo Essere , n. 20.
40 »-^ anibo , legge il Vat. 3 199 . 4hì
42 via costà ec; ellissi 9 e come se detto fosse: Partiti tli
costà y e vattene tra gli altri cani pari tuoi , Dell* omissione
della paiticella di vedi il Gnonio [6].
44 alma sdegnosa, intendi di giusto sdegno ; e vuol signì*
ficare che , come nello spirito ( da lui discacciato) si dimostrava
queirira, la quale è vìzio 9 cosi in Dante si dimostra quella pai*^
te irascibile 9 che si muove con giusto sdegno contra de* vizj , la
quale i Greci dicono nemesin 9 ed in lingua fiorentina propria-
mente significa ragionevole e giusto sdegno. Lasoibo.
45 Benedetta colei ^ec. Benedetta la donna 9 che dì te rimase
gravida, e però vestendosi e cingendosi 9 cingeva sé stessale
te ancora 9 che eri nel suo ventre • Ck>sì il Venturi 9 ed in somi-
gliante maniera anche il Landino, Vellutello e Daniello. Ma a
che tanta borra ? Incignersi ( qualunque sia la di lui origine }
significa ingravidarsi , e Vin te vale lo stesso che di te [ r] , o
con te [d] • Bene però chiosa il Volpi 9 incignersi in alcuno j
[a] Partic. 44. 40. [b] Ivi 80. a8. [e] Ohre che ciò si deduce dall'es-
sere sinouimi incignersi ed ingravidarsi , e dal dirsi coniaoenieDte la
madre gravida del tal figliuolo , serva di riprova il trovarsi la di ado-
prata per la 1/1, come mostra il Oiuoiito, Parlic, 80. 8. [d] Vedi il
Yocab. dt:1la Cr. sotto la particella in, f ».
CANTO Vili. 187
Quei fa al moDdo persona orgogliosa : 4^
BoDtà non è, che sua memoria fregi:
Cosi è r ombra sua qui furiosa •
Quanti si tengon or lassù gran Regi , 49
Che qui staranno come porci in brago,
Di sé lasciando orribili dispregi !
£d io: Maestro, molto sarei vago 5 2
Di vederlo attuffare in questa broda ,
Prima che noi uscissimo del lago.
Ed egli a me: avanti che la proda 55
Ti si lasci veder, tu sarai sazio:
li tal disio converrà , che tu goda .
per ingravidarsi d'alcuno . m^ Biagioli , contraddicendo al
Ix>mbardi , chiosa: nlncinta viene dal latino inciens y che vuol
» dir gravida^ Ora, volendo l'analogia che si esprima il modo
» di essere come il tempo , e questo come il luogo in che uno
» è, chi non vede che il segno naturale della relazione dev'es-
n sere la preposizione in , e che però quando dicesi incinta di
» uno 9 vlia difetto , e vi si sottmtenoe nella persona ? a» 4hì
46 Quei fu j la Nidob.; Que*fu, Taltre ediz. Di queij sincope
di quegli y reca il Cinonio in prova il Petrarca in quel verso:
E quei, che del suo sangue non fu avaro \a\ •
a-> Quel , legge il Vat. 3 199. <<-«
48 Così y in sentimento di però [6j. Cosìs^èy aspramente
Taltre ediz. »-► e il Vat. 3199. 4hì
50 brago y fango •
5 1 lasciando y intendi su nel mondo.
53 Di vederlo attuffare , dee valere quanto , di vederlo
dagli altri assalito ed attuffato ; — - broda y per poltiglia ,
fangosa acqua .
54 •-» Anzi che y legge il Vat. 3 199. ^-m
55 la proda y la ripa a cui dovevano approdare .
56 tu sarai , la Nidob.; tu sarà' y Paltre ediz. - sazio y sod-
disfatto •
5y Di tal disio ec. Suppone y per fondamento della promessa^
'[a] Son. S08. [b] Vedi Cinon.y Partie.ti. a.
88 INFERNO
Dopo ciò poco vidi quello strazio 5S
Far di costui alle fangose genti,
Gilè Dio ancor ne lodo, e ne ringrazio.
Tutti gridavano: a Filippo Argenti: 6i
Quel fiorentino spirito bizzarro
che avessero i tormenti di costoix) cortissima tricgua , quasi
dica : tanto spesso rissano costoro j che non può non accadere
che tu non goda del bramato spettacolo .
5c) alle j per dalle \a],
Ho Che Dio ancor ne lodo , ec. Dal confronto de' luoglii
ove Dante compassiona S dannati, ed ove compSacesi del loro
gastìgo, sembra che possa st<ibilirsi che compiacciasi egli drl
gastigo di quelli che se la sono presa immedi ala mrnt<* contni
Dio o contro il prossimo , e che tutti gli altri compassioni ; e
]MH'ò compiaccsi di costui qui , di Capaneo nel canto xiv. r. li.i.,
di Vanni Pucci nel canto xxy, v. 4* ce. : all' incontro com-
pissiona i lussuriosi nel canto v. i^. 62., i golosi nel canto n.
V. r»(). ec.
61 Filippo j4 V fronti * Dice il Boccaccio essere stato cosini
della uobil famiglia Cavicciuli undeVami degli Adimari, ric-
chissimo e potentissimo ; ma che per ogni minima cosa 9 anu
per niente, montava in bestiai furore. Venturi. •-♦In quel cod.
Cassin., del quale citammo altre postille, aggiungesi: scili^
rei dii^itis et fortis qui eqmtni ferri s argenti f errori fecìt^
E. R. 4Hi Tutti gridavano : a Filippo argenti : sottintendi
diaui* addosso; ed anche intendi che, per accrescergli rabbia,
propalassero il nome che avea egli negato di manifestare .
(ì2 Quel fiorentino^ la Nidob.; Lo Fiorentino^ l'altre edìz.
»-*'E l fiorentino y leggono i codd. Ang. e Antald. E. R. -e
il \'at. 3 !()(). — Così voiTebbe pure che si leggesse il Poggia-
li . 4Hi bizzarro , stizzoso . »-► Piuttosto però matfoglorioso ,
come dicono i Romani , per le ragioni di sopra . V». R. — -Nfa
clic bizzarro qui valga quanto stizzoso , lo crede pur anche*
il Poggiali, essendo questo vocabolo chiaramente derivato da
Aizza , che anche oggidì significa , sebbene in basso modo ,
stizza, ossia rabbiosa collera, ^-m
[a] \ei!i Ciijon., Palile, i. i-i.
r
CANTO Vili. i8ij
In sé medesmo si volgea co'deaiì.
Quivi 1 lasciamojo, che più non ne narro: 64
iVIa negli orecchi ujì ])ercosse un duolo^
Perch'io avanti intento Focchio sbarro.
E *l buon Maestro disse: ornai, figh'uolo, 67
S'appressa la Città, ch'ha nome Dite,
63 In sé medesmo ec. , mordendosi per rabbia le mauì .
•^In sé medesmo è un latinismo, che equivale a contro semc^
Jesimo , prendendo la preposizione in per co/i/ro . Poogijii.i.4-«
(>4 che vale qui il perchè j per la qual cosa.
(>j duolo j per lamento y la causa per relTcllo , disselo il Boc-
raccio pure nella Tes eidei
Di quella uscimmo facendo gran duoli [a j .
K veniva cotal lamento dalla vicina Dite.
<><> sbarro , quanto spalanco. Vedi il Voc. della Cr. wn^aifan--
te r occhio intento sborro , legge T Ang. E. R. — Sbarrare è
i]fiì lo<>Ii('re il riparo agli occhi j metafora molto espressiva per
si»; ni (ira re lo spidancar degli occhi col ritirare quanto più si
può le piip:*bre, che sono il riparo della vista. Poggiali. 4hì
Gj ()8 m-^Lo buon , leggono TAng. E. R. — e il Vat. 3 1 99. ♦-•
ornai y figliuolo , - S* appressa ec. Navigando erano si appi^esso
alla città posta nel mezzo della palude , che vi si comiuciava a
scorgere i maggiori e piii alti edìficj . Dove è da intendere die
il Poeta in questo imita Virgilio, quanto sopporta la nostra re-
ligione 9 perciocché Virgilio descrive lo Inlémo , e ne' primi
cercbj pone i minori peccati , e quelli co' quali fu mista alcu-
na immagine di virtii. Dopo descrive i Tartari circondati da
Fiegetonte j fiume focoso ; pone le porte con colonne di diaman*
te ; pone le torri di ferro ; prme a guardia della porta Tesifone ,
furia infernale. Similmente Dante ne* superiori eerchj ha posto
i più leggieri peccati , i quali , pei*cliè procedono da incontinen-
za, son degni di qualche commiserazione ec.LAVDiito. — la Cit'^
tà y eh* ha nome Dite , detta così (chiosa il Volp, e istessa-
mente gì* Inteipreti tutti ) da Plutone suo Re , che anche Dite,
noe ricco , fu chiamato da^ Poeti. Dante pq^'ò , come già al-
(rr)ve [6J è stato avvisato , appella Dite ed Imp er odor del do^
«] Lib. 'j. 63. 1^^] Itif. VI. Il 5.
/
igo INFERNO
Coi gravi cittadin , col grande stuolo .
Ed io: Maestro, già le sue raeschite 70
Là entro certo nella valle cerno
Vermiglie , come se di fuoco uscite
Fossero; ed ei mi disse: il fuoco eterno, 7 3
loroso regno Lucifero [a] , e però Città di Dite dee a noi suo-
nare lo stesso che Città di lÀicifero . Anzi , e perchè dal cen-
tro dell' Inferno I ove è fitto Lucifero , fa Dante giungere fino
a questo luogo cotal denominazione» e perchè di tutto il s^;uen-
te infernale tratto, dalle vicine mura fino a Lucifero medesimo,
ne fa Dante una porzione d'Inferno, che appella /b/i^o della
trista conca \b] , io m' avanzo ad asserire , che per Città di
Dite intenda il Poeta non solamente il vicino luogo de^miscre-
denti, ma tutto il suddetto infernale tratto fino a Lucifero; e che
voglia, cosi appellandolo, dinotare racchiusi in esso coloro, che
per luciferiana instigazione, piiiche per umana fragilità , han-
no peccato, al contrario cioè de'dannati ne*precedenti cerchj^
69 Coi gratti cittadin , ec. Gravi ^ pieni di gravità e di
modestia f spiega il Landino; ^là aggravati di pena j il Ven-
turi : più aggravati di colpa , direi io piuttosto ; m^ e piìi ag"
gravati di colpa e di pena intende il Poggiali. 4-c
70 meschite è vocabolo saracinesco (chiosa il Buti, citato
a questa voce nel Vocab. della G*.) ed è luogo dove i Sara-*
cìni vanno ad adorare (moschee in linguaggio nostro appellau-
si cotalt luoghi); e perchè quei luoghi hanno ton*i a modo di
campanili, ove montano li loro saceixioti a chiamarlo popolo,
che vada ad adorare Iddio, però l'Autore chiama le torri di
Dite meschite •
7 1 m^ certo , avverbio equivalente a diiaramente , distin^
tamente . Poooiali. — cerno . Cernere , per vedere , ado-
prato anche da altri, vedilo nel Vocab. della Cr. »-^ Potrebbe
anche essere aferesi di discerno. Poggiali. <^
72 f^ermiglie , come ec. Che non solo l'arche , nelle quali
si rinchiudevano i miscredenti, ma anche le toni, intese dal
Buti per le meschite , roventi fossero , apparisce dal cauto se-
guente, V. 36.:
F^er Calta torre alla cima rovente .
[n] Iiif. xxsiv. 90 e a8. [b] Tiif. iz. 18.
CANTO Vili. uji
Ch'entro l'affuoca, le dimostra rosse,
Come tu vedi in questo basso 'nferao.
Noi pur giugnemnio dentro all'alte fosse, 76
Che vallan quella terra sconsolata:
Le mura mi parean che ferro fosse.
Non senza prima far grande aggirata, 79
Venimmo in parte, dove '1 nocchier forte.
Uscite, ci gridò, qui è l'entrata.
Io vidi più di mille in su le porte 8i
Dal ciel piovuti, che stizzosamente
Dicean: chi è costui, che senza morte
Va per lo regno della morta gente? 8S
£ '1 savio mio Maestro fece segno
j5 in questo basso ^nfemoi pleonasmo in grazia della ri-
ma. «^Questa firase, dice il Biagiolì, indicando una circostanza
particolare , essa non è un pleonasmo • Il PoeU divide rinfei*-
no in due parti : Tuna detta lealtà Inferno y V altra il basso
Inferno . Nella prima è punita V incontinenza ; nella seconda ,
la malizia e la matta bestialità, «hi
j6 m^ girammo j ha il cod. Ang. E. R. <<-«
77 vallan , per circondano , dal latino vallo , as.
78 mi parean , la Nidob.; mi parca , Taltre ediz. m-^ il cod.
Vat i 1 PQ**^^ che ferro fosse : discordanza attica y in virtìi del*
la quale si pone il fosse singolare, retto da muroy in luogo
del fossero plurale, che meglio accorda . Veittitbi . m^ Biagioli
coi pili legge /larea, sembrandogli che la lezione della Nidob.
tolga a questa locuzione il bello grammaticale, e fa Finterà
costruzione cosi : Le mura y cioè quel inasto precinto y mi pan
rea che fosse ferro. '*-•
80 m^ forte è avverbio per fortemente y ossia ad alta i^oce»
Poggiali. ♦«
83 Dal Ciely la Nidob.; Da Ciely Taltre edizioni •-♦e il cod.
V^at. 3 199. <^ piovuti y per caduti y d'Angeli fatti demonj .
84 85 senza morte, senza esser morto. -re^fio, per regione.
19» INFERNO
Di voler lor parlar segretamente .
Allor chiusero uà poco il gran disd^no , 88
E disser: vien tu solo, e quei sen vada.,
Che si ardito entrò per questo regno:
Sol si ritorni per la foUe strada : 91
Pruovi, se sa; che tu qui rimarrai,
Che scorto V hai per sì buia contrada .
Pensa, lettore, s'io mi sconfortai 94
Nel suon delle parole maladette ;
Che non credetti ritornarci mai .
O caro Duca mio, che più di sette 97
Volte m'hai sicurtà reuduia, e tratto
88 chiusero , per raffrenarono ; »* e Bìagiolì .chiusero in
tè, per contrapposto all'idea sottintesa, che è il disdegno
tUschiuso • *-* j
91 folle strada, per follemente intrapresa strada .
oa Pruovi, intendi di tornarsene.
03 Che scorto l'hai per sì , la ISidob. ; Che gli hai scorta
«, l'altre edizioni ^^.e l'Ang. E. R. - e il Vat. 3 lyj). *^ Di
scorto per guidato, vedine altr' esempio nel Vocab. «Iella Cr.
•-►Qui la lezione di Nidobeato è riputata dal Biagioli prefe-
ribile a quella della Crusca . ♦-• , -«. , i n
94 Pensa, lettore, sUo mi sconfortai, la jXidob.; Pertsa,
lettor , s'i'mi disconfortai, l'altre cdìz. ■-►e il \'at- Ji^y.
— Come laNidob. legge il codice del sig. Ppggiali, il quale,
cosi leggendosi , confessa che divien migliore il vereo , l'espres-
sione ed il sentimento.
96 Che vale imperocché; — rilornarci , la ci vale gtia, o
digua. Vedi il Vocab. della Cr. ed il Cinonio fa].
97 98 sette -Folte . Il VelluloUo e il Rosa van rintracciaii-
do'le precise sette volte che fu già Dante da ^'i^gil^o difc»..;
ma riesce di maggior eleganza l' intcndeix: adop.-ato il iiun.<m
determinato per l' indeterminato.
la] Patite. 4^' 4*
CANTO Vili. 193
D*aIlo periglio 9 cbe 'ncontra mi stette,
Non mi lasciar, diss'io, così disfatto: 100
£ se r andar più oltre m'è negato,
Ritroviam Torme nostre insieme ratto.
E quel Signor, che lì m'avea menato, io3
Mi disse: non temer, che '1 nostro passo
Non ci può torre alcun, da Tal n'è dato.
Ma qui m'attendi, e Io spirito lasso 106
Conforta, e ciba di speranza buona,
Cb*io non ti lascerò nel mondo basso.
Cosi sen va, e quivi m'abbandona 109
Lo dolce Padre, ed io rimango in forse.
Che '1 no, e '1 sì nel capo mi tenzona.
Udir non potè' quello, eh* a lor porse: 1 1 i
Ma ei non stette là con essi guari,
99 atto per grande ; — - incontra mi stette ^ mi occorse .
100 lOi disfatto f per disgiunto; •-►e 9 secondo Biagioli»
disconfortato , smarrito d'anin^o ; ^abbandonato d'ogni soc^
corso e guida . E. F. ««hi m'è negato , legge la Nidob., meglio
che c*è negato dell'altre edisioni m^ e del Vat. 3 1 99 4^ ; ira-
perocché solo a Dante era negato l' ingresso: uien tu solo 9 e
t/ueisen uada , ec. »-»» Ma, secondo Bìagioli , non vuol dire il
H(ieu se il posto è negato a me > ma bensì se è negato a mo
con te, cioè a noi insieme. Dunque leggerai c^è negato* ^seU
passar piti oltre c*è negato, ha il cod. Ang. E. R.^hi
f 1 1 Che H no, e 7 sì , la Nidob.; Che sì e no Tallre edia.
•-♦ e il Vat. 3 199. <4-« mi tenzona , invece di tenzonano , com-
battono: zeuma di numero consimile alla notata di sopra ¥■ a8,
*^ tenzona , secondo il Biagìoli , non istà qui invece di tenzo*
nano, ma disse Dante » e dovea dire così , perchè una è Tidea,
siccome uno il contrasto delle dne opposte forze. Questo modo
di dire è spiritoso e vivace assai, e l'usò piure il Peti*arca :
yiì^omi intra due ,
» Né sì , né no nel cor mi sopa intero* ^-m
I la Udir nonpuoti, la Nidob.j non potè' , Taltre ediz, m^^
roLl li
194' INFERNO
Che ciascun dentro a pruova si ricorse.
Chiuser le porte quei nostri avversari 1 15
Nel petto al mìo Signor, che fuor rimase,
E rivolsesi a me con passi rari .
Gli occhi alla terra, e le ciglia avea rase i i8
D'ogni baldanza, e dicea ne' sospiri:
Chi m'ha negate le dolenti case?
Ed a me disse: tu, perch'io m* adiri, i^i
Non sbigottir, ch'io vincerò la pruova,
Qual ch'alia difension dentro s'aggiri.
noi col Vat. 3199. Il Gass. legge non potti. E. R. «-■ Seb-
bene dica di non aver potato udire quello , che a lor porse ,
cioè espose j dee però supporre che esponesse loro venirsene ìj
vivo suo compagno per celeste disposizione , ma che presso a
que*portìnaj de'miscredenti non trovasse alle parole sue quella
fede che altrove dappertutto aveva trovato. »-» quello y cK*a lor
porse , Da questo modo di dire si deduce la povertà della liii-
5 uà toscana al tempo del nostro Poeta , che obbligava ad esten-
ere , piii che oggidì , il 8Ìgni6cato dei vocaboli ; perocché dìci*si
bensì oggigiorno porger prieghi , %foti , suppliche , ma non
già porger detti j parole j sentimenti, PoggiaIiI.<«-«
1 14 a pruova y a gara , colla maggior possibile velocità; -j<
ricorse 9 la si stavvi per semplice ornamento [a] , e ricorse
vale quanto ritornò • m^ ritorse « ha il cod. Ang. E. R. «-«
1 1 7 con passi rari : accenna che di mal grado facesseli re-
trogradi •
118 119 rase ^D^ogni baldanza^ spogliate d'ogni alteri^^ìa,
umili , dimesse. — dicea ne^ sospiri ^ dicca sospirando. »-^ La
chiosa del Lombardi Ùl perdere 9 a parer del Biagioli , una gtau
bellezza . « Virgilio 9 dic'egli 9 non fa motto , ma sospira , e i
» suoi sospiri sono l'eloquentissimo linguaggio, col quale espri-
M me il concetto che Dante, che sa ben quello della natura, tra-
» duce in questo : Chi ni* ha negato le dolenti case ?»<#-«
1 20 le dolenti case , cioè l'entrata in questa città di dolori,
VivTURi. •-» Che nihan negate f legge il cod. Ang. E. R. 4-«
123 Qual chCf chiunque sia che. Voi*»!. Qualunch^a (lorse
[4J Tedi Cinonio, Parlic. 219. 3*
CAJNTO vii! 195
Questa lor tracotanza non è nuova, 1 ^^4
Che già Tusaro a nien segreta porta,
La qual senza serrarne ancpr si truova .
Sovr essa vedestù la scritta morta: 127
E già di qua da lei discende l' erta ,
Passando per li cerchi senza scorta
Tal , che per lui ne iia la terra aperta .
por Qualunque a) difension , legge la Nidob. m-¥ alla di feri"
iion^ alla difesa dell' ingresso. <«-« s'aggiri ^ s^adopen.
1 20 i'a6 Che già Vu^aro ec. Allusivamente alle palmole del-
la Cliiesa nel divino uiBzio del sabato santo: Hodie portas
morti Sy *:£ seras par iter Salvator noster disnipit. Suppone
Dante, cb'entrandonell 'Inferno Gesìi Cristo per trame dal Lim-
bo r anime de* santi Padri, vi si opponessero i demonj,chiu-
<li*iido r iiifemal porta ; e ehe, atterrate dal medesimo di\ in 8al-
^atoi-e le imposte, rimanesse poi sempre quella senza alcun ser-
urne. — men segreta appella la prima porta dell'Inferno in
confronto di quella della città di Dite, per essere questa in più
hésso e recondito luogo. »-^ Che già l'asaro a me in secreta
porta j legge il Val, ^199. <<-«
I -17 vedestù , sincope ài vedesti tu-,'' la scritta , la iscrizio-
ne , qaella che incomincia : Per me si i^a ec. - morta , di co*
ìovf smorto, oscuro.
1^9 senza scorta y scnz' aver bisogno di chi lo guidi.
tSo Tal , un Angelo mandato da l3io. «-^ la terra y la città
ili Dite. «-«
CANTO IX.
m n>
ARGOMENTO
Dopo alcuni impedimenti , e lo wer veduto le ìnfer-
nati Furie ed altri mostri , con lo muto d'un jin-
gelo entra il Poeta nella città di Dite , dentro la
quale trova essere puniti gl'increduli dentro alcune
tombe ardentissime ; ed egli insieme con Virgilio
passa oltre tra le sepolture e le mura della città .
\^uel color, che viltà di fuor mi pinse, i
Veggendo 1 Duca mio tornare ia volta ,
Più tosto dentro il suo nuovo ristrinse.
Attento si fermò, com'uom ch'ascolta; 4
Che rocchio noi potea menare a lunga
Per Faer nero, e per la nebbia folta .
Pure a noi converrà vincer la punga , n
I Quel color ec.f qiiel pallido colore 9 che vii patirà nel %Ì50
mi dipinse.
3 Più tosto i più presto 9 ristrinse ec.y fu cagione cheA ir-
gilio, per non mi far avvilire maggioi*mente , procurasse di più
presto ricomporsi in viso , e ristringere 9 ritrarr» quel colore
che vergogna aveva nel di lui viso cagionato, a-^ Vei^gogna non
già 9 ma sdegno e mestizia, secondo il Biagioli, gli dipinsero
il volto in vedersi chiudere le porte in petto . <-m
6 nebbia j sopra la suddetta stigia palude.
7 al 9 Pwe a noi converrà ec, Questo(dice il sig. RosaMo«
rando ) è uno dfe* più bei passi di Dante f e de'più arti f dosi.
Il comentatore (iuteade il Venturi) /o %mole de*più intralciati.
CANTO IX. . 197
Cominciò ei: se non ... tal ne s'offerse.
Oh quanto tarda a me eh* altri qui giunga!
e afferma che Vosàurità nasce dal se non, che si doma sU
tuare dopo tal ne s'offerse, siccome svorrebbe la sintassi f e
dal non potersi agevolmente raggiungere il i^eto sentimento
di questo se non, non %d si scorgendo immantinente la reticene
zay come nel Quos ego*..* sed motos praestat componere fluctns
di F'irgilio[a]é Ma non c'è bisogno di x^olger sossopra la pò*
sì tura delle parole; e la reticenza sarà chiara o%^e si usi un a
diversa interpunzione. Con questa interpunzione io leggo i
Pure a noi converrà vincer la ponga :
Cominciò ei : se é . . non . • • tal ne s'offerse «
O quanto tarda a me ch*a]ti*i qui giunga I
CTè una reticenza di più ; ma tutte e due riescon chia»
re e i^risimilissime in una persona affannata* Virgilio pen^
joso dice : Pure ci cons^errà vincere questa pugna , se , e ci
si dee intendere^ mi fu promesso il vero; ma tosto interrom*
pe il sentimento j perchè ogni menomo dubbio è troppo in*
giurioso a Beatrice (che mandato avevalo in soccorso a Dan-
te fi] )y e soggiunge : non , cioè non può essere che non mi
scabbia promesso il uero^ non lice dubitarne -, tal ne s'of«>
fene ^ cioè ne si offerse in aiuto personaggio così verace •
fui reticenza del se non è punto strana , essendo usanza il
lasciare alle volte dopo la particella se qualche parola che
si sottintenda f come nella novella x. dell'ottava giornata
del Decamerone , ove si dice : ecco se tu fossi crucciato me*
co , perchè non ti rende* così al termine i tuoi danari ; e qui si
dee sottintenderci , sono prontissima a soddisfarti . La reti^
renza poi del non ognuno vede quanto naturalmente e ac*
conciamente ci venga. Ma Dante trae la parola tronca apeg-
gior sentenza che Virgilio non tenne , perchè e' si da a ere*
dere che Virgilio voglia significar questo j cioè pure ci con*
%*errd sincere questa pugna ^ se non , cioè se non è vietato
a me e ad ogh* altro Ventrar qua dentro ; tal ne s* offerse 9
cioè ne s*appresentò sì feroce lo stuolo de'demonj , che la
porta in faccia dispettosameute ci chiusero . Ecco dichia*
rato il passo 9 e diradata ogni tenebra . Fin qui il Rosa [e].
Non voglio però tralasciare di brevemente dire com* anche in
[a] Jemeid. 1. i35. [^j luf. 11. ;o [e] Osi, sopra Vlnf.» questo pAkSo*
198 INFERNO
lo vidi ben, sì com*ei rico|)erse io
Lo cominciar eoa l'altro^ che poi venne,
Glie fnr parole alle prime diverse.
' Ma nondimen paura il suo dir dienne, i3
altro modo potrebbe intendersi : Pttr<?, nondimeno, a noi con--
verrà vincer la pugna , se non , intendi omesso 9 ci viene
aiuto dal Cielo, ^tal ne s^ offerse ^ aiuto però tale n'è stata
offerto, e non paò mancare • - Oh quanto ec.i confermato per
cotal riflessione in fidacia d'essere aiutato 9 muovesi a braraarp
che presto cotal aiuto sopraggiunga. — Punga y -per pugna ,
guerra y metatesi praticata da buoni scrittori anche in prosa :
vedi il Vocab. della Cr.; ed una affatto simile trasposizione di
lettere fassl da quasi tutta V Italia nella voce spunga j che i
Toscani dicono spugna. wH^()\xesX.o luogo , secondo il Biagioli ^
è stato siuora malamente interpretato da tutti. La formula clit-
tica se non , secondo lui , è quella appunto che la natura detta
a ciascuno nello stato d' incertezza in cui si trova Virilio .
Questi s'accorse che con questa parola impauriva Dante , ed
oltraggiava Beatrice che se gli era offerta in aiuto. Quindi ri-
coperto r ingiusto dubbio con l'idea d'una certa speranza che
gli succede, con parlar ti*onco, voluto dalla natura del senti*
mento , soggiunge : tal ne s* offerse , concetto che fa agevol-
mente indovinare quanto la natura delle circostanze vuole che
si taccia . A questo succede un grido natui*a]e d' impaziente
desiderio e di gioia , del quale spiega il senso e la cagione ciò
che segue: quanto tarda a me ch'altri qui giunga . •«-«
I o al I ri ricoperse , per modificò . — Lo cominciar , il pri-
miero parlare ; — con l'altro , che poi venne , con l'altro par-
lare, che venne poi a quello in seguito. ■-► 11 Vat. 3 ipg leggo
con l'altro che pria venne* ♦-• <7Ae, imperocché , /ìiry:?aro/ff,
quf-lle venute in seguito, diverse alle(fer dalle \^a]) pritne,
m-¥ Che non vale imperocché ^ ma si ilqual parlare; né alle
sta qui p4'r dalle , ma perchè la diversità d'una cosa non si
c^onoscc, se non rispetto ad altra o altre, a cui viene compa-
rata . Biagioli. <-«
l'ò dienne y per ne diede j mi diede ^ in rima. Voipi . Ma
potrebbe anciie la particella ne starvi per riempili va.
[a] Ciiion. , Parie a. 4*
CANTO IX. 199
Perch*Jo traeva la parola tronca
Forse a peggior sentenza^ eh' e' non tenne.
Il] questo fondo della trista conca 16
Discende mai alcun del primo grado,
Che sol per pena ha la speranza cionca ?
1 4 1 5 /a parola tronca 9 quel se non . - Forse a peggior ec *
La paura, che già Dante ci ha manifestata d'essere da Virgilio
abbandonato, aovette al medesimo cagionare sospetto che il
trinco se non potesse valere : se non me n^ entro io solo , e
lascio costui in abbandono . m^ la parola tronca , nota To-*
rellì j è se non . Forse Virgilio volea dire : se non ci fu pro-^
messo il falso; e Dante intese , se non ci converrà tornare ad"
dietro t eh' è peggior sentenza, ^-m piggior sentenzia leggono
diversamente dallA Nidob. le moderne edizioni .^sentenza , per
sentimento y senso.-/enFitf , pereAie. »-^ La sentenza di Vii^
gllio era auelladi uno stato d'incertezza; ma Dante impaurito
^P^^S^^^ la parola tronca cosi: ^e non %f indarno y chi sa che
mi ai^errà ; o io non ne esco più , o se pur n' esco^ tornerò
nella selva y e sarà finita per me • . . . Dante non ebbe, né
potè aver paura d'essere abbandonato da Virgilio , sapendo che
questi non faceva quel viaggio per suo diporto , ma per accom-
pagnar lui , in grazia di quella che ne io pi^gò si caramente .
Bugigli. — Il VaU 3199, al «/. i5.^ legge a miglior senten^
za. 4-s
16 trista conca y per trista cavità j appella T Inferno*
1718 primo grado j il Limbo, il luogo dove aveva Dante
inteso che stanziava Virgilio [a] : ed addimanda cosi in gene-
rale, per tema di non ofiendere Virgilio , dimandando se fosse
egli esperto di tale viaggio . — Che sol per pena ec, corri-
sponde al dettogli da Virgilio:
• •#•••• e sol di tanto offesi s
Che senza speme uivemo in disio [6] :
~ cionca significa lo stesso che tronca . »-♦ Cionco dicesi pro-
priamente qualche membro di animale, o ramo d'albero, ri-
masto non affatto dal corpo o dal fusto staccato, ma rotto iu-
temamentc, e ciondolante per esservisi perduta la circolazio-
ne degli umori, senza potervisi rianimare. Cosi inteso , ognuu
[a] Inf. IV. 39. [b] WlP.^ì. e seg.
ano IJNFERNO
Questa queslion fec'io; e quei: di rado ig
lucootra, ini rispose, che di nui
Faccia 1 cammiuo alcun , pei quale io vado.
Ver' è ch'altra fiata quaggiù fui ati
Congiurato da qiiella Eriton cruda,
Che richiamava l'ombre a* corpi sui.
vede qnanto sia qui esprìmente questo epiteto appropriato alla
già esposta speranza. Poggiali. — Che sol per pena , la spe-
ranza cionca ? legge il Vat. 3 199. 4hi
ao nuij per noi, antitesi in grazia della rima,
a 1 »-^ll Torelli legge ^ pel quale ; lezione che 9 parendoci mi-
gliore della comnae per {/uctl f ci piacque di adottare . 4--«
'J2 •-» F'erè, fatto però sta. F^ero è, la Nidob.; P'erè^
laltre edizioni 9 e noi col Lombardi. 4-«
23 24 Congiurato da quella Eriton ec Mori f^irgilio
(dice qui il Gistel vetro) Vanno 'j'i^daWediftcamento di Bo-
ntà^ essendo consoli C. Senzio e Q. Lucrezio ^ secondo che
testimonia Eusebio f o ( secondo che si trotta scritto nella
t'ita di Donato) Gn> Plauzio in luogo di C Senzio (ben"
che io stimi /srrore nella scrittura della predetta ulta) , che
fu Vanno quartodecimo j da che uiugusto era succeduto a
Giulio Cesare • Ma se morì nel quartodecimo anno dello W
perio d* Augusto f come poi si fa dire a lui medesimo :
Ver'è j ch'altra fiata quaggiii fui
Congiurato da quella Eriton ec. . . . ?
Poiché ErictOy della quale fa menzione, fu al tempo della
battaglia che fu tra Cesare e Pompeo in JPoì'saglia , e con-*
gfwando riuocò uno spirito al corpo suo , per dar risposta
al figliuolo di Pompeo, che volev^a sapere Vaxn^enimento della
guerra , siccome racconta Lucano {nel lib. 6.) ; il che fu pri^
ma che O^tasiano fo%se Imperatore , non che morto Virgilio.
Al giudizio del Castelvetro si unisce anche il Venturi .
Qui (dice) bisognerà ricorrere alV anacronismo , se basta;
essendo cosa certissima che la morte di f^irgilio segui non
poco dopo queste guerre disili.
L'anacronismo (risponde al Venturi il sig. Rosa Moran-
do) non basta certamente , quando si dicache il Poeta in^
tenda dì quella Erittoìie, maga di 2 essa glia, chefuj secondo
CANTO IX. aoi
Lucano^ adoperata da Sesto Pompeo , figlinolo del Magno »
per intendere il fine delle guerre cibili che tra suo padre
f Cesare ardevano ; imperocché ci sarebbe la contraddizio^
tie , dicendo ora che f^irgilio era morto atlanti queste
(bierre civili j e avendo prima detto ch^egli era vissuto a
Roma sotto il buon Augusto • Conuien dunque affermare^
the DaHte non intenda qui di quella Erittone che da Luca"
no vien nominata . Sentasi il Mazzoni, ce Io credo ch'egli
» (cioè Dante) volesse intendere d'un' altra donna, maga, la
» «pale egli finge che fosse dopo la morte di Virgilio j e la
» nomina Erittone, perchè quel nome fu conveniente a tutte
» le donne venefiche e maghe , cmne può chiaramente appa*
tt reie in quel verso d'Ovidio (Epist. Sappho Phaoni)^
« Ulne mentis inops , ut quam forialis , Erìchtho
» Impulit • ti
Sin qui il Mazzoni, ce Yeneficiis fftmosa fuit thessala mu-
» lìer; cuins nomen hic prò qualihet venefica ponitur. » Co-
sì disse a questo passo d* Ovidio Daniel Crispino nel suo
tomento \a\ •
Forse saiii cosi ; ma potrebb' anche aver Dante intesa ]a
slessissima maga di Lucano, senz* anacronismo e senza con-
traddizione veruna» Contansi egli forse tra la guerra farsalica
e la morte di Virgilio più che soli trent'anni \b\ì Perchè adun-
que non potè Dante fingere > che sopravvivesse a Virgilio, e
rbe nuovi prodigj operasse colei che sapeva rendere vita an-
che ai morti?
Dico nuovi prodigj ^ perocché certamente questo che
Dante accenna non accorda con quello che ne descrive Lu<*
cano . Olti^echè Lucano non fa valersi Erittone dell' opera di
\ ii*gilio, Dante pone ti*atto dall'Inferno lo spirito di un tra-
ditore > e però il fa uscire dal cerchio di Giuda, che
fr . . . è '/ più basso luogo , e '/ pia oscuro ,
E '/ più lontan dal del [e].
Lneano all'opposto finge che Erittone non cercasse altro spiri-
to, se non di quel corpo che primo, tra' molti che sul campo di
[a] Oss» sopra V Inf. a qaeslo passo, [h] Tale intervallo dì tempo ri-
sulta chiaramente ne* Fasti consolari» presso Sigonio e Lengl<^t « tra 'I
consolato dì Gialio Celare e di Publio Servilio ( durante il quale, per
te»iinioniauza di esso Cesare, de hello cibili ^ lib. 3. , successe la bat-
taf()ia fairtalica ) e il consolato dì Caio Seozio e dì Quinto Lucrey/m,
ili lem^o ilei quale morì Virgilio, [e] Verso a8 e seg. di questo canto.
aoa INFERNO
Di poco era di me la carne nuda, a>
battaglia insepolti giacevano, le venisse fortuitamente alle
mani, avente intieri gli organi della favella:
4 pererrat
Corpora caesorum j tumulis proiecta negatis ,
et gelidas letho scrutata medullas
Pulmonis rigidi stantes sine vulnere ftbras
Inx^enit 9 et voeem defuncto in corpore quaerit \a | .
rd aggiunge che non aveva ancora quello spinto passato la
Stige :
Tristia non equidem Parcarum stamina , dixit ,
Adspexi , tacitae revocatus ab aggere ripae \b\ :
tanto era lungi dal fingerlo tratto dal piii profondo deiriufei^
Ito. "Cruda appella Dante Erittone per lo spargere deiruma-
no sangue, che il medesimo Lucano descrive [cj, solito da rt>-
Atc^i farsi nelle sue fattucrhicrie^-jifi 9 alla maniera latina p(*r
stìoif sincope in grazia della rima.
La ragione poi di finger Dante da Erittone adoprato a tal
uopo Virgilio più ch'altro soggetto , può ripetersi o dall'eo-
rellenza di Virgilio in poesia , e dallo aver egli stesso magni-
ficata la vijtii dc\ersi per cotali bisogni:
Carmina \fel caelo possunt deducere lunam i
Carniinibus Circe socios mutav^it Ulyxi [V/J :
ovvero anche dair essersi Virgilio nella sua Eneide mostrata
notizioso de' luoghi infernali. »-^Il cod. Ang. legge, ErictO'»
E- R. — e cosi il Vat. 3 199. ♦-•
a 5 Di poco j intendi tempo, 'adirne nuda^ di me priva,
disgiunta da me . Pare Dante d'intendimento che Erittone ob-
bligasse Virgilio al suo servizio per fattucchieria praticata so^
ra il di lui cadavere; e che perciò, come presso Lucano fece
a maga, per queir incantesimo , scelta di un recente cadave-
re y cosi pei* quest'altro eleggesse il cadavere poco anzi dall'ani-
ma di V irgi fio separato . •-» Perchè poi finga il Poeta che la
maga scelse Virgilio a cotale uffizio , ognuno se lo può indo-
vinare , pensando che conveniva che Virgilio avesse (atto altra
fiata quel cammino , onde assicurar Dante , e cavarlo del dub*
bio die ei potesse avere sbagliato la strada . Biaaioli . «-«
r#il Lih. VI. 797. e segg. [h] Verso -88. e seg. [e] Verso Sio. e
r.
CANTO IX. 103
Girella mi fece ^ntrar dentro a qdel muro,
Per trarne nn spirto del cerchio di Giuda «
Qneirè '1 più basso luogo, e 1 più oscuro, a8
£ '1 più lontau dai ciel, che tutto gira:
Ben so 1 cammin; però ti fa sicuro.
Questa palude, che gran puzzo spira, 3i
Cinge d'intorno la città dolente,
U'non potemo entrare ornai senz'irà;
^6 quel muro , le mura della città di Dite •
27 del cerchio di Giuda , del cerchio appellato poscia di
Giuda il traditore discepolo del Salvatore; imperocché^ se tì
entrò Virgilio poco dopo sua morte f non potè Giuda , che mori
Tanno stesso che mori il Salvatore y e però una ti*entina d'anni
per Io meno [a] dopo di Virgilio 9 trovarsi già nell* Inferno a
denominare dal nome suo quel fondo. E di avere Virgilio ti*atlo
ano spirito da colai cerchio , non dee finger Dante per altro
fine, che per farsi credere Virgilio pratico dell'Inferno da ci-
ma a fondo .
29 che tutto giraj che tutto il mondo contiene, w^ tanto r
in luogo di tutto j ha il cod. Ang. E. R. — Pel cielj che tutto
^ra j intende il cosi detto primo mobile j il quale 9 secondo
i allora seguito sistema Tolemaico, che costituisce la terra
frrma nel centro dell'universo, è l'ultimo dei cieli mobili , e
olla sua continua rapidissima rotazione gira e fa girare attorno
alla ten*a, traendogli seco, tutti gli altri cieli e coi*pi celesti;
onde è che il vocabolo gira è qui sinonimo di aggira . Pog-
gi \Li. — Qucst' opinione piace più d'ogn'altra anche al £ia*
gioii , perchè inchiude le due idee di cingere e muovere in
giro tutti gli altri cieli. 4hi
^ I puzzo , cagionato dalle ree esalazioni. 'm-¥ il gran puzzoy
K*ggoao il cod» Vat. 3 199, Tediz. veneta 1 49 > 9 ^ <^o^ '^ Crusca
il Biagioli. "Spira è sinonimo di e^a/^, tramanda,!^ ooqi ali. *-m
'A'2 la città dolente, piena d'aspri martiri.
3;i £/', per dove ; ^ senz* ira , la Nidob.; sanzUra, Tal-
lir edizioni.
^a V^di liif. IV. 3t). r 5».
ao4 INFERNO
£d altro disse, ma Don l'ho a mente; 34
Perocché l'occhio m'avea tutto tratto
Ver l'alta torre alla cima rovente,
Ove in un punto vidi dritte ratto 87
Tre Furie infernal di sangue tinte,
Che membra femminili avean, ed atto,
E con idre verdissime eran cìnte: 4^
Serpentelli, e ceraste avean per crine.
Onde le fiere tempie eran avvinte.
E quei, che ben conobbe le meschine 4^
34 non Vho a mente ^ per non Vho a memoria*
35 tutto tratto y tirata tutta Tattenzione mia .
36 F^er ^ accorciamento di verso; — Palta torre: quella
torre dee intendersi 9 da cui fu visto render cenno alla prima ^
che mise su la cima le due fiaramette . Vedi il principio del
ranto tiii. m^Valta torre. L*articoIo mostra ch'ei parla della
stessa torre affocata, posta sopra alla porta. Biagioli. «-•
37 ratto f prestamente •
38 »-» Tre Furie infernali di sangue tinte y legge il cod*
Vat. 3i()().4-«
39 ai^ean , legge la Nidob. con altre antiche edizioni ; ed
a\fèno , leggono e l'edizione degli Accademici della Crusca e
le moderne seguaci •
40 idre. In orbe terrarum pulcherrimum anguiuni genus
esty quod in aqua vivit, hjrdri uocantur , nullis serpentium
inferiores veneno j scrive Plinio \a\ : Hjdrus mas i hjrdra
(emina. V. Roberto Stefano [A].
4i Serpentelli ^ e ceraste ec# dee valere quanto serpenti
piccioli e grossi ' i piccioli pel crine sciolto, e i gi*ossi avvolti
in trecce; altrimenti verrebbe questo parlar di Dante ad esser
simile al goffo di colui che dicesse: aaorno il capo di fioretti
e di viole. Cerasta è una serpe cornuta e molto velenosa •
43 queij sincope di quegli [e], e s'intende Virgilio, -me-
schincp cioè ilamigelley comenta il Boccaccio ; serve (che toni»
[a] Fisi. lih. 99. cap. 4. [b] Thesaur. ling, laL srl. Hrdrus. [c\
il Ciuoo., Parile. 'd\^, ■;.
/
CANTO IX. aor>
Della Regina dell* eterno pianto,
Guarda, mi disse, le feroci Erine.
Questue Megera dal sinistro canto: 4^
Quella, che piange dal destro, è Aletto;
Tesifone è nel mezzo; e tacque a tanto.
Con r unghie si fendea ciascuna il petto; 49
Batteansi a palme; e gridavan si alto.
Charmi strinsi al Poeta per sospetto.
lo stesso ) ed ancelle spiega il Mazzoni [a] , e dioe tal voca«
bolo in colai setkBO proprio della lingua di Fiandra e diBrn^
banzia. Il Du-Fresne però dicelo deTrancesi. Eccone uno d.i
molti esempi che arreca in prova. Chron.Bonae speiy fac. 34^.
Ordonons que à nostre vénerable p-ere en Dieu Ahhè de
Benne Esperance > pour son gouì^emement , pour un servii
teur j et pour une meschine ec. [ij. La vicinanza di tutte le
dette Provincie può aver fatto che fosse, almeno in qualche
tempo, meschine voce a tutine le medesime comune.
44 Jiegina delV eterno pianto, Proserpina moglie di Plu^
tone Re dell* Inferno, ov'è pianto etemo.
45 Erine, dal latino Erinnjrs, appellale tre infernali Fu*
rie , Megera , Tesifone , ed Aletto . m^ Trine , per Erine , ha il
cod. Vat. 3ig9.4-«
48 a tantOj per intanto , in questo mentre . Vedine altro
esempio di Gio. Villani, recato nel Vocab. della Cr.^^A tanto
Don vale intanto , in questo mentre ; ma queste voci sono
elementi delle proposizioni : e giunto j in parlando ^ a tanto
quanto detto ho, ei si tacque, Biagioli • -Contuttociò che a
tanto qui yalesL intanto y lo troviamo confermato dalPerticari
Del cap. XVI. tac i56. del voi. 21. P. 11. della Proposta. ^^
50 a palme, colle palme delle mani. Della particella a pcv
con vedi il Ononio [cj.
5 1 m^CW mi, così noi col Vat. 3 199. e cou tutte l'altre ediz.
diverse dalla A'idob. che ha, Che mi. Citi mi legge pur«
TAng. , e con esso la 3. ediz. romana. 4-« sospetto , per timore^ ;
e per tale s'adopera anche oggidì comunemente in quel toscano
]a] ììif. di Dante t lìh. 1. csp. S. [6] Glossar, med, aavi^ srt. Mischi*
mas. [e] Par tic, 1. 6.
ao6 INFÈRNO
Venga Medusa, si'l farem di smalto, Sa
Grida van tutte, riguardando in giuso:
Mal non vengiammo iu Teseo l'assalto.
pi'OYerbìo riferito dal Vocabolario della Cr. [a]. Il sospetto
non si può armare y che i^a/e (spiega esso Vocabolario) che
Varmi non incoraggiano i timidi.
5 a Venga Medusa ^ rechisi il capo di Medusa, il capo d«
Perseo reciso , che convertiva in pietra chiunque mira vaio, -xi
il farem di smalto 9 cosi convertii^m costui in smalto , spezio
di pietica artefatta, per pietra in genere.
53 Gridavano la Nidob., meglio che dicevan dell'altre edi-
zioni wh-¥e del Vat. 3 199. •Ma questo che dicon le Furie di-
verso è dai gridi messi innanzi per rabbioso traspoilo di fu-
rore. BlAGlOLI. 4-S
54 Mal non vengiammo ec, 'malamente non vendicammo
noi iu Teseo colla di lui morte, come vendicammo uel di luì
compagno Pirotoo, V assalto y il tentativo di rapirci Prosei'pina;
imperocché Tessere Teseo stato per opera di Ercole liberato
da quella prigionia, colla quale ci accontentammo di punirlo,
ha dato a costui il coraggio d'entrar qnaggiii.
Per l'arresto che sofferse Teseo colaggiìi, e per esservi
dopo morte stato, secondo Virgilio, condannato eternamente
{sedety aetemumque sedebit^jfnfelix ITieseiis [ij), è entrato
in capo al Ventmn, contra la comune degli Espositori, che il
Mal non i^engiammo fosse anzi un vanto delle Fuiìc, come
se detto avessero: non mal ci {mendicammo y né leggiermen"
te ec. Il fendersi però che facevano le Furie con 1* unghie il
petto, ed il percuotersi da se medesime , sono atti che meglio
si confanno col pentimento di non aver fatto con Teseo il me-
desimo che fatto avevano con Pirotoo, che lo diedero a divo-
rare a Cerbero . — Kengiare , per vendicare , dal francese
%'engery trovasi adopratoda molti buoni anticlii scrittori •>€-
ch'ne gli esempj nel Vocab. della Cr. m^W Poggiali, appog-
giato anche all'autorità del suo cod. che h*gge, M€ii non ^v^-
giammoy conferma l'intei'pretazione del nostro P. Lombardi»
come la più giusta e la piii seguita. — f\'rtgiare y per uendi-^
carcy dissero gli antichi , f^engianza , per vendetta y u*o^a«i
iu Bonagiunta ( B. ant, tom. i. fac, 494* ) E. F. «^
[a'> Alla Moct Sospetto. \b] Àeneid. >i. 61^.
CANTO IX. 107
Volgiti 'odietro, e tien lo viso chiuso; 55
Cbè se '1 Gorgon sì mostra , e tu '1 vedessi j
Nulla sarebbe del tornar mai suso .
Cosi disse '1 Maestro^ ed egli stessi TiS
Mi volse, e non si tenue aUe mie mani.
Che con le sue ancor non mi chiudessi .
0 voi, ch'avete gl'intelletti sani, 61
Mirale la dottrina, che s'asconde
55 visoy per la vista ^ per gli occfii .
56 Gorgon , il capo di Medusa , cosi appellato dal Poeu
giudisiosamente , per essere Medusa stata una delle sorelle
Gorgoni, delle quali vedi i Mitologi [a] •
57 Nulla sarebbe ec. In questo ed in quell'ai tro yei*so :
Ma però di levarsi era niente \b]
scorgonsi chiaramente adoprate le particelle nulla e niente al
significato di nissun modo ^ nissun n^ezzo ; ciò che , a quanti»
>eggo, né il Cinonio, né verun altro ha notato . »-» Nulla sì è
addiettivo di femminil genere, e sarà sempre cotale ; adunque
ei debbe qualificare un nome dello stesso genere dalla ellissi
taciuto , che esser puote speranza od altro simile . Onde cu-
f traisco cosi : la speranza del tornar mai suso sarebbe nulla.
BlAGIOLI. «-•
58 stessi , qui per stesso j e nella corrispondente rima chiu^
dessi j per chiudesse y antitesi. »-^Sono usi dei tempi di Dan-
te, non sopravvissuti fino a noi : stessi j per altro, invece di ^
itesso, può scusarsi per un'ipallage in grazia della rima, co-
me in altro pronome diciamo anche oggidì questi per questo.
Poggiali • «^
59 e non si tenne alle mie mani , nou si fidò delle mie
sole mani .
60 non mi chiudessi ^ nou mi ricoprisse gli occhi •
61 m~¥ intelletto sano , nota Torelli , si può dire quando ,
per malizia d'animo o di coi'po , impedito non è nella sua ope-
razione , eh' è conoscere quello che le cose sono , come vuole
Aristotile nel terzo deìVjénima. <-m
!<«J >4ial Comi, tra <;li altri, Ub. 7. e. 12. [b\ lof. zxu. i43«
io8 INFERNO
Sono 'l velame degli versi strani .
E già venia su per le torbid*onde 64
63 Sotto 7 velame degli i^ersi strani ^ 80tto la coperta de-
gli strani avvenimeutì che in questi vei*si racchiudonsi ; il con-
tinente, cioò, pel contenuto y metonimia . m^ Il senso morale ,
chiosa Torelli, è quello che i lettori detono intentamente an-
dare appostando per le scritture a utilità loro, ^-m
Sebbene si volesse al Venturi , contro del Landino, Vel-
lutello e Daniello, accordare che diane il Poeta qni una Tolta
per sempre questo avvertimento ; non però semnra da poter-
tegli accordare che qui , e non altrove , collocasselo , accioc»
che apprendesse il lettore in altre incidenze simili a que-
sta , che sembra più povera di dottrina morale e d*ogni
senso allegorico , a non trascorrerle senza riflessa pende*
razione ; imperocché , se altrove la morale dottrina e il senso
allegorico abbonda, qui certamente non iscarseggia •
Pel non prestarsi in questo luogo d'increduli alle parole
di Virgilio quella fede che altrove da per tutto si presta, e Io
abbisognare perciò che scenda un Angelo dal cielo , accennasi
evidentemente la proprietà degl* increduli di non credere se
non ciò ch'essi veggono •
Per la Medusa, dice Natal G)nti [a}, femmina bellissi-
ma ed insieme lussuriosissima , puossi intendere significato il
libidinoso piacere .
\ Per r impietrare che faceva gli uomini , gli effetti (siegue
il medesimo ) che la libidine produce negli uomini , di ren-
derli dimentichi di Dio e di ogni officio di umanità e d' ogni
utilità .
Pel non fidarsi Virgilio di Dante , quantunque reso av«
vertito , può significarsi la troppa nostra fi'agilità in questa
parte.
E finalmente , pel sei-barsi e adoprarsi a sicurezza dì que-
sto luogo dei miscredenti il teschio di Medusa , può accennarsi
la massima cagione di apostatare dalla &de, eh è sempre stata
la libidine stessa ; ond'è scrìtto : vinum , et mulieres aposta*
tare faciunt sapientes [i] ; e ne fu veduto uno de' piti segnai
lati esempi in Salomone .
64 toràid'ondej della Stigia palude •
[a] Afyi^oiog. lib. 7. cap. ìì'[b] BccL 19. v. a..
CANTO IX. 209
Un fracasso d'uà suon pien di spavento,
Per cui iremavaa aoiendue le sponde j
Non altrimenti fatto, che d'un vento 67
Impetuoso per gli avversi ardori ,
Che fier la selva, e senza alcun rattento
Li rami schianta, abbatte, e porta fori; 70
65 pien di spavento , spaventevolissimo .
66 aniendue le sponde y il teri^eno dall' una e dairaltra parte
della palude .
68 Impetuoso per ec. Aderendo il Poeta , com'è detto , Iiif.
e III. i33., a ciò che gli Stoici pensano , eos anhelilus terrae^
^ui frigidi sintj cwn filiere coeperint, i^entos esse^ dee ad-
ditar qui cagionarsi tale flusso , tale scommento , per azione
del contrario calore. «-^Osservi il diligente lettore questa dan-
tesca spiegazione deirorigine di alcuni venti quanto è confor-
me alle pili applaudite teorie della moderna nosti'a, tanto piii
perfezionata , Fisica. Poggiali. 4-s
69 70 Che /ter la selva , e senza alcun rattenlo - Li rami
schianta y abbatte ^ e porta fori; così la Nidob. - ed il Cass.
E. R. — Che fier la selva sanza alcun rattento ; - Gli rami
schianta y abbatte j e porta i fiorii Tal tre edizioni . Ma nella
Nidnbeatina lezione la e tra selva e senza serve alla maggiore
unità dcir immagine; e fori (che vai quanto fuori [fl]) invece
di/for/stavvi assai meglio per doppia ragione. Pnmicinmenle
perdiè i fiori vogliono essere ne' prati e ne'giardini, e non nelle
selve: Poi pei*chè troppo indebolirebbe Timmagine, passando il
vento dal ferire la selva e dallo schiantai^e i rami al portarne
i fiori. I soli rami adunque è meglio che schianti il vento 9 i^d
abbatta, e porti fuor della selva. »-^ Che fier la selva ec. Fier^
ner ferisce ; rattento y per rattenimcuto . E. F. -11 eh. Strocchi
legge qui colla Gioisca e chiosa : ce Vei*so bellissimo e inoppor-
» tanamente mutato nella Nidob. L'immagine di un vento ini-
» petuoso, lungi dall'essere infievolita dall'idea di svellere e
n portare in aria i fiori , è invece mirabilmente accresciuta *
» Imperocché ad estirpare tenerelle piante , che inchinano e
» secondano al sofiio dei venti , è bisogno di magqior veerac^n-
fa] Fori, invece di fuori ^ scrive qui ed altrove bene spesso la rfidoh., e
ricorda scritto anche il Vocab. della Cr. neirarticolo Fuora avverbio^
aio INFERNO
Dinanzi |>olveroso va superbo j
E fa fuggir le fiere, e gli pastori.
Gli ocelli mi sciolse , e disse : or drizza *1 nerbo 73
Del viso su per quella schiuma antica
M za ; e quindi la forza della descrizione tanto più si accresce .
M Traggo questa dottrina dai Tersi 10 3. e segg. del e 1. del
M PurgAtono:
» Nuir altra pianta , che facesse fronda ^
» O che indurasse j %^i puote ayer vita^
u Perocché alle percosse non seconda •
99 1 fiori nascono poi ancne nelle selve come nei fipardiai , e la
M differenza di loix) vaghezza è niente agli occhi del Poeta che
M descrive la natura. » Questa spiegazione perfettamente com-
bina con quella déireruditissimosig. Poggiali, il quale opina
che Dante abbia qui voluto accennare uno dei più notabili ef-
fetti della veemenza di un gagliardo vento. -Biagioli appella
barbara la lezione di Nidobeato , e chiosa : porta i fiorii cioè ,
rovesciando f atterrando , porta via i fiori ^ vale a dire i prin-
cipi, ^" prima bella speranza del frutto. -Il cod. Vat. 3ii|i)
legge , che fier la sel^a f senza alcun rattento : — Gli rami
schianta f abbatte ^ e portai fiori. — Malgrado queste varie
autorità ed ingegnose spiegazioni che si danno per sostenere la
più comune lezione fiorii noi , attenendoci alla Nidobeatiuav
troviamo la similitudine più semplice, più naturale, e fors*au*
che più animata e più propria, «^Comc la Kidob. l^sgge pure
TAng. E. B.| e la Veneta ediz, del ]49i*^-«
72 fiere e pastori , per animali ed uomini.
j3 74 ^'' occhi mi sciolse y levando le mani colle quali
glieli teneva coperti • ^drizza 7 nerbo '^Del yiso: adopera quì^
come in pai*eccni altri luoghi del poema , viso per wsta ; ed
essendo della vista Torgano principale il nervo ottico, che dal
cerebro in ambedue gli occhi si dii*ama , drizza , dice , il nen-o
del yiso , invece di dire drizza la vista. »-»> Il cod. Vat. 3 199
non ha l'or. ♦-« schiuma antica ^ ab antico esistente sopra di
quella palude , cioè fin da quando incominciarono i daunati
iracondi ad immergersi e rendere schiumosa queir acqua: né
so aderire al Venturi, il quale asserisce che quelPaMìicsL non
può significare altro che bianca ; e ciré forse preso dal la-
tino rana pruina e dallo spuma canescvre fiictus . m-¥ Il Pog^
CANTO IX. aii
Per indi, ove quel fummo è più acerbo.
Come le rane innanzi alla nimica rQ
Biscia per T acqua si dileguan tutte,
Fin ciì'alla terra ciascuna s'abbica,
Vid'io j)iù di mille anime distruric "jij
gitili però se ne sta qui col Venturi, rigettando ogu'altra troppo
ricercata spiegazione. — Gli occhi mi sciolse ec. Il eh. caT.
Monti [aj non sa indursi a credere che nerbo del viso sia stato
qui preso da Dante nella sua naturale e propria sigui6cazione
di nervo ottico. Riflette che i due Poeti trovansi avvolti fra
le piii fitte esalazioni della palude Stigia , e che Virgilio sapeva
che un Angelo venir doveva ad aprir loro le porte di Dire.
Peitriò volendo che Dante stia attento alla venuta deH*Angelo»
Virgilio gli dice : drizza il nerbo del viso , vale a dii*e , drizza
Facume della vista . E cosi devesi intendere > e non altriiueotiy
questo passo ; poiché a ravvisare un oggetto in mezzo alla neh*
bia, e nebbia com'era quella, non basta drizzare il nervo ottico
semplicemente, ma fa a uopo aguzzar ben bene /'/iciime, lafor^
za, il ^vigore della vista. Riscontra il dottissimo osservatorv
imitato in questo luogo il "flecte acies di Virgilio in quel passo
della Eneide [&J: Huc geminas mine flecte acies y in cui se
\'irgilio avesse detto invece flecte oculos^ l'espressione stata
sarebbe troppo debole all'intenzione d'Anchise; laddove Tas-
soluto flecte acies (drizza l 'acume), senza curarsi di aggiungcrv i
oculoruniy ha piii fona d'assai. £ se Anchise così parlava ad
Enea in luogo tutto luce, con quanta piii ragione Virgilio do vea
dirlo a Dante in un luogo tutto pieno di nebbie e di tenebre ì
— Il VaU 3 igg legge fiamma invece di schiuma» ♦-•
75 {juel funmio è più acerbo. Essendo il fumo agli occhi
acerbo^ acre, e tanto piii quanto è piii denso, adopera Danta
più acerbo invece di più denso ; e questa maggior oensità pro-
veniva dal fuggire e nascondersi sott'acqua i dannati ove passa-
la TAngelo, che ora dira.
78 s^abbicay s^ammucchia.
'^c^ distrutte t ^r istraziate ; v-^c^ secondo Biagtoli , disfate
te j cioè sciolte dai corpi . 4-^
[a] Prop, >oK 3. P. I. fac. i63. [6] Lih.vi. i". 789.
212 INFERNO
Fuggir cosi dinanzi ad un ^ ch'ai passo
Passava Stige con le piante asciutte.
Dal volto rimovea queir aere grasso , Si
Menando la sinistra innanzi spesso;
E sol di quell'angoscia parca lasso.
Ben m'accorsi, ch'egli era del Giel Messo, 85
E volsimi al Maestro ; e quei fé' seguo
Ch'io stessi cheto, ed inchinassi ad esso.
Ahi quanto mi parca pien di disdegno! 88
Giunse alla porta , e con una verghetta
L'aperse, che non v'ebbe alcun ritegno.
O cacciati del Ciel, gente dispetta, gì
Cominciò egli in su l'orribil soglia,
Ond'esta oltracotanza in voi s'alletta?
8o al passo: al per col ( vedi il Cinonio [a] )» col proprio
passo , non da nave portato, com'essi Poeti furono in quel me-
desimo passaggio. »-^Il Biagioli, coi piii, intende dov* è il
varco del ftunie , opinione ricevuta anche dall'E. R. <4-«
82 qiielV aere grasso^ quella nebbia, quel fumo. — aer^
leggono l'edizioni diverse dalla Nidobeatina.
83 menando la sinistra , intendi mano ; e la sinistra me-
nava , pcrclic colla destila teneva la possente verglietta , di cui
nel V. 89.
84 E sol ec.f perocché nell'acqua non s'immergeva egli
punto, ma nel fumo solamente.
85 del Ciel Messo ^ un Angelo.
86 queij sincope di quegli [i].
go m-¥ non ebbe^ ^^gS^ ^ -^"S* ^' ^* ^ '^^ Vat. 3 199. ♦-•
91 O cacciati y intendi spiriti. *-► L'epiteto dispetta ^ iLd
idi, despectus y equivale a disprezzata j cioè abbietta, e tenuta
lungi dal consoi'zio della gente dabbene e onorata .Poggi a i.i.<4-c
[)i estay per questa y a (cresi dagli anlìcbi praticata molto.
Vedi il Vocabolai'io della Gr. - oltracotanza , tracotanza , bai*
diiììzsL, "Sgalletta , per si annida , si alberga . Vedi luf. 11. 1 25.
[a] Pai tic, 1.7. [b] Vedi Ciuouio> Partic, ui4- 7.
CANTO IX. 2i3
Perchè ricalcitrate a quella voglia , g4
A cui non puote '1 fin mai esser mozzo,
E che più volte v' ha cresciuta doglia ?
Che giova nelle fata dar di cozzo? 97
Cerbero vostro, se ben vi ricorda,
Ne porta ancor pelato il mento, e '1 gozzo .
^■^Oltracotanza è composta da olirà e cuitanzaj antica voce
iulìaDa venutaci dal provenzale cuidance (pensiero)^ e questa
includer [pevsare)\ e n'abbiamo in Fra lacopone l'esem-
pio, 3. 23. 3.: iSVo pur non fallo nella mia cuitanza. Quin-
di oitrarofanza passò a significare arroganza , presunzio-
ne, superbia y perchè simili affetti vanno oltra, al di là del-
Tumaiio pensiero . Cx)sì tracotanza^ aferesi di oltracotanza^
ossia trascorso del pensiero fuori del giusto. Monti. [«J*-*
94 9^ quella voglia >, la divina volontà. - esser mozzo , per
esser mancante*
97 fata j falò j che significa celeste disposizione ^ è uno
il que' nomi che nel singolare sono di genere del maschio-, e
nel plurale fannosi d'amJ)o i generi .
9^ 99 Cerbero vostro ^ se ben ec. GÌ* iiitei-preli tutti, dal
f>rìmo air ultimo , intendono accennata qui la favola della vio-
fnU estrazione di Ceri) ero dall* Inferno , fatta da Ercole per
comando di Euristeo. Mi fa però meraviglia gi'ande che a nis-
snno dei tanti data siasi a conoscere l'intollerabile assm*dità,
che da un Afesso del Cielo ^ da un Angelo, si ammettesse per
Ì5toria, e si rinfacciasse a'demonj una favola. Mai no. Ha di
già Virgilio in questo medesimo incontro fatta ricordare la di-
scesa all'Inferno del nostro Salvator Gesii Cristo [i] : e perchè
dunque non intenderem noi piuttosto che fosse Cerbero in
tale occasione sti^tto con catene al collo e con musoliera , tal
che non potesse avventarsi e neppur abbaiare? e che, fremen-
do esso e dibattendosi in colali sti-etture , si dipelasse il mento
e 7 gozzo ? e che finalmente , come in perpetua memoria di
quel fatto, la porta dell' Inferno .fenza serrarne ancor si trO'
vcy così anche Cerbero ne porti ancor pelato il mento e 7
gozzo ? A questo modo sarà un abbellimento poetico accre-
[a] Prop, voi. 3. P. i. fac. 196 [b] Canto precedente, v, 134* ^ '^8S*
2i4 INFERNO
Poi si rivolse per la strada lorda , ino
E non fé' motto a noi; ma fé' sembiante
D'uomo, cui altra cura stringa e monia,
Cile quella di colui , che gli è davante: io3
scìutoad un fatto storico; OTe a quelFaltro modo , dagrinter-
pi'etì inteso » sarebbe una favola supposta istoria . — * Benché
questa esposizione del Lombardi sia a molti piaciuta , e tra gli
altri al sig. Portirelli (£</. Class* MiL)j il sig. Poggiali ^i si
oppone ; e se noi dovessimo dare un giudizio , ci atterressimu
assolutamente airopinione di cpiest' ultimo , vale a dii^ alla ci>-
mune : tanto ci dispiace di vedere il favoloso cane custode del
Tartaro incatenato e trascinato dal TaioiiFAToa d'Abisso , come
un mastino che dal giosti*atore si toglie a dispetto dalla lizza
de' tori . Ci sia per altro permesso di fare un'osservazione : Cer-
bero Kepfòspo^^ da Kpso^^poQ, non vuol dire altro che Dna-
ratore di carne ; né ul nome è stato soltanto dato da' Poi ti
al trìfauce Molosso dell'Orco , ma alla terra ancora in cui si
pongono carni ad esser divorate e consunte: Cerbero pur sì
nominò da alcuni il serpente di Tenai*o , tanto fatale a que' po-
poli ; e Cerbero si chiamò il cane di Alessandi'o Epirota , clie
si azzuffava co' leoni • Cerbero dunque può esser detto un mo-
stro qualunque feroce e carnivoro , quale appunto può dirsi il
Diavolo pei*sonificatOy che fa strage dell' umanità ; e cosi seuza
ricorrere alla favola, che in tal luogo non par che si accordi
co' soggetti e colle circostanze , potrà intendersi , Sotto 7 ve*
lame degli versi strani ^ lo Spirito infernale nella discesa di
Cristo 9 che graiEossi per rabbia ed oltraggiossi il volto in piii
guise , non potendo dar di cozzo nella Divinità. E. R. m^ L'o-
pinione del Lombardi intomo alla musoliera di Cerbero è com-
battuta dal Biagioli y il quale osserva che j se quel cane avesse
visto l'anima lucente di Cristo, senza bisogno di musoliera « o
sarebbesi tosto intenebrato , o cascato dairabbagliamento di
tanto fulgore. •<-« se ben vi ricorda ^ ellissi, per j^e ben %n si
ricorda, »-»• Toma Biagioli e fa la costruzione : se la wnente
VI ricorda bene il fatto . *-«
I oo strada, lorda , per la fangosa palude medesima cbe ave-
va di fi*esco passata .
loi non fe*motto a noiy non ci disse parola: non a Vir^
gilio j per esser dannato ; non a Dante , perocché esso pure
CANTO IX. ai5
E noi movemmo i piedi in ver la terra
Sicuri appresso le parole sauté.
Dantro v'entrammo senza alcuna guerra: 106
Ed 10^ cli'avea di riguardar disio
La condizion ^ che tal fortezza serra ,
Come fui dentro, F occhio a torno invio, log
E veggio ad ogni man grande campagna,
Piena di duolo ^ e di tormento rio.
Sì come ad Arli , ove 1 Rodano stagna , 1 1 2
Sì come a Pola presso del Quarnaro,
Che Italia chiude, e i suoi termini bagna ,
soggetto odioso all'Angelo pe^gravi vi7.j , de'qaali siipponesi
reoy e che per quelFandata , ossia meditazione ueirinfcrno, iu'*
tendeva di pui*gare. Solo perciò nel Purgatorio incominciano
gli Angeli a parlar con Dante . »•-> Pare ai Biagloli che l*An-
grlo non facesse motto ne a Virgilit ^ ne a Dante, non già per
qaello che ne dice il Lombardi, ma sì bene perchè il dovere del
suo carico vuole che vadasi dritto al fine e ritornisi in egnal
modo* «-•
I oH senza , la Nidob. sanza , Taltre edizioni .
108 •-> lui condizion ec, cioè lo staio e la qualità de'tor-
menti dell'anime chiuse in auella fortezza [/zj. Monr u 4^ ser^
ra 9 per contiene dentro alle sue mura .
11% Arli ^ cittadella Provenza; — Rodano, fiume; ^sta*
gna, forma lago. •-♦ Ad Arli , fuori della porta che va ai Cap-
puccini , lontano nn miglio incirca dalla città , vi sono ancora
molti sepolcri e sarcofaghi de' tempi romani , come si conosce
dalle iscrizioni e dalle figure . Lami. E« F.— Il Yat. 3 1 99 legge ,
o*^e Rodano • <-«
1 1 3 Po/a, città deiristria; -^rej^o^e/Qciarnaro, golfo detto
volgarmente i7 Quarnero [&], e da*LalìnìsinusFlanaticusy non
Phanaticus, come malamente scrivono il Daniello e il Ventm'i.
1 14 Che Italia chiude , e i suoi termini bagna 9 perocché
bagna Tlstria , ch'è l'ultima parte d'Italia, e la divide dalla
Croazia [cj .
[d\ Proposta , toI. i. P. ii. fac. 174. [b] Vedi Ferrari , Lexic, geograph.
[e] VmU pure Ferrari ,
2i6 INFERNO
Fanno i sepolcri tutto 1 loco varo; 1 15
Così facevan quivi d'ogni parte,
Salvo che '1 modo v'era piÌL amaro,
Gilè tra gli avelli fiamme erano sparte , 1 18
Per le quali eran sì del tutto accesi ,
Che ferro più non chiede verun'arte.
Tulli gli lor coperchi eran sospesi, iii
E fuor n'uscivan sì duri lamenti,
Che ben parean di miseri, e d'offesi.
Ed io : Maestro , quai son quelle genti , 1 24
Che seppellite dentro da queir arche
Si fan sentir coi sospiri dolenti?
Ed egli a me: qui son gli eresiarche 1:17
I 1 5 Fanno i sepolcri ec. I sepolcri in quelle Yidiie pia-
nure rendono varia la campagna con ineguali alzate di terreuo
e con lapidi sepolcrali sparse qiia e là. Di queste sepolture
gran cose si dicono , ma le credo favolose ; e il vero sarà che
usassero in quei luoghi di seppellire i morti in tal foggia alla
campagna [a] . Vi è chi quel i^aro non dal i^arius ( o dal va^
rio 9 per sincope ) y ma dal i^arus latino deduce ; e vorrà in tal
caso significare che i sepolcri non rendon varia, ma curva
quella campagna, a conto di quei rialti. Non mi dispiace il
pensiero, né veggo che rechi sconcio alcuno al sentimento ;
uè lo disapprova la Crusca , citando il Buti . VsiiTuai . •-» 11
Vat. 3 199. legge tutti in luogo . ■#-•
1 1 7 amaro , per cattiv^o .
124 i^^ m^ queste genti ^ e quest'arche , ha il cod. Ang.
E. R.^
1 26 Si fan sentir coi sospiri dolenti^ laNidob.; Si fan sen-
tir con glisospir dolenti ^ altre edizioni •-> e il Vat. 3 igg.^-^
127 eresiarche^ -per eresiarchi y antitesi alcuna volta autì»
camentc praticata . Vedi il Manni ? Tas^ola di U€>ci notab^ nei
Gradi di s. Girolamo , alla voce Profete .
[/il Del cimilcro d' Arli fa mcazinnc Tiir|iion pure nella Vita di Carlo
MagQO^ cap. 281 e Su.» e dìcclo beiiedetiu da scile sauli Vc^ovL
CANTO IX. 217
Co' lor seguaci d' ogni sella , e , molto
Più che non credi, son le lombe carche.
Simile qui con simile è sepolto j i3o
£ i monimenli son più e men caldi:
E poi ch'alia man destra si fu volto,
Passammo tra i martìri, e gli alti spaldi,
i3o simile giù con ce, ognuno con quei della sua setta.
i3i monimenti j sepolcri.
1 33 Passammo tra i martìri , e gli alti spalai^ per quello
stretto calle ( che nel principio del seguente canto dirà ) po-
sto tra le infuocate arche , entro delle quali soffrivano gli ere-
tici i meriuti martìri y pene 5 e tra gli alti spalai, le alte
mura della città di Dite. Spalai (insegna il Vocab. della Cru-
sca) si dicono i ballato] che si face\^ano anticamente in
cima alle mura e alle torri. Per sineddoche adunque adopera
i Dante spaldi per mura. »-► altri spalai^ legge il codice
ng. E* £• 4-«
I
/
CANTO X.
ARGOMENTO
Bramando Dnhfe di vedere e parlare con afcnni di
quei dannati miscredenti » ne viene da f^irgiho
condotto a Farinata degli liberti e a Cas^alcante
de' CfWal canti , ove da Farinata ode, tra le altre
cose» predirsi la cacciata sua di Firenze , e con
ammirazione intende che i dannati hanno cogni-
zione delle cose future^ e non già delle presenfij
se non sono avvisati e ragguagliati da quelli che
vi vanno alla giornata.
0
ra sen va per uno strelto calle, i
I Ora sen va per uno stretto calle^ cosi legge la Nidob., me*
glìo certamente delle altre ediz. «-^e del Vat. 3 iqq^-c che leg-
gono, per un segreto calle. Oltreché l'epìteto di stretto s'ac-
coitla meglio coli* andare deToeti ano dopo le spalle dell'al-
tro (ciò che dalla strettezza della via deduce Dante stesso
espressamente nel Pnrg. xzt. 8.: prendendo la scala j^^ Che
per artezza i salitor dispaia . ) , male eziandio si conTerrebbo
repiteto di segreto ad un calle ch'era in vista di tutto quello
infernale campo ; di modo che y alzando que' dannati il capo
dalle arche in cui giacevano , vi scorgevano i viandanti, come
in appresso si dirà. — Ora^ particella, dice il Cinonio, con
la quale talvolta si ripiglia o si continua il parlare, lat. i7a-
que [a]. •-> Il Bia^oli segue e difende la comune lezione, op-
ponendosi alla Nidob.; ma le sue ragioni non valgono, in no-
stra sentenza, a rendere meno rispettabile la lezione della
Nidob., ritenuta come indubitatamente migliore anche dal di.
[a] Parile, taa. 4*
r
CANTO X. !ii9
Tra 'I muro della terra, e gli mariìri,
Lo mìo Maestro, ed io dopo le spalle.
O virtù somma, che per gli empj giri 4
Mi voi vi, cominciai, come a te piace,
Parlami, e soddisfammi a' miei desiri.
La gente, che per li sepolcri giace, ^
Potrebbesi veder? già son levati
Tutti i coperchi, e nessun guardia face.
Ed egli a me: tutti saran serrati, io
Poggiali , che chiosa a questo luogo come il nostro P. L<>iiibap-
dì.V.
2 martiri. Vedi la nota all'ul timo verso del canto precedente.
4 O virtù somma j o virtuosissimo uomo. - empj giri: girij
per cerchj, ossia circolari ricettacoli dell'Inferno; ed empj^
per Tempie ivi contenute anime.
5 6 Mi uoltàj m'aggiri , — come ti piace ^ legge la Nidob.;
•-♦ conte a te piace y le altre edizioni — e il Vat. 3 199 ; lezio-
ne da noi seguita, e che sembra anche al Biagioli di maggior
seotimento ed energia, ^«hì soddisfammi con due m , 0 perchè
si pronunziasse soddisfa , o per epentesi a causa del met]*o .
»-» L' espressione a' miei desiri è elittica , ed è lo stesso che
riguardo à* miei desiri . Poggiali . <♦-•
7 al 9 La gente , ec. Dal parlare di Dante in ouesti tre versi
sì accorse Virgilio di due cose. Primieramente, che fosse Dante
nel falso sentimento , che a quelle arche fossersi recentemente,
e qnasi in grazia loro, levati i coperchj ; in secondo luogo, che
il desiderio di Dante non era semplicemente di vedere alcuno
qualunque Incredulo , ma di accertarsi se tra gli Epicurei tro-
ta vansi que'che di Epicureismo sapeva essem stati tacciati, Fa-
rinata e Givalcante Cavalcanti.
Kispondendo' adunque Virgilio, incomincia ad avvertire
Dante che non mai coloro in queir arche serrati furono, né
mai si serreranno, se non dopo il giorno dell' universale giudi-
zio: poi, per soddisfiirlo del taciuto desiderio, passa ad indi-
care al medesimo dove stavano l'arche degli Epicurei, acciò
potesse tra quelle cercare *chi bramava; e soggiunge ch^ivi pò*
teva rimaner soddisfatto non solo di quanto apertamente chiese,
a2o INFERNO
Quando di losaphat qui torneranno
Coi corpi , che lassù iianno lasciati .
Suo cimitero da questa parte hanno 1 3
Con Epicuro tutti i suoi seguaci ,
Che r anima col corpo morta fanno.
Però alla dimanda, che mi faci, i6
Quinc' entro soddisfatto sarai tosto,
Ed al disio ancor , che tu mi taci .
Ed io: buon Duca, non tegno nascosto 19
A te mio cor, se non per dicer poco;
ma eziandio della taciuta brama . m-¥ Tur li i sepolcri , invece di
TiUti i coperchjj legge il Vat. 3 1 gc)- levali , al i'. 8., non signi-
fica lolti 9 ma alzati , eles^ali^ essendosi veduto al e 1 2 1 . e. \ 1 1.,
cliequcsli sepolcri eranbensì soccbiusi; ma non del tutto aperti;
lo cne meglio si deduce dal u. ò. e se^?, del canto che setrue.
Questo participio è preso dai latini verbi elevo o levo , giac-
ché ancue a questo secondo verbo nei tempi della decadala la-
tina lingua si dava il significato di alzare ^ come inOniti esempj
ne abbiamo nella bassa latinità della traduzione latiua della
Bibbia, detta comunemente la J^olgaia. Poggiali. •«-«
1 1 Quando di losaphat qui torneranno ( cosi Ipgjje la Ni-
dobeatina, meglio deiraltrc edizioni, che leggono losaffà^ c-lie
non è né ebreo, né greco , né latino, né italiano) ; e voo) din»,
quando torneranno dall'universale giudizio, che per avviso del
{irofcta Gioele [a] si farà nella valle di Giosafat . m^ Josafà ,
egge TAng. E. R. — e il Vat. 3 199 . <-«
1 3 cimitero , per carcere , perocché stanno coloro in arclie
«ome le sepolcrali.
i4 Epicuro 9 filosofo ateniese, tra gli altri errori insegnò
che colla morte perisse tutto l'uomo, anima e corpo, contro
l'universale persuasione di tutti gli uomini , che sempre han-
no creduta l'anima immortale*
19 9h^ riposto y per nascosto, ha il Vat. 3199. <-•
20 dicer j per dune, adoprato da alti*i buoni antichi scritto-
ri [iJ]. m-¥ji te niio dir, ha il Vat. 3i99.<4-«
fa] Gap. 3. q. a. [b] Vedi Maslrofioi^ Prospetto de^ verbi italiani,
sotto il verbo Dire^ a. 1.
CANTO X. !x:ii
E tu m' hai non pur ora a ciò disposto •
O Tosco, che per h città del foco 22
Vivo tea vai così parlando ooesto ,
Piacciati di restare in questo loco.
La tua loquela ti fk manifesto a 5
Di quella uobil patria natio,
Alla qual forse fui troppo molesto •
Subitamente questo suono uscio a8
^i E tu m%ai non pur ora a ciò disposto , legge la Ni-
dobeatina ; E tu ni*hai non pur mo a ciò disposto j l'altre
edizioni ■"*• e il Vat. Sigg. -♦^ Disposto ^ intendi , e col par-
lar tuo preciso che qui mi fai ^ e colla precisa maniera che
adoperi negli scritti tuoi .
23 città del fuoco j la stessa che nell'ottavo canto, v. 68.,
appellasi ci7/à , ch^ha nome Dite^ che incomincia dentro dal
sopraddetto muro, ed estendesi fino al fondo dell* Inferno ; e
dicesi del foco j perocché fuori di essa, come s'è veduto, noii
souo anime tormentate dal fuoco .
a3 parlando onesto , come parlavi adesso col tuo condot-
liere. — onesto , avverbio, per onestamente y ma. qui per mo-
deslamente .
24 B-»* restare . Uno dei significati di questo verbo è fermar^
si, soffermarsi y trattenersi alquanto. In questo senso appun-
to dee qui prendersi . Poggiali'. - ristare ^n^i il Vat. 3 199. ♦-•
25 JLa tua loquela ec, ad imitazione dell' ancilla ebrea,
che disse a Pietro apostolo : loquela tua manifestum te facit.
Daniello.
26 Di quella nobil patria y invece di quella nobile città ;
e intende Fiorenza, comune patria di Farinata degli JJberti ,
che ei*a colui che parlava, e del Poeta nostro.
2^ forse fui troppo molesto , unendosi ai Ghibellini di Sie-
na e di altre città, a danno dei proprj concittadini Guelfi [«].
Ma disse forse (nota il Landino) per non si privare al tutto
di scusa; quasi dica; se io fui empio, i miei avversar] me ne
dieron cagione .
[a] Vedi la Cron, di Ciò. Villani » lib. 6. cap. 75.
111 INFERNO
D'una deir arche: però m'accostai,
Temendo, un |X)co più al Duca mio.
Ed ei mi disse: volgiti, che fai? 3i
Vedi là Farinata, che s'è dritto:
Dalla cìntola in su tutto '1 vedrai.
Io avea già '1 mio viso nel suo filto: 34
Ed ei s'ergea col petto, e cou la fronte.
Come avesse lo 'nferuo in gran dispitto:
E r animose man del Duca e pronte 87
Mi pi user tra le sepolture a lui.
Dicendo: le parole tue sien conte.
29 »-^^erc&*{o, legge l'Ang. E. R.^hì
32 Farinata. Costai (della cui patria e fazione s*è dcUo
nelle due pitKsedenti note ) fu , dice il Landino j uomo senza
fallo di grandmammo e non di minor consiglio, ma ebbe pra-
va e falsa opinione dell'anima umana, stimando quella perire
insieme col corpo; e però giudicava esser bene in questa bre\e
vita pigliar ogni voluttà di coi*po; in forma che nel vitto enei
cibi passava la modestia. Il che notò Dante nel sesto cauto [aj,
quando domandò Ciacco (il ghiottone) se era con lui.
36 Come avesse lo *nfemo in gran dispitto : come gran di*
sprezzo dell' Inferno facesse , e niente da que'tormenti av\ilito
tosse. Dispitto per ^^ijprezzo; come insegna il Vocabolario del-
la Crusca, adoprato anticamente dispittare per dispettare ^
dispregiare. Vespitto disse invece il Petratta , son. 81.: Per
isfogare il suo acerbe despitto . // Trissino ( aggiunge il ^'en-
turi ), nel suo dialogo del Castellano, la dice voce non fio-
rentina. Saba da Castiglione la vuol prosternale. Quai^ella
si siaj la rima ad usarla costrinse questi gran maestri. 11
verbo dispittare però riferìscelo il Vocabolario della Crusca
in prosa adoprato. m^a gran dispitto, legge TAng. E. R.^-c
09 sien conte j siano manifeste e chiare, e non ambigue o
dubbie; perciocché a parlar con eretici bisogna esser molto
accorto eriguai*doso. Dahiello.
[a] Verso 79.
CAJNTO X. 223
Tosto eh' al pie della sua tomba fui, 4^
Gttdrdoinmi un poco; e poi , quasi sdegnoso,
Mi dimandò: chi fur gli maggior lui?
Io eh' era d' ubbidir disideroso, 43
Non gliel celai, ma tutto gliele apersi;
Ond' ei levò le ciglia un poco in soso.
Poi disse : (ieramente furo avversi 46
A me, ed a' miei primi , ed a mia parte;
Sì che per due fiate gli dispersi .
S' ei fur cacciati , ei tornar d' ogni pane, 49
4o »-► ComiOf invece di Tosto chcy ha l'Ang. E. R. — e
il Val. 3199.*^
4^ tui, alla maniera latina per tuoij sincope in grazia della
rima.
44 gi^i^ P^^ glielo^ così sempre il Boccaccio. Volpi. Vedi
aadie il Cinonio [aj. La Nidobeatina legge, Nollil celai ^ ina
tutto li apersi; e Tediziooi venete 1 568 e 1 5^8 , Non gliel ce-
Uà ma tutto glieC apersi. Wh^Non liei celai i ma tutto li Caper^
sij ha il cod. Vat. 3 199. -^ Gliele ^ per glielo , gliela ^ glieli
e gliene f usa continaamente il Boccaccio, specialmente nel
Decamerone , e con esso molti buoni prosatori e poeti cosi an-
tichi che moderni. Così il Poggiali, il codice del quale legge
il verso cosìtJVòn gli celai j ma tutto gli mi apersi; bella va-
riante 1 che toglie ogni imbarazzo per isviluppare questa espres-
sione y rendendo il senso seguente : non gli celai chi fossero
I miei antenati, ma gli manifestai tutto ine stesso, ^hi
45 soso di suso forma per antitesi, come del latino supra
ba formato sopra l'italiano dialetto.
47 ^ n%ej ec. Vuole Farinata dire che i maggiori di Dante
furono nemici di esso Farinata, degli antenati suoi, e del suo
partito» ch'era il ghibellino. E di fatto i maggiori di Dante
furono del partito euelfo [&], e fu Dante il primo che , dopo
di essere cacciato da Firenze, divenne Ghibellino.
49 ei tornar j legge la Nidobeatina ; e' tornar^ Tahre edizioni.
[al Parile 0 9 cap. 1 19« [b] Memorie per la i^ita di Dante ,$. io. i uelle
Dote.
*
/
2^4 INFERNO
Risposi io lui, e Tuna e F altra fiata;
Ma i vostri non appreser ben quell' arte .
Allor surse alla vista scoperchiata 5i
Uq' ombra lungo questa infino al mento :
Ei^ per eglino , adoperalo Dante spesso \a\ • — tornar agogni
parte, intendi in quella cittk, donde furono cacciati. •-♦In
tutta questa terzina, osserva il Poggiali, Dante risponde da
Guelfo ed in maniera piccante , non già perchè egli fosse Guel-
fo quando ciò scrisse , ma perchè si unge fatto questo suo poe-
tico viaggio nel i3oo, epoca in cui egli non era ancor Ghibel-
lino , motivo per cui estema qui sentimenti ed espressioni da
vero Guelfo . 4-«
50 Risposi io luij e Funa e F altra fiata , la Nidobeatina
cosi; e l'altre edizioni. Risposi lui, Pana e Poltra fiata,
•-► e come queste il Vat. 3 199. 4-«
5 1 Ma i uostri ( quelli del partito vostro ) non appreser
ben queir arte, Tarte cioè di tornare, essendone cacciati; im-
perocché trovavansi in allora i Ghibellini esuli tuttavia •
5 a alla vista scoperchiata, ipet aperta, scoperta, termine
adoperato anche da altri buoni scrittoli . Vedi il Vocab. della
Crusca.
53 lungo questa , a canto a questa ; ^- infino al mento , al-
zando cioè la sola faccia sopra il labbro dell'arca. Chi fosse
qnest'altr'ombra ne lo fa Dante conghietturare da ciò che dice
in appresso, ove non solamente manifesta il nome del costei
figlio Guido, ma, acciocché d'altro Guido non sia inteso 9 ne
lo accenna uomo d'alto ingegno, ed amico e compagno suo pro-
prio, quale altro Guido non fu che il Cavalcanti \o\ . L' ombra
adunque con Farinata conseppellita era di Cavalcante Caval-
canti, padre di Guido Cavalcanti. Incorse costui in infamia,
dice il Landino, ^er tener epicurea opinione • Ma perchè ne
parlava con più modestia e pia copertamente che Farinata,
però il Poeta non lo fa surger tanto fuori deWarca, quanto
lui. Wh¥ Qui il Lombardi , dice il Biagioli, s'inganna . La ragion
vera , per cui V ombra di Cavalcante non surse tanto fuori del
sepolcro , quanto quella di Farinata, è la diversa natura delle
[a] Vedi , a cagion d' esempio , laf. iv. 34* W Memorie per la vitm di
Dante , 5* 8-
CANTO X. :xi/>
Credo che s'era ingÌDOcchion levata.
D'intorno mi guardò, come talento 55
Avesse di veder s'altri era meco;
Ma, poi che '1 suspicar fu tutto spento,
Piangendo disse: se per questo cieco 58
Carcere vai per altezza d'ingegno,
due ombre : qnesta magnanima , anzi &roica. ; l'altra di poco
animo, siccome il suo piangere il dimosU'erà ben tosto . <-m
54 inginocchion (inginocchia legge la Nidobcatina), pe-
rocché Farinata y essendo ritto in piedi , avanzava fuori del-
larca dalla cintola in suy e Cavalcante sopravanzava l'arca col-
ai faccia solamente. »-^//t ginoochie ^ leggono i codd. Caet.
e Ang. E, R. — e il Vat, 3 199. -♦-•
55 56 come talento - Avesse di veder ec. Talento per vo"
s;lia^ curiosità. Dal parlare precedente fattosi tra Farinata e
il Poeta, Cavalcante y che nella stessa tomba giaceva, capi
che il conlocntore ci*a Dante \ e sapendo essere Dante amicis-
<imo di sno 6glio Guido , alzossi a vedere se mai fosse con
Dante anche il proprio figlio .
57 suspicar y legge la Nidob. ; e sospicciar^ l'altre edizioni
•-» e il cod. Vat. 3 199. — « Qui si avvisi cosa non conosciuta
» dai VocabdlaiTsti e dai Comentatori di Dante. Sospicare , o
» sQxpettare , usasi anche in buona parte , significando avere
» opinione dubbia di fui uro bene. Imperocché tale deve es-
» sere il senso del verso suddetto . L'ombra di Cavalcante c^ca
n dall'arca , sperando che il figliuol suo sia venuto vivo a tro-
» vario insieme coir Alighieri . Ne il padre che si creda di v(^
» dere il figlio ancor vivo nel regno de'morti , può dirsi ch'ab-
» bia a porre qtiesta credenza in conto di male. [aJm Perti-
('\M.'^^mfu tutto spento^ fu totalmente dileguato, svanito.
58 5g se per questo cicco - Carcere vai ec. Nota , dice* il
Landino t che queste parole, se per questo cieco ^Carcere vai
per altezza a ingegno j servono insieme alla fizione ed alU
«dlegoria ; perciocché secondo il senso lìtterale diremo: se per
nhezza d'' ingegno j quasi , se per nlcuna mirahirarte puoi
avo e senza pena andar per r In fervo » Ma sccuudo l'allego-
\'i^ Prop , ToK ti. V. a. f.ic 191. ?fcla 5.
/'o/. /. li
aa6 INFERNO
Mio figlio ov'è, e perchè aou è teco?
Ed io a lui: da me stesso qoq vegno: 61
Colui, ch'attende là, per qui mi mena.
Forse cui Guido vostro ebbe a disdegno •
Le sue parole, e 1 modo della pena 64
M'avevau di costui già letto il nome)
Però fu la risposta cosi piena .
Di subito drizzato gridò: come 67
Dicesti: egli ebbe? non viv'egli ancora?
Non fiere gli occhi suoi lo dolce Ionie ?
ria intendi, se per altezza d* ingegno e gran dottrina vai per
la speculazione de^t^izj , il mio figlio è tale y che deye poter
questo medesimo. m-¥ Career ten vai^ ha TAng. E. R. ^-m
61 6a Ed io a lui: ec. Quasi dica (siegue il Landino ) , ìi
mio ingegno non mi avrebl>e data tal' invenzione. Ma menami
colui, eh' attende j cioè che aspetta; perciocché la dotti-ina «
11 figmento di Virgilio y che ho imitato, mi mena , mi guidii,
a far tale fizione, perchè non è molto dissimile dalla sua .
63 cui Guido mostro ebbe a disdegno . Quasi dica , perchè
Guido vostro, datosi tutto alla filosofia, non degnò i poeti, la soa
filosofia non gli è bastata a ùv simil poema ; la quale poteva
fare, se avesse degnato di leggere Virgilio, ed imitarlo. Lakdivo.
64 Le sue parole f accennanti l'altezza d' ingegno del figlio,
e Tamicizia del medesimo con Dante ; per le quali cose spe-
rava che fosse seco, —e 7 modo della pena , e l'esser pu«
nito tra gli Epicurei •
63 già letto il nome , già fatto capù*e chi egli era. »-» U
cod. Aniald. legge , già detto • E. R. <«-«
66 fu la risposta così piena , fu la risposta mia a quel mo*
d ) soddisfacente . •-♦ ce La risposta di Dante , dice il Biagiolì ,
« fu tutt'altro che soddisfacente . Piena è qui in setìso figu^
•> rato , preso dall'essere d'un continente , il quale , quando
» nulla manca di suo contento , dicesi esser pieno ; onde piena
•> significa intiera o compiuta . » <<-•
67 drizzato , intendi in piedi , ove pareva prima che stasse
ginocchione •
6g /[ere , da -flerere , che inveiM^ di ferire ndopraronn gli
CANTO X. 227
Quando s'accorse d'alcuna dimora, jq
Ch'io faceva dinanzi alla risposta,
Supin ricadde, e più non parve fuora.
M«i queir altro magnanimo, a cui posta 7.3
Restato m'era, non mutò aspetto,
JVè mosse collo , né piegò sua costa :
E se, continuando al primo detto, 76
Snelli han quell'arte, disse, male aj^resa,
Ciò mi tormenta più, cbe questo letto.
Ma non cinquanta volte Ila raccesa 79
anticbi. Vedi il Vocabolario della Crusca, •— lofne, fcrlumm
( intendi del Sole ), antitesi in grazia della rima • «-^ 2Vbn /f<r
negli occhi suoi , legge il cod. Ang. E. R. <-m
70 dimora . Di questa dimorane vedrai la cagione nel ver-
so 1 13.
73 auell^aitroj Farinata. — a cui posta y a cui requisizion»,
beneplacito. Vedi il Vocabolario della Crusca,
74 75 Restato m^eray quando mi disse: Piacciati di re-
stare ec.j v. 24* -*• non mutò ec.y nulla si mosse , da magna-
ni me.
76 77 E scy continuando ec. Ecco come dee essere la co*
stmzione di questi due versi : Ey continuando al prim4> detto
( al discoi^so già incominciato ) , disse : se egli ( per eglino [a])
han quell'arte ec, Tarte cioè di ritornala essendone discao-
l'iati , come è detto nel 1^. 5 1 • Elli, invece d'egli y legge la Ni-
dobeatina .m-^EsCy continuando il primo dettOy^Egli àn eC.y
legge il Vat. 3 199. <-«
78 Ciò mi tormentapiùy ec. Parlare corrìspondente a queW
l'invitto animo dimostrato già nel portamento del corpo iper^
eÌ€K:chè y chiosa il Landino , chi è di tal animo , non gli è mo^
lesto tormento o morte , quanto è aper a cedere al nemico*
-^ letto appella Tinfuocato avello y in cui conveni vagli giacere.
79 80 Aia non ec.y vuol dire: non si faranno cinquanta
plenilunj ; feroechè ne' pleniluni la &ccia tutta della Luna
[ti] Vedi il CÌD.y Partic, lOi. n. 9., ed il noslto PoeUi >te»9o , luf asm.
V. 64* ed ahrova •
2^8 INFERNO
. La faccia della Donna, che qui regge,
Che tu saprai quanto quell'arte [jesa:
£ se tu mai nel dolce mondo regge, 82
che risgoarda la terrai viene dal Sole accesa » cioè illmninau.
"Donna , che qui (nell'Inferno) regge y appella la stessa Luna,
conciossiachè fingasi dai poeti esser la medesima in cielo La-
na , in terra Diana , e neirinfemo Proserpina ; e Regina j percbè
moglie diPlntonci ch'è il Re dell'Inferno.
81 Che tUf che tu stesso > saprai quanto queWarte (che
tu dicesti dai Guelfi appresa meglio che dai Ghibellini) pesa^
sia dannosa e fatale. Passi a questo modo Dante da Farinata pre-
dire le miserie che per opera de'Guelfi medesimi , tornati col-
Parte loro in Firenze ^ avrebbe provato esso Dante 9 quando di
li ad anniquattroy cioè del i3o4, dopo ch'ebbero vano riasci-
mento e la mediazione di Papa Benedetto XI. (che perciò spegli
in Toscana il Card. Niccolò da Prato) e l'ultimo tentativo dei
Bianchi uniti a' Ghibellini per rientrare nella patiìa [a] , «co-
stretto fu ad andare pel mondo ramingo.
8a E se tu mai nel dolce mondo (dolce appella FarinaU
questo mondo nostro per rapporto a quello amaro e tormen-
toso ov'egli era) regge per reggi , antitesi a cagiou della ri-
ma, e vale quanto duri^ continovi a stare. Del verbo reggere
in questo senso vedine altri esempj del Vocabolario della Cru-
sca. Questa se tu maiec. none, dice il Venturi , uniformemente
al Landino, formola condizionale <, ma deprecati\fa ; conte sa^
rebbe : dimmelo , se Dio ti aiuti ; e il senso è: così tu nel tuo
mondo una volta ritorni e rieda ; oppure : ^iV grande , e nei
supremi magistrati comandi , e prego Dio che tei conceda
se mei dici, dimmi. Regge per riedi, ritorni, spiegano anche
il Daniello , il Volpi , e il Vocabolario della Crusca nel verbo
Reddire, e per regni e comandi spiega il Vellutello pure.
Ma primieramente tra i molti esempj che abbiamo e dal
(jinonio \b\ e dal Vocabolario della Crusca della particella se
posta in luogo di così nelle formolo depi'ecative, ad imitazione
di quelle latine: Sic te Diva potens Cjrpri.'Sic tua Cjrmaeus
ftiglant ex€unina taxos ec, ninno esempio si trova , in cui al
se aggiungasi il mai , che qui se gli aggiunge ; siccome uè
[a] Memor, per la vita di Dante ^^^^ 1 1. [^'] Paiiic, aa3. la.
CANTO X. 359
anche tra i latini esempj del deprecativo sic mai gli si trova
ag<^imto Vunquam ; che per l'opposto trovasi bene spesso uni-
to al condizionale : si unquani in dicendo fuimus aliquidj si
unquam alias fuimus ec»
Poi regge i o reggi y è da riedi troppo distante ; e regge 9
per regnare , è gìh detto nella con ispondente rima : e sebbene
innisi aver Dante colla medesima parola al medesimo signi-
ficato composte tutte tre le rime [a] , mai però non si tixi^ a
che ne componesse due solamente .
Tali difficoltà da questa paite incontrandosi, e chiaro es-
sendo dall'altro canto cne y per soddisfare alla richiesta di Fa-
rinata , non abbisognava altro se non che reggesse , durasse,
Dante tra'vivì , non pare che possa né la particella se preci-
dersi in altro senso che di condizionale , ne il verbo reggere
In altro senso che di durare . «-^ Qui Biagioli dimostra che
la particella se non è già semplice condizionale , ma voce di
desiderio e di preghiera ; che Tal tra mai è l'elemento di un'e-
spressione ellitica equivalente ad una delle st^guenti manie-
re : in modo da durar sempre , da non mai auer termine ecy
(* che è destinata ad esprimere 9 con energia ad ogn'altra di-
Impari j l'intensità e la dm*ata dell'azione. Cos) le parole del
testo, H se tu mai ec, sono da lui tradotte in queste : se io
desidero che tu regge nel mondo dolce , e che tu non ceda
mai air impeto nemico , dimmi in ricambio ec» Hegge^ lic.
poet. per reggi o regga , che ha per oggetto il nome l« àot«
tinteso. Dicesi che uno non può reggere , quando non ha foi'ze
bastanti per resistere all'urto di forze maggiori ed avverse .
— Il Landino, il Daniello ed il Volpi spiegano regge per ri«
forni. Ma oltre la novità del verbo reggere per ritornare i
rlic nou ha esempio , esclude un tale significato il predire che
ià Farinata a Dante del suo esilio , per cui fa bisogno che ri-
ti imi al dolce mondo. Regge dunque sta qui ^per regga , cioè
governi I come già avea fatto prima d'esser cacciato da Firen'
s** ; e quel modo di dira non è già condizionato , ma depreca-
ii\o come^tf Dio ti salvi ^ secondo che nota il Landino. To-
■ELLI. 4-0
Che poi, per ultimo , parli Farinata così, cioè dubitati-
vamente , ciò combina con quanto egli stesso poco sotto dirà,
rlie delle cose del mondo, quando s^appressano^ o sono, nulla
rolaggiù si sa .
[a* Vedi, a cagion d'e04fin|»io, Farad, xit. 71. e sxz. 95. ^^^
a3d INFERNO
Dimuii : perchè quel {)0])olo è si empio
Inct)atr'a'iniei ia ciascuua sua legge?
Onci' IO a lui : Io strazio , e '1 grande scen)pio , 85
Che fece l'Arbia colorata in rosso,
Tale orazioQ fa far nel nostro tempio.
Poi ch'ebbe sospirando il capo scosso: 88
A ciò non fu' io sol, disse, uè certo
Senza cagion sarei con gli altri mosso;
Ma fu' io sol colà, dove sofferto gì
Fu per ciascun di torre via Fiorenza ,
8?( 84 sì empio j sì crudo e inesorabile , perchè mai non si
rimetteva pena y o concedeva benefizio ai Ghibellioi , che gli
Ubfiti (casato di Farinata) non ne fossero esclusi. VEVTrai.
85 86 lo strazio , e U grande scempio, - Che ec, la scon-
fitta per tua cagione sofferta dai Guelfi a Monte Aperto, tale
che, scorrendo a rivi il sangue in quel fiume Arbia^ fece ros-
aeggianti le di lui acque.
87 Tale orazion ec. Riferisce Gellio che M. VarronedboiuV,
eonftrmasfitqueynisiinlocoperaugures constitìOo^quod tem^-
ptum appellaretur ^ senatus consultwn facium esset, iustum
id non fuisse : propterea et in curia Hostilia , et in Pam--
peia 9 et post in lidia fCum profana ea locafuissent, tempia
esse per augures constituta [nj. Curia, dice però anche (li-
cerone, est sedes et templum publici consili [6] . Allusiva-
mente a cotal latino costume , dui'ato in Fiorenza medesima
fino a circa il 1 282, che i magistrati e i consigli per le chie^
se coni^enissero \c\ , potè Dante appellar tempio la fioren-
tina curia ; e sul volgare intendimento di tempio per chiesa ,
scherzevolmente appellar orazione gli stabilimenti in ess9L fat*
ti. •-> 11 Postillatore del cod. Angelico dice a questo verso: in
illa curia quae erat prope palatium dominorum. E. R. 4-«
88 il capo scosso , effetto d'iracondia, m^ mosso y ha l*Ang
E. R. «— e il Vat. 3i^.4Hi
89 al 93 ^ ciò non ec. Risponde Farinata , e dimostra Tin*
giustizia di quel procedere contro della sola sua schiatta pev
[a^ Lib. 14 cjip< 7. [b] Prò domo sua. [c\ Machiv^., Slot. lib. a.
«^•1
CANTO X. i3i
Colui, che la difese a viso a}>erto.
Deb se riposi mai vostra semenza, 94
tre capi. Primo y perchè alla suddetta impresa non fu egli solo
Fìoi-entinoy ma fui'onvi altri seco 9 alle famiglie de* quali però
non veniva fatto lo stesso mal trattamento cne alla sua. In se-
condo luogo 9 perchè se procurò egli quella rotta a' Fiorentini
Guelfi 9 ne aveva qualcne ragione, da che ei*a egli pei* opera
loro fuoiTiscito [a] . In terao luogo finalmente , perchè dopo la
rotto di Monte Aperto ( riferisce il Vellutello da Giovanni Vil-
lani [b] ) tornati i Ghibellini in Firenze i fu fatto ad Empoli
un general consiglio , ove intervennero gli ambasciatori di tutte
le città e terre Ghibelline di Toscana ; nel quale ultimamente
fu concluso che per ultimo estenninio de' Guelfi si dovesse
rf>\ inare Firenze, acciocché gli avversar) non avessero mai più
speranza di rìtoiiiarvi; e solo P'arìnata e con detti e con fatti,
ora pregando ed ora minacciando, s'oppose a tanto miserabile
sentenza, e costrinse ciascuno a rìvocarla. a-^Ecco come nana
brevemente questo fatto l'Antico citato nell'E.F.cc A stanza del
» conte Giordano, ch'era per lo Re Manfredi in Toscana, dopo
» la sconfitta di Montapcrti si fece parlamento a Empoli ; donde
» lutti gli Ghibellini induceano il detto conte a disiare Firenze;
» se non che Mess. Farinata si oppose con tanto animo e vigo-
» re, che lo difese contro a tutti, e il conte assentie a lui. »4-«
sofferto - JFu per ciascun , invece di soffrì ciascun , e uitendi
de* fiorentini Ghibellini; che quelli d'altri luoghi non sola-
mente sofirivano, ma istavano di torre via Fiorenza y di to-
glierla di mezzo, di atterrarla . •-> San za cagion con li altri
sarei mosso j l'Antald. E. R. e il Vat. Sigg. - jFi/^erci<JJCtt-
no di ter via Fiorenza , ha il cod. Antald. - difesi y al v, g3.,
legge TAntald. E. R. - e il Vat. 3 1 99. 4-«
94 ^^ riposi mai vostra semenza . Questa ancora , dicono il
laudino e il Venturi , essere formola deprecativa , come dissero
poco anzi quella del m. 82. Così il Cielo ( ecco 1* inteipretazio-
ne del Venturi) dia una volta pace alla vostra discendenza.
Ma qui pure contrasta lo stesso meii^ che ivi è detto ; e capi'«
remo che il se vi può stare come condizionale, seintendere*
roo che, usando Dante dell' ellissi , parli cosi invece di più este-
samente dire: Deh Farinata , se mai , al preveder vostro , sia
[a] Tedi Landino e Velltitpllo. [b] Cron, lib. 6. S3.
ti3i INFERNO
Prega' io lui, solveieriii quel nodo,
Che qui ba inviluppata nua sentenza*
E' par, che voi veggiate, se ben odo, 97
Dinanzi quel che 1 tempo seco adduce ,
E nel presente tenete altro modo.
Noi veggiam come quei eh* ha mala luce 1 00
Le cose, disse, che ne son lontano;
Cotanto ancor ne splende '1 sommo Duce:
Quando s'appressano, o son, tutto è vano io3
un dì per riposare %^stra schiatta , deh in grazia di tale ri-
poso solvelemi ec. «-^Biagioli, disapprovando la chiosa del
Lombardi , spiega (juesto verso QOSÌiDeh , csclaroazione depre-
catiS a che vai quanto , io ti prego , io ti scongiuro , se riposi er.^
cioè , se io desidero che la mostra semenza riposi, - qui mai
vale in alcun tempo j quando che siaj un giorno y ec,4rm
96 96 solveteìni (/uel nodoy Che ec,^ scioglietemi quella
diflicoltà che m'imbroglia il capo*
97 Elpan vale e/ quant'e^/i, avverbialmente posto. Vedi
Cìaou., Parti e. i o i. 1 5. — je ben odo per se bene capisco •
»-^ Cosi leggeva e chiosava il Lombai di . Malgi^ado ciò » II* par
ci piace leggere con tutte le edizioni diverse dalla Kidob. - Et
poi 9 dice il Biagioliy é sincope di elloj siccome e' à^egliy e
sarà sempre pronome 9 né potrà mai esser posto avverbial-
mente, siccome vuol suppoiTe il Lombardi. ♦-«
98 Dinanzi, prima che &y\eugSL , '•^ quel che *l tempo seco
adduce y mena seco 9 in sua compagnia.
91) E nel presente tenete altro modoy vale quanto, e nel
presente non i^edete.
I ooqueiy nominativosingolarC) accorciamento di ^ueg-Zi: vedi
Cinon.y Par tic. 2 1 4* 7- — mala luce , per mala vista; e intende
la vista del vecchio 9 che vede meglio da lontano che da vicino.
\o\ 9^ che non son lontano y legge il Vat. 3 1 99; ma forse
per errore del copista o di stampa : tale crediamo anche il C€>^
tantanto del verso che segue nel codice stesso . «-«
1 02 Cotanto ancor ec, di tanto continua Iddio a darci lume.
I o3 I o4 tutto è vano ^Nostro 'intelletto , noi non sappiamo
più niente, -no/ ci apporta , legge la Midob. ; non ci apporta »
CANTO X. a33
Nostro 'ntelleuo, e scaltri noi ci ap}K)rta,
Nulla sapecn di vostro stato umano.
Però comprender puoi che tutta morta 106
Fìa nostra conoscenza da quel punto,
Che del futuro fia chiusa la porta .
Allor, come di mia colpa compunto , lo'^
Dis5*io: ora direte a quel caduto.
Che '1 suo nato è coi vivi ancor congiunto.
E s'io fu' dianzi alla risposta muto, 113
Fat'eì saper, che '1 fei, perchè pensava
Talu^ edizioai •-» e TAntald. E. R. 4-« Per raccontare e pò*
stillare i fatti già accaduti ia aria di profezia, attribuisce a'dan-
nati questa prescienza delle future cose ; la quale però igno-
bilila e tronca circa le cose presenti a doppio fine ; e per diP-
f(!renztare anche in questa parte i dannati dai beati , e per mag-
giormente promovere il dialogo tra essi e lui y che delie cose
presenti poteva, come fa, istruirli.
loS tutta morta ^ affatto spenta; oscurata •
1 07 I od da quelpuntOj "Che ec.^ dà quel punto che finirà il
tempo, in cui solo vi è il futuro, dopo iidi del finale giudizio.
1 09 di mia colpa , di aver tardato a rispondere a Cavai-
caute, come ne' versi 70-71.
I I o Diss" ioì ora direte a quel caduto 9 cosi la Nidobeati--
na ; e Taltre edizioni » Dissi : or direte dunque a quel caduto*
- quel caduto , Cavalcante Cavalcanti • Vedi il v^^j^.m^ L'An-
taid. legge, DissUo: or dite dunque* E. R. — Il Yat. 3 199.
Dissi : or dicerete dunque a quel caduto . Il dicerete , che ac-
cresce il verso di una sillaba, sarà pur qui errore del copista. 4-«
I I I Che 7 suo natOf suo figlio Gudo. »^è tra^vtuiy leg-
ge il Vat. 3199. 4-c
1 12 dianzi f poco fa, — alla risposta mutOy muto al ri-
spondere che da me aspettava •
1 13 1 14 Potrei saper f ch^il feciy eh* io pensala j così la
Nidobeatina; e l'altre edtz., Fatei saper ^ che 'l feij perchè
pensai^a . £1 ^ per a lui , che adopera Dante qui ed altrove [a J,
[«] Piirg. SII. 83., Par. xxix. 17.
!i34 INFERNO
Già neirerror, che m'avete soluto.
£ già '1 Maestro mio mi richiamava: 1 15
Perch'io pregai lo spirito più avaccio,
Che mi dicesse, chi con lui si slava.
Dissemi: qui eoa più di mille giaccio: 1 18
Qua entro è lo secondo Federico ,
E '1 Cardinale, e degU altri mi taccio:
dee essere il latino et. »-^La lezione Nidob. di questo verso
è dal Biagioli reputata guasta; quindi piace a noi pure di ìv^-
gere con tutte le altre edizioni, Fat^ei saper ^ che 7 fei^per^
thè pensava, - Cosi pur legge l'Ang. E. R. - e il Vat, 3 igg.^-^
Già neWerrorj nella difficoltà ch'erroneamente m'era insor-
ta, cioè, come mai non sapeste voi le cose presenti , mentre
predicevate le future ?
1 iSpiù aitacelo, pili spacciatamente, con maggior prestezza.
Vedi il Vocabolario della Ciiisca che ne dà altri esempj. m-^più
avaccio si riferisce a Dante, non a Farinata. Torelli. «-«
1 1 7 »-► con lui stava , TAng. E, R. — e il Vat. 3 1 99. <-m
1 19 Federico secondo, Imperadore, figliuolo d'Arrigo V,
e nipote di Federico Barbarossa, fu Gerissimo persecutor dell»
Chiesa, e perciò posto da Dante fi*a gli eretici. Volpi. m-¥ Di
costui cosi parla r Antico, ci tato nell'E. F. ce Federigo li. sep-
» pe latino e greco e saracinesco ; fu largo , savio e proM'ar-
» me; fu lussuri oso 9 sodomita e epicurio: fece a ciascuna ca-
a> Dorale cittade di Sicilia e di Puglia un forte e ricco castello;
» il castello di Gipovana in Napoli, e le torri e ponti sopra
» il fiume del Volturno a Capua ; il luogo deiruccellagione al
?> Pantano di Foggia ; quello della^ cacciagione a Granvilla e
w Amalfi; Io castello di Prato ; la Rocca di san Miniato ec. »>
*- Di quest'Imperatore parla il Villani nella sua Storia (lib. 6.
e. I. ec). E. F. — dentro , ha il Vat. 3 199. 4-»
1^0 EU Cardinale. Accordansi tutti gli scrittori, e massime
i vicini ai tempi di Dante , ch'egli intenda del Caixfinal Otta-
viano degli XJbaldini , il qual ceito fu uomo di gi-an governo
e d'animo invitto, ma di vita e di costumi piuttosto tii-amiHi
che sacerdotali , e tonto favorevole a'Ghibeliini , che non curo
di far contro l'autorità pontificale in aiuto di quelli. Da' quali
poi non sovvenuto in certi suoi bisogni , disse me, se anima è,
CANTO X. i35
Indi 9* ascose; ed io iover l'antico iii
Poeta volsi i passi, ripensando
A quel parlar y ciie mi parea nemico.
£gli si mosse; e poi, cosi in andando, 124
Mi disse: perchè se' tu sì smarrito?
Ed io gli soddisfeci al suo dimando.
La mente tua conservi quel ch'udito 127
Hai contra te, mi comandò quel Saggio,
Ed ora attendi qui; e drizzò '1 dito.
Quando sarai dinanzi al dolce raggio i3o
egli l'aveva perduta per i GUbelIini ; le quali parole lo dimo*
straroDO epicureo .... né era chiamato aJtrìmenti che Cardi-
nale ; ed ogni volta che si diceva, il Cardinale dice o fa , si in-
tendeva di lui. Landiuo. — Per la medesima antonomasia adun-*
que non lo appella Dante piii che il Cardinale .
lai antico '^Paeta^ Virgilio, perocché stato secoli più di
dodici prima di Dante •
1^3 nemico j perchè gli aveva detto Farinata che sai*ebbe
discacciato di Fiorenza ; che fu quello : Ma ìwn cinquanta
volte fta raccesa ec. Daniello.
I ^4 135 così in andando , la Nidob.; e così andando , Tal-
tre edizioni, s-^e il Vat. 3199. — "^ disse ^ in luogo di Jm
disse j legge lo stesso codice al 1^. i25. 4-c
19.9 attendi qui per attendi a me. s-^Qiii, dice il Bia-
gioli , è avverbio di luogo, e Virgilio invita Tattenzione al luo-
go , perchè in esso dirà le cose . ^ « drizzò 7 dito , spiegano
comunemente i Comentatori, per a%^ertir con quest'atto Dan^
te a fare attenta riflessione a ciò che era per dirgli . Per
altro quest'alzamento di dito , per richiamare ad un'attenzione
verso uno che parla, forse non soddisfarà a molti. A questi si
offre nn poco meno astrusa la nostra variante: Et ora attendi
a cui io drizzo 7 dito , forse al Cielo , forse verso Beatrice ,
di COI subitamente dopo parla . Il lettore riflessivo e spassio-
nato non stenterà forse molto ad ammettere questo secondo
sentimento. » Poggiali. 4-c
1 3o 1 3 1 a/ dolce raggio <- Di quella ec, al beatifico splen-
dore di Beatrice che> come beata, in Dio vede tutto.
a36 INFERNO
Di quella, il coi beli' occhio tutto vede,
Da lei saprai dì tua vita il viaggio .
Appresso volse a man sinistra il piede; i^'\
Lasciammo il muro, e gimmo ìnver lo mezzo
Per un seniier, eh' ad una valle fiede,
Che 'ufin lassù facea spiacer suo lezzo .
1 3a Da lei saprai ec» Supponendo il Venturi iropmtar qne*
sto parlare che risaper dovesse Dante per bocca della stessa
Beatrice il ^i^gio, il decorso di sua vita, e trovando nel Pa-
radiso ^ xTii. 4^. e scgg.y che non Beatrice i ma Cacciaguida, il
trisavolo di Dante, è quello che glielo disvela, passa quindi a
tacciare il Poeta di smemoraggine . Potendo però il €Ìa lei va-
lere il medesimo che appresso di leij in compagnia di lei [/i],
perchè vorrem noi piuttosto appigli aixi^allo sconvenevole sen-
so del Venturi ?
1 35 ftede da fiedere , verbo sinonimo di ferire , qui però
per puntare , per metter capo . m^ in una valle , ha il codice
Ang. E, R. "ftede^ cioè va a terminare a quella valle, spiega
il cav. Monti nel voi. 3. P. i. fac. 1 1^* della Proposta. <^
i36 9h¥ Quassù ed olezzo , ha il cod. Ang. E. B. ««hp
\à\ Paò la mrticellR da adoprarsi in luogo della a ,t\%a per appretso
o con. Vedi il Yocah. della Or. e Ginon.y Parile. 4. 7. e la. cap. i.
asr^i^s^
CANTO XI.
ARGOMENTO
Jrriva il Poeta sopra l* estremità di un alta ripa del
settimo cerchio, ove, offeso molto dalla puzza che
ne usciva , vede la sepoltura di Papa ylnastagio ere-
tico, E quivi fermatosi alquanto y intende da Fìi^
gilio, che ne* seguenti ire cerchj che hanno a vede-
re, è punito il peccato della violenza j della fraude^
e della usura* Indi gli dimanda la cagione , per cui
dentro la città di Dite non sono puniti i lussuriosi ,
i golosi, gli avari, i prodighi e gl'iracondi. Jp
presso gli chiede come la usura offenda Dio . Ne
vanno alla fine i due Poeti verso U luogo , onde in
esso settimo ceìrhio si discende.
in SII restremità d' un'alta ripa, i
Che facevan gran pieire roiie in cerchio,
Veni ni ino sopra più crudele stipa :
1 JCuxCalta ripa , terminante il cerchio degli eresiarchi , e
rìs^uardante sopra quello de* violenti. m-^cUtrUy ha il codice
Angelico. E. R.^Hi
2 Che faceuan gran pietre rotte in cerchio , che compo-
iic\aao in giro grandi pieUre stagliate y e piene di sfenditure .
*■* Che faceva gran pietre ec, malamente legge il codice Va-
ticano 3i99.4-«
i stipa f stipamentOf ammassamento, intendi d'anime dan«
nate; e piti crudele ^ perocché fassi in maniera più penosa. Il
Boti y citalo a qnesta voce nel Vocabolario della Crusca, spiega:
ifipof cioè ucpe che chiude e circondai e viene questa di
\
a38 INFERNO
E quivi per Y orribile soperchio 4
Del puzzo , che 1 profondo abisso gitta ,
Ci raccostammo dietro ad un coperchio
D'un grand' avello, ov'io vidi una scritta , 7
Che diceva: Anastasio Papa guardo,
Lo qual trasse Fotin della via dritta.
lui interpretazione seguita dal Voi pi .Senza necessità però d
uo a questa voce un senso, di cui non si trova alti*o esempio i
e in tempo che stipa ad evidente senso di ammassamento ado-
perala Dante stesso in questa cantica , e. xxit. 82. :
E vidivi entro terribile stipa
Di serpenti ec.
4 soperchio , eccesso : vedi il Vocabolario della Crusca cht
ne pone esempio d'altri buoni scrittori anche in prosa.
6 Ci raccostammo , al luogo, intendi , degli eretici, che \af
sciavamo. »^'nJ<err*a un coperchio j legge il Vat. 3 ic^-^oc-
costare j quando non dimostra reiterazione di azione, accenna
un certo sfono, o fatica, o pena, che accompagna l'azione.
BlÀOlOLI . 4Hi
7 D'un grand*avello , ec. Dimosti*a Favello essere stato più
grande degli altri, ed aver avuto la scritta (T inscrizione) so*
pra di esso, il che gli altri non avevano; avendo rispetto alla
grandezza ed autorità del Papa , il quale , come vero Vicario di
Cristo e come capo della religione , dovrebbe aver più fede che
ciascun' altra qualsivoglia cristiana persona. Daniello. »-^>el
sepolcro d'Anastasio Papa vi è una scritta, a distinzione degli
altri ; e ciò va bene , perchè , secondo Giovenale ,
« Omne animi vitium tanto conspectius in se
» Crimen habet^ quanto maiorquipeccathabetur.n E. F. «-«
8 9 Anastasio {Antzstagio , 1 edizione della Crusca e le se-
gnaci) Papaguardo^^Lo qual trasse ec. De eo (avvisa Natale
Alessandro di questo Papa Anastasio, che è il secondo , e non
il quarto, come sbaglia il DRuiello) scribit libri ponti/tcalis
atictor ( Anastasio Bibliotecario . Vedilo nel num. li. ) multos
rlericos eius communionem eiurasse , quod inconsultts Epi*
scopis et Clero y Photino thessalonicensis ecclesiae diacono
eommunicasset j qui communionis jicacii retinentissimau
e rat ; et quod Acacium clandestinis censi liis revocare de*
CANTO XL a39
Lo nostro scedder conviene esser tardo , iq
Si che s'ausi in prima un poco il senso
Al tristo fiato y e poi non fia riguardo.
G)sì 1 Maestro; ed io: alcun compenso, i3
Dissi i'ui j trova , che 1 tempo non passi
Perduto; ed egli: vedi eh' a ciò penso.
Figliuol mio, dentro da cotesti sassi , i6
erwisset • Quarti ob caussam diinnitus percussus est. Sed
kanc fabulam diserte refellit annaliunh ecclesiasticorun^
parens [a].
~* Dobbiamo però noi in questo luogo osservare , insieme
col diligendssimo siff. Poggiali j che ninno de*quattro Pontefi-
ci, quali portarono di Anastagio il nome , fu contemporaneo
di rotino j e molto meno infetto degli errori di lui: arguisca
egli, coi{>iii sensati Comentatoriy cne Dante, già indisposto
verso la Corte di Roma, si lasciasse illudere dalla mal digerita
Crouica di Fra Martino da Polonia , che confondendo jinasta^
sto /• Imperadore con uno de*Papi Anastagi , attribuì ad uno
di questi Terrore , di cui quello fu pm* troppo macchiato. E. R.
-ideila "Via dritta {delta per dalla) , dalla retta fede. »-^A
qaesto luogo il Biagioli chiosa : e* Dante profitta con piacere
sdeirerrore d'alcuni del suo tempo, nato per equivoco U-a
» Anastasio Papa e Anastasio Imperatore, che fu U veramente
«sedotto da Potino diacono tessalonicense, discepolo d'Aca*
» ciò , vescovo eretico . •> «-«
Illa sfatisi in prima un poco il senso y legge la Nidob.;
e un poco prima il senso , l'altre edizioni . Ausare vale av^
vezzare. sfiato qui per esalazione . -e più non fia y la Nidob;
e poi non fia , l'altre edizioni. s-^Il Biagioli dice che i due passi
eguali in prima y un poco della Nidob. guastano IWmouia del
>erao . «-^ Sembra però al rom. Edit che quelFiin poco prima
dell altre edizioni sìa indicazione di tempo, e vogUa significare
un poco avanti. •* Il Yat. 3 199 legge però come ràltre edi-
zioni, un poco prima. — poi non fUty leggiamo noi col^*al«
tre ediz., e coi codd. Ang., Antald., E. R., e Vat. 3 199» -* AI
Biagioli sembra guasta la lezione di Nidobeato , e sostiene la
,M^ ffffJl. *-«r/ Kiicc. 5. 4'ft|i. i.Mrt- II.
a4o INFERNO
. Cominciò poi a dir, son ire cerchietti
Di grado in grado, come quei che lassi.
Tutti son pica di spirti maladetti: 19
Ma perchè poi ti basti pur la vista ,
lateudi come, e perchè soo costretti.
D'ogni malizia, ch'odio in Cielo acquista , 21
Ingiuria è il fine, ed ogni fin cotale
comuae chiosando: E poi (intendi) che il senso si sarà usato
ai tristo fiato , non -fia riguardo che ci trattenga . 4-a
17 son tre cerclùetti^ cioè tre parti generali deli'Iuferuo,
che loro rimanevano a vedere ; ma dice cerchietti y a differenza
dì quelli che avevano veduti j a dinotare che quelli ver la sa-«
pcrficie della terra erano molto piti larghi ed ampj , e questi
molto meno, per essere piii vicini al centro univei^sale (cioè
pi il vicini alla punta della conica infernale buca). Dari£|.x.o.
Vedi anche la nota al verso a. del v. passato canto .
20 ti basti pur la i^ista : pur vale qui solamente , e vuol
dire: acciò andando innanzi ti basti di solamente guarda-
re f senza chiedermi altra contezza .
9 1 costretti ( intendi I prefati spiriti ), cioè stretti insieme ,
insieme rinscn^ati in questo fondo dell'Inferno , giusta l'oii-
ginario senso del latino constringo , che significa smiul strin^
go. Con et cum (scrive Roberto Stefano) idem signi ficani :
sed cum fere separata ; con vero semper composita reperì-
tur, et significat simul fa] . E la ragione di essere quegli spi**
riti costretti in fondo dell' InfeiTio è, come seguirà adiiv, p(*r
convenir tutti nel genere di maliziosi, m^costretti , cioè strei'^
tiy stipati, ammassati , corrispondentemente alla crudele sti-
pa detta di sopra, intende anche il cav. Mohti [^J-**-*
aa D'ogni malizia, ch'odio in Cielo acquista, cioè d'ogni
tiìalizia propriamente detta e peccaminosa; a differenza di quel-
la , che meglio direbbesi prudente ripiego, che praticarono al
bisogno anone i medesimi Santi . »-^ acquista, cioè ottiene, si
procaccia. Così il cav. Monti [c\ e V K. F. ••-•
a3 24 Ingiuria è tifine, qualdie atto ingiusto ne è lo scopo;
[a] Thesaur. iing. lai,, art. Con. [0] Prop. voi. i. P. n. fac i^B,
[il Ivi, fac i5. ^
CA^TO XL 341
O con forza, o cod frode alimi contrista .
Ma perchè frode è dell^uom proprio male, 2 5
Più spiace a Dio; e però stan di suUo
GII frodolenti, e più dolor gli assale.
De' violenti il primo cerchio è tutto: !i8
Ma percliè si fa forza a tre persone ,
In tre gironi è distinto e costrutto.
A Dio, a sé, al prossimo si puone 3i
Far forza; dico in loro, e in le lor cose.
Come udirai (jon aperta ragione.
^fdogìii /fn cotale ec^ vuol dire che ogni ingiuria 8eni|ire
«a a contristare alcuno o con aperta violenza ^ o con occulta
fnide. Tale divisione della ingiuria (avverte molto bene il Dn-
uiollo ) fa eziandio M. Tullio nel primo libro degli Offcj dictni-
dn : Cum atttem duobns modis^ idest ani ^n aut fraude fiat
imuriaf frans quasi vìdpcculae >, ans leonis videturc utrumque
(iHenissimNìiè ab homine esty sedfraus odio digna maiore etc.
3j frode è deiraonh proprio nude , conaistcrndo non ( come
U violenza ) iieirabuso delle forze che ha con gli altri animali
cmnuni, ma nel! abuso deirintellettoedella ragione» dote sua
pniprìa. VETfTuai.
'^(> .ru/zo, ad imitazione del latino subtusy per sotto i antitesi .
3o /» ire gifoni è distitUOj e costrutto* in tre circolari ri-
nHtacoli eoncentriei , cioè uuo cerchiaute Talti'Oye l*alure l'alti'o..
3i pHone por puòy iu rima. Volpi. Il Ciuonio però ne 1»
<*'ipin? di avere trovato a questa,, e ad altre voci terminanti in
aarnto, aggiunta per ripeso della prommzia la ne anche fuor
di'ilarima, quantunque di rado [aj.
3') iì in loro vale nelle persone loro* Diversamente dalla
Mdnheatina leggono Taltre edizioni , in sé y ed in lor cose^ a^e
^'tHl logge il Biagioli chiosando: et il nome sé indica meglio la
» personali ita y e dà al verso miglior suono. » -^ Il Vat. 3!C)C)
'«•Kge, Far forzai dico in loroj et in lor cose,*^ aperta ro-
^"i'ie, per chiaro divisamento; b-> e per chiara e ragioitata
(liftk)sirazione. Biagioli. «-«
l«ij Parftc, 177. •j4.
/W. /. 16
\
24^ INFERNO
Morte per forza, e ferule dogliose 34
Nel prossimo si danno; e nel suo avere
Ruine, incendi, e collette dannose:
Onde omicidi, e ciascun che mal fiere, 37
34 Morte per forza, ec. Avendo dichiarati^ che si può osare
maliziosa violenza a Dio, a sé ed al prossimo, incomincia qui
a parlare della violenza contro del prossimo, come quella che
giudica il meno male, e vuole perciò collocata piix in su* E lo
stesso metodo tien poi in seguito in altre suddivisioni.
35 Nel prossimo si danno , nelle persone del prossimo si
effettuano .
36 collette dannose , legge la Nidob. , invece di toilette dtin^
nose, che leggono tutte raltre edizioni ; e colte j eh' è voce sin-
copata e sinonima di co//elte, ripete pure il comento della stessa
Nidobeatina. Colletta , come con esempj ne mostra il Vocabo-
lario della Ci*usca, significa , tra le altre cose, aggrat^io , impo»
sizione, rappresaglia, eh' è ciò appunto che qui si conviene;
e r epiteto di dannose vieppiii ve io stabilisce . Di toilette aK*
l'opposto non si riferisce nel Vocabolario della Crusca altro
esempio, che questo stesso di Dante; che perciò può giusta-
mente riputarsi errore di seri ttm'a. •-►Biagioli trova ammissì-
bile la lezione di Nidobeato, ma legge coi piii toilette, chio-
sando: che questa parola viene da tolte, adoperato a modo dì
sustantivo, dicendosi dai Toscani : ella è stata per me una buo"
na tolta, quando uno ha comprato alcuna cosa e n'ha avuto
buon mercsiio. "Toilette dannose è Tistesso che maliolte, dal
latino barbaro malatolta, che vale furto, estorsione^ ài che vedi
Du-Cange, Diz, lat. barò. E. F. — 11 Vat. 3199 legge , to/-
lecfe.*-^
3y omicidi, leggono parecchi testi veduti dagli Accademici
della Cr. [a] ; ed omfcìdii, invece à!onUcidì , dee per errore di
stampa leggei*e la Nidobeatina. Gli Accademici hanno scelto non
ostante pel loro lesto la voce omicide. 11 plurale di omicida,
ossia onùcidiatio, è quello che qui il giusto senso evidente-
mente esige ; e il plurale di omicida non è comunemente omi^
cidc , ma omicidi ^ come di Papa , poeta ec* non è Pape e
\a\ Vr<li 1.1 Ta\fola delV autorilà de'' testi nella edizione degli Ac-
cacl. (Iella Crusca e ucUa Coiiiiuiuijii •
CANTO XT. a43
Guastitori, e predon tutti tormenta
Lo gìroQ primo per diverse schiere.
Punte uomo avere in sé man violenta, ^o
E ne suoi beni ; e però nei secondo
Giron convien che senza prò si penta
Qualunque priva sé del vostro mondo , 43
porte^ ma Papi e poeti, E sebbene i Inf. ix. laj., dica Dante
in nmA eresiarche per eresiarchi, e Inf. xix. 1 13. idolatre jxt
idolatri j perchè qui fuor dì rima vorrem noi piuttosto omicide
c\ìc omicidi? Adunque Onde omicidi , e ciascun che mal fiere
l«'^gepera noi 9 e intenderemo valer quanto , Però omicidiarj ,
<• ijualunque ingitLffamenle ferisce altrui — * Il cod. Giss.
I«';;^M», omicida. r"Il !*• Ab. di Costanzo riflette qui saggia-
mcnle che fl senso di Dante non sembra esigere il plurale di
<w/aV//i, come pretende il P. Lotiibardi, ma piuttosto il singo-
lare, seguendo un altix) singolare, e ciascun che malftere^ E. R.
•^ Il cod. Vat. 3 1 gg J*'gge > omicide . •*-•
38 Guastatori y e predon; predon invece di predoni dice
|»T apocope. Guastatore^ chiosa il Volpi, chi dà il guaito
alle catnpagne ; troppo però limitatamente , impt^roccliè ccutì-
5{K)iide al latino vasto e vastator , che non solo delle campa-
f,'w, ma delle città e delle di lei parli si dicono: Troiae vasta*
t'^r j4cfulles f«J.* vastare omnia ferro et incendiis [A]. G//«-
^fatoriy dice bene il Daniello, corrisponde a quel mine e in*
<fnfli; e predon a quell'altro toilette (come anch'esso legge
ìnvi»cedi collette) dannose. Si diversifica pt»i H guastatore dal
l^'rdoncj che il guastatore non intendo ad altro che a distrug-
i;»*re, e il predone ad appropriarsi l'altrui roba, e Tuno e lal-
tro però con aperta violenza, e non con occulta frode, come fa
il ladro .
^\) per dii^erse schiere j cioè guastatori con guastatori, ^Vi>-
<Ì«ui cc»n predoni ec, quantimque nel girone medesimo .
^a senza prò , legge la Nidobeatina ; sanza prò , Taltre edi-
l'uiì: pentii-si senza prò vale quanto pentii*8Ì senapi ottenere
a «uno alleggerimento alle sue p<*ne .
1> del vostro mondo , dice Virgilio a Dante, perocché Dante
/^ SlJt. Achitt. a. [b] «:ic. i. i:i Catti.
244 INFERNO
Biscazza, e fonde la sua fliciiltade,
E piange là dove esser dee giocondo.
Puossi far forza nella Deilade, 4^
Col cuor negando e besleminiaudo quella,
era ancor vivo ed apparteuente a questo mondo ; e prillar sé del
mondo vale qui lo stesso che uccidersi da sé medesùno .
44 Biscazzare (da bisca o da &f!f cazza, peggiorativo di bi-
sca, luogo dove si tiene giuoco pubblico) dee valere lo stesso
die frequentare la bisca, osiuocare; ed è verbo adoprato an-
elle da altri buoni scrittori. Il Vocabolario della Crusca Biscaz"
zare spiega giuocarsi il suo a^ere^ lai* pecuniam prodigare f
indo profondere; e tra gli altri reca in esempio il presente
passo di Dante .
Ma il presente passo appunto ne (a meglio capire che bi-
scazzare non significhi pi-opria mente se non frequentare la bi-
sca , 0 giuocare ; imperoccbè sarebbe superfluo che al biscizzza
sì aggiugnessee fonde la suafacultade. Biscazza ^ adunque,
e fonde sua facultade valer dee lo stesso che frequenta /a bi-
sca j e dissipa il suo attere.
45 E piange là ec.c e, riducendosi in miseria , piange in quel-
la vita cne, astenendosi dal giuoco ^ dovevano le di lui sostanze
iai^li essere gioconda .
4(1 forza nella Deitade vale forza contro la Deità , cofi-
tro Dio .
47 Col cuor ec. Su di questa espressione, che ripete Dante
ancora cinque versi piii in giù, chi degli Espositori non là al-
cuna riflessione, e chi malamente l'intende. Landino, Veli utello
e Venturi capiscono che non aggiimga Dante col cuore , se non
per escludere quelli che bestemmiano solo colla bocca . Mai
no: bestemmiatala Deitade j Iddio, è attribuire ad essa qut^Uo
che non le si conviene, ovvero rimuovere dalla medesima quello
che le si conviene . Coloro adunque che la Deitade col cuore
e c(»lla bocc» bestemmiano, come eretici manifesti che sono, gli
intfMide Dante tra gli d'etici da lui nel sesto passato cerchio
collocati ; e in questo più basso luogo vuole anzi collocare tra
i maliziosi cohn'o che per umani rispetti, o per ottenere utile,
o per evitar danno , astutamente coprono la loro perv(u*sa cre-
denza con cristiano parlare. Questo adunque vuol dire Col cuor
negando ce. nel pi*esente verso, e col cuor favella nel i^. òi .,
CANTO XI. !i45
E spregiando Natura , e sua boutade :
£ però lo minor girou suggella 49
Del s^no suo e Soddoma , e Caorsa ^
E chi, spregiando Dio, col cuor favella.
Ij.i frode y ond'ogni coscienza è morsa , 5i
altrimenti a che GoUocherebbeli tra* maliziosi 7 essendo ami di
ingenuità che quanto è in bocca sia pure nel cuore •
48 pregiando Natura , e sua bonuule vale spregiando IVa-
tura^ ed i suoi ienij 1 suoi proiloiti y quanto cioè essa na-
tura somministra all'umana industria pel vitto e vestito non
rurmdoy ed applicando invece all' usura, a far fruttare il da-
naro.
^9 5o to minor giron 1 cioè il terzo , di jìvl corto diametro
degli altri due. ^^ suggella ''Del segno suo» Non accade cei^
car qui cogli Espositori uè il serrarne col suggello , né le fiam-
me in luogo del suggello : egli dee esser questo un modo di (a-
sellare preso dal costume di marcarsi gli schiavi col nome od
altra impronta decloro padroni [aj, e dee suggella del segno
suo siffnificare Io stesso che fa suoi schiatn. - Soddoma y una
e la pnncipale delle quattro città della Pentapoli nella Palestina,
*r^ con fuoco piovuto loro sopra dal cielo , in gastigo del ne&ndo
Tizio contro natura, e ponesi qui Soddoma per tutti i macchiati
di esso vizio. '^Caorsa, città di Provenza (chiosa il Volpi
Concordemente a tutti gli altri Spositori), attempi di Dante
piena d'usurai. Ma questa Caorsa nella Provenza (almeno co-
ine in oggi si limita) io non la trovo; bensì trovo Cahors (lat.
Cadurcum) capitale del Quercì nella Guienna: e questa ap«
punto, per cortese avviso del dottissimo sig. Ab. Gio. Cristo-
foro Amaduzzi , trovo avere Du-Cange inteso essersi qui dal
Poeta nostro nomata Caorsa, ed essere a que* tempi effetti va**
(Bnite stata nido di usurai [b].
5i chiy spregiando Dioy col cuor f ancella y colui (ripeto it
detto al i^. 47* ) che fintamente, per mondano utile o tema, spac-
cia credenza in Dio, ed internamente lo nega e bestemmia,
^a Za frode y ond*ogni coscienza è morsa y secondo quel
di Gcerone : sua quemque fraus , ef suus terror maxime vex€A:
W Vedi, Ira gU altri, il Laarensi , Polimaih. lib. i. diss. 8. [h] Yrdi
DaCasfe » Giotsar. art. Caorciiù .
!>46 INFERNO
Può ruomo usare ia colui, che sì fida,
E iQ quello, che fidanza non imborsa .
Questo modo di retro par ch'uccìda 55
Pur io vincol d'amor, che fa Natura;
Oude nel cerchio secondo s'annida
stittm qttemque scelus agitai [a]. Il Landino e il Vellatello,
ed in palle anche il Ventali, supponendo Ae frode possa pren-
dersi in buono ed in cauivo senso, dicono a frode aggiunger
Dante ond*ogm coscienza è morsa ^ a dinotare che parla deiU
frode rea e peccaminosa. Ma quando anche fosse il nome di
frode di cotale indiffei^nza, parlando qui Dante ddla frode ,
come di quella che ha già di sopra divisata pel secondo in<(iii-
rìoso (ine della malizia, cK*odio in Gelo acquista y sarchi )c
questa nuova specificazione superflua.
53 54 in colui y che si fida ^ l^gg^ la Nidobeatiiia ; ed in r«p^
lui, che *n lui fida, leggono Tallre edizioni »->e il cod. An^-.
E. K., e il Vat. ^ 11)9. <-« In vale qui conira [AJ. - E in fuci-
lo j che fidanza , legge la Nìdobeatin» ; Kd in quei, che ftdoit-
za ; l'altre edizioni »->e il Vat. '^ 1 99. <*-• non imborsa , per non
riceve, non ammette dentro di sé , detto con ugual propor-
zione all' irri&ei^&r^iy esempigrazia 9 "per apprendere •
55 Questo modo M retro, per quest* ultimo modo» — «r-
cida, per tronchi, tagli, foi*se riguardando l'orione del latino
occidere, ammazzai*e , da oh e caedere, che tagliare significa.
»-♦ modo diìitto, legge TAng. E. R. ♦^
56 Pur, anch'esso; — lo uincol d'amor, che fa ^aiura,
generalmente , intendi , fra gli uomini tutti ; stampgmdocì per-
ciò nella ragione quella massima : Non fare ad altri ciò che
non vuoi per te*, m-¥ vinco d'amor, ha il Vat. 3 199. — Pre-
tende il Poggiali AePur qui \BÌgn solamente, trovandolo in
tale senso usato in piii luoghi di questo poema , e qai Telato
dal contesto e specialmente dal t^. 6a. che s<^ne. In qoessi
senso lo sospetta dedotto dall'avverbio pure dei Latini , clie
nei tempi della decaduta latinità si usava per ^arameme , stn
lanu^nte . ♦-•
57 cerchio secondo dei tre che ha detti residui, i». 17.;
'^s'annida, per si rinchiude .
[a] Pro Rose. Jmer. [b] Ciooo., Pariiv, laS. 4*
CANTO XI. i47
I|)ocrisia, lusinghe, e chi affatuira, 58
Falsità, ladroneccio, e simonia,
Ruffiao, baratti, e simile lordura.
Per l'altro modo queir amor s'obblia, 6i
Che fa Natura, e quel, ch'è poi aggiunto,
""* che la fede speziai si cria:
58 Ipocrisia j lusinghe. Benchò gli uomini con questi due
Tnj non ingannino se non coloro che gli credono e si fidano ,
cmituUociòy perchè appunto gli adoperano a fine d'indurre a
fidarsi chi non si fida, fa il Poeta che appartengano all'ultima
descritta spezie di frode • - chi affattura, affatturare , far ma^
licf nuocer con fattura j latino ì^eneficiis aj/lcere (Vocabolario
della Crusca) y male anche (piesto che s'intenta al prossimo
ù^udolentemente •
ùij falsità fCT falsificazione* Si comprendono sotto questo
Dome tatti i falsificatori, de' quali vedi nel canto ixx. — £n-
droneccioy furto, qui pure tra le firodi; imperocohè/ur/o pro-
priamente appellasi quello che si fa con occulta fi'ode ; come
all'opposto riipina quella dicesi che si fa con aperta iriolenza,
e che perciò va intesa sotto il nome dell'anzidetti» co//&/fe don-*
nose. "-^ simonia f cioè regali, ossequj, servizj ec. apparente-
mente fatti per tutt'aitro fine, ma in realtà a solo fine di sedur-
re l'animo di chi può dare benefizj o dignità spirituali.
60 Rufflany accorciato a cagion del metro in vece di /t//^
faniy mezzani prezzolati delle cose i;en<;ree. Vocabolario del-
la Cr. — baratti per óitrattieri. Baratteria ( spiega il Buti , ci-
tate» io questa voce nel detto Vocabolario) , che per altro nome
si chiama maccatelleriay è vendimento, ovvero oompramento
dì quello che l'uomo è tenuto di fare per suo officio per da-
nari o per cose equivalenti*
61 al 63 Per r altro modoy cioè di frode in colui che si
fida . m-^Per altro modo , ha il Vat. 3 199«4-« quelCamor . . •
- Che fa Natura^ cioè il generale, detto nel 56.; — e quelj
eh" è poi aggiunto per particolare vincolo di parentela o di
amicizia; -» Di che la fede speziai si cria^ d'onde nasce una
spicciale fidanza tra gli uomini • Criare per creare , adoprato
da buoni scrittori in verso e in prosa. Vedilo nel Vocabolario
della Crusca.
!i48 INFERNO
Onde nel cerchio minore, ov*è 1 punto 64
Deir universo y in su che Dite siede,
Qualunque trade in eterno è consunto «
£d io: Maestro, assai chiaro procede 67
La tua ragione, ed assai ben distingue
Questo baratro^ e '1 popol, che '1 possiede.
Ma dimmi: quei della palude pingue, 70
#
64 nel cerchio minore j nel più profondo e più ristretto cer-
chio; vedi la nota al (^. a del t. passato canto. -oi^* è V punto
- Deir universo y in mezzo al quale sta il centro , Yerso coi ten-
dono tutti i gravi.
()5 in su che Dite siede. Dite appella Dante Lucifero [n]^
e fa nell* ultimo di questa cantica posatasi di fatto Lucifero sul
centro della terra , colla metà della vita sopra di esso e la mela
sotto. Il Volpi per Dite intende qui T Inferno. Ma se Dite ap-
pella Dante Lucifero, e lo fa realmente sedere sul^unlo del*
Punit^ersoj a che cercar altro? Tanto più che, nel senso in
cui può dirsi sedere V Inferno sul centro , può ugualmente dirsi
di tutta la terra. a-^Dante, come apparisce dal e. viii. i^.Gy.-AH.
di questa cantica, chiama Dite tutto quell'ampio spazio d* In-
ferno che rimane compreso dentroalla palude Stigia e alle mura
che lo circondano, il quale sempre degradando» va ad appuu-
tsarsi al centro della terra : onde sbaglia il Lombardi nel ere*
dere che Dante chiami qui Dite Lucifero, forse ingannato dalla
voce siede , che deve interpretarsi ha il suo appoggio e il suo
sostegno nel punto dell* universo, che chiamasi centro. E. F.- Il
Biagioli prende ^li pure Dite per Lucifero , chiosando che qui
il siede sta al senso di iwer seggio , e non già di sedere • ^-c
6(ì consunto , consumato , per istraziato .
67 m^ chiara y legge il cod. Ang. E. R. ♦^
68 »-» ragione j cioè ragionamento, intende il Poggiali ;-per
la fiicoltàehe disceme, giudica e divisa le cose, spiega il Bia-
gioli.4^
69 che ^l possiede per die V abita*
yo palude pingue per morbida j fangosa f dove tono gli
iracondi.
fu] Vedi la aota al passato canto vin. 6S*
CANTO XI. i49
Che mena 1 vento, e che batte la pioggia,
E che s'incootran con sì aspre lingue)
Perchè non dentro della città roggia 78
Son ei puniti y se Dio gli ha in ira?
E se non gli ha , perchè sono a tal fc^ia ?
Ed egli a me: perchè tanto delira , 7G
Disse, lo 'ng^no tuo da quel eh* e* suole,
Ovver la mente dove altrove mira ?
Non p rimembra di quelle parole, 79
Con le quai la tua Etica pertratta
Le tre disposizion , che *1 Ciel non vuole,
n I ^a Che mena 7 uentOj ec», intendi come se a questo ed
igii altri due capi d* interrogazione ripetuto fosse e premesso
il pronome gneif e dicessesi: quei che mena il vento (cioè i
lussuriosi ) 9 e quei che batte la pioggia (i golosi) , e qìiei che
s*inconiran con sì aspre lingue (i pi*odigui e gli avari) , che
si urtano gli uni con gli altri co' pesi che rotolano , e si ^i^
dano ontoso metro [aj* m^che s* incontra y al i^. 721. ^ ^^gg^
il Vat. 3199.4H1
J'^ ciità roggia j rossa, infuocata; la stessa che nel x. can*
lo, %f. aa*« appella città del fuoco; e nellViii. canto, u. 68.,
cinàj ch'ha nome Ditey ed in cui trovansi attualmente i due
Poeti, m^fla la città , legge TAng. E. R. — > e il Vat. 3 199.4H1
70 perchè sono a tal foggia? mtendi trattati ^ tormentati.
76 a! 78 perchè tanto delira , — - lo ^ngegno tuo ec. , pei^
che tanto travia dal solito retto pensai^? — Ovuer (intendile
non deliri) do^e la mente altrove mira? qual*altra cosa hai
pel capo? Dicelo in somma o pazzo, o distratto.
80 Si la tua Etica , la morale di Aristotile da te studiata ;
^ pertratta j tratta , per discorre sopra* m-¥ Pertrattare , in-
vece di tratiare y è voce affatto latina, né sai^bbe disdicevole
Tosarla anche oggidì, specialmente in prosa, giacché sembra
ch'esprima piii del semplice trattare. Pogoiai.1. ^-m Le tre di"
sposizion^ ec.yì tre costumi « ai quali non vuole il Cielo l'uo-
mo disposto , dedito.
[a] lof. VII. 33*
'
i5o INFERNO
Incontinenza, malizia, e la matta 81
Bestialitade? e come incontinenza
Men Dio offende, e men biasimo accatta?
Se tu rignaixli ben quesu sentenza, 85
E rechiti alla mente chison quelli,
Che su di fuor sostengon penitenza ,
Tu vedrai ben perchè da questi felli 88
Sien dipartiti , e perchè men crucciata
La divina Giustizia gli martelli.
O Sol, che sani ogni vista turbata, 91
Tu mi contenti si , quando tu solvi ,
83 air 84 Incontinenza j ec. Aristotile, nel principio dfl
settimo libro dell'idrica, dice che tre specie di cose intorno
ai costami sono da fuggire: il vizio, l'incontinenza , e la feriù.
Il Inogo è questo: Dicendwn est rerum circa mores fugien'
darum tresspecies esse e i^itiunij incontinentiam^ et ferita-
tem . E chiama il Filosofo vizio quello che il nostro Poeta
malizia; efetità quello che matta bestialità. Dabibllo.*^
come incontinenza "Men ec. Dell* incontinenza di fatto parla
ivi pure Aristotile in termini che ne alleggeriscono la gravez-
za y dfcendola essere un male di non continua durata , non con-
tinua improbitasy e di cui T incontinente quodammodo poe-
nitet,
86 87 chison quelUj cioè iracondi, lussuriosi, golosi, a^ari
e prodighi [a ] , <-C%e su di fuor, che sopra , fuori della città di
Dite , dentro di cui i Poeti si trovavano, -^penitenza per pena,
88 al 90 Tu ifcdrai ben perchè da questi felli y rei maliziosi
e fieri , - Sien , coloro rei di sola incontinenza , dipartiti. ^men
crucciata^ meno adirata, con minore ira. ^gli martelli^ gli pu-
nisca, m^ vendetta invece di giustizia ^ l^ge l*Ang* E. R.«-*
91 che sanij che rischiarì, ^ogni vista turbata j per ogni
confuso intelletto.
93 quando tu solvi j intendi i miei dubbi. Solvffre per
sciorrcj sciogliere j dichiarare j adoperato da buoni autori
anche in prosa, vedilo nel Vocabolario della Crusca.
[a] AcceDoati al v. 70. e segg.
CANTO XI. a5i
Che, non men che saver, dubbiar m'aggrata .
Ancora un poco 'ndietro ti rivolvi, 94
Diss'io, là dove di' ch'usura offende
La divina Boutade , e *1 groppo svolvi .
Filosofia, mi disse, a chi T attende, 97
Nota, non pure in una sola parte,
Come Natura lo suo corso prende
Dal divino 'ùtelletto, e da sua arte : loo
K se tu ben la tua Fisica note ,
Tu troverai non dopo molte carte ,
Che Tarte vostra quella, quanto puote, io3
g^ rnaggrataf antìtesi, inyece A^ aggrada j aggradisce.
c|4 •-> ancora ec.y cioè , prima di dar fine aiFatto a ouesto
discorso toi*ua un poco a quanto dicestì aull^usura cbe offende
la divina Bontà. Poggiali . •<-• riv^oUi. Rii*ol\^ere^ per rwol"
gercj adopera anche il Petrarca, se non altrove, nelle can-
soni XI* 3., zxitx. 7.
95 96 là doi^e dV chiusura offende^ La divina Bontade.
Ciò disse innanzi non già ne' precisi qui allegati termini, ma
in termini equivalenti , mentile disse : Puossi far forza nella
Deitade , '-'spregiando Natura , e sua bontade [«]• sgroppo »
nodo.-^(^o/^< per isvolgi^ dal latino ex^olvercj che adoperasi
p*r sinonimo di extr icore. •-»- sohi^ al verso 96., ha il codice
Vat. 3199. 4-«
9;- •-> a chi lo infende , ha 11 codice Ang. £• R. > — e chi
la *ntendej il Vat. 3i99.<«-«
98 non purey non puramente, non tanto.
99 Natura lo suo corso prende^ riceve la costituzione sua.
1 00 Dal divino intelletto , dalle eteme divine idee, -e da
sua arie^ e dal divino operare, ossia volere, che in Dio sono
una cosa.
I o I tatua Fisica , la Fisica d'Aristotile, che tu hai studiata,
loa non dopo molte carte, nel secondo llhro.
io3 io4 Che Parte vostra quella, cioè la detta natura;
^ Segue f imita, ^rj, dice nel citato libro Aristotile» imitatur
[a] Verso 4^* « 4^*> ^^^i 4aelÌa nota.
a52 INFERNO
Segue, come 'I niaestro fa il discente ,
Si che vostr'arte a Dio quasi è DÌ|K>te.
Da queste due, se tu ti rechi a mente iciG
Lo Genesi , dal principio con vene
naiuram in quantum poteste ^ discente^ per discepolo f ado-
pera Dante anche fuor di rima . Par xzt. 64- »-^ discente , come
osserva il Poggiali, non è on osioso sinonimo di discepolo ^
qncUo indicando colui clie impara, come spiega la Crusca, e
questo propriamente chi studia. 4Hi
I o5 a Dio quasi è nipote. Quasi , cioè , per una certa sinii-
glianza ed analogia è nipote , perchè la natura procede (secoudo
ch*è detto) da Dio, come flgliuola sua ; e Parte nostra procede,
come figliuola, dalla natura, con imitarla. Vertoai. •-►T. Tas-
so, nel Dialogo il Ficino o deWArte^ dice: L'arte è prima
neir intelletto divino, secondo i Platonici, poi nella natura,
e ultimamente nell'intelletto dell'uomo ; la qual'arte è in terzo
grado lontana dal divino artifizio ; però dice: «Sì che vostrarte
a Dio quasi è nipote. E. F.4-«
106 Da queste ducy cioè dalla natura e dall'arte.
1 07 Lo Genesi y il sacro libro della Genesi. Genesi di ma-
scolino genere lo fanno anche altri ottimi scrittori. Vedi il Vo-
cabolario della Crusca . Leggiamo di fatto in questo libro ordi-
nata da Dio la natura, cioè la produzione delle cose pe'bìso*
gni dell'uomo, ed insieme ordinata all'uomo l'arte, cioè il tra-
vaglio; tanto mentre viveva l'uomo nel Paradiso terrestre in
quelle pai-ole: tulit ergo Doniinus Deus hominem j et posuit
enm in Paradiso voluptatisy ut operareturj et ctutodiret il-
lum \a\ , quanto fuor d'esso con quella dura intimazione: in
sudore vultus tui vesceris [b^." dal principio vale quanto da
principio [e]. -'Contane. Cosi leggo con parecchi lesti mano-
scritti e stampati, e cosi intendo scritto dal Poeta per sincope,
a cagione della rima, invece di coni^enne ; come y tra gli altri
esempj , scrisse Baco [d] invece di Bacco , e come in contra-
rio bisogno per epentesi viddi [e] invece di vidi. Tanto più
che nei testi del Buti [f] e del Benvenuto qui solamente tro*
vasi conicene ; ed , ove questo verbo è del tempo presente , tro-
[a] Gen. 9. i5. [b] Gen, 3. 19. ]c] Vedi il Cinon., Parile. ')%.%. [d] fnf.
mx« S9. [e] Inf. yti. ao. [f] MS. nella preziosa rsccolia «ti libri del fa
CANTO XI. 253
Prender sua vita , ed avanzar la gente .
E jiercbè i'usuriere altra via tiene, log
«
vasi scritto contiene. Vedi, per cagion d'esempio, In£ can-
to IT. verso Qi.
Leggendosi, come tutte le moderne edizioni appresso a
qaella della Crusca leggono, compierle j non può dal principio
cujigiongersi che con lo Genesi j né può estorquei'si altro senso,
se non col fare stravagantemente equivalere la particella dal
alla nelj e intendere come se detto fosse : se tu ti rechi a mente
lo Genesi nel principio f nelle prime sue pagine, »-^Llutcf^
pretasione del Lombardi combina con quella del Vellutello. -
li Landino, la Crusca , e tutte le edizioni seguaci pospongono la
virgola alla voce principio; e ritenendo u conicene di tempo
presente , da tutto il terzetto ne traggono questo sentimento :
Se tu ti richiami a mente ciò che dice la Genesi fin dalle
prime pagine , vedrai che è un doi^ere degli uomini si il ri"
cQ\»are il quotidiano loro mantenimento , sì il fare qualche
avanzo pei bisogni ulteriori ^ che possono occorrere^ da que^
sta due sole sorgenti j cioè dalla natura e daWarte. — Nò
sa trovarvi il Biagioli la stravaganza che vi sup|)one il Lombar-
di , riflettendo che la proposizione da è il segno naturale della
relazione che si accenna , cioè del punto da cui dcbbe partirsi il
pt^nsiero, che è il principio della Genesi. Cosi leggendo, esti-
ma la sentenza piii positiva , parendogli che Virgilio voglia de-
terminare il termine onde debbe il pensicTo di Dante disenfi
rerc. - Anche il eh. sig. Ab. Portirelli [a] alla lozione della Ni-
(lob., da lui seguila , qui preferisce la comune , che è pur quella
del cod. Vat. il 99. L'È. R. nella 3. ediz. adotta egli pure la
comune lezione , ma senza giustificarla; e, quel che è peggio,
vi lascia la chiosa del Lombardi, che ad essa interamente si
opp(me . 4HI
loS Prender sua vita^ ed auanzar ec, ricavare il quoti-
diano vitto, e far anche qualche avanzo pei bisogni che pos*
SODO accadere.
109 al 1 1 1 JE* perchè Cusuriere ec, costmisco e spiego:
Perchè Fusuriere per vivere ed avanzare tiene altra via dalle
signor Ab. Vtccola de' Rossi » Secretarlo dell' Ero Inenlissimo Corsini »
parlato presentemente nella doviziosa biblioteca dell' eccellentissi-
ma casa .
[oj Vedi il Dantii da lui illustrato oell'cdiz. dei Classici di Milano»
a54 INFERNO
Per sé Natura, e per la sua seguace
Dispregia, poiché in altro pon la speue.
Ma seguimi oramai, che '1 gir mi piace, un
Che i Pésci guizzan su per l'orizzonta,
E '1 Carro tutto sovra 1 Coro giace,
E 1 balzo via là oltre si disroonta .
due dette 9 della natura e deìV arte j poiché pon la spene (spene
per ispenie ^speranza) in altro , cioè nel frutto del danaro che
presta ad usura ; dispregia natura doppiamente e per sé , cioè
ed essa direUamente , non si prevalendo di lei , e indirettameii-
ie per la sua ^eg'uoce y dispregiando Tarte^ di lei seguace, di
CUI pure non si prevale*
1 13 Che i Pesci ec. Quando il Poeta entrò nell* Inferno
era da sera, e però disse; Lo giorno se n'andcRfa; poi de-
scrisse la mezza notte, dicendo: Già ogni stella cade, che sa-'
Uva: ora ci descrive T aurora ^ dicendo che i Pesci guizzano
(allude cosi alla natura loro)su per Vorizzonta{^eTori zzonte,
antitesi in grazia della rima ) , perchè essendo il Sole neirArie*
te [a\j i Pesci levavano innanzi del Sole. Daniello.
1 1 4 £* V Carro* Carro si chiama tra le costellazioni un grup-
po di sette stelle disposte in forma di cari*o, quattro delle quali
formano le ruote, e tre il timone, altrimenti detto Orsa maggio^
re.VoL?u^tuito sovrani Coro giace. Quando solvono i Pesci,
il Carro viene ad essere verso Coro, detto dai Latini Caurus
(ed anche Corus)^ da'Grecìyirgeste , da'marinari Ponente mae^
strOj vento che spira tra occidente e settentrione. Dahiello.
1 1 5 E*l balzo , cioè Valta ripa , detta nel primo verso di
questo canto, ^^rua là oltre y assai in là, — si disrnonta , si
discende: e ciò aggiunge a fine di sollecitare la partenza.
•-^ Poche sono le bellraze poetiche da ij^otai'si in questo
Canto; ma i veri conoscitori della lingua avranno da ammi-
rarvi quello sforzo mu*acoloso d'aver descritto con si bt*lle
maniere, con si leggiadre f(V*nie , con tanta grazia, natui-alezza
e precisione, quello che malagevolissimo e foi'se impossibile
sarebbe ad altri esprimere pur in pi*osa con palmole si chiare,
si belle e si proprie. Biàgioli . <-«
\4i\ VeJi il passato canto i., v. 38, , e cjaclU nota. .
CANTO xn.
ARGOMENTO
Discendendo il Poeta con f^irgilio nel settimo cer-
chio ^ dove sono puniti i violenti ^ per un luogo rovi-
noso ed aspro s trovò che v'era a guardia il Mino-
tauro. Il quale da Firgilio placato^ si calano per
quellarovina^ed avvicinandosi al fondoyveggono una
riviera di sangue, nella quale sono puniti i violenti
contro il f^rossimo. T quali, volendo uscir del san-
gue pia di quello che per giudicio non è lor conce-
dato , sono saettati da una schiera di Centauri che
vanno lungo essa riviera. E tre di questi si oppon-
gono dal pie della rovina ai Poeti; ma f^trgilio ot-
tiene da uno di quelli di essere ambedue portati sa
la groppa oltra la riviera. E passandovi j Dante è
informato della condizione di detta riviera , e ilelle
anime che dentro vi sono punite.
Julra lo loco, ove a scender la riva i
Venioimo, alpestro, e, per quel ch'iv'er'aiico,
Tal, ch'ogni vista ne sarebbe schiva,
Qtial'è quella ruina, che nel fianco 4
Di qua da Trento TAdice percosse,
a quel eh* iv* er* anco y cioè il Minotauro . Vedi v. 1 1 • e segg.
3 ne sarebbe schiva y schiverebbe volentieri d'afBssarvisi .
4 5 QuoTè quella ruina y ec. Buina che percosse radice
^el fianco chiama Dante una caduta d*una gi^an parte di Monte
^rco, po5to tra Trevigi e Tit^uto; la qua! caduta fece disco*
256 INFERNO
Stare il fiume Adice buono spazio da' piedi del monte , dove
prima scorreva. Volpi. Intendono altri [a] questa rmita in al-
tra parte ; ma ovunque sia , poco importa, m-^ Trovando noi per
Ttipposito interessante tutto ciò ciie riguai*da il divino poema
di Dante, stimiamo pregio del nostro lavoro il qui riferir bre-
vemente quanto da noi si è potuto raccogliere ad illustrazione '
di un passo o trascm*ato, o ti-oppo sin qui leggermente toccalo
d;i tutii ì Comentatori. — Alla citata chiosa del Volpi si op-
pone il cav. Giuseppe Valeriano Vannetti [^J, sostenendo che
il dotto Gomentatore abbia qui preso un enonne abbaglio^
stantccliè di Monte Barco non sì ha indizio , né memoria al-
cuna; rchc probnbilmrnte sia nato scambio di parola ImBarco
e A/arco. De vesi quindi , secondo lui , intendere ce mia cadaU
3»^ di un grandissimo monte presso Marco 9 piccolo villaggio
» sotto Ltzzana , ad un'oi*a da Rovereto sulla via che alla si-
ai nistra dell'Adige porta a Verona, e che dai paesani è detto
» lo Slattino di Afarco. » — Questa mina avvenne con gran
probabilità nell'anno 883, come ha scoperto negli annali
Ftddcnsi il eh. Iacopo Tartarott? [cj, il quale sospetta che
dai Chiosatori di Dante sia stato preso Monte Barco (che non
si conosce) per Castel Barco y situato alla destra dell'Adige
sopra Chiusole, al di là di Rovereto verso Trento. — Giro-
lamo Tartarotti, fratello del suddetto Iacopo , in nn suo Co-
mento ms. sopra V Inferno , veduto dal Vannetti , pensa al con-
trario, che Dante abbia qui inteso di parlare d' un'altra ruìna
a due miglia e mezzo al di là di Rovereto, volgarmente dotta
il Cengio rosso j e dove ora è il Castello della Pietra y es-
sendo questa mina ripida ed altissima, e quindi piii propria
a rappresentarci l'immagine di Dante dell'altra di Afarca piii
ampia s), ma distesa e rovesciata al piano -Il Mafl^i [^J ha
sr)spettato essere quella mina un gran pezzo di scoglio rove-
sciato nell'Adige presso Rivoli (vicino alla Chiusa); pensa-
mento che, al dir del Vannetti, è più per grazia di not^iid »
che di verità . Pure , a conforto di tale opinione , valer forse
potrebbe ciò che leggiamo nel pregevole Ck>mento ms. del ce-
[a] Vedi Serte di Aneddoti ^ nnm. II. Verona» 1786» cap. %• [h] Vcd»ae
la soa Lettera a Giù* Pietro Moneta nel voi. 4* ^» ■!• del Oaote , edìz.
•n 4-^ del Zatta 91757. [e] Vedi la sua Raccolta delle più antiche iscri-
zioni di Rovereto e dtlla f^alle Lagarinaf fac. 74 7S.» pibblìc^la
nel 1754 ila Girolamo Tartarott 1 nelle sue Afemurie anticfic «£« Jfa-
vcreto. [d] Feron, illust. P. ni. e. 8. (ac. 5yt3.
CANTO XII. 2r>^
0 per treiBUolo^o per sostegno manco;
Che da cima del monte, onde si mosse, 7
Al piano è si la roccia discoscesa ,
Cir alcuna via darebbe a chi su fosse j
lebre Torelli. Trovasi in esso a questo luogo postillato: ce la-
» copo Pìndemonte in una Cronaca ms« posseduta (^vìt^ente
» Torelli) daLaìg. Don Bartolommeo Campagnola, Arciprete
» di s. Cecilia 9 che comincia dall'anno 1 100 e teinraina all'au-
ano 141S9 così scrìve: udnno i3io, die Sabati ^ 'io lunii ,
» eeciderunt Montes de la Clusa • » — Trattandosi di un
&tto accadalo non solo ai tempi di Dante, ma contemporaneo
«Ila sua dimora presso gli Scaligeri, v'ha ragion di supporre
eh egli abbia voluto in persona visitare quella nuova mina, e
che, (la essa colpito , a lei, piuccbè ad ogn'altra, abbia iutcso
di alludere iu questi versi • Tutto ciò che si è cpii detto , seb-
bene non definisca la quistione, die rimaiTa tuttavia Torse iu-
det'isa, servirà nonpertanto a mettere qualche raggio di luce
nel mezzo di tante tenebre, ^hi
fi o per sostegno manco , manchevole .
7 si mosse , intendi la detta mina .
^ roccia discoscesa j ripa dii'otta. Della voce roccia vedi
Inf. VII. 6.
9 Cli alcuna via ec. Passo mal inteso da tutti gli Espositori .
Il Cinonio alla voce alcuno [a] dicela stare tal voi la iu
laogo di niunon Egli ne arivca due eserapj tratti dal Convico
del medesimo nostro Poeta. Il primo è: Il desiderio è di fai'
iii'acosaj che alcuno desidera quello che ha , ma quello che
non ha [&]•; il secondo è:' Alcuno sensibile in tutto ilmon"
fio è più degno di farsi esempio di Dio , che il Sole [ci. Ma
{^offgiunge esso Cinonio) leggono altri testi, forse migliori:
Mullo desidera quello che ha. Nullo sensibile ec
Il pi-csenle passo però decide, che non questi ultimi sie-
110 i migliori testi, ma que' primi; imperocché alcuna (che
concordemente leggono tutti i mss. e le stampe ) non può qui
a rere altro senso , che dìniuna^ troppo essendo evidente che
>ì Parile. i3. 6. [b] Trall. 3. cap. i5. [e] Trall. 3, e. iq. L'ccllzioric
v^QCla 1760 alle pae. 176 e iS3 roalameutc aìcgue le depravate lezio-
ni ili nut/n invece d alcuno,
f ol. /, ij
258 INFERNO
Cotcìl di quel burraio era la scesa: io
£ 'q su la punta della rotta lacca
lo scoscendi meato di uà monte non dà, ma toglie 9 a ehi v'è
sopra , la via di scendere .
Il francese anca» (saggìameute a v vette, neirattocfae si
drgna di rived(*re qnesta mia fatica , il dottissimo sig. Ennio
Vi icmtì ) significa e qualcuno e nissuno . Vago adunque Dante
d'ingrandire collaiuto d'altri dialetti la allora bambina Italia-
n^ favella, ha volato far pi*oprìa della medesima anche cotale
francese ostensione di significato del pronome alcuno . m^ La
voce alcuna ha qui evidentemente il significato di nitma , an-
che per parere del Poggiali e del eh. cav. Monti [a]» • Gli
Editori però della E. F. sostengono che alcuna abbia qoi a
prendersi nel suo naturale significato, chiosando: ce £ tale la
» materia di pietre infirantc e di sassi caduta dall'alto, che
» qualche via o mezzo di scendere darebbe a chi fosse in su
a» la punta della lacca , onde la mina si mosse; cioè una >ia
» fatta dalla natm'a e non dall'arte 9 e che servire poteva di
«> via, ove via propriamente non era. E che cosi debba iuten-
» dersi lo dimostra anche reffetto, poiché Dante e Vii^ilio di-
ai scesero. (Vedi infira u. 28. al 3o.)» Questa chiosa , a parer
nostro, indebolisce infinitamente l'immagine, e tradisce il vero
concetto di Dante, il quale con questa mirabile similitadioe
volle al vivo raffigurarci l'onìbile e paurosa rovina di quella
discoscesa ripa infernale. Che poi non ostante Virgilio e Dante
sieno per essa discesi, ciò non ripugna minimamente, doven-
dosi questo attribuire all'azione della Divinità sopra rnomo,
in cui consiste tutto il meraviglioso dell'Epopea. E che que*
sta misteriosa discesa, ossia viaggio, fosse voluta da Dio, lo
ha già detto Virgilio sino dal e. 111. f/. 96. e seg.:
f^uohi così colà , doue si puote
Ciò che si vuole ;
e replicato nel e. v. al v. a3. e seg. colle identiche parole. — 11
codice StuanL legge Ch*alcuna via nonv^è a chi su fosse •
Biscioli. 4HI
I o burraio , rupe , luogo scosceso . Vedi il Vocab. della Gr.
il su la punta della rotta lacca. Il Buti , che altrove spiega
lacca per valle , luogo concaio e basso [b] , qui spiega il
f«] Vedi la nostra nota al v. 4^* «• m* (H quella L-autira [b] Vedi il
Vocab. della Cr. alla voc« Lacca .
CANTO XII. iHj
L'infautia di Greti era dislesa,
Glie fu coucelta ueila falsa vacca : 1 3
E quando vide noi sé stessa morse ^
rabola incJesiini* per ripa [aj. Egli, cioè j iiou ha av veitito che
\alta ripuj - Che faceuan gran pietre roti e in cerchio [b],
formava aecessariameDie ia mezzo a sé stessa una cavità ; e che
poiè Dante beDÌssimo deuoininare rotta essa cavità dalla nit-
tura della ciixx>iidante ripa : come beae^ per cagioa d' esempio ,
diremmo rotto un pozzo dall'essere rotto il mui*o che lo cir^
nuda. Il Laudino, ed appresso a lui il Volpi e il \ euturì, non
sdlamentequiyma dappiu'UUto ove incouti'asi il vocabolo /arca»
spii'ganlo'^r ripa. \ edi pei'o il torto che hanno nella nota al
passato canto vi r . i^. i b. , ed in quoUal tra al f. 7 1 . del cauto v 11.
d'I Purgatorio. Concludendo adunc|ue ; su ia punta delia rotta
lacca vale lo stesso che sa la cima, su Torlo della cavità cci^
dilata dalle rotte pieti*e.
l'j Vmfiunia di £V*e/<, colui che colla ue^nda sua orìgine
rpca infamia alT isola dì Catidia {Crete appellata dai Greci , dai
Latini Creta-, e Creii anche da Gio. Villani , Cron. lib« 1 .cap.6.),
cifiè il Minotauro ; pei*ciocchè fu questo mostro mezzo uomo e
■li^zsobneycoucepito dal commei*cìo ch'ebbe Pasi le, moglie di ,
Miuos Be di Candia, con un toro, di cui si era bestialmente
invaghirai, e per ottenere il quale si rinserrò e adattò in una
tacca di legno, fabbricatale da Dedalo, '^distesa , giacente.
•-» discesa ha il Vat. '6 1 1^). <*-%
Pupgcmsi a guardia di questo cerchio il Minotaaro qui ,
fd i Centauri piii innanzi , mostri tutti mezzo uondni e mi*z-
y^ bestie, a dinotare T indole mezzo bestiale dell'uomo vio-
lento.
i3 concetta nella falsa inarca, dalla detta Pasife, intendi,
MAcottasi nella vacca fabbricatale da Dedalo. '^^ falsa-, arte-
fatta, non vera e naturale.
14 se stesso , legge la JN'idob. »-^ e il Vat. 3 1^ 4^ ed ac-
corda col sottinteso Minotauro e col ver lui due versi soHo.
"sè stessa y leggono l'altre ediz. •-►e noi col Biagioli, che so-
stiene doversi leggere cosi per riferirsi al nome bestia ^ che è in
niente a chi parla; e, se due versi sotto dice ver luiy il fa in
[«j yoLob* d«Ila Cr. alla voce Lanca, \h] Canto prcced. i^. a. v
26o INFERNO
Si come quei , cui Y ira dentro fiacca .
Lo Savio mio in ver lui gridò: forse i6
Tu credi che qui sia 1 Duca d'Atene ,
Che su nel mondo la morte ti porse?
Partiti , bestia , che questi non viene i g
Ammaestrato dalla tua sorella,
Ma viensi per veder le vosfre pene.
Qual è quel toro, che si slaccia in quella, ai
riguardo al nome di quella bestia , che è Minotauro , al quale
s'affissa il pensiero 9 senza considerar più là.^Hi
1 5 fiacca. Fiaccare per lacerare , consumare j adoperò an*
che il Petrarca : j4 spettati do ragion mi struggo j e 6acco \a\
t6 »•* Lo savio mio F^irgilio gridai forse. Bella variante
del Vat. 3199. <4Hi
1 7 Duca , cioè reggitore d* Atene , appella Dante Teseo ra-
gionevolmente; ijnperocchè cumprius inpagos dispersi essent
hotnines Athenienses , ipse Tlieseus aictus est illos in una
moenia inclusisse, legesqne dedisse j et popularem udmini'^
strationem ibi instituisse , qnae usque ad ea tetnpora per-
durai^it ^quibus Pisistratus ^oppressa republica^tjrrannidem
invasit \o\.
1 8 ti porse , ti diede •
20 Ammaestrato dalla tua sorella , cioè da Arianna , figlia
di;lla stessa Pasife e del detto di lei marito Miiios. Costei , imia«
morata di Teseo, estratto a sorte tra i sette giovani Ateniesi che
ogni anno si mandavano ad essere divorati dal Minotauro, ani*
maestrollo come dovesse uccidere quel mostro, e come riuscire
dal laberinto.
ai wensiy la Nidob., invece di vassij che leggono tutte le
fà\ìre edizioni »-^e TAng. E. R. — e il Vat. Bipc)^-*; ed ac-
ci irda meglio col questi non igiene ec. sopraddetto. Veramente
la Nidob. legge inense ; ma Vi in e scambia sovente, come al-
tn)ve è detto [e],
22 23 toro ec.j intendi tirato con funi al macello, m^ si
lancia f col cod. Gict. piace di leggere al R. E. e per trovarla
[a] Son. 106. [b] Nalal Ctrtitì» àfjthoi, lib. 7. cap 9. [e] Vedi ìé oou
al i'. Si. c. vi.
CANTO Xn. a6i
Ch' ha ricevuto già '1 co1|k> morlule ,
Che gir non sa ^ ma qua e Tà salrella ;
Vid* io lo Minotauro far cotale . a 5
E quegli accorto gridò : corri al varco ;
Meutre eh' è 'n furia , è buon che tu ti cale .
Così prendemmo via giù per lo scarco 18
Di quelle pietre, che spesso movienst,
più cooforme alla maggior parte delle antiche edizioni, com-
prese le Aldine , e per sembrargli più naturale ad esprimei'e il
moto di un toro colpito , e più corrispondente al saltellare qua
e /à, ed al cotale che fé' il Minotauro, u. 24. a5. — Per noi
riteoiamo che lo slacciarsi y oltre air includere Tidea di/an-
darsi ^ esprìma di più l'energia dello sforzo fatto dal toro nel
mmpere le funi che lo tenevano sU*etto. Anche il Vat. 3ic)9
le^ge colla comune slaccia • * CKha ricevuto lo colpo mor~
tale y legge parimenti l'È. R. col Caet., sembrandogli insigni-
ficaute la particola ^1^9 ed all'incontro l'articolo lo molto
Simigliare al nostro Poeta, e più atto a rendere il verjtospo
diU) e sonoro, -in quella y intendi in quel punto . Volpi. <-•
^4 g^ non say sbalordito dal ricevuto mortale colpo.
aS far cotale y far lo stesso» far cosi. Vedi il Vocab. della
^'^^ cotale y secondo ilBiagiolii è voce elementare della
fornirla in nu>do tale.*^
26 quegli y Virgilio, —a/ inarco y all'apertura della scesa.
37 calcy per la rima invece di ealiy antitesi.
38 39 scarco y sincope di scarico y scaricamento . Cosi ap-
p<^IIa il rovesciamento di quelle pietre , perocché cadendo ave-
vano discaricata del proprio peso quella ripa, su della quale
<*riao prima collocate. — * moviensi per movei^ansiy spiega il
^olpi, detto in rima qui e nel zviii. 79. del Par. Ma anche
fuor di rima il ripete, Pnrg. in. Sg., xxix. 69.; e penieno ,
per venii^ano y pur fuor di rimascrisse eziandio il Petrarca [aj:
e per questi ed altri simili esempj conclude il Gnonio essere
^t'oeraimente stati soliti gli antichi di fare in simili desinenze
coul cambio [6]. m-*su per lo scarco y legge il codice Vati-
cano3i99.4-«
>i Suo. tao. [b] Tran, de'y^rbi , e. 6,
(
ti6^ INFERNO
Sono i mie' piedi per lo nuovo carco.
Io già |ìensaiidoj e quei disse: lu pensi 3i
Forse a questa rovina, ch'ò guardata
Da quell'ira bestiai, ch'io ora spensi.
Or vo'che sappi che T altra fiata, 34
Ch'io discesi quaggiìi n^ basso 'nferno,
Questa roccia non era ancor cascata.
Ma certo poco pria, se ben discerno, 37
Che venisse Colui, che la grau preda
Levò a Dite del cerchio superno ,
3o niioi^o carco j mai più innanzi sostenuto; accennando
die prima non passassero di là se non spiriti.
H3 spensi j resi vana. m^Da quelCiraec.y vuol dire dal Mi*
nota uro, che io ora acqnìetai . Poggiali . -^ spensi y per esser
l'ira un bollimento di sangue intcuno al cuore. Biacioi.i.«-i
H4 faltra fata, detta di sopra nel canto ix. aa. e segg.
»-♦ r*a Valtra flatay legge il Vat. Hipg. 4hì
H6 Qttesta roccia ( rupe [a] ) non era ancor cascata ; im-
pei*occhè9 quando F altra fiata vi discese, era appena morto:
JDi poco ^ra di me la carne nuda ec;
e Gesìi Cristo , nella di cui morte ia in seguito capire esseni
quella ripa rovesciata , mori una buona cinquautiua d' anni do-
po Virgilio [^]. m-¥non er'' ancor tagliata, legge il codice
Vaticano Sigg.^-c
1^7 al 39 se ben discerno y dice a dinotare che, come Gen-
tile, non aveva certa scienza delle cose di Gesù Cristo, "poco
pria che venisse Colui (quel Possente ^Consegno di littoria
incoronato y detto nel canto iv. passato 9 %f* 53. e scgg. ), che
/evo a Dite y a Lucifero f e] , la gran preda del cerchio sU"
perno y le gi*andj anime del Limbo, nomate neir indicato can-
to IV. V. 55 e segg. Neil' ora » in conclusione ^ della morte di
Gesii Ciìsto, quando terra mota esty et petrae scissaesunt [d ^
[à] Dolili voce roccia vedi Ibf. e tiu G. \b] yirgiltusanpo ante Chi-
slum 19 Brundusii moriiur, Vcìa\, Bal^iemp, P. i. Iib4. cap.»i. Ag-
giiiiigansi gli anni della viia di Gesù Cristo, e rorinerassi il detto nu-
mero [v] S\*di U oola al p. 68. del passato cauto viti [di Sfati, 37.
CANTO XII. a63
Da tutte parti l'alta valle feda 4^
Tremò sì , eh' io pensai che l'universo
Sentisse amor, per lo quale è chi creda
Pili volte '1 mondo in caos converso: 4^
Ed in quel punto questa vecchia roccia
Qui, ed altrove più, fece riverso.
la aual morte certamente non fìi se non poco pria della disce-
sa del medesimo Redentore all'Inferno.
4o ralia frolle feda y la profonda e brutta valle infernale .
RcTi [a]. Brutta e per sé stessa materialmente y e perche 7 mal
dtlCunwerso tutto ^risacca [ti] . Fedita per bruttura y ado-
pnimno altri antichi . Vedi il Vocab. della Crusca .
\ì al 4^ che i^ universo '^ Sentisse amory per lo quale è chi
creda ec. Empedocle , il quale poneva sei principj ( formanti il
mniido ^, cioè quattro elementi, ed amore e discordia ; e diceva
che, quando gli elementi ed i moti del cielo erano in concor-
dia , (^ni cosa tornava in caos (in un confuso ammassamento di
materia ) ; e quando cessava la concordia , e veniva la discor-
dia, tornava il mondo nella pristina forma . Landiito. Opinione
( aggiunge il Yellutello ) riprovata da Aristotile nel primo della
fìsica y e nel primo deW^nima, m^ìì Volpi pensa cne forse al-
luda qui il Poeta all' opinione di Eraclito d'Efeso y antichissv-
mu filosofo, il quale teneva che il fuoco fosse la materia co-
maoe di tutte le cose, e che dopo un certo intervallo di tem-
fj tornasse il mondo a risolversi in fuoco . E insegnava che
quando le particelle del fuoco si vainavano e si condensavano ,
luciando la propria semplicità , venivano a pi*odurre le gene-
razioni; e che all'incontro quando le dette particelle si assot-
tigliavano j riprendendo la natura primiera y si cagionava la di-
struzione dell' universo 9 e ciò molte volte a vicenda [e]. E. F.<-«
44 questa i^cehia roccia y quest'antica ripa, e intende tutta
U ripa della città di Dite da cima in fondo; ed antica T ap-
pella, perocché conta le stesse migliaia d'anni che conta il mondo.
4i> Qui , ed attroi^epiù , fece riverso y legge la Nidob., me-
glio die non leggono l'altre ediz., QtUy e cdtrove tal. — Più
'«] Citalo del Tocab. óeìU Or. alla voce Pedo, [b] Inf. vii. i6 [c] VccU
Ì>tog. LacrL F'it. RracL, e fiutar, de placit» philos*
264 INFERNO
M«i ficca gli occhi a valle; che .s* approccia 4^
La riviera del sangue, in la qual bplle
riverso y cioè maggiore rovesciamento, è certamente quello
che si descrive pur nel medesimo tempo avvenuto uella se-
sta bolgia deirottavo cerchio, ricettacolo degripocriti, do>e
dicesi Tutto spezzato al fondo Carco sesto [aj , ed in modo
che convenne ai due Poeti, per proseguire il loix) viaggio, die
s* arrampicassero pe^ mal sicuri rottami del le pietre [6J . •-♦ Cou-
viene il Biagioli che l'altra roina è veramente maggiore; ma,
facendo quii! Poeta un confronto di qualità e di forma, cuou
di quantità, vuole che si abbia a seguire la lezione della Cra«
sca. — 11 \'at. 3199 legge colla comune Quiy et altrove^
tal er. <«-•
Tale maggior ruina in quel luogo de* violenti ipocriti (tra
i quali trova Dante aspramente puniti Caifasso ed Anna ) cor^
risponde anche al motivo, per cui può presumersi che facesse
il Poeta cagionai'e il ti*emuoto, nella morte di Gesii Cristo,
iniina solamente nel luogo de' violenti: il quale motivo non
pare che possa esser altro , che quel medesimo che saggiamente
rileva il Vellutello, per dinotare, cioè, che allora fu usata
la maggior i^iolenza che mai fosse e che mai possa essere ,
essendo seguita nella persoìux del ftgliuol di Dio. Or come
di cotal fatto l'unica cagione fu l'ipocrisia degli ebrei sacer-
doti, quadra molto bene che nella bolgia de' violenti ipocriti
facesse quel tremuoto H maggiore rovesciamento.
46 ficca gli occhi a v^cdle^ fissa lo sguardo giù. alla valh*.
Ficcar gli occhi , detto ad imitazione del fgere oculos de*La-
tini: \nrginefigis in una y - Quos mando debes^ oculos. Ovid.
Aletamorph. iv. 196. e scg. — j'a/Y?roccia, s'appi'esaa.a-fr/ic-
car gli occhi a inaile significa semplicemente ficcar gli acciù
al basso , aW ingiù. Biagioli. — s''anproccia è forse dal fran-
cese s^approchcy e l'uno e l'altro dal latino approxiniOj ben-
ché questo verbo sia di bassa lega , cioè dei tempi della deca-
duta latinità. Poggiali. <«-«
47 riviera per stagno. Volpi. — del sangue j peroccliè
piena di bollente sangue, in cui bollivano que' violenti ch'era-
no sfati vaghi di spai'gere o faix; spargere umano sangue. S'"»-
bra questa idea del Poeta presa dal fatto della regina Tamiri 9
«
[a] luf. XXI. 108 e icjg. [b\ luf. xxi\. ly. e S'gg.
CANTO XII. a65
Qual, che per violenza in altrui neccia.
O cieca cupidigia, o ira folle, 49
Che sì ci sproni nella vita corta,
E nell' eterna poi sì mal e' im molle!
Io vidi un' ampia fossa in arco torta, 5^
Come quella , che tutto il piano abbraccia ,
Secondo ch'avea detto la mia scorta:
E tra '1 pie della ripa ed essa , in traccia 55
che 9 in vendetta del tanto sangue da Giro sparso i volle attuf-
fata la recisa di lui testa in un vaso pieno di sangue » con quel
motlo: .taiia te sanguine quam sitisti [a\.
48 Qual per chiunque , qualunque • Vedi il Vocab. della
Crusca .
5i e* immolle j per la rima invece di c*immolliy ci bagni:
antitesi . m-¥ sì mal c'immolle vuol dire sé dolorosamente ci
bagni . Poggi ali . <-•
51^ Come quella significa qui il medesimo che perciocché
quelloy ut quae ; vedi il Cinonio \b\: e rende cosi Dante la
ragione perchè fosse quell'ampia fossa m arco torta; e vuol
dire, che tale conveniva che fosse , acciò potesse abbracciare y
circondare» tutto quel rotondo piagno.
54 Secondo cKavea detto ec^y facendo cioè cotale fossa il
primo delli tre gironi ^ ne' quali la di lui scorta y Virgilio ^
disse [e] distinto quel cerchio .
53 in' traccia y in seguito, uuo dopo Taltix) (così il Voca-
holarìo della Cr» sotto la voce Traccia y $. 3./ spiega il pre-
MMite passo > ch'ivi aiTeca), e ciò a dinotare la strettezza oella
\ia che coiTevann i Centauri , tra il piede della ripa e la fossa.
Può a questo servir di lume quell'altro passo del canto x. della
presente cantica, ove per simile strettezza di calle. Tra 7 mu"
ro della terra j e gli martìri y dice Dante che camminava die-
In) di Vii^'lio :
Ora sen va per uno stretto calle ,
Tra 7 muro della terra j e gli martìri y
Lo mio Maestro , ed io dopo le spalle \d\ •
[«] Instin. lib. i.c. 8. [b] Pariic. 36 a4- W 'n^* xr» 3o. [d] Verso i.
^66 INFERNO
Gorrean Centauri armati di saette ^
Come soleau nel mondo andare a caccia .
Vedendoci calar ciascun ristette, 58
E della schiera tre si dipar-tiro
Con archi, ed asticciuole prima elette:
E Tun gridò da lungi: a qual mariiro 61
Venite voi , che scendete la costa ?
Ditel costinci, se non , l'arco tiro.
Lo mio Maestro disse: la risposta r>4
La strettezza pure del calle dee, aver volato il Poeta iudioare
anche nel principio del x\iii. di questa cantica in que* versi:
Tacili^ solij e senza compagnia
N*andauam Vun dinanzi j e t*altro dopOj
Conte i frati Minor vanno per i^ia ,
56 Centauri, mostri favolosi , mezzo uomini emesso ca\al-
]i . m-¥ F^cnian , legge TAng. E. R. <-«
67 solean nel mondo andare a caccia. Pretende appunto
Palefato ( •-►antico ed acuto greco filosofo, che si crede vis-
suto circa due secoli prima dell'era volgare <-• )j che^dall'es-
ser una comitiva dì giovani di Tessaglia posti la prima volla
a cavallo per cacciare ed ammazzare dei tori selvatici che di-
vastavano i campi, avvenuto sia che, veduti in cotal modo
que* giovani dalla inesperta gente, creduti fossero mezzo uo-
mini e mezzo cavalli. De non credendis fabulosi s narrat.
5() tre^ li tre Centauri che in appresso nominerà, cioè
Nesso, Chirone, e Folo; — ^< dipartirò , andando verso i due
Poeti .
60 asticciuole , frecce , saette , perocché appunto fiitte a
guisa di picciole aste. ^ prima elette y scelte dal mazzo pri-
ma che dalla schiera degli altri si dipartissero ; e scelte a fine
di fare al bisogno miglior colpo.
61 a qual martìroy a quale cerchio , a qual girone.
63 DitM costinci j ditelo di costi , cioè dal luogo dove siete;
— se nony ellissi nel parlar nosti*o assai frequente, vale quan-
to se non lo dite : — Inarco tiro per ui saetto ; perocché per
saettare tiransi gli estremi dell' arco ad incurvazioDe, e poi sa
rilasciano .
CANTO Xlf. 1G7
Farem noi a Cliiron costà di presso:
Mal fu la voglia tua sempre si .tosta.
Poi mi tentò, e disse: quegli è Nesso, 67
Che morì per la bella Deianira ,
E fé' di sé la vendetta egli stesso.
E quel di mezzo, che al petto si mira , 70
L il gran Chirone , che nudrio Achille :
65 Farem noi a Chiron^ capo de' Centauri » che loro o^
manda, vedi in seguito. — costà di presso ^ in cotesto vicino
lo(^o. m-¥ Costà j nel luogo ov' essi sono; ma perchè quest*av«^
cerbio non limita siccome il costi j però aggiunse di presso ;
Bugigli .^-s
66 Mal fu ec. , a tuo danno fosti tu sempi*e precipitoso
nelle tue voglie. Era costui, come nel seguente verso dichiarasi.
Nesso &ntauro ; e motteggia cosi Virgilio la furiosa df lui li-
bidine verso Deianira, per cui fu da Ercole, di Tei marito, saet-
talo e morto fa]* 9^tosta per subita , precipitosa , ec; e in que-
sto senso vedila usata anche al ^. 4^- del 11. passato canto. <-•
67 mi tentai mi toccò leggermente e di soppiatto. V. il Voc«
deDa Crusca.
^egii stesso y intendi, quantunque mor£o. Accòrtosi Nesso
d'essere da Ercole ferito con frecce tinte nel sangue dell'Idra
lemea, e che sarebbe perciò il p*oprio sangue stato ad altrui
un potentissimo veleno, diede a Deianira ad intendei*e che, se
col di lui sangue avesse tinta la camicia del maiito , spento sa-
tt'bbcsi in lui ogai amore verso altra donna. Per la qual cosa
serbato avendo fa donna del sangue del Centauro, quando una
fiata intese ch'era Ercole perduto dietro a Iole , mandò lui una
nunicia tinta del serbato sangue ; e, credendo di trarre il marito
dall'amore di Iole, il ti*asse ai vita [i].
yoyi E quel di mezzo , ec. Chirone , avo , e nuti*itore, e mae*
stro d'Achille [c^. ^^ al petto si mira^ significa essere cogita-
bondo, ed anche esprime la natura saturnina che teneva del
padre. Vellutello. --^ che nudrio ^ ^^gg^ ^^ Nidob., con mag-
gior dolcezza delle altre edizioni che leggono, il qual nudrìj
[di Ye«lì, Ira gli altri, Igino, Fab, cap 3^. e 36. [h\ Lo stesso ivi*
[(] Vedi, ti M gli altri f Nalal Cuoli, àIjUioL lib. 9. ca^i. ia«
268 INFERNO
Qacir altro è Folo, che fu sì pièn d'ira.
Dintorno al fosso vanno a mille a mille, 73
Saettando quale anima si svelle
Del sangue più, che sua colpa soriille.
Noi ci appressammo a quelle fiere snelle: 76
Ghiron prese uno strale, e con la cocca
Fece la barba indietro alle mascelle .
Quando s'ebbe scoperta la gran bocca, 7Q
Disse a* compagni risiete voi accorti
Che quel di retro muove ciò che tocca ?
Così non sogh*on fare i pie de' morti. 8i
•^ come leggono pur» i codd. Ang. e Antald. E. R. — e il c(kI.
Vat. 3i99.4-«
73 Foloj altro Centauro', ed uno de' primi a menar le mani
nelle nozze di Piriloo con Deidamia, O9 com' altri vogliono, I{>-
podamia [a].
74 7^ (juale anima vale qualunque anima. Vedi il Cino-
nio [AJ. — si svelle Del sangue y esce da quel bollente san-
gue; "^piùj che sua colpa sortille ^ più che sua colpa le me^
rito, essendo, come in appresso dirà, alcune anime più rre
immerse infino al ciglio , altre men i^ee in fino alla gola , e
cosi altre via meno ree via meno immerse.
J 6 fiere snelle ^ Centauri.
77 con la cocca j cioè con l* estremità opposta alla punta,
dove sta la cocca, ossia tacca, nella quale entra la corda clie
nel rilasciamento dell'arco spinge la saetta.
78 Fece la barba indietro alte mascelle. Avendo ciò (atto
per poter più liberamente parlare , come dai seguenti due veni
apparisce, consiegue che per la barba fatta indietro alle ma-
scelle s'abbiano a intendere i peli delle basette, che la bocca
coprivano, allontanati dalla bocca e cacciati vei*so le mascelle.
8 1 Che quel di retro ( Dante) muove ciò die tocca , l^e
la Nidob.; ove l'altre edizioni, che quel di rietro muove ciò
eh* e* tocca j m^e cosi anche il Vat. 8199. -«-s
82 Così non soglion fare i pie de* morti. Non per la nn
[a] NaUl Couti, Sfjthol. Iib« 7. cap. 4. [^j Paitic, 10. cap. 316.
CANTO XIL a69
E *1 mio buoa Duca , che già gli era al petto,
Ove le due nature son consorti ,
Ri$[iose: ben è vivo, e sì soletto 85
Mostrarli mi convien la valle buia:
Necessità '1 c*iaduce, e non diletto.
Tal si parti da cantare alleluia, 88
gione di Lacrezio , recata qui dal Venturi , petlere enim et
pelli ^ nisi corpus j nulla potest res (che tra oiia nuJtitudioe
d*escmpj contrarj ti*overemo nel canto xxxii. dell' lufeniOy
V. 104.9 presi dal Poeta nostro e sterpati ì capelli a Bocca de-
gli Ababy ed in questo stesso canto Nesso porterà Dante sulia
groppa), ma pei*cbé le nude anime non fanno peso sopra le
pietre, e perciò, quantunque sconnesse sieno, da loro non
vengono mosse. Girne poi vadi in sistema di Dante il tangere
r il tangi delle anime 9 vedrailo nella risposta alla critica del
Castclvi!tro, sotto il e. ri. del Pui^.y v. 83.
K.» al petto y cioè colla sua testa vicino al p:*tto di Chirone;
f* ciò ad indicare Taltexxa di quel Centauro, e cbe dal petto
iu su sopravanzava Virgilio .
84 le due nature 9 quella d^uomo, cioè, e quella di eaval-
lo; • son consorti y sono contigue e congiunte (essendo il Cen-
laaro dal petto in su uomo, e nel resto del corpo cavallo).
Consortes dicuntur quorum fines contìgui sunt [aj.
85 86 soletto ^ Mostrarli nù convien . Come fassi Dante
guidare iu questo suo viaggio da Virgilio per indicare la nor^
ma appresa da lui di descrivere T Inferno, cosi fa dire allo
stesso Virgilio di convenirgli soletto mostrai*e a Dante T In-
feroo, per accennare che Virgilio medesimo è il solo tra i pjcti
die poteva in questa parte erudir Dante . -— la valle buia ,
r Interno •
8 j Necessità 7 c^induce , e non ec. Necessità per pulsarsi
(lai vizj , vedendo come sono neirinfcino puniti. - Necessità
il conduce , non diletto y legge la Nidobcatina .
88 Talf Beatrice [6], si partì da cantare alleluia y dal Pa-
rii<liso ; cosi attamente circoscrivendolo per rapporto a quella
ti'stimonianza di s. Giovanni neirApocalissc : ^«liiVi quasi vo'^
l**] Rub. Sle|>!t., Tbes. ling, lai. [b] luf. u. v. 53.
!i7o INFERNO
Che mi commise qucsf uficio nuovo;
Non è ladroQy né io anima fuia.
cem tvrbarum multarum in caelo dicentiwn Alleluia [a].
jélleluia è ▼oce ebraica che significa lode a Dio [6J.
89 Che mi commise y legge la Nìdid)., meglio cke ne cofn-
mise delPahre edizioni, essendo la commissione stata dat« a
Virgilio solo. -- uficio nuouo-* per essere cosa nuoi'a , chio-
sano il Landino e il Vellutello, che i viui radino alt' Inferno»
Essendo però 9 secondò le favole e secondo Vìi-gilio medesimo ,
andati all' Inferno alti-i vivi , rimane che appelli nuovo cotale
OiBcio rispetti vamenU! a se medesimo. Imperocché, sebbene
aia egli disceso all' Inferno a//ra fiata [cj , non però per con-
durre colaggiii alcun vivo 9 ma per trame di là uno moito.
90 Non è ladron^ intendi , questo che uien meco j e muove
amlando le pietre; -né io anima fuia^ cioè Juracej fura^
ladra , rapace : oppure negra , scura ; o forse trista e cattila ,
dal fun^usj onde furvae hostiae. Cosi il Venturi. Ma io non
so (oppone il Rosa Morando) come furutis possa mai sigiiiti-
care tristo e cattivo. Furvae hostiae d'ano chiamati quegli
animali di pel nero, che si sacrificavano agli Dei deirintènio;
onde lo Scoliaste di Valerio Massimo [^J: furvae hostiae ni'
grae , antiqui superis immùlabant alba ammalia , inferìs
yero nigra; e apporta quel verso di Vii^lio [e].*
Due nigras pecudes ; ea prima piacula sunto .
Anzi lo stesso Valerio Massimo spone la voce furvus in
questo modo f^J.* hostias nigras ^ <fuae antii/idlus furvae</i-
cebanturé Non ci sarebbe en*ore alcuno se questa anuotazioDe
si leggesse cosi : Furace , fura , ladra , rapace ; oppure trista
e cattii^a ^ o forse nera e oscura , dal furvus , onde furvae
hostiae. Fido nel significato di tristo e cattivo si vede usato
in quel passo riferito dalla Crusca ; per avarizia fuia si tro-
vano tutte. Io per altro credo che ciò sia stata una pura inav-
vertenza del Comentatore , e eh egli avesse intenzione di dire
nel modo che si è per me emendato ; perchè nel Pui^atorio
al e. zxzui., V. 44«*
Messo di Dio anciderà la fuia
mostra d'intendere la yoce furvus nel suo vero significato, di-
(/il Jpoe.ffp. 19. [b] Magri, Notti. de*vocab eccles. [e] fot ix. aj*
[ti] Lib.aiCap. 4- oum. 5 [e] Anneid» vi. iS3. \f\ Lib. ^ c<ip 40- ^*
CANTO XII. 571
Ma per quella virtù y per cu' io muovo g 1
Li passi miei per si selvaggia strada,
Danne un de^tuot, a cui noi siamo a pruovo,
cendo : qual poi significato abbia la voce fuit se di fura e
ladra, se di furva e fosca , vedilo nel canto xii. delC Inferno
dov^è spiegato . Che poi la \oce fuia possa derivare àsLfuruusj
e significar /bjca, è totalmente chimerico • Apparisce chiara^
mente dal contesto che il Poeta Tusò per fura , cioè furace.
Fttioe furo sì disse per la parentela che passa tra 1'/ elVnel
modo che paio e paroj danaio e danaro ^ e simili • Cosi il
sig. Bosa Morando [a].
A me però , considerati i qui riferiti esempj e quelF al-
tro del Poeta nostro parimenti:
Dio vede tutto » e tuo uetler s*illuia^
Diss^ io j beato spirto , sì che nulla
f^oglia di se a te puot^ esser fuia [A],
pare che risulti che fuio^ ondunque si derivi (probabilmente
però dal latino furvus )y propriamente voglia significare neroj
buioy aggiunti di colore; e, che, come quegli aggiunti trasfe-
rìsconsi a significare eziandio or reo j or nascosto aWinten*
dimento ( dicendosi, per cagion d'esempio, coscienza nera^
questione buia ), cosi trasferiscasi fuio qui, e nel citato verso
del Purgatorio , ed in quell'altro esempio recato dalla Crusca^
a significar reo\ e nelr esempio poi del Paradiso^ dame pro-
dotto , a significare nascosto •
Né si può accordare al sig. Bosa che apparisca chiara"
mente dal contesto che fuia vaglia qui /lira . Il contesto non
richiede altro, se non che Virgilio si manifestasse esente dal
subir ivi alcuna pena ; ed a ciò bastava tanto il dire ch'egli non
era anima fura^ quanto il dire che non era anima rea^ e co-
me esso Virgilio aveva già detto a Dante di non essere per-
duto per alcun no difetto [e], cosi potè qui rispondere a Chi«
rene di non essere anima rea*
91 per quella uirtù^ per la divina virtii.
92 selvaggia^ orrida.
93 a pruovo vale* appresso . Ha Dante tal voce ( avvisano
ottimamente il Vellutelio , il Daniello e il Volpi ) presa dalla
[a] Osserva*, sopra V In/, a qucslo passo. [h\ Farad, ix. 78. • segg.
le] Inf IT. 4o*
17^ INFERNO
E cbe ne mostri là dove si guada ^ 94
E cbe poni costui iu su la groppa ,
Ch'el non è spirto, che per laere vada«
Cbiron si volse in su la destra poppa, 97
E disse a Nesso : torna , e sì gli guida ,
Lombardia . Se non ba essa voce dai tempi di Dante a questa
parte sofferta mutazione [à]y pronunziasi di pi^eseute in Lom-
bardia a pruo%^ in maniera che non si può seri > ere, oè leg-
gere y se non alla francese a preuv. L'ha però Dante con assai
proprietà toscanamente così vestita ; imperocché come i Lom-
bardi invece d'iiof^o y nuovo ec. dicono ( sempre alla firancese )
4?at^9 neuvecy cosi il Poeta d*a^reiii^ ha fatto a ^ruof^,* voce^
in fine 9 che dovrebbe trarre origine del latino a</ e ^ro»pe, on-
de i Latini stessi hanno fatto adpropinquo o appropinquo.
94 ^ che f^ mostrila doue si guada ^ l^ge la Kidob., in-
vece di Che I/e dimostrila o9e ec.j cbe leggono T altre ediz.
— guada y da guardare , passare il guado ^ eh' è quel luogo dei
fiume, o\e T acqua è poco profonda. Volpi.
95 che porti costui ec. EUsendo Dante col corpo, conveniva
che avesse chi lo portasse oltre il fiume sanguinoso • Dahiello*
"groppa y spiega il Voc. della Cr. , parte delt animale quadra^
pede appiè della schietta ; qui però sta la parte per tutto il dorso .
96 Cliel non è spirto j che per Paere t^ada^ legge la Ni-
dob., un pò* meglio che non leggono l'altre ediz.. Che non è
spirto che per Vaer vada, Jàere dì due sillabe adoperalo
Dante stesso, per testimonianxa deiredizioni tutte, se non al-
trove , certamente nel Purg. xxv. 91. ■-►La lezione della Ni-
dob. è disapprovata dal fiiagioli, che a giudice ne chiama ogni
buon orecchio italiano • <-«
97 destra poppa per lato destro • A ciò che di sopra ba
detto, che Chirone sla\a di mezzo tra Nesso e Folo ( t^. 70.),
aggiunge qui ed accenua che Nesso stava alla destra parte di
Chirone, e che peix*iò Chirone per parlare a Nesso %H>ltossi in
su la destra poppa .
98 torna. Com* è detto al f. 69, Chirone, con Nesso e Folo,
[a] Molli termini cln que' tempi aMì noalrì alterali e mutati &i possono
vedere per ^U esempj parecchi rJu* Dante sIp»m> dì vnr) dieleui uè u^
reca oel suo trai tato UtUa volgare elo^ueuia^
'v
CANTO XII. 273
£ fa cansar, scaltra schiera s'intoppa.
Or ci movemmo con la scoria fida 1 00
Laugo la proda del bolior vermiglio,
Ove i bolliti facean alte strida.
Io vidi gente sotto infino al ciglio; io3
E T gran Centauro disse: ei son tiranni,
Che dier nel sangue, e ueli'aver di piglio.
si enmo fatto incontro ai due Poeti. Dovendo adunque Nesso
senìre ai medesimi Poeti di guida , doveva tornare indietro .
— e sif e cosi commessi bramano. »-► torna è forse preso dal
liraiicese tourner^ se tournerj voltarsi. Poggiali .^-c
Q/^cansoTy allontanare. -^ scaltra schiera , intendi di Cen«-
tauri che, come ha detto 9 Dintorno al fosso vanno a mille a
mille \a\.
100 Or ci tno^ntmo, cosi la Nidob.; IVoi ci movemmo f
Tallre ediz. Or, particella, dice il Cinonio, con la <|uale tal*
volta si ripiglia 0 si continua il parlare, lat. itaque [6J; ed
io questo senso vi sta qui meglio che noi. Or ci movemmo^
l^ge andie il Vellutello e chiosa : questo modo di dire è simi"
le a quello die il Poeta usò di sopra al principio del decimo
canto f o%fe disse e Ora sen va ec. -^ con- la scorta /tda, con
Nesso.»-» La lezione della Nidob. non piace al Biagioli, rim-
proverando al Lombardi di aver qui male a proposito citato
il CÌDoaio. — Il Vat. 3 199 legge colla comune JVoi ci-, — e
così TAntald. E. R. Malgrado ciò, non ti*ovando noi disprege-
vole la lezione e la chiosa del nostro P. Lombardi , stimiamo
bea fatto il non iscostarci da lui . <«hì
101 Lungo la proda ec, lungo la ripa del fiume di boi-
lente sangue .
io2 facean j legge la Nidob.; e faceny l'altre edizioni.
io3 Io vidi gente sotto , intendi sotto il bollente sangue;
tnjtno al ciglio j alle ciglia degli occbi.
100 Che dier di piglio oc. , che miser le mani nel sangue e
nellarobaaltrni .««^Z^ard^i^f^/io , pigliare con violenza ; ne pò*
trebbe questa espressione esser sinonimo di prendere , se non
considerandoreffetto; ene chiedo perdono alIaCr. BugioIii.<<-«
y\ Verso 73. [b] Pùttic, 4* Cap. laa.
To/. /. i8
a74 INFERNO
Quivi si piaogoD gli spietati danai: 106
Qui v'è Alessandro, e Dionisio fero,
106 m^ spietati y crudeli, perchè da animo spietato sugge-
riti. Bellissimo modo di dire è questo attribaii'e agli eflettile
qualità delle cagioni onde son mossi. Biaoioli.^^
107 »-► QuxV'é ec. j legge l'Autald. E. R. * e il Vat. 3 igo*^
Qui u*S Alessandro . JVon Alessandro Magno (chiosa il Ven-
turi )j come spiegò il Landino con altri ^ e trasportò ultima^
mente il P. d* Aquino Pellaeus in unda aestuat hac iuvenisf
non sembrando probabile che il Poeta lo ponga in tal luogo
e con tal campagnia; ma Alessandro Ferèoy tiranno ddla
Tessaglia , le cui tirannie descrive Giustino .
Questa spiegazione , contraria alla comune d^li antichi
Gimentatoriy miselain campo il primo il Vellutello: dal Vel-
lulello presela il Daniello; ma non prese insieme T errore di
citar Giustino. Il Venturi si ha fatto suo l'uno e l'altro.
Non solamente Giustino non ci dice nulla di Alessaodro
Ferèo [a] , ma ci narra crudeltà così grandi usate da Alessan-
dro Magno verso de' suoi medesimi parenti ed amici 9 che e per
esse e pel corto , ma significantissimo carattere che al medesi-
mo fa Lucano in quel felix praedo [b] y potè con giustizia dal
Poeta nostro collocarsi qui tra coloro Che dier nel sangue y e
nelVoifer di piglio . Il nome che pone qui Dante di Alessan-
dro succintamente , senz* altro aggiunto y serve d' indizio , che
vuoisi intendere del più famoso, eh' è certamente il Magno; e
il non aver Dante collocato Alessanditi stesso tra gli spiritima-
gniàeì Limbo, ènna riprova cheriserbasseloper questolaogo.
Dallo scrivere Dante nel Coni/i>o dì Alessandro Macedone.
E chi non è ancora col cuore Alessandro per li suoi reali
bene/tcj [cj , l'autore della Serie (TAneddoti, num. //., sum-
pata in Verona 1786, tira conseguenza che non possa Dante
qui j^ev Alessandro intendere il Macedone stesso.
Primieramente i reali benefici compai'titi dal Macedone
a'commilitoni suoi non fanno contraddizione alla taccia òxpre-
datore; poi, se anche contraddicessero, non sarebbe qncìto
r unico luogo dove la Coìnmedia di Dante pugnasse col Con-
pito. Vedi, per cagiou d'esempio , Parad. 11. 5b. e segg., e tui*
[a] Parla* tra gli altri* dì Alessandro Ferco Diodoro di Sicilia ac'U-
bri iS. t i5. [b] PharsaL i« ai. [e] Trall. 4* cap. io.
CANTO XII. ^75
Che fé' Cicilia aver dolorosi anni :
£ quella fronte ^ eh' ba '1 pel cosi nero, 109
E Azzolino; e quel!' altro, eh' è biondo,
È Obizzo da Estì , il qual per vero
Fa spento dal figliastro su nel mondo. 1 1 a
V, 34. 9^ L' Antico^ citato nella E. F., crede che qai debbasi
iotcndere di Alessandro il Macedone, sebbene fosse a suoi tempi
da alcuni creduto che Dante abbia aui inteso di parlare di Ales-
taodro Re di Gerusalemme, bisavolo di Erode, uomo crudelis-*
timo, di cui parla Giuseppe Flavio nella sua Storia. — II Bia-
gioK è di parere che Dante qui parli di oueirAlessandro Fé-
rèo, atrocissimo tiranno, di cui intende che parlasse anch« il
PMnurca nel Trionfo d^jé more in questi versi.
Qué^duo^ pien di paura e di sospetta ^
Vuno è Dionisio , e Poltro è jilessandro . 4-«
— Dionisio fero, Dionisio, tiranno di Siracusa faiSi<-
cifia, notissimo nelle storie greche. Yolfi.
to8 Cicilia^ per Sicilia ^ scrìssero spesso gli anticfaL -- m^e r
dolorosi anni , con frase somigliante diciamo , dare il mal anno^
»ere il mal anno^as^er dunque dolorosi anni vorrà dire aver
lunghi guai.
1 1 Qjézzolinoj o Ezzelino , di Romano, Vicario imperiale nella
Maixa Trìvigiana, e tiranno crudelissimo de 'Padovani. Volfi.
s-^Fd della (amiglia dei Conti di Onara ; nacque nel 1 iq4, e ti-
niue^ò la Marca Trìvigiana e parte della Lombardia dal 1 %ìq
al 1 260. E. F.(V.Sansov. Urig» delle famiglie illus. d'Italia.)^^
1 i I Ila Obizzo da Estij Marchese di Ferrara e della Marca
d'Ancona, uomo crudele e rapace, che fu soffogato da un suo
figlinolo, detto dal Poeta per l'atto inumano figliastro ; benché
Don si scoperse mai bene il fatto, uè si venne in chiaro chi
ne fosse veramente stato il micidiale, ed altrì innocenti ne fu-
HMio a Corto incolpati . Vehtuiu .
Appunto per mostrarsi Dante notizioso di tale storico con-
trtsio v*aggiunge^er vero, che vale, per dir quello eh* ève"
rumente . m^ ce Questi (Obizzo) fu uomo gentile e potente. Fu
» «'letto per la Chiesa in Marchese della Bf arca d'Ancona , dov(*
»<rioclito e di licito guadagnò tanto, che, tornatosi ad Esti,
» con aiuto de' suoi amici occupò FeiTara, e caccionue poi fuor
M li nobili Vincìguerrì, e la parte dello Imperio . . • Finalmontf
270 INFERNO
Allor mi volsi al Poeta, e quei disse:
Questi ti sia or primo, ed io secondo.
Poco più oltre '1 Centauro s'affisse 1 15
Sovr' una gente , che 'niìno alla gola •
Parea che di quel bulicame uscisse.
Mastrocci un' ombra dall' un canto sola , 118
Dicendo: colui fesse in grembo a Dio
» con un primaccio fu soffogato da Azzo suo figliuolo . » G)&i
l'Antico nell'E. F. <mì
1 1 3 Allor mi volsi al Poeta. VoltossI Dante a Vii^io, pa-
rendogli da lui 9 e non dal Centaui'Oy avere ad essere iuformato
degli spilliti di quel luogo. Vbllut£llo.
1 1 4 1 1 5 £1 sia or prirno , ti sia ora maestro ; - ed io secon-
do y ed io sarolti dopo di ììiì.'^s^afpssej fermossi. Dabiello.
116 117 uscisse dal bulicame fino alla gola vale il mede-
simo che ai^esse tutto il capo fuori del bulicame • Chiama bu-
licame quella fossa del sangue bollente , per similitudine del
Bulicame di Viterbo , che è si caldo , die vi si cuocerebbero le
uova. BuTi [a\.
1 1 8 Sola y accenna la singolarità del delitto da lei commesso.
fio lao colui ec. Nell'anno 1270 Guido yO)nte diMonfor-
le y nella città di Viterbo , in chiesa e in tempo di messa , anzi nel
tempo stesso dell'elevazione della sacra Ostia , con una stocca-
ta nel cuoi^ proditoriamente ammazzò Arrigo > nipote d'Arri-
go III. Re d* Inghilterra, in vendetta dell' obbrobriosa morte
che Adoardo, cugino dell'ucciso, aveva per giusta ragione di
stato fiitta in Londra subire a Simone di Monforte suo genit(H^.
Ti-asferito in Londra il coi*po del morto Arrigo, fu sopì a dì
una colonna, a capo del ponte sul Tamigi, riposto il di lui
cuore entro una coppa d*oro, per ricordare agl'Inglesi Toltrag-
gio ricevuto [&]. Questa notizia premessa, ecco la costmzioDc
[a] Citato dal Vocabolario della Cr. alla voce Bulicame, [b] Il Landi-
no» Vellotelloy Daniello e Yen (uri , tutti d'accordo dicono la coppa
eoo entro il cuore d'Arrigo posta in mano alla statna del medesimo
Arrigo, innalzata sopra il di lui sepolcro nella cappella dei He. Caio.
Villani però, piii favorevolmente al parlare del Poeta nostro , riferisce
collocata quella coppa su di uoa colouua sopra il poute del Tarn
Cron, lib. 7. cap. 40*
%'-
CANTO XII. 177
Lo cuor, che 'n su '1 Tamigi ancor si cola •
Poi vidi genti , che fuori del rio 1 21
Tenean la testa, e ancor tutto '1 casso:
E di costoro assai riconobb' io •
Cosi a più a più si facea basso 1 i4
Quel sangue sì , che copria pur li piedi :
£ quivi fu del fosso il nostro passo.
Siccome tu da questa parte vedi 1 27
Lo bulicame , che sempre si scema ,
insieme e spiegazione de' presenti due versi. Colui y Guido di
Mooforte, in grembo a Dioj espressione enfatica invece di dire
nella casa di Dio ed alla di lui pi*esenza ; fesse y da fendere , ia-
gliò , ferì lo cuor di Arrigo , che *n sul Tamigi [a J , sul pont«
del Tamigi ; ancor si cola gli E^ositori tutU intendono per
antitesi detto invece di si cole » si onora ; chi sa però che non
fnsse quella coppa forata a guisa di colatoio j acciò se ne ve-
desse il sangue a scolare ^ e cosi maggiormente si eccitassero
gli animi alla vendetta ; e che ancor si cola non vaglia quanto
ancora se ne sta nel colatoio? »-^Il Biagioli trova questa se-
conda opinione del Lombardi indegna di lui, non che di Dan-
te, e ridicola quanto mai si può aire; né in questo sappiamo
come il Lombardi possa aver luogo a buona difesa • 4hì
la I Poi %^idi genti , che piori del rio f legge la Nidob. ;
Po\idi genti, che di fuor del rio yV altre eóiziom »-^rAng.
E. R. •>- La lezione di Nidobeato, secondo il Biagioli, dà al
verso un'armonia disconvenevole affatto al sentimento in lui
compreso . «-•
laa Casso (chiosa il Vocab. della Cr.), la parte concav^a
del corpo circondata dalle costole , lat. awsum , Amob.; ed
oltre a varj esempì del nostro Poeta, ne allega altri di autori
diversi.
134 A pia apiùj lo stesso che di mano in mano più. Vo-
cabolario della Crusca.
1 75 pur li piedi j solo i piedi. a-^Gosl anche Torelli •<-«
[«] Ripartaci tal leaione» invece della volgata « che *n su Tamigi , irò-
vaia nel ma. di Filippo Villani» il eh. autore degli Jneddoli, Vero-
"**790»n. v.fac. la.
378 INFERNO
Disse 1 Centauro, voglio che tu cretii
Che da quest'altra più e più giii prema i3o
Il fondo suo, iufin che sì raggiunge
Ove la tirannia coovien che gema .
La divina Giustizia di qua punge i33
QuelFAttiia, che fu flagello in terra ,
E Pirro, e Sesto ; ed in eterno munge
Le lagrime, che col bollor disserra i36
i3o al l'oli pia e più già prema ec.j di mano Iti numo ab-
bAftsi il fondo suo 9 fino che» circolarmente aggirandosi, si rio-
nisce là dove prima vi vedemmo Alessandro e Dionisio, egli
altri tiranni immersi infino al ciglio* m^ Mei si raggiunge y
ha il Yat. 3 199; - e cosi legge pure Torelli chiosando: «c<fi;(ii
•» ch^egli s^arrii^a; raggiungere ^r giungere j il verbo compo-
n sto pel semplice. Altri intende , infinche il fondo svanisce; e
a> non so quanto bene . » ^hi Che da queltaitr^a più a più , leg-
Sono l'edizioni diverse dalla Nidob.» »-^ed il Biagioli, senaiirao-
ogli formola più bella assai che il più e più della Nid(d>.4-c
i34 Attila y Re degli Unni» che fu appellato Flagello di
Dio .
i35 1 36 Pirro 9 Re degli Epiroti o Albanesi, avidissimo
d'imperio ed implacabile nemico de'Romani . Altri intendono
dì Pin-o figliuolo d'Achille, e questi siegue il P. d'Aquino, Pe-
lidde hic soboles; sebbene il Volpi tiene per indubitato che
non deve intendersi di questo. Vertvki.
Sesto Pompeo (spiega giustamente il Daniello), fY^uo/e
fu grandissimo corsale , come dimostra Lucano , il quale di
lui parlando dice :
Seztus erat magno proles indigna parente ;
Qui moz scyllaeis exsul crassatus m undis
PoUuit aeqnoi'eos Siculus pirata trìumphos [aj.
ji tenni ( siegue } dicono cosini essere stato Sesto Jarqui-
nioy che violentò Lucrezia.
Il Venturi, riferite ambe queste opinioni , soggiunge che
3uanto a lui è più probabile che il Poeta non intendesse n^
etTunOy né deiraltro ^ per non essere stati propriamente
[a] V?ggasì aiiclie Floio, Epitome lib. ia3.
CANTO XII. aV9
A Rmielr da Cometo, a Rinier Pazzo,
Che fecero alle strade tanta guerra :
Poi sì rivolse, e ripassossi '1 guazzo.
tiranni j ma ili Sesto Claudio Nerone f crudelissimo Impe*
rotore e tiranno .
Due errori. Il primo è di non ricordarsi che in questo
cerchio bolle - Qualj che per violenza in altrui noccia \a\ , e
non i soli propriamente tiranni. L'altro è di cognominar iS^-
sto Nerone Imperatore, non si trovando dati lui altri nomi che
di Claudio Domizio Nerone. Peitanto sono di avviso con Da-
niello che debba intendersi Sesto Pompeo ^ o Sesto Tarqui"
nio. »^Mail Poggiali, coi più sensati Cementatori , pensa che
il Poeta alluda qui unicamente al primo , troppo noto per le
vili sue piraterie. 4~m in e temo munge - Le lagrime j aprane ,
Gì uscir le lagrime etemalmente, — che col bollor disserra ,
alle quali col bollore apre la porta, m-^quel bollor ^ ha^ con
buona variante , il cod. Antald. E. R. ^-m
tìy i38 Rinier da Corneto infestò co' ladronecci la spiaggia
nuittima di Aoma ; e Rinier della nobile famiglia ed* Pazzi no*
itentioo, fu fiunoso assassino ancor esso* YmBiVM.m^a Rinier
Pazso , leggono TAng. e TAntald. E. R.-e noi colYat. 3 i^g^^Hi
189 si riiH}lse. Nesso Centauro che, come nel i^. ia6. è det^
U>, aveva coi Poeti passato quel sanguigno fosso , portando
(s* blende, giusta la petizione di Vii^lio, i^. gS») Dante sulla
S'appai ora sen toma indietro e ripassa il guazzo^ il foaso
medesimo, per riunirsi a Chirone ed agli altri compagni.
[fl] Tersi 47. e 4^- del presente canto.
J
CANTO XIII
i»»>>
ARGOMENTO
Entra Dante nel secondo girone^ ave sono puniti que-
gli che sono stati violenii cantra loro stessi, e
quegli altri che hanno usata la violenza in ì-uina
de* lofo proprjheni. I primi trova trasformati in
nodosi ed aspri tronchi , sopra i quali le Arpie
fanno nido • / secondi vengono seguitati da nere e
bramose cagne, tra' quali conosce Lana sanese e
Iacopo padovano. Ma prima ragiona con Pietia
dalle Vigne, da cui intende la cagione della sua
-morte, e come le anime si trasformano in quei
tronchi : ed ultimamente ode da un Fiorentino la
^cagione de* calamitosi avvenimenti della città sua^
e ch'egli nella propria casa f ossesi da se medesimo
appiccato •
N
on era ancor di là Nesso arrivalo, i
Quando noi ci mettemmo per un bosco.
Che da nessun sentiero era segnato.
m-^ «Bellissimo oltre ad ogni credere si è tutto questo can-
^ tOy e di ricchezze pellegrìoe di poesia e di lingua aUxMidaii-
» tissimoy le quali, non si potendo a una a una annoverare, le
» lascio al discernimento deiraccorto lettore. i> BiacioIiI. 4-a
I di là dalla sanguigna fossa sopraddetta.
a 3 ci mettemmo, c'incamminammo. -^ioxco da nessmn
sentieio segnato vale saluatichissimo . m^ Di nessun sentiero
ha più gentilmente il cod. Antald. E. R. «^
CANTO XIII. a8i
Non frondi verdi , ma di color fosco ; 4
Non rami schietti , ina nodosi e 'nvolti ;
Non |x>mi v*eran, ma stecchi con tosco,
Non han sì aspri sterpi , né si folti 7
Qaelle fiere selvagge, che 'n odio hanno
Tra Cecina e Corneto ì luoghi colti .
Quivi le brutte Arpie lor nidi fanno, io
4 B-^ Non fronda verde ^ leggono i codd* Antald. e Ang.
E. R. — e il Vat. 3 199. 4-«
5 rami schietti j dritti e senza nodo . Petrarca : In un bo»
tchetto nuoi^o i rami santi - Fiorian d'un lauro gioi^inetto
e schietto • Ed altrove : Schietti arboscelli ^ e verdi frondi
acerbe • DahiblIiO. '^ incolti , intralciati.
6 stecchi con tosco vale quanto spine e tossico . Stecco ,
spiega il Vocabolario della Crusca, spina eh* è in su U fusto j
0 tu' rami d* alcune piante,
7 al 9 Cecina , fiume che sbocca in mare mezza giornata
lontano da Livorno verso Roma. Corneto j piccola città della
provincia del Patrimonio . In questo tratto di maremma vi sono
boschi e macchie foltissime, e sono popolate di daini, caprioli
e cignali , fiere che amano il salvatico e fuggono il domestico
(i laoghi colti )• Vbhtubi.
10 brutte Arpie* m^ Sono le Arpie uccelli &volosi con viso
p collo di donzelle . I poeti le dissero figlie di Tanmante e
d'Elettra. Furono tre, chiamate Aelo , Ocipete e Celeno. Pre-
dicevano i destini . Si finsero rapacissime , e perciò i poeti , dal
greco ipTiiS^t^y <^he significa rapire , le chiamarono Arpie. •«-•
Ecco come le descrive Virgilio :
Tristius haud illis monstrum^ nec saeuior uUa
Pestis et ira deum stjrgiis sese extulit undis •
yirginei volucrum vultus , foedissima ventris
Proluuies y uncaeque manusj et pallida spmper
Ora fame [a] .
— nidi, la Nidobeatina; e nido j Talune edizioni, i^lì co-
dice Vat. 3199 legge , QiuVi lor nidio le btutt* Arpie fan^
[«] Àeneid^ iiJ« 9 1 4* ^ segg.
aSa INFERNO
Che cacciar delle Stro£ide i Troiani ^
CoD tristo aoQuazio di futuro danno.
Ali hanno late • e colli , e visi umani , 1 3
Pie con artigli, e pennuto 1 gran ventre:
Fanno lamenti ia su gli alberi strani .
E *1 buon Maestro: prima che più entre, i6
Sappi che se* nel secondo girone,
Mi cominciò a dire, e sarai, mentre
Che tu verrai nell'orribil sabbione. 19
Però riguarda ben se vederai
1 1 Che cacciar ce. RaccoDta Vii^Iio, nel citato luogo 9 che
essendo nel suo viaggio Enea coi Troiani compagni approdato
Mi^Strofade (isole del mare Ionio, o^^ Stridali volgarmente
appellate \a\)t l'Arpie, che in quelle isole abitavano, a forxa
d'insulti, e massime col rapire ed imbrattare ai Troiani le vi-
valide, li costrinsero presto pi^esto a partirsene di là .
la Cqìk. tristo annunzio ec, predicendo a' Troiani da ona
alta rupe un'Arpia:
Ibitis Italiani ^portusqueintrare licebit.
Sied non ante aatam cingetis moenibus urbemy
Quam POS dira fames , nostraeque iniuria caedis
Jimbesas subigat malis absumere mensas [&J.
Predizione che forte li sbigotti , ma che poscia revento dimo-
strò enigmatica; e che per le mense intendevansi le stiaoctate
di pane , che una fiata mangiando sul prato fecero servire di
mense , mettendole sull'erba , e soprapponendo alle ■*^^^"»*
le frutta per cibo destinate [e] .
1 3 m-^ Ale hanno late , colli e visi umani ^ legge TAnuld.
E. R.4-«
i5 m-^ Fanno i lamenti, ha TAng. E. R.4hì
* 1 8 19 mentre ^Che per infinattantoché ^ in cotiispooden-
za al latino donec \d\ • ^neirorribil sabbione del girone teno.
20 riguarda ben , considera e nota bene. — riguarda ben
se i^ederai , legge la Nidobeatii>a ; riguarda bene , e sì vedrai^
[a] Ferrar. Lexic. Geogr. [b] Aeneid, nt. a 54. e segg. [c\ jteneid* vu.
109. eseg« [d] Tedi il CÌDon.« Panie. 1. cap. 171.
CANTO Xin. a83
Case, che daran fede al mio sermoDe.
Io sentia già d'ogDÌ parte trar guai, ili
E QOQ vedea persona che '1 facesse :
Perch' io tutto suiarrito m'arrestai.
Io credo eh' ei credette eh' io credesse, a 5
l^eono le altre edizioni . — Vederai , cosi la Nidobeatina
anche altrove . Vedi il %f, 17. del passato canto 111. e (jnella
nota. Wh¥ Però riguarda ben; sì veder ai ^ legge il codice Vai.
8199. Il Biagioliy che legge colla Cmsca, vuole che la lezio*
ne di Nidob. an*echi orribil guasto al sentimento ed ai versi .
Confessa che nelle parole del testo, logicamente parlando, la
coslnuione è viziata, e conclude che, se fosse lecito ad alti4
por mano alle cose dei grandi , avrebbe sostituito al testo la
seguente lezione:
Però riguarda bene , e sì vedrai
Cose I che daran fede al mio sermone •
Per queste parole mio sermone j vuole poi che s'intenda
dò che \ii*gilio ha detto nel 11 1. della Eneide in quei vani die
nccontano come il morto Polidoro parlò ad Enea . 4-a
3 1 Cose f che daran fede ec* ; legee la Midobeatina ; ove le
altre edìz . (m^ e i codd. Àng. e Antald., E. R., e il Vat 3 1 99 <-« )
leggono, Cose , che torrien fede ec.i alla qual lezione biso*
gnerebbe sottintendere se le dicessi ^ e supporre che non le
dicesse mai • Avendo adunque Virgilio cofcali mirabili strava-
gaaze raccontate già nella sua Eneide \a\^ e supponendo es*
iVi Dante di cotal suo racconto notizioso ed incredulo 9 come
pel verso 46. e segg. apparisce, resta che la Nidobeadna le«
liooe sia la preferibile.
%% Io sentia già d'ogni parie trar guai j cosi laNidobea*
tina; e l'altre edizioni, P sentia d* ogni parte tragger guai.
Trarre o traggere guai vale lamentarsi. Vedi il Vocabolario
deUa Crusca sotto i verbi Tirare e Trarre^ $• 117.»-^ trarre
guai espulso il già , legge il codice Antaldino, E. R», — e il
cod. Vat. 3199. E a dir vero quel già della Nidobeatina ren-
de il verso disarmonico e saltellante , come osswva anche il
Bi«gioli.4-«
u'ó Io credo ch^ei credette j ec» Il Venturi giudica questo
[a] Lib. ui« «3. e segg.
i84 INFERNO
Che tante voci uscisser tra que' bronchi
Da gente, che per noi si nascondesse:
Però, disse 'I Maestro, se tu tronchi 28
Qualche fraschetta d'una d'este piante.
Li pensier, eh' hai, si faran tutti monchi .
scherzo di yarole' poco degno d^ imitazione ^ né gli basta che
imitasselo PAriosto:
Io elodea ^ e credo , e creder credo il vero [a] .
ed avrebbe invece voluto detto:
rpenso d%* e* stimasse ck* Scredessi.
Nel verso però di Dante^ se non vi fosse altro^ v'è almeno lo
scherzo y e non v*è quella ricercata e fredda mutazione di si-
nonimi, nò quel fascio d'erano, asse^ essi^ che ci vorrebbe ca-
ricare il Venturi, m^ Questa maniera non è molto dissimile da
quella usata da Persio: scire nihil est^ nisi te scire sciatala
ter. Torelli. — Cred^io^ec-y legge il Vat 3 199. — Anche il
Biagioli difende a tutta possa, e con un esempio del Boccaccio
e parecchi altri dell'Aidosto, questo verso di Dante. Ma il dotto
Cementatore ci perdoni l'osservazione. Il Decamerone edilFn*
rioso sono produzioni d' un genere da quello della Divina Com-
media assai differente. In esBe può lodarsi ed ammettersi ciò
che alla seria ed alta poesia non s' addice. Ne a torto, a parer
nostro, questi freddi giuochi di parole vennero rimproverati
ai per altro incomparabile Tasso. Senza però intendere di vo-
lerne qni fare col Venturi un gran reato al Poeta nostro , ci per*
metteremo di osservare che simili schermi di vocaboli servono
di spiacevole distrazione allo spirito, raffreddando il sentimento,
diminuendo 1* interesse, e muovendo quasi a dispetto il lettore
tutto assorto nella contemplazione di oggetti gravi ed elevati .
— n Poggiali esclama qui contro V espressione io credesse ,
, inflessione nella prima peraona dell'imperfetto del subiontivo,
che la lingua nostra non ha mai ammessa, e che ha rilasciata
totalmente alla rispettabile antichità • 4hì
36 Wh¥ di que^brondiiy ^<^g^ TAntold. E. R. ^^
3o si faran monchi j tix>ncneranno e cacceranno il pr^a-
dizio che presentemente l'ingombra: ovvero appariranno, qua*
li sono , manchi e difettosi .
[a] Fur. cant. iz st. a3.
CANTO XIII. 285
Ailor pors' io la tuano un poco avante, 3 1
£ colsi un ramicello d'un gran pruno,
£ 1 tronco suo gridò : perchè mi schianto ?
Da che fatto fu poi di sangue bruno , 34
Ricominciò a gridar: perchè mi scerpi?
Non hai tu spirto di pietate alcuno ?
Uomini fiimmo, ed or sem fatti sterpi: 37
Ben dov rebb^ esser la tua man più pia ,
Se stati fossim' anime di serpi.
Come d' un stizzo verde , oh' arso sia 4^
Dall' un de' capi, che dall'altro geme,
E cigola per vento che va vìa j
Così di quella scheggia usciva insieme 43
Parole, e sangue; ond' io lasciai la cima
3i Allor pors^ io j legge la Nidobeatina ; e j4Uor porsi ^ le
tltre edizioni: «-^ e il Biagioli pretende che la lezione di Nidob.
tolga non so qual grazia al verso. «-■
^im^E colsi un rcuniselda un gran pruno j legge il cod.
33 sAianie^ antitesi, ìnyece di schianti. Schiantare ^ rom^
pere con violenza y spiega il Vocab. della Crusca.
3S mi scerpi f alFistesso senso del latino discerpere* Scer^
pffrcy rompere i guastare y Schiantare ^ spiega il Vocabolaiìo
della Crusca 9 che poteva aggiungervi anche dilacerare* La Ni-
dobeatina legge , mi sterpi.
39 Se per ancorché ^ quantunque. Vedi il Ginonio [aj.
»^ Ile jrote legge il Vat 8199. «^
40 Comcj sottintendi ai^iene, <— stizzo , tizzone 9 tizzo 9
Vedi il Vocabolario della Crusca. »-► Come di un tizzon uer^
ff^ ^. , legge il cod. Poggiali , e rende il verso migliore . ^hi
4i •^aalVun de* lati ^ Legge il Vat. 3199. ♦-■
4^ cigola . Cigolare pare appunto verbo formato dal suono
Hie manda il tizzo verde che abbrucia . — va uia per esce .
43 44 ■-► Si della scheggia rotta uscii^a insieme , bella
.'ij Patite. aa3. Duni. 9.
!>86 INFERNO
Cadere , € stetti come Y uom , che teme •
S' egli avesse potuto creder pri ma , 4^
Rispose '1 Savio mìo, anima lesa,
Ciò eh' ha veduto pur eoa la mia rima ,
Non averebbe in te la man distesa; 49
Ma la cosa incredibile mi fece
Indurlo ad ovra, eh' a me stesso pesa.
Ma dilli chi tu fosti, si, che 'nvece 5i
D'alcuna ammenda , tua fama rinfreschi
Nel mondo su , dove tornar gli lece .
Tarlante del cod. Antald. E. R. 4hì scheggia qui per tronco
jteheggiaio , come altrove per ischeggiato scoglio [a] » e però
uel verso 55. appella tronco quel inedesimo che qui scheggia
appella . — usciva insieme - Parole , e sangue ; sillessi j coinè
quella di Virgilio nel i . dell'Eneide: JJic illius arma , hic cut'
rusfuit. •-►Ma pretende il Biagioli che il Lombardi s'innnniy
non essendo questa di Virgilio unasillessi, ma bensì on'ellissi ,
essendo l' intero costrutto : Hic illius arma fuerunt j hic illius
currus fuit • «-«
46 47 Scegli ecj costruzione: anima lesa, scegli at^sse
potuto ec. ; e vale quanto se detto avesse: O anima offesa^
se costui allesse prima d'ora potuto piegar sua niente a ere-
dere ec-
48 m^pur con la mia rima, cioè per le mie sole parole.
ToftELLi.4Hi^rir, ancora .-rima , da rhythmus per yersi^ con-
venientemente dello.Bhjrthmus est i/ersus imago modulala [6].
I versi di Virgilio , che ciò raccontano, sono, com'è detto, del
terzo dell'Eneide .
5 1 ad oura , all'opera di troncare il ramicello, consigliatagli
ne* versi 28. e ag.; — - eh* a me stesso pesa, che a me stesso
Ùl ribrezzo.
Sa al 54 <f' ^6 ^ni^ce '^ D* alcuna ammenda^ vale quanto»
sì che per alcuna ammenda, cioè per qualche compensazicMKN
su nel mondo , dove tornar gli lece , dove di ritomave gli è
lecito, rinfreschi j rinnovi, tua fama,
[a] Inf. 'Svitt. 'lì >\h] Dìomed. presso Rob. Slef.» Thes^ur. fin^. I«f.
CANTO XIII. !i87
E '1 tronco : si col dolce dir m'adeschi, 55
Gli' ì' non posso tacere ; e voi non gravi
Perch'io un poco a ragionar m'inveschi.
Io soD colui , che lenui ambo le chiavi 58
Del cuor di Federigo, e che le volsi,
Serrando e disserrando, si soavi ,
Che dal segreto suo quasi ogni uom tolsi : 6 1
Fede portai al glorioso uiìzio,
Tanto , eh' io ne perdei lo sonno e i polsi .
55 col dolce dir m*adeschiy colla gradevole esibizione m'al-
letti.
57 a ragionar m'ini^eschi, mi attacchi e trattenga, s-^/zi-
vescarcj quasi andare alPesca , appigliarsi con affetto ad una
cosa. fiiAGioLi. — iPifii^eschi y mi lasci vincere dal- piacere di
ragionare e dairallettamento di quella cortese promessa [a] .
MovTi. 4-a
58 69 ambo le chiatti -^Del cuor di Federigo. Chiavi me-
taforicamente per arbitrio di muoverlo ad amore e ad odio. E
costai che parla Pier delle Vigne, Capuano , cancelliere di Fé*
derigo li . Imperatore. Fu egli un tempo caro a Federigo sopra
ogn'altro ; ma poscia accusato essendo da maligni ed iuvidiosii
cortigiani d' infedeltà , e di aver rivelati i segreti alla sua fedw
commessi , fu dal troppo credulo Imperatore fatto accecare : la
quale calamita non potendo soffrire , s'uccise da sé stesso [6J.
60 sì soavi f invece di cosi soavemente .
61 Che dal segreto suo ec, dalia confidenza di Federigo.
-- quasi ogni uom tolsi j non confidando egli segreto quasi a
oissun altro .
6a Fede portai per serbai ^ mantenni, m^al glorioso Ho^
spitio j legge qui per errore il Vat. 3 1 99. ^hi
63 Tanto y cA'io ne perdei lo sonno e i polsi , legge la Ni-
dob. ed altri testi veduti dagli Accademici della Crusca; e U
sonni e i polsi ha pur veduto altrove scritto il Vellutello.
Questa lezione mi sembra preferibile all'altra comune , lanto^
ch'iene perderle vene e i polsi y ■-► Ch'è pui* quella del cod.
[a] Prop, voi. a. P. I. fac. aóf. [b\ Gio. VilUni, lib. 6. cap. iS.
a88 INFERNO
La meretrice 9 che mai dall'ospizio 64
Di Cesare non torse gli occhi putti ,
Morte comune, e delle Goni vìzio,
Infiammò contra me gli animi tutti , 67
£ gì' infiammati infiammar si Augusto,
Che i lieti onor tornaro in tristi lutti .
L'animo mio per disdegnoso gusto, 70
Credendo col morir fuggir disdegno ,
AntaliL E. R. e delVat. 3 199; 4^ imperocché alla perdita della
vita, che sola per le perdale uene e polsi s'intende (ed egual-
mente anzi per la sola perdita de' polsi y che per la perdila delle
vene e de'polsi), fa la Nidob. lezione con giusto grado precedere
la perdita da Piero fatta del sonno y cioè le notti da esso lui
vegliate per esercitare con fede ed esattezza il suo impiego ;
venendo in sostanza a dii^; il medesimo che se avesse invece del-
lo: Tanto y cK*io vi perdei gli agi e la vita. m^AX Biagioli
non piace la lezione della Nidob., e taccia di scipitezza la caiio-
sa del Lombacdi con queste parole: cKG*rto Dante non potè
M dir cosa tanto scipita ; che simile sarebbe al dire di colui che,
u per mostrare le sue perdite y dicesse: ho perduto dite lire e
» cento milioni, Adunqne la parola del testo vuol dire , ch'io
» ne perdei la vita . m ^hi
64 al 66 La meretrice ec; costruzione: La meretrice (rin-
vidia), Morte comune (allusivamente al dello della Sapienza :
invidia Diaboli mors introivit in orbem terrarum [aj), e vi"
zio delle Corti (per de* cortigiani) y che mai torse (voltò via)
gli occhi putti (puttaneschi, maliziosi , maligni: allo slesso si-
gnificato adopera Dante questo addiettivo nell* undecimo del
Pui^., V. i44-) dairospizio di Cesare y dall'imperiale palagio.
69 lutti y pianti 9 guai. »-» Che lieti y omesso rarlicolo, leg-
ge il Val, 3 1 99. 4-«
70 disdegnoso gusto vale gusto arrabbiato .
7 1 fuggir disdegno per fuggire dispregio (Vedi il Voca-
bolario della Crusca); e dice credendo y intendi falsamente y
perocché uccidendosi incontrò peggior disprezzo nelF Inièmo.
\a] Snp. a. 34.
CANTO Xiri. 289
Ingiusto fece me contra me giusto.
Per le nuove radici d'esto legno 7.3
Vi giuro che giammai non ruppi fede
Al mio Signor, che fu d'onor sf degno:
E se di voi alcun nel mondo riede, 76
Conforti la memoria mia, ohe giace
7 a Ingiusto fece me ec*^ spingendomi a danni non merita-
ta morte.
yS Per le nuo%^ radici tTesto legno ^ di quest'albero, in
coi mi racchindo ; nuove appellando le di lui radici per rap-
porto a quelle d'altri simili alberi d'anime contro sé stesse vio-
lenti, cheiri esser dovevano già da molti secoli ; ed il parlante
Piero non poteva aver contato in quel luogo che una cinquan-
tina d*anni in circa • •-> Torelli interpi*eta nuoi^e per mirabili,
-Oj^nendosi al Lombardi, vuole il Biagioli che queirombra
infelioe chiami nuoue quelle radici per la novità lagrimevole
dello stato suo, si diverso da quello che già fu. 4-«
75 che fu d^onor sì degno. Pare ( chiosa qui il Landino)
che l'autore si contraddica, chiamando Federico €/e^o d*ono^
rCf lo goal di sopra pose come eretico e nemico della sedo
Apostolica [a]. Ma rispondo che non parla ora il Poeta ^ ma
messer Piero ; il quale volendo persuadere di non l' aver tra-
dito. Io cbiama degno d^onore^ acciocché per questo sia ve-
risimile che non l'avrebbe tradito, essendo sì degno. O vera-
mente diciamo che, benché avesse il visio già detto di sopra,
nondimeno in molte altre cose fu eccellente, e massime nella
disciplina militare e nella signoria ec.»->Equi opportunamente
ricorda il sig. Poggiali la massima esternata da Dante [&] , che i
dannati del ano Inferno sanno solamente le cose avvenire, ma
che delle presenti non sono punto informati . In consc^enza
di qoeata ignoranza en| dunque ignoto a Pier delle Vigne de
Federigo IL, già suo signore, fosse da 5o anni a quella parte
all' Intano nel cerchio sesto tra i miscredicnti , come abbiamo
veduto sopra al i^. 1 ig. e. x. ; altrimenti non l'avrebbe forse qui
chiamato d'onor si degno . ^-m
77 che giace j eh' è vilipesa «
[a] Caoto X. 1 19. [òj laf. e x. da! r. ^7* al n 8.
FoL L 1 9
ago INFERNO
Ancor del colpo, che 'nvidìa le diede.
Un poco attese , e poi: da ch'eì si tace, 79
Disse 1 Poeta a me, non perder Fora,
Ma parla , e chiedi a lui , se più ti piace .
Ond'io a Ini: dimandai tu ancora 8:2
Di quel che credi eh' a me soddisfaccia;
Ch'io non potrei, tanta pietà m'accora.
Però ricomincio : se Y uom ti faccia 85
j6 del colpo f del fevdal. Vedi il Cinonio [aj. s-^Ma s'in-
gamia, dice il Biagioli, poiché del colpo è un compendio di
a cagione del colpo ; onde chi sottilmente guarda «^accorge
esaere intenzione di chi parla d'aver in riguardo la cagione, e
non l'effetto suo; che non la pena, ma la cagion sua è quella
che disonora .«-^
79 80 Uh poco attese j ec»; costruzione: Il Poeta j Virgìlioy
un poco attese j aspettò [61, e poi disse a me: da (per già)
ch^eisitaccf non perder t ora j il tempo. «-^ La preposizione
da sta qui, e in ogni altro luogo, per sé, cioè per indicare
il luogo o il tempo da che comincia o dee cominciar TazicMic.
BlAGIOLl«4Hi
81 se pia ti piace f se ti piace d'udir da lui alcuna cosa di
più.
82 m^ dimanda j legge l'Ang. E. R. e il Vat. 3i9g.4-«
83 eh' a me soddisfaccia , che sia per soddisfarmi.
84 Ch^io non potrei y ec, non poti*ei reggere a parlar eoo
lui, tanto il mio cuore è stretto dalla compassione di sue di-
savventure.
85 all'87 se Puom ec. Se per così, deprecativo ( in quella
guisa che i Latini adoperano alcuna fiata il sic. Sic te diva
potens Cypri [e]), usato dal Poeta nostro in piii lucrili, e da
altri antichi buoni scrittori [d], È adunque il sentimento: O
spirito incarcerato in cotesto tronco , così ti faccia ruomo
( o per quest^ uomo , cioè Dante , o il singolai^ pel plurale , per
[a] Par tic. la. cap. 8t. [b] Del verbo Attendere per aspettare , ve«li
li Vocab. della Qrìisc^ . m-^ Attendere tkon vuoi dire aspettare^ hm.
stare , con l'attenzione aduna cosa^ aspettando, BiAciOLf.-«-«[cJ Uor.
lìb. I. ode. 3. [d] Vedi il Ciuon.> Partie. a33. a. 12. i3. e 14.
CANTO xnr. 291
Liberamente ciò ohe 1 tuo dir prega ,
Spirito incarcerato, ancor ti piaccia
i dirne come T ani ma si lega 88
In questi nocchi; e dinne, se tu puoi,
S' alcuna mai da tai membra si spiega .
Allor soffiò Io tronco forte, e poi 91
Si converti quel vento in cotal voce:
Brevemente sarà ris])osto a voi .
Quando si parte l'anima feroce 94
Dal corpo, ond'ella stessa s'è disvelta,
gli uonuni) UbenunentSj senza incontrare ostacolo (o fors'an-
che per liheralnieìUe ^ come nel xxxiii. del Par. %^. 16. caegg.:
La tua benignità non put* soccorre — A chi dimanda y ma
moite /late ^LihenAmenle al dimandai' precorre.); ciò che 7
tuo dir prega ^ che si confoìti nel mondo la memoria tua^ ^- 77*
m-*Perch*elli incominciò j al y. 85.| legge TAntald. E. R., e
Perciò ricominciò y il VaU 3 1 gg* - je Cuom ti faccia ec, V noie
il Biagioli che se qui non istia per coW, qua 1 particella depre-
cativa 9 e riempie il vuoto dellellissi in questo modo: je desi^
dero che Vuom ( questi , cui lece tornar nel mondo ) faccia ec.^
dinne f in ricambio » come ec. 4-«
89 nocchi. JS occhio j spiega il Vocabolario della Crusca^,
quella parte pia dura del fusto delTedbero y indufita e gon^
/tata per la pullulazione de* rami, lat. nodus; ma qui nocchi
sta per alberi nocchiosi j nodosi. — se tu puoif se ti è a co-
gnizione.
90 si spiega f sì discioglie y si sprigiona • ^^di tai menhbra ,
legge il Vat. 3 199. 4-«
91 m^jillor soffiò ec. Questo sotBo, ch*è un sospiro di do-
lore 9 precede naturalmente il parlare d'ogni misero che sidi«
spone al racconto di ciò che gÙ rammenta la cagione del suo
tormento. Biagiom. «-«
92 m^ %H}ce si prende qui non per una sola parola 9 ma per
più, come està parola nel i>. 62. del cauto iZTiii.deirinler-
110 • TomzLLf . 4-«
93 Brevemente ec: sono pai'ole del tronco^ ossia di Pier
dalle Vigne.
^9^ INFERNO
Minos la manda alla settima foce.
Cade in la selva, e non l'è parte scelta; 97
Ma là , dove Fortuna la balestra ,
Quivi germoglia, come gran di spelta.
Surge in vermena, ed in pianta silvestra: 100
L'Arpie, pascendo poi delle sue foglie^
Fanno dolore, ed al dolor finestra.
96 JUinosj detto di sopra [a] giudice dell' Inferno , e cono-
scitor delle peccata i ^ settima foce ^ per'settimo infemal cer-
chio . jFocì j sinonimo di fauci [&] , qui per cat^ità , bene addi-
tasi agi' infernali cerchj y die , secondo intende il Poeta y sono
circolari fosse , che tratto tratto , facendo rinfemal ripa dì sé
grembo, viene a formare ; detti pel motivo stesso anche lacche [e].
97 98 non rè parte scelta ; ec. Dee voler Dante con ciò in-
dicato che nell'ammazzare uno sé stesso non interviene , come
nell'ammazzar altrui, maggiore o minore crudeltà e peccalo
che degno sia di maggiore o minor pena , non cercando in realtà
il suicida altro che il termine di sua noiosa vita, -/a balestra.
Balestrare j per similitudine, gittare , scagliare. Vedi il Vo-
cabolario della Crusca.
99 come gran di spelta : quello che la rima ha scelto tn
i semi facili a germogliare , de' quali uno è ceilamente quello
della biada appellata italianamente spelta ^ e da' Latini zea.
100 in%»ermenay (che vuol dire sottile e gioitane ramicel-
lo [d]) prima, e poi in pianta sihestraj in grosso salvatico
albero. E perchè tra' viventi ì soli vegetabili sono incapaci di
nuocere a sé stessi , e per accemiare che l'uomo uccisore di sé
medesimo è indegno di vestire anche la sola apparenza di cpiel
coipo che uccise, perciò dee Dante voler vestita cotal* anima
di forma arborea.
I o I V Arpie , dette nel verso i o.
1 03 Fanno , recano , dolore , per essere quelle foglie come
le carni e le membra de* tormentati ; ed al dolor finestra , per-
chè dalle rotture e squarci delle pasciute foglie disfoga lo spi-
rito, e manda *faori coi lamenti e coi sospiri il dolore. Qnesta
[a JCanto V. 4- [^1 Vedi la ooU al pabSato e. vi. 3 1 . [e] Vedi f nC vii. ■ 6.
[^j Vocab della Crusca •
CANTO XIIL ^93
Come l'altre, verrem per nostre s{)ogliej io3
Ma non però ch'alcuna sen rivesta;
Che non è giusto aver ciò eh' uom si toglie .
Qui le strasdneremo , e per la mesta 106
Selva saranno i nostri corpi appesi,
Ciascuno al prun dell'ombra sua molesta.
Noi eravamo ancora al tronco attesi , 1 09
Credendo ch'altro ne volesse dire,
Quando noi fummo d' un rumor sorpresi ,
Similemente a colui, che venire 1 1 a
Sente '1 porco , e la caccia alla sua posta ,
è la risposta alla prima interrogazione: come Pamoèa silega
- In auesti nocchi. Vutuai.
loi al 108 Come l'altre ec. Rende ora negativa risposta
alla seconda interrogazione : S*alcuna mai da tai membra si
spiega; facendo ai Poeti noto che neppur dopo il finale giu-
dizio usciranno le anime dalla prigionia di que' tronchi; non
prescindendo dalla ^ferità del penultimo articolo del Credo^
come rimprovera il Venturi , ma prendendo poeticamente quel-
r articolo in senso accomodo rispettivamente a' suicidi, accoi^
dando loro la sola l'esurrezione della carne » e non la formai riu«
nione . ■-> ma non per ciò , legge il Vat . 3 1 99. ^-m al prun del^
l'ombra sua molesta , all'albero che rinserra la sua ombra ,
r anima sua , a sé molesta , micidiale ; •-» e Biagioli spiega mo^
testata j come suona la voce. 4-« Pruni appella quegli alberi,
perocché aventi , come nel principio del canto ha detto, rami
nodosi e stecchi, e pruno (insegna il Vocabolario della Crusca}
è nome generico di tutti i frutici spinosi.
I la a colui, a quel cacciatore appostato nella selva ad aspet-
tare il passaggio delle fiere, mentre altri uomini e cani cerca-
no la selva.
I r3 il porco y cignale, porco salvatico; -^ e la eaccia , ì
cani che cacciano esso porco [a] . Diversamente il Volpi : Il por-'
€*o, dice, e la caccia, cioè il porco j o il cinghiale cacciato.
Simil figura di parlare usò rirgilio nel a. della Georgica ai
[a] Voc. della Cr. sotlo la voce Caccia, $. a.
1
194 INFERNO
Ch'ode le bestie e le frasche stormire.
Ed ecco due dalla sinistra costa 1 15
Nudi 9 e graffiali, fu^endo sì forte.
Che della selva rooipièao ogui rosta .
qfcrso 19?-: paterìslibamusy et auro, che patena aureis.Per
ciò però elle Dante aggiunse, CK*ode le bestie e le frasche
stordire , pare deciso che per caccia i caocianti cani mtpiìda .
— - alla sua posta^ al sito in cui si sta «gli appostato ad aspidi-
tal* le fiere per ucciderle.
1 14 stormire^ far rmnoi'e. Vedi il Vocabolario della Crusca.
, 1 15 sinistra , sempre intesa per la parte rea. Vellotum).
tt-¥alla sinistra , legge il Vat. 3 199. ^-a
1 i6m^ graffiati , intendi j dai rami e spini che incontran fug-
gendo • BiÀGioLi. — Il Poggiali vuole però che graffiati qui
valga quanto morsicati^ in virtù d'una delle solite licenze di
Dante circa il valore de* termini . -^ correndo sì forte ^ ha con
buona lesione TAntald., mentile quel forte poco aggiunge al
ffiggire , moltissimo al correre . E. K. 4-«
1 1 7 rompièno per rompe%>ano , come, tra gli altri esempi
Molti y disse nel Purgatorio mof'ie/io i^ev moi^evano [aj, e come
anche il Boccaccio disse in prosa facièno per facei^ano [&]•
-^ Aosta y chiosa il Vocabolario della Cinisca, strumento ndo
da farsi vepìto , e per similitudine si dice di ramucelli con
frasche , usandosi talora tali ramucelli invece di rosta; e ne
arreca in prova oou altri esempj questo stesso di Dante . Deb-
bono però i Ckmipilatori del Vocabolario essersi dimenticati del
far rosta, che precedentemente , sotto il verbo Fare j hanno
spiegato per /ìir<? im/>e^</iienro. Bene perciò il sig.Bartolommeo
Perazcini, ricercando il significato di rosta nel natio suo vero*
Uese dialetto : ptteri ( dice ) apud nos , quando aquae riyuUtm
luto coercentj ne excurrat , dicunt sefecisse la rosta. Igitur
(siegne) della selva ogni rosta , quodvis est impedimentum ex*
currentibus per silvam obiectum ; quod tanèen impetu ipso
super ari possit [e]. Cìoincidc questa colla spiegazioue del Da-
niello: Rosta, ogni impedimento ^ È rosta quella palificata
che si suol fare per ritegno de W acque iìnpetuose. E per ve-
\n} Cantoni. S9., x. 81. ce. [b] Am, Fis. cap. 1 3 [e] Corrcct, etadnoU
in Daniis Coinoed, Veronac 177^.
CANTO XIII. 295
Quel dinanzi : ora accorri ^ accorri , Morte ; 118
£ r altro, a cui pareva tardar troppo,
Gridava: Lano, si non furo accorte
Le gambe tue alle giostre del Toppo. 121
£ poiché forse gli fallia la lena,
rìtà a qaesto modo T espressione diel Poeta nostro ac(^ista br^
sa. »^ rosta è una specie di ventilabro tondo o bislungo , a si
miiiludine dei rami fixMuati degli alberi^ Lami • Qui ò prèso
pei rami medesimi. £« F« 4-«
1 18 Quel dinanzi i (tace per ellisaf^ e dee intendersi gri»
dava) ora accorri y accorri^ Morte ; cioè : ora soccorri ^ Morte ,
perchè ranime dannate 5 per terminare i loromaitiri, von-iano
poter mofii*e) onde nel primo canto in persona di Virgilio dei
dannati all'Infèrno disse : Ch^aila seconda morte ciascun gri"
da. Vbli.i7tbllo. w^ Accorri vale corri in aiuto ( grido di chi
chiama soccorso): anticamente quando si chiamava aiuto si
gridava» accorri uomo. Lami. E. F. «-«
1 19 P altro y a cui pareva tardar troppo ^ a cui sembrava
troppo tardo il suo corso per tener dietro al primo» e foggii*e
le cagne che l' inseguivano •
130 I !i I Gridava : Latto » sì non furo accorte ^Le gambe
tue ec. Dicono che fu Senese , il quale > avendo rovinatele cose
8oe, andò con 1* esercito di Siena ad Arezzo in aiuto de* Fio*
rentìni ; e tornandosene poi indieftro con quello 9 furono assaliti
da uno agguato degli Aretini alla Pieve del Toppo, ove mori-
roao assai di loro. La qual' istoria recita il Villani ( Giovanni)
al cap. 1 19. del vii. libra della sua opera. Ma Lano, avvegna-
che leggiermente si potesse ritirar al sicuro 9 nondimeno 9 come
disperato, desiderando piuttosto morire che vivere in miseria,
si gettò tra*nemici per farsi , come fece , uccidere. Adunque quel
di dietro, perchè Lano correva più veloce di lui (per invtdia
e rabbia ), gli ricorda che le gambe sue non fnron si veloci
alle giostre f cioè agli scontri, del Toppo f ov'egli con gli al-
tri Senesi furon dagli Aretini assaliti e rótti. yELLi;TBirLO.»^a/
Toppo f legge TAng., E. R., e il Vat. 3ig9«4-«
laa gli fallia^ gli mancava, - la lena, la forza di durare
nel corso per non essere raggiunto dalle nere inseguenti cagne.
^^ E poij che forse gli fallia la lena, ha con bella variante
TAntald E. K. 4^
agfi INFERNO
Di sé, e d'uà cespuglio fece groppo.
Dirietro a loro era la selva piena ia4
Di nere cagne bramose , e correnti
Come veltri, eh* uscisser di catena.
In quel che $* appiattò raìser li denti, lay
E quel dilaceraro a brano a brano;
Poi sen portar quelle membra dolenti .
Presemi allor la mia Scorta per mano , 1 3o
£ menommi al cespuglio, che pìangea,
ia3 Di sé 9 ed'' un cespuglio fece groppo j legge U Nido-
beatìna ed alcuni testi veduti dagli Accademici della Crasa;
ove le altre edizioni y fé* un groppo; »-^e il cod. Ang. E. R.
e il Vat. Hi 99 leggono ^^ce un groppo. 4-« Comunque però
leggasi y altro non vuole dire se non cne si nascose in un cespo-
SliOy provando (s'intende) se cosi riuscivagli d'essere perdalo
i vista, odi schermirsi in (gualche modo dalle ins^^nenti cagne.
137 al 129 In quel 9 che s^ appiattò j ec. Vuole qui il Poeta
dire che quelle arrabbiate cagne fecero strazio e del corpo di
colui che si era appiattato nel cespuglio, e del cespuglio mede-
simo ; ina che poi gì' infranti rami del cespuglio lasciarono ivi
per terra sparsi, e le membra di queiraltro via si portarono:
«^e cosi l'intende pur anche il Poggiali. 4-« La Nidobeatina
con miglior sintassi nel a. verso della terzina legge , E quel di'
laceraro , cioè il cespuglio » e istessamente leggono altre anti-
che ediz., ove quella degli Accad. della Cr. e tutte le seguaci
leggono, E quel dilacerato • »-^ Vuole il BiagioU che si le^
la terzina cosi : In quel che s^ appiattò miser li denti^ -£, quel
dilacerato a brano a brano, (e cosi legge pure il VaL3i99)
•Poi sen portar quelle membra dolenti i e spiega : «e avendo
» dilacerato quel misero che erasi nascosto, poi se ne porta-
a> ron via quelle membra dolenti • »*^ membra dolenti: quan-
tunque separate 9 vive le suppone, e dee supporle; altrimenti
verrebbe lo straziato a cosi ottenere quella seconda morte, a
cui ha detto che i dannati gridano invano «
i3o »-^/o mi* Duca, l^ge il Vat. 3199. ♦-•
1 3 1 1 3a «-^ Per le rotture , intendi , per la via delle roC-
tui^, non in grazia o per causa delle rotture. TonELU.-JOff-
CANTO Xm. ^97
Per le rotture sanguiaenti^ iavano*
0 Iacopo, dicea, da sant'Andrea , 1 33
Che l'è giovato di me fare schermo?
Che colpa ho io della tua vita rea ?
Qaando 1 Maestro fu sovr'esso fermo, 1 36
Disse: chi fusti, che per tante punte
Soffi col sangue doloroso sermo ?
£ quegli a noi: o anime, che giunte i39
Siete a veder lo strazio disonesto,
Ch*ha le mie frondi si da me disgiunte,
Raccoglietele al pie del tristo cesto : 1 4:2
guinenti impano » colla Nidob» legge il Lombardi, e chiosa: cf in-»
» panoj sofferte senza ayer gioYato a chi voleva per lui ripa-
Brani dalle cagne.» «*• Vellutello riferisce invece V impano
al piangea : opinione che è pur quella del Boccaccio, e che a
noi col Biagioli sembra piti naturale e la vera. — Andie il co-
dice Vau 3 199 pone la virgola dopo sanguinenti. 4-«
i33 O Iacopo y ee. Fu questo Giacopo gentiluomo pado-
vano ; d' una fiimiglia chiamaU dalla cappella di santo Andrea ;
il quale essendo molto ricco e poco prudente, consumò tutta If^
sua lacoltà , getUndola via , sens' alcun profitto. •-#>« Fu dìt
» Monselice, erede di grandissime ricchezze, e prodigo a se-
« gno di far ardere una sua villa pel desiderio di vedere un
» bello e gran fuoco. » Cosi TAntico ciuto nella K. F.-Gia-
ewfio, legge l'Antald. E. K. -e il Vat. 3 199. 4^
i35 9^ CkiR colpa i ho ecj legge il Vat. 3 199.4-k
i38 sermo per sermone j apocope ad imitazione del latino
adoprata in grazia della rima qui e Par. xzi. i la. Soff, sermo ^
espressione allusiva aUa precedente dei versi 91. e 92.:
j^llor sojllò lo tronco forte , e poi
Si cornarti quel t^ento in coiai voce .•
f 4o strazio disonesto j lo sconcio e lagrimevole strazio, co-
me talora significa Yinhonestus latino. E forse il Poeta mirò a
quel di Virgilio: truncas inhonesto vulnere nares. Vehtuei.
14 1 m^dtiha le mie memora, legge TAntald. E. R.4^
eie • '•^ del tristo cesi^ ^
imprigionata che favella*
\\'à Raccoglietele vale appressciele • ^^del tristo cesio ^
deir infelice mio cespuglio . È l'ombra imprigii
298 INFERNO
Io fai della città , che nel Battista
Cangiò 'I primo padrone^ ond' ei per questo
i43 144 Io fui della città ^ ec. Di Firenze , ch'essendo
Gentile! ebbe Marte per suo principal nume; e divenuu Cri-
stiana 9 elesse per sno protettore s. Giovanni Battista. M.Gio-
vanni Boccaccio (dice il Venluri) si dà a credere aver Dante
studiosamente taciuto il nome proprio di questo Fiorentino (cliet
come appresso dirà, s'impiccò da se medesimo) , perchè in
quei tempi y essendovene molti da sé inLpiccatiy si potesse in-
tendei'e di ciascheduno. Vi è chi dice esser questi Rocco dei
Mozzi 9 che sMmpiccò per isfuggire gli stentj della povertà, dis-
sipate le ricchezze: altri tiene accennarsi qui Lotto d^li Agli,
appiccatosi per malinconia dopo aver data una sentenza ingìn-
sta : »-► Mutò 9 invece di Cangiò 1 leggono i codd. Ang. e An-
tald. E. R. — e il Vat. 3i99.4-« omTei^ Marte (intende però
per Marte il Demonio , giusta l'avviso del salmo : Diigentitm
Daemonia \a\)per questo rifiuto con rarte sua la farà tri'
sta y le procurerà ogni possibile danno* — Persuade però mol-*
lissimo una diversa intei*prelazione a questo passo nel comento
marginale del cod. Gaet., che si stima di Marsilio Ficino, co^
me io dichiara una nota a tergo dell' ultima pagina di cantttere
simile al comento. Dice dunque il Comentatore; ctldest dum
fiorentini dilexerunt Mattem^ idest foriitudineniy et virtU"
tem armorunif habuerunt pturimas ^idonaSf et benesuca*
debat res f quottiam modo quaestumfaciunt cumpectmiisy ei
Wicant avaritiay etflorenisj idest lucro ^ et congregationi
Florenorum;n e coerentemente al verso i46«: tubisi rema*
neret adhuc de bonitate , et yirtute antiqua in quibusdam
ec. » Egli dunque metaforicamente prende Marte non fcr
lo DiOy ma per l'arte della guerra, nella quale i Fiorentini
ai erano distinti ; ed il Battista non già per il Santo proiet-
tore della città, ma per l'immagine di lui scolpita nelle mo-
nete , come se Dante per bocca di quel suicida volesse rim-
proverare ai suoi concittadini di aver trascurato il valor mili-
tare per attendere a cumular danaro* Questa spiegazione sem-
bra tanto pili plausibile , in quanto viene a togliei*e l'assordo
disdicevole ad un poeta cristiano ^ e ben rilevato dal sig. Pog-
giali , che cioè il Demonio Marte , divinità di Fiorenza gen^
[0] PsnL 9S. 1^. 5.
CANTO Xni. 399
Sempre con l'arte sua la fàtk trista. i45
£ se noD fosse che 'n sul passo d'Arno
Rimane ancor di lui alcuna vista ,
lUeyne potesse più di s. Gio. Battista pititettore di Florensa
eristiéma.
A comproTtfr poi anche collo stesso Dante qna talespie->
gallone ci piace di addume la corrispondenxa ne'i^. 67. 68.
69. e y'ò. 74> 75. del canto xti. Domanda Iacopo Rusticucci
al Poeta nel i.^ terzetto:
Cortesia e inalar ^ di* se dimora
Nella nostra città 9 sì come suole >,
O se del tutto se n*è gito fuora?
Risponde Dante nelP altro s
La gente nuoifa^ e i subiti guadagni
Orgoglio j e dismisura han generata ,
Fiorenza j in te, sì che tu già fen piagni.
E prima nel canto ti. v. 74. e seg.» là dove Dante risponde a
Ciacco su i malori della città partita^ cioè Firenze 9 agitau
dalle discordie intestine de' Guelfi e Ghibellini » dice:
Superbia , insidia 9 ed avarizia sono
Le tre faville j ck^ hanno i cuori accesi. E. R.
1 46 1 47 -E ^e non fosse » che *n sul passo et Amo ec. Seri*
ve (jiOTanni Villani ch'essendosi i Fiorentini, in tempo che
vivevano negli errori del paganesimo , eletto per loro protettola
il dio Marte, edificarono a questo nume un tempio, in mezzo
al quale vi posero la di lui statua in forma d'un ùat^aliere ar*
moto a cat^allo [a],* e che poscia, convertiti alla fede di Ce-
sa Cristo, levarono il loro idolo ^ e puoserlo in su una alta
torre presso al fiume d'Arno [A]; e che essendo di là , nella
distruiion di Firenze per Totila , rovesciata in Arno [e], stette
nel fiome fino alla riedificazione della città , dell' 80 1 , nel qual
U^mpo ripescata fu posta su uno piliere in su la riva del detto
fiume , dove è oggi il capo di Ponte Wecchio f rf] ; e che final-
menle ncH' inondazione d'Amo del i333 ricadde la medesima
Mtoa in Amo [e] . Prima adunque del 1 333 , vivente il Poeta
aofttro, en al detto capo di Ponte Vecchio la statua di Marte,
elle ora non è. Con ciò sia però che narri il Villani esser la
[a] Croo. lib. i* cap. 4a« [^] Lib. 1 . C. Oo. [e] Lib« a. cap. 1 • [d\ Lìb«S.
cap. 1. [é\ Lib. II. cap. 1 .
3oo INFERNO
Quei cittadln, che poi ia rifondarno i4B
Sovra 1 cener che d'Attila rioiase,
Avrebber fatto lavorare indarno.
statua medesima stata in forma d*un cavaliere armata aeor
f^alioj avvisa il Borgbim d'essersi in ciò il fiorentino popolo
ingannato,; perocché, dice, non si costumarono le statue di
Marte fare a cat^allo [a]; ed aggiunge ^ in iscusa di Dante,
eh' egli in questo , come in altre cose , seguì la fama conutne 9
la quale a. poeti poco rilie\^a , o yera , o falsa che ella sia •
Pare nondimeno che al Borghini contraddica il celebre mito-
logo Natal G)nti, il quale £ Marte scrìve; Habuit hic Deus
multa cognomina a locis in quibus tempia ereeta pierunt ^
'vel ab eventisj vel ab iisj qui dicanmt tempia. Sic Con*
daens , et Mamertus , et Jihacius , et Equestris dicitur \b\
1 49 cener per rottami. w-¥ Alcuni testi ed il Comento au
tribuito al Boccaccio leggono. Sul cener che di Totila rima»
ne-, lo che è conforme a ciò che scrive il Villani [e] . ce Del re-
» sto è sbaglio (dice il Lami ) che Attila devastasse Firenze,
» non essendo egli mai passato di <pia dell'Apennino : ma fu
» Totila che ne fe' strazio, benché non la distruggesse total-
» mente , come alcuni hanno creduto. Che Firenze fosse risto-
>> rata ed ampliata sotto Gu*Io Magno, é assai credibile [</].
£• F. s> — Il Biagioli qui giustifica Dante coir asserire: «r che
» la distruzione di Firenze attribuita ad Attila, era al tempo
» di Dante una favolosa tradizione sparsa per tutti i popoli
a> d* Italia, e singolarmente creduta dal popolo fiorentino, cui
tt Dante, poeta, e non già storico, secondò, per mm contra^
» porsi air opinione generale .» 4-«
i5o Avrebber fatto lavorare indarno: vicppiii arrabbiato
il Demonio , procurato avrebbe il totale esterminio della città ,
talché Indarno 1* avrebbero i cittadini rifondata. Suppone però
questo parlare che i Fiorentini pe'loì*o pravi csostumì non sì
meritassero la protezione del loro s. Giovanni Battista. ••^Leno-
stre riflessioni peròallanotadeW. i43.e 1 44- ^^■'O l>*^^*nte
schiarimento anche a questo passo, nel quale non possiamo es-
ser totalmente d*accoitio col Lombardi. E^ R. s^cc Dieresi che
[a\ DeirOrig di Firenze, pag. aoa. e 2o3. [b] BfylhoL lib. a.cap. 7.
fc] G. Vili. Star» lib. a. eap. 1 [d] Vedi Disc, di Vioc. Borghini e il
Prospei. d*una nuova Compii, di Si. Fior, di A.F. Adami. l*isa i75S%
CANTO XIII. 3oi
Io fei giubbetto a me ddle mie case .
•gli antichi di rifarla (i^iren^e) non avean potere ^ se prima non
» aYessero tratta la imagine del marmo consecrata per li primi
» edificatori pagani al loro dio Marte [a]. » — La stessa opi«
nione riferisce PAnonimo nella chiosa al verso. Sempre coltar^
te sua la fard trista jOyecìdknotìzia che il di 4 Novembre i3a3y
cadendo il Ponte Vecchio ^ la statua di Marte cadde di nnovo
nel fiome Amo. — Così la E. F.9 con manifesto errore di co-
pista 0 di stampa y sapendosi da Giovanni Villani essere il detto
ponte precisamente caduto nel di 4 Novembre i333 [&]• 4hì
i5i Io fei f legge la Nidobeatina; ed /*/!?% altre ediz«»-feil
YaL ìtgif.^-m giubbetto y vocabolo formato dal francese ^'(fref,
che significa forca . Adunque Io fei giubbetto a me delle mie
case vuol dire che della sua casa (per sineddoche la casa per
la soffitta y o trayi della soffitta ponendo) fece a sé stesso forca.
**11 Postili. Cass. nota: Iste fui t quidam Florentinus y qui se
suspendit in domopropria , et dicitur quodfecit giubettum ec,
Giubettufn est quedam turris Parisiis y ubi homines suspen^
duntur. Sopra Florentinus si aggiunge Messer Loto de tjaliy
cioè Zo/£o degli Agli y come nel comento di Iacopo della Lana.
E. R. »-^La famiglia degli >^^/t fu potente e facoltosa in Fii'en-
le. Da essa si denomina anche oggidi una contrada in detta
città, onde non è meraviglia che avesse in Firenze più case o
abitazioni. Poogiili.4>«
[«] Gio. Vili. Sior. lib. 3. cap. i. \b\ Ivi» lìb. 1 1. cap. 1.
CANTO XIV.
ARGOiMENTO
Giungono i due Poeti al principio del terzo girane ,
il quale è una campagna di cocente arena j ove sono
punite ire condizioni e qualità di violenti y cioè
contra Iddio j contra la natura s e conira l'arte.
La lor pena è V esser tormentati da fiamme arden-
tissime « che loro eternamente piovono addosso .
Quivi tra' violenti contra Iddio vede Capaneo.
Poi trova un fiumicello di sangue , ed indi una
statua^ dalle cui lagrime nasce il detto Jiumicello
insieme con gli tdtri tre infernali Jiumi . In fine
attraversano il campo dell* arena •
JLoicliè la carità del natio loco i
Mi strinse y raunai le fronde sparte ,
E rendelle a colui , eh' era già Goco;
Indi venimmo al Hne, ove si parte 4
I la carità del natio locoy remore della patria Firenze ,
della quale disse d'essere stala l'ombra supplicante*
21 Mi strinse y mi costrinse.
3 E rendelle a colui , eh* era già fioco , legge la Nidob.;
E rendale a colui che era già roco , Tallii ediz. Ma avendo
rend^ per rendei l'accento snll* ultima lettera, non veggo per-
chè non debba seguire V universal legge di far duplicare la ini-
ziale consonante lettera del pronome aggiunto.
^ m^al fine ^ intendi , al confine , al termine della sci*
\R.^-m al fine y ove si parte ^ legge la Nibob., meglio che
non leggouo l'altre ediz., onde si parte , che non e già ijni
CANTO Xlir. 3o3
Lo secondo giron dal terzo, e dove
Si vede dì Giustizia orribirarle.
A ben maDifestar le cose nuove 7
Dico che arrivammo ad una landa,
Che dal suo letto <^ni pianta rimuove.
La dolorosa selva V è ghirlanda 1 o
Intorno, come '1 fosso tristo ad essa:
Quivi fermammo i piedi a randa a randa .
Lo spazzo era una rena arida e spessa , 1 3
partir per anditr via^ ma per distinguere. •-♦« Indif avver-
»bio composto delle due preposizioni indicanti le due reiasioni
odi stanza e di sceveramento , di e in; ed equivalente a da
ntfitel luogo in cui enufomo , di là da quel cespuglio; e non
» vuol già dire folto questo 1 come interpreta il Boccaccio. E sia
» detto col debito rispetto a tanto senno • al fine , al con6ue ; »
cosi il Riagioli I il quale sostiene pura che si debba leggere
ondcj cioè dal quale confine, e non oi^e, come la Nidob«4Hi
6 arte per modo,
8 landa 9 pianura^ spiegano d'accordo e rettamente il Vo-
cabolario della Crusca } il Volpi e il Venturi: solo errano a
donare lo stesso significato a lama^ che significa valle ^ cavità
di terreno. Vedi la nota al canto zz. di questa cantica , v^ 7<).
Landa (chiosa nel suo Glossario il Dufi'esne)^/am7i«.r incula
ta^ nostris lande, vojc ex Saxonico^ aut. Germ, land.
9 Che dal suo letto ec, che nel suo letto non ha pianta
lenuia.
10 II Za ^o/oro.raje/^a, de* pruni animati anzidetti 9 -/'è
ghirlanda - Intorno , la circonda . - carne 7 fosso tristo (la fossa
di sangue bollente , descritta nel e xii.) ad essa selva , intendi,
è ghirlanda f cioè circonda essa pure. Vedi la nota al r. io.
d(M passato canto zi. 9-^ li è ghirlanda , legge il VaL 3 1 9C)«4-«
13 i3 a randa a randa ^ cioè rasente rasente la rena (di
die è per du*e), cioè tanto accosto e tanto rasente , che non
si poteva andar più in là un minimo cAe.Buti, riportato dal
Vocab. della Crusca . jirent dicesi in Lombardia per appresso:
^ pronunziato alla francese arante ha molta somiglianza ron
a randa f -— Lo spazzo ^ il suolo di essa landa.
3o4 INFERNO
Non d* altra foggia fatta, cbe colei,
Che da' piei di Gatoa già fu oppressa •
O vendetta di Dio, quanto tu dei i6
Esser temuta da ciascun, che legge
Ciò che fu manifesto agli occhi miei!
D'anime nude vidi molte gregge, iq
Che piangean tutte assai miseramente,
E parea posta lor diversa legge:
Supin giaceva in terra alctma gente: !iti
i5 Che da piei di Catongià fu oppressa^ legge la NidoÌK
»-^e il Vat 31994-* meglio dell* altre edizioni , che I^gooOt
Che fu dappiè di Caton già soppressa . TA piei 'per piedi ve-
dine altri esempi d'antichi autori nel Vocabol. della Cr. alla
Toce Piede; ed invece dì premuta tanto può stare oppressa ^
che soppressa. «^ * Cosi annota il Lombardi; ma avendo noi
rinvenuto nel cod.CaeL la lezione, Che da^ piei di Caiongià
fu soppressa f aenz^ altra variazione della Nidob. che in que-
st'ultima parola , non possiamo fare a meno di aggiungere che
il verso ci sembra più naturale e sonoro ; ed in ciò confermaci
Tidentifica lez. del cod. Poggiali. E. R. »-^ Anche il BiagioK
disapprova la lezione di Nidobeato j riguardandola come scoi^
eia rispetto alla comune •4-« La rena da Catone calpestata fi&
quella della Libia y mentre per quella regione condusse gli avan-
zi dell' esercito del morto Pompeo per unirsi a Giuba , Re di
Numidia. F'adimus ( dice , nella Libia entrando , Catone stesso
appo Lucano ) in campos steriles exustaque mundio — - Qua,
nimius Jìtan y et rarae in fontibus undae... Ingrediarj pri"
musque gradus in putuere ponam [aj.
ai parea dee qui valei*e quanto apponila j scorgetHui^
— posta lor dii^ersa legge ^ ordinata dalla divina Giustizia
tra coloro una diversità di atteggiamenti. «-►Non disse era^
ma parea y perchè il giudizio Io forma dall' apparir cosi le cose.
BtAGlOLl. 4Hi
aa al a4 Supin non è accorciamento dell'aggettivo supina
( accorciamento di cui non ne ha il Venturi considerata la brut*
[0] Phars, lib. iz. v. 38a. e segg.
CANTO XIV. 3oj
Alcuna si sedea tutta raccolta;
Ed altra andava contioovamente .
Quella che giva intorno era più molta, iS
£ quella men ; che giaceva al tormento ;
Ma più al duolo avea la lingua sciolta .
Sovra tutto '1 sabbion d'un cader lento gtS
Piovean di fuoco dilatate £ilde,
Come di neve in alpe senza vento.
Quali Alessandro in quelle parti calde 3 1
tesza), ma deiravirerbio supino ^ ch'equivale a xii^i/i/i/nen/e.
•-^iSirpi/iO} secondo il Biagioli , non è avverbio, ma addiettivo,
essendone 1* espressione intera m atto supino. '^ giacca per
terra f legge TAng. E. K.^^ tutta raccolta ec, tutta rannic-*
chiau, cioè colle gambe strette alle coscie, e le braccia alla
vita, a fine di ricevere sopra di sé men che potesse delle pio-
venti fiamme. Qnei che supini giacevano erano i violenti con-
tro Dio; e però tra essi è Capaneo, i^. 4^. e segg. Quelli che
correvano erano i violenti contro natura j come dal seguente
canto apparisce , e massime dal i^. r 1 4- 1 rannicchiati finalmcMite
erano i violenti contro l'arte, come dal canto xvii. i^. 35. e segg.
25 a6 era più molta y in cambio d'era mo/fa^ttt« trasposi-
sjonepoco avvenente , dice il Venturi . Se ne desidererebbe poro
(patene ragione ; altrimenti piii giova l'averla il Cinouio ripoi'-
tata tra le sue Particelle ( 1 09. 11.) senza darle veinna ecce-
xione, che non osti il contrario buon gusto del Venturi. -A'
qttella men , ec» Accenna che^ come nel bene, cosi nel male i
più segnalati sono i più pochi .
27 Afa più al duolo ec..* essa però piii dell'altra strideva
pel maggior tormento che soffriva , per non potere col moto
prendersi dallo sventolamento cpialche refrigerio.
29 Piovean f la Nidob.; e Piouèn, Taltre edizioni .- ^///n-
tnte falde j fiocchi di fuoco. Il castigo del (ìioco, piovuto dal
<^ielo sopra dei Pentapolitani violenti contro natura j accomuna
Dante a tutti i violenti .
30 Come di neve in alpe senza vento; ottimamente, p<>
rocche il vento sminuzza i fiocchi della cadente ne^e.
il al 33 Alessandro j il grande. — in quelle (intendi, cl.e
FoL I. 00
3o6 INFERNO
D* India vide sovra lo suo stuolo
Fiamme cadere iniioo a terra salde,
Perdi' ei provvide a scalpitar lo suolo 34
Con le sue schiere , perciocché 1 vapore
Me' si stiugue va , mentre eh' era solo ;
la storia racconta) parti calde ^- D* India vide sovra lo suo
stuolo ( sopra 1* esercito suo ) - fiamme cadere infino a ter^
ra salde : che anche in terra cadute j non si dissipavano ed
estinguevano, ma intiere ed accese rimanevano.
34 al 36 Perch*ei ec. Scalpitare , pestare , e calcar <»' piedi
in andando . Vedi il Yocab. della Cr. ^perciocché *l vapore (in*
tendi acceco )*3fe' (accorciamento di meglio) si stingueva(ipeT
estingueva, aferesi}, mentre citerà solo; cioè prima die gli
si unisse dell'altro, m^acciò che lo vapore "Mei si siingevoy
ecy ha il Vat. 3 199. 4hì II Cementatore della Nidobeatina atte>
sta leggersi cotal fiitto nella vita di Alessandro: chi sa da chi
scritta. Quinto Curzio certamente, come avverte anche il Lan*
dìno; nulla ha di ciò, come nò Giustino, né Plutarco. Nella
lelteradi Alessandro ad Aristotile (qualunque abbiala scritta)
fassi menzione bensì della focosa pioggia ; ma dicesi il riparo
essere stato di comandare Alessandro ai soldati di contrapporre
al fuoco le loro vestìmenta : iussi autem milites suas 'oestes
opponere ignibus • »> Biagioli , sempre mal disposto verso il
Lombardi , vuole che questi s' inganni , e che la sua spiegazione
sia cosa da fanciullo , che non ha lasciato ancora il babbo e V
dìndi. '^ he fiamme cadenti, secondo il Biagioli, infiamma van
Taluna si, che quell'acceso vapore serviva poi di alimento alle
fiamme soprav vegnenti . I soldati erano cosi ajQlitti ad on tempo
da un doppio incendio, quello, cioè, delle cadenti fiamme e
quello del suolo acceso. Scalpitando il terreno, rimaneva spenta
l'arsura; quindi l'igneo cadente vapore si estingueva m^lio
mentre che era solo , vale a dire , non accompagnato dal va^
poro ilei suolo infuocato . - L'È. R. ritiene che questa sia ona
chiosa da pedagogo y e che in fondo voglia dire lo stesso che
quella del Lombardi. Ma se ciò non è vero a rigore , non ci sean*
bra però che per tale interpretazione possa il Biagioli menar
tanto rumore, come se si trattasse di una delle più interessAnù
scopeite nelle scienze fisiche 0 matematiche.^— «Wo «detto
CANTO XIV. 307
Tale scendeva T eternale ardore: 37
Onde la rena s' accendea , coni' esca
Sotto 1 focile, a doppiar lo dolore.
Senza riposo mai era la tresca 4^
Delle misere mani , or quindi or quinci
Iscoiendo da sé l'ardura fresca .
» per sollo , gettando una lettera 9 come usa di far Dante quan-
di do bisogna . Così galeoio per galeotto y e Baco per Bacco .
» Sollo poi significa ntoUcy tenero. Il Landino ed il Daniello
nThanno inteso male 9 ed il loro erroi^e nacque forse da que-
» sto , che congiunsero la voce solo con vapore , quando va
» congiunta con suolo . i> Tokelli. «— Questa inteiprctazione è
da notarsi se non altro per la novità del pensieix). ^hi
37 etemale ardore 9 la focosa pioggia eternamente dui*e-
Tole.
38 39 conCesca^SoUo V focile j cosi la Nidob; e Sotto fo^
nley Faltre «dizioni »>e il Yat. 3 199. ^-« * Focile , istrumeuto
antichissimo che si compone di un pezzo di acciaio e di una
^oheggia di selce, ma piii propriamente di quella specie detta
focaia • Virgilio ne suppose la cognizione fin da* tempi d' Enea
la dove dice nel lib. 1. dell* Eneide [aj:
Ac prifnuni silicis scintillam excudit j4chateSf
Suscepitque ignem foliis » atque arida circum
Nutrimenta deditj rapuitque in fomite flanmiam*
Ed il Caro volgarizzò appunto: -
Acaie fece in pria selce e focile
Scintillar foco > e dielli esca e fomento ec. E. R.
-^ a doppiar lo dolore ^ cagionandone , intendi, altrettanto
l'accesa rena, quanto ne cagionavano le cadenti fiamme.
4o al 4^ tresca si chiama un ballo saltereccio , dove sia
^nde e veloce movimento ; e a denotare lo veloce movimcutu
delle nani di quelle misere anime a scuotei'si l'arsura , lo chia-
na tresca • Buti , riportato nel Vocab. della Cr. alla voce Tre^
rea, ^ ardura legge la Nidob. ; ed arsura Taltre ediz. »-♦ e
i codd. Ang. e Caet. E. R. — e il Vat* 'ònjg.^^ fresca , di
UQovo sempre sopra v vegnente «
i«I Verso 174» « segg.
3o8 INFERNO
Io cominciai: Maestro, tu, che vinci 4^
Tutte le cose, fuor che i Dimon duri,
Ch' all'entrar della porta incontro uscinci,
Chi è quel grande , che non par che curi 46
Lo 'ncendio , e giace dispettoso e tono
Si , che la pioggia non par che 1 maturi ?
E quel medesmo , che si fue accorto 49
4 i al 4^ ^^ vinci '^Tutte le eosej ecj a cai tatto quaggiù
ubbidisce, -^fuor che 1 Dimon duri (Demonj ostinati) , "Ch'ai-
Centrar della porta (della ciuà di Dite» nella qaaie erano i
due Poeti) incontro uscinciy ci asciano, per luoirono. Vedi il
contrasto co'Demonj nel passato e. yiii. i^. i i5. e segg. •^tUf
che vinci ec. Cosi s'è dimostrato Vii^lio insin qui. Ma qne*
ite parole hanno in sé nascosto alto sentimento, che la lettera
uoa dice, e questo si è quello del nostro gran Urico: nulla ai
mondo è che non possano i uersi. Biagiou. «-•
47 ^orfo , vaga antitesi , per torw> , cioè con occhi torvi. 7br>
ì^us a torto aspectUj spiega Roberto Stefimo nel Tesoro della
lingua latina .
4^ non par che V maturi ^ cioè che tolga lui la durezza,
rai*dire ; traslazione presa dalle firutta che per matnrezza s*aiiH
molliscono.
Era costai, come in appresso da Virgilio medesimo verrà
nominato, Capaneo, unode'setteRe che assediarono Tebe; quel
Superunij come lo descrive Stazio, contemptor et aetfui [aj,
che per le bestemmie còntra Giove fu da Giove fulminato.
m-¥ Vedi (in questa terzina) bel quadro di quell'inflessibile e
altero bestemmiatore degli Dei ; ammira con quant*arte il di-
vino ingegno del Poeta sceglie e aduna le tinte piìi conformi
al carattere del soggetto. Hai veduto con quali colorì ritrasse
la viltà d*animo degli sciaurati, vinti nel duolo per lievi pun-
ture di mosconi e di vespe ; ti ha mostrato deli' uom magna-
nimo il carattere negli atti e nelle parole di Farinata; vedi <m^
quel del superbo, nella guardatura torva, nell'aria, e negli
atti e parole deirarrogante Capaneo , cui il fuoco stesso non
può maturare . Biaoioli^ «-•
[a] Thcb. lib. 3, verso 60:1.
CANTO XIV. 309
Cirio dimandava 1 mio Duca di lui.
Gridò: qual io fui vivo, tal son morto.
Se Giove stanchi il suo fabbro, da cui 5 a
Crucciato prese la folgore acuta,
Oade l'ultimo di percosso fuij
E s'egli stanchi gli altri a muta a muta 55
lo Mongibello alla fucina negra ,
Gridando: buon Vulcano, aiuta, aiuta,
Sì com'el fece alla pugna di Flegra, 58
i
5i qual io fui %fivoj l^gg^ 1^ Nidob. 1 e quale i* fu* vivo j
y altre ediz. ,* »> e il Vat. 5 1 99, quale io fu^ vìpo • ^ E vuol
dire che lo stesso ardire contro gli Dei, che aveva avuto da vi"-
vo, lo riteneva anche dopo morte ; e però prosiegue a vantarsi
che non si umilierebbe neppui*e , se continuasse Giove a sca-
gliare sopra di lui tanti fulmini , quanti nel fiibbricarsi stancar
potessero le braccia di Vulcano e dei di lui Ciclopi •
5a il suo fabbro y Vulcano, «-^t suo*fabriy legge il codice
Vat 3199.4^
i>3 Crucciato 9 adirato per le bestemmie di Capaneo • -*• /b/-
gore acuta , acuta saetta .
54 ultimo dì, cioè 9 di sua vita«
55 E scegli stanchi, l^gg^ ^ Nidob», meglio delle altre
(dizioni, che invece di f leggono O. La millanterìa di Capa*
neo ricerca che si staiichino in fabbricar fulmini ncm divisa-
mente o Vulcano 9 oi di lui garzoni, i Ciclopi, ma unitamente
e l'ano e gli altri quanti sono. — a muta a muta , scambiau**
doli a brigata a brigata • Birri [a] . m^ Non a brigata a brigata ,
essendo i Fabbri subalterni tre soli , ma scamòtevolmenie , a
^ndoj mutandosirun Faltro, finché sienostadchi. Biaoioll^hì
56 Mongibello , o Etna , monte ignivomo della Sicilia , den-
tro del quale fingono i poeti esservi la fucina di Vulcano , *n<;-
gf'o per la molta fuliggine.
57 58 Gridando : ec, chiamando esso Giove da Vulcano aiu-
^y come già fece nella guerra ch*ebbe coi Giganti in Flegi*a,
v^e di Tessaglia.»-^ Chiamando^ invece di Gridando, al
[4] Riportato nel Vocabolario della Crasca airartìc A mutammutm»
3io INFERNO
E me saetti di tatta sua forza,
Non ne potrebbe aver vendetta allegra •
Allora 1 Duca mio parlò di forza 6i
Tanto, ch'io non l'avea si forte udito:
O Capaneo, in ciò che non s' ammorza
La tua superbia, se' tu più punito: 64
Nullo martirio, fuor che la tua rabbia,
Sarebbe al tuo furor dolor compito.
Poi si rivolse a me con miglior labbia, 67
Dicendo : quel fu un de' sette Regi ,
Ch*assiser Tebe, ed ebbe, e par eh* ^li abbia
i^. 57.* legge TAng. £• R. — e il Vat. 3 199. ♦« Si coni e/, li
Nidob. , in laogo di Sì coni' e*, che leggono l'altre edizioni.
60 JVon ne potrebbe ec. Con Scagliarmi contro tutti i pre-
Siti fnlminiy non avrebbe 1* allegrezza di vedermi mniliato.
61 di forza j fortemente.
62 sì forte udito , ellissi , intendi parlare .
63 in dò vale lo stesso che per questo appunto ( in aDe
veci di per vedilo nel Cinonio [a] ).
66 dolor compito per pena adequata •
67 con miglior labbia. Labbia j faccia , aspetto. Vedi il
Vocab. della Cr. Adunque con miglior labbia significa il me-
desimo che con aspetto più mite. »^ G)si il Petrarca .^. o^e
fusate penne — Mutai per tempo e la mia prima labbia.
BlAGlOLI. 4-«
6y9^fu Pan y legge l'Ange E. R-, e il VaL 3 199, e la Cru-
sca. «-• sette Jtegij cne assediarono Tebe per rimettervi Polì*
nice ; e furono Adrasto 9 Polinice, Tideo, Ippomedonte , Anfia*
rao , Partenopeo e Capaneo • Vedi Stazio nella Tebaidej Volf f .
69 Ch^assiser Tebe, dal yf erho assiderei non si assiderono
intomo a Tebe però ( critica il Venturi ) j ma rassediarono ;
èhè assidersi vale porsi agiatamente a sedere. Volgarmente
preso y messer si , risponderebbegli Dante ; ma non preso in sua
origine dal latino assiderei che fu adoprato anche per
[a] Partie, i38. io.
CANTO XIV. 3fi
Dio in disdegno, e poco par che '1 pregi : 70
Ma 9 com'io dissi lui, gli suoi dispetti
Sono al suo petto assai debiti fregi.
Or mi vien dietro , e guarda che non metti 7 3
Ancor li piedi nella rena arsiccia ;
Ma sempre al bosco gli ritieni stretti •
Tacendo divenimmo là 've spiccia 76
Fuor della selva un piccioi iiumicello ,
Lo cui rossore ancor mi raccapriccia .
Quale del Bulicame esce '1 ruscello , 79
Che parton poi tra lor le peccatrici ;
ilare f ammissumque oppidwn assideri sine prcielio audie-
haty riferisce da Sallustio Prìscianp [a].
70 m^Dio in dispregio legge il Val. Ì199.
71 com'io dissi lui (t^. 63. e segg.), gli suoi dispetti ^ le
ingiurie che sforzasi di fare a Dio. »-»La parola dispetti ri-
sponde a questo : auer Dio in disdegno y e pregÌ£uìo poco .
Adanoue neiranzidetto vocabolo si comprendono le due idee
di disdegno e disprezzo. Biagioli. «-«
ja debiti fregia ironicamente per debite pene .
j4 -^ncotj invece iì per ancora , per adesso j accennando
che li pure T arena era infuocata , e che non ei*a ancor luogo
da passare nel nuovo contiguo girone. m-¥ Ancor va congiunto
oon guarda j ed ha forza di pure • Tobelli. <-m
75 u^sì li tieni j legge il cod. Ang. E. R.; - e tien li piedi j
il Vat 3i9g.4-«
78 rossore , color di sangue • -* ancor mi raccapriccia ^ colla
•ola ricordanza.
79 Bulicame. Cosi appellasi uno stagno d'acqua bollente in
vicinanza di Viterbo.
80 Che parton poi ec.y che si parte per varj condotti nelle
case del postribolo 9 in servizio delle peccatrici donne. A questa,
cbela coniane interpretazione di tutti gli antichi Spositorì, si
oppone il Venturi : ma io 9 dice , che ho visto il Bulicame y non
^ggocome ciò possa verificarsi y essendo due miglia lontano
[a] Lìb. S.Vedì anche il Tesoro delia lingua latina di Roberto Slefaoo .
3i4 INFERNO
Diss'egli allora, che s'appella Greta,
Sotto 4 cui Rege fu già 'I mondo casto.
Una montagna v'è, che già fu lieta 97
D'acqua y e di frondi , che si chiama Ida ;
Ora è diserta, come cosa vieta.
Rea la scelse già per cuna fida 100
Del suo figliuolo; e, per celarlo meglio ,
Quando piangea , vi facea ùr le grida •
filosofia profonda e vera » alto immaginaTe ,[iiigegno veramente
divino. BiAGioLi.<4-«
95 Creta f Candia.
96 Sotto 7 cui Jtege, Saturno , fa il mondo pudico; coti
Giovenale: Credo pudicitiam Saturno Rege moratam^In
terrism Vehtubi. Jtege, per i?e, adopei*a)o Dante parecchie
Volte^ed altri scrittori pui*e. Vedi il Vocab. della Crusca.
98 D^ acqua y e di frondi ^ che si chiama Ida , cosi la Ni*
dob.y meglio delPaltre , che leggono 9 Z>*ac^iie e di fronde^che
si chiamò ; perocché corrisponde al scappella Creta scrìtto di
sopra ; dove si vede che non ha il Poeta avuto riguardo ai nuo-
vi nomi che nell'età nostra si danno di Candia all'isola , e di
Psiloriti [a] al monte . m^ si chiamò , legge l'Ang. E. B. - e il
Vat. 3 1 99 , - e così colla Cr. il Biagioli ; e vuole che il chiamò
renda il verso di maggiore armonia; il che non ci sembra .4^
99 diserta, da tutti abbandonata .- come cosa uieta^ vec*
chi ai fracida e fiappa; onde si dice saper di vieto una cosa
quando è divenuta vecchia. Dahiello.
100 al 102 Reay chiamata anche Berecintia,Cibeley Terra,
Opiy la Gran Madre , figliuola del Cielo e di Vesta: data in
moglie a Saturno, gli partorì Giove, Giunone, Nettuno e Plu-
tone; e perchè il marito si divorava i figliuoli che di lei nasce-
vano, fece nutrir Giove secretamente nel monte Ida ; dove, af-
finchè non si sentissero i vagiti del bambino, faceva fare gran-
di strepiti con cembali ed altri fragorosi strumenti di festa, e
voci incondite di allegrezza. Vehtuei.— -ernia fida adunque
▼ale quanto sicuro nascondiglio •
[a] Vedi Ferrar., Lexic^ Ceogrt ari. Ida •
CANTO XIV. 3i5
Dentro dal monte sta dritto un gran veglio , i o3
Che tien volte le spalle in ver Damiata,
E Roma guarda sì , come suo speglio .
La sua testa è di fin' oro formata , 1 06
E puro argento son le braccia e '1 petto;
Poi è di rame intìno alla forcata:
Da indi ingiuso è tutto ferro eletto , 109
Salvo che '1 destro piede è terra cotta,
io3 Dentro dal monte ec. Per fare aTverai^e sempre più
che l'Inferno V nud dell^univ^rso tutto *nsacca [al « vuole
Dante nell'acque stesse infernali simboleggiata la scolatura dei
Tizj dell' uman genere in ogni tempo. In una statua adunque
di nn gran %^eglioy composta da capo a piedi di varie materie
gradatamente peggiori , come quella che nelle Scritture sacre
dlcesi veduta da Nabuccodonosor [&] , figura egli il tempo , e
il peggioramento de' costumi entrato e cresciuto col tempo stes-
so neiruman genere; e dal corrompimento delle materie com-
ponenti cotale statua , eh 'è quanto a dire dai vizj di tutti i tem-
pi, derivano le fecciose infernali acque.
Ripone Dante questa statua in Creta, perchè in Creta
(chiosa d Venturi col Landino) fingono i poeti che col regno
di Saturno cominciasse del tempo la prima età. Non ponela
in vista y ma nascosta dentro del monte , acciò Tesperienza non
tolga fede alla finzione. L'altre circostanze in seguito •
104 io5 tien volte le spalle ins^er Damiata, — iF Roma
guarda ec. O per Damiata accennasi Ponente , e per Roma Toc-
cidente y e vuole indicarsi che il tempo non sia altro che un
riguardo al moto degli astri , che da oriente in occidente fassi ;
0 vuole significarsi che il tempo è fatto per la beata eternità ,
e però guardi Roma , cioè la vera religione che alla beata eter-
nità sola conduce, e volti le spalle a Damiata città d'Egitto,
inteso per l'idolatrìa ed ogni erronea setta. »-► E Itomaguar^
da, come suo speglio y legge l'Ang. E. R. -e il Vat. Sigg.-^^
106 al III La sua testa ec. Ne' metalli di cui è composta
la statua si riconoscono le diverse qualità de costumi, secondo
i diversi tempi ed età del mondo. Vedi Ovidio, lib. 1. delie
[a] Inr. fit. 18. [b] Dan, a.
3i6 INFERNO
E sta 'n su quel , più che 'q sull' altro , eretto.
Ciascuna parte ^ fuor che V oro , è rotta 1 1 1
D* una fessura y che lagrime goccia y
Le quali accolte foran quella grotta .
Lor corso in questa valle si diroccia: 1 15
^ Fanno Acheronte , Stige, e Flegetonta;
Poi sen van giù per questa stretta doccia
Intin là^ ove pia non si dismonta: 1 18
Trasfomu: Aurea prima saia est aetas ec* Il pie di cn^t»,
su cui si posa, è Tetà che corre pvesentomeDte: vedi Giov^
naie nella saU 1 3., che dà la rarione perchè questa parte ancora
non sia di metallo, come le altre (cioè perchè appellinsi dai
poeti tutte le precedenti età col nome di qualche metallo , fuor
che l'età corrente):
Nona aetas agitar [aj, peioraque saecula ferri
Temporibus j quorum sceleri non ins^enit ^sa
JVomen , et a nullo posuit natura metallo .
Vehtvbi. — forcata y quella parte del corpo dove termina il
busto e comìncian le cosce. Volpi.
I la al 1 15 Ciascuna parte, fuorché VorOy (metallo porìs-
simo che non prende ruggine, indicante però l'innocenza de'pri-
mi uomini) erotta '^D una fessura y che lagrime goccia y da
cui sgocciola la scoria di quelle impure materie • ^quella grotta^
il fondo di quella grotta che la statua tiene nascosta . 9-^questa
grotta y legge il Vat. 3I99.4HÌ si diroccia y cioè si discende,
correndo a modo di fiume. Buti , riferito nel Vocabolario della
Crusca.
117 doccia y canale , condotto . Del medesimo significato bassi
il latino-barbaro dógaei canales (chiosa il Laurenti [Aj)»
quibus aqua ducitun
iiSlày oue più non si dismontay al fondo delPInfemo. »-» /n-
fin là i l'edizione Aldina ha punto fermo dopo doccia $ e convien
fn] Nona igitur aetas agitar (chiosa al riferito passo di Giovenala il
Juvenci)» quia Graeci non tantum quatuor aetates {iam exaetas, io-
teodi) mumerabantf ut Latini ^sed octo: auream^ argemteam, eie*
ctream, aeream,aupream,stanneam,plumbeam9ferream. [b]jlmmiià.
onom» art. Dogae,
CANTO XIV. 317
FaoDo Cocito; e 5 qual sia quello stagno.
Tu'! vederai, però qui uod si conta.
£d io a lui: se 1 presente rigagno 1 1 1
Sì deriva cosi dal nostro mondo ,
Perchè ci appar pure a questo vivagno?
kggere inftn per insin, detto avverbialmente wt finalmente.
TouLLL-Gol mostrare che qaeste lagrime scendono neirinfer-
nOy vnol significare che laggiù piomJbano i rei col pondo delle
colpe loro 9 e ch'esse lagrime saranno ivi l'eterno foro suppli-
zio. Formano quelle làmine Acheronte^ che suona quanto jen-
za allegrezza ; il che mostra il primo effetto del delitto, che è
di torre al reo ogni allegresza e contento. Foimanoin seguito
lo&i^yche s'interpreta triVfezza) a dimostrare quella tristezza
che ingombra il reodopo il delitto. Formano posaa^F/efi^efon/ay
Toce significante (traente j a dimostrare i supplizj e le ango*
Ke che cruciano il malvagio. E infine Oocito y che s'interpi*eta
pianto y a dame ad intendere che il piangere 9 il dolersi e il
rammaricarsi succedono poi ai tre sopraddetti effetti . Onde si
conchiude 9 che il delitto è, tanto in questo quanto nell'altro
mondo, il vero inferno dell'uomo malvagio. Biagioli. 4hì
1^0 Tu U ti vedrai [a] y invece di Tu 7 vederaiy la temo
correzione di tale troppo amico della sincope. Vedi Inf. 1. 1 1 8r
e quella nota.
lai ri^ogTio 9 rigagnolo 9 picciol rivo. Vedi il Vocabolario
delia Crusca .
123 m^ del vostro mondò y legge il Vat. 3 199. 4hì
123 pure a auesto vii^amoy solamente a questa ripa, f^i-
vagno ( chiosa il Vocab. della Cr.) propriamente l'estremità
de lati della tela, Persimilit. vale ripa. Pareva a Dante che ,
scendendo quel rivo dal nostro mondo 9 dovesse 9 mentr'era nel*-
l'alto dell'Inferno, vederlo scendere.
Per qtiesta interrogazione che Dante fa , e per la risposta
rlie rende lui Virgilio 9 scuopresi l'insussistenza di ciò che il
laudino e Vellutello suppongono ; ed ha anzi il Vellutello
in chiari termini premesso nel e. vii. di questa cantica , i^. io6«
e ftc^g. , che le acque cadenti dalla palude stigia del quinto
[a] Vcilì Seri€ dìAnedd, Verona 1790 , téz. 45«
3i8 INFERNO
Ed egli a me : tu sai che 1 luogo è tondo ; 124
E tutto che tu sii venuto molto
Pur a sinistra giù calando al fondo.
Non se' ancor per tutto '1 cerchio volto; 127
Perchè 9 se cosa n apparisce nuova,
Non dee addur maraviglia al tuo volto.
Ed io ancor: Maestro, ove si truova i3o
Flegetome, e Lete, che dell' un taci,
E r altro di' che si fa d'està piova?
cerchio facciano questo stesso fiume, detto Flegetonte; imperoc-
ché, cosi essendo, avrebbe dovuto Virgilio a questa interroga-
zione rispondere, che già coiaX rigagno era apptwso nel pas-
sar che fecero dal quarto al quinto ceixhio, in quella /onte,
che bolle e riv^ersa ec. [a] , cioè nel fiume Stige •
I a6 Pur a sinistra ^ leggono l'edizioni del Luidioo, Vello-
tello e Daniello, assai meglio che la G>miniana ed altre mo-
derne appresso alla edizione degli Accademici della Crusca, che
legge. Pure sinistra . Eccone la iacìle costruzione: Tutto che tu
calando giù al fondo sii pure venuto molto a sintstray quan-
tunque, cioè, nell'atto che tu cali verso il fondo dcir inferno,
siiti pur molto nell'obbliqua spirale via, chea sinistra impren-
desti , innol Irato . La Nidobeatina legge , Piìi a sinistra ; ma an-
che di questa è migliore Pur a sinistra . «-^ Come la Kidob.
leggono i codd. Cass. E. B. — e il Vat. 3 igg-^-s
1 2 j JVon se" ancor per tutto '/ cerchio volto , non sei an-
cora giunto al punto posto sotto quello, onde incominciasti la
discesa.
1 2q Non ^ee addur ec. , non dee rendere il tuo volto ma-
ravigliato, non dee recarti maraviglia.
i3i i32 £erè, lec^ge qui ed altrove \h'\ sempre la Nidob.;
e inteso che pitinunziar dcbbasi , come i Gi'eci e i Latini pro-
nunzianlo , colla seconda e lunga , non 8ai*à in \erun luogo bi-
sogno di quel Letèo , che dee malamente alcuno aver gìiMlicato
necessario per l'aggiustatezza del verso. Non mi sembra però
[«1] Inf. VII. IDI. I09. \ìji\ liei V. 1 56. del presenta canto. Turg mxTi.
io8.|Zxviu. i3o.|XZx. 143. XXXIII. 96. i'j3.
CANTO XV. 3i9
In tutte tue questìon certo mi piaci , 1 33
Rispose ; ma 'I bollor dell'acqua rossa
Dovea ben solver l'una , che tu faci .
Lete vedrai, ma fuor dì questa fossa, i3G
Là dove vanno Tanìme a lavarsi.
Quando la colpa pentuta è rimossa.
Poi disse: ornai è tempo da scostarsi i^g
buona la ragione che ne aggiunge il Perazzinì , che essendo il
latino Leihe di genere femminino , posto che Dante stesso vi
avesse giunto lettera, scrìtto avrebbe Zetèa^ e non Letèo [ah
imperocché in questi versi appunto dicendo di Flegetonte e di
Lete, delVun taci ^^ E r altro di\ scopi*esi Dante d'intendi-
mento che fossero ambedue questi nomi di genere del maschio •
— delPun taciy di Lete , — E Paltro , Flegetonte : di* , dici ,
che si fa d^esta piova? di quest'acqua piovente dalla descrìtta
statua.
1 34 1 35 '/ hollor deir acqua rossa 9 che tu hai poco anzi
veduta a gastSgo degl'immersi violenti contilo il prossimo [&j.
-^Douea ben solver Vunay delle questioni, che tu faci^ per '
/'m .-imperocché sapendo tu esser il nome di Flegetonte formato
dal greco verbo pÀsyciìj che significa abbruciare [cj, doveva il
hollor di quell'acqua farti accorgere ch'era la medesima il
Flegetonte, di che tu chiedi.
Può questo passo raddoppiare il peso agli ai^omenti, coi
quali Fautore delle Memorie per la vita di Dante [^], e l'au-
tor degli Anedd.y Verona 1 790 [e] , sostengono , contro il sen*
timento del maroh. Scipione MafFei e d'altri letterati, che
avesse il nostro Poeta cognizione del greco idioma . «-^Qui pure
il Biagioli coneorre nel sentimento di coloro che vogliono il
Poeta nostro nella greca lingua perìto.4-«
i36 questa fossa ^ intendi tutta l'infernale cavità .
iSj Là dove ec., nel Purgatorio, canto xxtiii. verso a3, e
1 38 Quando la colpa pentuta è rimossa. Accenna qui Dan^
te quel giustificante pentimento che le purganti anime, dopo
fai Correct, in Dani. Co moed.V ctonie 1775. [b] Canio xii. 47. • wgg«
[cj Schrcvcl léCxic, Or, LaL [d] J. S. [e\ Gap. i3.
320 INFERNO
Dal bosco; falche di retro a me vegne:
Lt margini fan via, che non son arsi,
£ sopra loro ogni vapor si spegne .
le sofferte pene, giunte al fiume Lete» prima d*esservi imincr*
se » sentono in sé stesse eccitarsi ; siccome il Poeta attesta di
sé medesimo colà giunto, come nel Pui^. xxxi. 85. e segg.
Di penter sì mi punse ivi Vorticaj
Che di tuti'attre cose guai mi torse
Più net suo amor^ pia nii si fé* nimica .
Tanta riconoscenza il cor mi morse ,
Che ec,
Pentuta dapenterey addiettivo adoperato dal Boccaccio pure
e dal. Villani. Vedi il Vocabol. della Ci*, m^ Pentuta è più
conforme al senso del latino poenitere y cioè poena tenere )
verbo che i Grammatici vulgarì han detto voler il nominati-
vo airaccusativo , per non aver saputo che la proposizione me
poenitet peccati mei è un compendio di poena peccati mei
tcnet me. Biagioli. ««hì
Si trova ^ dice il Venturi, in qualche codice pentuta ha
rimossa ; e allora zie/i/u^a sarebbe nome sostantivo, come pen^
timento j rendendo questo senso : la penitenza ha tolto via
ogni i/est igio di colpa. E vi è chi giura aver ritrovata in altri
scrittori classici tal voce antica in questo medesimo significato.
Non vi è qui bisogno della voce pentuta a questo senso ;
quando però vi fosse , l'esempio l'avremmo lampante dalla Crt>«
naca di Donato Velluti, prodottoci nel Vocab. della Crusca:
sconfitti due polle ^ come sono stati y ed essere sotto tiran^
no; di che n^ hanno centomila pentute.
i4o vegne y antitesi per rima; invece di vegni o i^enghi*
i4i che non son arsiy che sono di pietra non coperta del*
r infuocata rena, come è detto ne versi 83. e 84- 9-* Noa per
esser di pietra , ma perchè non vi cascan le fiamme come nel-
la rena» Biaoioli.^-v
1 4^ JE sopra loro ogni i^apor si spegne , perchè , come nel
principio del seguente Canto dirà , */ fummo del ruscel di so»
pra aduggia'Sìy che dal fuoco siUva Inacqua y e gli argini.
t^^A.i
CANTO XV.
ARGOMENTO
Innoltratisi i due Poeti nd nuwo girone, b tìlhniQr
natisi dal bosco in modo che più non si poteva ve-
dere, incontrano una schiera di tormentate anim^;
e queste Èono i violenti contro natura} tra quali
Dante conobbe Brunetto Latini suo maestro , a cui
fa predire il suo esilio .
Vy ra ceD porta l' un de' duri nfiargiui ^ i
E i ftinimo del ruscel di sopra aduggia
Si , che dal fuoco salva F acqua ^ e gli argini .
Quale ì Fiamminghi tra Guzzante e Bruggia, 4
I duri margini , del i-ascello , perocché eran di pietra y e non
enperti della cocente i-ena , come è detto nel precedente canto^
i'. 82. 8it. m^Tun de* due margini ^ legge l'Ang. E. R.4-c
% 3 E^l fununo del ruscel^ perche bollente ò Tacqaa che
in esso scorre, essendo la medesima che nel primo di onesti
tre ^roni castiga i violenti contro il prossimo, e che attrayer»
sando il secondo e terzo girone, cioè lasciva dei pmni animati
e il presente sabbione , va a cadere ne' cerch j inferiori . -• adug*
già - ^f , che dal fuoco salva ee. Aduggiare , fttr ombra , qui
per soprastare: ed essondo il fumo della bollente a<qua una
esalazione umida tanto , che , come ne ammaestra l' esperiensa^
sp^ne la fiamma d'una candela, ragionevolmente gli appropria
Dante la virtii di estinguere le pioventi fiammelle prima che
giungano alla superficie della stessa bollente acqua e degli ar-
gini intorno • . ' >
4 Guzzante^ picciola villa di Fiandra. - Bruggia^Brugg/^
Voi. L 21
3aa INFERNO
Temendo 4 fiotto , che in ver ior s* avventa ,
Fanno lo schermo , perchè 'I mar si fuggia ;
£ quale i Padovan lungo la Brenta , 7
Per difender Ior ville, e Ior castelli ,
Anzi che Chiarentana il caldo senta ;
A tale immagine eran fatti quelli , 10
Tutto che né si alti, né sì grossi,
Qual che si fosse , lo maestro felli •
Già eravam dalia selva rimossi i3
Tanto, eh' io non avrei visto dov'era,
Perch'io 'ndietro rivolto mi fossi;
e Bruges [a] , nobilissima città di Fiandra , discosta da Gut^
zante cinque leghe. »-^ Guizante, legge il Vat. 3199. 4-c
A flotto , marea , gonfiamento di mare , ondeggiamento y fiatto.
6 lo schermo j con argini detti anche dighe ^ dal francese
digues . ^fuggia ^.per fugga y epentesi imitante il latino fugiau
in grazia della rima . m-^purchè , invece àiperchè , legge il cod.
Ang. E. R. — ed anche il VaU 3 igg. ♦-■
y Brenta y fiume che attraversa il Padovano 9 e si scarica
nell'Adriatico .
9 Anziché Chiarentana ec> Quella parte delle Alpi, do^e
nasce il detto fiume j piena e ricoperta per lo più di altissime
nevi 9 che disfatte e in acqua risolute al primo sentirsi del cal-
do ) fanno oltremodo ingi'ossare la Brenta. Vertcri.
1 o al 12^ tale imtnagine ec. A tale somiglianza erano gli
argini delF infernale ruscello; solo che rartenoe^ chionque si
fosse, non feceli né si alti , né si grossi , come quelli de'Jb iam-
minghi contro il mare, o de' Padovani contro la Brenta, ma
più bassi e più piccioli, proporzionati alla picciolezza del ru-
scello. Dicendo QUiU che si fosse ^ lo maestro <, cioè il fabbri-
catore , mostra di dubitare se , come alla ten*a oleata da Dio
hanno gli uomini aggiunte delle opere, così airiafenio, pur
latto dalla divina Potestate [6J, abbiano! demonj aggiunto al-
enila cosa, m^ Qual che si fosser, legge l'Ang. E. K. «^
i5 Perchè ha qui senso di caso che ^ benché^ oaiittile. V«^
\m] Fi-rrar. Lexìc, Ceogr, [b] Inf. ni. S.
CANTO XV. 3a3
Quando inconcrammo d^atiime nna schiera, 16
Che venia lungo l'argine, e ciascana
Ci riguardava , come suol da sera
Guardar l'un l'ciltro sotto nuova Luna, 19
E sì ver noi aguzzavan le ciglia,
dine altri esempj e del Poeta stesso, e d altri ottimi scrittori
ritaii dal Cinonio [a] e dal Vocabolario della Crusca. »-^ll
Riagiolì si oppone e vuole che qui abbia invece il significato di
per^ chiosando .-cv era ^i<7 distante dalla seha tanto chcj per
svolgersi indietro^ non avrebbe %*eduto os^^essa se ha era,v>^^
Per poi capire cbe parla Dante a questo modo , non per aggiun-
tar pjirole 9 ma per accrescer forza al concetto , convien notare
riaecose. La prima è che un oggetto, quantunque ci stia die*
tro alle spalle, nonostante , se sia quello assai esteso, com'era
di fatto quella selva, Tocchio lateralmente mosso lo vede. La
seconda è che guai*dando in cotal modo, colle spalle volte
ill'(^getto, convien che l'occhio miri apaiti dell'oggetto assai
piò da sé rimote di quelle altre parti , alle quali mirerebbe
le ?uardasselo direttamente ( questo è come a dire che tra le
molte linee rette che da un punto tii*are si possono sopra di
un piano, la perpendicolare è sempre la più breve). Vuole
adanque il Poeta inteso che tanto erasi dalla selva allontanato,
ehenon solo colle spalle volte ad essa, obbliquameute, e parti
della selva più da sé rimote guai*dando , non la vedeva più , ma
neppure avrebbela veduta se rivoltosi fosse, e guardato a ves*
•eia in parte meno da sé rimota.
17 ^-^ lungo V argine. L'Ang. legge invece, lungo gli ar^
fini. E. R. <«-«
18 al ao come suol da sera ec.-^ sotto nuoi^a Luna; ee«
Sera adoprando per noffe , com' altri pur sogliono (Vedi il \o*
cabolario della Crusca sotto la voce Sera , $. 3. ), e sotto nuoua
I^na dicendo, invece di dire in tempo di Luna nuova y vuole
significarne che, come in tempo di Luna nuova ( perocché, tva»
montando in tal tempo la Luna poco dopo il Sole , rimane la
iM>tte buia ) conviene che i viandanti , per guardarsi l'un Tal*
<n)i fissino ben bene gli occhi, così quelle anime fissamente
guardavano i due Poeti. m-¥ Guardare uno altro j al u. 19.,
[«] Partii. 196 8.
3^4 INFERNO
Come vecchio sartor fa nella crana .
Così adocchiato da cotal famiglia, ^^
Fui conosciuto da un che mi prese
Per lo lembo , e gridò : qual maraviglia ?
Ed io, quando '1 suo braccio a me distese, a5
Ficcai gli occhi per lo colto aspetto,
Sì che '1 viso abbrucialo non difese
La conoscenza sua al mio 'ntelletto: a8
E chinando la mano alla sua faccia
legge TAng. E. R, — e cosi il Vai. 3 199. — Vuole il
che r espressione da sera si abbia ad intendere quale essa suo-
na, siccome ralu*a salto ntiot^a Luna; perchè allora rende k
Luna si 5cai*sa luce , che non si può agevolmente rafl^nrare k
persone .-CiOSÌ anche prima del Biagioli chiosava il Poggia]i.4-s
21 cruna y intendi dell'ago , ed è il foro onde s* infila: per
far ciò conviene che il vecchio sartore adoperi tutta la sua fona
visiva . m-¥ Come 7 vecchio sartor ec. ^ legge TAng. E. R. — e
il Val. 3i99.4-«
^3 Fui conosciuto f legge ^^ Nidob.; ove l'altre edisiooii
Fu* conosciuto.
214 P^^' ^o lembo j intendi della veste; e ciò perchè Dante
camminava sull'argine del ruscello 9 e quell'ombra veni?aa
pie dell'alane , dentro l'infuocata arena, onde non poteva pren-
dere che il lembo . - qual maravigiia?'fev qual marayigliosa
cosa è questa mai?
26 al aS cotto aspetto j abbrostolito dal fuoco. — Tion di*
fese - La conoscenza sua , non tolse a me di comprendere chi
egli era. m^ difese. Difendere per vietare ^ come appresso i
Francesi ; ma non è senza esempio ne' prosatori. ToaBL&i.—* Il
eh stg. Ab. Portirelli lo vuol derivato invece dal latino defen^
-dere^ che significa anche impedire
stg E chinando ee> E abbassando le mani alla sua faccia^
«Ila quale sola poteva, per l'alteasa.in cui era» accostar le mani
più giusto
di chinar la mano. Ma a lui si oppone il Biagioli, col dire die
CANTO Xy. 3^5
Risposi: siete voi qai, ser Brunetto?
E quegli: o figliiiol mio, non ti dispiaccia 3f
Se Brunetto Latini un poco teco
l'atto di Dante nel chinare la mano alla faccia di Brunetto fu
fatto dopo di averlo conosciuto; e però se Dante ctiinò la fac-
cia per abbassarsi a lui e riconoscerlo meglio , lo fece tre o
quattro versi più su, e che non poteva rinnovare qui un tal
>tto per conoscere l'ombra di già conosciuta nel pi*ecedenlc
canto. Malgrado ciò, 1*E« B. nella 3. ediz. rom. conferma la
ina sentenza , asserendo di ripeterla con piacere si j ma senza
ostentazione. - E chinando la mano a la mia faccia , ha il
cod. Vat 3i99.4-«
3o ser Brunetto Latini, Fiorentino, uomo di gian scienza
« maestro di Dante. Scrisse un libro in lingua fiorentina , chia-
mato Tesoretto ; e un altro in lingua francese , intitolato Te
soro. Volpi. •-►Ser Brunetto morì , secondo il Villani , neiraii-
no 1 394. Fu del partito de* Guelfi ; è dopo la battaglia di Mon-
taperti si partì da Firenze. Il Pataffio (se pure è opera di ser
Brunetto) è un libro pieno di oscenità , e vi si fa V apologia
de'Sodomiti . Il Villani medesimo dice che ser Brunetto fu no-
nio mondano ; lo che giustifica in qualche modo Dante dal-
l*averlo posto tra i Sodomiti [a]. E. F. -In Firenze (j^ru/ie/fo
Latini) j in versi e in lingua fiorentina, scrìsse il Tesoretto y
nve tratta dei costumi degU uomini e delle vicende della va-
nabil fortuna . Tn Parigi , in prosa e in lingua francese, scrisse
il Tesoro , diviso in tre libri, ove sono molte confuse notizie
<li Cronologia y di Storia ^ di Fisica y di Astronomia o piut-
tosto Astrologia j di Morale, di Politica y e molti difiusi ra-
gionamenti sulla Rettorica, Ambedue quest'opere esistono
anche oggidì, e fanno testo di lingua, giacche fa seconda fu
volgarizzata da Bono Giamboni, e stampata piii volte. Poo^
cMLi. — Molti hanno imputato ad ingratitudine a Dante Taver
condannato nel P Inferno Brunetto Latini. Molte cose si sono
dette dagli Sposi tori per indagarne il motivo. La cagion vera
di ciò mi sembra che ser Brunetto era Guelfo, ed uno di quelli
rhe provocarono la discesa in Italia di Carlo di Valois, di cui
tanto si duole il Poeta e la Storia fiorentina . Se Dante non
;«; Vili. lih. 6. e 74. e HI). 8. e. IO.
/
3^6 INFERNO
Riioroa in dietro, e lascia 'iidar la traccia.
Io dissi lui: quanto posso veu' preco; 34
E se volete che con voi m' asseggia ,
Faròl, se piace a costui, che vo seco.
O figliuol, disse, qual di questa gre^ia 87
S'arresta punto, giace poi cent'anni
Senza arrostarsi quando 1 fuoco il feggia.
perdonò alla sua patria stessa, perchè Guelfa, che maraviglit
se non ha perdonato al suo maestro? Cosa possa lo stadio di
parti ormai non è chi Io ignori . Strocchi. - Alla nota sul v. 8%.
di questo canto vedremo dal Biagioli pulito il Poeta nostro
da questa taccia d'ingratitudine, ^-m
33 Ritorna in dietro , perchè tenevano quelle anime con-
traria via, e per andar con Dante, che seguiva V^ii^lio, con-
vf«nì va tornar addietro. — lascia ^ndtw la traccia vale il me-
desiinf) che abbandona il seguito degli altri. Vedi In£ xii. 55.
34 i^eh* preco per i^e ne prego , tolto dal latino precor a
cagìon della rima . m^ Perchè con questo esempio non si mette
nel Vocab. della Crusca il verbo precare , come vi si mettt
la voce preco? Tobblli.^-c
35 m asseggia . ^ questo i^rbo asseggiare (dice il Ventorì)
non ha spedito ancora il passaporto la Crusca. Ma asseg'
già (rìprendelo ottimamente il Rosa Morando) vien da asseda^
come %^cggia da ueda^ e la Crusca pone assederò y e ne porta
per esempio questo verso stessissimo [a] .
36 che vo seco vale quanto perchè vado secOf quasi dica
perchè non mi posso scompagnare da lui.
iy greggia y comitiva.
3() senza arrostarsi. Dee il proprio significato del verbo
arrostarsi essere il medesimo di sventolarsi^ da rosta ^ che,
come per molti esempj nel Vocabolario della Crusca si può ve-
dei*e, propriamente significa ventaglio. Qui però dee equivalenr
a muoversi j cagione dello sventolarsi, com*è detto al i*. ^7*
del canto precedente. La Kidob. legge ros tarsi, che viemeglio
da rosta scorgerebbesi derivato. Contuttociò , per non trovani
nel Vocabolario della Crusca altro esempio che di arrostare,
[aj Osserif. • questo c»ntu.
CANTO XV. 337
Però va olire: i' ti verrò a' panni, 4^
E |ioi rìgiugnerò la mia masnada ,
Che va piangendo i suoi eterni da uni.
Io non osava scender della strada, 4^
Per andar par di lui; ma '1 capo chino
Tenea, com*uom che riverente vada.
£i cominciò: qual fortuna, o destino 4^
Anzi r ultimo di quaggiù ti mena?
E chi è questi , che mostra '1 cammino ?
Lassù di sopra in la vita serena , 49
Rispos'io lui, mi smarrì' in una valle.
Avanti che Tetà mia fosse piena.
ra^ astengo da mutazione . — f^ggì^ j d^ f^SS^''^ ' ^^^ significa
lo stesso che ftederey ferire. Vedi il Vocabolario della Ci'u-
sca alla voce Fiedere.
^o ti l'errò a^ panni y verrò appresso a te, alludendo all'at-
to che faceva di tenerlo pel lembo della veste, y. 2^,
4i masnada per comitiva semplicemente, come Purg. ii.
i'. i3o. Vedi anche il Vocabolario della Crusca.
43 Io non osava ec. , per non abbruciarsi i piedi nel!' in-
fuocata rena, come n'era stato da Virgilio avvertito [aj.
ao in una valle y nella selvosa oscura valle delle ree pas-
sioni e de'vizj dettane^ primi versi del poema, m^ Mi smarrii^
lui risposi j in una vallea legge TAug. E. R.4-«
5 I avanti che l'età mia fosse piena. Due errori, uno in
conseguensadeir aitilo, commettono qui , a mio giudizio, tulli
^li Espositori. Il primo è d'intendei^ che si snuirrissc Dante
iu cotesta selvosa valle Nel mezzo del cammin di nostra ui*
iaf cioè ( come a suo luogo è detto ) in età d'anni treutacin-
(|ue. L'altro è di conseguentt^mente spiegare che per la non
piena etìi ne indichi il Poeta il medesimo mezzo di nostra
vita. Innanzi (ecco il Daniello, da cui non sembrano discola
di gli altri Spositori ) che reta sua fosse piena ^ perchè disstf
che vi si smarrì nel mezzo del cammin delta sua vita .
f«j Cuoto preceil. p. 73. e srgg.
3a8 INFERNO
Pur ier mattina le volsi le spalle : 5i
Questi m'apparve^ tornandolo in quella.
Non hanno 9 cioèi essi avvertito ch'era Dante Ae/mexro
del eammin di nostra vitay d'anni trentacinquey mentr*era
nell'Inferno e parlava con ser Brunetto ; e che dicendo: ^t^anti
che reta mia fosse piena f mostra evidentemente che fosse ^
mentre cosi parlava, a cotale pienezsa di.etàpervenato; come
ben mostrerebbe d'esser veccnio chi parlando dicesse ai'an/i
che mi sopravvenisse la vecchiaia.
D* uopo adunque è distinguere l'età nella quale si smani
Dante sonnacchioso [a\ nella selvosa valle , dalla età iu cui,
come dal sonno risvegliato, trovossi nella valle smarrito. Qui
f^arla dell'età in cui si smarrì; e nel principio del poema dice
'età in cui si riconobbe smarrito: età chci perchè appunto
nel mezzo di nostra vita^ è la piìi compiuta di forze, e quasi
lume di Luna in mezzo al di lei periodo, perciò intende es-
sere ìa piena e pìii perfetta, m^ Quest'acuta e giudiziosa ossero
vazione del Lombardi è ripetuta, tradotta in altri termini, dal
Biagioli, senza additarti la fonte da cui l'attinse, e grìdando
poi contro i Comentatori di Dante, che hanno confase que-
st'epoche, Tuna coir altra, ed anzi delle due fatta una sola. 4-«
5 a Pur ier mattina j solamente ieri mattina; non avendo
di fatto impiegata nell' Inferno che la notte sopravvenuta al
giorno in cui trovossi smarrito nella valle [6].
63 Questi m* apparve f ec. Se alla dimanda fatta da aer Bru-
netto, Chi è questi che mostrali cammino j avesse volato Dante
soddisfai*e, avrebbe dovuto dire che questi eraVii^licDal cun-
t<*gno però adoperato dal medesimo Virgilio nell' incontro (xm
Stazio [e] , da quello stare cioè Con viso , che taceìuto dic^a :
tacij e dalla paura altresì che nel medesimo incontro ebbe
Dante di manifestare a Stazio il nome di Virgilio, si può con-
ghietturarc che a bella posta tei^ versi qui Dante, e ricu&i
[a\ lof. 1. 1 1. [b] Dal principio del csoììoiu^ Lo giorno $eH*amdm9f^ee ,
non ba fin qui conlato che \% mezza notte nel canto vii.. Già ogni si^-
la cade ec^ e ravvicinarsi dell'aurora nel e. xi.. Che i Pesci guitzoM
su per V orizzonta; o non fa tramontar la Luna» che (per tssftr^f co
me fiupponela» piena) vai quanto far nascere il giorno, se non nella
quatta bolgia dell* oKavo cerchio nel fine del canto xx ^Ma viemiom^ì^
che già tiene il confine ec, [e] Furg. xxu io3 e segg.
CANTO XV. 3^9
£ rìdncetni a ca per questo calie .
Ed egli a me: se tu segui tua stella, 55
Non puoi £illire a glorioso porto ,
di rispondere a ser Brunetto adeqnatamente. Qie poi verso di
Stazio mutasse Virgilio contegno i e se gli facesse finalmente
dal Poeta nostro nominare , e niente si curi di essere mani fé*
stato a ser Brunetto y può di tale divario essere cagione che
Stazio era stato di Vii^ilio studiosissimo» com'egli stesso ivi
confessa y e non cosi ser Brunetto. -^tornandUo in quella , leg-
gono tre mss. della biblioteca Corsini [a] e l'edizione di Fi-
renze 1 4^ > 9 meglio delle alti'e edizioni, che, leggendo ritornane
doinquellay non fanno con uguale chiarezza capire che la per-
sona cne ritornava era lo stesso Dante, -m quella per in quel
mentre spiegano alcuni ; ma avendo Dante raccontato nel pri-
mo canto 9 che gli apparve Virgilio mentre appunto, invece di
salite il dilettoso monte, ritomavasene alla primiera noia della
oscura valle [&] , non pare che possa in quella significar altix^
che in quella ualle medesima , a cui ridice qui che volte ave-
va le spalle, m^ritornando in quella ^ legge anche il Vat. 3 199;
lezione difesa dal Biagioli, trovando cosi migliore la costitu-
zione ed il suono del verso. - Ma come la Nidob. legge il cod.
del Poggiali , il quale riscontra in questa lezione una maggiora
proprietà di espressione . 4-«
54 ca per casa^ voce tronca lombaitia. Vedi Anton Maria
Salvini ne'suoi Disc, accada fac 5o4- Qui riducenUa caec.
vale al mondo di sopra mi riconduce ^ passando per quo"
sto tenebroso di quaggiù . Vbhtubi. ■-► Anche Omero fa si-
mile troncamento nella voce stessa , dicendo do per doma. Bia-
gioli.'«-e Altri per la casa intendono la celeste patria ; ma il
ìierbo riducenti accenna conduciinento a luogo dove sia Dante
stato prima , e però o il mondo di sopra dee intendersi , o
piuttosto la primiera onestà della vita. — calle ^ via.
55 56 Essendo ser Brunetto, mentre viveva, asti*ologo, ave-
va, dice il Daniello, preveduto che Dante era nato sotto gran
costellaxioue ; onde lo esorta a seguire la sua stella y quel ce-
leste influsso che lo guidava a glorioìso porto y cioè al felice
fine delle sue Càùclìn.jSfon puoi fallire a glorioso portOf omette
[a] Seguati 607. 608. 610. [b] Verso 61. e tegg.
33o INFERNO
Se ben m'accorsi nella vita bella:
E s* io non fossi si per tempo morto, . 58
Veggendo '1 Cielo a te così benigno |
Dato t' avrei air opera conforto.
Ma quello ingrato popolo maligno , 6i
Che discese di Fiesole ab antico,
E tiene ancor del monte e del macigno,
Ti si farà per tuo ben far nimico: 64
Ed è ragion; che tra gli lazzi sorbi
Si disconvien fruttare il dolce lieo.
per ellissi d'aggiungere il cammino. •-¥ Qui fallire ba fona
di mancare , ea è una delle buone eleganze di Dante ; e simile
al deftcere dei Latini , e non è modo Dantesco y ma romanesco.
Perticabi [a]. — Anche il Bìagioli attribuisce qui al fallire
il significato di mancare j e chiosa: non puoi mancare di per-
venire a glorioso fine. — fallar ff al u. 66., ha il cod. Àng.
£. R.4-«
57 «Se ben ec. Se io, mentre viveva su nel mondo, feci bene
le mie supputazioni nel &r la pianta astrologica della tua na-
tività. Venturi. Appella la vita nel mondo ma bella per rap-
porto alla vita disperata che conduceva esso colaggiù. m^tn
la vita nocella j legge TAntald. E. il.4-«
61 al 63 quello ingrato ec. Accenna il fiorentino popolo ,
disceso da Fiesole , città antica situata in monte , sei miglia
discosta da Firenze. •-► La distanza di Fiesole da Firen«e non
è che di circa tre miglia • — del monte j intendi V asprezza^
e del macigno , supplisci la durezza ; ed è bellissimo d*espres-
sione questo verso. Bìagioli. 4-«
65 66 lazzi , aspri , lapposi , astringenti . Vedi il Salvini « di*
scorso 84* centuria i.VzKTURi.-iSar&o, albero noto , che dà fratti
d'aspro sapore. - il dolce fico ^ la Nidobeatina ; ove Tal tre ediz.,
al dolce fico. «-^ A questi due versi cosi chiosa il Bìagioli: «Bel-
» lissimo sentimento e vero, espresso con graziosa leggiadrìa.
» E questo vuol dire che Tuomo valoroso e d'animo gentile
» non può abitare fra gente di malvagia condizione Pei
[a] Pr9p. voi. 3. P. II. r«c. aoS. NoU i.
CANTO XV. 33i
Vecchia fama oel mondo li chiama orbi; 67
Gente avara, invida, e superba:
Da* lor costumi fa' che tu ti forbi.
La tua fortuna tanto onor ti serba, 70
Che Tana parte e F altra avranno fame
Di te ; ma lungi fia dal becco V erba .
» lasgi sorbi, che voglion tempo amatararsiy intende la no-
» biltà nuova , e pel dolce fico fa nobiltà vecchia , qual'era la
» sua , scesa da quei primi coloni , cittadini fiorentini e soldati
» romani. Lombardi colla sua jVidob. legge , il dolce fico ; ma
» Tintero costi'utto , il fruttare tra i lazzi sorbi si discom^iene
noi dolce ficoj scioglie ogni dubbio. » — Il Vat« 3 199 leggo
però come la Nidob.,-e fruttar lo dolce fico y ha TAng. E. R.4-«
67 li chiama orbi , ciechi . Dicesi dai Comentatori originato il
soprannome dal seguente fatto .Avendo i Fiorentini , a preghiera
deiPisani, guardata Pisa mentr'erano questi passati alla conqui-
sta dell'isola Maiorica ; rìtoi'nati vittoriosi i Pisani , in segno di
riconoscenza oiTerirono a' Fiorentini , che delle prede di ià tra-
«pntate si scegliessero qual delle due piii loro piacesse » o due
p >rte di bronzo bellissime (che ora adornano il duomo di Pisa)
0 due colonne di porfido, che perchè non si vedesse com'erano
guaste dal iìioco, coperte avevano di scarlatto: i Fiorentini cie-
camente si capparono le due colonne, che sono (dice Paolino
Pieri ) in Firenze dinanzi alla chiesa del beato Giovanni
Battista \a]. ^
<>H Gc^im'ida , la Nidobeatina^a-^lezione che non piace punto
al BiagiolÌ4-« inv»idiosay Talti'e edizioni ■-►e il codice Vati-
cano 3199. ^~* ti forbi y ti purghi. m-¥ Dante, fedele a questa
ammonizione di ser Brunetto, nella sua epistola a Can della
Scala si dire Florentinus natione, non ntoribus* E. F. ^-«
71 72 Che runa parte e V altra j iNeriei Bianchi, fazioni
nelle quali ei*a Firenze partila. — m*ranno fonie "Di te. Non
si può per questa intender altro, se non il desiderio che preve*
desse Dante dover finalmente col gii*o degli anni nascere in
cuore de* suoi concittadini di averlo avuto sempre in patria, e
p(*r Tenore ch'era la medesima per ricevere dai di lui scrini,
I«l Cron. an. 1 1 18.
33a INFERNO
Facciaa le bestie fiesolane strame 73
Di lor medesme, e non toccbin la pianta,
S* alcuna surge ancor nei lor letame,
In cui riviva la sementa santa 76
Di quei Roman , che vi rimaser quando
Fu fatto '1 nidio di malizia tanta .
Se fosse pieno tutto 1 mio dimando, 79
Risposi io lui , voi non sareste ancora
Dell'umana natura posto iu bando:
Che in la mente m'è fitta, ed or m'accuora 8^1
e per gli aspri rimbrotti e frizzi ch*avrebbersi rispormiati. -imi
lungi fta dal becco rerba; espressione allegorica, invece di
dire: ma il desiderio sene rimarrà digiuno y ^venza effetto.
73 al 78 le bestie ftesolane f que' Fiorentini cbe tengono
ancor del monte e del macigno dell' originaria Fiesole, -/oc*
cian strame ^ strame dicesi ogni erba che si dà in cibo e serve
diletto alle bestie [a].- facciano adunque strame di iorme^
desime vale quanto s addentino e si calpestino tra di loro.
- e non tocchino y e non molestino , se nel lor letame , nel pu-
tridume de* loro costumi , surge j nasce per avventuj^, a/cuna
pianta , alcun cittadino , in cui riviva la sementa santa , civile
ed onorata, di quei Romani che , quando fu fatto il nidio di
tanta malizia , Firenze , vi rimasero , vi concorsela) a fiibbii-
cai'la e ad abitarla \b]. m^ Letame viene dal lat. laetanten ,
perchè, col fertilizzarli, fa lieti i campi. Biagioli.-«^
79 Se fosse pieno tutto V mio dimando , se tutte le mie
reghiere fossero esaudite, m^ Se fosse tutto pieno ec, legge
'Ang. E. R. — e il Vat. 3 iqg. 4-«
80 Risposi io luij la Niddbeatina; e l'altre edizioni, Ri*
sposi luiy m^ e cosi il Vat. 3 1 09 ; e Biagioli , per opporsi sena-
pre al P. L., vuole che laNidob. qui legga contro Fagione.^-»
8 1 posto in bando , allontanato e tra' morti .
82 ed ory intendi , così malconcia scorgendola. m-¥ A que-
sto veivo, e sino all' 87 , molto opportunamente nota il Biagiuli 1
[^1 VncnI) (Iella CruscM. [6] Vcdi»tra gliaktri^ Gio. Vili. Cron.hb t.
r-
CANTO XV. 333
La cara e buona imniagine paterna
Di voi nel mondo, quando ad ora ad ora
M' insegna vate come l' uom s' eterna : 85
E quant' io l'abbo in grado, mentre io vivo,
Gonvien che nella lingua mia si scerna.
Ciò, che narrate di mio corso, scrivo, 88
E serbolo a chiosar con altro testo
A Donna, che '1 saprà, s'a lei arrivo.
K Questi versi, pieni di sentimento e d* amore, e figli di gra-
9 titudine etema , rispondono da per sé a chi taccia Dante d in«
a grato per aver posto a tal pena il suo maestro . Come disce*
» pnlo, rese Dante al suo maestro il tributo di gratitudine de*
a bito alle paterne sue cure; come fedel di Lucia, il fé* veder
» là ove i suoi vizj il dannarono, it^-c
85 Ln rara e buona y legge la Nidob.; La cara buona j le
altre edizioni; »-^il Vat. 3 199 legge La cara bona jrmagi'^
ne , et paterna . ^-m
84 Di %foi nel mondo ^ quando ec.j legge la Nidobeatina;
Di voi 9 quando nel mondo j l'altre edizioni, »^l'Ang. E. A.,
il Vat. 3 199, e colla Cr. Il Biagioli, asserendo che Ja lezione
della Nidob. guasta la bellezza del vei^so. «-«
86 87 E qtumt*io ec; costruzione: Econvien che mentre
ro wVo, si scema ^ apparisca, nella lingua mia , nelmiopair*
quale è di parere che con questa variante ci guadagni
timento e la proprietà della lingua • Egualmente leggesi nel-
Tedizione di Fuftgno i47^« E. ft.-
88 di mio corso y delle mìe venture ; — scrino ^ mi ritengo
a mente.
89 90 E serbolo con altro testo ^ con l'altra predìzio-
iM> fattami da Farinata ^Ma non cinquanta volte f.a raccesa
^- [A], a chiosare y a far chiosare , a Donna ^ che H saprà , a
Bi-atrìce ; come in seguito alla predizione di Farinata promesso
W Vc<1i f] Vocah. dpUa Crasca al verbo Avere ^ 5* ^'-i ^d il Mastrofì-
ai. Teoria e Prospetto de* verbi toscani, [ò] Iiif. x. 79. e segg.
334 INFERNO
Tanto vogrio che vi sìa Diaoifesio, ^ 91
Pur che mia coscienza non mi garra ,
Ch' alla Fortuna , come vud , son presto .
Non è nuova agli orecchi miei tale arra: i)4
Però giri Fortuna la sua ruota,
Come le piace, e '1 villan la sua marra .
Lo mio Maestro allora in su la gota 97
Destra si volse 'udietro, e rigivardooimi ;
aveva a Dante stesso Virgilio Da lei saprai di tua vita il
viaggio [a] .
91 al g3 Tanto ec. 9 sintesi , di cui ecco la costruzione : Tan-
to f solamente [b] , io %fOglio che ui sia manifesto die , purché
ìnia coscienza non mi garra, non mi gan'isca, non mi sgri*
di f non mi rimproveri (intendi d*alcuno mal operare ), son
presto, prontO) alla fortuna, come, comunque, essa yuole.B^hà
purità della coscienza è Tusbei^o migliore contro alla fortuna,
e fa veramente Tuomo tetragono ai colpi suoi. Ha voluto ri-
trar qui lo invincibile coraggio dei savj nelle avversità , i quali,
opponendo un petto di ferro ai dardi della fortuna, o rimbal-
zano o vi si spuntano. Biagioli. •«-•
94 arra propriamente vuol dir caparra, o sia pai te del
pagamento , che si dà innanzi, per sicurtà del contratto stabilito;
qui però si trasferisce a significare predizione, osia assicura-
zione delle cose avvenire : e come il predettogli da ser Brunetto
accenna il medesimo esilio pronunziato già lui in qualche modo
e da Ciacco nel vi. dell' Inferno, e da Farinata nel z., perciò
dice che non è nuova agli orecchi suoi tale arra •
95 96 giri Fortuna ec. - e V villan ec. Ciò dice ad accen-
nare che tanto non è per csmciarsi di qualunque girar di mota
che la Fortuna faccia, quanto non è per afiliggersi del modo
qualunque in cui adoperi il villano la sua marra , strumento
rusticano per radere il teneno. Vedi il Vocab. della Crusca.
gj ^ Lo mio Maestro i Virgilio. — m su la gota ^^ De-
stra si ìfolse *ndietro: supponesi che Virgilio, in tempo die
faceva Dante i suoi complimenti con ser Brunetto, innoltrato
[u] ìb(. X. 9. i39. [b] Vedi il Ciaon. , Partic. ^36, 6.
CANTO XV. 335
Poi disse : ben ascolta chi la nota .
Né per tanto di men parlando vommi i oo
Con ser Brunetto, e dimando chi sono
Li suoi compagni più noti e più sommi .
Ed egli a me : saper d' alcuno è buono ; i o3
Degli altri iia laudabile tacerci,
Che '1 temjK) saria corto a tanto suono.
In somma sappi che tutti fur cherci, io6
fessesi alquanti passi , ma che non ostante udisse ciò che gli
altri due dicessero .
99 ben ascolta chi la nota; quasi dica Virgilio: o Dante t
to hai bene ascoltato queUo eh' io dissi y superanda omnis for*
tana ferendo est [a] , perciocché V hai notato : e non bene
ascolta f ovver intende , una cosa colui che non la nota • Da-
«lELLO. m^jiscolta^ dal lat. ausculto y che \uol dire intende
rcy piuttosto, che semplicemente ascoltare. Poggiali. 4-«
100 loi Neper tanto ec, né per cagione di tali cose pre-
dettemi si fa il parlar mio con ser Brnnetto piii scarso.
ioa più noti e più sommi: noti per grido di fama, sommi
per grado di dignità . Il comparativo aggiunge al superlativo
per dargli maggior forza .
io4 loa fta laudabile tacerci y ec.y legge la Nidobeatina;
e/ta laudabile il tacerci y Tal tre edizioni. — a tanto suono
per a così lungo parlare , che abbisognerebbe se si avesse a
dire di tutti .
loCi cherci, Enti*ano qui gli Fpositon tra di loro in forte
contrasto. Il Vellutello e il Aosa Morando vogliono che prenda
qui Dante cherci dal francese clerc, nella signiGcazione , che
tra le altre ottiene, di letterato: ìh»-co$ì anche Biagioli »4-«
Il Venturi , all'opposto, per raggiungere che fa Dante ai cher^'
ci anche i leftera/iy conferma il sentimento del Volpi e degli
•Uri Spositori, che per cA «min tenda il Poeta uomini di chiesa^
Mio parere è che la sbaglino gli uni e gli altri, e che pt^
cherci intenda Dante in questo luogo scolari; siguiflcato a cui
attesta esteso a que' tempi il ÌrIÌììo clericus Durresne [&].»-»£
rorlamente pia intenzione, riflette a questo luogo il sig. P(^«
ia^ Arneid. lib. >' %^» 7^0. [b] Glossar, art. Clericus.
/
336 INFERNO
£ letterati grandi, e di gran &ma,
D* un medesnao peccato al mondo lerci .
Prìscian sen va con quella turba grama, 109
E Francesco d'Accorso anco; e vedervi,
S'avessi avuto di tal tigna brama,
Collii potei, che dal Servo de' servi 1 12
Fu trasmutato d*Arno in Bacchigiioae ,
giali , di alcuni più moderni G)menUtorì , per onor del Clero ,
Io sforzarsi a dai-e uu altro significato alla parola cherci; ma
avendola cosi distintamente per denominazione di Enrclesiistici
definita Dante stesso per bocca di Virgilio, sopra al (^. 4^. e
scgg. del e. VII., non rimane a noi che deploi*are o l*atra bile
di Dante contro gli Ecclesiastici, o la somma depravazione del
Clero di quei tempi. <-«
108 lerci ^ lordi, imbrattati. Vedi il Vocabolario della Gru*
sca. m^fVun peccato medesmo , legge l'Ang. E. A. ^-m
log Prisciano di Cesarea di Cappadocia , grammatico ec-
cellentissimo, che fiorì nel sesto secolo, non si l^geche fosse
macchiato di tal vizio; onde alcuni Spositori vogliono che Dante
ponga l'individuo per la specie, potendosi costoro facilmente
abusai'e della lor professione d' insegnare a' giovanetti . Vo-
TURi. »-^Ma è da stimare che Dante avesse notizie di Priscia-
no piii che non ne aveva il Venturi ; poiché sarebbe cosa trop-
po sconcia il pensare che il Poeta , per usare la figura di porre
l'individuo per la specie, volesse alla cieca nominare quel
grammatico in si gi*ave peccato , per infamare tutti i maestri
de* giovanetti. Poetirelli. <-• con quella turba grama y infe-
lice, tapina, accennandola turba stessa, della quale erasi egli
tolto per parlar con Dante.
I IO al I ì/^ Francesco (TAccorso^ Fiorentino, giurisconsolto
a* suoi tempi eccellentissimo. Vehturi. •-► Mori nel 1239* Fa
Professore a Bologna , e celebre per la sua Glossa alle l^gi
di Giustiniano. Poggiali. 4-« e %^den^iec.\ costruzione: E se
auessi tu attuto brama di tale tigna y di tale noia [aj, hi ve-
der costoro, ^<ej ^er potetti [A] , intendi , mentr'eri addietro
•
[a] Cosi spiega qui tigna il Vocabolario della Crasca. [6] Tedi O»
non.y de*verbi, cap. 5.» e il Prospello deìttrbi toscaiU,
CANTO XV. 337
Ove lasciò li mal ptx>tesi nervi .
Di più direi j ma '1 venir, e '1 sermone 1 15
Più lungo esser non può , però eh' io veggio :
Là surger nuovo fummo dal sabbione.
Gente vien , con la quale esser non deggio : 118
Siati raccomandato '1 mio Tesoro,
?iel quale io vivo ancora , e più uon cheggio .
i«fari//coiW^Aiidreatie'Mossi,Fioi«ntinOt chiosando d'accordo
tonigli Spositori) o&e diU Servo de* servi j dal Papa (che nelle
bolle d appella Servus servorum Dei) fu trasmutato JCArno
^ BacchigUonef fii trasferito dal vescovado di Firenze» per
dove ^ssa l'Amo 9 al vescovado di Vicenza, per dove passa il
fticchifirlione; dove lasciò i nervi mal protesi ^ cioè in mala
parte custesi , perchè in Vicenza si moti . m^ Così anche il To-
nili, •> «e A ine pare che questa sia una pungente satirica locu-
» sioue 9 colla quale il Poeta morde il vizio nefando di quel
» I^lato • Onde penso che nervi mal protesi qui non sienihchi
» già tutto il corpo mal proteso f ma quella parte del corpo
» che è bello il tacere , e di cui queirattico monsignore fece
» tanto mal uso • Togli quella frase di dosso a quel personaggio ,
» e Lasciar i nervi per Lasciar il corpo y ossia Morire , diven-
» terà frase <li sciocco sapore e indegna di Dante [al •»Moim.4-«
1 17 nuoiH} fummo > nuovo polverìo ; e nuovo l'appella per
apporto a quello che già Brunetto supp<me, almeno in parte»
•«dato, eccitato prima dalla sua comitiva .
1 1 8^ Gente vien , con la quale esser non deggio , non pò-
'«ndosi a talento passare d*una in altra comitiva.
edixioni
cosi
ìniiiokto Tesoretto [b].
lao vivo ancora^ per fama. — cheggio per ihieggo , non
però da chiedere , che vorrebbe chieggio , ma da chedere , verbo
n«ato dal Barberino in piii luoghi de'suoi Documenti d^amore^
<" <hi F. Guittone ancora [cj.
'«] Prop. voi. 3. P. 1. f»c. 164. [b] Vfdi la noU al v. 3a. [e] Vedi la.
i>vol« delle voci posla^in fitie del Barberini.
/ 0/ • /. a a
338 INFERNO
Poi si rivolse, e parve di coloro, 1:11
Che corroQO a Verona 1 drappo verde
Per la campagna y e parve di costoro
Quegli che vince, e non colui che perde.
lai al 124 »^Poi si partì f legge il Vat 3 199. «-c^on^
di coloro j che su la campagna di Verona corrono il palio dì
drappo verde; il che la prima Domenica di quaresima soIcmì
anticamente fare: adesso più non s*usa. Diviello.- Córrere
(nota il Menzini ) ha il quarto caso , non solo come il currere
cnrsum de^ Latini ^ ma anche della cosa, o segno j a cui si
corre; %^glio dire jsenza la particella esprimente il caso del
motos onde dicesi piuttosto correre il palio, la giostra ce, cht
al palio ed alla giostra [a] . •-» Il Menzini s'ingannò, giudican-
do secondo la lettera, e non secondo la ragione, che vuole che
ogni relazione sia indicata dal segno relativo; e se questo vien
tolto dall'ellissi , sta a chi legge a saperlo supplire . Bi aoioli.^-i
e parve quegli the di (per tra \b\ ) costoro %fince^ cioè il
piii corrìtore.
[n\ CoMèruM, irregoL «ap. io. [k] Ciaon., Partie, So. • ••
CANTO XVI.
•'■■^^ «'■
ARGOMENTO
Pervenuto Dante quasi €il fine del terzo ed ultima
girone . intanto che egli udi%fa il rimbombo del fiume
che cadei^a neW ottavo cerchio, s'incontra in alca*
ne anime di soldati che erano stati infettati dal
vizio detto di sopra* Indi giunti ad una profon^-
dissima cavità 3 f^rgilio vi trasse dentro una cor-
da ^ di che Dante era cinto , e videro venir nuotando
per l'aria una mostruosa ed orribile fi gara.
xjrià era io loco, ove s udia 1 rimbombo i
Dell'acqua, che cadea nell'altro giro,
Simile a quel, che Tarnie fauno, rombo;
Quando tre ombre insieme $ì {)ariiro, 4
I m^onde studia rimbombo f legge l'Aos. E. R. «-•
a DelCacqua, di quel rivo » salla sponda del quale cam«
minava. -^nelV altro girOf nellottavo cerchio.
3 arnie sono le cassette da pecchie; ma qui il continente
pel contenuto» Varnìe per le pecchie* Questo rumore che di
piesente , per essei*e ancora dalla ripa lontani 9 rassomiglia Dan*
te al romoo delle api j fa poi in vicinanza crescer tanto »
Che per parlar saremmo appena uditi [a].
Rombo è qui voce onomatopeica , esprimente il rumore cba
fanno le pecchie* mosconi e simili, volando*
4 al 6 Quando tre ee>; costruaioue: Quando da una ter*
{«j Varto 9S«
34o INFERNO
Correndo 9 duna toriDa, che passava
Sotto là pioggia dell'aspro martiro:
Venian ver noi; e ciascuna gridava: 7
Sostati tu, che all' abito ne sembri
£ssere alcun di nostra terra prava .
Aìoìè, che piaghe vidi ne* lor membri, io
Recenti , e vecchie dalle fiamme incese !
Ancor men' duoi, pur eh* io me ne rimembri .
Alle ior grida il mio Dottor s*atlese; i3
Volse 1 viso ver me, e, ora aspetta,
fìMf da una moltitudine di gente , che passat^a sotto tapiog^
già deW aspro martiro j delle martirizzanti fiamme , si partirò
tre ombre insieme correndo • «^Sembra al Biagioli questa co-
struzione dal Lombardi stravolta, e ne dà quest'altra: Quando
tre ombre partirono sé insieme da una torma , cfie passala
sotto la pioggia delCaspro martiro ^ e^ correndo^ "oennero
verso noi. '^ Torma è voce presa dal latino tarma y signifi-
cante propriamente una brigata di ca%^allcria . Qui esprime
in generale una moltitudine di gente. Poggiali. «-•
8 Sostati , fermati , derivato dal latino subsistere , e adopmto
da altri ottimi scrittori. Vedi il Vocab. della Cr. — all'abito ^
al modo di vestire. Accenna che avessero a que' tempi i Fio-
rentini una qualche foggia di vestire diversa dalle altre nasioni.
9 terra prauaj maligna, perversa, intendi Firenze.
1 1 incese dee essere detto per mciVe, antitesi in grazia del-
la rima bensi, ma fondata su la orìgine del Ittìino incido ^ da
in e caedoj il cui supino è eaesum [a] . Chiosando il Ven-
turi colla comune degli Espositori che incese yngìÌA formate
dalle fiamme y solo ne aggiunge che inceso chianuisì lacot^
tura del cauterio fatta con un bottone di fuoco. •-» Anche
il Torelli spiega incese come il Venturi , cioè per la cottura
del cauterio . — Pensa il Biagioli che incese qui valga quanto
fatte dai vapori incesi. «-«
la l'i pur che, solo che. ^-^s^attese, porse orecchio, die
retta.
[«] Vedi Rob. Slef. Thesaui\ ling, lai.
CANTO XVI. 34i
Disse ; a castor si vuole esser cortese .
E se non fosse il fuoco, che saetta i6
La natura del luogo ^ i' dicerei
Che meglio stesse a te, eh' a lor, la fretta.
Ricominciar, come noi ristemmo, ei ig
L'antico verso; e quando a noi fur giunti ,
Fenoo una ruota di sé tutti e trei .
Qual suolen i campion far nudi ed unti, !i2
Avvisando lor presa e lor vantaggio,
Prima che sien tra lor battuti e punti ;
i5 9-^si vuole per si dei^e^ fì*a$e elegantissima della Iìih
gua nos Uà. Poggi Alti. 4Hi
iti al iS il fuoco, che la natura del luogo, perocché abi-*
tato da* sodomiti 9 saetta per esige che saetti, che vi caschi
sopra. — dicerei per direi [a] , che la fretta stesse meglio
a te j che a loro ; ciò ad accennare ch'erano coloix) che venivano
personaggi grandi piii di Dante, acquali perciò conveniente
cosa stato sarebbe che Dante corressse incontro.
ig ao Ricominciar ei per eglino [&], Cantico verso, il
pianto, cioè, che prima facevano [e], e che solo per pregar
Dante ad arrestarsi intermesso avevano ; e però vedendo l'erma-
lo il Poeta , né avendo piii bisogno di parlare, ritornarono al
pianto. In Inogo è!ei altri leggono chi ehi e chi hei \d] ( -* il
cod. Cass. Iiejr. E. R. ), e chiosano che cotale ìnterieaione di
dolore fosse l'antico verao ricominciato da quelle anime.
a I fenno per fecero [ej , una ruota di sé i ci si aggira-
vano intomo; pei*occhè il limarsi , anche per cortissimo tem-
po, era loro vietato [^J. — trei perire , paragoge, come osa-
rono i Latini dicier per dici^
aa al a4 Qua/^oo/enicampibn, lesela Nidob..; e inteso,
come si dee intendere , che suolen sia detto invece di soglion [g\ ,
[a] Vedi MastrofiDÌ, Prospetto diverbi itaììani, soUo il verbo D*rc ,
n iS. [b] Inf. IV. 34<f vi. 104. [e] xiv. '17. [d] Vedi il Boti, Landino,
Vcllulelloe Daoiello* [e] Vedi il Prospetto de'verbi snddettoy éotio
il verbo Fare^ o. 6. |/j Inf. xv. 37. e scgg. |gt Vedi però MMirofioi ,
Prospetto de* verbi italiani ^ sotto il verbo Solere, u. 5.
34t INFERNO
Cosi, rotando, ciascuno il visaggio iS
Drizzava a me, si che 'n contrario il collo
Faceva ai pie coutiaovo viaggio.
viene a togliere dal testo la sconcordanza de' tempi che ammel^
tono tutte l'altre edizioni»-^ e il Vat* ^igg^-s che leggono»
Qual solean i campion far ec. - Prima che sien tra ior bai*
futi ec. Ecco adunque la costruzione e spiegazione: Qual i
campion , i gladiatori , nìidi ed unti suolen far prima clte
sien tra Ior battuti e punti f prima che siensi mossi all' offesa »
ai^isando Ior presa e Ior vantaggio f movendosi bensì , ma
sempre gli occni fissi l*un nell'altro tenendo, per cogliere il
giusto tempo di afferrare e di vantaggiare. •-♦ Difende il Biar
gioli la comune lezione soleano per la maggiore bellezza del
verso e del concetto, che, secondo lui, per l'apparente scon-
cordanza de* tempi, s'accorda meglio con la verità e con la
mente del Poeta. E vuole che sia stata intenzione di Dante di
scrivere soleano e non sogliono^ per trasportare il pensiero
di chi legge al tempo in cui tali esercizj fecevansi ; e sogg;inngo
poi sieno , perchè con la forma del presente si dipineon me-
glio le cose, e pongonsi sotto gli occhi e in atto. — JÌ\^isaie
vale fissar bene gli occhi in un oggetto , per ben esaminarlo :
comunemente, e forae con piii espressione, si dice oggidi m-
%'istare. Poggiali. — Quid sogliono ec, la 3. rem. ediz. col*
l'Aog. che legge , Qual soglion far gli campion nudi ed unti.
E. R. — Campioni sono detti dal battersi nel campo. Qui in*
tende Dante dei Pugili e Palestriti, che nudi ed unti pugna-
vano, e non de' Gladiatori, come dicono il Venturi ed il Lom-
bardi : onde Virgilio : Exercentpatrias oieo l€U}ente ptUestras,
Lami. E F. 4^
»5 al 27 ciascuno y legge la Nidob. ( — * e l*ediz. di Foli-
gno 1 47^9 E. R. ) , meglio di ciascuna , che hanno l' altre ediz.,
perocdbò corrisponde agli altri mascolini ei,jeftf/iti, tutti ^ co^
cominciò Vuno ec. Ecco poi la costruzione.* C!osì ciascuno, dei
tre, rotando, correndo in cerchio , drizzat^aame il visaggio,
la (accia [a] , sì che il collo faceva continuo viaggio in con"
Vario ai pie: movendosi, esempigrazia , i piedi da destra in si-
nistra, conveniva , per sempre guardar Dante, torcere il collii
[<it Kismgffio, vifo, ficctii , io rtrn;i, ehì<f«a il Volali; ma fu adoperato
auclie in |iroaa« Veiliiie gli eiieiii|ij nel Vbcibulariu della Crucca •
CANTO XVI. 343
E, se miseria d*esto loco sollo 28
Rende in dispetto noi , e nostri preghi ,
Cominciò l'uno, e '1 tinto aspetto e brollo,
da sinistra in destra. »-^Biagioli vuole che si legga colla co-
mune, dascunaj perchè qui, siccome nei Tersi 4« e 7.9 vide
il Poeta nei tre individui tre ombre* ^-c Avvei*ta però il saggio
lettore di non intendere che gii*assero quelle ombre intorno allo
stesso Dante, che allora tale torcimento di collo non richiede-
lebbesi; imperocché chi corre su la circonferenza di un cir-
colo non ha bisogno, per guardar sempre il centro, che di fer»
mare il collo in quella positura medesima che al pimo sguardo
fagli necessaria. Restò Dante in alto sulla sponda medesima del
fiomicelloy su della quale camminava , e le tre ombre rotavano
abbasso neir acceso sanbione; non giravano adunque in tomo al
Poeta. •-» Il codice Vaticano 3 199 legge questo terzetto come
spgne: Così , rotando , ciascuna il ì^isaggio^Drizzaì^a a me ,
// ; Ae '/s coniraro , il collo-' Face%fa ai pie eontinuoij i^iag^
d8 al 3o J?, je miseria ee. Ho tramezzato le due particelle
e» se con una irirgola, parendomi certissimo che la costmziofw
delli presente tenina debba esser questa: E ^ cominciò l'uno,
*e miseria d*esio loco sollo^j e C aspetto tinto e brollo , rende
in dispetto j spregeToli (in quella maniera che i Latini direb*
htfofaeit despicaiui esse) , noi , e nostri preghi) la fama no^
stra pieghi t* animo tuo a dirne ec. Per mancanza di questa
vii^la il Daniello, e dietro ad esao il Venturi , sonosi sforzati di
finri intendere che questo £'j« sia quello che i Ijatini dicono etsi,
quanivis ; cosa che non avrebbe esempio. Gli Accademici della
Cr. hanno in alcuni testi invece di E trovato Deh . Se vi fosse
bisogno, m* appiglierei piuttosto a questa lezione, il bisogno
però per meszo della sola virgola cessa aifatto^ ed il senso v^
sta benissimo legato . - loco sollo . i$o//o ( chiosa il Vocab. della
Cr. ) , non assonato , soffice , contrario di pigiato ^ onde solla
diccsi la neve -di fresco caduta , prima che si comprima e s'in-
dori. Noi Lombardi, che in molte voci mutiamo la / in r (dicen^
do gora , mora ec. per gola , mola ec. ), appelliamo cotal neve ,
0 simii cosa, sora. Sotto adunque denomina Dante quel luogo
* cagione d'essere il terreno del medesimo arenoso, e cedente'
•otto i piedi di ehi lo xaalpestava . - tinto aspetto ( cioè nero ,
344 INFERNO
La fama nostra il tuo animo pieghi 3 1
, , A dirne chi tu se', che i vivi piedi *
Cosi sicuro per lo 'nferno freghi •
Questi^ Torme di cui pestar mi vedi, 34
Tutto ciie nudo e dipelato vada,
Fu di grado maggior, che tu non
fol^ginoso ) legge la Nidob. , più adattatamente alla ivi cadente
piòggia di fiamme y che non leggono tristo l'altre ediz. tnUe
»-► e il Vati 3 i99«4Hi hrollo e orullo hanno il medesimo signi-
ficato di spogliato e nudo; ma qoi di scorticato j per le pia>
ghe dette nel i^. io. (m\ pnie nel ixxit. di ipiesta cantìcat
u. 58. e segg.:
..••••. il mordere era nulla
Verso 7 graffiar^ die tal volta la schiena
Jtimanea della pelle tutta brulla*
m^ brollo qui forse vale bruciato; e potrebbe venire dal tnor
cese brulé. E. F. — Cosi anche il Biagioli; ma soggiunge che
QUI i] Poeta l'usa in senso di scorticato y e tale per i'asioDe
del fuoco. 4HI
3) 33 che i vivi piedi ec. Invece di diie^ die vivo eammi^
ni per P Inferno i dice che freghi , che stropicci, i vivi piedi
per lo ^nferno . Quantunque il firegare de' piedi contro il soolo,
nell'atto di andare , sia dei vecchi massimamente t in qualche
modo nondimeno fiissi da ognuno che cammina ; e però bene
vien qui posto fregare i piedi per camminare. Fregare^ *P*^^
il Venturi , i propriamente far linee formate senza disegno
su gualche cosa con che che sia, le quali si dioon freghi*
Il Vocabolario però della Qiisca y tra i vari significati del verbo
Fregare f mette il primo quello di leggiermente stropicciare:
e il latino fricaroj che gii ha dato orìgine, nulla ha ch« fiure
con linee cotali. •
34 al 36 pestar Porrne per seeuit€ir le pedate, '^dipetato,
dovendo significar lo stesso che oroUo nel v. 3o.| òoèseorti'
cato j meglio starebbe scritto con due / 9 dipellato f giacchi tio*
vasi dipellare per tor via la pelle. Vedi il Vocab* della Gr.
»-^IlVat3i<)9co6l legge tutta questa tenina: (hiest^ormef di
cui tu pestai' mi vedij - Tutto che nudot et dipelata ^fsuia;
* Fur di grado maggior » c&e tu non eredi m^-a
CANTO XVI. 345
Nepote fu della buona Gualdrada : 37
Guidoguerra ebbe oome, ed ia sua vila
Fece col senno assai, e con la s[>ada.
37 38 della buona Gualdrada, Gualdrada, narra Giù. Vil-
lani [a], e da esso riportano tutti gli Espositori essere stau
in Fiiense una vei^ine di singoiar bell^ezza , e figliuola di mes*
serBellincion Berti y della famiglia dei Ravignani, nobilissimo
oiTaliere ; e che essendo veduta da Ottone IV • Imperatore , che
allora era in quella città 1 stupefatto di tanta bellezza ^ domandò
chi ella fosse: al miai messer Bellincione, che era appresso di
lui) rispose esser figliuola di tale 9 che a lui bastava l'animo »
quando piacesse a sua Maestà > di irgliela baciare ; eche» in-
tese le parole dalla fanciulla, fattasi m viso rossa, si levò in
piede , e disse al padre che uomo vivente non la bacerebbe
se non fosse suo marito . Per la qual saggia e casta risposta
rimperatore molto la commendò ; e il Conte Guido , uno dei
suoi baroni , per consiglio del medesimo Imperatore la si fece
moglie. Aggiunge poi esso Villani che di Guido e di Gual«
dnMla nacque, tra gli altri figlia Ruggieri, e di Ruggieri, Gui-
dogoerra, che venne perciò ad esser nepote di Gualdrada.
II Borghini, accertandosi da un canto che l'Imperator Ot*
tone rV. non fu mai in Italia prima del 1 209, e trovando dal-
Taltro canto scritture del i aou, contenenti vendite da esso Con-
te Guido fatte alla città di Firenze , nelle quali vedesi che
aveva egli già dalla mofflie Gualdmda due figlia e di età che
potessero esser presenti e dare la parola al contratto , passa a
gindicare favolose le dette circostanze di quel matrimonio [&]•
Io non so se per le stesse , o per altre ragioni , prece-
desse Dante nel medesimo giudizio al Borghini : questo si bene
mi pare certissimo che, se stato fòsse Dante persuaso di cotale
patema esibizione, anzi che di menzionarne con lode il padre
di Gualdmda Bellincione ne* canti xv. 1 3. e segg., e xvi. 99. del
Paradiso , commemorato«avrebbelo con biasimo nel xvm* del-
l'Inferno.
39 Fece coi senno assai y ec. Costui fu eccellentissimo neU-
Tarte militare, e di gran prudenza e consiglio «Onde nella bat^
CagBa commessa a Benevento tra Carlo e Manfiredi fu riputato
fa] Crom, lib» 5. e. 3^. [b] Disc. déìForig, di Firenze, eiliiione i7S5^
346 INFERNO
L'ahro, eh* appressa me la rena trita, 4^
È Teggbiaio Aldobrandì , la cui voce
Nel mondo su dovrebbe e$«$er gradila :
Ed io, che posto son con loro in croce, 4^
Iacopo Rusticncci fui ; e certo
La fiera moglie, più eh* altro, mi nuoce.
S' i' fussi stato dal fuoco coverto, ^6
Gittato mi sarei tra lor di sotto,
E credo che '1 Dottor Tavria sofferroj
Ma perch' i' mi sarei bruciato e cotto, 49
Vinse paura la mia buona voglia,
prìucipal cagione della vittoria di Carlo. Lahdivo^ ^^eol senno
fece assai 9 et con la spada j legge il VaL 3 199. «-«
40 la rena trita ^ rarena pesta » invece di cammina.
4 1 4^ Tegghiaio Aldobnmdi . Fu costui degli Adimari ,
molto stimato e a casa e negli eserciti per molle maravigliose
opere e consigli. Costai sconfortò Tiropreisa eontra i Senesi ,
dimostrando che non si poteva in quella aver vittoria; ma non
fu accettato il sno consiglio: onde ne segui T infelicissima rotta
d'Arbia , ovvero di Montaperti. LAvoiiro. -^/a età voce^ i cui
consigli (•-♦ovvero la cui fama o nominanza j come col Boe»
caccio la pensa il Biagioli^ni) doterebbe esser gradita su mei
mondo I dovrebbero i Fiorentini tenersi a mente ed aver evi.
9h¥do¥ria9 al u* 4^-9 ^%S® ^^ ^^^ 3' 99*^^
43 posto in croce per tormentato*
44 4^ Iacopo Rusticucci fu onorato e ricco cavaliere , ma
ebbe una moglie molto ritrosa ; e finalmente, non potendo con
lei vivere 1 gli convenne lasciarla e viver solo : u che fa. ca-
E'one di fargli far poi quello , perchè fu dannalo all'Infiemo .
▲vfBLLo. •-¥ Disse nuoce t e non nocque^ perdiè TeffeUn è
attuale t benché la causa sia remota* Biaoioli. «-«
46 colerlo» riparato» ' "'^.
47 di sotto $ nel sabbione sotto la ripa, sn della quale ess4-
sta va 4
48 Dottor 9 Virgilio. — sofferto che mi allcmtanassi per-
ciò alquanto da esso lui .
CANTO XYl 347
Che di loro abbracciar mi facea ghiotto.
Poi cominciai: non dispetto, -ma d<^lia 5^
La vostra coodizion dentro mi fisse
Tanto, che tardi tutta si dispoglia,
Tosto che questo mio Signor mi disse 55
Parole, per le quali io mi pensai
Che, qual voi siete, tal gente venisse»
Di vostra terra sono: e sempre mai' 5S
L'ovra di voi, e gli onorati nomi
5i ghiotto per tnndo. Metafora ^ critica il Venturi, non
iMle più gentili j pigliata in prestito dal taglier del tinello.
Troppo, con occhiali simili lìsguardando , troveremmo da crì«
tvcare. -^Eòroy che in vece di ricolmo disse il Casa in quei
versi :
Nuova mi nacque in prima al cor vaghezza ec^
Che tosto ogni mio senso ebro ne fue [a]
onde si dirà preso dal tinello o dalla bettola? Ghiotto ferbra*'
moso lo ha scritto chi doveva avere un po' miglior gusto del
Vmturi , l'Ariosto [A] :
Così gli piacque il dilicato volto ,
Così ne venne immantinente ghiotto.
•-^'Questa metafora , al dir del Biagioli , mostra anzi assai bene*
r intensità del desiderio di abbracciare quegli illustri perso-
naggi; e conchiude che le voci piii triviali, quando sono ben
collocate, diventan perle. 4-«
53 al 67 non dispetto^ ma doglia ^La vostra eCé Ecco la
costruzione: Tosto che questo nuo Signor f\irgiììOj mi disse
parole y per le quali io mi pensai che venisse, tal gente j di
alto griflo, qual siete voi, la vostra condizione^ aspra e tor»
mentosa^ mi fisse ^ eiicitò in me, non dispetto ^ non disprezzo
(vedi la nota al v. 39.), ma doglia , ma compassione , tanto den*
troj che tardi tutta si dispoglia (il presente pel futuro), che
non si potrà, se non tardi, tutta togliersi dalranimo mio.
59 Ùovra il singolare pel plurale , per Vovre per r opere
insigni.
348 INFERNO
Con affeziOD ritrassi , ed ascoltai.
Lascio lo fele, e vo pei ddci pomi 6i
Promessi a me per lo yence Daca ;
Ma fino al centro pria convien che tomi .
Se lungamente l'anima conduca 64
Le membra tue , rispose qu^li allora ,
E se la fama tua dopo te luca ,
Cortesia e valor, di\ se dimora 67
60 Con affètion ec»; costruzione : ascoltai con eiezione f
e ritrassi, ricopiai in me.
61 6u Lascio lo felcy lascio il vizio f e vo pei dolci pomi
della virtiiy i quali si colgono in cielo, ove essa virtù è pre^
miata. Promessi a me per lo verace Duca, per Virgilio, che
per vera sti*ada lo scorgeva al cielo . Damisllo* ^^per dola
pomif legge il VaL 3199.4-c
63 tomi. Esprìme il suo discendere all' Inferno col medesi-
mo termine , col quale esprimesi Tandarvi di quelli che vi sono
per etemo gAstigo precipitati ; che tornare è propria mente cal-
dere a capo in già [a] ; e bene l'identità del luogo da con-
venienza e vaghezza alla identità del termine . — che tomi ,
le^e la Nidob.; di* f tomi , l'altre edizioni.
04 al 66 Se lungamente ec. Cosi tu viva lungamente, e
cosi rìsplenda e sia chiaro il tuo nome ancor dopo che sarai
morto. VzHTURi. -Il se fercosi , o che [ój apprecativo, a quel
modo che adoprarono i Latini il sic e Vutinam, ripetelo Damte
anche altrove [cj , e del medesimo han fatto uso altri buoni
scrittori [d], •-» Secondo il Biagioli , quesu particella se non
è deprecativa I ma condizionale . - rispose quelli ancora j leg»
gè il Vat. 3 199. 4-c
67 »-^ Cortesia , definisce il Poeta nel Convito questa voce
COSÌ : a Cortesia e onestade è tutt' uno ; e perocché nelle corti
anticamente le virtudi e li belli costumi s'usavano, aiooome
oggi s' usa il contrario, si tolse questo vocabolo dalle corti, e
fu tanto a dire cortesia quanto ììso di corte; il qnal vocabolo,
[a] Veda il Vocabolario dell» Cr. [b\ Vedi il Cinonio, PaHic 44. a3.
[e] lof. xi?ii. 57., zxix. 89^ ed «Uruve. [d\ Vedi il Ciooa. 9a3. la.» e
il Vocab. della Crusca.
CANTO XVI. 349
Nella nostra città , si come suole,
O se del tutto se né gito fuora?
Gilè Guglieloìo Borsiere, il qual si duole 70
Con noi per poco, e va là coi compagni,
Assai ne crucia con le sue parole .
La gente nuova, e i subiti guadagni 7 3
Orgoglio, e dismisura han generata,
Fiorenza, in te, si che tu già ten piagni.
M> Oggi si togliesse dalle corti, mass ini amente d*Italia; non sa*
nhbe altro a dire che turpezza. » Biagioli. ->^a/ore par che
debba intendersi per abilità nelle cose più, ardue ed itnpor*
tanti, non semplicemente nelle intraprese militari. Poogiali.<-«
68 come suole per come soleva, m^ suole non istà qui per
jio/eva, ma ben per sé; e con questa forma dimostrano esser
più avversi dal credei'e il contrario di quello che domandano.
BuGIOLI. 4-«
69 »-» O jeec; o, se il valore, e per conseguente la cortei
^ia, perchè vanno insieme, se n'è gito fuori dalla citta nostra.
BiAGioLi . — Qui delle due voci cortesia e ì^alor uon accorda
che la seconda col verbo. Tokelli .^-c
70 71 •-♦ Chèj cioè IO ti dimando questo perchè ec Bia-
aiou.4-« Guiglieltno Borsiere, valoix>so e gentil cavaliere, mol-
to pratico delle corti , e ( come affeiina il Boccaccio nella no-
vella di M. Eiiuinio dei Giòmaldi) fiiceto e prontissimo. — si'
duole per poco, conciossiachè poco fa ci venne, non essendo
molto ch'egli era morto. Davibllo.
72 crucia con un e solo legge la Nidob., e istessamente
Indizioni del Landino, Daniello e Vellutello, a differenza delle
altre, che leggono cruccia. Crucciare però significa ^or a</f-
rare [a]; e sta qui meglio ancia da cruciare^ che significa
tormentare , affliggere •
73 al ^5 La gente ec* Invece di rispondere a Iacopo ^ vol-
gasi Dante con apostrofe a Fiorenza stessa • La gente nuova ^
«lucila (chiosa il Daniello) che nuovamente di contado era ve-
nula ad abitai^ nella città ; i guadagni subiti j cioè non le-
,4J Vcili ii Vocabulario (Iella Crucca •
370 INFERNO
lluM gridai con la faccia levata: '^6
E i tre, che ciò iateser per nspo&ia,
Guatar l'un T altro, come al ver si guata.
Se Taltre volte sì poco ti costa, 79
Kìsposer tutti, il soddisfare altrui.
Felice te, che si parli a tua postai
citi ed ineiosti ; perchè le rìcchesse che in uu subito si ianuo,
par che illecitamente sì facciano , come per usura ec. : cum nemo
yir bonus dives bren^i evadatj lasciò scrìtto Matal Cooti [aj;
han generata in te, Fiorenza ^ orgoglio j superbia ed alteii-
5ia nei cuori gon6ati dalle ricchezze ; e dismisura : chiamasi
ismisuralo colui che passa i termini , e fa le sue cose fuori
di misura ed è immodesto > perchè 9 come dice Oia&io, Esl
modus in rebus , sunt certi denique fines , - QuosM^ra dira-
que nequit consistere recium, UaviblIiO. — sì che tu giày a
quest'oi'a, /e/t /ria^fii*- ^Vedine la corrispondenza al v. i^i-
e segg. del e. xin., spiegata secondo la nostra annotazione. El. A.
^b Così gridai j cioè cotai parole giìdando fec*io; con la
faccia levata y guardando in su verso u mondo nostro 9 peroc-
ché parlava con Fiorenza.
78 Guatar y invece di guardar ^ legge la Nidob», e corri-
sponde meglio tX guata in fine del verso medesimo. •-» Il cod«
Vat. 3 199 legge guardar •'^^ come al ^er si guata , facendosi
coli* occhio e col volto quel segno di approvazione che suol
farsi all'udii^e una cosa che si tiene per vera e degna di rìsa-
persi. Vbntubi. »-^ Questo verso dipinge ; e quel silenzio » quello
stupore, con che l'un guata l*alu*o, dopo cotal risposta, è più
eloquente di qualsivoglia discorso. Biagioli.^-s
79 all' 8 1 Se r altre uolte ec. A quanto veggo , tutti sM Espo-
sitori intendono che in questi tre versi non altro voglia Dante
che applaudire alla propria facilita di spiegarsi. Felice te (^tt^
Jrole ael yentm*i non dissimili da quelle degli altri Spositori)
cAe hai questa facilità , e felicità merat^igliosa di spiegarti
9nirabilmente f come ti %den più in grado • Con buona pace
però di tutti io voglio piuttosto credere che il principale scopo
del Poeta sia di accennare il danno che gli cagionò il libero
[a^ Ai^'ihoL 1. 1. cap S.
CANTO XVI. 35i
Però, se campi d'esti luoghi bui, Sa
£ torui a riveder le belle stelle ,
Quando ti gioverà dicere: i' fui,
Fa' che di noi alla gente favelle: 85
Indi rupper I9 ruota , ed a fuggirsi
Ale sembiaron le lor gambe snelle . "^
Un ammen non sarìa potuto dirsi 8S
Tosto così, com'ei furo spriti:
•00 parlare. Lionardo Aretino , della speranza parlando dal
Poeta perduta d'essere rimesso in pallia, ogni speranza j di-
ce, al tutto fu perduta da Dante ; perocmè di grazia egli
medesimo si a$feva tolto la via , per lo sparlare e scrivere
contro a' cittadini che governavano la repubblica [a]. Io
peoso adunque che vogliano quest'ombre aire a Dante: feli^
ce te, che cosi parli a tua posta ^ a tuo talento, a tua voglia p
•e il soddisfare con tal libei'o parlare ad altrui alu-e volte si
I»oco ti costa, come costati ora, che nessun danno t* arreca.
Yiposta per voglia | piacimento , vedi il Vocabolario della Cru-
sca sotto la Yoce Posta j $. 17.
8a m^se campi ec. Questo se ò iniziale di un officioso au»
gnrio di felicità, dice il Poggiali, nò può essere dubitativo,
poiché i tre spiriti, secondo iicontesto, ben sapevano che Dan-
te era sicuro di uscir ben presto da ijuei tenebrosi luoghi , e
(ii tornare a riveder le stelle. 4-«
84 ti gioverà dicere i ^ fidj ad imitazione del vii^^liano
Enea, dicente ai compagni: f or san et haec olim meminisse ùi*
vabit; e Seneca : Quod fuit durum pati^ meminisse dulce est*
Dabiiujo. Di qui prese il Tasso nel e zv. del Goffredo, st. 38. :
2 UOMO mi gioverà narrare altrui
; novità vedute , e dire : io fui.
Riflessione del Venturi.
86 rupper la ruota, finirono la ruota, che di sé camminane
do fieevaiio, detta nel v. ai.
87 »-^ jile sembiar le gambe loro snelle ^ l^ge il
Ang. E. R* — t coti il Vat. 3 199. ♦«
\m) réim di Dmmte.
3Sa liw^ERNO
Perchè al Maestro parve di partirsi «
Io lo seguiva , e poco eravam iti, 91
Che '1 suon dell'acqua n'era si vicino.
Che per parlar saremmo appena uditi .
Come quel fiume, ch'ha proprio cammiao 94
Prima da Monte Veso in ver levante
Dalla sinistra costa d'Apennino,
Che si chiama Acquacheta suso^ a vanta 9^
Che si divalli giù nel basso letto,
go •sparve qui equivale al uisum estf neutro impersonale
de' Liatini , cioè paive bene • Poggiali. <-«
92 93 »^ Che, neirora in che; 7 suon dell'acqua ^ il rn»
more della cascata nelP ottavo cerchio del fiume FWetonte,
sul margine del quale erano per anche i Poeti ; cascata, aula qua-
le erano ornai cosi vicini, che, per quanto avessero parlato for-
te, appena si sarebbero ti^ loro sentiti a motivo del mmore
di essa. Poggiau. ^-c
94 Come quel fiume , ee. Reca in paragone della caduta di
Flegetonte dal settimo nell'ottavo cerchio laromorosa cascata
del Montone, fiume di Romagna, dall'Apennino sopra la Badia
di 8. Benedetto; e circoscrive esso fiume dicendolo il primo,
che dalla sorgente del Po su Monviso ( Mons F^esulus appel*
lato dai Latini , e Monte Veso dal Poeta nosti'o } dirigeiidoci
verso levante, troviamo scendere dalla sinistra costa deirApen-
nino , e andar al mare conproprio cammino , cioè con proprio
particolare alveo : ed è vero ; imperocché tutti gli altri fiumi ,
che dalhi sorgente del Po fino a quella del Montone cascanodalla
sinistra costa d'Apenninoytutti s'uniscono al Po, e camminano
con es30 al mare, a-^ Ammira il Biagioli in questa bella simi-
litudine il meraviglioso artificio del Poeta nell averespressocon
tanta precisione ed esattezza quello che non si saprebbe <, con
altrettanta, in prosa; con parole e frasi, si belle, e il perk>do
intero aggirato in modo , che principia e procede quieto qoìe*
to, rìnciuzandosi a poco a poco col correre del fiume , sin che
tes faccia sentire T altissimo romore ch*egli fa cadendo. 4^«
95 Prima f primamente, prima d'ogn' altro fiume.
98 si diifolli, caschi nella valle; basso lette y basso suola.
CANTO XVI. 353
E a Forlì di quel nome è vacante ,
Rimbomba là sovra san Benedetto i oc
Dall' alpe , per cadere ad una scesa ^
Dove dovrìa per mille esser ricetto j
G>si giù d'una ripa dìscoscesa io3
Trovammo risonar quell'acqua tinta.
Sì che 'n poc'ora avria T orecchia offesa.
99 è yacanie , privo ; perocché ivi non si appella più Acqua^
dieta j ma Montone,
IDI •^per cadere ad una scesa y cioè, a motivo di cadere
tutto ad ìxn tratto dal monte in ona valle y dove ec. ; così col
Lombardi il Poggiali. ^ ad una scesa , cioè da un precipizio y
da un balzo y in luogo ^ dove ec.; così Volpi e Biagioli. <-«
102 Do$^ dovria per mille esser ricetto^ o pei*cbè| come
<lal Boccaccio riferisce il Landino , fosse una volta disegno « ma
poi non eseguito , dei Conti signori di quel paese di fabbricai*
ivi un casteUoy e di riunire in esso molti de' vicini villaggi;
ovvero, come intende il Daniello y perchè essendo quella Badia,
per la sua vastità e ricchezza 9 capace di moltissimi monaci ,
aoQ fosse, per usurpazione di chi amministra vaia , provvedili a
die di pochissimi . »-^ L'Anonimo citato nella E. F. legee^ Z^o-
l'è do%fea ec. ; e chiosa, che dovea essere ricettacolo ed abita-
zioiieper mille abitanti. Forse vuol dire che i molti beni , dt*ì
quali godevano que' pochi monaci, sai'ebbero stati sufBcicult
per nutrire e dar ricetto e stanza a mille abitanti. <-m
. 1 04 Ti-ot^ammo ec. a-^L'E. R. legge invece col Caet. Sentita^
'HO, per la ragione, die' egli, che il suono si percepisce col"
i^uditOy e non colla uista. — Questo cambiamento è disappro*
>ato dal fiiagioli, riflettendo che il Poeta disse trottammo per
(esprìmer, la sorpresa, onde quel gran fracasso lo colpi* Alla
i^ioiie poi addotta dall' E. K. in difesa del Sentimmo y il Bia-
gioli risponde:^c<m' a i>anfe se 9era fosse j a Omero y e agli
altri tutti f Malgrado ciò, il sig. De-Romanis non ha creduto
<ii doversi ritrattare , e Sentimmo legge pur anche la 3. ro-
mana edizione. — L'Ang. legge Tro\^iinimoy E. R. — e così il
Val. 3199. <«-•
inj »-^/a lingua offesa y legge il Vat, 3 199, e r orecchia
li poslilla marginalo al detto codice, attribuita al Petrarca.4^«
354 INFERNO
Io aveva una corda intorno cinta , ' 106
E con essa pensai alcuna volta
Prender la lonza alla pelle dipinta*
id6 al ìoS Io a^eva una corda intomo cinta. Questo luo-
Ìo (chiosa il LaDdino) contiene in sé ima fizione assai oscura.
Iquanti dicono che Dante in sua puerizia prese T abito di
s. Francesco y e dopo partitosi lo lasciò. E p^r questo pone la
corda y della quale ei*a cinto, per la ipocrisia. Il che né credo,
né mi par verisimile.
Commemorando Dante nel Paradiso con somma lode san
Francesco e i veri di lui seguaci [aJ , uè mai V istituzione di
qualunque sacra Gerarchia biasimando egli , ma solo i vixj d'al-
cuni individui, non è ceitameute veiisimile che volesse pel mi-
noritico cordone significata la ipocrisia . Altra cosa è però che
ponga Dante per simbolo deiripocrìsia il francescano cordone i
ed altra è che supponga ingannato Gerione pel cordone get-
tato colaggìti, persuadendosi che venisse con tal segno (giacché
in quella distanza e rumoi*e la voce non era bastante ) chia-
mato a prendersi e portarsi abbasso tale, che col manto della
penitenza ricopeita avesse l'iniquità. Questo pare a me ch'es-
ser debba l'intendimento del Poeta: eh' egli 9 cioè, per cingersi
del francescano cordone y pensasse alcuna uolta ^ch'è quanto
a dire una yolta) diprendere ^ cioè di frenai^e, il sensuale ap-
petito y già di sopra [6] per la lonza indicato ; e che il cordone
medesimo portando egli tuttavia, come Terziario dell'Ordine
stesso [cj, facesselo quivi servire ad ingannare e far venir so-
pra Gerione. - alla pelle dipinta y dipinta alla pelle | invece di
nella pelle y scambiato nella in allay come l'ira scambiasi in
al. Vedi il Cinonio [d], — dipinta poi nella pelle vale quan-
to coperta di pel maculato y come già disse, la medesima
lonza [e] . m^ Alla pelle dipinta non é l' inversa del costrutto
dipinta alla pelle . Il Poeta ha detto alla pelle dipinta y per
esser questo il termine, al qual volger vuole l'animo del let-
tore. Biagioi.i.4-«
[a] Canto xzii. 90. ed altrove, [b] Inf. i, 3a. [e] L'autore delle Memorie
per la vita di Dante , oltre di riferire detto dal Buli il medesimo che
(lice il Landino, aggiunge la testimonianza di P. Antonio Tognocclii
da Terrinca che tosse Dante e morisse Terxiario del francescano Or-
dine . J. viit. [d] Partic. ». I. [e] lof. 1. 33.
CANTO XVI. 355
Poscia che V ebbi tutta da me sciolta , 1 09
Si come *1 Daca m'avea comandato,
Porsìla a lui aggroppata e ravvolta ;
Ood' ei si volse in ver io destro lato, 1 1 2
E alquanto di lungi dalla sponda
La gittò giuso in queir alto burraio .
El pur convien che novità risponda, 1 15
Dicea fra me medesmo, al nuovo cenno,
Che '1 Maestro con T occhio sì seconda .
Di questa corda non ne fanno parola i moderni Spositorì
Volpi e Venturi* Il Landino, Vellutello, Daniello la intendono
nna corda del tutto allegorica, cioò la firaude , con cui Dante
alcuna fiata tentasse di giugnere a lascivi fini. Ma come poi
di colale allegorica corda farsene un obbietto da aggropparsi
e ravvolgersi, da allontanarsi dal Poeta, e da far pervenire
fino a Gerione? a-^La corda che aveva veramente cinta a sé
d'intorno ilPoeta, secondo il Biagioli, significa rnmiltà, con
la quale si dee l'uomo accostare alla scienza, perocché ella è
colei che umilia ogni superbo, E auesta coi*da se la cinse il
Poeta quando, accortosi d'esser ueiP errore, si propose di la-
sciarlo, e di sposarsi alla scienza. *-•
1 1 1 aggroppata e rai^^^olta a guisa, intendi, di gomitolo;
e ciò non per aitilo fine, se non perchè la potesse Virgilio sca-
gliare lontano.
1 1 a si t^olse inuer lo destro lato . Volendosi scagliare colla
destra mano alcuna cosa , conviene appunto ehe volgasi alquan-
to a destra il braccio e il corpo, per prendere spazio a dar im-
peto al corpo che vuoisi scagliare.
1 1 3 1 1 4 ^< lungi dalla sponda -^ La gittò , acciò non qual«
che o pietra o sterpo dalla sponda prominente la trattenesse,
ma andasse a cadere nell'ottavo cerchio. — burraio e burro*
ne^ luogo scosceso, dirupato e profondo. Vedi il Vocabolario
della Crusca.
1 15 al I ly Elpur convien^ I^gK^ '^ Nidob.; ed essendo ci
voce tronca d'e//i in luogo d*e^/< , come avverte il Cinonio [aj,
[a] Par ite. lOi. i4<
356 INFERNO
Abi quanto cauti gii uomini esser denno 1 18
Presso a color , che non veggon pur l' opra ,
Ma per entro i pensier miran col senno!
£i disse a me : tosto verrà di sopra 1 !i 1
Ciò clV io attendo ; e che 1 tuo pensier sogna
Tosto convien eh' al tuo viso si scuopra .
Sempre a quel ver, eh' ha faccia di menzogna, 1 24
dee El pur com^ien valere lo stesso ch^ egli pur com^ien ; dee
cioè V el non tenersi qui in altro eonto che di particella riem-
pitiva ; e sta qui meglio che E pur coni^ien , che leggono l'al-
tre edizioni , »-^ e colla Crusca il Biagioli , che disapprova la le-
zione di Nidobeato. ^-mal nuouo cenno, al cenno non mai Bnoi'a
prtiti<$ato di gettare giii roba da un cerchio nell'altro . — Che 7
Maestro con rocchio sì seconda y guaiolando giii dove la cor-
da gettata andava a cadere • — conuien che novità risponda ,
dee venire in seguito alcuna novità. m-¥ colli occhi j al %'. 1 1 j..
ha il Vat. 3 199. 4-«
1 18 al 120 »-> L'avvertimento che vuol dame qui il Poeta,
dice il Biagioli, è degno d'essere scritto in lettore d oro - Quan-
ti infatti, che vedendo le azioni de'savj , ed ignorandone i mo-
tivi, osano di imprudentemente censurarle! Se Dant« ciò fatto
avesse, quel famoso Saggio, che mirava col senno per enlm
i pensieri di lui , gli avrebbe risposto in altro modo da quello
che fa nei versi seguenti , ed avrebbegli dipinto il viso di tri-
sta vergogna, colmandolo di confusione.^-» che non ueggon pur
/"oprai che non pur ^ non solo, i^eggono V opera con gli oc-
chi, intendi , ma col senno, t^on T intelletto, miran per entro
i pensieri,
I aa 1 23 r? che '/ tuo pensier sogna — Tosto ec. »-^ c/ip il
mio pensier sogna j ha il Vat. 3199. ^hi'cos tniz ione : e tosto
conv^ien che al tuo viso , alV occhio tuo , si scuópra , si manife-
sti, che 7 tuo pensier sogna, che tujensi il itslso. »-♦ Dante
qui non pensava il falso, dice il Biagioli, ma piuttosto il vero,
come apparisce anche dai 1^^. 1 1 5. al 1 1 ^.di questo canto. Quin-
di spiega : e ciò che il tuo pensier sogna (^vede come in sogno),
com^iene che si scuopra al tuo x^iso (al tuo occhio). ♦-«
1 24 di' ha faccia di menzognn^ che ha circostanze tali Ja
essere discrediite da chi le ascolta.
CANTO XVI. 35;
De' riioni chiuder le labbra quanto puote,
Però che senza colpa fa vergogna .
Ma qui tacer noi posso; e per le note i a 7
Dì questa commedia, Lettor, li giuro,
S'elle non sien di lunga grazia vote,
Ch'io vidi per quell'aere grosso e scuro 1 3o
Venir notando una figura in suòO|
laS guanto puote , Non dice assolutamente^ perocché, ove
la necessità il richiegga, il vero si dee sempre dire, comuuijue
sia per riceversi dagli ascoltanti . — Quant*ei puote , leggono
Tediziom diverse dalla Nidobeatina»-^e il Vat. 3 199; lesione
che ha più grazia, al dii* del Biagioli.^-v
126/0 svergogna y accatta beffe • Tanto premette per acqui*
starsi fede iu ciò che è per raccontare •
127 12S per le notCj per le parole 9 o canti ^ — Di questa
commedia j Lettor ^ ec; come se dicesse : pei* la vita di questa
mia figliuola ti giuro eh* io vidi ec; giuramento gentile 9 desi-
déraudo naturalmente sopra d*ogui alti*a umana cosa qualun*
qae scrittore immortai vita e gloriosa a' suoi scritti. Vbiituai.
Commedia colPaccento suU'/ alla gitrca maniera (avviso del
preludalo sig. £nuio Visconti [a\) esige il metro che scrivasi
«' pi'oiiuiizisi ; facendosi però nondimeno delle due vocali 1 ed
A mia sillaba sola , come nel verso : E non tni si pania di"
fianzi al scolto [A] .
I ^.9 Snelle non sien cc.y vale , così ottengano esse lunga"
mente stima ed applauso . Della particella se al senso di co^
ffy >edi quanto si è (l<'lt(> in questo stesso canto, i'. 64*
i3o aere, logge la JNidob., con maggior grazia del verso;
a-^il che non crede il Biagioliì^Hi edoerr, l'altre ediz.; ^^ros^
soy peluche sotto terra, anche senza il concorao d'alu*e cagio-
ni, è l'aria umida e grossa; ma qui vi si aggiungeva il fumo
del Flegetonte.
f3i J^enir notando y per traslazione, perchè solo nellacqua
si nuota; ma è lecito a Dante imitar il suo Maestro , che disse
di Dedalo : Insuetum per iter gelidas enai^it ad jérctos ; e
poco piii sotto : Remigiuni alarum ec. [e] Ck>si il Daniello 1 ap*
[a] Tedi Inf. xti. 9 [b] Inf. 1. 34* [e] Aeneid. lib.6^ up. 16. e 19*
358 INFERNO
Meravigliosa ad ogni cuor sicuro ;
Sì come torna colui , che va giuso 1 33
Talvolta a solver l'ancora, ch'aggrappa
O scoglio , od altro , che nel mare è chiuso ,
presso al Landino ed al Vellutello • Con più di ragione però
8e;mbra che potesse Dante dire che nuotasse questa fiera , per*
che non avea ali^ e movea Parìa colle branche i come dirà nel
canto seguente y v. io5. a-^Biagioli chiosa a un dipresso come
il Lombat*di, e poi lo censura, attribuendogli la ripoi-tata chio-
sa del Daniello, della quale il Lombardi stesso non si mostra
troppo pei'suaso.^-c Nel medesimo seguente canto, w. 97., ap-
palesa Dante il nome di questa fiera, Gerione^ nome di un
antichissimo Re di Spagna , il quale finsero i poeti che avesse
tre corpi, per la padronanza che avea delle tre isole, Maio-
rica , Minorica ed Ebuso , ossia I vica . E poulo il Poeta ( ag-
giunge ivi il Daniello) per la fi*aude, per essere stato esso astu-
tissimo e pieno d'ogni magagna.
1^2 Meravigliosa^ cioè piena di meraviglia, intendendo di
quella che dà tensore e spavento; onde dice ad ogni cuor si*
ciiroy cioè ad ogni invitto e franco animo. Vellutello. ^*on
voglio però tacere il dubbio che io ho, che ponga Dante me-
ra%ngliosa nel proprio significato di sorprendente , e cuor si*
curo per cuor affidato , ad esprimere che non rimaue dalla
frodo ( di cui quella fiera è sozza immagine [a\ ) sorpreso e
meravigliato se non chi si fida d*altrui ; ond'è in ptx>verbio :
chi si fida vien ^ra^ito. •-►Spiega il Biagioli questo verso così:
Merav^igliosa , cioè capace di spirar meraviglia , passione nata
da novità o da cosa rara ; ad ogni cuor sicuro > cioè ad ogni
cuore più di sé sicuro, vale a dire men facile ad essei'e per-
turbato dalle passioni. — Ma meglio d'ogn' altro , a parer no-
stro , lo spiega il Poggiali cosi : Meraivigliosa ec.y cioè capace
di cagionar sorpresa anche in uno spinto fermo ed intrepido.
— Se non che, forse più conforme alFidea del Poeta, sarebbe
r intendere mera%ngliosa per capace di cagionar paura piut-
tostochè sorpresa. 4-«
134 i35 Talvolta a solver V ancora ^ J<*gg^ '* Nidob., me-
glio che Talora a solver ancora^ che leggono Taltre edizioni
[a] Canto seg. v, 7.
CANTO XVI. 359
Che 'n su si stende, e da pie si rattrappa.
appresso a quella della Crusca 1 che ha mutato Talvolta in Ttt*
lora y sensa dime il perchè , ni citar manoscritti. — od altro f
la Nidob. ; o altro 1 Paltre edizioni 4 w^cVagrappa^^A scoglio ,
I<^ge il Yat. 3199.4^
i36 Che *n su ec, che nella parte superiore, cioè nel capo
e nelle braccia, distendesi, e nella inferìor parte ^ cioè neUe
coaoe e nelle gambe, ripiegasi.
■CANTO XVII.I
ARGOMENTO
Descrive il Poeta la forma di GèHone • P(À segue
che discesi ambedue su la riva che divide il settimo
cetxhio dall'ottavo^ e chiamato colà Gerioncy Vir-
gilio rimane con esso lui , ed egli seguita alquanto
pia oltre per aver contezza della terza maniera
de* violenti t cioè di quegli che usano la violenza
contro V arte. Infine tornandosi a Virgilio y discen*
dono per aria neW ottavo cerchio sul dosso di
Gerione.
Hicco la fiera eoa la coda aguzza , i
Che passa i monti , e rompe muri ed armi :
Ecco colei, che tutto il mondo appuzza;
Sì cominciò Io mio Duca a parlarmi, 4
Ed accennoiie che venisse a proda,
Vicino al fin de' passeggiati marmi :
I al 3 Ecco la fiera ec. Fingendo che questa fiera sia rim*
magine della fraude, dice ch'ella avea la coda aguzza ed appnn*
tata sì fattamente , che passai^a (cioè traforava ) monti , e rom*
peva muri ed armi ; perciocché non è al mondo cosa si difficile
e dura , che il malizioso con la sua acutezza non passi . -— ap»
{mzza y ammorba e corrompe. Dahiello. »-» i muri e rarmij
egge FAng, E. R., e il Val. 3 199. 4-»
5 aecennolle^ alla fiera. — a proda j a riva.
6 a/ fin de passeggiati marmi ^ alla estremità «^elle mar-
moree spondei su delle quali passeggiavano i due Poeti ( come
CANTO XVII. 36i
E quella sozza immagine di froda ^
Sen venne, ed arrivò la testa e '1 busto;
Ma in su la riva non trasse la coda .
La faccia sua era faccia d'uom giusto, io
Tanto benigna àvea di fuor la pelle,
E d'un serpente tutto l'altro fusto.
Duo branche avea pilose iniin lascelle: 1 3
A detto nel canto xit. iv. 83. e i 4 i 0 9 ^<1 ì^^ sopra l'ottavo cer-
chio avean termine. •-►Cosi anche il cav. Monti [a] . <<-«
8 9 arriyò per trasse su la riva ; e però siegne : Ma in su.
la riva non trasse la coda* Solo adunque con la testa e col
busto entrò Gerione sopra la riva , acciò potessero i Poeti mou-
tallii addosso, m^in su la riua non trasse la coda. Però che
la firaude sempre cela e nasconde il suo fine. Così P Anonimo
nella E. F. — Nel Vocab. della Cr. arriyare in senso attivo
vuol dire condurre a riva ; ma in questo significato non è più
in uso, ed è comunissimo laltro significato neutro di pe/veni«
re^ giungere. Cosi il sig. Poggiali y volendone da ciò inferii^
chequi gran caratteri di probabilità acquista la variante del suo
codice : Sen uenae a rii^a con la testa e 7 busto j che rende
il verso migliore, conserva il sentimento, ed esclude il verbo
arrit^are in senso attivo, che per avventura molto non piaceva
anche al tempo di Dante. <<-«
10 m^ faccia iTun giusto , legge PAng. E. R.4-« ^ Da que-
sta descrizione di Gerione sembra che PAriosto abbia desunta
quella della fraude, dicendo di essa:
jivea piacet^ol viso , abito onesto ,
Un umil uolger d^ occhi y un andar grai^e y
Un parlar si benigno e sì modesto^
Che parca Gabriel che dicesse Aue;
Era brutta e diforme in tutto il resto • E. R.
»^ La descrizione qui fatta della frode da Dante è sottilmente e
propriamente presa, secondo l'Anonimo, dal Genesi, e. 3. E.F.4-S
1 1 la pelle y per Pestemo, per Papparenza.
f 3 m^Due brancVa\^a pilose insin P ascelle , legge il cod.
Vat. Sfgg.^-*
[4] Pr0p, voi. 3. P. I. fac. 104.
36a INFERNO
Lo dosso, e '1 petto, ed ambedue le coste
Dipinte avea di nodi e di rotelle .
Con più color sommesse e soprapposte i6
Non fer ma' in drappo Tartari , né Turchi ,
Né fìir mai tele per Aragne imposte.
Come talvolta stanno a riva i burchi, 19
Che parte sono in acqua, e parte in terra,
£ come là tra li Tedeschi lurchi,
i4 i5 coste ^ per lati» ^^di nodi e di rotelle ^ attissimi
simboli di firode sono questi. Il nodo i cioè rinviluppaiiiento
di fime o d'altra flessibile materia , indica T inviluppo di pa-
role che usa il fraudolenta , e la mira che ha sempre d'inn-
luppare ed illaqueare altrui . La rotella poi, ossia scudo ^ co»
me serve al guerriero per coprirsi al nemico, accenna Toccul*
tare che il fraudolente fa delle inique sue mire ad altrui •
16 sommesse e soprapposte . Soprapposta è quel risalto che
ne' drappi di varj colori rileva dal fondo; e sommessa f nome
sostantivo (come soprapposta) ^ è il contrario di soprapposta.
Il Daniello spiega alla goffa, sommessa ^ vest^ da portar sotto.
Vekturi.
17 mà'y sincopato di mai^ attesa la seguente i. - Tartari ^
né Turchi. Tartari , Turchi e Mori sopra de' suoi drappi molto
artificiosamente tessono. Vellutello. marnai drappo ^ legge
il cod. Ang. E. R., e il Vat. 3199. 4-s
1 8 per Progne , insigne tessitrice di Lidia, cangiata da Fd-
lade in un ragno , perchè osò di provocarla a chi filava e tes-
seva meglio. '^ imposte y poste sul telaro, o telaio, cheTOgliam
dirlo. Vekturi.
rg 20 burchi j spezie di navilj che'si tirano mezzi in tem,
e Taltra metà sta in acqua , quando non si navica. Buri , ci-
tato nel Vocabolario alla voce Burchio.
a I Tedeschi lurchi j Tedeschi golosi , bevitori egran mangia-
tori : Dediti spmno , ciboque . Tacit. de Mor. Germ. Lurehi
viene dai latino. Cosi Lucilio: edite lurconesy comedones, nf-
vite ì^entres. Vbhtuei. •-►Secondo l'Anonimo, citato nelIaE.F.9
hwco significa divoratore immondo . 4hi K da riflettersi che i
nostri padri davan questo^piteto sempre in dispresso :Tcrensia
CANTO XVII. 363
Lo bevero s'assetta a far sua guerra; 21
Così la fiera pessima si stava
Su Torlo che, di pietra, il sabbiòa serra.
Nel vano tutta sua coda guizzava, 25
Torceado in su la venenosa forca ,
Ch' a guisa di scorpion la punta armava .
Lo Duca disse: or convieu che si torca 28
La nostra via un poco, infino a quella
Bestia malvagia , che colà si corca •
Però scendemmo alla destra mammella , 3 1
ad un lurco aggiunge edux^ furaxj fugax. - tra li Tedeschi y
cioè sa le rive del Danubio, ove trovasi il bevero, del quale
è per dire.
22 £0 beueroy il castoro. La Nidobeatina legge, biifero^
»^e così il YaL 3 199 4-« che s' accosta meglio Bljtber^ nome
iatino del castoro medesimo. — scassetta a far sua guerra ^
intendi I ai pesci di che si ciba: e per questo ( riferisce il Vel-
tatello ) sta con la coda , la quale ha squammosa , larga e molto
grassa , nclP acqua , perchè movendola la ingrassaa modo d* olio,
r cosi allettando i pesci, al gustar di quella li prende.
24 Su rorlo chcj di pietra j il saobion serra. Fa qui il
Poeta uso della sinchisi, e dice così invece di dire: «Su Vorlo
di pietra y che il sabbion serra ^ termina intomo.
26 la venenosa forca ^ la venenosa biforcuta punta.
28 2() che si torca — La nostra uia ec, dalla sponda , su
della quale camminato avevano , rettilinea e mirante al mezzo
deir Inferno, passando sul cii*colar orlo di pietra che terminava
quel settimo cerchio ; su del qual orlo erasi Gerione apposta-
lo, com*è detto nei yu, 23. e 24-
30 •■^ Bestia malvagia y e sopra al i^. 23. fiera pessima chia-
■na il Poeta Gerione ; ma in ambedue i luoghi perchè è con»
ftiderato come un'immagine delia frode. Poggiali. <-«
3 1 scendemmo alla destra mammella , invece di al destro
IfUoj continuando, cioè, sua direzione di girare da destila in
sinistra, com*è detto nel canto ziv. 126. E dice scendemmo 9
p<*rocchè la sponda del fiume era piii alta dell* orlo del cerchio.
*^1 poeti non \aiino da destra in sinistra j ma fanno anzi
364 INFERNO
E dieci passi femmo in su lo stremo,
Per bea cessar la rena e la fiammella :
E quando noi a lei venuti semo, 34
Poco più oltre veggio in su la rena
Gente seder propinqua al luogo scemo .
Quivi '1 Maestro: acciocché tutta piena 37
tutto r opposto y torcendosi ora un poco dalla dii^ezione tenuu
sin qui. L'osservazione è del Biagioli, e nella 3. ediz. roni.è
stato tacitamente corretto l'eiTore del Lombardi . 4-«
32 33 dieci passi per pochi passi . — in su Io stremo , in
su r estremità dell'orlo, dalla parte del vano. - Per ben ces*
sor la rena e la fianiniella , essendo 1* estremità dell'orlo dalla
pai'te del vano la più lontana dal sabbione infuocato e dalle
pioventi Gamme, m-^ Il Lombardi colla Nidob. leggeva roncar ^
scambio inutile, ed a parere del Biagioli fatto a danno delle
lettore e a dispetto della verità. Cessare infatti significa ei'i-
tare , allontanare , nmuovere , e simili ; e in questo senso
1* usò Dante nel Farad, xxv. 1 1 3., e nel Convivio face. 70. e
85. j e trovasi anche nelle cento Novelle antiche j e come dal
seguente esempio, riportato dalla E. F., può rilevarsi : Per vo*
ler cessare briga a loro ed a me ( Nov. 6. ) - cessar , leggono
tutte le antiche e moderne edizioni , e i codd. Ang., Caet. e
Vat. 3 199; per cui anche al sig. De - Romania piacque oeir ul-
tima sua edizione di sostituire tal lezione a quella della Nido-
beati na , riscontrandola pili bella e piii ragionevole. - Cessare
nel 5 ues presso attivo significato si usa elegantemente anche ai
di nostri, massime in poesia, come osserva il sig. Poggiali.
Ecco le ragioni che c'indussero a rivocai*e in luce la comune
e piii antica lezione cessare . ^-m
36 propinqua j vicina: termine usato pur da altri ottimi
scrittori. Vedi il Vocabolario della Ci'usca. — eU luogo sce^
tnoj al vano deirinfernal buca; e però propinqua al luogo sce^
moj vale lo stesso che vicina all'orlo, su del quale erano di
fresco sccsi. •-►«Scemo, dal lat. semusj fiitto dasemisy la me-
tà ; scemato t mancante^ privo di materia y nel piii lar^ro com-
prendimento . Biagioli. '«hi
37 tutta è qui avverbio, e vale affatto; come in quel passo
del Boccaccio : la donna udendo costui parlare , il quale ella
CANTO XVIL 365
Esperienza d'esto giròa porti ,
Mi disse , or va , e vedi la lor mena .
Lì tuoi ragionamenti sien là corti : 4^
Mentre che tomi , parlerò con questa,
Che ne conceda i suoi omeri forti •
Così ancor su per la strema testa 43
Di quel settimo cerchio tutto solo
Andai , ove sedea la gente mesta .
Per gli occhi fuori scoppiava lor duolo: 4^
Di qua , di là soccorrien con le mani ,
teneva mutolo > tutta stordì [ci] . m^ tutta non è avverbio , dice
il Biagioli f ma addìettivo determinante il nome rispetto all'idea
d'ÌDtegrìtà y di totalità , d'incei^tesza : acciocché tu poni intera
esperienza ; non gli restando a vedere , se non costoro j del pre-
sente cerchio . •<-•
3^ m-^ Mi tlisse.* va e vedi ec.j il cod. Aug. E. B. m-^Ìa
lor mena y cioè la loro condizione. Buri , citato a cotal voce dal
Vocabolario della Crusca . E quantunque esso Vocabolario non
iTchi di mena per condizione , stato y sorte y altri esempj che
di Dante 9 veggonsi riducìbili al significato medesimo anche di
«{uelli altri esempi che apporta sotto mena per operazione ,
maneggio y affare ec, e tra gli altri quello della vita di Bai^
l'?»m ; cominciò molto duramente a piangere della bellezza
tifila pulcellay per cui egli era stato in così male mene.
*-^mena vale condizione y ma per lo piii trista; angustiatine
(fnictudine y btùgay ec. Vedi Rime ant, di Pier dalle Vigne e
'1<*I Re Enzo, e Gipvanni Villani, Uh. io. e. 160. E. F. 4hì
/^o m-^sien là corti. Per non esser quella gente degna che
uno si ti*attenga seco. Biagioli . <<-«
4-5 ancor su per la strema testa j su per Tultima parte: e
la pivmessa particella ancor acccima la visita da esso Dante
ÌMU già di altre parti del medesimo cerchio.
^7 soccorrien , legge la Nidobeatina , meglio che non leggono
Taltiv edizioni •-►(e il Vat. 3 igq.)*-» soccorren ; nel qua! caso
fiovrv^bhesi ricorrer ad una ellissi inusitata della lettera a iu
o Oiorn. 3. Wov. !•
366 INFERNO
Quando a' vapori , e quando al caldo socio .
Non altrimenti fan di state i cani 49
Or col ceffo, or col pie, quando son morsi
O da pulci , o da mosche , o da tafani •
Poi che nel viso a certi gli occhi porsi, Si
Nei quali il doloroso fuoco casca,
Non ne conobbi alcun ; ma io m' accorsi
Che dal collo a ciascun pendea una tasca , 55
Gh' avea certo colore , e certo segno ;
una desinenza già sincopata, come soceorreano per soccorre'
uano : tanto più che trovasi scritto dal medesimo uosU-o Poeta
rnox^ieno per mo*^eano [a] , e da altri credicno per credeva^
no [b]. m-> Il verbo soccorrere è qui preso nei primitivo sao
lignificato, che sarebbe , secondo la sua etimologia , correr jo£-
tOj e per analogia correr di contro • Poggiali, ^-c
4B vapori per le cadenti fiammelle, — caldo suolo ^ Hn-
fìiocata rena.
49 al 5 1 m-> Questa similitudine i dice il Biagioli, è da no-
tarsi y per la natuialezza , la verità, e pel meccanismo dei versi
— Or co* piedi y or col ceffo, quanao morsi -^ Da pulci son,
da mosche, o da tafani, cosila Nidob. ; né veggo perchè gli
Accademici della Crusca volessero piuttosto : Or col ceffo , or
coi pie, quando son morsi * O da pulci, o da mosche, o
da tafani* Lombardi. Ma la lezione di Midobeato sembra al
.fiiagioli un po' guasta; e l'È. R., chiedendo scusa al Lombardi,
aella 3. ediz. sostituisce nel testo l'antica lezione , che , secondo
lui , si sostiene non solo coirautorità della Crusca , ma colla piti
sHitica dei codici Caetano, Angelico e Vaticano; e colla maggior
lucidezza e semplicità dell'espressione è del verso. *Koi pu*
re Tabbiamo seguita, rimettendoci al giudizio ^/e'&en costrutti
orecchi, — Il codice Vaticano 3 199 legge però come la Nido-
beatina. «-e
55 tasca , sacchetto , borsa, sono qui tutt* uno.
66 certo colore, e certo segno: l'aiine coi pi*oprj coinri
[/1I Purg X 81. \b] Vedi Maslrofiuì, Teoi'ia e Prospetto de' retbi tta-
itiiui , ili \erbu Credere^ fac. 64. fi. 11.
CANTO XVII. 367
E quindi par che '1 lor occhio si pasca •
£ com' io riguardaDdo tra lor yegoo^ 58
In ana borsa gialla vidi azzurro,
Che d' un lione a vea £iccia e contegno •
Poi procedendo di mio sguardo il curro, 61
Vidine un' altra come sangue rossa ,
Mostrare un oca bianca più che burro •
dtlla famiglia di ciascuno • Veutubi. •-► certo per staUlito y
determiìiato . Honhhi. 4^
DJ si pasca y guardando qnella tasca con piacere. Dinota la
loro ingordigia del danaro. •-►La ragione , per la quale pascono
quindi Toccnio lorO| non è 9 come na detto il Lombardi, per
esser loro questa vista di piacere , che , fra crucio e tormento
si &ttOy ninno piacere yi puote aver luogo ; ma si perchè cotal
lista rimembra loro la misera cagione del loro eterno supplì**
sioy il che è stimolo a maggior duolo; siccome agli avari e ai
prodighi è pur cacone di più gran pena il seuthsi ad ogni
giostra rinfacciare la cagione del lor tormento. Biagioli. «-•
59 60 In una borsa ec. Qui viene accennata la famiglia no-
bile di Firenze Gianfigliacci, che per arme antica portava un
lione azzurro in campo giallo. Volpi. -^d*un lione ^ ^^SS^ '^
Nidobeatina ; di lione j 1 altre edizioni . — faccia e contegno 9
figura ed atto. »-^ Anche il Torelli spiega: faccia e contegno
^T forma e sembianza , o altitudine. -^ Contegno è proprìa-
meate un portamento di vita decoroso e sostenuto , e che par-
tt'cipa di alterìgia. Poggiali. «-•
6 1 procedendo di mio sguardo il curro , per metafora , che
vale quanto, seguitando lo scorrimento de^ miei occhi» Bvti,
citato nel Vocab. della Cr. alla voce Curro , ove vedesi la me-
desima voce , e nel medesimo senso 9 adoprata da altri buoni
scrittori anche in prosa .
6a 63 come sangue rossa y legge la Nidobeatina ; ove l'altre
dizioni f più che sangue rossa. Nel primo modo però è la com*
pai-azione abbastanza viva , e non fii dare nello stucchevole Tal-
tra, che immediatamente siegue, bianca più die burro. »-^ Di-
fendo il Biagioli la comune lezione col dire: ce oltre il senti-
» mento 9 che è sopra ogni dimostrazione, v'è poi anche la ra-
» gioue del maggior risalto che nasce dagli opposti colori in
368 INFERNO
Ed un , che d'una scrofa azzurra e grossa 64
Segnato avea lo suo sacchetto bianco,
Mi disse: che fai tu in questa fossa?
Or te ne va: e, perchè se vivo anco, 67
Sappi , che 1 mio vicin Vitaliano
Sederà qui dal mio sinistro fianco :
Con questi Fiorentin son Padovano: ^o
Spesse fiate m'intronan gli orecchi,
Gridando: vegna il cavalier sovrano.
Che nachera la tasca con tre becchi . -3
Quindi storse la bocca, e di fuor trasse
« egual grado di forza . » <<-• Qui viene da Dante accenoau
la ramiglia nobile fiorentina Ubbrìacbi , cbe per arme portara
un'oca bianca in campo rosso. Volpi. — burro , butirro.
64 65 scrofa azzurra e grossa. ^^ grossa , cioè grun^ida.
BiA6ioLi.<<-« Qui viene da Dante accennata la famìglia nobile
di Padova Scrovigni, cbe. per arme di suo casato portava una
scrofa azzurra in campo bianco. Volpi.
66 fossa appella Tinfemal buca.
67 68 se\ii^o anco , legge la Nidob., meglio dciraltre edi-
zioni, che leggono, se\iif^anco. — E perchè sei ancor vi\o ,
e lo p<»ti*ai sopra raccontai*e, sappi che ^^ italiano àiA Dente,
Padovano ancor esso e vicino a me di casa, oppure semplice-
mente concittadino (usando in tal significato tal voce altrove
Dante, ed una volta il Petrarca), il quale pur ancor vive, es-
sendo famoso usuraio, mi sarà vicino ancor quaggiii.VsH'mLi.
»-> Di queste due interpretazioni che si danno alla parola r*/-
cino , crede il Biagioli che la prima sia la sola che si debba am-
mettere . — ' Così r intese anche il Poggiali . •<-«
71 m^Che spesse fiate ecy bella variante dell*Àng. E. R.^-a
intronane legge la Nidobeatina; intruonarij l'altre edizioni:
ma tutte poi nel vi. della presente cantica, ^. 3a., leggono.
Dello demonio Cerbero , che *ntrona '-'L* anime si , che er.
Intronare j stordire. Vedi il Vocabolario della Ci'usca.
73 al 75 i'-egna il cavalier sovrano^ ec. M. Gio. Buiamonie*
il più infame usuraio d'Eui*opa, clie iàceva quelKai^me di tiv
CANTO XVII. 369
La IiDgua, come bue che 1 naso lecchi.
Ed jo, temendo no '1 più star cfracciasse 76
Lui 9 che di poco star m'avea ammonito,
Tornd indietro dall'anime lasse.
Trovai il Duca mio, ch'era salito 79
becchi , o rostri d' uccello . E qnel capolier sovrano è detto per
ironia y come lo mostra quel distorcer Ja bocca e U'ar fuori la
lingua nel cosi mentoTarlo.yBiiTvai*»-»Il Poeta (opportunamente
riflette qui il Biagioli } fa fare cotal atto plebeo all'ombra dello
Scrorigni per avvilirlo e mostrarlo di bassissima condizione real-
mente I ovvero per Tarte sua disonorante. Questo modo d'imi-
tasione è il fine e l'officio del Poeta* Ora nascendo le cose
Uitte ogni volta da per sé dalle circostanze, ed essendo intese
ad on fine e con ìstile proprio descritte , non sa egli vedere per-
chè s'abbia qui da alcuni a riprendere il nostro Dante più di
anello che non facciamo Omero, quando rappresenta le azioni
ae' porcari d^isse, delle fantescne, e d'altri vili ed abbietti.
- D cod. Ang., in un'antica postilla al cavalier soprano ^ dice:
Dominus Toannes de Lirtis deFlorentia. - coi tre becchi j fa
V. 73., e distorse la bocca ^ al %^. 74* > legge il Vat. 3199; -e
distorse la faccia f ha l'Ang. E. n. 4-«
76 77 temendo no '/ più star ec*i manca la particella cAe,
per ellissi coi verbi temere ^ dubitare e simili, assai praticata [a].
E adunque il senso: temendo che lo stare ivi di piii non ap-
portasse afflizione aVirgilio. «-^La 3. cdiz. rom. l^ge coU'Ang.
temendo no 7 più dir^ sembrando al aig. Editore cosa non
vaga la vicina ripetizione del yerbo stare. Giustifica la da lui
seguita lezione con una nota del sig Salvatore Betti , che non
ci sembra cosa di mn. momento • La lezione temendo no *lpiù
dir importa che Dante abbia qui parlato almeno un poco; ma
cosa ha wli mai detto , se neppure ha risposto alla dimanda del
dannato Scrovigni : che fai tu in questa fossa? La ripetizione
d'altronde dello Vcore a noi qui sembra naturalissima, voluta
dal oonteato e dal sentimento, e famigliare in tutti i nostri di-
scorsi. ♦-«
78 Tomai f la Nidobeatina; Tornami y l'altre edizioni •-♦e
rAng« E. R.-4-* Tornai in</iefro da W anime lasse f lasciai quel**
le tormentate anime e tomai a Virgilio.
[«] Vedi Inf. ni. 9. 80| lesiona della Griiscs •
FoL L s4
370 INFERNO
Già sa la groppa del fiero animale ,
£ disse a me : or sie forte ed ardito .
Ornai si scende per si £itte scale : 8a
Monta dinanzi, ch'i' voglio esser mezzo,
Si che la coda non possa far male :
Qual è colui , eh' ha sì presso '1 rìprezzo 85
Della quartana , eh' ha già l' unghie smorte,
E trema tutto , pur guardando il rezzo ;
8i or sie ec; sie per sii, adoperato dagli antichi ed an-
che dai moderni per grazia di lingua.
83 esser mezzo f esser di mezzo fra te e la coda della fien.
84 •^ non possa far male, supplisci a te. BiiLGioLt.««
85 riprezzo, quel tremito e caprìccio che il fiieddo della
febbre si manda innanzi ; lo che oggi piii comunemente diciamo
ribrezzo. Vocabolario della Crusca.
86 quartana per febbre quartana , una per tntte le fd>-
bri intermittenti , nel! accesso delle quali suole sempre cotal ri*
brezzo e scolorimento delle unghie mtervenire \a\ . — unghie
smorte , legge la Nidobealina ; ed unghia smorte, l'altre ediz.;
ma tutte poi d'accordo nel e ix. u: 49- della presente <:antica
leggono: Con /'unghie si fendea ciascuna il petto.
87 trenta legge la Nidobeatina ; e triema Taltre edizioni
— pur guardando il rezzo : continuando ( chiosa il Venturi ) a
star all'ombra fresca e nociva, e non risolvendosi per pigrizia 0
avvilimento a partirne, e cercarsi un luogo caldo per qualche
conforto al male. Il Daniello intende per rezj^o i varj segni del-
l'ombra, che a que' tempi anteriori air invenzione di^Iì orologi
si osservavano per capir Tore del giorno ; ai quali segni il feb>
bricitante si accorgesse della vicina periodica febbre .A me non
soddisfa né l'una, né l'altra 8pi^[azione| e direi piattosto in-
tendimento del Poeta che a colmch'è vicino il periodo della
quartana, cagioni fi%ddo il pur, il solo, guardare il reszo (cioi
l'ombroso e firesco luogo), non che lo stare in esso. »-► Qui
rezzo non ò altro che il pallore delle unghie . Tomsi.&i • «- Qne*
sto è il luogo, dice il Biagioli, che ha imbrogliato tutti gl'In*
terpreti. Venturi solo ha, secondo lui , traveduta la verità, ma
[a] V«di| Ira gli altri, Alleo « Sjnopis inedie^ art. 34*
CANTO XVll. 371
Tal dìvenQ'io alle parole porte: 88
Ma vergogna mi fer le sue minacce,
Che 'nnanzi a buon signor £1 servo forte.
r m'assettai in su quelle spallacce: 91
Sì volli dir, ma la voce non venne
Com'io credetti: ia'che tu m'abbracce.
lum ha saputo dire auale aia stato l' intendimento vero del Poe-
ta. Adunque vuol aire che, appena Virgilio gii disse di sali-*
re, gli venne un raccapricciamentOy un ribrezzo tale, quale
pigliar suole colui che ec; che , siccome manca a colui l'animo
di trarsi in luc^o, ove si rattempri il gran freddo, e se ne sta
tuttavia al rezzo, così era egli ; restando da prima sordo al co-
mando di Vii^lio, e finché gli (tìce onta e gli dette animo ai
salire; come avviene a chi è dalla febbre assalito, che sta da
prima , e si risolve poi d'andare o di lasciarsi condun*e in luogo
contrario a quello ove sta. La formola guardar il rezzo sì*
gnifica continuare a stare alPombra. 4-«
9% parole porte per dette^ come adoprasi /^or^ere per dire.
Vedi il Vocab. della Crusca ^
89 Ma lyergogna ec. Ne fa capire che , vedendo Virgilio
Dante impaurilo, lo sgridassse e minacciasse.
90 fa accorda con vergogna ; e realmente chi si vergogna
d'esser codardo fassi coraggio e supera sé stesso; massime al-
rcsempio di buon signor j di prode comandante. -* Il Caet. leg-
ge /^, e forse in tal gaisa, accordandosi con nunacco del vers<i
antecedente, potrà piacer piii il sentimento e la sintassi. E. R.
93 93 SI uolli dir, tace, e dee intendersi premessa la par*
ticella congiuntiva e , e dee farsene la costruzione: esì^e cosi
e in cotal modo (intendi assettatomi) volli dir: fa* che tu mi
abbracce (antitesi in grazia della rima , per abbracci) ^ ma la
ifoce non venne com io credetti j comMo pensai che dovesse
venire : credeva di poter parlare, e non potei. «-^Cosi chio-
sava il Lombardi . — Il Biagioli però costruisce questi versi
nel modo seguente: io volti dir si (così), fa^ che tu nCah^
bracci; ma la voce , legata dalla paura , non venne intera ,
come io credetti; e al certo con piii di ragione e di evidenza ,
por cui abbiamo in questi due veni seguita l'interpunzione da
lui indicata. 4HI
3^2 INFERNO
Ma esso 9 ch'altra volta mi sovvenne 94
Ad alto forte, tosto ch'io montai ,
Con le braccia m'avvinse e mi sostenne j
E disse : Gerion ^ muoviti omaji : 97
Le ruote larghe, e lo scender sia poco:
Pensa la nuova soma, che tu hai .
Come la navicella esce di loco 100
Indietro indietro , si quindi si tolse j
E poi ch'ai tutto si sentì a giuoco,
94 95 cValtra volta ad alto (cioè a più allo luogo di quel»
lo o v'era allora , nel qainto cerchio» esempigrazia» e. n. v. 58.
e segg.) mi soi^ennef tosto ch'io nèontai j forte j fortemente,
m avvinse con le braccia y e mi sostenne , w^ Torelli » lema*
do jid altro forte, chiosa: cioè ad altro incontro difficile. E
qui forte è sostantivo, ^m
90 m^ni aggiunse e mi sostenne j legge il Vat. 3 199. 4-9
97 Gerion, Vedi la contezza che di costui si è data al ver-
sò i3i. del canto precedente.
98 99 Le ruote y i giri» larghe y e lo scender siaec; len-
ma di numero» come quel Virgiliano» En. 1. 16. e seg.: hit
illius arma, -^Hic currus fuiu Acciocché a Dante » chiosa il
Venturi » non girasse il capo » se i giri fossero stati stretti» e se
si fosse fatto uno scendere quasi che a piombo • Dovea adim-
ue descrìvere come tuia larga scala a lumaca » ma assai dolce
cioè di comoda scesa). - Pensa la nuova soma. Abbi riguar-
do a Dante» poco avvezzo a simili rischj » e va a bell'agio. Vi
è chi r intende diversamente » interpretando : bada bene; il cor
rico è più pesante ilei solito; non è un corpo aereo; portalo
con riguardo di non cader sotto del peso.* non mi finisce di
piacere. Vbhtori.
f 00 al 1 03 Come la navicella, assicuratasi » intendi» in qual-
che stretto seno» si che non si possa voltai'e. — si tolse, Ge-
rione. ^si senti a giuoco . Diciamo l'uccello essere a giuoco
Quando è in luogo si aperto» che può volgersi ovunque vuole.
lAKDiiro* m^ E grazioso modo di dire » che significa irovarsiin
largo e libero nell'azione Te/a<iVa.BiAoioLi. -Avendo il PoeU
fatto venire Gerìone alla sponda al modo à^ burchi e Atcor
i
CANTO XVIL 373
Là V*era 1 petto la coda rivolse ^ io3
E quella tesa, come anguilla, mosse,
E con lel)ranche Taére a sé raccolse.
Maggior paura non credo che fosse 1 06
Quando Fetonte abbandonò gli freni ,
Perchè '1 ciel, come appare ancor, si cosse ^
Né quando Icaro misero le reni 109
Semi spennar per la scaldata cera,
Gridando il padre a lui : mala via tieni ;
stori jiv. 19. e 3a.y dere ora intendersi che (jnella fieni si tì-
(insse dalla riva rinculando, e come la navicella che sia stata
per metà tirata in ten*a, 4-«
io3 •■^Dot'e auea *l petto y legge il cod. Ang. E. R. 4-«
io4 quella tesa, cioè in lungo distesa miellacoda che pri-
ma, Torcendo in su la uenenosa forca [a] , doveva far arco,
-—come anguilla f mosse , con quel guizzo , con cui movonsi
I* anguille nelF acqua .
io5 con le branche Paere a sé raccolse : esprime Tatto del
nuotare ( giacché ha detto nel canto precedente j u. 1 3 1 ., e ri-
peterà or ora che va questa fiera notando ) ; nel qual atto il
nuotatore, mentre le stese ed alleate braccia riunisce, par
che raccolga a sé dell'acqua.
107 aA6afM2ond^/i/V'eni de* cavalli del Sole» secondo la no-
u ÙLYoìtLiAkntis inops gelida formidine lora remisit, O vid«[6].
108 Perchè 7 eie/, come appare ancor j si cosse; favoleg-
giandosi chela celeste via lattea effetto sia del cuocere, del-
l'abbruciare che fece il mal guidato Sole in quella parte di
cielo. L'edizioni dalla Nidobeatina diverse leggono /rare , wh¥ e
cosiilVat. 3i9g.4-«
109 al I II Né quando Icaro ec* Per volere Icaro (altra
&vola) colle artificiose ali fattegli dal padre Dedalo volare trop-
po alto e vicino al Sole, non badando al padre, che per ciò
sgridavalo, dìsciolse finalmente il calor del Sole la cera, con
cui stavangli al dorso ( reni dice il Poeta per dorso) attaccate
le penne , e precipitò in mare. »♦ li reniy legge TAug* E. R. 4-«
[«] Verso 9tf. [b] MéL it. aoo
374 INFERNO
Che fu la mia, quando vidi eh' io era 1 1 ^
Nell'aere d'ogni parte, e vidi spenta
Ogni veduta , fuor che della fiera •
Ella sen va notando lenta lenta ; 1 1 5
Ruota, e discende, ma non me n' accolgo,
Se non ch'ai viso e di sotto mi venta •
Io seniia già dalla man destra il gorgo 1 1 8
Far sotto noi un orribile stroscio;
Perchè con gli occhi in giù la testa sporgo.
1 1 a Che^ particella che rìferiscesi al comparativo maggior ,
sei versi sopra» e vale di quello die*
1 1 5 »-^ notando . Questo verso poU*ebbe leggersi anco così -
Ella sen va ruotando lenta lenta; e sarebbe grazioso il ri-
petere Ruota ec. Torelli ,*^
1 1 6 117 Ruota 9 e discende , girando si abbassa . ^ ma non
me n*accorgo^ —«Se non cKal viso e di sotto mi ventai
cioè y io non mi accorgeva del ruotare che io faceva ^ se imui
per lo ven^o che mi percoteva il viso, né mi accoi^vadel di*
scendere 9 se non per il vento che sentiva sotto di noi. Damicl-.
LO. E certamente, essendo al Poeta spenta — Ogni i^uta^
fuor che della fiera , non poteva di cotal ruotare e scx^ndere
accorgersi se non dal contrasto dell* aria. ~
118 1 19 sentia già dalla man destra il gorgo ec* Come
per montar sul dorso a Gerione lasciarono i Poeti a sinistra il
FlegetontCì sulla sponda del cniale camminato avevano, ed
avanzaronsi a destra sull'orlo del cerchio [a] ; cosi , inteso che
a mano destra girassero anche , da Gerione portati , vien chia-
ro di conseguenza che 9 siccome il rotondo lato di quella ca«*
verna sempre avevano i Poeti a mano destra , cosi anche a ma-
no destra sempre incontrassero vicino il Flegetonte, che ra-
sente il medesimo lato cadeva. — sentia il gorgo ec, , per sen-
tia r acqua cadente nel ^or^o , eh* è quella profonda fossa che
scava ed empie P acqua che da alto cade. -^ ^{rojciO} strepito
che fa l'acqua cadendo.
[n\ Tedi il t^. 3i del presetilc cnnlo e la corrU[>ondcntc nota.
CANTO XVIL 375
Allor fu* io più timido allo scoscio: 121
Perocch* io vidi fuochi ^ e senti' pianti ;
Ond'io tremando tutto mi raccoscio.
£ vidi poi ^ che no 1 vedea davanti, 1 24
Lo scendere e 1 girar , per li gran mali
Che s' appressa van da diversi canti,
lai timido allo scoscio (allo per dello f come adoprasi a
per ili [a]), timoroso del precipìzio .
laS tutta mi raceos^ioj cioè tutto mi ristringo e riserro le
coscie (per non cader da cavallo )• Gomento citato nel Voca*
bolarìo della Crusca al verbo Raccosciare*'^ raccoscio j pre«
«ente 9 pel preterito raccosciai*
ia4 al 136 J? vidi poiy che no 7 uedea damanti . Cosi la
Nidobeatina non solo (ed il code Cass«) , ma molti testi e ma-
notcritti [61 e stampati [e]: ed è a questo modo facile la co-
struzione ed il senso y cioè: e quello scendei*e e girare, che pri-
ma ncm vedeva, ma solamente pel ventare argomentava ^ misi
fece dipoi visibile per l'appressarsi da diversi canti li gran
malij gli orribili obbietti di quel nuovo luogo. 9-^Cosi ancbe
il Torelli, dicendo che questa è la vera lezione; imperocché
lo scendere si mostrava dal veder quello che prima gli era na«
acoso per la distanza , e il girare dal vedere cose diverse da
partì diverse* Bisogna dunque mettere una vii^ola avanti la pre-
posizione per. ♦-• Appresso all'Aldina edizione quella degli Ac-
cademici della Cr., la Gominìana, e tutte le moderne eaiz. leg-
gono: IS udVpoiy che non Pudia dottanti ^Lo scendere e 7
girar ec. Lo scendere però e il girare non si ode, ma si vede.
•^n cod. del sig. Poggiali legge come la Nidob., lezione , se-
cando lui» più pregevole e da preferirsi. — L*una e l'altra le-
zione può stare , al parer del Biagioli; ma prefensce alla Nidob.
quella degli Accademici, perocché la sensazione che piii forte
percoteva l'anima del Poeta ai era quella che riceveva per l'udi-
to, dovendo egli essere piii impressionato dai gran mali , grida
e lamenti che udiva da diversi canti, che dai fuochi che in quel-
[«] Vedi il Cinon. Panie, i. i5. [b] Tra gli altri, cinqaa della Biblio-
teca Corsini» segnati 6o5. 608. 609. 610. laSS. [e] Due, tra gli aliri»
•tampatì in Veoesta nel 1 568. e 1 578.
376 INFERNO
Come 1 falcon, eh' è stato assai su VsAì^ 1 37
-Che, senza veder logoro o uccello ,
Fa dire al £ilconiere : oimè tu cali ;
Discende lasso, onde si muove snello i3o
Per cento ruote, e da lungi si pone
Dal suo maestro disdegnoso e fello;
Cosi ne pose al fondo Gerione 1 33
rìmmenso spazio in un solo luogo poteva redere. —Il codioc
Vai. 3 109 legge: E indi pai (me non Cudia davanti — » Lo
scender) el gridar per li gran mali» Al uidi del testo si so-
stituisca Vudi*y come in mai^pneal detto codice corresse , se pur
è vero, il Petrarca , e ne risalterà una lesione splendidissima ,
a quanto ci pare ^ e perchè toglie di mezzo ogni ambiguità d' in-
terpretazione f e perchè rende il senso chiarissimo • E Tolen*
tierì si sarebbe da noi sostituita alla lezione Nidobeatina, se
ueir antecedente terzetto non avesse di già detto il Poeta di
aver sentiti i pianti^ per la qual cosa il gridare qui tanto
bene non quadrai questo in natura udir dovendosi prima del
pianto. ^M
127 cKè stato assai su Pali vale-jqoanto che si è stan»
cato di stare in aria.
I a8 logoro , richiamo del falco j che è fatto di penne e di
cuoio a modo d' ungala , con che lo falconiei^e lo suole rìcfaia»
mare girandolo. Buti > citato dal Vocabolario della Gmsca alla
voce Zo^oro. - o uccello, uccello \erO| intendi , che mostrato
dal falconiere al falco 9 richiama esso falco meglio che il logoro.
1^9 Fa dire ec; ellissi , dovendosi intenderei cala , e fa
dire al falconiere: oimè tu cali; adunque non ei^i da spe^
rar preda .
i3o al i3a Discende lasso, onde ( vale al luogo onde)^
stanco discende a terrai onde si muove, da cui suole 9 quando
si rilascia a predare | muoversi, allontanarsi 1 snello , agile i/ier
cento ruote, per cento giravolte 1 e disdegnoso e fello , ^eno
d* ii*a e di mal talento , si pone lungi dal suo maestro 9 dal
falconìei'e.
1 33 i34 »-> Così al fondo ne pose Gerione , legge TAng.
E. R.4-V Così ne pose ec; costruzione e senso: Cosi Gerione
(disdegnoso e fello per aver travagliato senza far preda 9 solito
CANTO XVII. 377
A piede a pie della stagliata rocca,
£, discarcate le nostre persone ,
Si dileguò, come da corda cocca.
essendo di fare quel viaggio a solo fine di portare dannati e<^
laggiù ) al fondo y intanai pefvenuto » ne pose a piede , di a
eavallo ch'erayamo, ne pose a piede ( io stesso che a piedi.
Vedi il Cinonio [a] e il Vocabolario della Crusca) a pie della
stagliata rocca ^ ad imo 9 al fondo della scoscesa rocca^ per
roccia ( a cagion della rima ), balza. Ck>si panni che pòssa
ngionevolmente spiegarsi il presente passo. Non voglio però
dissimularmi assai propenso alla spiegazione del Volpi « ^-^ ( a
cui s'accosta il Biagioli ) 4-« che detto sia a piede apiè in forza
di superlcaiuo; che come, cioè, ad esprimere maggiormente
vicinanza suol dirsi vicin vicino [b] , così Dante a maggior-
mente esprimerne la vicinanza al piede della stagliata rocca ,
dica a piede a pie . »♦ ji piò da pie , legge l'Ang. E. R., -e
Ajdedta pie il Vat 3 rgg. — stagliata j grossamente tagliau,
ooasi scoscesa; rocca per roccia f ed è tutto il circolar muro
del enin pozzo. Buoioli. 4-«
106 Si dileguò y si allontanò; come da corda cocca.' cor^
da per areoj e cocca fer freccia; e vuol dire : con uguale ce-
lerità che si allontana dall'arco la scagliata freccia.
[a] Partic. cap. So. 5. [b] Tedi il Vocabolario deUa Crusca seUp la
^octf^icino.
CANTO XVIIL
ARGOMENTO
Descrisse il Poeta il sito e la forma dett ottavo cer-
chio 9 il cui fondo divide in dieci bolge f nelle quali
si puniscono dieci maniere di fraudoleiUi . Ed in
questo canto ne tratta solamente di due: Vuna è
di coloro che hanno ingannato alcuna femmina ^ ut-
ducendola a soddisfiu^e o a sé medesimi ^ o ad al-
trui; e pongli nella prima bolgia j nella quale per
pena sono sferzati dai demonf: Inoltra è </eg/i adu-
latori i e questi sono costretti a starsi dentro a un
puzzolente sterco •
jLjuogo è in Inferno detto Malebolge, i
I MàtebolgCé Piaciuto essendo al Poeta di appellar bolge
gli spaitimenti del presente ottavo cerchio, convenientemente
perciò a tutto il complesso de* medesimi impone il nome di
MalebolgCj che vale quanto cattive bolge.
II perchè poi vòless'egli cotesti spartimenti appellati bol-
ge puossi indovinando pensare per la figura de' medesimi so-
migliante a quella della bolgia, ossia tasca , lunga, cioè, pro-
fonda e stretta ; ed itisieme per così adattare ai ricettacoli dei
fi^udolenti fl nome di cosa che può per simbolo dell'occulta-
mento e della frode valere.
•-^ Affinchè possa il discente formarsi una giusta ed ade*
guata idea del luogo in cui ora si ritrova il Poeta, stimiamo op-
portuno il riportar qui per esteso la descrizione che ce ne of-
ire il Biagìoli, chiara quanto importa per l'intelligenia , mal-
grado l'inesattezza degli usati termini geometrici. «- a Admiqne
» si figuri un vastissimo e profondo pozzo; s'immagini che nel
CANTO XVlìl. 379
Tutto di pietra e di color ferrigno,
» giusto. messo del suo fondo aprasi un altro posso/ la cai
» circonferenza abbia per diametro la decima parte di quello
»del primo pozzo. Si rappresenti il fondo del maggior pozzo
tt formante un piano circiuare inclinato verso la n\a del mi*
» nore. Figurisi cbe dieci fossi scavati nel vivo sasso 5 di cui
» è tutto fiitto il fondo y e aventi per comun centro il mezzo
» del fondo stesso 9 s'aggirino intomo intomo per quanto si di-
» stende il piano. La lai^hezza^ e l'argine minore d*ogni fosso
» vamio scemando a piii a piii. Ora dal piede della ripa muo-
» vonsi dieci scogli V un dalraltro egualmente distante , i quali
» varcano i dieci fossi, e vanno a mettere capo, e a finire alla
» ripa del seguente pozzo , inarcandosi sovra i fossi a guisa
» d'altrettanti ponti. E questi piire vanno scemando di tosso
» in fosso di grossezza. Questa è l'immagine vera del luogo,
» ove sono ora i Poeti . Esso è fatto d' un sol masso di pietra ,
» e sono pure in essa scavati i fossi ad accrescere lo spavento
» e l'orrore che spira tal vista ; va il piano abbassando verso
» il centro a piìi a più, e con esso i fossi, perciocché più è
» grave il peccato, più va giù il peccatore sotto il peso suo;
» si ristringono i fossi colla detta progressione , perocché quan*
» to é maggiore il delitto , tanto é minore il numero de' rei ,
» essendo questi in ragione inversa dell'enormità del peccato ;
» scemano pure i ponti per ragion della giusta proporzione
» delle parti col tutto. Arriverà il Poeta di ponte in ponte alla
» riva del seguente pozzo varcando dei primi cinque fossi i
» ponti, che il sesto é spezzato, l'un dopo l'altro. Trasportato
» da Vii^lio per la maggior ripa del sesto fosso nel fondo ,
»n* uscirà salendo 8ull'ai|[ine settimo, al punto ove il settimo
» ponte ha principio. Rimangono quattro bolge, e però quat-
» tro ponti , e questi gli varca il Poeta V tm dopo l'altro in
» fila; e cosi perviene sulla riva.»^^
3 Tutto di pietra ec* Dovrebbe questo esser detto ad ac-
cennarne quel suolo non solamente ad ogni firutto sterile, ma
anche alla vista orrido. ^ color ferrigno j rugginoso, spi^il
comento della Nidobeatina, •-» e cosi anche il cav. Monti [a].
'^ferrigno , di fen*o, cioè del ferro non travagliato , e però
di vista più spaventoso. Biaoioli. «-«
[a] Prop, voi. 3. P. !• fac. 106.
38o INFERNO
Come la cerchia , che d* iotoroo il volge .
Nel dritto mezzo del campo maligno 4
Vaneggia un pozzo assai largo e profondo,
Di cui suo luogo conterà l'ordigno.
Quel cinghio , che rimane , adunque è tondo j 7
Tra '1 pozzo e '1 pie dell' alta ripa dura ,
Ed ha distinto in dieci vaUi il fondo.
3 cerchia f sinonimo di cerchio ; ponesi qoi per U eson-
dante altissima ripa d*onde erano i Poeti stati da GerioDeealatì.
4 5 dritto mezzo per giusto mezzo : «-^cosi anche Torel-
li .,4-« maligno y ripieno d'anime fraudolenti e maligne. -/^i»>
neggiaj s'apre , fii il luogo vano» T6to* »-^ Corrisponde al la-
tino hiat. Lami. E. F. <<-•
6 Di cui suo luogo conterà Fordigno^ invece di dire, di
cui a suo luogo racconterà la disposizione . m^dieerò , legge
invece coi codd. Cass. e CaeL TE. R.| sembrandogli lesione
più Dantesca. — > Il Biagìoli però si attiene all'antica , dichia-
randola bel modo di dircj e che significa: di cui si conterà
a suo luogo Cordine artificioso e la forma. - conterà, legge
pure il Vat. 3199; -e sua forma dicerày l'Ang. E. R. ««-s
7 8 Quel cinghio, ec; costruzione: jédum/ue quel àn*
ghio, quella fascia di terreno, che rimane tra V pozzo e 7
pie detratta ripa dura (cioè della stagliata rocca y detta nel
canto preced. y. 1 34«) è tondo. 9-¥ Quel cerchio , ha il codice
Ang. E. R. ^
9 yattiy ai^ni, bastioni , dal latino valium, spiega bene il
Venturi ; e non già yalli , da yalte y cavità , che male accorde-
rebbesi al mascolino pronome fue/Zi nel p> r3«, che pur si ri-
ferisce a valli. Solo erra il Venturi in supporre che sia valli,
da vallo , un termine di Dante particolare, mentre trovasi adcK
prato da altri antichi buoni scrittori eziandio in prosa. Vedi il
Vocabolario della Crusca. 9-^11 Biagioli non vuol qui atarsene
col Venturi e col Lombardi, e piglia f/a//i per plurale di vai'-
le , cavità . Le sue ragioni non saranno forse spr^evoli ; ma vi
brilla per entro una troppo ricercata metafisica, ed in soatansa
ci sembrano piii speciose che vere, e quindi piii illusorie die
convincenti. — In conferma della sposizione del Venturi e del
Lombakii così pure chiosa il Poggiali : « La voce valli bisogna
CANTO XVIII. 38 1
Quale, dove per guardia delle mura io
Più e più fossi cingon li castelli ^
La parte dov' ei soq rende figura :
Tale immagine quivi facean quelli : 1 3
a» guardarti di non prenderla pel plurale di valle , ossia pia*
a» nurai perocché, oltre a dar luogo ad una sconcordanza ira
a» il quBlU del p. i3« e questo termine iW/i, oltre di questo^
a» dico 9 noi consente neppure il sentimento , giacché troveremo
IO bensì nel decorso chiamato valle il fondo di alcuna di que-
m ale bolge 9 e lo spasio tra una bolgia e T altra, ma non già
m le spallette, che sono anzi un rialto, e non un sito depi*esso,
» quale esprimerebbe il termine yalle • Qui é dunqueil plurale
» di i^a//o , dal uallumdeì Latini, esprimente steccato j bastia^
n ne , palizzata , perché appunto tale apparenza presentavano
jtairoccfaio dei riguardanti quelle spallette delle bolge. m-iSì
ha distinto , legge TAng. E. R. «hi
IO al i3 Quale y d^ ec, -* La parte dovrei son rende
figura. Di questa importantissima lezione ne dobbiamo tutti
saper grado alla impareggiabile diligenza ed accortezza del eh.
autore degli ^ne^oei recentemente in Verona stampati , il qua-
le, in Firenze, nel testo creduto scrìtto di mano di \ ilippo Vii*
lani , ad onta della raschiatura e deturpante scrittura faltavi
sopra da imperita mano, ha saputo dalle rimase vestigia del
primiero antico inchiostro rilevamela e riportaiTiela [aj. Non
si può, per verità, desiderare di piii chiaro, né di più esatto.
Quale fdoue cingon li castelli a guardiadelle muta più epiù
fossi j rende figura, forma aspetto, la parte f il cii*condario ter-
reno, dovrei sonj dove i fossi esistono.* tale immagine , tale
aspetto, é/uiui facean quelli , i detti inaili di Malebolge . • *E
da notarsi che Ti cod. Cass. presenta la stessa lezione • E. A*
Prima che dalla gentilezza e generosità del eh. autore ri-
cevessi copia delle pregiabilissimedi lui produzioni , aveva io
pure esclusa la moderna intrusa lezione : La parte dot^ee^son
rendon sicura ($\ perché, se i fossi circondano, non v'ha par*,
te intorno dove non sieno; si perché incon venientemente, ad
esempio de'iW/i , cioè de*bastoni od argini, dividenti coteste
infernali bolge i porrebbonsi i più fossi circondanti i castelli »
[«J Sene d'An^dd. Vcruaa 1790, n. 5« fac. 1 1.
382 INFERNO
E come a tal fortezze da' lor sogli
Alla ripa di fuor soq ponticelli ,
piuttosto che i bastioni medesimi , rhe pur necessariamente tra
{>ià fossi esser debbono di mezzo ) ; ed erami determinato di
eggere, come alcune edizioni [a] ed alcuni mss. [b] m-f' fra i
quali il cod^Yat. 3i99)«-8 leggono , La parte doi^e il Sol
rende figura ^ e chiosava: che volendo il Poeta per circoscri*
zione accennare i bastioni dividenti le molte fosse intomo acca-
stelli j in Inogo di dimeli la parie dell* acqua prominente y e
la sola atta a far ombra , con equivalente concetto dicesseli
la parte doue il Sol rende figura ^ cioè dove il Sole, percuo-
tendo, viene a formare delle figure ossia de' contomi alle om»
bre. Cosi io prima. Ora però:
JYascendo il Sol i^ien meno ogn^aliro lume.
»-^Non senza grande sforzo y anche per parere del Poggiali»
si^piega questo sentimento di Dante , secondo l'ediz. degù Ac-
cad. Trova egli più verisimile e patentemente più ragione*
uole la lezione del Dionisi , seguita qui dal Liond>ardi , che è
pur quella del suo codice. Infatti ne risulta questo natnralis*
simo sentimento: quale immagine e figura presenta aglioe^
chi dei riguardanti quella parte di fortificazione > ove sono
piii fossi colla prominenza delle loro sponde e spallette ; tale
immagine e tal figura ofirivan quivi i detti sballi o spallette delle
varie bolge colle loro prominenze . • Il eh. sig. Ab. Portirelii
loda egli pure V adesione del Lombardi alla lezione rende figu-
ra • - Malgrado ciò » il Biagioli sostiene la lezione della Cmsca ,
siccome, a parer suo, piii degna del Poeta. Anche air E. R.
sembra ohe i emendazione del Dionisi porti un verso di stra*
no senso y o almeno d* oscuro , In tanta disparità di pareri noi
lasceremo ^i dotti il decidere sul merito della quistione. *«-«
■ 4 1 3 a tai fortezze y attorniate, cioè , da piii fossi ; da* lor
sogli y dalle soglie o limitari de' loro ingressi; - j4lla ripa di
fuorj alla ripa fuor de' castelli circondante V ultima fossa . -^som
ponticelli y intendi sopra di cijis^mna fossa. »-» La costruzione
di questi versi, che si legge nel comento del Biagioli, servirà
[a\ L'edìsìonì coli 'esposlz. del Daniello in Veneaia i568« e i^tiella p-
rimente di Venezia 1578, coi conienti del Landino e Yellutelto*
\b] Uno della Corsini , num. 607., ed uno della TaticanSt nom. ( dd*
r Indica Capponi ) 26^,
CANTO XVIIL 383
Cosi da imo della roccia scogli 16
Movien^ che ricideao gli argini e i fossi
Iniino al pozzo, che i tronca e raccogli ,
In questo luogo, dalla schiena scossi 19
Di Gerion, trovammoci: e 1 Poeta
Tenne a sinistra ; ed io dietro mi mossi .
Alla man destra vidi nuova pietà, 2:2
a più chiara Intelligenza del testo: e come a fortezze tali
Squali sono le anzidette) sono posti ponticelli ^nu^entisi dai
loro soeli sino alla ripa di fuori; così scogli move^ansi da
imo della roccia y i quali riddavano gli argini e i fossi in*
sino al pozzo che raccoglie e tronca essi scogli. 4««
16 ij ila imo della roccia f dal basso della balza ond'erano
stati c^ti da Gerione. m-¥ Così da uno della roccia y scogli
- AUn^èn , legge il VaL 3 1 99. <«-« Moi^ien y cosi la Nidobeatina ,
che mai né qui, né altrove [a] legge mot^èi», come l'altre edi-
zioni leggono, e che sarebbe um^Iio sostituito per mossero f che
per mo%feuano , che è ciò che dee qui significare. Vedi anche
la nota al i^. 47* del precedente canto. — Abioyere in questo
luogo Tale quanto aver principio <, aver origine* Vedi u Vor
cabolario della Crusca al verbo Atuoveroj $.11.
a8 cAe tronca f legge laNidob.; ch'ei tronca 9 Taltre ediz.
•^ Ci siamo qui pure scostati dalla Nidob. per leggere col Pe-
razxini [&] che 1 9 e come abbiam fatto, Inf. c« v. f^. 78. e e. vii.
u. 53. Cosi pur legge la 3. romana edizione, che attribuisce al
sig. Betti questa emendazione. 4-« raccogli per racco*^/i e, spie*
gano i Comentatori ; ma io amerei piii di crederlo sincope di
raccoglieU; dimodoché tronca e raccogli significhi lo stesso
cbe li raccoglie e troncai in quella guisa, cioè, che la testa
della ruota raccoglie in sé i raggi e li tronca, sicché non pes*
sino nella di lei cavita , dove entra Tasse • Dei dubbj che il pre-
lodato autore degli Aneddoti muove contro di questa plm*alità
e raunamento di scogli, parlerò nel canto zxiii. v. i34« j dove
priocipalniente appoggia l'autore il suo dubbiare.
aa pietà f afianno. Vedi anche Inf. e. 1. 1^. ai.
[a] lof. zzjnv. Si.y Par. ziv. 1 10. ec. [h] Vedi la nostra oota al ^> 78,
e. v: di questa cantica •
3«4 ■ INFERNO
Nuovi tormenti , • nuovi fruslatori ,
Di che la prima bolgia era repleta .
Nel fondo erano ignudi peccatori : i5
Da mezzo in qua ci venian verso '1 volto ,
Di là con noi , ma con passi maggiori :
Come i Roman , per V esercito molto , 38
L'anno del Giubbileo^ su per lo ponte
Hanno a passar la gente modo tolto :
Che dall'un lato tutti hanno la fronte 3i
Verso '1 castello, e vanno a santo Pietro:
a3 »-^ L'epiteto nuovi va inteso per non pia i^eduiit eik
•eodo qui la prima volta che s'incoatim tal genere di si]|^U>
aio. Poggiali. 4-«
a4 repleta. Latinismo di Dante non aneor dalla Cnuce
accettato j chiosa il Venturi. Ma potrebbe anch'essere 9 che al
tempo cB Dante fosse ugualmente in oso Taggetlivo repUtOf
ehe il snstantivG replesione,
a5 erana igfmdi peccatori ^ I^gS^ 1* Nìdobeatina; e Tsltie
ediaioni »♦ (e con esse il Qod« Yat. 3 199 )^-^erano ignmdi i
peccatori,
a6 27 Da mezzo in qua ee. Divideasi la turba di coloro
in due briffate correnti in contrarie dKreaioni. Dal meizo dells
larghoaa ddls bolgia iBno alla sponda, su della quale i due
Poeti cammina vanOy correva una brigata contrariamente al cam-
minare de' Poeti, e però dice: ci uenian t^erso *l trotto; e dal
meiao della bolgia alla sponda opposta correva l'altra brigata
nella stessa direzione che i due Poeti camminavano; solo dbe
affrettava quella brigata il passo più che i Poeti mm fccessero.
a8 al So esercito per turba fólta. »-» Papa Bonifàsio Vili,
appunto nel i3oo istitid un anno di remissione spuritwde da
ric(MTeve ogni 1 00 anni, e che si <^iamò Giubbiteo. Il numero
de' ricorrenti a Roma in tal' epoca fu si grande, ehe ad evitare
la confusione e gli sconcerti die nascer potevano dall'adden»
sata folla di chi andava e tornava, fu d*uopo erigere un muro
di divisione nel mezso e tutto al lungo del ponte di Castel
Sant'Angelo, aflinchà Tuna parte occupata (o9se da chi andaTa
a san Pietro, e l'altra da chi ne tornava.^-* modo tolto, cs\
CANTO XVm. 385
Dall'altra sponda vanno verso 1 monte]
Dì qua, di là, su per lo sasso tetro 34
Vidi diuiOD cornuti con gran Terze,
Che !i battean crudelmente di retro.
Ahi come facean lor levar le berze 3 7
diente preso, cioè^ seguendo taloixliue. m-^ modo colto y legge
TAog. £. II. — e il Vat. 3ij|9. ««-•
33 verso 7 monte. Quando abbia Dante pel rtiorUe inteso
alcun monte particolai<e di Roma , e non tutta la opposta al
Castel Sant'Angelo montuosa parte della città , appellata li
fnofUij dovi<ebbe tale, piuttosto che il Palatino o TA ventino,
essere il monte Giordano j piccolo pramontorìodirimpelto^ e
pocUssimo distante da esso ponte . «-^cc Dev'essere piuttosto
» (dice TE. K.) il monte Gianicolo, la di cui estremità , do\e
M esiste la celebre fontana dell'acqua Paola, veduta dalPalto
» del Castel Sant'Angelo > come alti esi sulla accurata pianta di
» Roma del Nolli , è più vicina e più diretta di qualunque al-
M tro de'sette famosi colli. Né giova porre in questo coufi*outo
M il piccolo monte Gioixiano poco distante dal Castello sud-
» detto, prominenza formata da antiche 1*0 v ine e che non si sa
» che esistesse ne' tempi andati. Se si avesse una diligente to-
» pografia di Roma dei tempi di Dante , chi sa che non esisteu-
» do allora la via Giulia , ed essendo spesso chiusa la porla
» SeiUmiana {sub lano)^ che unisce il Trastevere al V atleta*
» uo « non si vedesse per pubblico comodo una strada parta*
n dal ponte Sant'Angelo, e tagliar con insensibile diversione
» Tabitato lino al ponte EUio o Gianiculeuse , in oggi detto Si*
j» sto ; di maniera che chiunque usci va dall'augusto tempio del
» Prìncipe degli Apostoli vedesse fin dal ponte Sant'Angelo
» il prospetto delPaitit) suo santuario su quel monte , ove molli
j> credono che fosse martirizzato , tenuto per laddietiti in gran-
M dissima venerazione, a* «-•
H4 *osso tetro f di color ferrigno, di coi ha detto che tulio
Malebolge era foimato [a].
35 m^ferze è lo stesso che fruste j forse dal lat. ferula» Di-
orsi o^dl piuttosto sferze. Poggiali. 4-«
37 facenti ìegffe la Midobeatina; e facen l'alti^ ediziouu
f«} Tedi il priocipio d«l caoM .
rol. /. aS
386 INFERNO
Alle prime percosse! e già nessuno
Le seconde aspettava né le terze.
Mentr' io andava, gli occhi miei in'uno 4^
Furo scontrati ; ed io sì tosto dissi :
Già di veder costui non son digiuno .
Perciò a figurarlo gli occhi affissi : 4 ^
E '1 dolce Duca meco si ristette,
Ed assenti ch'alquanto indietro io gissi:
E quel frustato celar si credette, 4^
Bassando 1 viso, ma poco gli valse;
^•*- leuar le terze per affrettare il passo . Berza^ spiega il Vo*
cabolario della Crusca, parte della gamba dal finocchio al
pie ; ma qui sta per tutta la gamba ; ed alzar le eambe a si*
fnificare affrettamento di passo e fuga, scaltrì noi dicono, i)
iciam noi Lombardi, j^lcuni (nota, il Voìfi) per berte inteiH
dono uesciche j o bolle j che lei^ansi nella pelle a forza di
battiture j lat. vibices , pustulae. •^berze^ forse dal lat. va^
ricesj enfiature, vesciche. Lami. E. F. <-«
Dee pe*ruflSani, che costoro sono, avere il Poeta scelta
la frustatura y per essere la medesima tra noi il solito castigo
de' ruffiani.
4i 4^ sì tosto dissi yaìe o subito così dissi j o per ellissi,
subito così , come lo wWi, dissi, m^ Di già veder ^ legge 1 Ang.
al v, 42. E. B« 4-« non son digiuno , non sono stato finora jxìvo.
43 a figurarlo y per ridurmi a roemoria chi egli fosse. — 1
piedi affissi^ così la Nidob., ove le altre edizioni leggono, gli
occhi affissi. Il seguente verso però, E 7 dolce Duca mecn
si ristette , richiede che i piedi , non gli occhi , affiggesse j cioè
fermasse. Dante; imperocché tener fissi gli occhi in qneU'oro*
bra poteva anche andAudo,jtff[ggere ^r fermare adop^nra Dan-
te anche nel Purg. xvii, 77, »->Gosì il Lombardi , qui , per qnan*
to ci sembra , ben a ragione disapprovato dal Biagìoli , chiosan-
do : gli occhi sono quelli che adoprano a rafj^gurare uno: e
dice poi che F^irgilio si fermò secOf lasciando Videa subai*
terna io mi ristetti , perchè naturalmente s^indovina . - An-
che TE. R. nella 3, ediz., suirautorità del Vat. ^ic^g, ha re*
ftituita Tantica lezione occhia da noi pure preferita •«-•
CANTO XVIII. 387
Ch'io dissi: tu, che T occhio a terra gelte,
Se le fazioQ che porti non son false, 49
Veaedico se* tu Cacciani mico;
Ma che ti mena a sì pungenti salse?
48 »-^ fu, che rocchio , tuUe le edizioni ; o tu che C occhio ,
più naturalmente , il cod. Ang. E. R. 4-m
49 Sofazioìij fattezze 9 che porli , clic hai, non son false ^
non sono fidiaci. F'enedico [F^enedigo legge il testo della Ni*
dob., e Genetico quelli del Landino, Veiiutello e Daniello)
Caceianinuco j Bolognese, che per danaii indusse la sorella',
chianiata Ghisola, a consentire al inai*chese Obìzzo da Este,
Signor di Ferrai*a . Daniello . »-♦ Questo Max'chesc , conlemjx)^
raneo del Caccianimico e di Dante, non può essei-eche Obìz*^
so II., nominato da Dante al e. xn* 1^. 1 1 1. di ([ucsta cantica.
POGOIALI. 4-«
5i Ma chcj legge la jVidobeatina , meglio di Afa chi ^ che
leggasi nelle altre edizioni ; imperocché non cerca già il Po4'ta
qoal persona precipitasse Caccianimico colaggi u, ma qual ca-
gione, qoal peccato: cercali quid^ non il quis» »-^Divei*samcii-
te la pensa il Biagioli, e chiosa: Il Poeta sapeva benissimo qual
peccato sipunii^a in quella bolgia; adunque maliziosamente
chiese chi, e non che. - Il cod. Ang Jegge come la Nidobcatiua ,
E. R., -e cosi il Vat. 31999 per cui ci siamo astenuti da cam-
biamento, ^-ma sì pungenti salse : metafoi*icamente per si aspiv
sferzate; che, come le salse pungenti feriscono la pellicola del
palato, cosi quelle sferzate la pelle del dorso. «-^ et Le Salse >
V dice il eh. cav. Strocchi , ai tempi di Dante era una contrada
» di Bologna , lungo la quale si scopavano i malfattori ; e que-
i> sto verao con questa sposizione è tanto piti bello, quanto
» che Bolognese era quel Caccianimico che in Interno era fru-^
» stato, avendo per denari indotta la sorella Ghisola a consen^
» tire al marchese Obizzo da Estc, Signor di Ferrara t>. - Ri-*
putìam pregio di queste nostre aggiunte il riportare la chiosa
del Boccaccio a questo luogo ^ e quale si legge nel suo Comcn-
to alla Divina Commedia. Trattandosi di un Autore tanto vi-
cino al Poeta nostro , questa interpretazione sarà forse da prc-
fi'rìrsi ad ogn' altra, m Le Salse è un luogo ( die' egli ) abbomir
j» nevole e pieno d'infamia. Imperocché anticamente soleva es-
» sere che dai Bolognesi v'erano gittati gli uomini che morivano
338 INFERNO
Ed egli a me: mal voleotier lo dico ; 5^
Ma sforzami la tua chiara favella ,
Che mi fa sovvenir del mondo antico.
r fui colui , che la Ghisola bella 55
Condusse a far la voglia del Marchese,
Come che suoni la sconcia novella .
E non pur io qui piango Bolognese : 58
M disperati senza voler tornare a vei*a penitenza. Ed ò questo
M luogo delle Salse a Bologna tre miglia alla montagna; e per-
si che questo peccato di ruffianesimoè abbomiuevoleesozzo,
» si gli rammenta l'Autore questo luogo. » E. F. * Il luogo qui
accennato ( come si legge in una nota del eh. sig. Paolo Costa ,
riportata nella recente bolognese edizione della DivinaComme-
dìi ) si trova un terzo di miglio circa sopra la casa di villa del
iiig. conte Antonio Aldini, la quale fu già convento de* Frati
Minori osservanti riformati. 11 detto luogo è una angusta valle
assai profonda y circondata da grigie coste senza alberi, e qua e
là coperta da sterili erbe; oiTjdo sito e veramente acconcio se-
polcro de* corpi infami , che i nosUÌ antenati sdegnavano di ri*
cevere ne' sacri i*ecinti , o ne* luoghi colti ed abitati . ^-m
53 54 tua chiara favella j al contrario delle voci delle om*
lire, che parean fioche. Vedi la nota al i^. 63. del canto primo
dt^Ua presente cantica. Istessamente spiega anche il Venturi. E
([uesta spiegazione rigettandosi, non restei^ebbe altix) che din*
1 cndore per la chiara faldella V idioma toscano che Dante par-
lava. Ma come poi faremmo avverare che Tidioma toscano, piut-
tosto che il bolognese, od altro, che da' suoi compegni dove\ a
(^accianimìco udire, facesse al medesimo sovvenire del mondo
antico , cioè del mondo per lui passato?
jj Come che suoni ec.y in qual altro modo si pubblichi di
tal cosa la coiTotta fama; perchè dicono che alcuni dicevano
non esser vero che messer Venetico fosse di tal cosa consape*
vole; ed altri , che nuUane era seguito, avvegnaché il Marchese
r avesse fatta per altri mezzi molto sollecitai*e : cosi il Landino^
nel di cui sentimento convengo io pure , che sconcia sia det-
to invece di corrotta. Di sconcio ^v guasto , ciré lo .«tes^
f4)i vedi il Vocabolario della Crusca.
58 /f non pur io^ io solo, qui piango Bolognese •
CANTO XYIIL 389
Anzi u*è questo luogo tanto pieno,
Che tante lingue non son ora apprese
A elicer sipa tra Savena e 'I Reno: 61
E se di ciò vuoi fede, o testimonio,
Recati a mente il nostro avaro seno.
Così parlando il percosse un demonio 64
Della sua scuriada, e disse: via,
Rulfian, qui non son femmine da conio.
Io mi raggiunsi con la Scorta mia : 67
Poscia con pochi passi divenimmo
Dove uno scoglio della ripa uscia .
Assai leggeramente quel salimmo, no
£, volti a destra su ])er la sua scheggia.
Da quelle cerchie eterne ci partimmo.
60 61 tante lingue ec.f intendi, che tanti uomini non sono
ora in Bologna , che sappiano dire sìpa. I Bolognesi dicono sipa
invece di jia, e non gii invece di W, come chiosano ahri
Espositori. -«SaM^fta e 7 JRenOj due fiumi, tra i quali è situata
Bologna e parte del Bolognese.
6'ò seno fifpiratamente per cuore ^ che ha il seggio nel seno.
Cosi il Voc. della Cr. Suppone la espressione notoria fama di
avarizia ne' Bolognesi .
(i5 scuriada, sfa*za di cuoio. -«i^ia, paiticella significante
lo stesso che uà via^ partiti.
66 conio y impronta sul danaro , qui pel danaro medesimo ;
onde fefìunine da conio vale cfnantofemnune che per danaro
vendono la propria onestà , femmine cenali»
69 uno scoglio f uno dì quelli che ha già detto dr sopra
( w. 1 6. e ly.) che da imo della roccia moi^ièn e ricidean o/n.
gini e fossi. m-^La dov^un scoglio ^c, l^ge il Vat. 3 1 qq.^^
71 super, legge la Nidobeatìna ; e sopra ^ l'altre edizioni.
— scheggia per ischeggiato , mal tagliato dorso .
7a Da quelle cerchie eterne ec. Cerchie (conamin il Daniellojt
chiama quel sasso , che il settimo dalVottav^o cerchio divide.-
eterne, continole , per vhè abbraccia^'a a torno a torno tutte
390 INFERNO
Quando noi fummo là, dov' el vaneggia 73
Di sotto^ per dar passo agli sferzati ,
Lo Duca disse: attienti, e fa che feggia
Lo viso in te di quest'altri mal nati, 76
Ai quali ancor non vedesti la faccia,
Perocché son con noi insieme andati .
Ir bolge i che se eterne volesse dir perpetue in questo luogo ^
parrebbe che sol atnente quelle cerchie j e non altre parti d'In'
fernoj fosser tali. Adunque eterne^ continole. OtadiocAànuTi
perpetuum deducile tempora Carmen: idest continoum cannelli
cornee r eroico verso a differenza dell* ode ^ e delP elegie.
Sipartiron (chiosa diversamente il Vellutello) da quel-
le cerchie eteme , Intendendo che essi si partirò da tutte le
sponde tanto di questo, quanto de'' superiori cerchj ^ perchè
questa, che lasciavano ora addietro, era rultima^ non in-
tendendo il pozzo , verso del quale andavano , per cerchio »
essendo cosa minima rispetto à*cerchj, e piuttosto da esser
domandato punto , che cerchio* Eterne dice, perchè eteme
sono ancora le pene, che da quelle son contenute.
Il Venturi , tenendosi parte col Vellutello e parte col Da-
niello, per quelle cerchie intende tutte le precedenti passate
ripe; e per eterne piega ad intendere continuate, noninter*
rotte ; perocché , dice , appunto di queste sì /bUe (cioè non in*
leiTolte ) non ne restava a veder più , per esser ^quelle del
pozzo , che rimanevano a passarsi, intermezzate dai ponti.
A me però sembrerebbe la più sbrigativa d'intendere per
quelle cerchie il cuxolai*e alto muro, ond* erano i Poeti da Ge-
rionc stati deposti, ed a cui erano vicini, ed il circolar aitine
appiè di esso muro, sopra del quale stavano; e che eterne esse
due cerchie appelli Dante , perocché parti di quel luogo ch*egli
medesimo appella luogo eterno [a], 9-pCqsì anche il Biagio) i.
— Di quelli cerchi eterni^ ^^gg^ '•^'^g* E' R*^"^
7 3 dovei, legge la Nidobcatiua; dovrei, l'altre edizioni.
Kl fovegli, esso , adopera Dante anche altrove spesso [i], ed
ì' qui pronome dello scoglio quattro versi sopra mentovato.
-^lumeggia, v volo, fa arco e ponte.
j-5 al j8 attienti, e fa che feggia ec, fermati, e attendi*
[u] luf. canto ;. 1 14* ed altrove, [b] Inf. xxyii. la. Purg« ii. 5i.
V
CANTO XVIII 391
Dal vecchio poote guarda vam la. traccia, 79
Che venia verso noi dall'altra banda,
£ che la ferza similnieote schiaccia.
£ 1 buon Maestro, senza mia dimanda, Si
Mi disse: guarda quel grande che viene,
E per dolor noti par lagrima spanda:
Quanto aspetto reale anco ritiene I 85
Quelli è lason che , per cuore e per senno ,
e fa' che ferisca In te lo sguardo di questi y acquali , perché trot«
lavano secondo il nostro cammino , tu non potesti yeder la fac*
eia. Vehtvbi. Feggia da feggere^ che significa lo stesso che
fiedercj ferire^ com'è detto nel passato e. zv. ^. Sg*
79 80 /a traccia f la seconda delle due tracce sopraddette
che facevano contrario cammino ^ iv. 26. e a^. m^Del secchio f
al M. 79.9 e Che ^enian^ al i^, 80., legge il Vàt. 3 199. 4-m
8 1 schiaccia , pesta 9 percuote « — » ^ Il CaeL legge scaccia ^
t forse potrà piacere , riflettendo che i demonj siei'zavano , e
gli sferzati correvano innanzi; oltre di che ^cAtacci^xre nel suo
vero senso non può attribuirsi al vigore ed al peso delle sfer*
xate« E. II. «-^Ma cpiesto scaccia^ dice il Biagioli, dopo aver
detto quello ch'esprime ai versi ii5« al 87., è un fiore inari-
dito . Malgrado ciò 9 convien confessare che questa variante non
è dispregevole. <Hi
S^ E l buon Maestro f semaj legge la Nidobeatina; ove
Tal tre edizioni, // buon Maestro y sanza»
84 E per dolor ec. Per quanto senta dolore, non par la*
grima spanda y tanto è grande e forte il suo animo; ovvero y
perchè il dolore eccessivo gli sopprime le lagrime . 9^ (Il Bia-
gioii su per la prima interpretazione. )4-« Così Taddoloratis"
simo conte Ugolino dirà '• Io non piangeva , sì dentro émpie"
trai. Canto ixxni. p« 49* deirinfemo* Vivruat*
85 ancOf legge la Nidob.; ancor ^ Taltre edizioni.
86 air 88 lason, che per cuore, per ardire « e per sen*
no , per prudenza , fene (aggiunto il ne al fé* per riposo del*
la pronunzia \a]) li Colmi j popoli dell'Asia minore , /iriVaii
[m] Vadiil CiooD. Partic 17$. 34*
3gi INFERNO
Li Colobi del monton privali fene .
Elio passò \\ev F isola di Lenno, 88
Poi che Tardile femmiDe spieiaie
Tulli li maschi loro a molte dienao.
Ivi con segni, e con parole ornate 91
Isiiile ingannò, la giovinetta,
Che prima T altre avea tulle ingannate.
LnscioUa quivi gravida .e soletta; 94
Tal colpa a tal mariiro Ini condanna:
Ed anche di Medea si fa vendetta .
Con lui sen va chi da lai parie inganna : 9^
del monton 9 del vello d'oro 9 attaccato da Frisso nel tempio
di Marte.
Neiroccasione di questa impresa tradì Giasone dae fem*
mine, ingravidandole, con promessa di sposarle, e poi abban-
donandole. La prima fulsifde, colei che nell'isola di Lenno,
contro la convenzione fatta con l'altre donne di uccidere ima«
sebi tutti delle rispettive loro case, salvò il proprio genitore
Tornite: l'altra fu Medea, figliuola del Re de'Colchi medeM-
mo , che Maga essendo , aiutò coU'arti sue Giasone a superare
gli ostacoli fortissimi che impedi vangli il rapimento del veUo.
9 1 m^ Ivi con senno , legge l'Ang. E. R. 4-«
93 Che prima Vcdtre avea tutte Ingannate , legge la Ni-
dobeatina; e l'altre edizioni. Che prima tutte FaUre avea In-
gannate. JK^con verso migliore. -Cosi col Val. 3199 legge
anche la 3. rom. edizione. — Che prima avea tutte r altre
ingannate j leggono i codd. Ang. e Caet. E. R.4-«
97 Con lulf con Giasone. • ail da tal parte Inganna y chi
non con danari , ma con promessa di matrimonio , parmi che
debbasi capire ; imperocché inteso chi da tal parte semplice-
mente per coloro che lusingano femmioe per sé medesimi, e
ììon per altri (come chiosano il Daniello e il Venturi), mala-
mente si collocherebbero questi , che senza la promessa di ma»
trìmonio sarebbero meno colpevoli, in paite della bolgia piìi
al centro vicina di (juella de'ruffiani predetti ; che , secondo il
sistema del nastro Poeta, corriaponde a delitto maggiore*
CANTO XVIII. 393
£ questo basti della prima valle
Sapere, e di color, che 'n sé assaDoa.
Già eravam là Ve lo stretto calle 100
CoQ l'argine secondo s'incrocicchia,
E fa di quello ad un altr'arco spalle.
Quindi sentimmo gente, che si nicchia io/)
Nell'altra bolgia, e che col muso sbuffa,
£ sé medesma con le palme picchia .
Le ripe eran grommate d' una muffa , 1 06
Per Talito di giù, che vi s'appasta^
Che con gli occhi e col naso facea zufia •
g9 assanna. Assanììore ^ che indifferentemente
anche azzannare (chiosa il Vocab. della Q-uaca), afferrar
dtecchessia colle zanne o strignere; ma qai metaforicamente
lo adopera Dante per serrare e tormentare.
ioa E fa di quello ec, e foi*ma dì quel secondo amne
spalle^ ^ppogg^o» ^^ ''^ ^l^^o arco che passa sopra la bolgia
seconda .
io3 m-¥ Quisfi sentimmo^ legge TAng.E. R.4-«^i nicchia,
con sommessa voce si lamenta ; che questo significa propria*
mente nicchiare, VELLuraLLo concordemente aJ Laiidivo.»-#vti
annicchia , legge il cod. Staardiano . Bi agiou . - e il cod. CaeL
E. R.4-.
to4 io5 sbuffa y buffa, soiBi colla bocca e colle narici , per
nausea che crea loro quel puzto. m^scuffa^ forse per eiTor del
copista, legge invece il cod. Vat. 3 199. «-« picchia^ pei*cuote.
B^ picchiare è detto dair uccello ^iccAio , lat. pieus; questo
verbo fa sentir il suono delle percosse. BiàoioLi . 4hì
106 al 108 grommale f inci'ostate, d'una muffa ec. Intei^
viene ne* luoghi umidi e chiusi che i vapori, i quali si levano
da tale umidità , non potendo esalare, rimangono appiccati alle
mura, e fanno muffa: cosi in questo luogo Talito, cioè lVsala«
zione, che si levava dal fondo, surgea sì grossa, che si appic-
cava alle ripe, e facca tal gromma, che/iscea zuffa col naso
e con gli occhi, cioè offenofeva il naso pel tristo odore, e gli;
occhi per la sua bruttezza. Lahduio.
3g4 INFERNO
Lo fondo è capo si, che non ci basta 109
Luogo a veder , senza montare al dosso
Dell'arco, ove lo scoglio più sovrasta.
Quivi venimmo, e quindi giù nel fosso 1 12
Vidi gente attutita in uno sterco,
Che dagli uman privati parca mosso:
£ mentre ch'io laggiù con T occhio cerco, 1 15
Vidi un col capo sì di merda lordo ,
109 al III non ci basta - Luogo a *oeder<, senza ec.,- ci
per uij i^i [a]y non è ivi luogo bastevole ^ atto , a vedane co-
laggiii« — Off e lo scoglio più sovriuta ^ sul mezzo dell* arco,
eh' è la parte più elevata; e vuole in sostanza dire che Unto
era quella bolgia profonda y che , ove il raggio visuale obliquasse
fantino dal perpendicolo > andava a terminare nelle pareti, e
non nel fondo*
II 3 1 14 prii^atij cessi 4^ mosso f per calato colaggiii; come
accennando che fosse quello il ricettacolo di tutti i eessi del
mondo . «-^ ce Qui ( dice il Biagioli ) piii d' un lezioso torcerà il
J9 glifo, e biasimerà il Poeta d'aver adoperato immagini e p-
» role cosi immonde. Ma doveva egli in grazia di questi leziosi
» lasciar di parlare di questa rea gente , ovvero , per rispetto del
» loro delicato naso^ porli tra' fiori e l'erbe di ridente giardino?
» Violare le leggi ch'obbligano alla vera imitazione earìtrar
» le cose quali ea$e sono , per non dispacere a costoro si tor*
» tamente opinanti? Q)nsiglinsi questi cotali con Quintiliano e
» con Aristotile, e impareranno da loro ch'uno de' maggior
» meriti del Poeta si è d aver sempre rispetto al luogo, al teD>-
» pò, alle persone, e al fiiie.»<Hi
Per cotal pena data agli adulatori pare a me ( ben Inu^i
dalle altrui chiose) che anche Dante sapesse dello Ungere cl»^
nes per adulare .
1 16 •-» Si ricordi qui pure il lettore che Aristotile nel 3.
della Rettorica e' insegna , eh* essendo le parole imitazione dei
concetti, debbono la loro bassezza e la loro altezza imitafe*
Omnia uerbay ripeto con Quintiliano « suis locis opùmaj
etiam sordida dicuntur proprie* Biaoiou.4-«
[à] Cioon. Partic. 48. 4*
CANTO XVIII. 395
Che noQ parea s*era laico o cherco. '
Quei IDI sgridò ; perchè se' tu sì 'ngordo 1 1 8
Di riguardar più me, che gli altri brutti?
Ed io a lui : perchè, se ben ricordo,
Già t' ho veduto coi capelli asciutti , 1 a i
£ se' Alessio lutermiuei da Lucca :
Però t'adocchio più, che gli altri tutti.
Ed egli allor, battendosi la zucca: 124
Quaggiù m'hanno sommerso le lusinghe^
Oad'io non ebbi mai la lingua stucca.
Appresso ciò lo Duca: fa* che pinghe, 127
Mi disse, un poco'l viso più avante,
Si che la faccia ben con gli occhi attingbe
1 17 non parea s* era laico o cherco y non appariva , non si
vedeva 9 per la lordura, se avesse cherìca ono. jk^ Trafigge a
un tempo le due classi , ma più la seconda . Biagioli* ^-m
1 18 sgridò y la Nidobeatina^ gridò , laltre edizioni, '^in*
gordo per avido. m-¥gordo per errore legge i) YaL 3 199. «-«
Volere ingordo per avido^ disse pure il Petrarca^ cans. 3 1 .3.;
ed ingordo udire j il Varchi nel suo Boezio ^ 3. 1.
1 19 bruni j lordi. »-^L'Aug. qui legge tutti , e nel t^* ia3.
brutti. £• R.^-m
121 coiy la Nidob.; co\ laltre ediz. -asciutti per /iii/ilV.
\%ik jàlessio JnternUnei yO Interniinelli y nobilissimo cava-
liere lucchese, uomo lusinghiero fuor dì modo. Voiiri* a-^Il
Lami lo crede della stessa mmiglia Intelminelli ^ oAntelnU'»
nelliy della quale fu Castruccio. £• F. ^u4ntermineiy legge
il cod. Vat. 3i99.4-«
124 battendosi la zucca y cioè il capo; corrìapondenlemen-
te al detto in generale di tutta quella turba, v. io5.:
E sé medesma con le palme picchia.
126 stucca per sazia. Vocabolario della Ginisca^
i^j pinghe ftv pinghiy spinghiy cacci. Antitesi.
1 29 attinghe invece di attinghi per arrivi . 9^ Questa elo-
cnzione è vaga assai, e vuol dire: sicché tu aggiunga coli' oC"
chio alla faccia ec. Biagioli. 4-v
396 INFERNO
Di quella sozza scapigliata £iQte, i3o
Che là si grafl6la con F unghie merdose.
Ed or s'accoscia , ed ora è in piede stante :
Taida è la puttana, che rispose i33
Al drudo suo , quando disse : ho io grazie
Grandi appo te? anzi maravigliose:
i3o Bufante y cioè bagascia. Moirrt [o]-4r«
i3i m-^Ch*efla si graffia j l'Ang. E. R.; — e il Vat. ^^gc^
Chellà.^
1 3*2 Ed or s^ accosciai atti meretricj. Laitdiho e VbllutelIìO.
]33 al i3j Taida y la iBieretrìce di Terenzio nelP fornico.
Non posso qui (dice il Ventuii) approvare che quella mere^
irice spenga nominata con quella uoce da chiasso • Ma come
ci assidui*a il Venturi che non fosse ai tempi del Poeta , yì-
ciui al parlar latino , piii intesa e da chiasso la voce latina me^
retricCf cbe vorrebb*eg}i invece adoprata? V'ha egli dubbio,
che come ad una parte di una provincia è voce da chiasso quella
che ad alu*a parte della provincia medesima non è, cost non
intravenga eziandio alle vane etadi? La voce drudo, per ca-
gion d'esempio > a' tempi nostri non si adopera che in cattivo
senso ; e ai tempi di Dante adoperavasi , e Dante stesso ada-
prala, anche in buon senso. Puttaneggiare (per accostarci an-
che meglio al proposito) chi a* di nostri , onestamente scaivcn-
dO| adoprerebbelo in luogo di fingere , come adopraronlo i
due Villani Giovanni e Matteo , scrittori al Poeta quasi con*
temporanei ed onestissimi [b^l »^ Meretrice però legge l'Ani;.
E. R.4HÌ che rispose ec. Dee essei'e la costruzione : che al drudo
suo (al suo innamorato Trasone) quando disse (quando costai
chiese ) : ho io grazie grandi appo te? (professi tu a me grandi
obbligazioni?) rispose: anzi maravigliose ^ grandi a maravi-
glia. Veramente Terenzio fa che cosi Trasone inteirogasse ,
ed udisse rispondersi , non da Taida medesima y ma dal mez-
zano Gnatone, da cui aveva fiitto a Taida presentare in dono
una vaga schiava : ma ben può Dante ragionevolmente sup-
porre instruito cosi Gnatone dalla scaltrita donna .
[al Prop, voi. a. P. 1. Tue. 65. [b] Vcilinc gli esempi nel Vocabolario
della Crusca.
CANTO xviir. 397
E quinci sieo le aostre viste sazie.
m^ Questa Taide, dice il sig. Po{^ali, secondo il costume
delle sue pari , sapeva ben pronttare 1 senza punto amarlo » della
prodigalità e smargiasseria di Trasone, giovine soldato per lei
Appassionatissimo. Affinchè poi si riconosca costei per la Taide
terenziana, riporta qui Dante una parte di Dialogo relativo ad
essa preso dal principio della Scena I. Atto HI. dell'i^iinuco.
—Or ne daremo l'originale e colla spiegazione del Biagioli a
maggiore illustrazione ael testo. «Trasone , ragionando con Gna*
ce tone del dono mandato a Taide 9 questi dicendogli che il dono
M le era stato assai caro, e ave vaio ringraziato sommamente, que-
u gli dice : magnas i^ero agere Tliais mihi? ( Tu dici adunque
» che Taide mi rende grazie grandi del dono?)Gnatone : ingen^
u i4fs ( grandissime grazie ti rende . ) Trasone : ain tu laeta est?^
» (tu ojci ch'ella è lieta del dono?) Gnatone.* non tam ipso
n quidem dono , quàm abs te datum esse . (non tanto 1 affé , del
» dono per sé , quanto per esserle da te fatto )• Ora questo che
» Trasone chiede al mezzano e che questi gli risponde , Io sup-
w pone il Poeta nostro detto da Trasone a Taide medesima, %
a» ch'ella fa a lui stesso la risposta, e quale appunto da si fatte
M ièramine, che tutte in Taide si figiurano, si suol fare.a»««-«
i36 E quinci sien «e, e di qui, di questa sporca bolgia,
siano gli occhi nostri sazj, di altro vedere in essa non curino.
CANTO XIX
^^^^♦■^^1
ARGOMENTO
tengono i Poeti alla terza bolgia^ Hos^e sono puniti
i simoniaci; la pena de* quali è L' esser fitti con la
testa in giù in certi fori ^ né altro vi appar di fuo-
ri che le gambe M le cui piante sono accese di fiam-
me ardenti. Poi al fondo della bolgia trova Dante
papa Niccolo Ill.y e di lui e di altri Pontefici bia-
sima le cattisfc opere (benché altri scrinano che
Niccolo ///. , di casa Orsini ^ fosse un degno Pon-
tefice}, Infine y per la stessa via onde era disceso»
e portato da f^irgilio dalla bolgia sopra l'arco , che
risponde al fondo della quarta bolgia.
o
Simon mago, o miseri seguaci, i
Che le cose di Dio, che di boataie
Deano essere spose, voi rapaci
I Simon mago. GosXniy come ìeggesi ne fr\i Ani apostolici,
offerse danari a s. Pietro per comprai* da lai la potestà di eoo-
ferire la grazia dello Spirito Santo > e perciò dali*A postolo fa
maledetto. E quindi il patteggiare e contrattare che si fa delle
cose sacre y chiamasi simonìa. Volpi.
a 3 che di bontate^Denno essere sposcy che alla bontà deb-
bon essercongiunte , che ai buoni debbon esser date.»-^/>et>no,
i codd. Caet. £. fi. e il Vat. 3 199 , e con essi la 3. rem. edix.4-c
voi rapaci j la Nidob., meglio delle altre edis.>che rompendo il
senso leggono, e voi rapaci. »-» Vuole il Bìagioli che Tornii
a ione della congiuntiva e tolga gran foraa al sentimento. <«-«
CANTO XIX. 399
Per oro e per argento adulterale: 4
Or convien che per voi suoni la tromba ,
Perocché nella terza bolgia state.
Già eravamo alla seguente tomba 7
Montati, dello scoglio in quella parte
Ch' appunto sovra '1 mezzo fosso piomba .
O somma Sapienza, quant' è l'arte, io
Che mostri in cielo, in terra, e nel mal mondo,
E quanto giusto tua virtù comparte!
4 adulterate dee valer quanto prostituite n »-► Della voce
adulterio ecco 1* etimologia di Pesto gramatico : adulleret adul-
tera dicuntur quia et ille alteram 9 et haec ad allerum se se
eonferunt. Buoioli. —Singolare è la lezione dell'Ang, che
dice: a voi tirate ^ Ma il volgare adulterate dice assai più,
parlandosi delle cose di Dio, le quali sono chiamate spose di
bontà . Betti . E. R. 4-c
5 suoni la tromba per si parli ^ si dica epicamente .
6 Perocché nella terza bolgia state y a veder la quale {in*
tendi ) dalla seconda bolgia venimmo,
y alla ^r sopra la,
c^ piomba j sovrasta a piombo, perpendicolarmente, m^so^
yra mezzo il fosso j legge il codice Angelico, e con bella eie*
ganza, e forse secondocnè scrisse originalmente rAHghieri .
BcTTi- E* R. — so^ra mezzo il fosso , legge pure il codice
Vaticano Sigg. «hi
ioli quant*è forte ec.j cioè nel dare i premj ei gastighi
condegni all'opere: accennando condegno gastigo a* simoniaci
quello eh* è ora per descriverci, di starsene costoro fitti in ter-
ra a capo in giìi, quasi a mirare le viscere della terra, d'on«*
de si cava l'oro e l'argento» e guizzando e spingendo coi pie-
di contro il cielo » quasi in atto di dargli de' calci . — mal mon^
doy r Inferno, perchè '/ mal delP uni%ferso tutto *nsacca [a]«
1 9 - * Il cod. Gaet. e quello del sig. Poggiali leggono , Quan «
ta giustizia tua virtù comparte it*. K.»-¥ giusto j avverbio,
per giustamente * Toam«i,i- <<-«
'«] lof. Vii* i8«
4oo INFERNO
r vidi , per le coste e per lo fondo , 1 3
Piena la pietra livida di fori ,
D'uQ largo tutti, e ciascuno era tondo.
Non mi parien meno ampi, né maggiori, 16
Che quei che son nel mio bel san Giovanni
Fatti per luogo de* battezzatori;
1 3 per le coste y e per lo fondo , cìuè non solo uel più bas-
Èó di quella bolgia, ma anche nelle falde degli ai^nì; e dee
con ciò volere il Poeta accennare che si contenesse in quelli
bolgia piii gente di qualunque altra.
i4 IO liuiday metaforicamente detta periAf colore oscuro.
— di fori , — D^un largo tutti ec. y di buchi tutti d* egual gran*
dezza e rotondi . m-^ Cosi anche Torelli . «-«
16 al id JVon mi parièrif la Nidob., la quale oè qui, uè
altrove mai legge jx^parèn^ uè parénti , come T altre edizioni,
ma sempre parean , parien j pariemi [a] , uniformemente alio
scrìvere d' altrì antichi [6J . ^^ Sembrando però all'È. R. il^
rien cosRstrana e si^enei^ole , nella 3. rom. ediz. ha restituita la
comune lezione parèn^ confortata pur anche dall' antorità del
codice Vaticano 3 1 99. — - ce Fa comparazione della grandezza di
» questi fori a quelli che sono in certi battezzatori nella sua
•• cniesa maggiore di s. Giovanni di Firenze 9 che sono di talf
» ampiezza y che un garzone v'entra ec. » Cosi l'Antico. — Ih
questa chiosa viene ad avvalorarsi la spi^azione che dà il can.
Dionisi alla voce battezzatori j che, secondo lui, signi6ca bat-
tisterfj e noni ministri che battezzano, dovendosi pronunziare
largo l'o di questa voce. E. F.<4-« meno ampi^ né ec» Permeglio
espnmersi ( chiosa il Landino ) aggiunge che erano a simili-
tudine di quelli quattro pozzetti , i quali uel tempio del Bat-
tista Giovanni sono intorno alla fonte posta uel mezzo del tem-
pio , fatti perchè vi stiano i preti che battezzano , acciuccjiè stia-
no piii presso all'acqua . Al tempo del Landino, come da que-
sto di lui modo di parlai^ apparisce, esisteva cotal battistero;
né fu demolito se non ( testimonio il Rica [e] ), del 1376, oes-
[a] Vedi Purg. vfi. 84 ,xii. 67., xix. 4^., xx. 3o. e i48. [6] Tedi lb>
-strofini. Teoria e Prospello de' verbi italiani ^ sotto il wrbo Pmrwrt^
n. 5. [e] Notti, delle Chiese Fioienline. tom. 5. P. ••
CANTO XIX. 4oi
L' ano de' quali , ancor non è niolt' anni , 1 9
Rupp' io per un , che dentro v' annegava :
£ qaesto sia suggel, ch'ogni uomo sganni .
salo essendo l'antico costmne di non battezzare ( fuori del caso
di necessità ) bambini che nel sabato santo e nella vigilia di
Pentecoste [a]; costarne che, apportando necessariamente folla
di gente y aveva indotto il bisogno di provvedere i preti bat*
tezzauti di simili stalli. »-» Bella chiama la chiesa del suo saa
Giovanni , come bella comparisce anche oggidì , di diseguo però
antico, che si perde in troppo minute spartizioni, ma s\elta^
grandiosa e tutta di marmo. Poggiali. -Tutto ciò che il Poeta
qui dice, dal u. i6. sino al 21., raffredda, anzi che no, TaUen-
done del lettore, nò si potrebbe perdonare al Poeta , riflette il
sig. Biagioli , se non vi si vedesse chiaro V intenziou sua di ren-
der ragione d'un fatto che i suoi nemici imputa vangli a maU
vagio fine. Adunque, per liberare un fanciullo caduto in uno
di quei fori del battisterio, spezzò Dante col robusto suo brac-
cio la bocca del pozzetto, ev'era per annegai*si, e lo liberò.
I nemici attribuivangli quest' atto a empietà , e però dà questa
testimonianza pubblica a disinganno d*ognuno. 4-«
19 ao L'uno de^ quali j la Nidob.; J^ un degli quali j Tal-
tre edizioni ;»-¥£* un delti quali j il Vat. 3 1 99«^-a Aupp^io ec.
Intervenne ( prosiegue il Landino) che, essendo piìi ianciuUi
nel tempio di s. Giovanni, e scherzando, siccome è di lor co-
stume, uno cadde in un de* pozzi, doppio (cioè colle gambe
rivolte alla vita; positura atta a fbrmai'e incaglio ) e non se ne
potendo per altra via cavare, vi s'abbattè Dante, e di sua ma-
no ruppe il pozzo, e scampò il fanciullo. -i^*an/ie^ai^a, per
vi si soffogava, perdeva il respiro, a cagione del predetto in-
doppiamento dei di lui corpo. Quando non voglia supporsi che
per rottura fosse l'acqua della fonte penetrata nella cavità stes-
sa in cui era il fanciullo caduto.
a f E questo sia ec. , la Nidob. ed altri testi (* fira' quali il
Cass. E. R. ) ; «^/Ea , la Gcmiiniana e Taltre recenti ediz. »-» e il
Vat. 3199.4-C * Deve intendersi: E questo (cioè questi) che
io scampai sei*va a disingannare chiunque opinasse che ciò
fatto avessi per ostentazione (come il Postillatore Cass.): dice*^
[a] Vedi, tra gli altri. Durante » Itb. 6. Bapt.
roL /. v(ì
4o2 INFERNO
Fuor della bocca a ciascun soperchiava 21
D'un peccatore i piedi, e delie gambe
Iiiiiuo al grosso, e 1* altro dentro stava.
Le piante erano accese a tutti iotrambe; a5
Perchè sì forte guizzavan le giunte ,
bant eniaiy quod fecerat ad pompam ee.; ovvero per violare
le cose sacre ec. (Cosi glossa il Lsindiao) E. R.
22 e segg. -* Il Postili, del cod. Gaet., che j come già dicem-
mo, v'è fondamento di credere che sia stato .A&rji/io Ticino,
prende cosi a dimostrare la congruenza del gastigo de* simo-
niaci: Dal rectam poenam isùs Praelmis y qui debebant hor
bere inentem ad Deuni , et speculari caeiestiaj et ierrefut de-
spicerej et sequi vestigia Chrisiij cuius yicem gerani in hoc
mundo j et fatentur ; sed oppositum fecerunt ; ideo oro poena
habent mentem in terra ^et pedes odDeum^ quasi eiicereniiin
toto sperno caelestia, et terrena volo possidere ec. II Laih
dino mterpreta pur esso così ; e chi aa che, attesa la nota fami-
liarìtà di Landino con Macsilio Ficino, le idee dell'uno noesi
cambiassero con quelle dell'altro, ed insieme compissero cpel
profondissimo comento che si conosce sotto il nome del Lan-
dino? E. R. - bocca j imboccatura, orifizio; a ciascun y intendi,
toro ; soperchiat^a ^t soperchiavano (ad imitazione delFalti*
ca discoi*danza), avanzavano fuori. »-►« Io non credo, dice il
» Biagioli, che ad alcun popolo del mondo siano mai state cod-
» cesse le discordanze, e che niun autore, se non per eirofVi
» siasi mai permesso di fame ; e però affermo che il Poeta ha
» detto soperchiava j nel numero dell'uno, perchè delle parti
» annoverate n'ha composto un sol tutto, ima sola unità, e
a> questa ha avuto poi in riguardo.» <-«
23 24 D^un peccatore i piedi j la Nidob.; D*un peccatar
li piedi f l'altre edizioni, •-►e coi codd. Ang. e Vat. 3199 la
3. rom. ediz. «-« e delle gambe jìalen^ porzione j per ellissi
taciuta. — Infino al grosso j fino alla polpa ; e ToAra , il ri-
manente del corpo, dentro ^ del foro, staila.
20 Le piante , le parti inferiori de' piedi. Vocab. della Cr.
'^ accese j intendi, da fiamme che le investivano. — intrambe^
tutte e due. •-» a tutti accese intrambe , l' Ang. E. R.^-*
^^ guizzavan , si contorcevano; le giunte j le giunture j comi-
CANTO XIX. 4o3
Che spezzate averian ritorte e strambe.
Qual suole il fiammeggiar delle cose unte :i8
Muoversi pur su per T estrema buccia,
Tal era lì da' calcagni alle punte.
Chi è colui , Maestro , che si cruccia , 3 1
Guizzando più che gli altri suoi consorti ,
Diss' io, e cui più rossa fiamma succia?
messwrBf o articoli y tpiegano il Venturi j il Volpi , e ittui con-
cordemente gli Espositori. La descrizione però del cavallo che
Ùl il Pulci nel suo Morgante [ài , richiede che fet giunte » no«
articoli, ma membri sMntendano:
£gli era largo tre palmi nel petto ,
Corto di schiena y e ben guari aio tutto f
Grosse le gambe ^ e d*ogni cosa netto y
Corte le giunte 9 e il pie largo, altOf asciutto ec*
Piuttosto adunque per giunte intenderei io i colli de* piedi. E
di fiitto, intendendosi, come il Landino chiosa , che non notes-
sero costoro mover le gambe, perchè erano rinchiuse nel poz-
zo j non restava ad essi da potere agitare altro che il collo dei
piedi.
27 ritorte e strambe • Ritorta , legame fatto di ramicciuoli
o vermene attorcigliate da legare fastella (fàsci di legna) ; Crom-
ia, corda fatta non per via di torcere, ma d'intrecciare fili
d' erbe tra loro • Venturi . Qui però dee stramba , spezie di fu-
ne, intendersi pel genere, e come se avesse detto ritorte e funi .
ao pur^ solamente. — estrema buccia ^ per la parte super-
ficiale.
3o da' calcagni alle punte. Punta del piede dicesi la pai*te
dove sono le dita ; onde da'^ calcagni alle punte vale lo stesso
che in tutta la suola del piede.
3 a Guizzando più , contorcendo i piedi assai piti . »-» con-
sorti qui vuol dire sottoposti ad una medesima disgraziata
sorte* PocoiALi. 4-«
33 più rossa j più ardente. — succia. Succiare j che anche
dicesi sucdiiaref significa propriamente attrarre a sé Vtunore
e il sugo [6J,* ma qui pel diseccare ed ardere che fa la fiamma
[aj Canto zv.st. 10;. [b] Vocsb. della Crusca.
4o4 INFERNO
Ed egli a me : se tu vuoi che ti porti 34
Laggiù per quella ripa, che più giace ,
Da lui saprai di sé , e de' suoi torti .
Ed io: tanto m' è bel quanto a te piace: 87
Tu se' Signore , e sai eh' io non mi parto
Dal tuo volere , e sai quel che sì tace .
AUor venimmo in su l'argine quarto; 4^
34 che ti porti j la Nidob.; ch^C ti porti j l'altre
•-♦e cosi il Val. Sigg, seguito nella 3. rom. ediz., a fine di
aggiungere al porti ^ a maggior chiarezsa, il nominativo re-
golatore .^-c
35 che più giace j eh' è meno alta; perocché verso il cen-
tro si andavano quelle ripe di mano in mano abbassando.
m^ quella ripa^ che più giace non vuol dire quella ripa c&*è
meno alta, ma si bene quella che ha una base piti eslesa, che
giace sopra maggior larghezza di suolo , e perciò è fiii dolce
e di piii fàcile discesa . •«-«
36 forft'y torte operazioni , peccati. •-►Altrispiegaiio;de*jiioi
torti j cioè dell'ingiurie maggiori che gli sono fiitte nell'esse-
re piii degli altri cosi tormentato. 4-c
òy al 39 e sai quel che si tace y conosci il pensier mio sen-
za che te lo manifesti con parole ; e però anche nel e. xru ver-
so 118.:
Ahi quanto cauti gli uomini esser denno
Presso a color, che non 'veggon pur Vopra^
Ma per entro 1 pensier miran col senno !
»-» tanto TìCe bel , cioè m'aggrada , dal provenzale tan nitA-
bellis. E. F. — Pieni di grazia, d'onesta cortesia, e attissimi
a muover l'animo di Virgilio sono questi versi; e chi gli ode
una volta, non se ne scorda piii. Biaoioli . 4-«
4o jillor t^enimmoj intendi portato Dante da Virgilio.
•-► Disapprova il Biagioli questa interpretazione , volendo che
Virgilio non abbia portato Dante che per la rìpa del fosso,
aspra, malagevole, e forse impossibile a scendere e a salire
ad uomo vivo. Però sol dopo u Volgemmo s'ha adintenderp
che Virgilio l'abbia levato su la sua anca. Questa chiosa, se
pur non siamo in errerei puzza un tantino di sottigliezza e di
sofisticheria • <-•
CANTO XIX. 4oo
Volgemmo, e discendemmo a mano stanca
Laggiù nei Ibndo foracchiato ed arto.
E 1 baon Maestro ancor dalla sua anca 4 '^
Non mi dipose, sin mi giunse al rotto
Di quel che si piangeva con la zanca .
4i mano stanca y mftno sinistra. Vedi il Vocabolario della
Grnsca [a]; e dicesi tuttora in Bologna. m-^F'olgendo e di"
icendendoj legge TAng. E. R. 4-c
4^ fondo foracchiato , pieno di fori contenenti peccatori .
^arto per istrettOj dal latino arctus, l'adopera Dante an-
che nel Farad. \b]. Dalla strettezza essersi queste cavità ap»
pelltte bolge j è detto al »». i. del canto precedente, m^arto j
perchè foracchiato; menti-e tanto vi perdea di fondo, quanto
v'era di vano . ToaiLLi <-«
43 ancay Tosso che è tra il fianco e la coscia, sopra cui lo
portava. VinTuai.
44 •^non mi dispose y legge malamente il Vat. 3 199. «hi
rotto per rottura e foro.
45 Diquel y la Nidob.; Di quei, l'altre ediz. ^pianget^a con
la zanca, m^ zanca per zampa y gamba y è termine non per
^che intiqoato. Poggiali. 4-c (con la tanca , per cagione della
nma , invece di con le zanche). Piangere dee qui Dante avere
adoprato o nel medesimo proprio senso del latino piangere y
che significa battere y o allusivamente air originaria cagione,
per cui si fa esso piangere y sinonimo di lugere; quia (spiega
Roberto Stefiino nel suo Tesoro Latino) in ipso luctupectora
piangere solemus .* onde vedesi che non tanto esso verbo si^
gaifica lagrinune y quando dar segno di dolore* Nel pi'tmo
^eoso piangeva con la zanca varrà quanto Aa^le^a , o sbat"
leva con le zanche : »^ e in questo senso lo prende il Pog-
fi[idÌ4-« nell^altro vorrà dire che da%fa segno di dolore col di"
^^attimento delle zanche . Né , per fine y appar ragione che non
potesse l'acutissimo nostro Poeta usare cotal verbo colla mira
iQsieme ad amendue i detti sensi . »-► Anche il Torelli combina
^^1 Lombardi, e crede che Dante usi qui il verbo piango per
piango nel significato latino primitivo, derivandolo da plangoy
>] Alla voce Stanco, [b] Canio zzviii. v, 33.
4o6 INFERNO
O qua! che se' , che 1 di su tien di sotto , 4^
Anima trista, come pai commessa,
Comincia' io a dir, se puoi, fa' motto.
Io stava , come 1 frate che confessa 49
Lo perfido assassin, che, poi eh* è fitto.
Richiama lui, perchè la morte cessa.
Ed ei gridò: se' tu già costi ritto, Si
percutio ; e cosi piangeva vuol dir percuotm^a^ e foise Dante
«crisse piangeva^ -Qui ride il Biagioli a spese del Lombardi j
dandoci di questo verso la seguente spiegazione: // quale j guiz*
zando più che gli altri suoi consorti y dava sì gran segni di
dolore • -Gli editori della E. F. amerebbero di leggere piut-
tosto si piangcuay cioè si doleva y in francese seplaignait.^^
46 guai che per qualunque, [a] -* che 7 di su^ la parte
del corpo che dovrebbe star di su; -fien per tieni ^ apocope.
47 commessa per messa y fitta •
48 fa* motto y parla*
49 al 5 1 lo stava , ec. Accenna qui Dante una orrìbile seru
di supplizio praticata a' suoi tempi, ch'era d'impiantar le pela-
sene vive col capo in giìi in una buca scavata a tale efietto nel
terreno y e poscia , col gettar terra nella buca medesima y so&>
focarle. Appella vasi cotal genere di motte propagginare j pe-
rocché a somiglianza del propagginar delle viti e d'altre pian-
te • Vedi il Vocab. della Cr. Vuole adunque il Poeta dire che,
come al frate (suppone che i soli frati assistessero aggiusti-
ziandi) richiamato a confessare di nuovo il reo, mentre sta già
nella buca , conviene, per udirlo, abbassare l'orecchio alla bu-
ca; casi erasi egli abbassato per udir ciò che dal fondo delia
buca rispondess^li quel dannato : e tocca di passaggio come
richiamandosi dal reo il confessore, sospendevano i carnefici
di gettar terra nella buca per dare a colui morte ; ch'è ciò che
vuol dire perchè la morte cessa y intendi, inianio che si con^
fessa. »-^Cosi anche il cav. Monti: cessay cioè resta sospesa
per tutto il poco di tempo che dura la confessione \b'\ . 4-«
Sa 53 Edei gridò e intendi l'anima di Niccolò IIL, dì cui si
pirla appresso. »-^S«l carattere di questo Pontefice, Tedi Gio-
( tt] Cinon. Partfe. io8. 1 1. [b] Prop. vói, i. P. a. fac i5$.
CANTO XIX. 407
Se tu già costi riito, Bonifazio? .
Di parecchi anni mi mentì lo scritto .
Tanni Villani , Star. lib» 7. cap. 53. 4-c Se* tu già costì ritto ^
ec. — Tui che ^tai costi in piedi, sei tu Bonifazio? Cosi ne
dice il Venturi qualche cosa , dove sii altri affatto taciono. Du-
bito io però che ritto non sia qui il preteso aggettivo) ma una
voce niente significaute^ ed aggiunta per mera proprietà di lin-*
guaggìo ; e che scrivesse Dante costiritto , o forse costiritta , co-
me trovasi scritto auirittay quicirittai qmrìrittaeCk [a]»-»Que*
sto dubbio del P. Lombai*di è corroborato dal cod. Cass. , che
ha unita questa parola io ambidue i versi , e porta chiaramente
costiritia. I coda. Caet. e Ang. sono colla volgar lesione. E. II.
— e cosi il Vat. 3 199. ♦^
Bonifazio VIIL ( che è quello che viene qui accennalo) 9
uomo di grand* animo e di gran mente) ma pui*e tacciato come
ambizioso di signoreggiare > e d'avere usato per questo fine alti
non del tutto buoni e lodevoli , benché non mancano scrittori
che ciò negano e lo giustificano. Vehtubi. »-»Av verte saggia-*
mente a questo passo il sig. Poggiali che Dante togliesse pre-*
testo di satirizzare contro 1 tre Pontefici di lui contemporanei 9
Niccolò III. 9 Bonifazio VIIL e Clemente V., perchè y quando
scrisse il poema, si trovava egli impegnatissimo nella fazione
Ghibellina, fautrice della Potenza imperiale, nemica fin d al^
lora del dominio temporale de* Papi. — La ragione, per cui
gli collocò tra' simoniaci , riguardo ai due primi , si fu per avere
essi profusi Benefizi, Vescovadi, Cardinalati, rendite e stati
eoclesiastici ai loro parenti , ed ai fautori del temporale domi-
nio ed ingrandimento della Chiesa; riguardo poi al terzo, cioè
a Clemente V. francese, per essere stato fatto Pontefice, per
quanto ne dicono gli Storici di lui malevoli , per opera del Ae
ai Francia Filippo iV., colla tacita o espressa promessa di ti*a-
sferire la Santa Sede in Francia. 4-«
54 al 56 Di parecchi anni mi mentì lo scritto^ la profezia. Ac-
cenna che Niccolò III. prevedesse la morte diBoniiazio tre anni
dopo di quel i3oo, come realmente segui. Per cotesto scritto
tutti (a quanto veggo ) gli Espositori intendono letteralmente
una qualche scritta profezia o cabala ; ma avendo Dante , Inf.
e. X. V. 100, , dotate l'anime dannate di previsione, questa è io
[n] Vedi lì VocHb. JcUa Cr.
4o8 INFERNO
Se' tu sì toslo di queir aver sazio, 55
Per lo qual non temesti torre a ingaono
La bella Donna, e di poi farne strazio?
Tal mi fec io, quai son color, che stanno, 53
Per non intender ciò eh' è lor risposto,
Quasi scornati , e risponder non sanno .
AUor Virgilio disse: dilli tosto, 6i
Non son colui, non son colui che credi.
Ed io risposi come a me fu impósto j
Perchè lo spirto tutti storse i piedi: 64
Poi sospirando, e con voce di pianto
Mi disse ; dunque che a me richiedi ?
scritto metaforicamente detto, né v'è bisogno d'altra profe-
sìa o cabala. «— auer, ricchezze. — torre a ingaìino vale
quanto sposarti con inganno j fiitto, intendi, a s. Pier Celesti-
no. Vedi la nota al canto in. di questa cantica, %f. 69.
57 La bella Donna , la Chiesa , non habentem (^come seri ve
s. Paolo) maculam, aut rugam, aut aliquid huiusnuydi [aj.
— farne strazio^ avvilii4a col mal governo. •-►Allude ai ma*
neggi tenuti da Bonifazio VITI, con Cario IL, re di Napoli, contro
Celestino V. Questo Monaco di santa vita, e che ora veneriamo
sugli altari, fu da Bonifazio costretto, come si è altrove accen-
nato , a rinunziare alla dignità pontiGcia un anno dopo la sua
elezione ; e rinchiuso nella rocca di Fumone in Campagna , po-
co dopo vi morì . «hi [&]
58 al 60 oìud sonj la Nidob.; qua" son j l'altre edizioni
»-»> e il Yat. o 199. — Questi versi dipingono, e sempre piii si
scorge il mirabile ingegno del Poeta nostro di saper trarre dalle
minuzie stesse le bellezze della semplice natura, che piùdilet*
tano che le superile immagini e le magnifiche parole. L'attuale
stato del Poeta offre il suggetto d'un bel quadro a chi, con
ischietti e forti colori, la confusione, T incertezza e la aospen-
sion d* animo sa in tela ritrarre. Biaoioli . •«-«
[a] Ephes, V, vtn, [b] Gio. Villani Sion lib. 8. cap. 5. e 6.
CANTO XJX. 409
Se di saper oh' io sia ti cai cotanto, 67
Che tu abbi però la ripa scorsa,
Sappi eh' io ibi vestito dei graa mfiiito:
£ veramente fui (igliuol dell' Orsa, 70
Cupido. sì, per avanzar gli Orsatti,
Che su l'avere, e qui me misi in borsa*
Di sotto al capo mio son gli altri tratti, 73
68 la ripa , tra l'alto deiramne e auel fondo. Vedi il %f. 36«
mt^corsa^ in luogo dì scorsa , legge u Val. 3 1^9, — Che tu
n^abbi però ec^ legge il cod. Poggiali con miglioramento del
verso e deirespressione* 4-c
69 gran manto ^ ponti Scio .
70 ftgliuol del r Orsa. - Orsa^ stemma della famiglia Orsi-
ni 9 per la &miglia medesima . Qui si parla di Niccolò IH. som*
mo Pontefice, della Simiglia nobilissima Orsini di Aoma, pò*
sto da Dante fira' simoniaci: ma altri tengono che fosse degno
Pontefice. Volm. •-►Fq generoso , di gran consiglio 9 di buona
vita, grand^amatore e fautore delle persone dotte 9 giusto nel
dispensare le dignità e gli onori ; ma amò talmente i suoi y che
usò ogni modo per arricchirli. Tra le altre cose ebbenell'ani-
mo di fare della famiglia Orsini due Re» Tuno di Toscana, che
tenesse in fireno i Francesi, che possedevano la Sicilia e il re-
gno dì Napoli; T altro di Lombardia, che tenesse in freno i
ì^ermani, che abitavano una parte dell'Alpi* PoaTiauLi. «^J?
yeramente ec. Orsa è animale cupido : prima divora che esa-
mini quel che mangia. Cosi l'Antico, citato nella E. F. ♦-•
7 1 Orsatti^ figli dell'Orsa , per que' della famiglia Orsini»
73 Che su ec.; costruzione : che misi in borsa su , nel mon-
do , Pavere j il danaro, e ^111, nell'Inferno, nie,* cioè, misi me
bi questo foro, come danaro in borsa . »♦» È aa sapere che co-
» stoì fue corrotto per pecunia, della quale elli era vago, da
tt messer lan di Procida, trattatore della ribellione di Sicilia;
» onde elli assentie alla detta ribeUione, e del detto assentii
» mento acrisse lettere alli congiurati ; ma non le boUoe con
» papale bolla ec.» Chiosa deirAntico ripcniata nella E. F 4-«
73 al 75 Di sotto al ec.,* sinchisi la è questa, di cui dee
essere la costmzione: Di sotto al capo mio, tratti per lafes»
stira della pietra , cio^ pel foro medesimo, in cui son io ora
4io INFERNO
Che precedetter me simoneggiando,
Per la fessura della pietra piatti.
Laggiù cascherò io altresì , quando 76
Verrà colui , ch^ io credea che tu fossi , '
AUor eh' io feci '1 subito dimando •
Ma più è '1 tempo già, che i pie mi cossi, 79
E eh' io son stato cosi sottosopra ,
Ch' ei non starà piantato coi pie rossi;
Che dopo lui verrà di più laid' opra 82
Di ver ponente un Pastor senza legge,
Tal che convien, che lui e me ricuopra.
Nuovo lason sarà , di cui si legge 85
«
impiantato: sono piatti^ appiattati, nascosti (distesi e non
dritti sottosopra j com'era luiy chiosa il VcUutello), gii al"
tri, che precedetter me simoneggiando* m^piatti per nor
scosti j anche Torelli, ^^m
'j'j colui jF^psi Bonifazio suddetto.
78 dimando f richiesta, che fu quella: se* tu già costi nt^
to ec. V. 52.
79 all' 84 Ma più è 7 tempo ec. Fingendo Dante questo suo
viaggio, come al primo verso del primo canto si è avvisato^
nell'anno 1 3oo, venivano ad essere già anni venti che Niccolò
(morto nel 1280 [a]) stava in quella positura; e tra la motte
di Bonifazio Vili, e quella di Clemente y« (che ò quel Pastor
che dice t^rrà di s^er ponente j cioè dalla Francia, dalla Gua-
scogna, eh 'è al ponente di Roma) corsero aj^na anni undi-
ci \b]. Dice adunque vero Niccolò, ch*era già più tempo che
se ne stava egli in quella positura y di quello stato vi sarebbe
dopo di lui Bonifazio . — pie rossi vale accesi , come disseti
nel u. a5. di qiìesto canto. »-^ Che di pò* lui ^ al i^. 8 a. 9 l^ggc
il Vat. Stgg. •«-«
85 air 87 Nuowjf lason ec. Paragona Clemente V., peroc^
che eletto Pontefice pel preteso &vore di Filippo il Bello 9 re
di Francia, al perfido lasone per favore d'Antioco £ato sommo
[»] Vedi gli Krilton delle Vite de' Papi, [b] Vedi siiacnttori iMdesiw.
CANTO XIX. 4ti
Ne' Maccabei ; e come a quel fii moDe
Suo Re, cosi ila a lui chi Francia re^e.
Io non so s' i' mi fui qui troppo folle : 88
Ch' io pur risposi lui a questo metro :
Deh or mi di' quanto tesoro volle
Nostro Signore in prima da san Pietro , 91
Gh* ei ponesse le chiavi in sua balia ?
Certo non chiese, se non: viemmi dietro.
Né Pier , ne gli altri chiesero a Mattia 94
Oro, o argento, quando fu sortito
sacerdote» come si teme nel lib. a. e. 4* de'Maccabei : A difesa
diGlemeiitey.scrìveNat. Alessandro : Conftdas in eius odium
calumniaSf ob sedis in GiUliam traslationem t et ordinis
T&nplariorum extinctionemy Itali seriptores ^vulgarunt [a],
--^ molle per arrendeifole à*prieghi j ^erfai^reyole.th^Qiiia
promisit regi Frandae qmdquidj ut esset Papa* Cosi il Po*
stili, del codice Gaetano. E. n. 4-c
88 folle j per ardimentoso a riprendere tali e tanti perso-
89 a questo metro, cioò a questo modo • VbiluteIiLO*
90 al ga Deh or ec»i costruzione: mi dV quanto tesoro nO"
Siro Signore volle da s. Pietro in prima ( vale lo stesso che
prima , avanti) che ponesse le ahiavi , della Chiesa, in sua ba^
Ha j in suo ari>itrìo? "Ch^eij legge la Nidob,; Che, l'altre edi«
rioni. •-♦ Nostro Signore in pria che a santo Pietro 9 — Ei
ponesse le chiavi in sua balia? ha TAng. E* R«» — e il Vat*
3199 legge i suddetti due versi cosi: Nostro Signore impria
da San Petro^ - Che U ponesse le chiavi in balla? 4-c
93 »^ Certo no i chiese , se nom Viemmi retro j legge il
Vat. 3 199. 4-c Viemmi dietro, Sequere me^ cosi nel Vangelo
di s. Giovanni y e. ai.
94 chiesero . »^ G>si leggono la volgata , il ood. Gaet, il sig.
PortireUi ed altri: il P. L. nella «uà raiz. del 1791 vi aveva
soatitnito tolsero senza recarne alcuna ragione ; ma forse egli
tolse questa lenone, dice TE. R., dal cooL Angelico» 4-c
[n] Saee, siv. cap. 9. art. i.
4ia INFERNO
Nel luogo, che perde raaima ria .
Però ti $ta, che tu se' bea panilo, 97
E guarda ben la mal tolta moneta ,
Ch'esser ti fece contro Carlo ardito:
E se non fosse , eh' ancor lo mi vieta 100
96 Vanima ria^ Giada, in di ed hiogo fusoscitoito •• Mat-
tia . »^ Al luogo I legge elegantemeiite l'Ang. E. R. -^ e cod
il Val. 3 199.. 4^
97 »-^cAè per poiché^ così nói, interpretando : Però tire--
staj poiché ben giusta ò la tua punizione» <-«
98 E guarda ben ec.j allusivamente a quanto è detto nella
nota a' versi 1 o. e 1 1 • del presente canto; e fora' anche a quella
imprecazione di s. Pietro a Simon mago: pecunia tua tecum
sit in perditionem \a\ • m^ E guarda ben ec, Gbìaro è questo
testo per ciò che abbiamo aggiunto alla nota del v. 72. di que»
sto canto. -^ E guarda ben vuol dire : e considera y oppure
custodisci •, ironicamente, TombIiLi.^-c
99 Ch* esser ti fece ec. Accenna qui Dante ciò ohe di Nic*
colò III. scrive Gio. Villani. Ancora imprese tenza (tento-
ne, contrasto ) col Re Carlo , per cagione che il detto Papa
fece richiedere lo Re Carlo d^ imparentarsi con luij%^endo
dare una sua nepote a uno nepote del Re ; il quale paren"
tado lo Re Carlo non volle assentire j dicendo e perdi* egli
abbia il calzamento rosso , suo lignaggio non è degno ili mi^
schiarsi col nostro ;e che sua Signorìa non era retaggio . Per
la qual cosa il Papa contro a lui indegnato , non fu poi suo
amico; ma in tutte cose al segreio gli fu contrario ,* e del
palese gli fece rifiutare il Senato di Roma e 7 f^icariato di
Toscana ec. [&]• Gli Espositori dicano invece che NicocdòIIL
richiedesse al re Garlo mia figliuola per un suo nipote ; ed il
Volpi e il Venturi danno al nominato re Garlo il luogo di se*
condo malamente; imperocché mori Garlo I. del ia84 [c]y
quattro buoni anni dopo Niccolò IH. »^ Il Postili. Caet. dice
che richiedesse la figlia , e dice Carolum prinuun* E« R. «-«
' loo foi ancor f quantunque sii neirinlenio.»^ Rispetto-
sissimo sempre mai si dimostra il Poeta nostro verso le dignità ,
[a] Jet, 8. [b] Lib. 7. cap/54* [e] Gio. VilUni ael cit. lìb. 7. csj». 94-
CANTO XIX. 4i3
La riverenza delle somme Chiavi ,
Che tu tenesti nella vita lieta ,
Io userei parole ancor più gravi j i o3
Che la vostra avarizia il mondo attrista,
Calcando i buoni , e sollevando i pravi .
Di voi Pastor s accorse il Vangelista , 1 06
Quando colei , che siede sovra V acque ,
Puttaneggiar co' Regi a lui fu vista ;
Quella 9 che con le sette teste nacque . 1 09
ma Musa alcun riguardo alle persone che le disonorano. Ria-
gioì»! . ♦-•
ioa lieiaj al paragone della trista colaggiù,
io4 Chò YAÌeqyi perocché .
t o5 •-» Calando i buoni y ha l'Ang. ; su levando i prayi , il
detto cod. Ang. E. B. — e il Yat* 3 1 99. — Versi pieni di nohi-
le sdegno» di verità e di maschio vigore. Così Boezio ^ lib. 3.;
jit perversi resident celso^^Mores solio j sanctaque calcant
— tniusta vice colla nocentes. Biagioli. <-•
106 al 108 Di voi Pastor (per Pastori) si accorse ec. ìtìr
sgnaida onesto parlar di Dante a crael passo dell'Apocalisse,
ove dice 1 Angelo all'Evangelista s. Giovanni: F'eni , ostendam
tibi damnadonem meretricismagnaej quae sedet super aquas
mukas f cum qua fornicati sunt reges terrae . • . haòentem
capita septem et comua decem [a]. Sembrato cioè essendo al
Poeta , forse per avere gli occhi di ghibellinesco atro umore vi-
ziati, che si prostituisse ai Begi la pastorale pontificia dignità,
massimamente in Bonifazio Vili, ed in Clemente V. [6] , pre-
tende perciò avere il Vangelista san Giovanni riconosciuto ngur
nrsi cotal prostituzione in quella della riferita meretrice.-^iiae
sedei super aquas multasy idest (chiosATirìno) quae praesi"
dei , et ifnperat nudtis populis , instar aquae paulatìm dila*
benùbus , et sibi invicem succedentibus . •-^che sedea , al ver-
so 107., l'Ang. E. B.4-«
1 09 Quella , che ec. Qui Dante ( dice il Venturi ) imbroglia
il sacro tcssto, dove le sette teste unitamente con le dicci coma
[a] Cap. 17. [b] Vedi Purgai, xzxu. 149. e quella nota.
4i4 INFERNO
E dalle diece coma ebbe argomento.
Finché vinate al suo marito piacque •
Fatto v'avete Dio d' oro e d'ai^ento: 1 1 a
E che altro è da voi all' idolatre ,
Se non eh' egli uno, e voi n'orate cento?
non si dice averle la meretrice , ma la bestia sa coi ella sede»
▼a . Monsig. Bossuet però » nella sua Spiegazione deWApocO'
lissej dice che s. Giovanni spiega chiaramente che la bestia
e la donna non sono in sostanza che la stessa cosa [aj.
— * sette teste. Vuole il Landino per queste sette teste inteso o
i sette sacramenti , o (com'altri chiosano) i sette doni dello Spì-
rito Santo, 0 le sette virtii, tre teologali e quattro cardinali.
Nel canto però xxxii. del Purgatorio non solamente rammemo-
ra Dante queste sette teste medesime [6] , ma le fii capire quali
cose distinte e dai sette doni dello Spinto Santo , che i%ipure
figura in sette fiaccole [e] , e dalle teologali e cardinali viitìi,
che in sette donne rappresentata [d] . Adunque e pel settenario
numero 9 ohe ( esclusi i doni dello Spirito Santo e le sette men-
tovate virtii) non pare applicabile ad altro che ai sette sacra-
menti, ed ijtresì per convenire in quel canto xxxii. del Pur-
gatorio ai sette sacramenti l' uflizio a cui vengono ivi le sette
teste deputate, non intenderem qui per le medesime teste che
i sacramenti, coi quali massimamente, piii che coi sette
dello Spirito Santo o còlle sette virtii , pare che possa dirsi
ta, ossia da Gesù Cristo instituita la pontificia dignità*
Ito E dalle diece coma : per queste i dieci comandamenti
di Dio intendono tutti gl'lnterpretvjcoraunemente. — ebbe or-
gomentOf ebbe la pontificale dignità segno, ripvova d'essere,
qual'è, instituita da Gesii Gìsto.
1 1 1 JFin che virtute al suo marito piacque: finché i som*
mi Pontefici mariti y sposi della santa Chiesa, furono virtuosi,
osservanti de' medesimi divini comandamenti.
1 1 2 Fatto v'anfcte Dio d'oro e d* argento . Simulacrorwn
senàtus dicesi l'avarizia anche da s. Paolo [<?].
1 13 m4 9-^Et ch*è altro da voi alT idolatre j ha il cod.
[a] Al cìt. cip* 17. [b] Verso i4S*e8egg. [e] Verso 98. e segg. [«'jUi»
[e\ jid Coioss, III. 5«
CANTO XIX. 4i5
Ahi, Costaotin, di quanto mal fa maire, 1 15
Non la tua conversion, ma quella dote
Cbe da te prese il primo ricco Patre !
E mentre io gli cantava coiai note, 1 18
O ira, o coscienza, che '1 mordesse,
Val 3i()g.4-« idolatre per idolatri (a cai perciò si accoixla
Vegli del seguente verso, che vale /quant '0^/irao \a])j antitesi
ne* primi tempi della toscana favella pi-aticata . Vedi il Manni
nella Tauola delle tfoci più notabili f posta in fondo ai Gradi "
di san Girolamo <, alla voce Pro fé te. Uno e cento y non che
(chiosa il Venturi) 1* idolatria adorasse un solo, ma perchè ogni
popolo riconosceva qualche suo nume con culto speziale . A me
però piacerebbe piii d'intendere, che uno e cento sieno qui
numeri determinati in luogo d'indeterminati qual si vogliono
aventi la proporzione che è tra il cento e V uno ; e come se "^
detto avesse; per quanti idoli si adorassero gC idolatri , ite
adorate voi cento yoUe pia , poiché vi fate idolo ogni pezzo
d*oro e d'ai^nto, ogni moneta. ^^ orate per adorate. m-¥ Se
non ch'elli unoy legge il Vat. 3 199. — onrate , in luogo di
orate y le»e il ood. Ppggiali; bella variante, e che forma un
senso molto congruo a tutta l*espi*essione. <-•
1 15 al I ly Ahiy Costantin ec. Intende il Poeta, giusta la
persnasione in che si viveva a' tempi suoi [6] , che per 1' Impe->
rator Q)$tantino Magno donata tosse Roma a san Silvestro
Papa \c]j cui perciò appella il primo ricco Patre; e intende
che cotal dote^ cotal donazione, cagionasse nel Papa e negli
ecclesiastici l'amore alle ricchezze, e conseguentemente altri
infiniti guai . Mostrandoci però la sperienza , che per esibizio-
ni torce dal dritto piti facilmente il povero che il ricco, peg-
gio forse sarebbe se gli ecclesiastici fossero poveri . — matre
e patre f antitesi prese dal latino in grazia della rima.
1 18 cantala. Cantare qnì ^t parlar francamente, -^note
per parole y in corrispondenza al cantare; che nota propria-
mente vorrebbe significare segno di canto*
\n^ CiiiOii. Pariic, 101. 7. [b] V(*fli, tra gli altri montitneiiti,1ii Croiiic»
>l «rtiniana, osi'i di Martino Poloiio , Silvesttrt Costntiiinus. [e] Veili
Paracl, zz. 55. e segg.
CANTO XX.
ARGOMENTO
In questo canto tratta il divino Poeta della pena di
coloro che presero , vivendo . presunzione di predire
le cose avvenire; la guai pena è l'avere il viso e la
gola volti al contrario verso le reni; ed in questa
guisa , perchè è tolto loro il poter vedere innanzi ,
camminano all' indietro. Tra questi trova Manto
Tebanay da cui narra avere avuto origine la cele-
bre città di Mantova • E son questi così faiii in-
dovini posti nella quarta bolgia .
D
i nuova pena mi convien far versi , i
£ dar materia al ventesimo canto
Della prima canzon, eh' è de' sommersi .
3 Della pritna canzon^ eli è de* sommersi. Sommerso per
similitudine vale ricoperto da checchessia (Vocab. della Cr.) ; e
bene perciò si appropria a' dannati ricoperti nell'infernale buca
dalla terrestre volta.
Qi«/ (critica il Venturi) /a chiama canzone , altrove com-
media , altrove poema; e che nome non dà a questa sua opera?
Dante ( risponde al Venturi bravamente il sig. Rosa Mo-
rando) dividendo Topera sua in tre parti, e a ciascuna dando
il nome di canzone , ossia cantica , non viene per questo a dar
più d' un nome alla sua commedia , come non si danno molti
nomi a una commedia , chiamandone le parti or prologo > ora
attOj ora scena. Quanto poi al nome di poema ^ questo è un
nome generico y per parlare alla maniei*a de'loici ; e si posson
CANTO XX. 419
Io era già disposto tutto quanto 4
A risguardar nello scoverto fondo,
Che sì bagnava d'angoscioso pianto:
E vidi gente per Io vallon tondo -^
Venir, tacendo e lagri mando ^ al passo
Che fanno le letane in questo mondo.
Come 'I viso mi scese in ior più basso, , io
chiaì^Sire poemi tanto V Iliade e V Ulissea d' Omero , quanto
ìeNubi e il Platon d'Aristofane; né perciò queste due comme-
die avrebbero più d' un nome , come non lo avrebbe j per esem-
pio, F'erona (patria del sig. Filippo ) se si chiamasse col nome
generico di città. Intorno ali* aversi chiamate cantiche, ossia
canzoni j le tre parti di (f^vislai commedia y leggasi il Mazzoni
nella sua Difesa {^^^vU i. lib. 2. cap. '40. ), che molto erudita-
mente ne parla y mostrando come gli antichi dissero cantico il
monologiOf e come si può compor commedia di soli cantici.
La ragione che qui il Rosa afirgiunge , per cui Dante ap-
pellasse questa sua opera commedia j vedila da noi riportata
nel volume quinto della presente edizione.
4 5 Io eragià disposto tutto quanto -' ^ risguardar ^ vale
come 9 Io m^ era già posto con tutta quanta Inattenzione a
risguardare. m-^A riguardar , ^cgge il VaU 3199. ^^ ^c*^"
vertOf patente all'occhio mio, in quel colmo dell'arco , do»
v'era [a], in tutta l'estensione da un lato all'altro [&1.
6 si bagnaifa d* angoscioso pianto, che V angoscia sprem<^-
va e faceva cadere dagli occhi di que' dannati.
7 tondo, circolare.
8 9 al passo ''Che fanno le letane ec. A quel passo lento
e posato che fanno le nostre pix)cessioni , appellate litanie y
dice il Magri [e], dalla voce greca XnotpeiXy che significa sup-^
plicazione, per le preghiere che nelle processioni si fanno.
— letane f invece di litanie, adopera anche Gio. Villani [d].
•-►Il cod. Caet. legge assolutamente letanie; — e Co* per co-
me l'Ang., invece di Che. E. R. ^-«
IO i^i^a, alla latina, in significazione di vistaediocchi.VziiTURr.
fui Canio preced.v. laS. [^] Inf. TVi\uv.iog.tsegfi^*[c]NotUmd0vo'
taùoU eceles. [d] Grou. lib. a. cap. i3.
/Ì2o INFERNO
Mirabilmente apparve esser travolto
GiascuQ dal mento al principio del casso :
Che dalle reni era tornato il volto, i3
Ed indietro venir li convenia ,
Perchè 1 veder dinanzi era lor tolto .
Forse per forza già di parlasìa 16
Si travolse cosi alcun del tutto;
Ma io noi vidi, né credo che sia.
II I a ciisso 9 sastanti vo j la parte concava del corpo circon-
daU dalle costole ( Yocab. della Cr. ) , altrimenti appellato bu-
sto , torace . Dicendo adunque esser travolto - Ciascun dal
mento al principio del casso , vuol dire che al torcitura si &•
ceva tutta nel collo. **IlGaet. legge, tra il mento ec.^m^e così
il Vat, 3 j 99; 4Hi e ciò indica forse meglio la parte , cioè il collo,
in cui si scorgeva la controversione della faccia verso le spalle.
E. R. La ragione di fingere tale punizione in costoro, che sono
gr indovini, vedila nel y. 38. •-►e nella nota sotto al i/. 14. <-•
1 3 che saie perocché . — reni , una delle parti deretane del
corpo nostro , per tutto il di dietro di esso. — tornato per ri-
corro , voltato •
14 Ed indietro venir li ( per loro [a] ) convenia. Aven-
do essi il viso dalla parte della schiena, per vedere ove si an-
dassero conveniva loro andare indietro, cioè al contrario dello
andar nostro. m-^E dirietro venir y legge il Vat. 3 199. — Os-
servi r accorto lettore quanto giudiziosamente il Poeta Cnge
costoro col viso si rivolto. £ssi furono indovini; vollero col
corto veder nostro penetrar nelP avvenire ; ora conviene che
guardino indietro : il che , col rammentarne loro la cagione ,
raddoppia il tormento presente. Biagioli. ^hi
1 6 parlasìa eparalisìa , come parletico cparalitico , scris-
sero gli antichi ugualmente ( vedi il Yocab. della Cr. ) ; ed è,
dice il Volpi, risoluzione de* nervi, che cagiona storcimento
di alcuna parte del corpo •
18 né credo che sia, che trovisi al mondo.
[a] Allo stesso signìficatg adoprò il Boccaccio il pronome gli. Vedi
CiuoD. Par tic. 118. i.
CANTO XX. 4^1
Se Dio ti lasci y Lettor ^ prender frutto 19
Di tQa]leziooe , or peasa per te stesso ,
Gom' io potea tener lo viso asciutto,
Quando la nostra immagine da presso 22
Vidi si torta , che 1 pianto degli occhi
Le natiche bagnava per lo fesso .
Certo io plangea ^ poggiato ad un de* rocchi 2 5
Del duro scoglio, s) che la mia Scorta
Mi disse : ancor se' tu degli altri sciocchi ?
Qui vive la pietà quand' è ben morta : a8
19 al ai Se Dio ec. Dovrebbe la costruzione esser questa:
Orà^ Lettore j se Dio ti lasci prender frutto di tua lezio^
ne; cioè: Or posto » o Lettore 9 che Dio ti conceda commovi-
mento ed orrore nel solo leggere queste cose , pensa per te
stesso f coni io potea tener lo i^iso asciutto, com'io, presen-
te trovandomi alle cose medesime , contener mi potessi dal
piangere. «-^Mai secondo il Biagioli, il sentimento di questi
versi è il seguente: O Lettore y se io priego Dio che ti lasci
prendere frutto di tua lezione y tu, in ricambio di questa
mia preghiera y pensa se possibile era eh* io non piangessi
nel vedere eCn <-«
^n la nostra immagine ^ l'umana figura in quelle ombre.
a3 al a6 sì torta , che ec* Lodando qui il Daniello la variar
zione che usa il Poeta nel ripetitamente descrivere cotale stor-
cimento deiruman corpo, vorrei y vi aggiunge il Venturi, po^
ter sempre lodare ancor la diecenza. L'espressione però con-
tenuta ne' termini che adoperano gli anatomici , è in questi casi
sempre la piii decente. — o^iin de* rocchi, tocchinoti è qui
il plurale di rocco » ma di rocchio , che significa (spiega il V o-
cab* della Cr.) pezzo di legno , o di sasso , o di simil mate^
ria; onde ad un de* rocchi del duro scoglio vale quanto, ad
un nia3so prominente da qneilo scoglio sconcio (canto prece-
dente, V. i3i.)) scabroso, su del quale stava a guardare.
37 degli altri sciocchi y mondani . m-¥ Mi disse e se* tu an-
cor y con piii facii lezione il cod. Ang. E. R. 4hì
38 Qui vive la pietà quand^è ben mortac corrisponde a
questa quell'altra espressione : E cortesia fu lui esser villa»
liii INFERNO
Chi è più scellerato di colui,
Cb' al giudicio divio passioa comporta ?
Drizza la testa, drizza, e vedi a cui 3i
S'aperse agli occhi de' Tebau la terra;
no [a]; e per ben tnorta intende la pietà y in cui sia estinta
ogni umana passione; talché sia tutta zelo della gloria di Dio:
né certamente a questo modo v'è cosa, per cui possa dirsi il
Poeta qui non teologo , come il Venturi borbotta . »-»> In so-
stanza vuol dire che qui è pietoso chi non sente di costoro
compassione alcuna. — Il Biagioli ci oSv^ una seconda inter-
pretazione di questo verso. L'ordine diretto delle parole è il
seguente: La pietà vi\»e quiy quando la pietà è qui ben morta.
Pigliandosi pertanto la voce pietà della prima proposizione nel
senso di devozione od affetto alle cose di religione <, e nella
seconda proposizione in quello di compassione , vorrebbe dire
che il non aver per coloro nessuna compassione, è un vero es*
serpio; poiché coU'aver sì fatto sentimento per coloro che dal-
la divina giustizia puniti sono, è in certo modo un disappro-
vare il giudizio di Dio, che è la maggior scelleratezza che possa
Tuomo commettere . ^-«
3o al '^ik passion comporta <, legge la Nidob. con migliora*
mento del verso («-^e cosi il Caet. E. R., eilVat. 3 199, ed il cod.
Poggiali. ^-m)y ove l'altre ediz. Xeggono^passion porta. Com»
portare significa soffrire; comportar aàimqìie passione al giù*
di zio disino vuol dire, soffrire patimento al mirare in altrui
gli effetti della divina giustizia. «-^ Grida il Biagioli controia
lezione diNidobeato, che, secondo lui, guasta i7 i'erjo , tar^
monia e il sentimento . S'egli abbia torto o ragione , lasceremo
che ne giudichi il lettore intelligente e spassionato. La corre»
zione di Nidobeato piace al cav. Strocchi, dolendosi però che
i seguaci di tal lezione altro non v'abbian notato che il miglior
suono del verso. Era qui, secondo lui, da notarsi un tropo
grammaticale, per cui, invece di dire volgarmente, compassion
porta j si è detto alla foggia latina, passionem comp<»tare^
portare insieme il male . ^-m a cui per quello a cui . m-^Drizza
la testa; disse ^ ec. legge il Vat. Sipg.^-» agli occhi de^Tc"
San vale quanto i'eggenti quei di Tebe assediati .
[a] Inf. XI SUI. I So.
CANTO XX. 4^3
Perchè grìdavan tutti : dove roi j
Aoiìarao? perchè lasci la guerra? 34
E noQ restò di ruinare a valle
Fino a Minos , che ciascheduno afferra .
Mira eh' ha fatto petto delle spalle: 3^
Perchè volle veder troppo davante ,
Dirietro guarda, e fa ritroso calle:
33 34 doi^ ruij^Anfiarao? Aafiarao, figliuolo d'Oicleo,
o di Linceo, fu uno de' sette Regi che assediarono Tebe per
rimettervi Re Polinice. Essendo egli indovino, ed avendo pre-
veduto che portandosi all'assedio di Tebe vi sarebbe perito,
erasi perciò nascosto in luogo noto alla sola propria moglie. Ma
vinta costei da Argia, moglie di Polinice, coirofferta di un pre*
sioso gioiello, manifestò dov'era il marito; e condotto per forza
a quell'assedio, mentre valorosamente combatteva gli si apri
sotto 1 piedi la terra, e Io inghiotti. Adunque ^oi^e rui^ An--
fiarao? sono voci derisorie degli assediati Tebani, allegri di
cotale di lui disgrazia. Rui adopera qui Dante a cagione della
rima per ruinìj cadij come nel Parad. xxx 8a. riiaper corra
in fretta; significati ambedue del verbo latino ruo , ìs; e forse
qui ebbe il Poeta, come il Daniello avverte , qualche particolar
riguardo al verbo stesso che pone Stazio in bocca di Plutone
interrogante il caduto Anfiarao : qui limite praeceps - Non li^
cito per inane rais [à]^
35 a valle j posto avverbialmente, significa a ior^o, alla^'neiù.
Vedi il Vocab. della Crusca che , oltre ad altri esempj di Dan-
te, ne reca mio ancora dell'Anosto.
36 Fino a Minos y cioè fino all'Inferno ed al giudice Mi-
nos [6]. — che ciascheduno afferra. Afferrare qui metafori-
camente per sindacare e giudicare , come dicesi comunemente
capitar nell'unghie dì alcun giudice chi capita sotto il giudizio
del medesimo. Tale caduta di Anfiarao dirittamente fino all'In-
ferno finge anche il prelodato Stazio [e].
39 fa ritroso calle. Calle significa lo stesso che Wa, e ritroso
vai quanto retrogrado; e ve n'ha molti esempj anche d'altri
«rriltori ( vedi il Vocab. della Cr. ) . Adunque fa ritroso calle
[a] rheb.\\h.%. i'. 85 e seg. [6] f nf. v. 4. [e] ThebAxh. ^ . nt\ fine.
4i4 INFERNO
Vedi Tiresia, che mutò sembiante ^ 4^
Quando di maschio femmina divenne,
Cangiandosi le membra tutte quante :
£ , prima , poi ribatter le convenne 43
Li duo serpenti avvolti con la vei^a ,
Che riavesse le maschili penne.
Aronta è quei , eh' al ventre gli s atterga , 4^
vuol dire il medesimo che/^ passi retrogradi. Qui ritroso (chio-
sa il Venturi) forse dal retrorsum latino riconosce ^origine siia«
4o al 4^ F'edi Jìt&sia, ec^ Tiresia TebanOy altro celebre
indovino . Hassì nelle favole che nell'atto che costui penxisse
con una vei^a due serpenti, maschio e femmina, insieme avvi-
ticchiati , d uomo in donna si vedesse cangiato; e che non ri-
acquistasse il sesso primiero se non dopo se tt' anni, mentre ri-
trovati i due medesimi serpenti nello stesso atto, percosseli di
nuovo. — Cangiandosi le membra tutte quante; richiedendo
il diverso sesso non solo diversi oigani, ma diversa simmetria
anche degli organi ad ambo i sessi comuni . — E prima ec. ;
costruzione: £ /e ( a lei Tiresia, allora femmina) (•-►Il cod^
Vat. 3 199 legge però li invece di le . ^^) convenne poi ribat"
ter con la verga li duo serpenti avvolti ^ prima che riavesse
le maschili penne. - Le penne ( chiosa il Ventm*i) si pongono
qui per le membra; così ci avvisa il gran Vocabolario degli
Accademici : ma forse intese Dante piuttosto indicar la bail»
virile, i peli della quale àncora nel canto i. al i^. 4^. del Pur-
gatorio chiamerà piume . «-^ Cosi anche il Poggiali ; ma il Bia-
gioli (forse per non convenire col Lombardi ) per queste ^enne
vuol che s'intenda ìayece le forze maschili trasfuse in tutte
quante le membra. 4-«
46 Aronta è quelj la Nidob.; ed è quei 9 Tal tre edus. , »♦ e il
nostro testo coi codd. Caet. e Vat. 3 199, e colla 3.roni. ediz.,
sembrando anche a noi che , palpandosi di persona, il quei sia da
preferirsi.^-* Ai-onta, 0 Aron te, indovino celebre della Toscana,
abitò ne' monti di Luni sopra Carrara. Luiii era città situala a
lato della foce della Magra, da cui ancora il paese d^ intomo
ritiene il nome di Lunigiana. Venturi. •-»> Questi fìie Aruns^
del quale p<ir]a Lucano nella Phars. lib. i.v. 586. e segg.; cosi
l'Antico, citato nella E. F.-^^ ch^'al ventre gli s'^atterga y che
CANTO XX- 4^5
Che ne' monti di Lnni, dove ronca
Lo Carrarese che di sotto alberga,
Ebbe tra' bianchi marmi la spelonca 49
Per sua dimora ; onde a guardar le stelle
E 1 mar non gli era la veduta tronca .
E quella, che ricuopre le mammelle , 5 2
Che tu non vedi , con le trecce sciolte ,
Ed ha di là ogni pilosa pelle ,
Manto fu, che cercò per terre molte, 55
gli sta dietro al ventre , 0 che al ventre di Tiresìa accosta il
tergo, essendo anche ArontCì come tutti quegli sciaurati indo-
vini, colla faccia dalla parte della schiena.
47 al 5 1 Che né* monti ec, ; costruzione : Che ebbe per sua
dimora la spelonca tra^ bianchi marmi ( tali appunto sono I
marmi di colà ) ne'* monti di Lunij dove lo Carrarese ( il nu«
mero singolare pel plurale ) , che alberga di sotto ai medesimi
monti , ronca , coltiva la terra . Roncare propriamente è net-
tare i campi dalPerbe inutili e nocive ; ma si pone la spezie
pel genere. Vbntubi.^— *L*ant. Postili, del cod. Cass. su la
parola ronca nota.* idest stertit, quia poni tur prò moraturj
%^l habitat. E siccome il rhoncus dei Latini è il russare, po-
trebbe dii*si che roncare si usasse in italiano per lussare , rhon^
cos edere j volgarmente ron fare . Forse ad alcuni persuaderà
più la nota del Postili . Cass., che l'autorità del Venturi . E. R«
»-» Buon prò lor faccia! per noi ci atterremo al Venturi , segui-
to qui pure dal Poggiali e dal Biagioli ; anzi quest'ultimo in
proposito s<^giunge : «Se il cod. Cass. e Vant. suo Postili, uan*
no su questo piede 9 diansi pur tosto al fuoco . 4-a ondeaguan-
dar le stelle j" E*l mar^ per formare i suoi vaticinj , non eli
era la ^veduta tronca ^ non gli erano per l'altezza del sito della
spelonca tronchi i raggi visuali da vermi oggetto di mezzo.
5a 53 le mammelle , - Che tu non vediy perocché porta-
vaie nella parte opposta alla faccia, e però naturalmente rico^
p*rte dalle trecce sciolte.
54 £d ha di làj cioè nella detta parte opposta alla faccia.
<— ogni pilosa pelle dell'occipite e del pettignone.
óò A/anto^ tcbana indovina, figliuola di Tìresia soprad-
4i6 INFERNO
Poscia si pose là , dove nacqa io :
Onde un poco mi piace che m' ascohe .
Poscia che '1 padre suo di vita uscio, 58
E venne serva la città di Baco,
Questa gran tempo per lo mondo gio .
detto , dopo la morte del padre , fuggendola tirannia di Creonte ,
abbandonò la patria; e vagando per molti paesi, fu anche in
Italia, dove dal fiume Tiberino ingravidata, partorì Ocno, che
fondò Mantova, e denominolla cosi dal nome di sua madre:
lUe edam patriis agmen ciet Ocnus ab oris ,
Fatidicae Mantusy et tusci filius amnis ,
Qiù muros, matrisque dedit tibi, Mantua, namen [a].
5b tó, </ot/e /lac^tt' IO -Virgilio propriamente nacque in An-
des , terra picciola nel Mantovano , se presti am fede al suo ap-
passionatissimo imitatore Silio Italico ,lib. 8. : Maritua Musarum
donuisj atque ad sidera canta- Erecta jéndino. Testimonia
10 stesso anche Donato nella di lui vita: natiu est in pago , qui
Andes dicitur. Si è scoperto il sito preciso dove nacque Vir-
gilio dal Marchese Malfei , e si chiama in oggi Bande. \ edi
il tomo 2. della Verona illustrata alla pagina 6, dove tratu
di Catullo. Vehturi. Nondimeno però, come Virgilio stesso,
prendendo Mantova pel Mantovano, disse: Mantìta me gè-
rutit [A]; così potè Dante far dal medesimo dire; Manto si
pose làj dov^e nacquio: Mantova mia terra ec.
^y un poco nu piace che rnascolte, CJostruziooe: AC pia-
ce che nii ascolte ( per ascolti ) un poco .
59 sen^a^ schiava del sopraddetto tiranno Creonte. ^ la città
di Baco , Tebe , perocché patria di Bacco. — Baco per Bacco
in rima . Vedi il Varchi nell' Ercolano a carte 1 90, ed il Saltini
nella 2. parte àe'' Discorsi accademici^ carte 5o5— 5o6. Volpi.
11 Venturi però, senz' altra brij^a , pronunzia ex tripode che
Baco o significa i^erniicefloj o è voce da far paura ai bam-
bini. Baco , il Dio del viiuj , con una e sola pronunziasi in Lom-
bardia e nel Veneziano; e come Dante da queste ed altre na-
zioni prese lodevolmente termini affatto dai toscani diversi,
molto più potè in grazia della rima sceglierne una solamente
varia nella non addoppiata r.
[a] y\r^\\.A€neid x. 1 98. e scgg. [h] Vedi Donalo nella Fita diF^irgiiio.
CANTO XX. 4i7
Suso in Italia bella giace un laco, 6i,
Appiè dell'Alpe che serra Lamagna
Sovra Tiralli, ed ha nome Benaco.
Per mille fonti, credo, e più si bagna, 64
Tra Garda e Val Gamonica , Pennino
61 al 63 SusOf relativamente all' Inferno «^ —^lace, stasi-
taato. — nn lacoy antitesi presa dal latino in grazia della rima
anche dall' Ariosto [aj . -p/Ì ha nome Benaco . m^c*à nonieBe»
nacoj il Vat. 3 1 pc). <-« jB (juesto il nome ch'ebbe dai Latini il
lago detto oggi voigarmeate di Garda . -^u^ppie delVAlpe che
serra Lamagna — Sovra Tiralli. Tiralli scrive anche Gio.
Villani [&] invece di Tirolo, borgo una volta, capo della Con-
tea denominata da esso del Tirolo [cj ; ed Alpe appella qui
il Poeta tutto il montuoso lungo tratto dal lago di Garda fino
al princìpio delPAlemagna sopra del Tirolo. •■^ giace un loco
soura Tiralli ec^f cosi anche si potrebbe costruii'e ed interpre-
tare : giace un lago vicino al Tirolo ( Provincia ) ; la qual cosa,
rapporto al Benaco, è verissima. -«Sopra per appresso <, vici*
no , è de' classici , e se ne possono vedere gii esempj presso il
Cinonio (cap. a63. V. Edizione de^ classici di Milano). In
questo significato usò Dante la particella su in pili luoghi di
questo p'>ema , fira i quali vedi Inf. e. ii. 108., e e. v. 9B. 4««
65 ral Camonica, Pennino , cosi ammetto con var) testi
manoscritti e stampati, invece di f^al Camonica e Appenni^
noj che, appresso airedizioue degli Accademici della Cr., leg-
gono tutte le più moderne edizioni m^e il Vat. 3199. <-« Varia
questa lezione ch'io scelgo, da quella che rigetto , in due capi:
il primo è che togliesi Ja particella e tra f^al Camonica e
Appennino: l'altro è che seri vesi P^nnmo invece d*-^/y>cn-
nino . La pi*ima variazione bassi nella Nidob. edizione ed in due
mss. della Corsini [^J»-^eneirAng. E. Fi.;^-* l'altra nell'edi-
sione del Vellutello, e parimente in varj mss. [ej; e, quel ch*ò
piti, coofermansi ambedue da evidentissima ragione.
[a] Pur. xun. 1 1* [^] Cron. lib. 13. cap. 8{. [e] Vedi Baudr«»n(1»J^0xic.
geoffr. art. Tenoium, [</ì Segnati 608. e ia65. [e] Io uno della Vaticana
a«>giiaio Saoi, in altro dfUa Corsini 607, ed in parecchi altri veduti da-
^li Accademici della Cru;ica, e notati nella Tai^ta de' nomi dei testi ec.
4a8 INPERNO
y Ey cominciando dalla particella congìimtiva) egli è fuor
di dubbio che 9 o si legga Pennino y o jippenninoj dee odo
di questi, e non già il lago medesimo, essere la cosa. bagnata
da que' mille fonti e più 4 altrimenti verrebbe Dante a dire
per mille fonti e pia si bagna il lagOj che ha nome Bena-'
coj deWacaua che nel detto lago stagna j come se li fosse
pericolo d*mtendersi bagnato quel lago di un' altr' acqua, di-
versa da quella che sta nel lago. La congiuntiva adunque, co-
me quella che ne produrrebbe una cotal rìdicolosaggine, dee
onninamente ri moversi •
Appennino poi (ch'è T altra variazione) sape vasi anche
ai tèmpi del Poeta [a] essere troppo lontano dall' indicato sito
tra Garda e VtU CamorUca , e che di là non vengono acque
al Benaco . Bensì il Pennino [6], o VAlpes Poenae [c\ , sa-
pe vansi essere in quella parte, e bagnarsi ^r mille fonti e
più , raccolti e condutti ai Benaco dal fiume Sarcai. E stenden-
do appunto, come nelle carte geografiche si può vedere, suo
corso il Sarca tra Val Gimonica e Garda per mezzo alle dette
pennine Alpi, e scendendo dalle medesime tratto tratto rivi ad
ingrossarlo, malamente affaticasi il Vellutello di sostituire a
f^al Camonica F'aldimonica *
11 Venturi a questo ptsso taccia il Poeta nostro di scrit-
tore con istile geografico pochissimo scrupoloso ; e ne ag-
giunge in con&rma il verso io5. del canto i. di questa me-
desima cantica, ed il verso 25. e seg. del canto ». del Para-
diso. Ma vedi , lettore , essi luoghi con le rispettive note , die
spero troverai peggiore la conferma della prova •
•-^Conviene il Biagioli che invece di Appennino s'ab-
bia qui ad intendere Pennino; ma non consente del pari, che
questo sia la còsa bagnata. Secondo lui, v*ha ellissi nelle pa-
[a] Il Petrarca, scrittore a Dante contiguo, intese per Appeooino
r istessa catena, che net intendiamo, di monti dividente il lungo dd-
r Italia ; e però nei sonetto 114. appella Italia
il bel paese f
Ch'Appennin parte 9 e 7 mar circondi^ e VAlpe.
Che se per Appennino avesse inteso anche VAlpe che serra Lamagma,
avrebbe dovuto dire, Ch'Appennin parie, e insiem col mar circomda^
[6] Vedi il Boccaccio, pure scrittore a Dante vicino, de montibus^sil»
viseCf artic. Penius; e vedi altresì la Germania vetus ueWAtiamte
stampato in Amsterdam nel 1 64 3, ed il Vellutello a questo passo, [e] To*
lomeo» Geograph, lib. 3, cap. t., tabula FI. Europae.
CANTO XX. 4^9
role del testo , l'oidine regolare delle qnali dice essere il se-
guente : il luogo compreso tra Garda e f^al Camonica e j^p-
pennino si bagna y cred^io^per mille fonti e più deW acqua
che stagna nel detto lago» Soggiunge poi che , se Dante ci aves-
se volato dipingere i mille fonti cadenti da quel monte j altro
giro ed altre parole avrebbe certamente adoperato, e tali da
tame sentire u rimbombo sino a Parigi. Qvesto scherBO ha
dato si nel genio alFE. R., che, per istarseneool Biagioli,
nella 3. edizione ha rigettata persino la genuina lezione Pen^
nino per seguire l'erronea Appennino . Ma, se que*dne valenti
oppositori esaminata avessero con piii di attenaione la chiosa
del nostro P. L., ben si sarebbero di leggieri avveduti ch'egli
per Pennino non intese già un monte solo, ma tutta quella
parte delPAlpi perniine , le quali da Salò si estfmdono sino
alle più alte scaturigini del Sarca •
Un* altra quistione si è. pure agitata in questi ultimi tem-»
pi , relativa alla lezione f^al Camonica , alcuni essendovi fra
1 moderni , che amerebbero rivocata in luce quella di F'al
ili Monica j per la prima volta proposta e difesa dal Vellu*-
tello. Noi, se non altro, per erudizione, qui riferiremo una
notizia che appoggia si fatta opinione, quale ci venne gentil*
mente trasmessa dal eh. sig. Carlo Mazzoleiii imp. regio Vi*
ce-Delegato provinciale di Brescia , e quale a lui m scritta dal
sig. Giuseppe Zamara imp. regio Commissario distrettuale di
Salò-
• ... « per soddisfarla le dirò schiettamente quanto già pensai
» e penso ancora sul vocabolo Pennino , che ritengo per reg-
» gitore nella seconda terzina. Garda airEst^ud sta bene;
» ral di Monica al Sud-ovest sta pur bene; poiché è real*
» mente una piccola valle nella F'al Tcnesi^ e detta in voi-
» gare Moniga^ che prende il nome da una terra così nomi-
» nata. Al Nord-ovest sta il Pennino (Penino con una n so*
» la ) I vera appendice delle jilpes PoenaCy le quali princi-
» piano al monte denominato s. Bartolommeo (a' pie di cui tro*
» vasi Salò) fino a Limone; cioè tutta la bella Riviera,ba-
» gnata in vero da moltissimi rigagnoli e fiomicelli derivanti
» da fonti perenni. La catena de' monti da quello di s. Barto-
lo lommeo fino al di là di Limone è chiamata appunto da Tolo-
a» lomeo, nella Tavola vi. lib. 3. della Geografia, jilpes Poe^
a» /use. Aggiungasi che tra Salò e Gardone sul monte sta una
» piccola contrada detta da quei di Riviera Pegnino. Paiitu
M soggiornò per molto tempo m Verona, ed è presumibile {ler-
43o INFERNO
Deir acqua che nel detto lago stagna .
Luogo è nel mezzo là, dove 1 trentino 67
Pastor, e quel di Brescia, e 1 veronese
Segnar poria, se fesse quel cammino.
w ciò ch'egli conoscesse i punti principali della drconferen-
»'za del lago di Garda, a»
Ma noi siamo di parere che la sposizione del Lombardi
sia la preferìbile, e forse l'unica e vera: i.^ perchè precisa
tutta quella parte di monti, da cui derivano in maggior copia
le acque che formano il Benaco; 3.^ perchè piii d'ogn' altra
soddisfa all'intenzione del Poeta, apparendo da tatto il con-
testo eh' egli mirò alla topografica descrizione di qnelle acque,
e non già, come molti han pensato, a fissare i principali pun-
ti fra i quali il lago se ne giace ; ÒP finalmente perchè i mon-
ti, sui quali il Sarcn ha la sua origine, confinano appunto con
quelli che alla Val Camonica propriamente appartengono. 4-c
67 al 69 Luogo è nel mezzo ec. Scende il Poeta col pen-
siero dall'Alpe, al di cui pie disse giacere il fienaco; e ve-
nendo in giù lungo esso lago verso Mantova, dì cui vuole
principalmente parlare, avverte di passaggio un luogo situato
nel mezzo della lunghezza del lago, in cui hanno giurisdizio-
ne e possono, di là passando, segnare ^ cioè benedire, tre
Vescovi, il Trentino, il Bresciano e il Veronese; e dee essere
questo il cosi detto Prato della fame y discosto cinque miglia
da Gargnano, del quale Leandro Alberti nella sua I/alia scri-
ve: 4/ui%fi si possono toccare la mano ( come sì dice ) ire /^'e-
scot^iy essendo ciascun di loro nella sua diocesi : poi discen-
de il Poeta a parlar di Peschiera, posta in fondo al IstgOy e do-
ve esso lago esce nel Mincio • m-^ Il Lombaixii colse quasi nel
segno, ma non si curò di precisare un tal punto. Si sono da
noi fatte delle indagini sull'oggetto, e Tesito ha felicemente
risposto alle nostre ricerche. Alla gentilezza dell'egregio sig.
Giovanni Milani, ingegnere provinciale in Verona ^ dobbiamo
il seguente ragguaglio, che determina a tutto scrupolo il punto
cercato.
ce II punto comune, ove i tre Vescovi possono benedire
» stando ciascuno nella sua diocesi , è ritrovato. Esso è propria-
s» mente anello ove le acque del fiutne Tignalga sboccano nel
» Iago di Garda . La sinistra di questo fiume è diocesi di Tren-
n to, la destra di Brescia, ed il lago è tutto nella diocesi di
CANTO XX. 43i
Siede Peschiera, bello e forte arnese, 70
Da fronteggiar Bresciani e Bergamaschi ,
Ove la riva intorno più discese .
Ivi convien che tutto quanto caschi 73
Ciò che 'n grembo a Benaco star non può,
E fassi fiume giù pe* verdi paschi .
Tosto che l'acqua a correr mette co', 76
» Verona. Ciò viene comprovato anche dalla carta |op<^[ra6ca
» della Provincia veronese del prete Gi*egorio Piccoli 3611767,
u nella quale si trova persino scritto : Confine di tre diocesi ,
» veronese j bresciana e trentina. Queili che asseriroiio
n che il cercato puato era presso il Prato della fame j giun-
tt sero vicini al vero. » 4-«
70 al 73 Siede Peschiera y ec. La costruzione della pre-
sente terzina richiede che il terzo verso premettasi agli altri due
nel seguente modo: (h^e (così leggono concordemente tutti i
mss. della Corsini e Tedizione del Veli utello, »-»e il Caet. E. K.
e il cod. Poggiali 4-« e meglio certamente di Onde^ che leg-
gono tutte raltre edizioni •-►e il Vat. 3 199«*«) la riva intorno
pia discese j piii bassa ritrovasi , siede y è situata» Peschiera^
bello e forte arnese ^ termine generico 9 qui per rocca ^ for--
tezza; da fronteggiar Bresciani e Bergamaschi y da far iron^
te ai vicini popoli di Brescia e Bergamo; perciocché y chiosa il
Daniello, agevolmente questi due popoli dovevano essere con*
giunti insieme contro i Signori della Scala , padroni allora
di Peschiera e di tutto il Veronese .
73 al 75 Ivi convien ec. Per esser ivi, come ha detto 9 la
nva più bassa, convien ch'indi si versi la sovrabbondante
acqua, della quale fassi tra que' verdi prati un fiume appel^
lato Mincio y come in appresso dirà Dante stesso .
76 a correr mette co\ Co*y sìncope di capoy che pai*e non
possa dirsi, com'altri la giudicano, lombarda,. perocché troppo
adoprata tanto dal Poeta nostro in rima e fuor di rima [a] ,
quanto ancora da altri buoni scrittori [b] . Metter capo , par-
landosi di acque, vale quanto n^etter foce^ sboccare; vedine
'"' Vedi anche Inf. xxu 64., Purg. ni. ia8.. Farad, in. 9«. [0] Vedi il
Vocab. della Cr. alla voce Co* .
43a INFERNO
Non più Benaco , ma Mincio sì chiama
Fino a Governo, dove cade in Pò.
Non molto ha corso , che truova una lama y 79
Nella qual sì distende , e la 'mpaluda,
£ suol di state talora esser grama .
Quindi passando la vergine cruda 8a
Vide terra nel mezzo del pantano,
altri esempi nel Vocab. della Gr.; e però mette co* a correre
varrà lo stesso che sbocca a correre •
78 Governo y castello situato dove il Mincio mette in Pò.
Volpi. »-^Ora è detto Govemolo.*^
79 lama significa bassezza j cavità di terreno^ dal latino
l€Uìia j lamae. Ecco ciò che di questa voce scrive Dttfresne ;
Lama: Festusj lacuna. Enmus^ Siharum sakus ^ Uuebrasj
lamasque liitosas. Dante in Inferno ^ cani. xx. , ìuurpatur
prò inaile . Malamente adunque il Vocali, della Qr., il Venturi
ed anche il Volpi spiegano lama per pianura. m^JOanta non
è già pianura o campagna, come spiega la Crusca , ma bensì
valle paludosa e fangosa. Movti [aj. ^-m
81 E suol , essa acqua impaludante quella lama , ili state
talora esser grama j cioè malsana , dannosa » spiega il Vo-
cab. della Gr. E tale si può intendere tanto in sé stessa, pe-
rocché neirestate per l'eccessivo caldo si corrompe , quanto per
l'infezione deirarìa, che colle ree esalazioni produce, m-^tal"
uolta^ invece di talora ^ ha il Vat. Sigg.**
82 cruda per sei^era , chiosa il Volja; e per salt^atidietta
anzi che no^ il Venturi: ma cruda dee qui Dante appellar
Manto nel senso medesimo che nel canto ix. passato, %^. 33., ap-
pella cruda Eritone, per cagione cioè d'imbrattarsi pur essa
dell'umano sangue, e d'inquietar l'ombre de' morti . Ecco ciò
che di Manto scrive Stazio nella Tebaide , Ub. 4- ^- 4^*^- ^ ^^gg-^
Tunc innuba Alantho
Exceptum pateris praeUbat sanguincm , e< omnes
Ter circum acta pyras , sacri de more parentis |
Semineces fhras , et adhuc spirantia reddit
f^iscera .
[t\\ Ptnp, voi. 3. P. I. fac. n3.
CANTO XX. 433
Senza cultura, e d'abitanti nuda.
Li, per fuggire ogni consorzio umano, 85»
Ristette co' suoi servi a far sue arti ,
E visse, e vi lasciò suo corpo vano.
Gli uomini poi, che 'ntorno erano sparti , 88
S'accolsero a quel luogo, ch'era forte
Per Io pantan eh' avea da tutte parli .
Fer la città sovra quell' ossa morte ; 9 1
E per colei, che '1 luogo prima elesse,
Mantova l'appellar senz' altra sorte.
Già fur le genti sue dentro più sfìesse, 94
Prima che la mattìa da Gasalodi
Da Pinamonte inganno ricevesse.
Osservisi intanto detta Manto da Stazio pure innuba , co-
me dal Poeta nosti'o vergine è delta. Che se la intese Dante
come la disse Vii'gilio sopraccitato > madie di Ocno, dovette
intenderla divenuta madide dopo d'essei*e venuta ad abitare nel
divisato luogo.
84 iTabiianii nuda per ispogliata di abitanti,
8ti 87 sue ariiy la Midob.; e sudarti ^ l'altre edizioni. Ed
arti, intendi d'indovina, qual'ei'a, e maga. — suo corpoi^ano j
vóto senz'anima.
93 senz*altra sorte: perchè gli antichi, edificato che ave-
vano la città, le davano il nome a sorte, o veramente da qual-
che augurio, come in Tito Livio di Roma ed appresso in Var-.
rone di Atene si legge. Vellvtello.
94 al 96 mattìa per mattezza , come stoltìa per istoltezza
e follìa fer foltezza ; ma qui piuttosto per stolidezza o scioc-
chezza . »-» In senso di baloi*daggine , sccmpiezza , sciocchez-
za, spiega anche il cav. Mohti \a\, 4-c da Casalodi^ ellissi,
invece cu dire di quel da Casalodi ( »-♦ de Casalodi, ha in-
vece TAng. E. R.^Hi) cioè d'Alberto Conte di Casalodi ^ castello
nel Bresciano* — Da Pinamonte inganno ricadesse . Le isto-
rie dicono che avendo i Conti di Casalodi occupato in ìMau-
^«» ' Prop. voi 3. l'. I. fac. iiJ.
/W. /. 9H
4U INFERNO
Però r assenno che, se tu mai odi g^
Originar la mia terra altrimenti,
tova la tirannide 9 Pìnamonte de^Buonacossiy nobile di quella
città y cono^endo gli altri nobili esser molto odiosi al popolo,
persuase sagacemente al Conte Alberto Casalodi, che allora
reggeva iti quella j che dovesse per qualche tempo rilegare nelle
vicine castella alcuni gentiluomini, detonali egli piti si dubi-
tava di poter esser impedito a quello che intendeva di >oler
fai*e; affermando questa essere la via da farsi per sempre il po-
polo benevolo ed ossequente. Laqual cosa mandata ad effetto,
pìnamonte, placato il popolo e fattoselo amico, tolse col favor
di quello la signoria a' Gasalodi , e mise a fil di spada qua^i
tutti gli altri nobili che erano rimasi nella città, ed abbrucio
le case loro ; e quelli che da tanto infortunio poterono campa-
l'e andarono in p;*rpeluo esilio; talmente che la città limase
in gran parte desolata. Vellutello. »-^A questa narrazione
corrisponde quasi del tutto ciò che di questa rivoluzione di
Mantova dice il Muratori negli u^nn. eT Italia air anno 1 269,
sulla fede di un' antica Storia di Mantova da lui pubblicata nel
tom. XX. Ber, italic. Poggiali . <4-«
97 t* assenno . dissennare per ax^ertire , adoprasi anche da
altri. Vedi il Vocab. della Crusca.
9^99 Originare per /ore originato j come ben diremmo 1
per cagion d' esempio : Eusebio fonda Mantova 43o anmpri*
ma di Roma., invece disdire: fa^ dice^ fondala Mantova,
— altrimenti. Fa qui Dante accennarsi da Virgilio l'orìgine
dì Mantova, ch'altri, non da Manto, madaTarcone ripetono.
^4lii { scrive Servio al riferito passo dell' Eneide ) a Jarchone
Tyrrheni fratre conditam dicunt . Mantuani autem ideo no^
minatam quod etrusca lingua Mantum Ditem patreni ap^
pellant ,
Degli Elspositori da me veduti non v' è alcuno che ricerchi
la cagione, per cui faccia Dante aggiungersi da Virgilio questo
avvertimento. Il solo Venturi ne dice alcuna cosa, eparecbe
pretenda essei'e intenzione di Dante che prestisi fede piutto*
sto a quanto gli fa esso dire qui, che a quello scrìve egli me-
desimo ne'riferiti versi della sua Eneide : Esso medesimo (chio-
sa ) dà origine in parte diversa nel libro pur or citato^ cioè
nel decimo dell'Eneide.
Qiuinto però fa qui Dante dii'e a Virgilio di vano, cioè
dell'abitazione e sepoitma di Manto nel luogo ov' è Mantova «
CANTO XX. 4V?
La verità nulla menzogna frodi .
£d IO: Maestro, i tuoi ragionamenti lòo
Mi son sì certi, e prendon si mìa fede,
Che gli altri mi sarien carboni spenti .
Ma dimmi della gente che procede, io3
e driradanainento in esso luogo degli uomini , che intorno
erano sparti y si compone benìssimo con ciò che scrive Vir-
gilio stesso; né è credibile che volesse Dante per nissun con-
to, e molto meno per questo y tacciar di menzogna colui che
tanto da per tutto ed in questo medesimo luogo professa di ve-
nerare. -^ La verità nulla menzogna frodi. JVutlo perniuno,
molto presso gli antichi buoni autori frequente. Vedi il Voca-
bolario della Ci^usca. Frodare la verità vale tradire, na-
scondere la inerita, m^ìì poeta si è invero un pò* ti*oppo di-
steso nel descriverci l'orìgine di Mantova. Ma U Biagioli ri-
tiene che si abbia non solo a pei*donargli questa digressione ,
trattandosi dì onorare il sommo suo Maestro, ma da ringra-
ziamelo assai, avendo riguardo all'eloquenza e alle bellezze di
stile e di poesia, delle quali ha saputo spargere si sterile sug-
getto, ov*altri a pena col solo merito della elocuzione si po-
trebbe sostenere . ^^
loi prendon y costringono, obbligano «
ioa carboni spenti. Sariano gli altiiii ragionamenti , in con-
fronto dei tuoi , senza attività e vaghezza veruna , come senza
attività e luce rimangono gli spenti cai^boiii.
I o3 che procede , che viene appresso , come (testimonio Pe-
sto ) fu alle volte adoprato il latino procedere prò succedere»
Il Daniello chiosa: che procede , cioè che t^a in processione;
che risponde a queh Venir tacendo e lagrimando al passo ,
— Che fanno le letane in questo mondo \a] . Ma col passo delle
tetano andavano tutte quelle ombi'e ; e Dante non bramava con-
tezza se non dì quelle che venivano appi^sso a Manto, ed a
ffjoeir altre, delle cpali già gli era stato parlato. •-> Procedere
<? («armato della preposizione prò, avanti,edicee/e/ie, lasciare
il luogo. Adunque vuol dire, cAe, lasciando il stiecessii^f»
/uogOf igiene acanti. Biagioli.
^ é» J Ver«o 8. • f cg.
436 INFERNO
Se tu ne vedi alcun degno di noia ?
Che solo a ciò la raia mente rifiede.
Allor mi disse: qnel, che dalla gota loO
Porge la barba in su le spalle brune,
Fu, quando Grecia fu di maschi vota
Si ch'appena ri maser per le cune , 109
Augure, e diede '1 punto con Calcanta
In Aulide a tagliar \at prima fune.
Euripilo ebbe nome, e cosi '1 canta 1 li
io4 degno di notaj cioè d'essere notalo e nominato. Da-
HIELLO.
I oò rifiede , cosi la Nidob., e Tedizioni del Vellutello e Da-
niello, e piti di due dozzine di mss. vedati dagli Accademici
della Crusca, in luogo di risiede ^ che leggono l'altre edizioni
»-^e TÀng. E. R.4-« E vale rifiede lo stesso che mira j d»fie-
dere , che pure al senso di mirare adopera Dante :
e fa che feggìa
Lo viso in te di quest'altri malnati [aj.
»-»L'una e l'altra lezione possono stai*e... Risiede esprime oua
attenzione piii stabile; e rifiede più penetrante. BiAGioi.i.-«-a
1 06 107 dalla gota , il singolare pel plurale , cioè per dalle
gote . — Porge , stende ; ^u le spalle , a cagione del detto più
volte tra volgimento della faccia. — brune y perocché ombra in-
fernale .
1 08 al III Fu quando , ec; costruzione : Fu augure , indo-
vino, e con Calcanta j altro indovino , diede in Aulide , portò
di Beozia, il punto a tagliar la prima fune f il momento del
tempo da essi indovini conosciuto propizio per incominciarla
tagliar le funi che tenevano ferme in detto porto le greche na-
vi , destinate all'assedio di Troia : quando Grecia fu di tua*
schi sì v^otUy che appena riniaser per le cune , che appena vi
restarono i bambini entro le cune, passati essendo tutti i gran-
di al detto assedio. Iperbole a significare la gran moltitudine
de'Greci che a quell'impresa passarono.
I I a canta per dice in versi .
[a] Inf. svili. 75.
CANTO XX. 437
L'alta mia Tragedia in alcun loco;
Beo lo sai tu che la sai tutta quanta .
Queir altro, che ne' fianchi è così poco, 1 15
Michele Scotto fu, che veramente
Delle magiche frode seppe il giuoco.
Vedi Guido Bonatti, vedi Asdente, 1 18
1 13 Tragedia coll'accento sa Vi dee leggersi , ad imitazione
del greco rpotyùùhx. Intende Dante per auesta tragedia di Vir-
Ìnlio la di Ini Eneide, che di fatto nel lib. a. (^. 1 14- e segg.
a menzione dei due auguri Euri pilo e Cai canta.
Perchè poi appelli Dante tragedia V Eneide di Virgilio ,
vedi il Parere del sig. Rosa Morando nel voi. V. di questa
nostra edizione. \
1 14 Ben lo saij legge la Nidob. ; ove l'altre ediz., ben lo
sa*, '^che la sai tutta quanta y pel lungo studio fatto sopra
di essa. Vedi il e. i. t'. 83.
I 1 5 al r 1 7 QueW altro ec. Alcuni vogliono che questo Mi-
chele fosse Spagnuolo, la consuetudine de' quali in quei tempi
era di portare vestimenti molto assettati e cignersi sti'etti. Onde
vogliono che per questo dica, che ne^fianchi è così poco . Al-
quanti dicono che fu dell'isola di Scozia, e però lo chiama
^lichele Scotto. Laicdivo. Michele Scotto fu di Scozia, e dice
esser sì poco he* fianchi y rispetto a brevi e schietti abiti che
non solamente gli Scozzesi , ma gl'Inglesi, Fiamenghi e Fran-
cesi usavano allora. Vellutello. - ne* fianchi . . . poco^ o per
l'abito attillato, o per esser egli stato di vita smilza. Vehtvri.
«-♦Essendo nude quell'ombre, non all'abito, ma alla persona
risguardano queste parole . Bi agioli . 4-« frode { plurale di fro'
da) imposture.- seppe il giuoco y seppe Tarte. Visse costui
ai tempi di Federico II. Imperatore. •^ Di costui il Boccaccio
nel Decameroney Giom. viii. n. 9., àxcei egli non ha ancora
guari che in questa città fu un gran maestro in nigroman^
zia y il quale ebbe nome Michele Scotto j perciocché di Sco^
zia era. Biagioli. — > Il Poeta dice veramente y essendoché fu
costni tenuto per immancabile nelle sue predizioni. Poggiali.
'— Tradusse costui in latino i libri degli aninuili io Aristotile.
Cosi r Amico. E. F.4-.
f 18 al i!ìo Guido Bonatti y altro indovino, fu da Foi*lh
4i8 IJNIERNO
Ch'avere atteso al cuoio ed allo spago
Ora vorrebbe, ma tardi si pente.
Vedi le triste, che lasciaron Tago, i a i
La spuola e 1 fuso , e fecersi indovine ;
Fecer malie con erbe e con imroago.
Ma vieni ornai, che già tiene '1 confine i :a4
D*amendue gli emisperi, e tocca Tonda
Sóito Sibilia, Caino e le spine.
compose mi libro d'astrologia, che dice il Daniello di aver
veduto ; e fu alle di costui predizioni assai credulo il Conte
Guido di Montefeltro. »-^ Visse nel mi. secolo, circa il 1282;
fu autoi^ di un' opera stampata iu Venezia , che ha per titolo :
Theoncae Planetaruni et Astrologia iudiciaria>hiKQi€a»u4^
asciente , ciabattino di Parma , uomo senza lettere , che tirando
a indovinai*e <;osì a occhi e croce, ci coglieva quanto ogni al-
tro del mestiere; e tardi or se ne pente di non aver piuttosto
inteso ( atteso y legge la Nidob. ) al cuoio ed allo spago ; per-
chè è inutile il pentimento, quando non si può porre riparo
al mal fatto . Vehturi . »-^ Di costui parla Dante nel Convìvio y
lac. 34 '- — Asdente, T indovino di Paima, dicesi chesichia»
masse Benvenuto ; e fosse dietto Asdente , cii)è senza denti , per
autifrasi, perchè anzi troppo grandi gli avesse. Diomst. E. F.
— nia tardo si pente ^ ^^SS^ ^^ ^^* •^^* ^* -^- '^**
lai al \7.'i Vedi le triste ^ ec. Dopo la particolarità viene
alla generalità , e mostra molte donne essere state malefiche e
incantatrici , le quali, lasciando il cucire, il tessei'e e filare,
arti femminili (per le quali pone invece i loro mincipali stru-
menti , l'ago , la spuola e il fuso ) , si dettero alle malìe , osan-
do varie erbe ed immagini di cera e di terra. LAiiniHo.-i/n-
mago per immagini ^ il singolare pel plorale.
1 24 al 1 'a6 Afa vieni ornai j cosi la Nidob. ; e bienne ornai ^
r altre ediz. •-►e il Vat. 3,199; — ed il Biagioli vuole che il
Vienne sia forma piii graziosa più, toscana , e più colla gramma-
tica d'accordo; poiché la particella ne è avverbio del luogo
da cui si di partono. 4-a ffià tiene 7 confine 9 ec. Costruzione:
Già Caino e le spine (le macchie che sono nella Luna perla
medesima Luna; accomodandosi alla favola del volgo, da lui per
CANTO XX. 4^9
E già iernotte fu la Luna tonda; 1:27
aluro nel Paradiso [a] derisa, che sieno quelle macchie Caino
che innalzi una forcata di spine) tiene il confine (Tamendue
gli emisperiy cioè sta neirorizzonte , cerchio divisorio tra il
nostro emisperìo e quel sotto di noi j e tocca ronda , del mare ,
sotto 9 al di là di Sibilia (Siviglia ora appellata), città mariN
lima della Spagna, ed occidentale rispetto all'Italia. ^ tiene 7
confine ec. - e tocca inonda ec. - Caino e le spine . Tiene e
tocca invece di tengono e toccano , zeuma come quella di
Vii^lio: Hieillius arma^ ^Hic currus fuit [&]. »-^ Ma non Io
accorda il Biagioli , e vuole che Dante si esprìma cosi in virtii
della figura detta sillessi , per la quale si costruisce non secon-
do la lettera, ma giusta T intenzione in lei compresa, peres*
sere la mente piii da questa che da qnella pi'eoccupata • 4-c
1 37 già iernotte fu la Luna tonda , cioè piena . Arguisrp
con ciò alzato il Sole già da un^ora in circa . Dalla notizia che
ne dà qui Dante, e rìpetccela nel Purg., canto xxiii. ^. i ic).*
di aver egli cioè incominciato a Luna piena il misterioso suo
viaggio , unita alle aitile notizie che il medesimo ne porge di
averlo intrapreso nell'anno 1 3oo [rj, a Sole in ariete [5j, vien-
^i, per le vie additateci dagli Astronomi, a rilevare che inco-
.minciasse Dante cotal suo viaggio nella notte di mezzo tra il
quarto e il quinto giorno di aprile [e] . Essendo poi Gesii Cri-
sto , come dal Vangelo si raccoglie \f\ , stato crocifisso nel
giorno seguente al plenilunio stesso anzidetto; pei*ciò Dante
pone per annivei'sario della morte del Redentore il giorno ve-
nuto in seguito ad essa notte a Ijuna tonda (giorno che im-
piegò Dante combattendo colle tre fiere e ragionando colPap-
parsogli Virgilio) ; onde nel seguente canto , i'. i 1 2. e sogg. ,
si fa da un demonio dire :
ler più oltre cinqu^ore, che quest'otta^
Mille dugento con sessantasei
Anm compier j che qui la via fu rotta.
Vedi quella nota.
i
^^o iJviERNo
Ben li dee ricordar, che uou li nocqud
Alcuna volta per la selva fonda .
Sì mi parlava, ed andavamo iritrocqne.
] a8 1 29 Ben ti dee^ l^g^ ^^ Nìdob.; e Ben ten dee, VtX^
tre edizioni •-► e il Vat. 3 199*4-« ricordar vale qui so%n^nire.
— non ti nocque — j4lcuna stolta per alcun voltare , alcun
volteggiamento» Vedi il Vocabolario della Cr. »-*>Coiisealeìl
Poggiali a questa interpretazione , sembrandogli che qui il sen-
timento ogu'aUra ne escluda. -* 11 Biagio! i però spiega: a/-
cuna volta j cioè tratto tratto j alcunapata. 4^ selva fonda:
fonda vale qui quanto folta . Siepe fonda , invece di folta ,
sci*i veneir^gTico/fura suaanche Pier Grescenzi, lib. i o cap. 33.
n. 2. E si vuole dire che la Luna piena col suo maggior lume
e durata per tutta la notte giovasse al Poeta y nella folta seKa
smaiTÌto , per vedere ed iscausare i pruni nell'atto che per en-
tro a quella si ravvolgeva per cercarne l'uscita; al contrario
cioè di quello che scrisse Virgilio stesso nell'Eneide vi. 270.:
Quale per incertam (inceptam altri leggevano, testimonio
Servio) Lunam sub luce maligna
Est iter in silvis.
^^ fonda: forse va letto fronda. Vedi la prima edizione. Se
si ritiene fonda , la voce volta dee prendersi per giro , riW-
gimento , Toeelli. *-•
i3o Introcquej ti*attanto; vocabolo fiorentino, come esso
Dante dice nel primo libro della sua f^olgare Eloquenza
(cap. i3.): l'usò nel primo verso delle sue terzine intitolate
Pataffio ser Brunetto Latini (ed anche l'antico volgarizzator
di Livio [a]) : si forma dal latino Inter hoc. Vedi VÈrcolano
del Varchi, calte 333, e la seconda Centuria del Salvini, carte 7 u
VEirTuar, il quale inutilmente poscia perde tèmpo dietro al
Ruscelli, che pretende introcque significar addentro •
hrala la Pasqua ; ed era il comando che la Pasqua si celebrasse. a|»-
|)Uulo nel detto pIcDilunìo. [à\ Vedi il Vocabolario della Cnuca*
CANTO XXI.
ARGOMENTO
In questo evinto descrivesi la quinta bolgia, nella
quale si puniscono i barattieri y che è il tuffarsi
costoro in un lago di bollente pece. E sono guar-
dati da* demonf , ai quali, lasciando discosto Dan-
te ^ s* appresenta f^irgilio , ed ottenuta licenza di
passare oltre ^ ambi nel fine si mettono in cain*
mino.
VJosì di ponte in ponte, altro parlando i
Che la mia Commedia cantar non cura,
Venimmo, e tenevamo 1 colmo, quando
Ristemmo per veder Taltra fessura 4
I di ponte in ponte: dal ponte sopra la quarta fossa al
ponte sopra la quinta, che è de'barattieri» m-^ di ponte in ponte
si riferisce non solo al quarto e al quinto , ma si a tutti i pre-
cedenti già varcati. BiAGioLi. 4-« Baratteria (dice il Buti) che
per altro nome si chiama maccatelleriaj è vendimento, ovvero
compramento di quello che l'uomo è tenuto di fare per suo
oiEzioy per danaro» o per cose equivalenti [a].
a Commedia coU'accento su Vij alla greca maniera, vuole
il metro che leggasi qui, come altrove.
3 7 eolmo, ael qumto ponte.
4 Ristemmo j ci (ermsjoxno •" fessura fer fossa; che in
realtà non è altro che fessura, fenditura di terreno. •^Ristare
non vuol dire semplicemente fermarsi , ma fermarsi di nuùvo.
BlAGIOL1.4-C
[a] Vedi il Vocabolario della Crosca alla voce BavatUria .
44^ INFERNO
Di Malebolge, e gli altri pianti Tani ;
£ vidila iDirabìltnente oscura .
Quale nelFArsenà de' Veneziani 7
Bolle r inverno la tenace pece,
A rimpalmar li legni lor non sani,
Che navicar non ponno; e 'n quella vece 10
5 Di Malebolge. Perchè cosi appelli queste circolari fosse,
è detto al primo verso del canto xviii. -— e gli altri pianti
vani per gli altri piangenti inviano; che nessuno mnovesi
di loro a pietà.
6 mirabilmente oscura ^ piìi assai delle altre, e corrìspon*
dente al buio operare de' barattieri.
7 Arsenà^ f<^gg^ la Nidobeatina, ed accostasi meglio airin-
lìera yoce Arsencìle^ che non u4r zana , che leggono l'ai tre edi-
zioni »-^e il cod. Ang. E. R, e il YaU Sigg.^-* L'Arsenale è
in Venezia un gran recinto , dove si costruiscono e riattano le
navi.- F'enezianij legge la stessa Nidob. ; f^inizianij l'altre
edizioni. »-^Con questa bella similitudine vuole il Poeta prìn*
cipalmente por sotto gli occhi del lettore la spaventosa imma-
fine di quella bollente pece, ove puniti sono i barattieri j e si
istende poi ai particolari con sì vivi colori , che par proprio
che si veggano le operazioni diverse e che s'oda il tumultuoso
fracasso di quella gente ; e chi esaminerà bene i cinque ultimi
versi ( di questa similitudine ) vi scollerà un' eloquenza e fa-
condia mirabile, nn' azione, un movimento, un ardore tale;
con quel fernet opus virgiliano , che maggiore non si può de-
siderare . Bl AGIOLI . <4-«
8 rirwemoj tempo in cui si riattano le navi, per essere
alla navigazione il più importuno.
9 Rimpalmare , rimpecciare; e si dice comunentente delle
naui. Vocabolario della Crusca. — legni lor^ de' Veneziani.
I o Che navicar non ponno ,• imperocché navigar non poo-
no, intendi i Veneziani, non i legni; che a quelli, e non a
questi, si riferisce il non ponno. Veittubi; e istessamente gii
altri Sposi tori. A me però non parrebbe assurdo se si riferisse
il non ponno anche agli stessi legni . »-► A ozi a questi soli lo
vuole riferito il Biagioli . 4-« e '/i quella vece , e in quella oc-
casione, in quel tempo; a-»" o invece di navigare. Poggi ai.i.<«-€
CANTO XXI. 443
Chi fa suo legno nuovo, e chi ristòppa
Le coste a quel, che più viaggi fece}
Chi ribatte da proda , e chi da poppa : 1 3
Ahri fa remi, ed altri volge sarte;
Chi terzeruolo ed artimon rintoppa:
Tal, non per fuoco, ma per divina arie, 16
BoUìa laggiuso una pegola spessa.
Che 'nvlscava la ripa d'ogni parte.
r vedea lei, ma non vedeva in essa iq
Ma che le bolle , che '1 boHor levava ,
f I ristoppa. BistopparCy riturare le fessure colla stoppa e
simili materie. Vedi il Vocabolario della Crusca,
la Le coste, per metafora ^ i lati dalla nave.
1 4 ^olffe sarte , attorciglia la canapa per far sarte , corde
inservienti alle nari . •-» Altri fan remi, altri ri^olgon sarte ,
legge TAng. E. R. ♦-•
1 5 terzeruolo ed artimone artimone è la maggior vela che
abbia la nave ; terzeruolo è la minore . Buri , riportato dal Vo-
cabolario della Crusca [al^.-^ rintoppa, rìsarcisce, rappezza.
1 6 m^ perdii^ina arte vuol dire per t^irtù di Dio- Poggi all^-s
1 7 pegola . La ragione per cui Dante immerge i barattieri
nella pece, dovrebbe essere per T inganno che fidino costoro
agli uomini, come colla pece, o pania ( che Dante pei* sinoni-
mi adopera [&] ), s'ingannano gli uccelli « •^ spessa, cioè den«
sa. Poggiali. 4Hi
1 9 ao non i^deua in essa * Ma che le bolle , «e. : non iscor*
geva in essa se non che le bolle che il caldo faceva alzare alla
superficie. E vuol intendersi, che non vi scoi^eva gente im«
me^sa; imperocché, come in progresso dirà \c\, era cura di
qne' demoni assistenti di non lasciare che alcuno degFiviat-
tufiati galleggiasse.»-» Intorno al significato del ma che vedi
la nota al i^. 26. del canto tv. di questa cantica. — L'È. R* legge
coU'Ang. e colPediz. di Fuligno i473 ^^^ ^^^9 ^ <:oai pur
legge il Vat. Sigg. 4-«
f/i' Alla voce Artimone, [b] Vedi il v. is^. del presente Canio [e] Ver-
so 5i.
<^
444 INFERNO
E gonfiar tutta , e riseder compressa^
Meutr'io laggiù tìsamèote oiirava, 22
Lo Duca mio, dicendo: guarda, guarda,
Mi trasse a se del luogo, dov* io stava.
AUor mi volsi, come l'uom cui tarda 25
Di veder quel che gli convien fuggire ,
E cui paura subita sgagliarda,
Che, per veder, non indugia 'I partire; a8
E vidi dietro a noi un diavol nero,
2 1 E gonfiar tutta , e riseder compressa. Accenna le con-
saete reciprocazioni dell* alzarsi ed abbassaci del bollente li-
quore, massime di pece o d'altre simili materie ^ che per la
sua tenacità resistendo alla evaporazione dell'aria, dilatansi in
grandi bolle ; ma finalmente aprendosi a forza l'aria per qaelle
bolle l'uscita, viene il liquore a ristringersi ed abbassarsi,
aa m-¥ Mentre laggiù fisamente ec. , il Vat. 3 199. ♦-•
aS guarda guarda , per guardati , guardati,
a 5 26 cui tarda y a cui sembra tardi ; sembra che non gli
rimanga più tempo. G)si il Vocabolario della Crusca [a]; e
ne adduce in conferma quell'altro passo pur di Dante, In£ ix.
V. 9..- Oh guanto tarda ante eh* altri qui giunga! Il mede-
simo Vocabolario però ne reca esempio dal verbo Tardare in
significato di essere tardi ; e sembra che al medesimo signifi-
cato qui pure adattare si possa: A cui è tardo il %^eder queL
che ec. a-*- cui tarda - Di v^eder , cioè , cui pare tardo di mp-
dere. In veronese diremmo: Che nolyede Cora de \feder se
ec. TOEELLI • <-•
aj sgagliarda, Sgagliardare^ tor la gagliardia, il corag-
gio. Vedi il Vocabolario della Crusca.
a8 Che per talmente che [i]. »-^Ma non vedendo il Bia-
gioli a qual parte del periodo si possa appiccare, T intende per
che o il quale uomo in tale incontro . '«-a non indugia il par^
tircy efietto dell'accennata paura entratagli.
20 diavol neroj corrispondente a quella bolgia mirabile
mente oscura , v^, 6.
[«] Al verbo Tardare. 5- a. [b] Vedi il Ci nuo. Par/re* cap.44* »»• »'• ^i-
CANTO XXL 445
Correndo su per lo scoglio, venire.
Ahi quant'egli era nell'aspetto fiero! 3i
E quanto mi parca nell'atto acerbo,
Con Tali aperte, e sovra i pie leggiero!
L'omero suo, ch'era aguto e superbo, 34
Carcava un peccator con ambo l'anche,
Ed ei tenea de' pie ghermito il nerbo .
Del nostro ponte, disse, o Malebranche, 3^
3o su per lo scoglio y su pel sasso che faceva ponte sopra
quella bolgia.
34 aguto 9 la Nidobeatina e la Fuliguate ; acuto y Tahit» edi-
zioni m^e il Vai. 3i99^-« che poi alu*ove leggono anch'esse
aguie (e non acute) scane [aj. — superbo j cioè alto» ch*è il
proprio significato, come di umile il basso ; e se non per tra-
slazione si applicano a chi si gloria di se stesso ed a chi si tien
vile. Minacciando, nAV jénfttrione di Plauto, Mercurio a So-
sia di rompergli, se non gli si levava d'innanzi, le ossa, e fai^-
nelo portar via alto su Taltrui spalle: Facianiy gli dice, ego
hodie te superbum , nisi hinc abis .... Auferere , non abi-
bis , si ego fusteni sumpsero \b] . Dee adunque l'omero di co-
testo demonio intendersi formato in ben alto ed acuto gobbo,
su di cui stassero bene insellati coloro che si portava colaggiii.
m^V omero suo è accusativo, cosi chiosa il Lami. E. F. — e
cosi pure l'intendono tutti gli Espositori da noi consultati. «-«
35 Carcassa un peccator , cioè un peccatore faceva di suo
peso caricato l'omero del demonio . — con ambo l'anche . ^/i-
caj spiega il Vocabolario della Crusca, l^osso che è tra il
fianco e la coscia.
36 tenea ghermito , afferrato , il nerico de* pie , il gaietto ,
la parte pel tutto, invece di dire: teneva afferrati i piedi.
w-¥E quei tenea y legge l'Ang. E. R.; e gremito y TAng. E. R.
e il \at. 3109. — Ghermire è propriamente il pigliar che
fanoo tutti gli animali rapaci la pi*eda colle loro branche o
iignelli. Qui per metafora vuol dire pigliare y 0 tener con
forza. PoooULi. 4Hi
37 38 /)el nostro ponte y ec, cioè dove io e Virgilio cra-
[n] Iiif. xziiii. 35. [b] Ad. f. sceua I. i». sai. e scg.
448 INFERNO
Con tanta fretta a seguitar lo furo.
Quei s attufib , e tornò su con volto j 4^
Ma i deinon , che del ponte avean coverchio^
Gridar: qui non ha luogo il santo Volto:
guitare con tanta fretta lo furo. Furo per ladro j Yoceado-
j)erata da altri antichi buoni scrittori ancne in prosa. Vedi il
A'^ocabolario della Grasca.
46 e tornò su convolto , Convolto > cioè col capo in su y
chiosa il Daniello ; ma io spiegherei piuttosto col capo e piedi
in giù, e conia schiena in su, compiegato in arco,* in arcum
convolutusj dìrebbesi bene anche in latino. A questo modo ne
accenna Dante medesimo , eh' emergessero dalla bollente pece
tratto tratto parecchi di que' dannati:
Come i delfini , quando fanno segno
jt* marinar , con Varco della schiena ,
Che s*argomentin di campar lor legno ;
Talor così j ad alleggiar la pena y
Mostrava alcun de' peccatori *l dosso [aj.
E direi anzi che la positura medesima di corpo, come simile
a quella di chi fa fervorosa orazione, Toggetto sia del seguente
diabolico sarcasmo: qui non ha luogo il santo f^olio; qu^si
dicessero: non è qui T effigie del santo Volto del Redentore <.
dinanzi alla quale solete voi Lucchesi a questo modo incurar^i.
Il Vellutello, Volpi e Venturi chiosano convolto per in-
volto ^ inviluppato di pece 1 imbrodolato ; ed anche il Vocabo-
lario della Crusca, spiegando convolto per imbrattato , vi pone
tra i vari esempj questo stesso di Dante. Oltreché però none
in questo , com* è in tutti gli altri esempj di convolgere e con-
volto , menzionata la imbrattante materia ( nella fr acida nex'e
si convolgevano , convolto per lo fango , convoìta nel fango
e guasta ec, cosi sono tutti gli altri esempj ) ; né anche poi si
capisce bene come al cosi inteso convolto adattasi l'enunziato
sarcasmo. Vedi in prova, due versi sotto, ciò che gli Elsposi*
tori vi dicono.
47 i demon , che del ponte avean coverchio , che stavano
sotto quel ponte.
48 qui non ha luogo il santo f^olto. Gridarono, dicr il
[n] Canio :>cg. v. ig. e segg.
CANTO XXI. 449
Qui si nuota altrimenti che nel Serchio: 49
Però j se tu non vuoi de' nostri graflì ,
Non far sovra la pegola soverchio.
Poi l'addentar con più di cento raffi ^ 5i
Disser : coverto convien che qui balli ,
Sì che, se puoi, nascosamente accafH.
Non altrimenti i cuochi ai lor vassalli 55
Vellatelloy per derisione i demonj y che quivi non aveva luogo
il Volto santo» da' Lucchesi avuto in somma venerazione, ed
invocato da loro nelle necessità: ma quivi non aveva luogo 9
perchè in Inferno nulla est redemptio; e del medesimo tuono
chiosano gli altri Espositori . Vedi però quant*è detto due versi
sopra. »-» Quest'efiEgie, detta del frollo Santo del Redentore»
è venerata nella Cattedrale di Lucca da molti secoli» e formava
un cnho particolare di quella già Repubblica» indicato anche
in alcuna delle loro monete , perchè creduto formato di^ mano
angelica. Poggiali. <-«
40 Serchio f fiume che passa poco lungi dalle mura di Lue*
ca. VB&&VTXI.I10.
50 Grafi y Graffio» strumento di ferro uncinato: forse dal
greco yfapiQV; ma qui pare che debba prendersi per lo graf*
fiane. Volpi.
5 1 far soura la pegola soverchio^ soverchiare» sopravan-
«are la pegola.
5 a Poi dee qui valere noie&é» come Purgatorio e, x^v* 1.»
ed altrove sovente. — rafp,* Raffio» strumento di ferro uncinila
to . Volpi .
53 couertOy sotto la pece. — convien che qui bollii per
derisione appellano que'demonj ballo il dimenarsi di que'sciau*
rati pel bruciore*
04 «Si choy ee. Viene eost ad accennarsi al barattiere la con-
degnìtà di tale pena ; e vale quanto se detto gli fosse : sì che 1 se
puoi, facci qui come in vita facevi» di nascosamente accaffarcy
inguantare 1 vììXxm.Accaffare , arraffare jìttUarripere » extor^
quercj eripere , spiega il Vocabolario della Crusca » ed aggiun-
ge a questo di Dante altro esempio di Franco Sacchetti.
55 vassalli. Vassallo qui per servo semplicemente , chio-
sa il Vocabolai*io della Ci*usca» ene reca altro esempio tratto
Fol. I. 29
45o INFERNO
Fanno attuffare in mezzo la caldaia
La carne con gli nncin perchè non galli.
Lo buon Maestro : acciocché non sì paia , 58
Che tu ci sii, mi disse, giù t'acquatta
Dopo uno scheggio, che alcun schermo t'haia;
E per nulla oflfension, che mi sia fatta, 6i
JSon temer tu, eh' i' ho le cose conte,
dalla vita di s. Margherita, m^ Ma è questa uà' ardita licenia
in grazia della rima. Poooiali.^-s
57 con gli uncin. Dell' uncino comnnemente ci senriaiiio
per attirare; ma. può ben anche ^ in altra maniera «dopntOy
servire a deprimere. — galli. Gallare per venire a galla
adopei*a Dante qui, e metaforicamente per insuperbire nel
Purgatorio j canto x. verso 1 27. : come però in ambedue i Ino-
ghi m rima puossi ragionevolmente creder sincope di gallega
giare.
58 non si paia. Accompagnasi qui col rerhopaia la pap>
ticelU si solo per ornamento: di che vedi il Cinonio {ai] Vale
adunque lo stesso che non paia j non apparisca f non veggasL
»-^Non per ornamento 9 oice il Biagioli , ma perchè questo
pronome si rappresenta qui l'oggetto del verbo. 4-«
59 60 t* acquatta , t'abbassa e nascondi. Dopo per dietro y
adoprato anche da altri buoni scrittori : vedi il Vocabolario della
Crusca. — che qui per talmente che [b] ; »-» ma il Biagioli lo
vuole pel relativo il quale. ^^ alcun schermo ^ alcun riparo;
i*haia^ ti abbia, abbia tu a te stesso. Haia per abòia ripete
Dante anche nel Paradiso , canto xyn. verso i4o.; ma ivi pure
in rima, e però, credo, per sincope di abbia^ o ^oome allora
seri ve vasi, habbia.
61 E per nulla offension , che mi sia fatta j l^ge la Ni»
dobeatina; ove l'altre edizioni, E per nulto/pension chiame
sia fatta. Nullo per niuno, adoprato anche da altri buoni
scrittori, vedilo nel Vocabolario della Crusca.
62» m^ conto ^ conta j conti ^ conte , per cognito y cognita^
cogniti f cognite f è un elegante sincope usitatissima anche ai
di nostri ecT in prosa ed in versi. Poggiali, ^h*
[a] Pmrtic, a99. SI [6] Vodi il Ciaunio » Pariic. ^^. af.
CANTO XXL 45i
Perchè altra volta fui a tal baratta .
Poscia passò di là dal co del ponte, 64
£ com' ei giunse in su la ripa sesta ,
Mestier gli fu d' aver sicura fronte •
Con quel furore , e con quella tempesta, 67
Ch' escono i cani addosso al poverello ^
Che di subito chiede , ove s' arresta ;
63 Perchè altra volta ^ quando cioè vi fu. Congiurato da
auella Eriton cruda [a]. m^Eahra volta^ legge l'Ang. E. R.4hi
iaraitaj cioè contrasto y contesa y spiega per molti esempj il
Vocabolario della Crasca.
64 dal co , sincope di capo , di cui \edi nel precedente can*
to, Terso 76.
65 su la ripa sesta • Essendo ogni ponte posato tra due ripe ,
doveva certamente di là dal capo del ponte quinto y su di cui sta-
vano i Poeti, esser la ripa sesta , quella cioè che partiva la
quinta dalla sesta fossa .
66 sicura fronte per coraggio. b-^È bel modo poetico e
ben giusto, perchè la sicurezza della fronte dimostra quella
delFanimo. Biagioli. ^-«
67 tempesta figuratamente per impetuosa veemenza. Vedi
il Vocabolario della Crusca,
68 Ch'escono i cani ec. Accenna il Poeta cosa cné per espe-
rienza è nota ad ognuno , cioè che ai pitocchi , ogni volta che
si affacciano a qualche casa per accattare, furiosamente i cani
ai avventano ; e pare proprio che discemano, e mal volentieri
soflrano che vengano a portai*si via i tozzi di pane che vorreb-
bero mangiar essi.
c)6 Che di subito ec. Altro costume de* pitocchi, di chi^
dere ad un tratto, improvvisamente, la caritè a qualunque
uscio si arrestino. •-►Pretende il Biagioli che il Lombardi non
abbia ben inteso questo verso. Dice egli adunque che la voce
poverello ha un senso vago, potendosi applicare ad ogni soita
di miseria e d' infortunio . Con questo verso, equivalente ad un
solo addiettivo, volle dunque il Poeta determinare la spezie
de* poverelli di cui s*haquiad intendere, che sono appunto
[a] lof. cauto IX* verso a3.
45a INFERNO
Usciron quei di sotto 'i ponticelio, 70
E volser contra lui tu iti i roncigli ;
Ma ei gridò: nessoa di voi sia fello.
Innanzi che l'unciu vostro mi pigli, 73
Traggasi avanti Tun di voi che m'oda,
E poi di roncigliarmi si consigli .
Tutti gridaron : vada Makcoda; 76
Perch* un si mosse , e gli altri stetter fermi ,
E venne a lui dicendo: chi t'approda?
quelli che hanno in uso di chiedere la limosina ovunque e U>-
stocbè s'arrestano. 4-«
^o di sotto 7 ponticello. Ponticello per ponte y m c^oo
della rima ; ed erano questi aue'demonj medesimi che delpon^
te a^ean ooverchioj verso 47. m^di satto al pondoello^ le^
con più chiarezza il cod. Poggiali — e il Val. 3199. 4-«
7 1 roncigli. Ronciglio e nunciglio, spiega il Vocabolario
della Cmsca, ferro adunco a guisa eTuncino, gntffio.
72 fello j malvagio, ingiusto ec« Vedi il Vocabolario della
Crusca.
73 al 75 »-» Queste parole di Virgilio piene sono di nobile
semplicità , e vengono da un uomo intrepido e di animo (ranco.
BiAGioLi.4-« roncigliarmi , ferirmi co* roncigli, s-^ornina-
gliarmif legge l'Ang. E. B. — e il Vat. Sigg,^-*
76 gridaron 1 la Nidobeatina ; e Taltie ediz., gridat^an ; »-»e
così il Vat. 3 199. «-• Malaooda , nome d' uno di que* demonj.
77 Perch^un si mosse, cioè il nominato il/a/a^YMla.
78 m^ eh* egli approda? cosi leggeva il Lombardi , chiosai^
do: fcCosi io sparto e leggo il contuso adunamento di lettere
7» che gli approda y che ne'mss. [a] si ritrova, non solo seoxa
» verun segno d'apostrofo , che a que* tempi non en in uso,
»» ma anche senza veruno spazio intermedio; e intendo cbr
9> abbia egual senso come se detto fosse : €he appriìda egli?
» che arriva egli di nuo\^o [&]? e mi par meglio di quell'albo
[a\ Vedi, tra gli altri, il 1917 della Gorsiai. [5] Siccome rivm eptodi
per r identità del significato possono scambievolmente adopraisi» cosi
approdare e arritmre»
CANTO XXt. 453
n spaitimento amUiesso volgannente nelle stampe , che gli ap*
ii^ proda? del quale, per capire quanto sia difficile il buon sen*
» so, basta leggere la chiosa del Venturi» che resti-inge quanto
«> tì hanno detto gli altri Spositori : «Ae gli approda? che gli
ni a prò , che eli piace di farci sapere ? oppure : che gli gio^
«> va il mio andare a lui? in che gli accomoda? crede per
» questo doi^ere slare libero da*nostri grafi?
» La particella egli per riempitiva , com* io qui k pongo 9
tt fu (se mai ad alcuno nascesse da questa parte dubbio) ado-
» penta sempre dagli italiani e massime toscani scrittori y ed
» adoprala pur Dante, Inf. xxit. Sa.» xxni. 64*: Purg.xxvni. ò'j.
» ed altrove. » — cAi ^approda? leggeva TE- R. nella 2. edi-
tione, spiegando: chi ti fa qui approdare? come sei qui ca^
fatato? Ma nella 3. ediz. ha rimessa nel testo la comune le«
tione, che gli approda? confortata dalVautorità de*codd. Ang.,
Caet. e Vat. 3199, interpretando col Biagioli : che gli accasca!?
die gli accade? che gli occorre? Ci offre poi una nuova in-
terpretazione di questo passo data dal P. Aiez. Raguseo, che
in tanta oscurità non è da spregiarsi. Questi , trovando scrìtto
nel Vat 3 199, che li approda? chiosa : «io dividerei così: chi
ȏ li a proaa? Gli scrittori di quel tempo univano il segna-
V caso al nome, e raddoppiavano la consonante seguente, co-*
a me si vede al principio di questo stesso verso. Et venne allui*
» L* interrogazione cosi divìsa si gnificherebbe t chi ò lì da-
0 vanti? ovvero, chi è lì alla ripa? e sarebbe presa dall'uso
«marinaresco.» —L'Anonimo, frequentemente citato nella
E. F., legge invece che t^ approda? e spiega: cAc ti giova
ch*io venga qua? questo piccolo ritardare di andare alla
pena ti /ta di piccolo prò. Parla come snelli fosse un anima
dannata a quello luogo* «— Questa chiosa concorda colla mag*-
gior parte delle sposizioni che dagl'Interpreti date si sono a
questo passo; ed alla voce approdare il Vocab. della Cr. dà
anche il significato di far prò , glossare . <•— Il Biagioli ritiene
che il LoDd!>ardi colla sua lezione guasti il sentimento 9 ^ ^^^
qni pigli il pronome egli per riempitivo con poca gloria di
Dante. — Gli Editori bolognesi sono d' avviso che approda
sia qui in luogo di approderà; perciò intendono: qual cosa
gli potrà giovare j cioè potrà salvarlo dai nostri rafi? Esa-
minandoci per la verità della cosa, fra tutte le esposte, 1^ le*
aione del Lombardi non ci sembra per certo la migliore • ~ Ih
tanta incertezza e varietà di opinioni noi abbiamo seguila la
lezione chi t* approda? del cod. Cass., introdotta nel testo dal-
4^14 INFERNO
Credi tu, Malacoda, qui vedermi 79
Esser venuto , disse '1 mio Maestro,
Sicuro già da tutti i vostri schermi
Senza voler divino e fato destro? 82
Lasciami andar , che nel Cielo è volato
Cb' io mostri altrui questo cammia silvestre.
Alior gli fu l'orgoglio si caduto, 85
Che si lasciò cascar Y uncino ai piedi ,
E disse agli altri: ornai non sia feruto.
£ '1 Duca mio a me: o tu, che siedi 88
TE. B. nella a. rom. edizione 9 come qiiella che » a nostro giudi-
zio > merita la preferenza. 4hi
8 1 Sicuro j la Nidobeatina ; Securo 9 Taltre edis. '^schermi ^
per contrasti. •-►iSc/cermo significa propriamente J!i/eraoi>
paro : ma s'adopera alcuna Tolta in significato di offesa , es-
sendo vocabolo originalmente proprio dell'arte della scherma,
nella quale ristesse mosse ed opei'azioni hanno sempre in min
il doppio oggetto di difendersi e di offendere. Poggiau.^-c
8 a fato destro j destino propizio. Destro per propizio j
faì^orevole^ adoprato da altri buoni scrittori y vedilo nel \ 0-
cabolario della Crusca.
83 m^ Lasciane andar , legge TAng. E. R., e il Vat. 3199*
ed il cod. Poggiali •«-«
85 gli fu l orgoglio sì caduto j l'attivo volto in passivo,
invece di gli cadde j gli cessò y rorgoelio y talmente die ec.
«-^Bellissimo modo di dire imitato dal Boccaccio stesso che
scrisse : subitamente la sua ira e lo sdegno caduti ; — e al-
trove : perchè di presente gli cadde // furore . Biagioli . «^
DalFoperare nondimeno di costoro > che in seguito [a] vedras-
si , bisogna concludere che non prestassero ^lino a cotale
manifestazione se non una dubbiosa credenza , la quale facesse
bcusi indugiare, ma non dimettere l'animo di nuocere.
87 feriao per ferito y adoperato da buoni antichi scrìtioiì
anche fuor del verso e della rima y vedilo nel Vocabolario della
Ci*usca •
[a] Vedi il I». 1 1 1 del presente, e il 1 6. e segg. del canto x\uu
CANTO XXI. 45^
Tra gli scheggioQ del ponte quatto quatto ^
Sicuramente ornai a me ti riedi .
Perch'io mi mossi, ed a lui venni ratto: gì
E i diavoli si fecer tutti avanti ,
Si eh' io temei che non tenesser patto.
E così vid' io già temer li fanti , g4
Ch* uscivan patteggiati di Gaprona,
Veggendo sé tra nemici cotanti .
91 ratio f aTTerbìO) v^ìe prestamente, »-»n Biagioli però;
conUt) il parere di tutti gli Espositori, vuole che ratto non
sia qui avverbio y e che significhi con passo ratto > «-«
gó temei che non tenesser patto y cosi legge la Nidob.; te*
metti non tenesser y le altre edizioni: e vuoisi intendere, che
il Poeta temè cKe i diavoli non osservassero quello che a Vir-
gilio promesso avea Malacoda. Tener patto è come tener fede\
per mantenere , osservar fede; come disse il Petrarca, son. 80.:
rapidamente n* abbandona
n mondo, e picciol tempo ne tien fede .
•^temetti che rompesser patto , legge TAng. E. R. ; e Si ch'i*
temetti, cK^ei tenesser patto f il Vat. Bigg. 4-«
94 al 96 i? così vid* io ec. Gaprona fu già castello de* Pisa-
ni in riva d'Amo, e fu tolto a* Pisani da Lucchesi, i quali ^
collegali con gli altri Guelfi di Toscana , facevano guerra a Pisa,
capo de*Ghìbellini. Dopo, essendo assediato da gi^ande esercito
de* Pisani, i fanti Lucchesi che v'erano in guardia, mancando
loro l'acqua , si dettero , salve le persone : ed usciti in campo ,
furono dal Conte Guido legati tutti a una fune , acciocché non
si separassero; e separati, fossero morti da* villani -.e condotti
ai confini di Lucca, rarono licenziati. Nondimeno perchè, men-
tre che passavano pel campo de* nemici ciascun gridava, ap*
picca , appicca , essi temerono forte. Landiko. a-^Dice il sig. Pog-
giali che questo fatto deve appartenere al 1 290, o circa. Dante
aveva allora a5 anni, e, per quanto può dedursi da questa ter-
zina, si trovò presente alla suddetta evacuazione de'Lucchesi
dati castello Gaprona . — Il Venturi pretende invece che questa
pauia ravessei*o i Pisani quando cedettero il castello ai Luc-
chesi .
456 INFERNO
lo m' accostai con tutta la persona 97
Lungo 1 mio Duca, e non torceva gli occhi
Dalla sembianza lor, eh'. era non buona.
£i china van li raffi , e : vuoi eh' V 1 tocchi , 100
Diceva V un con Y altro , in sul groppone ?
E rispondean : sì ; fa che gliele accocchi :
IVIa quel demonio , che tenea sermone io3
Col Duca mio, si volse tutto presto,
E disse: posa, posa, Scarmiglione:
Poi disse a noi: più oltre andar per questo 106
Scoglio non si potrà j perocché giace
Tutto spezzato al fondo V arco sesto :
Q^ gg »-^ io rn accostai ec. Mossa molto natnrale di dii
ha paura. Poggiali .^-s Lungo y avverbio, vale quanto vicino,
rasente . Vedi il Vocabolario della Crusca, m^ non tollera gli
occhi y ha il codice Ang. E. B. ^ non buona y minacciosa e
fiera. Vehtubi.
1 00 al 1 oa £*! chinas^any abbassavano verso di me, li raff,
gli uncini. - e.- vuoi ec. ; costruzione.* e y diceva Cun con C al-
tro y vuoi ch*r 7 tocchi y che il percuota , in sul gropponcy parte
del corpo appiè della schiena soprai fianchi. Vedi il V^ocabo-
lario della Olisca alla voce Groppa ; ma qui per tutta la de-
retana parte del busto, m^ Diceva Funo alPaltrOy buona t^
rianle del cod. Poggiali. ^-«^/ie/e accocchi y glielo attacchi, in-
tendi il raffio. Accoccare è propriamente attaccare la corda
dell'arco alla cocca y ossia tacca della freccia. Qui è metafon;
ma , come ognun vede, molto espressiva. Poggijj:j.4-« Di ^/iWe
indeclinabilmente per tutti i generi e casi, invece di glielo^
gliela y glieli y vedi il Gnonio [a], •^vuoi che*l tocchi^ al
V. 1 00. , legge il Vat. 3 1 99. ♦-•
io3 tenea sermone per favellava.
I o5 posay posay quietati y quietati y * Scarmiglione y nome
d^un di quei demonj che voleva feiìr Dante.
107 108 ^^ Scolilo non si può y ec. , legge il cod. Vatica-
\a] Par tic. cap. 119.
CANTO XXI. 457
£ se r andare avanti pur vi piace, log
Andatevene su per questa grotta:
Presso è un altro scoglio, che via face.
ler, più oltre cinqu' ore che quest' otta^ 1 1 2
Milledugeoto con sessantasei
Anni compier, che qui la via fu rotta.
no 3199. 4HI perocché ec; costruzione: oeroccAè Carco^ il
ponte y sesto giace al fondo ^ di quella fossa, tutto spezza-»
to. Questo ponte della sesta fossa, eh' è degl'ipocriti, Angelo
Dante , come appresso accennerà , spezzato nel terremoto av-
venuto nella morte del Redentore: e solo esso ponte degl'ipo*
criti rovinò, in sesno di essere V ipocrisia de' Farisei stata la
cagion principale della morte di Gesii Oisto ; o, come dice il
Landino, perchè in miei tempo fu disgregata la sinagoga dei
Giudei e la fraude della ipocrisia dei saceraoti.
110 111 per questa grotta • Grotta , perchè luogo dirupato
e sosceso [aj , appella l' ai^ne divisorio tra la fossa quinta , alla
quale i Poeti stavan sopra, e la sesta fossa ; e vuole Malacoda
dire che camminando i Poeti sopra quell'argine , perverrebbero
ad un altro dei molti scogli intersecanti quelle tosse (rivedi il
passato canto xviu.»^. i6. e segg. ), nel quale trgverebbono in-
tiero anche il ponte sopra la sesta fossa. Essere però questa
una bugili di Malacoda, ed essere non solo qui, ma da per
tutto spezzati i ponti sopra di essa fossa , apparirà nel e. xxiii.
»". j36. e segg., dove i Poeti di tale gabbamento si avveggono.
La bugìa medesima ripete ne'iv- laò. e 126.; e bisogna
credere che sia intenzione ael Poeta nostro, che nel luogo dei
barattieri facciano anche i demonj volentieri del nò itUj t^. 4^*
I la al 1 14 ler j più oltre ec Due cose vengono qui ad ac-
cennarsi: e fatta quella rottura dal terremoto seguito nella
morte del Redentore , e Tanno di nostra Era 1 3oo essere quello
in cui finge Dante di avere intrapresa questa sua andata all'al-
tro mcmdoi imperocché essendo Gesù Gristo , secondo che tiene
esso Dante [6], morto d'anni 34 9 restano appunto tra il 34 e
il i3oo anni ia66 [e].
[a] Vedi il Vocab. della Crusca, [b] Convivio, tratt. 4. cap. iS«
[e] Nello stesso anno i3oo fu il Giubbtleo, che pure accenna , Purg.
II. 9S.
458 INFERNO
Due errori però còmmettonsi a questo passo dalla comtnie
degli Spositorì: uno è, che per più oltre cinqu'ore intendono
essi Tom sesta, in cui il Redentor nostro fu crocifisso ; e con-
seguentemente a tale intelligenza spiegano per quesi^'otia (of-
fa per ora , adoprato da buoni scrìtton anche in prosa , vedilo
nel Vocab. della Crusca ) 1* ora prima del giorno ; non badan*
do che accennossi giunta V ora prima già fin dal canto prece-
dente, 1^. 126. (vedi quella nota). L*altro errore è , che per
VIer intendono il giorno del venerdì santo; e per conseguenza
stabiliscono che questo y in cui Malacoda cosi parlaya, fosse
il sabato santo.
Scopresi il primo errore con avvertire che il prodigioso
terremoto 9 di cui qui favella» successe 9 non nell'ora sesta in
cui Gesii Cristo fu posto in croce » ma nell'ora nona, quando
Gesù Cristo mori. Vedi il Vangelo, Matth. 27, Marc. i5.
Manifestasi T altro erroi'e dallo avere Dante medesimo in
persona di Virgilio detto che nella notte precedente alio stesso
ieri fosse la Luna tonda ( canto preced. v. 1 27. ) , e dal trovar
noi che quella Luna tonda y ossia plenilunio, dovette cadere
nel di 4 aprile ( vedi la nota al citato verso 1 27. ), e il venerdì
santo fu in quell'anno i3oo il dì 8 aprile [aj.
La quarta ora del giorno era adunque quest* otta , e non
la prima : ed il giorno precedente accennasi come anniversario
della morte del Redentore non per altro che per la ragione
detta al »^ 129. del precedente canto, cioè per essere quello
il fi[iomo consecutivo al giorno del plenilunio a Sole in Ariete,
nel quale consecutivo giorno sappiamo essere avvenuta la pre-
ziosa morte di Gesii Cristo (rivedi quant'ivi si è notato j; e
però gli anni milledugento con sessantasei debbonsi inten*
dere non meramente solari y ma, come sogliono appellarsi,
lunisolari.
Anniversario della morte di Cristo disse il Petrarca pure
nel medesimo senso il di 6 aprile 1327 [6j« Vedi il Tassoni
sopra le rime di esso poeta, son. 3.
Altro anniversario non si può intendere: non quello che
la Chiesa celebra, cioè il venerdì santo, per la predetta ragione,
cioè che non fu consecutivo al giorno del plenilunio: non
[a] Che nel dì 8 aprile cadesse in quell' anno il veoerdì santo, cono-
acesi coosegaeti te mente al trovarsi ( secondo il metodo che ne insegoano
gli scriltori del computo ecclesiastico) caduta la Pasqua del f
anno nel dì 10 .iprite, [b] Son. 176*
CANTO XX!. 45o
quello che corrisponda al giorno fissato alla morte di Cristo da
alcuno scrittore sacro o profano; imperocché chi scrisse mai
esser morto Cristo net dì 5 aprile? Io j dice il Tassoni nel men-
tovato luogo ) nel ridurre che ho fatto in un tomo tutti gli
Annali ecclesiastici del Cardinal Baronio , ho veduto non
solamente dò che sovra questo dicono gV istorici ^ ma i teo"
logi e gli astronomi; e trovo P opinioni in due classi prin^
cipali divise. Una degl* istorici ^ che tengono che il giorno
della passione del Salvatore fosse di marzo; e r altra degli
astrologi f che vogliono fosse d^ aprile. La più comune de*
gP istorici y seguitata da Tertulliano^ da Beda^ da santo
Agostino j da s, Giovanni Crisostomo j da s. Tommaso
d'Aquino e da alcuni altri Padri ^ è che fosse il giorno aS
di marzo; ed a questa il Platina ancora ed altri moderni
aderiscono . Afa la più insigne e comune fra gli astronomi^
quali j secondo Abulese e Giovanni Lucido j seguono le
tavole Alfonsine ed il calcolo ecclesiastico , regolato per
V iuxreo numero , è che fosse il 3 d'aprile ; e concorda pa*
rimente con edcune antichissime osservazioni. Ma Giosefo
Scaligero j nel sesto libro de emendatione temporum, ag*
giungendo un anno di più allieta di Cristo j con molte ra^
gionij autorità e calcoli^ si sforza dimostrare.che il giorno
della sua passione cadesse nel a3 d'aprile; altri , secondo
Marcello Fi ancolino ^ giudicarono che fosse il i6 del me*
desimo mese; e fra gP istorici alcuni scrissero per con^
gettare j che fu il a3 , ed altri il 3o di marzo- Ma niuno
( conclude egli per rapporto al Petrarca ) fra tanto numero
si trova (che io mi sappia) il quale nomini il 6 d aprite.
E niuno (concluderemo noi rispetto a Dante) che ponga il di
5 aprile.
Piacendo alPautore degli Aneddoti recentemente stampati
in Verona (Anedd. iv. cap. i'2.)cbe per l'anniversario della
morte del Redentore intendesse Dante il di 35 marzo y per com«
binare con esso giorno il plenilunio dal Poeta ammesso , indn-
cesi a crederlo un plenilunio meramente fantastico; non avveiw
tendo però che y se non per supposto real plenilunio, non poteva
Dante, Inf. xx. 124., ai^omentare dal cader della Luna il na»
scer del Sole . a-^Il Biagioli vuole che per ler s'abbia ad inten*
dere il venerdì santo; e che auel rovinìo dell'Inferno avesse
luogo neirora sesta, nella quale Gesii Cristo fu posto in cimice ;
poiché all'ora stessa ebbe compimento e la violenza fatta al Fi-
glino] di Dio, e l'effetto della farisaica ipocrisia. -— Per noi ci
46o INFERNO
Io mando verso là di questi miei , 1 1 5
A riguardar s' alcua se ne sciorina :
Gite con ior, eh' e' non saranno rei.
Tratti avanti , Alichino, e Galcabrina y 118
Cominciò egli a dire, e tu, Gagnazzo,
E Barbariccia guidi la decina .
Libicocco vegna oltre, e Draghignazzo, mi
accostiamo più volentieri all' opinione del Lombardi , conchin-
dendo però» col eh. sig. Ab. Portirelli, che il formare delle que-
stioni per concordare le ore e il giorno sia una inutile &ti*
ca. -^uinni compiè^ al u. 1 14*9 legge il Yat. 3 199. 4-«
1 1 5 di questi mieiy di qaesti demonj soggetti al mio comando.
1 16 alcun f de* condannati alla bollente pece. — ^e ne Sab-
rina. Sciorinarsi qui per uscire all'aria luor della pece.^-i
Formasi questa voce da orina (auretta) diminutivo di óra
(aura ) e da jc, equivalente alla preposizione latina ex. Bu-
gigli. 4HI
117 non saranno rei j non vi nuoceranno. Pronoiessa però
di demonio bugiardo 9 com* è detto al i^. 1 1 1 • , e Tediassi in
effetto nel e xxiii. e segg«
1 18 AlichinOy e Caìcabrina ec, nomi di demonj 1 presi
dal Poeta chi sa dove? forse da soprannomi derisorj d'uomini;
forse da nomi che si dassero a cani e ad altre bestie ; e forse
anche composti dal Poeta medesimo con voci prese parte dal
comune italiano dialetto 9 e parte da dialetti particolari od este-
ri . Tra le spiegazioni che sforzasi il Landino di dare a tatti
qaesti nomi , si merita considerazione quella di Ciriatto . Lo
chiama 9 dice 9 Ciriatto sannutOj perchè ciro 9 non sola/nenie
in lingua rusticana de'' nostri ^ ma in lingua greca, signi"
fica porco, m^ È opinione del Biagio] i essere stato intendi-
mento di Dante di dipingere in questi diavoli 9 negli atti e di-
scorsi loro 9 gli sbirri d'Italia 9 gente la piii vile, la piii sprez-
zata e disonorata e disonorante del bel paese ,* e dice ancon
esser possibile che il Poeta nelle sue lunghe perequazioni ab*
bia ricevuto qualche disgusto da alcuna banda di questi dia»
voli d'Italia .<«-«
tao la decina. Di fatto con Barbariccia si nominano qui
altri demonj fino al numero di dieci.
CANTO XXI. 46i
Ciriatto saDnuto, e Graffiacane,
E Farfarello, e Rubicante pazzo:
Cercate lutoroo le bollenti pane: 1 34
Costor sien salvi insino all'altro scheggio ,
Che tutto intero va sopra le tane .
Omè! Maestro, che è quel eh' io veggio? 1 17
laa sannutoy che ha sanne; ed è janna ( spiega il Voca*
bolarìo della Crusca ) dente grande , e più propriamente quel
dente curro, una parte del quale esce mori delle labbra d'al-
cuni animali , come del porco , delP elefante e simili . In alcune
edizioni ponesi Sannuto non come epiteto di Ciriatto y ma co-
me altro nome di demonio; scrìvesi cioè con S maiuscola, e
separasi con virgola da Ciriatto • Dante però stesso nel canto
smiente ne indica essersi ciò malamente fatto , e perchè di
Oriatto ripete:
a cui di bocca uscìa
D* ogni parte una sanna^ come aporco[a^j
e perchè dice: iVbi andauam con li dieci aimoni [b\; quan-
do che, posto Sannuto qual altro demonio, sarebbero stati
undici, e non dieci.
124 pane dice per sincope a cagion della rima invece di
panie , plurale di /vaitia , materia alla pece molto simile, e po-
sta perciò qui in luogo di essa pece, m^ Cosi anche Torelli. 4hi
ia5 Costor sien sal\à insino ec. Raccomandazione finta,
com'è finto e falso che V altro scheggio f cioè il seguente sco*
glio intersecante quelle fosse, uada^ passi, intiero sopra le
tanej sopra le fosse, e intendi tutte, eziandio soprala sesta.
Vedi il detto al i'. iii.
1 27 Omè oimè ed ohimè adopransi ugualmente per interie-
zioni di dolore. Vedi il Vocabolario della Gr. Trovo in tutte
r altre edizioni stampato O me, diviso cioè Fo dal me. («-*
Tediz. Fùlignate 1 472 ^^gg^ Ome tutto unito . E. R. ) Ma dee
questo essere sbaglio cagionato dalla vaghezza degli antichi di
separare le maiuscole iniziali de* versi dalle seguenti lettela
( vedi la Nidob. tra Taltre ediz. ) ; o convien credere che o me
ed ornò scrivessesi dagli antichi indifferentemente ( contro il
[n] Verso S5,e segg. [ò] Verso iS.
462 INFERNO
Diss io : deh senza scorta andiamci soli ,
Se tu sa'ir, chTper me ooa la cli^gio.
Se tu se sì accorto , come suoli , 1 3o
NoQ vedi tu eh' ei digrignan li denti ,
£ con le cigUa ne minaccian duoli ?
Ed egli a me : non vo' che tu paventi ; 1 33
Lasciali digrignar pure a lor senno,
Ch'ei fanno ciò per li lesi dolenti.
parere del Cmonio[a] )) e noninaicbe Ome Maestro «igni»
fichi O fnio Maestro j come spiega il Venturi, il cpiale poscii
non può a meno di non spiegare nel seguente canto, k QIm
altro o me per oùnò •
1 2q Se tu sa ir j perocché dicesti : Ben so 7 cammin ee. [&]•
-^ dieggìo da chedere^ significante il medesimo che c&iie<^
re • Vedi la nota al \f, 1 20. del passato canto xv.
1 3 1 ei digrignan li denti , la Nidobeatina ; ed è* digrignan
Udenti, l'altre edizioni. Digrignar li denti vale mostrar per
rabbia li denti ."E con le ciglia , e col bieco sguardo, ne
minaccian duoli, guai.
i36 ei fanno ciò per li lesi dolenti (ei^ la Nidobeatioa;
e' r altre ediz. ), cioè la loro rabbia è contro de'sdaurati che
sono lesi dalla bollente pece , e non contro di noi . Cosi Vii^
gilio credeva; ma questa volta la paura faceva pensare a Daule
meglio che non pensasse Virgilio. »-► Virgilio non s* inganna,
credendo veramente quello che le sue parole suonano. Virgilio
dice cosi , perchè altrimenti Dante eraspacciato» tanto era gran-
de la sua paura. Biagioi.1 . 4hì II Veli utello si accorda a legger
lesi colla Nidob. ; la comune però legge lessi f come che si les-
sassero nella pece. Piacquemi da principio una tal lesione; ma
riflettendo poi che Dante stesso chiama quei meschini bruciati,
non lessati , nella pece : E della gente , didentro vera incesa ,
canto seg. v. 1 8. ; e che nei conienti di Butiy di Benvenuio da
Imola e di Iacopo della Lana trovasi egualmente iesiy e non
lessi $ ho stimato di seguire la mia Nidobeatina 9 alla quale è
concorde anche V edizione di Vindel. de Spira 1 477- *-» Anche
il eh. sig. Ab. Portirelli trova preferibile la lezione della Al-
ici] Panie, cap. 189. aS. [b] Inf. ix« So.
CANTO XXI. 463
Per r argine sinistro volta dienno; 1 3G
Ma prima avea ciascun la lingua stretta
Co' denti verso lor duca per cenno;
Ed egli avea del cui fatto trombetta .
<Iob., perchè allontana l'idea del lesso, che qui invilisce il di-
5rorso. — Il Val. 3 igg legge pei'ò tessi j dolenti. - Anche il
Torelli legge pur lessi , dalla voce latina lessus, e spiega col
Daniello, per quelli ch'erano allessati nella pece. 4-c
1 36 Per r argine sinistro , cioè per la parte dell' argine che
dal ponte scendendo stava alla sinistra mano.
ù^j i38 avea ciascun la lingua stretta -» Co* denti i atto di
chi vuole sbeffare senza farsi sentire a ridere j — - verso lor duca
per cenno j vei'so Barbariccia , loro condottiero , accennandogli
il poco accorgimento di Virgilio in credere e persnadei'e il com-
pagno , che digrignassero essi i denti per li lesi dolenti, m-^per
cenno j cioè per cenno che lor avea fatto al partire, facendo
trombetta del culo Male il Daniello ed altri. Tobbllì- ^hi
i39 avea del cui fatto trombetta. Fa Dante che i dcmonj
m modo sconcio, ed alla loro viltà proporzionato, imitino il
moversi delle militari squadre a suon di tromba. Può qui
trombetta intendersi e per tromba e per trombettiere .
Non so che si pretendano alcuni che a questo passo tor*
cono leziosamente il grifo. Vorrebber eglino forse che a derì-
dere i costumi delli demonj neirinfeiiio adoprato fosse ugua-
le stile che a descrivere gli onesti tratti degli uomini nelle più
polite sale ?•-» Il Poeta, dice a questo proposito il Biagio!!,
non deve , per rispetto ai dilicati nasi , tradir l'arte , e dei mae-
stri le severe leggi , che vogliono che gli atti , le parole ed ogni
P^rte ritraente sia della natura del tutto che si compongono.
Tacciasi adunque chiunque accusa Dante d'aver usato parole
brutte e sozze, non l'avendo fatto se non raiìssime volte per
ntrar sozze maniere di sozzissima gente, e avendo! fatto sol*
t^Qlo dove r obbligo della vei'a imitazione Tha cosU*etto. «-«
CANTO XXII.
-••^
ARGOMENTO
Ascendo col canto di sopra Dante trattato di coloro che
venderono la lor repubblica , in questo segue di que-
gli, che trombandosi in onorato grado appresso il lo-
ro signore , svenderono la sua grazia . Descrisvendo
adunque la forma della penUy fa particolar men-
zione di unos il q utile gli dà contezza degU altri ;
ed infine racconta V astuzia usata da quello spirito
neir ingannar tutti i demonj.
I
o vidi già cavalìer muover campo,
■-► II segno di partire, fatto daBarbariccia ai compagni,
ha dato campo al Poeta di dar principio grande e sublime al
presente canto, ove per l'enumerazione dei diversi segni da
far muover gente , o scior nave , descritti con versi di belle
parole e modi, e d'armonia ripieni , tiene artatamente sospeso
lo animo del lettore, finché s'accorge ove ferir vuole Tinten-
BÌon sua. Molte bellezze sono profuse in questo canto , non di
quelle che al maggior numero piacer sogliono, ma bensì ai
pochi, i quali nella natura le ricercano, onde le ha cavate il
Poeta nostro, rivestendole con semplici e schietti colori, quali
all' esser loro si convengono. BiIgioli . 4-«
I Io {fidi ec. Enumera qui Dante varie azioni , alle quali so-
gliono gli uomini muoversi con segni, e gli strumenti vari che
a dare i medesimi segni si adoperano; e conclude di non aver
veduto mai il più strano e deforme strumento di quello <:bc
nel fine del passato canto ha detto adoprato da Barbarìccia per
guidare sua squadra: stendendo il Poeta la enumei^aaùone in
CANTO XXII. 46>
£ coiDiocìare stormo, e far lor mostra,
£ talvolta partir per loro scampo:
Corridor vidi per la terra vostra , 4
O Aretini, e vidi gir gualdane,
tati' altro che nella diabolica cennamella y non mi sembra
giusto il rimprovero del Venturi , che di questa cennamella
se ne empia un po' troppo la bocca [a\ . — muover campo ,
muover esercito per marciare, ovver far cammino. Daxibllo.
•-» Significa piuttosto y secondo il Biagioli > il principio dell'azio*
iiCy e ciò in riguardo al dipartirsi dei diavoli al segno del loro
capo. 4^
a stormo vale qui combattimento > come in quel passo di
(fio. Villani : jiyendo perduta Creusa sua moglie allo stormo
de* Greci [bJl» Vedi il Vocabolario della Crusca. -^ mostra ^ al-
tra funzione » in cui si muovono ti*uppe con tamburi, ed altri
istrumentiy detta altrimenti ordinanza o rassegna. Vedi lo
stesso Vocabolario.
3 E titli^lta partir ec,f movimento appellato ritirata y a
cui pure si dà segno con tamburi ec.
4 5 Corridor uidi. Corridore y spiega il Vocab. della Cr, por
chi fa correrìe; e correrìa significa lo scorrere che fanno
gli eserciti per lo paese nimico y guastando e depredandolo';
ma la 8con*erìa a guastare e predare dee piuttosto intendersi
sotto il seguente vocabolo di gualdane, Gualdane ^ chiosa il
fiuti 9 riportato dal Vocabolario medesimo a quella voce, cioè
eat^aicate , le quali si fanno alcuna uolta sul terreno de^ne^--
mici a rubare e ardere ^ e pigliare prigioni; ed {stessamente
chioaaDO il Landino, il Vellutello e Daniello. Per corridori
adunque intenderci iopiii volentieri pìcciole squadre a cavallo,
dette isolanti f delle quali il Petrarca negli Uomini illustri: .ri
facevano continuamente assalti e picriole battaglie da* cor"
ritori degli osti* Nomina qui Dante gli j4 retini y come coloro ^
la città de*quali fu a que'tempi assai dalle militata squadra mo-
lestata; e quasi disolata ^ dice il Landino. •-*• Ma meglio del
Landino rende di ciò ragione la seguente postilla del codice
Caasinese, riportala dall'E. R. Si U^gge Adunque del Poeta, che
tangit de Arctio > quia muiquitus illa civitas quando erat
'a\ "^oim al verso io. [h] Cron. lib. i. is.
468 INFERNO
Per veder della bolgia ogoi contegno ,
E della gente, ch'entro v'era incesa.
Come i delfini, quando fanno segno 19
A' marinar eoo Tarco della schiena,
Che s'argomentin di caaipar lor legno ^
Talor così ad alleggiar la pena, 12
Mostrava alcun de' peccatori 1 dosso,
E nascondeva in raen che non balena .
£ come all' orlo dell' acqua d' un fosso a5
Stanno i ranocchi pur col muso fuori,
Sì che celano i piedi e T altro grosso;
Si stavan d'ogni parte i peccatori: a8
Ma come s'appressava Barbariccia,
17 18 ogni contegno . Contegno y per condizione , qualità ,
chiosa il Volpi bene, perocché adattasi in cotal modo contegno
anche al seguente \evso: E de/la gente ec. ; al qual verso non
Euossi adattare contegno y come ne lo spiegano il Vellatello,
Daniello , Venturi , ed anche il Vocab. della Cr., per contenuto.
•-» contegno , in senso dì condizione y staio y essere , qualità y
Tintende anche il cav. Monti (Prop. voi. i. P. 11. fàc. i85).«-«
incesa per accesa y bruciala: termine adoprato pur da altri
buoni scrittori. Vedi il Vocabolario della Crusca.
19 al 21 m-^Come deljtniy ec.y legge il Vat. 3 199. - Questa
similitudine, e l'altra de^ranocchi ciie segue, sono, per sen-
timento del sig. Biagioli , si proprie e sì acconce al suggetto,
ch'altre in natura non si troverebbero per avventura pù di
queste convenienti. 4hì s^argomentin vale si dispongano y si
prepai'ino y-» di campare , intendi , dalla imminente burrasca,
che con tale emergere ì delfini avvisano.
22 m-¥u4.Hegeiare ( far l<*ggei'o), (rane, allégery a'Ue^iart*,
alleggerire, sollevare ec. Biagioli. ♦-•
26 Stanno 1 ranocchi y la Nidobeatina; Stan li ranocchia
)'alti*e edizioni •-♦e il Vat. iSgg. 4-»pMr, solamente.
27 V altro grosso , Tal tra loro grossezza . Di grosso per gros^
$ezza vedi il Vocabolario della Crusca.
:49 come per quando ^'^ Barbariccia. Pone solo Barbarie*
CANTO XXll. 4^9
Così sì riiraean sotto i bollori .
lo vidi, ed. anche 1 cuor mi s* accapriccia ^ 3i
Udo aspettar così, com' egli incontra
Ch'uDa rana rimane, e Faltra spiccia;
E Graffiacan, che gli era più di contra, 34
Gli arroncigliò le 'mpegoLte chiome,
E trassel su , che mi parve una lontra •
ria, come capo e ^uida, per tutta quella decina de* deinonp
»-» Ma noi siamo a' avviso che qui s'abbia ad intendere di Bar-
bariccia soltanto , e come suonano le parole del testo ; perocché
egli, come capo, pi*eiva agli altri, ed era per conseguenza il
pi'ìrao ad essere veduto da* que' sommersi. ^-9
3o ^* Cosi si vìtrnenn. NellVdi*. rom. del 1791 trovasi
Cosi si ritenean \ ma olire che il P. L. nulla ci avverte della
nuova lezione introdotta, è chiaro che chi muta di situazione
non si ritiene 'i ma si ritrae; perciò lo crediamo un eri'ore di
stampa . E. R. -* Così per subito [«( J , •-» in corrispondenza al
come per quando . ^-m
"il m^et anco 7 cuor me naccapriccin , legge il Vat. 3 igq;
— e mi raccapriccia , TAiig. E. R. ♦-•
32 33 com^egli (particella riempitiva) incontra^ CK^una
rana ec. Ripiglia la similitudine delle rane , e dice^ che come
avviene che alcuna di esse rimane ( intendi coi muso fuori
detracquà) menti*e le altre fuggono, così vid'egli tra i molti
che alPapparire di que'dcmonj nascondevansi» rimaner uno col
capo fuor della bollente pece. •-►Qui egli non è particella riem-
pitiva» al dir del Biagioli, che spiega.* com*egii incontra cioè
come questo avviene , accade , che ec. — ed altra spiccia col
VaU 3 1 99 legge la 3. rom. ediz. , sembrando al sig. Editore che,
mancando il segnacaso a una , debba necessariamente mancare
anche ad altra. 4-« Spicciare <, che dicesi propriamente dello
sfuggire de' liquori per l'aperture de' continenti vasi, trasferi-
sce qui il Poeta a significare scni^Wc^mcnXe sfuggi re^ scappare.
35 36 Gli arroncigliò y gli aggi^appòcoll'uncino. -/ow/ra,
Animai quadrupede anfibio, di coIoi*e nerìccio, e de' pesci di*
voratore; e bene, tanto pel colore, quanto pT Io trarsi cotal
[«^ Cinon. Partir. 61. 9'
470 INFERNO
lo sapea già di tulli quanti '1 nome, 3)
Sì li notai quando furono eletti ,
E , poi che si cbiamaro , attesi come .
O Rubicante, fa' che tu gli metti 4^
Gli unghioni addosso si che tu lo scuoi ^
Gridavan tulli insieme i maladetti.
Ed io: Maestro mio, fa', se tu puoi, 4^
Cile tu sappi chi è lo sciagurato
"Tenuto a man degli avversari suoi •
Lo Duca mio gli si accostò allato: 4^
Domandollo ond'ei fosse; e quei rispose:
Io fui del regno di Navarra nato.
Mia madre a servo d'un signor mi pose; 49
Che m'avea generalo d'un ribaldo,
Disiruggitor di sé, e di sue cose.
Animale per lo più dall'acque, se gli paragona il tratto dalls
pece e di pece lordo bai'atliere. -* Il cod. Caet.y invece di cA«
mi parve ^ ^^gg^ come fusse. E. R.
37 al 39 Io sapea. Vuole il Poeta con quc^U terzina pre-
venire una dimanda che potrebbe lui essere fatta, come cioè
sapess*egli che colui ch'aggroppò il barattiere, fosse Graffii-
caue . Disse adunque di aver appreso i loro nomi e perchè pri-
mieramente gl'intese nominare ad uno ad uno da Malacoda, e
perchè poi die ( che vale qui quando [aj) si chiamarono tra
di loro, attese co/n6, cioè come si chiamavano. Wh^attesi come
vuol dii's attesi come si chiamaro? o segue il sentimento coi
terzetto seguente 7 levando il punto fermo dopo comcj secondo
la Cominiana? Tobelli . ^hì
5i scuoi da scuoiare j che vale quanto scorticare.
47 ond''eij la Nìdobeatina; ond^e'^j l'altre edizioni •-» e il
Vat. 3199. — E domandò ond*ei fosse y TAng. E. R. ^-m
48 al 62 regno di Navarra ^ al presente diviso Xxb. la Spa-
gna e ^a Francia .- 77fl/o per natio. Volpi. — Fu costui Giam-
p)lo, ovvero Ciampolo, figlinolo di gentil donnaj ma il pad: e
[a] Cìnon. Partic. 44. u8.
CANTO XXU. 47«
Poi fui famiglio del buoa Re Tebaldo : Ss
Quivi mi misi a far baratteria ^
Di che rendo ragione in questo caldo .
£ Giriatto, a cui di bocca uscìa S5
D'ogni parte ima sanna, come a porco,
Gli fé' seutir come V una sdrucìa .
Tra male gatte era venuto il sorco; 5^
(ribaldo distruggitor di sé e di sue cose)y consumato il pa-
trinumio, Io lasciò povero $ onde la madre lo pose (in qualità
di aervo) con un barone del Be Tebaldo di Navarra ; e fu tanta
la sua industria , che in processo di tempo divenne si accetto
aTebaldoy Re giustissimo, che a lui commetteva ogni gi*an &c*
cenda. Ma egli non seppe raffi^enare le sue cupidità; perche ,
come dice Terenzio, omnes sumus deteriores licentiay di-
ventò sommo barattiere • Lahoiito. Prima dunque serico del ba^
rone) ^i famiglio del Re. — Che rn*auea ec. Il che vale qui
perocché y e segna la cagione di avere la madre posto Ciam-
polo a servire . 9-^ribalao , detto pur dagli antichi ruòaldo ^
come ruhello ^er ribello» A chi manda male qualche roba, di-
ciamo all'antica : oh eh" è roba di rubello! perchè le cose con-
fiscate de 'ribelli vendevansi a fiaccacollo.BiAOiOLi*4-cZ>i>trif^-
giior di séfec, I vizj non solamente distruggono la roba, ma
anche la persona ; e della ghiottoneria segnatamente è noto quel
detto di Cicerone : plures occidit gula quam gladius» — ; fui
famiglio , la Nidobeatiua ; e fW famiglia , l'altre edis. »-» e il
cod. Ang. E. R. e il Vat. 3 199. ^^
54 a-^ Di che i* rendo , il cod. Vat. 3 1 gg.^^ rendo ragione^
pago il fio. — m questo caldo f in questo boUoi^ della pece.
5y Gli fé" sentir come Tana ^ delle sanne. -^sdrucìa per
fendeva. Wh¥sdrusciaj legge il Vat. 3199.4-c ,
58 nude , leste e feroci . m-¥ Tra male branche , legge il co-
dice VaL 3 199. - Questi modi proverbiali , usati nelle più no-
bili scritture delle ti*e lìngue più belle, greca, latina e italia-
na , collocati a tempo e luogo , di plebei diventan nobili , e
spargono nelle scritture un si grazioso lume, che ne rimane la
natia loro oscurità ecclissata. Biacioli. '^ sorco j sorco e sor-
cio, nota laCi*usca; ma qui soìto è detto per /orcio, gettando
la I per la rima . Torelu. «hi
4:i INFERNO
Ma Barbariccla il chiuse con le braccia ^
E disse: state in là mentr'io k) 'nforco:
Ed al Maestro mio volse la faccia: 6(
Diaiandal, disse, ancor, se più disìi
Saper da lai, prima ch'altri *I disfaocia.
Lo Duca : dunque or di' degli altri rii : 64
Conosci tu alcun che sia Latino
Sotto la pece? e quegli: io mi partii ,
60 state in làj fate lareo, allontanatevi , compagni mici.
- mentrHo lo ^nforco . Inforcare per prendere colla forca^
spiegano il Volpi e il Venturì appresso il Vocab. della Crusca,
ciie a* inforcare per prendere colla forca 9 adduce per esem-
pio questo medesimo di Dante. Se ci narrasse Dante che vi-
brasse di fatto Barbarìccìa contro di Ciampolo forca o raffio,
bene procederebbe cotale interpretazione del verbo inforcare^
e converrebbe intendere che dicesse Barbariccia agli altri de*
monj : state in là , 0 per non offendere in un colpo essi pore«
o per ottenere spazio di ben adoprare il graffio. Ma nulla di
ciò detto essendoci , anzi scorgendosi Barbariccia impegnato a
fare un momento cessare in Ciampolo lo strazio > come possia*
mo intendere che nientr*io lo ^nforco vaglia quanto mentrio
lo prendo colla forca? Piuttotto io direi che 9 siccome infor-
care disse Dante , ed altri , per istringere tra le garnbe [a];
cosi, dalla rima costretto, dir faccia a Bai*bariccia menir" io
lo *nforco invece di mentrio tengolo (come tenevalo stretto
fra le braccia; e che state in là dir faccia agli altri demonj
a solo fine che non molestassero Ciampnlo , e ne lo lasciassero
rispondere a Virgilio in ciò che bramasse di sapere da lui*
m-¥ Così anche Torelli, notando ^li che questa spiegazione è
chiarissima pel verso che segue . ^-9
6a Dimandai^ la Nidob.; Dimanda , l'altre ediz. s-^e TAng.
E. R. ed il Vat. 3 199. <-m Tralasciasi qui la particella e congion*
ti va di questa colla precedente azione.»-»/>oman^are imo per in-
terrogarloy dicesi elegantemente anche ai d) nostri. Pogciai.i. ♦-•
65 latino per Italiano , prese la denominazione dal Lazio*
celebre porzione d' Italia .
[a] Vedi il Vocab. dalla Crusca alle voci Inforcare ed Inforcato^ 5- *-
CANTO XXII. 4:3
Poco è, da UD che fa di là vicino; 67
Così foss' io ancor con lai coverto ,
Ch'io non temerei unghia, né micino!
£ Libicocco: troppo avem sofferto, 70
Disse, e presegli 1 braccio col runciglio,
Si che, stracciando, ne portò un lacerto •
Dragbignazzo anche i volle dar di piglio 73
Giuso alle gambe; onde '1 Decurio loro
67 fu di là uicino vale quanto fu di quelle vicinanze; ed
ÌBtenae di Sardegna, isola all' Italia vicina, della quale fa fira*
te Gomita 9 che, come in seguito manifesterà, era colui dal
quale erasi Ciampolo poco prima partito .
68 69 Così foss^ io ec. Si augura Ciampolo d* essere con
(rate Gomita sotto la bollente pece, piuttosto che di essere ca*
pitaCo nelle mani di que'demonj.
70 al 72 £ Libicocco , ec. Tanta era la rabbiosa voglia di
nuocere inque'demonj, ch'ogni più corta dimora pareva loro
troppa; e però contro il divieto di Barbariccia si scagliano ad»
dosso a Ciampolo di bel nuovo. — lacerto f parte del brao>
ciò dal gomito alla mano: prendesi ancora per carne musco*
Iosa, lat lacertusy Volpi. Ed è usato da altri iuliani scrittori
anche in prosa. Vedi il Vocab. della Cr. »-^ll sig. Poggiali dice
che lacerto è invece quella parte del braccio che è dal go-
mito alla spalla . 4-«
73 anche i, legge la Nidob.; ed anch'eia leggono T altre
edix* Il senso è uguale ; perocché tanto i quanto ci ottengono
il signi6cato, che qui abbisogna, di a lui [a] ;ma la graii^
del verso diviene colla Nidobeatina migliore. »-^L'El. R., iloii
trovandovi questa grazia, ha restituita nella 3. edis. T antica
lezione . — Ma oltre alPessei^ quella della Nidobeatina confonr
tata dal cod. Vat. 3 199, ci sembra poi anche che renda il seù*
so più chiaro , togliendo affatto il pericolo di prendere Ti^i per
nominativo riferìbile a Dragfaignazso • 4-c
Z4 Giuso alle gambe , la Nidobeatina ; Giù dalle gambe ,
tre edizioni n-^e il Vat. 3 199. «-« Decurio per decurione ,
fa] Della particella ei vedi la nota al t'. 78. del canto v. passato; e della
I vedi il Vocab. della Crusca, sotto di essa lettera, $ ^'
4:4 INFERNO
Si volse iatoroo intorno con mal pìglio .
Quand' elli un poco rappaciati foro, 76
A luì, eh' ancor mirava sua ferita,
Dimandò 1 Duca mio, senza dimoro:
Chi fu colui y da cui mala partita 79
Di' che facesti , per venire a proda ?
Ed ei rispose : fu frate Gomita ,
Quel di Gallura , vasel d'ogni froda , Si
capodieciy alla marnerà latina , come scrisse sermo perxtfrmo-
ncj Inf. xm. i38. ed altrove; e come 9 oltre a Dante iscrissero
pur altri temo per timone .
75 piglio sigQÌfica aspetto y sguardo . Vedi il Vocabolario
della Crusca. Adunque con mal pigia} vale quanto con mi-
naccioso sguardo •
y6 rappaciati y acquietati. -^forOj antitesi, invece òxfuroj
apocope o sincope di furono , dai Poeti molto praticata •
78 dimoro j lo stesso che dimora ^ cioè indugio , tardanza;
ed è voce adoprata da buoni antichi scrittori anche in prosa .
Vedi il Vocabolario della Crusca.
ygda cuiec; costruzione: da cui di\ dici, che facesti mala^
malavventurata, partita, augurandoti di non averla fatta, v. 68.
60 per venire a proda f a riva, all'orlo del bollente stan
gno, col capo fuori come i ranocchi, «/. 25.
81 m^Egli rispose y ^^S?^ l'Ang. E. ^.^rm frate Gomita,
Costui, di nazione Sardo , di professione frate, ma non si sa di
qual Ordine, guadagnatasi la grazia di Nino de* Visconti di
Pisa , governatore o presidente ai Gallura , se n'abusò ^ traffi-
cando nel barattare cariche e iifficj con trappolerìe e frodi , co*
me di m'ingiare a due ganasce, mettere in mezzo ec. La Sar-
degna di quel tempo era de* Pisani , che ne divisero il governo
in quattro giudicati , che si chiamarono Logodoro, Callarì, Gal-
lura 9 Alb'irea. VeirTURt. Tutti gli altri Comentatori però di-
cono Nino signore di Gallura, e non governatore o presiden-
te; e scrive Bernardino Cono [a] di piii, die quella parte di
Sardegna passò per eredità da Nino ai Visconti di MUano
82 Quel di Gallura: specifica il giudicato ond^ei^ esso frate
\a\ Star, di MiL P. 3.
CANTO XXII. 475
eh* ebbe i nemici di suo donno in mano,
E fé Jor sì, che ciascun se ne loda:
Denar si tolse , e lascioUi di piano , 8$
Sì com' e' dice : e negli altri ufici anche
Barattier fu non piccol , ma sovrano .
Usa con esso donno Michel Zanche 88
Gomita, "vasel d'ogni froda , ricettacolo d'ogni sorta di fur-
fiinterìe. Casello none qui (e né anche forse altrove) diminu-
tiro di vasOf cornee nasetto y ma significa quanto assoluta-
mente paso»
83 i nemici di suo donno y di Nino, di lui principe e si-
gnore. — in manoj in suo potei'e.
84 m^Efe* sì iory che ciascun si ne loda , il Vat. 3 199. ♦-•
ciascun se ne loday ciascun di essi nimici di Nino n'è di Go-
mita contento.
85 86 lasciolli , la Nidobeatina ; e lasciogli 9 l'altre edizioni .
— di piano, — Si com' e* dice. Questo si com* e* ilice o non
istk qui per altro che per una sciocca riempitura del verso
( cosa che in Dante non avrebbe esempio ) , o se ha giusta ra-
gione, dovrebbe indicare che lasciar di piano yfer rilasciare
senza contrasto , senza gastigo , lisciamente (ciò che ai vuole
qui significare), fosse a que' tempi espressione pròpria de'Sar-
dignoli, com'era Gomita. Il parlare di quell'isola è una cor-
ruzione dello spagnnoloy in cui bassi di &tto de Ulano equi-
valente affatto al di piano t e quel eh* è piti y una dotta persona
di Sardegna medesima mi accerta, che anche a* dì nostri ado-
prasi in quell'isola espressione cotale. De plano y in significato
molto analogo al detto, trovasi usato anche dai Latini [a],
87 soi^rano in grado superlativo.
88 Usa y conversa , confabula . — donno Michel Zanche (ti-
tolo anche questo donno di maniera sard-i spana ) . Dicono gli
Espositori, segnatamente Landino, Vellutello e Venturi, cne
questo Michel Zanche, di siniscalco ch'era del re Enzo, dive*
nisse, dopo morto Enzo, Signore di Logodoro in Sardegna,
per essersi con fraudi e baratterie ottenuta in isposa la madre
d'Enzo. Se però per isposalizio acquistossi costui signorìa | do^
a Vedi il Tesoio di Roh. Stefano.
476 INFERNO
Di Logodoro; ed a dir di Sardigna
Le lingue lor uon si sentono stanche.
O me! vedete F altro ^ die digrigna: 91
to direi anche; ma io temo ch'elio
Non s'apparecchi a grattarmi la tigna.
E 1 gran Proposto volto a Farfarello, q4
Che stralunava gli occhi per ferire,
Disse: fatti *n costà, malvagio uccello.
vette acquistarsela sposando, non la madre d'Enzo, ma quella
medesima Adelasia che fu ad Enzo sposa , e per coi acquistò
Enzo stesso signoria nella Sardegna [a]. »-^ Pietro di Dante
dice che Michele Zanche , morto il re Enzo 9 sposò la di lui mo-
SliCf dalla quale ebbe una figlia, che maritò a messcr Branca-
Oria di Genova, il quale poi lo uccise a mensa. E. F. —Non
discorda il Boccaccio da Pietro di Dante nella narrazione di
questo fatto 9 se non col pretendere che Michel Zanche si am»
raoglìasse invece con una figliuola del marchese Obizzo vec^
chlo da Esti . 4-a
91 r altro y Farfarello. Vedilo nominato quattro versi sotto.
93 a grattarmi la tigna ^ scherzoso gei^o invece di graf*
/tarmi. »-^ Parla un vilissimo barattiere, e il Poeta gli pone in
bocca i modi di dire all'esser suo convenienti . BiAGioi.t. -Gùz
y apparecchi f l'Ang. E. R. ^-s
94 Proposto 9 prevosto, dal latino praepositus y appella il
menzionato piit volte capodieci Barbariecia.
95 per ferire vale quanto in procinto di ferire y come di-
ciamo sta per andarsene invece di sta in procinto d'andar-
sene [6j. La è di fatto proprietà dì chi sta in prociato di fe-
rire altrui, di stralunare, cioè di spalancare spaventevolmen^
te gli occhi.
96 fatti ^n costà equivale a tirati in là , allontanati di
<fui [cj • -«-> malvagio uccello appellasi da Barbariecia Farfa-
rello , perocché alato esso pure, come tutti i deraonj si fiogoncik
\a] Vedi Peiraccbi, F'ita d^ Arrigo dì Svsvia re. e. • i. [h] Vedine* »^n
esempi nel Vocab. della Crusca sotto la |iarti cella Ptfv, {. 17. [e] VrtSi
Ci non • Parile, 72. 5.
CANTO XXII. 477
Se voi volete o vedere, o udire, 97
Ricominciò io spaurato appresso,
Toschi, o Lombardi, io oe farò venire.
Ma stien le male branche on poco in cesso, 100
97 98 Se vai volete o vedere ^ o udire ^ ^%8^ ^ Nidob.*
con maggior pienezca e grazia che uon leggono 1* altre edìs.
•-♦(eli V at. 3 1 99 ) 4HI «>& %foi i^olete vedere o udire . - Itico^
nUnciò ec. Costruzione. Aicontincid appresso j inseguito » lo
spaurato y CÌAiapolo. m-^ Incominciò y legge il Vat. Sigg. ^-c
1 00 le male branche , 1* unghiute nocive zampe. Mancando 9
come ognun sa , i mss. ed anche le prime edizioni di molti pai^*
ti menti di parole , né ammettendo in mezzo ai versi mai lettei'e
maiuscole , credo essersi per errore intruso nelle posteriori edi*-
zìoni tutte Malebranche in una parola sola , e con m iniziale
maiuscola : e che debba scriversi , com' io ho scritto , male braU"
che , uon essendo questo il comun nome di que' demonj , corno
lo è nel verso 87. del passato canto xxi. , nel u3. del seguente t
ed altrove, ma la cosa onde ne vuole Dante far capire di avere
formato cotal loro nome. Vaglia in prova di ciò 9 cht malebran-^
che qui si fa di genere femminino ; e nel citato verso a3. del
seguente canto fassi di genere del maschio, ed il pronome di
maschio gli si fa corrispondere :
noi gli avem già dietro :
Io gì* immagino j/, che già gli sento.
Accordo io bensì che ponga qui Dante per sineddoche il
distintivo di que'dcnionj pe*deoionj medesimi , raa non giam*
mai che ponga malebranche per nome. — stien un poco in
crsso . Stare in cesso dee valere quanto stare in ricesso , staile
in ritiro y ritira/*siy nascondersi; e malamente il Daniello e
il Venturi intendono valere lo stesso che fermarsi rimanersi ,
No : troppo a questo intendimento si oppongono y V effetto pri-
miei*aniente della maliziosa proposta, il quale fu che di fatto
si allontanassero i demonj da Ciampolo, e, scendendo alquanto
dalla ripa in contraria parte a quella bolgia, si nascondesse-
ro [a]: poi la ragione ancora ; imperocché acciò al sufolaredi
Ciampolo venissero i dannati compagni , nou bastava che i de-*
monj stessero fermi | ma abbisognava che non si lasciassero ia
'«j Tedi al verso ii6.
478 INFERNO
Si ch'eì noQ temaa delle lor vendette;
Ed ìoy sbendo in questo luogo stesso,
Per un, eh* io son, ne farò venir sette^ io3
Quando sufolerò , com' è nostr* uso
Di fare alior che fuori alcun si mette .
Gagnazzo a cotal motto levò il musò, 106
Crollando '1 capo, e disse: odi malìzia,
Ch'egli ha pensato, per gittarsi giuso.
Ond' el, eh' avea lacciuoli a gran divizia, 109
conto alcuQO vedere. »-► un poco a cesso y legge il codice An-
gelico, E. R. -♦-«
IDI Si cliei , la Nidobeatìaa ; 5/ che , V altre edizioni , mas-
lime le più receatì , »-► e il Vat. 3 igg. — Sì di* io non tema^
legge il cod. del sig. Poggiali , variante che forma, secondo che
egli pen&a, miglior sentimento, perocché il maggior timore è
qui del NavaiTese già tutto fuor della pece , ed esposto alle de-
terminate ire dei demonj : laddove gli altri barattieri , venendo
alla superficie della pece, al pìii potevau temere di essere ob-
bligati a ritufiarsi. ^-m
io3 Per un , eh' io son^ così leggo in molti testi stampati
e manoscritti [a], e ripongo qui invece di ch'aio so* ^ che leg-
gesi comunemente. — sette ^ numero determinato per T inde-
terminato, per molti.
1 o4 I o5 sufolerò , com'è ec Indica Ciampolo che fosse ct^
stame di coloro, che , mettendo alcun di essi il capo fuor del-
la bollente pece , e non vedendo demonj intomo sufolasse, t-d
avvisasse i dannati compagni , acciò sicuri potessero essi pure
prendersi refrigerio.
io6 107 tei^ò il musoj — Crollando 7 capo : atto di chi si
avvede di qualche maliziosa proposta .
108 »-♦ Ch'elli ha pensata j legge l'Ang. E. R. e il codice
Vat. 3igQ. 4Hi
109 av^ea lacciuoli a gran div^izia, era riccamente fbmiit»
d*astu2ìie e di frodi.
fa^ Delle edizioni, se non altre, le venete i568 e 1S78 ,c dei mss.del-
Ìa Corsini, due leggono son, e quattro sono.
CANTO XXII. 479
Rispose: malizioso sod io troppo,
Quand' io procuro a' miei maggior tristizia .
Aliolìia non si tenne, e dì rintoppo i la
Agli altri, disse a Ini: se tn ti cali ,
Io non ti verrò dietro di galoppo ;
Ma batterò sovra la pece Tali: 1 15
Lascisi '1 collo, e sia la ripa scudo,
110 III malizioso son io troppo j eo. Malizioso ( chiosa
qui il Gomentatore detto Vj^nticoj citato a questa voce nel Vo^
cab. della Crusca ) riene alcuna inolia a dire malizioso e sa^
puto j e alcuna volta viene a dire facitore di male . Essendo
adunque Giampolo tacciato dal demonio Cagnaszo di malizioso
risponde , sé esser pur troppo malizioso ; non però in quel sen-
so, che Cagnazzo intendeva, di astuto e fraudolente ^ ma nel
senso di facitor di male \ perocché veniva a tradire i compa-
gni , tirandoli a maggior tristizia , a maggior pena , cioè a ca-
dere nelle mani di que'demouj. - Quana io procuro a miei
ec. leggono la Nidob. ed altre ediz. antiche > »-»ed il codice
Poggiali; 4-9 ove la Cominiana ed altre moderne leggono,
Quando procuro a mia maggior tristizia: lezione, per cui
dichiarerebbesi Ciampolo tornare a maggior di lui duolo, eh' al-
tri venissero al medesimo strazio ch^egli da que^demonj soi&i**
va; contrariamente cioè a quel vulgatìssimo detto: solatium
est miseris soeios habere poenarwn . Wh¥ Anche il Biagioli con-
fessa che la lezione a* miei ò preferibile , dando un senso chiaro
e facile ; il che non avviene , ove colla Crusca si legga a mia. <-•
I la non si tenne y che non parlasse per costui . VsLLtrrzL-
LO. E mi pare che dica meglio del Ventm*i, il quale chiosa t
non si tenne forte nella negativa come gli altri . -* di rin^
toppo j oppostamente.
1 1 3 al 1 1 5 se tu ti cali , se tu scappi giii nella pece . - Io
non ti verrò ec. La sentenza è questa : io non solamente ho
piedi come tu hai , ma ho anche Tali; e però se tu tenterai
luggirtene non ti correrò già appresso galoppando co' piedi, ma
battendo 1* ali , volando per aria sopitalo stagno ; onde sicura-
luonte i-aggiungerotti prima che nella pece ti attuili .
I i6 ìiy Lascisi 7 collo y la Nidobcatina; e non é se uou
48o INFERNO
A veder se tu sol più di noi vali .
O tu che l^gi , udirai nuovo ludo . i • 8
Ciascun dall' altra costa gli occhi volse-,
Quel primo, eh' a ciò fare era più crudo.
per errore scritto in tutte l'altre edizioni, Lascisi il colU.L»
voce collo ha tra gli altri significali queUo di sonumtà » «fwr-
te più alta del monte . Vedine gli esempi nel Vocab. delU Lru-
•ci [a] , e vedine un altro più ricino del nostro Poeta stesso
nel seguente canto , v. 43:
E giù dal collo della ripa dura.
Ed acciò la ripa divenisse scudo, coprisse cioè » ««««^I •"»
visu di quei che dovevano uscir della pece e vemr a Uampo-
lo, non abbisognava se non che scendessero i demonj podta
passi dalla sommità della ripa nell' opposU falda , e non gì* eh»
scendessero affatto dalla ripa , come importerebbe X-wcw» U
eolle. scoile legge però il Vat. 3 199, e con esso U 4. rem.
ediz., — e colla Cr. il Biagioli } asserendo essere « Dante P«^
cinto appellare il sommo della ripa collo e colle, come lo com-
provano i w. 43. e 53. del seguente canto. ■«-• ^ v^dw- se im
sol ec.,a in significato di per [b] ; per così vedere, »' P"»"
va se, come Cagnazzo teme, vali tu solo più di noi tutu, ^^ue-
•t" ovvio sentimento viene in tutte le virgolate edizioni ad in-
terrompersi con una virgola che segnano d«>po *'«**'' »|*3 *
perciò ho io tolu, ed invece riposu nel fine del precedmte
Terso. »* e sia la ripa scudo, e la riva ci ricnopra , siechc i
barattieri escano della pece sicuri non vedendoa .-dtnotput
vali, cioè, se tu piìi vali ad ingannarci, che noi » punirU
dell'inganno. Torelli. «-• ,
I iSludo per giuoco , burla, dal Ialino ludus , copralo da
altri buoni scrittori anche in prosa, vedilo nel Vocab. della ur.
•^ Vuole il PoeU tutta l'atteiaione del lettore, a cui promette
far vedere un baraltiere fare slare dieci diavoli. Biaoiom.*»
I IO Ciascun dall'altra costa gU occhi volse- ciascuno si
rivoltò per calar giù dalla cima nell' oj^sU falda di queU ar-
120 Quel primo, così per ellissi, invece di e ffoeZ/i» »/;»»-
mo . Quel prima , leggono l'edizioni diverse dalla Nidob. »*ed
il Vat. 3 199. «i-* che a dò far era più crudo. Crudo per duro.
.« Sotto la voct Collo, $. 16. [6] VeJi il Ciao». P»>lic. x. a».
CAKTO XXII. 4Si-
Lo Na varrese ben suo tempo colse ; i a i
Fermò le piante a terra, ed in un punto
Saltò, e dal proposto lor si sciolse,
resistente j come cruda poffta , invece di dura , dissero i Latini »
e iatendesi per costui Cagnazzo> che disse: Odi malizia ec.
»-» Accennandosi piii giii al i/. i33. che Calcabrina, adirato<ii
drlla burla, si spinse addosso ad Alichino per Carne sopra ili
lui la vendetta, ragion vuole che dello stesso Calcahrina s*in-
tenda qui parlare , ch'esso fu clic si mosti'ò piii duro degli al-
tri al consentire alla proposta del barattiere ec. Biagioli. 4-m
fai Lo Nav^arresCy Ciampolo, — ben suo tempo colse:
giudiziosamente si prevalse del tempo per lui opportuno.
I U!» Fermò le piante a terra , atto di chi si dispone a saltare.
— > ed in nn punto , vale quanto, e senza perder punto di tempo.
I a 3 Dal proposto lor si sciolse , sì liberò dal proposito , daI->
la intenzione di que' demonj , ch*era , dopo di aver soddisfatta la
«ariosità de'Poeti , di stracciarlo ; e però Barbariccia a Virgilio :
Dimandai^ disse ^ ancor ^ se più dìsii
Saper da luij prima ch^ altri 7 disfaccia.
m-¥ Cosi anche Torelli e Biagioli .<-« Il Vellutelloeil Vol-
pi, ed in parte anche il Venturi , chiosano qui pure , come nel
i». 94., proposto per preposi tOy caposquadra; e però inten-
dono Barbariccia , e che dalle di lui braccia sciogliesscsi Ciani*
]x>lo. *-* Ma se Ciascun dalV altra costagli occhi uolse^ volti
gli aveva Barbariccia pure; e se fosse Dante d*iutelligenza
che continuasse Barbariccia a tenersi stiletto Ciampolo tra le
braccia, avrebbe premesso lo sciogliersi al saltai^ , e non, co-'
me fa, il saltare allo sciogliersi.
Saltò , e dal proposto lor si sciolse .
»-* Ma del parere del Vellutello , del Volpi e del Venturi si
mostra ancora l' Anonimo , citato nella E. F. — Barbariccia dif-
fatti il teneva chiuso tra le braccia, come apparisce dal v, 60.
di questo canto: Ma Barbariccia il chiuse con le braccia; — e
nel Vat. 3 199 trovasi scritto ^ropojto colla P maiuscola. 4-^
Pone qui Dante questo inganno (dice il Daniello) usato dal
Navairese barattiern per mostrarci qual sia la natura di simili
uomini, e per ricreare alquanto gli animi di quelli che leg-*
gono con questa piacevolezza , dimostrandone così i barattieri
^^sere viepiù astuti e tristi che non sono i diatoli.
482 INFERNO
Dì che ciascun di colpo fu compunto j 134
Ma quei più, che cagion fu del difetlo;
Però si mosse, e gridò: tu se' giunto. ^
Ma poco i valse, che Tali al sospetto ji-j
Non poterò avanzar j quegH andò sotto,
£ quei drizzò, volando, suso il petto:
Non altrimenti l'anitra di botto, i3o
Quando '1 falcon s'appressa, giù s'attnfia,
£d ei ritorna su crucciato e rotto.
124 di colpo y ài botto y immantiuente . Vedi il
della Crusca. — fu compunto ^ rimase coatrìstato.
ia5 Ma quei più, ec, Alichiiio, che persuade di lasciar
Ciampolo ia libertà .
l'Ay 1 28 Ma poco i valse significa il medesimo iàie poco gli
%false [a]. Cosi legge la Nidobeatina ; ove raUi-e edizioni, Ah
poco valsemi Anche V E. R. nella i. ediz. ha l'estituita l'an-
tica lezione Y non trovando la 1 necessaria per l'intelligenza;
e dice che le emendazioni vogliono essere o necessarie o in
meglio . Malgrado ciò , noi riteniamo che la lezione dì Nido-
beato sia la genuina ; e questa nostra opinione è avvalorata
dair autorità del Vat. 3 1 99 , che legge , Et poco i ualse . <-• faii
al sospetto - JVon poterò ax^anzan non poterono le ali fare
Alichino più veloce di quello facesse Ciampolo il sospetto j la
paura, m^ Ha ben ragione il Biagioli di affermare che questo è
uno de*piii bei modi di dire poetici che si possano iiwontrace.
-^ Nota modo di dii^: av^anzare il sospetto y cioè esser più
pronto della paura. Torelli. <-« quegli j Ciampolo, andò sot^-
tOy si attuffò nella pece. - E quei y Alichino 9 drizzò j uo^
landò y suso il petto : esprìme il ritornare in su volando , che
uecessainamente doveva fai'si col drizzare y col dirigere il petto
all'insiiy come nello scendere dovette drizzarlo ingiii.
i3o r anitra y che sta, intendi , nuotando e vagando a fior
d'acqua.
1^2 rotto y lasso. »-^ E significato piuttosto antiquato , ma
~^a] Velli il Vucabolario delia Crusca alla leilcra 1, $.6.
CANTO XXH. ^ 4«1
Irato Galcabrina della buflfa , 1 33
Volando dietro gli tenne, invaghito
Che quei campasse, per aver la zuflfa.
£ come '1 barattier fu disparito, 1 36
Cosi volse gli artigli al suo compagno,
£ fu con lui sovra '1 fosso ghermito.
Ma l'altro fu bene sparvier grifagno 1 39
rsprimente. Pooguli. —e/, cioè il falcone 9 e con Calcabrina,
come intese il Venturi. Biagioli.<-«
i33 al i36 Irato Calcubrinaj contro di Alichino, della
( vale per la [a]) buffa j burla, colandogli tenne dietro j in^
ì/aghito 9 bramoso \b\ {m-¥ e secondo il Biagioli 9 lieto 9 con^
tento j essendo già il desiderio suo contentato «-• ) che quei y
Cìampolo 9 campasse 9 non si lasciasse raggiuiigtu*e 9 per at^er
la zuffa 9 per aver motivo di azzuffarsi egli con A licitino 9 e cac-
ciameh) esso pui*e , intendi 9 sotto la pece insieme conCiampolo.
Per non celare però alcun sentimento al cortese mio leg-
gitore! i>ù pare che in corrispondenza al tener di Calcabrina
dietro ad Alichino, che volava verso la pece 9 la particella /a,
meglio che per articolo di zuffa j starebbe presa qual avver-
bio locale 9 per aver là 9 sopra la pece 9 zuffa collo sciocco Ali-
l'hinoy ed in quella farlo attuffare esso pure. «-» Ma non vi ac*
ctinsente il Biagioli 9 ritenendo che la sia l'articolo che deter-
mina il nome zuffa. «^
1 36 l'i'j E coinè ec- - Così ec. vagliono il medesimo che
nuando ec.j subito ec. Vedi il Cinonio [cj. <-« fu dispartito p
n*gge il Val. 3199.
\'iS s-^ gremito , legge 1* Ang. E. R. e il Vat. iSgp.
139 fu bene , fu del pari. — sparvier grifagno y cioè va*
loroso e ardito. Chiamiamo sparvier nidiace quando piccioliuo
è preso nel nido 9 che ancora non può volare; e ramingo quan-
do incomincia a volare e sta su i rami; e grifagno poi che è
mutato in selva: e questi ultimi 9 benché con piii difficoltà si
roncino (si addomestichino) 9 nondimeno sono più animosi allo
uccellare. Lavdiho.
[a] Cinoo. Partic. 81. i3. [b] Tedi il Vocmbolario risila Cr. [e] Par»
tic 6i.8.
484 INFERNO
Ad artigliar ben lui; ed amendue
Cadder nel mezzo del bollente stagno.
Lo caldo sghermitor subito fiie : 1 41
Ma però di levarsi era niente,
Sì a viene inviscate Tali sue.
Barbariccia con gli altri suoi dolente, i4^
Quattro ne fé' volar dall' altra costa ,
Con tutti i raiSi , ed assai prestamente
Di qua di là discesero alla posta : 1 4^
1 40 ^d artigliar ben lui , a prender fixrtemente Ini cògli
artigli.
141 »-^ bogliente , legge il Vat. 3 199. ♦-•
142 Lo caldo sghermitor ec, cosi (e non schermitoro
schermidore come in tntte T edizioni trovo) legge il Batì n».
nella Corsini , e riportato nel Vocab. della Cr. alla voce Sgher*
mitore, e chiosa: Lo caldo della pegola bogliente sghermi"
tor subito fue ; cioèy che sentendo il caldo si sghermirono
di sabito , e così lo caldo fu sghermitore ; e male a propo-
sito 11 medesimo Vocab. sotto la voce e definizione dì schiera
mitore pone questo stesso verso di Dante. •-¥ sgremitor , ha
l' Ang. E. R. — schermitor nel testo, e schermidor in po-
stilla legge il Vat. 3 199. — sghermidor^ va letto cosile non
schermidore come nella Cominiana. Sghermire è contrario
di ghermire j e vale separare j dividere ^ Vedi il Vocab. ddU
Cr. Torelli. <-•
1 43 era niente vale quanto era nissun modo » com'è delt<i
Inf. 11. 57.
i44 <$^ auieno im^iscate Pali sue^ la Nidob.; Si alleano
inibiscale Cale suoj T altre edizioni , »<» e col Vai. 3199 U 3.
rom. edizione. <-•
1 46 dall* altra costa , perocché supponesi , come di sopra
è detto, soeso cogli altri compagni nella falda dell'argine allo
stagno della pece opposta.
1 47 Con tutti i raffl. Tutti è qui particella riempitiva [a].
Maffle sinonimi A* uncini ^ è già detto di sopra.
148 discesero alla posta dee valer quanto discesero ad
U] Yodi il Vocab. delU Cr. alla Yoce TuU^, 5. 9.
CANTO XXII. 485
Porser gli udcìdì verso gì' impaniati^
Ch'eran già cotti dentro dalla crosta,
E noi lasciammo lor cosi.'mpacciati,
appostarsi j cioè alla estremità della ripa, vicini alla pegola
il piii che potevano. »-» Posta è termine di caccia, ed espri-
me il posto assegnato dal capocaccia. Poggiali; — ma piii ge-
neralmente il luogo dove si apposta il cacciatore per attendere
la preda. — Qui sappia il lettore che il Poeta ha immaginalo
questo incidente non solo per dame diletto e per dimostrarci
la natura de* barattieri e IMndole dei diavoli , ma per aver il
piii naturale e il piii semplice modo di sbrigai*si da loro , pro-
fittando del presente impaccio, per non esser vittima delle loro
vendette , che non avrebbe potuto schivare altrimenti senza
divino aiuto. Biagioli. ^^
ì ^Q impaniati ^ impegolati.
i5o crosta^ per similitudine 9 appella la fecciosa superficie
di quello stagno.»-» Ch'erano cotti y legge TAng. E. R.^«-«
CANTO XXIIL
ARGOMENTO
in questo canto tralta il nostro Poeta della sesta bol-
gia, nella quale pone gl'ipocriti; la pena de* quali
è V esser vestiti di gravissime cappe e cappucci di
piombo i dorati di fuori, e di gir sempre d^ intorno
la bolgia* E tra questi trova Catalano e Loderin-
go frati Bolognesi • Ma prima poeticamente descri-
ve la persecuzion eh' egli ebbe dai demonj, e come
fu salvato da f^irgilio .
J. aciti, soli y e senza compagni n i
N* andava m Fan dinanzi, e T altro dopo,
Come i frali Minor vanno per via.
Volto era in su la favola d' Isopo 4
Lo mio pensier, per la presente rissa ,
1 al 3 »-^ Meditando i Poeti sa le cose testé vedate, con
che Dante vuol invitare il lettore a far lo stesso y si avviano al
seguente ponte in gran silenzio; e soli, per esser rimasi tatti
i diavoli neir anzidetto impaccio. Il primo ed il secondo verso
dipinge; il terzo e natura. Biagioli. 4-c Come i frati J/i-
nor ec. Dovette ai tempi del Poeta essere universa! costume
de^ Francescani di viaggiare un dopo l'altro, m^ Se quest >
avesse Dante inteso, meschino sarebbe, al dir del Biagioli, il
concetto , e la similitudine affatto inutile . Onde spiega il versn
cosi: col capo basso y come fanno y per umile modestia^ i
Francescani , quando vanno per uia . <«-•
5 presente rissa y tra Calcabrìua ed Àlichino.
CANTO XXIIL 487
Dov'eì parlò della rana, e del topo:
Clìè più non si pareggia mò ed issa , 7
6 ei, Isopo, il quale, tra 1* altre favole, racconta che una
rana esibissi una volta ad un topo di recarselo sul dosso e pas-
sarlo di là da un fosso, con animo di annegarlo; ma che quan-
do stava per eseguire il malvagio disegno, veduti da un nib-
bio, furono amendue rapiti da esso e divorati. »-^ L'antico, ci-
tato nella E. F. , dice essere questa favola invece quella in cui
la rana, legato un filo al suo piede, e Talti'O capo a quello
del topo per tragittarlo di là dall'acqua, temendo il topo di
annegarsi, tirava verso la terra, e la rana verso T acqua. L* uno
cosi tirava l'altro, come facevano quei due demonj. «-«
7 pia non si pareggia ^ non si eguaglia ( intendi nel signi"
/lento ) mo ed issa; significando entrambe queste due parti-
celie lo stesso che ora* Moj voce sincopata del latino modoj
trovasi usata non solo dal Poeta nostro, ma da molti altri buoni
scrittori. Vedi il Vocab. della Cr. Issa ( forse dal tedesco ifzt)
dicela il Buti [a] voce lucchese; e se non fu lucchese, toscana
certamente la dee essere stata ; che troppe volte adoprala Dante
e qni in rima, ed altrove [6] fuor di rima; ciò che delle voci
veramente forestiere non suol fare , come non fa né di a pruovo^
né di borni j né di giuggiare^ né di rofjtay né di tant' altre.
Il Venturi, al canto xxiv. del Purg. v. 55. , ci assicura che
é isa voce usata da' marinari e da altri f alleanti attorno a
un gran peso , per animarsi l^un T altro a far forza unita^
mente; nel guai senso ( aggiunge) è usata in malie parti an^
cara di Toseana, Ciò essendo , avremmo una riprova che issa
pareggisi in tutto al moy che invece d^issa o dUsa adoperano
1 faticanti di concerto in altre parti d'Italia, quasi dir volen-
do: mo tiriamo , mo alziamo ec, m^ Questa voce issa deriva
dall^ issamente , vocabolo provenzale , che fu adoperato per si-
gnificare ancAe ora. Così il chiarissimo sig. conte Perticar! [e],
ritenendo che Dante adoperasse qui ed altrove ( Purg. canto
a 4 verso 55.) questa voce issa perché era del romano comu-
ne; anzi Vipsa dei Latini, e non tolta dai Lucchesi, come
male c'insegnò il Buti, issa ed isso trovandosi in tutte le scrìt-
ta] Citato nel Vocab. delift Cr. alla voce issa, [b] lat e. sxvii* i^. vi.
Purg. e XXIV. V, 55. [e] Prop, voi. u, P. ii. Tmc. laa.
488 IJVFERNO
Che r^u con l'altro fa, se ben s'accoppia
Principio e fìne^ con la mente fissa:
£ come Tun pensier dall'altro scoppia, io
Cosi nacque di quello un altro poi,
Che la prima paura mi fé* doppia.
r pensava cosi: questi per noi i3
Sono scherniii, e con danno e con beflfa
Si fatta, eh' assai- credo che lor no).
Se Tira sovra '1 mal voler s'agguefià, i()
£i ne verranno dietro più crudeli,
tui'e siciliane e romanesche. -« appareggia^ '^gS^ ^ codÌM
Angelico, E. R. <«-•
8 g Che P un con C altro fai di quello che si pareggino,
si rassomiglino tra di loro^ il fatto de* due demonj ed il fatto
della rana e del topo. — se ben s* accoppia ^ ben si confronta,
con mente fissa j attenlAi principio e fine; imperocché iì prin-
cipio fu il macchinare ugualmente un contro dell' altro, Cal-
cabrina contro di Alichino , e la rana contro del topo ; ed il
fine fu che ugualmente pure capitarono male e gli uni e gli
altri per una terza cagione: la rana e il topo furono ghermiti
dal nibbio, e i due demonj furono presi dalla pece •
I o scoppia per nasce , scaturisce ; wh¥0 piuttosto rapida*
niente procede • E. B. •<-«
iH m^per noi, cioè da noi. E. B. •«-•
K> nojj da notare , annoiare , rincrescere .
i() Se /* ira ec. Costruzione: Se sovra il mal ^oler, sopia
JU perversa volontà, che sempre costoro hanno y ^* ^gueffà^
s' aggiunge , l'ira . Aggueffare y dice a questo passo il Buti \a\ ^
è filo a filo aggiungere^ come si fa ponendo lo filo dalgo^
mito alla mano , o innaspando coli* aspo s-^ Gueffo j ler-
mine antiquato come aggueffare , voleva anticamente aire bal^
cone o ringhiera che sporge alquanto in fuori della facciata
della casa; ed è però in certo modo un'aggiunta al moro prin-
cipale; onde aggueffare è aggiungere. Poggi aIiI • ♦-•
i 7 pia crudeli , cioè disposti ad usataci maggior crudelù .
[a] Cilato nel Vocali, della Cr. al v»?ihn A^v^ttrjf'atr.
CANTO XXIII. 4S9
Che cane a quella leVre, ch'egli acceffa.
Già mi sentia tutti arricciar li peli 19
Della paura, e stava indietro intento,
Quando i' dissi: Maestro, se non celi
Te e me tostamente, io pavento 11
Di Malebranche; noi gli avem già dietro :
Io gì' immagino si, che già gli sento.
£ quei: s'io fossi d'impiombato vetro, a5
L'immagine di fuor tua non trarrei
Piò tosto a me , che quella d' entro impetro .
1 8 acceffa • Acceffare , prender col ceffo y abboccare , pio»
prìo delle bestie. Vedi il Vocab. della Cà\ m^ Cosi pure Torelli
spiega V acceffa per già già afferra col muso. — Che V ca*
ne j legge TAng. E £. e il Val. 3 1 99. - che r acceffa y ha TAng.
E. R. -*-•
19 tatti arricciar y li peli j la Nidob.; tutto arricciar ^ l'ai*
U*e edizioni.
ao stava indietro ec.j stava attento se quei demoaj ci cor-
ressero appresso k
2a !ft3 m^ io pavento y la Nidob.; i'' ho pavento j la Crusca
e il Vat. 3199, dove pavento è nome sostantivo , il quale, se*
condo Biagìoliy ha più forza che timore ^-^ Di male or€inchef
legge il Vat. 3199. 4hì
24 ^5 /o gP immagino sìy che ec. Io gli ho alla immagina*
sione cosi presenti, che posso dire di realmente vederli .-/io
fossi d* impiombato vetro y cioè se fossi specchio, che è vetro
coperto di dietro da una sottil piastra di piombo. Davibllo.
a6 27 L* immagine ec. Costruzione: JVon trarrei a me pia
tosto , non riceverei più presto, r immagine tua di fuor^ l'im-
magine del tuo estemo , che , di quello che, impetro , acquisto «
quella d'entro^ l'immagine cioè del tuo interno, dell'animo tuo.
»<» Cosi anche Torelli. <-« Impetrare per acquistare adopera
Dante anche nella quarta delle canzoni sue:
Così nel mio parlar voglio esser aspro ,
Com'è negli alti questa bella pietra ^
Ija quale ogn^ora impetra
Affiggi or durezza ec.
490 INFERNO
Par mo venieno i tuoi pensier tra i miei iH
Con simil atto, e con siroìle faccia,
Si che d'entrambi un sol consiglio lei.
S* egli è che si la destra costa giaccia , 3 1
Che noi possiam nell'altra bolgia scendere,
Noi fuggirem l'immaginata caccia.
Già Qon compio di tal consiglio rendere, 34
Gh' io gli vidi venir con Tali tese.
Non molto lungi , per volerne prendere.
Lo Duca mio di subito mi prese , 3;
th^ Deve leggersi d* entro in luogo di dentro^ cioè di dentro.
— - Questa lesione è proposta dagli Editori della E. F., e noi
Tabbiamo seguita, sembrandoci che renda il senso piiichiaro.^-*
a8 al i^o Pur mo ec. Ora appunto si ap presentarono a* miei
pensieri i tuoi con simil atto , col medesimo sospetto , e con
simile faccia y con aria simile di spavento, * «Si che da ( vale
qui per [a^) entrambi un sol consiglio feiy feci , presi. »W*fn-
trambi non vuol dire per entrambi j ma si dal confronto e
dalla corrispondenza d*entrambi, Biagioli. <^
3i Scegli è, se si dà. • destra costa ^ destra falda dell' ar-
gine, su del quale camminavano, qnella cioè che calava nella
sesta bolgia degP ipocriti. E di fatto essendosi i Poeti dal ponU*
sopra li barattieri mossi su di quell'argine a mano sinistra [b\
venivano nel lor cammino ad avere alla sinistra medesima U
bolgia de' barattieri, ed alla destra quella degl* ipocriti . ^giac^
cia^ sia inclinata, il contrario di ritta [e].
33 ^immaginata caccia , che noi c'immaginiamo e temiaron
doverci dare i demonj . Venturi .
34 rendere per rendermi ^ darmi in risposta.
òy m^ Da questo verso sino al ^0, il Biagioli nota : ce Ma-
is ravigliosi sono questi versi non solo pei belli pensieri che rìn-
» chiudono, ma per aver saputo il Poeta colle parole, nnnnk^
a> no che col giro delle medesime, espri mere divinamente il prin-
j» ci pale suo intendimento , eh' è di condur l'azione dal prìncì-
[a] Vedi il Cinon. Partic, 70. 8. [b] Inf. x\i. 137. [e] Vedi hi noia *§-
giatita al t^, 35. del six. passalo canto.
CANTO XXIII. 49 «
Come la madre , eh' a romore è desta ,
E vede presso a sé le fiamme accese,
C he prende 'l figlio , e fugge , e non s' arresta , 4 o
Avendo più di lui che di sé cura,
Tanto che solo una camicia vesta :
£ giù dal collo della ripa dura 4^
Supin si diede alla pendente roccia,
Che r un de' lati all' altra bolgia tura .
Non corse mai sì tosto acqua per doccia 4^
» pio al fine in modo, eh* una parte T altra incalzi, la prema,
» e le dia moto e vita , accelerando sempre verso il fine , sì che
» vadano le parole con la rattezza stessa del pensiero. » <-«
38 a romore j la Nidob.; al romore y l'altre edizioni . ^ per
day vedi il Cinonio [a], ed a romore y intendi, qualsivoglia,
o delle rovine che l'incendio cagioni, 0 delle strida della gen-
te, s-^ Grida il Biagioli contro la lezione Nidob. di questo yet^
SDy come di cosa che fa oltraggio al verso , alla grammatica
e a Dante; ma egli forse s* inganna. Come la Nidob. legge
TAng. E. R. , ed anche il Vat. 3 199. •«-•
4oal 42 Che prende ec. Costruzione.- Che prende il figlio ^
e fugge y e attendo più cura di lui che di sèy non s* arresi a
tanto che prenda solo una camicia ; fugge tal quale ritrovasi •
m^ cornisela , il Vat. 3 1 99. <-«
43 collo y cima. Vedi il Vocab. della Cr. — duray percliè
dì pietra.
44 Supin si diede y si adattò con tutta la deretana parte
del corpo , alla pendente roccia , rupe \b] , per scendere sdruc»
ciolando a quel modo nel fondo , portando me sopra il petto •
45 CheTuneCy che termina da una parte la seguente bolgia.
46 doccia y canale, dal ductus aquarum latino , o dal latino-
barbaro dochia [e] .{•-►Per la similitudine di sopra ha di-
mostratoli Poeta con quanto amore s'afiTrettò Virgilio di sottrar-
lo air imminente pericolo; per questa , che pur copia dalla sem-
plice natura, dimostra la rapidità con che sdrucciolò per quella
dura ripa cosi supino, come ha già detto, Biagioli. <-«
[a] Panie, caji, 1 . 1 a. [ù] Yt'di Inf. vu. 6. [e] Laurent. Amalth. onomasi.
49^ INFERNO
A volger ruota di malia terragao,
Quaod' ella più verso le pale approccia ,
Come 1 Maestro mio per qael vivagao, 49
Portaodoseae me sovra 1 sao petto ,
Come sao tiglio, e ooa come compagno.
Appena furo i pie suoi giunti al letto Si
Del fondo giù, eh' ei giunsero in sul colle
Sovresso noi: ma non gli era sospetto;
47 terragno^ fabbricato nel terreno, a differenza di quelli
ehe si fabbricano nelle navi sopra fiumi , ove l'acqua non ha
doccia y ossia canale, che facciala da alto in basso scorrere ad
urtare nelle pale della ruota, ma movesi collo steaso movimento
che ha in tutta la larghezza del fiume ; e però alla manffgmga
di forza nell'acqua si suppli>sce col far le pale delle ruote lar-
ghissime d'intiere tavole per lungo.
48 approccia, ^approcciare y neutro passiì^o (bassi nel Vo-
cabolario della Cr. ) , ancorché talora si taccia il si . jàppros^
simarsiy appressarsi ^ verbo adoperato anche da altri buoni
scrittori, e che dovrebbe essere preso dal fii^ncese approAer.
Fa paragone del veloce sdrucciolare di Vii^ilio giii per la ripa
al correr dell' acqaa nella doccia di molino terragno , quand'eUa
più verso le pale della ruota approccia; impeiticcbè neiralto
dello scoiTere d'alto in basso verso le pale della ruota acquista
sempre velocità maggiore.
49 vivagno ( chiosa il Vocab. della Crusca ) propriameme
r estremità dei lati della tela. Persimilit, vale ripa 4 e per
ripa non solo qui adopralo Dante, ma anche Inf. e. xiv. lai.,
e Purg. e. XXIV. 127.
5 ! m^ non come compagno , invece di e non ec. y l^ge c»i
codd. Ang. e Vat. 3 199 la 3 rom. ediz. ♦«
5a al 54 letto "Del fondo y piano del fondo. Vedi il Vci-
eab. dell^ Crusca, m^ eh* ei furono in sul colle j legge il cod.
Vat 3 199. 4^ Soi^resso , sovra , sopra . — ma non gli: in que-
sto luogo gli vale quanto vi , come nel Purg. xm. 7., e PanuL
XXV. 124. »-» Abbiamo in questa terzina due pleonasnu j ossi»
due fi-asi ridondanti , letto del fondo e sovresso noi . La pa-
rola ietto qui non significa altro che il fondo della bolgia;
CANTO XXIII. 4y3
Che Talta Provvìdeaza, che lor volle 55
Porre ministri della fossa quinta ,
Poder di partirs' indi a tutti tolle.
Laggiù trovammo una gente dipinta, 5$
Che giva intorno assai con lenti passi ,
Piangendo , e nel sembiante stanca e vinta .
Egli avean cappe con cappucci bassi 6i
Dinanzi agli occhi, fatte della taglia,
sicché letto del fondo ò l'istesso che fondo del fondo f e #o-
vresso noi non significa più che sopra noi. Poggiali. 4-«
5y tolle j dairantieo tollero j detto per togliere. Vedi Ma-
strofini, Teoria e Prospetto de\erbi italiani^ fac. 622.
58 al 60 •-►Eccoci alla bolgia dove puniti sono gF ipocriti.
Terribile si è il supplizio di costoro, e bene alla loro malva*
gita conformato , poiché ricorda ad un tempo a queste anime
triste 9 e pon loro dinanzi agli occhi la cagione di quello, pei^
che sono sì crudelmente tormentate. 6iagioli.4-« i/<^m<a, co-
lorata di bello artificiale colore, che ricopre il natio deforme:
esprime la malvagità degF ipocriti di ricoprire il vizio col co«
lore della pietà . »-► Che giano j legge TAng. E. R.^-c stanca
e scinta-, stanca pel grave peso, e vmta dal disagio; onde nel
volto trasparisce lo sfioimento del corpo e deiranimo, quello
lasso, questo annoiato- VfiiiTURi.
6 1 63 bassi^Dinanzi agli occhia abbassati sopra la faccia tal-*
mente , che ricopri van loro gli occhi . •-►G>si anche Torelli. ♦-«
fatte della taglia ec, cioè, chiosa il Landino, a quella forma
che sono in Cologna , città della Magna , dove i monaci por-
tano molto grandi e malfatte cappe, in forma che sono più si-
mili a un sacco che a una veste . Francesco da Buti ( siegue il
medesimo Landino) riferisce in questo luogo (non so se é isto«
ria o fiivola) esser già stato uno Abate tanto insolente ed am-
bizioso, che s'ingegnò d'impetrar dal Papa che i monaci suoi
potessero portar cappe di scarlatto, e cinture e sproni e stafi*e
accavalli d'argento dorato: la qua! dimanda commosse a giusto
sdegno il Papa , e comandò che per Tav venire usassero cappe
nnre molto malfatte , e cinture e staffe di legno. Il Daniello però
pel il Volpi chiosano: recate per esempio le cappe de*colo-
uiesi monaci solo per esser quelle molto piix agiate e larghe
494 INFERNO
Che 'a Cologna per li monaci £issi .
Di fuor dorate souy si eh' egli abbaglia; 64
Ma dentro tutte piombo, e gravi tanto,
Che Federigo le mettea di paglia .
O in eterno faticoso manto ! 67
Noi ci volgemmo ancor pure a man manca
Con loro insieme, intenti al tristo pianto.
di quelle che si usaiio in Italia. — * In quanto al t^. 6a. il cod.
Gaet. legge, Che per li monaci in Cologna fossi \ molte orec-
chie che abbiam consultato ci trovano minor disgusto. E. R-
•-►Cosi pur legge il Vat. Sigg.^-s
64 •corate f invece di dorate y ha il cod. Ang. E. R. «-• /i
ch^egli abbaglia. Egli pronome neutro intende essere il Da-
niello y e valer quanto quelV esser dorate . In forca pur di neu-
tro prendendo il Cinonìo la particella e//a in quelle parole del
Boccaccio: ella non andrà cosìy che io non te ne paghi [a],
chiosa : non andrà così il fatto [6]. Il Venturi pi'opone o detto
egli invece di dire lo splendor deWoro y o detto aòbagtia per
abbagliano y secondo Tattica eleganza del singolare pel plurale.
Detto abbaglia per abbaglian o per Tattica eleganza , ovvero
per apocope in grazia dalla rima, non dispiace neppure a me;
ma a questo modo intendendosi , bisogna poi la particella egli
tenere in conto di aggiunta per mero vezzo di favellare ; come
dicesi : egli si suol fare y egli si suol dire ec, m-> L* Antico , ci-
tato nella E. F., dice che la voce Ipocrita nelle sue derivazio-
ni greche significa sopra dorato y cioè dorato di fuori. *-m
06 Che Federigo le mettea di paglia. Ellissi , e vale quanto
se detto fosse: che quelle che metteva Federigo al paragone
di queste erano di paglia. Accenna qui Dante la crudelissi*
ma pena che faceva Federico II. imperatore subire a' rei di lesa
maestà, ch'era di far loro mettere indosso una gran veste di
piombo, e di farli cosi metter a fuoco entro di un gran vaso,
acciocché collo squagliarsi del piombo anche i corpi loro si di*
sfacessero. Così riferiscono tutti i Comentatorì.
68 ancor pure y ancor medesimamente, come fatto ave vamu
Inf. XXI. 187.
[a] Giom. <).oov. 3. [b] Partic. cap. 101. *ji.
CANTO xxni. 495
Ma per lo peso quella gente stanca 70
Venia sì pian, che noi eravam nuovi
Di compagnia ad ogni muover d'anca.
Perch' io al Duca mio: fa che tu trovi 7 3
Alcun eh* al fatto o al nome si conosca j
E l'occhio, si in andando, intorno muovi.
Ed un , che 'ntese la parola tosca , ^6
Dirietro a noi gridò : tenete i piedi ,
Voi , che correte sì per l'aura fosca:
71 ja eraifom nuovi -^ Di compagnia i ci fiicevamo duotì
compagai ad alcun di coloro . ^ ad ogni muoi^er {Tanca {anca
per coscia , o per tutto il piede ) vale quanto ad ogni passo .
y^ al fatto 9 o al nonio si conosca, ^ di cui ne 3Ìa noto il
nome o qualche azione famosa . Molte azioni si accertano nelle
storie, e rimangono celati affatto 0 dubbiosi i nomi di chi le
commettesse. 9^ jilcun e* al fatto il nome si conosca <, ha il
Vat. Sigo--*-»
^5 f i occhio y sì in andando y intorno muoi^iy la Nidob. ;
E gli occhi si andando ec. , laltre ediz. «-^ e la 3. rom. ediz. y
e perchè cosi leggono i codd. Ang. e Vat. 3 199, e perchè al*
TE. R. sembra che quel sì in faccia mal suono. <-• Sì in an-
dando e così in andando sono espressioni che salgono quanto
tra r andare yncir atto di andare y come quella di Virgilio. «/»-
ter agendwn \a] y e la particella sì o così altro qui non fa che
dinotare la continuazione stessa detrazione; onde comunemente,
sogliamo dire; così passeggiando lo informai ; così in piedi
in piedi restammo intesi ^ invece di dire: senza interrompere
il passeggio lo informai; senza metterci a sedere restammo
intesi •
yiy la parola tosca y il toscano parlare di Dante.
j7 78 tenete y trattenete» fermate. — f^oi y che correte jì,
cìie ad ogni passo vi fate nuovi compagni, verso 7 1. «-^Tan-
to quella gente andava piano y che pareva loro che Virgilio e
Dante corressero; circostanza che forse ad altin sai'ebbe sfug-
gita , per la quale ci ricorda il Poeta Tenorme peso delle cap-
a] Eciog. is. «4.
496 INFERNO
For3e eh' avrai da me quel che tu chiedi . 79
Onde 1 Duca sì volse , e disse : as{)etta ,
E poi secondo il suo passo procedi .
Ristetti, e vidi due mostrar gran fretta 81
Deir animo, col viso, d'esser meco;
Ma tardavagli '1 carco , e la via stretta .
Quando fur giunti, assai con l'occhio bieco 85
Mi rimlraron senza far parola;
Poi si volsero in sé; e dicean seco:
Costui par vivo all'atto della gola, 88
E, s'ei son morti, per qual privilegio
pe, dal quale sono quelle anime affaticate e rattenute. Bia-
GIGLI. 4-«
79 Forse ch^aurai ec. Volge il parlare al solo Dante , di cai
aveva intesa la curiosità manifestata a Virgilio.
80 81 aspetta, ec* fermati fin ch'egli giunga, e poi vieni
avanti con passo uguale al suo.
8a 83 mostrar ec. »-^Dir vago e poetico oltre ad ogni cre-
dere, e sentimento verissimo. Biagioli.4-c Costruzione: mo*
strarcol \fisogran fretta (per gran sollecitudine) deiranimo
d'*esser meco . Attamente reca qui il Daniello quel del Petrar-
ca .• 3fa spesso nella fronte il cor si legge [a] .
84 il earco , della pesante veste ; '-eia uia stretta, da al-
tri, credo intenda, che stavan loro dinanzi ed a Iato .
85 al 90 »-> Sempi^ ha in vista il Poeta singolarmente U
jtatura, e nulla delle ombi*e sue piii sottili gli può sfuggire.
quel rivolgersi poi Tun verso Taltro, d'ammirazion pieni ^
costui par v»i\fo ec, Biagioli. ■<-• si uolsero in sé vale quanto
si uolsero un v^erso V altro > m-¥si tolsero insieme , curiosa le-
zione delPAng. E. R.-*-* Costui ec. Costruzione: Costui, cioè
Dante , ali atto della gola par uivo . Due cose facevano man-
raviglia ai due spiriti sopravvenuti: una il veder Dante the
allatto della gola parea vivo ; Taltra il vedere s) Dante chr
[a] Soo. 186.
CANTO XXIII. 497
Vanno scoverti della grave stola?
Poi dissermi: o Tosco, ch'ai collegio 91
DegF ipocriti tristi se' venuto^
Dir chi tu se' non avere in dispregiò .
Ed io a loro: io fui nato e cresciuto q4
Virgilio scarichi del grave abito che i morti colaggiii porta-
vano, sfatto della gola (chiosa il Daniello) è quello «spirare
che l'uomo fa; onde il medesimo nel Pui'g.:
Z/aninie che di me si furo accorte ,
Per lo spirar j ch^io era ancora i»«Vo [a] .
Notisi 9 ch'essendo questo puro eil'etto e seguo di vita , esclu-
delo Dante dalle ombre de'morti ; ove altre pi-oprietà vitali, che
servono a ricevere pena o a manifestarla , come vedere , udii'e ,
moversi, contorcersi, piangere, sospii*are, e perfino sofliare [6 j,
tutte fa all'ombre eziandio essere comuni . t a in sostanza Toni*
bre vive ai tormenti, e morte alla vita. Precisione non afl'aUo
dissomigliante a fpiella, per cui pone s. Agostino potersi le ìh-
fernali damme congiungere agli spirili dannati come il cor|>o
nostro organico s* unisce all'anima, a condizione però di solo
recar le fiamme agli spiriti pena, e non di ricevere da essi vi-
ta: accipientcs ex ignibus poenanij non dantes igni bus vi»
iam [e], ideila grotte stola, del nostro grave abito, eh 'è ciò
che significa stola appresso ni Latini ed ai Greci.
i)i dissenni y la Nidob.; disser me, l'altre ediz. »-»e il Vat.
3u)9;4-« ma in corrispondenza al latino nhihi non si trova al-
tro clic o mi, o a me. - * Il cod. Caet. terminerebbe la dispu*
ta, poiché l(^e, Poi mi dissero , ec. Noi non vogliamo inno*
vare, ma poniamo con molto piacere siffatte varianti sotto gli
occhi de'bravi intendenti . E. R. »-» collegio , detto qui senza
ironia, v^lÌc adunanza y compagnia, società, Mouti [^J* <«-«
9H />!>, il dii'e, l'appalesare, -^^non avere in dispregio ,
non li riputare a scorno. »^Z>|' chi tu se* ; non na^ere in di"
spregio , il Vat. 3 igg. -•-•
c)4 *~^ i^ f^ nato eC' Conveniva che rispondesse : io san
Dante fiorentino y perchè la risposta fosse ;>iena ; ma soddi^-
la] Cauto if. V, 67. e scg. [b] lu questo ihimIcsìiiio canto, v. 1 13. [*] Oo
ci vitate Dei ^ lih. *ii. Cii|i. la. [ù] Prop. voi. i. Fart. u. fac« 1 70.
fai. /. J'2
49» INFERNO
Sovra '1 bel iìume d'Arno alla gran villa ,
E son col corpo, ch'i' ho sempre avuto.
Ma voi chi slete, a cui tanto distilla, 9^
Quant'io veggio, dolor giù per le guance?
E che pena è in voi, che sì sfavilla?
E Tun rispose a me: le cappe raoce 100
Son di piombo si grosse, che li pesi
Fan così cigolar le lor bilance .
sfece in parte , per non dii« il suo nome, che di neoe«sitìi solo
registra nel Poi^atorio . Torelli. «-«
96 ifilla y città y alla francese ; e l'aggiunto di gran delcr-
niina Firenze.
97 ^1 99 ^'•^^'^'^ pcf ìscorre. — dolor ^ la cosa segnata pel
segno, il dolore per le lagrime, che sono segno di dolore, 'cke
sì sfavilla y che si & vedere cotanto. «-» ce Divini sono questi
» versi, divina Tespressione tanto dolor distilla giù per le
u guance f ponendo la causa per l'effetto, il dolore perle la-
a) grime che spande; e divina questa: che pena è in 'voi che
u si sfavilla .... Questo modo di sopra piacque tanto al Pe»
» trarca, che per due fiate l'imitò, ne potè far, come altrove.
u sì che fosse il furto nascoso . » Nella t. Ballata della prima
parte disse: Convien che 7 duol per gli occhi si distille^Dal
cuor; e nel sonetto 20H: Uuna piaga arde e 'versa foco e
fiamma , '^ Lagrime L* altra che '/ dolor distilla ^Perglioc'
chi miei del vostro stato rio. Biagioli.^-c
1 00 •-» E un rispose a me , ha l'Ang. E. R. <«-■ ie cappe ran -
ce. Rancio , cioè arancio , aranciato appella il colore di quelle
cappe , per averle dette di fuor dorate , e per essere il color
dell'arancia simile a quel dell'oro (d'onde l'arancia stessa è dai
Latini appellata malum anrantium). Per la medesima ragione
dirà nel Purg., che le guance dell'Aurora Per troppa etade
divenivan rance [a].
101 102 che li pesi ec. Parlare allegorico, che vale quan-
to, che li pesi fanno sospirare chi li sostiene, come cigola-
no le bilance pe' troppo pesi che loro si sovrappongono.
[ft] Piirg. II. 7.
CANTO XXIII, 499
Frati Godeoit fumniQ, e Bolognesi^ loj
Io Catalano, e costui LoderiDgo
Nouiati ) e da tua terra insieme presi ,
Come suol esser tolto un uom solingo 1 06
io3 Frati Godenti. Frati furono questi d'Ordine cavalle*
resco 9 istituiti per combaUere contro gì* infedeli e violatori del-
la giustizia. L*appeIlazione loro pi*opria fu de'Frati di S. Ma-
lìa ; ma o perchè vivcTan eglino ciascuno in sua casa colla pro-
pria moglie, splendidamente ed in ozio, ovvei^o perchè gode-
vano di molti privilegi od esenzioni , inrono soprannomali
Gaudenti 0 Godenti. Vedi tra gli altri Spositori il Landino.
•-»In progi*esso di tempo, dice il Muratori, quest' Ordine si
sciolse , e venne meno da se stesso . 4-«
1 o4 1 o5 /o Catalano , ec. A piena intelligenza di questi due
versi bastano le seguenti righe della Ci*ouica di Paolino Pieri :
IVel ntilledugentosessantasei , in ealen di luglio furom^
fatte due podestà in Firenze per sei mesiy adunora^ e fu^
ron di Bologna due Frati Godenti^ Vuno ebbe nome mes'
ser Loderingo degli ondalo , e /' altro messer Napoleone
Catalani [a], Loderingo scrive Gio. Vili, che fu comincia^
tare di quello Ordine fA]. «-^Nai'ra il Boccaccio nel suo Co-
nsento cne quattro furono i primi Frati che cominciarono que-
sta Regola, cioè Loderingo degli Andalò da Bologna, Grua«
monte de'Caccianimici da Bologna, Binieri degli Adalaitli da
Modena, e Siracco da Boggio.- Combina con ciò che ne scrìve
il Muratori negli Annali d'Italia alFanuo 1261; se non che,
invece di Siracco da Reggio, fa egli menzione di due altri no-
bili Reggiani, cioè Schianta de'Liazzari e Bernardino da
Sesso. '•^ e questi Loderingo ^ ^^%%^ *1 \b!ì, 3199. - Veggasi nel
Fixlericiy Storia dei cavalieri Godenti^ quel che si appar-
tiene a questo degli Andalò , e in quante maniere il suo nome
trovisi variato e corrotto. E. R. - Un sigillo preso da una bella
cera esibita all'È. R. dal eh. sig. Luigi Cardinali & conoscei*e
che il vero nome di costui era Lotorico . L' iscrizione attorno
dice: »ri SignumFratris Lotorici Ordinis 3/ilicie Beate Ma--
rie» ♦-•
f o6al 108 Come suol ec» Essendo divisa Firenze in Gu< Ifi
e Ghibellini, dice il Vellutello che pi-r procurarsi la pace e il
[a] An. ia65. [6J Cton. lili. 7. e. iS.
5oo INFERNO
Per conservar sua pace, e. fummo tali,
Gh' ancor sì pare intorno dal Gardingo.
Io cominciai : o Frati, i vostri mali ... i 09
Ma più non dissi; ch'agli occhi mi corse
Un , crocifisso in terra con tre pali ,
Qaando mi vide, tutto si distorse, 1 17
Soffiando nella barba co' sospiri:
buon ordine si elessero a governare insieme i due prefati per-
jonagffì. Loderingo di parte Ghibellina 9 e Catalano di parte
Guelfa (contro air inveterato costume 9 ch'era di conferire la
podesteria ad una persona solinga , ritirata cioò y intendo io ,
•dallo strepito de'partiti). Ma ottenuto eh ebbero questi due
Frati il governo 9 di buoni ch'erano creduti, furono trovati pes-
fiimi ipocriti; impei'occhè corrotti ambedue insieme da'Gneifi
con gran somma di danai*! , i Ghibellini furono cacciati dalla
•città; e le c?ise degli liberti , capi de'Ghlbellini , ch'erano nella
contrada nominata del Gardingo^ furono tuUe ai*se e rovina-
te; ciré ciò che vuol dir Dante soggiungendo.- e fummo iali^
^CTì*ancor ec. , cioè ci comportammo in guisa , che ancor ne
i*esta la memoria nell'arse case intorno al Gardingo* m-^Gran*
dingo j ha l*Ang. E. R. -«-•
109 I IO Io cominciai /o Frati j i mostri mali.,,. ^Mapià
non dissi. Figura di reticenza : i vostri mali portamenti han re-
cato l'ultimo csterminio alla mia patria, voleva dire, e sgridar-
li» siccome Ghibellino; e non compatirli, come sogna il Lan-
dino, quasi volesse soggiungere: i vostri mali recan dolore an*
cor a me. Ventubi. — agli occhi mi corse j misi presentò.
1 1 1 crocifisso in terra con tre pali. Pone ti*a gl'ipocriti
Caifasso, Anna e tutti quelli del Giudaico sinedrio > che sotto
maschera di zelo della divina legge sfogai*ono il loro livore con*
tro di Gesii Cristo, a morte condannandolo ; e dà loro la stessa
pena ch^essi ingiustamente sentenziarono per Gesii Cristo. Co-
me però i chiodi nel teiTcno ni una forza possono fare, perciò
per la costoro crocifissione fa adoprati dei pali. •-»>La bolognese
edizione del Macchia velli legge, Uny crocifisso ec., e spicca,
nnof che era ivi crocifisso; interpunzione da noi seguita. «-•
I i3 Sodando ec. Sospirando con fi'emito e sbummento,
ed fluitando perciò i poli dell'irsuta barba, che massime per
CANTO XXIII. 5oi
E *I frate Catalan, eh' a ciò s'accorse,
Mi disse: quel confitto, che tu miri, 1 15
Consigliò i Farisei che convenia
Porre un uora per lo popolo a' martiri •
Attraversato e nudo è per la via , 118
Come tu vedi , ed è mestier ch'el senta
Qualunque passa, com'ei pesa pria:
Ed a tal modo il suocero si stenta 1 2 1
non potersi aiutare colle mani , dovevano estendersi a ricoprir^
gli le labbra . Cagione di tale fremito dovrebbe Dante intendere
essere stato in quel croci6sso l'accorgimento ch'esso Dante era
in anima e corpo, e che però l'essere da lui calpestato saveb*
begli stato d'assai maggior tormento .»-► Non consente ilBia*
gioii a questa sentenza del Lombardi, e perchè Dante non po«
teva pesar più di qut'H' anime di larga cappa di piombo rico^'
perte , e perchè moschinella anzi che no sarebbe Tidea del Poe-
ta. Quindi opina che cotal atto procedesse da rabbiosa ira d'es-
sere in si vile supplizio da un vivo veduto 9 e però l'ipocrisia
soa riconosciuta, e fatta anche fra i vivi palese. <-«
1 1 4 ^ Ciò s* accorse , a tal mirare di Dante si accorse della
cagione per cui aveva interrotto il parlar seco.
116 117 Consigliò I Farisei ec* Caifasso intende ,il quale
consigliando la morte di Cristo, profetizzò, senza accorgei'se-
ne , il vantaggio che avrebb'essa i-ecato al mondo: expeait ut
K*::fs morialur homo prò populo [a]. Farisei y una setta dei
più antichi e considerabili ti*a i Giudei. Veramente il micidiale
consìglio non fu da Caifasso dato ai soli Farisei , ma ad un con-*
cilio, dice ivi il sacro testo, adunato de' Sacerdoti e Farisei;
Come però in quell'adunamento dovette il maggior numero es<^
sere de' Farisei, pone perciò Dante essi per tutti.
1 1 8 al I ao »-^ ^tirai/ersato e nudo nella via , - Come tu
t^edi j è di mestier ch*ei senta ce, bella e semplice variante
delFAng. E. ^.'^ nella via^ l^gg*? anche il Vat. ^igc). <-«
Ch*el la Nidob.,* cA* e' l'altre ediz. ^^ senta com^ei pesa^ so-
stengalo sopra di sé nell'atto che da quello vicn calpestato.
121 il suocero j intendi del predetto Caifasso, cioè il saecr-
[a] loan. ii. v^ '>o.
5o2 INFERNO
In questa fossa, e gli altri del concilio,
Che fu per li Giudei mala sementa .
Allor vidMo maravigliar Virgilio 1^4
dote Anna , in casa del quale fu il catturato Redentore prìmie'
l'amante condotto [a] . -^ si stenta per si stende j chiosa ilBatì ,
riferito nel Vocab. della Cr. sotto il verbo Stentare , J. i. Sem-
bra però che possa la particella #i intendersi aggiunta a cotal
\erbo per puro ornamento; talmentechè tanto vaglia si stenta
quanto il semplice stenta j detto invece di pena, come, per
cagion d* (esempio , diciamo : egli si mangia e si beue ec. in-
vece d'egli mangia e ba^e ec. »-> Ma questo egli si mangia
e si be^e^ dice il Biagioli, non è italiano, a meno che non si
aggiunga altro complemento . Si può ben dire: egli si mangia
tutto quello che ha; ma non mai: egli si mangia invece di
egli mangia. Quindi spiega si stenta coWk forma si marti ra*
che sono una stessa cosa.<<-«
IT>2 del concilio j dtil sinedrio che condannò Gesii Gnsloa
morte. — dal concilio j leggono T edizioni diverse dalla ^ido-
beatina »<♦ e il Vnt. i 1 99. — E il Biagioli pretende che la le-
zione del la Nidob. tradisca l' intenzione del Poeta, che disse d^d
concilio^ perciocché da quel concilio trassero coloro T infame
ed eterna nominanza che suona di loro in questo mondo. «-■
123 per li Giudei mala sementa , perchè fruttò loro il to-
tale estermlnio per Vespasiano e Tito.
1 24 ntarai^igliar f^irgilio , per non esser egli informato di
([uesti fatti, siccome persona del paganesimo ; o forse perchè ri-
fletteva aver «mcor egli pronunziata una sentenza poco dÌ5.M>'
migliante nel libro 2. dell' Eneide.* Unum prò cunctis dabitur
caput , Venturi . Ma potrebbe ben anche essersi cagionata la ma-
raviglia dallo stesso nuovo genere di supplizio e di avvilimento
non veduto da lui l'altra nata che fu all'Inferno Per trame
un spirto del cerchio di Giuda [& j , che fu prima della mor-
te del Redentore , non che di Cai&s , come apparisce e da quelle
parole che premette alle ora citate , Di poco era di nie la car^
ne nuda [e] , e dal riuscirgli nuova la rottura avvenuta in que-
sta bolgia sesta pel ten'emoto suocesso nella morie di Cristo.
[a] Ioaa. 18. v. i3. \b] Inf. e. ix. a^. \c] Ycdi I:i »ota al riferilo vcrsn.
eh* è il :se. del e ix. dell' Inf.
CANTO XXIII. 5o3
Sovra colui, ch'era disteso in croce
Tanto vilmente nelF eterno esilio.
Poscia dirizzò al Frate cotal voce: ri^j
Non vi dispiaccia, se vi lece, dirci,
S'alia man destra giace alcuna foce,
Onde noi ambedue possiamo uscirci i3o
Senza costringer degli angeli neri,
Che vegnan d'esto fondo a dipartirci.
Rispose adunque: più, che tu non speri, i33
S' appressa un sasso , che dalla gran cerchia
Si muove , e varca tulli i vallon feri :
»-» A questa opinione del Lombardi s'accosta anche il Biagioli,
che in proposito riporta la seguente sentenza: Quod crebro
iàdeif non mi/atur , etiam si cur fiaty nescU, Quod ante non
yìditf idy si evenerity ostentum esse^ censeU^^m
1 26 Tanto vilmente^ perche da tutti era calpestato. VaitTUBi.
127 m^ Poscia drizzò j la Gr. e il Vat. 3199. 44
128 9-^ se voi lece y ha TAng. E. R.4-«
1 29 »-^ cUla man destra , perchè , rimontando a sinistra 9
tomeiebbero indietro . Biaoioli. 4-« iUcuna foce^ alcuna sboe*
calura, alcun taglio della ripa, onde uscirne di qui e prose*
gnire il nosti*o cammino.
1 3 1 m-^Senza scontrar ^ legge TAng. E. ^.<^ degli angeli
neri. Figuralo modo di dire , diiamaio della parte , dice il
Cinonio [a] , 1/ {/uale per esser un de'* luoghi del parlar di^
fetlivo 9 vi manca alcuno , alquanto , molti , parte , qualche ,
e simili* Qui segnatamente vi manca alcuno. Per angeli neri
intendersi i demonj non è bisogno che si dica .
i32 Che vegnan ec, che vengano in compagnia nostra per
gnìdame fuori di questo fondo.
i34 i35 un sasso j che ec; un altra degli ^co^/i, che rici-
dean gli argini e i fossi [b] . — gran cerchia , che circonda
tutto Malebolge [e] .
II più volte lodato autor degli jineddoti y Verona 1790,
[a] Pmriic» cap. 81. 14. [b] lof. xviii. v. i6« e 9^. [e] Ivi verso S.
/;<)4 INFERNO
forma del presente passo una ragione per eon fermare il parere )
ch'egli ha eoi Daniello comune, che non attraversi le bolge ,
e faccia arco sopra di ciascuna che un solo scoglio e non più,
e venga perciò a formare come un ponte solo di parecdii ar-
chi : diversamente da quanto ho io inteso e spiegato nel prin-
cipio del canto xviii. [a].
Quale contrarietà però di qoi si ritragga, io non v^go.
Là il Poeta ne descrive tutta la struttura di Malebolge, e però
a farne capire ch'erano molli gli scogli che le bolge attraver-
savano, ed al pozzo di mezzo, quai l'aggi di ruota , alla testa
della medesima si concentra vano , dice:
Così da imo della roccia^cogli (non scoglio)
Movieri j che ricidcan gli argini e i fossi
In/trto al pozzo , che i tronca e raccogli [6].
e qui Fra Catalano altro non fa , che al bisogno e petizione dei
due Poeti indicar loro vicino uno de' medesimi scogli. Glie ve
domiu di contrasto?
Anzi per questo dire Fra Catalano a Virgilio cbe nn sav
so , varcante tutte le bolge, fosse a lui più vicino di quello che
si ri-edesse, pai*mi di poter presumere che non fosso quello la
rim.iQente poraone dello scoglio, su del quale si erano i Poeti
fin lì condotti, ma di un altro.
Pongasi mente . Appena passato avendo i Poeti il ponte
sopra la quinta bolgia, vengono dal demonio Malacoda avver-
titi che il lì vicino ponte della seguente bolgia ei'a rovinatole
con bugiardamente far loro credere che poco discostfi eravi in
essere un altro ponte , ne vengono , con la scorta ad essi dau
d'alcuni demonj , fatti scostar di lì , e camminare a sinistra sul
dorso del rotondo argine [e].
Dopo dì essersi così camminando allontanati , succedendo
tra i demonj che li scottavano baruffa, fuggono soli per pò*
ra i due Poeti, e da qae'demonj dilungandosi, viepiù consc-
guentemente dal primiero luogo si discostano [d^.
Calatisi i Poeti , per Sottrarsi alla temuta ira de* prefàti de-
monj, in fondo della sesta bolgia, ivi continuano a cammina-
re pure a man manca [e] , che vale a dire , a scostarsi seni*
pre più dal luogo primo.
Or come mai , dopo d'essersi i Poeti così allontanati dallo
scoglio, su del quale avevano le prime cinque bolge altra ver-
frtl Vedi il cap. x, di quegli Aneddoti \h] Inf. e. xviii. tCcseg. [e] Inf.
e. XXI. toG.esegg. [r/Jlaf. e. xzii« i5i. [e] Verso 68.de] presenlf caoto.
^ANTO XXIIL ^ 5o5
Salvo eh' a questo è rotto, e noi coperchia: i36
Montar potrete su per la ruina ,
Che giace in costa , e nel fondo soperchia .
Lo Duca stette un poco a testa china, ì3g
Poi disse : mal contava la bisogna
salo, potè Catalano, del medesimo scoglio parlando y con verità
dire , ch*era ad essi vicino piii di quello che non cn»dessero?
Piuttosto moverebbemi l'altra ragione, che il medesimo
autore aggiunge , d'essere alt Inferno un solo ingresso , una
sola porta , e anche una via ec, , quando cioè fossimo certi
che quelli scogli ed archi ad altro non servissero che per far
via al potzo di mezzo; e non ancora o per puntelli e sostegni
degli ai^ni) o per salirvi i demonj a meglio vedere ciò che
in fondo delle bolge facciano i dannati .
1 ^& Salvo eh' a questo è rotto y così legge il nitidissimo ms,
in pci^mcna della biblioteca Corsini , segnato nella prima pa-
gina col marco i9. (7., e cosi riferisce il eh. autore degli jined^
iloti y ^'crona 1790, cap. x., essersi da antica mano emendato
nel testo da esso veduto in Fii'cnze , e creduta di Filippo Vil-
lani . Salvo che questo è rotto, leggono invece malamente Tedi-
zioni tutte. — e noi ffoperchia^ e non vi fa arco sopra, come
lo fa sopra di tutti gli altri valloni. •-► L'una e Taltra lezione
puote egualmente stare , per sentimento del sig.Biagioli. La no-
stra lezione vuol dire : salvo che il sasso è rotto sopra a quc
sto vallone y e però noi coperchia: e la comune: salvo che
questo sasso è rotto , e non coperchia lo ( il vallone ) . <-•
13^ l'iS ruina y maceria. — • Che ( vale perocché) in costa y
nella falda, ^mce, non istà erta, ma inclinata, tanto ch'è ac-
cessibile.-e nel fondo soperchia y sovrasta, s'innalza sopra
la superficie del fondo; altra circostanza che agevolava il salire.
1 3i) Stette un poco a testa ialina , atto di chi si scopre in-
gannato .
1 4o 1 4 1 fnal contava la bisogna vale , malamente evinse''
gnava. - Colui che ec, il demonto Malacoda, che aveva detto
ai Poeti.- (Inf. xxi. 109. e segg. )•
E se l'andare avanti pur vi piace y
^ndatei'ene su per questa grotta,*
Presso è un altro scoglio y che via face.
5o6 INFERNO
Colui che i peccator di là unciaa .
E ì Frate: io udì' già dire a Bologna i4^
Del diavol vizi assai , tra i quali udì' ,
Ch'egli è bugiardo, e padre di menzogna.
Appresso '1 Duca a gran passi sen gì, i4^
Turbato un poco d*ira nel sembiante:
Ond'io dagl'incarcati mi parli'
Dietro alle poste delle care piante.
- uncina , attrappa coli' uncino. »-^ di qua uncina , il codice
Angelico 9 E. R. 4-c
14^ 143 im/i' apostrofato per udiiy in ambedue questi ver-
si [a], ^ a Bologna y non tanto perchè sua patria, quanto per-
chè città ripiena d'tiomiui dotti in ogni materia. a-^Ma il Bia-
gioii sospetta esser questo un frizzo satirico dato dal Poeta così
alla passata, e in ciò lo confermano i iv. 58. e segg. del XTtii.
passato canto. «-«
147 incarcatiy delle gravi vesti, intendi.
' 148 poste y orme, pedate. Vedi il Vocab, della Cr. •-► care
piante y parole piene di soave affezione. BiÀ6ioLt.4-«
[a] Cosi anehe Par. xzci. 3i., ed il Peirar. cai», is.
CANTO XXIV.
-•♦'
ARGOMENTO
Con molta difficoltà esce Dante con la fida scorta del
suo Maestro Virgilio dalla sesta bolgia . Fede poi
che nella settima sono puniti i ladri da velenose e
pestifere serpi. E tra questi ladri trova Vanni Fac-
ci da Pistoia^ il quale predice alcuni mali della
città di Pistoia, e de* suoi Fiorentini.
I
n quella parte del giovinetto anno, i
Che 'I Sole i crìa sotto TAquario tempra ,
Vago è il princìpio di questo canto , e di gran bel-
lesza questa nuova similitudine , tolta dalla stessa natura ; e sem-
bra questo uno di quei luoghi ove il Poeta vuol mostrarsi quale
egli èj cioè ad ogni altro superiore . II principale suo intendi-
mento si è di ritraiTe quanto fu grande il suo sbigottimento ,
benché di poca durata, in veder Virgilio sì turbato. Bugioli.^-v
I giov»inetto per di fresco incominciato, m^giouinett^an"
noj con maggior armonia legge il Vat. Sigg, e con esso la
3. rom. edizione . <-■
a Che vale in cui. Vedi il Cinonio [a] . — V Sole i crin ,
i raggi j pe' quali Apollinc , che da* poeti fingesi essere il mede-
simo Sole , appellasi crinito . - sotto f Aquario j segno del zo-
diaco, col quale cammina il Sole per circa una terza parte di
granaio e due terze parti di febbraio . - tempra per rajfred"
daj chiosano il Landino e il Daniello ; ma però per quello che
siegue a dirsi, e del ^accorciamento delle notti e della corta du-
[a] Partie^^.y
r)o8 INFERNO
£ già le notti al mezzo di sen vanno;
Quando la brina in su la terra assempra 4
L'immagine di sua sorella bianca,
Ma poco dura alla sua penna tempra,
rata della brina, e molto più dello stupirsi il villanello alla cn*-
duta neve 9 piego più. volentieri ad ispiegare col Vellatello che
temperare significhi qui riscaldare <t rinforzare alquanto ; ctì-
me di fatto sotto l'Aquario, e massime verso il 'fine, incntniif-
cia il Sole ad invigorire. E dal ferro che per tempera sì asv*-
da e fortifica , può intendersi ben detto, che il Sole ancora tem-
perii crini ^ i raggi, fortificandoli. •-►Di questo parere è pure
il Biagioli, che qui trova dal Poeta nostro imitato l'oraziano tem-
perare^ lib. 3. ode 19.: . . ^quis aquam temperet igr$ibus.^<
3 al mezzo dì . Dì prendesi in questo luogo per lo spazi»
di ^4 ore, eh* è il di civile. Onde il dire che le notti iranno
al mezzo dìj è come a dire, che la durata delle notti scema,
e si accosta ad essere dì i!% ore. m-¥ a mezzo dìy legge TAn^.
E. R. - Vuole il Daniello che invece di al mezzo dì si debL
leggere al mezzo e i dì; ma il vuole a torto, contro T auto-
rità di tutti i testi ; poiché intendendo per dì non il giorno ar-
ti fiziale, mail naturale, cioò il notti giorno vo^<^if jx 5^sy, iJ
senso è chiarissimo. Tobelli. <-•
4 al 6 Quando la brina assempra ec. Come assemprar li-
bri e scritture dissero gli antichi Toscani invece di ricopiar
libri e scritture ( vedi il Vocab. della Crusca al verbo ^ssem-
prare , ) e come il ricopiar libri e scritture fassi colla temprata
penna; cosi dicendo Dante, che la brina assempra T immagine
di sua sorella bianca , invece di dire , che ricopia la brina
in se stessa l'immagine della neve, a conseguentemente espri-
mcnie la poca durata, aggiunge che la tempra y la temperala-
ra, ^oro dura alla sua penna. m-¥ Il colto lettore in questa
descrizione del rigoi*e dall'aria e della brevità de* giorni al prin-
cipio dell'anno non può non vedere un supposto di troppa
anticipata cessazione di freddo e di allungamento di giorni. Ci»n-
vien dunque credere che Dante abbia scelta per questa sua si-
militudine la minor durata possibile dei rigori invernali, e chr
molto ancora influisca in questo dettaglio l'aggiunta di circa
sette giorni dì piii che face vasi all'anno per isbaglio ai teni{)i
di Dante, cioè quasi tre secoli prima della conx,'%iotte gregu-
CANTO XXIV. Sog
Lo vìUanello, a cui la roba manca, ^
Si leva , e guarda , e vede la campagua
Biancheggiar tutta, ond'ei si batte Tanca:
Ritorna a casa, e qua e là si lagna, io
Come 1 tapin, che non sa che si faccia;
Poi riede, e la speranza ringavagna,
riana. Poggiìli. -e /a sua penna y legge TAng. E. R. — ^S"
semprare per copiare j ritrarre y l'usò anche il Davanzati iiella
Vita di Agrìcola: l^efftge della mente è eterna , né con altra
materia od arte straniera Passemprerai né manterrai , che
de^tuoi proprj costumi. Adunque cotal voce s*ha a poter ado-
perare ancor oggi. -Ciosi il Biagiolì, il quale poi per penna
tempra intende i raggi del Sole già temperati sotto TAquarìo ;
avendo pure il Petrarca chiamato ^en/ie i capelli, e il Poeta
nostro disopra crini i raggi del Sole. — Un' identica intei*pre»
tazione troviamo nella E. F. — II Torelli, esposta T opinione
del Veli atei lo e Daniello, che derivano as semprare dal iran*
rt5se assembler , assomigliare , e voglìon qui éktiioassempra p<*r
a.t semola in grazia della rima, soggiunge : vjissemprare vuol
V dii-e ritraf*re , copiare , €id exemplar efftngere , coma ben
» nota la Crusca, e ne adduce escmpj presi da'Prosatori . JSoii
» è dunque vero che assempra signi Gc hi assomigli osemOri;
» nel che s'inganna anco il Volpi nel suo i. Indice, né che
» Dante dicesse assempra per assembra in grazia della i ima ,
» E qui nota quanto piii vivamente ed elegantemente dicesse
M D^nte che la brina ritragge l'immagine della neve, di quello
u che la rassomiglia . Chi non intende la differenza , suo dau*
a> no- >> ToRZLLI. ^-m
y la roba manca , intendi , onde pascere le pecorelle sue ,
come dal seguito apparisce.
9 si batte ranca y effetto d'afflizione e rammarico.
li ringav^agna. Il Vellutello e il Daniello, e dietro ad essi
il Venturi e il Perazzini [a], vogliono che ringa^^agna signi-
fichi ripone in cauagna o cauagno , nomi che si danno in Lom-*
liardia alla cesta. Ma se non altro ost^icolo, vi sarebbe quello
di non aver Dante scritto rinca^agnay ma ringa^fogna*
[il] CorrecL im Danti i Comocd,
$io INFERNO
Veggeado 1 moodo aver caogiata faccia 1 3
In poco d'ora 9 e preade suo vincastro ,
£ fuor le pecorelle a pascer caccia :
Cosi mi fece sbigottir lo Mastro, i6
Quand'io gli vidi si turbar la fronte,
E cosi tosto al mal giunse lo 'mpiastro ,
Che come noi venimmo al guasto ponte, 19
Il Venturi ne l'aggiusta facilmente con dire che la farel-
la lombarda, almeno di quel tempo ^ avesse gavagno^ non
«i dice però chi abbia fatta lui di ciò fede.
Quanto a me dunque sembra più probabile che il PoeU
nostro , a cagione della rima, usi qui, come in molti altri luo-
ghi [a] , dell'antitesi , e dica ringayagna invece di ringat^ignu.-^
parola, di cui presto trarrebbesi significato dal noto inerbo ag-
gauigfuitej che specificatamente y ale pigliare per le gavignef
pel collo y e generalmente pigliare • Tanto piti che, trovando
noi adoperato dagli antichi ingauinato ad ugual senso di agga-
tignato (vedi il Vocabolario della Crusca), possiamo ragio-
nevolmente presumere che anche ingai^ignare e ringauignare
si dicesse, come àiceyAsi aggayignare e riaggauignare.Y edi
il medesimo Vocabolario. Onde per ringai^agna intendiamori-
piglia. Alcunitesti (dice il Daniello) /lanrio riguadagna. s-^Ma,
con pace del nostro P. Lombardi, l'opinione de' sopracciuti
Chiosatori prende conforto da una sentenza del chiarissimo si-
gnor conte Perticari. Dice egli nella Proposta [6j, che rin-
gavagna è voce romanesca. Perciocché i Romagnoli hanno il
termine gauagno , che vale canestro , o altro cestello da ser-
bare ciò che si coglie . Ed è chiaro che Dante da gayagno creò
ingax^agna e ringa^agna . ^hì
1 3 1 4 '/ mondo per la terra. - aver cangiata faccia , non
essere più bianca. — vincastro, ve]*ga, bacchetta.
17 turbcur vale qui quanto turbarsi. Vedi il V^ocabolarìo
della Crusca a questo verbo, %. a.
1 8 E così tosto y come sparisce brina per Sole, al fnal giunse^
fai Come disse soso per suso^ Inf. e. \. %>. ^^.^abborrn wìabbotri )H*r
ahberra ed abberri , Inf. e. kkv» v, i^\., e c* xxxi. v, a4* ^^' l^] ^'^'* ^■
i'. 11, fac. 388. e 4Cg.
CA^NTO XXIV. 5ii
Lo^Duca a me si volse eoo quel piglio
Dolce y eh' io vidi in prima appiè del monte .
Le braccia aperse, dopo alcun consiglio 12
Eletto seco, riguardando prima
Ben la mina , e diedemi di piglio .
£ come quei che adopera ed istima, 2 5
Che sempre par che 'nnanzi si proveggia,
Così , levando me su ver la cima
D'un ronchione , avvisava un'altra scheggia , a 8
fu applicato 9 /*im^iArtro, il rimedio: fu rimediato ali* afflizio-
ne mia. 9^ lo*mpi<istro. A Dhnie solo è lecito usar voci trivia-
li , perchè sa dar loro splendore e nobiltà. Bugioli. ^hi
^o a I »-^ con quel piglio - Dolce ^ vezzoso modo del dire ,
che si distende all' atto 9 all'aspetto, al guardo , ove l'animasi
dimostra. Biaoioli. ^hi piglio 9 aspetto 9 cera , è detto anche al-
trove, '^appiè del monte y che tentò Dante di salù'e prima d'es*
sere condotto all'lnfeiiio dall' ivi apparso Virgilio [a].
2 a al 34 Le braccia aperse ^ dopo ec. Sinchisi, di cui la
costruzione: Riguardando prima ben la ruina^ dopo eletto
seco alcun consiglio 9 dopo fissato tra sé medesimo alcun prov-
vedimento (intendi circa il modo di far salire Dante per quella
ripa) le braccia aperse y e diedemi di piglio •
25 che aalopera ed istima vai quanto 9 che mentre colla
mani opera una cosaj cogli occhi ne a fissa e scandaglia
un altra •
26 Che ha forza di talmente che, "-^par che * nnanzi y pai*e
che ulteriormente 9 ossia d'opera ulteriore^ 9 si proi^eggia^ Co-
me il verbo vedere ha veday vegga e veggiay cosi il com-
posto proi'edere.
a8 ronchione y quasi rocchioney rocchio grande y spiega il
Vocabolario della Cr.; e però, giusta la spiegazione ch'esso
Vocabolario dà alla voce rocchio y viene a significare lo stesso
che pezzo grande di pietra y che qui, per bisogno di far che
Dante vi sì appoggiasse, intenderemo attaccato allo scoglio 9 •
da esso prominente.
[a] Inf. e. 1. 1^. 6t . e «egg.
Sia INFERNO
Dicendo : sovra quella poi t' aggrappa ;
Ma tenta pria s è tal eh' ella ti reggia .
Non era via da vestito di cappa , 3i
Gilè noi a pena, ei lieve, ed io sospinto,
Potevaxn su montar di chiappa in chiappa .
£ se non fosse, che da quel precinto, 34
Più che dall' altro , era la costa corta ,
La Nidobeatina legge qui: rocchione; ma altrove ronchio^
ne [a] e ronchioso [Aj. m^aui^isaua qui av^visare vuol dire
notare . Torelli, ^-m
ag m-^ Credo che Dicendo si debba congiungere con pai.
Torelli. 4-«
30 reggia per regga, come anticamente fu detto leggio^
leggiav^amo ec. per leggo , leggevamo ec. [e] . »-♦ Vedi per
queste parole come Dante cava ultilissimi insegnamenti dalle
minuzie medesime. Biagioli. 4-«
3 1 da vestito di cappa , cioè di veste larga e talare , impic-
ciaiite mani e piedi, cne quivi bisognava avere spediti. »-»Ma
vuol forse qui alludere il Poeta alle pesanti cappe degl" ipo-
criti, per ritornare il pensier del lettore sopra a quei tristi,
come osserva il Biagioli» ^-m
32 ei lieve, cioè Virgilio, perocché mera ombra corporea.
--^ed io sospinto, da lui, intendi, da Virgilio.
33 di chiappa in chiappa. Malamente il Vocab. della Cr.,
e dietro adesso il Volpi e il Venturi, intendono derivatocAi^ap-
pa da chiappare , e dicono significar cosa comoda a ptUersi
chiappare. No: chiappa significa qui lo stesso che rottame^
scheggia , come ottimamente spiegano il Landino , Vellatello e
Daniello; e non da chiappare derivare si dee, ma da schiap-
pare , che vuole appunto dii*ey^are in ischeggie . Chiappatile
il Daniello, altro non è (propriamente) che un pezzo dì pentola,
scodella, ovvero altro vaso di terra rotto. Ciappe in lombardo
linguaggio cotai pezzi si appellano; e dal nissuno loro valore
debbono essersi derivati i toscani termini di chiappoLore chiap'
poleria , che si danno a cose di ninno o poco pregio .
34 35 precinto, dal latino praecingo , vale circondanlc
[a] Inf XXVI. 44* [^] 1'*^' xxiv. 6j. [e] Prospetto de' verbi toscami.
CANTO XXIV. 5i3
Non so di lui, ma io sarei ben vinto.
Ma perchè Malebolge inver la porta ò'j
Del bassissimo pozzo tutto pende,
Lo sito di ciascuna valle porta
Che Tuna costa snrge, e Tahra scende. ^o
Noi pur venimmo alfine in su la punta,
Onde l'ultima pietra si scoscende.
La lena m'era del polmon si munta, 4^
aggine. Il Landino e Vellutello leggono procinto ; ma è tutt'uno.
\ edi il Vocab. della Gr. Il perchè poi qiu»l pi*eointo o argine fos-
se men alto dell altro già passai n,dirailone'scgn(Mili due terzelti.
ity Non so di lui f di Virgilio, che non av<»vn eorpo vero.
"Sarei ben vinto ^ sarebbero certamente le mie foi"ze state su-
perate dall'altezza, non avrei potuto salire.
i^7 importa piT apertura ^ inihoccntura , — tutto., legj^c la
Nidob.; tutta ^ l'altre ediz. «-►e il cod. Ang. K. R. e il Vati-
cano Hipg;^-* ma pare che tutto coni«ponda megh'oal dello
innanzi : Luogo è in Inferno detto ly/aleòolge f a] . — pende ,
si abbassa nella cima degli argini di mano in mano che al pozzo
medio si avvicinano.
Hp 4^ ♦"'^^ P^^' istruttnra . — Puna costa surge , e l* altra
scende j un argine è alto, e T altro vci^soil pozzo è piìi basso.
4 i Noi pur venimtno alfine. La particella pur non è qui
che riempitiva, e perciò non dee intendersi altrimenti che se
fosso detto: Noi finalmente x^enimmo» •-►Ma non è tale, se-
condo il Biagioli , perchè il Poeta per questa voce vuol rivol-
gere la mente del lettore agi 'impedimenti da lui vinti del mon-
tar su, e significa quanto, ma/gra/Zo la di'ffieoltà deir ardua
via* *-• su la punta ^ su la cima dell'argine. — (Ufitie^ la Ni-
dob. ; in fine^ Taltiv edizioni ■-► e il Vat. 3ic)<). ♦-•
4'i Onde f ultima pietra si scoscende vale lo stesso che,
dalla qual punta sta distaccata rulthna delle sconnesse pie^
tre^ peroccnè ivi appunto termina colla rottura anche la salita.
4-ì »-^ l»n lena ec, ; e.spn»ssione di molta foiT.a, che dimo-
Ati'a quanto doveva esseit* per la fatica lasso ed ansante. Biagio*
i«i. 4-« munta per esausta ^ che mungere è pmpriamente esau*
[a] lof. XVIII. I.
roi. I. 3i
5i4 INFERNO
Quando fui su, ch'io noa potea più okre.
Anzi m' assisi nella prima giunta.
Ornai convien che tu così ti spoltre , 4^
Disse '1 Maestro; che, seggendo in piuma,
In fama non si vien , né sotto coltre ;
Senza la qual chi sua vita consuma , 49
rire . m^ E tolta la metafora dalle mammelle delle pecore , vao
che ec, le quali 9 quando sono ben munte ,sono spossate di umo-
re e dì vigore . Poggiali . -«-s
46 nella prima giunta vale al prinu> giungere €he feci
colassà .
4<) così ti spoltre^ per cotali prove e fatiche ti spoltri^ ti
spoltronisca, cacci la poltroneria.
47 al 49 che seggendo ec. Costruzione: eh** non si viene
in famay seggendo in piuma j né sotto coltre: eh' è quanta) a
dire : non si rende ruomo celebre coli' ozio e colla pigrizia.
m-^che giacendo , al u* 47- 9 l^Rg^ '''^^* ^* ^* ^~* ^^ tfualj io*
tendi , fama. •-> 11 eh. cav. Strocchi, scostandosi dalla comune
interpretazione 9 a questi versi chiosa: ce Lascio da parte che è
» contrario ad ogni buono stile , e massi mamente a quello di Dan-
ai te 9 l'usare due segni a significare una sola idea ( lo che e
» vizio di pleonasmo); la sintassi grammaticale nou concede
» che si colleghi la parola coltre alla parola piuma , quando
» fra l'una e Taltra vi è T inciso: In fama non si tnen. Qui
j» il PoeU accenna due fatti di premj proposti alle imprese de-
» gli uomini vigilanti ed energici, la celebrità del nome e la
j» grandezza della fortuna; e quella dinota colla voce fama^ e
» questa con la voce coltre . Perlochè mi sembra che la costm-
» zione debba farsi cosi: seggendo in piuma y cioè vivendo
39 in ozio j non si viene in fama , e non si viene sotto colire.
» Or che sarà quesU coltre degna di esseve proposta a pre*
» mio di gloriose imprese al pain della fama^ se non quel pan-
» no 9 quel drappo di seta e d* oro, che si porta sospeso sopri
» le cose sacrosante , sopi'a le sacre persone dei reguanti , o ne
M ricopre i seggi , in somma il baldacchino , il quale nel 1 ^^o
» fu trovato dai Milanesi per far onore ad Eugenio IV. die in
» quell'anno tornò dal Concilio di Lione? 11 senso di tali voci
M non si debbe cercare nei lessici, ma nello siile de' poeti» e
CANTO XXIV. Sin;
Cotal vestigio in terra di sé lascia ,
Qual fummo in aere, ed inacqua la schiumi .
£ però leva su, vinci T ambascia 5?.
Con l'animo che vince ogni battaglia,
Se col suo grave Corpo non s' accascia .
Più lunga scala corivien che si saglia: 5:7
Non basta da costoro esser partilo r
Se tu m'intendi, or fa'si che ti vagh'a.
•> nell'indole della poesia, che di iiietaforc, più che d'altro,
» si nutrica e vive, m^hi
3i Qual fumino ee. Cioè iiissuii vestigio, niss una memoria
lascia , come uiun segno rimane in nria dello stato e poscia sva-
nito fumj, e ni un segno nell'acqua rimane della eccitala e poi
disciolta schiuma . — et in acqua , h^ggelaNidob. ; od in acqua y
r altre edizioni: ■-►il Vat. Sigg legge come la Nidob.4-«
5a al 54 v-^Il sentimento di questa sentenza, che Dante so-
lo poteva con si gran forza e semplicità dimostrare, è vcM*aniente
degno che lo fermi ben chiuso nella memoria cliiuiiqm* di bella
fama è vago.BiAoiOLi . 4-« non s^accascia. Proprio diciamo una
cosa accasciarsi quando , non potendosi sostenen* perla sua gr.i-
vezza , si lascia andare a terra. Landino. Vale adunque s^ac"
cascia quanti) s'^ abbandona^ Vedi anche il Vocabolario della
Crusca, che oltre Ò^ accasciare y riferisce detti ad ugual senso
accasciato ed accasciamento .
53 al 57 Più lunga scala ec; la salita intende del Purgato-
rio, altissimo monte, come nella seconda cantica si può ve-
d(*re. Non però cotale pilli lunga salita semplicemente intende
Ili Virgilio di ricordare ( che il ricordare maggior sovrastanti?
atxa a chi già per fatica è stanco, none incoraggiti, ma ab-
battere vieppiù ), ma bensì il Paradiso , a cui quella salita con-
duce, m^lunsa scala ^ s'intende quella che dal cèntro della
teiTa porta nell'altro emisfero . Tohelli . «-• Per giungere al Pa-
radiso intende che Non basta da costoro cioè dagP infernali
sW%rìti, esser partilo , ma bisogna passane |x;l Purgatorio. E per-
ei i è finalmente tace qui il nome di Paradiso ( forse pt?r non lo
pi*ofanarenel] 'indegno luogo ,) perciò termina: Se tu m^ intendi ,
or fa* sì che ti uaglia: fa' che tale antivedenza-ti sia ora di sti-
molo e conforto.»-» Non creda il Lombardi, dice il Biagioli,
i
5x6 INFERNO
Lcvammi alior, mostrandomi fornito 58
Meglio di Iena, ch'io non mi seDtia;
E dissi: va', cii'i'son forte ed ardito.
Su per lo scoglio prendemmo la via^ 6i
Ch'era ronchioso, stretto, e malagevole,
Ed erto più assai che quel di pria .
Parlando andava per non parer fievole: 64
Onde una voce uscio dall'altro fosso,
che sia piuttosto abbattere vieppiù che incoraggiare il ricordar
maggior fatica a chi già per fatica è staaco. Questo paote es-
ser vero ad uà aaimo vile^ che non abbia scopo alcuno al suo
affaticarsi 9 ma non già al magnanimo y che aspetta al termiue
delle sue fatiche ogni contento e riposo . Questo pel generale.
Per quello che spetta al Poeta nostro , Virgilio sapeva bene che
non v'era per lui stimolo maggiore, che il ricordargli la lun-
ghezza del cammino sino al luogo ovedebbe lasciarlo con quella
Beatrice che gli sarà guida nel Cielo. Però gli soggiunge che
non basta esser partito di qnel fondo ; e infine : se tu m'intendi^
or fa'si che rauemii inteso ti uaglia . ^-m
58 Leuammit la Nidob. ; Lei^àmi , 1* altre edizioni , •-♦ e con
esse la 3. romana, ^-m
6o Wh¥ forte ed ardito : formola che comprende e la forza del
corpo e la franchezza dell'animo. Biagioli. «^
()2 ronchiosoy disastroso y pien di bernoccoli.
6'i erto più y pili montuoso.
64 65 Parlando andai^a ec . - Onde una voce ec. Dee qui
la particella onde valer quanto laonde [a] ; e dee capirsi cne
parlando Dante, per non parer fievole y con voce gagliarda,
fosse perciò inteso e mal volentieri conosciuto colaggiu da chi
aveva egli su nel mondo conosciuto . — rfa/ra/^ro valerfo/jc-
guente al sesto già descritto fosso ^ dalla settima bolgia; sen-
za quell'assoluta necessità di legger a//o invece di altro ^ che
vi pretende il eh. autor degli Aneddoti^ contrariamente a tutti
i testi manoscritti e stampati [£].
[a] Vedi Ciuun. Partic, i pa. 6. [b] \ed'ìSerietrjàneddoU pY^rousL 1790^
II. V. pHg. 7.
CANTO XXIV. 517
A parole formar disconvenevole .
Non so che disse, ancor che sovra 1 dosso 67
Fossi dell'arco già, che varca quivi;
Ma chi parlava, ad ira parca mosso.
Io era volto in giù; ma gli occhi vivi 70
66 disconìfenevole per non conveniente j non atta; quaPè
di fiitto la voce di chi ad ira è mosso y come nella terzina se-
guente dice Dante che parca costui. E dovrebbe la cagione
deir ira essere stata il vedersi dai due viaggiatori scoperto ;
onde piti sotto anche Vanni Fucci dirà :
.... più mi duol y che tu m^hai colto
Nt-Ala miseria , dov^e tu mi vedi ,
Che quand^io fui de W altra vita tolto [a].
Ma però non tanto Tessei'c costoro scoperti in quella miseria
dovette esser loro cagione di duolo e d'ira, quanto l'esserne
per cotale gastìgo conosciuti ladri ; che ladro, a differenza del
predone o rapitore, è colui che ruba occultamente, ed arrossi-
sce di essere scoperto . — * Sopra la parola disconvenevole il
Postili. Cass. nota inhabilisy e vi fa la seguente chiosa.- eo quod
latrones cum sunt ad furandum sibilanty ut non agnoscan^
tur ad vocem , et eodem modo isti hi e sibilane , et ideo non
videbatur vox opta ad loquendum, Quest' idea del sibilo che
sogliono fare i ladri per darsi fra loro i segni senza farsi co-
noscere, non è venuta in capo ad alcun altro Espositore, co*
me riflette il P. Ab. di Costanzo , e merita perciò di esser qui
rilevata. Forse però si accosterà piii allo spirito del Poeta il
cemento del cod. Caet. che dice : inaepta et villana y qua bla*
sphemahat Deum ille latro, E. R.
67 68 sovra 7 dosso "deWarco vale quanto, su la som^
nutà di esso , ed in luogo che sovrastava al mezzo della fossa.
m-^Foss*io deWarco ec, l'Ang. E. R.*-«
69 -^^ ad ira parca mosso. Il cod. Cass. legge ad ire , con
postilla sopra, idestiter. Se piii persuada, potrà preferirsi tal
lezione . £• R.
70 inolio in giày piegato per guardare abbasso. — gli oc*
chi inytj ancora viventi in carne , spiega bene il Vellutello, pe*
[a] Verso i33. e segg.
5i8 INFERNO
Non potean ire al fondò per l'oscuro :
Perch'io: Maestro, Éi'che tu arrivi
Dall'altro cinghio, e dismontiam lo muro; 7!
rocche questi per vedere abbisognano di luce; e non cosi gii
ocelli di Virgilio e delle altre ombre, nelle quali non erano gli
occhi se non apparentcmcute , e Tauiina sola era quella che fa-
ceva lutto di per sé, senza bisogno d'organo corporeo. Dti;T-
saineate intende questo passo il Landino , e spi^a in modo 4i
far capire che vedesse piii Dante che Virgilio. m-¥ et occhi v/'.'/.
M 11 Daniello parla degli occhi di Dante, ch'eran vivi, a ditic-
a» renza di quelli di Virgilio, eh 'eran morti . Il Landino intcn-
» de gli occhi corporei. Il Vellutello awcora vit^enti in car^
M ne. Considera .se per occhi vivi Dante intendesse occhi ope-
» rati vi, aventi la virtii visiva. Inf. xzix. y. 54«: Ed alior fu
j» la mia arista più viva . Tobblli. » — Lombardi , dietro al
V ellut elio y spiega vivi, cioè viventi in caiiie, e s* inganna
grossamente . Sono parole del Biagioli, il quale spiega: »/iVj,
cioè ancora in l'ita ^ che'poi toiiia lo stesso. Non consente del
pari che T anima de* morti vegga e faccia tutto per sé, sema
bisogno corpoi*eo ; sostenendo che Tombi^ trasmettono le seii*
sazionl all'anima col mezzo degli oi*gani sensorj. Questo in so-
stanza è un supporle a quest'ora daimate in anima ed in corpo.
In tale ipotesi non 8ai*ebbei*o più ombre, come effettivamente
s^hauno a ritenere, e come in tanti luoghi di questo poema
sono appellate. I versi riportati dal sig. Biagioli injNro^a del
suo assunto nulla provano contro la nostra ojHnione . In e^si
Dante cosi si esprime, perchè quei dannati, quantunque om-
più basso di quello ond'erano partiti \a\w-^Dair altro cinghii
cioè air altro cinghio. Qui da è segno del terzo caso, come
Inf. XXII. |/. I ig.: Ciascun dalV altra costa gli occhi x^olse ^
cioè all'altra costa. La ragione per cui Dante cosi dice a Vir-
gilio si è che la costa più verso il pozzo era più bassa delibai-
tra, onde si potea da essa mirare il fondo della valle più da
pi*esso. Torelli. 4-« e disniontiam lo muro. Quantunque ne'se-
guenti prossimi versi espressamente non dica che di esser di-
[a] Verso 37 e scgg.
CANTO XXtV. 5i9
Che, cornTodo quinci e non intendo,
Così giù veggio, e niente affiguro.
Altra risposta, disse, non ti rendo, 7G
Se non lo far; che la dimanda onesta
Si dee seguir con T opera, tacendo
Noi discendemmo 1 ponte dalla testa, ^9
Ove s'aggiunge con T ottava ripa,
E poi mi fu la bolgia manifesta :
E vìdìvi entro terribile stipa 82
«
scesi da quel ponte 9 dee nondimeno intendersi^ che anche Tal-
ira parte della fatta petizione, cioè di scendere il maro, ossia
l'argine, effetto avesse « Vedi nel canto xxri. i3. e segg., che
dice di riascendere quel muro , ossia argine , per que' medesi-
mi borni che avevano loro &tto scala per discendere . »-#> 11
Poeta, dice il Biagioli, chiama muro la testa del ponte che si
a Iza sopra l'argine in cui si posa ; e questo discendono , sicccH
me al \f. 79., chiaramente dice Dante stesso. I Poeti non sce-
sero dunque l'argine ; che Dante non si sarebbe lasciato indur
sì facilmente a calar laggiìi in mezzo agli orribili serpenti, onde
è la bol^a ripiena . 4-«
75 affguroy discemo, disferenzio«
76 al 78 Se -non lo f€iry se non l'opera stesta che tu chiedi.
•^seguir per eseguire, »> Piene di grazia sono le parole di
>^!rgilio a Dante , vaga si è la sentenza che in esse si racchiu-
de, e chi alla prima lettura non le dà grazioso luogo nel cuore
e nella mente, ha ben da dolersi assai della natura. Biàgioli. ^hi
81 JE poif scendendo, intendi, per quell'argine, mi fu la
bolgia manifesta.
8a stipaj mucchio, moltitudine. Vocab. della Cr. Stipare j
per ammucchiare y disse nel vii. di questa cantica, verso ig.
•-►Terribile e spaventosa scena si. è questa che s'apre adesso
agli occhi del lettore; e chiunque non abbia di triplicato feiTO
cinto il cuore» non potrà non raccapricciare piii d'una volta.
Si puniscono in questa bolgia i ladri . Costretti a con^re con-
tinuamente in mezzo a orribili serpenti, vedremo i miseri spi-
riti , attorti e legati da quelle fiere, ai loro feroci morsi avvam-
par subitamente, ridursi in cenere, rinascei^, trasmutarsi iu
520 INFERNO
DI serpenti, e di si diversa mena ,
Che la iiiemoria il sangue ancor mi scipa .
Più non si vanti Libia con sua rena o5
Chersi , chelidrì , iaculi e farce
Pi oducer ceucii con anfesibena ;
mille modi, l'uomo in serpente, il serpente in uomo; e tutte
queste cose dipinte con sì forti colori, che più non farebbe
il vederle, rincalzando uu* immagine .spa\entosa con altra più
terribile «incora; e quando T nomo si pensa che rimmagiuit-
zif)iie del Poeta sia munta, e affatto esausta, lialzasi con maiir.
^ior impeto, e con forza tale, che ne rimane attonito il pen-
siero. fi]AGIOLI.'«-«
H.'^ mcnn^ sorte, spezie. Vedi il Vocabolario della Crusca.
H4 /« memoria y la ricolti» nza , il sangue ancor mi scipa ^
mi guasta il sangue, me lo fa agghiacciar di spavento. s-^Ef-
fette) della rieoi'dazione propoi'zionato all' impression forte ri-
cevuta già dalTonibile vista. Biagioli. ♦-•
Hf) Libia ^ provincia deirAtfrica sommamente arenosa e pie-
na di serpenti . Volpi.
86 87 Chersi y chelidrì, iaculi e faree ^Producer ceneri^
le»gjje la Nidob.: ove tutte l'altre ediz., Che se chelidrij ia-
culi^ o. faree ^ Produce^ e ceneri. Ma come nella prefezioue
ho detto, i versi del libro 9. della Farsaglia di Lucano, de-
scriventi appunto le serpi delle libiche arene , decidono affatto
in favor della Nidobeatina :
Chersydrosy tractique via fìtmanfe chelydriy
Et. seinper recto lapsurus limite cenchrisi
Imperocché scorgesi quindi manifestamente come^ dopo scritto
per errore Che se in luogo di Chersi,, si passò, per aggiustamento
della sintassi, ascrivere^ro^uc<?in luogo di producer» Chersv
dros (di cui per apocope forma Dante chersi) setj^ens , dio»
Roh. Stefano f qui tam in aquis , quant in terris moratur» Che-
lydrus serpens non multiun aspectu distansa Chersjrdtr> ser*
pente , fumimi quo serpit emittens, laculus , setyentis genus ,
qui subii arbores , e quibus se w maxima vibrai , penelratque
qnoflcumque animai obuium fecerit fortuna. Phewias (quidam
/'\i(rtnfphareas) serpens est sulcnm, dum yerpitj cauda in ter-
ra jaciens , et super eiuìi fereainbulans. Ccnchrisj genus ser'
CANTO XXIV. 5ai
Nò tante pestilenzie, né sì ree 88
Mostrò giammai con tutta T Etiopia,
Ne eoo ciò che di sopra '1 mar Rosso ee.
pentis uenenosi — Ceneri y non centri j intese pnre scrìtto il
Landino» il quale, nel sao comento a questo passo , i ceneri y af-
ferma, sono serpi punteggiate di punti situili al granello
del miglio , dette così perchè cencron in greco significa nu"
glio [a\. Aphisbaena vel jéntphisibaena, sicgue lo Stefano,
genus scrpentis . RuelL in P^'eterin. dicit eatn i^ocariet cacci"
lianiy nomenque habere a caecitate [i] . »-#> Oltre questi argo-
menti ed crudizioni , vedi in principio di questo volume la pre*
fazione del P L., ed inoltre la posterìor sua difesa dalla Cen«
sura con tenuta nvìlh'nlogoj^potogetico per A ppendice della Se-
rie dogli Aneddoti Dioìfisinni riporìBUì nel V. volume della
pn'.sente edizionr. — Pretende il Biagioli che la lezione di Ni-
dobeato ajlievolisca anzi die no la foga delT impetuoso parla-
re*. Il Poggiali sulla lezione dal Lombardi difesa non fa motto,
e TE. R. nella i^. edizione segue la comune , mutando però il
i\V? del i'. 88. in Non^ coirautorità del codice Angelico. Pensa
cosi cessata ogni oscurità, pi*i*chè formandosi un sol concetto
da amendue le terzine, ne viene bellissima j a parer suo, e /u-
cidissintn la lezione. -Se in mezzo a siffatti dispareri un no-
stro sentimento potesse aver luogo, diremmo y cne la lezione
dal nosti*o P. L. difesa con tanta bravura e calore, è foiose la
genuina ; ma che quella della H. rom. ediz. , per la parte della
semplicità e chiarezza, non dà luogo ad altra migliore fra tutte
le finora conosciute. 4-« ^
8c) Mostrò y intendi, la Libia.'» con tutta l* Etiopia yaììvtk
pY>vincia dell'Affrica, confinante colla Libia al settentrione [e].
t)o CIÒ , che di sojyrn 7 mar Rosso ee , dee intendere l'Egit-
to, posto tra la Libia e il mar Rosso. — ee ed eiìe invece di
è sono (dice nel Prospetto dei verbi toscani il Pistoiesi ) voci
deo|i antichi, che non volevano accenti sul Tulume [</J . Di que-
sta , che ben può dirsi, paragoge ^ se ne vale Dante anche fuor
di rima, Inf. xxx. 79. »-» lezione delia Crusca .^-^
\ny Cosi nciredlzione veneta 1568. [h] Vedi il TesorolaLz cuiscuna
cl"llc <ipict;ate vuci. [e] Baudraud» Lexic, gc'ogr.[d] Sotto al verbo
JiSi iCf n. 3.
5ai INFERNO
Tra questa cruda e iristissima copia 91
Correvan genti nude e spaventate ,
Senza sperar pertugio o elitropia .
Con serpi le man dietro avean legate; iji
Quelle fìccavan per li rèo la coda
E '1 capo , ed eran dinanzi aggroppate .
Ed ecco ad un, ch'era da nostra proda, 97
S'avventò un serpente, che *1 iraiisse
Là dove 4 collo alle spalle s'annoda .
Nò O sì tosto mai, né / si scrisse, 100
Com'ei s'accese, ed arse, e cener tutto
Convenne che cascando divenisse:
9 1 copia , di serpenti .
g'i m^ Senza aspettar y legge TAng. E. ì{, '^-m pertugio ^ dst
nascondersi. — eliiropia^ pietra preziosa, che ha \irtù contro
i veleni . Forse allude qui il Poeta all'opìnioue favolosa , che
è corsa insieme con tanti altri errori popolari nel volgo, aver
tal pietra virtii di render invisibile chi addosso la porti. Vedi
nel Boccaccio la novella di Calandrino , che con tanto suo di-
sagio per lo Mugnone cercolla. Ventubi.
94 al 96 Con serpi ec. Dice Dante in questa terzina che lene-
vano quei sciaurati legate di dietro le mani da* serpi ; e che per
meglio tenergliene ivi fisse ed immobili , le serpi medesime an-
nodanti le mani, per le reni ficcandosi, traforavano col capo
e con la coda il corpo di coloro , ed alla parte dinanzi col me-
desimo capo e coda facevan groppo, m^ Immaginò il Poeta si
fatto supplizio pei ladri, a dimostrare l'astuzia e la malizia loro
d'insinuarsi nei chiusi luoghi, e i gran mali che dalla loro ra-
pacità nascer sogliono ^ cose tutte che nella maligna natura dei
sei*penti riconoscono i savj . . .L'immagine è terribile, e cor.
vivi e forti colori ritratta. Biagiou. ^-m
97 da nostra proda y dalla parte vicina alla ripa nostra.
1 00 Ne O sì tosto ec. , cioè non formò mai alcuno scrittori-
una delle più semplici lettere così prestamente, comeec. »-#>Nuo-
ve e proprie di Dante sono queste similitudini , e lascia pur dir
chi vuole in contrario. Biaoioli. «hi
CANTO XXIV. 5x3
E poi che fu a terra sì distratto , i o3
La cener si raccolse , e per sé stessa
In quel niedesrao ritornò di batto.
Cosi per li gran savj si confessa, io6
Che la fenice muore, e poi rinasce,
Quando al cinquecentesimo anno appressa :
Erba né biada in sua vita non pasce, 109
Ma sol d'iucenso lagrime e d'amomo;
E nardo e mirra son T ultime fasce.
io4 9^La poluerj legge l'Ang. E. R. — e il Vat. 3i9q.4-c
io5 di butto per di botto j in un attimo j dice aule Purg.
r. XVII. 4o* per antitesi niente più licenziosa di quella che ado-
prarono i Latini dicendo faciunduni per faciendumy olii per
il li ec
1 06 B-^ L^espressioneper li invece dì dai è an*elegantissinia
sostituzione presa dai Latini, e praticata con buon successo
<)a tutti i più colti nostri scrittori. Poggiali. 4-«j^a(y, sapienti.
Rimprovera il Venturi 9 che 1 gran sauj j che dicono questo
farfallone stempiato , si riducono a pochi. Ma se sono più
d'uno, come lo sono, lanto basta; che del fatto poi neppure
il Poeta fassi garante. — si confessa vale si asserisce.
1 09 110 Erba né biada ec. Non mangia erba né biada ,
ma solo lagrime d* incenso e d'amomo • •-» Erba né biado ,
hanno i codd. Ang. E. R. — e il Vat. 3 ipg.'Mi È onesta vaghis-
sima descrizione presa da Ovidio nel xv. delle Metamorfosi ^
♦'. icft. e segg.:
Una est ifuae reparet^ seque ipsa reseminet ales^
Assyrii phoenica l'ocantc nec frugc ^ec herbis^
Sed thuris lacrimisi et succo viuit amomi.
Haee uhi quinque suae complevit saecula uitae
Ilicis in ramis , tremulaeque cacwnine palmae 1
Unguibus et duro nidum sibi eonstruit ore^
Quo simul ac casias , ac nardi lenis aristasj
Quassaque cum fulva substran^it cinnama mjrrrha ,
Se saper imponiti ftnitque in odoribus aeuum.
1 1 ì E nardo e mirra son rultime fasce , dice Dante , in
luogo di dire, son rultimo nido. s-^Il nido ai pai^^oletti de'vo-
5^4 INFERNO
£ quale è quel che cade , e non sa comò , ni
Per forza di demon eh' a terra il lira
O d'altra oppilazion che lega Tuorno,
Quando sì leva, che 'ntoruo si mira, 1 15
Tutto smarrito dalla grande angoscia ,
Ch'egli ha sofferta, e guardando sospira;
Tal era 1 peccator levato poscia . 1 1 3
O giustizia di Dio quanto è severa ,
Che coiai colpi per vendelta croscia !
Lo Duca il dimandò poi, chi egli era; m
Perch'eì rispose: i' piovvi di Toscana,
latilì fa Teffettoche fanno le fasce ai pargoletti della specie un»-
na ; serve loro comedi veste. Opportunamente dunque Daute,
e con graziosa poetica bizzarrìa, chiama ultirne fasce il nidotnor'
tuario di questo moribondo rimbambito volatile. Poooiill^-c
1 1 2 corno per come j usato dagli anticlii anche fuor di ri-
ma. Vedi il Vocab. della Gr. »-»>Pare manifestameute derivato
dal quomodo dei Latini . Poggi ali. <-«
1 1 3 1 1 4 Per forza di demon , - O d^ altra oppilazion ec^
quasi dica, per oppilazione (rìseiTamcnto delle vìe degli spi-
riti vitali ) o cagionata dal demonio , come negli ossessi ay-
uiencj o naturalmente come in quelli che patiscono di nud
caduco e simili mali*
1 1 5 al 1 1 7 xt le\fa , la Nidob. ; si lieva , Taltre ediz. a-^e il
Vat. 3199. "angoscia non si può spiegar meglio che per o/^
pressione 9 dal latino angOy che vuol dire opprimere sino al
soffogare. Poggiali. -Vigorosi sono questi versi, ove tutto è
dipinto con venta e semplicità mirabile. Biagioli. -€/e//a, in-
vece di dalla , al i^. 1 16., legge l'Ang. E. R. e il VaL 3 199-<«-*
I ig m-^potenziaj ]eggel*Aiig.E.R., ei^endettajilY^t.ìii}^-
- Il termine giustizia è preso qui come per un attributo per-
sonalizzato^ e però è senza articolo . Poggiali. 4-«
120 croscia - Crosciare è propriamente il cadere della so-
bita e grossa pioggia : per metafora però vale scaricare y man'
dar giù con violenza. Vedi il Vocab. della Crusca.
1:12 piovvi ^er caddi f piombai*
CAJVTO XXIV. 5:^5
Poco tempo è , ia qaesta gola fera .
Vita bestiai mi piacque e non umana, i a 4
Si come a mui ch'io fui: son Vanni Pucci
Bestia 9 e Pistoia mi fu degna tana .
£d io al Duca : dilli che non mucci , 127
E dimanda qual colpa quaggiù '1 pinse,
Gh' io '1 vidi uom già di sangue e di corrucci .
1 a3 II» auesia gola fera j in questa stretta ed orrìbile fossa.
Fauces y ctie è lo stesso di gola, appellarono simili stretti luo-
ghi anche i Latini [a].
1 20 I !i6 «Si come a mui ch^io ec. Mulo per bastardo di
certo messer Fnccio de*Lazzerì j nobile Pistoiese, spiega il Lan«
dìuo ed altri. Il Vellutello però > non so con quale ibndamentoy
ciò niega, e dice appellarsi mulo solamente per l'ostinazione
indomabile ch'ebbe nel mal oprare. — son f^anni Fucd-'Be^
stia^ pare (massime avendo sik dello ulta bestiai mi piacif uè)
che possa essere Bestia un vituperevole sopi'annome col quale
Dominato fosse. Ma se non fu bestia anche di nomcy almeno
coltamente lo fu di fatti, e Gerissima bestia ^ imperocché tradi
] ;imico di Vanni della Nona, il quale, ad unico fine di occultar
lui, ricevuti aveva e nascosti in propria casa i preziosi aiTedi
rhe Fucci aveva rubali alla sacristia del duomo di Pistoia: ft-^ll
Pc^still. deirAng. dice: s* lacobi de Pistorio. E. R.4-« insi-
nuando poi esso Fucci, a chi per mero sospetto di cotal furto
era detenuto e a mal partito, che facesse dal Podestà cercare
iu casa di \'anni della Nona ; e per tale corpo di delitto trovato-
celi, fu esso Vanni della Nona impiccato [&j. — e Pistoia mi
fu degna tana : morde i costumi de' Pistoiesi di que' tempi •
I aj al 1*^9 che non mucci j ec.A/ucciare per burlare ^ schi"
^iire e fugs^ire , trovasi dagli anticbi molto adoperato ( vedi il
V'ocab. della Cr.) ; e può qui a tutti e tre i significati in qual-
lie modo adattarsi. -<////i clie non mucci j cioè dilli che non
lurli, o non ischifi, o fugga la intenzione e curiosità nostra,
Uìì manife.stame quello solamente ch'io so già molto bene, sen»
.-« cir<*^li il dica , che fu uomo di i^ita bestiale e non umana ,
(•ffìta di sangue e di corrucci (uomo iracondo e sanguinario).
'■# Vedi il Tesoro Lai» di Roberto Stefano. [6] Vedi il Laudino cJ ajtri.
5iG INFERNO
E 1 peccator, che intese, non s^infiase, ì'^o
Ma drizzò verso me Taaiinu e 'i volto,
E di trista vergogna si dipinse;
Poi disse: più mi duol ciie tu m'iiai colto i3 >
Nella miseria , dove tu mi vedi ,
Che quand'io fui delF altra vita loho.
Io non posso negar quel che tu chiedi : 1 36
In giù son messo tanto, perch'io fui
Ladro alla sagrestia de' belli arredi;
Ci dica il delitto per cui sta quaggiù; che per couto di qncll»
ci ha detto y dovrebbe essere di sopra tra i violenti , e non qai
tra i ladri. »-^È bella maniera assai del dire poetico onesta:
uom di sangue e di cortucci. -Cosi il Biagioli, al anale pero
sembra sfuggito un passo della Merope del suo Aloeri , dote
trovasi questo bel modo poetico trapiantato:
Oh! giovinetto assmi
Tu se*y per uomo di corrucci e s€mgue [a]. 4-«
1 35 Che quand'io ec, che quando morii , piii che la morir
stessa: e ciò pel rossore d*essere scoperto ladro sacrìlego;e molm
più per la persuasione che compiacessesi Dante di tale di lui
|[astigO} perchè Vanni (riferiscono i Comentatori) ei*a stato della
parte Nera, contraria alla Bianca, della quale era Dante allor<i.
m^ quando fuiy legge TAng. E. R. — e il VaL 3ig9.4-«
i38 m^alla sagrestia de* belli arredi. Due sono le inter-
pretazioni che dagli Spositori si danno a questo passo: la prima,
che Vanni fu laaro dei belli arredi alla sagrestia-^ e la se-
conda, che Vanni fu ladro alla sagrestia detta dei belli arredi.
Quest'ultima interpretazione è stata , non ha molto, sostenuta e
difesa dal eh. sig. Ciampi , già prof, di greche lettere in Pisa, ed
ora passato alla I. Università di Vilna ; ed eccone iu succinto le
sueragioiB. i.^Che unendo il genitivo di dipendenza </e*6i?//<o^
redi col reggente sagrestia^ la sintassi è più semplice, più facile.
e più coniorme allo stile di Dante. 2.^ Che il Poeta non iiitex*
di parlare di un furto in genere, ma propriamente di quello
commesso alla sactnstia di s. Iacopo di Pistoia , chiamata il /e*
[a] \tto II. Scena IL
CANTO XKIV. 5i7
£ falsa inen le già fu apposto altrui . 1 39
Ma perchè di tal vista tu nou godi,
Se mai sarai di fuor de' luoghi bui,
Apri gli orecchi al mio annunzio, ed odi: 44^
Pistoia in pria di Neri si dimagra ^
soro ; e 9 per cagion della rimai con para(ì*asi detta da Dante la
sagrestia de^belliarredLiPGtìeìnàiyiduò cosi quella sacristia
ad oggetto dì rendere il furto piìi odioso. 4*^ ^^ ^^ siculi do-
cumenti risulta che Vanni non portò via porzione veruna dei
belli arredi, ma solamente ne tentò il furto; percliè scoperto
coi suoi compagni y abbandonò il bottino e l' impresa , e che
perciò l'attentato non fu sufficiente a dichiararlo ladro de'betiì
arredi che egli non portò seco. • Forse a taluno sembrar po«
iranno questi argomenti non abbastanza forti per decidere la
quistione. Comunque sia, si ha però motivo di credei'e che
Dante non fosse bene informato di questo avvenimento. E in-
fatti, sopra ai versi 127. al 129. fa le meraviglie per tro\aie
fra i ]adÌi*i questo^Fucci , ch'egli slimava dannato nel cerchio
dei violenti. Una prova ulteriore dell'ignoranza del Poeta ri-
guardo a questo fuito ne offerse il prelodato sig. Ciampi nella
/Uia di Af, Cina da lui pubblicata , riportando in essa il det-
to fatto assai variato colla scorta di sicuri ed autentici docu-
menti. <4hì
1 4o al 14^ Ma perchè ec. Ma acciocché tu, se mai esci di
f|uesti oscuri luoghi, non te ne vadi contento daver veduto
me in questa punizione (pel motivo massime della sopraddeita
contrarietà di partiti) , laccati questo, ch*io ti do, disaggradevole
annunzio, m^ dì fuor da i luoghi, legge il Vat. 3ii^.«^
1 4^ Pistoia in pria di Neri (cosi la Nidob. ; e Negri i alti e
ediz. ) si dimagra . La scissione de'Bianchi e Neri ebbe in Pistoia
stessa origine per disgusto seguito tra due rami della famiglia
Cancellieri, che per distinzione erano appellati uno de^Cancel-
lieri Bianchi , e l'altro de'Neiù \a\ ; e di Pistoia erasi trafusa in
Firenze. Predice adunque Vanni che il primo avvenimento saia
ili Pistoia contrario a' Neri, e che essa città tlimagrerassi , per-
d<*i*à i cittadini suoi di parte Nera . Di fatto iieiranno 1 3o 1 ( un
anno dopo quello in cui finge Dante di aver fatto questo suo
i^j Memorie per la viim di Dante $. io.
528 INFERNO
Poi Firenze rinnova genti e modi.
Tragge Marte vapor di Val di Magra, i4*^
Ch'è di torbidi nuvoli involuto,
E con tempesta impetuosa ed agra
Sopra Gatiipo Picen ila combattuto; 148
Ond'ei repente spezzerà la nebbia,
Sì ch'ogni Biauco ne sarà feruto;
viaggio)! Bianchi di Pistoia yCoU'aiuto de* Bianchi di Fii^enze.
cacciarono i Neri di Pistoia [a] .
1 44 ^^^ Firenze ec. In seguito poi si scambieran le carte . e
i Bianchi di Firenze , che hanno aiutati i Pistoiesi a caccian*i
Neri , saranno essi cacciali dalla propria patria dai Neri stessi :
e rinnoverà cosi Firenze genti ^ (ammetlendo i Neri, prima
esuli y nel luogo de' Banchi) e modij intendi , di governare.
1 45 al 1 5o Tragge Marte uapor ec. »-^ Allude forse litteral-
meute a un fenomeno che apparve in cielo dalla parte di po-
nente : di che vedi Giovanni Villani [b] . 4^ Questa intendo
dover essei'e la costi*uzione:A£z/*^eyilDio della guerra, o il pia-
neta che dà influssi guerrieri, ^r<2^^6, attira, fa innalzarsi di fnl
di Magra , valle cosi detta dal fiume Magra, che scorre per es.sa.
e divide la Toscana dal Genovesato, s/apore^ intendi fulmineo.
di cui cioè (assi il fulmine, c/ie, il qual fulmineo vapoi^e^ sopra
Campo Piceno, luogo vicino a Pistoia , involuto fia di (per da ]
torbidi nuvoli , e combattuto con tempesta impetuosa ed agra^
con impetuoso e fiero contrasto di \enl\\ onde , per la qual rosa.
eiy esso vapore fulmineo, spezzerà la nebbia, aprirassi l'usci*
ta per gì' invol venti torbidi nuvoli [e], e scagliei^assi.
Intendono tutti gli Espositori accennato con questa alle^^
ria l'uscire che nel i3oi (anno immediatamente posteriore a
quello ìq cui finge Dante questo suo misterioso viaggio ) lece di
Val di Magra il Marchese Marcello Malaspina a porsi alla testa
de'Neri di Pistoia , e la rotta che diede ai Bianchi che in Campo
Piceno lo attaccaix>no : rotta che fu in gran pai*te cagione che
[«1 Gio. Villani Cron. lib. 8. e. 41- [^^ *^^or. lib. 8. cap. 47 [e] A' '-
hìa per nuvoli, massime tu rima, non dee |iatire diflicollà, perorch*'
in realtà sono la stessa cosa : lo stesso a^grr>^ ito d'umide esAlazioui pf .aio
indilo appellasi nuvola; situalo viciuo a terra dicesì nebbia.
CANTO XXIV. 5:19
E detto Tho percbè doler ten debbia.
poco tempo dopo anche i Bianchi di Firenze fossero dai Neri
cacciati, e che lo stesso Poeta nostro n' andasse , senza più tor-
nare , in esilio Che di torbidi nuuoli , leggo io colla Nidob.
ed altri antichi testi; l'altre edizioni tutte leggono, Ch^è di
torbidi nuvoli. Forse per la difierenza di tempo che questa
lezione induce tra T involgersi il vapore dai torbidi nuvoli e
Tessere combattuto j è parso al Vellutello (Tunico, a quanto
\^S^9 cb^ meglio stendasi ad ogni pej*te della prefata allego-
rìa) che pei torbidi essi nui^oli in voi venti il i^^i^ore debbausi
intendere i Neri militi stessi che il Marchese Malaspina ave-
va intomo ed al suo comando, e che 1* epiteto di torbidi cor-
risponda alla denominazione di Neri. Mail torbido della ini-
micizia ed ira, eh* è ciò che maggiormente dcH* qui valutai*si ,
può e ai Neri e ai Bianchi ugualmente corapeiei'e: e se i tor^
bidi nuuoli sono il medesimo che la dal fulmine spezzata neb^
biay come di necessità esser lo debbono ( se non vogliamo che
ammetta Dante uscirsene T acceso fulmineo vapore dalli nu-
voli senza squarciarli, e dai nuvoli passar a ferire una mal
supposta nebbia ), solo i Bianchi, nemici del Marcliese, pos-
sono intendersi ^e torbidi nui^oli che il tratto da Val di Ma-
^ra fulmineo vapore involgono. «-^ ce II Lomt>ardi per airer vo-
» luto Ieggei*e, contro ogni ragione, dietro la Nidob., Che di
parere pur si soscnve i L. Iv. nella ó. eaiz. ina in que-
sta sentenza v*ha per certo della esagerazione ; né 8tai*emqui
a decidere se in essa più la verità preponderi o T acrimonia .
^ou si contrasta però alla comune lezione la preferenza ; e noi
l'abbiamo anzi seguita, e perchè la conforta 1* autorità delle
migliori edizioni e del Vat. 8199, e perchè rende uu senti-
mento piii naturale e piti chiaro. ^^
lót ^ detto l*ho ec. Rafferma Vanni, il motivo di qucsU
f<*i*ale predizione essei^ quello di contristare a Dante il godi-
mento, di cui è detto al w. 140. e s^gg. •-» ti debbia^ l^gg^ '^
i*(mI. Ang. E. R. 4Hi
/ 0/. /. 34
CANTO XXV.
ARGOMENTO
Dopo essersi il Facci sdegnato conerà Iddio , se ne
fugge . Poscia Dante vede Caco informa di Centau-
ro con infinita copia di bisce sulla groppa ^ ed un
dragone alle spalle. Nel fine incontra tre spiriti
fiorentini j due de' quali innanzi a lui maraviglio'
samente si trasformano.
A
I fiae delle sue parole il ladro i
Le mani alzò con ambedue le fiche,
Gridando: togli, Dio, eh' a te le squadro.
1 al 3 a-^ È intendimento del Poeta d'avvertir il lettore cbe.
siccome la rabbia fa che le bestie sfoghino il dolore che sen-
tono contro la pietra o il ferro da cui sono ferite , cosi la pas-
sione spinge l'anima nostra a disfogarla contro a &l$i ogf^et*
ti, se non trovi come esalarla altrimenti .... Tanta è lasfi^na-
tezza e la follia dell' uomo in questa parte , che spesso con or-
ribile empietà rivolgesi contro Dio medesimo. Cosi fa on io
aiTabbiato ed empio spirito coli 'atto sconcio e vituperoso cbe
contro Dio rivolge. BiAGioLi.4-«^//(ne ec. Dallo aver Vanai
sfogata come poteva l' ira contro di Dante, passa a sfogarsi an*
che contro Dio. -^ fiche. Atto sconcio che si fa con le dita in
dispregio altrui, messo il dito grosso tra l'indice e il medio-
Vedi il Varchi nell' Ercolano a carte i oo. Ventubi . m-¥ Ntf-
ra il Villani ( lib. vi. cap. 5. ) che in sulla rocca di Carnùgoa-
no avea una torre molto alta, e avevavi suso due braccia di
marmo, che facevan con le mani le 6che a Firenze. I Fior^n*
tini ebbono e fecero disfare la detta torre nel 1238. E. F.«^
togli j prendi.^- a te le squadro. U verbo sqtuidrare ha ira
CANTO XXV.
Da indi in qua mi fur le serpi amiche,
Perdi' una gli s'avvolse allora ai collo,
Come dicesse: non vo'che più diche j
Ed uq' altra alle braccia, e rilegollo.
Ribadendo sé stessa si dinanzi ,
Che non potea con esse dare un crollo.
53i
gli altri significati quello di aegiustar colla sifuadra [a] , e
consegnentemente lo stesso che quadrare e riquadrare , A
te adunque le squeidro intenderei io detto invece di a te le
faccio^ per riguardo allo quadrarsi che della mano si fa men-
tre si costrìnge in pugno per far le fiche; come, perchè squa-
drando il rotondo tronco lassi la trave , ben direbbe il fabbro
al padrone per cui travaglia.* a te squadro la trauef invece
di dire : a te la faccio .
Il Vocabolario della Crusca, seguito dal Volpi e dal Ven-
turi, reca questo passo di Dante in prova, che squadrare per
metafora equivale al latino exponercy oslendere ^ aperire [6J.
Questo solo esempio però non pare che sia decisivo; tanto più
< he tra V aggiustar colla squadragli primo e Ietterai senso che
il medesimo Vocab. assegna al \erbo squadrare) e Vesporre^
mostrare ec, non vedesi quell'alcuna proporzione che pur la
metafora richiede. Onde per tirar esso verbo squadrare a co-
tale equivalenza del latiuo exponere ec, il dii*ei piuttosto sin*
cope del verbo sqnadernaf^e, »-^Ma il Biagioli si oppone a que-^
sta interpretazione, e spiega: le squadro j cioè le indirizzo^
fé aggiusto jlefoate.'*^
4 s-^ Da indi in qua ec. Dice che divenne amico alle ser-
pi t che sono tanto in orrore all'uomo, a dimostrare quanto fu
1 piacer suo di veder si punito quell'empio della sua orribile
>estemmia. Biaoiol?. 4^
6 non 1^0*, la Nidobeatina; i* non uo*^ l'altre edizioni, •-►e
^oirAng. e Vat. 8199 la 3. rom. edizione; ed il Biagioli pre-
i^nde cne la soppressione del nome io tolga gran foi*za al coià'
etto.<4-«
7 al 9 rilegollo , lo stesso qui che legollo; e intendi nelle
traccia • — JRibadendo sé stessa sì ec, , colla coda e col capo
/
uj Vetli il Vocab. (Iella Cr. \b\ Ivi, {. >.
53:1 INFERNO
Ahi Pistoia, Pistoia, che non stanzi io
0' iiiceuerarti , sì che più non duri^
Poi che 'n mal far lo seme tuo avanzi?
forando ed alti*a versando le reni (come ha detto nel precedente
canto, f, 94- e segg.) , e dall'opposta parte capo e coda aggn>p-
pando e stringendo in modo» che non poteva con esse, brac-
cia, dare un crollo j fare alcun movimento. Ribadire pro-
priamente dicesi del chiodo , quando nella parte opposta della
da esso traforata tavola si ritorce nella punta , si riconficca o
ribatte fa].
10 ^hi^ la Nidobeatina; jih^ l'altre edizioni. -^ che mfi
vale perchè non, in corrispondenza al quid ni e cor non dei
Latini ; e peraò ho segnato in fondo del periodo il punto in-
ten^ogativoy come in tutte l'edizioni si pone al t^. i53 del can-
to xxxiri. di questa cantica:
Perchè non siete voi dal mondo spersi?
^^^ stanzi vale stabilisci j determini. 11 verbo stanziare, r
senso di stabilire y determinare e simili, da parecchi anticb
scrittori adoprato, vedilo nel Vocabolario della Crusca; ed'v
vrebbe essei*e una corruttela dal latino statueiv.
1 1 D" incenerarti y di abbruciarti da te stessa e ridarti ifi
cenere . Incenerare per incenerire pure da molti altri osai),
vedilo nel Vocabolario della Crusca . -^ piti non duri vale f-
non continoi'i ad essere.
12 Poi che *n mal far lo seme tuo avanzi? quelli , ciot
che ti fondarono, i quali furon seme, di che tu nascesti. E qu
molti espongono che i primi fondatori di Pistoia fossero i st^
dati rimasi dopo la rotta e morte di Catilina, i qualit come
scrive Sallustio , furon pieni di sceleratezza , ed empj contro h
lor patria. Ma non può procedere, perchè appar chiari mentf
che Pistoia fu innanzi alla congiurazione di Catilina. Onde d»-
ix*mo semplicemente il tuo seme , cioè li tuoi antichi. Ljjniuro.
Anche il Venturi spiega istessamente . Non ci dicendo essi pe*
rò, né in realtà altra ragione trovandosi, per oui possano «:.•
antichi Pistoiesi supporsi cattivi , rispondo io e dico , cbe se i
soldati di Catilina non fondarono Pistoia, nell'agro Pistole-^.
jH*»*ó cerlamenle si rifuggirono: reliquos Catilina per ngasUt ^
[n] V«iii il Vocabolario della ^riuca.
CANTO XXV. ,533
Per tulli i cerchi dello 'nferno oscuri i 3
Spino non vidi in Dio tanlo superilo,
Non quel che cadde a Tebe giù de' muri «
El si fuggì, che non parlò più verbo; i6
asperos nuignis itineribus in agrum pistoriensem abducil (lo
attesta Sallustio [à\)n e che per tal fatto possono benissimo i.
soldati di Catilina computarsi il mal seme del perverso operare
de' Pistoiesi* »-► Vedremo confermata questa opinione dall'au-
t/)rità dell'antichissimo Postillatore del codice Gassinese , illu-
strato dal P. di Costanzo . <-« Il Daniello intende che le parole
Poi che 'n mal far lo seme tuo acanzi valgano quanto, /?oi-
rhè avanzi , poiché migliori , e fai maggiore il tuo seme in mal
fare<* e dello stesso intendimento sembra essere anche il Vel-
lutello. Ma^ se non altro, qui pure il comparativo vorrebbe te-
stimonianza del supposto assoluto.»-^ Il Torelli riporta la chio-
SA del Daniello, e soggiunge : ce non vuol dir questo : Seme qui
» signi 6ca origine y come Inf. in. io4.e8eg: seme^Di lorse^
» menza . Intende dunque Dante che Pistoia avanzava nel mal-
» fare i suoi progenitori, »♦-•
i3 m-¥ scurii I^^Rc il Y^i* 3iq(), e con esso la 3. edizione
rom., sembrando all'È. R* che il verso sia più grazioso > sfug-
L^endosi il concorso dei due o . 4-«
i4 ^^in Dio vuol dire contro Dio, latinismo non raroiu
juesto poema. Poggiali e Torelli. <-«
i5 Non quel ec. Gapaneo, che nell'assedio di Tebe salito
iulle mura della città, mentre sfidava ed insultava Giove, fu
la esso fulminato e dalle mura precipitato, come Stazio rac-
*^nta [6] ; o ammazzato e precipitato dai Tebani stossi , come
Tede Vegezìo, che pone esso Gapaneo l'inventore dello sca-
are l'assediate mura: qui scalis nituntur frequenter pericu*
Ulta sujtinenti exemplo Capaneiy a quo primum haec sca^
arum oppugnatio perhibetur inventai qui tanta ui occisus
st a Thehanis , ut extinctus fulmine diceretur [e] . Di Gap^i-
co si è detto anche nel canto xiv. %». 4^. e segg. «-^ giù da'
ìurij il cocL Val. Btgg. 4-«
1 6 El si fuggì , che ecM , cosi la Nìdobeatina ; ed Ei si f'fgg'j
r? Bellum Catilin, [h] Theb, lib« ici». 927. e segg. [e] De ré miiil,
b. 4* cap. 91.
534 INFERNO
Ed io vidi UQ Centauro pien di rabbia
r altre edizioni. El ed elio sono accorciamenti di quello^ o
hanno per lo meno un equivalente significato, come, tra gli
altri esempj , apparisce dal dire dello stesso Dante :
Noi erau£un partiti già da elio [a] .
Quel Vanni adunque (vuole il Poeta dire} che, stretto nella
gola dal serpente, non proferì più parola, se ne fuggi. P'erbo
pttr parola trovasi adoperato da molt' altri buoni scrittori in
verso e in prosa. Vedi il Vocabolario della Crusca.
1 7 F'idi un Centauro ec. Era costui , come in seguito av-
visa Dante stesso, il famoso Caco, che nel romano colle Aven-
tino, dopo altri molti ladronecci ed assassinamenti, rubò final-
mente quattro tori e quattro vacche del bellissimo proquoio
che aveva Ercole tolto a Gerlone, Re di Spagna, e per lulia
passando, aveva nelPA ventino stesso fermato a pascolare ; ed
acciò dalle pedate non s'accorgesse Ercole dove le furate be-
stie passate fossero , fecele l'astuto Caco camminare verso la
propria spelonca a rovescio, per la coda strascinandole; ma
scopertosi non ostante pel muggire delle medesime il forte, io
Caco da Ercole ammazzato.
Per la forma del corpo che Virgilio attribuisce a Cac^
di semihominis [i] e semiferi [e], lo appella Dante Centau-
ro . Il Venturi però , intendendo che Virgilio attribuisca a G*
co questi epiteti, non perchè Centauro^ ma perchè uomo bt-
sticdey passa a conchiudere, che Dante qui fa la mitologia
a suo modo .
Ma, a dir vero, non è Dante che si faccia la mitologia a
suo modo , ma il Venturi stesso , che stortamente capisce ade
perati da Virgilio gli epiteti di semihominis e semiferi in sen?^
metaforico , in senso d' uomo bestiale , cioè di costumi bestia!*-
Semihomo esemiferus in senso metaforico valgono, (e chin*'!
vede ? ) la metà manco che non valgano inhumanus e f eros: e -
me adunque Virgilio a quel crudelissimo Caco , nella caveiì *
del quale
semperque recenti
Caede tepebat humus y foribusque afjijca stipeihii
Ora virum tristi pemisbant pallida tabo [rfj,
\n\ Inf. e. xxKii. V. 194. \hi\Àeneid. viii. 194. [e] Ivi, i^. ^67. [d' \^^
lib. viit* i^'i. e .*-egg.
CANTO XXV. 535
Venir gridando: ov'è, ov'è l'acerbo?
Maremma non cred'io che tante n'abbia, 19.
Quante bisce egli avea su per la groppa,
lofino ove comincia nostra labbia .
Sopra le spalle , dietro dalla coppa , ^2 2
Con l'ali aperte gli giaceva un draco,
E quello affuoca qualunque s' intoppa •
non poteva attribuire ciò che significa meno del fiero e del-
V inumano?
Non adunque altrimenti appellasi Caco da Virgilio ^emi-
homo e semiferus , che da Ovidio [a] e da Lucano [6] semi»
homines e semiferi i Centauri stessi della Tessaglia . E bene
perciò Ruèo al Virgiliano semihominis Caci ec. chiosa: me^
dia parte fera , mediaparte homo fuisse dicitur; e nel senso
medesimo intendendo Virgilio anche il De-la-Cerda, soltanto
avvisa: sed poeti ce ista^ nam Livius tantum pastor accola
eius loci, nomine Cacus >, ferox viribus,
18 acerbo per duro, ostinato, aspro; »-»>0| come disse
di Capaneo, che non può il supplizio maturare, '^^ e intendi
cosi appellato Vanni Fucci; e perseguisse Caco costui per pu-
nirlo delle fiche fatte a Dio. m^renir chiamando^ legge l'Ang.
E. R. — e il Vat. 3 1 99. 4-«
19 Maremma, cioè i luoghi marittimi di Toscana, perchèi
essendo volta al mezzodì , e conseguentemente molto calda par-
te, vi sono copia grandissima di bisce. Vellvtei.lo.
20 groppa, qui per tutta la feiìgna schiena.
a I nostra labbia vale nostra umana forma, nostro umano
aspetto, intendendo per aspetto non la sola faccia, ma tutto
lesteriore dell'uomo , come più sotto v. j6. ; e vuol dire che
Caco aveva il dorso di serpi ricoperto fin là dove incominciava
ad essere d'umana forma. »-»Così anche il cav. Mobti [c].<-«
23 coppa, per la parte di dietro del capo^ monaca <^ lat.
occiput. Volpi.
23 draco per drago , serpente con piedi ed ali. Antitesi dal
latino in grazia della rima.
o..\ E quello affuoca ec. Credo voglia Dante accennare che
^/f ] Afei, XII. ??36. [h] Phars. vi. 386. [e] Prop. voi. 3. P. i. fio. 3.
536 INFERNO
Lo mio Maestro disse: questi è Caco , i5
Che sotto il sasso di moute Aveotino
Di sangue fece spesse volte laco .
Non va co' suoi fratei per uu cammino, a8
Per lo furar che frodolente ei fece
Dei grande armento, ch'egli ebbe a vicino:
avesse Caco queWatros^Ore ^omens ignesj che gli aurìbuì*
ftce Virgilio [a], dal drago che portava sulle spalle; quasi di*
ca : e quel drago medesimo è , che i^omitando fiamme affuo^
coj abbracia , qualunque in Cacos^intoppa^ s'imbatte. e-^Nota
questa trasposizione: E qualunque s'* intoppa ^ quello affuoca.
ToBELLl. <-«
25 questi y laNidobeatina; ^ueg'/i , Taltre edizioni. Ma dopo
il quello 9 appena pronunziato nel precedente verso y sta qui
meglio questi che quegli. «-^Ma il Biagìoli , seguito dalPE. R.,
vuole che si legga quegli j accennandosi un oggetto già lon-
tano. 4Hi
26 sotto il sasso di monte Assentino ^ quello altissimo chp
ricopriva la cavei*na di Caco , e che Ercole schiantò e gettò nel
sottoposto Tevere. Vedi Virgilio nel citato luogo.
'Aj lavo per lagOj antitesi presa dal latino in grazia del1«
rima anche dall'Ariosto [&].
a8 Non va co^ suoi fratei per un cammino vale quanto ,
cammina qui egli separatamente dagli altri Centauri y mes*
si dal Poeta nel settimo cerchio 9 canto xii. tf. 5S., coi violenti
con tra il prossimo.
29 Per lo furar che frodolente ei fece y così la Nidobca-
tina con miglior metro che non Taltre edizioni, Per lo furar
frodolente ch'ei fece. «-^Difende il Biagioli questa lesione, sii^
stenendo che l'andamento del verso è negletto ad arte y e con-
forme air idea che si esprime. Come la comune legge pure il
Vat. 3199. 4Hi Furar frodolente y cioè con firode, e non coti
aperta violenza, a conto della quale, non qui tra i fraudolenti,
ma nel settimo cerchio insieme coi Centauri sarebbe Caco statii
p^)sto •
30 a vicino , posto avverbialmente , vale in vicinanza. Ve<lì
[a] Aeneid. vui. 198. e seg. [h\ Fur. xinu 1 1.
CANTO XXV. 537
Onde cessar le sue opere biece 3 1
Sotto la mazza d* Ercole , che forse
Gliene die' cento, e non senti le diece. .
Mentre che sì parlava, ed ei trascorse, 34
£ tre spiriti venner sotto noi ,
il Vocabolaiìo della Cr. «-^E formula degna di estere notata ,
e di bella eleganza. 4hì
i 1 biece per bieche (antitesi in grazia della rìma) , vale qui
storte ed inique , ed è traslazione dairocchio alle azioni.
33 diece per dieci y adoperato da' buoni scrittori anche in
prosa, vedilo nel Vocabolario della Crusca. Qui però si diece
che cento sopo numeri determinali per gV ideterminati , e non
ad altro che ad esprimere che fini prima la vita in Caco , che
in Ercole il furore della vendetta .
34 35 Mentre che sìparlai^a^ ed ei trascorse^ -'E tre ec.
»-^Qui ed non è congiunzione, ma avverbio, e vale pure,
parimenti. Torelli. «-« Due cose intervennero mentre co&i
Virgilio parlava: ed ««, cioè Caco, trascorse y corse oltit* ap-
presso a Vanni Fucci, che, come dal k i8. apparisce, andava
cercando ^ e in fondo della bolgia sotto della ripa, su di cui
i Poeti stavano , vennero tre spiriti. — * L antico Postili. Cass«
chiosa: idest D. BosiuSf Puccius de Florentia^ udgnellus de
Brunelleschis de Florentia, Con ciò si verifica la congettui^a
del bravo P. Lombardi al u. 68. qui appresso, che il vero no-
me del Brunelleschi fu di jégnello y e non Angelo o Agno-
lo y come spiegano gli allibi Spositorì. E. R. a-^Mail nome di
Agnello y dice il sig. Poggiali, non è stato mai molto in uso
in Toscana, e singolarmente nella (amiglia Brunelleschi il pre-
nome di Angiolo o Agnolo è stato sempre gentilizio. Per la
rìl cosa, dietro anche all'autorità del suo codice • che al v^ 68.
segue legge Agnol , nella spiegazione di questo canto sem-
pre lo annunzia per Angiolo . — Agnolo lo chiama pure il
Boccaccio, come appare dalla seguente chiosa: aL*uno fu M.
» Guerruccio, ovvero Guercio de' Cavalcanti ; il secondo fu
m M. Agnolo Brunelleschi, il terzo M. Puccio Sciancalo de'Ga-
M ligai ; e gli altri due , V uno fu M. Buoso de' Donati , e Tal-
» tro M. Cianfa, ancora de' Donati. » — Pietro di Dante dice,
che Buoso fu degli Abati, e che tutti cinque furono di Firen-
ze , e gran rnbalori . E. F. <-«
538 INFERNO
De'quai uè io, né il Duca mio s'accorse,
Se Don quando gridar: chi siete voi? 87
Perchè nostra novella si ristette ,
Ed intendemmo pare ad essi poi .
Io noUi conoscea ; ma ei seguette y 4^
Come suol seguitar per alcun caso,
Che r un nomare un altro convenette ,
Dicendo : Cianfa dove fia rimaso? à.\
38 not^ellaj il racconto »-^che faceva a Dante Virgilio. «-<
.ti ristette , fu finita .
39 Ed intendemmo ec. Costruzione: E poi intendemmo
pure ad essi; che vale quanto: e d*indi in poi badammo so-
lamente a costoro.
40 4' to nolli conoscea; ma ei seguetiCj la Nìdoh.;eàr
nonli conoscea; mae^seguettOy raltreediz.;»-»«qaesta lezione,
che al Biagioli sembra più gentile 9 è avvalorata dair autorità
del YaU 3 199. «-« Ei vi sta semplicemente per particella riem-
pitiva , ed è accorciamento itegli . — seguette (avvenne) per
seguì , in rima 9 dice il Volpi ; ma trovasi adoperato anche fuor
di rima da ottimi scrittori (vedi Mastrofini , Teoria e Prospetto
de* verbi italiani , sotto il verbo Seguire ^ n. 5.)y e dallo stesso
Dante, Par. ix. 24* '^seguitar per seguire y accadere.
4^ Che r un nomar un altro ec, così la Nidob.; le altitp
ediz., Che Pun nomare alPaltro coni^enette: intendi 9 conven-
Yie che uno nominasse l'altro . Convenette per convenne j di-
cono il Volpi e il Venturi adoperato per cagion della rima.
Vedi però Topinione del Cinonio j riferita nel canto it. di que-
sta cantica al v, 4i*
- 4'^ Cianfa. Costui dicono essere stato della famiglia de*Do-
nati di Firenze. VeIìLutello. Di questo e degli altri illustri Fio-
rentini , che prosieguo Dante a nominare o accennare nel resto
del presente canto y a noi non pare da credere , dice il mede-
simo Vellutello; che essendo costoro stati nella repubblica
loro di grande autorità , e molto reputati (come nel seguente
canto dimostra il Poeta , e tutti gli Espositori della presente
opera affermano) j che essi avessero commesso furti portico'
lari nelle private coscy come soglion comunemente far i ladri
di vii condizione y astretti molte volte da necessità; ma che
CANTO XXV. 539
Perch'io, acciocché '1 Duca stesse attento,
Mi posi '1 dito su dal mento ai naso .
Se tu se' or, Lettore, a creder lento 4^
Ciò ch'io'dirò, non sarà maraviglia,
Che io , che '1 vidi , appena il mi consento •
attendo nelle mani il governo della repubblica j allesserò le
pubbliche entrate di quella convertite nel privato lor uso ;
come par che per transito tocchi in quella sua digressione
che fa nel ti. canto del Purg. m. l'i'i. e segg.j ove parlando
ad essa repubblica dice e
Molti rifiutan lo comune incarco;
Ma 7 popol tuo sollecito risponde
Senza chiamare , e grida : io mi sobbarco .
dove fia rimaso? Vuole s'intenda che fosse agli occhi di quei
tre spirili sparito e trasfonnato nel serpente di sei piedi, che
ora dirà avviticchiarsi ed immedesimarsi con lignei Brunelle*
schi. Aggiunti cosi ai tre spiriti nella propria forma veduti,
V. 35., alti'i due sotto forma di serpenti, cioè Cianfa Donali e
Fi'ancesco Guercio Cavalcante ( il nero serpentello , che in ap-
pi*esso verrà a trasformare Buoso degli Abati), si hanno i cin-
que Fiorentini che nel v. 4* ^^^ canto seguente dice Dante di
aver in questa bolgia trovati.
G)tale trasformazione nei fraudolenti ladri dovrebbe dal
Poeta volersi corrispondentemente a quel trasformarsi , ossia
travestirsi e mascherarsi che fanno essi per non essere cono-
sciuti; e di trasformarli in serpenti piti che in altro, dovrebbe
aver scelto allusivamente all'astuzia che i medesimi adoperano,
ed a quella astutezza che al serpente attribuisce la sacra Gene-
si , maggiore sopra gli animali tutti. Gen. 3.
45 Mi vosi 7 dito ec. Quésto è cenno , pel quale dimostria-
mo di volere che si faccia silenzio, perchè tra il mento ed il
naso è la bocca, la quale stringendosi fa silenzio. Onde Giu-
venale disse: Digito compesce labellum . Laudino. a-^E bello
questo linguaggio della natura, ed opportuno assai in questo
luogo, perchè se avesse Dante parlato, quegli spiriti , inteso il
parlar toscano, sarebbersi dileguati. Biagioli.4-«
46 al 48 •-►Cosi prepara il lettore alla meravigliosa tra-
sformazione che è per dire: appena il mi consento è v.^go
modo del dir toscano. Biagioli . <hi
54o INFERNO
Come io tenea levate in lor le ciglia , 49
£d un serpente con sei pie si lancia
Dinanzi ali' uno ^ e tutto a lai s'appiglia.
Coi pie di mezzo gli avvinse la pancia, 5i
£ con gli anterior le braccia prese:
Poi gli addentò e Y una e V altra guancia .
Gli diretani alle cosce distese, 55
' E misegli la coda tr'amendue,
E dietro per le ren su la ritese.
Ellera abbarbicata mai non fue 58
Ad alber sì , come T orribil fiera
Per r altrui membra avviticchiò le sue:
Poi s'appiccar, come di calda cera 6i
Fossero stati , e mischiar lor colore ;
Né r un , né V altro già parca quel eh' era .
49 5 0 Come per mentre spiega , adducendo questo ed altri
esempi , il Cinonio y Par tic, 56. 9. - levate in lor le ciglia vale
spalancati gli occhi verso di loro . »-^Gosi anche il Torelli. «-«
Ed un serpente . Ed ha qui forza di ecco. V. Gin. Pari. 1 00. 35.
52 al 5y •-►Vuole il Poeta toccare il costume ch'hamio i
ladri , e se ne son veduti famosi esempi nel mondo 9 di darsi
addosso Tun l'altro, nonostante l'alleanza loro nel rubare. Bi an-
gioli, ^-«i Gli diretani y intendi piedi j i due piedi di dietro.
m-¥ tra^ mendue al v* 56 legge il Vat. 3i99.-4-«i
58 al 60 »-^Di gran forza piena si è questa similitudine,
e acconcia assai al suggctto. Biagioli ; *e telicemente la trovia-
mo noi imitata dalPÀriosto nel e. vii. st. 29. del Furioso:
Non così strettamente edera preme
Pianta, ove intorno abbarbicata scabbia .^^
6 1 s^appiccan le membra j intendi , dell'uno e dell'ai tro s'in-
corporarono, si penetrarono. -/4)3/?iccare, al senso di penetrare^
adoperalo anche il Varchi nella traduzione dei Beneflzj di Sene-
ca. Vedi il Vocab. della Cr. sotto il verbo Jlppiccarey J. 5.
62 63 mischiar lor colore, effetto della compenetrazione ed
CANTO XXV. 54i
Come procede innanzi dalF ardore, 64
Per lo papiro suso un color bruno,
Che non è nero ancora , e 'i bianco muore .
incorporamento. — Ne l*un , né l'altro , intendi , colore ; che
dello sparimento delle figure dirà in appresso.
64 al 66 Come procede ec. Costruzione: Come suso per
lo papiro innanzi daW ardore procede un color bruno , che
il bianco muore , e non è ancor nero . «-« che sta qui in cam-
bio di perciocché j o conciosiachò.'^ papiro. Ilpapir (scri-
ve Pier Crescenzio ) .fi dice quasi nutrimento del fuoco ; <m^
perocché seccato é molto acconcio a nutrimento del fuoco
nelle lucerne e nelle lampane^ ed è un* erba y la quale è
dalla parte di fuori motto piana , ed ha la sua midolla mol"
io bianca y spugnosa e porosa » la quale suga molto rumi"
ditày e nasce in luoghi acquosi ^ e dicesi volgarmente giun-
co appo noi. Seccasi e scorticasi in modo 9 che rimane un
poco di corteccia daWun latOy acciocché la midolla si so-
s tenga ,• e quanto ha meno della corteccia , tanto arde me^
fflioy e pili chiaro nella lampana^ e più agevolmente s^ac^
cende [a\. Pier Crescenzio visse a Dante contemporaneo [6J ;
e però, parlando di cotal papiro come di materia solita ad ai"-
dersi nelle lucerne e lampade invece della bambagia , come
afferma Landino pure che una volta si usasse, non può meglio
Dante qui intendersi d'altro papiro 9 che del medesimo; e ma**
la mente il Venturi se la prende contro del Landino e del Vel-
) niello , che appunta così spiegano ; e vuole invece intesa la car-
ta, la quale, oltreché non avrebbe altro esempio di essere da
italiano scrittore appellata ^a^iro (almen certo nel Vocabolario
della Crusca non se ne reca altro), non è poi essa sempre hìhikm
ca, come qui Dante suppone essere il papiix); e non ardendo
sotto gli occhi di tutti cosi comunemente , come accenna Cr««
scenzio che il papiro ardesse , verrebbe a far scemare di pregio
il paragone poco meno che se in luogo del papiro avesse Dante
posta la tela, che pure, quando è bianca, abbruciando opera
Io stesso cangiamento di colore. — Innanzi dair ardore ^pro^
cede un color bruno. La particella dal sta qui invece di al^
• <i| AgHcoU. lib. 6. cap. fi*». Jb] Basta por m<*nte 6h*eg1i dtdìca la sim
Opera a Carlo 11. Re di Sicilia, e che mori qursto Re, come, tr;i j^li
altri , alTenna Petavio ( J(al, (emp. Iih. y, cap. S.), neiranuo i3oy.
54a INFERNO
Gii altri due riguardavano^ e ciascuuo 67
Gridava: o me, Agnel, come ti muti!
Vedi che già non se' né due uè uno .
Già eran li due capi un divenuti, 70
Quando n'apparver due ligure miste
come trovasi da adoperata per a ; vedi il Cinonio [a] ; ed è il
senso , che le parti del papiro vicine alla fianuna , prìnui di an-
ch'esse accendersi y diventan brune di mano in mano. •-»- Che
non è uivo , al v. 65. , legge l'Ang. E. R. — Qualsivoglia ita-
liano che legga anche per la ventesima volta queste parole , lo
vedi far maraviglie nuove , e piti i piii dotti ; di tanta bellez-
za e novità sparse sono. Biagioli. *-m
67 Gli altri due riguardav^ano , ec. Acciò mai non sembri
ad alcuno il presente verso difettoso, ricordisi che due per en-
tro il verso suole valutarsi una sola sillaba, e che può riguar^
davano pronunziarsi con ispezzatura, com'è detto, Inf.vi. i^-»
della parola caninamente. •-►Ma bisogna qui convenircol Bia-
gioli, che siffatta spezzatura sarebbe difforme e non necessaria ,
non abbisognando questo verso di alcuna singolare armonia. <«-«
68 o me vai quanto oimè : vedi il Vocabolario della Cru-
sca. — Agnely "per Angelo o Agnolo j spiegano detto alcuni
Sposi tori , e intendono d'Angelo Brunelleschi , cittadino fiorenti-
no. Ma non si trovando per Angelo detto mai Agnelo , ma solo
Agnolo , né avendo Agncl fatto di Angelo V accento snll' ul-
tima sillaba, come il metro qui richiede, io temo o che non
parli Dante del Brunelleschi, ovvero che il Brunelleschi avesse
nome Agnello [b] , e non Angelo . •-► Il cod. Ang. legge An-
gelo , e il Postillatore yiAggiunf^e j de Brimalischis. E. R. -Ve-
di la nota aggiunta al u. iù. di questo canto. 4hi
69 né due né uno 9 perocché erano un misto di due, come
appresso dichiara.
70 Già eran ec. Quasi dica: già, per continuare del pre-
detto appiccamento, ossia penetrazione scambievole, ciano i
due capi del serpente e dell* uomo divenuti un sol capo.
71 72 Quando ec. Costruzione.- Quando in una faccia ,
'a] Parlic. 70. 3. [b] E Agnello il oome di un antico santo abate Ki|k>-
loiano [ xfiiVì il JUartirologio Romano, 1 4 dicembre ), e molli di quel
restio a»i ap|iclÌiioo con tal uoinc anche a' dì nostri.
CANTO XXV. 543
lu una faccia, ov'eraa due ))erduti\
Fersi le braccia due dì quattro liste; 7I
Le cosce con le gambe , il ventre, e 1 casso
Divenner membra che non fur mai viste.
Ogni primaio aspetto ivi era casso: 7G
Due e nessun l'immagine perversa
Parca, e tal sen già con lento passo .
Come il ramarro, sotto la gran fersa 79
Ne' di canicular, cangiando siepe,
Folgore par, se la via attraversa;
OV0 (per nella quale) eran due perduti (yale quanto confu^
si)j n^apparver miste due figure ^ cioè d*uoino e di sei'pente
insieme .
73 di quattro liste. Lista propriamente significa un lungo e
stretto pezzo di checchessia (vedi il Vocabolario della Crusca);
ma qui viene trasferito a significare le due braccia dell'uomo
e i due piedi anteriori del serpente. •-►La costruzione di que-
sto verso , secondo il Biagioli y è questa : Le braccia , di quat"
tro liste che eran prima ^ si fecero ^diventarono) due sole
liste . 4-«
74 casso j sustantivo. Laparte concava del corpo circon"
data dalle costole y lat. capsum. Arnob* Cosi il Vocabolario
della Crusca.
76 casso y aggettivo, vale cancellato j spento .
77 78 P immagine perversa j pervertita , confusa . — parca
due e nessuni si assomigliava un poco ali* uomo ed al serpen-
te, e non esprìmeva bene nessun dei due.
79 airSi •-►Stanca esser debbe l'immaginazione del lettore
e quella del Poeta per tante maravigliose descrizioni v ma simi-
gliante ad Anteo» che dalla percossa terra nuova foi'za riceve j
di vigor novello rimbalza l'inesauribile immaginare di Dante,
e , quando credesi che , da troppo lungo e troppo alto volo af-
faticato, sia per discendere ten*a terra, s'alza ad un tratto ad
altezza tale , che seguirlo puote appena il pensiero . Tale si di-
mostra in mille luoghi; ma qui forse piii che altrove . Sicgui
attentamente ogni cosa , e avrai da ammirarvi ad ogni passo e
544 INFERNO
Così parea , venendo verso V epe
Degli altri due, un serpentello acceso,
Livido e nero come gran di pepe .
vigor di stile y e purezza di lingua, e tratti fòrti , e modi nuo-
vi, e 9 dal principio al fine, un dir sì conciso e si chiaro, ciie
non ti parrà possibile potersi altrettanto nel parlare sciolto .
Bugigli . •«-« ramarro. Il Vellutello spiega il ramarro colla
voce stellio dei Latini : s' inganna ; lacertus snridis si dice in
latino il ramarro . Virg. : Nunc virides etiam occultant spi--
neta tacer tos. Stellio significa quell'altro animaletto non molto
dissomigliante nella forma , cne noi chiamiamo tarantola .
Vehtubi. ^ stella (scrive nella sua Cornucopia anche il Pe-
rotti ) stellio vocitatus est y quem medici nostri temporis fna-
ffno errore putant lacertwn esse.... stelliones Romani nunc
tarantulas vocant, - sotto lo gran fersa .• fersa per ferza ,
« intendi solare. ^Né^dl canicular.* giorni sono questi, nei
quali la costellazione detta Canicola nasce e tramonta insieme
col Sole; giorni per solito de' più caldi dell'anno, e nei qmdi
perciò i ramarri , le Incerte ed animali simili sogliono essere
più orgogliosi e vivaci. m-^Dei dì ec, al i*. 80., con buona e
l'orse miglior lezione legge l'Ang. E. R. * e cosi il V at. 3 1 99. ••-«
cangiando siepe j -Folgore ec. Costruzione: «Se, cangiaìido
siepe f attrauersa la via j par folgore ^ cioè, se per passar
da una siepe all'altra convengagli attraversare strada , in coi
vegga gente , corre per la paura come un fulmine ; e di iatt»
(è intravvenuto a me pure di vederlo) è velocissimo.
8 a 83 m^ì pareua , legge il cod. Ang. E. R. — e il end.
Vat. 3 1 99. 4-«i venendo verso l'epe , le pance , degli altri due
spiriti rimasti nella propria forma, un serpentello ; simile io-
tendelo al ramarro, cioè con quattro gambe esso pure (vedi
al V. 112.)' acceso y intendi ^Vra, o, come spiega il Vocabo-
lario della Crusca , incollorito ; e non già infuocato , che mal
combinerebbe col livido e nero del seguente verso. E dice
die tal serpentello veniva qual folgore verso la pancia dì quelle
due ombre, o perchè slanciassesi per aria per colà ferire, o
perchè camminando per terra portasse la testa alta e diretta
alla loro pancia. Era questo serpènte , come dair ultimo versai
del pi^sente canto apparirà, Francesco Guercio Cavalca utr.
Vedi quella nota.
CANTO XXV. 545
E quella parte, d'onde prima è preso 85
Nostro alimento, all'un di lor trafìsse ^
Poi cadde giuso innanzi lui disteso .
Lo trafitto il mirò, ma nulla disse; 88
Anzi co' pie fermati sbadigliava,
Pur come sonno, o febbre l'assalisse.
Egli il serpente, e quei lui riguardava ; 91
L' un per la piaga , e Y altro per la bocca
Fummavan forte, e '1 fummo s'incontrava.
85 86 onde di prima ^ la Nidobeatina; d*onde prima ^ l'ai-
tix^ ediz. j m^ e noi coi codd. Ang. e Vat. 3 199 ; e con la 3. rem.
edizione . *-m Per cotal parte ^ onde prendiamo il primo alimen-
to, intende Dante il bellico ^ onde di fatto, per sentimento co -
mane degli Anatomici , trae il bambino nel materno utero il suo
alimento. Bene però la medesima prima parte, ond* ebbe la so-
stanza ingresso, fa riaprirsi, acciò n'esca fuori, come fa che
n'esca di fatto a guisa di fumo: vedi appresso. <-* alt* un di
lor y a Buoso degli Abati: vedi verso i4o. e seg.
89 co^pièy la Nidobeatina; coi pie, l'altre edizioni. — sba»
digliai^a»u-*Gl\i si meravigliasse deireifctto che produce il mor-
so del serpente in quello spirito, si ricordi che il morso del-
l'aspide, o vipera d'Egitto, cagiona un profondo sonno, da cui
ti passa alla morte .Biagioli. <-« Questo sbadiglio dovrebbe let-
teralmente siguificai^e T indebolimento cagionato dalla perdita
della propria sostanza, ed allegoricamente la pigrizia e non cu-
ranza, per cui il vizio volgesi in natura, e la natura in vizio.
64 Fummavan forte y fortemente. Dai versi loi. e 102. si
raccoglie, ch'esalassero quell'uomo e quel serpente, e si cam^
biassero l'un coll'altro le proprie forme sostanziali ; quelle che y
s(*condo gli Scolastici dal Poeta nosti*o seguiti , determinano la
materia ad essere questo 0 quell'altro corpo. »-^ siscontrax^a ,
It'jfge il Vat. 3 199. 4~m e^l fumino s^ incontrava. Ciò di neces-
sita ; conciossiaché per una medesima via con direzioni opposte
movendosi i due fumi, quello del serpente entrava nel bellico
dell'uomo, equellodeiruomo entrava nella bocca del serpente*
— * Il Postillatore del cod. Caet. dice: iste fumus significai
ohscuritateminquafnrantur<f ut celent turpitudinem wf iV.E.ft
rol. /. 35
546 INFERNO
Taccia Lucano ornai , là dove tocca g4
Del misero Sabello e di Nassidio,
Ed attenda ad udir quei ch'or sì scocca.
Taccia di Cadmo e d'Aretusa Ovidio: 9;
Che , se quello in serpente, e quella in fonte
Converte poetando, Tnon lo 'nvidio:
Che duo nature mai a fronte a fronte 100
Non trasmutò, si ch'amendue le forme
94 95 Taccia Lucano ec. Narra Lucano [a] che passando
Catone per la Libia arenosa con T esercito, un soldato detto
JSabello fu punto da un serpe, chiamato sepsy in una gamba;
ed avendogli tal puntura tutta la pelle e carne lacerato, in poco
spazio di tempo tutto si distrusse, e cenei*e divenne; e che un
altro serpe, chiamato /^roe^ter (alcuni dicono aspide sordo)
punse un altro soldato detto Nassidio , ed in guisa gli fece gon-
fìai*e il corpo, che gli scoppiò la corazza, né gu si trovava
membro o giuntura alcuna, tant'era enfiato. Dahiello.
96 scocca. Scoccare ipet manifestare <, palesare. \ciLf\^k
questo e si mi 1 senso hanno pur trasferito scoccare altri celebrì
scrittori. Vedi il Vocabolario della Crusca.
97 Cadmo trasformato in serpente [&J , Aretusa convertita
ih fonte [e] .
98 m^ quello in serpente^ e quella ec. Nota quello e quel-
laj non quello e questa ^ come direbbesi piii comodamente.
TOBELLl . 4-« /
99 inon lo *ni^idio. No y perchè ne dice delle più grosse ^
e da non pigliarsi nemmen^on le molle: cosi il Venturi. M.i
la sbagliò esso pure se , cercando il quinto evangelista, spero
di rinvenirlo in Parnaso.
100 a fronte a fronte vale qviSLUlo presenti Tana airai tra.
Ma non tanto del far egli scambiarsi vicendevolmente fra di
loro due nature vuole vantarsi , quanto del modo con cui le ia
cambiai*e, gradatamente, e per quel fumo, che non Lspiegau
bene i Comentatori, e che mal inteso dal Venturi, passa dc!
M. 1 18. a deluderlo d'altra efficacia j che la pietra filosofica,
101 102 W ch*aniendue le forme ec, sì die la forma dtl
[a] Pharsal. lib. 9. [b] Ovid. Mei. lib.3. [e] Mct. \\h. 5.
CANTO XXV. 547
A cambiar lor materie fosser pronte.
Insieme si risposero a tai norme, io3
Che H serpente la coda in forca fesse,
E '1 feruto ristrinse insieme Y orme .
Le gambe con le cosce seco stesse 1 06
S'appiccar sì, che in poco la giuntura
Non facea segno alcun che si paresse .
Togliea la coda fessa la figura, 109
Che si perdeva là , e la sua pelle
Si facea molle , e quella di là dura .
serpente pronta fosse ad abbandonare la propria materia , e ad
unirsi alla materia dell' uman corpo 9 e la foima dell' uman
corpo fosse vicendevolmente pronta a distogliersi dalla propria
materia, e ad unirsi alla materia del serpente.
io3 a tai norme vale quanto talmente, con!, tal metodo.
io4 inforca fesse y apri la coda in due, feccia biforcuta:
e intendi , per formarsene con quc'duc pezzi le umane gambe.
I o5 7 feruto , il ferito , l'uomo. — ristrinse insieme for-
me^ Vormefcr piedi. Nello stesso significato usarono di dire
i poeti latini i^estigia . Catullo in quella elegia , dove introduce
a parlaix*Ia chioma di Berenice , divenuta una delle celesti co-
stellazioni , così dice :
Sed quamquam me noe te premunì vestigia diuum;
e fu imitato dal Sannazzaro nell'ecloga 5. delV jércadia, dove
piange la morte d'Androgeo:
E coi vestigi santi
Calchi le stelle erratiti, — Volpi.
1 06 al 1 08 Le gambe ec, Siegue a dire dell' uomo , come
in seguito ad aver ristretti insieme i piedi , s'appiccarsi piedii
gambe e cosce , che in poco tempo divennero un sol membro,
.senza che vi apparirse seguo alcuno di giuntura, dì congiun-
gimento, e però atto a formar la coda del serpente.
1 09 al I r I Togliea ec. Parla ora del serpente, Togliea vale
c|ui qiìSLUio pigliai^a j prenilei*a , acquistava, ^Che si perdeva
là , neir uomo , cioè la figura de' pi(Hli umani ,^e la sua pel-
le si facea molle, come quella d(.*ll'uomo. — e quella di là,
iieiruomo, dura come quella del serpenle.
548 INFERNO
Io vidi entrar le braccia per l'ascelle, 112
£ i duo pie della fièra, ch'eran corti,
Tanto allungar, quanto accorcia van quelle.
Poscia li pie dirieiro insieme attorti 1 15
Diventaron lo membro che Tuom cela,
E '1 misero del suo n' avea due porti .
Mentre che '1 fummo l'uno e l'altro vela 118
Di color nuovo, e genera 1 pel suso
Per l'una parte, e dall'altra il dipela,
L'un si levò, e l'altro cadde giuso, i-n
Non torcendo però le lucerne empie,
Sotto le quai ciascun cambiava muso •
1 12 /o uidi entrar le braccia per l* ascelle. Seguita a par-
lar deir uomo , e a dire che gli entravano le braccia per Tascel-
le, e in cotal modo venivano ad accorciarsi ed a farsi come le
gambe anteriori del ramarro , a cui ha paragonato nel moto ,
e suppone simile nella figura questo serpente.
1 1 3 E i duo pie della fiera , del serpente : intendi i due
piedi davanti.
1 14 »-^ascortai/any legge TAng. E. R.4-« quelle j cioè le
dette braccia dell'uomo.
1 15 li pie dirietro della fiera, del serpente.
1 1 j del suo n'' avea due porti j del suo membro ne arca
sporti due, per formarsene le deretane serpentine gambe.
1 18 al 121 Mentì e che U fummo ec. Fa ora il Poeta che
venga il fumo a velar entrambi coloi*o, a formarne il vario bi-
sognevole colore, e a togliei'c il pelo dall'uomo che converti-
vasi in serpente , e produi*re il pelo nel serpente che diveniva
uomo; e dice che, nel mentre cne questo facevasi, il serpente
coir acquistata umana forma si alzò, e l'uomo, divenuto ser»
pente, cadde giuso j sì stese per ten*a , come il serpente fa.
»^ Dall'una parte j al verso 120, legge il codice Angelico,
E. R. 4^
122 1:^3 lucerne y per gli occhi, l'adoperano anche a Uri ita-
liani scrìttoli (vedi il Vocabolai*io della Crusca); ed abbiamo
scritto nel Vangelo; lucerna corporis Uii c.\t ovulus tuus, -cv/i-
CANTO XXV- 54d
Quel eh* era dritto, il trasse 'o ver le tempie, i ^^4
E di troppa materia, che 'o là venne,
Uscir r orecchie delie gote scempie:
Ciò che non corse indietro e si ritenne, 127
Di quel soverchio fé* naso alla faccia ,
E le labbra ingrossò quanto convenne:
Quel, che giaceva, il muso innanzi caccia, 1 3o
£ l'orecchie ritira per la testa,
picy maligne, fraudolenti. ^ Sotto lequai vale quanto ; sotto
la guardatura delle quali • — muso i^t faccia.
i2i4 Q'<^/ cK*era dritto^ quello cioè elicerà divenuto uomo
iu tutto il corpo, fuorché nella testa, // trasse in ver le lem-'
picy ritirò il muso verso le terapie per, di serpentino, luugo
ed aguzzo che era, accorciarlo ed appianarlo alla figui^a di
umano volto.
120 ia6 die 'n là^ verso le tempie. '^ uscir ^ schizzar fuo-
ri, ^rorecchic dee leggersi necessariamente colla Nidobeatiua,
V uon gli orecchi y come l'altre edizioui leggono; imperocché
lo scempie in (Ine del verso non può accordar hene se non colle
orecchie stesse. L'aggettivo scempio ha tra gli altri significati
quello di separato , diviso (vedi il Vocabolario della Ci*usca) ;
e Dell' uomo appunto , al contrario del serpente , sono le orec-
chie dalle gote divise, cioè sporte in fuori. •-♦Ma il Biagioli
vuole che si legga colla comune gli orecchiy e che l'aggiunto
scen^pie s'abbia a riferire alIe^o£e, e non altrimenti . Questa
opinione è avvalorata dcirautorità del Vat. 3199, ^^ orecchi
legge qui e più sotto al v, 1 3 1. -«-«i
127 128 Ciò che ec. Costruzione.- Ciò che di quel sover»
chio si ritenne , e non corse indietro; cioè porzione della ma-
teria del lungo serpentino capo, che per la forma dell' uman
capo troppa essendo, si ritenne dinanzi, e non corse indietro
\erso le tempie, come l'altra porzione aveva fatto. — fé* naso
alla faccia j fé' il naso dell'umana faccia.
1 3o i3 1 Quelj che giaceva j cioè quello che, tutto serpente,
fuorché nella testa, s'era steso per terra. — il muso innanzi
caccia , per fare il serpentino muso. - E /*orecrAie (legge , co-
me di sopra, la Nidobeatiua ;i?^/<orecc/i<, l'altre edizioui) r<-
55o INFERNO
Come face le corna la lumaccìa ;
£ la lingua, che aveva unita e presta i33
Prima a parlar, si fende, e la forcuta
Nell'altro si richiude, e 1 fummo resta .
L' anima , eh' era fiera divenuta , 1 36
Si fugge sufolando per la valle ,
E l'altro dietro a lui parlando sputa.
Poscia gli volse le novelle spalle , i òij
tira per la testa , le sporte caitilagini delle orecchie ritne
dentro della testa, per formarsi orecchie da serpente.
iSa Come face le corna la lumaccia; ellissi, iuTCce dì
dire : come face , ritraendo le coma la lumaccia ; lumaca
più comunemente appellata.
i33 al i35 E la lingua ^ ec. Credendosi YDlgarmente la
lingua de' serpenti tale, quale all'occhio per la ireloce sua \v-
brazione apparisce , biforcuta, e per biforcuta ammettendola
andie i poeti; facendo, ti*a gli altri esempj, Ovidio da Acho-
loo , convertito in serpente , dirsi :
Cumque fero movi linguam stridore bisulcani [a] ;
sicgue anche il Poeta nostro cotal persuasione e modo di par*
lare; e fa, per ultimo atto della trasformazione chenedescii-
ve, fendersi all'uomo convertito in serpente la lingua; ed al
serpente convertito in uomo fa all'opposto i membri della bi-
foi'cuta lingua in uno richiudersi . — e 7 fummo resta , la n>
ciproca emissione delle sostanziali forme detta al (^. gi.
i36 i37 V anima j cK era fiera divenuta. Per fiera intende
il già divisato livido e nero serpente; ed a tale intelligenza ac^
comoda i mascolini pronomi lui e gli ne'segnenti versi. — ju-
folando^ fischiando, come li serpi fanno.
i38 1 39 j^/'a/fro, il divenuto nomo. "Sparlando snuta.
Comunemente gl'Interpreti chiosano, che unisca Dante 9I par-
lare lo sputare per indicar craeste come due proprietà dtl-
r uomo . Vegga nondimeno il lettore se gli piacesse piv d' in-
tendere che pai'lasse costui con ira e con la bava alla bocca.
m^ A questa interpretazione fa plauso lo stesso BiagiolL^-« no-
velle spalle j di nuovo fatte.
[a] MeU llb. 9. v. 65.
CANTO XXV. 55i
E disse air altro: i'vo'che Buoso corra,
( ^ome fec' io , carpon {)cr questo calle .
Così vid'io la settima zavorra i4^
Mutare ^ e trasmutare , e qui mi scusi
1 4o all'altro dei tre ^ che non erasi tiusformato, cioè a Puc-
cio Sciancalo, come appresso dirà Dante medesimo. - Buosoy
quello cioè convertito in serpente, che gli Espositori dicono
Buoso degli Abati, nobile fiorentino.
i4i Come fecUoj la Kidobeatina; Com'ho fatCiOy Taltre
ediz. , •-► e l'Ang. E. R. - Il Vat. 3 1 99 legge , Cotn fo io ec.4-«
carpone , avverbio , vale cai-pando , cioè camminando colle ma-
ni per terra. Vedi il Vocabolario drlla Crusca.
143 143 settima zavorra jiev valle di terreno ai'tinoso^
cornigera la settima bolgia deW Inferno» Cosi chiosa il Voljpi,
ed iu somigliante modo anche il Venturi. Ma dove primiera-
mente trovan essi che faccia Dante questa bolgia arenosa?Dìce
e^^li bensì esistere in questa piii serpi che non vanti l'arenosa
Libia [a] ; ma non dice però che qui similmente sia della rena.
Poi , se questa sola bolgia era arenosa , come bene alPappella-
zione di zavorra aggiungerebbesi quella di settima? Sarebb'egli
forse da tollerarsi se, come bulicame appellò Dante la prima
delle tre fosse de' violenti [6] , per esser piena di bollente san-
gue , avessela appellata primo bulicame , quantunque nell'altre
due fosse non ponesse sangue , né altro bollente fluido ?
Come questi due moderni Spositorì convengono tra di
loro nella riicrita spiegazione, cosi i vecchi, Landino, Vellu-
tello o Daniello, s'accordano in un'altra. Chiama settima za--
yorra (degli alln piii chiaramente e pienamente così favella il
Vellute! lo) questa settima bolgia yiu>ìfegnachè zavorra prò*
priamente sia quella rena , o ghiara , che si mette nella sen-
tina della nave , acciò che per lo poco peso non vada va*
cillando . Intese adunque la zavorra per sentina y la quale ,
per esser setnpre piena di fetore e puzza , assomiglia a que^
sta bolgia f perchè era piena d^abbominevole vizio • E dice
auerla ceduta mutare , cioè cAe essa zavorra aveva mutalo ,
intendendola per agente , e non per paziente j eh'' ella fosse-
mutata ^ ma rispetto a Buoso j che d^ umano spirito vide mu^
[a] Canto precetl. v, 8S. e scgg. [b] lof. xii. ir.i a8.
55i INFERNO
La novità , se fior la penna abborra .
tar in serpente y e trasmutare | cioè un* al tra volta nuHarei
rispetto al serpente , che uiele mutar in spirito , */ quale , per-
che dice : io vo* che Buoso corra come ho fati' io intese essere
stato un^ altra scolta mutato di spirito in serpente.
Io però, diversamente da tutti, direi che zavorra appelli
t)ante per isprezzo non la bolgia o bolge » ma la gente slessa
delle bolge, per occupar questa, a guisa appunto di fecciosa
zavorra, il fondo di quelle; come cioè se detto avesse: la ge-
nìa o feccia denomini posta in fondo della settima bolgia^
»-► E così pure intende e spiega il Pog|^iali.4-« In questo senso
pel mutare e trasmutare non sarebbe piii d*uopo di fare agen^
te la bolgia, perocché sarcbbelo la gente stessa.
i44 ^^ fior la penna abborra^ l^gg^ 1^ Nidobeatina (•-♦€
TAng. E. R.*-« ) ; ove l'altre edizioni ( •-►e il Vat. 3 ig9«-« ),
se -fior la lingua ec. Essendosi Dante manifestato in questo
poema non quale dicitore ad uditori, ma quale scrittore a leg*
gitorì , detto avendo, per cagion d'esempio, nelllnf. viii. v, 94.:
Pensa , Lettore , s^io mi sconfortai y e in questo canto stesso,
%** 4^- • *5^ ^" ^^' or. Lettore , a creder lento ^ ho perdo pre-
ferita la lezione Nidobeatina . - se fior la penna abborra. Fior
e fiore y avverbio, vale un tantino; onde lo stesso Dante , Inf
e. ixxiv. a6.: Pensa oramai per te, s'' hai fior d^ ingegno; e
Purg. e. 111. ] 35.: Mentre che la speranza ha fior del verde,
jibborrarej e pel contesto qui, e per quell'altro passo, InT.
e. XXXI. V. 22. e segg. :
però che tu trascorri.
Per le tenebre troppo dalla lungi ^
Awien che poi nel macinare aborri;
e per quello pure di Fazio degli liberti ;
Maraviglia sarà se, riguardando
La mente in tante cose, non abborrì \a\i
scorgesì apertamente significare lo stesso che traviare, Io stesso
che il latino aberrare^ e dovere perciò dal latino medesimo
essere per antitesi fatto, mutata la e in o. »-►£ cosi pare U
pensa il Torelli. 4-« Adunque se fior la penna abborra vale
rome se un tantino la penna travia y esce cioè (intend'io )•
eoi troppo minutamente apaite a paitc descriverne queste tra*
[a] Diitam, 3. 3i.
CANTO XXV. 553
£d avvegnaché gli occhi miei confusi i45
Fossero alquanto, e T animo smagato,
Non poter quei fuggirsi tanto chiusi ,
Ch'io non scorgessi ben Puccio Sciancato, i48
sformazioni, dairnsato preciso stile di descrivere. Il Landino
e il Vellntello intendono invece che cerchi Dante scusa del
cattivo ed inelegante stile. Sarà forse difetto del corto mio
vedere; ma all'occhio mio questa diversità ed ineleganza di
stile non apparisce. •-►Il sig. Poggiali pensa invece che ab'
barrare significhi qui riempii^e di supei*fluità ; onde abbia ad
intendersi che il Poeta implori scusa di essersi > per la novità
delle immagini, di troppo trattenuto ad esporre le minute
particolarità di quelle trasformazioni . <-• *Che abborrare poi ,
preso in senso metaforico , significhi metter borra , aggìugne^
re di superfluo y vedine esempj nel Vocabolario della Crusca.
E. R.
145 m^a\>vegnachò vuol dire sebbene. Questo è il princi-
pale significato di questa elegantissima particella congiuntiva.
Poggiali. — Ed awegnache ecy legge il Vat. 3i^, lezione
che rende il verso migliore. 4-«
§46 smagato. Sminare e dismagare ( verbi adoperati dal
Poeta nostro sovente [a] e da altri scrittori [6] ) pare che in
ogni esempio ove s* incontrano 9 significhino lo stesso che smar*
r ire, far perdere f o simili. Qui ; incominciando » animo sma-
gato non pare che possa significar altro che animo smarrito .
Deirorìgine del \erho smagare vedi, lettore, se vuoi, la ter*
za annotazione dell' ab. Quadrio al Credo del Poeta nostro.
m^ Confermano la chiosa del nostro P. L. gli editori della E. F.,
derivando lo smagato dallo spagnuolo desmajrado^ che vale
confuso , smarrito . ^-s
§47 chiusi vale occulti.
1 48 Puccio Sciancato , altro cittadino fiorentino, come av-
visa Dante medesimo nel canto seg. »^. 4* ^ ^* "^ Il cod. Cass.
ci fa conoscere di qual famiglia si fosse il detto Puccio , notan*
dovi: de Galigariis de Florentia. Mail Postili. deli* Ang. Io
dice invece de Lazaris. E. R.
[à] Pnrg. e. tu. 1 1.» e. x. 106. « e. ziz« so. > e. zzvn* io4« Par. e hi. 96.
[b\ Vedi il Vocab. della Crusca.
554 INFERNO
Ed era quei , che sol destre compagni
Che venner prima, non era mutalo;
L'altro era quel, che tu, Ga ville, piagni.
1 49 destre compagni^ cioè Agnel Bruaelleschi, Buoso Aba-
ti » ed e$so Faccio.
i5i V altro j cioè colui che sotto forma di serpente feri
Buoso nel bellico 9 e trasmutatolo in serpente, convertissi egli
in uomo; — era quelj che tUy Gopille y piagni ; cioè messer
Francesco Guercio Cavalcante (pur esso cittadino fiorentino),
ucciso dagli uomini di una terra di vai d'Amo dì sopra, detta
Gauilley che per cagione di costui piangeva, essendo per yevt^
detta stati morti la maggior parte degli abitanti di essa. Da-
niello. Del delitto di costui, di Puccio e dogli altri dopo Vau-
ni Fucci motivati , vedi l'opinione del Vellutello, rifeiìta sotto
il !/• 43. »-^Nota che rAnoiiimo chiama costui Guelfo^ e Pie-
11*0 di Dante ed il Boccaccio Guercio . E. F. ♦-«
CANTO XXVL
ARGOMENTO
tengono i Poeti all'ottava bolgia ^ nella quale veg-
giono infinite fiamme di fuoco: ed intende Dante
da f^irgilio , che in quelle erano puniti l fraudo^
lenti consiglieri , e che ciascuna conteneva un pecca*
iore, fuorché una, che facendo di sé due corna ^ ve
ne conteneva due ; e questi erano Diomede ed Ulisse.
t^jrodi, Firenze, poi che se* sì grande, i
Che per mare e per terra batti V ali ,
E per lo 'nferno il tuo nome si spande .
Tra gli ladron trovai cinque cotali 4
Tnoi cittadini, onde mi vien vergogna,
1 al 3 »-» Fa gran colpo il principio del presente canto per
qaest*apostrofe di fierissima ironia ripiena, con versi di mae-
stà nuova, e d'eloquente stile ridondante. Molto poetico è que-
sto dire batti rati per mare e per terra a dimostrar la ce^
lebrità di Firenze, per le discordie e le iniquità de* suoi cit-
tadini famosa ; è grande V idea delle parole , E per lo *nferno il
nome tuo si spande ^ facendo intendere che, in ogni cerchio
dell' Inferno incontrandosi Fiorentini, in essa città, piii ch'al-
trove, commette vansi le maggiori scelleratezze.BiAGioLi.-/<'o-
renzUf leggono i codd. Angelico e Gaetano, E. R., - e il Va-
ticano 3ig9.4-«
4 5 cinque , già nominati nel canto precedente , cioèCianfa ,
Agnel Brunelleschi, Buoso Donati, Puccio Sciancato e Fran-
cesco Guercio Cavalcante. - cotali^Tuoi cittadini ^ onde ecc
556 INFERNO
E la in grande onranza non ne sali .
Ma se presso al mattin del ver si sogna , 7
Tu sentirai di qua da picciol tempo ^
Di quel che Prato, non ch'altri, t'agogna;
cittadini tuoi di condizione tale , ch'io me ne vergevo. Ad nn
modo simile adopera cotale anche il Boccaccio : O mani ini-
quei %^oi ornatrici della mia bellezza , foste gran cagione di
farmi cotale ^ ch'io fossi desiderata [aj. E certamente Tes-
sere Iadi*i i primarj cittadini i*eca alla città maggior disdoro;
ed a quei massime che nella città stessa ebbero ugual grado ,
com'ebbelo Dante.
6 E tu in grande ec. Ironica maniera di parlare , che vale
quanto y e tu ne riporti grandissimo disonore . Così noi pure
diciam sovente : quest^ azione non fa a colui troppo onore in*
vece di dii'e che gli fa gran disonore. — onranza j sincope di
onoranza. Vedi il Vocab. della Crusca.
7 se presso al mattin ec. Accenna d'essersi delle cose, che
è per dire , sognato circa il nascere dell'aurora ; nel qnal tempo^
secondo l'antica superstizione, avevansi i sogni per veritieri.
Namque sub aurora (scrive Ovidio) iam dormitante lucerna ^
"Tempore quo cerni somnia vera solent \b>]. Somnium post
somnum ( cn'è appunto presso al mattino ) efjlcaa: est , atque
eueniety sii^e bonunisit^ sii*e maluniy scrive anche Suida [e].
»-► Ma se presso al mattino il uer si sogna , legge 1 ' Ang. E. R.
— Pretende il Biagioli che il Poeta non sognasse in su Tanrora
le cose che dirà, e che qui abbia inteso di dire che, siccome
I sogni del mattino mostrano del i/ero , così il guasto e di-
sordinato uii^ere della città faceva antivedere i disastri che
erano per sopravvenire alla medesima. Malgrado ciò , noi pie-
feriamo l'interpretazione del Lombardi , e perchè suonano real-
mente cosi le parole del testo , e perchè la conforta poi anche
l'unanime consenso di tutti gli altri antichi e moderni Sposi-
tori da noi consultati . 4-«
8 9 di qua da ec* Da per a, vedine altri esempj presso il
Cinonio [rfj.-Z>i quel (intendi danno) che Prato, non che
a/fr/. Ellissi , e come se detto fosse: non cAe, non solamenteff*J»
[a] Gìorn. 5. Nov. 9. \b] Heroidum Ep. 19. [e] Ari. hsift» [d\ Par-
tic, 70. a. [e] GÌQon. Pariic. 184* i*
CANTO XXVI. 557
K se già fosse , non sarìa per tempo : 1 o
Così foss' ei , da che pur esser dee ;
Che più mi graverà, com'più m' attempo.
altri popoli y ma quelli stessi di Prato tuoi ì^icini, sudditi j
ed in gualche modo partecipi de* tuoi danni. •— t^agognaj ti
desiderano ardeatemente.
Le disgrazie seguite già quando il Poeta scriveva, ma col
fingere ad esse anteriormente fatto questo suo viaggio rese fu-
ture, furono : la rovina del ponte alla Carraia mentre era pieno
zeppo di popolo concorsovi a godere di uno spettacolo che si fa-
ceva in Arno nel 1 3o4; l'incendio pur nello stesso anno di piii
di 1700 case, consumando le fiamme un tesoro infinito; e le
discordie civili tra i Bianchi e i Neri. Vedi Gio. Villani, Cron.
lib. 8. cap. yo. e 7 1. Ma ciò che dice Dante in seguito. Che
più nti grafferà f coni più m'attempo , accenna principalmente
il danno di Firenze nell'esilio della propria e di moltissime
altre cospicue famiglie di parte Bianca , come ora dimostrei ò .
10 se già fosse y il memorato danno, non saria per tempo ,
non saria di buon'ora, non saria trappo presto.
11 12»-» Così foss* ei ec. ; slancio d'animo altamente sde-
gnato, e di vendetta avidissimo; e vuol dire: e poiché egli
ilebbe inevitabilmente avvenire ^ vorrei che fosse attenuto
già. BiAGioLi. 4-« Delle particelle ^a che f er dappoiché ^ e pur
per certamente^ vedi il Cinonio [a]. -^l'ii mi graverà j com^
più ec. Mostrasi Vjéutore desideroso di questo male , non
per ruina della patria , la guai gli era carissima , ma per
punizion dei cattivi cittadini che iniquamente Vanuninistro'
vafio^ e però desidera che sia presto , acciocché siano pu^
nifi quelli che hanno errato. Cosi il Landino. Il Vellutello
4*hiosa che parli Dante a questo modo , perché quanto più
ruonio si attempa ed invecchia ^ tanto più s* accende in lui
l'oinor della patria; e conseguentemente tanto più gli gra^
i*a e pesa se ella incorre in qualche miseria. Lo stesso pare
che voglia dire anche il Venturi chiosando: col divenire più
attempato y diverrò io per V età men sofferente di questi
guai , e di quei disordini di cattivo governo , che tirano ad-'
dosso alla mia patria tali calamità . »-► Cosi anche il i*t){^gÌHlì
r la E. B. — 11 Torelli a questo lungo chiosa. « Cile vuol dire?
[a^ Paritc, 73. 5., e 106. 3.
558 INFERNO
#
Noi ci pariicnmo, e su per le scalee i3
Che n'avean fatte i borai a scender pria,
1» che quanto più invecahio j tanto più mi saranno gravi le
9> disgrazie di Firenze? oppore: che guanto più im^ecduo,
» tanto mi graverà più che cotali disgrazie non accada-
n no? ^ 4-« 11 Daniello trascorre questo luogo senza farvi rìfles-
«ioae alcuna. Quanto però al Landino, qual cagione ne dica
egli 9 per cui cotal punizione fosse per riuscire al Poeta pia
grave quanto piìx si attempasse , io non intendo; ed il crescere
colicela l'amor della patria, che dice il Yellutello, solo mi
pare da ammettem quando non sia la patria al cittadino in-
giusta ed ingrata, come sperimentata aveva già Dante la sua
patria quando queste cose scriveva.
Direi io adunque invece, che il suo esilio e degli altri
Bianchi bramasse egli in più fresca età , per aver seco nella
disgrazia meno figliuoli [a] , e per non essere costretto a cer-
carsi paese , casa e pane , mentre incominciava ad aver bisogno
di quiete e riposo. »-► L'Anonimo spiega: « io veggio che debbo
» essere cacciato di Firenze. Io vorrei ch'egli fosse ansi oc:p
» che domani , acciocché io anzi giovine che vecchio m* ansassi
M a sapere come sa di sale lo pane altrui ec. » *— Ed il Beo
caccio : cr prega l'Autore che questo fia tosto , s' egli esser dee ;
sj a simile che fa chi aspettasse avere una pena, e fa priepo ,
» acciocché egli esca di quella pena . a E. F. — Ricavandosi da
molti luoghi del presente poema quanto bramoso della vendet-
ta fosse Dante, e quanto in ciò l'animo e l'ingegno adoperas-
se, pensa il sig. Biagioli, per ultimo, che il Poeta qui veglia
dire piuttosto, che maggiore sarà la pena sua della ritof'
data vendetta , perchè minore sarà , per la vecchiezza sua^
il tempo che potrà godere il piacere della vendetta mede'
sima . <-•
i3 scalee per ordine di gradi e scale y adoperato da buo-
ni scrittori anche in prosa. Vedi il Vocab. della Gmsca.
i4 borni appella Dante i rocchi prominenti da quell'erto
scoglioso argine; pe' quali rocchi erano i due Poeti dal mede-
simo argine discesi per avvicinarsi al fondo di qtiella ottava boi-
fa] L'autore delle Memorie per la FUa di Dante, $' 4m dicf Ell't
Daute da sua moglie Gemma Domtti piti Jigliuoli ,Jra* quaii Putto,
Iacopo, Gabriello , Aligero, Eliseo e Beatrice,
CANTO XXVI. 559
Rimontò 1 Duca mio, e trasse mee.
E, proseguendo la solinga via 16
Tra le scheggìe e tra* rocchi dello scoglio,
Lo pie senza la man non si spedìa .
Allor mi dolsi, ed ora mi ridoglio, iq
Quando drizzo la mente a ciò cb' io vidi ,
E più lo 'ngegno affreno eh' io non soglio ;
Perchè non corra, che virtù noi guidi; 22
Sì che, se stella buona, o miglior cosa ^
già [a]. Bomes des murailles s'appellano in francese quelle
pietre che s'impiantano vicine a' muri per ripararli dagli uiti
delle ruote de^ carri e carrozze: e spoi^eudo da* muri la gros-
sezza di questi ripari in maniera simile a quella che sporgono
i rocchi fuor di una ronchiosa ripa , giudiziosamente dona a
cotai rocchi Dante il fi*ancese nome di bornia e furono ccrla-
mente poco avveduti i Compilatori del Vocab. della Crusca pò*
ncndo questo verso in prova che &or/iia significhi cieco. »-^L'A-
nonimo legge, Che n*auean fatte i borni scender pria ^ e
spiega: lÀ borni y cioè i ladri fecero loro prima discendere
dot^^elli discesero per quella i/oce cK'elli udia ec. Ma la co-
mune inteipi*etazione è da preferirsi. E. F. <-•
1 5 wh^Jiimontò 7 mio AÌaestro^ i Ang. E. R.4-« mee inve-
ce di ine, paragogc a cagion della rima, come al bisogno anche
i latini poeti scrissero ao/nmaner, dicierec. perdominariy
dici ec.
1 8 Lo pie senza la man ec. vuol dire che conveuivagli ado-
perar piedi e mani per rimontare.
19 ao Quando drizzo la mente a ciò eh* io vidi^ quando
rifletto alle vedute pene^ mi ridoglio , mi dolgo di nuovo.
ai 22 /o *ngegno affreno ec, tengolo in freno piii che mai 9
acciò non s'allontani dal retto operare. »-► Perciocché qualun-
que altissimo ingegno, se non ha la virtii che lo guidi , con*e
sfrenatamente al male. Biagioli.^-s
23 stella buona j o miglior cosa e buona naturale influenza
de' pianeti y o speziai dono di Dio.
[n] Inf. zziv. 74* e segg.
56o INFERNO
M'ha dato 1 ben , ch'io stesso noi m'invidi «
Quante il villan, ch'ai poggio si riposa, :i5
Nel tempo che colui , che '1 mondo schiara ,
La faccia sua a noi tien meno ascosa.
Come la mosca cede alla zanzara, 38
Vede lucciole giù per la vallea ,
^4 '^ hcriy buona inclinazioiie al giusto ed onesto; •-♦e,
secondo il Biagìoli, l'acutezza e sublimità dell'ingegno, che
da propizio influsso del cielo riconosceva il Poeta. 4-c to stesso
noi m* incidi vale, a me stesso noi tolga.* metonimica espres-
sione, in cui l'invidiare, cagione del togliere ad altrui , ponesi
per lo stesso togliere, m^non m*ini^idij il Vat. Sigq.^-*
Quanto veggo 9 tutti gli Espositori intendono cne neMue
scorsi terzetti parli Dante cosi per proemio alla punizione che
è per descrivere d'altra sorta di fraudolenti ; »-»>e di questo pa-
rere è pur anche il Biagioli . 4-m Essendo però ciascun uomo
inclinato ad arricchire; e per arricchire con frode, cioè senza
comparir ladro j ingegno assai ed astuzia richiedendosi , panni
che possano i due stessi terzetti essere una conclusione del rac-
conto precedente : come a dire , che anch'egli , male servendosi
del suo ingegno, avrebbe saputo nascostamente appropriarsi
l'altrui pubblico o privato avere. »-^Il Torelli fa osservare il
pleonasmo del che ripetuto in questi due versi aS. e 24* '^^
25 Quante ili^illan attacca con f^ede lucciole quattro ver*
si sotto.
26 27 Nel tempo che . • . tien ec, nel tempo in cui si fa a
noi vedere il Sole piii lungamente , nell'estate . Supponendo
Dante , colla comune de' poeti , che il Sole sia Apolline [a] ,
coU'accennar egli perciò il Sole qui e Farad, canto xx. Terso 1 .
col pronome colui , non viene , come pare che il Cinonio in-
tenda [ij , a dare eccezione alla regola , che pronome cotale
diasi a persona solamente.
28 Come (vale quando) la mosca cede alla zanzara.' nella
notte, in cui la mosca ritirasi, e cede luogo al molestissimo
volare della zanzara.
29 vallea , vallata. Vocab. ddla Crusca.
[a] Vedi Purg. zz. i3o. e sogg. [b] Pariic, S3. 4*
CANTO XXVI. 5Cu
Forse colà dove vendemnoiia ed ara;
Di tante fiamme tutta risplendea 3 1
L' ottava boJgia, si com'io m'accorsi,
Tosto che fui là 've '1 fondo parea .
E qual colui, che si vengiò con gli orsi, 34
Vide '1 carro d'Elia al dipartire,
Quando i cavalli al cielo erti levorsi ,
Che noi potea sì coli' occhio seguire, 87
3o doye vendemmia ed ara^ dove }ia le sue vigne e i suoi
campi.
33 là\e^ «iaalefa, invece di là oi^e.^^parea^ appariva ,
vedevasi.
34 qual ha qui forza d' avverbio > e vale in quella euisa
che [aj. - colui y che si uengiò con gli orsi.' il Profeta Eliseo,
il quale, essendo beffeggiato da una ciurma di fanciulli, male-
disscli ; ed uscendo dalla vicina macchia due orsi , sbranarono
di qiiegrinsolenti al numero di quarantadue [&J. F'engiare per
t^endicare da molti scrittori adoperato vedilo nel Vocab. della
Crusca •
35 F^ide ec. &)6truzione: j^l dipartire d^Elia, al parure
che fece Elia da questo mondo, i^de il carro y intendi , il car-
ro di fuoco fcj che portava esso Elia.
36 Quando i cai/alli ec.y cioè quando esso caiTo fu dagl'i u-
fuocati cavalli tratto assai in alto. -/evorji, sincope di /ei^o-
ronsi. Questa stessa sinco'pe adopera Dante anche nel e. xxxiii.
y- 60. della presente cantica; e quanto ali* intiero levorono in-
vece di levarono y veggasi l'uso che dice il Ci non io [//J essere
io Firenze di cosi terminare le terze pei'sone del preterito plu-
rale di simili verbi.
3j coir occhio y la Nidob. ; con gli occhi y Taltre edizioni;
ma la prima si uniforma meglio a quegli altri simili passi :
Tanto y ch^a pena 7 poeta T occhio torre [e] .
Che l'occhio noi potea menare a lunga ec. [f\.
»>L'E. R., coH'aulorità dei codd. Vat. 3199, Caet. ed Aug.,
[a] Vedi il Vocab. della Cr. $oUo Quale , J. 5. \b] iv. Reg, %, [e] Vi-ili
il citato liliro de' [le, ivi. [d\ Tralt. de verbi, e. 'j9. [ej luf. e. viii. 6.
1/1 Iiif. IX. 5.
rat. /. 36
56a INFERNO
Che vedesse altro che la fiamma sola,
Sì come Qu Toletta, ìa su salire;
Tal si movea ciascuna per la gola 4^
Del fosso, che nessuna mostra il furto,
Ed ogni fiamma un peccatore invola.
Io stava sovra '1 ponte a veder surto 43
Sì, che, s*io non avessi un ronchion preso,
ha nella 3. ediz. resUtuita la lezioDe occhi y trovando inconclu*
demti al caso attuale gli esempj qui addotti dal LombardL«-«
38 /a ftamma sola , cioè non più Elia , ne la forma del carro
e dei cavalli di fuoco, ma semplicemente il fuoco, a cagione
della lontananza , per cui la figura degli obbietti si altera e con-
fonde alFocchio de'risguardanti.EIa particolarità di qnesto con-
fondimento non la naira il sacro testo, ma T immagina e fonda-
tamente suppone il Poeta stesso.
39 Sì come nuifoletta ec. , a guisa di picciola risplendente
nuvola. m-¥m suo salire ^ '^gg^ ^^^^S* ^' ^* ^^
40 Taly in forza d'avverbio corrispondente al qualseì versi
sopra, e vale in coiai guisa. ^ ciascuna^ delle tante fiamme
dette nel y. 3 1 . — gola figuratamente per apertura ; nel qual
senso dicesi gola del cammino , del pozzo ec. Vedi il Voca-
bolario della Crusca, m^ Tal si muover legge l'Aiig. E. R.«-«
4i 4^ ^^ Del foco j legge il Vat. 3i99.4-« che nessuna ec.
Costruzione: che (vale qui perciocché) ogni fiamma imbola ^
ruba, si piglia 9 ^n peccatore, e nessuna mostra il furto j nes-
suna lascia vedere l'involato peccatore.
43 surto , alzato in piedi , da surgere ; cioè non più carpo-
ne, come per colà salire era dovuto andare, giusta Tav viso di
sopra, e 18.
44 Sì, dee valere tanto in riva^ e sporto eolla %fita sopra
della nuoi^a bolgia , per ben discemere che fossero quelle &ni-
me, e perciò in pericolo di cadere, se non fossesi appigliati»
ad un ronchionej ad un prominente pietrone . Vedi Inf. xxit.
verso 28. •-^•iSi, s'appicca col surto ^ surto si^e però non solo
vuol dire legato in piedi , ma su la pianta dei piedi eretto, e
alquanto verso il fosso inclinato, come apertamente più giù,
verso 69., dichiara, e come il resto del terzetto egualmente dì-
mostra. BlAOlOLI. '«^
CANTO XXVI. 56 J
Caduto sarei giù senza esser uno .
E '1 Duca, che mi vide tanto atteso, 46
Disse: dentro dai fuochi son gli spirti:
Ciascun si fascia di quel ch'egli è inceso.
Maestro mio, risposi, per udirti 49
Son io più certo j ma già m'era avviso
Che così fusse, e già voleva dirti:
Chi è 'n quel foco, che vien sì diviso 5i
Di sopra , che par surger della pira ,
Ov'Eteòcle col fratel fu miso?
45 46 urtOy sincope à'urtaio. m^ atteso vale attento •^^^
47 4^ dentro dai j la Nidob. ; </en/ro da\ Talti^ edisìoni ;
e vale qui dai lo stesso che nei . — si fascia per si copre, -hIì
quetj intendi j fuoco . — inceso j d^L incendere j vale abbru"
dato* »-^ di auel che gli è inceso , legge al i^. 4^. TAng. E. R.
— ch^eglif cioè nel quale egli. Torelli. «-«
Nasconde, cred'io, Dante in cotal modo i fi*odoIentì con*
siglierì nelle fiamme, e per movimento delle fiamme stesse,
come or ora vedremo, li fa parlare, allusivamente al dirsi da
san Giacomo la cattiva lingua infiammata a gehenna. Ep.
cath. cap. 3. ^^, 6.
5o 9^m*era aivisOj cioè ni era ax^yisto ^ at^eduto» Il P.
Aichich francescano , leggendo nel Y at. 3 1 99 merok^iso , di»
vide questa parola cosi: ni era i/isoj e spiega, m*era sembra^
tOj dal latino nUhi i/isum eraij come appunto nel i^. 54^ sotto
dice il Poeta, misOj dal latino misusy e piii giù audi%^i. Nota
riferita dall' E. R. nella 3. edizione, ^t^
53 54 Di sopra , nella cima , che par surger della pira
(massa di legne adunate per abbmciarvi soprai cadaveri),
Osf*Eteòcle col fratel fu miso. Dopo che, per ambizion di
regnare in Tebe, si furono con vicendevoli colpi ammazzati i
due rivali fratelli Eteocle e Polinice, gettatosi ad ardere il col-
po di questo nella stessa pira ove già il corpo di quello aixle\a,
.... tremuere rogi (dice Stazio) , et no%^us adi^ena busto
Pellitury exundant diviso vertice fiaimtiae [a].
[n] Vheb* in., 4^0. e srg.
564 IJVFERNO
Risposemi : là entro si martira 55
Ulisse e Diomede, e cosi insieme
Alla vendetta corron, com' all' ira:
E dentro dalla lor fiamma si geme 58
L'agnato del cavai, che fé' la porta,
Ond'usci de' Romani '1 gentil seme.
Si discacciarono auchc ì morti corpi, e si diYisero le fiamme
ad abbruciare separatameate V uao dalFaltro. — miso j messo,
posto j collocato f in rirnuj dice il Volpi ; ma trovasi antica-
mente adoperato anche fuor di rima:
Non avea miso mente
jàllo viso piacente [a] .
55 al 57 si martìraj si tormenta. - Ulisse e Diomede. Ri-
pone qui il Poeta nella stessa bicorne fiamma questi due famosi
Gi'eci, perocché commisero insieme ai danni di Troia le firaudì
che in seguito accenna ; e però dice , che come insieme nel mon-
do furono mossi dall'ira contro de' Troiani ad usai*firodi, così
laggiù si movono nella stessa fiamma a subire la yeniielta , la
punizione delle fraudolenti loro opere. 9-^ Corrono ni la ven-
detta che si fa sopra di loro 9 non già ch*essi fanno . Tob£lli.4-c
5«S al 6o,E dentro dalla per nella. — si geme j piangono
quogl' infelici,— Z'a^tto^o del casual >, la frode commessa col
gran cavallo di legno, ripieno nella sua cavità di scelti sol-
dati del greco esercito, che scioccamente da' Troiani iutrodono
in Troia, operarono la distruzione di essa. E fu cotale ^ cle-
mente frode e tradimento, e non militare lecito stratagemma;
imperocché fu contro ai patti della già stabilita pace [^J. -cA<*
fé' la porta 9 il grande squarcio, intendi , che i Troiani feceni
nelle mura della loro città per introdurvi quella smìsurau
.macchina: Diuidimus muros (faVh*gilio dire ad Enea), et mae-
nia pandinuis urbis [e] . — Ond^usci ec, vale , per cagione
del qucd fatto uscì j fugglssene da Troia Enea, 'che fu il se-
ffie, il propagatore del romanosangue.il Landino e il Vellu-
tcllo per onde uscì ec. intendono che, fuggendo Enea daTroia^
se ne uscisse per l'apertura medesima per cui erasi il cavallo
[a] Rim. M. Pier dalle F'igne* Fireoze i5i7, pag. i la. [b] Vedi Dille
Crei en se de bello Trai, lib. 5. [e] Jen, ii. a 3 4-
CANTO XXVI. 565
Piangevisi entro Farte, perchè morta 6i
Deidamia ancor si duol d'Achille;
E del Palladio pena vi si porta.
introdotto: malamente però , e senza verun fondamento ^ ricla-
mano giustamente il Daniello e il Venturi. »-^Avvertirem
quindi col Biagioli il lettore di non riferire Tidea àeìVonde
asci 7 seme ec, all'idea della rottura delle mura, per Tincoe-^
reoza, dell'una coiralti*a. — Gli Editori della E. B. spiegano:
Chefe^la porta , che fu , cioè , principio e cagione della uè"
naia di Enea in Italia , asserendo che porta in lu(»go di prin*
cipio fu usata dal Poeta altra volta . «-«
6 1 6a Piangeuasi entro , intendi sempre nella bicorne fiam*
msL,» Parte y il fraudolente parlar con Achille che fece Ulisse
per distaccarlo da Deidamia e condurlo seco all'assedio di
Troia, dicendogli esser predetto dagli oracoli , che senza di
lui non sarebbesi Troia soggiogata; e tacendo Taltra predizio-
ne pur degli oracoli , che se fosscsi Achille portato ni troiano
assedio, v'avrebbe lasciate l'ossa; il perchè Teti di lui ma-
dre, acciò non fosse stimolato da veruno a portarvisi, vestito
avevalo da femmina e fatto entrare in casa di Licomcde a con-
vivere con le di lui figlie, delle quali una, di cui s'innamorò
e sposoUa, fu la sopraddetta Deidamia, che, dice Dante, non
solamente pianse Achille viva, ma prosiegue a piangerlo an-
che morta. Gli altri Spositori per quest'arca intendono l'astu-
zia adoperata da Ulisse per discernere tra le figlie di Licomcde
Achille, che fu di fingersi mercatante, e tra i molti donneschi
vaghi arredi presentati a quello stuolo, inserirvi un bellissimo
militare scudo ed un'asta; certo che a questi, e non a quelli,
avrebbe Achille posto mano , come fece di fatto ; ed in tal modo
fu da Ulisse riconosciuto. A me però non sembra questo uno
stratagemma degno di riprensione e di pena. «-♦Ma d'onde na-
sce che Deidamia , bencnè morta , duolsi ancora di Achille ?
Inclina i! Biagioli a credere che il Poeta il dicesse o per di-
mostrare il dolor grande di quella sventurata nel vedersi la-
sciar cosi gravida dal marito che piii non rivide ; o per farci in-
tendere che dolgasi Deidamia per cagione dell'infedeltà d'Achil-
le , cui il novello amore di Polissena spinse a morte. 4-«
63 Palladio j statua di Pallade, che credevasi dai Troiani
scesa dal cielo nel tempio a quella Dea fiibbricato nel piii alto
566 INFERNO
S'ei posson dentro da quelle faville 64
Parlar, diss*io, Maestro, assai tea priego,
E ripriego che Ipriego vaglia mille,
Che non mi facci deirattender oiego, G7
Finché la fiamma cornuta qua v^na:
della loro fortezza . L'oracolo d' Apolline disse j che avrebbe
Troia sofferto rovina ogni qual volta fessesi quella statua poi^
tata fuor delle mura della città. Ulisse però e Diomede, eoo
frode offensiva alla elezione fattasi di quel luogo dalla Dea
stessa, penetrati colà per vie secretCì ed uccisi i custodi, se
la portarono ; onde Virgilio:
• • . Irnpius ex quo
Tydides sed enim^ scelerumque indentar Ulijres^
Fatale aggressi sacrato avellere tempio
Piilladiumy caesis sumtnae eustodibus iu-eis^
Corripuere sacrani efftgìemf manibusque crueniis
yirgineas ausi di\^ae contingere vitias f aj .
64 faville per fiamme. Anche tra i Latini Claudiano, par-
lando dei m9struo5Ì tori che custodivano il tesoro del Re Ecu
in Coleo, esprime le fiamme, che questi dalle narici manda-
van fuori, col termine stesso di faville i
Et iuga taurorum rapidis amhusta fa villis [b^ .
6 j 66 ten priego , ^E ripriego , che ^Ipriego ec. , scherso
di pirole simile a quell'altro: lo cretto, enei credette y ch'io
credesse [e].- del quale vedi ivi la critica e Ta polenta. — ten
priego, la Nidob.,piixcoerentcmentedeiraltreedisioiu, chequi
scrivono prego , ed in seguito ripriego, che V priego. ^che 7
priego , che la preghiera , uaglia mille , vaglia quanto può va-
lere , abbia tutta la forza d' impetrare. •-♦Più naturalmente va*
glia per mille preghi, come spiega il Poggiali , e con esso la
E. B. — Non è questo, al dir del Biagioli, uno scheno di pa-
role , ma un'espi*essione di gran desiderio, effetto di nobile co»
riosità, comune nel domestico parlare, e di grande eloquenxa.«-«
67 68 JFar niego, come mettersi al niego , per fare odaie
n^ativa, asato anche dal Boccaccio. Vedi il Vocab. della Cr.
alla voce Niego , ''deirattender finche la fiamnui ec., di aspeir
[a] Jeneid. ii. i63.e seg. [b] DeML CeL a4' [e] IqL xiiu aS*
CANTO XXVI. 567
Vedi y che del disio ver lei mi piego .
Ed egli a me: la tua preghiera è degna 70
Di molta lode; ed io però l'accetto:
Ma fa' che la tua lingua si sostegna .
Lascia parlare a me ; cir io ho concetto 7 3
Ciò che tu vuoi; eh' e' sarebbero schivi,
Perch'ei fur Greci, forse del tuo detto.
tai*e fin che ec." cornuta appella quella fiamma, pei'ocehè co-
me di sopra ha detto, nella sua cima divideasi in due.
69 ver lei mi piego y mi sporgo colla vita fuor dell* estre-
mità dei ponte, cosi permeglio vedere piegandomi , cAe , xVo
non avessi un ronchion preso , - Caduto sarei giù , versi 44*
e 4^. ^ disio f la Nidobeatina; desio Tal tre edizioni.
70 al y2 m^la tua preghiera ec; nobile e dignitosa si è
questa risposta. BiAGioLt.«Hix< sostegna j sì sostenga , si astenga
dal parlare.
73 al 75 ch'io ho concetto j ho conceputo, ho capito .•-►cAV
rho concetto, gentil variante del cod. Vat. 3 199, che porta un
pleonasmo assai naturale a chi paria, ed usato negli scrìtti di
buoni autori. L*Ang. legge, che io concetto - Ciò che vuoi dir.
E. R. <-• sarebbero schivi ^ ^Percheifur Greci ec. Non per-
chè per esser Greci non intenderebbono la lingua toscana ; come
per altro espongono alcuni Comentatori , giacche Virgilio , par-
lando toscano, fu da loro inteso (»-^vedi il i^. 20. del canto che
segue ^-« ) ; ( alla poesia già si passano questi miracoli ) ma per-
ché , siccome Greci dotti ed altieri , avrebbero forse sdegnato di
rispondere e soddisfare alle interrogazioni fatte da Dante, uomo
allora né per letteratura, né per altro pregio famoso. Il prìego
che fa Vii^lio a costoro aggiunge , se ben si rifletta , probabi-
lità a questa interpretazione. Venturi. 9^ che sarebbero schi^
yiy al V. 74*9 'cgS^ TAng. E. R. , ed anche il Vat. 3 199. -<-«
Diceitdo però Virgilio costoro solamente Greci y e non
dotti, pare che anche il merito, che in seguito dice di loro fat-
tosi co*suoi idti versi y collocare si debba , non nella fama di
sua letteratura, ma nello avere nella Eneide di essi e delle gre-
che loro cose favellato : ciò che né Dante , né Italiano veruno
mai fino a qne* tempi aveva fatto. — schivi del tuo detto j sde-
gnanti le preghiere tue.
568 INFERNO
Poiché la fiamma fu venata quivi, 7^
Ove parve al mìo Duca tempo e Joco,
In questa forma lui parlare audivi :
O voi, che siete due dentro ad un fuoco, 79
S'io meritai di voi, mentre ch'io vissi,
S' io meritai di voi assai o poco ,
Quando nel mondo gli alti versi scrissi, 81
Non vi movete j ma l' un di voi dica
Dove per lui perduto a morir gissi,
77 »-♦ Oi^e parve vuol dire allorché parve. O^-e, come alle
volte il latino ubiy è qui adoperato per avverbio di tempo 1
esprimente quando j allorché^ tàstochè; ed in questo signi-
ficato non di rado trovasi presso i più culti italiani scrittori sì
in prosa che in verso. Poggiali, ^-m
78 audii^i latino per udii. Vedi la nota al v. 65. del primo
canto di questa cantica. »-^ccIl Daniello: alla latina per la
» rima. — Non è vero 9 mentre gli antichi dicevano audire per
M udire . Dante da Maiano 1 4o. Le lodi e 7 pregio , e 7 sett^
» no ^ e la \falenza , ^CK aggio sovente audito nonUnare*^^
» altri esempi nel Vocab. della Crusca.» Toeelli. «-•
'^i^m^dentra un focoj Jegge il Vat. 3 191). 4^
80 meritai di voi vale quanto meritai vostra grazia .
8 a gli alti versi scrissi» Virgilio, oltre molte operette, le
quali compose nella prima adolescenza, scrisse tre volami, la
Buccolica j la Georgica e V Eneide. Di questi il primo in basso
stile , il secondo in mediocre , il terzo in alto e sublime. Adun-
que dicendo gli alti versi y intese della Eneide. Lahdiho.
83 run di voiy intende il viaggiatore Ulisse , «-►perchè que-
sti solo è l'oggetto della curiosità di Dante. BugioIiI.«-«
84 per lui gissi vale quanto egli se h*andò. Così nel e. 1.
V. tao..- Non vuolj che in sua città per me si vegnaj cioè
che io venga in sua città. Volpi. •-► Vi è chi dice, che dopo la
guerra di Troia con sommo coraggio impegnatosi Ulisse con
altri egualmente audaci compagni nella allora creduta insegui-
bile navigazione deirOceano di là dal Freto Gaditano (oggi^
Stretto di Gibilterra) , dopo aver fondata Lisbona, detta però
dal suo nome in greco ed in latino UljssipOj fatta rotta a si-
CANTO XXVI. 569
Lo maggior coroo della fiamma antica 85
Cominciò a crollarsi, mormorando,
Pur come quella , cui vento affatica .
ludi la cima qua e là menando, 88
Come fosse la lingua che parlasse,
Gittò voce di fuori, e disse: quando
nistra del detto Stretto, e scorso un buon tratto del mare Atlan-
tico attorno airAffrìca, quivi finalmente perisse pcn'una tem-
pesta . Facendo comodo a Dante questa opinione circa la navi-
gazione e la morte di Ulisse j che ha per autori Plinio e Solino,
«uopone come certa questa, tuttoché meno ricevuta , istoria
della navigazione di Ulisse , ed a norma di essa lo fa qui par*
lare. Poggiali. — Dal racconto però che fa in seguito Ulisse;
si vede chiaramente che Dante non ha in tutto seguita l'opi-
nione di Plinio e di Solino ; e di fatti proponendo iigreco eroe
a' suoi compagni di dirigere il loro viaggio dietro il coi^o del
Sole per iscoprire il mondo senza gente (i^. 1 17-) 9 sembra
evidente che quel capitano non avesse in pensiero di navi-
gare intomo air Affrica, la cui costa occidentale giace tutta al
sud dello Stretto di Gibilterra; inoltre è da notare che il viag-
gio segui appunto nella proposta direzione verso ponente , pie-
gando però al mezzogiorno (1^. ia4* al i!i6. ), vale a dire al
sud-ovest ; e che Ulisse dopo cinque mesi di navigazione era
pervenuto alla linea equinoziale, 0 aveala oltrepassata (y, 1 27.
al I ag.) y quando scopri un'altissima montagna , e peri co'suoi
compagni naufragando. 4-«
8j Lo maggior cornai dei due comi, ne* quali la fiamma
divideasi, finge maggiore quello in cui era Ulisse, per essere
Ulisse personaggio assai piii celebre di Diomede, ch*era nell'al-
tix) corno. -/tom/na antica j per rapporto ai moltissimi secoli
che già erano scorsi dopo la morte di Ulisse e Diomede.
86 a crollarsi , mormorando , a scuotersi ed a far mormo-
rio; e tale scuotimento e mormorio era cagionato dall'avvia-
mento che prendevano per uscire dalla fiamma le parole di
Ulisse. Vedi il i^. i3. e scgg. del canto seguente, che quel
passo dà lume a questo, e questo a quello.
87 quella^ intendi ftanuna . ^' affatica^ agita.
90 •-►Fa bel principio alla parlata d'Ulisse il quando , spic-
cato dal resto del verso. Biaoioli. 4-0
570 INFERNO
Mi diparti' da Circe, che sottrasse 91
Me più d* un aono là presso a Gaeta ,
Prima che si Enea la nominasse;
Ne dolcezza del tìglio , né la pietà g\
Del vecchio padre, né '1 debito amore.
Lo qual dovea Penelope far lieta,
91 9:1 Circe y maga famosa, che convertiva gli uomini iu
bestie . Avendo Ulisse risaputo che riteneva costei presso di sé
in cotal gttisa trasformati alcuni de* suoi esploratori, premuni-
tosi d'erbe contro gl'incantesimiy portossi ad assalirla nella pro-
pria magione . Avvenne però 9 che dalle minacce , colle quali
ottenne la restituzione de' suoi uomini, passò ad invaghirsi del-
la Maga ed a restarsene con lei più d'un anno. — sottrasse
-il/e, quasi furò me a me medesimo , chiosano la maggior parte
degli Espositori; a me però sembra meglio d'intendere col
Volpi , che sottrarre vaglia qui quanto nascondere ; essendo
Ulisse di fatto, per quel tempo che rimase presso di Circe, stato
al mondo ed alla Caona nascoso. — là presso a Gaeta y cioè a
quel luogo che è tra Gaeta e Capo d'Anzio, che da essa Circe
monte Circeio e Circello s*appella.
93 Prima ec» Accenna cosi Ulisse d'essergli ciò avvenuto
prima che Enea venisse in Italia; essendosi Gaeta nomata da
Gaeta nutrice d'Enea 9 che venuta seco lui in Italia, ivi mori
e fn sepolta [a].
94al 96 »^Notinsi in questa terzina le vei*e e diverseespres-
sioni dei santi affetti di natura. Biaoioli. -Prima al figlio, poi
al padre, quindi alla moglie siamo per amore inclinati , secondo
Virgilìo:^jcamfii?», patremquemeumy coniugemque Creusam.
PiETao Davtb. e. ^.'^^ dolcezza del -figlio^ il piacere di aver
vicino e di abbracciare il figlio Telemaco . -<^o/i?ez^a del figlio
leggono divisamente dalla Nidob. l'altre ediz. »-^e il codice
VaU 3 i99.4-«piefd - Del i^ecchio padre. Pietà può qui signi-
ficare o quel medesimo che dice Cicerone, Pietas est uoluntas
graia in parentes [i] , o anche l'attristamento del vecchio ge-
nitore Laerte, da Ulisse preveduto se risolvevasi di abbando-
narlo per viaggiare . — • né 7 debito amore , coniugale . ^do^a
[a] Atftteid. vii, ne* primi versi, [b] Pro Plancia»
CANTO XXVI. 571
Vincer poterò dentro a me l'ardore, 97
Ch'io ebbi a divenir del mondo esperio,
E degli viz) umani, e del valore;
Ma misi mi per Tallo mare aperto tao
Sol con un legno, e con quella compagna
Picciola , dalla qual non fui deserto .
L'un li IO e T altro vidi infin la Spagna, io3
Fin nel Marocco , e Y isola de' Sardi ,
Penelope far lieia » rendere contenta , ansi che disgustarla col-
r abbandono.
97 F'incer poterò dentro a ntOy cosi la Nidob., più dolce-
mente dell' altre edì zioni m^ e del codice VaL 3 1 99 4-a che leg-
gono y F'incer poter dentro da me ec» — V ardore ^ il deside-
rio grande.
99 •-» £* degli inzj wnaniy e del valore . Valore è ansAi
potenzia di natura , ovvero bontà da quella data. ( Dante Conv*
fac. 195.) E. F. 4-«
100 misimiy la Nidob.; misi me, T altre ediz. •-► e il eod.
VaU 3 199. 4-« mare aperto^ intende del mar Ionio, il q^ale è
ampio e spazioso. 0)sl il Landino, eh* è il solo tra gli Espc^
si^ori a riflettere su tale efuteto. Io però direi piuttosto che
intenda dell'Oceano, di quel mare in cui esso il primo si mi-
se, e vi peri ; e che aperto lo dica per contrapposizione a Me*
diterraneo, che significa serralo intorno dalla terra; e che final-
mente il riaggio che premette fatto nel Mediterraneo, non ad
altro fine premetta , che per dire il come giunse al detto aperto
mare-, air Oceano.
101 loa compagna, compagnia. Modo usato dagli antichi
di levar Vi a si fatte voci. Vocab. della Gr. , che, oltre a questo
di Dante, ne dà altri esempj parecchi in verso ed in prosa.
^^ deserto, abbandonato.
io3 m^ insin in luogo dUnfin legge TE. R. nella 3. edizione
col Vat. 3199, per evitare i due jtn cosi da presso. -^ in/tn
la Spagna è maniera ellittica famigliare agli antichi: qui vuol
dire infino alta Spagna. Poooiali.4-«
I o4 Marocco , provincia litlorale ed occidentale deirAffri-
ca . '— risola de* Sardi, la Sardegna, isola del Mediterraneo.
57^1 INFERNO
E r altre, che quel mare ÌDiorno bagna.
Io e i compagQÌ eravam vecchi e tardi, io6
Quando venimnio a quella foce stretta ,
Ov' Ercole s^nò li suoi riguardi,
Acciocché Tuom più oltre non si metta. 109
Dalla man destra mi lasciai Sibilia ,
Dall'altra già m'avea lasciata Setta.
O frati , dissi , che per centomilia 1 1 1
106 107 eraifom i^ecchi e tardi j'^ Quando svenimmo ec.
Accenna cQ aver consumato mollo tempo girando pel Mediter*
raneo. — foce, imboccatura. -^fre^ta, rapporto alla grandezza
de* mari, tra i quali ammette comunicazione 9 ma però perse
stessa larga miglia piii di dieci . Appellasi oggi Stretto dì Gì*
bilterra .
1 08 1 09 0%^* Ercole ec. 9 ove si dice che Ei^cole segnò li suoi
riguardi^ cioè pTse il segno a' naviganti 9 per lo quale essi aves-
sero riguardo di non procedere piii oltre navigando ; i quali ri-
guardi furono le colonne nomate da lui y che sono due monti ,
uno dalia parte d'Affrica 9 detto AbUa^ e Taltro su quella di
Europa, Calpe appellato, pensando esso che più oltre andar
non si potesse. Daniello. •-►Non usò qui Dante una strana
metafora, come vogliono alcuni Chiosatori , né una 6gura , sic-
come crede la Crusca , ma quel solo termine proprio che ado-
prano i Romagnuoli a nominare i termini che dividono i cam-
pi, e i pali e le colonne che difendono le vie, perchè queste
e quelli essi appellano riguardi* Pbbticari. [aj. <-■
1 1 0 Sibilia j o Sii^iglia , nobile città nelle ultime parti della
Spagna , vicina allo Stretto. Volpi .
Questa navigazione di Ulisse nelV Oceano, con tutto il dì
più che se le aggiunge , se non tro volla Dante scritta da altri ,
potè esso idoneamente fondarla ( avverte il Venturi saggiamen-
te ) su r opinione di Plinio e di Solino , che Ulisse fu fonda-
tore di Lisbona, città littorale di quel mare.
1 1 1 Setta j Septa in latino, oggi Ceuta^ città dell'Affrica so
lo Stretto di Gibilterra .
1 1 'i frati , Catelli . — > milia per mi7/e , dal latino mitlia , voce
[a\ Prop. voi. 'j. P. II. fvc. 3dS.
CANTO XXVI. 573
Perigli siete giunti alF occidente,
A questa tanto piccola vigilia
De vostri sensi , eh' è del rimanente , 1 1 5
Non vogliate negar l'esperienza,
Diretro al Sol, del mondo senza gente.
che si ode in qualche paese d'Italia aiich»a*dì nostri. -* Apresi
questa allocuzione nella stessa guisa di quella che Enea fé* ai
compagni [a] :
O Sociiy ncque enim ignari sumus ante malorum y
O passi grauiora , ec. E. R.
m^ In questa breve orazione di Ulisse ai compagni sentesi quel
franco e maestoso andar virgiliano che al verso suo sa cosi
bene e a proposito imprimere l'Epico latino. Volle il Poeta no-
stro in questo luogo , imitando il maestro suo nell'orazione che
pone in bocca ad Enea , O Sociiy ec, y dimostrarsi non già imi-
tatore, ma degno suo rivale ed emulo; e lo vinse senza dub-
bio, se non in altro , nella nobiltà dei sentimenti . Biagioli. 4-«
I ]3 ali* occidente y e quanto al luogo, perchè in occidente
«;rano( cioè nella occidentale estremità della terra deiremisfei*o
nastro ), e quanto all'età loro, che erano già vecchi , come di
sopi*a disse . Vbllutbjllo.
1 1 4 al w] A questa ec* Costruzione «* Non tagliate a que^
sta tanto picciola vigilia ( tanto corta vita ) de'^uostri sensi y
eh* è ilei rimanente ( che vi rimane: corrisponde alla frase la-
tina qnae dereliquo est)y negar l* esperienza del mondo .re/i»
za gente ( negar la soddisfazione di vedere e toccare il d' uch
mini vuoto terrestre emisfero ) , diretro al Soly intendi, ram-
minando y cioè da oriente in occidente. Notisi che sebben Dante
ignori ciò , che a' suoi tempi non era per anche reso certo, chò
pure nell'emisfero opposto al nostro vi sono uomini, non però
prnsa, com' hanno altri erroneamente pensato, che neppure
vi possono stare ; imperocché dice egli di esservi stato , e di aver
ivi pure trovato monti , piante , fiumi ec. come di qua. m^ del
mondo senza gente y cioè di quella parte che è sotto di noi,
ove non ha alcuna gente . Onde s. Agostino nel xvi. de Cit^i"
tate Dei dice : nimis absurdum est ut dicatur aliquos ho*
mines ex hac illatn parlem y Oceani immensitale traiectay
[a] Vtrg. Jeneìd. i. v, 189. e scgg.
574 INFERNO
Considerate la vostra semenza : 1 1 8
Fatti non foste a viver come bruti ,
Ma per seguir virtute e conoscenza .
Li miei compagni fec4o si acuti, 121
Con questa orazion picciola, al cammino,
Ch* appena poscia gli averci tenuti •
£ volta nostra poppa nel mattino, ia4
De' remi facemmo ali al folle volo,
navigare ac pervenire potuisse , Pibtbo Dijrrfl* Cosi erede-
vasi allora. E. F. — - De* nostri sensi j legge TAnc. E. R.^ e
eh* è di rimanente f il co(L Vat. 8199 e la 3. rom. edizione, ^-a
1 18 vostra semenza j vostra umana origine, vostra umana
natura.
lao m^ Ma per seguir wrtute e conoscenza. Conosoenu
presso gli antichi vale scienza ^ a cuij come dice Dante nel prin-
cipio del Convito, ciascuna cosa da provvidenza di propria
natura incinta è inclinabile , e però tutti naturalmente al
suo desiderio siamo suggetti, E. F. 4-«
121 122 Acuti feci al cammino i miei compagni dice , in
luogo di dire, aguzzai y eccitai, la voglia tie^miei compagni
al divisato eammino.
123 tenuti y la Nidob.; ritenuti ^ 1* altre edizioni, »-» il cod.
Vat. 3 1 99 e la 3, rom ediz. , trovando cosi 1* E. R. maggiore
armonia nel verso. Ma, 0 egli s' inganna ^ o il nostro orecchio
non è un buon giudice. 4-«
1 24 volta nostra poppa nel ( verso [a] ) mattino , vale quan-
to , voltata la prora di nostra nave verso sera , verso occi-
dentCy per tener dietro al Sole, come disse al i^. 117. •-» Ag-
S lungi alla voce mattino un altro valore non osservato, quello
i levante f cioè verso la parte dove nasce il mattino . Mov-
». ib]. «
125 De^remi facemmo ali. Questo è come a dire: i remi
non come remi movemmo j ma come ali velocemente.'^ volo
per corso corrisponde al detto de^ remi facemmo ali . ''folle f
malavventurato: accenna il cattivo esito di quella navigazione*
che è per dire nel fine .
[m] Vedi il Claon. Pariic. ^79. 11. [b] Prop. voi. 3. P. 1. f«c t is.
CANTO XXVI. 575
Sempre acquistando del lato niaociao .
Tutte le stelle già dell* altro polo 137
Vedea la notte, e '1 nostro tanto basso,
Che non surgea di fuor del raarin suolo.
Cinque volte racceso, e tante casso i3o
Lo lume era di sotto dalla Luna,
196 acquistando del lato mancino y verso il polo antarti-
co » il qaale, a chi dal Mediterraneo esce nell'Oceano » resta
a mano mancina y cioè alla sinistra mano, m^ dal latOj legge
l'Ang. £• R. e il Val, 3 199. 4^
127 deltakro poloy antartico •
I a8 Vedea la notte . A quanto veggo y nissuno degli Espo*
sltori né vecchi né moderni prende a considerare queste parole ,
fnorchè il Daniello : dice ( ecco la di lui chiosa ) poeticamente
che la notte i^edea le stelle y come anche disse il Petrarca t
Nò là su sopra il cerchio della Luna
Vide mai tante stelle alcuna notte [a].
Potendo però l'articolo luy posto avanti a' nomi di tem«
pò y valere lo atesso che di o nella y come lo vale in quell'al-
tro del Petrarca ;
oggi ha sett* anni y
Che sospirando vo di riva in riva
La notte ^ e 7 giorno [b] i
potremmo ancora intendere che vedea la notte vaglia quan-
to vedeuio di notte *^^ e 7 nostro y intendi y polo y il polo
artico.
1 29 Che non surgea di fuor , la Nidob. ; ctie non surgeva
/bor, l'altre edizioni, »-»ecoicodd.Ang.eVaL 3i99]a3.rom.
edizione ; 4-« e vuol dire che osservava la stella nostra polare
tempre nell'orizzonte , a fior dell'acqua marina.
i3o i3i Cini/ue volte racceso ec,: cinque volte sieraillu*
minato y ed altrettante volte oscurato l'emisfero della Luna piii
basso y che è quello vólto alla terra , e che noi dalla terra ve-
diamo; eh' è poi in sostanza come a dire eh' erano scorsi già
cinque pleniluni, cinque mesi y da che erano entrati in quel
vasto mare.
[a] Caas. Ijé i. [b] Caos. 7. 5.
576 INFERNO
Poich' entrati eràvam nell'alto passo;
Quando n apparve una montagna^ bruna i33
Per la distanza , e parvemi alta tanto,
Quanto veduta non n'aveva alcuna.
102 neir ulto passo f neiralte acque deirOceaoo • m^altroj
forse anche per errore di copista, legge il VaU 3 igq. 4-«
1 33 1 34 montagna j bruna - Per la distanza : che per ca-
gione della distanza appariva bruna j oscura. •-♦ Quanto è piii
sublime del virgiliano :
Quarto terra die primum se attollere iandetn
Visa y aperire procul montes y oc voli^ere fumum •
Veramente dove i due Poeti s'incontrano, quello c^ da Vir-
gilio in pili lussureggianti pennellate , dal Poeta nostro oonmi
sol ti'atto y eh* assai piìi adopera j si ritrae. Bugiou • —Mdti de-
gli antichi geografa , sulle tracce di Platone e di altri dotd
Greci 9 hanno conosciuta una terra molto a iioi occidentale ,
detta Atlantide y perchè nel mare Atlantico . Di questa tem
può esser che supponga qui Dante che fosse parte questa mon-
tagna , Poggiali* <<-«
Tra i sentimenti varj de' teologi^ intomo al luogo dove
esistesse il terresti*e Paradiso y riferisce Pietro Lonabardo avere
alcuni opinato esse paradisutn longo interiacenle spatio vel
maris 9 yet terrae regionibus quas ineolunt homines secre*
tumy et in alto situni « usque ad iunaì*em circulum pertingen*
tem 4 unde nee aquae diluvii illucpervenerunt \a\ . Pìacialo
essendo al Poeta nostro il pensiero, ha finto in mezzo al terre-
stre emisfero sotto di noi un monte altissimo, attorniato d'<^
intorno da immenso mare, nel quale , oltre di avervi nella cima
coUpcalo, a tenore della pre£sita opinione, il Paradiso terrestrei
vi colloca intorno alle falde anche il Purgatorio. EUl è questa
la moutagua che dice qui veduta da Ulisse, e su della quale
salila esso Dante nella seconda cantica . »-» Quantunque tutti i
Comentatori da noi cons ulta ti concordino nell'opinione qui emes-
sa dalLombardi , ciònon pertanto il sig, Gingnenè asserisce es-
sere questa opinione assai mal fondata, non trovandosi in alcun
luogo della Divina Commedia chiara indicazione che la montagna
scoperta da Ulisse sia precisamente quella del Purgatorio. «-•
[a] iVr/i/. ViK t. di>t. 1 7,
CANTO XXVI. 577
Noi ci allegrammo , e tosto tornò in pianto ; 1 36
Che dalla nuova terra un turbo nacque,
E percosse del legno il primo canto.
Tre volte il fé' girar con tutte Tacque; i^Jg
Alla quarta levar la poppa in suso ,
E la prora ire in giù coni'ahrui piacque,
Infin che '1 mar fu sopra noi richiuso •
1 36 ci allegrammo , della nuoYa scoperta . - e tosto .* ha qui
la particella e la (orza stessa dì ma . Vedine altri esempj pi*esso
i 1 Ciaonio [a]. -* tornò InpìantOy ellissi, supplisci, rallegro zza.
i3y t38 modella invece di dalla y legge il Vat. 3199. 4-«
un turbo f un burrascoso vento, m-^ trombo jhB TAng., e forse
sarà parola romanesca. E. R.4-« il printo canto del legno y la
parte anteriore, la prora ^ della na\e.
iSg 1/, pronome, vale esso legno. — con tutte P acquei la
voce tutte non istà qai che per riempitiva ; come in quelle pa-
role del Boccaccio : incontanente il letto con tutto Messer 7b-
rello fu tolto via \b\ \ e vuole dire, che il prefato turbine creò
in quelFacque un vorticoso moto che aggirò tre volte la nave
seco, imitando quel Virgiliano [e]:
ast illam terfluctus ibidem
Torquet agens circum , et rapidus vorat aequore vortex .
1 4o 1 4 1 jilla quarta levar ec. Reggesi questo e il seguente
>erso dal verbo fendei verso precedente, come scritto fosse :
alla quarta volta fe^ levar la poppa in susoy e la prora ire
in giù . - com*altrui piacque , a Dio : ma ne tace il nome, per-
chè cosi richiede il carattere di chi parla . Vbhtubi. m^ Sem-
bra agli Editori della E. B., che queste parole sieno mosse da
un certo sentimento di dolore del non avere egli , mentre vis-
se y conosciuto e venerato il vero Dio , il cui nome non osa pei^
ciò di proferire in questo luogo . ^-m
[a] Puriie, loo. i9. [b] Gioni. 10. Nov. g. [e] AeneìH. i. 1 16. e S8g.
/'o/. /. ó
7
CANTO XXVII.
<>c*
ARGOMENTO
Trattando il Poeta nel presente canto della medesima
pena^ segue, che si volse a un Mira fiamma y nella
quale era il conte Guido da Montefeltro, il quale
gli racconta chi egli è, e perchè a quella pena è
condannato «
ijrià era dritta in su la fiamma e quela, i
Per Qon dir più, e già da noi sea già
Con la licenza del dolce Poeta :
Quando un'altra, che dietro a lei venia, 4
Ne fece volger gli occhi alla sua cima ,
Per un confuso suon che fuor n'uscia.
Come '1 bue cicìlian , che mugghiò prima y
Col pianto di colui, e ciò fu dritto,
1 Già era dritta in su j e queta , cioè non più sì piegava ,
né si moveva y come fatto aveva mentre Ulisse parlava. Vedi
il V. 88 del passato canto- a^^in su la fiamma queta^ il co*
dice Ang. E. R. 4-«
2 m^ Per non dir più , perchè non diceva, non parlava pìii.
BlAG10LI.4-«
3 con la licenza del dolce Poeta j di Vii^ilio, che prima
l'aveva eccitato a parlare, canto preced. v. 83., e che detto ave-
va a quella fiamma: issa ten va^ più non t^adizzo , come si
suppone qui appresso, i^. ai,
7 al 9 »-► Sempre sorprende Dante il lettore colla novità e
pi*oprìetà delle similitudini , p'oduceodo colle piii semplici im«
CANTO XXVII. 579
Che Tavea temperato con sua lima,
Mugghiava con la voce dell'afflitto 10
Si, che, eoa tutto eh' e' fosse di rame,
Pure el pareva dal dolor trafitto ;
Cosi , per non aver via uè forame 1 3
Dal priocìpio nel fuoco , in suo linguaggio
Si coQvertivan le parole grame.
mAgini e più naturali V effetto stesso che altri per le più straor-
dinarie cercano invano di produrre. Biagioli. 4-« 7 bue cici'
lian 9 il toro di bronzo costruito da Perillo ingegnere Ateniese,
e regalato a Falaride tiranno di Sicilia ( detta dagli antichi To-
scani Cicilia ) 9 acciò > tra i varj gusti che prende vasi costui nel
tormentare gli uomini , avesse quello pure di udire quel toro
muggire a forza di strida d'uomini che vi facesse dentro vivi
abbruciare . Ma mugghiò prima j la prima volta , col pianto di
Perillo stesso, cou cui volle Falaride fare la prima esperienza.
— e dò fu dritto j fu giusta ricompensa a si perverso inveii^
tore* — temperato con sua lima vale quanto, preparato coll^
sue mani f o lavorato co* suoi ferri ,
■ 4 i5 Dal principio nel fuoco jl^LÌiidoheaiìnA; Dalprìn^
cipio del fuoco , l'altre edizioni : ma questa seconda lezione ha
sempre intorbidata la costruzione talmente, che o hanno gli
Espositori schivato di presentarcela , o vi sono riusciti mala-
mente , capendo che dal principio valesse come dalla cagione ,
o simil cosa, e che il principio stesso del fuoco fosse quello
che convertisse in suo linguaggio le parole . Mai no . Ciò che
il Poeta siegue a dire : Ma poscia àCeoher ec. y dà chiai*amente
a conoscere che dal principio vale qui lo stesso che da prima ,
da principio [al , ea argomenta la necessità di leggersi nelfuo-*
co, e non del fuoco , e di farsene la costruzione nel seguente
modo : Così le parole grame ( epiteto traslato dalla persona al-
l'azione ) dal principio , per non aver nel fuoco via né fo*
rame ( intendi onde uscirne ) , si convertivano in linguaggio
suo f cioè dello stesso fuoco ; non distinguendosi dal mormorio
che fa la fiamma , cui vento affatica •VeggAnsì in maggior prova
i versi 83. e segg. del precedente cauto, e 58. e segg. del pre«
n Dell'uguaglianza delle due paflieelle da t dai vedi ilCìnon. cap. 7. o.u
58o INFERNO
Ma poscia eh' ebber colto lor viaggio 1 6
Su per la punta, dandole quel guizzo,
Che dato avea la lingua in lor passaggio,
Udimmo dire: o tu, a cui io drizzo ig
La voce , e che parlavi mo Lombardo ,
Dicendo: issa ten va, più non t'adizzoj
sente. •-►Ma il Biagioli sostiene che si debba leggere del fuo-
coj e spiega: così le parole grame y per non at^er dal princi-
pio (non avendo da principio che proferi vansi dairanima chiusa
in quel fuoco) via , né forame per uscire del fuoco , si com^er*
listano in suo linguaggio <, cioè nel linguaggio del fuoco, che
è quel mormorare che ra la fiamma che il vento affatica. L*E.R.
sta qui col Biagioli. L* una e l'altra lesione j a pai-er nostro,
può stare e sostenersi del pari. Il Vat* 3 199 legge però conia
comune, del fuoco .^^^
16 colto lor maggio j preso il loro andamento.
f7 punta j della namma. -^ guizzo ^ vibrazione.
1 8 in lor passaggio j nelF uscir dalle labbra di chi dentro
della fiamma parlava.
r9 al ai o tUf a cui ec. Bichiede il buon ordine di parlans
che avanti di dire a cui io drizzo la voce , specificasse questo
nuovo spirito a chi la dirigesse; e però dee essere la costm-
EÌone: o tUj cheparlaui mo Lombardo y dicendo ec^ e a cui
io drizzo la uoce. Ripete questo spirito le sole ultime parole
dette da Virgilio nel licenziare i due spiriti precedenti , ni»u
come un saggio di parlare diverso dal primo 9 e propriamente
lombardo y nella guisa che mostrano d'intendei*e il Landino,
il Vellutello ed altri fino ai piii moderni, ma come le sole pa-
role da esso lui intese, perocché sopraggiunto allora di fresco,
e nell'atto appunto in cui licenziava Vir^iogli altri due spi*
riti. La voce issay ch*è la sola che potrwbe patire dell' ecce-
zione, dee, come disopra [a] si èducorso, riputarsi voce to-
scana ; e Lombardo a que* tempi , secondo l' uso francese , pr»-
ticato dal Poeta nostro medesimo [&] e dal Boccaccio [cj, sigiiH
fica va talvolta ugualmente che Italiano , com*ò qui di mestieri
[à] lof. Kxiii. 7. [h] Parg. xvf. 46. e 196. fc] Veili \ Deputati alla cci-
reiione del Boccaccio, num. Sn.c 464*
CANTO XXVII. 58i
Perch'io sia giunto forse alquanto tardo, 21
Non t' incresca ristare a parlar meco:
Vedi elle non incresce a me , ed ardo .
Se tu pur mó in questo mondo cieco a5
Caduto se di quelb dolce terra
Latina 9 onde mia colpa tutta reco;
che signi6chi. — issa^ come altrove [a] Dante medesimo ne
fa capire , vale lo stesso che adesso , mo , e simili • »-► istroy
legge TAng. E. R. e il Val. 3199. •«-• Cadizzo^ I<^ggc J*
Nidobeatina; € aizzo , 1* altre edizioni. Il verbo però adizza-
re j ohre d'essere ugualmente buono che aizzare ^ ha il van-
taggio di avvicinarsi più ad attizzare ^ che, secondo il Vocab.
della Gr.y dicesi propriamente del fuoco. »-^ Ma aizzo leg-
gono pure i codd. Ang. e Vat. 3199, e con essi la 3. rom.
edizione . 4-« Quindi issa Zen ^a^più non t"* adi zzo vale or
trattene j più non ti eccito, non ti stimolo .
ulÌ Non ti rincresca stare , la Nidobeatina ; non t'* incresca
restare j 1* altre edizioni: ma leggendosi incresce anche nel se-
guente verso , serve la Nidobeatina a qualche svario. »^ JVon
i* incresca ristare legge la 3. rom. edizione, coli* autorità dei
codd . Ang. e Vat • 3 1 99 ; sembrando questa ali* E . R . bella e
propria maniera di dire. — Preferiamo noi pure questa lezione
alla Nidob. e perchò la troviamo piii elegante e gentile, e per-
chè la ripetizione del verbo increscere ci sembra naturalissima
e<l ana di quelle che sono tanto comuni al Poeta nostro . ^-h»
2^ ed ardo: la particella e vale qui lo stesso che e pure ,
come r^^ appresso i Latini vale talvolta lo stesso che et ta^
m^n [6] ; e dee questa significazione aggiungersi a quell'altre
molte che della particella medesima ha segnate il Cinonio \c\.
a5 pur mOf solamente adesso. — cieco buio , senza luce ,
per abusione y detta grecamente catacresi,
a6 37 terra - Latina , la parte , cioè il Lazio , •^ oggi Cam-
pagna di Roma , 4-a per Italia tutta; e dolce, cioè cara , Tap-
pella, perocché sua patria; m^ o, come vuole il Biagioli, pel
c-onfronto attuale di questo col soggiorno della terra latina ,
ftf 1 Nel precit. canto xxiti. 7. della presente ciifitica. [b] Tursel. Par-
gtc^ Et S9. edic. di Padova 1715. \c\ Partic, cap. 100.
584 INFERNO
Sì, che Cervia ricuopr^ co' suoi vanni.
La terra , che fe'già la lunga prova, 4^
£ di Franceschi sanguinoso mucchio ^
Sotto le branche verdi si ritrova:
come Io è pure nella edizione di Livorno 1807 del sig. Pog-
giali f e nella moderna bolognese del Macchiavelli . Scambian-
dosi cosi l'articolo /a in avverbio di luogo, bisogna intendere:
làj cioè in Ravenna, sico\fa<, si sta covando, otien suo nido,
laquila da Polenta, Ma la comune interpretazione è forse da
preferirsi . ♦hi
4 3 «Sì, in maniera, che Canna, altra città dodici sole mi-
glia da Ravenna discosta, ricuopre co* suoi vanni , colle sue
ali, ricuopre y tiene essa pure sotto di sé . -> co*suoi %^annij legge
la Nidobeatina ; coi suoi , Taltre edizioni : Taccorciamento pe-
rò , di cui altrove la Nidobeatina suol essere nemica, serve qui
a togliere la vicinanza di due oi*
^S 44 ^ terra j intende Forlì, città di Romagna. — - che
fé" già la lunga prova j che sostenne il lungo assedio dalPeser-
cito composto la maggior parte di truppe francesi, sotto il co-
mando di M. di Pa (ae jipia diconlo altri), mandato da Mar-
tino IV. contro del nominato conte Guido di Montefeltro, che
aveva (juella città e molti altri luoghi di Romagna oocnpa-
lo \a\.^ E di Franceschi sanguinoso mucchio, per esser in
(]ueiresei*cito, composto, com'è detto, la maggior parte di
Francesi (appellati anticamente anche Franceschi) , rimaso ,
per astuzia e valore del prefato conte, afiatto sconfitto. a-^U
conte G^ido colle sue brave milizie soccorse Forlì nel 1281.
Dui*ò l'assedio circa un anno. Fu presa una porta della città
dai Francesi, per cui v'introdussero parte delle loro truppe.
Ma verso la metà di maggio del 1282 il valoroso conte Guido
sorprese gli assedianti, gl'impegno ad un terribile combatti-
mento, in cui più di 2000 Papalini e Francesi vi lasciarou la
vita, e Forlì fu liberata. — Su questo fatto vedi Gio. Villani,
Stor. libro vii. e. 80. 4-«
45 Sotto le branche verdi dice per sineddoche , invece di
dire, Sotto il leon verde, impresa degli OrdeJaffi, padroni al-
lora^ di Forlì . «-►Tenne il dominio di questa Piazza, importante
in que' tempi, la Casa di Montefeltro dal 12182 sino alla fine
[a] Ptolem Ltic. Annal. au. \%òi.
CANTO XXVII. 585
E 1 mastio vecchio e 'i nuovo da Verracchio , 4(>
Che fecer di Moatagua il mal governo,
Là j dove soglioo , fan de' denti sncchio ,
La città di Lamone e di Santerao 49
Conduce il leoncel dal nido bianco,
Che mota parte dalla state al verno:
del lagSy epoca dell' iaeresso in Religione del conte Guido.
Passò quindi in potere di Scarpetta degli OrdelaiE , i cui di*
scendenti vi dominarono per molto tempo dopo. Questi Oixle*
laffi erano oriundi della nobilissima patrizia fiimiglia Falieiti
di Venezia. Poooiali.4-«
4(> E V fnastin %fecchio e 7 nuo^^oc intende pel mastin uec^
chio e nuo\fo Malatesta padre e Malatesta suo figlio , Signori
di Arimino, chiamati mastini perchè tiranneggiavano e dilania*
vano con crudeltà da mastino i loro sudditi, ^^da Verrucchio*
Questo è un castello che gli ariminesi donarono al primo Ma«
latesta ; onde, benché la sua origine fosse dalla Penna de Bill! »
nondimeno furono denominati da Veirucchio. Lahsuio.
4/ Che fecer di Montagna ec.y che fecero crudelmente mo-
rire Montagna, cavaliere Ariminese a-Klella nobilissima famiglia
de*Parcisati, e capo della fazione ghibellina , da loro odiata.^-*
4^ Làj dove soglion ^ fan ec. Far de' denti succhio f suc-
chiello, trivello, vale forare condenti. Dice adunque Guido die
i Malatcsti (già appellati mastini) proseguivano co* canini loro
denti a lacerare là dove erano soliti, cioè nelle teiTe a loro
soggette •
49 al 5i La città di Lamone ec. Costruzione: // leoncel
did nido bianco (cioè colui che ha per impresa un leone in
campo bianco, Mainai*do , o come scrivon altri y MachinardoPa*
gani ) , che dalla stale al verno nmta parte (che spesso muta
casacca , conforme gli toma il conto, ora alla parie de'Csuel fi,
ora de* Ghibellini. Vertubi ); conduce j regge, la città diLa^
mone (la città, presso alia quale scorre il imme Lamone, cioè
Faenza) e di Santerno, Imola, situata sul fiume Santemo.
•-^ Dice il Boccaccio che questo Mainardo Pagani fu del po-
doiv di Snsinana, che è nell'Alpi ; che fu savissimo , nemico dét
Pastori di Santa Chiesa , ed era Guelfo in Toscana , e Ghibellino
in Uomagna. Concordano col Boccaccio l'Anonimo e PieCiodi
586 INFERNO
£ quella , a cui il Savio bagna il fianco, 5a
Cosi com'ella sie'tra 1 piano e 'i monte,
Tra tirannìa si vive e stato franco.
Ora chi se' ti priego che ne conte; 55
Non esser duro più eh* altri sia stato.
Se il nome tuo nel mondo tegna fronte .
Dante. Vedi ancora Giovanni Villani Star, libro yiii. c. i^'i.
— Le città j con un cod. della Vaticana, legge TE. R. per io->
gliere ogni anfibologia.-^oXjBL il leoncel in caso retto. TosBiLt.
«— Notisi che dice di costni il leoncello j e non il leone jB. di-
mostrare che il tiranno , di cui si parla , ha ben la ferità di que-
sto animale, ma non le forze, e che però muta spesso parte ,
mettendosi col più forte ; circostanza che non lascia sfuggire il
Poeta a dimosti*are V orribile disprezzo di questo personaggio.
BiAGioLi . '^leoncel non è qui diminutivo di leone, animai noto,
come segna la Crusca , ma figuratamente detto per impresa o
stemma di Machinardo Pagani, tiranno dimola e di Faenza.
MoHTi [a].'<Hi
52 al 55 £* quella j ec. Cesena, appresso della quale scorre
il fiume Savio, e la qual sola in que' tempi viveva in libertà «
avvegnaché alcuna volta da qualche suo privato cittadino fosse
oppressa d'alcuna tirannia ; onde dice che cotn^ella sié* (sie*
per siede ^ come comunemente usasi ifce'per diede), com'è il
di lei sito materiale , tra 7 piano ^ 7 monte , cioè parte jnana
e parte montuosa , così fosse eziandio la sua politica situazioDe
ti*a libertà e tirannia ( eh' è ciò che vuol dire stato franco )•
th*' Curiosa è la lezione del cod. Ang., in stato franco ^ e po-
ti'ebb'essere una graziosa ironia. E-K.4^ Ora chi sé* ec. Con-
tinua a parlar Dante.
56 »-► durOf cioè inflessibile , non pieghevole alla pr^hiera
che ti fo, ec. ■«-a
Sy «Sei |)articel]a qui deprecativa come il sic de^ Latini (vedi
Inf. XVI. 64* e Purg. xxti. 6i .) ; onde Se il nome tuo nel mondo
tegna fronte vale quanto se fosse detto , cosi duri nel mondo
il nome tuo. - tenga , faccia, fronte j contrasto all'obbliviooe.
»-► al mondo , il cod. Ang. E. R. 4-c
[a] Prop, voi. 3. P. I. fac. 35.eseg.
CANTO XXVII. 587
Poscia che 1 fàoco alquanto ebbe rugghiato 58
Al modo suo, Taguta punta mosse
Di qua^ di là, e poi die' cotal liato:
S' io credessi che mia risposta fosse 6 1
A persona , che mai tornasse al mondo ,
Questa fiamma staria senza più scosse:
Ma perciocché giammai di questo fondo 64
Non tornò vivo alcun, s' V odo il vero,
Senza tema d'in£imia ti rispondo,
58 al 60 rugghiato - jil modo suo^ fatto il solito mormo-
rio, detto già nel preced. canto, verso 85. e segg., e nel pre*
sente canto, verso i4* e i5. "Taguta punta mosse ec, pur
come ne' rammentati luoghi si è divisato. »-» Quest'idea è pia*
cinta assai al Poeta, poiché per la tersa volta e con si belle
espressioni la riproduce. Bugioli.^-s
6 1 al 63 •-♦ E grazioso assai (piesto modo di accennar le
cose per uno degli accidenti loro, pel quale le piìi triviali pi-
glian cert'arìa di novità che sorprende. Ma vuoisi avere perciò
e gran giudicio e somma perspicacità. Biaoioli.4-« mai tornasse ^
fosse una volta per tornare. — Questa fiamma ec*i non darei
con altre parole mossa a questa fiamma , non risponderei alla
tua dimanda.
65 Non tornò uiuo alcun ^ la Nidobeatina; Non ritornò mi»
cuny l'altre edizioni «-^e il Vat. 3f9Q.«-« Tornar piuo signi*
6ca qui lo stesso che ritornare al mondo. •-» Non piace al Bia-
gioii questa variante della Nidob. , rimproverando al Lombardi
di aver guastato il verso per non essersi accorto della ellissi
della frase non ritornò alcun y che è la stessa che quella del
%f. 62., the mai tornasse al mondo* Anche TE. A. nella 3. edis.,
sull'autorità de'codd. Ang. e Vat. 3 199, ha restituita l'antica
e comune lezione, Non ritornò idcun ec., che noi noasegoiar
mo, non trovando necessario il cambiamento . ^-s
G^ Senza tema d*inf amia. Comhinando questo col i^. 5y*ySe
il nome tuo ec, scoiasi inteso dal Poeta che quanto desidera*
no costoro che duri nel mondo la di loro fama , altrettanto bra*
mano che non risappiasi il loro gastigo, come quello che pre»
elude la via a giustificare quanto essi in vita operarono.
588 INFERNO
Ffui uom d'arme, e po' fai cordigliero, 67
Credendomi sì cinto fare ammenda :
£ certo il creder mio veniva intero,
Se non fosse il gran Prete , a cui mal prenda , 70
Che mi rimise nelle prime colpe:
E come e qnare voglio che m' intenda .
Mentre cfai'io forma fui d'ossa e di polpe, 73
Che la madre mi die' , l' opere mie
Non furon leonine, ma di volpe.
67 rfui uom tTarmef e po' fui ^ ^^gS^ ^^ Nidobeatina ; F
fui uom d^arme y e poi fu* , l'altre edizioni m-^e il Yat. 3 1 99.«-a
cordigliero 9 frate francescano , così in Francia addimamlato
per la corda che cinge.
68 •-» Credendomi ec.f cioò credendo fai* ammenda delle
mie colpe coli' andar cinto cosi. Bugiom. «-«
69 yeniì^ intero ^ ferain^emya^ oapyenuio sarebbe , inle^
ramente, »-^Bel modo del dir toscano » che imitò il Boccaccio
cosi: e certo il suo desiderio gli veniva intero* fiiAoiou.^-a
70 il gran Prete ^ Papa Bonifazio Vili. Di questo Papa par-
lasi male anche nelle rime attribuite al B. lacopone da Todi,
-a cui mal prenda , a cui intra vvegna ogni male : imprecazione.
th^Se non fosse ec. Nota fosse per fosse stato , e prendere
per allenire y incogliere : perchè altro è , che mal prenda y co-
me disse il Ghiabrera: che inai prenda i Cervieri ^ ed altro,
a cui mal prenda y come qui. Tobblli**«-«
7 1 9h¥ Che mi rimise ec. Che m'impegnò di nuOYO in quei
politici peccaminosi raggiri , ai quali io fui dedito da secolare.
Poggiali. 4-«
73 •-♦ £* come ec. Circa al come e al perchè di questo mìo
richiamo alle pristine frodi desidero che tu ben m^intenda. Pog*
GijiLi.4-« quare y Toce latina che significa /^ercAèi e ch'è tuttora
tra i Toscani in uso. VEirTUHi. Vedi però anche la nota del
Volpi al canto i. p* 65. della presente cantica.
73 al 75 9h^ Questi versi , con tutto il rimanente della par-
lata di quest'anima y sono stati tradotti da Voltaire in modo che
non poteva meglio quel grand' ingegno dimostrare la sua poca
dottrina del nostro poetico linguaggio «Ma Alfieri 9 miglior giu«
CANTO XXVII. 58o
Gli accorgimeaii e le coperte vie 76
Io seppi tutte, e si menai lor arte,
Ch'ai fine della terra il suono nscie.
Quando mi vidi giunto in quella parte 79
Di mia età, dove dascun dovrebÌ3e
Calar le vele , e raccoglier le sarte ,
Ciò, che pria mi piaceva, allor mainerebbe; 8 a
E pentuto, e confesso mi rendei,
dice di lui , ha notato di onesto passo quasi i due terzi t e non
è stato troppo largo. Qui discuopre cbi na ingegno più bellezze
di natura e d'arte ch'altri non potrebbesi immaginare, le quali '
consistono in quella squisitezza del dir naturale» in quel can*
dorè di stile i nelle forme e modi piii eleganti, nel rivestir i
sentimenti pili umili sotto forme si pellegrine e sì \aghe ; nella
novità delle sentenze , e ad ora ad ora in quei fervidi ti*atti che ,
quanto meno preveduti, tanto pìii^colpiscono, e fan durevoli
le impressioni. Ora di tuUi questi pregj spogliato ha iltradut-
toi*e r originale 9 non già per malizia, com' altri forse potreb*
besi figurare , ma per ignoranza della lingua , e per quelta folle
vanità di voler tutto sapere . Biagioli . 4-« Mentre eh io anima ,
forma fui d*ossa e di polpe forma fui del corpo, animai il
corpo. — Che la madre mi die\* accenna che i genitori non
danno altro che il corpo , e T anima la dà immediatamente Iddio.
»-»Quiper/a madre Biagioli intende la natura. «-« Nonfuron
leonine ec: non adoprai tanto colla forza, quanto coir astuzia e
fi*ode . Forse allude (dice bene il Venturi ) a quel detto di Cice-
rone de Off'. Vis leonis videtur^ fraus quasi yulpeculae*
76 m^ Crii accorgimenti vale le furberie, le coperte »/ie,
cioè le finzioni . Poogiali . 4-«
77 menai lor arte^ esercitai. Volpi.
78 al fine della terra ec. , per tutto il mondo , fino alle piii
remote parti, la fama dell'astuto mio pensare si estese .
79 air 81 Quando mi vidiec. vale quanto se detto avesse:
quando fui giunto alla vecchiaia , età in cui V uomo dovrebbe
non pili al mondo pensare, ma all' eternità; e bene, come il
mondo si agguaglia a un burrascoso mare, esprimesi dal Poeta
l'abbandono del mondo col calare delle vele e raccogliere le
sarte ( i cordaggi ) , che fa chi vuole dalla navigazione cessare.
$9^ INFERNO
Ahi miser lasso ! e giovato sarebbe .
Lo Principe de' nuovi Farisei , 85
Avendo guerra presso a Laterano,
E non co' Saracin , né con Giudei ;
Che ciascun suo nimico era Cristiano, 88
E nessuno era stato a vincer Acri,
Né mercatante in terra di Soldano;
84 e giocato sarebbe ^ avrebbemi salvato dall' Inferno.
85 Lo Principe ec, ( si tace^ e dee intendersi precedere a
queste parole UQ^efio/urÀè, odaltra simile avversati va particella)
fionifazio Vili-* Farisei nuoui cbiama Dante i Prelati viziosi
de*suoi tempi. Volpi . Viziosi essendo i Prelati della Santa Chie-
sa, bene loro sta il nome di nuoi^i farisei y pei*occhè appunto,
secondo Tav viso di Gesii Cristo : super cathedreun Alojrsi se
derunt scribae etPharisaeiy guaecunu/ue dixerint %H>bis ser^
vate et facile \ secundum opera uero eorum notile facere[a].
86 presso a Laterano y con i Colonnesi , i quali abitavano
io Roma appresso a s. Giovanni Laterano. Landivo.
87 E non co* (cosi la Nidobeatina ; E non con, l'altre ediz.)
Saracin ec.y contro de' quali altri buoni Papi invece si ado-
prarono.
88 Che vale qui perocché. Sì questo che i due seguenti
versi sono una interiezione.
89 90 nessuno ec. , nessuno de* suoi nemici era dì coloro
che , rinegata avendo la fede cristiana, eransi uniti ai Saraceni
ad espugnar ^m, appellata altrimenti Toleniaide jAose piùdj
settautaraila Cristiani , tra maschi e femmine , furono uccisi : e
nessuno era di quegl' iniqui mercanti cristiani che per avidità
di danaro avevano recato ai Saraceni medesimi provvisioni di
ogni sorta..— in terra di Saldano y negli stati del Soldano.
Vedi Inf. V. ^. 60. Della particella di per del vedi Cinon. [AJ.
>-^ Non vedendo il Biagioli perchè il Poeta possa aver dett«
di Soldano invece del Saldano , pensa che abbia adoperato
questo vocabolo Soldano ( Signore ) in senso generico a sig^i-
beare ogni qua luiique paese infedele, i? fd m'inganno y die 'egli «
intendasi come gli altri , cioè negli stati del Saldano • ♦-«
> [a] Mait'i. %\ 3. [b] Partic 80. 7,
CANTO XXVII. 5iji
Né sommo nficio, né ordiui sacri gì
Guardò in sé, né io me quei capestro,
Che solea far i suoi cinti più macri .
Ma , come Gostantin chiese Silvestro q4
Dentro Siratti a guarir delia lebbre,
91 al 93 Nò sommo u/leioj ec. Non ebbe riguardo né alla
suprema dignità di Pastore e di sacerdote > ch'era in esso lui,
né all'istituto da me professato, inteso pel capestro y cioè pel
francescano cordone .-Cfte solea far i (così la Nidobeatina,
e /i l'altre edizioni) suoi cinti ( «-^cioò i frati, i quali di quel
cordone si cingono. E. B.^-s ) più macri, piii magri , piii este-
nuati dalle penitenze, che non li £1 di presente, essendosi il
rigore della penitenza mitigato.
94 Costantino j il Magno. -iSi/t^e^tro, san Silvestro Papa.
95 Dentro Siratti y nascosto nelle caverne del monte Siratti
per cagione della persecuzione de'Cristiani che fiicevasi . Sora*
ctes appellasi dai Latini esso monte i ed al presente denomi-
nasi dal vicino luogo Monte sant* Oreste [a] a-^una giornata
distante da Roma verso Loreto «-v della lebbre ^ così la Nido-
beatina con tutte l'altre antiche edizioni ; nò altro incomodo
apporta questa lezione , se non d* intendere che la rima costrin-
gesse Dante a valersi dell'antitesi, mutando l'a in e, come al-
trove , per cagion d'esempio , mutò Ve in a , dicendo orizzonta
per orizzonte [6] . Agli Accademici della Crusca è nondimeno
piaciuto di leggere delle lebbre ^ eccone la loro ragione, u^^
biamo rimesso delle lebbre solo con Vautorità di due testi
(tra i piii di novanta che confrontarono), perciocché si sfor^
zava il Poeta per la rima a fare una manifestissima discor^
danza. E benché Puso oggi in un uomo solo non dicesse gua-
rir delle lebbre, Puso di quel tempo, non pur nel i^erso^ma
eziandio nella prosa lo confortò. Fra Simon da Cascia
sopra i Vangeli y il quale scrisse ne^ tempi del Poeta y dice
così e sono certo y ch*egli stenderebbe la mano, e si ci toc^
cherebbe dicendo i P^oglio sie mondato y e le nostre lebbi*e
subito sarebbon sanate, modelle lebbre y come laCr., legge
il Vat. 3199.4-C
Se però gli antichi esempj sono tutti di questa fatta (sia
[a] Baudraud ad Lexic geogr. Ferrar ii» [b] Inf. xi. 1 1 3.
ign INFERNO
Cosi mi chiese questi per maestro
A guarir della sua superba febbre . 97
Domaadommi consiglio, ed io tacetti^
Perchè le sue paróle parver ebbre.
detto con tutto il rispetto) , non provano nulla. Imperocché noo
parla ivi Fra Simone della lebbra d'un nom solo, come parla
Dante» ma delle lebbre di tutti i peccatori 9 che son molte e va-
rie. He^jFìoretti di 8. Francesco , scritti pure del medesimo
tempo f ove parlasi di un solo lebbroso guarito dal Santo, non
mai si dice né le lebbre , né dMe lebbre , ma la lebbra , dUUla
lebbra [a\. •-» Veggasi quanto sopra di questa voce, a difesa
della lezione e chiosa del nostro Lombardi, ha notato egregia-
mente il cav. Monti [&]. 4-«
Circa poi alla verità del fatto che Dante suppone, del bat-
tesimo cioè e guarigione della lebbra da Costantino per s. Sil-
vestro ottenuta , veggasi , tra gli altri, Emanuel Schelstrate[cJ;
e veggasi che non tutti gli eruditi consentono a riputarlo , co*
me spaccia il Venturi, più tosto f angola . »-► Sebbene aia c^-
gidi certo presso tutti gli eruditi , che Costantino ricevesse il
battesimo alla fine della sua vita nel 33^ in una sua villa presso
Nicomedia per mano di Eusebio, di essa città Vescovo," Dante
ciò non per tanto ne fa qui far menzione a Guido , come se
detto battesimo fosse stato, conforme Topinione de' suoi tem-
pi , dato a Costantino in Roma dal Papa s. Silvestro nel ia4.
Poggiali, ^-m
96 m^Così questi mi ddese, l^ge l'Ang. E. R.4-«
97 superba febbre dee aver detto invece di superbo sdc
gno , forse avuto mira a quel febris nostra iracundia est dì
s. Ambrogio [d] ; o forse prendendo febbre per male in ge-
nere, dice superba febbre invece di superbo morbo* m^su"
perba febbre j sublime espressione della passion di queiranì-
mo , da desiderio di vendetta e da superbia egualmente infiam-
mato. BlAGlOLI. 4-«
98 m-¥ed io tacetti. Bello è questo silenzio, dalla sorpresa
di sifiktta domanda e da giusto ribrezzo prodotto. Biaoiou-«-«
99 ebbre appella le parole di Bonifazio , perocché irragio-
nevoli, come appunto sono quelle degli ubbriachi.
[a] Vedi il cap. ai. [b] Prop, voi* 3* P. i. fac. s6. e seg. [e] AhUquè.
las itluòtrala , diss. 3. cap. 6. [d] Lib. 4* ù& c'P* 4* Lueac,
CANTO XXVII. 5yJ
E poi mi disse : tuo cuor dod 6os})euì ; i oc
Fiuor t'assolvo, e tu m'iosegua fare
Si come Pellestrino iu terra getti •
Lo Giel poss'io serrare, e disserrare^ io3
Come tu sai; però son due le chiavi,
Che 1 mio antecessor non ebbe ciré.
AUor mi pinser gli argomenti gravi 1 06
100 »^ ridisse vale come ripigliò. Cosi colla Nidob. leg*
geya e chiosava il Lombardi; e mi disse , leggiamo noi col
VaL 31999 colla Crusca, con tutte le antiche edizioni, e colle
moderne romana e bolognese . E siam d avviso che queste sia
la vera lezione , e perchè meglio ed a prima vista s'intende
chi sia la persona che ripiglia il discorso , e perchè il verbo ri«
direj propriamente parlando, non sij?nifica ripigliare il di-
scorso, ma si bene ripeterne uno già fatto. 4-«
loi mUnsegnafìa. Nidobeatina; mUnsegf^iy Tal tre edizio-
ni; •-►e mHnsegnej il Vat. 3199. 4-«
I o^ Pellestrino , per la maggior somiglianza all'odierno uo-
me di Pulestrina , scelgo di leggere colla Nidobeatina , ove
l'altre ediz. leggono Penej^rmo , »-^e cosi l'È. R. nella 3. eoi
codd. Gaet. e Vat. 3 199; -* e a dir vero s'accorda meglio c(»l-
l'antico suo nome Praeneste * «-« Pilestrìno legge Gio. Vil-
lani, Cron» Hb. 8. e. 20.; e Pinestrino Paolino Pieri, Cron.
an. 1298. L'odierna Palestrìna però non ha dell'antica se non
il nome medesimo , essendo , dopo la distruzione di quella ,
stata questa in luogo dal primiero diverso fabbricata.
Avendo Bonitazio scacciati i Ciolonnesi da Roma, e tolto
loro piii luoghi e castella, rimaneva loro solamente Preneste ,
terra fortissima (in Campagna di Roma), la quale non avendo
mai Bonifazio per lungo assedio potuta ottenere , si dispose
averla con frode. Dahibllo.
I o4 B^però son due ec. Forse però ha qui forza di peroc^
che. ToBEUii.«-«
io5 mio antecessor y s. Pier Celestino. — non ebbe care ,
perciocché rìnnnzioUe [a] .
106 107 argomenti gradii pravi starebbe meglio detto; e
[a] Vedi ciò ch*é detto al canto 111. v, 59.
^o/. /. 38
594 INFERNO
Là Ve '1 tacer mi fu avviso il peggio,
£ dissi: Padre, da che tu mi lavi
Di quel peccato, ov'io mo cader degglo, 109
Lunga promessa cou F attender corto
Ti farà trionfar nell'alto seggio.
chi sa che da' copiatori non sia stata mutata la^ in g. Gnwi^
(lice il Daniello , perchè di tanto e sìgraue uomo. Ma se Guido
gli ebbe per tali veramente, come divcnn'egli innanzi a Dio
colpevole nel l' ubbidire ? Spiegando questi due versi il Lan-
dino e il Vellutello, Le argumentazioni ^ dicono, di Boni-
fazio pinseroet indussero costui a dargli il fraudolenie con-
sigiio t temendo altramente di far peggio f perdiè ai^ria mo^
strato dubitar della sua autorità^ e che Volgesse come eretico
potuto punire* Secondo questa interpretazione potrd>beisi da
Guido appellar cotali argomenti gratti per le gravi coasegueih'
zc che da essi traeva. — mi pinser là W 7 (sinalefa per là
oue il) tacer mi fu as^viso il peggio. Accenna, così parlando
Guido y di esser fino allora stato titubante e sospeso tra due
pareri: uno de' quali suggerisse peggiore il parlare che il ta-
cere; l'altro, all'opposto, peggiore il tacere che il parlare, e
che per gli argomenti graì^i spinto fosse ad abbracciare que-
st'ultimo.
io8 da che tu mi lat^ij giacché tu dici di Uwamdy di as-
solvermi.
109 I IO ov'ib, la Nidobeatina; o^e, 1* altre edizioni m^t
il Vat. 3 199.<«-« rno , ora , accorciamente del latino modo^'^Ltm-
ga protnessa , prometter molto, ^attender corto^ mantenerpo-
co la parola data, m^attener corto ^ ^egge il cod. Poggiali, le-
zione che rende piii chiaro e naturale il sentimento predetto. ♦«
1 1 1 trionfar j intendi de^ Colonnesi . Essendo, comedi so-
ra è detto, rimasta a'Golonnesi sola Preneste molto forte dttà,
a quale avendo Bonifazio assediata , e non vedendo forma di
poterla avere per forza , mandò per quello conte Guido già, reso
frate Minore* e domandogli sopra di ciò consiglio. Il Conte
gli rispose, che promettesse assai e attendesse poco. Onde Bo-
nifazio finse di moversi a pietà , e per comuni amici fece inten-
dere a'Golonnesi, che venendosi ad umiliare, sarebbe lor perdo-
nato. E cosi venuti a lui Iacopo e Piero Cardinali in abito ne-
ro, umilissimamente chiamandosi peccatori e domandando pei-
i
CANTO XXVII. 5y5
Francesco venne poi, com'io fui morto, i 1 1
Per me ; ma un de' neri Cherubini
Gli disse: noi portar , non mi far torto.
Venir se ne dee giù tra miei meschini, 1 15
Perchè diede '1 consiglio frodolente ,
Dal quale in qua stalo gli sono a' crini j
Ch'assolver non si può chi non si pente, 1 18
Né peniere e volere insieme puossi,
dono, Bonifazio promise di perdonar loro e reintegrarli di luui
i beni; ma che prima voleva Preneste. La anale oUenuta, la
fece disfalle y e poi rifare al piano j e domanaolla la città del
Papa [a], E cosi steron le cose finattantochè Sciarra Colon-
nese fece in Alagna Bonifazio prigione, e che poco da poi si
morì . Vbllutbllo.
Conviene con Dante a raccontar queste medesime cose di
Bonifazio Vili, e di Guido di Montefcltro anche l'antico, e a
Dante vicinissimo scrittore, Ferretto Vicentino nel libro 2. del-
la sua Storia, sotto Tanno 1294. Vedila U*a g\ì Scrittori delle
cose d* Italia del Muratori , tom. 9 , e vedi nel tempo stesso la
critica che a cotale racconto & il medesimo Muratori savia-
mente*
I la 1 13 compio fui^ la Nidob.;com'r/li', laltre edizioni.
^ iterine per me, per condm*mi qual suo figlio in Paradiso.
— neri Cherubini per neri Angeli , appella i Demonj , al-
lusivamente allo stato loro primiero avanti che da Dio si ri-
bellassero •
1 15 meschini y sei*vi, schiavi. Vedi meschine Inf. ix. 4^-
1 1 7 Dal quale in qua , dal qual tempo fino ad ora . -^ stalo gli
sono amorini j l'ho sempre tenuto pe' capelli ed in poter mio.
1 1 9 pentere per pentire , adoprato da altri buoni antichi
scrittori , vedilo nel Vocabolario della Cinisca ; e dovrebb'essere
il primo italiano, formato per sincope dal latino poenitere.
Vedi Mastrofini, Teoria e Prospetto de' verbi italiani >, pa-
gina ^ìj.'^ pentere e yoleroy pentirsi del peccato e volerlo.
[a] Cosi riferisce il cootemporaneo stoncoTolomei «la Luccaj anno 1397*
Conviene però credere che un tal uomo non preodesse voga , ma ritor-
u.iMe il primiero.
596 INFERNO
Per la contraddizion che noi consente .
O me dolente ! come mi riscossi 1 2 1
Quando mi prese, dicendomi: forse
Tu non pensavi eh' io loico fossi .
A Minos mi portò, e quegli attorse 124
Otto volte la coda al dosso duro;
E, poiché per gran rabbia la si morse,
Disse: questi è de' rei del fuoco furo; 127
Perch'io là, dove vedi, son perduto,
E sì vestito andando mi raiicuro :
Quand'egli ebbe i suo dir così compiuto, i3o
La iìamma dolorando si pariio,
Torcendo e dibattendo il corno aguto.
Noi passammo oltre , ed io e 1 Duca mio , 1 33
Su per lo scoglio inGno in su l'altr'arco,
Che cuopre '1 fosso , in che si pga il fio
lai mi riscossi j rimasi sopraffaUo e pieno di paura.
122 123 Quando y abbandonandomi s. Francesco, mi prese
quel demonio per seco condarmi. — Tu non pensaci ch^ìo
loico fossi e credevi tu colla coperta di quella assoluzione d'in-
gannarmi •
f 27 del fuoco furoj del fuoco. che fura , che nasconde agli
occhi altrui gli spiriti che tormenta. Vedi canto preced. v. 4'*
e segg.
128 là, doue j detto in luogo di doi^e ed o^^e semplioemeD-
te, vedi il Cinonio, ParticcAjf, i48. i.
1 29 si ifcstito , sì avvolto da questa fiamma . — nù rancu^
ro^ m'attristo, mi rammarico. Verbo provenzale dicelo il Var-
chi , citato dal Vocabolario della Crusca. •-♦Questo verbo non
ha sinonimo, esprimendo lo attristarsi e dolersi per cupo e
f profondo dolore , che non si può con pianti né con parole esa-
are. Biaoioli. -Da questo verbo forse deriva il moderno vo-
cabolo rancore . Poggìau. «-■
1 33 m-¥Ìl Duca mio ed io, ha TÀug. E. R.4-«
l'i 5 si paga il fio per si dà il dovuto gastigo. a^Dal pri-
CANTO XXVII. 597
A quei che , scommettendo , acquistali carco .
miero uso, al qaale adoperata fu questa maniera , aignificante
pagare il debito tributo al signor del feudo y si ò dedotta al
sentimento generale di far pagaie o sopportar la debita pena
del commesso delitto. Biaoioli. 4-«
1 36 scommettendo » acquistan carco : disunendo , mettendo
divisione, e seminando discordie tra parenti o amici 9 o per al-
tro titolo tra sé congiunti, si caricano con ciò la coscienza d'un
gravissimo peccato, vbktuei. A me però sembra inoltre che cii^
coscrìva Dante quest'altra spezie di cattivi con si fatti termini
per formarcene un paradosso, un avvenimento cioè in costoro
affatto particolare e contrario a quanto intendiamo accadere in
chianque altro acquisti carico di qualsivoglia genere, acquistane
dolo anzi questi commettendo ed ammucchiando, legno esem-
pigrazia a legno , pietra a pietra , delitto ec, non già scommet-
tendo e separando.
CANTO XXYIII.
ARGOMENTO
Arrivano i Poeti alla nona bolgia , dove sono puniti i
seminatori degli scandali , delle scisme e delle ere-
sie; la pena de* quali è lo aver divise lemembra^ E
tra quelli trovano Macometto, Ber tram dal Bor-
nio ed alcuni altri •
G
hi poria mai , pur con parole sciolte ,
Dicer del sangue e delle piaghe appieno,
Ch'i' ora vidi, per narrar più volle?
I al 3 Chi poria mai^ ec. »-*Congiuagi: Chi poria . • . dire
appieno per narrar più volte; cioè , perchè si narrasse più
volte, Torelli .^-c Due cose facilitano a ben rappresentare con
parole alcun fatto , cioè il raccontare il fatto più volte (giovan-
do ciò a correggere ogni mancanza o nella enumerazione delle
circostanze, ò nella espressione), ed il raccontarlo con parlare
sciolto da ogni briga di metro e di rima, che spesso n* esclu-
dono que' termini che sarebbero i piii adatti. Queste due cose
tocca il Poeta nostro nella presente sinchisi , di cui eccone U
costruzione: Chi mai per narrar più volte pur (eziandio) con
parole sciolte ^ poria [^et potrebbe [a]) dicer (per dire [h])
appieno del sangue e delle piaghe ch'aio vidi ora? Alla signi-
ficazione, a cui è qui adoprata la particella orUj ch*è certa-
mente la stessa che della qui , in questo luogo ( nel luogo cioè
appena nel fine del precedente canto commemorato), nessuno
[a] Vedi Mastro6nìy Teoria e Prospetto dé'verbi Ualiami, sotto il verbo
Potere, q. 19. [^J Vedi il Vocabulario della Grasca.
CANTO XXVIII. 599
Ogni lingua per certo verria meno, 4
Per lo nostro sermone e per la mente,
Ch'hanno a tanto comprender poco seno.
Se s' adunasse ancor tutta la gente , 7
Che già in su la fortunata terra
i Puglia fu del suo sangue dolente
degli Espositori, né tampoco de'Grammatici, vi ha posto mente.
Dirò ioadiitique che , come i Latini hamio talvolta adopratoP AiV,
avverbio di Inogo, per mine [a], così alF opposto adopera aui
Dante ora per t/uiy in questo luogo* 4-« Ma ora , per ciò che
pensa il Biagioli j essendo elemento della formula my ne/Za ora ,
0 in questa ora^ vale appunto ciò che la voce suona; e il rapi-
dissimo passaggio che fa il Poeta dal precedente scoglio a que-
sto ( canto preced. ^. 1 33. ) fa scorgere perchè egli abbia detto
ora piutta^to che quìuiy iv^i^ in quel luogo y ec. 4-c
5 Per lo nostro sermone ^ per l'idioma, pel parlar nosti'o.
6 eh* hanno poco senoj poca capacità , a comprendere tan^
Co 9 a capire ed esprimere tanto stravaganti ed orrìbili cose. Seno
propriamente significa cavità; ma qui , com' è detto , dee inten-
dersi per capacità, m^ Qui vuol dire il Poeta, che la debilità
dell'intelletto e la cortezza del parlar nosti*o sono cagione che
non si possano queste cose appieno ritrane. Biag]oli.«-«
7 •-» Il lungo giro del ( seguente ) periodo di quindici versi ,
le varie sue parti che vanno a piiia piii rincalzando, gì' inter-
cisiti , la foga , la pienezza , l' armonia , tutto adopera alla gran-
dezza e all'orridezza delle immagini che il Poeta è per spie-
gare innanzi agli occhi del lettore. S'ha a notare in questa
tratta di pennello non meno la vivezza e la forza dei colorì ,
che le immagini per essi ritratte. Biaoioli. ^-s
8 sfortunata terra ^Di Puglia > Elsigono le circostanze del
discorso che fortunata vaglia qui quanto disgraziata ; al qual
senso la medesima voce stendersi, vedi il Vocab. della Crusca.
9-^ fortunata y dice il Biagioli, qui y die fortunosa y ovvero for^
lunate , come il Boccaccio : e altri fortunati avvenimenti si ve-^
dranno ; dove fortunato suona quanto soggetto a strane vi'-
eendee rivolgimenti di fortuna* «» Anche Matteo Ronto nella
(a] Vedi il TurseUioo, Pariic. Lai. «dia. di Padova 1 744» e. 77.
6oo INFERNO
Per li Romani , e per la lunga guerra , i o
Che delFanella fé' sì alte spc^lie.
Come Livio scrive , che non erra ,
sua versione latina tmdnce Jhtali sorte dicatam, E. F* -i^or-
tunata per disgraziata è un'antifirasi, quale adoprasi anche
oggidì comanemente , dicendo essere il mare in fortuna quan-
do è in burrasca. Poggiali, ^-m fu del suo sangue dolente 9
sì dolse delle sue ferite. m-¥ Che giace in su la fortunata ter-
ra — Di Puglia ^ e fu del suo sangue dolente , bella varian-
te deirAng. E. R. «Hi
I o al 12 Per li Romani. Cosi leggesi in un bellissimo ms.
del fu march. Capponi, ora della Vaticana [a], cosi nel pali-
mente bellissimo ms. della librerìa Chigi, segnato L. V. 167.,
e cosi attesta il Venturi dì essere scritto in qualAe edizione
( - * anche il cod. Casa, legge , Per li Romani ) . Malamente legge
la comune ( •-» e il cod. Vat. 3 1 99<-«) Per li Troiani . Nella Pu-
glia non fecero i Troiani mai guerra , né strage verona ; e pre-
tendere 9 come il prefato Venturi pretende, the per Troiani
possono intendersi i Romani y perocché da loro discendenti , la
sarebbe una troppa violenta stiracchiatura. Tanto piii che, per
attestazione di T. Livio [6], le prime brighe tra i Romani e i
Pugliesi furono nel consolato di C. Petelio e L. Papirio negli
anni di Roma 4''99 ^^ tempi cioè ti'oppo dalla troiana oriràie
discosti . Per li Romani adunque sta bene scritto ; che di latto
per le romane armi molta gente peri nella Puglia, prima ezian-
dio della guerra asprissima con Annibale, di coi il Poeta dice
in seguito.- e tra gli altri fatti vi fu l'uccisione di duemila Po*
gliesi , che Livio medesimo racconta fatta dal console P. De-
cio ftfj. »-» Questa lezione è pure approvata e seguita dal Bia-
gioli . 4-« e per la lunga guerra y ec •* la seconda guerra «rarta-
gìnese contro i Romani, che durò piii di tre lustri; nel corso
della anale soffrironoi Romani a Canne nella Puglia sconfitu
tale^ cne le anella tratte dalle dita dei morti ( quantunque non
si portasse anello che dai nobili ) empirono la misura, chi dice
di un moggio, echi fino di tre moggia e mezzo: tantusacer*
l'US fuit(^ sono f Savoie di Livio )ut metientibus^ dimidiumsu^
per tres modios explesse sint quidoin auctores. Fama te-
[a] Nuni. 06G , codice , corno lo Messo copiatore
no 1368. [^J Lib. 8. aS. [e] Lìb. 10. 1 S.
a V V isa » scritto neif aa-
CANTO XXVm. 6or
Con quella , che sentio di colpi doglie , 1 3
Per contrastare a Ruberto Guiscardo,
nnitj quae propior s^ero est, haud plus fuisse modio [a]. E
però male il Venturi , correggeado Terrore di stampa delle /;iiì
di tremila moggia e mezzo del Daniello, v'aggiunge egli,
che non furon meno di tre moggia e mezzo , come riferisce
Liuio. Tale contegno di Livio nello scrivere dee lodar Dante
con dire che non erra. »> Le parole che non erra non pos-
sono rifeiìrsi al passo di Livio: Fama tenuità -quae propior
'Vero est, ec.j che non si accorda, come osserva il Biagioli,
con ciò che credeva Dante stesso, che scrisse nel G)nvivio:
quando , per la guerra d* Annibale , avendo perduti tanti
cittadini j che tre moggia d*anella in Affrica erano portate*
Adnnqne è sentimento del sullodato Biagioli, che Dante dica
di Livio che non erra perchè s^attiene a queste parole dello
Storico : dimidium super tres modios. — Com* Tito Livio ,
legge TAngelico. — Siccome Livio, bella variante del codice
Poggiali, e dall' E. R. inti*odotta nel testo della a. edizione,
strano parendogli il dover legger Livio di tre sillabe. Ma noi
crediamo di non doverci scostare dalla comune e perchè rari
non sono in questo poema gli esempj di simili trissillabi, e
perchè il cambiamento non è necessario, e perchè la testimo*
ni.inza di un solo codice non basta ad autorizzarlo, e perchè
infine siamo persuasi che Dante abbia scritto originalmente
come sta nel nostro testo. Anche^il Yat. 3199 legge colla co»
mone, Come Livio ec. ^-m
li i4 Con quella, intendi ^ente, che sentio di colpi de
glie, che seutl il dolore deiraspre percosse. '^Per contrastare,
legge la Nìdobcatina ; Per contastare , l'altre edizioni. ^aRu^
berto Guiscartio, fratello di Ricciardo Duca di Normandia.
Deesi per quell'i gente intendere la moltitudine de' Saraceni
che Ruberto battè aspramente, e costrinse ad abbandonare la
Sicilia e la Puglia , delle quali si erano resi padroni [&]. Gio.
Villani dice che, avendo Alessio, Imperatore di Costantinopoli,
occupata la Sicilia e parte della Calabria, fossene da Ruberto
Guiscardo dispossessato [e]. »-► L'Anonimo citato nella E. F.
dice che Guiscardo venne in Italia circa II i o4o, che acquistossi
fai Lib. a3. la. [b] PtoUmaei Lucensis AnnaL^a* 1071. [e] Lib. 4*
cap. 1 7«
Go2 INFERNO
E l'altra^ il cui ossame ancor s'accoglie
A Ceperan , là dove fu bagiardo 16
Ciascun Pugliese , e là da Tagliacozzo ^
Ove senz'arme vinse il vecchio Alardo;
per forza d'arme Sicilia ^ Puglia e Calabria , e che^ fatto Redi
Paglia, sconfisse iViniziani e T Imperatore dei Greci. Il Villani
dice ch'egli venne in Italia nel 1070. E. F. -Crede il sìg. Pog-
giali che qui debbasi intendere della sconfitta data nel io83 da
Guiscardo ai Puf liesì, quando rìbellatasegli la città di Canne, nel
maggio del preaetto anno vi mise assedio 9 e presala , quindi un
mese e mezzo dopo affatto la distrusse. Il fatto è raccontato dai
Cronisti napoletani contemporanei, o quasi contemporanei. «-•
1 5 al 1 8 £* raltra , il cui ossame ec. L'altra gente morta
nella prima battaglia tra Manfredi Re di Puglia e Sicilia , e Carlo
Conte d'Angiò, a Ceperano, luogo nei confini della Campagna
di Roma verso Monte Casino ; le ossa della qual gente ancor
trovano gli agricoltori sparse pe'campi; e, secondo il costume
loro , quando sanno che sono di cristiani , raccolgono e ripon-
gono in qualche sacro cimitcrìo. - là dove fu bugiardo -Cia-
scun Pugliese i mancò della promessa icde al Re Manfredi.
Giovanni Villani , che citano qui il Vellutello e il Venturi , rac-
conta la cosa in modo, come se a Ceperano cedesse l'esercito
di Manfredi a quello di Carlo senza contrasto ; e il mancamento
di fede de*Pugiiesì al loro Re Manfredi riportalo avvenuto nella
battaglia , in cui Manfredi rimase ucciso sotto Benevento [a].
Dante però di un fatto successo neiranno 1 265 potè esseme
meglio informato che il Villani ; e ben perciò il Villani stesso,
della sepoltura diManfiredi lungo il fiume Verde parlando, s'at-
tiene alla testimonianza di Dante: Z)i dò , dice , ne rende tesii--
monianza Dante nel Purgatorio « capitolo terzo [6^. -e là da
Tagliacozzo i (da per a vedi il Cinonio [c])-CA'e senz'car-
me ec.j intendi l'altra gente morta a Tagliacozzo (castello nello
Abruzzo Ulteriore, poche miglia sopra i confini della Campa-
gna di Roma) nel fatto d'armi tra il detto Carlo d'Angiò, di-
venuto Re di Sicilia e diPuglia, eCurradino, nipote deirestinto
Re Manfredi, nel qual &tto Alardo di Valleri, cavalier fran-
cese dì gran senno e piiidenza , consigliò in modo il Re Carlo
[a] Lib. ^. cap. 5. e 9. [b] Ivi. [e] Pariic. 70. 3.
CANTO XXVIIL 6o3
E qiial forato suo membro , e qual mozzo 1 9
Mostrasse 9 d'agguagliar sarebbe uulla
11 modo della nona bolgia sozzo .
Già veggia per mezzul perdere o luUa , 1 a
Com* io vidi UQ , così nou si pertugia ,
Rotto dal mento insin dove si trulla .
che, dopo di aver con due soli terzi di sue genti combattuto
e perduto , finalmente coli' altro terzo , riserbato e posto in agua-
to 9 uscendo improvvisamente contro del nemico esercito, dispei^
80 qua e là a bottino, cagionogli colla sola presenza la totale
costernazione e la fuga [a] . m^ Pietro di Dante racconta che
in tal battaglia il Conte di Caserta e Tommaso Conte di Ger-
ra ( Acerra), mariti delle sorelle di Manfiredi, lo abbandona-
rono, dandosi a Carlo d'Angiò e che Manfiredi, abbandonato
ancora da altri suoi piii fidi e consigliato alla fuga, rispose:
volerpiuttosto morire Re, che vivere cattivo. Fu ucciso, e pres-
so il ponte dì s. Germano sepolto. E. F.^-«
19 al 21 E qual ec, e ciascuno della gente nelle fin qui
dette battaglie malconcia mostrasse chi le membra sue forate,
e chi mozze , sarebbe nulla iTagguagliar , per ad agguagliar
( della particella da per a, o ad^è detto nella precedente no-
ta ), in niente cioè agguaglierebbe . •-> da equar^ legge TAng.
al verso 20. E. R. — e il Vat. 3 1 99. ^-« // modo sozzo della
nona bolgia-, ellissi, e vale quanto, il deforme orrendo modo,
col quale punisce i rei la nona bolgia, a-»* Al modoj l'Ang.
E. R.<H>
a 2 al 24 ^'^ reggia ec> Costruzione: Già così nonsi per^
tugia reggia per perdere mezzul o lulla^ com*io ^idi un rotto
dalmentoinfin doue si trulla. Veggia significa botte; e uezsa
appellasi in Bergamo anche oggidì. Mezzule è la di mezzo delle
tixì tavole che d'ordinario entrano a comporre il fondo della
botte; e dall' essei*e di mezzo all'altre due, dee aver sortito il
nome di mezzule, Lulle ^ come il Vocab. della Cr. e concorde-
mente tutti gli Espositori intendono, sono dette l'altre due ta-
vole di qua e di làdal mczzulc ; e credeix'i di nou allontanarmi
molto dal vero se le giudicassi appellate con tal nome, o da
luna ( cangiata la n in due /, come si è fatto odia di cuna )
[a] Gio. Villaoi lib. 7. cap. a6. e 37.
6o4 INFERNO
Tra le gambe peudevan le minugia; a 5
La corata pareva, e '1 tristo sacco,
Che merda Ùl di quel che si trangugia .
Mentre che tutto in lui veder m'attacco, nS
Guardommi , e con le man s'aperse il petto.
Dicendo: or vedi com'io mi dilacco;
o, che mi par meglio, per sincope da lunule j ossia lanette,
per essere appunto tale la loro figura. TruUare, tirar coreg-
ge, spetezzare [a]. E perciò deve intendersi ; ^iVi così non si
f fin de una botte per la perdita della tat^ola di mezzo del suo
fondo o delle altre due laterali ^ come io vidi uno spaccato
in mezzo dal mento infino alPano. •-> Immagine dantesca
e convenìcntissima a far ritratto delP enorme spaccata di quello
spirito. BiAOioLi.^^
25 minugia j budella, intestini: né, se non che per sined-
doche, appellansi oggi in Toscana (testimonio il Vocab. della
Crusca ) minuge le corde di liuto , di violino ec , per essere cioè
le medesime composte di minugia: in quel modo che canape
appellasi la fune perchè fatta da canape ; e legno ogginud la
carrozza si appella; perchè fatta di legno.
26 27 La corata parafa y la coratella appariva, vede vasi.
— e 7 tristo sacco ec, il lordo ventricello, che converte, in
gran parte almeno, ciò che si trangugia , si mangia e beve, in
escremento . »-> Vista orrenda e schifosa , ma pur quale al fedel
ritratto si conviene. Biagioli . 4hì Rapporto però a questa e so-
miglianti espressioni del Poeta nostro, sovvenga al pradente
leggitore che, come in diversi popoli, cosi in diversi tempi >
non hanno sempre le medesime maniere di parlare fatta la me-
desima impressione ; e che poterono al tempo del Poeta essere
le meno volgari quelle espressioni q que* termini che il ccmtinuo
uso ha poscia renduti volgarissimi.
28 m^ attacco j m^afBgo , mi fisso. •-> Espression forte a di-
mostrar il gran desiderio che simil vista gli dette. Biagioll^^
io mi duacco. Dilaccare dovrebbe propriamente significare
aprire, spartire le lacche j le cosce: qui però per catacresi
sta semplicemente per aprire . Al medesimo modo , Inf. canto v.
[a] Vedi il Vocab. della Crusca.
CANTO XX Vili. 6o5
Vedi come storpiato è Maometto : 3 1
Dinanzi a me sen va piangendo Ali,
Fesso nel volto dal mento al ciufFetto :
£ tutti gli altri , che %u vedi qui , 34
Seminator di scandalo e di scisma
Fur vivi y e però son fessi così .
Un diavolo è qua dietro, che n accisma 37
(/. a8., adopera Dante l'aggettivo muto j che 8Ìgiìi6ca /iriVo di
loquela f per semplicemente privo ^
Io venni *n luogo d*ogni luce nuito.
3 1 storpiato , guasto nelle membra. — è Maometto y inten-
di, che son io quello. Maometto, TaposUU della cristiana re-
ligione nel principio del settimo secolo, impostore e fondatore
della setu denominata dal suo nome. m^Macometto^ legge il
cod. Vat. 3iQ9.4-«
3 a Ali , discepolo e seguace dì Maometto , ma in alcune
cose discordante da lui ; sicché venne a formare una nuova
sctu , seguita infin'oggi dalla gente soggetta al Sofì, cioè al Re
dì Persia. Voipi.
33 duffettOy ciocca di capegli ch'è sopra la fronte. Votpi.
35 Seminator dice per cagion del metro invece di semi-
natori,
36 Fur vivij ellissi, vai quanto, fur essendo vivii men-
tre vi\^e\^ano.
37 Un diauolo ec. Movendosi costoro per la bolgia in giro
(come si capisce dal \f. Sa.), stava un diavolo in un dato luo-
queir
tempo a fiir doppio il duolo , la cagione che a ciò li mena. Bi a-
oìoLì'^-m accisma* Acdsmarej da scisma (quanto se detto fosse
ATJiJ/iMire, come esempigrazia da peste dicesi appestare j da
luogo' allogare ec.) , spiegano col Buti gU Accademici della Cr.
nel Vocabolario ; e dee pei-ciò significare lo stesso che fendere,
squarciare.^* lì cod. Cass. legge assisma, ed il P. di Costanzo
6o6 INFERNO
Sì crudelmetite , al taglio della spada
Rimettendo ciascun di questa risma ,
Quando avem volta la dolente strada ^ 4^
Perocché le ferite son ifnchiuse
Prima ch'altri dinanzi gli rivada.
Ma tu chi se y che ^n su lo scoglio muse , 43
38 39 a/ taglio della spada "Rimettendo ee. Come dicesi
metter a filo di spada invece di ferir colla spada ^ così dice
Dante rimettere al taglio (che sigi^ifica lo stesso che/f/o) dt^fla
spada invece di ferir nuoi^aniente colla spada . — risma è
propriamente una tal determinata moltitudine di fogli di car-
ta; qui però poncsi per moltitudine indetcrminata di anime.
4o ai^em ^v abbiamo f voce usualissima degli antichi \a\.
- uoltay girata: come girare adoperasi alcuna fiata per volge^
rcj così i»olgere qui, e nel i^. 9. del seguente canto, per ^-
rare. — dolente ^ dolorosa, come anche nel vi. di questa me-
desima cantica disse dolente luogo [ij.
4^ Prima ch^altri ec. Prima ch'alcuno di noi ritomi innan-
zi a quel demonio, ./litri per alcuno [e], li per gli , a quel-
lo [dj . m-¥ Ma perchè siasi da noi messo nel testo il gli in-
vece di li , vedi la nota al v. ult. del i. passato canto. <--m
Con questo chiudersi e riaprirsi delle ferite che in costoro
si va alternativamente facendo , dee il Poeta voler accennare
ciò che in materia di scismi e dissensioni succede; che il tem-
po cioè tira a sedare e compon*e gli animi , ma che costoro
colla loro perversa in ogni data occasione ripetuta opera rìsol-
levanli e ridividonli.
43 muse per musi a cagion della rima , da musare. Musare
(dice il Vocab. della Cr.) stare oziosamente a guisa di stu*
pido ; tratta forse la metafora daWatto che fanno le bestie
quando per difetto di pasciona , o per istanchezza , o per
malsani a j o altra cagione si stanno stupidamente col muso
Iettato. Il Venturi vuole che musare significhi dar di nnsoy
di muso y ed osservare . Oltre però che gli antichi esempi , che
[a] Vedi Mastrofìiii, Teoria e Prospetto de^tterbi italiani, sorto il
vnrl>o /4x'ere, n. 4* [6] Verso 46. [e] Vedi ilCinoii. Partic, aa i. [ti] Lo
CANTO XXVIII. 607
Forse per indugiar d'ire alla pena,
Ch'è giudicata iu su le tue accuse?
Né morte '1 giunse ancor , né colpa 1 mena , 46
Rispose '1 mio Maestro , a tormentarlo ;
Ma , per dar lui esperienza piena ,
A me, che morto son, convien menarlo 49
Per lo 'nferno quaggiù di giro in giro :
E quest'è ver così, com'io ti parlo.
Più fur di cento, che quando T udirò, Si
S'arrestaron nel fosso a riguardarmi ,
Per maraviglia obbliando '1 martiro.
Or di'a Fra Dolcin dunque, che s'armi, 55
Tu, che forse vedrai il Sole in breve,
a questo di Dante rniisce il Vocabolario, non ammettono che
il primiero significato, pare ohe nel senso preteso dal Venturi
Avn^bbe dovuto Dante dire cAe dallo scoglio muscy piuttosto
che in su lo scoglio, m^ Musare scende dal greco muo^ fuL
inusoy laL connisfere ; significa combaciar le labbra j star col
muso serrato , come quando uno s'affissa in cosa che tii*i a so
tutta r attenzione. Il fi[^ncese s^amuser scende dalla medesima
sorgente. Biagioli.^hì
45 in su le tue accuse y a tenore delle colpe da te accusate ,
confessate a Minos. Vedi Inf. canto ▼• v. 7. e segg.
46 •-> Né morie 7 giunse ancor» Queste parole fanno bel-
la immagine, e ti ricordano quella di Orazio: antecedentem
scelestum^Deseruit pede poena claudo. Od. 11. lib. 3. Bu-
GIOLI • ««Hi
50 »> Per questo Inferno eiù^ legge il cod. Ang. E. B.4-«
5 1 è i^er così compio ti parlo e ellissi , invece di dure: è ver
cosìj com'è uero ch^io ti parlo .
55 jFra Dolcin y romito eretico , che y tra gli altri errori , pre*
dicava la comunanza d'ogni cosa, eziandio delle mogli , essere
a' Cristiani lecita. Forte pel seguito di piiidi tremila nomini,
rubando ed ogni iniquità commettendo , per due anni sosten-
nesi| finché nel i3o5 , ridottosi ne* monti del Novai*ese spro-
\isto di viveri, e dalla copia della caduta neve impedito, fu
6o8 INFERNO
S'egli non vuol qui tosto segaitarmi ^
Sì di vivanda , che stretta di neve 58
Non rechi la vittoria al Noarese,
Ch'altrimenti acquistar non saria leve.
dai Novaresi preso ed arso egli con Mai^èrìta sua compagDa
e con più altri [a].»->Attanagliato ed arso vivo, con incredibile
fortezza d^animo sostenne sino alFultimo lo strazio più crudele,
né mai in mezzo ai supplicj si vide mutar fiiccia, né far il
minimo lamento; predicando anzi di continuo ai seguaci che
persistessero ne* suoi insegnamenti. Margherita sua moglie non
fu d'animo minore; la quale^ bella e ricca molto , volle anzi
sostenere i medesimi supplicj , che rinnegare i precetti del ma-
rito. BiAGiOLi.- A ciò che qui è detto di FraDolcino, l'Ano-
nimo , citato nella E. F. , v' aggiunge : E io scrittore ne vidi dei
suoi ardere in Padova in numero di venti due a una volta, gente
di vile condizione, idioti e villani. - Il Boccaccio dice che Fra
Doloino fu del contado di Novara, d'un castello chiamato Ro-
mojpiano . E. F. - Ebbe molti seguaci spezialmente a Yin^ia,
Padova , Vicenza , Verona , Cremona , Parma , Piacenza , Lucca,
Pisa e Genova. In un'antica Cronica leggesi.* ce Anno Domi-
» ni MGCGVII. die iovis sancto expugnatus et captus fìiit in
» montibus novariensibus frates Dolcinus de No varia novonua
3» sacrorum institutorhereticus cummulùs discipulisper Inq[ui-
u sitores hereticae pravitatis adiuvante exercitu cruce signato-
» rum • PerieiTmt frigore , fame , gladio supra quingentos • Ipse
» et Margarita uxor minutati m incisi, postea combusti snnt cum
» multis complicibus. Nec tamen suum dogma penitus est extin-
» ctum. » PoaTiBELLi . 4-« sfarmi connettesi con di uii^anda tre
versi sotto, e però vale quanto si pro$/^egga e catacresi.
5y Scegli non ^uol ec, se non vuole presto esser morto,
e condannato da Minos a questa medesima pena che io soffro .
58 69 ^iuanda^ viveri. — > stretta di neucj cerchiamento,
serraqiento di neve . — al Noarese , intendi ,270/70/0 .
60 Ch'altrimenti, provvisti cioè essendo Doicino e'compagni
di viveri , - acquistar , ottenere , intendi , la vittoria , — non
saria levOy non saria facile.
fa] GioTannì Villani, lib. 8. cap. 84. »-» Vedi anche Historia t>ulcimi
nel Muratori Script, ren italìc. tom. ix. 4-«
CANTO XXVIII. 609
Poiché FuQ pie per girsene sospese, 61
Maometto mi disse està parola ,
Indi a partirsi in teiTa lo distese.
Un altro, che forata avea la gola, 64
E tronco *1 naso infin sotto le ciglia ,
E non avea ma eh' un' orecchia sola ,
Restato a riguardar per maraviglia 67
Con gli altri , innanzi agli altri apri la canna ,
Ch'era di fuor d'ogni parte vermiglia,
E disse: o tu, cui colpa non. condanna , 70
E cui già vidi su in terra Latina,
Se troppa simiglianza non m'inganna,
61 al 63 un pie ec.f tielI*atto che alzava già nn piede per
ricamminare , — mi disse està parola , singolare pel plurale ,
per queste parole . -^ a partirsi in terra lo distese; ponendo
a terra il sospeso juede compiè l'incominciato passo. •-►In tale
atteggiamento naturalissimo lo dipinge Dante » e cotale Thai a
veder tu, e ammirare che nuli* atto della natura, per mìnimo
che sia, sfuggir puote al sottil guardo del Poeta nostro. Bia-
010L1.4HÌ
66 ma che^ più che» corrisponde al magis quam dei La-
tini, e allo spagnuolo mas quèj come altre volte è detto.
»^Gosi il Lombardi; ma vedine 1* interpretazione del eh. Pei^
ticari, da noi esposta nella nota al verso a6« del iv. passato
canto. 4Hi
68 innanzi agli altri ^ prima degli altri; — apri la canna
per aprì le labbra, ch'essendo come il turacciolo della can-
na della gola, coU'aprirsi di esse rimane la canna della gola
aperta.
69 di fuor d*ogni parte ì^ermiglia, insanguinata pel san-
gue grondante dal troncato naso «-^e dalla forata gola.4-«
yiah^Et cui i^idi già in terra Latina , legge malamente il
VaU 3 ig^ 4-« terra Latina , Italia , cosi denominandola dal La-
sic, nna delle piii celebri parti di essa.
y^ Se troppa simiglianza ^ ellissi, intendi fra te e colui
vhUntendo che tu sii*
FoL l 39
6io INFERNO
Rimembriti di Pier da Medici aa, 73
Se mai torni a veder lo dolce piano,
Che da Vercelli a Marcabò dichina.
E fa' saper a'due miglior di Fano, 76
A messer Guido, ed anche ad Aogtolello,
Che, se l'antiveder qui non è vano,
Gittati saran fuor di lor vasello, 79
E mazzerati presso alla Cattolica ,
73 Pier da Medicina , luogo del contado di Bologna « temi'
natoi* di discordie tra i cittadini di quella città , e poi tra il
conte Guido da Polenta e Malatestino da Rimino. Voiri.
J^ lo dolce piano ec.y intendi la Lombai-dia , nobilÌÀsiou
provincia d'Italia. Volvi.
75 F'ercelli^ la Nidob.; Vercello , l'altre edidoni; città, oel
distretto della quale incomincia il gi*an piano della LoinW
dia, e pel tratto di dugento e pù miglia diàiina^ si va colla
cori*ente del Pò abbassando fino a Marcabò y castello t oggi &
strutto, vicino alla foce in mare del Pò, a Porto Prìmaro.
76 Fano, città sul lido dell* Adriatico, al di sotto di Pesaro
nove miglia.
77 Guido del Cassero, onoratissimo gentiluomo di Fano.
/ ^'^ Angiolello da Cagnano, altro gentiluomo di Fano ugual-
mente onorato « Volpi-
79 80 Gittati saran ec. Malatestino Signor di Arimino, cru-
delissimo e vi olentissimo tiranno, dal Poeta nel precedente canto
detto mastino , oixlinò che messer Guido del Cassero e messer
Angiolello da Cagnano, cittadini di Fano, città posta al lìto
del mare , e trenta miglia distante da Rimino , venissero alk
Cattolica un destinato di a desinar con lui, fingendo aiFcrei
conferir alcune cose d'importanza; ed a quelli che li doveTaoo
condurre per mare , impose che , giunti presso alla Cattolica,
ove fingeva d'aspettarli, li sommergessero; la qual cosa segni
appunto come da lui fu ordinata. Vsl|iUT^i,o. Il quale però ma*
lamente col Landino prima di lui , siccome il Venturi diopo tatti
e due malamente fer gittati saran fuor di lor vasello iateiide
qhe si separeranno per morte l'anime de* due Fanesi da' loro
corpi , i quali , dicon essi , sono vaselli e rieett€$coli di quelle i
CANTO XXVIIL 6ii
Per tradimento di un tiranno fello.
Tra risola di Cipri e di Maiolica 82
Non vide mai si gran fallo Nettuno,
Non da pirati , non da gente argolica .
Quel traditor, cbe vede pur con Tuno, 85
e niente, per verità , meglio spiega il Volpi detto i^Are/Zo /f^u-
raiamente per città j patria. F'aselloj ci avvisa il Vocabo-
lario della Crusca , dissero gli antichi per vascèllo , nave ,
fia^i^//o ; ed oltra gli altri esempj^ ne aiTeca quello del Poeta
nostro medesimo:
• quei sen venne a ri%^a
Con un vasello snelletto e leggiero
Tanto j che Pacqua nulla ne 'inghiottiva [a] .
Gittatij adunque, saranfuor di lor vasello vale quanto, git^
tati saran fuor del loro naviglio . -e mazzerati ^ ed affogati
in mare. Mazzerarcj chiosa ilButi, citato nel Vocab. della
Gr., è gettar Vuonio in mare in un sacco legato con una pie'»
tra grande; o legato le mani e i piedi ^ e uno grande sasso
al collo • - * A questa ragionatissima interpretazione del P. L.
si accorda il Postillatore Cass. , il quale spiega : videlicet de
ttoi^i eum qua redibant domum. E. R. — Cattolica y castello
sai lido deir Adriatico tra Rimino e Pesaro.
Sa air84 «-^Gran rincalzo fa questo sentimento ali* idea di
sopra espressa, ed è questa la vera eloquenza. Biaoiou* <-• d«
prij Cipro, isola del Mediterraneo la piìi orientale. — Maio^
lica , Maiorica , la maggiore dell'isole Baleari, clie sono le piii
occidentali del Mediterraneo. Dicendo adunque tra Cipri e
Maiolica viene il Poeta a dire lo stesso che se dicesse , in tut"
ta la lunga estensione del Mediterraneo. — Nettuno » Dio
del mare. »> total fallo ^ il Yat. 3109. <4-« Non da pirati ^
non ecj non mai usata da pirati ^ cioè da corsali, -non dagen*
tft argolica j non da greca gente, che furono sempre grandb*
simi corsali . Dahiblio. •^ da Pirrate , legge il Vat. 3 igg^-^-s
85 Quel traditore il prenominato Malatestino, (^ieco d'un
occhio. Vbhtuei. «cAtf vede pur^ solamente, con CunOi oc-
eli io: così il Daniello e. cosi tutti gli Espositori. Io però du-
bito che il Poeta scherxosamente non dica con t*uno ad ugual
'^n " Purg. 11. 4o* S S'gg*
6ia INFERNO
E tieii la terra , che tal è qui meco
Vorrebbe di vederla esser digiuno,
Farà venirli a parlamento seco ; 88
Poi farà sì , eh' al vento di Focara
Non fera lor mesder volo né preco.
Ed io a lui: dimostrarai e dichiara , gì
f enso che con Passo (ch*è Puno dei dadi e delle carte da gìao«
co) ; termine qol quale pure a que* tempi solevasi alcuna fiau
deridere la difettosa unita : e però fu Dante medesimo , per
certo fatto che nou è bene di qui rifcm^e, soprannomato mts^
ser Asso [a\ ,
86 87 la terra , il Rimioese. -"che tal è (fui meco : tacesi per
ellissi un altro che di mezzo , do vendosi ìnteudei*e come se fosse
detto: che tal cVè qui meco» Curio, ossia Gurione, eraqne-
sto tale. Vedi il %^. 102. •-» Chiosa il Torelli a questo luogo:
cf Nota sintassi : che tal è qui meco vorrebbe , in luogo di due :
» che tal è qui meco che {correbbe •v^'^^ f^orrebbe di %^ederla
esser digiuno. Catacresi , e vale quanto, \>orrebbe essere stato
senjfa vederla; imperocché per aver ivi istigato Cesare a vol-
ger Tarmi contro la patria, erasi meritato rinfemo« — ^i ve*
dercy leggono T edizioni diverse dalla Nidobeatina; »-»e col
codice Vat. 3 199 e TAng. la 3. rom. edizione, sembrando al*
TE. R. che dopo il che del verso precedente ìXla di vederla
non sia che un deforme pleonasmo. <-€
89 90 Poi farà sì^ ec: poi opererà di modo, che al Teuto
di Focara non farà lor mestieri prego, né voto. Focara è alto
monte presso alla Cattolica sul mare, dal quale nascoa venti
molto impetuosi , che qualche volta mandano a traverso e som*
mergono le navi che. passano 1 ove i marinari per loro scampo
sogliono far voti, ed invocare chi uno e chi un altro Santo,
Ma costoro , sp per opera di Malatestino saranno in tal forma
morti , non potendo tornare a casa , non fiu'à lor mestieri fas
roti ne preghi per cagion di questo vento. Y £Llutei.o. m^A'on
sarà lor mestier^ buona variante dell* Ang., per cui si sfugc^*
rincontro di due farà spiacevoli airorecchio. E. R.^-s
[a] Vedi le Facezie di dWersi^ aggiunte a (quelle del Piovauo ArloUdt
Itatnpate in Firenve nel ■579-
CANTO XXVllL 6i3
Se vuoi eh' io porti sa di te novella ,
Chi è colui dalla veduta amara.
AUor pose la mano alla mascella 94
D'un suo compagno, e la bocca gli aperse
Gridando: questi è desso, e non favella:
Questi, scacciato, il dubitar sommerse q7
In Cesare, affermando che *1 fornito
Sempre con danno l'attender sofferse.
O quanto mi pareva sbigottito 1 00
Con la lingua tagliata nella strozza
Curio, ch'a dicer fu così ardito!
Ed un , eh' a vea l' una e l' altra man mozza , i o3
Levando i moncherin per V aria fosca ,
9 3 al 96 colui ''daiia veduta amara j colui al quale dicesti che
, riesce amara la veduta eh' egli fece di Rimiuo 9 tal che von*ebbe
, esserne digiuno . — e non faxfella , e non può faTellare per aver
, la lingua tagliata nella strozza , come dirà nel i/. 1 o f .
97 al 99 scacciato 9 esule da Roma . — > sommerse in Cesa*
• re il dubitare , fece che Cesare superasse quella perplessità ,
nella quale 9 ritornaudò coli' esercito vittorioso dalle Gallie e
giunto al fiume Rubicone vicino a Rimino , stette alquanto, se
a tenore delle leggi deponesse ivi il comando delle armi 9 0 ri-
Folgessele contro la stessa patria Roma « — * affermando che 7
fornito 9 che colui che ha tutto in pronto 9 sempre sofferse con
danno Ta/^en^fere , sempre risenti danno dall' indugiare T im-
presa. Tolle moras ( cosi Lucano fa che parlasse Cm*ione a Ce-
sare in quell'incontro) nocuit semper differre paratis [a].
»-^ Allo stesso modo chiosa qui pure il Torelli . «-«
I oa dicere per dire fu adoprato dagli antichi Toscani an«
che in prosa . Vedi il Vocabolario della Cinisca. •-> Ma dire^
alla moderna 9 ha l'antichissimo cod. Angelico. E. R. <-•
1 o4 moncherini^ braccia senza mano. — aria 9 legge la Ni'
, flobeatina; aura 9 T altre edizioni, •-> ecolVat. 8199 la 3. ro-
ma oa, per esser aura parola più poetica. 4-a
[ AJ i^hars. lib. i« i^. a8i.
y
6i4 INFERNO
Si che '1 sangue facea la faccia sozza,
Gridò: ricorderà ti anche del Mosca, loG
Che dissi, lasso! capo ha cosa fatta,
Che fu 1 mal seme per la gente tosca :
I o5 «Si che V sangue ec. : il sangoe che usciva dalla parte,
ond'eran troacate le mani, cadeva a lordar la faccia.
1 o6 ricorderali , ti ricorderai . Volpi . — Mosca , Lamberti
diccloerìpeteloGiovaani Villaui[a] edanche Paolino Pieri [b\',
degli [/berti dìcoulo il Landino , Daniello e Vellutello , e d^*-
gli [/berti 0 de^ Lamberti dubbiosamente il Venturi ed il Vol-
pi. — ^11 Postili. Cass. dice chiaramente: iste f uà /). Musca
de Lanibertis de Florentia. E« R. •-> Cìol Postillatore cassinese
concoixiano e Pietro di Dante e TAnonimo ed il Boccaccio-
E. F. — Nota il sig. Poggiali che Dante colle parole ricorda
rati anche del /Mosca non può alludere ad una conoscenza
personale che Dante avesse avuto di esso, giacché Tesposiu at-
tentato accadde 9 secondo tutti gli Storici, nel i2i5, cioè iio
anni prima che il Poeta nascesse. Von*à dunque dh'e: tudeÀ
ricordarti di aver sentito raccontare ec* ♦-•
1 07 Che dissi , intendi j che son io quello , e che dissi»
— lasso/ interiezione di dolore 9 come ahi misero! e simile.
— capo ha cosa fatta . Costui in un consiglio tenuto traspa-
renti e amici degli Amidei per vendicare il loro onore offeso
da Buondelmonte dc'Buondelmouti (•-►che promesso aveva
tor per moglie una della loro famiglia 9 e pigliò poi una de' Do-
nati 4-« ) ( famiglie tutte fiorentine ) disse : cosa fatta capo
fuiy gergo che (riferendo questo fiitto medesimo spiega Gio-
vanni Villani) significava che fosse Buondelmonte morto\c\
come fu fatto per le stesse mani del Mosca con altri compagni :
e però pone qui Dante costui a quel modo colle mani mazze-
Wh¥ cosa fatta capo ha significa , cosa fatta ha poi fine; vale
a dire, s* aggiusta poi y non vi manca riparo. — Così col Vi-'f
pi il Biagioli . 4-«
108 Che fu *l mal seme ec, che fu la trista cagiooe c^
introdusse in Toscana le fazioni de' Guelfi e Ghibellini, comr
il prelodato Villani afferma [d] . — *pcr la gente y invece lii
[a] Lih. 5. cap. 38. ediz. fiorenl. dciranno 1 :\S»j, [b] CroM» anno iai>*
[e] Lib. 5. cap. 38. [d\ Lib. 5. cap 33.
CANTO XXVIII. 6i5
Ed io V aggiunsi : e morte di tua schiatta : 1 09
Perch'egliy accumulando duol con duolo ,
Sen gio y come persona trista e matta •
Ma io rimasi a riguardar lo stuolo, 1 1 a
£ vidi cosa, ch'io avrei paura,
Senza più pruova, di contarla solo;
Se non che conscienzia m'assicura , i r5
La buona compagnia che Tuom francheggia
Sotto r osbergo del sentirsi pura .
ilella gente , leggono assai meglio il cod. CaeU e quello del si**
gnor Poggiali , »-^ e noi coir E. £. *^
I og £d io pi aggiunsi e ec. ; ed io Dante alle parole dette
dal Mosca I Che fu 7 mal seme per la gente tasca , \ 'aggiunsi 9
e morte di tua schiatta , e cagione della distruzione della tua
stirpe. Accenna che nelle risse e guerre per cotal causa ecci-
tate perisse tutta la discendenza di quel micidiario. 9^ Ed io
li aggiunsi f legge il Vat. 3 199. <^
110 111 accumulando duol con duolo , il dolore dell'infer*
nali pene col dolore del distruggimento di sua progenie , che
Dante ricordavagli. »-► Sentimento bello e vero, con non men
bella forma espi'esso ; e perchè meglio il rimordimeuto y e il di-
sperato e rabbioso duolo di quel l'anima si compi^enda , soggiun-
ge: sen gtOj come persona trista e matta. Biagioli.^-*
1 13 I i4a^rei salirai temerei d'essere tacciato d'impostura.
- di contarla solo , io solamente, io il primo ed unico j-iSe/iza
più pruo^a^ senza aggiungere al mio detto maggior proya.
•-►Torelli spiega : ce vuol dire : e \fidi cosa che temerei ai sola*
» mente ritccontartaj non adendone altra proi^a che la mia
3» i^eduta» »«-•
1 15 al wj Se non che ec; ma la mia coscienza mi fa de-
porre ogni paura. -Za buona compagnia ec.j quella (del pro-
nome la per quella vedi il Cinonio [oj) buona compagnia, che
sotto rarmadura di sua rettitudine rende Tuomo franco.-oj6er-
^'o, o (come dalla comune scrivesi) usbergo j è armatura del
busto y detta altrimenti ^razjea. •-►Grande sentenza , esclama il
[a] Partic. 996. i.
\
6i6 INFERNO
Io vidi certo , ed ancor par eh' io 1 veggia , 1 1 8
Un bus lo senza capo andar, sì come
Anda van gli altri della trista grigia .
E '1 capo tronco tenea per le chiome i ti t
Pesol con roano, a guisa di lanterna;
E quel mirava noi, e dicea: o me!
4}i sé faceva a sé stesso lucerna , 1^4
Ed eran due in nno, e uno in due:
Gom' esser può, quei sa, che sì governa .
Quando diritto appiè del ponte fue, 1 17
Levò il braccio alto con tutta la testa ,
Bia gioii , in versi maestosi espressa , e vera quanto la verità stessa;
poiché siccome la coscieDza ci empie di paura e di sospetto*
cosi pare di sicurezza e di confidenza. Ovid. Fast. lib. i.^
Conscia mens ut cuigue sua est , ita concipit intra
Peciora prò facto spenu/ue metumque suo.
E Qi*azio 9 lib. I . epist. i . f^. 6 1 • e seg. :
Hic murus aheneus està y
Nil conscire sihij nulla pallescere culpa. ^^^
1 1 g 120 si come - jindat^an gli altri ^ cammioaYa istcssa-
mente che gli altri che avevan il capo sul busto.
122 Pcsoloj lo stesso Aependolo j sospeso,
1 23 £ quel , la Nidob.; É quei^ Taltie edizioni , cioè quei
capo. -* o me! vale quant' ozine/
124 a jè stesso y al suo corpo medesimo.
12Ò Ed eran due in unoj due divisi corpi, capo e bvsto«
in un solo individuo, in un uomo solo, animati da una sola
anima, ^e uno in due, un solo individuo in due divisi corpi.
1 26 Coni! esser può che una soPanima informi simultanea-
mente due corpi, come quivi facevasì, quei sacche si govtr-
na , sallo colui che per suo giusto governo cosi gastiga pec-
catori cotali . S. Agostino nel libro De quantitateanimac pro-
va l'abilità dell'anima ad informare corpi separati coIP espe-
rienza delle sopravviventi divise parti d'un centogambe.
128 tuttala testa. Tutta è qui particella riempitiva, [a].
[a] Vedi il Cioon. Parlic. af;. ao.
CANTO XXVIII. 617
Per appre$sarne le parole sue^
Che furo: or vedi la peoa molesta, i3o
Tu che, spirando, vai veggendo i morti:
Vedi s' alcuna è grande come questa.
E perchè tu di me novella porti : 1 33
Sappi eh' i* son Bertram dal Bornio, quelli
Che diedi al Re Giovanni i ma* conforti.
1^9 Per appressarne le parole y per così fare a noi più tì«
Cina la parlante bocca.
i3i spirando y essendo ancor irivo.
i34 Bertram dal Bornio. m^Bertran, il cod. Ang. E. R«
e il Vat. 3 199. ^ Bertramo o Bertrando dal Bornio ^ visconte
del castello d*AItaforte in Guascogna , onde piglia suo titolo la
nobile famiglia Hautefort tuttavia esistente in Francia , vis«
snto sul fine del secolo XII., fu valente trovatore e poeta pro-
venzale . E lodato dal Poeta nostro nel suo libro De vulgari
eloauio sive idiomate. Fu prode guerriero 9 ma turbolento,
furibondo 9 inquieto 9 e per seminar scandali e discordie valse
Canl'oro. Biagioli. — Molte Serventesi di costui si conservano
nei mss. della Vaticana e della Lauirenziana. Amò da giovine
la duchessa di Sassonia, figlia di Enrico IL, e madre di Ot*
t9De IV. Secondo alcuni si rendè in ultimo monaco cistercien*
se. E. F.4-« quelli "per quegli (pronome di maschio nel primo
caso del minor numero) scrissero, per testimonianza del Ci*
nonio [a] , i più antichi quasi sempre •
1 35 ma' per malij apocope. — conforti per consigli ^ esor*
fazioni . Volpi. »-» Mali conforti li chiama il Poeta , perchè
accompagnati da istigazione edincoraggimento. PoooiALwChe
diedi al re Giot^anni mai conforti ^ legge il cod. Vat* 3 199.
— » Dante pone Bertramo in siffatta pena per aver indotto Gio^
yanni detto senza terra ^ figlio minore di Enrico II. Re d*In*
ghilterra , a ribellarsi al padìre , da cui era teneramente amato .
-— > Quattro furono i figli di questo Re sventurato, cioè Enrico
priniogenito, detto il jRe giouine^ perchè incoronato Re d'In-
ghilterra di i5 anni, Riccardo o Ricciardo, Goffredo, e Oie-
vahni detto il Re Giovanni y perchè in età d'anni ondici ìnco*
[^J Panie. 314. 5.
6i3 INFERNO
ronato Re dell* Irlanda conquistata dal padre. Enrico, il Be
giacine y secondato dal fratello Goffredo, ribellossi al padre
tre volte ) e ribelle mori . Riccardo, collegatosi con Filippo Re
di Francia, attaccò il padre, che, rotto e deserto da'saoi, fu
pure abbandonato dal ile Giovanni j il cpsle nel 1 1 89 si uni
col ribelle Riccardo; il che sentito da miei Re infelice, fu da
tanto dolore soprappreso, che ne morì [aj»
Parve al sig. Gingaenè che il Re Gioifonni non possa per
questo fatto tacciarsi di ribellione ^ e propose perciò di leg-
gere gioitane invece di Gioveuini; rimproverando poi che /ler-
sonne en Italie n^ait vù jusqu* à presene dans ce vers , ou
une fante grave du Poete , ou une altération importante
dans le texte, — A propulsar T ingiustìzia di questo rimpro-
vero il sig. Biagìoli risponde: che ildettodal Poeta bastar do-
vrebbe a dimostrare la legittimità del &tto , sapendosi da ognu-
no quanto egli sia preciso anche nelle minime cose : che Dante
era informato di quegli avvenimenti, siccome noi delli pre-
senti nostri : che se appellò Virgilio ribellante alla legge di
Dio per non averlo conosciuto , potè con piii ragione chiamare
il Re Giovanni ribelle al padre , guai fu veramente: che il non
averne gl'Italiani per tanti secou avuto neppur il minimo so-
spetto, è argomento di autenticità del fatto stesso: che il mu-
tamento proposto ripugna ad ogni orecchio italiano , presen-
tando un accozzamento di parole, che non èpiiinè verso, né
prosa; e che infine, a muovere a maggior odio chi l^ge con-
tro Pesecrato Bertramo, l'aggravò giudiziosamente il Poeta
sotto il peso del maggior suo delitto, cioè di aver fatto ribelle
al padre quello ancora de*figli suoi , che più degli altri era da
lui amato e beneficato .—• Anche prima del Biagioli dissenti
dal parere del sig. Ginguené il eh. sig. Ab. Palamede Carpani
m un'erudita sua dissertazione inserita nella Biblioteca ita^
liana di Milano. Ai due sullodati contradditori si oppose il
sig. Raynouard. Tutti gl'Italiani hanno poi ritenuta la lexiooe
Giovanni o senza indicar la quistione , o citando il lodato
Carpani.
Noi , per notizia gentilmente comunicataci dal eh. sig. Ab.
Francesconi , Bibliotecario di questa I. R. Università , e da lai
letta in quest*Accademia nel Giugno i8ai, aggiungeremo so-
lamente che nelle Storie di Giovazmi Villam il primogenito
[a] Vedi Bened. Ab. di Peterboroog. De vit. et gest. Henr. II.Ozon.
1735, in 8.% e Gugliel. Little De reb. Jngi. Ozon. 1719, in •.*
CANTO XXVIII. 619
rfeci *1 padre e 1 figlio in sé ribelli: i36
Achitòfel non fé* più d'Absalooe
£ di David co' malvagi pungelli.
Perch'io partii cosi giunte persone , iSg
dì Arrigo n. è chiamato assolutamente Gioì^annij e in modo
da non potersi dire che abbiano erratogli amanuensi. Ora se
fu in inganno un Villani, cronista di professione e contempo-
raneo di Dante, qual meraviglia che anche il Poeta nostro , in«
tendendo di parlare del primogenito, lo chiamasse col creduto
nome di Giovanni? 4-«
1 36 m sé ribelli. Ribello propriamente dicesi il suddito che
ai solleva contro del principato. Come però di tale sollevazione
è cagione lo scontento, metonimicamente diceDante fatti il pa-
dre e il figlio in se ribelli invece di dirli fatti un delCaltra
scontenti, m^ Non potendosi infatti chiamare Arrigo ribelle al
suo figliuolo, forza è il supporre qui usata dal Poeta una tal
voce in senso figurato. Gli antichi Espositori , da noi consultati ,
non v'hanno posta riflessione ; ma tutti i moderni sono appunto
del nostro avviso. Venturi spiega: n ribelli j cioè al loro prò-
» prio sangue, alFamore naturale di figliuolo e di padre.» e Bia-
gioii/ « ribelli y in riguardo all' efietto che segue la ribellione* »
Ha taluno in proposito sottilmente pensato che Dante al
verbo ribellare ( da cui ribelle si deriva ) abbia qui inteso di
attribuire il significato di rinnovare o ripigliare la guerra f
corrispondente al lat. iterum bellum gerere; e sebbene non
abbiasi, per quanto sappiamo, esempio alcuno in appoggio di
questa opinione , pure non si può negare ch'ella ingegnosa non
sia . — Noi , col Volpi e col Poggiali, opiniamo che ribelli sia
qui detto per simili tudiuc ed al senso di emoli ^ nemici y ai^
versarf ec.f trovandolo in tal significato anche nel Petrarca in
4|U(;1 verso : Rubella di mercè y che pur le ^nvogUay in cui ri/-
bella vale quanto nemica , contraria ec. ^hi
f 37 al 1 09 Achitòfel fu colui che mise discordia tra Absa-
Ione e il re Davidde suo padre, come si ha nella Scrittura
sacra. Volpi . - non fe^pià d'Absalone - E di David: »-► iVlè
di Davida il Vat. 3 199.«-« Dee qui la prticella di valere quan-
to tra , o con , due delle varie particelle , alle quali la </i'alcruiu
fiata equivale: vedi il Cinonìo ( Partic. 80. 3. 11.). -^pungelli*
Pungello propria nieute significa pungolo ; qui però adojicrasi
T
620 INFERNO
Partito porto il mio cerebro, lasso!
Dal suo principio, ch*è 'n questo tronooue.
Cosi s'osserva in me lo contrappasso.
figuratamente per incitamento^ istigazione.m^punzelli, leg*
gè il cod. Ang. E. R. e il VaL 3 igg. 4^ giunte per congiunte,
1 4o cerebro , parte , per tatto il capo. -— lasso ! interiezioDe
di dolore, come di sopra \f. 107. •-►Noii poteva meglio pro-
porzionar la pena col delitto. Biagioli.4-«
i4i Dal suo principio y dal onore 9 il quale si dice essen*
primiim vivens , et ultimum moriens , essendo la sede e la fu-
cina degli spiriti, che ivi lavorati si diffondono poi, e sommi-
preferibi
seguente , che noi dobbiamo alla gentilezza del signor Floriano
Caldani , chiarissimo Professore di Anatomia in questa I. R. Uni-
versità, a Prassagora (die' egli) e Plistonico, al dire di Galeno ,
» furono di parere che il cervello considerare si debba quale
» appendice della midolla spinale ; e forse a questa opinione ,
» che fu pure quella di Aristotile, volle qui riferire il Poeta
» nel dire che il cervello era diviso dal suo principio y cioè
» dalla midolla spinale, eh' è nel tronco delle vertebre. »♦«
142 lo contrappasso. Trovo nel Lexicon iuridicum^ stam-
pato in Ginevra nel 16 1 5 , sotto l'articolo TiUio , che la legge
del talione i^idetur Aristoteles (lib. de morib.) avrinreiroy^H
vocare. Significando cotal greco vocabolo letteralmante vólto in
latino contrapassusy non rimane dubbio che per contrappasso
non intenda qui Dante la legge stessadel talione; ecbe tale Fap-
pelli per rapporto al latino equivalente al greco Oi^rarerow^^q.
Intenderen^ adunco che Così s* osserva in me lo conirappas-'
so vaglia il medesimo che in cotal modo s* adempie in mela
legge del talione , che yuole simile il gastigo al commesso
delitto i onde qui porto il capo diviso diU tronco ^ come in
terra staccai il figlio dal padre .
CANTO XXIX.
ARGOMENTO
Giunto il Poeta nostro sopra il ponte che soprastava
alia decima bolgia, sente diversi lamenti de* tristi e
falsar j alchimisti, che in quella erano puniti; ma
per lo buio dell'aere non avendo potuto vedere alcu^
nOy disceso di là dal ponte lo scoglio ^ vide che es-
si erano cruciati da infinite pestilenze e morbi.
Tra questi introduce a parlare un certo Griffbli*
no ed un certo Capocchio*
XJa molta gente e le diverse piaghe i
Avean le luci mie si inebriate,
Che dello stare a piangere eran vaghe ;
Ma Virgilio mi disse: che pur guate? 4
B^ Le bellezze che s'incontrano in questo canto non sono
di sorte che ogni lettore possa conoscerle , e però ammirarle ,
consistendo quasi tutte nella squisitezza dei modi del parlar
poetico 9 nella scelta delle parole ^ nel dir chiaro e conciso assai,
quale al dialogo si conviene , e nella congruenza delle espres-
sioni coi concetti che per esse si rappresentano , cose tutte che,
a gustarsi, vogliono gran senno e giudizio. Ho voluto preve*
nirc di ciò il lettore , perchè chi da tal palle ò manchevole
non prorompa in temerario giudicio. Biaoioli.4-«
a Auean le luci mie^ gli occhi miei, sì inebriate j si, per
la compassione, di lagrìmal umore ripieni.
3 dello stare j intendi affissate colaggiii. '^ vaghe ^ vo-
gliose.
4 che pur guate? che ancor guardi? Guate per guati % au*
«M INFERNO
Perobè la vista tua pur si soffolge
Laggiù tra l'ombre triste smozzicate?
Tu non hai fatto si alF altre bolge: 7
Pensa , se tu annoverar le credi ,
Che miglia ventidue la valle volge;
E già la Luna è sotto i nostri piedi: io
titesi ia gi*azia della rima . m^ Ma qui guatai^ , secondo il Bia-
gioliynon significa semplicemente^ttar^are,mabensiaflissarsi
ad un oggeuo con animo passionato dalle circostanze . ♦-«
5 6 si soffolge. Di questo verbo soffblgere non reca il Vo-
cabolario della Crusca che due esempj di Dante: questo , e
quell'altro, Paradiso xxiii. i3o. \a\'.
Oh quanta è ruberia che si soffolce
In queir arche ricchissime ^ ec.
La struttura di cotal verbo, simile al latino suffulcire, ed il
significato del latino suffulcire adattabile ad esso verbo ne'dne
prodotti esempj , pare che ne persuadano che il soffolgere non
sia che il latino stesso ^ru^tt/cire, italianamente detto. Poggiando
in certo qual modo la vista , ossia visione, neirobbietto veduto,
f>uò ed in latino dirsi , suffulcitur visio ab obiecto ,- ed in ita*
iano, la yista dagli obbietti j o (eh* è lo stesso) tra gliob^
bietti si soffolge f si sostiene. »-» Queste parole mostrano qnel
guardo attonito e fisso in luogo, in modo che, essendo l'anima
da forte sentimento assorta, non si distinguono quasi più le for-
me. BiAGioLi.4-« smozzicate f trinciate, mutilate.
9 volge f gira, come nel f>. 4o« del canto precedente volta
per girata.
10 E già la Luna ec. Avendo il Poeta, nel terminare della
prossima passata notte, detto che nella notte precedente a quella
fu la Luna tonda [A j , dicendo ora che la Luna gli era sotto
i piedi, viene a dinotare eh* era mezzogiorno passato: aic^come
[a] — * Due esempi dell'Ariosto reca il diligentissiino autore della
Teoria e Prospeiio de* verbi italiani , signor Ab. Mastrofioi , pìii vol-
te da noi ciuto. Orlando ziv. sL 5o-, e xzvu.st. 84* Per verità ooo
sembra che 1* iusigoe Accademia della Crusca dovesse tralasciarli tm
confermazione degli antichi per dimostrazione delV uso^ oper quai*
che altra occorrenza E. R. [b] Canto zz. v. 1 37.
CANTO XXIX, 6a3
Lo tempo è poco ornai che q'c concesso;
Ed altro è da veder, che tu noQ vedi.
Se tu avessi, rispos'io appresso, i3
Atteso alla cagion, perch'io guardava,
Forse m'avresti ancor lo star dimesso.
Parte sen già, ed io retro gli andava, 16
airopposto , quando due notti dopo il plenilunio abbiamo la
Luna sopra il capo 9 già è passata la mezzanotte*
1 1 Lo tempo è poco ontaij ec; perocché non restava loro
altro tempo, che da quel ptmto fino all'imbrunire del mede-
simo giorno, su rimbrunire del quale, pel centro della terra
passando» se n'escono i Poeti d'Inferno. Vedi il e. xxziv. y. 68.
la Ed olirò è da ^eder^ che tu non i^edif legge la Nido*
beatina ^-* ed i codd. Casa, e Caet. E. B.); ove raltrc edizio-
ni, E altro è da ueder^ che tu non credi» "ì^edif in luogo
di eredi y hanno pur trovato in piti di trenta mss. gli Accade-
jnici della Crusca ; e non capisco perchè non l'abbiano ammesso
nel testo, e levato credit u quale ritenendosi, sarebbe questo
r unico caso in cui facesse Dante tire rime con due parole di
ugual senso; esempio bensì trovandosi, che facciale con una
sola [a], ma con due parole non mai. Ed altro è da veder f
che tu non vedi: altro di più maraviglioso e spaventevole, che
qui tu non vedi. »♦ Anche il Biagioli, scostandosi dalla Ci*u-
sca 9 qui segue la Nidob., che s'accorda anche col codice Stuar*
diano. E Alfieri , nel suo Estratto delle bellezze di Dante pos-
seduto dal detto Biagioli , notando questo verso, secondo la le-
zione degli Accademici , scrive : e certo con intenzione di cor*
reggere y che tu non \edi. ^uedij legge pure ilVat. 3i99.4-«
1 3 1 4 appresso f in seguito.iSe avessi atteso alla cagione ec.
dee valere lo stesso che, se annessi atteso ad indagare la cagione.
i5 ancor lo star^ lo stare ancora, d'avvantaggio. -^imox-
so , perdonato, concesso. •-♦£ tolto evidentemente dal lat. veiw
ho dimitto , che presso gli scrittori di bassa latinità vuol dir
Anche perdonare. Poggiali. <<-•
16 al 18 Parte sen già , ec; sinchisi, di cui;la costruzione :
Oid lo Duca parte sen già , ed io gli anda$/a retro , facendo
[a] Par. sii. 7 i. e segg.« stv. io4- e iegg.
6a4 INFERNO
Lo Duca, già facendo la risposta,
E soggiungendo : dentro a quella cava ,
Dov' io teneva gli occhi si a posta , 1 9
Credo eh' un spirto del mio sangue pianga
la risposta f cioè , già Vii^lio intanto se n'andava , ed io tene»
▼agli dietro 9 proseguendo a rispondere. Cheravverbio parte
adoperassesi a significato d* intanto , mentre e simili , è certis-
simo per molti esempj che il Cinonio [a] ed il Yocab« dellt
Crusca [6] ne arrecano. In qnelle parole (per dime uno) dtì
Boccaccio : Parte che lo scolare questo diceva j la misera don^
napiangeì^a continuo [e]} può egli porte aver altro significato
che di mentre? Malamente adunque il Vellutello, Daniello e
Venturi vanno arsìgogolando essere il senso , che parte ì^irp*
Ho andava^ e parte si fermala per ascoltar Dante ^ La me-
desima Nidobeatina leggendo a questo stesso senso , Purg. xxi.
|/. x^y parte andana forte invece dì perchè andiUe forte j vien
ivi a toglierne un grosso sconcerto • Vedi quel verso e quella
nota. »-^Ma il Biagioli ci dice, che la yoce parte , elementa
di da una parte , ovvero da sua parte , usasi a fiir cenno di
due diverse azioni fatte da una o niii persone a un'ora stessa,
O quasi ad un tempo , e che in tal senso T usarono Boccaccio
e Petrarca. -Il Torelli spiega qui come il Lombardi , e riporta
lo stesso esempio del Boccaccio; e questa sembra a noi pure
la vera ed unica interpretazione. —Anche il Postili, del cod.
Cass. alla voce parte nota interim. E. R. «-« cava, hnc^, fossa^
19 m-^Doy* r teneva or gli occhi y legge TAng. E. R. — e il
Vat. 3ig9.4-« sì a posta per sì appostati^ sì affissi, m^va
» posta ò formula avverbiale, modificante Tazione rispetto al-
» l'intensità e continuità sua, nò può significare appostati'»
m affissi. M Cosi il Biagioli sottilizzando contro il Lombardi. <«^
20 m-^un spirto del mio sangue ec. Scrivendo correttamente
converrebbe dire uno spirto. Forse Dante scrisse : Cre' ch'*uno
spirto ; ovvero : Credo uno spirto . Toeblli. -Un crodele pre*
giudizio regnava ai tempi di Dante » cioè che le ingiurie per-
sonali divenissero aifari di famiglia e implicassero in nna gu/eira
comune tutti gì* individui della famiglia offesa. Questo harbam
e falso punto a*Qnore ebbe origine dai Germani , presso i quali «
[a] Partic. 194. I. e 3. [h] Ari. Parte avverb. [e] Giom. 6. Vov. *^
CANTO XXIX. 6a5
La colpa ^ che laggiù cotanto costa .
Alior disse '1 Maestro; non si franga 22
Lo tuo pensier da qui innanzi sovr*ello:
Attendi ad altro ; ed ei là si rimanga ;
Ch'io vidi lui a pie del ponticello ^5
Mostrarti, e minacciar forte col dito,
Ed udii nominar Gerì dei Bello .
osserva Tacito ^ suscì pere tam inimici tias , seu patris , seu prò -
pingui j quam amici tias necesse est [a]. Dai Germani fa por*
tato in Italia, e quivi mantenuto e divenuto forse piii feroce a
eagione delle intestine discordie e del furore delle parti che la*
ceravano tutta la Penisola. Le fazioni de* Guelfi e de' Ghibel-
lini derivarono pure dalla Germania .^-a
a I La colpa n che ec. , intendi di seminar discordie . '^eotan*
to costa j pagasi con tante pene.
a'* 28 non si franga. Frangere per intóner/rji spiegano qui
il Volpi e il Venturi ; ma io spiegherei piuttosto per affannarsi
e stancarsi f ovvero, più letteralmente , per far parte disèy co-
me se detto fosse: non faccia il tuo pensiero da qui innanzi
di sé parte ^ non estendasi. - soi^r^ello y sopra lui. m^ Ma il
Biagioli chiosa.* Non si franga lo tuopensierj cioè non Inter*
rompere il pensier tuo con quello di questo spirito ; e però
non pensar pia a lui. — Frangere per intenerirsi y impieto*
sirsi j con Volpi e Venturi, contro 1 opinione del Lombardi,
spiega anche ilcav. Monti [6J.
ab 2^ Mostrarti y agli altri spiriti <— e minacciar forte col
dito , scuotendo l'indice stesso, col quale agli altri spinti ave-
vaio indicato: il quale scuotimento fatto verso d' alcuna persona
è segno minaccevole . Non avendo Virgilio osservato in alcuno
di quegli spiriti segno che conoscessero Dante se non in costui,
perciò si argomentò di sicuro che costui medesimo fosse il con*
sanguineo ai Dante. — Ed udìly e Tudii, nominar Geri del
Bello . Non che Virgilio sapesse che uomo di tal nome fosse pa*
iTnte di Dante, ma acciò conoscesse Dante sVgli sapeva ben
coiighictturare. Fu , dicono tutti i Comentatorì , Gerì del Bello
fratello di un mcsser Cione Alighieri , consanguineo di Dante ;
[a] De morib. Cerman. [b] Prop. voi. Sé P. i. face. iJq- e seg
roi. i. 4o
s-
626 INFERNO
Tu eri allor sì del tutto impedito 18
Sovra colui, che già tenne Allaforte,
Che non guardasti in là; sì fu partilo.
O Duca mio, la violenta morte, 3i
Che non gli è vendicata ancor, diss'io,
e fa uomo di mala vita 9 e seminator di risse; e fu ammazzato
da uno de'Saccheui. »-^Il eh. sig. Ab. Portìrelli dice che que-
sto Geri era figlio (e non fidateli 0) di Cione Alighieri ; che fa
uomo sagacissimo e piacevole , ma che dilettossi di meUer male
tra le persone; che ripreso 9 per lo sconcio suo parlare, da uoo
della famiglia de'Germii di Firenze 9 se ne vendicò coirammai*
zarlo ; e che fuggitosi , dopo alcun tempo venne esso paiv am-
mazzato da uno dei Germii (e non de' Sacchetti). Ma non ci
dice donde abbia egli tratta questa notizia. L'An ti co, citato nella
E. F. 9 s'accorda coi piii nel dire che Gerì fu morto da uoodn
Sacchetti. - nUnacciar forte col dito , e ciò per grande sdegni
di vedere un suo parente 9 uno di quelli che pure 9 secondo luì.
avrebber dovuto vendicare la violenta sua morte . Biagiou.^^
28 impedito i occupato; »♦ tutto col pensiero in lai asso^
tO. BlAG10U.4-«
3g Soi^ra colui j che già tenne Altaforte^ sopra quel Bel-
tramo già detto \a\y m^ì\ quale fu Signore d'Altaforte, ca-
stello in Guascogna , e non d' Inghilterra^ come per errore dis-
se pure con Landino il Lombardi . <-•
3 6 sì fu partito f sinché fu partito . Di si in luogo di sinché ^
oltre gli esempj moltissimi recatici dal Vocabolario della Cni-
sca, è da vedersi T insegnamento dei Deputati alla correzione
del Boccaccio [&]. »-»Il Biagioli spiega: sì (così) egli fu par'
titOy quando tu guardasti là. —Il Torelli , che legge eoa la
Cruscai nota invece a questo luogo così: «Io credo che debba
» ommettersi la virgola innanzi a non , e leggere sì per cosi
M Ed è questo il sentimento : Tu eri allora si impedito ^ da
» non guardasti in là; sì (cioè così^ onde) egli se ne an-
M tf/ò. M Sembrandoci questa la interpretazione migliore , ne
abbiamo perciò seguita anche T interpunzione .^hi
3 1 al 33 Che non gli è vendicata ec. Non vendicata per
alcuno della nostra famiglia , che fu a parte deiroltraggto che
[a] Canto preced. p. i34. [b] Niim. 55. gSorn. 9. nov. a.
CANTO XXIX. C>.7
Per alcun che dell'onta sia consorte,
Fece lui disd^noso, onde sen gìo 34
Senza parlarmi, si com'io stimo;
Ed in ciò m'ha el fatto a sé più pio.
esso ricevè. Dice però il Landino 9 che 3o anni dopo fu fatta
questa vendetta da un 6gIiuolo di messer Cione, che trucidò
uu Sacchetti sulla porta della sua casa. Vevtubi.
34 »-^ ondaci sen glof legge il Val. 3 199. 4-«
35 compio istùno la Nidob.; compio stimo, l'altre edizioni:
secondo però le quali bisognerebbe far valere per due sillabe
la particella io per entro il verso; che, dopo il verso 1 1. del
canto 111. deirinC, sarebbe forse questo T altro solo esempio.
»-»Cosi il Lonibai*di; ma noi preferiamo la comune lezione sti"
niOy e perchè la crediamo la vera ed originale , e perchè Via
bissillabonon fa contrasto airarmonia del verso, e perchè in-
fine questa lezione si sostiene coirautorità de* codici Ang. e
Vat. 3 1 90, e di tutte le piit antiche ed accreditate edizioni .^hi
iSni'ha el (e* T edizione diverse dalla NidobcaUua)/a^o a
sé più pio^ mi ha mosso più a pietà per quest*altra pena ac-
ridentale, che ha di essere invendicato per codai*dia di quei
di nostra casa; pietà poco lode vole, anzi degna di stare in una
di quelle bolge. Il Landino spiega: piti pietoso verso gli ucci-
sori di Gerì pel dispetto con cui T aveva fuggito e minaccia-
to y senza degnarai di parlargli ; ma non vedo come a tal sen-
timento si possa accordare il t(*stO)Cbe chiarameuto dice pio a
sè^nonaì suoi uccisori. Così il Venturi da se solo criiica Daute,
ed unito al Vellutello crìtica il Landino. Ma, addimando io, e
perchè fa Dante che Virgilio distolgalo dal vedere e parlare con
Geri?Noo polrebb'egli voler indicaijie ch'era quella sua ^le/à
lina disordinala passione, e ch'era offizio della ragione, intesa
per Virgilio, d'allontanarlo da ciò che poteva la passione ac-
crescere ? L'ira certamente , rbc per comune deiiuizione est inor-
dìtuiius appcfilus vindictae^ puniscela Daute stesso, Inf. can-
ti VII. e vili. , e nel xn. puQÌsce la vendetta presa da Guido di
IMonfortc contro un cugino delFuccisore del padre suo. •-♦Ma
il \ero s(*ntimento di questo verso, secondo il Biagioli , è il se*
^ nenie: Ed in ciò , vale a dire, e rispetto a ciò ( al disdegno
MIO di non vedersi ancora vendicalo per alcuno dei consorti
u ITonta) egli m'ha fatto più pio a >è ( m*ha mosso a mag*
6a8 INFERNO
Così parlammo insino al luogo primo, 3;
Che dello scoglio l'altra valle mostra ,
Se più lume vi fosse, tutto ad imo.
Quando noi fummo in su l'ultima chiostra 4^
Di Malebolge, si che i suoi conversi
gìor pietà di sé). <-«* Passando ora dalla filologia airarmonù,
non possiamo dispensarci dal dire che il sig. Poggiali lesse nel
suo codice questo verso un po'nieglio , cioè : Ed in ciò nChé
fatto egli a sé più pio. E. R.
3^ al Sg Cosi parlammo insino ec. La costmzioiie dee es-
sere : Così parlammo insino al luogo dello scoglio , che primo
mostra (è a portata di mostrare) ^i se rifosse più lume^ Coltra
valle tutto ad imo y la seguente valle interamente al fondo [«}
•-^Gli Editori della E. B. non acconsentono che dello scoglio
si abbia a prendere per secondo caso, ma credono che dello
ni sia in luogo di dallo , modo usitatissimo nella lingua; quin-
i chiossnoz così parlammo in/tno a quel luogo j che primie^
r amente dallo scoglio mostra ec, cioè donde si wnastra [al-
tra valle ec. 4hì Se vi fosse più lumi , leggono Tedizioni dalU
Nidobeatina diverse . •-» Come la Nidobeatina legge però il
Vat. 3199; lezione che anche il Biagioli reputa preferibile
alla comune. «-«
4o chiostra^ chiostro (lat. claustrumy derivato dal verbo
alando )9per sé stesso significa generalmente luogo chiuso ;mi
per costume propriamente non dicesi che delle case religiov:.
Qui però si trasferisce dal Poeta a significar vallone o bolgia
d' Inferno , per esser questo pur luogo chiuso . Chiostra per
valle disse anche il Petrarca :
Per questa di bei colli ombrosa chiostra [frj-
4' conversi. Conversus j spiega nella sua y/i7»a//ea il Laa-
renti , quia communi hominum consuetudine ad morutcalem
vitam abductus , cucullarem vestitum induit . Con$^ersi ados-
quo, sebben oggi dicansi i soli Frati laici, dovettero nna volta
appellarsi i claustrali tutti ; ed in tale generico senso dee qui
anche Dante appellar conversi gli spiriti di quella bolgia, m
eon*ispondenza allo aver appellata cAio^/ra la bolgia medesima.
[a] Vedi Tatto avverh. ocl Yoc^b. d^ila Or. [b] Sod. iS^.
1
CANTO XXIX. 6a9
Potean parere alla veduta nostra;
Lamenti saetiaron me diversi, 43
Che di pietà ferrati avean gli strali ;
Ond' io gli orecchi con le man copersi .
Qual dolor fora, se degli spedali 4^
Di Valdichiana , tra 1 luglio e '1 settembre ,
£ di Maremma , e di Sardigna i mali
»-♦ conpersi , per ciò che pensano gli Editori della E. B., si-
gnifica congeniti f trasmutati i e cosi li chiamò Dante , perchè
questi alchimisti y che pretendevano vanamente qui nel mondo
trasmutare i metalli, sono neirinfemo essi medesimi trasmuta»
ti y avendo il corpo pieno di schianze, e pel continuo graffiarsi
dìsmagliato e guasto. 4-« * Alla parola conversiW Postili. Cass.
notò sopra : scilicet termini. Si osservi la nota del P. Ah. di
Costanzo al u. J^o. di questo canto nella sua Lettera ec. ; pia-
cendoci qui di aggiungere j che anche Iacopo dalla Lana alla
parola conversi nota : cioè termini • E. R.
4^ parere j manifestarsi.
43 al 45 »-^ Bellissimi d^espressione , da gran forza vibrati
sono i primi due versi, e quali nel solo Dante s'ammirano, e
che già preparano il lettoi'e agl'infiniti mali che s'appressano.
BiAGioLi. 4-c Lamenti saettaron ec. Lamenti dipersi y per la
diversità delle pene e moltiplicità dell'ombre, saettaron me,
mi punsero con strali , che di pietà , invece di ferro , an^eyan
le punte. Cosi il Petrarca:
Una saetta di pietade ha presa ^
E quinci e quindi lor punge ed asside [a] •
•^Bel modo figurato, a farci capire l' impression forte da loro
prodotta y onde segue l'atto naturalissimo, espresso nel verso
che segue. Biaoioll4-« coperai, atturai, per non sentire cotai
compassionevoli lamenti.
40 Dolore per lamento , come per lamento disse duolo in
quel verso:
Ma negli orecchi mi percosse un duolo [£] .
47 4^ F'aldichiana , campagne tra Arezso , Cortona , Chiusi
e Montepulciano, ove corre la Chiana, fiume. «— Alaremma ,
{a\ Sos. »o4. [h] In£ viii* 0S.
63o INFERNO
1 ossero in una fossa tulli inseinbre, 4o
Tal era quivi , e tal puzzo n' usciva ,
Qual suol venir daUe marcite membre .
Noi discendemuio in su T ultima riva 5i
Del lungo scoglio, pur da man sinistra,
tratto di paese tra Pisa e Siena lungo la marina. "Sardìgna
isola vicina all'Italia nel mar Tirreno. Luoghi sono tutti que-
sti d'aria mal sana , massimamente ne'gi'andi caldi della state
(eiic rippnnto fanno, come il Poeta accenna, ti*a luglio e set-
leinl>i*e, cioè ncH'agosto); ed hanno perciò in cotale stagione
^li sj)edali ripieni d'ammalati. a-^I progressi deirartc idrau-
lica trovarono il modo di bonificar questa valle (Valdichiana\
che in oggi è uno de'piii fertili e popolati territor) toscani. Ìjc
prime vednte si devono al famoso Torricelli sotto Ferdinan-
do IL Successivamente altri distinti matematici ne dire$sen>
le operazioni , fintantoché il gran Duca Leopoldo determinò 5^*
viamente una necessaria unità nel sistema dei lavori , creando
una soprtntt^ndenza sul piano idi'ometrico dal eh. cay. Fossom-
broni esposto nelle sue Memorie idraulìche^storiche sopra la
f'^aldichiana ^ stampate in Firenze nel 17^9- E. F. ••-•
49 insembre per insietne , adoperato ancoi'a da altri anticlii
toscani scrittori • Vedi il Vocabolario della Crusca. Egli ha
molta somiglianza col francese ensemble; e della / in simile
posizione fanno gP Italiani r anche in altre voci, dicendo , per
cagion di esempio, sembrare ove i Francesi dicono semhler,
11 signor Rosa Morando nella nota ai terzo cauto del Pa-
radiso dice insembre ùx\.o òUnsieme per epentesi 5 ma Tepe»-
test non fa altro che inserir nella voce una vocale o consonante
di più, facendo, esempigrazia, d^alitum alituum ^ di reiuiii
reuulit ec.
ò I Qual suol i^enir , la Nidobeatina e la Fulgìnate; Qual
suol uscir y l'altre edizioni, m^mamdej legge il codice A u^;.
E. R. — membre è totalmente suggerito dalla rima per ttt^n^
bra. Poggiali. 4-«
53 pur da man sinistra , cioè da man sinistra istessamente ,
come facemmo ogn'altra volta che dallo scoglio discendemmo
in su le anteriori ripe. Vedi , a cagion di esempio, al verso 4'"
del cauto xix. a-^Con molta proprietà chiama lungo questo sco-
CANTO XXIX. 63i
Ed allor fu la mia vista più viva
Giù ver lo fondo, dove la ministra 55
Detrailo Sire, infallibil giustizia,
Punisce i falsator , che qui registra .
Non credo eh' a veder maggior tristizia 58
Fosse in Egina il popol tutto infermo,
{i;1io, perchè prolungato fin qua da principio del vasto campo Ma-
ebolge • Poggiali . '^purea man sinistra , legge l\Ang. E. R.4-«
54 pia ui^ay più cliiara, attesa cioè la maggior vicinanza.
55 •-> la Ve la ministra, TAng. E. R. — e il Vat. ò 199. ^-v
56 alto Sire j Iddio • — infallibil giustizia y che non erra j si
nel gastigare chi veramente è colpevole, che nel pit^miarechi
veramente è buono; ove r umanagiustizìaiallisccspessOi «-♦Ver-
so degno della grandezza del sentimento in lui contenuto. Bia-
OIOLI. «-■
57 falsator , che a'danui del prossimo falsificano metalli e
monete. «-- che qui registra. Parlando Dante di quella infeinal
bolgia sette versi sopra, disse: Tal era quivi,, in quel luogo.
Adunque qui nel presente verso non quella bolgia , ma questo
mondo significa; e che registri qui la divina giustizia i fai»
satori che di là punisce y vale quanto che registri, noti, i
peccati de* falsatori in questo mondo , per poi punirli neir altro;
ed è maniera di parlare figurata , corrispondente a quella del
sacro rìtmo Dies irae:
Liber script us proferetur ,
In quo tolum con/inetur y
Unde mundiis iudìcetur *
58 59»^ Il lungo giro del ( seguente ) periodo, la similitu-
dine della pestilenza di Egina, con le cii'costanze che la fauno
più spaventosa ancora, empiono T anima di tanta tristezza e
ribrezzo, che rifugge quasi dall'orrenda vista di quegli spiriti
ammucchiati e langueati , come con si forti e diversi colori da
Dante solo si poteva ritran*e. BiAoioLt.<4~« iVò/i cre^oec. Co-
struzione, Non credo che fosse maggior tristi zia y compassio-
ne, a veder in Egina infermo tutto il popolo • Egina, isolet-
ta poco lontana del Peloponneso , o Morea , dove a'tempi d'Eaco,
suo Re, per una fierissima pestilenza morirono tutti gli uomiui
V gli animali. Volpi.
63a INFERNO
Quando fu l'aere sì pien di malizia.
Che gli animali, intìno al picciol vermo, 6i
Cascaron lutti; e poi le genti antiche,
Secondo che i poeti hanno per fermo,
Si ristorar di seme di formiche • 04
Ch' era a veder per quella oscura valle
Languir gli spirti per diverse biche.
Qual sovra 1 ventre e qual sovra le spalle 67
L'un deiraltro giacca, e qual carpone
(>o Quando fu ec. Il conlenulo in questo e ne' seguenti quat-
tro versi intendilo dirsi tutto per interiezione. — malizia j^
qualità nocwa. Volpi.
6r vermo per verme in rima, dice il Volpi; ma anche fuor
di rima adopralo Dante stesso fa] e l'Ariosto [A]-
62 genti antiche -per primiere • Antiquwn per primiero
adopera anche Terenzio in quel verso: Eamdemillam rotici
nem antiquam obtine [e] .
63 Secondo che i poeti ec, , cioè , secondo che affermano i
poeti 9 intendendo d'Ovidio [d\. Dawiello.
64 65 Si ristorar j si riprodussero . »-^ E qui chiaramente
dedotto dal verbo latino restaurari, del quale uno de' princi-
pali significati èriprodm'si, rinnovellarsi.PoGoiAi.i.*^rf« jeme
di formiche vale conia sostanza delle formiche^ mentre Giove
ai preghi d'Eaco trasformò le formiche in uomini, e però fu-
ron chiamati Mirmidoni . — Ch^era vale A* quello che era^t
corrisponde a maggior tristizia, sette versi sopra.
66 biche , mucchi di covoni di grano ; qui per mucchi sem-
plicemente .
67 68 Qual sovra '/ ventre ec. Assegna Dante di là in per*
petuo alli rei alchimisti il puzzore y laparalisia (ossia risoluzion
di nervi ) , e gli altri morbi che soglion la maggior parte degli
alchimisti a cagion di lor arte soffrir di qua. Il celebre Ra>
mazzini y nella sua Diatriba de morbis artifteum y in compro-
vazione dei molti mali, e ai asserisce soggetti gli alchimisti, rac-
conta il seguente esempio: Carolwn Lancillotum chjrmicwn
[a] Inf. ZJCXIT. 1 08. [b] Far. xl v i. 78.[c] Adelph. 5. 3. [d\ Melaat. lib. tu.
CAJNTO XXIX. G33
Si trasmutava per lo tristo calle .
Passo passo aodavam senza sermone, 70
Guardando ed ascoltando gli ammalati ,
Che non potean levar le lor persone.
Io Vidi duo sedere a sé poggiati , j3
nostratem satis celebrem ego novi tremulwn , Uppum, eden^
tulum , anelosum » putidum , oc solo viso medieameniis suis ,
cosmetìcis praesertiìn , queie uenditabat , nomen et famam
detrahentem. Anche Avicenna, parlando dell'argento vìvOt
primario capitale degli alchimisti, eius vapor y dice, facit
uccidere pandjrsim [a] .
Cristoforo Landino, che, a quanto veggo, è l'unico tra gli
Espositori che movesi a cercar la ragione di oiiestepene degli
alchimisti, dà in allegorie troppo stiracchiate. Vedilo, lettore,
se vuoi . — - carpone - 1$/ trasmutarla , di giacente facevasi car*
pone ;per lo tristo calle j nel penoso suolo. Della particella
per a senso di nel vedi Cinonio [&] .
73 levar le lor persone y alzarsi in piedi . •-♦Si vedrà la con*
gruenza di questo supplizio col peccato, considerando che l'ar-
te di questi falsatori fu d'alterare e corrompere la natura eie co-
se sue. E questo supplizio ricorda a un tempo ai rei la cagione
della loro miseria; il che raddoppia il tormento. Biaoiou.4-«
j'i asè poggiati y la Nidobeatina ; a sé appoggiati y l'altre
edizioni. »-> Questo luogo e le due seguenti similitudini , con
altre poche voci , sono cose biasimate dal Bembo, a cui dal Bia-
gioli si fii opportuuissima risposta col seguente passo di lette-
ra scritta dal Davanzatì agli Accademici Alterati: ce Non sono
» bassezze le proprietà da* nobili e dall'uso approvate, ma forze
a» e nervi ; né Omero e Dante le schifano ne lor poemi altis-
a» simi, ne'luoghi ove operano gagliardamente. A'iuoghi adun-
» que bisogna aver gli occhi. Così ebbe Donatello nel famoso
» Zuccone del nostro campanile del Duomo nel fargli gli occhi
» che di lassii paion cavati con la vanga : che se gli scolpiva di
j» terra la figura parrebbe cieca , perchè la lontananza si man-
» già la diligenza . E uua sprezzatura magnanima avviva il con-
» celio y e non V abbassa , ritraendo , per esempio , una grand'ii^
[a] Lib. a. Iract. ìì* cap. 47* W P^riic. 19$. i5.
634 INFERNO
Come a scaldar s'appoggia t^ghia a tegghia ,
Dal capo ai pie di schianze maculati :
E non vidi giammai meaare streggbia 76
Da ragazzo aspettato dal signorso,
» disonestà, sedizione, o furia con parole non misurate, ma
» versate. Né anche la rustichezza de' bozzi ne* gran paUgj
» scema , anzi accresce la maestà . » — Tra le diverse posiziani
dì quelle anime, ne scorge due appoggiate Tona alP altra, in
modo che il lato destro o sinistro deir una s'appoggia airalira;
o veramente V una appoggiando la destra mammella sulla spai-
la sinistra dell* altra, come pur si mettono tegghie, piatii e si-
mili. Alfieri però spiega: appoggiati a tergo; cosi altri, e
forse meglio ai me. Biagioli.^-*
^4 Come a scaldar ec. Non potendo quelle ombre, por
la gran debolezza, reggere di perse sua vita alta da terra né
in tutto né in parte, conveniva che anche, per tenersi a se-
dere, si facessero contrasto una coU'altra , appoggiando, per
cagion d'esempio , schiena a schiena ; come, se non che per
forza di contrasto e d'appoggio, possono sostenei'si ritte in
piedi tegghie e piatti e corpi simili • Dante però invece del ge-
nerale accenna il particolar caso , quando pougonsi sul focolare
le tegghie a riscaldarsi per mantener vie pìii calde le vivan-
de da riporvisi. m^si poggia ^ ha il Vat. 3 199 . 4-«
76 schianze vale il medesimo checrosie [a], — maculati
deturpati .
76 slregghiay streglia, strumento da ripulir cavalli.
77 Da ragazzoni laJ\idobealìna;-^rag"«zzo, l*al tre edizioni;
ma Da ragazzo accoixla meglio con Né da colui ^ che leggono
tutte quante l'edizioni nel verso seg. ^-^ j4 ragazzo q dal sì'
gnorsoj legge l'Ang. E. R. e il Vat. 3 199. 11 Gaet. però ron-
iermail Da ragazzo ^ ma ìe frac dal sign orso (che noi segniamo
colla '^ rom.ediz.), e *'osi sfugge l'amàbologia lasciando il pn*-
gio alla variante di Nidobealo , e convenendo , ove più importa.
coi codd. Ang. e Vat. 3 199. -llBiagioli però ci'ede che Dante
abbia sci'itlo^ ragazzo ; e JVed acolui nel verso che s«*gne. *-•
Ragazzo i^ev mozzo o famiglio di stalla. Vedi il Boccaccio nella
[a] 11 Vocab. delta Crusca spiega ugualmente, e fa corrispoodere il
laitiuo crusla lauto a svhianza che a crosta»
CANTO XXIX. 635
Né da colui che mal volentier vegghia ;
Come ciascun menava spesso il morso 79
Deir unghie sovra sé per la gran rabbia
Del pizzicor che non ha più soccorso:
£ si traevan giù l'unghie la scabbia, 82
Come coitel di scardova le scaglie,
O d'altro pesce che più larghe l'abbia .
O tu, che con le dita ti disraaglie, 85
novella del Conte d'^Anguersa. Volpi. Vedi anche il Dufresne
alle voci Aagatius e Ragazinus. - aspettato dal signorso (si^
gnorso vale quanto signor suo [a\)» •-> Forma triviale 9 dice
il Biagìoli , ma adoperata qui convenevolmente dal Poeta per
doversi rolla bassezza del tutto le parti tutte confare. — Tro-
vasi cosi nel Boccaccio detto signorto per signor tuo , moglie^
ma per moglie mia , fratelmo ^v frate! mio . ^^ Accenna cosi
il Poeta nostro il presto menar di streglia che fa il ragazzo »
per non essere cioè dal suo padrone più lungamente atteso.
78 Ne da colui ec; altra cagione, per cui si può da chi ha
cura di ripulir cavalli prestamente sti*egghiare, cioè per an-
darsene a dormire.
79 80 il morso '^Deir unghie y quasi 1 denti detP unghie f
cioè Tacuta e trinciante loro punta.
8 1 più soccorso j maggior soccorso , maggior rimedio 9 in-
tendi j che di essere a quel modo graffiato.
82 J? ji fraei^an ec. : V unghie raschiavano dalla pelle le crc^
ste della scabbia ^ della rogna.
83 di scardoi^a le scaglie , le squame della scardola f pe-
s€*e di larga squama, per levar la quale adoperasi nelle cucuie
il coltello.
85 ti dismaglie per dismagli a cagion della rima . Maglie
appcllansi que* cerchietti o piastrelle di ferro 9 o d'altro metallo,
con cui formansi corazze in tutte le sue parti pieghevoli ; e co-
me a tal uopo dispongonsi colali cerchietti o piastrelle in ma-
niera somigliante all'adattamento delle squame sul dorso del
pesce; perciò, secondo la recente accennata «imilitudiiie tra le
fa] lotorao a coni;iiinxiooi simili vedi iltr&Uato tl'ortograBa aggiunto
al Buoiumattei, cap. <>.
636 INFERNO
Cominciò 1 Duca mio a un di loro,
E che fai d'esse talvolta tanaglie;
Dinne, s alcun Latino è tra costoro 88
Che son quinc* entro, se l'unghia ti basti
Eternalmente a cotesto lavoro.
Latin sem noi, che tu vedi sì guasti gì
Qui amendue, rispose Tun piaugendo:
Ma tu chi se , che di noi dimandasti ?
£ '1 Duca disse : io son un che discendo g4
Con questo vivo giù di balzo in balzo,
E di mostrar T Inferno a lui intendo.
croste di qae* dannati e le squame del pesce , aggiunge al
croste medesime Tidea delle maglie , e passa a dire .^/n^/ia
tDe
invece di scrostare.
87 E che fai ec,<, e che colle dita stesse ti strappi di quan-
do in quando la pelle.
88 Dinne , la Nidobeatina »-^ed il cod. Poggiali : <^ Dimmi j
Talti^e edizioni : ma meglio la Nidob.; imperocché Virgilio nOD
cercava tanto per sé quanto pel compagno. 9^ dimmi però 1^-
ge anche il Vat. Bigp.^-* Latino. Prendendo il Lazio, parte
celebre d'Italia, per Italia tutta, dice Latino per Italiano.
89 90 se l'aunghia ec. Vale qui il se quanto lì che appreca-
ti vo [a] , o il così , equivalente al sic o atinam dei Latini. Vedi
Inf. XVI. 64 -ti basti — Eternalmente , servati eternamente ,
senza spuntarsi mai , — - a cotesto lavoro , a cotesto graffiare .
Non potendo que'dannati sperare altro soccorso all' insoffiibile
prurito , che quello dell'unghie , non poteva certamente se non
grata riuscir loro preghiera cotale, m^ Quest'augurio , per sé
stesso officioso e grazioso , é qui riguardato dal sig. Poggiali
qual lepido motteggio, e molto arguto insulto. ^-^
91 92 Latin sem noi ec. Sinchisi, di cui la costruzione :
Latini semo [&] amendue noi che tu qui vedi sì guasti.
96 intendo j no pensiero.
[a] Vedi il CiooD. Partic. 44- ^3. [b] Semo per siamot come averne
per abbiamo l'usa par il Petrarca, son. 8.
CANTO XXIX. 6^^
Allor si ruppe Io comun rincalzo, 97
£ tremando ciascuno a me si volse
Con altri che l'udiron di rimbalzo.
Lo buon Maestro a me tutto s*accolse 1 00
Dicendo : di' a lor ciò che tu vuoli .
£d io incominciai, poscia ch'ei volse :
Se la vostra memoria non s'imboli io3
Nel primo mondo dairumane memi,
Ma s'ella viva sotto molti Soli,
Ditemi chi voi siete, e di che genti, 106
97 '' 99 "^ Bello si è quest'effetto prodotto da insolita ma-
raviglia y ed è dipinto da maestro . Bi aoiou . ♦-« si ruppe lo co-
nuin rincalzo , cessò il reciproco appoggiarsi che facevano V uno
all'altro, dando loro la maraviglia per un momento qualche vi-
gore . Rincalzo ysthi puntello j sostegno • '^che l' udiron di rim"
balzo , cioè non di voce diretta loro da Vii^lio, ma pervenuta
loro indirettamente e quasi di rimbalzo , cioè di ripercussione.
100 tutto s* accolse; quasi dica: quello che prima atten^
deua parte a me , e parte a coloro ai quali parlai^a , allora
totalmente si accolse j si affissò, attese a me.
101 uuoli per t^uoi ce l'ha tirato a forza la rima, dice il
Venturi: malamente però,* imperocché si rinviene adoperato
da molt^ altri buoni antichi scrittori anche in prosa [a].
to'i al io5 «Se. Questa particella , tanto nei primo che nel
terzo verso della terzina presente, è apprecativa, ed equivale,
come nel v. 89. è detto, al che ocosì apprecativo, ed al latino
sic o utinam . m^ Ma qnest' augurio non è irrisorio , né insultante
come il fatto ad uno di loro da Vii|[ilie al sopraccitato v. 89.
Poggi ALI. <4~«im^o/i.* imbolare ed imbolare trovasi dagli anti-
chi, e dallo stesso Dante indiffei^ntemente scritto .**11 cod.Caet.
legge chiaramente involi. E. R. — Nel primo mondo j dove ha
r uomo sua prima stanza . - sotto molti Soli , molte annue solari
involuzioni , molti anni. »^I Latini usai*ono Sole per giorno.'
[a] Vedi Maslrofiai » Teoria e prof peiio de^ verbi italiani, sotto il
verbo dolere , n . i.
64o . INFERNO
Certo non la francesca sì d'assai .
Onde l'altro lebbroso, che m* intese, 1 24
Rispose al detto mio: tranne lo St ricca,
Che seppe far le temperate spese;
E Niccolò, che la costuma ricca 127
capire che per gente vana intend*eglì gente leggiera ^ di poco
senno 9 e ne confermano i fatti che Capocchio v^aggiuugc.
123 non la francesca y francese', sì d* assai (accenna ere-
data in allora la francese gente vana), m-^ Dà qnesta sfcrzau
anche ai Fi^ancesi y certamente pel patrocinio prestato dai Be
di Francia ed Angioini di Napoli alla fazione Guelfa m 'io-
scana. Poggiali. «hi La dì avanti assai v*è di soverchio e per
mera grazia di lingua, come dicesi di molto per molto. Aon
adunque sì d'assai vale il medesimo che non cosi molto.
124 l* altro lebbroso^ Capocchio, alchimista e falsa ter di
metalli attempi di Dante. Vedi il i/. i36.
I2D tranne lo Stricca^ ec. Ironia è questa simile affatto a
? [nell'altra del passato canto xxi. i/ 4'm (»'^9 di Lucca par-
ando, dice:
Ogni uom v'è barattiere fuor che Boniuro.
Come ivi per accennare barattieri peggiori di Bonturo tutti i
Lucchesi, eccettua Bonturo, notissimo barattiere; così ecctft-
tua qui lo Stricca e gli altri conosciuti vani , per indicare in-
comparabilmente piìi vani tutti gli altri Sanesi . m-^ trammene
Stricca f cosi il cod. Ang. E. R. e il Vat. 3 i99.<«-s * Il Patire
di Costanzo argomenta che questo Stricca ^ di cui uolla .^p -
cificano gli Spositori, fosse il capo della famosa campaguia in-
dicata nel seg. 9. i3o., dacché il Postili. Cass. lo dice A*»f'«o
de Curia , pàit ordinator Brigatae Spendaritiae senensis
E. R. •-►Questa brigata spendereccia non pensava se non in
f godere e in distruggere , e in far cene e desinari, e in be^it-
ita. E disti*ussono il valere di più di dngento migliaia di fio-
rini d'oro in male spese . Boccaccio. «-■
126 temperate spese : e questo pure dice per ironia, volen-
do dimostrare, che per boria e vanità fu si prodigo, ciie con-
sumò tutte le sue sostanze. Lahdiso •
i**7 al 129 £* Niccolò^ costui dicono che fude'SalimlK ni,
la cura del quale era di porre ogni studio in trovar uuov.i U^-
CANTO XXIX. 64i
Del garofano prima discoperse
Nell'orlo, dove tal seme s'appicca;
£ tranne la brigata , in che disperse 1 3o
Caccia d'Asciano la vigna e la fronda,
£ l'Abbagliato suo senno proferse:
già di soavissime è delicatissime vivande ; tra le quali trovò
a metter ne* fagiani ed altri arrosti garofani con diverse sorta
di speziane; e questa chiamaron la costuma ( l' usanza i la mo*
da) ricca. Vbllutbllo. — * Il Postili. Gass. però^ d'accoi'do
con Benvenuto da Imola , lo dice de Bonsignoribus de Se^
nis. E. R. — - NelVortOi dove ial seme s* appicca. Appella
seme Tinvenzione di tale usanza , e corrispondentemente ap-
Eella orto Siena , dove usanza tale s* appicca y s'attacca ed ab*
arbica. m^oue cotal sente, ha l'Ang. E. R,<4-«
f3o i3i E tranne la brigata j in che ec. Dicono che al
tempo di Dante fu in Siena una compagnia di ricchissimi gio-
vani , i quali y messe in danari quasi tutte le sostanze loro , ne
ferono un cumolo di dugentomila ducati 9 e quelli nel termine
di venti mesi| sontuosissimamente sempre di compagnia viven»
doy e quanto piii potevano prodigamente dissipando 9 gli ebbe*
ro consumati; onde rimasero tutti poveri. Vbllvtbllo. Que-
sta adunque esser dovrebbe la brigata^ in che Caccia d^Ascia^
no disperse i dissipò la i^igna e la fronda y cioè tutti i suoi pò*
deri y ^gne e boschi ..L'altr' edizioni leggono, Ciaccia </'^jcian
la ìdgna e la gran fronda • •*► Questaiezione è pur quella del-
l'Ang. e del Vau 8199, ed è seguita nella 3. rom. ediz. ; e, a
dir veroy comunica al verso una maggiore armonìa. 4-s
1 3a £ r Abbagliato . — - * Abbaglialo con maiuscola ( •-> e
come il Vat. 3199 ^-s ), perchè meglio s'intenda esser nome
proprio» abbiamo sostituito nel testo ad oi^^^o^o semplice»
giacché non conveniamo col P. L. che tal voce debba prenderai
per un aggettivo d'attribuirsi a Caccia d* Asciano. Iacopo dalla
Lana nel suo Cemento dice, rispetto a Caccia d'Asciano e Ab-
bagliato: Questi furono Senesi y uno ricco y F altro saputa
persona della p/edicta brigata. Ed il Postili. Cass* vuole
egualmente che Abbagliato (osse nomen propriumdeSenis • lì
P. Lombardi al contrario, persuaso che abbagliato fosse un ag-
gettivo ec. , ed appoggiato alla .presente lesione , in cui manca
Fot. l 4i
64ti INFERNO
Ma, perchè sappi chi sì ti seconda 1 33
CoDtra i Sanesi, aguzza ver me Ttn^chio,
Sì che la faccia mia bea ti risponda:
r articolo t7 a suo senno , interpretò: ce che Caccia tTjiscUmo
n con tali smoderate sontuositadi appalesò la cecità di sua
» mente . » Ma, conservando la stessa lezione » ci piace riflettere
che la mancanza dell' artìcolo il non pregiudica al senso , essen-
do frequente in Dante tale soppressione ; p. e, Com^ occhio #e-
gue suo falcon isolando , Par. xvw» ^o.,e altrove ; e che Va mi-
nnscola in abbagliato è concorde all' uso deUa Nidob. , ddla
Fulginate e delle antiche edizioni di non premettere la maiu-
scola ai nomi propri di persona nel mezzo dei versi. Quindi in-
tendiamo t e /'^6&z^/ia^o viprofuse Usuo senno. E.B.»-»A1
Lombardi qui pure si oppone il eh. sig. Ab. Portirelli, e per
le ragioni qui sopra riferite dall'E.R., e perchè lo stesso Cemen-
tatore della Nidob. qui prende abbagliato per nome proprio ,
chiosando che nella brigata spendereccia chaccia dasciano
Senese spese il suo attere y e leibagliato suo senno . Questi fu*
rono Senesi j luno ricco ylaltro saputa personadellapredicta
brigata . — prof erse , o ironicamente la deriva il Poeta dal laL
verbo profero > metter fuori ^ o la disse senza ironia 'per profu'-
■se. Così il Poggiali. - Nelle Mime antiche j o scrittori del pri-
mo secolo, stampate in Firenze nel 1816, havvi nel voi. a. face
17 1. e segg. una corona di sonetti diretti da Folgore di s. Gi-
miniano a una nobile brigata di Sanesi. Probabilmente è que-
sta la brigata spendereccia , di cui parla Dante, tanto piii che
vi si celebra sopra gli altri un Nicolò* dicendo il Poeta:
In questo regno Nicolò corono y
Perch^ello è fior della città sanese.
Si leggano di grazia i mentovati sonetti. — ^ prof erse , cioè ma-
nifestò 9 entrando e stando in siffatta brigata. Cosi spiegano il
Buti ed il Vocabolario. E. F.«-«
i33 chi sì ti seconda. Allude a ciò che disse Dante a Vir-
gilio: or fu giammai - Gente sì uana come la sanese? ec.
verso 1 2 1 . e segg.
i35 ben ti risponda y ben ti si appalesi, m^ Anche il To-
relli chiosa qui come il Lombardi, e pi*ecisamente cosi: ci II
» Volpi nel suo Ind. I. spiega: cioè ti si lasci vedere • Non
» già, ma ti si faccia conoscere, m^m
CANTO XXIX. 643
Sì vedrai eh' io son 1 ombra di Capocchio , i 3G
Che falsai li metalli eoo alchimia;
£ ten dee ricordar, se ben t'adocchio,
Cono' io fui di natura buona scimia .
i36 al 189 Capocchio: dicono che fu Sanese, e che studiò
filosofia naturale con Dante, mediante la quale si diede poi a
trovar la vera alchimia ; ma, non riuscendogli, si esercita nella
sofistica (cioè neirarte falsaria), e sottilissimamente falsificò i
metalli: onde dice che fu buona scinua di natura , avendo
ben saputo contrafiare le cose naturali, come fa la scimia gli
atti e movimenti umani. YELL^TBito. Circa però alla di costui
patria discordano i primi Comentatori . Benvenuto da Imola di-
cx*lo Fiorentino [a] , e Iacopo dalla Lana, seguito dalla comune
di tutti i più recenti Comeutatorì, dicelo di Siena [£J. m^E ti
dee ricordar^ '^^gg^ !*£• R* nella 3. edizione, colKau tori tà del
codice Vaticano 3 199; ed il signor Salvatore Betti trova que-
sta lezione piii naturale e preferibile. Mail Vat.3f 99 non legge
£l tiy ma %\ bene E te; e dar si potrebbe che Tomissione della
n fosse errore del copista: nel qnal caso anche questo codice
si accorderebbe colia comune, cnenoi riputiamo la vera.
\ti] Vedi V Excerpta dal di lui Comento nel tomo 1. àtW* AntiquUalts
italica^ del Muratori. [b\ Vedi il tns. 127. della Corsiui.
CANTO XXX.
•(^•<
ARGOMENTO
Tratta il Poeta in questo trentesimo carato di tre al^
tre maniere di falsificatori . Di quegli che hanno
finto sé essere altri; la cui pena è di correre y e di
morder colora) che hanno falsificate le monete ^ che
sono quelli della seconda maniera; ed hanno per
pena l'essere idropici, e sempre stimolati da sete.
L'ultima è di coloro che hanno falsi ficato il parlar
re; e questi , giacendo l'uno sopra t altro , sono of-
fesi d'ardentissima febbre . Infine introduce acon*
tendere insieme certo maestro jidamo e Simone da
Troia,
N
el tempo che Giunone era crucciata , i
Per Semelè , contra 1 sangue tebauo ,
•-> M agniGco fa il prìncipo del canto questo lungo pe*
riodo e il seguente, non tanto per Tandamento del verso, grave
e sostenuto , quanto per le forti immagiui che vi si ritraggono ,
tenendo il lettore per lungo tratto sospeso , attento e deside-
roso; nei quali sentimenti sii^o al fine è foi*zato di sostenersi
con diletto . Biagioli . -«hi
1 2 Giunone , moglie di Giove. m^Giunon , il VaU 3 1 99. ♦-«
era crucciata ^ ^Per Semelè j amata da Giove, e resa da lui gra-
vida di Bacco \a\ . — contra 7 sangue tebano j per essere Se-
mele figlia di Cadmo, fondator di Tebe. Segno su rnUima e
di Semelè l'accento , perchè richiede il verso che pix>auiizisi
[a] Ovid. Afet, Kb. ni, a6o« e se^g.
CANTO XXX. 645
Come mostrò già una ed altra fiata ,
Atamante divenne tanto insano , 4
Che y veggendo la moglie con due figli
Andar carcata da ciascuna mano ,
Gridò: tendiam le reti, si ch'io pigli 7
La lionessa e i lioncini al varco ;
E poi distese i dispietati artigli,
Prendendo Tun , ch'avea nome Learco; 1 o
E rotoUo, e percosselo ad un sasso;
E quella s'annegò con l'altro incarco .
questo nome come da' Greci e Latini pronunziavasi , colla sii*
laba di mezzo breve, e coli' ultima lunga.»-» con lo sangue
iebano y ha l'Ang. E. R. 4-«
3 Cóme mostrò già una ed altra fiata j laNidob.; Come
mostrò una e altra fiata , l' altre ediz. , »-> il V at* 3 1 99, il cod.
Ang., e con essi la 3. rom« edizione. «-■ Intendi : come d'esser
tale 9 cioè crucciata contra il tebano sangue, mostrò ^ fece pa-
lese, non una, ma piìi fiate.
4 al I a Atanutnte ec. Una delle vendette prese da Giunone
contra dei Tebani per la detta cagione, fu quella di far da Te-
sifone, furia infernale, invadere Atamante Re di Tebe, e dive-
nire in guisa furioso , che , veggendosi venir incontro Ine sua
moglie , e sorella di Semele , carcata con due figli ( m^ co* due
/tgiif il VaU iigg) da ciascuna mano f portante cioè un per
braccio i due di lui figliuolini Leai*co e M elicerta , apprenden-
dola per una leonessa con due leoncini , gridò : tendiam le reti
( quelle cioè colle quali soglionsi prendere le fiere ), si eh* io
pigli ec. : ìndi da forsennato una cosa proponendo ed altra opran-
do, strappato dalle materne braccia Learco^ ed aggiratolo a
guisa di pietra in fionda, lo scagliò contro di un sasso, e lo
uccise : fatto, per cui la madre fu si dolente , che disperatamen-
te <^n l'altro bambino rimasolc nelle braccia gittossi in raa««
re f/ij. m^ F'enir carcata ^ al v. 6., legge il Vat. 3 199; — e
coir altro carco j al 1^. 12., l'Ang. E. R. e il Vat. 3 199. 4-«
[n ] OviJ. 3feL lib. iv. 5 1 3. e scgg.
646 INFERNO
E quando la fortuna vcJse in basso 1 3
L'altezza de Troian , che tolto ardiva ,
Si che 'nsieme col regno il Re fu casso,
Ecuba trisu, misera e cattiva, 16
Poscia che vide Polisena morta y
E del suo Polidoro in su la riva
Del mar si fu la dolorosa accorta, ig
Forsennata latrò, sì come cane;
Tanto il dolor le fé' la mente torta .
Ma né di Tebe furie, né troiane 12
Si vider mai in alcun tanio crude.
Non punger bestie, non che membra umane,
1 3 al ì5 E quando ec. uolse in basso ; detto allasivaiiiratr
air atto che alla fortuna affiagesi di volgere continaaniientesaa
mota , o , come dice Dante j sua spera [a j . L^ altezza , la gran-
dezza del potere. — che tutto ardii-'aj fino a rapir Elena al di
lei sposo Menelao, Re di Sparta. — -/%< casso j per /ic estimo e
dìs inulto .
1 6 al 20 Ecuba ec. Distrutta Troia , Ecuba moglie dell^estin*
to Priamo, Re troiano, condotta dai Greci in cattività insirnip
con sua figliuola Polisena, vedendosi priniieramemc scannau
la figlia in sacrificio sopra la tomba d^Acliille, ed incontrai»-
dusi poscia sui tracj lidi nel cadavero delP estinto suo figlio
Polidoro, latraifit conata loquiy scrive Ovidio [6].
a I Tanto il dolor le fe'ec.y legge la Nidob.,- Ionio dolor
le fe\ l'altre edizioni. — torta vale stravolta.
9.2 né di Tebe furie ^ né troiane , cioè né furie in Tebaoi,
né furie in Troiani . •-► non di Tebe , ha l'Ang. E. A. <-«
a 3 ^^in alcun vale dentro d^ alcun, annidtUe in alcun.
01 tre che viene questa intelligenza confermata dalla lesione ..dif
due versi sotto ammette la Nidobeatina, unitamcntea moltissimi
testi veduti dagli Accad. della Crusca, fa anche meglio capìir
la condegnltà della pena in questi contraflTattori dell* altrui per-
sone; cioè, che, come essi operarono sotto altrui forme, coei
[a] Inf. VII. 96. [b] Mei, xiii. 5;o.
CANTO XXX. 647
Qiiant' io vidi in due ombre snioite e nude , nS
Che, mordendo, corre van di quel modo,
Cile 'i porco , quando del porcil si schiude.
L'una giunse a Capocchio, ed in sui nodo 38
Del collo l'assannò si, che, tirando.
Grattar gli fece il ventre al fondo sodo.
operino le furie sotto la forma loro • m^ Ma il Biagioli pensa
piuttosto che Dante nasconda le furie in quegli spiriti a ram*
mentar loro la qualità del delitto, e la cagione delPattuale sup-
plizio loro; il che serve a far doppio il dolore; essendo me*
sto sistema uno dc*suoì misteri 9 come lascia talvolta travedere
all'attento lettore. <-« JVon puntar bestie. La particella non è
qui , per avviso del Volpi , sovrabbondante ; la è cioè come un
ripigliamento ad abbondanza fatto delle precedenti negative ;
né importa altro senso, che se, mancando essa, scritto fosse
punger bestie . Pungere adoperasi per ferire e straziare la
qualsivoglia modo.
25 piai in due ombre ^ la Nidob. e moltissimi testi veduti
dagli Accad. della Cr., e conìsponde ad in alcun due versi
«opra. - vidi du* ombre y leggono le altre ediz., •-►€ coi codici
\'at. H igc) ed Ang. la '^, rom. ediz., giovandosi della costruzione
che di questi versi ci cifre il Biagioli, cioè: ccma né furie te-
M bane tanto crude , né furie troiane tanto crude si videro mai
» in alcuno ; non si videro tanto crude punger bestie , non che
» membra umane , quanto crude io le vidi pungei*e due ombre
» smorte e nude. » '— Dal canto nostro ci asterremo da cam-
biamento, non accordando al sig. Biagioli che il nostro P. L.
abbia mal inteso questo luogo; che anzi la Nidob. lezione (se
il corto veder nostro non c'inganna) ammette una costruzione
più semplice e piana , qual'è la sedente : ma né furie tebane
a troiane si videro mai tanto crude in alcuno , quanto crude
IO le vidi in due ombre smorte ec. <-•
28 m^in sul nodo ec, e lo addentò in quell'osso o caitila-
{Tf ne prominente dalla parlo esteriore della gola nei maschi della
jtpecìe umana, che il volgo chiama il ^omo di Adiamo. Poo-
c^I ALI. •«-•
2() Ho nssannò dice invece di afferrò , per istar nella me-
ta fora del porco, che ha le saune: e dice che lo assannò in tal
648 INFERNO
E TAreiin, che rimase tremando, 3i
Mi disse: quel folletto è Gianni Schicchi ,
£ va rabbioso altrui così conciando.
Oh, diss'io lui, se l'altro non ti tìcchi 34
Li denti addosso, non ti sia fatica
A dir chi è, pria che di qui si spìcchi.
Ed egli a me: quell'è Tanima antica 07
Di Mirra scelerata , che divenne
modoyche, tirandolo e strascinandolo per terrai fececfaeil/biub
sodo j il duro pavimento della bolgia y gli grattasse lo scabbioso
ventre. »-»• Ma il Bìagioli crede usato qui dal Poeta il veriio as-
sannare non già per istare nella metafora del porco, ma piut-
tosto a dimostrare la rabbia e la forza dell'arrabbiato sj^rito.^^
3 1 l'*Aretin j Griffblino , detto nel prec. canto, v. 1 09. •-♦ti-
randa , invece di tremando , malamente legge il Vat. 3 i99.«-i
3-3 folletto , nome degli spiriti che si credono da alcuni nel-
Paria; ma qui per ispirilo infuriato. *- Gianni Schicchi «^di-
cono fosse de* Cavalcanti di Firenze), famoso per contraffale
l'altrui persone. Uua delle prove JMÙ segnalate di costai fa quel-
la , che pochi versi sotto racconta il nostro Poeta stesso , cioc
eh essendo morto senza aver fatto testamento messer Baoso Do-
nati , Gianni ( indotto dal premio promessogli da Simon Doaad
della piìi bella tra le sue cavalle) facesse levar dì letto e na-
scondere il cadavere del recente defimto ; e mettendosi egli nel
medesimo letto, ingannasse i notaj e i testimoni , facendosi lc«
credere per Buoso Donati , e facesse testamento tatto in favoni
di Simone. «-►Pietro Dante afferma, che Buoso Donati fo&^e
anche soffogato dallo Schicchi suddetto; nel che rAnooimoed
il Boccaccio concordano. E. F. ^-c
33 conciando j ironicamente per iVconciondo , guasianJo-
maltrattando > Vocab. della Crusca.
34 sey particella qui pure apprccativa, come nel passato
canto, u. 89., ed altrove. — l" altro ^ intendi folletto.
35 36 »-► Li unghioni y l^gg^ '1 Vat. 3i99.«-« si spicchi.
si scosd.
37 al 4 1 antica , perocché stata al mondo molti secoli pri*
ma di Gianni suddetto. - Mirra, figliuola di Ciniro, Re di Ci-
pro, che innamoratasi del padre, operò si, che venne a
P*-
CANTO XXX. 649
^Al padre, fuor del dritto amore, amica.
Questa a peccar con esso cosi veune, 4^
Falsificando sé in altrui forma,
Come l'altro, che 'n là sen va , sostenne,
Per guadagnar la donna della torma, 4^
Falsificare in sé Buoso Donati,
Testando , e dando al testamento norma .
E poi che i due rabbiosi fur passati , 4^
Sovra i quali io a vea l'occhio tenuto ,
Rivolsilo a guardar gli altri^malnati . '
r vidi un fatto a guisa di liuto, 49
Pur eh' egli avesse avuta l'anguinaia
Tronca dal lato che l'uomo ha forcuto .
cersi con lui, senza eh' egli la conoscesse per quellache era [a],
'^fuor del dritto amore f contro le leggi dell'onesto amore •
rcUo . •— amica vale concubina •
4a al 45 l'altro , il detto Gianni Schicchi. »-^ che là sen ya ,
legge l'Ang. E. R. e il Vat. 3i99.4-« sostenne si riferisce a
Ffdsificare in sé del i^. 44*9 ^ significa s'impegnò di rappresene*
tare. — la donna della torma ^ cosi dicono i Q>mentatori che
appellata fosse la cavalla ottenuta da Gianni in guiderdone da
Simon Donati per la suddetta falsificazione ; e vuol dir lo stessa
che la signora^ la più bella della mandra. — dando al te-
stamento norma^ cioè dettandolo a norma delle leggi.
47 »-^ Sovra cu* io 9 il Vat. 3 199. 4-«
48 m^ malnati è qui nel senso di nuU%^agi. Mohti [&] . ^-m
49 un fatto a guisa di liuto , cioè col capo e collo piccioli ,
e col ventre grosso assai , come appunto è fatto lo strumento
da saono appellato liuto i e ciò per esser costui idropico, male
che cagiona gran sete , in pena della mala sete di approfittare
col falsar monete.
50 5 1 Pur ch'egli avesse avuta l^ anguinaia ( quella parte
del corpo umano , che è tra la coscia e il ventre allato alle parti
vergognose ) tronca dal lato che Fuomo ha forcuto , separata
[a] Vedi Ovili. Metani, x. v. 398. e segg [h\ Prop, vvl. 3. P. i. fac 91.
65o INFERNO
La grave idropisia , che sì dispaia 5i
Le membra con f umor che mal converte,
Che 1 viso non risponde alla ventraia ,
Faceva a lui tener le labbra aperte y 55
Come Fetico £à ^ che per la sete
L'un verso 1 mento , e Taltro in su riverte .
O voi, che senza alcuna pena siete, 58
E non so io perchè, nel mondo gramo,
dalla parte forcata yjcioò dalle cosce e gambe; Tolendo in som-
ma dire lo stesso che se detto avesse.* Purché r anguinaia
fosse stato il termine del di lui corpo j e f ossesi da lui tron^
cato il testo deill' anguinaia in giuso : e veramente il lìato
ha ventile senza gambe.
Sa al 5^m^Lja grax^e jrdropisi y pronuziata forse col P ac-
cento sull'ultima i , legge il Vat. 3 199. <-m dispaia ^ Le mem-
bra j ingi*ossandone alcune, ed altre anzi scarnandole ^ come
dirà nel v. 69. del di lui volto. — con V umor^ la Nidob. ; con
romor, Taltre edi«. , •-► e il Vat. 3 199. 4-« che mal conuerte
cioè non in sostanze conface voli, ma dannose al temperamento.
** Che V s^iso non risponde alla i^entraia , che rimane la fac-
cia troppo pìcciola a proporzione della pancia.
5 5 Faceta a lui , la Nfidob.; Faceta lui , Tal tr* edizioni y »-^ la
terza romana e il Vat. 3 199 , ed è forse la vera ed originale le-
zione. <4-«
56 67 »-► Come l* etico ec. Dipingono queste parole ; né me-
glio, né, come in simigliami cose si debbe &re, con pi& rat-
tezza si potevaritrarre.BiAoioLi. 4-« l* etico fa , che per la setec
essendo la febbre etica definita dai medici intemperies calida
et sicca totius corporis [a] . - riuerte , rivolta : voce dantesca
è, dice il Venturi, e non d'altri, ch'io sappia, questo rìi^er-
tere. Ma se non trovasi usato da altri riyertere, trovasi nsato
riverso da rii^ertere f Aj; il che basta per capire che non è n-
t^ertere voce affatto dantesca. •-►Il Vat. 3 199 legge ri nivrie,
senza bisogno di coniare un nuovo verbo, come rimarca TE. R.*-a
59 mimando gramo y cioè disgraziato e doloroso , è detto
l'Inferno, come lo è. L'adicttivo ^ramo in significato di tristo^
I^j Castcll. Lexic. medie, art. Hcctica. [b] Vedi il Yocab. della Crusca.
CANTO XXX. 65i
Diss'egli a noi : guardate ed attendete
Alla miseria del maestro Adamo: 6i
Io ebbi vivo assai di quel eh* i' volli y
Ed ora, lasso! un gocciol d'acqua bramo.
Li ruscelletti , che de' verdi colli 64
Del Gasentin discendon giuso in Amo,
Facendo i lor canali freddi e molli,
addolorato j penante ^ rabbiamo veduto fin dal verso 5. del
canto I. Poggiali. 4-«
6i maestro j^damo 9 Bresciano» il quale richiesto da 'Conti
di Romena, luogo vicino accolli del Giseutino, feUsifieò la lega
del Batista y cioè del fiorino d*oro, che ha da una banda san
Giovanni Battista, e dall'altra il giglio; per laqual cosa fu preso
e abbruciato. Volpi.-* Si osservi di grazia al v\ y^. l'espres-
sione del Batista y che Dante usa chiaramente per indicare tal
moneta che interpreta il Lombardi, e si vedrà quanto è giusta
r interpretazione data nelle postille del cod. Caet. alla stessa pa-
rola, i/i/. 1 43. 1 4^* del e. XIII. , da noi riportata a suo luogoec. E. R.
63 un gocciol d'acqua branco : non ho una gocciola d'acqua
per estinguere l'ardente sete. ^^ Gocciolo y di genere masco*
h'no, è oggidì vocabolo popolare in Toscana, ea ha forza di
diminutivo piii di gocciola. Poggiali. 4-«
66 canali freddi e molli y cosi la Nidob. non solo e tutto
l'altre ediz. antiche, ma tutti anche quasi i testi veduti dagli
Accademici della Crusca. Ai detti Accademici però, per la sola
autorità di sedici testi contro quella di più di settant'altri, ò
piaciuto d'inserire nella edizione loro canali e freddi e molli.
Ma che non fosse Dante vago di usai'e la particella e di sover-
chio 9 ne lo dimostrano abbastanza que' versi, tra gli altri:
A lagrimar mi fanno tristo e pio [a] .
Caccia d^ Asciano la vigna e la fronda [61.
»-»Ma il sopprimere la particella e, secondo il Biagiou , toglie
non so che grazia a questo vei'so; oltre di che la congiuntiva
adopera qui non poco a rinforzo del sentimento, coli 'affissar
maggiormente il pensiem in sull'idea degli aggiunti freddi e
molli y ove Tanima di chi parla è tutta iutesa. «-•
[a ] luf. V. 1 1 7. \h\ Inf. XXIX. 1 3 1.
65^ INFERNO
Sempre mi stanno innanzi , e non indarno ; 67
Che l'immagine ior via più m'asciuga
Che 1 male , ond' io nel volto mi dìscarno .
La rigida giustizia , che mi fruga , 70
Tragge cagion del luogo, ov'io peccai,
A metter più gli miei sospiri in fuga .
Ivi è Romena, là dov'io falsai 73
La lega suggellata del Batista,
Perch' io il corpo suso arso lasciai .
Ma s' io vedessi qui l'anima trista 76
Di Guido, o d'Alessandro, o di Ior frate ,
Per fonte Branda non darei la vista .
69 Che 7 male er., 1* idropisia.
70 fruga vale qui punge , gastiga. »-^Èf a dir vero 9 espres-
sione alquanto bassa ed abietta y ma è da perdonarsi ad un sì
grande antico scrittore. Poggiali. •<-•
71 72 Tragge et*. Da* bei ruscelletti delCasenùno, dov^io
peccai, tragge cagione j prende, ricava, moliyo a metter più
in fuga f a far piìi veementi , 1 miei sospiri, •-►Ma qui il Lom-
bardi , per ciò che pensa il Biagioli , s'inganna, per non avere
avvertito che l'espressione del testo, che non si può per altra
traslatare, intende a dimostrar la frequenza deirazione, eneo
r intensità sua. 4-«
y'i al 75 lui è Romena^ ec. Vedi ciò ch*è detto al u. 61.
9h¥ La lega ec. Qui lega propriamente è quella piccola dose
di rame, o altro inferior metallo, o mistura minorale, <:lie si
fonde coU'oro , o coll'ai^ento, per dare alle monete una nue-
J[ior consistenza. Qui maestro Adamo per sineddoche prende
a voce lega per tutto il composto del detto Borino; cosi che
lega suggellata è lo stesso che oro monetato. Poggiai. i. •*-«
76 s^io vedessi quij s'intende a ^e/uir mecOf per essere i
medesimi Conti, com'è per dire , stati a lui causa motrice del
delitto.
77 Di Guido j o d'Alessandro y Conti di Romena. — o di
lor frate: il fratello dicono che fu Àghinolfo. Veli.utei.i.o.
78 Per fonte Branda y fonte in Siena molto abbondante e
CANTO XXX. 653
Dentro ci è Tana già, se l'arrabbiate 79
Ombre, che vanno intorno, dicon vero:
Ma che mi vai, ch'ho le membra legate?
S' io fossi pur di tanto ancor leggiero , 8a
Ch'io potessi in cent'anni andare un'oncia,
Io sarei messo già per lo sentiero,
Cercando lui tra questa gente sconcia , 85
Con tutto ch'ella volge undici miglia,
£ men d' un mezzo di traverso non ci ha ..
limpida 9 non darei ^ non rìnanzierei, la uista, il vedere co-
storo meco: e vaole dire^ che per quanto grande fosse in lui
la sete , era maggiore il desiderio di veder seco gastìgato alcuno
dei detti Conti. »-^ Espressione d'infinito odio e vendetta, la
cui soddisfazione sarebbe a quell'ombra piii grata che il mag-
gior sollievo che possa essere al suo male. Biaoioli.«-«
79 80 Dentro ci è, laNidob.; e* è, altre ediz. , ed ee quel-
la degli Accademici della Crusca , seguita dalla Cominiana e
dall' altre recenti ediz. Ma con buona pace di chi lo ha ammes-
so, non si trova ee adoperato dal Poeta nostro se non in ri-
ma [ri], ~- unay un'anima delle tre mentovate. »-^ Di quelli
Conti era già morto il conte Guido. Cosi T Antico ^ citato nella
E. F. ♦-• se l* arrabbiate ^ Ombre ec, se dicon vero l'ombre
di Gianni Schicchi e di Mirra, che sole girano per la bolgia, e
\«inno altrui mordendo. •-♦Ma non si creda, avverte il Biagio-
li j che le ombre di Gianni e Mirra sieno le sole che vadano in
giro , mordendo si fattamente ; poiché di simili falsatori ve ne
sono d'ogni paese, e più d'uno. 4-«
8 1 eh* ho le membra legate , intendi dalla divina giustizia
in modo, che non potesse muovere neppur un passo.
Hik air 87 w^ Ultimo tratto , e però piti forte , di quell'anima
arrabbiata. BiAoiou. «-• leggiero per agile y mobile ^ atto a
m€H^ersi. — sconcia per iseonciatay resa cioè dalla idropisia
ne* suoi membri sproporzionata . »-♦ eh* ella gira , legge V Ang.
K. R. —«Avendo questa decima bolgia undici miglia di giro.
Vii avendo detto di sopra, che la nona aveane ventidue : Che
[a] laf. XXIV* 90., Purg. xxxii. io. , Par. xzvm. laS.
664 INFERNO
Io 8on per lor tra si £itta famiglia: 88
£i m'iadussero a battere i fiorini,
Gti'avevan tre carati di moDdiglia.
Ed io a lai: chi son li due tapini, 91
Che fuman come man bagnata il verno,
miglia uentidue la inaile volge \a\; se tutte si suppongano
ugualmente l'una dairaltra distanti, e tali che il giro deireste-
rìore sia doppio dell'interiore contìgua , si potrà facilmente rac-
cogliere la misura di ciascuna delle dieci bolge • Torelli. «^f
men d* un mezzo ec, cosi la Nidobeatina eia Fulginate, unì*
tamente a una trentina di testi veduti dagli Accademici delh
Crucca. E stupisco che i medesimi abbiano nonostante voluto
con l'Aldina ed altre ediz. leggere» E più d'un mezzo; noo
accoi^endosi che, ad esagei^are, come intende mastro Adamo,
la difficoltà di ritrovare quelli che volentieri vedati avrebbe*
siccome conduce la molta lunghezza , ossia il lungo giro della
bolgia y cosi anche il molto trasverso 9 ossia il largo ; e che il di*
re non ci ha più d^ un mezzo miglio di trat^erso è di chi vuole
anzi restrìngere . m-¥ Cosi anche Torelli. — Il Val. 3 199 I^ge
come la Crusca; ma il Biagioli loda qui il Lombardi, e dietro
l'autorità del cod. Stuardiano segue la Nidob. lezione, da cui
chiarissimo si ricava il sentimento 9 mentre In comune non può
stare in conto alcuno . 4-«
89 fiorini j moneta d*oro, cosi appellata dal giglio fiore che
vi è improntato, e per la stessa ragione appellansi in oggi co-
munemente gigliati.
90 carati. Carato è la ventiquattresima parte dell'onciale
dicesi propriamente dell' oro . Volpi . -^ mondiglia vale pro-
priamente/eccia, la cattiva parte che dalla materia separasi nel
purgarla ; ma qui ponesi pel rame od altro metallo che all'oro
si mescoli. Ch avean ben tre carati di mondiglia j dice di
avere nel ms. creduto di Filippo Villani tra le cassature scop<^
to scritto il eh. autore degli Aneddoti ^ Verona 1 790 , pag. i^
91»^ tapini , dal greco tapeinoi j umili , abbietti . Biagioli.^
ga Che fuman ec. Lo svaporamento dell'acqua che open
il calore della mano bagnata , essendo nel verno dal freddo
condensato, rendesi un fumo agli occhi nostri assai piii vi>i-
[aj Cauto xxìx, v. 9.
CANTO XXX. 655
Giaceodo stretti a' tuoi destri confioi ?
Qui gli trovai, e poi volta non dieroo, q4
Rispose, quand'io piovvi ia questo greppo ,
E noD credo che dieoo iu sempiterno.
L*una è la falsa che accusò Giuseppo, 9^
L'altro è '1 falso Sinon Greco da Troia :
bile che nella state.* ragione per cui anche il fiato nostro stes-
so rendcsi nell'inverno pia visibile.
9^ a tuoi desiri confini j il plurale numero pel singolare,
pt*l tuo destro confine^ per la tua destra banda j destro lato.
94 9^ Q^^ g^^ troi^ai f ec. Costruzione: Rispose ^ qui li
trottai quand^ io piot^fi in questo greppo f e poi non dierno
^olta. — pio^i^i per caddi. — gf^ppo egreppa. lat. rupes
praerupta^ agger^ ibtmetumc cosi il Vocab. della Gioisca. O
adunque per greppo intese Dante n^e scoscesa , e adopraiw
do il singolare pel plurale disse in questo greppo invece di'/»
questi greppi j ad indicare serrato quel fondo tra scoscese ru-
pi: ovvero TfCT greppo non intese altroché luogo selvatico ed
orrido, m^ Greppo propriamente , secondo il fiiagioli > signifi-
ca ciglio o ciglione delle fosse; qui per similitudine colle rive
di quelle infernali fosse, e ponendo la parte pel tutto chiama
cosi il Poeta quella bolgia •«-« e poi volta non dierno y e di-
poi sempre immobili si restaix)no.
9G dienoy la Nidob. deano , Tal tre edts. («-^e iiyat.3ic)94-«)
e si l'uuo che Tal uro vale qui quanto che sieno per dare,
9j la falsa che accusò Giuseppo y la disonesta e calunuia-
trìce moglie di Putifare , che irata contro del casto Giuseppe,
;;r aver questi ricusato di aderire alle impure di lei brame,
o accusò al marito dicendo, che l'aveva voluta sforzare. Giu^
seppo per Giuseppe ^ antitesi a cagion della rima.
98 V altro è* l falso Sinon Greco da Troia, cioè nominato
da Troia pel tradimento fatto a Troia con ingannar queVitta*
dìni , e far loro introdun*e in città il fatale cavallo; ovvero per
averlo Priamo accettato nel numero de* suoi cittadini ; come in
]H*rsonadi lui ne dimostra Virgilio, dicendo: Quisquiscs, amis^
SOS lune iam obliviscere Graios^^IVoster cris [aj. Dahiello.
[aj jÌ4gti€id. II. 148. 9 scg.
r.
656 INFERNO
Per febbre acuta giitan tanto leppo .
E l'uQ di lor, che si recò a noia loo
Forse d esser nomato si oscuro ,
Gol pugno gli percosse l' epa croia .
Quella sonò) come fosse un tamburo: io3
E mastro Adamo gli percosse 1 volto
Col braccio suo, che non parve meo doro,
QQ 100 Per febbre acuta. Castiga Dante questi bugiardi
coli acuta febbre y credo pel vaniloquio cbe suoi la medesima
febbre apportare ; m^ ed inoltre, come osserva il Biagioli , per
raddoppiare il tormento loro con la ricordazione continua della
qualità e maniera del loro delitto. «-• leppo j fumo puzzolente.
'-'E Tun di lor , Sinone.
I oo al I oa »♦ Questo dialogo di maestro Adamo ccm Sinont
è stato da molti a torto biasimato , per quanto pensa il Biagio-
li . Il Poeta y die* egli y ha fatto nascere naturalmente T occa-
sione di dare al lettore una nuova lezione, degna d' caseine ben
accolta da ogni anima ben nata , quella cioè che contiensi ap-
punto nell'ultimo verso del canto, che spiega la sentenza di
Virgilio, ossia la lezione che si propone di darci il Poeta. Un'al-
tra conseguenza di questo dialogo, indegno agli occbi di chi
non ne sa gustar le bellezze di lingua , e altre noa poche, ^i
è la graziosa similitudine che gli vien dietro. <-m oucuro , poslo
avverbialmente per oscuramente j disonorevolmente .^^ T epa
croia , la pancia dura . Croio , duro , crudo , zotico , spiega il Y<>-
cab. della Gioisca ; ma io credo che il proprio di lui si^ifìcaiosi^
quello di crudo ^ e che T altro di duro sia ti'aslato. lu JLonèbar-
dia certamente il ferro crudo , che facilmente salta in pezzi, s ap
pella croi. 9^ Croio è voce ancor viva in alcun luogo di Ko-
magna, ove ha foi*za di meschino ^ papero , infermo . Cosi il eh.
co. Perticari [a] , il quale opina che in questo luogo rcpa croia
significhi t^entre in/ermo; avendolo il Poeta tolto da (|ue'Aonuh
gnuoli che dicono e' sta a'oi per dii*e ci sta malaticcio. Va
qual voce fu poi pcrmetafoi*ausataasignificare^o(^ero eyile.^^
loò »-^ che non paride men duro. Qui la voce duro si pan
riferire a x^oho ed a braccio. ToaeLi.i. ^^
[a] Prop, voi. 2. P. II. fac. 127,
CANTO XXX. 65;
Dicendo a lui: ancor che mi sia tolio iu6
Lo mover, per le membra che son gravi,
Ho io il braccio a tal mestier disciolto.
Ond'ei rispose: quando tu andavi 109
AI fuoco, non l'avei tu così presto;
Ma sì e più Tavei quando coniavi.
R l'idropico: tu di' ver di questo; 1 1^
Ma tu non fosti sì ver testimonio.
Là Ve del ver fosti a Troia richiesto .
S'io dissi falso, e tu falsasti '1 conio, 1 15
Disse Si none, e son qui per un fallo,
£ tu per più ch'alcun altro dimonio.
108 wh¥ mestier non è qni arte né professione ^ come, con
questo esempio, nota la Crusca; che la professione di maestro
Aclamo non era di dar pugni, ma di falsare i fiorini: dunque
e bisogno y il bisogno di vendicarsi y restituendo a Siuone il
pugno con cui questi gli avea percossa C epay facendola risuo^
iiai'e Goroetin tafnbnro. Mokti [aj.^^-c
1 09 1 1 o andtivi'^Al fuoco y eri da'mauigoldi legato e stra-
scinato al supplìzio del fuoco, y, y5,^^così presto y intendi il
braccio , perocché legato .
I 1 1 Afa sìy ma così, istessamente ; e piùy intendi che di
presente non rtiai, — Va^eiy sincope, per aueyi . '^ {fuando
coniavi y (nlse monete , intendi .
I 1 3 £ r idropico y mastro Adamo. — tu di\ tu dici. — di
questo vale in questo che dici. Della di per in vedi il Ciao-
nio [Al.
I t^ Là\ey sinalefii, in cambio di là o%^e; e dee essere la
costruz. : Là a Troia , ove fosti richiesto del vero , cioè quan-
do ti disse Priamo: nUhique haec edissere vera roganti f
(^uo molemhanc immanis equi statuere? quis auctor? ^Quit
fl\*e petunt ec. [e] .
I 1 7 per ma , per un numero di falli maggiore. Intende ave-
re mastro Aoamo commessi tanti falli quante monete false aveva
[a ] Prop* voi. 3. P. i fac. i . i a4«[^J Perite» 80. ti.[c],^€neid. 11. 1 49* • <^gg*
roL I. 4a
G58 INFERNO
Ricordili, spergiuro, del cavallo, 1 18
Ri.s|30se quei ch'aveva enfiata Tepa,
E sieti reo, che tutto 1 mondo sallo.
A te sia rea la sete, onde ti crepa, 121
Disse 1 Greco , la lingua , e l' acqua marcia
Che '1 ventre innanzi agli occhi sì t'assiepa.
Allora il mouetier: così si squarcia 1 i4
La bocca tua a parlar mal, come suole;
Che 5 io ho sete, ed umor mi rinfarcia,
coniate .•-►Ecco un alcuno per ninno , a confermare clie Dan-
te usò quelle due voci promiscuamente. Il cod. Ang. però leg-
ge, che nuir altro. E. R. 4-« dimonio jjer dannato, m^ E tu
ci serper pia che altro dimonio j variante del cod. Poggiali. ••-•
1 1 8 del cai^allo , che colle tue menzogne facesti introdurne
in Troia .
1 20 JB sieti reo , ec. : mal ti sia. Volpi . E confessati per reo,
giacché ormai lo sa tutto il mondo . Vehtubi . Io intendo che,
come nel seguente verso, cosi pure nel presente abbia reo sen-
so dì amaro , cruccioso , e che sia la sentenza : siati anuwo ,
siati cruccioso , che tutto il mondo sa il tuo enorme delitto.
121 al 123 A te sia ec. A te, disse Sinone, sia rea la sete,
per cui ti crepa d'arsura hi lingua; e sia rea l'acqua marcia «
che, il ventre ingrossando, ti fa di quello siepe j impedimento,
innanzi agli occhi , sicché mirar non puoi altre parti del corpi»
sotto di quello. »-► Forse va letto con maggior el^anza i E ate
sia reo la sete , facendo reo sostantivo , come nel verso ante-
cedente . ToREtLi . <-m innanzi gli occhi ti s^ assiepa , l^gono
l'edizioni diverse dalla Nidobeatina. •-► Pare al Biagioli che la
lezione Nidobeatina faccia un po' di .guasto, volendo dire il
Poeta che */ ventre gli (all' idropico) fa siepe (riparo) innan"
zi agli occhi j e non già che sì a te fa siepe innanzi agli
occhi y come s'ha ad intendere col Lombardi. La 3. rom. edi-
zione legge col Vat. 3 ig^, innanzi gli occhi sì t^ assiepa •^^-m
1^4 al 126 cosi si squarcia (per ira e disprezzo, in vere
di così si apre )«• La bocca tua a parlar maly come suole.*
In bocca tua sempre a questo modo s^apre a parlar male. •-^ per
su* mal ha il Val, 3iyy, ^^ e per tuo ma/ T Ang. E R.*-« Ch*'
CANTO XXX. 6^9
Tu hai l'arsura y e il capo che ti duole; 1 27
E per leccar lo specchio di Narcisso,
NoQ vorresti a invitar molte parole.
Ad ascoltarli er io del tutto tisso, l'io
Quando '1 Maestro uii disse: or pur mira,
s*i'o ho seie^ ec. Rende ragione d*aver delio a Sinone che parla
al solito malamente; e adoprando la particella che al senso di
perciocché [aj , vuole dire : se io ho il gastigo della sete e del-
r acqua marcia, che il ventre mi rinfarcia^ mi riempie ed iu-
);i*nssa (dal latino m/brcire), tupure ec. L'edizioni di verse dal-
la Nidobeatina leggono:
La bocca tua per dir mal 1 come suole ^
Chès^Vho setCy e umor mi rinfarda*
»^I1 Venturi fu d'avviso che la botta del monetiei*e finisca
con questo verso , e che il seguente terzetto sia poi la risposta
del Greco . Di questo parere si mostra anche il Torelli » il quale
dice che il mouetiei^ , contrapponendosi al Greco , mostra il suo
stato essere migliore di quello dell' alti-o, dicendo che se egli
liA sete si riempie di umore ad estinguerla ; ma questo non
{MIO il Greco, a cui manca T umore 1 come ad etico. — Non è
d'uopo di estendersi punto per mostrare T erroneità di questa
opinione 9 che ognuno può di leggieri accoi*gcrsene da sé . — - A
4:a varne pur qualche senso il Torcili avverte che la e di questo
verso non ò congiunzione 9 ma avverbio ^ e vaie parimenti ^ alla
lati uà et per etiam. Virgilio: Quorum Iphittu ae^o^Iamgra'*
%'ior , Pelias et uulnere tardus Ulixi : \b\ 4-«
I !i^ Tu hai V arsura ^ quella per cui fumava come man
ha fonata il %^emoy v. ga., e l capo che ti duole., per la soprad-
detta/i?£Are acuta^ V. 99.
j V.8 lo specchio di Narcisso ; racqua, nella quale lo sciocco
giovane specchiandosi , tanto di sé medesimo s*invaghiy che, di-
jaeiiticando di mangiaixs e bere, se ne moii; onde leccar lo
specchio di Narcisso vuol dire bere delC acqua .
1 29 Non ìH^rresti a incitar molte parole: non brameresti
un limgo invito; alla prima parola d'mvito correresti.
1 3 1 i3'j or pur tnira^ - Che per poco è ec. : espressione
[a] Yetli Cìdouìu » ParUc. 44* aC. [h] Aeneid, lib. ii. v. 435* « seg.
66o INFERJNO
Che per poco è che teco non mi risso.
Quand'io 1 senti' a me parlar con ira, i33
Volsimi verso lui con tal vergogna,
Ch ancor per la memoria mi si gira •
E quale è quei che suo dannaggio sogna , 1 36
Che sognando disidera sognare,
Sì che quel eh' è, come non fosse, agc^a:
Tal mi fec'io non potendo parlare; iSg
Che disiava scusarmi , e scusava
Me tuttavia, e non mi credea fare.
miuacciosa , e come se deUo avesse: ancor mo guarda j pro-^
siegui pur a mirare^ che se noi saij — per poco è, poco ¥Ì
mauca y» che teco non mi risso y che nou faccia rissa con le,
che non mi scappi la pazienza ; •-♦o, come spiega il Biagiolit
poco manca eh io non ti riprendo y e sgrido aspramente,
•*-> Che è per poco che teco non più risso , ha il Val. 3 i99.'«-a
|33 Quand^io 7 senti* , apocope, invece di sentii.
i34 •-♦con tal vergogna j cioè con la fronte si carica dì
quel rossore che fa l'uomo talvolta degno di perdono. Bia-
OIOL1 . '«Hi
1 36 al 1 4 1 E quale è quei ec. 0)nsiste la similitudine in
questo 9 che come chi sogna suo dannaggio (lo stesso che suo
danno , cosa a sé dannosa) , erra , credendo di non sognare , e
desidera di sognare ; cosi Dante in quel punto, mentre , non
potendo per la vergogna e confusione pailare, manifestava neiU
miglior maniera il suo ravvedimento, eiTa«a, desiderando <ii
potere il ravvedimento suo manifestar con parole. »-►£ questo,
dice il Biagioli, uno di quei luoghi, ove si scorge che Dante
ricava le più volte i suoi tesori da quelle minuzie, le auali,per
la loro leggerezza, difficile è tanto di poter discemere. Ognuno
può aver sognato di Uxivarsi in gi*an periglio, e desiderato in
quel sogno di sognare, credendolo realità, e così desiderando
che fosse quel ch'era di fatto. Con questa similitudine spi^a
Dante il suo stato attuale. Pieno di vergogna e di confusione
desidera parlare e scusarsi, e non pud parlare, perchè muto
lo fii stare la vergogna; ma, contilo il creder suo, qurlla con-
fusione e vergogna è appunto ciò che lo scusa appo \ irgilio. «-«
CANTO XXX. 66i
Maggior difetto meo vergogna lava, i4^
Disse 1 Maestro, che 1 tuo non è stato;
Però d'ogni tristizia ti disgrava :
E fa* ragion ch'io ti sia sempre allato, 14.^
Se pili avvien che fortuna t accc^lia
Dove sien genti in simigliante piato }
Che voler ciò udire è bassa voglia .
14^ al i44 Maggior eC' GMtmzione: Men i^rgogna latHi
maggior difetto^ che non è stato il tuo ; quasi dica: il tao
rossore è maggior del tao fidlo . - d'ogni tristizia ti disgrava y
ti rasserena •
1 45 al 1 47 ^ fa'* ragion ec. Costruzione : E se pia am^ien 9
che fortuna Caccoglia (t'accosti) Jove sien genti in simi^
gliante piato (litigio, chiassata), fa* ragion (fii'conto) eAVo ti
sia sempte allato; ed è ciò come a dire: vergognati sempre
rTiwi trattenerti •
148 9^ Che poler ec* Questo si è T insegnamento, al quale
ci ha menati per la via che gli è parsa migliore , perchè piii
naturale nella presente situazione; insegnamento utilissimo,
e che però espone il Poeta in un verso tale che , chi pur una
volta lo legge, non se lo sdimentica piii, per ismemorato che
egli sia. BiAGioLi. 4-«
CANTO XXXI
■r» »>■ u
ARGOMENTO
Discendono i Poeti nel nono cerchio f distìnto in
quattro giri , dove si puniscono quattro specie di
traditori ; ma in questo canto Dante dimostra so-
lamente che trow d'intorno al cerchio alcuni gi-
ganti , tra'quali ebbe contezza di Nembrot , di Fiat-
te e di jénieoj da cui furono ambi calali, e posti
già neljondo di esso cerchio*
Una medesina liugua pria mi morse, i
Sì che mi tiase Tana e l'altra guaucia,
E poi la medicina mi riporse:
Cosi od' io che soleva la lancia 4
D'Achille e del suo padre esser cagione
Prima di trista, e poi di buona mancia.
1 Una medesma lingua y di Virgilio. — pria nd morse.
metaforicamente per rimproverò j verso 1 3 1 • e s^. del pas-
sato canto.
a mi tinse ec.^ mi cagionò rossore.
3 la medicina mi riporse y v. i43. e segg.
4 al 6 od^ioj detto, intendi, dai poeti. — e del suo padre ^
Pelco, da cui era cotal lancia passata nelle mani d'Achille, -fn*
sta e buona mancia vale qai letteralmente tristo e buon re*
gaio , ed allegoricamente /^eriVa e rimedio; onde Achille ste&><K
parlando di Telefo dalla sua lancia ferito prima» e poscia guari*
to: opusque (dice) meae bis sensitTelephushastae\a\.m-^\^ìi^
[a] Ovid. àlet, xii. 112.
CANTO XXXI. 6r)3
Noi demmo '1 dosso al misero vallone, 7
Sa per la ripa che *l cinge d'intorno,
Aitraversando senza alcun sermone.
Quivi era men che notte, e men che giorno, i o
Si che '1 viso n'andava innanzi poco:
INIa io senti' sonare un alto corno
Tanto ch'avrebbe ogni tuon £itto fioco, i3
scrìve che Telefo guari mediante rapplicazioned* un empia*
Siro fatto colla ruggine di quella lancia: ^iia/n ( hastam ) ciim
rasisseni remediatus est. Fab. 101. Poutibslli • 4-s
7 demmo *l dosso f voltammo la schiena, ci partimmo.
8 9 «Su per la ripa ec.j camminando attraverso della ripa
che cingeva quella bolgia 9 ed avviandoci verso rinfenial centro.
I o m-¥ Qui era l'Ang. E. K. ^-v men che notte ec. Descrive
iiuel crepuscolo della sera , quando anche in tutto non è spento
il giorno 9 né in tutto apparisce la notte. Dahibllo.
I I 7 uiso n^anda$^af fa Nidob.; il viso m* andava y l'altre
edizioni, •-► e la 3. romana coi codd. Ang. e Vat. 3 199; --e
questa, dice ilfiiagioli, è la vera lezione, perchè è Dante che
parla , e dee parlar solo del viso suo , cioè della sua vista . 4-s
1 51 1 3 senti* , apocope , invece dì sentii. — un alto corno •
O per un alto corno vuole intendersi un corno posto in alto
( prixicchè sonato da Nembrotto, uno de* giganti che tanto so-
pra quella ripa, su della quale camminavano i Poeti, s'innal-
zavano 9 che Dante, come dirà, credetteli da prima torri ); ed
iu tal caso il tanto che segue, varrà di per sé come tanto for-
temente : 0 vuoisi col Daniello fare la costruzione : un corno
tanto alto 4 e tanto alto varrà come tanto altamente y tanfo
fortemente .9^ Dì questo Nembrot, al cap. 10. del sacro Gè*
nesi j non abbiamo altra notizia , se non eh' ei fu figlio di Chus ,
nipote di Cham^ e per conseguenza pronipote di Noè, e che
col tempo divenne un bravo, robusto e famoso cacciatore; e
sebbene, come discendente di Cham, vi sia tutto il fondamento
di crederlo uno de*prìmi autori dell'Idolatrìa e della pazza in-
trapresa della Torre di Babel, narrata al cap. zi. del detto sa-
cro Genesi y ciò per altro non è punto autorizzato dalla sacra
Scrittura. VooGiAU.^-m fatto fioco ^er fatto sembrar fioco y di
|x>ca voce, di poco strepito.
604 l N 1 E R N O
Che, coDtra se la sua via seguitando,
Dirizzò gli occhi miei tulli ad un loco.
Do|X) la dolorosa rolla, quando i6
Carlo Magno perde la santa gesta,
Non sonò si terribilmente Orlando.
Poco portai in là volta la testa, iq
Che mi parve veder molte alte torri ;
Ond'io: Maestro ^ di*, che terra è questa?
Ed egli a me: però che tu trascorri 22
•
1 4 1 5 Che , cantra ec. Costmzione : Che gli occhi mieiy xr-
gnitanfio ( vai come seguitanti ) la sua t^ia contro xè ( la tù
stessa del suono, in direzione però ad esso contraria, venendo
il suono da Nembrotto a Dante, e andando l'occhio, ossia la
vista di Dante a Nembrotto ) «//rizzò tutti ad un locOj lotal-
montc al solo luogo, onde il suono veniva, fé' diretti ; quelli
c.ioè che prima dì quel snono aggira vansi vaghi qua e là pnr
iscoprire quella nuova porzione d'Inferno. »-► Così anche il To*
relli, indicando di mettere tra due virgole le parole contrasè
la sua via seguitando y interpunzione da noi seguita, e che è
pur quella dol Vat. 3199.4-9
1 () al 1 H Dopo la ec. Costruzione Non sonò sì tenibile
ìnetìte Orlando dopo la dolorosa rotta { di Roncisvalle^ in-
tendi , dove per tradimento di Gano fu dai Saraceni trucidato
un corpo di trentamila soldati ivi lasciato da Carlo Magno )«
quando Carlo Magno perde la santa gesta <, cioè T impresa
di cacciare i Mori dalla Spagna . Venturi . Racconta Tarpino
che il suono del corno d'Orlando fosse in quella occasione da
Carlo Magno inteso in distanza d'otto miglia [a]. •-» Orlando
fuggi sotto d'un monte, dove sonò sì forte un suo conio, die
scoppiò per lo ventre , e morì . PoBTtRSLLi . <-m
19 volta la testa ^ la Nidob.; alta la testa j Taltre fslisioni ;
Wh¥ e vuole il Biagioli che questa sia la vera lezione, dimostran-
do il Poeta l'andar suo con gli òcchi tutti al Vidto luogo onde
venne il suono . Ma come la Nidob. legge il cod. del sig. Pre-
giai i, e pensa questo eh. Comentatore che sia una tal variante
[a] H istoria de vita Caroli M, cap. iS.
CANTO XXX.L 665
Per le tenebre troppo dalla lungi,
Av vìen che poi nel raaginare aborri •
Tu vedrai ben, se tu là ti coagiungi, a 5
Quanto '1 senso s'inganna di. lontano:
Però alquanto più te stesso pungi.
Poi caramente mi prese per mano, a8
£ disse: pria che noi siam.più avanti,
^ Acciocché 1 fatto men ti paia strano,
Sappi che non son torri , ma giganti , 3 1
£ soa nel pozzo ìotorao dalla ripa
Dall'ombelico in giuso tutti quanti.
da preferirsi , evitandosi còsi la ripetizione deirepiteto aito che
ricorre nel verso che segue. 4-«
a3. ^4 <^'a lungi lo stesso che dà lungi. — maginare per
immaginare j aferesi adoprata da altri antichi italiani scritto-
ri [aj.<— o&orri fer aberri ^ erri^ antitesi usata altrove dal
PoeU nostro e da altri \b].
a3 al a6 T\i vedrai j la Nidob.; X\i vedra\ Taltre edizioni.
9^ Quanto V senso j intendi della vista , perchè, riferendosi a
tutti i sensi , il s*inganna di lontano non saiebbe vero. Bia-
G10U.4-«
217 te stesso pungi j cioè stimola a correre per presto veder
tutto da vicino, e cosi trarti affatto d'ogni errore.
a8 »-► Con quest^atto di prenderlo Vii^ilio caramente per
mano, vuol mostrare il Poeta quale esser debbe Tuomo verso
chi errò, e lavò poi il suo difetto. Se non è questa l'inlenzio-
ne del Poeta, cerchi l'altra chi vuole, poiché certo si è che in
ogni minimo atto che descrive , intende ad un fine ; poiché
nulla pone la penna sua in carta , che non scenda da mente
sana e da chiaro intelletto. Biaoicmli. ^-c
3a intorno dalla ripas dalla per alla [e].
33 9^ da lo bellico f legge TAng., ^^e da rumbilico , il
yat.3i99.4-«
[/t] Vedi il Vocab. della Cr. [b] Vedi U ooU «1 passalo caato zxv.
V. i44* [e] Vedi il CÌDODÌO9 Partic, 70. e 71.
666 INFERNO
Come, quando la nebbia sì dissipa, 34
Lo sguardo a {k>co a poco raffigura
Ciò che cela '1 vapor, che Faere stipa;
Così, forando laura grossa e scura 37
Più, e più appressando in ver la sponda.
Fuggi m mi errore, e crescemmi paura.
f)4 al 36 »-► Mirabile per la naturalezza e la semplicìtii , ma
più ancora per l'espressioni , si è questa similitudine. Bi agioli.^-*
li vapor j che Vaere stipa. Ne fa capire non esser la nebLìi
altro che vapore acqueo costipato dal fireddo aere . »-»>Non si po-
teva meglio y né piii filosoficamente definir la nebbia di qneUo
che ha fatto qui Dante col chiamarla un vapor ^ àie Vaere stir-
pa ^ cioè che dall'aria è condensato. Infatti non è altro lane^
bia se non che un vapore acqueo dal freddo aere condensato
sino a quel grado che è necessario affinchè le particelle acquea
rimangano sospese per aria e non ridotte in pioggia. Poggiali.«-c
37 38 Così^ forando ec. Ho tolto la virgola , che tutte le
moderne edizioni collocano in fine del presente verso, dopo
scura ^ e Tho invece posta dopo il primo /^iiì del verso seguen-
te , ad indicare che dee essere la costruzione : Così più ( ulte-
riormente) forando ( trapassando) PiUU'a grossa e scuroy e pia
appressando inyer la sponda. l!aer grossa^ leggono invece
tutte le edizioni dalla Nidob. diverse, •-► e il Vat. \ 11)4); «-•
ma aura per aria adopera Dante anche altrove [aj y eà aere
fa in questo poema sempre dì genere mascolino [6 j.-^L'ediz.
di Fuligno legge anch'essa Vaxtra. E. R.
39 fugginmii errore y e crescemmi paura ^ così la Kidob^
meglio par certamente delle altre ediz.9 che invece leggono Fug-
gemi errore j e giugnèmi paura; m^e cosi i codici Vat. 3 1 99
ed Angelico. E. fi. — Ma il Biagioli pensa che le forme fug-
gemi e giugnèmi y alterate si fattamente dal Poeta o da 'copisti,
siano le stesse che fuggiami (mi fuggiva), e creseeami (mi cuv-
sceva). E la ragione, da cui è mosso a crederlo, si è il termine
della comparazione , col quale il presente si confronta , cioè lo
sguardo a poco a poco raffgura . A rincalzo di questa sua opi*
[a] Inf. IV. 37.» Porg. xiv. ì^2^ [b] Inf. 1 1. i., zvi. i3o.» Porg. mjlìx. »3.,
Farad, xxvii. 68.
CANTO XXXI. 667
Perocché come in su la cerchia tonda 4^
MontereggioQ di torri si corona ,
Così la proda , che 1 pozzo circonda ,
Torreggia va n di mezza la persona 4^^
Gli orribili giganti, cui minaccia
Giove del Cielo ancora quando tuona •
ninne riferisce che il codice Stuard. legge Fuggiami errore ,
e cresceanu paura; bella lezione, e che egli giudica origina-
le. Così la terza rom. edizione legge Fuggèmi errore^ e ere-"
scémi paura . — Anche Torelli vuol che si legga Fuggèmi e
giungèmi per fuggiami e giungeami*^^ Cresce in luogo di
create registralo n Prospetto de* verbi toscani ^ come scritto
anche da altri •
4o 4 > come ec. Costruzione : Come Montereggion (castello
de*Sanesi circondato da torri. Volpi.) si corona » si orna, di
torri in su la cerchia tonda , in su le rotonde sue mura. »-^Ma
il Biagioli dice che qui il Lombardi la sbaglia, poiché ^1 corona
non può qui valere .ri orna; e pei'ciò spiegheremo col Poggia-
li : si corona , cioè è tutto guemito di torri disposte a guisa
di corona. - Questo castello, dice T Antico citato nella E. F.,
nel circuito delle sue mura ae quasi ad ogni 5o braccia una
torre j non avendone in mezzo per lo castello alcuna. 4-9
4'^ al 45 la proda ^ "pevriuay sponda, '^ Torreggiai^an y fa-
cevan tuirita. Bene cotaì verbo adopera Dante allusivamente al
manifestato errore di creder torri i giganti , come bene chi , a
cagion d'esempio, apprendesse per palizzata una compagnia di
nomini veduta di lontano, soggiungerebbe : ma v^idi poscia che
il terreno era palificato d* uomini^ e non di pali. '^ di mezza
ia persona.' \ale qui la particella éji lo stesso che la con; ve*
dine altri esempi presso il Cinonio [a], »-^Ma dice il Biagioli
che v'ha ellissi delle parole con foltezza j e che il Poeta co-
stringe cosi chi legge ad indagar quello che per brevità tace la
lettera • * Imitò questo luogo il Tasso nei seguenti versi >
c( Quindi tra^merli il minaccioso Argante
a» Torreggia, e discoperto è di lofUano. »
Né sa vedere il Biagioli perchè siasi criticato il Tasso per V uso
[a] Parn'c. 80. 3.
668 INFERNO
Ed io scorgeva già d alcun la faccia , 46
Le spalle e 1 petto, e del ventre gran parte,
E per le coste giù ambo le braccia .
Natura certo, quando lasciò larte 49
Di sì fatti animali, assai fé' bene.
Per tor cotali esecutori a Marte •
E s'ella d'elefanti e di balene 5^
Non si pente, chi guarda sottilmente,
Più giusta e più discreta la ne tiene ;
Che dove l'argomento della mente 55
S'aggiunge al mal volere ed alla possa,
di questo verbo torreggiare j che dipinge si beiie.4-« etti mi"
nacda -^Gìoue ec. Allude alla favolosa guerra che i medesimi
gìgaati ebbero con Giove, dal quale rimasero fulminati e cac-
ciati colaggiù ; ed aggiunge che vengano dal medesimo mi-
nacciati quando tuona. •-►Tutto è perfetto in questi versi, e
ognun lo vede da sè« Biagioli.4-c
48 E perete coste ec.; ed ambo le braccia stese gìii lungo
le coste 9 per essere cioè in quella positura legate. Vedii^. 86.
e segg. del presente canto •
5 1 Per tor totali ec; perocché troppo costoro per la smi-
surata loro forza avrebbero in guen*a superati gli altri uomi-
ni. m-^Per toller tali ec, legge FAng. E. R.*-«
5 a al 54 d'elefanti e di balene ^Non si pente; proseguendo
cioè natura di questi animali a produrne , e non piti de'giganti .
«-♦Torelli invece di pente amerebbe che si leggesse pente , e
ne la tene in luogo di la ne tiene y spiegando nelagitidicn.^^
55 argomento della mente per raziocinio. •-♦ Abbraccia
tutte quelle potenze delPanima, per mezzo delle quali essa può
con più agevolezza condurre un'azione al suo fine. Biaoiqli.
— Argomento ha significazione d'istrumento e di macchina da
guerra: qui metaforicamente vale la forza deliamente» deU* in-
gegno . E. B. - Dice Aristotile nel I. della Politica: sicut homo ,
si sit perfectus uirtute^ est optimus animaliwn; sicj si sii
separatus a lege et iustitia^ est pessimus omnium ^ ctmi ha--
beat arma rationis j ec. (Pieteo Daute). E. F.^-v
CANTO XXXI. 669
Nessun riparo vi può far la gente.
La faccia sua mi parea lunga e grossa , 58
Come la pina di san Pietro a Roma ,
Ed a sua proporzion eran laltr'ossa :
Si che la ripa, ch'era perizoma 61
Dal mezzo in giù, ne mostrava ben tanto
Di sopra, che di giungere alla chioma
Tre Frison s'averian dato mal vanto; 64
Perocch*io ne vedea trenta gran palmi
59 Come la pina di san Pietro a Roma . La grossa pina
di bronzo vuota, che una fiata ornava la cima delia mole Adria*
iia; — *poi dal Pontefice Simmaco messa nel quadriportico
innanzi all'antica Basilica Vaticana ; quindi nella riedificazione
dì detta Basilica trasportata , comedice il eh. E. Q. V iscouti [a] ,
dalla piazza di S. Pietro presso il Giardino e il Palazzetio di
Innocenzo Vili a Belvedere; ed infine nel declinare del seco-
lo XVII collocata sulla scala delFApside di Bramante, dove
tuttora si vede, in mezzo a due pavoni parimente di bronzo.
I^a sbaglia il Buti [6], che dice essere stata questa pina in sul
rampaniie diS, Pietro in sulla cupola^, epercossa dalla saetta
ne cadde giuso ec. Le opinioni di quelli che interpretano al-
ludere il Poeta nella misura di tal faccia gigantesca alla cupola
(li S. Pietro [c]y o alla palla di detta cupola [^J, non possono
essere ammesse in alcun conto. E. R.
61 al 6^ perizoma y\occ greca Tff /^«,ota, propriamente ve-
ste che ricuopi^Ie parti vergognose ; ma qui per similitudiue.
\\)Lri. Che adunque la ripa fosse perizoma ai giganti dal mezzo
in giii, vuol dire che copri vali dal mezzo in giìi. — Tre Fri»
son j intendi soprapposti Pun all'altro. Sceglie per questo esem-
pio i Frisoni, per esser nella Frisia gli uomini perla maggior
parte d'alta statura. ^* s^ayrian dato mal yanto , sarebbersi
«ienza successo vantati. 9^ mal vanto y cioè malamente, av\er-
bio, non nome. Tobblli.^-*
[a^ Descrìz. del Museo Pio Clementi oo, tomo vii. Miscellanet» |»g. 7^.
[b\ riluto nel Vocab. della Cr. alla voce Pina, [cj Sentimento del Vol-
pi. [d\ Parere del Salviui ril'erito dal Veiilnri.
670 INFERNO
Dal luogo in giù, dov'uom s affibbia'! manto.
Rapliel mai amech zabi altni, 67
66 Dal luogo ec» Costruzione: Dal luogo dov* uom s^aff 'f-
bla il manto ( dalla gola, eh' è il luogo ove ruomo suole afli*^
biare il manto . Daitibllo . ) ingiù , venendo in giù fino allarìpi ,
che dee va a coloro perizoma.
67 Raphegi mai ainèch izahi ahni^ cosi la NìJuh.; Rafcl
mai amech zabi almij l'altre ediz. Ma meglio la Nidob. cer-
tamente ; imperocché il verso ne rimane compito, e le parole
significano sempre lo stesso nulla che Dante medesimo intende
che significhino. Vedi piti abbasso i iv. 80. e 81., che parlar^
com'ivi dice, a nullo notoj è lo stesso che parlar non signi*
ficante* «-►Così leggeva e chiosava il Lombaixli . Noi però aiU
l'È. R. abbiamo restituita l'antica e più comune lezione, sulla
antorità del Bembo j e de' codiciUrbinate , Angel ico , Barberino ,
Corsini, Casanatense, e di altri piii celebrati fiorentini, e del
Vat. 3 199. Questa lezione è stata puranche diièsa dal <:h. si-
gnor Ab. Lanci [a] , sostenendo che qnesto versò sia campaste
di voci arabe ; che debba disgiungersi nel modo seguente : Ha-
phe Imaiamec hza bialmi; e che significhi.* esalta lo splene-
dor mìo neW abisso y siccome rifolgorò per lo mondo. Si può
per altro vedere un articolo inserito nel Giornale arcadico,
tomo t2, parte 11. fac. 211, nel quale non si conviene totalmen-
te col eh. Professore.
Noi, ad oggetto di soddisfare, per quanto il possiamo,
alla curiosità de' nostri lettori sull'argomento, riferiremo qui
una nuova interpretazione di questo verso del eh. sig. Ab. Giu-
seppe Venturi Veronese, e quale ci venne gentilmente in au-
tografo comunicata dal sig. Gio. Milam ingegnere in Verona.
Ammette il lodato sig. Venturi la comune lezione, colla
sola aggiunta dell'aspirazione siriaca all'omecA, ed araba al-
Vaimi , e la vorrebbe con questa interpunzione:
Raphèl Mai [&] Hamech? ..., Zàbi Hàlmi [cj.
e traduce.- Raphèl ( per Dio ! o poter di Dio ! ) Mai ( perdiè io )
If amech? (in questo profondo, o pozzo?) Zabi (toma indie-
fa\ Vedi la stia Dissertazione sui versi di Nembroite e di Piato n-lia
diifin4i Commtulia. [b\ Maì^ che è il caldaico ^K*^» si può legger an*
ciìe Mài \c] L* aspir^izioae araba cUe si sente nel ^ può equivaltrrc a
Ufi aiiru *A , ed A verso avrebbe la sua mi&ura diceadusi *Aàinti.
CANTO XXXI. 6-1
i
Gònìinciò a gridar la fiera bocca ,
Cui non si convenien più dolci salmi .
£ '1 Duca mio ver lui: anima sciocca, 70
Tieuii col corno, e con quel ti disfoga,
Quand'irà od altra passion ti tocca.
uro) Hàlmi^ (nasconditi). Pretende poi cbe il linguaggio non
sia un 80I09 ma l'ebraico (di cui è la prima voce ) ed i suoi
dialetti, che si vogliono nati nella contusione di Babel. Ora
usandosi cinmie parole 9 ciascheduna di differente linguaggio,
ne deriva un linguaggio misto a nullo noto come dice Dante
sfosso, e come sarebbe a nullo noto il verso seguente, che è
quasi traduzione di quello del di\iuu Poeta, ed è tolto dallo
spagnuolo-latino*tedesco-francose«-italiano:
Pardiez! cur ego hier? ua»t'-en , f ascondi.
L'essere poi quel verso composto di voci tolte dai dialetti ba-
belici par che lo dica lo stesso Dante più sotto.-
egli stesso s^ accusa ;
Questi è Nenibrotto , per lo cui mal coto
Pure un linguaggio nel mondo non s^usà [a].
In carattere ebraico, che può servire anche agli altri Orieu-
Cali, si scriverebbe il verso suddetto, secondo il citato signor
Venturi, cosi:
♦o^;; ♦DD poy ♦«0 *7«an
Ma un intelligente di ebraico ci fii osservare che 9 leggen-
do col Venturi la parola zàbi colla z , dovrebbosi usare uel
testo ebreo, invece della lettera samech 7, la tzadi V. 4^
69 convenien per con^^enii^ano <, come ti*ovasi ancelle ^^enicno
per venivano [b]* 9-^ com^enii^any ha il cod. Ang. E. K. «-«
salmi per accenti ^ parole*
^o al 72 anima sciocca^ che pensi essere intesQ con que-
sto tuo parlare, "Tìenti col corno f prosiegui a intertenerti a
passartela, come or facevi , col tuo corno, e lascia le non intese
parole • -e con quel, col snono di quello ti disfoga ec. •-►lu
questo corno dimostra il sig. Ab. Lanci simboleggiata la foi*za ;
e nella Vo^a (che egli spiega per monile o catena d'oro) è sim-
boleggiata la ricchezza, per la quale hanno vita i regni. E.F. «-•
fai w. 76. e segg. [h] Vedi Mastrofioit Teoria e Prospetto de" verbi
italiani t «1 verbo F'enire, n. 6.
67^ INFERNO
Cercati al collo, e troverai la soga <;3
Che 1 tien legato , o anima confusa ,
E vedi lui che '1 gran petto ti doga .
Poi disse a me: egli stesso s* accusa; ']Cì
Questi è Nembrotto , per lo cui mal cato
73 al 75 Cercati ec. Essendo costui , come poco dopo dirassi,
2uel Nembrotto j che ia peaa della torre che vpleva innalzare
no al cielo > fu da Dio riem|àto di tanta confusione e smemo-
raggine, che perfino scordossi del proprio linguaggio, eh « quai»-
to a dire di tutti i termini delle cose; perciò Virgilio, sappi-
nendolo, per cotale durante smemoraggine, dimentico anche
del luogo dove avea riposto il pur allora suonato corno, parla
lui a questo modo: — Cercati al collo ^ attasta colle mani ia-
tomo al collo ; - e troverai la soga , la coregga , Che V ùen
legato^ che '1 tiene appeso: e intende che, trovau la soga ,
non resti a far altro, per trovare il corno, se non di scorrere
colla mano luugo la soga medesima, m^zoga^ lezione forse
romanesca del cod. Àng. E. R.4-c E i^ediluiy il corno , cAe 7
gran petto ti doga, che colla sua curvità si adatta al tuo pet-
to, come a botte doga: se non forse, come doga adopi^si per
lista [aj , adopera qui Dante dogare per listare ; che certa-
mente doveva quel coiiio pendente avanti il petto del giganic-
furgli come una lista di color diverso. b-^I1 Postili, dell' Ang.
sopra doga ha scritto: signat. E. K.^-c
76 egli stesso s^accusa, col non mai inteso parlare, e forse
anche colla confusione e smemoraggine che negli atti mostrava.
77 mal coto, CotOy e quoto (Par iii. 26.) , checche altri si
dica [&], io per me penso che non sieno tra loro piii di&eit?ntt
di quello sieno core e quore <, cioè antichi e ben detti amen-
due; e che non derivino altrimenti da cogitare^ o coitare [e],
ma piuttosto da quotare , che significa , dice il Buti \d\ , giudi-
ccwe in quale ordine la cosa siaj e che vagliano coto e quoto
quanto varrebbe il quotare stesso, di verbo fatto nome.Se<x)ndo
[a] Vedine gli esRinpj nel Vocab. della Cr. alla voce Z>aga. [b] Vedi Rosa
Morsiodo,Annnlaz, at Par.,c. ni. [e] Così Herivanda i Deputati alla c(.>r-
rez. del Boccaccio, n. 10.; ina non si trovando usalo inai cotale coiinrtr^
rimane quindi *1 colo troppo in aria, [dj Gii. nel Vocab. della Cr. al
vei bo Quotare.
CANTO XXXI. 073
Pure un linguaggio qel mondo non s' usa .
Lasciamlo slare, e non parliamo a volo; 79
Cbè così è a lui ciascun linguaggio,
Come '1 suo ad altrui, eh' a nullo è noto.
Facemmo adunque più lungo viaggio, . 8.1
Volti a sinistra, ed, al trar d'un balestro,
Trovammo laltro assai più fiero e maggio.
questa iutelligeoza, il mal colo di Nembrot saia la di luì inala
soiocehissima esumazione delPaltezza de' cieli, peusandu dì po-
ter ergere una torre che a quelli arrivasse, m-^mal toiOy {H»r-
vcrso pensiero 9 spiegali Biagioli. ^- Il sig. Ab. Lanci Jict: die
questa voce coto viene dall'arabo 9 e che con*isponde al Ialino
yisj potenza; cosi mal coto vale mala potenza, E. F.4-«
78 Pure un linguaggio ec G>struzioue: i\o/» s^usa pure
(ancora y tuUavia) nel mondo un linguaggio y intendi, compera
prima deli attentalo di Nembrotto, che erat terra labii uniusy
dice il sacro testo [a]. a-^Ma, secondo il fiiagiolii qui pure
non vale ancora j tuttavia f ma bensì solamente. Il Vat. 3 ly^
legge Più un linguaggio ec.^-a
79 m^ Lasciamlo andar ec»j legge il Val. 3 199; ed è buona
forma di dire usata da varj de' primi nostri scrittori . E. R.4-«
80 8 1 Chò così ec. Ch*egli non intende il parlai* d'alcun aU
U'o p come nissun altro intende il di lui • m~^a nullo è nolo ,
L'Ab. Lanci inlerpoeta così : «quelle voci a nullo è noto dt*])-
3» bono intenderai I a nullo di noi due 9 a Vìi*giHo e a Uaiite ;
» benché a questo come vìsitalor deirinrei-noy e non come su-
o blime scritlor della Cantica. » E. B.4-«
8a Facemmo più lungo i^iaggio » andammo innanzi. •-► Ma
no 9 dice il Biagioli » che vi si oppone il volti a sinistra ; e però
spi«^: andammo più lungi f girando a mancina,*^
8i al trar d*an balestro vale 9 quanto tira lontano un ba--
lestroj stnunento noto.
84 nuiggio per maggiore , apocope non solo dal Poeta no-
stro molte fiate adoperata [6J5 ma da molti altri antichi, iu
verso e in pix>sa [cj.
[à\ Gen. i •. i». i ffr' Vedi Farad, ti. i ao , iiv. 97 xxvi. «9. ec. [e] Vedi
il Vocab. della Crusca.
roi. /. 43
674 INFERNO
A cinger lui , qaal che fosse il maestro , 85
Non so io dir ; ma ei tenea succi Qto
Diuaazi l'altro, e dietro 1 braccio destro,
D'una catena , che 1 teneva avvinto 88
Dal collo in giù, si che 'n su lo scoperto
Si ravvolgeva infino al giro quinto.
Questo superbo voli* essere sperto gì
Di sua potenza contra 1 sommo Giove,
Disse 'i mio Duca , ond' egli ha cotal merlo .
Ftalte ha nomej e fece le gran pruove, g4
Quando i giganti fer paura ai Dei:
Le braccia , eh' ei menò, giammai non muove .
Ed io a lui : s'esser puote, io vorrei 97
85 al 1*8 7 qual che fosse il maestro , -^JVon so ec^ maestro
per artefice legatore ; e vuol accennare la difficoltà cJie do-
vette Incontrare colni che legò siffatto animaley frase del Poeta
medesimo, v^ 5o. -«• tenea succinto ec.} sinchisi, e dee essere
la costruzione*- ei tenea succinto dietro il braccio destro ^ e
dinanzi PaltrOf cioò il sinistro. Succinto vale qui sottocin-
to y cioè sotto la catena, che si aggirava intorno al <x>rpo del
gigante, rimanevano cinte e strette le braccia.
88 al no avvinto —-Dal collo in giùy intomo alla vita fa-
sciato dal collo in giii.-^jri che ec, costruzione: sì che sirat^
volgala (la detta catena) in su lo scoperto (in su la parte del
corpo che rimaneva fuori del pozzo scoperta) infino al giro
quinto j vale lo stesso che infino a cinque i^olte, o a cinque
risoluzioni y ed appartiene ciò a dinotarlo fortemente legato.
gì al go uolVessere sperto -'Di sua potenza ec: volle far
prova del suo potere, movendo guerra a Giove , com'è detto
al i/. 44' "* cotal mertOy d'essere cosi strettamente nel le ardite
braccia legato, -"fece le gran pruove , ^ Quando ec. ItaocootA
Igino, che Fialte e suo fratello Othos , in occasione della pre*
iata guerra, rnontem Qssam super Pelion posuerunt [aj.
[a] fab. cap. i$.
CANTO XXXI. 675
Che dello smisurato Briareo
Esperienza avesser gli occhi miei.
Ond'ei rispose; tu vedrai Anteo 100
Presso di qui, che parla ed è disciolto,
Che ne porrà nel fondo d'ogni reo.
Quel, che tu vuoi veder, più là è molto, io3
Ed è legato, e fatto come questo,
Salvo che più feroce par nel volto.
Non fa tremuoto già tanto rubesto 106
Che scotesse una torre così forte,
98 99 Che dello smisurato Briareo ec* Desidera Dante di
\eder questo gigante 9 per la stupenda descrizione che del me<
desìmo ne fa Virgilio nella sua Eneide:
Aegaeon qualis , centum cui brachia dicuni ,
Centenasque manusy quinquaginta oribus igaem
Pectoribusque arsisse m lovis quum fulmina centra
Tot paribus streperei cljrpeisj tot stringerei enses [aj.
100 101 Anteo j altro gigante ammassato da Ercole . — ed
è disdoltoc non è legato come Fialte e quegli altri che soli
mosser gueira a Giove.
ioa Che ne porrà j colle sue mani ci depoiTa, nel fondo
drogai reo . E qui reo nome sustantivo > significante medesima-
mente che male : modo in cui trovasi adoprato pm^e da altri
scrittori. Vedi il Vocab. della Crusca. E come disse di sopra
che r Inferno U mal dell* universo tutto insacca [b]^ cosiap-
pi'ÌÌA qui fondo d* ogni reo y d'ogni male y il fondo dell' lufer*
no medesimo* »-^Cosl anche il Torelli. «^
I o3 pia là è molto j è molto più in là .
io4 legato y come Fialte, per aver esso pure (atta guen^a
con Giove. «>- e fatto come questo . Viene con ciò Virgilio a
disingannar Dante, che pensava di veder Briareo tal quale iu
da esso V imlio ne' soprallegati versi deaeri tto , non istoricamente
(* secondo la verità, ma poeticamente e secondo le £ivole : cen*
iun$ cui brachia dicunt^ ec,
1 06 al 1 08 rubesto . Per V applicazione che fa Dante di quc-
[4] Lib. z. 565. e Kgg- [b] InL vu. iS.
6-Cy INFERNO
Come Fialie a scuotersi fu presto.
Allor temetti più che mai la morte, 109
1B non v'era mestier più chela dotta,
S'io non avessi viste le ritorte.
Noi procedemmo più avanti allotta, in
E venimmo ad Anteo, che ben cinqu'alle^
slo addìettivo qui al tremuotOy e nel Purg. ▼. 1 a5. al rigoo£ato
Oume Arcliiano, pare che non gli si possa dare miglior signK»
ficaio che ài impetuoso : e sembra che il signiBcato medesirao,
o letteralmente preso 1 o traslativamente, adattare ai po&sa a
tutti i varj esempj che dell'addiettivo stesso riferisconsi nel Vo-
cabolario della Crusca , — Come Fiake a scuotersi ec* Dello
aver aspettato fin qai Fialte a scootersi non sembra poter es-
sere altra ragione se non dall' ultime parole di Virgilio: che
pia feroce pttr nel volto ; colle quali viene a tacciar di ferocia
lo stesso Fialte . »-^ Nel primo termine della comparazione deL-
besi intendere l*idea che nel secondo s'accenna; e in questo,
nella che si esprime nel primo; cioè nei trerauoto la forza e
a prestezza, siccome in l'ialte la prestezza e la forza. E que-
sto artificio di costrizione merita che si osservi . Bi agiou . 4-c
I ogtemett^iopiù , la Nidob. ; b-^ variante che, al dir del Bia-
gìoli, guasta il verso ed il sentimento 4-c tome/c/ pìù^ l'altre
edizioni ; »-^ e noi col Vat. 3 igg e colla 3. romana, convenendo
coir E. A., che questa lezione rende il verso piii grave e eoo
meno elisioni di sillabe. 4-s
I I o dotta y coirò largo (chiosa il Vocab. della Crusca ^ ila
dottare. Timore, paura, sospetto <, dubbio. Vedine nel me-
desimo Vocabolario esempj anche d'altri autori in verso e in
prosa. m-¥ fuorché la dotta, legge TAng. E. B. ♦.«
ria allotta per allora, detto pure in prosa. Vedi il Voi-a-
bolario della Crusca .
1 1 3 alle . ^Ua ( dice il Vocab. della Cr. ) nome JTuna mi-
surad* Inghilterra, eh* è due braccia alla fiorentina, j^ule ed
aune appellano la misura stessa i Francesi [a] . Avendo Dante .
con dire questi giganti nel pozzo ^ DalV ombelico ingitàsotmtu
yiian£i[6j, significata in tutti loro una eguale altezza, con vìcikt
[a] Vedi i Yocaholarj Fraocesi. [b] Versi 3i. e 33. del canto |>re»cntr
?.
CANTO XXXI. 677
Senza la testa, uscia fuor della grotta,
O tu 9 che ueila fortunata valle, 1 15
Che fece Scipion di gloria reda ,
Quand'Annibal co' suoi diede le spalle,
brotto [a]; ed essendo > come mi si dice, il bracao fiorentino
tre palmi, vengono cinqu^alle a fare appunto trenta palmi .
•-^JtUa ò misura di Francia e d* Inghilterra, ed equivale a i
piedi y 7 pollici ed 8 lince del piede reale di Parigi (ossia ad
un metro e 19 centimetri circa). E. F. 4-«
1 14 Senza la testa f non computata la testa. — grotta si-
gnifica lo stesso che cai^ema , e perciò bene sta detta di quel
luogo*
1 1 5 al 1 17 nella fortunata valle ^ ^Che ec. Siegue Dante il
parere, o finzione cne sia, di Lucano, il quale, diversamente
da ciò che asseriscono Plinio [b]^ Solino [c\ ed altri , in vici-
nanza del luogo dove Scipione vinse Annibale, dice essere stato
il regno d^Anteo [d]> Pialle lo appella, perocché ne^camjn ,
pe^quali scorre il fiume Bagrada: ifua se (dice Lucano) Èa-
grada lentus agit; e suole m vicinanza ai fiumi essere il suolo
basso e vallicoso. '-^fortunata per rapporto al fortunato Sci-
pione appellata essa valle, dicono il Landino e il Daniello. Alla
impresa però di Virgilio, di grattare con questa parlata gli orec-
rht ad Anteo per ottenerne il bramato fiivore , pare conduca
meglio che fortunata intendasi o per essere stata condecorata
Ja Anteo medesimo, o per Tubertà del suolo. •-♦MailBiagioli
n tende che fortunata valga qui fortunosa , dove ha giocato
a sorte. ^^ reda^ che legge qrui laNidobeatina, eàereda , che
!*ggono Taltre edizioni ( »-♦ e il Vat. 3 199 4-«) , significano am-
ledae lo stesso che eroder e sono voci che trovami da buoni
critlorì anche in prosa adoperate [e]; e fece Scipion di glo^
in reda vale quanto, fece a Scipione ereditare y acquistai*
ioria . "quanao Annibal ec. , quando Scipione costrinse An-
tibaie ed il cartaginese esercito alla fuga .
w] Versi 6S. e 66. del medesimo, [b] Hist. lib. 5. cap. i. [c\ Polyhi*
tor. e. 27. [d] Phars. 690. e segg. [e] Vedi il Vocab. della Crosca.
678 INFERNO
Recasti già mille lion per preda, iiS
£ che, se fossi stato all'alta guerra
De' tuoi fratelli, ancor par eh' e' si creda
Ch'avrebber vinto i figli della Terra; 1 2 1
Mettine giuso, e non ten venga schifo.
Dove Cociio la freddura serra.
Non ci far ire a Tizio, né a Tifo: 1 24
1 18 Recasti pnr preda mille leoni j iacestì preda dì miìV
leoni : mille j numero determinato per l'indeterminatOy per ani*
tissimi. Ferunt epulas raptos habuisse leones , del medesiao
Anteo scrive Lucano \a\ .
1 19 al I a I i? che^ ec, È questo primo che una rìpediioD''
del pronome che adoprato nel i'. 1 15.: O tu che ec.^ ed è la
costruzione : E che ( e il quale ) pare ancor eh* e* si creda
( pare inoltre ch'egli si creda), che se fossi stato alt alta guef-
ra de^tuoi fratelli (alla guerra contro Gio?e, mossa da*gigarii'
fratelli tuoi ) , uinto at^rebbero i figli della Terra (non avreh-
ber vinto gli Dei, ma i giganti medesimi, figli» €M>me dìcou •
le favole, della Terra). s-^Dice il Biagioli cne questa costru-
zione del Lombardi £1 comparir Dante scrìttor barbaro; e nr
àk quest'altra t e, o tu, per cui (se tu fossi stato all'alta guern
de' tuoi fi^telli ) pare ancor che si creila ec, 4^ Prende il Pot'jt
nosti-o questo immaginario vanto d'Anteo dal prelodato Loca-
no, che della Terra madre de' giganti, e della goena dai gi-
ganti contro del Ciel mossa, dice:
caeloque peperdt
Quod non Phlegraeis Antaeum sustulit arvis [&].
1 32 e non ti vegna, la Nidob. ; e non ten 'venga , Talti^
ediz., ( m-¥e noi colVaL 3 199. 4-c } Non ti*venga a schifo jim^
isdegnare • I
1 23 1 24 Dove Oocito j fiume infernale, ^lafredàsiras
il freddo costipa, agghiaccia. Vedi nel canto seg. v. 28 e st^
— Non ci far ec. Sii tu il cortese, e non ci far andare a e
car la grazia ad alcun altro. •Tizio e Tifoj o Tifèo, due de ;
ganti che mossero guerra a Giove , e che suppone Virgilio
torno al medesimo pozzo esistenti .
\a\ FluLTS^ tv. 6oa. \h\ Ivi 9. S69. e seg*
CANTO XXXI. 679
Questi può dar di quel che qui si brama :
Però ti china, e quo torcer lo grifo .
Ancor ti può nel mondo render fama; 127
Gh'ei vive^ e lunga vita ancor aspetta,
Se innanzi tempo grazia a sé noi chiama.
Ck>sì disse 1 Maestro: e quegli in fretta 1 3o
Le man distese, e prese il Duca mio,
Ond' Ercole senti già grande stretta.
Virgilio, quando prender si senti o, i33
Disse a me : fatti 'n qua sì , eh' io ti prenda :
Poi fece sì, eh' un fascio er'egli ed io.
1 a5 Questi j cioè Dante • -^ può dar di quel che qui si bru"
9naf cioè rinomanza sa nel mondo; cosa dalla superbia vosU*a
bramata. •-» Alle parole: di quei chequi si brama ^ il Torelli
chiosa: a cioè qualche notizia dello stato dei viventi, atteso che
» ì dannati, secondo Dante, non conoscono il presente. Che
» Dante non intenda della fama , appare da ciò che se^e : ^n -
» cor ti può nel mondo render fonia ; onde verrebbe a dire
j» due volte lo stesso. » 4^
I a6 grifo per muso semplicemente . Volpi • m-¥ Grifo è prò*
prìamente il muso , o grugno del porco , e però la frase è bassa
e sprezzante; ma qui, oltre il bisogno della rima, la locuzione
non è afiatto sconveniente , specialmente in rapporto ad nn viso
che doveva essere molto lurido e mostruoso. Poggiali • 4-«
128 lag e lunga ulta ancor aspetta f per esser solamen*
te , come nel bel principio del poema dice , Nel mezzo del cam -
wnin di nostra vita. -^Se innanzi tempo grazia ec. Appella
grazia il morir presto, o per generalmente riputarsi la tempo-
ral vita inferiore aireterna, o per particolar riguardo all'an-
gustie in cui Dante trovavasi .
1 3 1 1 3a Ze nuin ee. Costruzione.* Distese le mani , onde ,
dalle qpiali. Ercole senti già stretta granile ( quando ebbe
lotta con Anteo; benché Ercole alfine ammazzasse Anteo), e
prese il Duca mio*
i35 Poi fece Ji, ec. Poi fece in modo, che fossimo ambe--
due abbracciati da Anteo quasi in un fascio.
GSo INFERNO
Qual pare a riguardar la Carlsenda i36
Sotto '1 chinato, quand'un onvol vada
So vr' essa sì, ch'ella in coutrario penda;
Tal parve Anteo a me, che stava a bada iSg
Di vederlo chinare, e fu tal ora
Ch'io avrei volut'ir per altra strada.
1 36 al 1 4 1 Carisenda , o , com* altri scrivono , Garisenda ,
torre in Bologna assai pendente \a\ , cosi dal cognome dì citi
r ha fatta fabbricare addimandata. DeWj^gnelloj dice il Yella-
ti*Ilo , che si appellasse attempi suoi; in oggi però viene detu
comunemente la /orre mozza. -Parendo che quella torre sia con-
tinuamente per rovinare , egli è facile che, trovandosi persona
inesperta, colle spalle alla torre sotto il chinato , sotto il pen-
dio di essa, mentre vien nuvolo contro , apprenda invece che
movasi per roviuai*e la torre stessa . Cotale falsa apprensione do-
vendo Dante avere inteso avvenuta in parecchi, pi*endela io
esempio dell'apprensione e paura ch'ebb'esso mentre vide chi-
narsi sopra di sé lo smisurato corpo d'Anteo, credendo die so-
pra gli venisse , per cadere che facesse , e non per chinarsi ; tauto
più eh essendo il resto del corpo del gigante nascosto dal pozio,
non poteva Dante vederlo reggere le gambe ritte , come reggplf
chi si china e non csiA.e»'^ stava a bada-^ Di vederlo chinare
dee significare lo stesso che staua attento a vederlo chinare,
e non già , come il Venturi chiosa , mi trattenevaper trastullo.
e perdendo tempo lo rimirava ^ senza pensare ad altro. --e
fu tal ora. Tal ora scrivo spartitamente , come trovo scrittoio
due mss. delia Corsini [6j, acciò meglio si capisca detto qui
[a] Il Ve a turi » la volgar c%imaoe persuasione seguendo » scrive queUa
torre io cotal modo iaclÌData esser opera dell'arte, il Bìaocooì pero
( favoriscemi qui pure d'avviso T eruditissimo sìg. Abate Gio.Cristofo>
ro Amaduzzi ), sulla teslìmonianza di chi essa torre esattamente ha vi-
sitato , Bsserìsce dimostrato chti il terreno, su cui ella posa, è andate
cedendo . Antolog. rom. tom. vi. pag. SSq. Il sig. Bianconi è staso no-
mo di quel sublime criterio, che tutto il mondo sa: ma sembra mol-
to strano, che vedendo i Bolognesi quella torre minacciare roina, la
mezzo alla città ed iu luo^u abitatissimo» volessero aspettarne la cadu-
ta, piuttosto che deruolirla . [b] II cod. la^. semplicemente sparle lei
da ora, e il trasferito dalla biblioteca Rossi , e noo ancor numerato,
Ic^ge tale ora.
CANTO XXXI. 68i
Ma lievemente al fondo, che divora i4^
Lucifero con Giuda , ci posò;
Né si chinalo lì fece dimora ,
£ come albero in nave si levò.
non per talvolta od idle volte j come TaTTerbio talora soli-
tamente significa y ma per tal tempo ^ quel tempo . »-► Ma al
Lombardi qni si oppone il Biagioli, sostenendo che va scritto
talora^ e non talora in dne corpi, l'intero della formula es-
sendo: e ora tale fu in che (nella quale) io aurei voluto ire
per altra strada j per paura che non mi facesse qualche mal
Ìpuoco. Mase il Biagioli abbia torto o ragione 9 noi, coU'E. R.,
ascierem giudicarlo ai profondi conoscitori di Dante e della
lingua nostra. — La E. B. legge e fu talora ^ e spiega: e tal--
volta avvenne, ^-m Nel verso 1 08. cnella in contrario penda ,
legge la Nidobeatina , invece di che eTella incontro penda y
come l'altre edizioni leggono , s-^e il VaL 3 igg. - L*Ang. por-
ta : Sotto chinata quando nui^ol vada -^Sovressa si , che ella
incontro penda. E. R. — Riportata dal Torelli questa simili-
tudine I sotto vi nota : ce Allora pare che cada la toiTe • Noo
» però sempre, ma solo quando la mente concepisce il nuvolo
ai come fermo ; il che accade talvolta senza volerlo.» -Al verso
i38. il Vat. 3199 legge: Sour^essa sì, ched ella incontro
penda, 4-s
i^ià 143 lievemente ci posò ^ senza farci rilevare percossa.
<- che divora Lucifero con Giuda. Desume il termine divora
dairazione che fa Lucifero di divorarsi Giuda [al; quasi dica;
che conte Lucifero si divora Giuda , cosi esso fondo si divo'*
ra^ s* ingoia luno e r altro, m^ci sposò ^ al v. t43., le^ge il
Vat. 3199. Sporre per por giusoj deporre j scaricare, i usò
Dante (secondo la lezione della Crusca) anche al e. zix, v. i3o.
della presente cantica: Quivi soavemente spose il carco. *-m
1 45 E vale ma . Vedine altri esempj presso il Cinonio [&].
»^ E Ma appunto legge qui TAng. E. R. 4-c come albero in
nave si levò: si rizzò con quella altezza e gravezza, che si
rizza albero in nave. Laudiito.
[«] Vedi fot e. zzziv. v, 5!«. e segg. [h\ Partic. 100. ift.
CANTO XXXII.
ARGOMENTO
Tratta il Poeta nostro in questo canto della prima,
ed ih parte della seconda delle quattro sfere ^ nelle
quali divide questo nono ed ultimo cerchio • E nella
prima y detta Caina^ contenente coloro che hanno
tradito i proprj parenti , trova Messer Alberto Cor
micion de* Pazzi, il quale gli dà contezza d'altri
pecciUori che nella medesima erano puniti. Nella
seconda j chiamata Antenora, in cui si puniscono
i traditori della patria , trova M. Bocca Abati ^ il
quale gli mostra alcuni altri .
s
io avessi le rime ed aspre e chiocce,
Come si converrebbe al tristo buco,
Sovra '1 qual pootan tutte laltre rocce.
1 chiocce i roche, ranche i d'oscuro snono; »-^o cheomen-
damente suonassero • E. F. — le rime aspre e chiocce colla
Kidob. legge il Lombardi; ma l'omissione della particella
ed dopo rimej rende il verso di cattivo snono. Noi pertanto,
dietro l'esempio dell' E. R., ed appoggiali all'autorità del cod
Vat. 3 199 e delle piii pregiate edizioni y abbiamo nel nostro
testo restituita la comune lezione. 4^
2 tristo buco appella il pozzo , dentro del quale era appena
entrato.
3 Sovra ^l qual pontan (s'appoggiano, si sostengono) tutte
r altre rocce ^ tutte le altre ripe degl'infernali cerchj. Come
ogni ripa inferiore sosteneva quelle sopra di se , servendo loro
come di barbacane; cosi il murOi o ripa che dir si voglia , del
CANTO XXXII. 683
lo premerei di mio concetto il saco 4
Più pienamente; ma perch'io non labbo,
Non senza tema a dicer mi conduco :
Che non è 'mpresa da pigliare a gabbo 7
Descriver fondo a tutto Tuni verso ,
Né da lingua che chiami mamma e babbo .
Ma quelle Donne aiutin il mio verso ^
presente pozzo, essendo a tntte l'altre ripe inferiore , serviva a
tulle loro di appoggio. Della voce roccia vedi Inf. canto vii.
verso 6.
4 Premere il suco del concetto significa lo stesso che esprit-
mere il concetto • m^delmio concetto y ha il cod. Poggiali. 4-«
5 abbo per ho adopralo Dante anche fuor di rima, Inf. zv.
V* 86., e lo hanno anticamente adoprato altri ancora. Vedi ciò
ch'è notato al sopraccennato luogo.
6 dicer per dire adoprato anticanente anche da altri buoni
scrittori [aj.
n i da pigliare a gabbo ^ da prendersi per giuoco, per
iscnerzo. — • Descriver fondo , omette 1* articolo il per cagion
del metro. Per universo può intendersi o tutto il globo terre-
stre, come l'intese, tra gli altri, il Boccaccio pure ove disse :
rattissima fama del miracoloso sinno di Salamene discor^
sa per Vuniverso [&] ; ovvero anele tutta la macchina mon-
diale ; perocché essendo, come Daite asserisce, la terra cen^
tro del cielo [e], viene il fondo y issia centro, della terra ad
essere il fondo dell'universo. La difficolta poi di descrìvere
questo fondo onde nasca, abbastanza ne lo accenna Dante col
bramare per cotal uopo rime del solito piii aspre, corrispon-
denti cioè a quella, che intende esser ivi, maggiore orrìdiezza
del luogo, de' personaggi e delle pene.
9 mamma e babbo , legge la Nidobeatina, meglio che nuim-
ma o babbo che leggono Pflltr'edizioni ; imperoccnè il bambolo
appella e mamma la madre* e babbo il padre, m-^ Questa le-
zione è approvata e seguita anche dal Biagioli.^-s
I o Ala quelle Donne , le Muse .
[a] Vefli Mastrofioì, Teoria e Prospetto de verbi italiani^ sotto il verbo
Dire, o. I. [b\ Giorn. g. Nov. 9. [e] Vedi il Convito, tratt 3. cap. 5.
684 INFERNO
Gh'aiutaro Anfione a chiuder Tebe ,
Sì che dal fatto il dir non sia diverso •
Oh sovra tutte mal creata plebe , 1 3
Che stai nel loco , onde parlare è duro ,
Me' foste state qui pecore ^ o zebe!
Come noi fummo giù nel pozzo scuro, . 16
1 1 CV aiutare Anfione a chiuder Tebe^ a fonniir le mura
di Tebe . La fàvola é che Anfioae col dolce sqodo di sua ce-
tra facesse discendere le pietre dal monte Citerone, e formar
con ense le mnra di detta città ; e suppone Dante molto conv^
nientemente assistilo in ciò ed aiutato Anfione dalle Muse.
la deU fatto il dir ec.f dalla verità delle cose non sia di*
versa la descrizione.
1 3 Oh sovra tutte ec. Apostrofe alle sciagurate anime che
stanno colaggiii; e vale come se invece avesse detto: o plebe ^
o ciurma d'anime, n%al creata j sciagurata , sovra tutte ^ in-
' tendi Valtre ciurme ripartite negli altri infernali cerchj.
i4 onde vale di cui; ael qual senso adopralo ancbe il Pe-
trarca in quel verso.* Di quei sospiri y ondUo nudriva il ca^
re [a]. m^oi^Cf ha l'Ang. E. R.4hi duroj malagevole .
1 5 ifslf accorciamento li meglio^ molto anche da altri baoni
scrittori usato. Vedi il Vccab. della Crusca. Apocope è cotale
accorciamento da* grammatici appellato, ^^mei però legge il
cod. Ang. E. R.4-C Me* foste state, ellissi insieme e sìntesi : el-
lissi perocché dicesi me' foste state invece di me*sarebbe che
foste state ; sintesi, pel numero plorale invece del singolare «
che richicderebbesi la mal creata plebe. — quiy intendi nel
moudo nostro. — zebe per capre ^ vocabolo adoprato da altri
buoni scrittori . Vedi il Vocab. della Cr — * Il Postili. Cass.
alla voce zebe chiosa : idest capra , sic dieta a zebello , zebel*
laSf quod idem est quam salto , saltai. Quest'erudizione ci
riesce affatto nuova, non trovando in alcun Classico questo ver-
bo zebellarcy e neppure nel Glois.M.Ae. di Du-Cange. E. R.
Pare quest'augurio allusivo al detto di Gesii Cristo del tradi-
tore discepolo : bonum erat ei si natus non fuisset [& j .
16 Come y aie mentre. »-^Ecco giunto il Poeta ueirultimo dei
[a] Son. I. [b] Malth. a6. e. a4*
CANTO XXXIl. 685
Sotto i pie del Gigante, assai più bassi,
Ed io mirava ancora all'alto muro,
Dicere udimmi: guarda con9e passi; iq
Fa'si che tu non calchi con le piante
Le teste de' fratei miseri lassi ,
Cf'rchj infernali y in quello ove il maggior d'ogni peccato > cioA
il tradimento, si punisce. Questua si è la condiaione del luogo.
Figurisi il fondo di un pozzo y il cui diametro sia due miglia,
e il giro d* intomo sei e due settimi, nel cui centro aprasi un
vano pur circolare, verso il quale il fondo che lo circonda si
vada a più a più abbassando. Quattro spezie di tradimenti vi
si puniscono. E però è diviso il fondo in quattro spartimenti
concentrici , i quali non essendo dal Poeta per alcuna distin*
zione notati , ma solo pel diverso modo che vi stanno i pecca-
tori, saranno accennati a suo luogo. Ha imposto a queste di-
visioni quattro diversi nomi, analoghi alle quattro spezie di
ti-adimenti, e la più grave di mano in mano. Adunque chia-
ma la prima Caina^ da Caino traditore ed uccisore del (hi-
tello; la seconda uintenora^ da Antenore Troiano, traditore
della patria: la teraa 7b/ommea , da Tolommeo, re d'Egitto , tra-
ditore di Pompeo Magno; la quarta Giudecca^ da Giuda, tra-
ditore del suo divino Maestro. Biaoioi.i.«-«
17 Sotto i pie ee»y in suolo assai jhù basso di quello, su
del quale teneva il gigante i piedi.
1 8 alto muro , d' onde erano stati da Anteo deposti . m^guar-*
daua^ '•^ggc il VaU 3199. 4-«
19 Dicere per dìrcj come nel verao 6. wh¥ udimmo yhtkonti
lezione dell'Ang. E. R. 4-« guarda . Dirigendo costui il parlare
a Dantesolamente, e non insieme a Virgilio , mostrasi accorto,
che solo esso aveva cocpo , e che col peso ed urto poteva loro
nuocere.»-^ Ma il Biagioli pretende che l'ombra cosi parK a
Dante per essersi accorta del mirare dì esso all' alto muro, per
cui, movendo inconsideratamente il primo passo, potè va il Poeta
calcar quelle teste . —• In questo primo spartimento si punisco-
no, come si è detto, i ti*aditori d(*^propr| parenti. «-«
'À I de* fratei . Fratelli potè costui nominar sé e tutti quei
dannati rispetto a Dan te, per essei-e individui delTuman genere ;
ovvero essendo costui che parla imo dei fratelli Alberti, che
688 INFERNO
E come a gracidar sì sta la raaa 3 1
Col muso fuor dell' acqua , quaado sogna
Di spigolar sovente la villana,
Livide, infìa là dove appar vergogna, 3|
Erau l'ombre dolenti nella ghiaccia ;
nella riva, si sarebbe inteso questo suono cricchi z è da notaio
si , che se si spezza il ghiaccio ch'è dentro un vase y gli orli
subito si distaccano dalle pareti,
3 1 al 33 «-^Per (pesta perifrasi circoscrìve in nuova forma
il tempo dalla mietitura nella state > e ci ammaestra ad un lem*
pò essere i sogni sovente un'apparizione delle idee raccolte e
collegate nella vigilia . Biagioli. <-m quando sogna ^Di spigo^
lar ec. Costruzione : Quando sovente la villana sogna, di spi-
golare y di raccoglieìre spighe dopo la mietitura ri mas te iiel
campo . Sognando noi spesso nella notte ciò che nel giorno fac«
ciamoy pone Dante giudiziosamente per tale silpposiaione il
tempo in cui la villana sogna di spigolare pel tempo stesso
dello spigolare, ossia della mietitura del grano, tempo appunto
in cui molto gracidano le rane.
34 35 Livide y infin ec. Costruzione: Eran Pomòre dolenti
nella ghiaccia livide y dal freddo , fin là dove appar vergo-
gna y cioè fino alla faccia dee intendersi ; e perchè realmente
nella faccia la vergogna pel rossore apparisce , e perchè co^i
richiede il recato paragone , come a gracidar si sta la rana
- Col muso fuor dell* acqua. »-^Il Volpi spiega invece : livide
fino alle parti vergognose; interpretazione che, per quanto ci
è noto, non è stata ammessa dagli Espositori al Volpi poste-
riori, non escluso il Biagioli. Orala troviamo revocata in luce
dal eh, sig. Paolo Costa in una sua nota aggiunta nelle Appen-
dici airinf. della moderna edizione di Bologna. Esposta 1 opi-
nione del Venturi e del Lombardi, soggiunge: «Se il Poeu
>» avesse volato significare questo concetto, avrebbe detto dove
» appar y e non sin là dove appari con queste parole dà a di-
ai vedere, che la lividura si distendeva da una parte del corpo
» di que' dolenti spiriti fino ad un altra; e che, sebbeoe sola-
» mente le teste loro si mostrassero fuori della ghiaccia, pun^
M alcune altre delle membra non erano invisibui, perciocihr
i> il lago, secondo che è detto al v. 24*» aveva sembianza di
» vetro. E la medesima cosa si con&rma nel cauto xzzkv. ì\ 1 t
CANTO XXXIl. '689
Mettendo i denti in nota di cicogna .
Ognuna in giù tenea volta la faccia: 37
Da bocca il freddo, e dagli occhi '1 cuor tristo
Tra lor testimonianza si procaccia .
» Etrasparean come festuca in uetro . Siccome poi il velo so-
M prapposto a qaegli spiriti era grosso ( vedi il y, 25. ) e Toc-
v> cfaio di chi mirava là entro non poteva penetrare molto avan-
» ti| cosi la lividm*a delle membra immerse si vedoa Gno là
» dove appar vergogna. Aggiungasi che sin là dove a/jpar i^e/*-
19 gogna non può significare la faccia, che quelle ombre te-
M nevano in giìi volta, e che perciò non poteva esser veduta
M da Dante : vedi ì\y. i o i . , nel quale Bocca dice al Poeta : Né
a» ii dirò eh* io sia^ nò nwstrerolti; cioè, non alzerò la fac-
» eia, acciò tu conosca chi io mi sia. » <4hì
.36 Mettendo i denti in nota di cicogna vale impiegando
i denti nel far la musica della cicogna y nel far cioè quel suo-
no che la cicogna fa battendo fortemente una parte del becco
coir altra; onde Ovidio [a]:
Ipsa sibi pltuidat crepitante ciconia rostro >
»-► E Boccaccio nella Novella di Rinaldo d'Asti: stando la don^
na nel bagno senti il pianto e il tremito che Rinaldo faceva ,
il quale pareva diventato una cicogna. Biagioli. <-« Esson-
do questi dannati i traditori, quelli ne* quali, dice Dante,
queir amor s* ooblia
Che fa natura f e quel eh* è poi aggiunto ^
Di che la fede speziai si cria [by,
bene perciò, in pena di cotal durezza di cuore e mancanza di .
ogni caldezza di amore, raffreddali qui ed indurali nel ghiaccio.
•^7 '^ S^^ volta la faccia y per non esser conosciuta; onde
Rocca degli Abati al Poeta , che cercava del suo nome per ren-
derlo famoso I rispose : del contrario ho io brama , verso 94-
S<li*guavano cioè quelle ombre d' esser trovate nel luogo dei
traditori, dandosi a credere ogni traditore di non compara* tale
agli occhi degli uomini .
38 39 Da oocca ec. Costruzione: Si procaccia f ottiene ^
tra lor testimonianza , il freddo da ( per dalla [e] ) bocca , e
si cuor tristo dagli occhi; cioè a dire : manifestasi il loro fi*eddo
{tt] 3/elam. vi 97. [b] luf. zi. Ci. e srgg. [è] Vedi Ciò. Partic, 70. 6.
f'oL L 44
\
\
Ggo- INFERNO
Qiiand'io ebbi d'iotorno alquanto visto, 4^
Volsimi appiedi, e vidi due sì streui,
Che 1 pel del capo avieu insieme misio.
Ditemi voi, che sì stringete i petti, 43
Diss'io, chi siete; e quei piegaro i colli;
E poi ch'ebber li visi a me eretti,
Gli occhi lor, ch'eran pria pur dentro molli , 46
Gocciar su per le labbra, e 1 gielo strinse
Le lagrime tra essi, e riserrolli:
dal detto sbattimento dei denti, e la tristezza loro dal gonfia-
mento « e vicino pianto degli occhi; di cni vedi appresso.
4'^ pel del capo , i capegli . - ai'ten insieme misto , stando,
si dee intendere, la faccia dell' nno ristretta alla &ccìa dell'al-
tro , come nel seguente versò si diranno ristretti i petti. •-♦Gli
pone il Poeta insieme, cioè gli costringe la Giostizia divina ad
esser uniti nell'odio, siccome esser dovevano nell'amore, per
far doppio il tormento loro, ricordandogli lo star cosi il santis-
simo vincolo dei due amorì di natura e del sangue dal tradi-
mento loro spezzato, avendo l'uno ucciso l'altro. Biagiou. ♦-«
alleano in luogo di M^ien leggono l'edizioni diverse dalla >i-
dobeatina, •-♦e la 3. romana e l'Ang. E. R. ; — ma il Vat. 3 igo
legete iwè/io.'*-*
^/^ piegaro i colli j la Nidobeatina; ^le^or li eolliy Tahre
ediz. »-» e il Vat. 3 1 99; <«-« e vuol dii^ , che le facoe , che tene-
vano strette una contro dell'altra , distaccarono , e jnegandoìl
collo voltaronle entrambi verso Dante.
46 pur dentro molli , umidi solo intcrìormcnte , gravidi «li
lagrìme solamente , e non bagnati esteriormente .
47 4^ Gocciar su per le labbra j intendi le labbra dri;Ìi
stessi occhi , cioè delle palpebre ; e però siegue : e ^l gielo strin^
se ''Le lagrime tra essi( cioè tra essi occhi , dei quali le pal-
pebre sono parti), e riserrolli- »->Cosi spiega anche il Poggiali,
avvertendo di guardai-si bene dal pi-euderc qui labbra per làbbia
della bocca , che sarebbe un* espressione smentita datuitoil con-
testo. - Ma Biagioli spiega igoccianti su per le labbra , e m*^
stra cosi d'intendere di quelle della bocca , e non altrimenti •
— giii per le labbra , buona lezione dell'Ang. E. R. «-«
CANTO XXXII. 6c)i
. Con legno legno spranga mai non cinse 4^
Forte cosi: ond'ei, come duo becchi,
Cozzaro insieme, tant'ira gli vinse.
Ed un, cb'avea perduti ambo gli orecchi 5i
Per la freddura, pur col viso in giùe
Disse: perchè cotanto in noi ti specchi?
Se vuoi saper chi son cotesti due, 55
La valle, onde Bisenzio sì dichina,
Del padre loro Alberto e di lor fue.
D'un corpo uscirò: e tutta la Caina 58
49 spranga , defluisce il Vocab. della Crusca , recandone
in esempio questo passo di Dante y legno j o ferro > che si con"
ficca attraverso « per tenere insieme e unite le commessure,
^lon soleudosi p(*rò con ispranghe cotali cingere i commessi
corpi y pan*ebbemi meglio che spranga qui per fascia di ferro
s' intendesse .
5a 53 Ed un (Camtcion de* Pazzi manifestasi costui da sé
medesimo nel i/. ()H. ), eh* av^ea perduti ambo gli orecchi '^Pt*r
la freddura y cui il gielo aveva diseccate e disli*utte le cani*
lagìni delle oivcchie .
atì La valle y onde Bisenzio si dichina; Faltrrona, \alle
di Toscana, per la quale si dichina y scorre in giù verso Ar-
ijOf il Gume Bisenzio.
57 j4lLertOy degli Alberti, nobile fiorentino.
oK n*un corpo uscirò. Dicendo nel precedente \evso del lor
padre y gli accenna figli di uno stesso padre; ed aggiungendo
ora d^un corpo uscirò , gli accenna anche figli d' una medesi-
ma madre : ed appartiene ciò ad aggravane maggiormente il de-
litto loro. Appellavansi questi due fralelli Alessandro e Napo-
l(H>ae degli Alberti. Dopo la morte del padi*e tiiaimeggiavano i
fiaesi circonvicini; e finalmente venuti in discordia tra di loro,
' uno uccise Taltro .^Caina . Divide Dante la turba de'traditori
dentro di questo fondo in quattro classi , senza però verun ar-
dine di mezzo, ma solo colla maggioix* o minor distanza dal
cenU*o e modo vario , col quale stanno ì traditori fitti nel gliìuc-
(*io; e la presente classe, ch*è la più rimota dal centro, come
ijiiolla in cui pone i traditori de'proprj parenti, vuole denomi-
69^ INFERNO
Potrai cercare, e non troverai ombra
Degna più d'esser fìtta in gelatina;
NoQ quelli j a cui fu rotto il petto e lombra 6i
Con esso uq colpo per la man d'Artà ;
naia Caina dal firatrìcida Caino. Delle tre altre elassi appel-
late Anteìwra^ Tolommea e Giudecca vedrai in questo can*
lo, i'. 88., nel seguente canto, •/. I24-» ^ ^^^ xxxit. %^. i ij*.
60 gelatina f biXHlo viscoso e rappreso per uso di vivande;
qui però scherzosamente si trasferisce a significare il gelato Co-
cito . »-^Ma gli Editori della E. B. sono d*avviso che Dante non
abbia presa questa parola dalla^cncina, poiché qui la materia
non è da schei-zo, e spiegano : in gelatina y cioè neiracqna coo-
deasata dal freddo. — Il eh. cav. Monti ritiene che il gelato
lago di Cocito sia qui detto per beffe gelatina^ e non già dal
Poeta, a cui simile scherzo in luogo si doloroso e terribile sa-
rebbe stato disconvenevole, ma si bene dal traditore Carni-
eìone de' Pazzi [a].-*-*
61 62 Non quelli ec. Intende del perfido Mordrec, figlio
d Artù, Re della Gran Bretagna , il quale ribellatosi dal padie,
e postosi iu agguato per ucciderlo , fu dal padre pix; venuto o^u
un colpo di lancia in mezzo al petto tale ( dice la storia ) , che
dietro V apertura della lancia passò per mezzo la piaga un
raggio di sole sì manifestamente, che Gir/let /oi'/rfe[AJ.N\»u
v'ha adunque dubbio che questo passaggio del solare ra^io p^'l
forato petto di Mordrec non sia ciò cue il Poeta intende p*l
rompimento deirom&ra, del l'ombra cioè che il medesimo petto
faceva sul suolo, rotta pel solare raggio passata perla feriu :
ed è questa una delle piii concise e torti espressioni del nostn)
Poeta. Istessa mente dice nel Purgatorio rotto il Sole, cioè il
lume di esso, dall'ombra del proprio corpo [e]. E troppo so-
verchiamente mostrasi scrupoloso il Venturi a dubitare di tale
senso , ed a lasciarsi piacere di piii , che per Vomirà s' intenda
l'anima. »-^Ma del parere del Venturi si mostra anche il Bia-
gioii, asserendo che T interpretazione del Lombardi, oltre ki
essere favolosa, è ridicola; ed al contrario quella del Venturi
[a] Prop. voi. a. P. 1. fac. 173. [b] Vedi il libro intitolato: L'illustre e
Jamosa istoria diLanciUoilo delLa^o, lib. 3. cap. i6v. [e] Purg. e i;:.
V. 1 6. e segj».
CANTO XXXII. 693
Non Focaccia ; non questi che m'ingombra
Gol capo si, eh* io non veggio olire più j 04
£ fu nomato Sassol Mascheroni :
Se Tosco se\ ben sagomai chi fu.
Terae forte a dimostrare e la possa del braccio feritore , e quanto
fosse terribile il colpo, che non dette tempo di respirare al fe-
rito. - Al Venturi s accosta pur anche il eh. sig. Ab. Portii*elli;
ma del parere del Lombardi troviamo TAntico e Pietro di Dan-
te, citati neirE. F., e gli Editori della E. B. ; e dovendo noi
dire ciò che sentiamo in proposito , diremmo che lautorità del
surriferito passo delV Istoria di Lancillotto ilei Lago rende
chiarissima l'allusione del Poeta , e decide in favore del Lom-
bardi. •«-« 0071 esso un colpo : esso sta per ripieno ad accrescere
forza e grazia al parlare. Vedi il Vocab. della Crusca.
63 al o5jFocacc/a Cancellieri, nobile pistoiese, il quale moz-
zò una mano ad un suo cugino , ed uccise un suo zio ; d'onde
nacquero in Pistoia le fazioni de' Bianchi e Neri. Vedi il Vii*
laui (Giovanni) nel lib. 8. cap* Sj. 38. VaiiTuai. »^ Pietro di
Dante dice che Focaccia uccise invece suo padre. E. Y.^^^non
questi che ni ingombra -^Col capo si , mi sta col capo innanzi
a^li occhi talmente , chUo non i'cggio (cosi la Nidobcatiua ;
vii* i^ non i^eggiy l'altr'edizioni) olire più. m^con questi^ ha
TAng. E. R.4-C Con aggiungere che pel costui capo non vegga
pici ulti*e y ne fa capire che i prenominati soggetti vedesse! i in
i «bieco, guardando a destra ed a sinistra; e che, per dritto mi-
l'andò y altro non vedesse che quel capo . '^Sassol Mascheroni j
Fiorentino, uccisore d'un suo zio. Volpi. »-^Ma l'Antico citato
nella E. F. a questo luogo chiosa: «Questi (Sassol Alaschr^
M roni) essendo tutore dì un suo nipote, pei* rimanerne erede
» l'uccise; onde a lui fu tagliata la tcsla in Fii*enze . » •«-•
6ù ben sagomai chi fu , la Nidobeatina , meglio che ben sai
nmm chi e*fuy che l'altr* edizioni leggono. Sa* pt^r sai si u^^a
benissimo , dice e prova cogli esempj l'autore del Prospetto
de\erbi toscani[a\^ ed il MaslroGui ne'snoi xfcrhi italiani[b\;
rna alla 6n fine non è che una bella sincope spesse volte neces-
saria alla bellezza del verso, come qui che serve a togliere la
cacofonia del sai ornai. E vuol diie che bastava essere Toscano
[a] Sotto il verbo Smpere^ o. 6. [b] Verbo Sapere , n, 4»
C()4 INFERNO
E j>erchè non mi melti in più sermoni , 67
Sa]>pi ch'io sono il Camicion de' Pazzi,
Ed aspetto Carliu che mi scagioni.
Poscia vid'io mille visi cagnazzi 7*1
Fatii per freddo; onde mi vieu riprezzo,
E verrà sempre, de' gelali guazzi.
E mentre ch'andavamo in ver lo mezzo, -i
per sapere olii fosse Sassol Mascheroni. »-> hen sai y ]e«;g «no
1 c(k}J. Ang. E. R., e il Vat. 3i99.<<hi
67 68 h perchè non mi metti ec.^ quasi dica : tu poi vor-
rai sapere aucbe di me , ed è giusto ; acciocché però a tale ri-
cerca non ne inserisca tu delle altre, e prolunghi a me il p'-
noso parlare y io prevengo la tua dimanda. -«Sop^icAVoxono,
la Nidob.; cft V fid, l'altre ediz., »-^e coi codd. Ang. e Val. ^ 1 9*4
in 3. romana. Wh¥ Camicion de'' Pazzi j messer Alberto Caini-
cione de'Pazzi di Valdarno, il quale a tradimento uccise mes-
ser Ubertino suo parente. Lardiko.
69 Carlin . Messer Carlino pur deTazzi , il quale , essen<^l
di pain^c Bianca, diede per tradimento a' Neri norentiui il ca-
stello di Piano di Trevigue, avendone ricevuta grossa somma
di moneta . Vellvtello. -cAe mi scagioni , Scagionare signi-
iica scasare^ scolpare. Vuole adunque Camiciciue dire cL^
saranno i delitti di Carlino tanto maggiori dei proprj , che \ena
egli in paragone di lui a sembrare innocente. •-» Udito qncstn.
il Poeta s'avvia verso il centro, e trovasi già nella seconda dì%i-
sionc detta ^;i/e/iora, ove si puniscono i tj^adìtori della patria-^-t
7071 cagnazzi -^Falti per freddo . Il Vocab. della Crusca
intei*pretando prima cagnazzo per li%^idoy ed adducendone in
Ì>rova questo luogo di Dante, passa a dirlo anche spezie di co-
ore perquellechiarissime parole di Franco Sacchetti (Nov.pa. ;
puo^tu eelestrino? no; vnogli verde? no^ ec.,* iito^/i cagnAi-
zo? no. Pare a me però che possano benissimo ambi questi au-
tori convenire, e intendere per cagnazzo un colore paooazz*
o morello; il colore che produce nella cute nostra ilgielo.-ri-
prezzo^ ribrezzo^ per orrore j spavento*
72 gelati guazzi^ il plni'ale pel singolare. Ouazzo ^a!i
quanto sfagno .
yi j4 f^^s^o y ^Al quale ogni grandezza ec* , il centro del!)
CANTO XXXH. 6y5
ÀI quale ogni gravezza si fauna,
Cd io tremava nell'eteroo rezzo;
Se voler fu y o destiau , o fortuna , 7 6
Non so; ina, passeggiando tra le teste,
Forte percossi 1 pie nel viso ad una .
Piangendo mi sgridò: perchè mi peste? 79
Se tu non vieni a crescer la vendetta
Di Mont'Aperti , perchè mi moleste?
terra , al quale o mediaUmente o immediatamente tutti i gi*avi
appoggiano .
y5 tremaìfaj di freddo, intendi.— yie//'elerno rezzo j neU
r ombra eterna , ovvero in quel fondo eternamente ai caldi so-
lari raggi nascosto.
76 77 5e i^ler fujO destinto o fortuna^ "Non jo. Quel se
poler fu spiega uno, a cui non voglio far qui il nome: se i^o*
ter fu mio ; come se Dante non potesse saper di certo se ave-
va avuta o no quella volontà, od' una cosasiifatta si fosse di-
menticato. Intendi: se speziale uoler di Dioj o disgrazia di
t/ueiio , o fortunoso accidente casuale . Cosi il Venturi si op-
|ione airaltrui , e ne propone il proprio parere • Sia pci*ò (juello ,
ch'egli non vuol nominare, qualunque si voglia; se cosi dicen-
do egli intese che potesse Dante riconoscere avvenuto quel suo
inciampo non solo per destino del Cielo, 0 per fortuito accideu*
te, ma anche per una non preveduta conseguenza del libero
camminare tra quelle teste ( che sai^ebbe sempre effetto di l'o-
Itfre ) , parrebbemi assai meglio , che di ascrivere il volere ?l Dio,
e il dettino alla disgrazia di quello, s-^ Il Poggiali prende
questo volere per quel I* inavvertenza che suole imputarsi di
colpevole volontà , quando è mancante d'ogni possibile e facile
diligenza. — Ma il Biagioli non ammette la chiosa d(*l Lom-
bardi, e spiega come il Venturi. -~ E cosi pure il Torelli. *-m
y€) peste j antitesi a cagion della rima, per pesti,
So 61 Se tu non vienile Era costui, come nel verso 106
far^illo il Poeta stesso nominare. Bocca degli Aoati Fioi*entino,
per tradimento del quale furono in Mout* Aperti , luogo di IV
5(*ana, tagliati a pezzi quattromila de* suoi stessi compartìlanti
Guelfi. »-» Di costui parla Gio. Villani , Stor, lib. vi. cap. ; 6.
e ae«{. <-■ Or dunque supponendosi in vendetta di Moni*j4perti
696 INFERNO
Ed io : Maestro mio, or qui m aspetta , 82
Si ch'io esca d*un dubbio per costui;
Poi mi farai , quantunque vorrai , fretta .
Lo Duca stette; ed io dissi a colui , 85
Che bestemmiava duramente ancora:
Qual se' tu, che così rampogni altrui?
Or tu chi se' , che vai per l' Antenora 86
Percuoiendo, rispose, altrui le gote,
( cioè in gastigo del tradimento da lui in Mont' Aperti operato )
confinato in quell'eterno gielo, teme che non sìa Dante pas-
sato cplaggiii ad accrescergli cotale i^endetta^ cotale gastigo.
— moleste per molesti y come disse peste -per pesti.
83 dubbio per V ìnU^o Mont^^perti cnirato in luì, che fos-
se Bocca degli Abati colui che così gli ebbe parlato.
84 »-► Poi mi farai ec. Per queste parole si \ede chiara-
mente quanto fosse il desidei'io di Dante di parlare a quel tra-
ditora, per coprirlo d'eterna infamia. Biagioi.i . «-« ^iian/ii^-
que lo stesso che quanto j »-» o quanta j accordandosi con fret-
ta . Cosi al canto v. (^. 1 2. di questa cantica disse quantunque
per quanti - ♦^
8b bestemmiav^a per isbottoneggiaya . s-^ duramente espri-
me con gran rabbia e fierezza. Poggiali. ♦-•
8^ rampogni^ aspramente riprendi.
88 Antenora intende appellata quella sua classe de' tradi-
tori delle proprie patrie da Antenore, il qiuile, secondo Ditii*
Cretense [a] e Darete Frigio [&], tradì Troia sua patria. •-» È
stata opinione anche dello stesso T. Livio [e], che Antenore «
mantenendo una segreta intelligenza co' Greci , fosse loro molto
favorevole nel corso della dccennal guerra ; e se non £icilito
loro r espugnazione , T incendio e la distruzione di Troia, che
almeno dal cauto suo non l'impedisse; conseguenza di che tu
la libertà di partire illesi, a lui e ad Enea altro lor parziale.
accoixiala ; laddove neppur uno degli altri primari Troiani cam-
pò dal ferro o fuoco de' Greci. PooaiALi. «-«
[a] De beilo Tr-oL ]ib. 5. [h] De excidio Trciae. [e] Stor. Rom. Uh.
\
CANTO XXXII. 697
Sì che 9 se fossi vivo, troppo fora?
Vivo soQ io, e caro esser ti puote, 91
Fu mia risposta, se dimandi fama,
Ch'io metta 1 nome tuo tra laltre note.
Ed egli a me : del contrario ho io brama :
Levati quinci , e non mi dar più lagna ;
Che mal sai lusingar per questa lama.
Allora il presi per la cuticagna , g^j
90 se fossi pwoy troppo fora. Suppone Bocca degli Abati
falsamente essere Dante l'ombra di un morto , e dal dolore che
sente grande dalla percossa de' di lui piedi, argomenta , che
troppo sarebbe grande j quando egli fosse %fivo , cioò le presenti
e dure membra nostre avesse . Fora per sarebbe , voce del ver-
so [a] ed anche della prosa in ottimi scrittori.
91 al 93 flW sono io ec. Sinchisi, e dee essere la costru-
sìone : Fu mia risposta ^ yii^o son io ^ese domandi fama » se
desideri d'essere lassii rinomato 9 caro esser ti puote^ Mio
metta tra r altre notey tra le altre memorie che quaggiù ho
raccolte, il tuo nomej che ti ho per ciò richiesto.
94 m^del contraro aggio brama y l'Ang. E. K. ^-m
95 lagna j afflizione , molestia.
96 Che per questa lama. Per vai quanto in \b]; e lanuiy
come è detto Int. xx. 79.9 significa ^oj^iira, cavità.^ mal sai
lusingar j esibendoti a recare di noi nel mondo fama, mentile in
questo fondo de' traditori bramasi anzi il contrario .
97 jiUora il presi y la Nidobeatina; allor lopresiy Taltre
ediz., »-^e col Vat. 3 199 la 3. romana, ^-m cuticagna per 1 co-
pelli della cuticagna y cioè della parte concava dei*etana del
capo, tra il collo e la nuca , luogo dove la stiratura de* capelli
reca maggior dolore ; né vi è perciò bisogno che intenda il
Poeta per cuticagna piuttosto la suprema parte del capo , co-
me sembra al Venturi. m-¥ Volendo il Poeta accertarsi s'egli era
veramente chi sospettava, né potendo con lusinghe ottenerlo da
quel malvagio traditore, giusto é che a sua confusione laggiù ,
e ad infamarlo di qua , lo costringa a manifestarsi . Bi aoioIiI . 4-«
fa] Vedi Masfrofini» Teoria 0 Prospetto de* verbi italiani, ^\to A ver-
bo Essere, n.iS. [b] Vedi Cìuon.Partic. 19S. 1.
698 INFERNO
E dissi: e' con verrà che la ti nomi,
O die capei qui su non ti ri magna ;
Oiid'egii a me: perchè tu mi dischiomi, 100
Né ti dirò eh' io sia , né mostrerolti ^
Se mille fiate in sul capo mi tomi .
lo avea già i capelli in mano avvolti , 1 o3
E tratti glien avea più d'una ciocca,
Latrando lui con gli occhi in giù raccolti ;
Quando un altro gridò : che hai tu , Bocca ? 1 u : >
g8 e* converrà ec.\ e* per egliy riempitivo.
99 O che capei ec. , o che ri manghi senza un capello in te-
sta . ^^ rimagna j metatesi , per rimanga.
ICQ perchè tu mi dischiomi j per cagione di strapparmi ta
i cappelli.
101 né mostrerolti j né te lo farò conoscere 9 intende, con
alzare il visoj che teneva vólto in giù. »-» In luogo della par-
ticella Né il Biagioli ha posto il Non in principio di onesto
vei*so, persuaso che Dante abbia scritto cosi, e che il Aè sia
un guasto de' copisti. Dal canto nostro non sappiam conoaoene
la necessità di questo cambiamento. <-«
I oa Se mille /tate in sul capo mi tomi letteralmente vuul
dire : sebbene mille volte mi caschi a pie' levati sul capo [a] .
*- ^11 Vocab. della Cr. spiega questo passo: sebbene mille volte
ritorni a pormi le mani sul capo ; ma questa è una spiegi-
feione a senso 9 senza darci il significato di tomi. Sembra pero
piii naturale che il Poeta abbia qui usato il verbo tornare nel
senso spagnuolo e provenzale , che vuol dire prendere, El. R.
m-^ Se mille fiate sul capo ec. , sopprimendo la in , legge il cod.
Vat. 3 199. ^-m
1 o4 ai 1 06 ciocca , mucchietto. — Latrando , gridando eoa
canina voce . - lui per egli , contrariamente alla Ferola del G*
nonio [b]. m-¥ Per questo Latrando lui viene il Poeta nostro
ripreso dal Bembo, ma il Biagioli crede di averlodifeso coll'as-
serire che il diretto parlare sia questo: mentre io udiiHi. liti
[à] Dì se per sebbene, quantunque ec, vedi il Cinon. Par tic, 91 3. 9.
[b] Partì e. 160.6.
\
CANTO XXXU. 699
Nou ti basta sonar con le mascelle ,
Se tu Don latri ? qual diavol ti tocca ?
Ornai, diss'io, non vo'che tu favelle, 109
Malvagio tradì tor; ch'alia tua onta
Io porterò di te vere novelle .
Va' via y rispose, e ciò che tu vuoi conta ; 111
Ma non tacer , se tu di qua entr' eschi ,
Di quel eh* ebbe or cosi la lingua pronta ;
latrando ; della quale sentenza farci giudici doq vogliamo •
- Ben più ci persuade il parere del sig. Poggiali , che sia cioè
latrando lui un ablativo assoluto y e che non possano profit-
tare per conseguenza dì questo passo coloro che sostengono prn
tersi usare il lui in caso retto. <-■ con gli occhi in giù raccoU
lij per rifuggiti f nascosti ^ come vi teneva anche il volto {^er
non si lasciar conoscere. — Bocca ^ degli uibati: vedi v. 80.
107 sonar con le mascelle^ quel che nel i^. !ì(). disse /ixfr-
ter i denti in nota di cicogna , cioè sbattere pel freddo i denti.
m^ Ingegnoso si è Tartificio di far discoprire questo ti*aditore
in questo modo, perchè non l'avrebbe potuto altrimenti , sen-
za impegnarsi in una lotta ontosa. Buoiou.^-*
1 09 faifellej antitesi , per fondelli.
I I o alla tua onta , la Nidobeatina ; alla tu onta , TaUrV^di-
zioni »-^e il Vat. Sigp,^-* al tuo marcio dispetto.
1 1 1 porterò y intendi , su nel mondo .
I la m-¥ciò che tu vuoiy conta. Quando il malvagio tradi-
tore è scopeito, s'indura al pubblico biasimo, e non adonta
pili. BlAGI0LI.4-«
1 1 3 Ma non tacer , ec. Volgesi Bocca così a quel solatium
miseris sodos habere poenaium. m^ Ma il Biagioli dice che
Bocca discuopre prima chi Tha fatto riconoscere, per rabbiosa
vendetta, e gli altri poi, perciocché sa che Tintensità d*un
reato sminuisce in ragione del maggior numero de*rei di quel-
lo. ^^ eschi è qui sinonimo di escaj due diverse inflessioni le-
cite del pari nella nostra lingua, come tu tegghi u Icgga^ tu
ponghi o ponga ec. Poggiali. «-«
I i4 Di quel cVebbe or^ la Nidobeatina; Di (/He'ch'ebb'or^
r««lti-c edizioni, »-»e il Vat. 8199. <-«
700 INFERNO
£i piange qui largeato de'FraDcesclii: 1 15
lo vidi, potrai dir, quel da Duera
L^ dove i peccatori stanno freschi .
Se fossi dimandato, altri chi v^era, 1 18
Tu hai dallato quel di Beccaria ,
Di cui segò Fiorenza la gorgiera .
1 15 r argento de* Franceschi j il danaro ricevuto da*Fi-an-
eesì, per cui tradì la patria. Franceschi per Francesi ado-
pi-ato da buoni scrittori anche in prosa vedilo nel Vocabolai ì<j
della Crusca.
1 16 /o vidi j eCn Seguita Bocca degli Abati a favellar del
medesimo tradì loi*e cfa« ave vaio a Dante scoperto; e non con-
tento di averlo già accennato con dire il di lui delitto, vnol<*
espressamente nomarlo quel da Duera , cioè Buoso da Doei-a
Cremonese, il quale, per danaro oifertogli dal generale fran-
cese conte Guido di Monforle, non contrastò al francese eser-
cito il passaggio in Puglia. »-» Buoso da Duera era stato posto
dai Ghibellini di Lombardia e dallo sventurato Manfi*edi, al-
lora Redi Napoli, nel distretto di Parma con buone milizie,
ad oggetto di opporsi all'esercito di Carlo di Angiò . Di costui
vedi fra gli altri Ricordano Malaspiua [aj. ^-m
1 17 freschi per gelati y agghiacciati .
I iSm>^ Esser dimandato per essere interrogato è eleganu*
espressione toscana, famigliare tra gli antiéhi buoni scrittori,
^ specialmente al Boccaccio. Poggiali. •«-•
1 19 quel di Beccaria , legge la Nidobeatina con TAldiiì;!
ed altre edizioni , é Beccaria scrivono pure cotal cognome e;H
scrittori lombai*di [6] , e pronunziasi in Lombardia anche di
presente: né, se non male, hanno gli Accademici della Crn-
sca, per Fautori ta di pochi testi , voluto invece scritto Becche-
ria. *^ Questi fn di Pavia (rfi Parma il Landino), ed Abate
di Vallombrosa; al quale, per essersi scoperto certo trattato,
che fece contro a' Guelfi in favore de'Ghibellinì in Fiorenza,
ove era stato mandato Legato dal Papa , fu tagliata la testa .
Dahibllo. m^ Vedi Gio. Villani , Stor. lib. vi. e. 65. •<-«
19.0 la gorgiera dice pel collo, la parte pel tutto.
[a] Cion, cap. 178. [h] Vedi^ Ira gli altri, Corto Istor, miUuu P. ii.
CANTO XXXII. 701
Gicinnì del Soldanier credo che sia 1 ii
Più là con Gaaellone, e Tebaldello
Ch'aprì Faenza quando si dormia.
Noi eravam partiti già da elio, 11^
Ch'io vidi due ghiacciati in una buca
1 2 1 Gianni del Soldanier, Giovanni Soldanieri , secondo
fìiovanni Villani al decimoterzo del settimo libro, essendo in
Firenze di grande autorità , e di fazione Ghibellino y volendo
la parte sua torre il governo del popolo a' Guelfi, tradendo i
suoi, si accostò ad essi Guelfi, e fecesi di quel governo prin-
cipe. Vellittello. m^ Gianni dè^Soldanier^ ha il Vat. 3u)C).
— Gianni de* Soldanieri di Firenze , essendo podestà di FacMi-
za , con Taiutorìodi Tribaldello de*Zambrasi della detta Tei*-
ra, contro alla loro parte Ghibellina, alli Bolognesi di notte-
tempo diedero Faenza. — Cosi narra il fatto T Antico, citato
dalla E. F. -* Pietro di Dante dice semplicemente che costui
(radi la parte di M. Farinata degli Uberti. E. F. *-m
122 Piti làj piii verso il centro. — Ganellone appella il
traditore dell'esercito di Carlo Magno, che Giovanni Turpino
appella Ganalon [/xj, ed altri Gano. Del costui tradimento si
è fatta menzione nel canto precedente , «>. i6. — * Tebaldello^
Jrggc il cod. Cass. , ed il suo Postili, soggiunge: TcbaldellujS
//f* Cambraciis de Fa%»entia prodiit dictam eius ciuitafem
fi andò eam Bononiensibus una nocte. Gli altri Comentatorì
lo chiamano Tribaldello, e la Nidobeatina Thebaldello. Noi
abbiamo preferito la lezione Cassinese , quantunque il Lombar-
di , per seguire la lezione più comune, avesse abbandonato la
Nidob, e posto Tribaldello. E R. •-►L'Ang. legge Tobaldel-
ioyVé. R., e il Vat. 3 199. Tribaldello, come la comune, ^-m
\vt/^ da elio per da lui^ o da quello, cioè da quello che fino
allora aveva parlato, da Bocca degli Abati. »-> Ella^^li,
^lle ec. pare un^affcresi di quello, quelli, quelle ec. Si usano
<iiieste inflessioni, specialmente in po<;sia , anche oggidì [6J.4-«
126 Che por quando [r]; *-► è Biagioli la dice elemento
della formula allora che. <-«
[a] De vita Caroli J^, rap 31. [b] Vedi il Ci non. Pai/ ir. 101. i6*
£^J Vedi il CinuD. Panie. 44. 18.
707 INFERNO
Si y che Tun capo all'altro era cappello:
E come '1 pan per fame si maoduca, 117
Così '1 sovran li denti all'altro pose
Là 've '1 cervel s'aggiunge con la nuca .
Non altrimenti Tideo sì rose i 3o
Le tempie a Menalippo per disdegno ,
Che quei faceva '1 teschio e 1 altre cose.
O tu, che mostri, per si bestiai segno, 1 3{
Odio sovra colui che tu ti mangi,
1 26 era cappello vale quanto stanagli sopra y copriualo,
iij si manduca. Manducare per mangiare , detto Mnii-
cameate anche in prosa. Vedi il Vocabolario della Crosca.
1 28 7 sovran vale qui quanto il soprastante y lo stante di
sopra y sovrano cioè di luogo semplicemente, e non dì diluii-
tà. — pose per poneva j ficcava ^ enallage. m-^ Cosi fan jo-
vra r altro i denti pose^ ^^gg^ >' V*^ ^ ■99' *^
1 29 Là Ve , sinalefa , per là ove» — 'V cervello per la som-
mità del cranio ) sotto della quale ricopresi il cervello. •-» «/
giunge j legge il Vat. 3 199. <-■ la nuca j la parte deretana dt l
capo .
1 3 0 1 3 1 Tideo » figliuolo d* Eneo 9 Re di Calidonia , nell ' as-
sedio di Tebe , intrapreso per rimettervi Polinice, combatipif!''
con Menalippo Tebano , rimasero entrambi mortalmente ferii r
ma premorendo Menalippo, fecesi Tideo recare la dì lui ivsu .
e per gran disdegno si mise a roderla [aj .
i32 teschio f cranio [AJ. — e t altre cose ^ cotenna, eap*-^-
lì, cervella ec. wh¥ Che quel faceva j legge il codice Au^tl.-
co, E. R. ♦^
i33 »-^ Colpito il Poeta da si bestiai modo , onde Tuno di
quegli spiriti disfoga l'odio suo contro il sottoposto, e cuiì(>-
sissimo d'intendere la condizion loro, Tinvita con lusìnglH* ^
iarglisi palese; e tanto puote Podio e la sete di maggior >t>ft-
detta in quello spirito, che, scordatosi della propria iii(amÌA,
si fa a manifestare al Poeta la condizione sua, e quella di-ili
spirito che rode . Biagiou . «-•
[fi I Vedi Stazio nella Tebatde, lib. 8. uel fine. [h\ Vedi il Vocab.iK-il i < i
CANTO xxxir. 703
Dimmi ì perchè , dìss k) , per lai convegno
Che, se tu a ragion di lui ti piangi, i36
Sappiendo chi voi siete, e la* sua pecca,
Nel mondo suso ancor io te ne cangi ^
Se quella , con eh' io parlo , non si secca .
1 35 per tal condegno. Con in luogo di per hanno trovato
in un manoscritto gli Accademici della Cr. ; ma senza far mu-
tazione può la particella ^er significare lo stesso che la con [a] .
— com^egno ^ convenzione, patto. A simil senso scrìssero con^
vegna altri autori [&] , e convenium i Latino-barbari [e].
i36 m^dilui ii piangi y cioò ti duoli j in francese tepìai^
gnes. E. F. ^-m
l'iy pecca per mancamento [d]*
1 38 te ne cangi , te ne cambi , per te ne renda il cambio ,
favorisca io te pure 9 lodando te » ed infamando lui .
1 39 «Se quella y con eh* io parlo } la lingua, non si secca j non
si risolve in polvere, eh' è poi quanto a dire, se non muoio,
m^ Tanto basta air offeso spirito , che dispousi tosto al lagri-
me vole i*acconto, che spiegasi nel seguente canto, ove chi non
piange , fili robur et aes tripleX" Circa pectus . Bugioli. <<-■
[a] Vedi ilCinon. Partic. igS. 11. [61 Veiii il Vocab. della Cr. [ir] Du*
ÌVesiie Oioss. art. Convenium, [d] Vedi il Vocab. della Crusca.
CANTO XXXTII.
ARGOMENTO
In questo canto racconta il Poeta la crudel morte del
Conte Ugolino e de* figliuoli . Tratta poi della Ur-
ia sfera, detta Tolommea , nella quale si puniscono
coloro che hanno tradito chi di loro si fidava i e ira
questi trova Frate Alberigo .
Xja bocca sollevò dal fiero pasto i
Quel peccator, forbendola a' capelli
Del capo ch'egli avea diretro guasto.
Poi cominciò: tu vuoi cb'io rinnovelli 4
Disperato dolor che '1 cuor mi preme ,
Già pur pensando y pria ch'io ne favelli.
»-^Ecco r orribile e spaventosa scena, cotanto per i^ni
paese e per ogni lingua famosa; ecco il luogo, ove chi non e
d* ogni naturai senso spogliato sentirà stringersi il onore di pie-
tà tale che 9 se non fosse l'anima da si grande attrattivo del
pi*etto dire, del leggiadro stile, e dei bei colorì rettorìci al-
quanto distratta , non potrebbe si fatto raccapriccio sostenerp,
e rifuggirebbe indietro di compassione e di spavento. Biagio-
li . <-■
12*-^ La bocca si leuò ee. , il Vat. 3 199, forse error di co-
pista, che doveva scrivere o vìcoli* accento, o su. '^^m forben-
dola ec, per potere piii chiaramente e speditamente fiiTclIare.
4 al Sm^tu i^uoi ec. Sente quel di Virgilio: Infandum,
regina , iubes renoi^are dolorem . Bi agioli . ♦^ che '/ cuor mi
preme ^^ Già pur pensando^ che mi opprìme il cuore già ila
d'eira, solamente pensando air azione da costui fattami.
CANTO XXXIII. 705
Ma se le mie parole esser dea seme , 7
Che frutti infamia al traditor ch'io rodo,
Parlare e lagrimar vedrai insieme.
Io non so chi tu sie , uè per che modo 1 o
Venuto se' quaggiù, ma Fiorentino
Mi sembri veramente, quand'io t'odo.
Tu dei saper ch'io fui '1 Conte Ugolino, i3
£ questi l'Arcivescovo Ruggieri ;
7 8 den 9 è il denno troncato dell* ultima sillaba . - #e esser
den semcy -* Che fruiti infamia ec. vai qoaato, se debbono
influire ad infamare costui su nel mondo.
9 Parlare e lagrimar ì^drai. Propriamente il vedrai si ri-
ferisce a lagrimar f e per cataeresi riparlare. »-^ Con questa
evidente espressione viene a dire che molte parole di quello
sciaumto sarebbero nel racconto soffocate e mozze per Tango-
scia del pianto; onde non le avrebbe già udite ^ ma piuttosto
vedute f meglio argomentandole dall' atto della faccia e del lab-
bro» che dai rotto suono di esse. PuTiciai [a]. 4-«
I o chi tu se*f la Nidob. ; chi tu sie^ T altre ediz.: ma il chi
tu se" accorda meglio col venuto se* , che nel seguente verso
leggono poil'edizioni tutte d'accordo, m-^ Cosi il Lombardi ; ma
il Biagioli però sostiene doversi leggere chi tu sie ( sii o sia) in
congiuntivo 9 perchè cade l'ignoranza sui fattointero; ed all' op-
posto venuto ^ei nel verso che segue , perchèivi l' ignoranza cade
iu una sola circostanza del fatto positivo 9 che è quello d* essere ve-
l'amante venuto quaggiii. Queste ragioni, l'autorità del V at.3 1 99,
e r esempio dell' E. K. ci hanno persuasi a rimettere nel nosU'o
testo il sie della comune, e forse originale, lezione. «-«
i3 ì^ Tu dei saper ch'io fuiy la Midobeatina.* Tude'sa^
per ch^rfu*y ralti*e edizioni, »-^e il Vat. 3 u)c), che legge poi
Conte Ugolino j omettendo l'articolo ; il che rende il verso più
grave. 4-« '/ Conte Ugolino ^ de'Gherardeschi di Pisa. Dopo di
essersi costui, colFaiuto di Ruggieri degli Ubaldini, Arcivescovo
di Pisa , reso padrone di Pisa, spogliando , per tradimento, della
p«icli*onanza di quella il giudice Nino di Gallura de'Visconti ,
[a] Prop. voi. I. P. I. f«c. i5i.
/w. /. 45
/
706
INFERNO
Or ti dirò perch'i soq tal vicino.
Che , per V effetto de' suo* ma' })e»sierì , 1 6
Fidandomi di lui, io fossi preso
abbenchè fosse figlio di una propria figliuola; Tenne poi
dito dairAixi vescovo medesimo, il quale, facendo crederei
popolo che avesse Ugolino tradito Pisa , e rendale le loro ca-
stella ai Fiorentini e Lucchesi , fece si, che a furor di popolo
ne venisse il Conte con due figli e due nipoti rinchiuso e ulto
morir di fame in una torre [a] . m-^ E questi è Carciì^sca^oee.y
legge l'Ang. E. R. «-«
1 6 Or ti dirò ee. »-^ Non dice in seguito il perchè , ma &
intendere che egli lo strazia cosi per isfogo d'odio e di vendetta
del tradimento che gli fece. Bi agioli . *«-« i vale qui lo stesso
che gli a luij come nel preced. canto nii. u. yi^ Vedi ciò che
ivi si è detto. — tal uicino per tormentatore.
\iì ma' j apocope, per mali, mahagi. — pensieri per so-
spetti, che avesse cioè il Conte rendute, o disegnato dì rendere
ai Fiorentini e Lucchesi le castella , delle quali si erano i Pi*
sani impadroniti . Che non fosse cotale tradimento se non in so-
spetto, pare lo indichino i versi 85. e 86.:
Che se 7 Conte Ugolino aifeua uoce
D'auer tradita te delle castella .
•-►Il Biagiolì invece inclina a credere Ugolino innocente, e
tradito dal rArci vescovo per mero effetto dMnvidia e di gelo-
sia. Ma egli s'inganna; e s'ingannò fors' anche il Lombardi;
dubitando della reità del Conte. Imperocché è ben da credeir
che se Dante non l'avesse ritenuta per certissima, posto non
avrebbe Ugolino nell*^n/enora . È dunque nostro parere che
il Poeta condannasse il Conte e l'Arcivescovo al luogo dei tra-
ditori della patria , o perchè forse concorsero entrambi colFo-
pera a spogliar Nino di Gallura delia signoria di Pisa, e coinè
è detto sopra alla nota dei versi i3. e i4* ; o veramente vi posr
Ugolino per la resa effettuata , o premeditata almeno , delle eo-
stella; e l'Arcivescovo per aver denunziato al popolo Ugolino
( che di Ini si -fidava ) qual reo di un tradimento da lui me-
desimo fors' anche consigliato. Ciò posto, chiaro apparisce il
motivo dell'ira atroce e ìicrissima del Conte vcreo lo sleale che
della crudel morte di lui fu cagione. <-■
[a] Glo. VilLiQÌ lib. 7. cap. lao* e la^.
CANTO XXXIll. 707
E poscia morto, dir non è mestidri .
Però quel che non puoi avere inteso , 1 9
Cioè come la morte mia fu cruda ,
Udirai , e saprai se m' ha offeso .
Brieve pertugio dentro dalla muda , a a
La qual per me ha il titol della fame,
£ *n che conviene ancor ch'altri si chiuda ,
M'avea mostrato per lo suo forame !)5
Più lune già, quand'io feci 1 mal sonno ,
aa Briei^ pertugio , picciolo finestrelle . ^^muda con mólta
conTenienxa appella Dante quella torre y ossia la prigione in
lario dellaCnisca, ma l'innamoramento ed il canto 9 d*una in
altra stagione. »-^ L'anonimo 9 citato nella E. F., intende che
muda fosse il nome proprio della torre ch'ebbe poi in seguito
quello della /isme.- L'autorevole comentatore Francesco da
Buti dice che in qualche parte di questa torre i Pisani teneva»
no forse le aquile del Pubblico ^ per cui muda Tappellarono.
-~ Il comento attribuito al Boccaccio a questo luogo nota : che
et in questo tempo il (Comune di Pisa elesse per suo Capitano
» e Signore il Conte Guido da Montefeltro; e l'Arcivescovo
u Ruggieri delli Ubaldini consigliò il Conte Guido e il Co-
» muue di Pisa, che facessero mettere il Conte Ugolino in pri-
a» gione nella torre della Muda . » E concorda con Gìo. Villa-
ni [a] . E. F. <-«
'jlW ha il titol della fame , perocché d'allora inrianzi ( lo
conferma Gio. Villani pure) fu la detta torre chiamata la
torre della fame [A] .
'j4 E^n chej in cui 9 con\*iene ec.c questo immagina perle
s|ìcssc mutazioni che faceva quella città. Lahdiho.
^(ì a-^ll Lombai*diy scostandosi dalla Nidob., legge P/ù /a-
me , e spiega molto lume , chiosando .* «e Cosi amo di leggere con
molte antiche edizioni 9 tra le quali TAldina, e con la maggior
p;ii t(* (le'ra.ss. veduti dagli Accademici della Crusca , « non Pia
[a] Stor» lib. VII. cap. i^^. [^J Gap. i'j6. del cit. Ìib«
7o8 INFERNO
lune , come la Nidob. e i detti Accademici, suiraatorita (b soli
otto fra un centinaio di testi. Essendo stato il conte Ugolino (ec-
co la ragione che recano gli Accademici di aver cangiato più /u-
me in più lune) , come racconta Già* F^illanij dalTagosto al
marzo in prigione , i^olle il Poeta , secondo noi , mostrar la
lunghezza di (fuella prigionia con le parole più lune. Hanno
però essi Accademici mancato di avvertire che il tempo della
prigionia del Conte Ugolino doveva essere cosa a Dante già no-
ta; e che non vuole il Conte dire se non di quello che Dante
non potè ai^er inteso y %^» 19- Al contrario pia lume non solo
ha nulla d'incoei^nte o di superfluo^ ma serve ottimamente ad
indicai^ la cagione per cui prestasse egli al sogno fede. Impe*
rocche dicendo che pia lumcj cioè lume molto, già gli si era
fatto vedere quando sognò, viene a dire, ch*era qaella l'ora
che incomincia i tristi Im
La rondinella ............
E che la mente nostra pellegrina ^
Più dalla carne j e men da* pensier presa y
j4lle sue vision quasi è diuina [a].*
chWasi in sostanza Taurora già ben bene spiegata, e che per-
ciò veritiero doveva essere ilsogno.
Né perchè poi dica Ugolino, Quand^iofiti desto innanzi
la dimane ec, \b\ , vierie perciò questo senso a turbarsi, come
oppone il Daniello. Basta che distìnguasi raurora dalladinuDie.
cioè dal giorno , che incomincia all'uscir del Sole ; ed avvertasi
che l'aurora in mai^zo (tempo in cui, testimonio il YiUani, se
stenne il Conte la erudel morte) dura un'ora e mezza, efacil*
mente s' intenderà oome potesse il medesimo Conte ìqcodùd-
ciare il mal sogno dopo nata l'aurora, e terminarlo innanzi
la dinume y cioè durante la stessa aurora,» -Il Bia^oli tro^a
che Tcspressione/'iu lume non è giusta e conveniente po' in<&-
care l'aurora j e s^atticne alla lezione della Crusca , trovando iu
essa proprio e naturale ciò che il Lombardi % i scoile d'incoerente
o superfluo . - La lezione ^ii< lune trovasi pur difesa dal eh. (jr
sta nella E. B., colla chiosa seguente: «Abbiamo seguitatala
33 legione del Volpi e del Venturi , indotti dai seguenti motivi. U
» Conte Ugolino fu desio innanzi la dimane j cioè innanzi al
» principio del giorno ; perciò è , che se prima di quell'ora egli
» aveva sognato, non può essere che più lume già fosse en-
» trato per lo forame della torre. E quand'anche esso ConU
[li] Ping. IX i3. e scgg. [/>J Vei-$o 57.
CANTO XXXIIi: 709
Che del futuro mi squarciò il velame .
Questi pareva a me maestro e donno , 38
[ Cacciando il lupo e i lupicini al monte,
Per che i Pisan veder Lucca non ponno.
*> avesse sognato dopo T aurora, era cosa naturale che egli di-*
» cesse che più luitie gli avevA mosU-ato la toiTe per lo suo fo*
^ » rame ? Chi sogna dorme ; chi dorme non vede . Leggiamo dun-
» quella lune j e interpretiamo coi sopraddetti chiosatori : già
» erano passati più mesi dalla mia prigionia ( cioè dalVago-^
^ » sto ài marzo, secondo che nan*a Gio. Villani )• E cosa natu-
» rale che colui che sta chiuso e solitario in carcere , discerna e
» noti ì mesi dal risplendere che fa la Luna d'intervallo in iu-
» tervallodi tempo. Si noti ancora che quando Ugolino parla
n del secondo giorno dopo il sogno dice ; Come un poco di rag-
» gio si fu messo - JVel doloroso carcere ec. Se il raggio era
» poco nell'ora che il Sole, comesi è detto nel verso anteceden-
» te, era uscito nel mondo, manifesto è che più lume non po-
is teva essere entrato in essa torre sul far dell' alba. » Persuasi
noi pure da sì belle ed evidenti ragioni , abbiamo restituita nel
testo r antica Nidobeatina lezione Pia lune. — Anche i codd.
Cass. e Caet. hanno lune; ma lume legge il Vat. 3 199 e le ul*-
tirate due romane edizioni . «-« sonno nel medesimo verso dice
per sogno i antitesi che si accosta al latino somnium*
27 del futuro mi squarciò il velame ^ mi scopii il futuro «
28 Questi parafa ec, ; sinchisi > di cui la costruzione : Que^
sii y costui ch'io rodo, maestro (m/o. intendi) e donno j si-
gnore { allusivamente , crederci , al doctores che appella i Ve-
scovi san Paolo f^J, ed al titolo di monsignore y che y ale mio
signore j attribuito comunemente ai Vescovi ) porcina a 9ne ,
appari vami, mi si faceva in sogno vedere, m^ maestro ^ nou
sìa colui che insegna scienza od arte , come con questo esem-
pio di Dante nota la Ci*usca, ma capoj presidente ^ prefetto
de] la città, cioè il magister urbis ^ fnagister populi dei La-
tini ; e a maggior conferma Dante vi aggiunse anche il donno ,
cioè signoì'e. Moim [6]. Secondo la quale interpretazione il
pieno costrutto del verso sarà il seguente : Questi , cioè costui
ch'io rodo, parafa a me, mi sembrava che fosse, maestro e ^
rianno j capo e signore della città. <<-«
rap 3o Cacciando j in atto di cacciare, -« il lupo e i lupi-
[/t] Ephei. ^,9, 1 1. [6] Prop. voi. 3. P. i. fac ;9.
7IO INFERNO
Con cagne magre, studiose, e come, 3i
Gualandi , con Sismondi , e con Lanfraachi ,
S'avea messi dinanzi dalla fronte.
In picciol corso mi pareano stanchi 34
Lo padre e i figli, e con T agate sane
Mi parca lor veder fender li fianchi .
Qua ad* io fui desto innanzi la dimane, 87
Cini : sappone che il sognare di cotali famelici animali indichi
patimento di fame, -a/ manie ^ ^Per che ( Tale qui Per che
quanto per cui [a]) i Pisan ec. , al monte S* Giuliano , situato
tra Pisa e Lucca, il quale se non fosse, ciascuna delle dette
due città vedrebbe le torri dell'altra, non essendo tra loro che
dodici miglia d'intervallo.
3 1 al 33 Con cagne ec* Costruzione: Si ayea , T Arci vesco-
vo, me<r.ri</ma7f zi £/a//a/ro7if e, cioè mandava innana quasi
vanguardia della caccia, Gualandi , conSisniondiyeconLan*
franchi, nobili famiglie pisane, unite all'Arci vescovo ai danni
dei Gherardeschi , con cagne magre , studiose , e conte , con
cagne snelle, sollecite, ed ammaestrate a simil caccia [&].
35 Lo padre e- i figli, il lupo e i lupiciui* — sane ,\e^t
la Nidob.; scane, l'altre ediz. Non si trovando però di scana
o scane altro esempio che questo medesimo, è piìi credibile
che usando Dante della sincope a cagion della rima, scrìf esse
sane invece di snnne; come per simile bisogno scrisse Baco
per Bacco [cj . Sanne appella il Poeta i denti pure del Or-
berò [d]. »-» Scane però coi codd. Ang., CaeU e Val. 3 11)9
legge la 3. romana ediz., appoggiandosi alla seguente chiosi
dei Buti : Scane sono li denti puntenti del cane , eh" egli hot
da ogni lato, co* quali egli afferra. ♦*•
3^ Quand^io fui desio , la Nidob . ; Quando fui desto , Tal-
tré edizioni, »^e TAng. E R. — e il Vat. 3 199. ^-m innanzi
la dimane, innanzi il mattino, prima che il Sole uscisse. Ap
partien questo ad indicare succeduto parimente in aurora, t
perciò profetico ( t^. 26. ), il sogno pure di fame, che conobbe
facevano anche i figliuoli.
[a] Vedi il Cìnoo. Pari, 196. io. [b] Così spiega t^eomte il Boti» ci-
Uto nel Vocab. della Cr. alla voce Conio, [e] lai. xz, 5^. [d[ laC vi- tS-
CANTO XXXIIL 711
Pianger senti' fra '1 sonno i miei figliuoli ,
Ch'erano meco, e dimandar del pane.
Ben se' crudel , se tu già non ti duoli , 40
Pensando ciò eh al mio cuor s annunzia va :
E se non piangi, di che pianger suoli?
Già eran desti , e Fora s'appressava , 43
Che 'I cibo ne soleva essere addotto,
£ per suo sogno ciascun dubitava ;
E io senti' chiavar Tuscio di sotto 4^
39 Cìi erano mecoy la Nidob.; CtCeran con mecoy l'alU'e
edizioni »-^e il Val. 3i99.-«-« e dimandar del pane; indizio
clic sognavano dì aver fame , e che per cotale sognata fame
piangevano.
4© Ben se'* crudele ec- Apostrofe di Ugolino a Dante.
4i s* annunziarla y intende di dover inerire di fame.
43 44 ^'^ eran desti j la Nidob.; Già eram desti j l'altre
ediz. malamente, avendo già detto Ugolino , Quando fui desto
innanzi la dimane y v. 3j., né restandogli di avvisare che il
destamente de* figliuoli. «-^Gli Accademici della Gr. preferirò-
UQ la lezione erant , perchè meglio risponde al ne soleva del
vei-so che segne , reputando così Veran , che noi leggiamo j er-
roi*e degli amanuensi. Cosi il Biagioli ne fa gran carico al Lom*
bardi, e non sappiamo con quanta ragione. Certo è che, rìfiu*
tando la lezione della Cruscai , difese la nostra , anche prima
del P.Lombardi , l'acutissimo Pei-azzini [a^.^^addotto , recato.
46 senti^chiauar l'uscio di sotto . Suppone qnesto parlai*e
che rimanesse quell'oscio sempre, almen di giorno, aperto; ed
accenna avvenuto in quel punto ciò che gli Storici raccontano,
che facessero cioè i Pisani chiax^ar la porta della torre ^ e la
chioi^e gittar in Aimo \b\ . »-♦ Ma chiavare ^ in questo luogo ,
dice il Biagioli, significa inchiodare , Chiamo e chiat^ello di-
cevasi anticamente quello che oggi comunemente chiamasi chio^^
do. Anche il Poggiali , prima del Biagioli, chiosava: /l< del tm^
to chiusa Ha porta) con chiavi ^ o conficcata con grossi ehiiy
diz (^che Vano e Poltro può significare la voce chiavare).
[a] Correa, in Dani, Comoed. [b] Gio. Tillani iib. 7. cap. 137.
7IX INFERNO
All'orribile torre : ond' io guardai
Nel viso a*mie'iigliuoi senza far motto.
Jo Doo piangeva, si dentro impietrai: 49
Piange van elli^ ed Ansel moccio mio
Disse: tu guardi sì, padre, che hai?
Però 'non lagrimai , né risposto 5a
Tutto quel giorno, né la notte appresso.
Di chiavare al senso di conficcare , inchiodare j non mancano
esempj d'altri Classici. Franco Sacchelti, Op diu.: «Le mani
» use alle cose dilicate di vita etema , chiovi aspri e dori eb-
I» bonoy chiavandogliele i perfidi Giudei. » E Fra Giordano ,
Predici «Veggiamo che alla croco si fa tanta riverenza, per-
» che Cristo vi stette chiamalo • » E in Fra lacopone si trova
i> scritto; vchiat^aio in questa croce. a9 4-«
4? m^ond^ io guardai ec* Questo sguardo d* anima quasi
per profondo dolore istupidita , e questo terribile silenzio , è
uno di quei tratti che piii adoperano che ogni altro parlare.
48 a*nUe*figliuoij la Nidob.; à*miei fgliuoi^ l'altre ediz.
Il troncamento però della Nidobeatina toglie il mal suono delle
tutti ci
Biagioli ,
figliuoli dovrebbegli chiamare. Adunque chiamagli figlinoli e
pel vincolo del sangue, e per la differenza dell'età, e perchè
poteva amarli come figliuoli , e perchè in quello statQ una
vera fraternità formata s'era fra i suoi figli veri e i nipoti, e
la stessa relazione fra lui e quelli. <-«
49 sì dentro impietrai , tutti i Comentatorì convengono a
chiosare che vaglia quanto, si dentro per la foga del dolore
indurai. Ma e perchè non piuttosto sì restai di pietra^ si 7
cuor misi gelò dallo spavento nel sentir chiudere quell'uscio .'
»^Qui il Biagioli non ammette che la comune interprelazione.^-*
50 Anseìmuccioj uno de*due nipoti [£].
fa] Tedi le note ai versi i3. e 88. [h] Frammenio ttisioria pismms^
tra gli acriUi»ri ita], del Muratori j loaa. a4- *oL 6S5.
i
CANTO XXXIII. 713
lufin che X altro Sol nel mondo nscìo .
Come un poco di raggio si fu messo 55
Nel doloroso carcere, ed io scorsi
Per quattro visi il mìo aspetto stesso,
Ambo le mani per dolor mi morsi ^ 58
E quei, pensando ch'io '1 fessi per voglia
Di manicar , di subito levorsi ,
E disser: padre, assai ci fia men doglia 61
Se tu mangi di noi : tu ne vestisti
Queste misere carni, e tu le spoglia.
Quetàmi allor, per non fargli più tristi : 6
Quel dì e T altro stemmo tutti muti.
Ahi dura terra, perchè non t'apristi?
57 Per quattro visi ec. Non fuor di tempo fa qui Dante
adUgolino riflettere aIIasomiglianza.di viso che verisimilmente
suppone avessero que* figliuoli con esso lui; impeioccbè appunto
quando l'oggetto si perde, corre la riflessione a que' caratteri
me il rendevano più amabile. Ciò ch'altri aggiungono, che
mirasse Ugolino ne' figli la pallidezza e tristezza ch'era in
lui y oltre l'altre difficoltà, na quella di far sembrare che pin
si rammaricasse Ugolino di sé stesso, che de' figliuoli •»-► Il
Biagìoliperò è di parere che Ugolino sui quattro visi de' figliuoli
vedesse, non già la sua somiglianza ,mar atteggiamento, ma
il dolore che gli fa stupidi, ma l'infinito affanno che opprime
e assorbisce tutta l'anima sua. ^-m
58 •-> jimbo le man per lo dolor mi morsi ^ legge il cod.
Vat. Sigg.^-*
5g fessi per facessi ^ ad ugual modo eh' è detto festi per
facesti , femmo per facemmo ec.
60 Manicare per mangiare , adoprato da scrittori anche in
prosa vedilo nel Vocab. della Gc.'^leuorsij sincope àìleuaronsi.
61 al 64 di noij cioè delle nostre carni. — Quetàmi y sin-
cope di quetaimiy mi quetai.
65 m-^Lodìj legge il Vat. 3199,* Quel giorno ^ l'Ang. E R*
Al Torelli piacerebbe meglio letto Lun dì. 4^
7i4 INFERNO
Posciachè fumino al qaarto dì venuti , 67
Gaddo mi si gittò disteso a' piedi ,
Dicendo, padre mio, che non m'aiuti?
Quivi morì} e, come tu mi vedi, 70
Vid'io cascar li tre ad uno ad uno
Tra 1 quinto dì e 1 sesto; ond'io mi diedi
Già cieco a brancolar sopra ciascuno, 73
£ due dì gli chiamai poiché fur morti:
67 »-^ Essendosi detto dì poco sopra , forse va Ietto : al quar'
to divenuti* Divenire per arrivare usa Dante , Inf. e. xiv. 76.,
e. xviii. 68.9 Pnrg. e. in. 46.9 Par. e. xni. 62. Torelli. -«^
68 Gaddo y uno de' due figli d'Ugolino [aj. — disteso a
piedi f svenuto, intendesi» dalia fiune.
69 che non , perchè non . _
70 7 1 »-^ Quivi morì; ec. Quivi y cioè in quel punto , come
Purg. V» 54« Quivi lume del del ne fece accorti^ Tokklli. «-c
come tu mi vedij - F'id* io cascar li tre ec. : nella guisa che tu
ora vedi me» cosi vid'io cascare a terra morti gli altri tre, doé
l'altro figlio e i due nipoti*
72 73 m-^ Tra il quarto dì e il quinto^ legge TAng* E. R. •
ond^ io mi diedi ec. Non essendo fiÒL rattenuta quella grand'ani»
ma dal motivo nel v, 64« espresso , rompesi ogni freno e s'ab-
bandona all'impeto che la trasporta. Biàgioli. m^Già cieco y
già per mancanza d'alimento intorbidata essendosegli la vi-
sta, m-^ Cosi anche Torelli. 4-« DelVuonio la prima parte a
morire sono sempre gli occhi y chiosa il Vellutello. »-» Ma il
Biàgioli, e meglio, a parer nostro 9 qui chiosa: Già. cieco y già
fatto cieco dal mio disperato dolore • *-m brancolar , cercar ccule
mani tastando [&].
74 •£ due di gli chiamai poiché fur morti y la Nidobeatina
»-^e il cod Poggiali. 4-8£ tre dì gli chiamiti poich^e^ ^VAÌtxf
ediz. »-^e il Vat 3 199. 4^ Riferisce il Buti (ms« del fu Ab.
Rossi , ora della Ck>rsini ) , che otto giorni dopo che furon quei
cinque disgraziati privi di alimento, apertasi la torre, furono
[a] Lo stesso Frammento ciuio «Ila fac. precedente • [b] Gio. Tillaoi
lib. 7. cap. 1 37.
CANTO XXXm. 7i5
Poscia, più che 'I dolor, potè 1 digiuno.
Quand'ebbe detto ciò, con gli occhi torti 76
Riprese 1 teschio misero co' denti,
Che furo alFosso, come d'un can, forti .
Ahi Pisa, vituperio delle genti 79
Del bel paese là , dove 'i si suona ;
trovati tutti morti. Se adunque Onirono i figli di inorìi*e nel
sesto di, come Ugolino attesta (t^. 7 a.) ^ non sopravvisse il me-
desimo affigli che due giorni.
76 Poscia f più che l dolor , ec. Vuole il Venturi qui con-
trastare alla comune spiegazione degl* Interpreti, che il mag-
gior dolore prolungasse in Ugolino l'effetto dell'inedia, la moi*^
te : perchè (dice) io anzi stimo che , caeterìs paribus , mori-'
rebbe più presto ehi insieme fosse trafitto dal dolore e afii"
zione d^ animo 9 e consumato dalla farncy che chi annesse a
morire di sola fame* Se lo stimi pur egli: a noi basterà sa-
per da Galeno, che la fame nuoce disseccando \a] , e che la
tristezza ritiene e concentra gli umori \bi] ; chiara essendone
3uindi la conseguenza, che aee la tristezza ritardare Teffetto
el l'inedia, m-^n Biagioli però piii pianamente e meglio degli
altri, a parer nostro, spiega: che la fame potè piii cne il do-
lore, poiché quella e non questo l'uccise. 4-«
76 ai 78 •-►Tutto è dipinto con fiere tinte; ma la fona del
terzo verso non ha espressione eguale. Bugioli. ^-«
79 80. delle genti -« del bel paese là , doìfe 7 sì suona.
Tutti concordemente gli Espositori ìnìxxkàooodelle genti d* Ita-
lia ^ dove per affermare diciamo sì , a differenza de* Francesi
che dicono oui, de'Tedeschi che dicono /a ec. Ma non essen-
do più Ugolino che parla, ma il PoeU stesso, come, della sua
lulia panando, può dire del bel paese là? Isa j avverte il Ci-
nonio, è particella che si dà al luogo y nel quale nò chi parla
è, né M ascolta [e]. Di questa difficoltà non nù pai*e che
tucire si possa se non per alcuna di queste due vie , cioè , o che
Dante, mentre questo canto scriveva, trova vasi fuor d* Italia
[a] Commmt a. in Jphorism. Hippocr. [b] Nel 4* tle sanilale luenda.
7i6 INFERNO
Poiché i vicini a te punir son lenti,
Muovansi la Capraia e la Gorgona , Si
E faccian siepe ad Arno in su la foce.
Si eh* egli annieghi in te ogni persona «
Che se T Conte Ugolino aveva voce 85
(forse in Germania, quando portossi ad inchinare il nuovameii*
te eletto Imperatore Arrigo di Lucemburgo [a] nel i3o8), o
non r Italia tutta, ma la Toscana intende egli pel bel pae^e;
e pel suonare del sì , non il proferimento qualunque della pa-
rola vuol ^li significare, ma un qualche sibilo, con cui si £h
ce&se ivi, più ch'altrove, la parola stessa rìsnonare. •-> Anche
il Poggiali difende a lungo questa opinione del Lombardi. -Ma
pel paese del sì ci piace d'Intendere col Biagìoli T Italia tui*
ta, come il comprovano ad evidenza due esempi da esso lui
citati , Tuno di Dante nella f^ita nuova , l'altro del Varchi nel-
VErcolano; e come ultimamente ha dimostrato il eh. Peni*
cari nel suo Trattato degli autori del 3oo, e nella P. ii. della
sua Difesa di Dante. «-Vedi anche il capo vin. del lib. t . de
f^ulg, Eloq. di Dante, ove si esaminano tre grandi divisiooi
dcir idioma dell'Europa meridionale, secondo che i popoli di
questi paesi affermando si servono delle voci oc, oi , sì; e so-
no, SpagnuoH, Francesi e Italiani. E. F. <-«
8i f *viciniy popoli, coi quali i Pisani avevano a qae' tempi
frequenti brighe .
82 air84 Muoifansi la Capraia e la Gorgona^ la Nidob.;
Afuoi'asi ec.j l'altre ediz., a-^e i codd. Ang., Cact. e Vai. 3 199,
e con essi la 3. rom. edizione . 4-« Capraia e Gorgona sono
due isolette nel mare Tirreno, poco discoste dalla sboccatura
d'Arno in quel mare. -^ siepe y riparo, argine. — Si ch*egUi
impedito , intendi , nel suo corso , rovesci l'acque sopra Pisa .
a-» Queste parole dimostrano l'immenso odio del Poeta contro
quella nazione, d'aver sofferto si atroce crudeltà ; e non credo
cne Dante stesso avesse potuto trovare un' immagine più forte
e più spaventosa insieme. Biagìoli. ^-a
85 86 auei^aifocej era vociferato, tacciato, — U*a%^r tra'
dita ec. Vedi la nota al %f. 1 3. a^ Pietio di Dante dice però 9
che il Conte Ugolino di Donoratico di Pisa, cioè de'Conti Ghe-
[a] Ver) i le Bf emori t per la vita di DaìUe, J. ani.
CANTO XXXIII. 917
D' aver tradita te delle castella ,
NoQ dovei tu i iìgliuoi porre a tal croce .
Innocenti facea l'età novella , 88
Novella Tebe! Uguccione e '1 Brigata,
£ gli altri due che '1 canto suso appella.
mrdeachi » consegnò effettivamente ai Lacchesi le castella di
Ripafratta, d'Asciano e della Vena. E. F. *-m
bS al 90 Innocenti facea eCé JVòf^ella Tebe! è vocativo in-
terposto, e come se detto fosse: o novella Tebe! e tale appella
Pisa per la somiglianza nello sparso cittadinesco sangue a Te-
be , dove i primi abitatori , nati dai denti del drago da Cadmo
seminati , tra di loro si uccisero : Penteo fu dalla madre e dalle
sorelle ammazzato; Atamante uccise Learco suo figliuolo; Eteo-
cle e Polinice fratelli si uccisero per cupidità di regnare ec.
Ecco come dee essere la costruzione : Uetà novella , cioè la
poca età {novella Tebe! o Pisa, Tebe de'nostrì tempi!) /ocea
innocenti^ esenti da colpa y Ueuccione e V Brigata ( Uguc-
cione era figlio del Conte Ugolino , e il Brigata , cioè Mino
detto Brigata j era nipote [a])y ^-E gli altri due che 7 canto
suso appella , che questo medesimo canto di sopra nomina »
cioè Anselmuccio j v, 5o.y e Gaddo^ v, 68.
Questa novella età > come quella onde giustifica Dante
l'aspra sua invettiva: j4hi Pisa^ vituperio ec, viene con tutto
lo sforzo contrastata dal pisano cavalier Flaminio dal Borgo
nelle tre prime dissertazioni sopra T istoria di Pisa /stampate
ivi nel 1761. Egli però sembra che questo dotto cavaliei-e piii
si meriti lode pel buon desiderio di giovare al nome di sua pa-
tria, che per ottenimento di effetto.
Tre capi di ragione troppo grandi assistono il nostro Poeta.
Primo. Ch'egli viveva in Firenze sua patria, ed aveva già
ventitré anni, quando in Pisa, discosta da Firenze sole 4^ mu-
glia, fu morto il Conte Ugolino [ij; e che, sebbene tardò a
scrivere il presente suo poema , scrisselo nondimeno viventi
moltissimi coetanei suoi e maggiori, ai quali non si poteva im-
pori'c su di un avvenimento di tanto sti*epito.
[a] Cosà il precitato Frammento d'istoria Pisana, [b] Successe U mor»
le del Coale Ugoliao nel 1388 (vedi, tra gli altri, tiio. ViIIìidì, LU. 7.
cap. 1^7*}» e Dante uacque nel i'i65, come più vulte è detto.
718
INFERNO
Secòtìdo . Che tra i moltissimi Storici cantemporanei al
succcssOi o vicini, nissono ve ne ha che dica qoe*figIi e nipoti
di Ugolino d'adalta età ; ma o niente dicono dell'età , o dìconla
novella. Anzi Giovanni Villani, parlando in maniera a onesta
di Dante affatto simile, dice che per tale crudeltà furorm
I Pisani per lo uniiferso mondo, ove si seppe, forte biasi"
matij non tanto per lo Conte, che per li suoi difetti e
tradimenti era per avventura degno di sì fatta morte ^ ma
per li figliuoli e nipoti, tfC erano giovani garzoni ed inno'
centi [a J.
Terzo. Che Francesco daButi Pbano, ednno de^più ce-
lebri Comentatori di Dante, destinato in Ksa a leggere e in*
terpretare il medesimo pubblicamente circa il i385 [A]» i
formato dell'avvenimento, di cui trattiamo, a segno, che
contaci egli di quegl' infelici delle circostanze che , a qoanto
Ycggo, alU'i non raccontano [e]; Francesco, dico, da Boti ri-
sente bensì e fa punto sali* aspra invettiva contro di Fìsm sua
patria [^J , ma nondimeno nulla oppone all'e<4 novella , che
n'è r unico fondamento.
Oh, dice il Cav. Flaminio [e], contano però gristoiici,
che questi figli e nipoti del Conte maneggiassero armi, e che
anzi un di loro mettessesi in certo incontro alla testa di tmp*
pa armata .
la] Libro e capo citati . [b] Memorie per la nrta di Dmmte, pangr. 17.
[e] Francesco da Bali a qaelle parole del presente canto , Tra H qmmr
io dì e*l sesto, c^. 73. » cbiosa : £ questo finge tjuiore, perchè dope
gli otto dì ne furono cavati , e portati , inviluppati neÙe stuore^el
luogo de* Frati Minori a S. Francesco, e sotterrati nel monumento ,
che è allato a li scalloni ( forse errore invece di scaglioni ) a monta*
re in chiesa alla parte del chiostro , co*i ferri a gamba : li quali feni
vid^ io cavati del ditto monimento. Cosi nel ms. del fa A.b. Bossi «ed
ora delia Corsini . [d] Alle parole Muovansi la Capraia e ta Gorgo-
na ec.y v. 8a., V Autore (cbiosa il Butì ) pare contraddire a sé; im-
perocché per ingiustizia e per crudeltà prega egli o desidera mag-
giore crudeltà. Imperocché se male era avere ucciso cosi crudelmea-
te quattro figliuoli del Conte Ugolino , perché erano innocenti dA
peccato del padre, maggior crudeltà era a uccidere et annegare tutti
I figliuoli innocenti de' Pisani, Dopo di qaesto però, invece di mo-
strar falso il fondamento della iuvelliva , cioè V età novella di qoei
figli e nipoti del Conlé, e liberare da gravissima calunnia la propria
patria, passa anzi a giustificar Dante con dire» che parla esso retto-
ricamente per exuperatione , e che poi anche non è ingiusii ìa a de-
siderare che sia punita la università, quando la università ha com-
messo peccato, [e] Disscrt. ^. u. aò. , ed in altri luoghi molti per euiiw
CANTO XXXIII. 719
Rispondo primieramenle che quegli Storici che parlauo
in si (atta guisa di tutti in generale, un Taiolì [a] ed un Tran-
ci [6]» e, se vi si vuole aggiungere, anche Gio. Villani [e], i
medesimi, ciò non ostante, diconli di età novella; e che non
si può pretendere, come dal Cavaliere si pretende [d\ , eh er*
rassero piuttosto circa la età, che di*ca al dirli tutti armigeri.
Tanto più, che quegli Storici che nulla dicono della età come
il frammento d'istoria Pisana tantodal Cavaliere decantato [ej,
non raccontano per armigera che uno solo , e quel medesimo
che dicono stato alla lesta d'armata gente [f\; al che però se
abbisognasse onninamente quella età eh' esso Cavaliere preten*
de, resterebbe il Poetanostra guarentito tuttavia bastantemente
dalla ragione della maggior parte, cioè dalla novella età de*
gli altri tre.
Aggiungo poi che il maneggio dell'armi può bensì richie*
dere in que' giovani un* età non affatto ragazzesca ( quale anzi
male si con farebbe con quella eroica loro esibizione : padre ^
assai ci fia men doglia^ Se tu mangi di noi.* ec. [g^j ma
non già un'età*, per cui (a que' tempi massime, né quali piti
uell*armi si ammaestravano i figliuoli, che nelle lettera) posi-
sano presumersi mossi da sediziose mire contro della patria,
piuttosto che da impero e tema del genitore o nonno: uomo
tanto impetuoso, che (riferisce il Troncl [A]) passò con un
pugnale un braccio ad un nipote suo ; ed avrebbelo anche finito
di uccidere, se non vi si fosse intromessa gente: solo perahè
dal nipote esortato a provvedere d'annona la città, prese om-
bra che aderisse a' suoi nemici.
Maggior età arguirebbe piuttosto quell'altro capo, che
a lotte e tre le prime dtssertasiont [a] Croniche di Pisa mss. citate dal
cavalier FlaniÌQÌo,dìssert. S.o. io. [b] jtnnaii Piteni toiioVmnno ia88.
[e] Parlo così > perocché ilcav. Fla mi dìo nella dissert. a. n. 10. cosi vuol
inleso Gio. Villani; mentre però altro non dice questo Storico se non
che nella presa del Conte Ugoliuo/ii morto un suojtgliuoio bastar-
do f et un suo nipote, Lib. 7. cap. 1 ao. [d] Dissert 3. n. 30. [e] DìsserL
9. n« 8. [f\ Vedi 1* eaudiìato Frammento nel tomo af* degli Scrittori
à' Italia dei Muratori , sotto Tanno 1988. [g] Con tai versi appunto:
che sono il 61 • e segg. del presente canto, crìtica il Cav. Flaminio
( nella dissert. 3. n. 3. ) l'età novella , creduta da lui bambinesca; e
ricorda perciò 1* aTTertimento di Orasio nella Poetica^ v, 1 1 4* e segg. i
intererit multum , Davusue loquatur^ an heros :
Maturusne senex, an adkue fiorente iuventa
Penfidus*
[/i] Annali pisani sotto l'anno 1 387.
-jw INFERNO
il Cavaliere oppone [a], che uno de'nipoli del G>iite Ugolino
avesse moglie, quando si provasse essere stato questi uno dei
prigioni. Ma il Taioli [b] ed il Tronci [e], cbe somministrano
al Cavaliere questa notizia, altro non dicono se non, die il
Conte Ugolino diede per moglie a un suo nipote una figlia
di Messer Guido da Caprona^ senza dircene il nome; e non
essendosi con la morte di que* quattro giovani estinta del tatto
la gherardesca schiatta [d\ , deesi questo ammc^liato nipote
di Ugolino credere un altro dei quattro che insieme con lai
perirono. Anzi, essendo questo marito della figlia <li Messer
Guido da Caprona , il medesimo che ho detto di sopra essere
stato ferito dal Conte Ugolino [e], si ha da credere che, se al-
cuno de' nipoti fossesi dal nonno allontanato, e rìmaso fuor di
quella briga, dovesse costui esseme uno.
Né finalmente per questo medesimo ammogliato nipote
puossi di certo inferire adulta età ne'zii di lui e figli del Con-
te prigioni ; imperocché non v*ha chi non sappia accadere spes-
so che sieno i zìi di minor età dei nipoti .
Queste mi sono parse le opposizioni piii d^ne di rifles-
sione nelle prefate dissertazioni del cavalier Flaminio dal
Borgo.
Erra poi egli sicuramente nel pretendere \f\ di trar &vo-
rc all'assunto suo, di smentir Dante su questo ed altri pund
storici, da que' versi di Francesco Stabili, nomato volgarmente
Cecco d* Ascoli <, poeta al nostro contemporaneo :
Qui non si canta al modo delle rane ,
Qia non si canta iU modo del Poeta
Che finge immaginando cose strane,
JVòn ueggo il Conte ^ che per ira et asta
Ten forte r Arcivescovo Ruggiero ,
Prendendo del suo ceffo el fiero pasto ,-
Non veggo qui squadrare a Dio le fiche.
Lasso le ciance^ e tomo su nel vero e
Le favole mi son sempre nemidie f^].
EiTa , dico, il Cavaliere; imperocché ciance e favate ap-
pella Cecco non le cose che racconta o suppone Dante soc-
[a] Dissert. 3. n. ao. [b] Croniche di Pisa mss. cit. dal cav. Flamioio
dissert. 3. d. ao. nelle note, [e] annali pisani sotto l' aooo i»87. [d] Ve-
di il cav. Flaminio» diss. 3. n. i4* [e] Vedi il Tronci, Annali jHsami ^
•otto detto anno 1 387. \J\ Nelle note alla diss. 1. n. 9. [g] jiceria, lib.
S. cap. la
CANTO XXXIIL 7^1
Noi passa mm' oltre , dove la gelata gì
Ruvidamente un'altra gente fascia ,
Non volta in giù, ma tutta riversata.
Lo pianto stesso li pianger non lascia y 94
£ '1 duol , che traova in su gli occhi rintopiK) ,
Si volve in entro a far crescer l'ambascia ;
Che le lagrime prime &nno groppo, 97
eesse nel mondo , ma queUe che finge di aver trovate nelPIn-
temo*
Prende per ultimo anche sbaglio il cavalier Flaminio
accusando Dante che ponga istoricamente il monte ^ - Per che
i Pisan veder Lucca non ponno , pel luogo ove il Conte Ugo*
lino configli e nitfoti fosse preso [oj, facendonelo cosi discor«
dare daGio. Villani [6] e da tutti gì' Istorici » che diconlo ar-
restato in città y nel palazzo del popolo. Mainò; siccome le ca^
gne^ il lupo e 1 lupicini^ cosi ancora esso monte sono tutti
obbietti che & Dante sognarsi dal Conte a significazione d'al«
tre cose: e la sarebbe in Tero stata bella , se avesse fatti dalle
carne cacciare e raggiugnere il lupo e i lupicini nella città e
nel palazzo.
91 doi^e la gelata^ lq[ge la Nidobeatina; là'^ve la gelata ,
leggono l'altre edizioni »^e il Vat. 3 190. ♦-■
92 un* altra gente. È questa la terza dkille quattro classi dei
traditori avvisate nel canto precedente, e. 58.) la classe cioè di
quelli che hanno tradito chi di loro si fidava, detta perciò 7b-
iommeaj u. ia4* '-^ Jtmndamente fascia ^ aspramente, dura-
mente serra.
93 al 96 Non uolta ingiù , ec. Essendo a' traditori di grave
pena Tessere scoperti , come nel canto preccd. , t^. 94* 9 confessò
Bocca degli Abati , perciò costoro che tradirono chi di essi fida-
vasi , come più rei de'precedenti , & Dante stare col viso riversa*
to t cioè patente . -£o pianto ec .pianger non lascia .* dirà i I co-
me nel terzetto seguente«-£7 auoly ec. Il dolore che per mez-
zo delle lagi-ime vorrebbe sfogare, trovando su gli occhi rintop^
pò t impedimento > si rivolge al di dentro ad accrescere afflizione.
97 te lagrime prime , le prime eh' escono . — fanno grop-^
[a] OÌMcrt. I. D. 6. [b] Dissert a. n. io.
Foi. I. 46
7aa INFERNO
Ey SÌ come visiere di cristallo,
Riempion sotto 1 ciglio tutto 1 coppo .
Ed avvegna che, sì come d'un callo, loo
Per la freddura ciascun sentimeato
Cessato avesse del mio viso stallo,
Già mi parea sentire alquanto vento; io3
pò , fanno nodo ( inviluppo), perchè agghiacciandosi nd con-
cavo dell'occhio pel soverahio freddo , vietano alle seconde il
poter uscir fuori . Daitibllo •
98 Visiere di cristallo* Visiera, la pturte delV elmo che
cuopre il viso 9 spiega il Vocabolario della Crusca , e ne reca tra
gli altri esempi questo di Dante. Colai parte d*elmo però cuo-
pre solo la faccia , e lascia dei fori avanti agli occhi; e qui 9 tat-
to al contrario 9 cuopronoi ghiacci solamente gli occhi, e lascia-
no scoperta la faccia. Visiere per occhiali spiegano meglio il
Landino, Vellutello e Daniello. Visiera appellano i Francesi
nonla parte delVelmoche cuopre il uisOyinsL rapertondeirel-
mo, onde resta libero il vedere: visière y ouverture d*un co-
sque [a] . I cristalli adunque , a guisa appunto d'occhiali , inca-
strati nei fori che Telmo lascia avanti agli occhi (come ve gric-
castrano i Chimici in quella specie di celata con cui ricoprono
il capo quando maneggiano materie di perniciosa esalazione),
debbon essere le visiere di cristallo ; ed ai medesimi dee qui
Dante aver paragonati i ghiacci soprapposti agli occhi di quei
dannati.
99 al I oa sotto 7 ciglio tutto 7 coppo. Coppo è propriamen-
te un vaso ; ma qui ponesi per cavità : e sotto il ciglio tutto
il coppo vai quanto tutta la cavita che sta sotto il ciglio ,
tutta r occhiaia, — Ed awegna che ec. Cos trasione: Ed
awegna che per la freddura j pel gran freddo eh* era colag-
gi ù, ciascun sentimento cessato avesse stallo, abbandonato
ik\es$e stanza, fuggito se ne fosse, del ( per dal ) mio viso,
dalla mia faccia, ^ì come d*un CiUloy siccome ogni sentimen-
to rimovesi da incallita parte del corpo nostro.
I o3 Già mi parca sentire ec. : già nondi manco parevami
di sentire del vento. Vuole accennare, ch'era quel vento, dal
[a] Antonini Diciionn. Frane,
CANTO XXXIIL 713
Perch'io: Maestro mio, questo chi muove?
Non è qaaggiuso ogni vapore s{>ento?
Ond'egli a me: avaccio sarai dove 106
Di ciò ti farà V occhio la risposta ,
Veggendo la cagion che '1 fiato piove .
Ed un de^ tristi della fredda crosta 109
Gridò a noi : o anime crudeli
Tanto, che data v'è l'ultima posta,
Levatemi dal viso i duri veli , 112
Sì ch'io sfoghi '1 dolor che '1 cuor m'impregna ,
Un poco pria che'l pianto si raggeli.
muovere delie ali di Lucifero cagionato ( come uel principio
del seguente canto dirà ), tanto impetuoso, clie rendevasi sen-
sibile agFistessi, quantunque già intirizziti, sensi .
io5 iVbft èquaggiuso ec. Intende che il vento sia esalazione
di vapori dal Sole cagionata, e che a quel profondo 1* attività
de* solari raggi non an-ivi. »-» quaggiù , legge TAng. E. R. 4~«
1 06 allaccio per prestamente adopralo da antichi scrittori
parecchi vedilo nel Vocab. della Cr. Onde intendi , presta ìtcn-
te giungerai.
1 08 ^lO^e, catacresi , per ma/i^a , dall' appellarsi ^/Were il
mandar acqua che fa il cielo. — /tato per vento adopralo an-
che nel e. V. V. 4^' deirinf., ed è pure adopralo dal Peti*arca
e da altri. Vedi il Vocab. della Cnisca.
109 delia fredda crosta y del ghiaccio, che crosta appella
per similitudine alla crosta del pane; perocché come la cro-
sta del pane cuopre il molle, così quel ghiaccio l'acqua di
Cocito.
I f I posta per posto , situazione , la è voce adopi'ala anche
da altn . Vedi il Vocab. della Cr. Argomenta che sia loro de-
stinata l'ulti ma infernale situazione dal sentire che verso quel-
la cammin facevano; ed essendo la medesima il luogo dei più
cmpj traditori , perciò non dubita di chiamarli anime crudeli.
f I a »-» Tjcvatemi di viso ec. , legge il Vat. 3 1 f)9. <•-•
I iS 1 14 impregna^ propriamente imprcgnrirc vale ingra^
vidarcy ma qui traslati vameute pi-r aggravare ^ angustiare
7^4 - INFERNO
Perch' io a luì : se vuo' eh' i' ti sovvegna , 1 1 5
Di 01 mi chi se'} e, s'io non ti disbrigo,
Ài fondo della ghiaccia ir mi con veglia.
Rispose adunque: io soa frate Alberigo: 1 18
— - Un poco ec.y per quel pò* di tempo che le sparse lagrime
rimarran fluide.
1 15 ii6 se vuo^y che legge la Nidob., preferisco a se tnuU
che leggono 1* altre edizioni »♦ e il Vat. 3 199, ^-m per togliere
l'oi dal vicino ui. Vuo^ per vuoi adopera Dante anche nel
canto V. V. 53. deirinf. — dù se\ la Nidob. e la Fulgin., ed
accorda colla risposta 10 son dae versi sotto. -— chi fosti y l'al-
tre edizioni »-» e il Vat. 3 199; ed il Biagioli la sostiene per la
vera lezione , credendo che Dante abbia scritto appunto cosi
Ser evitare il mal suono del chi xe* e x* <'• 4-« disbrigo^ di*
rigare f trar d' impaccio » liberare.
X 1 7 j!^l fondo della ghiaccia vale quanto al mezzo tra i
più iniqui traditori. Ghiaccia fer ghiaccio hanno detto andbe
altri antichi scrittori . Vedi il Vocab. della Cr. -ir mi convegno.
Con questa imprecazione equivoca gabbòDante colai, facendogli
credere che , non attendendo la promessa , convenissegli anhr
in quel fondo a penare; mentr'egli s* intendeva di andarvi solo
a quel fine per cui sapeva di dovervi andare , cioè per vedere.
1 1 8 frate Alberigo . Costui fu dei Manfredi Signori di Faen-
za, e nella sua ultima età diventò Cavalier Gaudente; onde Ììi
detto fiate Alberigo. E poi fu tanto crudele, che, essendo in
discordia co'consorti , cupido di levarli di terra , finse di volere
riconciliarsi con loro; e, dopo la pace fatta, gli convitò magni-
ficamente, e nella fine del convito comandò che venissero le
frutta, le quali eran segno dato a quelli che avessero ad ucci-
derli. Adunque di subito saltarono dentro, ed uccisero tutti
3uelli che Alberigo voleva che morissero. Làitdibo. -> * Una nota
el cod. Cass. ci fa sapere che gli uccisi a ti^adimento fiuìono
i due fratelli Manfredo ed jilberghetto , nipoti di detto frale
Alberigo. E. R. »-»]Vfa se dobbiam prestar fede al Boccaccio,
Alberghetto non fu fratello, ma figlio di Manfredo. Fanciullo
com* egli era , assalito che vide il padre , corse a nascondersi ira
la cappa di Alberigo, sotto la quale fu ucciso. - Pietro di Dante
coucoixla , e chiama Alberghetto o Alberighetto questo piccolo
figliuolo di Manfredi. E. F. «-« Dell* Istituto decitati Gaudenti
CANTO XXXIII. 7^5
Io soD quel dalle fratta del mal orto ,
Che qui ripreudo dattero per figo.
O, dissi luì, or se* tu ancor morto? 121
Ed egli a me : come il mio cor[)0 stea
Nel mondo su, nulla scienzìa porto .
Cotal vantaggio ha questa Tolommea, 1 14
e della cagione dì cotal soprannome vedi la nota al y. i o3. del
passato canto zxiii.
itg Io san quel dalle frutta ec. Allegorìa allusiva al detto
tradimento di Alberigo: e furono veramente di mal orto tali
fimtta. — dalle frutta con la Nidob. leggevano l'Aldina e, a
quanto veggo 9 tutte le antiche edìs. Agli Accad. della Cr. è
parso <U dover seguire la lezione di pochi testi, delle frutte
( •-►che è pur quella del Vat. 3 iQQ'*-* ) 9 credendo che non si
trovi frutta nel numero del più. Vedi però 9 lettore, il Vo-
cab. aella Cr., che sotto la voce Frutto ne reca gli esempj.
I ao riprendo , ricevo 9 dattero per figo : prosiegue Tali ego •
ria 9 e vale quanto abbondante contraccambio 9 per essere il
dattero un frutto pii del fico pregiabile • figo per ftco 9 antitesi
a cagion*dellarima9 e ad imitazione fors'ancne di alcuni italiani
dialetti che figo pronunziano, come il veneziano e il lombardo.
lai ^tt ancor f tu pure 9 intendi, come lo sono questi altri*
Fa il Poeta questa dimanda 9 perocché crede vaio 9 com'era in-
fatti 9 ancor vivente. a-^Per dai*e una segnalata idea (osserva il
sig. Poggiali) del particolar rigore 9 col quale la divina giustizia
vendica questa qualità di tradimenti 9 suppone Dante che l'ani«
ma di questi traditori sia stata precipitata nell'lnrem09 com-
messo appena Patroce misfatto 9 subentrando nel loro corpo
un demonio che lo anima fino al termine già loro prescrìtto
di vita.4-c
I aa come il mio corpo stea 9 cioè se sia vivo o morto, ^stea
e dea (t^. ia6.) invece di stia e dia trovansi da buoni antichi
scrittorì adoperati anche in prosa; ma ora sono dimessi [aj.
1 a3 porto • Portare per attere 9 come diciamo comunemen-
to portare opinione in luogo di attere opinione .
I a4 Cotal vantaggio 9 detto ironicamente invece di cotal
fa] 'Vedi Mastrofiut» Teoria e Prospetto de verbi italiani, notio il ver-
bo Stare, n. i6.
15-
^^6 INFERNO
Che spesse volte TaDima ci cade,
IrinaDzr cli'AtrojK>s mossa le dea .
E , i)erchè tu più voleniier mi rade
Le 'nvetrìate lagrime dal volto,
Sappi, che tosto che l'aDima trade,
Come fec'io, il corpo suo Tè tolto i3)
Da un dimonio, che poscia il governa,
Mentre che ì tempo suo tutto sia volto.
Ella ruina in siffatta cisterna: i33
di sgrazia ^ B^e crudele ironia la chiama anche il Biagìoli.
Ala gli Editori bolognesi non sanno scoi^ervi questa ironìa, e
spiegano : questa Tolommea ha cotal soprappià , adifferenza
dalle altre sfere.-ln egual modo chiosa anche il P(^giali.«4
(juesta Tolommea j questa porzione d'Inferno appellata Tolom-
tneoj da Tolorameo, Re d'Egitto, traditore dì Pompeo Magn<
che era a lui ricorso dopo la rotta di Farsaglia ; o da Tolom-
meo, genero di Simone Maccabeo, che uccìse per tradimealj
il suocero e due suoi cognati andati da lui ad alloggiare.
126 ci equivale a qui {a\,
1 26 Atropos , una delle tre Parche , quella che , reddenù >
il vital filo, dà la morte all'uomo; nel dar la quale dà mossa
all'anima verso l'eterno suo destino.
lay al i32 trade per tradisce ^ come dicesi comnnemeDtr
appare per apparisce , — Mentre vale fino a eh e. -^ il iemj-
sitOj il tempo che doveva star con l'anima. »-► Mii^bile <k't-
trina si nasconde sotto queste parole, essendo intendimento ic<
Poeta di darci una lezione di grande importanza pel riposo del-
le rnmiglie e di tutta la società. Questa si è che Taomo, chr
s*è una volta insozzato e tinto di tradimento, non è piii nomo,
e perciò pronto ad ogni occasione a qualsivoglia scelleratezza.
s<!ntimento verissimo, perchè, come dice Boezio, chi lascU
la probità non è più uomo . E chi più del ti^aditorc dalla piv-
bìtà s'allontana? 6iagioli.<«-«
l'.V.^ in siffatta cisterna ^ in questo infemal pozzo j cc-a
appellato nel canto xxxi. v. 33.
[a] Vedi il CiuoD. Parlic. 4^« e 4*
CANTO XXXm. 7^7
£ forse pare ancor lo corpo suso
Dell'ombra, che di qua dietro lui verna.
Tu '1 dei saper, se tu vien pur mo giuso: i36
Egli è ser Branca d'Oria^ e son più anni
Poscia passati ch*el fu sì racchiuso.
Io credo, diss'io lui, che tu m'inganni; iSq
Che Branca d'Oria non morì unquanche,
E mangia, e bee, e dorme, e veste panni.
Nel fosso su, diss'ei, di Malebranche, i43
Là dove bolle la tenace pece.
Non era giunto ancora Michel Zanche,
Che questi lasciò un diavol in sua vece ìJ\5
i34 lìojorsej Don avendo scienza neppur del proprio cor-
po (f^. ia3.) e molto meno dell* altrui , -^ pare per vedesi ^
— suso, nel mondo. — DelVombra^ di quest'anima, — che
di qua dietro mi verna j che sta nel verno, nel ghiaccio, di
qua dietro a me.
1 36 pur mo , ora solamente. — giuso , dal mondo .
i37 i38 ser Branca d^Oria^ Genovese, il quale uccise a
tradimento Michel Zanche, suo suocero, per torgli il Giudi-
cato di Logodoroin Sardegna. Volpi. ■-♦Di costui si è parlato
sopra alla nota del e. xxii. u. 88.4-v e son ec, e più anni sono
passati dopo che fu egli si raccJiiuso , così serrato e stretto,
corneo, in questo ghiaccio.
i4o unauanche^ mai.
143 \^i fosso di Malebranche j^-doi^e ec, luogo d'Infer-
no, dove punisce Dante i barattieri; e tale lo appella dal no-
me di Malebranche che dà ai demonj che a quello presieg-
gono. Vedi Inf. canto xxi. 3^., e xzii. 100.
i44 ^chel Zanche , V ucciso proditoriamente da ser Bran-
ca d'Oria, messo egli pure dal Poeta nell* Inferno tra i barat-
tieri. Vedi canto zzii. 88.
■ 4^ questi f Branca d'Oria, lasciò un dias^oly la Nidob.;
lasciò 7 dia%H>loj l'altre edizioni, ■-►e l'Ang. E. R. e il cod.
Vat. 3 199;4-« ma la Nidob. accorda meglio col detto di sopra,
il corpo suo rè tolto '^Da un dimenio^ %nf. i3o. e i3i.
7x8 INFERNO
Nel corpo suo, a d'un suo prossimaoo,
Che 'J tradimeato insieme con lui fece •
Ma distendi oramai in qua la mano , 1 48
Aprimi gli occhi, ed io non gliele aj^ersi,
E cortesia fu lui esser villano .
Ahi Genovesi, uomini diversi i5i
D'ogni costume, e pien d'ogni magagna!
Perchè non siete voi del mondo spersi ?
Che col peggiore spirto di Romagna i54
Trovai un tal di voi , che , [)er sua opra ,
In anima in Cocito già si bagna ,
Ed in corpo par vivo ancor di sopra.
1^6 prossimanoj congiunto , parente: dicono essere state
un suo nipote che l'aiutò all'atto proditorio. Vivrumi.
1 49 1 5 o gliele lo stesso theglieiL Vedi Cinon. Panie. 1 1^ i .
«-►11 Vaticano 3 199 legge, non li Capersi. ^^ '-cortesia fct
azione giusta ^ dottata, sì per riguardo alla divina ginstiiiif
che per riguardo al di lui merito j non si meritando fede diì
la fede tradisce, m^fua luij l^ge l*Ang. E. R.4hì
i54 peggiore spirto di Romagna ^ firate Alberigo, pcn)c-
che, com*è detto, fu di Faenza, città di Romagna.
1 55 Troifai per intesi trottarsi j - un tal di vai^ aer Bran*
ca d'Oria, "^per sua opra^ per gastigo dell'iniquo ano ope-
rare.
i56 loy In anima ed in corpo vale fl medesimo ohe eoa
Inanima e col corpo ,* come , per cagion d'esempio, dicesi /mit-
lare in aria brusca invece di parlare con aria brusca, -^i
to , nome di quell'agghiacciato infemal finme. Vedi In£ e
ia3. — di sopra f nel mondo.
CANTO XXXIV.
ARGOMENTO
In questo ultimo canto si tratta della quarta ed ul-
tima sfera del nono ed ultimo cerchio appellato
Giudeccuy dove si puniscono coloro che hanno fatto
tradimento a* lor benefattori i e sono tutti coperti
diU ghiaccio: e nel mezzo di essa v^è posto Lucifero ,
per lo dosso del quale descrive Dante commessi pas-
sarono il centro della terra, ed indi salirono a ri-
veder le stelle.
i^exilla Regis prodeunt Inferni i
Verso di noi ; però dinanzi mira ,
1 a Vexilla Regis prodeunt è il primo verso del sacro inno
che dalla Quesa si canta al vessillo di G.C. , cioè alla croce;
e lo incastra qui Dante a scherno, dee credersi, del superbo
attentato di Lucifero d' uguagliarsi a Dio, e per far maggior-
mente risaltare il di lui avvilimento, e non già per mancanza
di rispetto alle sacre parole, come scrupoleggia il Venturi. —
prodeunt f/erifo di noi ^ si sporgono ver noi. Intende per questi
vessilli le grand' ali di Lucifero • ■-» Quelli a cui non piacessero
le parole latine, che qui ed altrove Dante usa nel suo poema,
leggano ciò che ne scrisse il fiero crìtico anche de'piii celebra-
ti autori, Giuseppe Baretti, nella sua Dissertazione inglese in-
tomo l'italiana poesia contro il Saggio di Voltaire su i poeti
epici: « E d'uopo por mente (die' egli nella versione che di
» questo passo ne lece il eh. sig. Ab. Portirelli ) ad un'altra
M delle particolari bellezze sue ( parla di Dante ), la quale ò
M d*aver egli sparse nel suo poema parecchie parole e frasi , ed
»> anche iutiei'e linee e terzine in puro latino. La qual cosa,
N
73o INFERNO
Disse '1 Maestro mio, se tu 1 discerni.
Come, quando una grossa nebbia spira, 4
O quando Temisperio nostro annotta.
Par da lungi un mulin che 'I vento gira ,
Veder mi parve un tal difìcio allotta: 7
Poi, per lo vento, mi ristrinsi retro
Al Duca mio; che non v'era altra grotta.
n da lui fatta con infinita grazia e convenevolezza y sembrp-
» rebbe forse ridicola in ogni altra lingua vivente; ma nel-
» r italiana y e particolarmente nel poema di Dante, produce
» un vago effetto 9 e aggiugne molta forza e dignità al suo sti-
» le, non solo perchè Dante seppe benissimo scegliere quelle
» parole e frasi latine che hanno una somiglianza di suono
» colle toscane y ma ancora perchè niun' altra vivente lingua
» ha tanla affinità colla latina, quanta ne ha la nostra. Di più
» è da notare , che tutto il latino eh' egli seminò qua e là nel
» suo poema, è tutto preso dai sacri libri, nello stile de* quali
» ha procurato sempre di scrivere. »^-m
3 se tu 7 discernì , se tu vedi lui , cioè il Re infernale , Lu-
cifero •
Sgrossa nebbia spira, O dice spira in luogo di esala y
intendendo essere la nebbia, come la è di fatto, una esala-
zione di vapori dalla terra e dall'acqua , ovvero appropria lo
spirare che è dell' aria alla nebbia , perciocché è daìr aria por>
tata e mossa .
6 7 jPor, comparisce, -* Un mulin che 7 v^ento gira^ un
mulino a vento, che ha ali grandissime • — dificio per edifi-
cio y o per uso o per aferesi , detto anche in prosa vedilo nel
y ocab. della Gr. — allotta per allora pur anche in prosa det-
to vedi nello stesso Vocabolario.
8 Qper lo vento , intendi , per mettersi al coperto del ven-
to. -— mi ristrinsi retro ~Al Duca mio , mi misi dietro alla
schiena di Virgilio. — che \n\ii poiché, — non v era altra
grotta. Grotta per ripa adopera Dante altrove [a] ; qui per
riparo contro del vento, t^^chc non lì er* altra grotta j 1^-
gè il cod. Vat. 3 199. 4-«
[a] Inf. zìi. 110. Piirg. xtii. 45.
CANTO XXXIV. 73i
Già era , e con paura il metto in metro, io
Là dove T ombre tutte erau coverte,
E traspareau come festuca in vetro .
Altre son a giacere, altre stanno erte, i3
Quella col capo, e quella con le piante.
Altra , com' arco , il volto a' piedi inverte .
Quando noi fummo fatti tanto avante, i6
Ch'ai mio Maestro piacque di mostrarmi
La creatura ch'ebbe il bel sembiante,
Dinanzi mi si tolse, e fé' restarmi; ig
1 1 tutte eran coverte. Vale tutte quanto totalmente ^ senza
avere veruna parte del corpo fuor del ghiaccio ; come l'avevano
ciascuna delle tre sopraddescrìtte classi de' traditori. •-» Queste
aoinie sono rinchiuse affatto nel ghiaccio a differenza di tutte
le altre; e ciò per adeguare col maggior peccato il tormento
maggiore . E qui s'ammiri ancora V arte del Poeta d*aver sapu-
to nel luogo stesso, e con un sol mezzo, diversificare , giusta il
più e il meno, i dolorosi effetti di quel supplizio. Biagioli • 4-c
I a come festuca in vetro , come talvolta nel corpo del ve-
tro vedesi racchiuso qualche fuscellino di legno , di paglia, o
d'altra simil cosa.
i3 son a giacere ^ la Nidobeatina »-^e il Vat. 3i99;4-c
stanno a giacere ^ T altre edizioni m-^ e l'Ang. E. R. 4-c
1 4 Quella col capo , intendi sta erta • — e quella con le
piante y parimenti intendi sta erta^ cioè sta coi piedi in alto.
•-► Qual va col corpo y guai va con le piante j variante del
cod. Ang. E. R. 4-«
1 5 inverte , rivolta .
i6 w^ parve j invece à\ piacque y legge il cod. Poggiali « 4-c
i8 La creatura eh* ebbe il bel sembiante ^ Lucifero, pe-
rocché fu Angelo, e tale che, dice il Maestro delle sentenze,
siarmij pei*occhè andavano.
[a] Lib a, dist. 6.
73i INFERNO
Ecco Dite , dicendo , ed ecco il loco ,
Ove convien che di fortezza t'armi .
Gom'io divenni allor gelato e fioco, 22
Noi dimandar , Lettor , eh' i' non lo scrivo ,
Però eh' ogni parlar sarebbe poco .
Io non mori', e non rimasi vivo: ^5
Pensa oramai per te, s'hai fior d'ingc^o,
Qual io divenni, d'uno e d altro privo.
Lo 'mperador del doloroso regno 28
Da mezzo 'I petto ascia fuor della ghiaccia ;
£ più con un gigante i*mi convegno.
Che i giganti non fan con le sue braccia : 3 1
Vedi oggi mai quant' esser dee quel tutto
Gh' a cosi fatta parte si conj&ccia .
20 Dite appella Lucifero , riconoscendo in esso il Pimene ,
Re deirinfemoy da* Gentili appellato anche Dite [aj.
24 9^ Però ec. Perciocché, siccome dice nel suo Canvi-
uioj la lingua non è di quello, che lo 'ntelletto vede^ convin-
tamente seguace. Biagioli.4-c
26 Pensa ornai tu per te, la Nidobeatina; Pensa aramai
per re, l'altre edizioiii, »-^enoi coi codd. VaL 819^, Ang. e
Caet., e colla 3. romana edizione, ad oggetto di evitai^ quel
disgustoso tu per te. «-e/for, avverbio, vale un tantino. Vedi
Int e. XXV. i44* s-^MaU Biagioli lo vuole un sostantivo, die
significa una minima particella del tutto onde si parla, e quasi
un suo elemento. 4-v
27 iTuno e ìT altro priuo; di morte e di vita. Privo di
morte , perchè coli' anima non ancora disgiunta dal corpo ; pri-
vo di vita, perchè rimaso senza Puso de sentimenti . Veittubi.
28 al 33 •-► Lucifero sta in un pozzo, il cui centro è quello
deir uni verso. La circolar parte intema d'esso pozzo è smoal
centro d* un sol masso di ghiaccio, dal quale Lucifero è cinto
intorno intorno ; l'altra metà è tutta di pietra. Da mezzo il petto
[a] Vedi tuUi i Mitologi .
CANTO XXXIV. 733
S'ei fu sì bel, com'egli è ora brutto, 34
£ coQtra '1 suo Fattore alzò le ciglia ,
Ben dee da lui procedere ogni lutto.
in SQ, che è la quarta parte superiore di quell'enorme corpo ,
avanza Lucifero fuori dall'orlo del pozzo 9 nel nostro emispe-
rio ; e dalle ginocchia alle piante y che è il quarto della parte
inferiore del corpo stesso , avanza fuori del pozzo 9 neiraltro
eniisperio. Lucifero è alto braccia 3ooo; adunque la parte del
corpo suo, che sta nascosta nel pozzo > sono i due quarti di
mezzo del tutto 9 ossia braccia i5oo; e tanta è pure 1 altezza
del pozzo. Il centro del corpo di Lucifero, determinato dal
Poeta ai »^. 76. e 77., sta appunto nel centro del pozzo , ossia
dell' universo 1 e però ivi è quello smisurato corpo sospeso .
BiAGiOLi. — L* altezza di statura sopra assegnata dal sig. Bia-
gìoli a Lucifero } ci sembra esagerata, e desunta da calcoli me*
raiaente ipotetici ed arbitrar). Egli è vero però che dal poe-
ma non SI hanno i dati necessari per fissarla con esattezza. Il
Manetti trovò corrispondere quella diNembrot a braccia fioren-
tine 44 » eda essa quella di Luciferone desunse di braccia aooo.
— Il Posali non assegnò a Nembrot che braccia a6 di altez-
za ; per cui y seguendo i computi del Manetti , Luci&ro non sa-
rebbe alto che braccia 1 182. Queste differenze fanno pertanlo
conoscere la difficoltà di poter soddis£u« con precisione a sif-
fatta ricerca. Da ciò che è detto ai tv. 58. al 6b.j e 1 13. e seg.
del passato e. xxzi» , ed ai i^t^. 3o e 3 1 . del presente , ci sembra
che non si possa determinare ( e ciò anche in via di semplice
approssimazione ) che il limile in più dell' altezza di Nembrat ,
ed il limite in meno di quella di Lucifero: l'uno cosi trovia-
mo risultare di braccia 3o ed un terzo, e l' altro di simili 1 000
circa : calcolo che anche il lettore mediocremente in arìmme-
tica esercitato potrà da sé istituire e verificare • <-■ E più ec.
Più io m'accosto alla gi*andezza di un gigante y che non s'ac-
costino i giganti alla grandezza delle sole di lui braccia. «-► Che
giganti j senza V articolo, legge il cod. Vat. 3 1 99. 4-a ogginuù
lo stesso che oramai [a]. — guel tutto ^ quel corpo intero.
— Ch*a così fatta parte ^ a cosi grande braccio, — « co/i-
f accia I corrisponda •
34 al 36 S* ei fu si bel ec. La particella se dee qui valere
[a] Vedi Oinonio Parti e» iS3. 3.
734 INFERNO
O quanto parve a me gran meraviglia , 3;
Quando vidi tre facce alla sua testa!
L'una dinanzi , e quella era vermiglia :
L'altre eran due che s'aggiungien a questa 4*'
Sovresso '1 mezzo di ciascuna spalla.
{ìoichè j perciocché j o simile \a\ , e dee qaesto ristretto ed el-
ìttico parlare intendersi come se più in lai^o detto fosse: ben
si capisce come sia in colui tanta nequizia, che traboccando
cagionasse ogni lutto, ogni miseria e negli Angeli e nc^ uo-
mini , per prava di lui instigazione caduti in peccato edin pe-
na ; perciocché essendo egli stato da Dio adornato di altrettanta
bellezza, ouanta ha ora deformità, invece di essere grato a
Dio di si alto favore, alzò le ciglia ec, rivoltossi superba-
mente contro del medesimo . »-^ Questa spiegazione non è ade-
guata all'intendimento del Poeta, per quanto sembra al Bìa-
gioii, e ne dà questa: « se liucifero fu già si bello, com'egli
Vi è ora brutto, e s'egli fu già sì beato, com'egli fu bello, gio-
» sto è ch'egli sia ora brutto , quanto è di fatto > e che la sua
» miseria sìa proporzionata alla sua bruttezza ,o — Il sig. Sal-
vatore Betti nella 3. rom. edizione ha spiegato questo passo co-
me segue s^eglij essendo sì bello come ora è sì brut io , ttrf-
tauia si ribellò al suo Fattore , com^iene ben dire di' egli
sia veramente la fonte d^ ogni nequizia e drogai danno.
— Una consimile spiegazione troviamo nella E. B. , — e fra le
sopraesposte ci send>ra al certo da preferirsi . 4hi
Sj 0 quanto ec- Costruzione: O quanto gran mera^glia
(per cosa maravigllosa ) ^a/ve a me, m'apparve, mi si pre-
sentò .
37 Vana dinanzi, al solito sito sopra il mezzo del petto.
40 4* s^aggiungien a questa ^Soìtcsso V mezzo, la Ni-
dobcatina; s'* aggiungono a questa ^Sovr* esso ec. , Taltr* edi-
zioni, m-¥c coi codd. Vat. 3199 e Caet. la 3. rom. edizione: e
s^aggiungeano j leg^e l'Ang. E. R. 4-« Sot^resso non vai più
che sottra o sopra [6] ; e che le due facce aggiunte alla dinan-
zi, situate fosseix) sopra il mezzo di ciascuna spalla, Tonle
[a\ Vedine altri esempj presso il CìnontQ, Pai tic, a*i3. i5. [Ir] Vedi U
slesso Ci nonio, Parli e, a3i. i3.
CANTO XXXIV. 735
E si giungieno al luogo della cresta;
E la destra parea tra bianca e gialla : 43
La sinistra a vedere era tal, quali
Vengon di là ove *1 Nilo s'avvalla.
dire che stasse il loro mezzo dove stanno in noi le orecchie .
»-^ Ma dovendo stare a ciò che suonano le parole del testo ,
secondo T interpunzione del Lombardi, da noi e dai piit se-
guita, ci sembra doversi intendere piuttosto, che sul mezzo di
ciascuna spalla cadesse , non già il mezzo di queste due Iacee,
ma sibbene la congiunzione loro coiranteriore. 4-c
4 3 si giungieno f la Nidob.; si giungono f T a Itr* edizioni,
•-♦e col Vat. a 199 la 3. romana .^-v al luogo della eresia; o
vuol dire il medesimo che alle tempia , luogo dove i crestuti
animali hanno la cresta , ovvero suppone che realmente Luci-
fero, come Re deirinfemo, coronato fosse di cresta a guisa di
gallo, e che una sola rotonda cresta circondasse e terminasse
tutte e tre quelle facce [a] • «- ^ Non è da tralasciarsi la va-
riante del cod. Gaet. che legge, al colmo della cresta. E. R.
43 al 4^ ti la destra parea ec. Pei colorì varj di queste
tre facce chiosano gì' Intei-preti vaij vizj, indicati dallappai-i-
scenza nella cute di quelli umori che ciascuna viziosa inclina-
zione suole avere compagni. Pel colore {vermiglio Vm ; pel tra
bianco e giallo Tavarizia ; pel nero (colore di quelle fiicce che
F^engon di là oi^e 7 Nilo s^aut'allay dall'Etiopia cioè, dove
dal mont4f della Luna cade nella sottoposta valle il Nilo [b] )
l'accidia. Lahdiiio. U Vellntello e il Daniello pel colore tra
òianco e giallo non ravarizìa, ma la invidia vogliono intesa.
Quanto a me, parrebbe assai meglio che per quelle tre facce e
colorì s' intendessero le tre parti del mondo , che al tempo del
Poeta sole erano cognite, cioè Europa, Asia ed Affrìca; ad in-
dicare che trae Liucifeix) sudditi da tutte parti dell'universo.
( m^ E a quest'interpretazione s'accosta ^mv il Biagioli. 4-a )
La faccia di vermiglio colore poti^ebb* esprimete gli Europei ,
pei vermiglio che hanno in faccia la maggior parte di essi.
Quella di color gialliccio gli asiatici popoli, per essere ap-
punto il gvan numero di essi di tal colore. E finalmente la faccia
[a] Vedi il Veilulello e il Daniello, [b] Ferrar. Lexic, geogr. ail Lu-
tine mons.
736 INFERNO
Sotto ciascuaa uscivan dae grand' ali, 46
Quanto si con veni va a tant'accello:
Vele di mar qoq vid' io mai colali •
Non avean penne, ma di vipistrello 49
Era lor modo ; e quelle svolazzava
nera gli Affrìcani y per la moltìtadiae dei neri che rAflSrici
tiene. Vi acconsentirebbe altresì la posizione stessa delle tre
facce, cioò della vermiglia inmessO) della jeialliccia a destra^
e della nera a sinistra: ecco in qual modo* onpponendosiscoi
i Poeti neir Inferno dall'Europa, ed avendo nell*atto stesso
dell' obbliqno scendere al fondo compiuto un giro intorno aUs
falda del medesimo Inferno [a] , consiegne cbe il presente luo-
go j onde miravano Ludfero, fosse dalla parte medesima del
Ittf^, onde incominciato avevano la discesa, dalla parte doè
dell' Europa» Essendo adunque Lucifero, come dai discorso
apparisce, vòlto ver loro, veniva ad essere vólto verso IXa-
ropa ; ed, essendo dal centro, in cui stava, vòlto verso Europ»
doveva necessariamente avere l'Asia a destra, e l'Affiìcaa
sinistra. Perciocché, come nel mappamondo apparisce, piii
dell' Europa stendesi V Asia verso oriente , e pia verso po-
nente l'Affrica .
47 a tant* uccello , a si grande uccello. Appella uccello Lu-
cifero per essere alato. — * Il cod. Cass. l^ge, al tristo ac-
cello; ed il Postili, alla parola due grandmali aggiunge: H
sic habebat sex alas<t ut ostendat eum iam passe de ordir-
ne Seraphinorum; riflessicme, come rileva l'Ab. di Cosiamo»
trascurata dagli altri Espositori. E. R.
49 5 o Non atfean^ la Nidobeatina; JVòn ayen^ le altr'edii.
'— vipistrello , colla Nidobeatina e con due codici della biblio*
teca Corsini [£] , leggono il Landino, Vdlutello e Daniello, in-
vece di queiraspro ìdspistrello , che hanno scelto di l^^exe^
Accademici della Grusca.i'i/9tVlre//o è voce ammessa oomuae-
mente ; e dello scambio tra la i/ consonante e la /? n'abbiano
esempj in san^ere per sapere , caiknriolo per capriolo ec* m^vilr
pistrello ha il Vat. 3 1 99 ed anche il Caet^$ i^ispistrello però si
avvicina più al latino {vespertilio.^ A. «hs di vipistrello - Era
lor modo vuol dire ch'erano l'ali di Lucifero fatte di cartili-
[a] Vedi Inf. e. ziv. 137. e quella nota, [h] Seguati 610. e tai?.
CANTO XXXIV. 737
Sì, che tre venti si uioveaa da elio.
Quindi Gocito tulio s'aggelava: 5i
Con sei occhi piangeva , e per tre memi
Gocciava il pianto e sanguinosa bava.
Da ogni bocca di rompea Co' denti 55
gini, al modo di quelle del vìpistiiello. -* si^olazza^Uj dibat-
teva, dimenava.
5i al 54 Sfy che tre venti si mov^ean (niouèn^ altre «tdiz.
diverse dalla Nidob. ■-►« il Vat. Sigg*-»). Come da sci ale si
pi'odaccssero /re i'en/iy per capirlo bisogna supporre cbe ciascun
paro d'ali producesse un vento j e che , come ciascun paro era in
situazione diversa, venissero perciò anche i venti a distinguersi.
•^per tre menti gocciava ec- abbondavano sì le lagrime in cia-
scuna faccia, che pervenivano a bagnare anche il mento, ed a
cader indi mischiate a quella sanguinosa bava ch*usciva dalle Ut;
bocche, divoranti ciascuna, come ora dirà, un peccatore, s-^ll
Toralli al i^. 04* (a osservare la licenza del Poeta nella omissio»
ne di*irarticolo la innanzi sanguinosa, -Un codice del 4oo,che
appartenne allVgregiosig. Paolo Bulla veneziano, e che in adesso
fa parte della rarissima collezione di codici del sig. march. Tri-
\ ulzio, nobilissi ino letterato , legge : e perire menti -*Gocciai^a
al petto sanguinosa bav^a. Questa variante fu notata dal co.Pei^
ticari, e la difese in una sua lettei*a scritta al eh. signor Paolo
Crosta. Airamicizia del sullodato sig. Bulla andiam debitori della
ropìa autentica di tal lettera, della quale or qui ne offriamo
^estratto ai nostri lettori .=:I^a comime lezione ^lafilo è quasi
ripetizione àc\piange%^a; ed è poi duro Ta ver posto quell'af-
fisso al piantoci e l'averlo tolto alla bai'a; il che par fatto per
servigio del metro, dovendosi dire naturalmente: gocciava il
pianto e la sanguinosa bava. Ora la nuova lezione toglie que-
sto neo , e sembra dipingere ancora con piii di evidenza la cosa.
E certo per quella bava che scende per lo petto , e per quel
petto solo posto sotto quei tre menti s'accostano questi versi
maggiormente al fare dantesco. Di vane cose Dante non pone
mai , e mai nulla concede alla prepotente signoria del numero,
t? y come egli dice nel Convito, del legame miisaico,=Kj\ sem-
bra però che ad ammettere questa lezione faccia qualche dif*
fjcoltà ciò che è detto sopra ai vv. ^o. e 4>* Pcrciocdiè, sia
/ o/. /. 47
738 INFERNO
Uq peccatore, a guisa di maciulla.
Sì che tre ne facea cosi dolenti «
A quel dinanzi il mordere era nulla 58
' Verso 1 graffiar, che talvolta la schiena
Rimanea della pelle tutta brulla.
Queir anima lassù ch'ha maggior pena, 6i
Disse '1 Maestro, è Giuda Scariotto,
Che 1 capo ha dentro, e fuor le gambe mena .
Degli altri due, ch'hanno 1 capo di sotto, 64
Quel, che pende dal nero ceffo, ò Bruto:
Vedi come si storce, e non fa motto ^
che il mezzo di queste due facce precisamente risponda a quei*
lo delle spalle , come vuole il Lombardi ; sia die pieghino piut-
tosto al dorso j come alla nota da noi aggiunta ai sopracccitati
versi abbiamo avvertito; nell'un caso e neiraltro la bava da esse
cadente , piii che al petto , gocciar dovrebbe o sulle spalle e sai
fianchi 9 o sulle parti deretane del corpo. ^-«
^6 maciulla , strumento di due legni , l'uno de* anali ha un
canale, in cui entra l'altro , e con esso si dirompe il lino , o b
canapa, per nettarla dalla materia legnosa. Vedi il Vocab. della
Crusca.
58 ^ quel dinanzi y cioè a quello ch'era in bocca alla &>
eia dinanzi. Vedi il f^. Sg.
5g Verso U graffiar ^ a paragone del graffiare.
60 brulla vale spogliata^ Vedi questa voce, al medesimo
senso adoperata da altri, nel Vocabolario della Gr^scra.
61 eh* ha maggior pena; che, oltre d'essere morsa , è aiK
che graffiata.
ga Giuda Scariotto j il discepolo traditore di Gesù Cristo.
64 6j hanno *l capo di sotto , pendono a capo in già. "Bn^
tOf che pone nella sinistra bocca di Lucifero, e Cassio , che
nella destra, furono i due principali de' congiurati alla moite
di Giulio Cesare. Quanta fosse la costoro slealtà ed ingratitu-
dine in cotal fatto, apparisce dallo scrivere di Lncio Fl<»o,
che , dopo ucciso Giidio Cesare, nepublici doloris ocuiosfer*
rentf in pros^incias ab ilio ipsoj quem ocdderantj Coesore
CANTO XXXIV. . 739
£ 1* altro è Cassio , che par sì membruto i ^67
Ma la notte risurge, ed oramai
È da partir, che tutto avèm veduto.
Com'a lui piacque, il collo gli avvinghiai} 70
Ed ei prese di tempo e luogo poste:
E quando l'ali furo aperte assai,
Appigliò sé alle vellute coste: 7 3
Di vello in vello giù discese poscia
Tra 1 folto pelo e le gelate croste.
datas Syriam^ et Macedonianii eoncesserunt [a]. Aveva
inoltre Bruto particolarineiite ricevuto da Cesare il gran favore
d* essere dal itaedesimo adottato per figliuolo [^J»
67 par vale qui i^edesi. — si membruto y perchè dicono es-
sere stato molto complesso e gi*ande di statura. VBLiiVTBi.to .
68 Ma la notte risurge. Accenna il sorgere che faceva la
notte quando entrò neirinferno, come avvisò nel principio del
canto II. dicendo : Lo giorno se n*anda%*a ec.,* e per questi
due passi y e per quelli altri intermedi , vii. 98. » xi. 1 13 ^ xx»
1^4' e '^gK'9 x^i* I la. e segg.y xxix. lo.^ xxxi. 10., rilevansi
impiegate dal Poeta nella visita dell* Inferno ore ventiquattro «
una notte ed un giorno.
70 Cornea lui piacque j\B\e sfacendo allora (fuant* egli mi
comandò^ -«- il eolio gli at^ifihghiai j abbracciai Virgilio nel
collo. «^ Come a lor piacque j legge il Vat. 3199.4^
7 1 di tempo e luogo poste j oppoitunità di tempo e di luo*
So. •-► del tempo loco e poste j legge TAng. £4 R. -^ Qui vuol
ire che Virgilio prese bene colla mente le sue mistti« per co^
gliere il tempo dell' aprìmento delle ali di Lucifero. <-«
73 quando Cali furo aperte assai ^ si che potemmo arri*
vare al busto di Lucifero prima che col chiudere delle ali ci
venisse a percuotere .
73 74 vellute j vellose, pelose ; e dice jdppigliò sé alle vel"
Iute coste invece di dire jippigliò sé ai peli delle coste , o
sopra le coste; e però sieguet di vello in vello ec.
75 Tra 7 folto pelo e le gelate croste • Invece di dire tra
[a] Ber. Rem, lib» 4* e* 7* [^j ^veL lui, Cae$é
74o INFERNO
Quando noi fummo là, dove la coscia r6
Si volge appunto in sul grosso deiranche,
Lo Duca , con fatica e con angoscia ,
Volse la testa ov'egli avea le zanche, «jq
Ed aggrappossi al pel, com'uom che sale,
Lucifero e V pozzo ^ che a guisa di perizoma cerchiava Luci*
fei*o a mezzo il corpo , dice tra il pelo di Lucifero e le gelate
croste^ r incrostatura cioè del ghiaccio che vestiva T interiore
cavità di quel pozzo. Giusta riflessione del dottissimo altre 6ate
lodato signor Ennio Quirino Visconti.
^6 77 Quartdo noi ec. Costruzione: Quando noi fummo
in su 7 grosso deW anche ( sulla prominenza che fanno Tid-
che, ossia tra li fianchi e le cosce) j là appunto dcn^ la coscia
si t^olgCj si piega*
78 con fatica ec, perchè incominciava ad allontanarsi dal
già passato centro della ten:a, che suppone Dante occupa teda
Lucifero col punto medio di sua altezza. »-♦ Descrivendo Dan-
te, dal %f, 74« all' 87. di questo, il suo passaggio pel centro
della terra, suppone, secondo la fisica de* suoi tempi , che nel
centro predetto risieda tutta la forza attrattiva , e che la di lei
azione sui corpi non venga accresciuta , né diminnita col va-
riare delle distanze, ma sia invece molto piii attiva nel puat:>
in cui essa risiede. Però Virgilio con poca fatica discende lon-
ghesso il coi*po di Lucifero; giunto al centro della terra, con
fatica e con angoscia sì capovolge; ed impi^[ando magcrW
forza che non fu necessaria nella discesa, si arrampica sn fn
la coscia di Lucifero stesso sino all' estremità del pozzo. Le
vere leggi dell' attrazione sono ora note ad ognuno ; e perciò
il lettore potrà da sé rilevare gli errori nei quali è incorso il
Poeta nostro, tanto qui che altrove, in tutto ciò che rigoaria
il modo di agire di questa meravigliosa proprietà della mate-
ria . 4-«
79 f^olse latestaecj per risalire dall'altra parte •- con-
cAe^ gambe. »-> « ZancAe sono propriamente quelle aste, sopn
le quali vanno gli spiritelli , per san Giovanni ; e perché allura
e' l'usano per gambe. Dante, volendo significare ^am^,dÌ5v
zanche . » Questo passo del Dialogo sopra il nome della ling^tia
volgare nell' £'/'co/^no del Varchi, è riportato dal Biagioli. «-«
CANTO XXXIV. 74i
Si cbe 'n Inferno io credea tornar anche*
Àttienti ben, che per colali scale, 81
Disse 1 Maestro ansando coni' noni lasso ,
Conviensi dipartir da tanto male.
Poi usci fuor per lo foro d' un siisso ^ 85
£ pose me^in su Y orlo a sedere :
Appresso porse a me T accorto passo,
lo levai gli occhi , e credetti vedere 88
Lucifero com'io Tavea lasciato,
E vidigli le gambe in su tenere .
8 a air84 AttieiUi betiy che ec. Aljiide Dante ài detto di
Virgilio;
« • • » .4 facilis deseensus Averno *
Noctes atque dies patet atri ianua D itisi
Sed revocare gradum^ sUpetasque e%^adere ad autùs §
Hoc opus ^ hic labor est \a\. ^^^ per cotali scale*. II
end. Gaet. legge per siffatte scale ^ che, oltre di piacer pìl
airorecchio, sembra più proprio dell* Autore. E* R.
85 airSy Poi uscì ec* Aggrappandosi ai peli di Liicj^t)) 6
salendo verTaltro emisfero, oltrepassò il cavo sasso « che^ co^
m*è detto i a guisa di perizoma cerchiava Lucifero a meaao il
corpo; e prima di staccarsi Virgilio dai peli del demoniof
fece che Dante si staccasse dal di lui dorso, e si ponesse a se^
dcre su Torlo del medesimo sasso; poi porse raccotto passo
a Dante , cioè 9 con accortezza e cautela di non ricadere in quel
pozzo, stese indietro verso Torlo medesimo anch^egli il passo ^
e su di quello in compagnia di Dante si rimise 4
88 al 90 7b iettai gli occhi y ec. Avendo Dante in quella ^«
ra volta 9 che Virgilio fece , creduto di risalire pel busto di £u*
ri fero 9 e di ritornar tieir Inferno $ immaginava di riveder Lu<*
cifero come prima lo aveva veduto, cioè fuor del posao col ba«
sto e colla testa, e videlo invece fuor del po^zo colle gambe*
Intendendo il chiaro autor degli Aneddoti f recentemente
in Verona dati alle stampe, che l'orlo di quel pozaso, stt del
quale fu Dante posto a sedere ^ fosse più in altOf eda^taii cli#
[t] Jt*tfcU. VI. i«6. «ACgg.
r,^2 INFERNO
E s io diveoDi allora travagliato , 91
La gente grossa il pensi, che non vede
Qual è quel punto ch'io avea passato.
Levati sUy disse '1 Maestro, in piede: 94
La via è lunga, e 1 cammino è malvagio,
E già il Sole a mezza terza riede .
Non era camminata di palagio 9^
Là V eravam, ma naturai burella,
non fossero le piante de' piedi di Lucifero, vorrebbe perciò
che invece di le\fai gli occhi si leggesse chinai gli occhi ^ co-
me dice egli di avere trovato scritto in alcuni antichi testi [al.
g'i Qual è quel punto y legge la Nidobeatina , m^lio dell'al-
tre edizioni cne leggono Qual era il punto; che quel punto è
anche di presente il medesimo. »-» sembrando all'£. B. de-
bole questa ragione, nella 3. ediz. ha restituita la comune le-
sione Qual era ec, che è confortata dairautorità del CaeL e
del Vat. 3i9g.4-«
96 a mezza terza. Dividendosi il giorno in quattro parti
uguali, terza, sesta, nona e vespro, rienR mezza terza 9A es-
sere l'ottava parte del giorno. Come poi avvegna, che avendo
Vii^ilio detto poc'anzi che risui^va la notte (i^. 68.) , dica
adesso che fosse già il Sole a mezza terza , spiegherit in pro-
gresso Virgilio medesimo avvenir ciò per esser eglino passad
di là dal centro della terra; motivo, cioè, pel quale rìsguar-
davano essi il giorno e la notte non più nell'emisferìo nostro
di qua , ma in quell' altro di là , ove appunto nasce il Sole
quando airemìsferio nostro tramonta .
97 camminata di palagio^ cioè laminosa e piana, comenelle
sale e corritoi de' palagi, w^da palagio y legge l'Ang. E. R.4-«
98 naturai burella. Burella^ \foce antica (spiega il Voca-
bolario della Crusca), spezie di prigione , e forse quella che
oggi diciam segreta. Intendesi di qui perchè, a differenza
dello artificialmente dagli uomini si fatto luogo, appelli que-
sta, dalla natura scavata oscura caveiiia , naturai burella . An-
che da buroj anticamente (testimonio il Vocabolario medesi-
[a] Serie d* Aneddoti a. v. pag. «)•
CANTO XXXlV. 743
Ch*avèa mal suolo, e di lume disagio.
Prima ch'io deli* abisso mi divella, loo
Maestro mio, diss'io quando fui dritto,
A trarmi d' erro uu poco uii favella :
Ov'è la ghiaccia? e questi com'è iitto io3
Si sottosopra? e come ia sì poc'ora
Da sera a mane ha fatto il Sol tragitto?
Ed egli a me: tu immagini ancora 106
D'esser di là dal centro, ov'io mi presi
Al pel del vermo reo che 1 mondo fora «
Di là fosti cotanto, quant'io scesi: 109
Quando mi volsi, tu passasti il punio.
Al qual si iraggon d'ogni parte i pesi;
mo ) adoppio per buio , èi capisce perchè addimandata fosse
burella Toscura prigione.
99 al 101 disagio vale qui truuicanza j carestia. • quando
fui dritto y la K ìdobealina ; quando fu dritto j Taltr 'edizioni .
102 erro per errore ^ apocope adoprata pur da altri . Vedi
il Vocabolario della Crusca.
io3 al io5 Ove la ghiaccia? in cui aveva poc'anzi veduti
fitti i traditori : e sì questa cbe le due altre difficoltà nascono
dair ignorare di aver passato il centro della teiTa, e dalTesser
persuaso che, per la detta giravolta fatta da Virgilio, tornato
fosse indietro .
108 vermo. »^ Anche Fra Guittone in un sonetto disse:
Spezzar la fronte al fero vermo e reo y
cioè al Demonio. E. F.«-« Quanto alla sproporzione che il
Bulgarini oppone (e non disapprova il Venturi) all' applica-
zione di cotal voce a simili mostri , vedi ciò ch'è detto laf. vi.
2 a. — che '/ mondo fora (il mondo dice invece della terra) ^
che fa l'interno della terra esser forato 1 esser bucato. Vedi
pili sotto ft^. 1 2 1 . e segg.
109 al III cotanto vai tanto tempo [a]. — punto ^ — u4l
qual ecy vuol dire il centro della terra 9 il centro de* gravi.
[a] Vedi Ciuooìoy Partic, 67. a.
744 INFERNO
£ se' or sotto remisperio giunto, t ti
Ch* è opposito a quel , che la gran secca
Coverchia, e sotto 1 cui colmo consunto
Fu l'uom che nacque e visse senza pecca. 1 15
Tu hai li piedi in su picciola spera.
Che l'altra faccia fa della Giudecca.
Qui è da man, quando di là è sera: 1 18
£ questi , che ne fé' scala coi pelo ,
Fitto è ancora si come prima era .
Da questa parte cadde giù dal cielo: m
1 13 al 1 15 Ch*è apposito^ la Nidob.; Ched è opposto ^ TJ-
tr'edizioni ( •-►e il Val. 3 igg. 4-« ) '-*Ch'è contrapposto , i co-
dici CaeU e Poggiali. E* R. •-¥ Clied è opposto a quel^ che
là *n secca -Coy^erchia , ec, legge il Vat. 3 1 99. <-m a quel, che
la gran secca-- Coverchia j a queir altro emisperio , a quel-
l'altra metà della celeste sfera che copre la gran secca ^ la
gran Terra. Secca appella la Terra , allusi vameute airappella*
zione datale da Dio nella Genesi : Et t^ocavitaridamterram [a]j
e grande appella la terra sotto remisfcrio nostro per rapporto
alla picciolezza di quella sottoposta airemisferio di là, la qoale^
secondo il sistema di Dante , restrìngesi tutta nel solo monte del
Purgatorio , e d* intomo non ha che mare [b] • — sotto il ad
colmo j sotto il cui più alto punto, sotto il cui mezzo, -cofi*
stinto (per crocifisso j ucciso) "Fu fuom che ec, Gesù Cri-
sto ; e ben dice consunto -/^u Vuom , ad indicare morto Gesii
Cristo solamente come uomo* Intendendo poi il Poeta che il
monte del Pm^atorio, sotto del quale allora trova vasi, fosse aiH
tipodo a Gerusalemme [c\ , veniva certamente il punto di qae«
sto emisfero nostro, che a Gerusalenlmc sovrasta , ad essere,
per rapporto a lui colaggiii, il colmo ^ il piii alto punto.
1 16 117 Tu hai li piedi f la Nidobeatina; Tu haii piedi ^
l'altre ediz. ( •-♦e il Vat. 3 igg.'^-» ) - su picciola spera ^^^Che
Valtra faccia fa della Giudecca , Giudccca , da Giuda Sca-
riotto , il traditore di G. C, denomina la circolar porzione del*
[a] Cap. I. V, 10. [&] Vedi , taf. xxvi. 1 33., ciò eli 'è detto in quelli noia.
[e] Purg. e. n. V, i.e segg.
CANTO XXXIV. 745
E la terra, che pria di qua si sporse,
Per paura di lui fé' del raar velo/
£ venne airemisperìo nostro; e forse, i 24
Per fuggir lui, lasciò qui il luogo vólo
Quella chiappar di qua^ e su ricorse.
Pagghiacciato G)cito tra la Tolommea, detta nel passato can*
to, vej'so i?.4*9 ^ il pozzo di Lucifero; porzione) in cui l'om-
bre di quelli che hanno tradito i pn)prj benefattori tulle eran
coperte y -/? trasparenti come festuca in vetro (1^. 1 1. e la-
del presente canto). Come poi un rotondo pezzo di tavola ha
due circolari facciate ; cosi intende Dante che il circolar suolo
della Giudecca, oltre la facciata dalla paiate de* dannati, altra
uguale facciata avesse al di là del centro della terra ^ e che tale
altra facciata formassela appunto il circolar suolo » su del quale
stava egli allora • Picciula essendo la Giudecca rispetto alle al-
tre infernali bolge 9 picciola perciò appella anche questa spe^
ra y "Che Paltra faccia fa della Giudecca»
I '2Vt che pria di qua si sporse i che prima che costui cades-
se, sporgevasi di qua, alta essendo più del mare,
1 33 1 24 fendei mar vetof fuggi sott*acqua. "^Evenne al^
Femisperio nostro . Intende che dapprima non fosse terra che
di là y e che di qua non fosse altro che mare; e vuole, credo,
con ciò indicare il soverchiamento che il peccato di Lucifero
ha veramente al mondo cagionato. «-^Questa immagine bella e
gi*ande della terra che, spaventata dall'orrenda vista di quel
mostro, fassi velo delle acque, è ben degna di Dante, e so-
pra ogni lode. Bugioli.4-«
120 I a6 lasciò qui il luogo ec. Costruzione : Quella ch*ap^
par di qua (quella terra, che sotto quest'altro emisfero appa-
risce, si sporge fuor del mare, la montagna cioè del Purgato-
rio) per fuggir lui lasciò qui il luogo vóto ( quel luogo, in
cui si trovavano i Poeti attualmente al di là dal centro, e per
cui , come appresso dirà, ascesero a riveder le stelle )j e su
ricorse^ cioè, dopo ch'ebbe corso in giii verso il centro, ca-
d(*ndo dal cielo Lucifero e giungendo colà, ricorse in su, e
formò la montagna del Purgatorio.
Il Daniello e il Vfjituri voiTehbero che si leggesse Quella
cliappar di là. Ma la di //?, rispetto al luogo in cui è Virgi-
746 INFERNO
Luogo è laggiù da Belzebù ri moto ti^
Tanto ^ quanto la tomba si distende,
Glie non per vista, ma per suono è noto
D'un ruscelletto, che quivi discende ilo
Per la buca d' un sasso eh' egli ha roso
Col corso, ch'egli avvolge, e poco pende.
Lo Duca ed io per quel cammino ascoso 1 33
Entrammo, per tornar nel chiaro mondo;
lio che parla , sarebbe airemisfero nostro ; e ricorrendo la teira
airemisfero nostro j ricorrerebbe , rispetto a Virgilio medesiiiiOf
giùp e non, come dice, su. m-*in su, legge TAng. E« R.«-«
1 27 al 1 3a Luogo è laggiù ec. Di sopra ha parlato Virgi^
lio eoa Dante) ora parla Dante con noi : e concisamente descri-
vendoci la caverna , per la qaale risalì alla superficie della terra
ili queir altro emisfero , dice «sservi colaggiiif al di sotto del
ten*estit? centro 5 un luogOy uu vóto f tanto da Belzebù rimoto*
tanto al di là da Lucifero [12J steso 9 quanto si distende , quanto
è alta al di qua, la tomòa, la sepoltura d'esso Belsebù, cioè
il descritto Inferno: ed aggiunge non essere cotale caverna •
per la sua oscurità , nota airocctiio , ma solo all'orecchio, pel
rumore di un ruscello 9 <Jie nella superficie deUa terra apertosi
la via per un sasso 9 scoire in già intomo al lato della caver*
Ila tortuosamente 9 e con poca pei^densa ; a guisa cioè di agiata
scala a lumaca, sicché (intendesi) agiato fo^e il risalire su
per la sponda del medesimo ruscello. #-^11 tortuoso e lento gi-
rare di quel ruscelletto ò meravigliosamente espresso dairin-*
treccio di questo periodo , che par proprio che si vada aggirane
do e serpeggiando dal principio al fine. BiàotoLi. <«-•
1 33 1 34 per quel cammino ascoso ; su la sponda , cioè9 canH
minando, del detto ruscello, -^per tornar^ la Nidob. ; a ri^
tornar j raltr*edizioni; »-^e coi codd.Caet. , Ang. e VaU 3 199
la 3. rom. edizione, avvisandosi TE. R. di conservare al testo
una grazia di lingua, e sfuggire quei due per cosi da presso.
- Dalr ingresso in Inferno all'uscita nell'isola di là, consuma*
rono i Poeti 4^ ore: 24 ^^ spesero dall'entrata neir Inferno al
dipartirsi dalla Giudecca 9 e tre nella scesa da mezzo il petto di
[a] Belzebù così Lucifero appellasi ael Vaogelo» Malt. la. p* a4*
CANTO XXXIV. 747
E, senza cura aver d*alcuQ riposo,
Salitnoio su, ei primo ed io secoado, i36
Taaio ch'io vidi delle cose belle,
Che porta 1 ciel, per un pertugio tondo:
E quindi uscimmo a riveder le stelle.
l^ucifero al centro ; quindi impiegait)no ore a 1 nella salita dal
centro terrestre all' isola del Purgatorio. Dante non ci dicen-»
do niuna delle cose che parlarono i Poeti per tutto quel trat-
to, s*ha a credere che Virgilio gli lasciasse quel tempo per
riandar col pensiero le cose vedute ; e cosi volle forse darci ad
intendere cnCi dopo aver considerati i partlcolaiì dei di velasi
vizj» deve il pensiero trascorrere di nuovo il tutto insieme, per
meglio riconoscerne r orridezza. Biagioli. 4-«
i36 al 189 Salimmo suj ec. Costituzione : Ei primo ed io
secondo tanto salimmo f che per un pertugio tondo ( posto»
intendi, in cima a quella rotonda caverna) io yidi delle cose
belle j che porta il ciel; alcuna, cioè, delle belle cose, de'bei
corpi che il cielo porta seco in giro. — a risieder le stelle ^
all'aperto cielo. »^ Questi ultimi versi cominciano a spirare
una certa soavità, che si sente nell'anima , e la prepara a quella
dolcezza, della quale, siccome sin qui di tristezza, sarà dal
primo air ultimo verso della seguente canzone inebbriata, Bu-*
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Fine del Volume Pribio
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