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Full text of "La Divina Commedia"

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THE  NEW  YORK  PUBUC  UBRARY 
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LA 


DIVINA  COMMEDIA 


DI  DANTE 


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^ya/i7}~t  yi/i'a/^rr^,'^'' 


LA  DIVINA 


DI 
COL  COMENTO 

DEL  P.  BALDASSARRE  LOMBARDI 

M.  G> 

ORA  NUOVAMENTE  ARRICCHITO 

DI  MOLTE  ILLUSTRAZIONI 

EDITE  ED  INEDITE 


.      VOLUME  I. 


FIRENZE 

PER   LEONARDO  ClARDETTl 

1830 


AL   CHIARISSIMO 


LEOPOLDO  CIGOONARA 


G&l  lMVI)]&lt 


jy/eWoi 


offerirvi  questi  Volumi  ^  né  quali 
è  compreso  quanto  in  volgar  Lingua  det- 
tò la  dii^ina  mente  delVAucuiERiy  noi  ere-- 
diamo  j  Veneratissimo  Signor  Conte  ^  di 


tributare  il  maggiore  omaggio  che  nói 
possiamo  alla  vostra  celebrità .  Ninno 
ignora  quale  splendore  accrebbero  ed 
alV  illustre  nascita  ed  alle  dignità  soste- 
nute V  opere  vostre  immortali  y  di  cui  si 
onora  altamente  V  Italia  nostra^  per  avere 
in  esse  a  suo  maggior  lustro  mostrato 
quanto  possa  il  vostro  sublime  ingegno 
sulle  belVArtiy  le  quali  avete  talmente  e 
fecondate,  e  promosse ,  e  nobilitate ,  che 
ne  sarete  dolici  piii  tarda  posterità,  sic- 
come da' vostri  contemporanei y  onorato, 
quale  restauratore  e  maestro.  Scegli  è 
difficile  a  piìi  assennati  distinguere  qual 
sia  maggiore  nelle  vostre  Opere  o  la  for- 
za deir intelletto,  o  la  squisitezza  del 
gusto  j  o  la  vastità  deW erudizione,  muno 
certo  pub  dubitare  che  la  nervosa  e  nel 
tempo  stesso  gentil  ìnaniera  d'esprimervi 


non  si  formasse  nel  meditare  e  rivolgere 
gli  esemplari  di  quel  Divino  ^  dal  quale, 
sono  già  cinque  secoli  y  prendono  Ièna  per 
segnalarsi  e  poeti  y  e  artisti ,  ed  oratori , 
e  filoso/i .  j4  niuno  dunque  tal  opera  piii 
si  doveva  che  a  Voi.  E  poiché  nulla  noi 
trascurammo  perchè  la  nostra  Edizione 
riuscisse  y  come  non  inferiore  ad  alcuna 
per  proprietà  tipografica  ,  così  superiore 
a  tutte  e  per  ingenuità  di  lezione  e  per 
copia  d'illustrazioni y  piacciavi y  Signor 
Conte  Veneratissimo  y  accoglierla  y  e  per 
sostenerla  con  l^ autorità  d'un  gran  no-^ 
mcy  e  per  averla  a  dimostrazione  di 
queir  altissima  stima  y  che  abbiamo  e 
avremo  sempre  l'onore  di  professarvi . 


AVVISO 


DEGLI  EDITORI  FIORENTINI 


Lea  migliore  Edizione  delta  DIVINA  COMMEDIA 
è  certamente  quella  intrapresa  in  Padoua  dalla  tipo'^ 
grinta  della  Minerv^a.  Noi  dunque  non  potevamo  pren-* 
dere  miglior  consiglio  ^  che  riprodurla  quale  fu  pubbli^ 
cata .  j^d  utilità  peraltro  degli  Eruditi  aggiungeremo  nel 
quarto  Volume  le  altre  Opere  del  divino  ALIGHIERI  > 
non  solo  in  rima  come  le  Canzoni  e  i  Sonetti  ^  ma  in 
prosa  eziandio ,  quali  sono  il  CONVITO  e  la  VITA 
KUOVA,  secondochè  furono  recentemente  ridotte  a  mi^-^ 
gliore  lezione. 


•i 


l 


VII 


PREFAZIONE 


DEGLI 


EDITORI  DELLA  MINERVA 


JXaTvivato  essendosi^  per  buona  ventura^  in  que* 
sii  ultimi  tempi  T amore  allo  studio  de' grandi  e  più 
pui|[ati  scrittori  del  nostro  bellissimo  idioma  y  e  da* 
tasi  per  ciò  appunto  la  italiana  gioventù  a  leggere 
con  molta  applicazione  le  immortali  Cantiche  del- 
l'Alighieri ,  che  sono  il  monumento  più  splendido 
della  nostra  gloria  letteraria  ^  e  la  più  ricca  sorgente 
di  ogni  bellezza  di  lingua  e  di  poesia,  abbiamo  cre- 
duto che  molto  vantaggio  airavanzamento  delle  buo- 
ne lettere  si  sarebbe  per  noi  recato^  se  avvenuto  ci 
fosse  di  procurarne  una  edizione ,  la  quale  per  la  esat- 
ta emendazione  del  testo,  e  per  tutte  quelle  dichia- 
razioni che  ne  rendessero  più  facile  la  intelligenza 
e  utilissima  la  lettura ,  dovesse  riuscire  in  modo  di 
andare  non  solamente  del  pari  colle  migliori  com- 
parse finora  alla  luce ,  ma  di  meritarsi  ben  anche  so«* 
pra  tutte  la  preferenza  • 

Con  tale  divisamento  si  esaminò  attentamente 
da  noi  tutto  ciò  eh' erasi  adoperato  dai  più  reputati 


tlll 

Editori  della  divina  Commedia  per  conseguire  e  Tuno 
e  r  altro  de 'due  fini  suddetti;  e,  compiuto  siffatto 
esame^  abbiamo  giudicato  ^  che  sebbene  alcuni  di 
loro  non  sieuo  rimasti  molto  indietro  della  nobile 
meta,  e  che  i  lavori  di  tutti ^  insieme  considerati, 
contengano  forse  poco  meno  di  quanto  desiderare  sì 
possa  intomo  a  tale  argomento,  ciò  nonpertanto  a 
niuno  era  toccata  la  sorte  di  appagare  interamente 
le  brame  degli  studiosi  del  divino  Poema ,  e  che  ri- 
maneva tuttavia  a  noi  pure  lieta  speranza  di  trarre 
a  buon  esito  il  nostro  proponimento. 

Colla  persuasione  di  nonesserci  ingannati  in  tale 
giudizio,  abbiamo  senza  più  posto  mano  al  lavoro, 
del  quale  rendiamo  qui  ragione  ai  cortesi  Lettori . 

Ad  ottenere  il  fine  propostoci  nella  emenda^ 
zione  del  testo,  il  quale,  a  malgrado  delle  grandi 
cure  degli  Accademici  della  Crusca  e  di  più  altri 
dotti ,  rimane  tutt<H*a  difettoso  in  alcuni  luoghi  e  di 
assai  controversa  lezione,  il  metodo  più  opportuno  e 
più  certo  sarebbe  stato  quello  dì  collazionare  tra  loro 
le  prime  e  più  pregiate  edizioni,  i  preziosi  codici 
della  ricca  collezione  trivulziana,  e  gli  altri  mol- 
tissimi sparsi  per  la  nostra  Italia  e  per  le  nazioni  stra- 
niere, e,  istituitone  confronto  diligentissimo,  colla 
scorta  infallibile  della  saggia  critica  e  del  buon  gu- 
sto nel  fatto  della  lingua  e  della  poesia ,  e  coU'aiuto 
insieme  di  quanto  i  letterati  hanno  finor  pubblicato 
intomo  ad  un  tale  soggetto,  fermare  una  lezione  cosi 
emendata  e  corretta,  che^  se  non  rendesse  intera 
Tautografa  smarritasi  sventuratamente  fin  quasi  dal- 


IX 

la  morte  dell'Alighieri,  toccasse  almeno  quella  mag- 
gior perfeziona  a  cui  giugnere  si  potesse  >  e  in  modo 
da  mettere  un  ultimo  termine  alla  speranza  di  emen- 
dazioni ulteriori. 

Ma  questa  via  non  potendosi  da  noi  correre  e 
per  mancanza  del  tempo  e  de' mezzi  a  tal  uopo  ne- 
cessari ,  e  più  ancora  perchè  sarebbe  stata  impresa 
superiore  alle  nostre  forze,  a  conseguire  nel  miglior 
modo  Tiiiteuto  da  noi  bramato  non  ci  restò  phe  di 
sc^liere,  fra  le  diverse  lezioni ,  quella  che  finora  me- 
ritato avesse  i  maggiori  suffrag)  de^dotti,  e  adottan- 
dola pel  nostro  testo ,  soccorrerla  di  utili  emenda* 
ziooi^  e  riprodurla  più  netta  che  per  noi  si  potesse  dai 
tipografici  errori . 

Abbiamo  pertanto  ^  senza  punto  esitare,  prefe- 
rita ad  ogni  altra  la  Nidobeatina,  cosi  denominata 
perchè  pubblicatasi  la  prima  volta  in  Bflilano  nel  1 478 
per  (fura  di  Martin  Paolo  Nidobeato^  e  come  fu  già 
riprodotta  dal  celebre  P.  Lombardi  •  £  seguendo  que- 
sta lezione ,  coli' aiuto  di  ottimi  codici  e  delle  più  ac- 
creditate edizioni  abbiamo  escluse  alcune  pocJie  le^ 
ùooi,  per  sostituirne  altre  che  ci  parvero  migliori^ 
usando  però  sempre  di  que' sommi  riguardi,  co'quali 
devesi  procedere  in  aimìglianti  lavori,  e  rendendo 
nelle  note  per  noi  aggiunte  alle  diiose  la  ragione  di 
ogni  nostro  benché  minimo  mutamento  al  testo  pub- 
bUcato  da  quell'illustre  Cementatore. 

£  in  questa  parte  vorremmo  essere  stati  anco- 
ra più  ritenuti  che  per  avventura  non  fummo ,  con- 
tentandoci di  esporre  nelle  sole  note  il  sommesso  no- 


atro  parere  ogni  yolta  che  poteva  insorgere  il  pia 
lieve  dubbio  intomo  la  preferenza  da  accordarsi  alle 
nuove  lezioni;  perciocché ^  cosi  adoperando  (i),  non 
avremmo  sostituito  nel  testo  ^  al  u.  6o.  del  canto  II* 
dell'Inferno,  al  ntoné/o  della  Nidobeatina  la  voce  molo 
della  lezione  di  Crusca,  adottata  dal  Yellutello,  se- 
guita e  spiegata  si  bene  dal  Magalotti  e  dal  Poggia- 
li,  e  si  caldamente  sostenuta  dal  fiiagioli  e  dallo  Sco- 
lari. £,  a  dir  vero,  tale  lezione  parve  a  noi  pure 
più  filosofica;  e  trovandola  avvalorata  pur  anche  dal 
codice  Vaticano,  la  credemmo  la  vera  ed  originale. 
Ma  il  passo  era  già  fatto  quando  comparve  in  luce 
il  quintp  volume  della  Proposta,  in  cui  trovammo 
la  lezione  Nidobeatina  rivendicata  e  difesa  dal  eh. 
cav.  Monti  con  tale  apparato  di  belle  ragioni  da  non 
lasciare  più  alcun  dubbio  intomo  alla  preferenza. 
Altrettanto  dobbiamo  dire  della  voce  eterna  del  v.  8. 
del  canto  UI.  dell'Inferno,  da  noi  pure  introdotta 
nel  testo  invece  della  etemo,  che  vuoisi  intendere 
detta  avverbialmente,  sebbene  anche  la  prima,  ri- 
ferita alla  porta  dell'  Infiemo ,  e  convenga  egualmente 
bene  a  tutto  il  concetto  della  intera  sentenza,  e  si 
possa  difendere  con  sode  e  forti  ragioni.  Ma  fatti  per 
ciò  più  cauti,  nel  progresso  del  nostro  lavoro  ci  sia- 
mo astenuti  quasi  sempre  dall'alterare  la  lezione  se- 
guita dal  Lombardi ,  anche  ove  il  nostro  giudizio  ci 
suggeriva  di  poter  renderla  migliore;  restringendoci 

(i)  Noi  abbiamo  folle  queste  dae  correzioni»  restitoendo  con 
la  Nidobeatina  al  testo  le  yoci  mondo  ed  eterno.  (Gli  Editori  fio- 
rentini, ) 


XI 

a  qae'^li  cambiamenti  che  si  reputarono  assoluta- 
mente necessari  per  la  maggiore  intelligenza  del  te- 
sto, e  registrando  nelle  nostre  note  tutte  quelle  va- 
rianti lezioni  che  possono  essere  utili  per  qualche 
modo  agli  studiosi . 

Tali  varianti ,  oltre  quelle  del  testo  di  Crusca 
notate  dallo  stesso  P.  Lombardi ,  si  trassero  per  noi 
dalle  seguenti  edizioni  della  divina  Commedia ,  cioè 
da  quella  procurata  dal  Poggiali,  Livorno  1807,  dal- 
le due  del  De-Romanis,  Roma  1815-17  e  i8ao  in 
corso,  e  da  quella  del  Biagioli,  Parigi  1818;  e  pro- 
vengono tutte  da  sette  codici  riputatissimi ,  de'  quali 
diamo  qui  breve  notizia  • 

n  primo  si  è  lo  Stuardiano,  appartenente  a 
Milord  Stuart,  segnato  del  i3oo,  esaminato  dal  sig. 
Biagioli,  che  più  e  più  varianti  di  sommo  pregio  ne 
trasse,  le  quali  sulla  fede  di  lui  si  sono  a' loro  luo- 
ghi da  noi  riportate. 

U  secondo  è  quello  che  fu  del  sig.  Gaetano  Pog- 
giali, anteriore ,  per  quanto  egli  ne  scrisse,  al  1 33o, 
0  di  quel  torno .  Abbonda  di  lezioni  assai  commen- 
dabili, e  potrebbe  servire  a  migliorare  molti  luoghi 
del  Poema ,  cosi  riguardo  al  sentimento  che  alla  ver- 
sificazione . 

n  terzo  si  è  il  Cassinese,  ossia  della  biblioteca 
dì  Montecassino,  anteriore  al  i368,  e  però  scritto 
prima  del  comento  di  Benvenuto  da  Imola .  È  pre- 
giatissimo, e  venne  illustrato  dal  P.  Abate  di  Co- 
stanzo con  una  lettera  che  si  vedrà  riprodotta  nel 
quinto  volume  della  presente  edizione. 


XII 

n  quarto  è  Vjingdico^  e  trovasi  nella  biblio- 
teca Angelica  di  Roma,  T.  6.  22.  Esso  è  in  carattere 
semigotico I  e  piega  all'ortografia  del  dialetto  roma- 
nesco, o  pugliese,  senza  alterare  punto  la  vera  le- 
zione toscana .  Manca  (  ignorandosi  per  qual  vicenda) 
dell'intera  seconda  cantica,  e,  per  quanto  ne  dice 
il  sig.  De-Romanis,  è  antichissimo  e  correttissimo; 
e  certamente  le  sue  varianti  sono  molto  pregevoli. 

n  quinto  è  il  Caetani ,  posseduto  da  S.  E.  il 
sig.  Don  Enrico  Duca  di  Sermoneta ,  del  quarto  o 
quinto  lustro  del  secolo  decimoquinto,  e  postillato 
in  margine,  per  quanto  si  crede,  da  Marsilio  Pici* 
no,  l^gendovisi ,  come  afferma  il  De*Romanis,  scrit- 
to nell'ultimo  foglio:  Hoc  comentarium  est  Mar  si- 
ili Ficini;  e  molte  ragioni  concorrono  a  metterne 
fuori  di  dubbio  l'autenticità . 

Il  sesto  è  VjintaldinOj  cosi  nominato  da  IT  il- 
lustre suo  possessore  il  nob.  sig  march.  Antaldo  An- 
taldi  di  Pesaro.  Non  è  molto  antico ,  noa  è  cosi  ricco 
di  belle  varianti,  che  si  reputa  qual  copia  fedele  di  uu 
assai  vecchio  e  prezioso  manoscritto .  IjO  varianti  di 
questo  codice  furono  trasmesse  all'editore  Decorna- 
nis  dalla  nobile  sig.  contessa  Gostanza  Monti-Per- 
ticari,  la  quale,  tenera  ed  intelligente  com'è  delle 
cose  di  Dante,  si  adopera  a  favorirne  lo  studio  e  a 
dilatarne  la  gloria.  Ma  le  Poste  avendo  sgraziata* 
mente  ritardato  di  trasmettere  i  cartolari  a  Roma  ^ 
queste  varianti,  riportate  dal  De-Romanis  nella  sud* 
detta  edizione  in  corso,  non  vanno  oltre  il  cantoXKL 
dell'Inferno.  Ha  però  egli  promesso  di  dare  le  man* 


XIII 

canti  alla  prima  Cantica  in  fine  della  citata  edizio- 
ne, e  di  apporre  ai  respettivi  loro  luoghi  quelle  del 
Pui|[atorio  e  del  Paradiso;  e,  ov'egli  tenga  la  sua 
promessa  y  non  mancheremo  noi  pure  di  fregiarne 
questa  nostra  edizione. 

U  settimo  finalmente  si  è  il  famigerato  codice 
Faticano,  segnato  col  numero  8199,  del  quale  fino 
dal  caduto  anno  fu  pubblicata  la  sola  prima  Cantica 
mercè  le  amorevoli  cure  del  novello  tipografo  il  colto 
«g  Luigi  Fantoni  di  Rovetta .  Contiene  molte  e  sin- 
golari varianti,  e  noi  vorremmo  pure  assentire  aU 
l'opinione  di  quelli  che  lo  reputano  scritto  di  mano 
del  Boccaccio  9  offerto  da  questi  in  dono  al  Petrarca , 
e  dal  Petrarca  medesimo  in  alcuni  luoghi  postil- 
lato; ma  gli  errori  de' quali  va  deformato,  le  false 
lezioni  che  spesso  contiene,  i  versi  che  tratto  trat^ 
to  vi  a'  incontrano  di  non  giusta  misura  ,  e  più 
poi  l'osservare  che  la  sua  lezione  non'  corrisponde 
a  quella  de'  versi  che  si  citano  per  entro  il  comento 
a  Dante^  attribuito  comunemente  allo  stesso  Boccac- 
cio, sono-i  principali  motivi  che  ci  fanno  grande- 
mente dubitare  della  sua  autenticità  ;  e  concorre- 
ranno forse  &cilmente  nel  nostro  parere  quegli  at. 
tenti  Iiettori  che  vorranno  esaminare  alcune  delle 
varianti  lezioni  che  da  quel  codice  si  riportarono 
nelle  nostre  note. 

Data  cosi  notizia  de' codici  sopraddetti,  dob- 
biamo anche  avvertire  che  per  le  abbreviature  usa- 
te nelle  nostre  note  di  cod.  Stuard.,  Cass.,  Ang., 

Fol.  I.  b 


XIV 

Caet  ^  Antald.,  yat.>8'iiitenderanno  indicatigli  stes- 
si codici  Siuardiano,  Cassinese^  jingelico^  Cae* 
tano ^  Antvldino  i  Vaticano^  Ed  avendo  proceduto 
nel  detto  modo  per  tutto  ciò  che  riguarda  le  varianti 
lezioni  j  diremo  ora  del  metodo  da  noi  seguito  nella 
interpunzione. 

Per  giovar  meglio  alla  chiarezza  e  alla  più  fa- 
cile intelligenza  del  testo  ^  è  da  noi  creduto  ben 
fatto  di  riformare  quasi  interamente  quella  adottata 
già  dal  P.  Lombardi .  Ci  siamo  attenuti  invece  ^  co* 
me  a  guida  più  sicura,  all'uso  che  ne  fece  il  dUigen- 
l^issimo  sig.  Poggiali,  allontanandocene  però  qualche 
volta  o  quand'egli  pure  si  scostò  dalla  solita  unifor- 
mità ,  o  quando  ci  parve  che  la  troppa  frequenza  del- 
le virgole  potesse  nuocei'e  alla  chiarezza  ed  al  sen- 
timento. 

Non  occorre  di  far  parola  intorno  le  poche  mu- 
tazioni da  noi  introdotte  nella  ortografia,  giaochè 
l'accorto  Lettore  potrà  ccmoaceme  la  ragione  esposta 
nelle  nostre  note. 

Per  quanto  concerne  alle  dichiarazioni  del  te- 
sto ^  due  vie  diverse  ci  erano  parimente  aperte:  o 
Tuna  di  compilare  un  tutto  nuovo  comento,  profit- 
tando di  quelli  che  vennero  finor  pubblicati,  e  di 
quanto  si  avesse  potuto  raccogliere  suU' argomento 
dalle  altre  opere  che  di  proposito  o  per  incidenza 
>spiegano  ed  illustrano  la  divina  Commedia;  o  Tal- 
tiii  di  scegliere  quello  tra  i  comenti  che  ci  fosse  sem- 
brato il  migliore,  riprodurlo  per  intero,  ed  arric- 


XV 

chirlo  per  nuore  illustrazioni .  Alla  prima  questa  se- 
conda via  si  è  da  noi  preferita,  e  perchè  più  certi 
di  offerir  per  tal  modo  ai  nostri  Lettori  un  prege* 
vole  comento  della  divina  Commedia  y  indipenden* 
temente  dal  merito  di  ogni  nostra  aggiunta  ;  e  per- 
chè, seguendo  un  tale  sistema^  ci  riusciva  più  facile 
il  far  conoscere  gli  autori  che  concorsero  in  questa 
nostra  edizione  a  maggiormente  illustrare  il  Poema  ; 
e  perchè  finalmente  in  tal  guisa  abbiamo  potuto  te- 
nerci sovente  dal  proferire  il  nostro  giudizio  sulla 
interpretazione  di  molti  passi  controversi,  riportan- 
do imparzialmente  le  diverse  opinioni  de' Chiosato* 
ri  y  e  lasciando  che  il  Lettore  ne  giudichi  pur  da  sé 
«tesso,  costringendolo  cosi  a  far  uso  frequente  del 
proprio  criterio. 

La  nostra  scelta  cadde  percid  sul  comento  del 
celek'e  P*  Lombardi,  il  quale,  per  comune  consen- 
timento de' veri  dotti,  è  il  migliore  di  quanti  ne 
furono  pubblicati  fino  a' nostri  giorni.  Quel  chiaris- 
simo Gomentatore,  insinuatosi  più  di  ogni  altro  nel- 
\o  pirite  filosofico  ed  istorico  de'  tempi  dell'Alighie- 
rì,  e  nelle  pittoresche  immagini  di  lui ,  giunse  a  ri- 
sarcire molti  luoghi  del  Poema  guasti  o  per  T  incu- 
ria o  per  la  ignoranza  degli  amanuensi ,  a  porre  in 
chiara  luce  parecchi  oscuri  passi  stati  fino  a  lui  dalla 
moltitndine  degl'interpreti  o  senza  veruna  chiosa  tran- 
senniti, o  malamente  spiegati,  ed  a  farsi  il  più  valido 
apologista  contro  que'&stidiosi  e  temerarj  che  ne'  lo- 
ro scritti  osarono  di  censurare  il  grande  Alighieri. 


XVI 

Pubblicato  ch'ebbe  il  Lombardi  in  Roma  nel. 
l'anno  1791  pei  tipi  del  Fulgoni  questo  suo  illu- 
stre lavoro,  riveduto  da  capo  a  fondo  dal  tanto  ce- 
lebre Ennio  Quirino  Visconti ,  i  dotti  ne  presagi- 
rono grandi  cose^  e  riscosse  meritamente  gli  applau* 
si  non  solo  della  Italia  nostra ,  ma  ben  anche  del- 
l'estere e  più  colte  nazioni  •  La  Lombardina  del  1 79 1 
venne  con  favore  accolta  ovunque,  e  con  avidità  ri- 
cercata cosi,  che  ne  mancarono  ben  tosto  gli  esem- 
plari al  commercio  ;  né  v'  ha  ristampa  della  divina 
Commedia  a  quella  posteriore,  per  cui  gli  Editori 
non  siensi  giovati  a  dovizia  di  si  pregiato  comento . 

Due  altre  edizioni  della  divina  Commedia  col 
comento  Lombardi  si  eseguirono  in  Roma  dal  colto 
tipografo  il  sig.  Filippo  De-Romanis.  La  prima,  ni- 
tidamente stampata ,  nel  1 8 1 5-i  7  in  quattro  volumi 
in  4-^^  e  la  seconda  in  8»^  nel  i8ao,  la  quale,  come 
si  avverti,  è  tuttora  in  corso  di  stampa.  Per  questa 
nostra  edizione,  e  come  si  disse  nel  Manifesto  vj 
Aprile  1 81 9 ,  abbiamo  seguita  particolarmente  quel- 
la del  1815-17,  avendo  però  avuto  ricorso  anche  alla 
prima  del  1791  ove  ci  occorse  di  riprodurre  intero 
il  comento  Lombardi,  quando  il  De-Romanis,  per 
dar  luogo  a  nuo\e  chiose,  avealo  tralasciato.  Si  è 
{ktto  pur  uso  della  sovraccennata  del  i8ao,  ia  or- 
dine alle  antecedenti ,  detta  da  noi  terza  romana , 
e  in  cui,  per  opera  dell'egregio  Editore,  oltre  le  va' 
rianti  de*  codici  Angelico ,  Vaticano  8199  e  Antal" 
dino,  si  leggono  altre  nuove  dichiarazioni. 


XVII 

Tutte  le  giunte  al  coinento  Lombardi ,  inserite 
dal  De-Romanis  nella  edizione  181S-17,  si  sono  da 
noi  riportate  in  questa  nostra^  indicandole  coU'aste- 
risco  da  lui  pure  usato.  Ai  loro  luoghi  per  entro  il 
comento  si  collocarono  le  poche  illustrazioni  del  te- 
sto che  si  comprendono  nelle  giunte  raccolte  nel 
quarto  volume  dell'anzidetta  edizione ,  e  sono  quel- 
le de' chiarissimi  sigg.  Urbano  Lampredi  e  cav.  Dio* 
nigi  Strocchi.  Notiamo  qui  di  averlo  anche  seguito 
nella  cura  ch'egli  si  è  data  di  citare,  invece  del  Pro- 
spetto  de' verbi  toscani y  come  fece  il  Lombardi,  la 
Teoria  e  Prospetto  ile', verbi  itiUiani  del  Prof.  Ab, 
Mastrofini,  per  quanto  concerne  aUe  anomalie  dei 
verbi  e  loro  esemp)  •  Come  poi  tutto  ciò  che  il 
De^Romanis  ha  pubblicato  nel  quarto  volume  della 
citata  edizione  siasi  da  noi  e  con  quali  aggiunte 
riprodotto  nel  quarto  e  quinto  di  questa  nostra  j  si 
potrà  conoscere  dalle  prefazioni  di  quei  volumi  me- 
desimi. 

Pochissime  illustrazioni  di  qualclie  momento 
intomo  alla  divina  Commedia  si  pubblicarono  dopo 
il  Lombardi  e  fino  a'  giorni  nostri ,  che  non  siensi 
da  noi  esaminate,  e  delle  quali  non  rendasi  conto 
nelle  nostre  giunte  al  comento  di  lui  •  Si  ebbe  per- 
ciò ricorso  al  Dante  colle  note  del  Portirelli,  Mila- 
no i8o4;  alle  già  citate  edizioni  del  Poggiali,  Li« 
vomo  1807,  e  del  Biagioli,  Parigi  181 8;  alla  splen- 
dida fiorentina  dell'Ancora  1819,  pubblicata  per 
opera  de' sigg.  Renzi ^  Marini  e  Muzzi;  alla  bologne- 

*  I. 


XVIII 

se  1819  ili  corso  9  procurata  dal  Macchia  velli;  alle 
note  del  celebre  Magalotti  ai  primi  cinque  canti  ^  e 
a  quelle  del  sig.  Filippo  Scolari  ai  canti  medesimi; 
alle  Correzioni  del  Perazzini^  e  a  tutte  le  illustra- 
zioni sparse  per  entro  la  Proposta  del  eh.  cav.  Mon- 
ti. Si  ha  dato  pur  luogo  al  breve  comento  inedito 
dell'insigne  letterato  veronese  Giuseppe  Torelli^  co- 
municatoci nel  ms.  autografo  dalla  gentilezza  del 
dotto  Archeologo  il  eh.  sig.  Labus.  Sul  fine  di  quel 
ms.  leggesi  notato  dall'Autore  stesso  cosi:  L.  D,  G. 
io  Gius.  Torelli  Veronese  terminai  eU  stendere 
queste  dichiarazioni  sopra  la  divina  Commedia  di 
Dante  ^  cominciando  dal  Can.  i3.  dell' Inferno,  e 
da  quello  imparandola  a  mente ,  questa  mattina 
delti  1 1  Giugno  1 776  in  Verona .  Ma  ne  dichiarò 
in  seguito  anche  i  primi  dodici  canti  ^  trovandosene 
le  dichiarazioni  autografe  aggiunte  al  ms.  medesi- 
mo .  Questo  pregevole  lavoro  del  Torelli  intese  cer- 
tamente di  acceimare  il  Perazzini  alla  fac.  58  del- 
l'opera stampata  pel  Moroni  di  Verona  nel  1775 
ili  4*^  col  titolo  :  Correctiones  et  adnot.  in  Danti s 
Comoediam,  ove  dice:  si  litterati  s^eronenses  vettent, 
et  praecipue  losephus  Torellus^  nr  ingenio  y  eru- 
ditionCf  studiisque  geometriae  et  poesis  illustrisi 
si  vellentj  inquam ,  in  communeconferre y  quae  sin- 
guli  detexerunt,  novamque  Danti s  editionem  su- 
sciperey  diifina  Comoedia  prodlret  in  soccis  novis 
et  suis . 

Moltissime  altre  operette  filologiche,  uscite  in 


'^ 


XIX 

questi  uhimi  tempi  alla  luoe^  e  che  tendono  ad  illu- 
strare qualche  passo  del  nostro  grande  Poeta ,  sono 
state  per  noi  svolte  a  fine  di  cogliere  tutto  quel  me- 
glio  cheda  noi  si  poteva  ;  e  possiamo  far  fede  al  Pub- 
blico che  non  abbiamo  perdonato  certamente  né  a 
spese^  ne  a  ricerche^  né  a  fatica^  onde  nulla  man- 
casse a  questa  nostra  edizione  ;  e  y  così  avendo  adope- 
rato^ abbiamo  altresì  potuto  aniochirla  di  varie  ine- 
dite illustrazioni^  comunicateci  dalla  cortese  amicizia 
di  alcuni  letterati^  il  nome  de'  quali  si  è  da  noi  r^ 
cordato  ai  respettivi  luoghi  con  sentimento  di  ben 
giusta  riconoscenza.  Né  a  ciò  soltanto  si  é  ristretto 
il  nostro  lavoro^  rari  non  essendo  que'  luoghi  ^  ne'qua- 
li  non  siasi  qualche  cosa  aggiunto  anche  del  nostro , 
Che  se  talvolta  ci  siamo  forse  sviati  dal  vero,  o  male 
abbiamo  còlto  nel  segno ,  ci  confidiamo  che  il  discre- 
to Lettore  terrà  buon  conto  della  retta  nostra  inten- 
zione. 

Ed  a  giovare  viepiii  gli  studj  de'giovani  ^  ai  quali 
la  presente  edizione  vuoisi  precipuamente  raccoman- 
dare^ inserito  abbiamo  ai  loro  luoghi  le  osservazioni 
grammaticali  di  nostra  lingua^  e  quelle  sull'esame 
letterario  del  Poema ,  che  si  riscontrano  nel  comento 
del  sig.  Biagioli^  lavoro  che  in  questa  parte  ^  a  nostro 
parere ,  ha  molto  pregio  • 

Non  così  possiam  dire  del  resto  di  quel  suo  co- 
mento^ perchè^  più  presto  che  la  verità  e  la  sana 
crìtica^  vi  predomina  lo  spirito  di  contraddizione > 
la  Anania  di  jHimeggiare  ^  e  la  intolleranza  delle  al* 


• 

e  eia  cui  deriva  la  massima  gloria  di  ogni  tipografica 
impresa^  palesiamo^  e  assai  volentieri,  che  molto 
aiuto  ci  hanno  prestato  le  attente  cure  dell'  ispettore 
della  Tipografia  l'egregio  sig.  Angelo  Sioca,  nel<{uale 
lo  studio  di  ogni  diligenza  non  va  disgiunto  dalle 
necessarie  cognizioni  dell'arte  bella  che  con  tanto 
amore  professa. 

Per  tutto  ciò  poi  che  al  preg^  deUa  stampa  ap- 
partiene y  la  Società  tipografica  della  Minerva  non  ha 
risparmiato  ne  cure  y  né  spese ,  affinchè  potesse  in- 
contrare il  pubblico  aggradimento  ;  e  non  paga  di 
avere ^  per  gli  esemplari  in  8.0  ordinario^  sostituita 
carta  più  grande  e  migliore  di  quella  che  fece  cono- 
scere col  Manifesto  27  Aprile  1819^  ha  procurato 
inoltre  che  il  valentissimo  sig.  Giovanni  Valania, 
direttore  della  di  lei  fonderia,  incidesse  i  punzoni, 
e  gittasse  due  nuovi  caratteri^  il  primo  pel  testo^  e 
l'altro  per  le  contronote^  aflBnchè  tutti  quelli  die 
doveano  servire  al  divino  Poema  fossero  non  sola- 
mente nuovissimi ,  ma  ben  anche  tra  loro  nella  più 
armonica  proporzione. 

Se  il  Pubblico  si  mostrerà  soddisfatto  delle  cure 
sì  da  noi  che  dalla  Società  tipografica  sostenute  per 
la  presente  edizione,  noi,  palesandone  molta  rico- 
noscenza, ci  studieremo  di  meritarne  sempre  me- 
glio l'approvazione  col  dare  in  seguito  nella  stessa 
forma  dì  carta ,  cogli  stessi  caratteri ,  colla  medesima 
diligenza  y  e  con  nuove  illustrazioni ,  non  solo  le  ri- 
manenti Opere  dell'Alighieri ,  le  Rime  del  Petrarca , 


XXIII 

il  Furioso  deirAriosto ,  e  la  Gerusalemme  liberata 
del  Tasso  ^  ma  col  riprodurre  altresì  di  quando  in 
quando ,  compendiate  brevemente ,  come  altrettante 
appendici  delle  nostre  giunte  al  comento  Lombardi , 
tutte  le  dichiarazioni  della  divina  Commedia  che  si 
pubblicheranno  dai  dotti . 


V 


} 


ÀI 


CORTESI  LETTORI 


BALDASSARRE  LOMBARDI 


H, 


.0  nel  frontespizio  (*)f  con  quella  precisione  che  vi  si 
conviene  i  accennato  i  tre  capi  della  lunga  mia  fatica  sopra 
delia  presente  Commedia  con  dirla  nuovamente  correità^ 
spiegata  e  difesa.  Un  ragguaglio  più  esteso  »  per  chi  lo 
bramasse  )  sono  qui  a  darlo. 

La  correzione,  eh' è  il  primo  capo ,  non  consiste  nello 
aver  tolto  degli  errori  di  stampa  (che  Tedizionci  di  cui 
mi  sono  valuto  per  questa  mìa ,  è  la  Cominìana  correttis- 
sima J,  ma  nel  toglimento  di  molte  prave  lezioni  dagli 
amanuensi  introdotte  ne*  manoscritti  ^  e  da' manoscritti  pas« 
sate  impunemente  nelle  stampe  fino  a' nostri  tempi. 

Per  simile  ammenda  fare ,  presero  nel  i  SpS  gli  Accade- 
demici della  Crusca  a  collazionare  l'edizione  Aldina  del  ì  6oa 
con  quasi  un  centinaio  de*  più  celebri  manoscritti  di  quelle 
doviziose  loro  biblioteche. 

L'opera  degli  Accademici  ebbe,  per  verità ,  profittevole 
nascimento;  ma  avrebbelo  avuto  viepiù  se,  non  contenti 
dell'Aldina  e  de' mas*,  steso  avessero  il  confi*onto  ezian- 
dio alle  poche  edizioni  fatte  nel  secolo  anteriore  ;  ch'essen- 
do pnr  esse  tratte  da  antichi  mss.,  sparsi  in  difi*erenti  luo- 
ghi, potevano  somministrare  qualche  utile  divario- 

(*)II  frontespizio,  dei  qunlo  qui  iiarla  il  P.  Lombardi,  è 
quello  della  edizione  da  lui  fatta  io  Roma  Del  1791»  ed  è  il  se- 
gaente  :  La  Divina  Commedia  di  Dante  Alighieri  nuovamente 
corretta,  spiegata  e  difesa  da  F.  B.  L.  M,  C. 

rol.  I.  e 


XXYI 

Tale  appunto  ho  io  U'ovato  Tedizione  falla  in  Milano  del 
147B  per  Manin  Paolo  Nidobeato.  Questa  edizione,  quan- 
to dee  meno  alla  diligenza  degli  stampatori  1  che  fino  di  due 
intieri  versi  (1)  lasciaronla  mancante,  tanto  dee  maggior- 
mente alla  bontà  del  ms.  onde  fu  tratta:  imperocché  ,  oltre 
al  contener  essa  quasi  tutto  il  bello  ed  il  buono  che  gli  Ac- 
cademici hanno  ripescato  nella  moltitudine  de*  mss.  j  emen- 
da  poi  da  sé  sola  altri  guasti  moltissimi.  Eccone  un  saggio. 
Nel  canto  XXIV.  dell* Inferno  f  u.  85.  e  segg.,  hanno 
gli  Accademici  nell* Aldina  e  in  tutti  i  mss.  trovato: 
Pili  non  si  uanii  Libia  con  sua  rena.* 
Che  se  Aelidrif  iaculi  e  farce 
Produce  f  e  ceneri  con  anfesibena; 
e  y  cosi  avendo  essi  Accademici  nella  loro  edizione  ricopia- 
to>  furono  in  seguito  imitati  da  tutte  le  altre  edizioni  . 
La  milanese  Nidobeatina  legge  in  cambio  s 
Più  non  si  i^anti  Libia  con  sua  rena 
Chersiy  chelidri  iaculi  e  farce 
Producer  chencri  con  anfesiberta. 
Pongansi  a  questa  in  confronto  la  descrizione  da  Lucano 
fatta,  e  dal  Poeta  nostro  imitata,  dei  serpenti  appunto  delle 
libiche  arene  : 

ChersjrdroSf  tractique  t^ia  fumante  cheljrdri^ 
Et  semper  recto  lapsurus  limite  cenchris. 

Et  gravis  in  geminum  uergens  caput  amphisibaena , 
Et  natrix  uiolator  aquae ,  iaculique  volueresj 
Et  contentus  iter  cauda  sulcare  phdxreas  (2). 

V  ha  egli  dubbio  che  non  sia  il  Chersi  della  Nidobea* 
lina  il  Chersjdros  di  Lucano ,  e  il  chencri ,  o  ceneri  (3) , 

(i)I1ii8.  eiltig.  del  capto  zix.  del  Purgatorio, 

(3)  Phmrs,  lib.  it.  v,  ^ji^.  e  segg. 

(3)  Cosi  legge  il  Bali  cit.  nei  Yoc.  della  Crusca  alla  voce  Cenerò. 


XXMI 
il  cenchrisy  e  che  Produce  iii  luogo  di  Producer  non  si 
scrìvesse,  per  rìsarcimeuto  della  sintassi,  in  sequela  dcl* 
rerroneo  Che  se  (i)7 

Non  però  tutte  le  correzioni  da  me  fatte  sono  della  Ni- 

(i)  Essendosi  coirarriso  dato  al  Pubblico  della  presente  mia 
open  divolgata  insiene  questa  stessa  prefiizione,  Monsig.  CUuio- 
nìco  Gio.  Iacopo  de'Marehesi  Dionist  Veronese ,  non  contento  di 
affermi  con  prWata  lettera  sìgoìBcato  il  suo  dispiacere  inlomo  a 
colai  Tarlante  Nidoheatina  lezione,  lo  ha  inoltre  voluto  pubblicare 
in  iilampa  nel  DMego  apologetico  recentemente  in  quella  sua 
illastre  patria  dato  alla  luce.  Ecco  in  succinto  le  di  lui  opposizio» 
ni,  con  aggionta  a  ciascuna  (vaglia  quanto  può  valere)  La  mia  ri- 
sposta. 

Op.  Ne*nomi  proprj  Vapocope  di  siUaha  intiera  non  si  fa 
maif  e  poi  mai.  Pag.  zzviii. 

Jt.  Era  anche  troppo  il  mai  detto  una  volta ,  senza  ripeterlo  ; 
inperoccbè»  omettendo  di  cercare  in  altri  poeti  «  troviamo  aver 
Dante  scritto  Pier,  BelUsar  ec,  invece  di  Pietro ^  Bellisario  ec. 
E  noti  Monsìg.  Canonico ,  il  quale >  per  difendere  intieri  altri  no- 
mi parecchi  da  esso  rammentati ,  rìcorre  al  greco  idioma  «  che 
BifXÀiffetpiO^  scrìvono  anche  i  Greci  nella  Bizantina.  Vegga ,  tra 
gli  altri ,  Cedreno. 

Op.  Ghersidro  è  detto  da  terra  ed  acffua ,  perchè  serpente 
anfibio:  il  dir  cherso  non  sarebbe  né  mccel^  né  bestia,  Fag.  !czviii, 

il.  Né  nccel ,  nò  brstia  sarebbe  per  la  medesima  ragione  an- 
che ùfro,  detto  invece  di  chelidro\  Nicandro  nondimeno  nel  poe- 
metto Teriaca  e  lo  dice  e  lo  attcsta  detto  anche  da  altri ,  i^.  4i  4* 
e  4^0.  Questi  adunque  hanno  a  chelidro  coiraferesì  troncato  il 
capo;  e  Dante  (se  pur  egli  è  stato  il  primo)  ha  colFapoGope  tron* 
etto  a  chersidro  la  coda . 

Non  posso  però  tenere  celato  un  dubbio  che  mi  nasce  nel- 
l'animo, che,  insegnando  Servio,  il  celebre  Cementatore  di  Vir- 
gilio, appellati  chersidri  e  ehelidriìx  serpenti  medesimi ,  perocché 
ora  in  terra  ed  ora  in  acqua  dimoranti  {Geor^^  iv.  k\^.)f  non  ab- 
bia Dante,  a  correzione  di  Lucmìo  ,  che,  come  ne' riferiti  versi 
scorgesi,  fa  di  qae* serpenti  due  spezie,  voluto  di  chersidri  e  che» 
iidri  com porne  un  nome  solo,  chersiéhelidri • 

La  medesima  identità  di  serpenti,  che  Servio  asserisce ,  con- 
frrina  Enrico  Stefano  nel  sno  Tesoro  della  lingua  greca ^  arU 

0/>.  Qualunque  sìa  la  punì  a  tura  che  fasciasi  alla  Jine  del 


XXVIII  » 

dobeatina;  ma  sono  «iltre  ricavate  altronde»  massimamente 
da'mss.  delle  ccIelH*rrime  biblioteche  Vaticana  e  Corsini, 
che  ne'proprj  luoghi  andrò  di  volta  in  volta  notificando. 
Bisogna  dalla  moltitadine  de' testi  scegliere  ed  adunare 

teneitOf  Più  non  si  vanti  ce.»  egli  mom  ha  eomnessiome  eoi  sugte* 
gueniCf  Né  taote  |icstilenze  «e.  Pag.  «mxuf. 

it.  Per  qaenta  dìf6coltà  rimettiisi  Monsigoore  ai  Grannatiei» 
e  6pgnaian[ieDte  al  Trattalo  dì  Beoetlelto  Mensini  Della  coMlru* 
u'one  irregolare  della  lingua  toscana  «  cap»  ai  «Vedrà  quindi  aver 
Dante  potuto  in  princìpio  del  terzetto.  Né  tante  pestil^ize  ee.  eie- 
ganlcmeote  tacere  una  cAe;  piii  della  quale  partìceUa  non  veggo 
che  altro  mai  si  possa  Monsignore  per  la  conneuione  desiderare* 
Troverìb  ivi  ansi  ragione  della  omissione,  che  parimente  rimbrot* 
ta ,  della  e  avanti  ceneri  m 

Op.  Notate  di  grafia  il  Producer  troppo  staccalo  da  quel 
si  vanti;  il  quale  a  natundetMa  di  lingua  riehtedereldfe  par  tia" 
finito  col  segno  del  genitivo .  Pag.  xxxu. 

it.  Il  Producer  della  Nidobeattna  sta  per  elegante  trasposi* 
zione  tra  le  prodotte  cose,  come  vi  sta  il  Produce  delle  altre  edi« 
sioni  s  e  scrivendo  Dante,  In/»  ii.  84*9  ove  tornar  iu  ardi  »  e  non, 
come  avrebbe  Monsignore  voluto,  ove  di  tornar  tu  ardi,  mostra 
al  medesimo  Monsignore  malamente  fondata  cotalsoa  pretensione. 

Op*  Simile  compenetratione  di  lettere  (Prodocer  ceneri)  in 
tutto  Dante  non  si  ritrova  •  Pag.  xsxii. 

it.  Temo  che  non  manchi  questo  detto  pnre  di  ana  compiuta 
ed  esatta  ossenrasione.  Io  prego  Monsignore  a  voler  riveder  Dante 
ben  bene»  e  ad  osservare  da  quella  via  quante  fiate  ritrovasi  il 
concorso  delle  sillabe  uce  e  ce,  che  vorrebb*egU  invece  leggendo 
Produce  e  ceneri. 

Confessa  nel  suo  Dialogo  Monsig.  Canonico,  che  al  primo 
sgoanlo  rimase  dal  lustro  delta  nuova  controvena  lesione  abba* 
glielo;  ma  che  in  seguito  la  connessione  eoi  tersetto  Né  tante  pe» 
stilema  ec.,  fu  la  prima  a  render|^ìela  odiosa.  Pagina  zxxiii. 

Dopo  dunqne  manifestata  lui  per  elegante  spessissimo  prati* 
cata  ellissi  taciuta  la  connettente  particella  che ,  e  dopo  appianati , 
mi  lusingo,  gli  altri  capi  di  diiBcoltit»dovrebb* essa  lesione  rispien* 
dergli  col  primiero  lustro. 

Sia  nondimeno  com'  esser  si  voglia  di  questa.  Ora  che  Mon- 
signore si  degnerà, spero»  di  ricevere  ed  aggradire  da  nn  suo  ser- 
vitore il  presente  primo  volume»  contenente  la  cantica  dell'/ii/èr- 
no^  con  ili  feudo  la  tavola  delle  ad  essa  appartenenti  varie  lezio- 


XXXIII 

AVVISO 

DEL    P.    LOMBARDI 


liei  citare  j  che  spesso  accoderà,  il  Convito  di  Dan" 
tCy  seguirò  il  metodo  tenuto  dal  Cinonio  nelle  sue  Os- 
ier?azk>iii  della  lingua  italiana ,  di  citarlo  a  trattati  e  ca* 
pitoli  •  Il  primo  trattato  si  estende  dal  principio  del 
Coavito  fino  alla  canzone  prima;  gli  altri  tre  sono  i 
cementi  alle  canzoni  che  loro  si  premettono  •  I  capitoli 
pd  si  fanno  scorgere  dallo  interrompimento  dello  scrii'- 
to.Monsig.  Canonico  Gio.  Iacopo  de^ Marchesi  Dionisio 
nel  ìium.  IL  della  serie  degli  eruditi  Aneddoti  recente^' 
mente  in  V^erona  stampati  y  ne  promette  una  edizione 
del  G)nTÌto  di  Dante  coi  numeri  prefissi  a  ciascuno  trat" 
tato  e  a  ciascun  capo;  cosa  che  stupisco  non  sia  già  stata 
fatta  dagli  altri  Editori  della  medesima  opera* 


ItH]F.]&lH(D 


CANTO    I. 


ARGOMENTO 

Mostra  il  Poeta  che,  essendo  smarrito  in  una  oscu ris- 
si ina  selva,  ed  impedito  da  alcune  Jiere  di  salire 
ad  un  colle  i/u  sopraggiunio  da  F^irgilio,  il  quale 
gli  promette  di  fargli  vedere  le  pene  dell'Inferno , 
dipoi  il  Purgatorio,  e  che  in  ultimo  sarebbe  da 
Beatrice  condotto  nel  Paradiso»  Ed  egli  seguitò 
FUrgilio  • 


N 


el  mezzo  del  camnilù  di  nostra  vita 


t  ^el  mezzo  ec.  Stabilendo  Dante  nel  suo  Conirito  cbc  il 
della  vita  degli  nomini  perfettamente  naturati  sia  nel 
trtntneimjuesimo  anno  [a],  di  tale  età  dee  qui  intendersi, 
loenlre  dice  :  Nel  mezzo  del  cammin  di  nostra  vita  :  ed  una 
tale  mezaui  età  dee  egli  avere  scelta  per  questo  viaggio  (che 
in  renila  non  è  che  un  viaggio  della  mente ,  o  sia  meditazio» 
ur }  ftllosivainente  alle  parole  del  santo  re  Ezechia:  Ego  dìxi 
in  dinddio  dierum  meorum  yadam  adportas  /n/!?ri[£];che, 
giusta  V interpretazione  di  san  Bernardo  [e],  indicano  l'aiuto 
drlla  divina  grazia  »  per  cui  l'uomo  dimezza  i  giorni  suoi  9  e 
lifipo  data  una  parte  al  male  :  Inferni  meta  incipit  de  bonis 
4fujaerere  consolationem .  Facendoci  poi  Dante  in  più  luoghi 
di  questo  suo  poema  [d]  capire  che  l'anno  di  colale  suo  vìag- 

[«iTrati.  4-  eap.  aS«  [b]  Isai.  38.  c^.  10.  [e]Serm,  de  Cantico Enechiae. 
\d}  Tcdt  tra  gli  altri  Inf.  xtt.  111.  e  Parg.  tf.  9B. 

rd.  I.  I 


2  INFERNO 

Mi  rìirovai  ]ier  una  selva  oscura, 
Gilè  la  diritta  via  era  smarrita . 
Ahi  quanto  a  dir  quaf  era  è  cosa  dura  4 

gìo  fosse  il  i3oOy  viene  perciò  con  questo  piimo  verso  a  con- 
ferniare  d'esser  egli  nato  nel  i'265  ,  comi;  appunto  scri\oiio 
il  Boccaccio,  Lionaitlo  Aretino  ed  altri ,  contrariamente  al 
Landino  [a] ,  Daniello  e  Dolce ,  che  lo  dicono  nato  nel  1 2()o. 
^  selì^a  oscura  appella  metaforicamente  la  folla  delle  pas- 
sioni e  dei  vizj  umani,  m^per  una  selva  non  in  una  sciita y 
a  dinotare  che  vi  andava  errando .  Torelli  .  4-« 

3  Che  dee  qui  valere  talmeìUechè  ^  come  in  que* versi  del 
Petrarca: 

Di  tai  quattro  faville ,  e  non  già  sole  j 
Nasce  7  gr£u%  foco ,  di  cK  io  ui\^6  ed  ardo  : 
Che  son  fatto  un  augel  notturno  al  Sole  [&]  • 
Vedine  altri  esempi  presso  il  Cinonio  [e] .  •-►  Qui  y  dice  il  Bia- 
gioii  9  v*  ha  difetto  della  preposizione  in,  espleta  col  Volpi  in 
che  o  in  cui ,  negando  al  che  di  questo  verso  il  significato  di 
talmentechè  e  di  perchè*  —  Lo  Scolari  è  con  lui  rapporto  al 
perchè,  ma  difende  l'interpretazione  del  Lombardi ,  non  tro- 
vandovi controsenso,  come  vuol  supporre  il  Biagioli,  il  quale 
chiosando  poi  :  ai  piedi  della  quale  la  diritta  uia  va  a  fi-- 
nire ,  mostra  di  non  essersi  attenuto  egli  stesso  alla  spiega- 
zione proposta  in  che  o  in  cui .  4-s 

4  Ahi  quanto  Wge  la  Nìdobeatina ,  meglio  assai  di  E  quan^ 
to  che  leggono  le  altre  edizioni  •-►(e  il  cod.  Vatic.  ^tpo):  4-s 
la  qual  cosa  Ùl  di  languidezza  cascare  il  poema  su  la  bella  pri- 
ma mossa^echesopportei^bbesi  appena  (|ualora  avesse  Dante 
premessa  una  divisione  di  punti  da  trattain;,  il  primo  od  uno 
dei  quali  fosse  il  dir  qual  era  ec.  Ahi  quanto  usa  il  Poeta 
nelle  esclamazioni  sovente:  Ahi  quanto  mi  parea  pien  di  di- 
sdegno l  [d]  ;  Ahi  quanto  cauti  gli  uomini  esser  denno  /fé]  ; 
Ahi  quanto  egli  era  nelt  aspetto  fiero  I  [f\  ec.  Ah  o  Alti 
invece  di  E  vuole  che  qui  si  legga  anche  Benvenuto  da  Imola 
^eir  inedito  suo  latino  comento  sopra  questo  poema:  testimoni 
il  Gelli  nella  Lettura  sopra  lo  Inferno  di  Dante  [g]  ed  il 


[d\  Nelle  edizioni  anteriori  alla  coir<*z.  del  Sansovìnn.  [6]  Son.   i3:i. 

\C\  Pattic»  44*  B*  '^^-  34*  W  Id^*  >^-  ^^*  i^]  '^^'  *V>«  '  *^*  [fi  luf.  V.KI.  3  I  . 

[g]  Lcz.  4. 


CANTO    I  3 

Questa  sel%a  selvaggia  ed  aspra  e  forte, 
Che  nel  peosier  riaoova  la  paura! 
Tanto  è  amara,  che  poco  è  più  morte,  'j 

Venturi  a  questo  verso.  —  dura  vale  qui  quanto  disgustosa 
0  amara ,  come  tre  versi  sotto  dirà  essere  V  impresa  medesima 
di  descrìvere  quella  selva.  m^Eh  guanto ec.  legge  ilDionisi 
sulla  lede  di  pareccbi  .codici  6orentini.  E.  R.  —  dura  usasi* 
come  sinonimo  dì  difficile  e  penosa.  Biaoioli.  4-« 

5  seli^a  selvaggia  è  detto  non  altrimenti  che  disse  Virgv  nel  2 . 
dell'  Eneide  9  cai^ae  cat^ernaec  -  Intonuere  canfae  ^  gemitum-^ 
quededere  ca^^ernae.DAVUOJéO.  Anzi  più  propriamente  ;  im- 
perocché tutte  lo  caverne  sono  cave,  e  non  tutte  le  selve  sono 
selvagge,  essendovene  delle  ai'tefatte  pel  diporto. —  aspra  e 
fortec  forte  aggiunge  non  poco  aWaspra;  e  quindi  è  che  pel 
forte  del  bosco  intendiamo  il  piii  folto  ed  intralciato  di  quello  : 
siccome  V  aspra  j  che  vale  inviluppata  assai  da  tronchi  e  pruni , 
al  selvaggia ,  che  vuol  precisamente  significare  abbandonata , 
senza  alcuna  coltura.  Yeuturi  .  m^  forte  può  valere  dura  a  su- 
per  arsi  ^  come  forti  barriere  ^  forti  trincee .  Cosi  TE.  R.^hì 

7  Tanto  è  amara  ec.  Il  Landino ,  Vellutello  e  Daniello  in- 
tendono congiungersi  l'epiteto  di  amara  alla  medesima  ^e/i^a  • 
Oltre  però  cne  la  sia  già  abbastanza  stata  caricata  di  epiteti , 
di  selt^aggia  ed  aspra  e  forte  ec. ,  e  che  male  con  essi  epiteti 
confacciasi  amara ^  richiederebbe  poi  tinche  la  sintassi,  che 
come  già  delta  selva  parlando  poc'anzi  disse:  ^hi  quanto  a 
dir  qual  efa^  così  dicesse  qui:  Tanto  era^  e  non  Tanto  è 
amara.  Dunque  amara  intende  qui  non  la  selva,  ma  l'im- 
presa di  fiivellar  della  selva,  quella  medesima  cui  già  disse 
cosa  dura  ;  e  può  ragionevolmente  riputarsi  che  cotal  epiteto 
di  amara  alla  briga  di  favellar  della  seha^  ossia  de' passati 
vizj,  attribuisselo  Dante  ad  imitazione  di  quel  parlare  del  pre- 
fato  Re  Ezechia  :  Recogitabo  tibi  omnes  annos  meos  in  ama^* 
ritudine  animae  meae  [a],  o  di  quell'altro  del  profeta  Gere-' 
mia  :  Scito  j  et  uide  quia  malum  et  amarum  est  reliquisse  te 
Dominum  Deum  tuum  [&].  wh¥  amara.  Riferisci  ciò  alla  sel- 
va, non  al  parlare  di  essa,  che  sarebbe  cattiva  comparazione 
il  parlar  della  selva  colla  morte  ;  e  detto  avrebbe  in  tal  caso 
amaro  e  non  amara,  E.  F.  — -  L'epiteto  di  amara  si  riferisce- 

[aj  Isai.  SS.  V.  i5.  [b]  Gap.  \v,  ig. 


4  INFERNO 

Ma  per  trattar  del  ben,  ch'ivi  trovai, 
Dirò  dell'altre  cose,  chMo  v'ho  scorte. 
Vuoti  so  beo  ridir  com'io  v'entrai;  io 

dal  Biagioli  alla  selva ,  dal  Poggiali  alla  pena  di  favellarne;  ma 
lo  Scolari  fiosueae  doversi  riferire  a  paura:  i.^  Perchè  dopo 
l'era  non  regge  assolutamente  Tè  •  2.^  Perchè  riferendo  Voìna/'a 
a  paura  si  ottiene  il  piìi  sublime  e  spontaneo  concetto  che  dar 
ai  possa,  cioè:  il  ricordarsene  dà  paura  di  tanta  amarezza , 
che  morire  è  poco  più,  3.^ Perchè  trova  esservi  più  imme- 
diata e  natui*al  i*elazione  &a  le  idee  di  paura  e  di  morte,  che 
tra  l'amarezza  della  selva  e  il  morire.  4-^  Perchè  non  si  hanno 
cosi  due  pensieri  sulla  cosa  stessa,  ma  un  solo,  più  efficace  e 
più  atto  a  dar  l'idea  del  terrìbile  oggetto  che  vuol  descrivere.^-v 
8  g  Ma  per  trattar  ec.  Adopera  ellissi ,  e  dee  intendersi  come 
se  detto  avesse:  Ala  lasciando  di  descrissero  V orridezza  tlella 
selva  per  trattar  del  bene  (  del  celeste  aiuto  )  che  in  quella 
trovai  f  dirò  delle  altre  cose  che  vi  ho  vedute  ^  cioè  del  lumi- 
noso colle  che  al  termine  della  selvosa  valle  gli  si  appresentò, 
e  delle  tre  fiere  che  la  salita  ad  esso  impedirono  ec.  —  ^^ivi 
legge  la  nidobeatina:  cKTvi  l'altre  edizioni .  La  vicinanza  p«rò 
del  cWv*ho  scorte ,  nel  verso  seguente,  rende  preferibile  la 
lezioneNidobeatina.  -*  10  bello  e  intiero  scrive  la  Nidobeatiua 
qui  e  quasi  dappertutto  ove  Taltre  edizioni  scrivono  accorcia- 
tamente  T.  CXtre  la  stima  che  la  Nidobeatina  si  merita  per  le 
oelebri  correzioni  che  somministra,  è  poi  anche  osservabile, 
ohe  Dante  medesimo  nelle  altre  sue  rìme  non  accorcia  questo 
pronome  se  non  rarissime  volte,  w^del  ben,  cioè  del  frutto, 
il  quale  si  ritrae  dalla  meditazione  di  quel  miserabile  stato  pie- 
no di  peno  e  di  rìmordimenti ,  mediante  la  quale  si  arriva  alla 
contemplazione  di  Iddio,  che  è  la  fine  propostasi  dal  Poeta  « 
Magalotti.  —  Il  bene  che  vi  trovò  si  è  il  solo  mexzo  di  uscir- 
ne.BiAOTOLk.  ^^Dirò  deir altre j  cioè  de'supplizj  de' pecca- 
tori: altre  qui  vale  diverse  dalle  buone  -  E.  F.  —-Per  V altre 
Biagioli  intende  il  monte  di  tutta  gioia,  le  tre  fiere  e  l'ombra 
di  Virgilio.  —  deWalte  cose  invece  dell*  altre  cose  insieme 
col  cod.  CaeL  leggono  molti  codici ,  e  con  essi  il  Dionisi  •  Le^ 
zinne  che  l' Edit.  romano  non  trova  spregevole ,  potendosi  chia- 
mar a/£e  (  secondo  l'uso  fi'cquente  &tto  da  Dante  di  questa 
parola)  le  gravi  e  misteriose  cose,  di  che  egli  nel  poema  ra« 
giona .  4-« 


CANTO   r.  5 

Tanl'  era  pìen  di  sonno  in  su  quel  punto, 
Che  la  verace  via  abbandonai. 
Ma  po'  ch'io  fui  al  pie  d'un  colle  giunto,      i3 
Là  ove  terminava  quella  valle, 
Che  m*avea  di  paura  il  cor  compunto; 

1 1  sonno  per  offuscamento  della  mente  cagionato  dalla  vee^ 
mraza  delle  passioni.  »-> Smarrimento  d'animo,  BiagioIiI  — 
ovvero  T inganno  in  cui  era  circa  le  cagioni  del  suo  esilio, 
come  pensa  il  Costa .  4-« 

I  a  9-¥-  verace  via  •  La  via  verace  fu  smarrita  da  Dante  alla 
morte  di  Beatrice  (come  osservano  il  Biagiolie  lo  Scolari)  ay- 
?enuta  nel  1 290.  Perduta  la  virtuosa  sua  amica,  rimasto  in  balia 
di  sé  stesso,  con  un  vuoto  immenso  nel  cuore,  preso  da  false 
speranze  di  bene ,  si  abbandonò  ai  piaceri  de' sensi ,  secondo  il 
Biagioli ,  o  alle  pubbliche  faccende ,  secondo  lo  Scolari ,  che  lo 
condussero  aUe  amarezze  estreme  da  lui  sofferte.  Comprovasi 
questa  verità  di  fatto  dai  seguenti  versi  del  Purgatorio,  e.  xzx: 
Si  tosto ,  come  in  su  la  soglia  fui 
Di  mia  seconda  etade  e  mutai  vita , 
Questi  si  tolse  a  ine  e  diessi  altrui. 
f  più  sotto  ivi  : 

E  volse  i  passi  suoi  per  via  non  vera, 
'  Immagini  di  ben  seguendo  false , 
Che  nulla  promission  rendono  intera,  ^-m 

i3  i4  al  pie  d^un  colle  eo.  Incominciando  la  virtù  dove  ter- 
mina il  vizio,  dee  pei'  cpiesto  colle ,  posto  al  termine  della  sel- 
vosa valle  del  vizio,  intendersi  la  virtù.  Ad  insinuare  però, 
che  per  domare  le  viziose  passioni  e  divenir  virtuoso  è  neces- 
saria air  uomo  la  meditazione  delle  cose  eteme,  dira  Virgilio 
a  Dante  (che  vorrebbe  a  dirittura,  senz'altro  mezzo,  uscir 
della  selva)  che  gli  converrà  tener  altra  via  dalla  pretesa,  e 
seguir  lui  che  trarrallo^er/ttog'o  eterno  [a].  3^^ appiè  colla 
Cr.  legge  il  Biagioli.  Là  oue  terminava  ec.  Leggi  ben  questo 
Terso,  e  sentirai  quanto  il  suono  della  voce  terminava  ti  ména 
luigi  coli' occhio,  quasi  voglia  farti  misurare  quella  valle  im- 
mensa. Bl  AGIOLI  •  •«-« 

iD  compunto  per  afflitto ^  angustiato, 

V  Vedi  io  questo  canlo  dal  y.  gì.  sino  al  fine. 


6  INFERNO 

Guardai  in  alto,  e  vidi  le  sue  spalle  i6 

Vestile  già  de'  raggi  del  pianeta, 
Che  mena  dritto  altrui  per  ogni  calle. 

Alior  fu  la  paura  un  poco  queta,  19 

Gbe  nel  lago  del  cor  m' era  durata 
La  notte,  eh'  i'  passai  con  tanta  pietà . 

16  Guardai  la  Nidobeatina,  Guarda*  raltr'edizioui .  9-^  Le 
spalle  del  monte  souo  quasi  la  sommila  sua.  Biagioli.  <4hi 

17  18  pianeta ,  -  Che  mena  dritto  ec.y  che  mosUra  la  di- 
riua  via.  Intende  il  Sole,  m^  Allude ,  secondo  il  Biagioli ,  alla 
scienza  che  in  ogni  tempo  y  stato  e  luogo  addita  la  verità  a  chi 
giunge  a  possederla.  Indi  soggiunge  :  «  E  gli  sciocchi  credono 
»  che  Dante  siasi  raggirato  cosi  per  finire  il  terzetto .  »  ^-m 

19  20  lago  del  cor  appella  Dante  quella  cavita  del  cuore, 
eh* è  ricettacolo  del  sangue,  e  che  da  Harveio  con  somigliante 
frase  è  detta  sanguinis promptuariumet  cisterna  [a\:  e  bene, 
la  cagione  per  lo  effetto  prendendo  (la  paura  per  T agghiaccia- 
mento del  sangue  che  la  paura  opera  )  dice  durata  la  paura 
nel  lago  del  cuore.  Ad  imitazione  del  Poeta  nostro  scrisse 
anche  il  Redi  nel  Ditirambo: 

/  buoni  v^ini  son  quelli  che  acquetano 
Le  procelle  sì  fosche  e  rubelle , 
Che  nel  lago  del  cor  Vanirne  inquietano, 
wh¥  lago  y  per  signimuire  l'agitazione  e  fluttuazione  del  suo  spi- 
rito. Lami  .  E.  F«  — >  l^o  del  core  j  è  quella  parte  concava  del 
cuore  y  stanza  degli  spinti  vitali  e  di  ogni  passione ,  onde  si 
ministra  il  sangue  alle  vene  ed  il  calore  a  tutto  il  corpo .  Bia- 
gioli •  —  Lo  cmamò  lago ,  dice  il  Magalotti ,  credendosi  forse 
che  il  sangue  vi  stagni ,  non  essendo  in  que' tempi  alcun  lume 
della  circolazione.  —  Ma  lo  Scolari  pensa  che  il  Poeta  in  più 
luoghi  abbia  parlato  dei  movimenti  del  sangue  con  perfetta 
conoscenza  di  causa,  e  che  il  ristagno  e  rafuuenza  di  quc^stcT 
fluido  nel  cuore  di  Dante  fosse  prodotto  dalla  paura.  -  Ù  cod. 
CaeL  legge  adunata y  altro  legge  indurata,  E.  R.  «-« 

2 1  La  notte  ec.  La  notte  suppone  il  tempo  in  cui  riconob- 
besi  smarrito  nella  oscura  selva  del  vizio  9  allusivamente  a 

[a]  De  motu  cord,  csp.  4* 


CANTO   I.  7 

E  come  quei,  che  con  lena  afTannata  11 

Uscito  fuor  del  pelago  alla  riva, 
Sì  volge  all'acqua  perigliosa,  e  guata; 

Così  r  animo  mio,  che  ancor  fuggiva  ,  'iS 

Si  volse  'ndietro  a  rimirar  lo  passo, 
Che  non  lasciò  giammai  persona  viva. 

qoeUe  parole  de]  salmo  76.  tf.  y,iEt  meditatus  sum  nocte  ctan 
corde  meo ,  et  exercitabar ,  et  scopebam  spiritum  meum 
' pietà ,  pronunciato  coir  accento  svlVe ,  qui  affanno  e  pena , 
altrove  compassione .  D*anibo  i  significati  veojne  escmpj  nel 
\  ocab.  della  Cr.  »-►  Biagioli  intende  che  il  trasponìmento  del- 
l'accento  non  debba  mutare  il  significato  di  questa  voce,  ma 
Aeriguardando  il  Poeta  l^  effetto  per  la  causa  ^  ne  uuoldare 
ad  intendere  per  la  tanta  pietà  che  avrebbe  di  se  mossa  j 
quani*era  il  dolore  e  V affanno  che  V alleva  oppresso .  ♦-• 

aa  lenay  respirazione.  Vedi  pure  il  Vocab.  della  Cr.  •-►Me- 
ravigliosa similitudine!  Magalotti .- Biagioli  nota  Tartificioso 
costrutto  di  questo  verso,  cbe  non  si  può  proferire  j  se  non 
con  queir  affannoso  respiro  che  uuol  esprimere  il  Poeta  •  <«-« 

24  guata ,  guatare  per  guardare  detto  dagli  antichi  in 
verso  e  in  prosa.  Vedi  il  detto  Vocab.  »-^ Secondo  il  Biagioli, 
non  significa  semplicemente  guardare,  ma  si  hene  guardare 
con  istupore .  4-« 

25  ancor  fuggiva  vale  quanto  ancor  ^ai^entof^a.  Corrispon- 
de al  detto:  jUlor  fu  la  paura  un  poco  (non  del  tutto)  que- 
ta;  ed  alla  ciceroniana  frase:  Refugit  animus ,  eaque  refor^ 
midat  dicere,  quae  ec.  \a\  •->0  forse  ha  inteso  d'imitare  il 
refugit  animus  vii^liano  del  v.  1 2.  En.  lib.  2. 

Qaanu/uam  animus  meminisse  horret ,  luctuque  refugit» 
—  ancor  fuggiva,  rara  maniera  di  esprimere  una  paura  infi- 
nita! Magalotti  .  <«-« 

26  27  lo  passo,  il  luogo  ond*era  passato,  la  selva  de'vizj. 
a-»  L'Editore  romano  interpreta  :  questo  passo  non  lasciò  pas- 
sare mai  persona  viva ,  perchè  conduce  al  regno  della  mor- 
ta gente.  -  In  questo  luogo  il  grande  imitatore  di  Virgilio  ebbe 
in  mente  quel  passo  delFEn.  lib.  6.:  Lucqs  stygios,  regna  in^ 

[a]  Philipp,  xjv.  9. 


8  INFERNO 

Poi  eh*  ebbi  riposato  '1  corpo  lasso,  q8 

Ripresi  via  per  la  piaggia  diserta , 
Sì  che  '1  pie  fermo  sempre  era  '1  pia  basso  : 

wa  9Ìyisj^Aspicies  ec.  Pebticabi.  —  Che  non  lasciò  ec.  Che 
sempre  oscurò  il  nome  di  chi  vi  si  trattemie.  Della  medesima 
vita  alla  rinomanza  intendendo  dirà  de' poltroni  nel  e.  iii*  64-  ' 
Questi  sciaurati  che  nuli  non  fur  wW.  ♦-• 

28  m-¥  Poi  ch^èi  posato  un  poco  V  corpo  lasso*  Bella  va- 
riante del  cod.  VaU  3199  e  del  Dionisì,  ch'esprime  il  riposo 
di  chi  si  adagia  y  e  la  brevità  del  medesimo  per  riprender  la 
i'ia.  Hei  per  ehhi  è  citato  dal  Masti*ofiiu.  Ck>n  bell'effetto  pa- 
rimenti il  cod.Caet.  ed  nn  altro  leggono:  Poi  riposato  un  poco 
il  corpo  lasso .  E.  R.  <«-« 

29  per  la  piaggia  diserta  j  por  la  solitaria  falda  del  colle, 
al  di  cui  piede  si  disse  giunto.  Piaggiai  propriamente  salita 
di  monte  definisce  il  Vocab.  della  Cr.,  e  ne  adduce  in  prova 
gli  esempj . 

30  iSì  che  7  pie  fermo  ee.  Dipinge  la  positura  de' piedi  di 
chi  camminando  sale 9  che  è,  ch'ai  fine  di  ciascun  passo  il  pie- 
de restato  fermo  trovisi  in  piti  basso  luogo  dell'  altro  che  si  è 
mosso.  Dico  però  alfine  ili  ciascun  pauso  ;  imperocché  men- 
tre il  passo  attualmente  si  fa,  trovasi  il  piede  fermo  piìi  basso 
dell'altro  che  si  muove,  anche  quando  camminiamo  in  pianu- 
ra, m^  Quantunque  il  Biagìoli  non  si  spieghi ,  sembra  però  che 
si  attenga  all'idea  del  salire:  errore,  come  osserva  lo  Scolari, 
comune  a  quasi  tutti  i  Comentatori,  e  che  si  spera  di  non  ve* 
aere  mai  piii  ristampato  dopo  l'illustrazione  del  Magalotti ,  che 
riportiamo  qui  brevemente  •  Il  pie  fermo  è  sempre  il  piit  basso 
per  chi  cammina  in  piano,  come  ne  convince  la  dimostrazione 
e  l'esperienza .  Il  verso  :  Ed  ecco ,  quasi  al  cominciar  deWer- 
ta,  prova  che  l'erta  era  vicina  si,  ma  non  cominciata;  ma  fin 
allora  avea  camminato;  dunque  in  piano.  Non  si  opponga  ciò 
che  Dante  ha  detto  al  %^.  1 3.  :  appiè  d*un  colle  dicesi  anche  in 
qualche  distanza  da  esso,  e  cosi  dev'essere  se,  come  al  y.  16., 
dovea  comodamente  vedergli  le  spalle.  Molto  meno  offre  dif- 
ficoltà il  t'.  61.:  Abntre  cKi*  rovinava  in  basso  locoy  dicen- 
do: dunque  se  ora  scende ^  mostra  che  dianzi  saliva.  Sali- 
va, ma  aopo  aver  fatto  il  piano,  per  lo  quale  camminando  il 
pie  fermo  era  il  piii  basso.  —  Crede  pero  il  Costa  che  il  Ma- 
galotti,  malgrado  la  tanta  luce  che  ha  sparso  su  questo  verso. 


CANTO  I.  9 

Ed  ecco,  quasi  al  cominciar  dell' erta  ^  3i 

Una  lonza  leggiera  e  presta  molto, 
Che  di  pel  maculato  era  coperta . 

£  non  mi  si  partia  dinanzi  al  volto,  34 

Anzi  'mpediva  tanto  '1  mio  cammino, 
Ch'  i*  fui  per  ritornar  più  volte  volto. 

non  Aia  giiinlo  a  spiegarne  il  vero  concetto*  Premessa  una  sua 
dimostrazione  sui  modi  del  camminare  in  piano  e  in  luogo  ac-> 
dive,  passa  ad  osservare  che  Dante  non  camminasse  già  in 
piano,  ma  si  bene  per  luogo  inclinato,  ma  cosi  dolcemente  in- 
clinato, che  al  Poeta  non  era  mestieri  tener  modo  diverso  da 
<)aello  che  si  tiene  quando  si  va  per  pianiu^a.  —  Per  dissipare 
ogni  ambiguità  d'interpretazione  si  potrebbe  leggere  col  cod. 
Caet.,  e  con  molta  ragionevolezza,  il  verso  cosi:  «Sì  che  H pie 
fermo  sempre  era  al  piti  basso .  Basso ,  sostantivamente  detto 
per  luogo  basso,  non  fu  straniero  al  nostro  Poeta.  E.  R.  -«  a/ 
più  basso  legge  pure  il  Vat.  3 199.  ^-« 

3i  ertaj  sustantivo^  salita.  n->Non  è  sustantivo,  non  sino* 
aimo  di  salita ,  ma  vero  aggiunto  del  nome  sottinteso  monta-- 
gna.  BiAGioLi  «  *-m 

3a  lonzay  pantera:  per  essa  intende  T appetito  de' piaceri 
disonesti ,  essendo  fiera  vaga  a  vedersi  ed  al  sommo  libidinosa . 
VnrTuai.  Pone  questa  fiera  la  prima,  per  essere  la  passione 
della  libidine  la  prima  ch'assale  V  uomo .  •->  Seguendo  il  Boc- 
caccio, intende  TEdit.  rom.  che  questa  lonza  fosse  un  leopar- 
do, Lionsa  legge  il  cod.  Ang.  —  La  lonza  è  confusa  da  molti, 
dice  il  Torelli ,  con  la  pantera,  ma  è  la  metà  minore  di  quella  : 
ha  la  pelle  bianca,  sparsa  di  nere  macchie  in  forma  di  anelli, 
alcuni  vuoti  nel  mezzo,  altri  con  una  0  piii  macchie  nel  cen- 
tro: abita  nei  climi  caldi- e  vive  di  preda. 4-« 

3'idipel  maculato j  di  pelo  con  macchie  di  vario  colore.Pa/t- 
(era (scrìve  nel  suo  Tesoro  ser  Brunetto)  è  una  bestia  toccata 
di  picciolo  tacche  bianche  e  neroy  siccome  piccioli  occhi[aj. 
•-^  Che  del  maculato  ^  senza  il  pely  ha  il  Vat.  3 199.  <rm 

Ì6  più  i^olte  volto y  rivolto  indietro.  Scontro  di  parole  che 
ibrmano  còl  loro  suono  uniforme  uno  scherzoso  bisticcio  da  non 

[a]  Lib.  5.  cap.  6o. 


IO  INFERNO 

Teinp'  era  dal  principio  del  mattino,  87 

E  '1  Sol  montava  in  su  con  quelle  stelle , 
Ch'  eran  con  lui,  quando  FAmor  divino 

Mosse  da  prima  quelle  cose  belle  j  4<^ 

cercarsi  a  bella  posta ,  né  curarsene  gran  fatto  in  grave  poe- 
sia .  y  BiiTVBi.  Il  consiglio  è  ottimo  ;  malamente  però  qui  a  pro- 
posito, dove  il  bisticcio  vedesi  non  cercato  a  bella  posta,  ina 
dalla  naturalezza  del  parlare  importato.  •-♦Bisticcio  simile  a 
quello  di  Tibullo  :  ulli  non  illepuellae  [a] ,  ed  all'altro  di  Pro- 
perzio: amore  moram  [b].  Magalotti •  «-« 

37  al  4o  Temprerà  ec.  Nota  il  tempo,  0  sia  l'ora  del  giorno 
e  la  stagione  dell'anno  ;  e  dice  che  l'ora  era  la  prima  del  gior- 
no,  e  la  stagione  quella  stessa  in  cui  fu  dall'Onnipossente  crea- 
to il  mondo ,  e  perciò  essa  pure  la  stagione  prima .  In  vece  però 
di  dire  ch'era  quella  la  stagione  in  cui  fu  creato  il  mondo,  dice 
(  che  è  lo  stesso  )  che  veniva  il  Sole  alzandosi  in  compagnia  dì 
quelle  medesime  stelle  ch'erano  con  lui  quando  da  prima  fu 
mosso  dall'amor  disino j  cioè  da  Dio,  per  effetto  d'amore 
verso  dell'uomo. 

Da  vari  altri  luoghi  di  questo  poema ,  e  segnatamente  da 
ciò  che  dicesi  nel  secondo  canto  del  Purgatorio,  che,  mentre 
tramontava  il  Sole,  la  notte j  Mopposita  a  lui  cerchia^ 
-  Uscia  di  Gange  fuor  con  le  bilance  {9,  4'  ^0'  ^^^  segno 
della  Libra,  resta  deciso  aver  Dante  per  le  stelle  compagne  del 
Sole  inteso  l'Ariete  segno  alla  Libra  opposto. 

Apportando  a  noi  qui  il  Sole  in  Ariete  la  primavera,  ver- 
rebbe per  questo  riguardo  il  Poeta  nostro  ad  unifoi-marsi  al 
parere  di  coloro  che  dicono  creato  il  mondo  in  primavera.  Ma 
ponendo  egli  poi,  diversamente  da  quanto  tutti  gli  altri  sup- 
pongono, esistere  il  terrestre  Paradiso,  in  sito  a  noi  antipodo, 
in  cima  al  monte  del  Purgatorio ,  ed  essendo  colassotto  autun- 
no, mentre  da  noi  è  primavera,  vien  egli  perciò,  per  rapporto 
all'abitazione  del  primo  uomo,  a  dir  creato  il  mondo  in  au- 
tunno; nella  stagione  de'firutd,  de' quali  la  sacra  Genesi  sup- 
pone che  fosse  il  terrestre  Paradiso  doviziosamente  provvedu- 
to. ■-►  Temprerà  del  principio  legge  il  cod.  Caet.  E.  R.  -  L'-//- 
mor  divino ,  Dio  medesimo ,  e  precisamente  lo  Spirito  Santo  [e]. 
MovTi .  —  Mosse ,  intendi  la  creazione  delP  universo ,  e  non  la 

[a]  Lìb.  4<  carm.  6.  v,  9  [b\  Lib.  1 .  el.  1 3.  y.  5.  [e]  Prop.  voi  i.p. 'i.  fac.  4^- 


CANTO   I.  II 

Si  eh' a  }>eQe  sperar  m'era  cagione 
Di  quella  fera  la  gaietta  pelle , 

L*ora  del  tein|K),  e  la  dolce  stagione;  43 

Ma  non  sì ,  che  paura  non  mi  desse 
La  vista ,  che  m' apparve  d' un  leone . 

Qtiesti  parca  che  contra  me  venesse  4^ 

Con  la  test' alta,  e  con  rabbiosa  fame, 
Sì  che  parea  che  Faer  ne  temesse; 

mossa  data  ai  piaDeti.  Magalotti .  — Mosse  inchìude  due  idee» 
quella  della  creazione  e  quella  del  moto  comuiucato  a  tutti  i 
corpi  da]  Creatore.  Biagioli.^-* 

41  4^  4^  ^  l>cne  sperar.  Essendo  l'oggetto  di  questo 5se- 
rare  la  gaietta  pelle  della  lonza  (cioè  T uccisione  e  scortica- 
mento della  medesima  e  il  liportamento  della  di  lei  pelle  in  se- 
gno di  vittoria  )  dee  bene  valere  qui  quanto  ragionevolnveìite 
o  simile;  tal  che  sia  il  senso:  V  ora  del  tempo  e  la  dolce  sta- 
gione nC  era  cagione  a  ragionevolmente  sperare  la  gaietta 
pelle  di  quella  fiera*  Essendo  poi  Torà  prima  del  giorno  il 
rinnovamento  del  giorno  ,  e  la  primavera  il  rinnovamento 
deiranno 9  di  qui  io  direi  che  prendesse  Dante  speranza  di 
poter  anch'esso  rinnovare  i  suoi  costumi.  »-►«  Stranissima  al 
»  fermo  e  bugiarda  è  l'interpretazione  del  Lombardi . . .  Tali 
»  stolidezze  non  potevano  entrare  nella  sacra  mente  di  Dante. 
»  Ben  altra  è  la  costruzione  de'  suoi  versi  y  cioè  :  la  gaietta 
n  pelle  di  quella  fiera ,  Fora  del  tempo  e  la  dolce  stagione 
»  m^ erano  cagione  a  sperar  bene.  11  senso  n'è  poi  tutto  al- 
»  legorico,  perchè  Dante  vuol  significarci  ch'egli  era  nellaprì- 
n  le  degli  anni  suoi,  e  che,  allettato  della  gaia  sembianza  dei 
»  piaceri,  accoglieva  nell'animo  una  buona  speranza  di  ascen- 
»  dere  alla  cima  dtlla  felicità.  »  Pbkticaki .  —  Il  Dionisi  lesse 
nel  cod.  Lanrenz.  il  1^.  42.  così  espresso:  Di  quella  fera  alla 
gaietta  pelle  :  lezione  avvalorata  da  una  chiosa  di  Pietro  Dan- 
te. E.  J.  —  e  del  cod.  Vat.  3 199.  —  Il  cod.  Stuard.  legge 
m^eran  cagione.  Biaoioli .  <«-« 

44  aI  4^  ^^  ''^^  ^^  ^c*  Superato  che  ha  il  Poeta  T  appe- 
tito e  sensualità  carnale,  gli  si  fa  incontro  il  leone,  che  perla 
superba  ambizione  si  prende  ;  conciossiaché  dopo  gli  assalti 
della  lussuria,  ne  vengono  con  gli  anni  insieme  quelli  del  Pam- 


12  INFERNO 

Ed  una  lupa,  che  di  tutte  brame  49 

Sembiava  carca  nella  sua  magrezza, 
E  molte  genti  fé'  già  viver  grame . 

Questa  mi  porse  tanto  di  gravezza ,  5t2 

Con  la  paura  oh'uscia  di  sua  vista, 
Ch^  i*  perdei  la  speranza  dell'altezza. 

bisione:  e  dice  che  ne  veniva  con  la  testa  alta;  che  il  proprio 
del  superbo  è  andare  altiero,  disprezzando  ed  avendo  a  schivo 
le  umili  cose.  Dahiello.  —  vertesse  per  i^enissej  antitesi  in 
grazia  della  rima .  —  rabbiosa  fame  j  il  cruccioso  appetito  di 
prelatura  che  inquieta  i  superbi,  -^parea  che  Vaer  ne  le- 
messej  frase  somigliante  a  quella  che  comunemente  adopria^- 
mo  di  spaventar  Varia, 

49  5o  5 1  Ed  una  lupa  ec,  Fassegli  incontro  poi  la  lupa ,  che 
l'avarizia  significa  (  vizio  che  regolarmente  è  l'ultimo  ad  en- 
trar nell'uomo):  perciocché y  come  il  lupo  è  di  ciascun  altro 
animale  piii  ingonlo  ed  insaziabile ,  cosi  l'avarizia  è  vie  più 
d' ogni  altro  vizio  peggiore  ;  che  l' avaro  mai  non  si  vede  sazio 
di  accumular  danari  e  facol^.  Onde  soggiunge,  che  di  tutte 
brame  sembrava  carca,  e  che  fé' già  viver  grame  j  triste ,  mol- 
te genti  ;  perchè  il  proprio  dell'avaro  è  di  torre  oggi  a  questo, 
domani  a  quell'altro,  o  per  forza  o  per  firaude,  il  suo.  Ovvero 
(che  piii  mi  piace)  che  fé'  viver  grame  molte  genti ,  intendendo 
essi  avari,  che  per  accumular  denari  e  ricchezze,  ogni  disagio 
ed  ogni  incomodo  patiscono,  male  mangiando  e  peggio  beven- 
do .  Dah lELLo . •'Sembiare ,  lo  stesso  che  sembrare .  Yed.  il  Voc. 
della  Gr.  •->  colla  sua  magrezza  legge  il  cod.  Vat.  3 199.  <-• 

62  mi  porse  tanto  digrai^ezzay  fecemi  tanto  grave,  tanto 
inerte,  tanto  mancante  di  spirito.  »-►  di  grat^ezza,  cioè  di  af- 
fanno 0  torpore,  agghiacciandosi  gli  spiriti  che  sostengono  il 
corpo.  E.  ÌP.^-m 

53  sua  vista >,  dal  suo  aspetto.  •-►Qui  paura  con  bizzarra 
significazione  vale  spavento  in  significato  attivo,  ed  è  forse 
r  unico  esempio  che  se  ne  trovi .  Magalotti  .  --*  I  molti  accenti 
di  questo  verso,  osserva  il  Biagioli,  dipingono  a  meraviglia  il 
fisso  guardare  della  lupa .  -*  I  suoi  occhi  partorivano  spaven- 
to ,  faceano  paura  :  maniera  cercata  nella  nobiltà  de'  pensieri 
ala  ed  arditi  •  E.  R.  <«-« 

54 perdei  legge  la  Nidobeatina  (ed  anche  il  cod«  Caet.);/>f?r» 


CANTO  I.  i3 

£  quale  è  quei,  che  volentieri  acquista ,        55 
£  giunge  1  tempo,  che  perder  lo  face, 
Che  'n  tutt'i  suoi  pensier  piange ,  e  s' attrista  ; 

Tal  mi  fece  la  bestia  senza  pace ,  58 

Che  venendomi  'ncontro  a  poco  a  poco, 
Mi  ripingeva  là,  dove  '1  Sol  tace. 

de^  l'altro  edizioni .  -  la  speranza  delV altezza ,  la  speranza 
di  salire  in  alto .  »-►  delV altezza ,  cioè  la  ridente  cima  del  mon- 
te .  Alfieri  spiega  JC arrivare  in  cima  al  monte.  Biagioli  .  4-« 

55  queiy  sincope  di  quelli,  detto  dagli  antichi  invece  di 
quello.  Vedi  il  Cm.,  Par  tic.  ai  4*  5. 

56  face  per  fa,  adoperato  anticamente  anche  fuor  di  rima. 
Vedi  Mastrofini,  Teoria  e  prospetto  de^  verbi  italiani,  sotto 
il  verbo  fare,  n.  3.  \a\  • 

58  bestia  senza  pace,  impacifica,  priva  sempre  di  pace, 
qaal  suol  essere  di  fatto  T avarizia,  m^  senza  pace ,  nullo  epi* 
teto,  nulla  espressione  può  meglio  ritrarre  lo  stato  inquieto 
della  lupa 9  o  di  cui  essa  è  donna.  Biagioli  .  4-« 

og  «-»  a  poco  a  poco ,  contro  il  parere  dei  piii,  che  vogliono 
riferito  Va  poco  a  poco  al  ripingeva,  r£dit.rom.  lo  riferisce  al 
venendomi  incontro ,  non  sembrandogli  (e  giustamente)  che 
il  Poeta  fosse  con  tanta  lentezza  respinto  colà  dove  il  Sol  tace, 
dicendo  nel  seguente  verso  eh'  egli  rovinava  in  ba^so  loco.  4hì 

6o  ripingeva, \o stesso  che  rispingeva.Yedì  il Vocab.  della 
Cx,''dove  ^J Sol  tace:  catacresi  giudiziosissima.  Ferendosi  gli 
occhi  dal  lume  ad  ugual  modo  che  dalla  voce  ferisconsi  gli  orec- 
chi,  applica  il  tacere,  eh' è  proprio  della  voce,  al  non  illumi- 
nare del  Sole.  Per  la  figura  medesima  fu  dai  Latini  detto  :  luna 
siUns  quando  {MmpUus  non  apparet  \h]ì  e  dirà  Dante  ancora  : 
Io  venni  in  luogo  {fogni  luce  muto  [e]. 

B-^cc  Dante,  dice  il  Perticar!,  avea  nella  mente  Geremia 
»  profeta,  che  disse:  non  taccia  la  pupilla  dell* occhio  tuo  . 
»  Ma  quella  catacresi  del  tacer  del  Solci  come  che  non  altro 
»  significhi  che  la  mancanza  della  luce ,  pure  in  quel  luogo  è 
»  piii  bella  ed  evidente,  perchè  sembra  che  ti  svegli  nell'in- 
»  telletto ,  accanto  V  immagine  dell'oscurità  ,  ancgr  l'imma- 

[a]  Roma  De  RomaDÌs  1814*  a.  voi;  in  ^J*     [b]  Bob.  Steph.  Tkesaur. 
ling.  Ul  art.  Sile/u.    [e]  lof.  v.  a8. 


i4  INFERNO 

Mentre  eh'  i'  rovinava  in  basso  loco,  6i 

Dinanzi  agli  occhi  mi  si  fu  offerto 
Chi  per  lungo  silenzio  parca  fioco. 

»  giue  del  &iIeazio  >  che  si  bene  aiuta  la  fierezza  di  quel  con- 
Mcetto.  E  per  quel  firanco  traslato  il  leggitore  già  teme  del 
»  gran  Deserto  che  si  stende  fra  la  terra  e  Y  inferno»  e  gli 
»  par  vederlo  non  solo  buio ,  ma  anche  muto  j  siccome  con- 
»  viene  dove,  mancato  il  Sole,  non  è  piii  vita  di  cose.»- Dal 
1^.  3i.  sino  al  60.  il  Biagioli  non  si  fa  gran  coscienza,  dice  lo 
Scolari ,  di  questa  verità  di  fiitto,  che  Dante  nel  dar  Tidea 
delle  tre  fiere  non  intese  di  parlare  de'  vizj  suoi  personali ,  o 
di  quelli  dell* uomo  in  generale,  ma  dei  predominanti  al  suo 
tempo  in  relazione  al  fine  del  suo  Poema,  come  si  vedrà  piii 
sotto.  •—  Il  cod.  Vat.  3 199.  legge  :  MI  ^npingeya  •  4-« 

6*3  Chi  per  lungo  ec. ,  chi  pareva  rauco  cosi  ccyme  chi  muo- 
ve la  voce  dopo  un  lungo  silenzio .  O  suppone  Dante  che  non 
solamente  Virgilio  gli  si  fiicesse  vedere,  ma  gli  dicess' anche 
alcuna  cosa,  animandolo  esempigrazia  a  non  recedere  ;  o  ciò 
dicendo,  risguarda  il  parlare  che  Vii^llio  gli  fece  di  poi.  Pia- 
cemi  il  pensiero  del  Landino  e  del  Daniello ,  che  voglia  Dante 
con  tal  lungo  silenzio  di  Virgilio  accennare  quella  totale  non 
curanza,  in  che  dalla  venuta  dei  barbari  in  Italia  fino  a'  tempi 
suoi  erano  gli  scritti  di  Vii^lio  giaciuti  •  •-¥  fioco  per  rauco 
spiega  U  Biagioli;  ma  come  Dante  si  accorse  che  Virgilio  era 
rauco  ?  Credo,  risponde ,  per  qualche  sottil  grido  messogli 
da  colui  che  roi^inaua  in  basso  loco  per  farlo  accorto  di 
sé  •  —  Supposizione  gratuita ,  so^unge  lo  Scolari ,  e  con* 
traddettai  1.^  dal  verbo /^orea,  mentre  se  l'avesse  sentito 
fioco ,  non  gli  sarebbe  tale  paruto  ;  2.^  dal  verso  :  Quando 
uidi  costui  nel  gran  diserto  ,  donde  appare  che  il  Poeta  non 
V  avea  già  sentito ,  ma  solo  per  caso  s' era  avveduto  di  quel 
fantasma ,  che  non  sapea  poi  discemere  se  fosse  uomo  od  om^ 
bra .  Scolari  .  -  Il  Magalotti  chiosa  :  i  P  quando  Dante  scrisse 
il  verso ,  avealo  già  udito  parlare  ;  liP  che  poi  lo  &ccia  fioco , 
ciò  è  forza  per  tacciar  la  baibarie  di  quel  secolo  che  avea  po- 
sti in  dimenticanza  gli  scritti  di  Virgilio .  —  La  prima  pro- 
posizione ,  ripiglia  lo  Scolari ,  manca  affatto  di  prova .  Rap- 
porto alla  seconda ,  il  chiedergli  che  fa  Dante  se  era  uomo  od 
ombra ,  prova  che  non  V  avea  conosciuto  per  Vii^lio .  Gli  al- 
tri spositori  0  non  si  spiegano ,  0  dauno  neir  allegorico ,  o 


CANTO    I.  Il 

Quando  vidi  costui  nel  gran  diserto,  64 

Miserare  di  me ,  gridai  a  lui , 
Qual  che  tu  sii,  od  ombra ,  od  uomo  certo. 

Risposerai  :  non  uom  ;  uomo  già  fui  ^  G7 

£  li  parenti  miei  furou  Lombardi , 

fimno  ipotesi  come  il  Lombardi •  Che  dunque?  Muratori,  nella 
xxxn.  Djss.  sulle  Antich.  ìtal.,  afferma  che  fioco  significa  prò* 
priamente  fiacco  9  debole  ;  e  sempre  in  tal  senso  Tusò  Dante 
in  parecchi  luoghi.  Però  qui  vuol  dire  :  APasfyidi  di  tale  9  che^ 
standosi  tutto  in  silenzio  9  pareami  vinto  da  fiacchezza . 
Forse  Taver  male  inleso  dapprima  questo  luogo  fece  deviare  la 
voce /Foco  dal  sovraespostosuo  natm*ale  significato.  Sgolasi.^-* 

64  Quando  vidi  legge  la  Nidobeatina:  Quand' i' vidi  V ai* 
tre  edizioni .  —  diserto  invece  di  deserto  adoprano  molti  al- 
tri buoni  antichi .  Vedi  il  Vocab.  della  Gr. 

65 ,JiEserere  di  me:  abbi  compassione  di  me.  Usarono  i 
poeti  toscani  ed  anche  i  prosatori  qualche  volta  di  sparger  nei 
loro  componimenti  voci  latine.  Il  Petrarca  nella  canzone  della 
Beata  Vergine:  Miserere  J*i<n  cor  contrito  umile;  e  nel  so- 
netto 293.:  Or' ab  esperto  vostre  frodi  intendo.  Il  Boccaccio 
pure  nella  novella  di  Martellino:  Domine 9  fallo  tristo.YoLvi* 

66  Qual  'per  qualunque.  Vedi  il  Cinonio,  Partic.  ao8.  io. 
—  certo  per  vero,  reale.  Volpi  e  Venturi,  ma  prima  di  tutti 
il  Buti,  citato  dal  Vocab.  della  Cr.  alla  voce  rer^o  .•-♦  Que- 
sto dubbio  del  Poeta,  dice  TEdit.  rom.,  è  proprio  di  una  per- 
sona che  di  tutto  paventa,  e  che  in  quella  immensa  solitudi- 
ne dispera  quasi  di  trovar  uomo  che  l'aiuti  incontro  a  guerra 
Si  perigliosa .  4hì 

67  non  uom ,  ellissi ,  intendi  sono  ;  non  sono  uòmo ,  cioè 
composto  d'anima  e  di  corpo.  Non  uomo  duramente  l'ediz. 
diverse  dalla  Nidobeatina  • 

68  parenti  per  genitore  e  genitrice.  Lat»  parens.  Cosi  il 
Petrarca  nella  canzone  Italia  mia  ec 

Madre  benigna  e  pia , 

Che  cuopre  Cuno  e  V altro  mio  parente:  Volpi  . 
Lombardia  denominazione  anticipata  di  molti  secoli ,  ri- 
spetto ai  tempi ,  dei  quali  parla  vagli  |  ma  opportuna  per  farsi 
meglio  intendere  da  Dante  nel  tempo  in  cui  gli  parlava.  Vek- 
Tuai  • 


l 


i6  INFERNO 

E  Maniovani  per  patria  amendui . 
Nacqui  sub  Julia ^  ancor  che  fosse  tardi  ^  ^o 

E  vissi  a  Roma  sotto  '1  buono  Augusto , 


Il  Mazzoni  [a])  persuaso  che  Mantova  sia  fuori  della  Lom- 
bai'dla»  vuole  che  Lombardo  vaglia  qui  qutinV Italiano .  Il 
Biondo  però  ,  TAlberti,  il  Baudrand  ea  altri  geografi  ascrivo- 
no Mantova  tra  le  città  lombarde  • 

69  Mantoifani per  patria  y  per  via  di  patria.  Vedi  il  Cino- 
nio,  Panie.  iq5.  i  8.  Virgilio  9  come  attestano  concordemente 

li  scrittori  della  di  lui  vita,  nacque  in  Andes  (che  Petula 
\odie  dicitur,  scrive  Ferrano  [i]  ,  e  Pietola  appella  Dante, 
Purgatorio  xviii*  83.  )  villa  discosta  da  Mantova  due  o  tre  mi- 
glia. Ma,  o  perchè  solo  per  accidente  nascesse  ivi  Vii^ilio^ 
ed  avessero  i  di  lui  genitori  fissa  abitazione  in  Mantova  [e]  j 
o  perchè  fosse  quella  villa  nell'agro  mantovano  9  come  Manto- 
vano fu  sempre  da  tutti  appellato  Virgilio  >  cosi  Mantovani 
appella  Dante  i  di  lui  parenti,  i  di  lui  genitori . 

Per  questo  far  dire  a  Virgilio  i  parenti  suoi  Mantovani 
per  patria  amendui  viene  Dante  dal  Gasa  nel  Galateo  ripre- 
so di  superfluità:  perciocché  y  dice,  niente  rileuai^a  se  la  ma^ 
dre  di  lui  fosse  stata  da  Gazuolo  o  anco  da  Cremona . 

Neppur  gran  cosa,  dich*io,  avrebbe  importato  se  di  Ga- 
zuolo o  di  Cremona  stato  fosse  anche  il  padre  di  Virgilio  ;  on- 
de, giacché  la  dilicatezza  di  Monsignore  di  buon  grado  sofiri- 
va  che  dichiarasse  Virgilio  mantovano  il  padre,  poteva  par 
soffrire  che  con  un  semplice  amendui  dichiarasse  mantovana 
(eziandio  la  madre,  m^ Mantuani per  patria  ambidui  legge  il 
Vat.  3199.  <#-• 

70  7 1  Nacqui  sub  Inlio,  ancor  che  fosse  tardi.  Il  Gastel- 
vetro  nelle  Opere  varie  critiche  date  alla  luce  dal  Muratori^ 
tra* molti  passi  di  Dante,  ai  quali  trova  da  dire ,  pone  questo 
il  primo,  ed  asserisce:  errore  che  Virgilio  dice  a  esser  na^ 
to  sotto  Giulio  Cesare y  e  tardi;  non  essendo  'vero  eh* egli 
nascesse  sotto  Giulio  Cesare ,  ma  prima  j  nel  tempo  che 
Roma  era  libera ,  e  viveva  a  comune ,  cioè  V  anno  del* 


[a]  Dir.  di  Daale,  lib.  1  cap.  5.  [b]  Lexìc.  Geogr.  art.  Andes*  [c\  Tra 
i  \»T\  piirerl  che  Rueo  (yirg.  Hist.  )  riferisce  circa  la  condizione  del 
padre  dì  Virgilio»  Pater  (dice),  ex  Servio ,  civis  mantuanus /uit , 


CANTO  I.  17 

fedificamento  diJtoma  683,  essendo  consoli  Gn.  Pompeo 
Magno  e  M.  Licinio  Grasso  la  prima  volta  y  secondo  che 
tesiimonia  Donato  nella  vita  di  lui. 

Il  Venturi  inleipreta  il  riferito  verso  così  :  H  senso  è  : 
posso  dire  di  esser  nato  sotto  r  imperio  di  Giulio  Cesare , 
sebbene  Cesare  si  fe^ Dittatore  perpetuo  un  poco  più  tarili 
rispetto  al  mio  nascimento  y  che  propriamente  seguì  nel 
consolato  di  Gneo  Pompeo  e  di  Marco  Licinio  Grasso  j 
nelVanno  della  fondazione  di  Roma  684  [a] ,  avanti  Cri' 
sto  70;  e  convenendo  tutti  nelVanno  della  nascita  di  Vir^ 
gilio  y  male  spiega  il  Daniello  quel  tardi  negli  ultimi  anni 
della  dittatura  ili  Giulio  Cesare . 

Ma  però  y  secondo  la  storia ,  nacque  Y  ìi^lio  tanto  Wf 
Danzi  alla  dittatura  perpetua  di  Giulio  Cesare,  che  neppure  è 
ben  detto ,  che  fosse  «pesti  fatto  Dittatore  perpetuo  un  poco 
più  tarili .  Imperocché  non  ottenne  Cesare  questo  onore  se 
non  quando ,  superate  tutte  le  guerre  civili  ,  entrò  vittorioso 
in  Roma  [6J ,  cinque  soli  mesi  prima  che  fosse  ucciso  [e]  ;  tal 
che  fu  vero  il  pronostico  di  Cicerone  [ J] ,  che  il  regno  di  lui 
non  avrebbe  oltrepassato  il  semestre.  Essendo  adunque  Ce- 
sare rimaso  estinto  l'annodi  Roma  709  [ej ,  viene  di  conse- 
guenza ,  che  tra  la  nascita  di  Virgilio  e  la  dittatura  perpetua 
di  Giulio  Cesare  scorressero  anni  25. 

E  se  anche  con  Cassiodoro  [f]  volessimo  abusivamente 
stendere  il  regno  di  Cesare  ad  anni  quattro  e  mezzo,  compu- 
tando cioè  come  peipetua  la  prima  dittatura  che  ottenne  Ce- 
sare ,  essendo  consou  Caio  Claudio  Marcello  e  Lucio  Corne- 
lio Lentulo  f^j  nell'anno  di  Roma  704  [AJ ,  resterebbero  tut- 
tavia dì  mezzo  anni  ai. 

Lopposizione  del  Castelvetro ,  dice  il  Sig.  Filippo  Rosa 
Morando  \i\  y  è  sciolta  ila  ijuesto  verso  con  quelle  parole  an- 
cor dbe  ÙMe  tardi  y  per  le  i/uali  vien  dinotato ,  che  Virgilio 
nacque  attempi  di  Giulio  Cesare ,  ma  che  Cesare  si  fe*Dit^ 
tutore  perpetuo  alcuni  anni  più  tardi  rispetto  al  suo  nasci" 
mento  y  come  ottimamente  spiega  il  Vellutello  :  la  qual  cosa 

[à]  à  colai  anno  684  (e  non  al  683  come  il  Castelvetro)  assegna^ 
■o3  consolato  di  Gn.  Pompeo  e  di  M.  Licinio  Grasso ,  e  la  nascila 
£  Vii^o  anche  il  Petavio  Ration,  Temp,  Rueo  f^irg.  Hist,  [h]  Fior. 
BmL  liK  4*  Entrop.  lib.  6.  [e]  YelL  Patere,  lib.  a.  cap.  1 6.  [à]  Jtiic. 
bb.io.ep6,  [e]  Eotrop.  lib.  7.  [/]Chr(m*  [g]Cae8ar.l>eòel/.ciP.2ibia. 
[k]  Sigoo.  Fitsi*  CoHSul,  [i]  OsservaUoni  sopra  la  Cam-  di  Dante* 
Farad,  vi.  73. 

Fol.  /.  a 


i8  INFERNO 

mi  fa  stupore  come  non  sia  stata  a^ertita  dcUC acutezza 
di  tanto  critico . 

Non  v'  ha  dubbio ,  confermo  io  pure ,  che  le  parole  ìmu- 
cor  che  fosse  tardi  atte  sono  a  modincare  e  verificare  le  an- 
teriori nacqui  sub  Julio ,  e  che  ragionevolmente  operando 
non  dobbiamo  y  senza  esservi  del  tutto  necessitati ,  persua- 
derci che  fosse  Dante  grande  storico  >  e  diligentissimo  dei  tem- 
pi osservatore  [a]  in  tutt'altro»  fuorché  circa  i  fatti  di  colui 
ch*è  il  personaggio  principale  del  suo  poema .  Dura  cosa  però 
riesce  tuttavia  ad  ammettersi ,  che  &ccia  egli  dire  a  Virgilio 
d*  essere  nato  sotto  di  Giulio  Cesare ,  solo  perchè  Giulio  Ce- 
sare fosse  allora  al  mondo . 

Nella  vita  di  Giulio  Cesare  noi  troviamo ,  ch'egli  fino 
da  giovinetto  col  prepotente  suo  operare  in  molti  incontri  die 
chiaro  a  conoscere  la  mira  che  aveva  di  usurparsi  il  princi- 
pato; e  ch'ebb'egli  anzi  in  bocca  firequentemente  quel  detto 
d'Euripide ,  se  si  ha  a  violare  la  giustizia ,  ciò  si  dee  fare 
per  cagione  di  signoreggiare  [6]  • 

Edrei  io  adunque  9  che ,  mischiando  Dante  graziosamente 
la  storia  colla  satira  y  faccia  parlare  Virgilio  in  cotal  modo  ad 
accennare  9  che  sebbene  non  fosse  Cesare  proclamato  Impe- 
ratore se  non  tardi ,  colle  sue  animose  mire  però  e  colla  sua 
prepotenza  signoreggiava  già  anche  aS  anni  prima  (vale  a  dire 
m  età  di  circa  trent'anni)  [cj ,  quando  nacque  Virgilio  • 

Augusto  j  Ottaviano ,  cosi  legge  la  Nidob.  Àgusto  in- 
vece d'^ii^ti^to  inserirono  nella  edizione  loro  gli  Accademici 
della  Cr.  per  avere  così  trovato  scritto  in  sei  mss.j  ove  tutti  gli 
altri  ,  che  ne  confrontarono  più  di  ottanta ,  e  tutte  l'edizioni 
leggevano  Augusto  :  e  vi  aggiunsero  postilla  y  che  gli  scrii" 
tori  antichi  dicevano  Agusto  per  la  pronunzia  •  Ma  non 
hanno  essi  badato ,  che  i  medesimi  sei  mss.  qui  discordi,  erano 
poi  altrove  in  parecchi  luoghi  \d\  concordi  con  tutti  gli  altri 
a  leggere  Augusto;  talmentechè  ve  l'hamio  ivi  lasciato  cosi 
scrìtto  anche  nella  stessa  loro  edizione .  •-♦  Per  ragion  di  sin- 
tassi il  fosse  tardi  deve  riferirsi  al  nascere  di  Vii^ilio  e  non 
al  renare  di  Giulio  •  Nacque  Virgilio  sotto  Giulio ,  ma  es- 
sendo morto  costui  mentr'egli  era  giovine ,  nacque  troppo  tardi 

[a]  Yeggansi»  per  cagion  d'esemplo,  le  mie  note.  Par.  xvi.  38.  e 
Kxxitf.  9S.  [b]  Vedi,  Ira  gli  ahrl,  Svetonro  C.  JuL  Caésar.  eap.  So. 

e]  Tanti  restano  9  levandosi  -iS  d.i  56  anni  che  visse  Cesare.  Syet.  e*  88* 

d]  Inf.  XXIII,  68.  Purg.  xxn.  1 16.  Par.  xxxii.  1 19. 


CANTO  I.    '  19 

Al  tempo  degli  Dei  falsi  e  bugiardi . 

Poeta  fui,  e  cantai  di  quel  giusto  ^3 

Figliuol  d'Auchise,  che  veune  da  Troia, 
Poiché  '1  superbo  Uion  fu  combusto . 

Ma  tu,  perchè  ritorni  a  tanta  noia?  y6 


per  poCer  ^essere  il  suo  poeta ,  sìocome  lo  fu  poi  di  Augusto . 
Dìcado  che  sotto  il  buon  Augusto  yissey  intende  che  ehbe 
Ia  vita  del  nome ,  delVopere  e  della  gloria ,  che  è  la  sola  vita 
deirnomo ,  secondo  Dante,  che  gli  uomini  oscuri  appella  non 
vivi .  Dicendo  Vii^ilio  ch'ei  cominciò  a  vivere  dopo  i  ^5  an- 
ta ,  dà  meglio  a  conoscere  che  qui  non  parla  deUa  vita  ani- 
male j  ma  si  di  quella  che  si  vive  per  opere  grandi  e  per  virtii 
cittadine.  PsaTiCAmi  •  — »  Vedi  anco  (  Convit.  pag.  118.  119. 
e  109.  a  I  o.)  ove  Dante  spiega  cosa  sia  vivere  nel  senso  in  cui 

ri  deve  intendersi.  E.  F.  —  ancor  eh* e^ fosse  tardi  legge 
3.  ed*  rom.  (e  noi  col  Vat.  3 199) ,  e  intende  di  leggere  se- 
condo la  mente  dell'Autore  e  de'piii  fini  Spositori ,  e  di  tro- 
varsi cosi  d'accordo  coli'  interpretazione  del  Dionisi .  «-• 

73  m^  bugiardi  y  vani ,  che  tale  si  è  appunto  il  significato 
della  voce  bugiardo.  Biagioli.  ^-c 
73  74  J^gif^^  ^Figliuol  d'jinchisey  Enea,  di  cui  Virgilio: 
Mex  erat  Aeneas  nobis  j  quo  iustior  alter 
Nec  piotate  fuit ,  nec  bello  maior  et  armis  [a] . 
Troia  qui  non  per  la  città  che  Ilion  appella ,  ma  per 
latta  la  r^one  di  cm  Ilion  era  la  capitale .  Ilium,  scrive  Ao- 
bcrto  Stetano  y  proprie  civitas  est  :  nam  regio  Troia  est  : 
^anuris  interdiunpro  civitate  Troiamponat  f^irgilius  [b]. 
—  Bion  acrive  Dante  uniformemente  al  greco  IAiov;  e  sU" 
perbo  appellandolo  y  imita  quel  virgiliano:  ceciditque  supera 
brnn  Ilium  y  En.  iii.  2.  —<-  combusto  y  dal  lat.  comùuro  y  per 
abbruciato  adoprano  altri  autori  di  lingua .  Vedi  il  Vocab. 
deOa  Gr.  «-^  L'armonia  del  verso  76  è  pari  alla  grandezza  del 
concetto  in  lui  contenuta .  Biaoioli  .  -—  Ilio  o  Ilione  fu  la 
rocca  di  Troia  y  e  qui  prendesi  per  la  città  stessa .  Così  d'ac- 
cordo tutti  i  Gomentatori  contro  il  Lombardi.  E.  F.  «hi 
76  a  tanta  noia  y  alla  noia  dell'oscura  selva  predetta . 

[«]  Jemeid.  i.  548*     [b]  Thesaurus  ling.  lat  art.  llium. 


20  INFERNO 

Perchè  non  sali  il  dilettoso  monte  y 
Cììè  principio  e  cagion  di  tutta  gioia? 

Oh!  se'  tu  quel  Virgilio,  e  quella  fonte,         79 
Che  spande  di  parlar  sì  largo  fiume? 
Risposi  lui  con  vergognosa  fronte . 

O  degli  altri  poeti  onore  e  lume,  82 

Vagliami  1  lungo  studio  e  1  grande  amore, 
Che  m' han  £itto  cercar  lo  tuo  volume . 

Tu  sé'  lo  mio  maestro,  e  1  mio  autore  :  85 

Tu  se'  solo  colui ,  da  cu'  io  tolsi 
Lo  bello  stile ,  che  m' ha  fatto  onore  • 

Vedi  la  bestia ,  per  cu'  io  mi  volsi  :  88 

Aiutami  da  lei,  famoso  Saggio, 
Gb'  ella  mi  fa  tremar  le  vene  e  i  polsi  • 

79  m^  Ohi  sè*tu  legge  la  3.  ed.  rom.,  ch'esprime  meglio  con 
una  esclamazione  la  sorpresa  del  Poeta  y  ed  è  meglio  così  le- 
gata la  terzina  che  segue .  Lezione  danoi  sostituita  alP  Or  se*r« 
del  cod.  Vat.  3 199  e  della  Nidob.  seguita  dal  Lombardi .  4-« 

84  cercar  y  vale  qui  quanto  attentiUìfhente  considerare  , 
investigare  y  scruttinare.  b-¥  Che  rn^ha  fatto  invece  di  han 
legee  il  cod.  Caet.  E.  R.  —  e  il  Vat.  3 199. 4-« 

Sj  Lo  bello  stile  y  che  m*ha  fatto  onore .  Oltre  che  Dante 
prima  di  questo  ppema  aveva  composto  la  F'ita  nuova  [a]  ed 
altre  rime  italiane,  egli  attèndeva  eziandio  a  comporre  versi  la« 
tiniy  ed  aveva  anzi  incominciato  a  scrivere  in  versi  latini  que» 
sto  medesimo  suo  poema  [ftj  ;  e  ben  potè  per  questi  suoi  con>> 
ponimenti avere  in  varj  incontrìriscossodegli  applausi.  «-^Dan- 
te,  già  celebre  per  la  sua  F'ita  nuova y  perle  sue  belle  can- 
zoni e  per  le  sue  rime  volgari ,  qui  parla  dello  stile  italiano 
che  gli  avea  fatto  onore ,  e  non  de'suoi  versi  latini  y  come  ^ina 
il  Lombardi .  Vedi  andbe  il  Convito .  Cosi  chiosa  TE.  F.  «-« 

90  tremar  le  vene  e  1  polsi:  cioè  tremare  pel  grande  spa^ 
vento  tutte  le  vene  y  tanto  quelle  dove  è  più  di  sangue  e  meno 

[a]  V.  VauL  delle  Mem*  per  la  vita  di  Dante  y  $*  xvii.  [b]  Lo 
autore  I  ifi. 


CANTO  h  21 

A  te  convien  tener  altro  viaggio,  91 

Rispose,  poi  che  lagrimar  mi  vide, 
Se  vuoi  campar  d' esto  loco  selvaggio  ; 

Cbè  questa  bestia ,  per  la  qual  tu  gride ,         g4 

di  spiriti  f  e  però  non  risaltano ,  quanto  quelle  dove  é  pia  di 
spinti  e  meno  di  sangue  j  e  sono  le  arterie  a  pulsando  dette 
polsi .  y  XHT17BI .  m-¥  Qui  Dante  y  dice  il  Biagioli ,  mi  dà  cagione 
di  sospettare  ch'egli  avesse  una  idea  anticipata  della  circola- 
tione  del  sangue ,  della  quale  scoperta  il  nome  di  Haryeio  s'è 
Atto  immortale .  -*  Pighò  i  polsi  per  le  arterie  9  dice  il  Ma* 
galotti  j  e  spiega  in  modo  da  far  conoscere  Dante  dotto  nel 
movimento  ed  ufficio  delle  arterie*  —  Che  la  invece  di  Ch^elr 
la  legge  il  cod.  Caet.  E.  R.  ^^ 

gì  g^  jé  te  convien  ec»  G)mé  se  fuor  d'allegoria  parlando 
dicesse  :  per  partirti  dal  vizio  9  non  dèi  immediatamente  cer- 
car l'alto  della  virtìi ,  ma  dèi  prima  per  la  meditazione  dell'In- 
femo  ePui^atorio  acquistarti  ahboiTimento  al  vizio.  m-¥  Quasi 
dica:  ben  si  può  lussuria  e  superbia  vincere  >  ma  superare  ava- 
rizia y  ciò  è  all'umane  forze  impossibile  •  Maoaxotti.  -  Trova 
qui  da  notare  con  distinzione  lo  Scolari:  altro  essere  che  Vir- 
gilio proponesse  il  viaggio  come  suo  pensamento  f  altro  che 
per  uscire  della  selva  non  vi  fosse  altro  modo  ;  il  che  dando 
un  diverso  giro  all'allegoria  j  anderebbe  soprattutto  a  U^lie- 
re  :  i .^  la  meraviglia  dell'impensata  maniera  con  cui  sarà  ca- 
vato da  quell*  impaccio  ;  a.^  l'affetto  che  per  la  straordinarietà 
del  consiglio  leeherà  Dante  a  Virgilio  9  come  a  padre  amo* 
roso  smarrito  figliuolo  ;  3.^  in  fine  u  motivo  della  gratitudine 
di  cui  Dante  nel  corso  del  poema  si  mostrerà  penetrato  verso 
la  sua  guida  •  —  Qui  osserva  il  Biagioli  >  che  non  arriva  alla 
terità  chi  prima  non  conosce  l'errore  >  e  questo  s'ha  a  cono- 
fcere  pei  ninesti  effetti  che  ne  derivano  ;  che  a  questo  prin-* 
dpio  di  tutti  i  tempi  e  di  tutti  i  luoghi  mirò  il  viaggio  di 
Thnle  nell'Inferno  ;  e  che  quindi  non  poco  ingannossi  il  sig. 
Ginguenè  credendo  che  la  visione  del  Poeta  debbasi  attn- 
boire  allo  spirito  dominante  di  quel  secolo  •  <-« 

93  esto  -per  questo  1  aferesi  anticamente  molto  praticata  [a] . 

^  al  c^fygriae  per  gridi  j  antitesi  in  grazia  deUa  rima.  »-^  In- 
tendi dell'avarizia  y  e  non  delFinvidia ,  non  già  perchè  questa  si 
possa  vincere  e  quella  no  9  come  chiosa^il  Biagioli ,  ma  si  perchè , 
[«]  Vedi  a  Tocab.  della  Crusca. 


22  INFERNO 

Non  lascia  altrui  passar  per  la  sua  via , 
Ma  lauto  lo  'mpedisce,  che  l'uccide  : 

Ed  ha  natura  sì  malvagia  e  ria ,  97 

Che  mai  non  empie  la  bramosa  voglia , 
E  dojx)  '1  pasto  ha  più  fame  che  pria. 

Molti  sou  gli  animali,  a  cui  s' ammoglia ,      100 
£  più  saranno  ancora,  infin  che  Ì  Veltro 

oome  osserva  lo  Scolari ,  ì  caraUeri  deirinsazìabilita  notati  qui 
dal  Poeta  più  airavarìzia  si  convengono  che  ali*  invidia .  <«-• 

99  dopo  7  pasto  ec.y  secondo  quel  trito  verso  : 

Crescit  amor  nummi  quantum  ipsa  pecunia  crescita 
m^  Il  cod.  Stuard.  porta  :  ha  più  fame  che  ^npria.  Biagioli.  <^m 

1 00  Molti  son  gli  animali ,  ec.  Il  vizio  dell'avarizia  9  sin»- 
boleggiato  nella  lupa ,  si  conginnge  con  altri  viz|  j  per  esem- 
pio colla  frode,  coUa  violenza  ec.  Vbhtubi. 

lOi  F'eltro  •  L'essere  il  veltro ,  0  sia  il  levriere ,  cane  :  il 
predir  Dante  nel  Paradiso  [a]  le  medesime  cose ,  che  predice 
qui  j  espressamente  a  Gm  Grande  9  fratello  minore  d' Alboi- 
no,  e  «fi  lui  compagno  nella  signoria  di  Verona  :  Taver  esso 
Cane  prese  le  armi  contro  i  Guelfi»  e  l'esser  il  medesimo  stato 
eletto  Capitano  della  lega  Ghibellina  [&]  ;  e  finalmente  il  qua- 
drare alla  nazione  di  Cane  la  situazione  1  che  quattro  versi 
sotto  dirassi ,  tra  Feltro  e  Feltro  (come  ivi  farò  vedere) ,  sono 
circostanze  che  formano  una  convincente  prova ,  che  pel  t^/- 
tro  intenda  il  Poeta  lo  stesso  Gan  Grande  t  e  che  predica  cosi 
favorevolmente  di  Ini  in  gratificazione  del  ricovero  trovato 
presso  del  medesimo  in  tempo  del  suo  esilio  [e]  •  m^  Ne»  per^ 
ciò  col  YaU  3 199  leggiamo  F'eltro  con  la  F  maiuscola  •  ^-s 

Il  primo  a  dare  questa  interpretazione  fu ,  quanto  scorgo  , 
il  Vellutello  •  I  pili  antichi ,  almeno  gli  stampati ,  il  Boccaccio 
e  tutti  gli  altri ,  non  seppero  intendere  pel  i^eltro  se  non  Cristo 
giudice  nella  fine  del  mondo  y  e  ^'Feltri  i  cieli  0  le  nuvole . 

Consiegue  poi  quindi  y  o  non  esser  vero  ciò  che  il  mede- 
simo Boccaccio  (d]  ed  altri  dopo  di  lui  [e]  raccontano  che  scri- 

[a]  C  XVII.  76.  e  8^g.  [5]  Corio  tst.  di  Milano,  P.  3.  [e]  Vedi  tra  gli 
altri  Lionardo  Aretioo  f^iia  di  Dante,  [d]  Nella  F'iia  di  Dante  e  ael 
Comentpaopn  il  e.  vni.  deU*Inr«  [e]  Vedi  raatore  delle  Memorie  ptsr 
ia  yita  di  Dante  ^  $•  >7- 


CANTO  I.  23 

Verrà ,  che  la  £irà  morir  di  doglia . 
Questi  non  ciberà  terra,  né  peltro,  io3 

Tesse  Dante  i  primi  sette  canti  di  questo  suo  poema  innanzi  del 
sofferto  esilio  ;  od  almeno  >  che  commesso  Boccaccio  vi  crede  in- 
serita posteriormente  dal  Poeta  medesimo  la  parlata  di  Ciacco 
nel  sesto  canto  di  questa  cantica  ,  cosi  pm'e  inserita  abbia  qui 
posteriormente  questa  parlata  di  Virgilio  y  e  posteriormente 
uon  di  pochi  ,  ma  di  parecchi  anni .  forcone  la  ragione  • 

Finge  Dante  ,  come  nell'  annotazione  al  primo  verso  è 
detto,  questo  suo  misterioso  viaggio  nell'anno  i3oo  ;  ed  in 
Paradiso  essendo  [a]  >  fa  da  Cacciaguida  dirsi  Tetà  di  Cane  di. 
soli  anni  nove  :  concordando  in  ciò  appuntino  coli'  antica  Cro- 
nica di  Verona  [&] ,  che  dice  nato  il  medesimo  principe  nel 
1291  il  di  9  marzo  .  Dunque  allor  quando  successe  l'esilio  di 
Dante ,  che  fu  nel  i3o2  (e)  f  contava  Cane  soli  undici  anni  : 
età  troppo  al  di  sotto  di  quella  in  cui  potesse  Cane  essersi 
inunisdiiato  ne'  partiti  e  nell'  armi  9  ed  avere  in  esse  dato 
que'  saggi  di  valore ,  che  dovette  già  aver  dato  quando  Dante 
queste  cose  di  lui  scriveva  •  Nel  1018  successe  la  prefata  eie* 
sione  di  Cane  in  Capitano  della  lega  GhibeUina  [d] ,  e  solo  in 
vicinanza  di  esso  tempo  pare  che  potesse  Dante  giudiziosa* 
mente  azzardare  cotale  predizione .  m^  Il  Villani  dice ,  che 
Can  Grande  fu  il  maggior  tiranno  che  fosse  in  Lombardia  ; 
ma  il  Poeta  lo  vide  dalT  altro  lato  .  Biagioli  .  4-c 

I  oa  con  doglia  legge  la  Nidob. ,  di  doglia  le  altre  edi^ 
rioni ,  »♦  e  per  nostro  parere  assai  meglio ,  escludendo  il  di 
ogni  altra  cagione  di  tal  morte  .  <-« 

f  o3  Questi, Non  solamente  l'uso  comune  dello  scrivere  [e], 
ma  la  buona  sintassi  vieta  qui  d' intendere  questi  d' altro  caso 
die  del  retto  :  sì  perchè  dee  esso  pronome  reggere  eziandio  la 
terrina  seguente  :  di  quelVunUle  Italia  fia  ec. ,  si  per  l' uni* 
fermi tà  al  questi  che  di  nuovo  ripetesi  nel  u.  109*  —  Il  cod. 
Gas.  legge  Costui  in  luogo  di  Questi  ;  lo  che  serve  a  confei^ 
mar  1*  opinione  del  nostro  P.  L. ,  che  Questi  sta  nel  caso  ret* 
lo .  E.  R.  •*  non  ciberà .  Il  retto  caso  del  pronome  questi  im- 
porta che  ciberà  vaglia  quanto  farà  suo  cibo ,  cioerassi ,  e 
che  per  conseguenza  adoperisi  cibare  ^  siccome  pascere  eva- 
la] C  zvii«  V.  8o.  e  seg.  [b]  Tra  gli  scrittori  delle  cose  d' Italia  rac- 
cnlii  cl«l  Morat.  lóin.  8.  [e]  Il  citato  autore  delle  Jfcfifi^rie  ec.  $.  io* 
l«^]  Corio  €it«  ivi.  [e]  Vedi  il  Cinon.  Pariic.  :aìS.  1. 


a4  INFERNO 

Ma  sapienza^  e  amore,  e  vìrtute; 
E  sua  QaziOQ  sarà  tra  Feltro  e  Feltro . 

scolare  i  anche  nel  senso  neutro .  Per  mancanza  di  queste  con* 
siderazioni ,  avendo  gli  Accad.  della  Gr.  nel  Vocabolario  chio- 
sato il  verbo  cìft<ire  :  dare  il  cibo  ,  nutrire  ,  lai.  praebere  ci" 
bum  y  vi  hanno  pel  primo  esempio  recato  questo  stesso  verso 
di  Dante  :  Questi  non  ciberà  terra ,  né  peltro .  Rimane  d'av- 
vertire che  I  come  terra  e  peltro  non  sono  propriamente  ci- 
bi ,  cosi  cibare  non  ottiene  qui  senso  proprio  i  ma  metaforico 
ed  equivalente  al  far  sua  contentezza ,  far  sue  delizie.  -  ter^ 
ra  per  poderi  e  stati .  — peltro  (chiosa  il  Volpi  )  per  ogni 
metallo,  e  conseguentemente  per  la  pecunia .  Questi  non  ci- 
berà  terra ,  né  peltro  j  -  Ma  sapienza  ec.  Cioè  questi  non 
appagherà  il  suo  appetito  col  possedere  molto  paese  e  gran 
tesoro  t  ma  colla  sapienza  ec.  Il  Petrarca  parimente  congiunse 
queste  due  cose  nel  Trionfo  della  Divinità  :  CTie  w  fa  ir  su- 
perbi ,  oro  e  terreno  ;  e  fra  i  latini  Orazio  nelV^^r te  poetica 
al  V.  4^  f  ''  Dives  agris  9  di%^es  positis  in  foenore  nummis.  Alla 
stessa  guisa  che  Dante  disse  peltro  per  danaro  j  dicevano  i 
latini  4ies  tei  greci  apyvftoVy  imitati  oggidì  da*francesi ,  che  in 
questo  significato  dicono  arsent.m-^Cioare  nell'addetto  esem- 
pio quantunque  equivalga  al  neutro,  pm*e  è  di  andamento  atti- 
vo ,  perchè  porta  seco  l'accusativo  terra  e  peltro ,  e  suona  : 
Questi  non  farà  cibo  eielle  sue  brame  né  il  potere  ,  né  la 
ricchezza  ,  nia  la  sapienza .  Moirri  [a] .  —  Il  Marchetti  ed  il 
Costa  credono  che  qui  si  alluda  a  coloro  che  condannarono 
Dante  :  il  Gozzi  a  quei  Signorotti  italiani  di  allora.  Guardando 
il  fine  per  cuiDante  mette  in  iscena  Cane  della  Scala  (1^.  1 06.), 
si  persuade  lo  Scolari  che  il  Gozzi  abbia  toccato  il  vero .  «-• 
I  o5  E  sua  nazion  ec.  Chiosando  gl'Interpreti  (quelli  i  quali 
peli^e/tro  intendono  giustamente;Csni  Grande  signor  di  Verona) 
che  per  sua  nazione  debbasi  capire  precisamente  Verona  o  il 
Veronese ,  e  pe'  due  Feltri  i  precisi  luoghi  di  Feltro ,  o  Fel- 
tre,  nella  Marca  Tri vigiana,  e  di  Monte  Feltro  in  Romagna  [&], 

[<i]  Ptop'  voi,  !•  P.  a.fac.  t58»  [b]  In  Rorongna  dice  beoeil  Vellatello 
essere  Moote  Feltro;  ed  errano  il  Daniello  e  il  Volpi,  che  lo  dicooo 
D^lla  Marca  AucOQitaoa.  Termina  la  Marca  Anconitana  al  fiume  Foglia, 
alias  Isauro  (vedi  Maginì  lialia,  nella  pref.  e  nella  tav.  4^0«  ^  Mon- 
te Feltro  a*h  di  111  alquante  miglia:  e  Dante  stesso  al  Conte  di  Monte 
.  Feltro  (  nel  xzvik  di  questa  cantica  1  v.  S^, }  Romagna  tua  dice  lui . 


CANTO   I.  25 

Di  qaell'  umile  Italia  fia  salute,  io6 

sul  fondamento  di  cotale  chiosa  passa  il  Ventini  nel  tz.  della 
presente  cantica ,  9. 65. ,  ad  allegare  questo  con  altro  mal  in* 
teso  luogo  [a]  in  prova  ^  che  circonacriva  Dante  con  termini 
inmo  lontani^  e  con  istile  geograficopochissimo  scrupoloso. 
Se  però  il  Venturi  avesse  nelle  sue  chiose  adoprato  quello 
scrupolo  che  desidera  in  Dante  >  avrebbe  trovato  che  Verona 
riponesi  da'  Geografi  nella  Lombardia  [&]  ;  che  Dante  stesso 
in  Lombardia  ricouoscela  ^  e  perciò  appella  gi*an  Lombardo 
il  medesimo  Can  Gi*ande  [e]  ;  e  che  u*a  le  italiane  provincie 
era  la  Lombai'dia  quella  nella  quale  U'ovavasi  il  maggior  ner- 
bo de 'Ghibellini  [a]  ,  dai  quali  sperava  Dante  rimedio  a'  suoi 
guai  •  Ed  avrebbe  quindi  potato  persuadersi  y  che  per  la  nor 
zione  di  Cane  non  la  sola  Verona  o  il  Veronese  ,  ma  la  Lom- 
bardia tutta  potè  Dante  intendei  e  ;  e  che  pe'due  Feltri  (  quan- 
tunque dall'  intieia  Lombardia  non  cosi  svariatamente  disco- 
sti come  da  Verona }  potè  sensatamente  intendere  j  per  una 
parte  tutta  la  Marca  Trivigiana ,  in  cui  è  Feltre  nobue  di  lei 
porzione ,  e  per  V  altia  parte  Romagna  tutta ,  nella  quale  è 
Monte  Feltro  9  sede  alloia  de*  Conti  signori  di  molti  luoghi 
di  Romagna  •  Sai-ebbe  con  questo  ìnleiidimento  ogni  difficoltà 
svanita;  msperocchè  sono  la  Marca  Trivigiaua  e  la  Romagna 
pt>vincie  affatto  contigue  agli  opposti  lati  della  Lombardia  • 
•"►Ninno  meglio  del  Gozzi  na  sciolto  il  nodo  •  Riferisce  egli 
che  Maestro  Michele  Scotto  prognosticò  a  Can  Grande  signor 
di  Verona ,  la  signoria  della  Marca  Tri  vigiana  e  del  Padova* 
no  ;  ed  il  Poeta  volendo  gi'adire  a  quel  Signore ,  che  era  di 
parte  Ghibellina  y  allargò  la  profezia  di  Maestro  Scotto  fino 
ad  abbracciare  tutto  il  paese  della  Romagna ,  la  quale  era  in 
quel  tempo  piena  di  Ghibellini  ^  ne'  confini  della  quale  sta 
Monte  Feltro .  Strocgbi  •  *-  Questa  spiegasione  mostra  bel- 
lissimo il  verso  tanto  a  prima  vista  strano  e  bizzarro  ;  cosi  diio- 
sa lo  Scolari ,  meravigliandosi  che  ilBìagioli  nel  i8i8  segui- 
tasse a  spiegare  che  Dante  siasi  inteso  di  circoscrivere  Verona 
situata  tra  Feltre  e  Monte  Feltro.  <-« 

1  o6  al  1  o8  Di  qìielV  umile  Italia  ec.  Camilla  donzella 
guenriera,  fiiglia  di  Metabo  re  de'  Volsci  nel  Lazio  y  e  Turno 

[a]  Par  ix.  a5.  e  seg.  Tedi  quella  oola .  [b]  Vedi  tra  gli  altri  il  citalo 
Magioi  nella  prefazione j  e  Baudraod.  art.  Verona,  [e]  Par  xvii.  71. 
[d]  Cerio  Est  di  MOano,  P.  3. 


!i6  INFERNO 

Per  cui  morì  la  vergine  Gamilb , 
Eurialoy  e  Turno,  e  Niso  di  ferule: 

figlio  di  Danno  re  de'  Batoli ,  parimenti  nel  Lazio  9  combat* 
tendo  contra  i  Troiani  in  difesa  del  medesimo  Lazio  1  vi  pe- 
rirono ambidue;  e  dall'altra  parte  nel  troiano  esercito  rimas- 
sero estinti  Eurìalo  e  Niso  amicissimi  e  valorosissimi  giovani. 
Pare  ^  dice  il  Venturi  in  seguito  al  Landino ,  che  ì^oglia  Dan^ 
te  accennare  lo  Staio  pontificio  y  quasi  fosse  più  d^  ogni 
altro  da  ingorda  cupidigia  spogliato  e  oppresso .  Ma  per^ 
che  usò  queW aggiunto  amile  ?  Forse  perchè  quella  prouin^ 
eia  deW Italia ,  che  ora  si  chiama  Maritima  e  Campagna  ^ 
si  stende  la  maggior  parte  in  pianure  (  ed  anche  in  palu- 
di); o  forse  Dante  disse  così,  perchè  F'irgilio  nel  iii. 
delV  En.  ayea  detto  :  humilemque  videmus  Italiam .  Per 
quest'ultimo  riguardo ,  prima  del  Venturi  altri  interpreti  han- 
no istessamente  pensato ,  che  potesse  Dante  appeflar  umile 
V  intesa  parte  d' Italia .  Non  hanno  però  essi  avvertito  9  che  la 
porzicme  d' Italia ,  Per  cui  morì  la  i^ergine  Camilla  (comun- 
que appellare  si  voglia ,  o  Lazio,  o  Maritima ,  o  Campagna), 
non  ha  niente  a  che  fiure  j  anzi  è  in  situazione  totalmente  op- 
posta alla  terra  d' Otranto,  la  prima  parte  d'Italia  scoperta 
da  Enea;  e  che  dicendo  quel  capitano,  Obscuros  collesj  hu- 
milemque i^idemus  Italiam  [a],  altro  non  volle  dire  se  non, 
che  nelr  avvicinarsi  a  quella  vide  (  come  seimpre  vede  chi  da 
alto  mare  viene  a  teira  )  i  monti  in  prima ,  -  Poscia  i  liti  d'I- 
talia [ij .  ->  morì  legge  la  Nidoh.  con  altre  antiche  ediz.; 
morie  la  ediz.  degli  Accad.  della  Cr. ,  che  poi  altrove  (  esem- 
pigrazia nel  XXXIII.  di  questa  cantica  ,  y,  jo.)  legge  istessa- 
mente che  le  altre  edizioni  • 

Quitti  morì  :  e  come  tu  mi  vedi . 
e  non  già  altra  volta  il  lezioso  morìe .  *-  di  ferule ,  pleona- 
smo •  reruta  e  ferule  ^r  ferita  e  ferito  adoprarono  altri  an- 
tichi non  solo  nel  verso ,  in  rima  e  fuor  di  rima ,  ma  andie  in 
prosa  .  Vedi  il  Vocab.  della  Gr.  «-^  umile  atteso  il  suo  mise- 
rabile stato  in  que'  tempi  per  l' intestine  discordie  ond'  ella 
ei*a  sempre  infestata  .  Magalotti  .  *-  umile  per  oppressa  ed 
abbattuta  sempre  dagli  stranieri .  Tobelli  •  — Col  Castelve- 
tro  spiega  Biagioli  :  umiliata  in  dimostrazione  della  mise^ 

[a\  Aeneid,  iii.  S33      [b]  Traduziooc  crAiinibal  Caro. 


CANTO  L  27 

Questi  la  caccerà  [)er  ogai  villa ,  1 09 

Fioche  l'avrà  rimessa  nello  'oferno. 
Là  onde  'nvìdia  prima  dipartiila . 

Ond'  io  per  lo  tuo  me'  penso  e  discerno,      1 1 2 
Che  m  mi  segui,  ed  io  sarò  tua  guida, 
E  trarrotti  di  qui  per  luogo  eterno, 

ria  e  della  afflizione  sua  •  •—  umile  perchè  aspettava  quasi 
in  ginocchio  rimpcratore  che  soccorresse  la  parte  GhìbelliDa. 
E.  A.  —  ferule  non  è  >  soggiunge  Biagìoli  y  come  troppo  leg-* 
genneate  dice  il  Lombardi ,  un  pleonasmo  1  ma  si  formola  de«* 
terminante,  fra  tutte  le  altre,  la  più  dolce  e  onorata  morte , 
quella  che  a  incontra  pugnando  per  la  patria  •«-• 

10^  per  ogni  trilla  :  per  equivale  a  ila  [a]  j  e  villa  ootri- 
spondentemente  alla  lupa  che  caccerà ,  non  dee  prendersi 
alla  francese  (  come  il  Volpi  ed  altri  la  prendono)  per  città  ; 
che  le  città  non  sono  luoghi  da  lupi ,  ma  piuttosto  general- 
mente per  luogo  •  m^i^illa  per  città  trovasi  però  usato  dallo 
stesso  Dante  anche  nel  e.  xyiii.  f^.  83.  del  Puraitorio ,  ove 
dice  :  Bietola  più  che  villa  Mantovana ,  e  dal  Villani  neUa 
sua  Storia  [&1  •  -—  Il  Biagioli  non  accorda  che  qjoiper  sia  pò* 
sto  per  ila  •  tacendo  vedere  il  per  discoirere  il  veltro  di  vula 
in  villa ,  mentre  il  ila  non  determina  che  il  punto  onde  si 
parte  il  moto  •  Vedi  la  sua  Grammatica .  4-« 

1 1 1  Là  onde  ^nvidia  ec*  D'onde  1*  invidia  ch'ebbe  Tavvei^ 
sano  nostro  9  che  l'uomo  avesse  a  possedere  quelle  sedi ,  dalle, 
quali  egli  per  la  sua  superbia  era  stato  cacciato ,  l'aveva  pri- 
ma dipartita  9  ed  insieme  con  gli  altri  vizj  introdotta  nel  mon- 
do •  Onde  è  scrìtto  :  Invidia  Diaboli  mors  introivit  in  orbem 
terrarum  [e] .  VbIiIiVTbllo.  m^  prima  inviilia  y  cioè  la  prima 
invidia  di  Lucifero  y  oppure  là  onde  ila  prima  invìdia  lo  di- 
parti, preso  quel^riiTuz  avverbialmente.  Magalotti.  -Pren-* 
ioprima  per  addiettivo  y  dice  il  Biagioli  y  perchè  come  avver- 
bio parmi  inutile  •  <-« 

1 1  a  me'  per  meglio  y  apocope  molto  in  uso  presso  gli  ai^ 
tori  di  lingua .  Vedi  il  Vocab.  della  Crusca . 

ìli  m-^ ed  io  ti  sarò  guida  legge  il  Dionisi .  E.  R. <-« 

1 1 4  por  luogo  etemo  y  per  luogo  che  durar  dee  eternamen- 

!«]  Vedi  Cinon.  Partic.  igS.  i4«  [b]  Sap,  9.  t^.  94'  [e]  Lib.  8.  e.  7^. 


V 


a8  INFERjya 

Ov*  udirai  le  disperate  strida ,  1 1 5 

Vedrai  gli  anticlii  spiriti  dolenti , 
Che  la  seconda  morte  ciascun  grida/ 

£  vederai  color,  che  son  contenti  1 18 

Nel  fuoco,  perchè  speran  di  venire, 
Quando  che  sia,  alle  beate  genti; 

Alle  qua'  poi  se  tu  vorrai  salire ,  1:21 

le  ;  e  intende  l'Inferno  •  b-¥  Biagioli  chiosa  :  io  ti  trarrò  di 
qui  f  facendoti  passare  per  luogo  eterno  •  4-« 

1 16  antichi  spiriti  appella  Vii^lio  Intti  gli  stati  al  mondo 
prima  di  Dante  ;  come  noi  pure  dicendo  i  nostri  antichi  in- 
tendiamo tutti  quelli  che  sono  stati  avanti  di  noi ,  tanto  nei 
vicini  tempi  1  quanto  ne*piti  rìmoti .  »-^  Una  bella  variante 
dice  :  Di  quelli  antichi  spiriti  dolenti,  E.  R.  <-« 

wj  la  seconda  morte  ciascun  grida ,  invoca  ad  alta  voce  : 
allusivamente  a  quei  dell' Apocalisse  :  Desiderabunt  mori , 
etpigiet  mors  ab  eis  [a\  ;  e  dice  la  seconda  per  rapporto  alla 
prima  già  successa  morte  del  corpo  •  »-^  Che  a  la  seconda 
morte  ec.  le^ge  il  cod*  Caet.  E.  R.  —  e  il  VaU  3 199.  «-« 

116  E  vederai  leggono  comunemente  la  Nidc^atina  e  tutte 
Tantiche  edizioni  ;  e  legge  pur  Tedizione  stessa  degli  Accade- 
mici della  Gr.  nel  iiv.  di  questa  cantica ,  v.  1 2o.>  e  nel  v.  del 
Paradiso ,  i^.  1 1 2.  ec;  ed  oltre  *&  Dante  ed  altri  poeti ,  lo  ha 
pei'fino  in  prosa  adoprato  il  Boccaccio  piii  fiate  \o\\  né  capisco 
come  piaciuto  sia  agli  Accademici  detti  d' inserire  invece  ,  per 
l'autorità  di  pochissimi  testi ,  K  poi  vedrcti  \  e  non  abbiano 
posto  mente  all'altro  poi  in  principio  della  terzina  seguente  , 
per  cui  rendesi  qui  la  medesima  paiticella  molto  stucchevole  • 
w^  E  poi  vedrai  legge  pure  il  Biagioli  y  adducendo  ragione  , 
che  questa  maniera  dimostra  meglio  l' intenzione  del  Poeta , 
che  il  viaggio  neU'  Inferno  ha  ad  essere  prima ,  quello  in  Pur^ 
gatorio  poi  y  siccome  in  Paradiso  dopo  ;  e  non  fa  conto  che  la 
voce  poi  ripetasi  quattro  versi  più  giii .  «-• 

1 20  Quandoché  sia  vale  una  voltaj  adeguai  senso  del  latino 
ali  quando.  Vedine  altri  esempi  nel  Vocabolario  della  Crusca. 

I  a  I  qua*  per  quali ,  apocope  usata  pur  da  altri  ottimi  scrit- 
tori .  Vedi  il  Vocab.  della  Cr.  alla  voce  Quale . 

[a]  Cap«  iz.  p.  6.  [b]  YeJi  M<«strofiiii»  Teorim  e  Prospetto  dtt*  verbi  Hai 


CANTO  I.  29 

Aaima  fia  a  ciò  dì  me  più  degna  : 
Con  lei  ti  lascierò  nel  mio  partire . 
Gbè  qoeUo  'mperador,  che  lassù  regna,        ia4 
Perch'  i'  fili  ribellante  alla  sua  legge, 

laa  Anima  dime  più  degna ^  Beatrice,  la  quale  a  Dante 
abbandonato  da  Virgilio  nel  xxvii,  del  Purgatorio  appaiìsce  9 
e  scopresi  nel  zxx.  per  indi  accompagnarlo  al  Paradiso .  Nel 
seguente  canto  al  f^«  70.  dirò  il  mio  parere  intomo  al  vero  soff- 
itto inteso  dal  Poeta  nostro  9  e  per  Beatrice  e  per  tutte  quelle 
altre  penime  9  daUe  quali  dicesi  aiutato  in  questo  misterioso 
yia^o- 

ia5  Perch^  ffùi  (/^'  leggono  l'edizioni  diverse  dalla  Ni- 
dobeatina)  ribellante  ec.  Dovendo  questo  andar  d'accordo  con 
^nell'altro ,  che  lo  stesso  Yiiigilio  oice  : 

per  nìuValtro  rio 

Lo  del  perdei  »  che  per  non  ai^er  fé  [a] 
&  di  mestieri  che  ribellante  alla  divina  legge  vaglia  qui  lo 
stesso  che  alieno  dalla  i^ra  fede  ;  da  quella  fede ,  cioè  nel 
Tenturo  Messia ,  che  Dante  con  tutti  i  teologi  \b\  pone  essere 
stata  in  ogni  tempo  necessaria  per  conseguire  l'eterna  beati- 
tndine  :  e  però  del  Paradiso  parlando  dice  : 

•  ..•...•• a  questo  regno 

Non  salì  mai  chi  non  credette  in  Cristo  ^ 
Né  pria ,  uè  poi ,  ch^el  si  chiavasse  al  legno  [e] . 
E  per  lo  stesso  motivo  divide  in  Paradiso  l'umano  beato  ge- 
nere in  due  classi;  in  una  riponendo  Quei^  che  credettero 
in  Cristo  venturo  {d]y  e  nell'allTO  Quei  f  che  a  Cristo  w* 
nuto  ebber  li  visi  [e]  . 

Oltre  di  cotale  mancanza  di  fede ,  altra  positiva  ed  assai 
piti  grande  reità  cadrebbe  in  Virgilio  ed  in  tutti  que'Gentili 
eroi ,  che  fa  lui  Dante  essere  nel  Limbo  compagni  \f\  se,  come 
volgarmente  si  pensa ,  credere  si  dovesse  che  tutto  il  gentile- 
simo infetto  fosse  di  politeismo  j  o  sia  di  credenza  in  più  Dei  • 
Dante  però  dovette  aver  letto  ciò  che  nel  sesto  libro  della  sua 
Storia  scrive  Paolo  Orosio  (quell'Orosio  che  la  comtme  degli 
Espositori  chiosa  dal  medesimo  Dante  (Par.  x.  1 19.  e  aeg.) , 

[«]  Pargat.  vii.  c^  7.  e  segg.    [b]  Vedi  Pietro  Lombardo  1.  3.  dist.  a  5. 

[e]  Farad,  zix.  »•  lol.  e  segg.  [d]  Farad,  xzxii   v.  '^4*  [tf]  Ivi  f^«  27; 

[f]  Vedi  il  canto  iv.  doUa  presente  cantica ,  w.  3i.  e  segg. 


3o  INFERNO 

Non  vuol  che  ^n  sua  città  per  me  sì  vegna . 
In  tutte  parti  impera,  e  quivi  regge  j  127 

Quivi  è  la  sua  cittade,  e  l'alto  s^io: 

O  felice  colui,  cu'  ivi  el^e! 
Ed  io  a  lui  :  Poeta ,  i'  ti  ricbieggio  1 3o 

Per  quello  Iddio,  che  tu  non  coaoscesti, 

Acciocch'  io  fugga  questo  male  e  peggio , 

inteso  nella  persona  dell'allineato  de^templi  cristiani ,  -  Del 
cui  latino  Jlgostin  si  provvide):  Pagani ^  quos  jiMin  decla-- 
rata  veritas  de  contumacia  magis ,  quam  de  ignorantia 
convinciti  quwn  a  nobis  discutiuntur  f  non  se  plures  Deos 
sequi  y  sed  sub  uno  Deo  magno  plures  ministros  i^nerari 
fatentur  ;  e  come  y  anche  prima  di  Orosio ,  dimostrati  aveva 
conoscitori  di  nn  solo  Iddio  tutti  i  Gentili  filosofi  Minnzìo  Fe- 
lice nel  suo  Dialogo  Octai^iusy  scrìvendo  non  aver  essi  in 
realtà  £itto  altro  che  Deum  unum  multis  designati  nomini^ 
bus  ;  e  piìi  di  tutti  assolvendo  dal  politeismo  Virgilio  per 
quelle  di  lui  formole  al  politeismo  del  tutto  opposte: 

•  .  •  •  .  Deum  namque  ire  per  omnes 

Terrasque  y  tractusque  maris  y  coelumque  profundwn  [a]. 

O  qui  res  kontinumque  Deumque 

jietemis  regis  imperiisy  et  fulmine  terres  [&]• 

1 27  In  tutte  parti ec.  cioè,  in  tutte  V  altre  parti  stende  il 
potere  del  suo  dominio ,  ma  quivi  propriamente  fa  sua  resi- 
denza e  tien  sua  corte.  Volpi  •  »-►  Nota  il  Biagìoli  j  che  imr 
perare  è  Tatto  di  esercitare  imperio  con  potenza  ;  reggere 
quello  di  governar  con  amore.  4-« 

129  cu"  (V(  elegge  y  cui  Dio  elegge  a  tal  luogo. 

1 3 1  quello  Iddio  y  che  ec.  In  conseguenza  di  quanto  poc'an- 
zi nella  nota  al  f/«  laS.  si  è  avvisato ,  dee  per  quello  Iddio 
intendersi  il  nostro  Salvator  Gesii  Cristo  •  Dio  m  vece  d'A/- 
dio  con  minore  pienezza  e  dolcezza  del  verso  leggono  1*  edi- 
zioni  diverse  dalla  Nidobeatina  •->  e  il  cod.  Vat.  o  199.  <«-« 

1 3a  questo  male  y  cioè  l'oscura  selva  de' vizj ,  donde  si  for- 
zava di  uscire,  —e  peggio y  altri  vizj  peggiori,  e  l'eterna 
dannazione.  »^ questo  male  y  cioè  quello  di  trovarmi  qui 

N 

[a]  Gtorg,  ui.  f».  a^i.     \b]  AeneiJL  i.  v.  a33. 


CANTO  I.  3i 

Cbe  tu  mi  meni  là  dov'  or  dicesti ,  1 33 

Si  eh*  io  vegga  la  porta  di  san  Pietro^ 
E  color ,  che  tu  fai  cotanto  mesti . 

AUor  si  mosse,  ed  io  gli  tenni  dietro. 

smanico;  e  peggio ^  cioè  di  non  poter  forse  più  uscire  e  di 
restarvi  morto  dalle  fiere.  Bi agioli .  ii-« 

Importa  di  san  Pietro.  Mettendo  Dante  alla  porta  del 
Piscatorio  [a]  per  custode  un  Angelo  colle  chiavi  di  san  Pie- 
tro y  e  non  dicendoci  più  in  verun  luogo  d'altra  porta  che  dal 
Purgatorio  metta  in  Paradiso,  ma  supponendo  da  quello  a 
<[iiesto  un  passaggio  affatto  libero,  non  v'ha  dubbio  che  quel- 
la, e  non  altra,  s'abbia  a  intendere  I^l porta  di  san  Pietro; 
né ,  se  non  male ,  pretende  il  Rosa  Morando  diversamente . 
a-»  Il  Morando  però  viene  difeso  dal  Biagioli ,  che  per  la  porta 
di  $»n  Pietro  intende  quella  del  Gelo.  Cosi  col  Volpi  TE.  F. 
e  Io  Scolari  ;  ma  questi  per  ragioni  ben  diverse  da  quelle  del 
Biagioli ,  e  sono:  i.^  per  essere  già  di  antica  e  comune  cre- 
denza che  a.  Pietro  sia  il  custode  delle  celesti  porte;  a.^  per- 
chè nel  f^.  1 34.  il  Poeta  indica  il  Paradiso,  e  nel  seguente  Tln- 
femo  e  il  Purgatorio.  4-» 

i35  color ,  che  tu  fai  cotanto  mesti  ^  che  gridano  ciascuno 
la  seconda  morte ^  ì  dannati. 

i36  9-¥  li  per  gli  le^e  il  Lombardi  e  chiosa  :  «  //  invece 
»  di  glif  a  lui ,  scrive  Dante  qui  ed  altrove .  »  —Noi  però , 


[4]  Canto  IX.  1^.  76.  e  segg. 


CANTO    IL 


ARGOMENTO 

In  questo  secando  CfintOy  dopo  la  invocazione  che  so- 
gliono/are I  poeti  ne* principi  decloro  poemi ^  mo- 
stra che  considerando  le  forze  y  dubitò  che  elle  non 
fossero  bastanti  al  cammino  da  Firgilio  proposto 
delio  Inferno;  ma  confortato  da  yirgilio.  fimU- 
mente  prendendo  animo  j^  lui  come  duce  e  maestro 
seguita. 

JLlo  giorno  se  n'andava,  e  Taere  bruno  i 

Toglieva  gli  animai,  che  sono  'n  terra 
Dalle  fatiche  loro^  ed  io  sol  uno 

M'apparecchiava  a  sostener  la  guerra  4 

Sì  del  cammino,  e  si  della  pietate, 

I  a  Vaere  bruno  -  Toglieì^a  eli  animai  j  ec.  Imita  Virgi- 
lio in  miei  versi  del  lib.  tiii.  dell' Eneide: 

Ifox  eratf  et  terras  ammalia  fessa  per  omnes 
uilituum  pecudumaue  genus  sopor  altus  habebat  [a  J. 
aere  legge  spesso  la  Niaob.,  ove  altre  edizioni  leggono  troiH* 
catamente  aeri  e  qui  certamente  apporta  al  verso  pienezza  in- 
sieme e  dolcezza*  9^aer  leggono  pure  il  cod.  Vau  ^199  e  il 
Biagioli.4-« 

4  5  guerra  i  difEcoltà,  "Si  del  cammino  y  che  nel  discen-» 
dcre  all' Inferno  e  poi  salire  al  Purgatorio  9  e  sì  della  pietate  ^ 
che  dell'anime  etemalmente  dannate  a  diversi  crudeli  tormenti 
doveva  avere.  Vbllutbllo.  •-^M'apparecchiala ec>y  cioès'ap* 
parecchiava  a  far  forza  al  suo  animo  per  non  prender  pietà  dei 

[a]  Verso  a6.  e  seg. 


CANTO   II.  33 

Che  ritrarrà  la  mente,  che  non  erra. 
0  Muse,  o  alto  'ugegno,  or  m' aiutate:  7 

peccatori.  Magalotti  .  —  Cosi  pure  il  Biagioli,  ma  non  ne  dice 
il  perchè  y  e  il  Magalotti  spiega  anche  questo  j  mostrando  che 
Dante,  come  uomo dovea  sentir  compassione  di  quegli  spasimi, 
ma  come  cristiano  doveva  in  essi  ammirare  la  potenza  e  sa- 
pienza inCnita  di  Dio ,  e  per  non  fare  offesa  alla  divina  giustizia , 
fare  ogni  sforzo  per  soffocare  il  sentimento  della  compassione  • 
£  importantissimo,  ripiglia  qui  lo  Scolari,  sin  dalle  prime  con- 
durre illettore  a  prender  paitc  in  questo  conti*asto  del  Poeta  , 
in  cui  consiste  tutto  il  drammatico  deirazione.  M"* affaticava 
invece  di  AV apparecchiarla  legge  col  Vat.  3 199  TE.  R;  ma  le 
ragioni  ch'egli  adduce  in  favore  di  tal  lezione,  non  ci  hanno 
persuasi  a  scostarci  dalla  Nidobeatina .  «hi 

6  ritrarrà ,  racconterà ,  la  mente ,  che  non  erra ,  la  me- 
desima mente  j  o  sia  facoltà  della  mente ,  che  due  versi  sotto 
dice  le  vedute  cose  avere  scritte  ,  cioè  la  memoria.  Lo  errare , 
dì  fatto  ,  non  è  che  dell'  intelletto  ,  che  giudichi  essere  la  cosa 
che  non  è;  ove  della  memoria  il  maggior  danno  può  solamente 
essere  lo  scordarsi ,  e  non  l'errare  ,  o  sia  il  falsamente  giudi- 
care, w-^la  mente,  che  non  erra  ,  non  può  essere  la  de6ni- 
xìone  della  memoria ,  come  suppone  il  Lombardi ,  poiché  que- 
sta può  ingannarsi .  Dante  vuol  far  qui  fede  a  chi  legge  della 
tenta  delle  cose  che  dee  narrare  ;  e  perchè  sono  meravigliose 
assai ,  e  vincono  il  natui'ale ,  vuole  assicurarci  che  la  sua  me- 
moria non  6*  ingannerà ,  e  ne  assegna  la  ragione  dicendo  :  ch'el- 
la non  può  errare,  perchè  ha  scritto  tutto  ciò  ch'ella  ha  vi- 
sto .  Pebticabi  .  ^  Per  mente ,  che  non  erra  intende  lo  Sco- 
lari la  mente  Diì^ina  e  non  quella  del  Poeta ,  spiegando:  niap^ 
parecchiava  a  sostener  quella  guerra  che  darà  idea  e  imma^ 
gine  di  quella  mente  che  non  erra,  ossia  della  mente  Divina. 
(Vedine  le  sue  note  .)  Il  Vatic.  3 199  ha  Mente  coli'  iniziale 
inaioscola.  —  je  non  erra  col  cod.  Ang.  legge  l'È.  R.,  e  preten- 
de che  questa  lezione,  inducendo  il  dubbio  nel  Poeta ,  sciolga 
la  difficoltà   della  interpretazione  e  renda  ragionevole  la  se- 
guente invocazione  delle  Muse .  4-« 

7  O  Muse ,  o  alto  *ngegno ,  ec.  Da  ciò  che  a  Dante  mede- 
simo si  fa  dire  da  Cavalcante  Cavalcanti,  Inf.  1.  58.  e  seg.,  se 
per  questo  cieco  -  Carcere  vai  per  altezza  d*  i^tgegno,  ^Mio 
figlio  (cioè  Guido  Cavalcanti)  oi^'è  Ascorgesi  che  il  proprio  in- 
gegno in  un  colle  Muse  eccita  qui  Dante  all'impresa  ;  e  cne  alto 

FoL  I.  3 


34  INFERNO 

O  mente,  che  scrivesti  ciò  eh'  io  vidi, 

Qui  si  parrà  la  tua  nobilitate  • 
Io  cominciai.:  Poeta,  che  mi  guidi,  io 

Guarda  la  mìa  virtìi,  s'ell'è  possente. 

Prima  eh'  all'  alto  passo  tu  mi  lidi. 
Tu  dici ,  che  di  Silvio  lo  parente ,  1 3 


ingegno  sospetta  qui  inteso  Terudito  autore  degli 

stampati  recciitemeate  in  Verona  (num.  iv.  cap.  6.).  Ma  nel 

{principio  del  Paradiso  ci  avvisa  Dante  di  non  aver  egli  per  Tln- 
emo  e  Purgatorio  incomodato  se  non  le  Muse  y  e  di  essersi  ri- 
serbato l'aiuto  d'Apollo  a  queir  u/f i/no  lauoro.  — *I1  cod.  Gas. 
decide  la  questione  colla  nota  sopra  la  parola  ingegno  :  scilicet 
mei.  E.  R.  »-►  L'epiteto  di  alto  dato  al  proprio  ingegno  è  sem- 
brato ambizioso  a  coloro  che  qui  leggono .  Ma  torranno  essi  que- 
sta macchia  dalla  fama  di  Dante ,  ove  conoscano  che  questo  epi- 
teto egli  dona  all'  ingegno  umano ,  non  al  proprio  ;  in  genere , 
non  in  ispecie  :  il  che  si  conosce  appieno  dalla  dottrina  ch'egli 
ne  fonda  nel  Compito  (pag.  i46.  i47')*  ^^^  ^*  quale  niuno  tro- 
verà superbo  il  predicato  di  ctlto  all'ingegno  ,  considerato  co- 
me la  più  nobile  ed  ultima  potenza  che  faccia  fede  agli  uomini 
della  sapienza  del  Creatore.  Perticari.  —Lo  Scolari  ritiene 
che  quell'a/^o  ingegno  sia  qui  qualificazione  onorevole  delle 
Muse  che  sono  immagine  della  più  perfetta  intelligenza  e  di 
ogni  più  nobile  disciplina.  4-« 

%  niente ,  che  scrii^esti  ec,  la  memoria .  »-►  Lo  Scolari ,  col  Bia- 
gioli ,  fa  punto  alla  fine  del  7.  verso ,  e  chiosa  :  ce  nel  che  fidando 
»  (il  Poeta)  con  un  bel  volo  di  fantasia  ritoma  a  rivolgersi  alla 
^^  mente  Divina,  sciamando:  O  mente  che  scriv^esti  ecciohy  che 
»  decretasti  ciò  che  io  vidi,  qui  (nell'opera  mia)  la  tua  nobilitate 
»  (la  tua  elevatezza)  farà  gran  mostra  di  sé  medesima .  »  <-« 

9  si  parrà ,  si  manifesterà  — ^  la  tua  nobilitate ,  la  tua  ec- 
cellente virtù . 

1 2  alto  per  arduo ,  difficoltoso .  »-►  Il  cod.  Vat.]3  igg  legge 
Anzi  invece  di  Prima ,  4-« 

li  Tu  dici:  non  che  Virgilio  allora  lo  dicesse,  ma  dicelo  nella 
sua  Eneida  .Dani  ello.  -  di  Silicio  lo  parente .  Qui  pure^aren  te 
'j^tv genitore j  come  nel  precedente  canto,  ^.  68.,  e  intendesi  Euea. 


CANTO  II.  35 

Gorrnuìbile  ancora,  ad  immortale 

Secolo  andò,  e  fu  sensìbilmente: 
Però  se  l'avversario  d' ogni  male  1 6 

Ck)rtese  fu ,  pensando  T  alto  effetto , 

Ch'uscir  dovea  di  luì,  e  '1  chi,  e  '1  quale. 
Non  pare  indegno  ad  uomo  d'intelletto;        ig 

Ch'ei  fu  dell'alma  Roma,  e  di  suo  mjìcro 

Nell'empireo  Ciel  per  padre  eletto: 
La  quale ,  e  '1  quale ,  a  voler  dir  lo  vero ,       2  2 

Fur  stabiliti  per  lo  loco  santo, 

i5  sensibilmente  j  cioè  col  corpo ,  e  non  per  visione .  Da- 
HELLO .  »-^  E  il  Biagiolì  intende  j  con  mente  capace  di  sen^ 
tire  le  sensazioni ,  4-« 

16  al  i^Però  se  Vavi^ersario  ec.  Gostruz.  Ad  uomo  però 
dintelletto  non  pare  indegno ,  indegna  cosa ,  iiragionevole^e 
[avversario  d*ogni  male  y  Dio  del  solo  bene  amatore  ^^e/i^an* 
rfo,  conoscendo,  Valto  effetto  ch'uscir  doi^ea  di  luiy  e  7  chi 
e  V  quale  (sono  questi  il  quid  e  il  quale  delle  scuole ,  indicante 
il  primo  sostanza  y  e  l'altro  qualità)  conoscendo  l'efiettcT  im- 
portantissimo y  che  da  lui  uscir  dovea ,  della  formazione  del  Ro- 
dano impero  ;  e  nella  sua  sostanza ,  nell'interna  sua  costituzio- 
ne' e  nella  sua  qualità  y  d'influii*e  nello  stabilimento  della  chiesa 
diGesii  Cristo  y  come  in  appresso  dirà,  cortese  fu  y  accordò  lui 
tale  andata .  m-^  II  Magalotti  spiega  '/  chi  per  Romolo  fondatore 
<ii  Roma,  e  '/  quale  per  le  sue  aite  qualità  •  —  Il  Perazzini  in- 
teade  pel  chi  Roma ,  e  pel  quale  V  impero  Romano .  ^hi 

30  CK*  y  vale  imperaocchè . 

2 1  padre  j  fondatore . 

22  La  quale  y  e  7  quale  y  la  quale  Roma  y  e  il  quale  impe* 
n>.  —  a  voler  dir  lo  vero  :  accenna  che  lo  spirito  Ghibelh'ne- 
sco  tentavalo  a  tacere  la  verità . 

%i  Fur  stabiliti  y  da  Dio  .  -^per  lo  loco  santo ,  per  l'apo- 
stolica catte<ira ,  acciò  per  la  comunicazione  di  tutti  i  popoli 
i^onRoma  potessero  tutti  dalla  medesima  cattedra  ritrame  gl'i u- 
^gnamenti .  Allude  alla  sentenza  di  s.  Leone  Papa  nel  primo 
ormone  de'santi  apostuli  Pietro  e  Paolo  •  Disposito  divinitus 
^peri  maxime  congruebat ,  ut  multa  regna  uno  confoede^ 


36  INFERNO 

U*  siede  il  Successor  del  maggior  Piero. 

Per  questa  andata,  onde  gli  dai  tu  vanto,      a5 
Intese  cose,  che  furon  cagione 
Di  sua  vittoria,  e  del  papale  ammanto. 

Andovvi  poi  lo  Vas  d'elezione,  28 

rarentur  imperio ,  et  cito  peruios  haberet  populos  praedi^ 
catio  generalis ,  qnos  unius  tenetet  regimen  cii^itatis .  b^Fu 
stabilito  legge  il  cod.  Ang.  E.  R.  4-« 

24  ^  col  segno  dell'  apostrofo  vale  lo  stesso  che  doi^e  ,  ed 
è  molto  familiare  ai  poeti.  Vbwturi.  Sta  però  qui  invece  del  re- 
lativo nel  quale  [a],  —  maggior ,  cioè  primario  Piero  dee  ap- 
pellar Dante  s.  Pìetn)  apostolo  per  rapporto  agli  altri  santi  del 
medesimo  nome ,  ch'erano  già  molti  anche  ai  tempi  di  Dante  y 
come  si  può  vedere  nel  Martirologio  ;  nò  mi  piace  che  dicasi 
maggiore  per  riguardo  agli  altri  Apostolico  agli  altri  sommi 
Ponte&ci ,  non  mi  parendo  che  a  veruno  di  ouesti  due  sìgniB- 
cati  bastar  possa  cotale  espressione.  wh¥Piero  lo  riguarda  ilBia- 
gioli  guai  nome  comune  a  tutti  i  Papi .  —  Pel  maggior  JPiero 
Magalotti  intende  Cristo .  —  Lo  Scolari  sta  col  Lombardi  e 
soggiunge  :  «  Se  s'intende  di  autorità ,  la  cosa  è  certa ,  e  se  di 
a>  santità ,  non  tocca  a  noi  il  decidere.»  -—nuig'^i ore  per  primo 
(Vedi  Par.  e.  xxxii.  v.  i36.)«  Nel  parlare  del  medio  evo  os- 
serva il  Lami  che  niaggiore  significa  capo  9  superiore  j  Pre- 
sidente ,  e  in  tal  senso  trovasi  adoperato  dai  Trecentisti.  (Vedi 
Bocc.  Gior.  2.  Nov.  7.  e  Gior.  6.  Nov.  i.)  E.  F.  — Il  P.  Gu- 
glielmo Delia-Valle  pel  siede  di  tempo  presente  è  di  parei*e 
che  debbasi  intendere  un  Pietro  allora  sedente ,  e  perciò  Cele- 
stino che  appunto  avea  nome  Pietro  •  4-« 

25  al  27  «-^Allude  alla  predizione  fatta  da  Anchise  ad  Enea 
nel  VI.  della  Eneide.  Magalotti  .  -Il  senso  di  questa  e  delle  ire 
precedenti  terzine  vedilo  ampiamente  e  nobilissimamente  spie- 
gato da  Dante  stesso  nel  suo  Convito  ((ac.  200.  alla  2o3.)  E.  JP. 
•-Intesi  in  luogo  d'Intese  ha  il  Vat.  3 199.  4-«  Di  sua  uittoria  , 
in  prima  contro  Tumore  dc'Rutuli,  e  consecutivamente  ^e/^^- 
pale  ammanto  j  dello  stabilimento  in  Roma  della  Papale  digiù  tk . 

28  Andoyvi  poi  lo  Vas  d'elezione ,  san  Paolo ,  vas  dc^ 
ctionis  appellato  da  Gesìi  Cristo  medesimo  [&]  .  Non  inteiKle 

[a]  Cioon.  Partic»  98.  8.     [b]  Aei.  g.  v,  i5. 


CANTO  ir.  37 

Per  recarne  conforto  a  quella  Fede , 
Ciré  principio  alla  via  di  salvazione. 

Ma  io,  |3erchè  venirvi,  o  chi  '1  concede?        3i 
Io  non  Enea,  io  non  Paolo  son'o: 
Me  degno  a  ciò  né  io,  né  altri  crede. 

Perché  se  del  venire  io  m' abbandono,  34 

Temo,  che  la  venula  non  sia  folle. 

però  che  andasse  anche  san  Paolo  airinfemo  y  ma  al  terzo  cie- 
lo, alle  beate  genti  j  alle  quali  pure  disse  Virgilio  che  po- 
trebbe Dante  salire  [a] . 

29  conforto  ,  per  le  riportate  notizie  alla  nascente  fede  cri« 
stona .  VmiTu»! . 

30  principio  alla  via  di  salvazione  appella  la  fede ,  per 
r^sciv  il  primo  requisito  per  entrare  nella  Oiiesa,  ed  anteriore 
di  Datura  sua  allo  stesso  battesimo  9  prima  di  ricevere  il  quale,  se 
rDomo  è  capace  di  ragione  y  dee  professar  di  credere.  m-¥  CVè 
principio  e  yia  di  salivazione  legge  il  cod.  Ang.  E.  R.  4-s 

3i  perchè  venirvi  y  o  chiH  concedei  Detto  avendo  di  es- 
sere Enea  e  s.  Paolo  passati  a  que' luoghi  e  per  ^uste  cagioni 
f  fa  cortesìa  di  Dio,  però  oltre  del  motivo  di  colà  passar  egli 
pwe,  cerca  chi  glielo  permetta,  e  valeo  chi*l  concedei  co- 
tte se  detto  avesse  :  ovvero ,  posto  che  abbia  cagione  di  pe- 
«rw,  chi  me  lo  concedei  m-^Ma  io  perchè  venire  legge  il 
«d.  Angelico .  E.  R.  <-« 

33  né  altri  crede ,  la  Nidob.;  né  altri  il  crede ,  Taltre  ediz. 

34  35  je  del  venire  io  m^abbandono ,  ec.  ellissi  :  se  mi  ab- 
bono, m^arrendo  alla  richiesta  tua  di  venire,  temo  ec;  nò 
PMt"  da  seguirsi  la  chiosa  del  Daniello  e  Volpi  :  se  io  mi  ritiro 
^^àietro  dal  venire ,  se  io  non  vengo ,  lo  fo  perchè  temo  che 
^<imia  venuta  non  sia  folle y  stolta  e  pazza.  «-^Magalotti 
'kioia  col  Rifiorito  :  perchè  sUo  mi  lascio  andare  a  venire, 
^foi  dubito  del  ritorno .  —  Lombardi ,  dice  il  Perticari  [A], 
|^»Q  colse  qui  pienamente  nel  segno.  Perchè  non  dee  dirsi  che 
'^i  Dante  si  abbandoni  alla  richiesta  ;  ma  bensì  al  venire.  Que» 
^  maniera  è  bellissima  e  piena  di  evidenza ,  perchè  non  mo- 
»<ra  soltanto  chi  si  consigli  al  viaggio  e  si  an'cnda  all'inchiesta 

.**.  ^-«oto  precedente  v,  itii .  e  segg.     [b]  Prop,  voi.  u.  fao.  i65. 


38  INFERNO 

Se'  savio,  e  'nteudi  me'  eh'  io  non  ragiono . 

£  quale  è  quei,  che  disvuol  ciò,  che  voile,   3; 
E  per  novi  pensier  cangia  proposta, 
Sì  che  del  cominciar  tutto  si  toUe; 

Tal  mi  fec'io  in  quella  oscura  costa;  /{o 

Perchè,  pensando,  consumai  la  'mpresa. 
Che  fu  nel  cominciar  cotanto  tosta. 

alti*ui  y  ma  significa  1*  uomo  che  si  abbandona  tuUo  cosi  alla 
cieca ,  e  prende  la  via  senza  badare  ad  alu*o .  Per  lo  quale  in- 
tendimento veggiamo  in  Dante  una  bellezza  nuova  colà  dov^al- 
tri  scorgeva  una  strana  o  troppo  scura  dizione  •  4-« 

36  me'  per  mes^Uoj  adoperato  da  buoni  scrittori  in  verso  e 
in  prosa.  Vedi  il  Vocab.  della  Cr.  »-»me  con  un  piccolo  i  an- 
tico di  sopra  ha  il  cod.  Gaet.  E.  R.'4-c 

37  »-^Ci  mette  con  mirabil  similitudine  davanti  agli  occhi 
i  contrasti  di  un^anima,  che  dal  male  al  ben  operare  si  rivolge . 
Magalotti  .  4-s 

3g  lolle  dal  verbo  f oliere ,  che  invece  di  togliere  si  lro\  a 
anticamente  usato.  Vedi  Mastrofini,  Teoria  e  Prospetto  dei 
verbi  italiani ,  -  Qui  si  tolte  significa  lo  stesso  che  si  rimove, 

40  in  quella  oscura  costa  ;  in  quella  falda  del  monte ,  pM 
la  quale  tenendo  dietro  a  Virgilio  camminava  [a]  :  e  come  h^ 
già  detto  nel  principio  del  presente  canto  y  che  :  Lo  giorno  se 
n^andaua ,  e  Vaere  bruno  ec,  perciò  suppone  e  dice  oscure 
la  costa  medesima . 

4 1  Perchè ,  pensando ,  vale  quanto ^eroccAè  riflettendo  i 
ciò  che  mi  faceua*  —  consumai  la  ^mpresa.  Consumare  j  ii 
corrispondenza  al  latino  consumare ,  vale  finire  cioè  per  fé  zio 
nare  ;  ma  qui  adopralo  il  nostro  Poeta  per  finire  y  al  senso  uni 
camente  di  cessare y  di  abbandonare;  e  vuol  db'eche  fcrm 
1  passi  coi  quali  teneva  dietro  a  Virgilio,  m^  L'amor  dell'  ini 
presa ,  da  principio  con  si  lieto  animo  incominciata  y  ei*a  pc 
tali  pensieri  consumato  e  svanito .  Magalotti.  ♦-• 

4^  cotanto  tosta  y  cotanto  presta  ;  imperocché  srnza  venni 
esitazione  si  esibì  a  seguitar  Virgilio  ,  e  Io  seguiva  di  fatto ,  c^ 
me  nel  fine  del  precedente  canto  ha  detto . 

[a]  Canto  precedente,  i>.  uhimo. 


CANTO  II.  39 

Se  io  ho  ben  la  tua  parola  intesa,  4^ 

Rispose  del  magnanimo  quell'ombra, 
L'anima  tua  è  da  viltade  offesa, 

La  qual  molte  fiate  l'uomo  ingombra,  4^ 

Si  che  d'onrata  impresa  lo  rivolve, 
Come  falso  veder  bestia,  quand'ombra. 

Da  questa  tema  acciocché  tu  ti  solve,  49 

Dirotti,  perch'io  venni,  e  quel  che  'ntesi 
Nel  primo  punto,  che  di  te  mi  dolve. 

Io  era  intra  color,  che  son  sospesi,  5 2 


43  9^ parola  y  ossia  il  tuo  conccUo .  Torelli  . 

45  th¥  L'anima  tua  ec,  cioè  j  tu  hai  pam*a ,  lo  spirito  e  la 

grandezza  della  tua  mente  si  an*etrano  per  viltà .  Monti  [a].4-« 

47  onrata ,  sincope  d'onorata .  —  rivohe ,  per  rwolge ,  n- 
tiraj  fa  rinculare . 

48  Conte  falso  veder  ec.  Ellissi  y  di  cui  l' intiero  sai-el^be  : 
cwtte  falso  \federe  fa  rinculare  bestia  quand'ombra  .  Ow- 
brare  per  metaf  (spiega  il  Vocab.  della  Cr.)  v^ale  insospet^- 
tire  y  temere  ;  e  pia  comunemente  si  dice  delle  bestie . 

49  solide  y  antitesi  in  grazia  della  rima  y  invece  di  soha  ,  da 
salifere  y  eh'  è  lo  stesso  che  sciogliere  y  qui  al  senso  di  libe^ 
rare . 

50  m^quel  cV  io  'ntesi  legge  il  cod.  Vat.  3  igq.  <-m 

5 1  dolile  per  dolse ,  ad  imitazione  del  latino  aoluit, 

52  Io  era  intra  color  y  laNidob.;  tra  color  l'altre  edizioni . 
—  che  son  sospesi  [6].  Sospesi  gli  spìriti  del  Limbo  appella 
Dante  qpii ,  e  nel  canto  tv.  m.  43-  e  segg. 

Gran  duol  mi  prese  al  cor ,  quando  lo  ^ntesi  y 
Perocché  gente  di  molto  v^alore 
Conobbi  che  *n  quel  limbo  eran  sospesi  y 
Tatti  i  Comentatori  veccni  e  moderni  chiosano  appellati  cosi 
quelli  spiriti ,  perché  non  sono  ne  beati  in  gloria  y  né  tor^' 
mentati  con  pena  y  né  salvi  y  né  dannati. 

[a]  Prop.  voi.  a.  P.  i.  fac.  37.  [b]  Veggasi  la  noia  del  P.  Abb.  di  Co- 
starno  a  questo  verso  Della  sua  Leit,  di  un  ant.  testo  ec.  nei  volume 
quinto  della  presente  edizioue. 


4o  INFERNO 

E  Donna  mi  chiamò  beata  e  bella, 
Tal  che  di  comandare  io  la  richiesi . 

Ove  però  si  supponessero  quelli  spiriti  condannati  eter- 
nalmente  a  quel  luogo  y  tanto  malamente  appcllcrebbersi  per 
la  detta  cagione  sospesi ,  quanto  malamente  sospeso  direb- 
besi  alcuno  ,  a  cagion  d'esempio ,  condannato  a  perpetua  car- 
cere j  a  motivo  di  non  essere  il  medesimo  né  affatto  libero ,  né 
condannato  alla  galera  o  alle  forche  •  Sospesi  adunque  9  direi 
10  piuttosto ,  appella  Dante  gli  spiriti  del  Limbo ,  perocché 
intende  che  sieno  essi  realmente  ivi  sospesi  dalTetenio  fine  loi^o 
stabilito  ;  e  che  non  ìsticno  nel  Limbo  se  non  ad  aspettar  l'uni- 
versale giudizio ,  dopo  del  quale  venir  debbano  ad  abitare  la 
rinnovata  terra . 

Non  è  già  ,  corno  pare  che  taluno  teologo  persuadasi,  T in- 
ventore di  questo  sistema  Ambrogio  Catarino ,  scrittore  sul 
principio  del  secolo  decimosesto.  Eglistesso  abbracciandolo  pro- 
testa di  abbracciar  cosa,  quam  dodi  quidam  induxere\a^i  e 
cotesti  dotti ,  che  il  Catarino  ci  tace ,  ben  ne  li  fa  nod  il  Tirino 
nel  comento  a  quella  sentenza  dell'apostolo  s.  Pietro  :  novos 
coelos ,  et  novam  terroni  secundum  promissa  expectamus  [ij  : 
e  sono  alcuni  di  essi  piii  antichi  non  solamente  del  Catarino* 
ma  eziandio  del  Poeta  nostro.  Beatus  Anselmus  (scrive) ,  Guì-- 
lielmus  Parisiensis ,  Picus  RIirandulanus ,  Ahulensis ,  Cn- 
ietanus ,  Salmeron ,  a  Lapide ,  et  Serarius  censent  parva- 
los  sine  baptismo  defunctos  liabitationem  suani  habituros 
in  terra ,  quam  dicunt  novis  rursunij  et  qui  numquani  mar' 
cescent ,  floribus  odoriferis ,  gemmis ,  arboribus ,  fontiÒus , 
aliisque  ornamentis  perpetuo  decorandani . 

Che  poi  sospesi  nel  Limbo  medesimo ,  perocché  privi  di 

Sialsivoglia  attuale  peccato  [e] ,  ritrovinsi  eziandio  Vii^Iio  ed 
tri  Gentili  adulti,  quest'è  la  poetica  aggiunta  che  (a  Dante  al 
prefato  teologico  sistema .  m^  sospesi ,  cioè  nel  Limbo ,  dove  né 
godono,  né  dolgonsi  l'anime.  Magalotti  .  -iViè  salvi j  né  dan^ 
nati  spiegano  il  Biagioli  e  1*E.  F.  coi  più.  —  Il  cod.  Caci,  legge 
collaltre  ediz.  tra  color,  E.  R.  — e  così  il  Vat.  3199.-4-» 

53  Donna y  Beatrice.  Vedi  al  v,  jo.  m-^ cortese  e  bella  legge 
il  cod.  Vat.  3i99.-4-« 

\à]  Oposc  De  stalli  futuro  puerorum  sine  sacramento  decedentium, 
[b]  Ep.  a.  cap.  3.  [e]  Vedi  e.  iv.  v,  34.  e  segg. 


CANTO  IL  4i 

Lucevan  gli  occhi  suoi  più  che  la  Stella  :       >55 
£  comiociommi  a  dir  soave  e  piana, 
Con  angelica  voce,  in  sua  favella: 

33  più  che  la  Stella.  Chi  intende  la  stella  Venere  ;  cosi  il 
Volpi;  chi  il  Sole,  per  esser  detta  in  questa  forma  assoluta- 
mente: così  il  Daniello  y  il  Landino  e  il  Vellutello:  e  vi  è 
qualche  ragionevol  motivo  per  l'una  e  per  l'altra  interpreU- 
zione.  VEVTuai.  —  Dante  però  medesimo  nel  suo  Compito  nel«- 
la  canzone  ii.  che  incomincia:  Amor^  che  nella  mente  mi  ra^ 
ghnaf  neir ultima  strofa  dice: 

Afa  li  nostr^occhiy  per  cagioni  assai , 
Chiaman  la  stella  talor  tenebrosa  s 
e  poscia  cementa  in  guisa,  che  ben  rende  chiaro  di  non  avere 
per  stella  inteso  né  Venere 9  né  il  Sole,  ma  le  stelle  general- 
mente y  e  di  avere  adoprato  il  singolare  pel  plurale  ;  a  quel 
modo  che  comunemente  diciamo  avere  alcuno  l'occhio  fiero  o 
vago,  invece  di  dire  ch'ha  gli  occhi  fieri  o  vaghi.  Per  essere  ^ 
dice,  lo  uiso  debilitato*.,  puote  anche  la  stella  parere  tur* 

tata:  e  io  fui  esperto  di  questo che  per  affaticare 

lo  taso  moUo  a  studio  di  leggere y  in  tanto  debilitatigli  spiJ 
rài  disivi  j  che  le  stelle  mi  pareano  tutte  d^ alcuno  albore 
ambrate  [a].  •-♦Anche  il  Biagioli  intende  le  stelle  in  ganerale, 
e  noi  col  Volpi  la  stella  di  Venere,  detta  per  antonomasia  la 
stella •  —  Considerata  l'idea  di  amabilità  che  qui  vuol  Dante 
iosinnare,  piuttosto  che  quella  di  abbagliante  fulgore,  crede 
por  io  Scolari  che  convenga  meglio  l'intendere  dell '^.r^ro 
amoroso  che  del  Signore  delle  Stagioni.  —  Tal  opinione  è 
aivalorata  eziandio  dalla  lezione  del  cod«  Vat.  3199  che  ha 
ia  Stella  colla  S  maiuscola,  da  noi,  per  tale  autorità,  intro* 
dotu  nel  nostro  testo.  — Qui  l'È.  R.  con  l'Ang.  legge  più 
ch*una  stella ,  intendendo  cosi  tolta  ogni  disputa  e  meglio  de- 
terminato il  paragone.  4-« 

56  soas^  e  piana ^  cioè  soavemente  e  pianamente,  come  le 
oneste  e  graziose  donne  sogliono  fare.  Davibllo.  a-^Non  sono 
avverbi,  dice  il  Biagioli,  ma  sì  addiettivi  veri.  La  voce  soa%fe 
la  spiega  il  Poeta  in  queste  parole  del  Convito  :  soave  è  tanto 
quanto suaao,  cioè  abbellito,  dolce  e  piacente,  e  dilettoso. 4-a 

37  ^^saa ,  doè  divina.  Toazi.u.4-a 

'>]  TraL  3.  cap.  9. 


42  INFERNO 

O  aDÌma  cortese  mantovana,  ^S 

Di  cui  la  fama  ancor  nel  mondo  dura , 
E  dureià  quanto  1  mondo  lontana  : 

L'amico  mio,  e  non  della  ventura,  Gì 

S8  s-^NoU  qui  l'EdiL  rom.  :  ci  artificio  di  lodi  le  più  teaerp 
»  adoperato  da  Beatrice  per  guadagnarsi  ranimo  diVii^ilio.iM-« 

60  durerà  quanto  7  mondo  lontana ,  leggono  la  Nidobeat. 
e  parecchi  mas.  delle  bibliotecbe  Q>r8Ìni  e  Chigi  (come  altresì 
il  cod.  Gas.),  ed  ecco  tolti  cosi  gli  arzigogoli  ne' quali  fors'era 
che  si  cacciassero  gl'Interpreti  leggendo  colla  comune  dell'edi- 
zioni :  durerà  quanto  '/  moto  lontana .  Al  precedente  :  Di  cui 
lafanuM,  ancor  nel  mondo  dura^  qual  miglior  parlare  poteva 
in  seguito  venire  che,  E  durerà  quanto  7  mondo  lontaiuiy 
cioè  lunfi[a?  Lontano  per  lungo  adopera  Dante  pure  nel  Para- 
diso zv.  49.,  ove  lontan  digiuno  dice  invece  di  lungo  digiuno^ 
ed  anche  Francesco  Barberino  lontane  cure  scrisse  invece  di 
lunghe  cure.  Fediam  lo  Un  per  lontane  cure  in  drappi  [aj. 
•^quanto  il  moto  leggono  il  cod.  Gaetano  (E.  R.)  ;  il  Magalotti, 
il  Biagioli ,  l'È.  F,  e  il  V at.  3 199.  -*  Magalotti  spiega  :  ^lontana 
»  dal  verbo  lontanare  ;  quanto  il  moto  lontana ,  quanto  il  moto 
»  s'allontana  dal  tempo.  Piglia  moto  per  tempo  alla  peripate- 
»  tica,  definendo  Aristotile  il  tempo:  tempus  est  numerus  mo^ 
»  tus  secundum  prius  et  posterius  »  -ed  il  Biagioli  :  «Beatrice 
»  ha  detto ,  quanto  7  moto  lontana ,  perchè  il  moto  è  la  misura 
»  del  tempo,  e  di  questo  il  luogo  in  cui  si  compie.»-VelIu- 
tello  e  il  Venturi  hanno  ritenuta  la  lezione  moto ,  ma  non  ne 
diedero  cosi  netto  il  motivo,  come  osserva  lo  Scolari,  il  quale 
non  sa  vedere  come  davanti  al  dotto  Eldit.  rom.  non  l'abbia  vin- 
ta, sopra  l'autorità  de' codici  ciuti  dal  Lombardi,  la  filosofica 
iublimita  del  concetto.  —  Anche  il  Torelli  le^;e  motOf  e  sog- 

S'ugne:  durerà  quanto  il  moto  lunga  e  perpetua.  Traslazione 
1  luogo  al  tempo,  come  fu  traslazione  dal  vedere  ali* udire 
poco  sopra  ove  dice:  Mi  ripingeva  làj  dove  7  Sol  tace ,  in 
luogo  di  du«,  dove  il  Sole  non  si  vede.  -Noi  leggiam moru/o 
con  la  Nidob.,  come  vogliono  anche  gli  Elditorì  della  Minerva. 
(  gli  Edàorì  fiorentini  •  ) 

6  f  Vomico  mio ,  e  non  della  ventura ,  vale  quanto  il  caro 
a  mef  e  bersagliato  dalla  sorte ^  lo  sventurato  amico  mio. 

[a]  Docum.  eTAmore,  sodo  Industria,  Docum.  5.  Regola  14^ 


CANTO   II.  43 

Nella  diserta  piaggia  è  impedito 

Sì  nel  camiuin ,  che  volto  è  per  paura  ; 

E  temo,  che  non  sia  già  sì  smarrito,  64 

Gli'  io  mi  sia  tardi  al  soccorso  levata, 
Per  quel,  eh'  i'  ho  di  lui  nel  Cielo  udito» 

Or  muovi ,  e  con  la  tua  parola  ornata ,  6  7 

E  con  ciò,  che  ha  mestieri  al  suo  campare, 
L'aiuta  sì,  ch'io  ne  sia  consolata. 

r  son  Beatrice,  che  ti  faccio  andare:  70 

9-*  Biagìoli  s'accorda  col  Lombardi .  «— MagaloUi  spiega  :  Vami- 
co  di  me  e  delle  mie  yiriiìy  non  della  ventura  cVio  fosòi 
bella  ;  e  lo  Scolari:  i* amico  mioy  quello  della  mia  scelta , 
non  quello  della  ventura  delVacciaente  o  del  capriccio^  tro- 
vando questo  luogo  imitato  dalF Alfieri  nei  Filippo ,  dove  Perez 
dice  a  Carlo:  Jlmico  tuo  "Non  di  ventura  io  seno  .  •  .  .  4-« 
64  ^0  E  temo  j  ec.  II  senso  allegorico  è  :  temo  che  già  non 
siasi  arreso  alle  prave  inclinazioni .  »-►  L'Ang.  legge  tarda 
invece  di  tardi.  È.  Tu  "4-« 

66  Per  quel  ec.  per  le  querele  cioè  intese  di  lui  • 

67  muovi  (adoprasi  qui  muovere  a  modo  del  latino  movere 
prò  discedere)  [a],  vattene.  Vedine  altri  esempj  molti  mi  Vc- 
cab.  della  Cr.  9-¥  Or  muovi  non  vuol  dir  vattene  9  e  ognuno 
ne  vede  la  differenza.  Biagìoli.  *-  II  citato  cod.  Angelico  sop- 
prime la  copula  e ,  contentandosi  di  quella  che  vien  dopo  :  lE 
con  ciò  j  ec.  E.  R.  4-« 

70  Fson  Beatrice.  Yi  grande  controversia  tra  gli  scrittori,  se 
questa  Beatrice ,  tanto  dai  Poeta  nosti'o  nella  presente  ed  in  altie 
sue  opere  celebrata  9  sia  la  Beatrice  Portinai  i  amata  da  Dante  nei 
suoi  piii  verdi  anni ,  ed  a  questo  di  lui  misterioso  viaggio  pre- 
morta già  da  dieci  anni  [&J,  ovvero  soggetto  ideale  afl'atto  ed 
allegorico,  significante  la  celeste  sapienza,  o  sia  la  teologìa. 
Quanto  (  tra  l'altre  cose  )  due  terzine  sotto  dice  Virgilio , 
che  Fumana  specie  per  la  sola  Beatrice  superi  in  nobiltà  tutte 
le  sublunari  creature ,  ciò  ne  sforaa  a  capire  per  Beatrice  la 
sapienza  celeste,  0  teologia,  piuttosto  che  la  donna  amata  da 

[a]  Vedi  Rob.  Slefiino  Thesaur.  lai.  [h]  Mem,  per  la  Fita  di  Dante,  {  7. 


44  INFERNO 

Vegno  di  loco,  ove  tornar  disio: 
Amor  mi  mosse,  che  mi  fa  parlare. 
Quando  sarò  dinanzi  ai  Signor  mio,  7  3 

Di  te  mi  loderò  sovente  a  lui: 


Dante  ;  ma  quanto  poi  nel  Purg.  zxxi.  49*  e  segg.  dice  Bea- 
trice stessa  : 

Mai  non  t*appresentò  natura  od  arte 

Piacer  y  quanto  le  belle  membra  j  in  cK  io 
Rinchiusa  fui^  che  sono  in  terra  sparte. 
ciò  non  si  può  intendere  se  non  della  donna  dal  Poeta  amata . 
A  me  sembra  potersi  e  doversi  questa  controversia  risol- 
vere conistabilire  che,  siccome  nelle  Scritture  sacre  veri  per- 
sonaggi vestono  il  carattere  di  qualche  virtù ,  TArcangelo  Raf- 
faello esempigrazia  il  carattere  del  divino  aiuto ,  onde  potè  ve- 
ridicamente rispondere  a  Tobia  :  ego  sum  j4zarias  Ananiae 
magni  filius  [aj,  istcssamente  Dante,  in  riconoscimento  d*es- 
sere  stato  da  Beatrice  guidato  per  il  sentiere  della  virtù  [i], 
vesta  l'anima  di  lei  del  carattere  della  celeste  sapienza,  o  teo- 
logia .  In  questo  modo ,  pel  carattere  che  sostiene ,  sarà  vero 
essere  Beatrice  il  maggior  pregio  dell'  umano  genere ,  e  per  la 
realtà  del  di  lei  essere  vcrificnerassi  quanto  di  sé  medesima 
dice:  Mai  non  Rappresentò  ec, 

7 1  di  loco  y  ec.  di  per  da ,  cioè  dal  Paradiso .  m^  del  loco 
ha  il  cod.  Ang.  E.  R.  —  e  il  Vat.  3  igg.  •*-« 

7  a  Amor ,  intendi ,  che  a  costui  porto  :  —  che  vale  qui  quan- 
to quello  che.  »-►  Oltre  al  letterale  attribuisce  il  Magalotti  a 
questo  amore  un  senso  allegorico ,  spiegando:  è  l'amor  di  Dio, 
pel  quale  ei  desidera  che  ciascun  uomo  si  salvi.  4-s 

74  Di  te  mi  loderò  ec.  Se,  come  Beatrice  vestita  del  ca- 
rattere della  celeste  sapienza  o  teologia ,  intendasi  vestito  Vir- 
gilio di  quello  della  morale  filosofia ,  non  parrà  inconveniente 
che  lodisi  innanzi  a  Dio  da  Beatrice  Virgilio.  «-►Biagioli  spiega: 
«  Potrà  Beatrice  lodarsi  al  Signor  suo  di  Virgilio ,  perchè  egli 
»  ha  perduto  il  cielo  non  per  reità ,  ma  per  non  aver  avuto 
»  fede.  »  —  Il  Magalotti  ed  il  Celli  riguardano  come  conso- 
lante tal  promessa  per  un'anima  che  si  è  perduta  non  per  suo 
fallo ,  ma  per  mancanza  dì  fede.  —  Qui  lo  Scolari  molto  op* 

[a]  Toh.  5.  V.  1 8«  Vedi  ì  sacri  Interpreti,  [b]  Vedi  Porg  xxx.  f.  i  a  i .  e  Btg. 


CANTO  IL  45 

Tacette  allora,  e  poi  comincia'  io: 
O  Donna  di  virtù  sola,  per  cui  76 

L' umana  specie  eccede  ogni  contento 
Da  quel  ciel,  eh'  ha  minori  i  cerchi  sui; 
Tanto  m'aggrada  '1  tuo  comandamento,        79 

poftanamente  osserva  che  Virgilio  non  devesi  rìsguardare  qual 
anima  perduta  y  come  il  Gelli  suppone ,  mentre  Dante  non  sa- 
pendosi persuadere  di  mandare  il  suo  divino  Virgilio  all'  Infer- 
no, lo  fa  soltanto  sospeso  j  ponendolo  nel  Limbo.  Di  là  tolto 
al  voler  di  Beatrice,  lo  fa  passar  per  T Inferno,  indi  pel  Pur- 
gatorio 9  cercando  cosi  d' infondere  nell'  animo  del  Lettore  la 
cara  speranza  che,  tolta  un  giorno  la  sospensione  potesse  sali- 
re al  Cielo.  Ma  conosciuto  il  pnnto  scabroso  assai,  prima  di 
entrare  in  Paradiso  trovò  necessario  disfarsene,  e  con  molto  ac- 
coi^imento  nel  e.  xxxiii.  del  Purgatorio  finge  di  restare  scemo 
di  lui  senza  avvedersene.  Ma  qual  fosse  la  misericordiosa  opinio- 
ne di  Dante  sulla  futura  sorte  degP  incolpabili  sospesi ,  lo  ve- 
dremo al  canto  iv.  dietro  le  tracce  del  suUodato  Scolari.  4-« 

75  Tacette  per  tacque  detto  anticamente  da  buoni  aptori 
anche  in  prosa.  Vedi  il  Prospetto  de^ verbi  italiani  sotto  il 
verbo  Tacere  ^  n.  5. 

76  al  78  O  Donna  di  virtù  ec.  Donna  di  virtù  dee  Virgi- 
lio in  Beatrice  appellare,  non  la  persona  di  lei,  ma  la  celeste 
sapienza ,  cioè  la  teologia ,  di  cui ,  come  di  sopra  è  detto ,  ella 
ne  veste  il  carattere  :  ed  è  certamente  la  cognizione  delle  divi- 
ne cose  la  donna ,  ossia  la  regina  delle  cognizioni ,  per  le  quali 
dicesi  l'uom  virtuoso  ;  è  dessa  la  sola  che  forma  il  grande  pre- 
gio dell'uomo  sopra  ogni  contento j  vale  a  (Ure,  sopra  ogni 
cosa  contenuta  Da  quel  cielj  ch'ha  minori  i  cerchi  sui,  da 
quel  cielo  che  ha  piii  ristretto  giro  degli  altri,  cioè  dal  ciel  lu- 
nare.— contento  per  contenuto  non  solamente  l'adopera  Dan- 
te qui  ed  altrove  pei  suo  poema  \a\ ,  ma  adoperanlo  altri  pure 
scrivendo  in  prosa  [6] ,  ed  è  preso  dal  latino  supino  del  verbo 
contineo ,  es.  —  sui  per  suoi ,  sincope  imitante  la  maniera  pur 
de' Latini,  in  gi*azia  della  rima.  —  minor  li  cerchi  suij  leg- 
gono l'edizioni  diverse  dalla  Nidob.  in^e  il  cod.  Vat.  3 199. 
-*  Qui  Beatrice  per  la  teologia,  per  cui  l'uomo  è  il  piii  no- 

{«]  Par.  n.  ii4-  [à]  Vedi  il  Vocab.  della  Crusca. 


46  INFERNO 

Che  l'ubbidir,  se  già  fosse,  m'è  tardi: 
Più  non  t'è  uopo  aprirmi  1  tuo  talento. 

Ma  dimmi  la  cagion,  che  noa  ti  guardi  8a 

Delio  scender  quaggiuso  in  questo  centro 
Dair  ampio  loco ,  ove  tornar  tu  ardi . 

Da  che  tu  vuo*  saper  cotanto  addentro,  85 

Dirotti  brevemente,  mi  rispose, 
Perch'  io  non  temo  dì  venir  qua  entro . 

Temer  si  dee  di  sole  quelle  cose ,  88 

bile  di  tatte  le  creatare  contenate  sotto  la  Luna.  Ciò  potreb- 
be anche  inteadersi  ia  quest'  altro  senso  :  o  scienza  per  cui 
l'uomo  eccede j  cioè  trasvola  coli' intelletto  dalle  sublunari 
cose  alle  celestiali  e  divine.  Magalotti  .  4-c 

8o  se  già  fosse  j  sebbene  già  fosse  in  atto.  Del  se  per  quan^ 
tunque  y  sebbene  e  simili ,  vedine  altri  esempj  nel  Ginonio  [a\ . 
—  m'è  tardi  j  mi  par  tardo.  Volpi  .  »-►  Espressione  piena  di 
forza,  e  significa:  ancorché  l'ubbidire  già  tosse  in  atto,  non- 
dimeno al  suo  desiderio  parrebbe  tardo.  E.  F.  —  Così  Maga- 
lotti ,  che  poi  soggiunge  :  or  venga  qualunque  si  pare ,  e  mi 
porti  da  altri  poeti  forme  così  merav^igliose  e  piene  di  si 
forte  espressiv^a .  ^s^  ancor  fosse  legge  il  cod.  Val.  3 199.  4-« 

8f  Più  non  ec.  Costruz.  N^on  i*  è  uopo  aprirmi  ^  manife- 
starmi, piàj  maggiormente,  il  tuo  talento y  la  tua  volontà. 
»-*  Il  cod.  Val.  i  199  legge  :  Più  non  i*  è  huo\  e'  aprirmi  '/ 
tuo  talento .  -^  Ako'  si  ha  parimente  nel  Caet. ,  nel  quale 
sembra  sia  stato  cassato  il  cA' avanti  l'oprir/ni:  e  questa  va- 
riante non  sai*à  disprezzata  da  tutti.  E.  R.  4-« 

83  centro  per  luogo  centrale ,  terminante  al  centro  j  come 
suppone  Dante  l'Inferno .  tt^ quaggiù  ha  il  cod.  Vat.  3 199.4-« 

84  ardi .  ardere  per  ardentemente  desiderare  j  arden^ 
temente  amare ,  alla  maniera  de'  latini  adoprasi  da  ottimi  ita- 
liani scrittori.  Vedi  il  Vocab.  della  Crusca. 

85  »-►  jPo'  che  tu  vuoi  ha  il  Vat.  3199.  ^hi 

87  »-^  ttenire  qua  dentro  legge  il  cod.  Ang.  E.  R.  ♦-• 

88  m^  Temer  si  dee  sol  legge  il  cod.  Caet.  E.  R.  4-« 

[a]  Partic,  ^a3.  9. 


CANTO   II.  47 

Ch'hanno  potenza  di  far  altrui  inale: 
Dell'altre  nò,  che  non  son  paurose. 
r  son  fatta  da  Dio,  sua  mercè,  tale,  gt 

Che  la  vostra  miseria  non  mi  tange, 
JVè  fiamma  d'esto  'ncendio  non  m'assale. 

90  paurose  per  paurevoli^  cagionanti  paura ,  voce  pure 
adopraU  molto.  Vedi  lo  stesso  Vocab.  m^ paurose ^  aliter  pO" 
derose  legge  in  postilla  il  cod.  Ang.  E.  R. — paurose^  nota 
Torelli  )  si  dicono  tanto  le  cose  che  hanno  paura ,  quanto  quelle 
che  la  mettono.  Così  Orazio  nell'ode  5.  degli  Epodi:  Formi'- 
dolosis  dum  latent  sihis  ferae .  •4-« 

9 1  fatta  da  Dio ,  resa  da  Dio.  —  tale  j  di  tempra  talmente 
impassibile . 

92  non  mi  tange ,  non  mi  tocca ,  figuratamente  per  non  mi 
rattrista .  Come  tangente  e  tangibile  dicesi  da  noi  invece  di 
toccante  e  toccabile j  così  tangere  fu  da  piii  d'uno  antica- 
mente detto  invece  di  toccare.  Vedi  il  Vocab.  della  Crusca. 

93  iVe,  vale  qui  E  [a].  —  fiamma  d*esto  ec,  perchè  nel 
Limbo ,  dove  abitava  Virgilio ,  non  era  fuoco  (  come  appari- 
sce dal  canto  iv.  v,  28  ),  perciò  il  Venturi  avverte  qui  che  si 
deve  intendere  per  famma  ed  incendio  il  desiderio  del  cie- 
lo scompagnato  dalla  speranza  di  ottenerlo ,  la  pena  cioè 
ch'esse  anime  del  Limbo  patiscono  [i] .  Ma  se  il  fuoco  non  era 
lì ,  era  però  poco  sotto ,  e  dentro  certamente  del  medesimo 
centro  j  o  sia  centrale  buca  ;  e  ben  potè  Beatrice  dire  esto  'n- 
rendio  invece  A^  incendio  in  questa  buca  contenuto  .  Esto 
jxT  questo  ,  afei'esi  molto  dagli  antichi  praticata .  Vedi  il 
\ncaD.  della  Cr.  m->k  V  infelicità  di  'voi  sospesi  y  chiosa  il 
Magalotti ,  non  mi  tocca ,  ne  fiamma  delV  incendio  dei  dan- 
nati  mi  assale ,  notando  che  quella  de'  sospesi  la  chiama  mt- 
seria ,  non  consistendo  che  in  pura  afflizione ,  e  fiamma  quella 
dei  dannati  perchè  tormenta  positivamente  il  senso.  —  Biagioli 
intende  che  l' Inferno  di  cui  parla  il  Poeta  sia  questo  mondo 
die  noi  abitiamo .  Così  Beatrice  vuol  dire ,  che  la  sapienza  non 
teme  le  persecuzioni  degli  stolti  e  dei  malvagi ,  né  gli  assalti 
tA  i  colpi  degli  odj  insani  ec.  Nega  poi  al  Lombardi  che  il 
Ae  del  f'.  gS.  significhi  Ey  ma  invece  E  non,  —  Il  cod.  Caet. 
però  legge  E  j  come  afferma  il  rom.  Editore.  ^-9 

««]  Tedi  il  precil.  Cinon.  Partic,  178.  4«  [à]  Inf.  iv.  ^2, 


48  INFERNO 

Donna  è  gentil  nel  dei,  che  sì  compiange     94 
Di  questo  'mpedimenio,  ov'io  ù  mando, 
Sì  cbe  duro  giudicio  lassù  frange. 

Questa  chiese  Lucia  in  suo  dimando,  97 

94  al  06  Donna  è  gentil  ec.  Vi  è  una  nobile  e  cortese  don- 
na 9  cioè  la  divina  clemenza ,  che  meco  insieme  piange,  e  ramr 
marìcasi  dell' impedimento  che  danno  le  fiere  a  Dante  nel  suo 
cammino,  a  superare  il  (juale  io  ti  mando  ;  sicché  fa  quasi  for- 
za col  suo  pianto,  e  piega  la  severa  giustizia  in  Cielo,  che  lo 
voleva,  perchè  colpevole,  lacerato  dalle  fiere  e  punito  (  cioè 
lo  voleva  abbandonato  alle  passioni). — duro  qui  non  altro  si- 
gnifica che  severo  j  e  giustificasi  a  pieno  questa  espressione  da 
quella  in  tutto  simile  della  Sapienza  6.  u.  6.  ludicium  duris^ 
simum  hisf  qmpraesunt^  fiet.  Vesturi  .  »-^  Questa  Donna  è 
generalmente  intesa  dai  Comentatori  per  la  prima  grazia ,  detta 
dai  maestri  in  divinità  gratis  data,  la  quale,  perchè  viene  per 
mera  liberalità  divina,  è  anche  àelìA preveniente  dal  prevenir 
eh* ella  fa  il  merito  delle  azioni  umane .  Magalotti  .  —  Biagioli 
intende  V anima ,  cioè  la  ragione ,  e  lo  Scolari  la  bontà  divi-- 
na.'^^Sì  che  duro  ec.  sì  potria  intendere  ancora,  aggiunge 
TEd.  romano,  il  decreto  che  non  lasciò  giammai  persona  viva 
passar  per  quelle  vie ,  nelle  quali  Dante  si  era  innoltrato  ;  e 
qui  duro  può  valere  irrevocabile  ^^-^  Il  duro  giudicio  di  las' 
su  è  il  severo  decreto  della  divina  giustizia  sospeso  dalla  cle- 
menza. Morti  [a].<«-« 

97  Questa  in  suo  dimando j  nella  sua  preghiera,  nel  suo 
pregare ,  chiese  Idicia  :  la  divina  grazia  per  Lucia  intesa  chio- 
sano tutti  gì' Interpreti.  Dicendo  però  Dante  medesimo  di  essa 
Lucia  nel  Paradiso: 

E  contro  al  maggior  Padre  di  famiglia 
Siede  Lucia ,  che  mosse  la  tua  Donna , 
Quando  chinavi  a  ruinar  le  ciglia  [6]. 
ed  essendo  realmente  anime  di  beati  quelle  tra  le  quali  Dante 
annovera  Lucia,  conviene  credere  che,  come  la  sua  Bcatiùce 
del  cai*attere  della  sapienza  [e],  cosi  una  reale  Lucia  vesta 
del  carattere  della  grazia. 

[a]  Prop,  voi.  3.  P.  1.  fac.  139.  [b]  Caalo  xxxii.  i36.  esegg.  [e]  VefU 
i<i  aola  al  ^.  70.  del  presente  canto. 


CANTO  IL  49 

E  disse  :  or  abbisogna  Jl  tuo  fedele 
Di  te,  ed  io  a  te  lo  raccomando; 

Lucia,  nimica  di  ciascun  crudele,  loo 

Si  mosse,  e  venne  al  loco,  dov'io  era, 
Che  mi  sedea  con  l'antica  Rachele; 

Disse:  Beatrice^  loda  di  Dio  vera,  io3 

L'essere  poi  la  grazia  an  effetto  che  ascrivesi  allo  Spi- 
rito santo:  lo  avere  la  santa  vergine  e  martire  Lucia  risposto  al 
(vanno  giudice ,  che  interrogavala  se  fosse  in  lei  lo  Spirito 
santo:  caste  et  pie  ^viventes  templum  Dei  sunt,et  Spiritus 
sanctus  habitat  in  eis  [a]  :  e  finalmente  la  congruenza  del  no- 
me di  Lacia  agli  effetti  che  produce  in  noi  la  divina  grazia , 
sembrano  motivi  pe' quali  potesse  Dante  a  rappresentai^e  la  di- 
vina grazia  scegliere  la  medesima  Santa,  m-^ Lucia ^  la  grazia 
seconda  od  illuminante,  dal  Poeta  chiamata  Lucia  dalla  luce 
cb'ella  ne  infonde  nell' anima.  Magalotti.  4hì 

98  il  tuo  fedele ,  quello  che  in  te  (  nella  necessità  del  tuo 
aioto  contro  l' empio  dogma  de'  Pelagiani)  ha  sempre  creduto. 
^^ora  ha  mestier  lo  tuo  fedele  legge  il  cod.  Ang.  E.  R.  —  or 
ha  bisogno  il  Vat.  Siqg.  4-« 

1 00  Lucia  j  nimica  di  ciascun  crudele  ;  perocché  amica  dei 
soli  mansueti ,  giusta  quel  detto  di  Salomone  :  mansuetis  Do* 
nunus  dabit  gratiam  [6]. 

ioa  mi  s^dea  con  V antica  Rachele.  Rachele  bellissima 
%Kadi  LabanOy  moglie  del  patriai^a  Giacobbe.  I  dotti  Intei> 
preti  delle  sacre  lettere  pongono  Raohele  per  la  vita  contem- 
plaUva . . .  Sedea  giustamente  Beatrice  con  Rachele  »  perchè  il 
pmprìo  subietto  della  teologia  (  intesa  per  Beatrice  )  è  la  con- 
ti'mplazione y  ed  in  quella  si  ferma,  e  pon  suo  seggio.  Lardi* 
^^.^ antica  appelb  Beatrice  Rachele,  perocché  stata  al  mon- 
do quattro  mille  e  piii  anni  innanzi  di  lei .  Come  poi  cotal  se- 
dere vicino  di  Beatrice ,  donna  del  nuovo  Testamento,  a  Ra- 
elide,  donna  dell' antico,  non  si  opponga  a  quello  spartimento 
cbe  pone  Dante  in  Paradiso ,  vedi  Parad.  xxxii.  8.  e  segg. 

f  o3  loda  (  il  medesimo  che  lode  )  di  Dio  vera.  Molti  filo-' 
sftfi  e  teologi  gentili  si  sono  ingegnati  d'investigar  Teccellcnza 

f«)  Adone  acJ  Mmlifoiag^  idtb.  dvc^mbft    [h\  Prot^erh.  3«fl»«  34* 
Fol.  L  4 


So  INFERNO 

Che  non  soccorri  quei,  che  t'amò  tanto ^ 
Ch'uscio  per  te  deUa  volgare  schiera? 
Non  odi  tu  la  pietà  del  suo  pianto,  loG 

Non  vedi  tu  la  morte,  che*l  combatte 
Su  la  fiumana,  ove'l  mar  non  ha  vanto? 

della  natura  divina ,  ma  nessuno  lia  potuto  trovar  il  vero  ^  come 
la  teologia  de'Oristiani:  dunque  sola  Beatrice  è  vera  loda  di  Dio; 
cioè  9  sola  la  nostra  teologia  loda  Iddio  di  vere  lodi.  Lastdivo. 

1  o4  I  o5  che  t*amò  tanto  j  -  Ch'  uscio  ec.  Puossi  intendere 
delPamor  di  Beatrice  e  come  donna,  e  come  rappresentante  la 
teologia ,  e  che  per  ambedue  cotali  riguardi  uscisse  Dante  della 
volgare  schiera:  riguardo  a  Beatrice  donna,  per  essersi  mosso 
a  scrivere  versi  e  prose:  riguardo  alla  teologia,  per  essersi  con 
lo  studio  di  quella  sollevato  dal  volgo  de* secolari.  »-►  Cosi  an- 
che Maffalotu.  Mm 

to6  /a  pietà  del  suo  pianto.  Vale  pietà  qui  pure ,  come 
nel  u.  21.  del  canto  preced. ,  affanno ,  angoscia  • 

107  108  la  morte.  Come  tutti  comunemente  fingiamo  la 
morte  del  corpo  a  guisa  di  persona,  cosi  finge  qui  Dante  a  gui- 
sa di  persona  la  morte  ancora  dell'anima,  eh  è  il  peccato  ;  e 
finge  che  da  questa  fosse  combattuto  ."Su  la  fiumana^  ove  ec. 
Piglia  in  questo  luogo  la  fiumana  per  l'appetito  e  concupi- 
scenza delle  cose  terrene.  E  per  questo  dice  il  Salmista:  Cir^ 
cumdederuntmedolores  mortis^et  torrentes  iniquitatis  con^ 
turbaverunt  me.  E  certamente  non  insurge  in  si  turbolenta 
tempesta  il  mar  percosso  da' venti ,  quanto  son  tempestose  le 
perturbazioni  e  varie  passioni ,  che  di  continuo  ondeggiano 
nella  mente  piena  di  mondani  desideri .  Lakdiro.  —  Su  vale 

3 ut  a/  lato  ,  ideino ,  in  riva^  come  nel  canto  v,  i^.  ^.  e  seg. 
irà  Francesca  da  Polenta  : 

Siede  la  terra ,  dove  nata  fui , 
Su  la  marina  ec* 
fiumana  e  fiumara ,  lat.  gurgesy  aquarum  congeries  >  spi^[a 
il  Vocab.  della  Cr.,  e  ne  arreca  varj  es«npj .  »-►  L'  E.  R.  qui 
P^**  nu>rte  intende  quella  del  corpo  non  quella  dell'anima.  -Il 
Biagioli  al  •/•  108.  dice  che  non  v'ha  luogo  a  sposisione  lette- 
rale, e  devesi  riconoscere  in  questa  fiumana  questa  nostra  er- 
ronea vita,  ove  1* impetuoso  torrente  delle  passioni  ci  ravvolgo 
di  cotttimu^.  «Il  Vat.  3 199 logge  marina  in  luogadi/(ttmafia.4-« 


CANTO   li.  5i 

Al  mondo  non  far  mai  persone  ralle  ipQ 

A  far  lor  prò ,  ed  a  fuggir  lor  dapoo , 
Codi' io,  dopo  colai  parole  ^tle. 

Venni  quaggiù  dal  mio  bealo  scanno,  1 1 2 

Fidandomi  nel  luo  parlare  onesto, 
Ch'onora  le,  e  quei  ch'udilo  l' hanno • 

lOQ ratte y  veloci,  preste.  Vedi  il  medesimo  Vocabolai'io. 

no  m-¥jé  far  lor  prode ,  né  a  fuggir  lor  danno  legge  col 
cod.  Ang.  TE.  R.9  sembrandogli  che  faccia  miglior  suono  e  ren- 
da più  intera  la  sintassi  colla  ripetizione  del  né.  —  Prode  per 
prò  (cosa  ntile)  l'adoperò  Dante  ancora  nel  Purg,  [a] ,  e  Tusa- 
lono  parecchi  altri  antichi,  come  si  può  vedere  nel  Yocab.  4-« 

1 1 1  fatte  j  intendi  da  Beatrice.  9^  Cosi  tutte  e  tre  le  rom. 
edizioiii  ;  ma  forse  per  errore ,  o  di  stampa ,  od  inavvertente- 
mente  sfuggito  al  Lombardi  stesso ,  che  avrà  qui  inteso  di  scri- 
vere a  invece  del  da ,  che  non  regge ,  e  che  stravolge  il  senso 
di  per  sé  stesao  si  chiaro .  Intendi  adunque  :  fatte  da  Lucia 
<i  Beatrice .  <^m 

Ila  m^del  in  luogo  di  dal  legge  il  Vai.  Sigg.^-* 

1 13  1 1 Sparlare  onesto ,  ec. leggìadrostilee  sentezioso,  che 
fa  onore  a  te ,  ed  a  chi  lo  segue  ed  imita .  Y BKTvai.  »-►  del  tuo 
parlare  leggono  i  codd.  Gaet.,  Vat.  e  l'Ang.  E.  R.  -  Al  1^.  1 1 3, 
Lindino  intende  la  moral  dottrina .  «^  onesto ,  secondo  ilBia- 
gioli,  significa  onestato  ,  abbellito  j  ornato.  —  Al  1^.  1 14-  1^ 
opere  di  Virgilio  dan  fama  a  lui ,  e  a  chi  segue  la  sua  dottrina. 
\  cLLUTBLiio.  —E  cosi  chiosa  pur  anche  il  Magalotti.  — -  udito 
^  qni  sentimento  di  sentito .  BiaoioIiI.  —-Approvando  Lo  Sco- 
lari la  chiosa  del  Landino ,  per  renderne  il  concetto  piii  intero 
^gìange  :  questi  versi  danno  la  ragione  della  scelta  fatta  da 
Matrice  in  Vii^lio  per  guida  del  suo  Dante ,  che ,  come  tra- 
viato ,  non  poteva  essere  aiutato  che  da  un  uomo  virtuoso  fra 
tutti  e  insieme  gran  poeta  ,  onde  avesse  in  isuo  potere  ogni  poar 
|ibirarte  di  pei*suasÌQne.  Or  venendo  al  letterale  rimarca:  i.^che 
^i  fidandomi  è  palmola  piena  di  affetto ,  e  mostra  tutto  l'impegno 
di  Beatrice  per  lo  bene  di  Dante  ;  a.^  ch/e  pel  verbo  purlare 
liaisi  ad  intendere  quello  che  dicono  le  opere  di  Virgilio ,  e  non 

I«J  C.  IV.  *».  4^.,  e  e.  XXI.  »'.  7 1.  P  ' 


5a  INFERNO 

Poscia  che  m'ebbe  ragionato  questo,  1 15 

Gli  occhi  lucenti,  lagrimaado,  volse; 
Perchè  mi  fece  del  venir  più  presto: 

E  venni  a  te  cosi,  come  ella  volse;  1 18 

Dinanzi  a  quella  iiera  ti  levai , 
Che  del  bel  monte  il  corto  andar  ti  tolse . 

Dunque  che  è  ?  perchè ,  perchè  ristai  ?  ini 

Perchè  tanta  viltà  nel  core  allette  ? 

altro;  3.^  che  onesto  è  qui  usato  nel  suo  proprio  senso  Aìper^ 
fezione  morale  y  di  cui  manca  il  Vocabolario  ;  poiché  onestà 
è  perfezione  di  legge  ;  questa  prescrive  soltanto  ciò  che  è  giu- 
sto e  doveroso  y  e  costringe  :  V  onestà  ha  in  cura  ancora  il  di 
più  y  e  si  limita  a  perstiaderlo  •  4-« 

1 17  Perchè ,  vale  qui  per  la  qual  cosa  *—  del ,  vale  qui 
quanto  al  y  come  il  di  per  a  adopera  il  Petrarca  in  quel  verso: 

Per  cui  ho  insidia  di  quel  inocchio  stanco  [al . 
Presto  adunque  del  venire  significa  medesimamente  che  pre- 
sto al  venire . 

1 1 8  Volse  per  volle  non  rha  (come  il  Venturi  dice)  voluto 
la  rima  a  dispetto  della  ragione  y  ma  Tuso  allora  frequente 
di  scrivere  cosi  in  verso  e  in  prosa .  Vedi  il  Prospetto  de^ver^ 
a  italiani  sotto  il  verbo  Volere ,  n.  7. 

119  120  fiera ,  la  lupa .  Vedi  il  canto  precedente  y  verso  49* 
e  segg.  —  del  bel  monte  il  corto  andar  ti  tolse  y  t'impedì  la 
corta  via  di  salila  al  bel  monte  della  virtii  y  obbligandoti  a 
cercar  meco  la  piii  lunga  sti*ada  deirinfemo  e  del  Purgatorio. 
Vedi  ciò  ch'è  detto  nel  precedente  canto  al  verso  9 1  •  e  segg. 
»-^mi  tolse  legge  il  Vat.  3199. 4-» 

121  che  è?  che  è  ciò  che  tu  fai  ?  —  ristai,  t'arresti.  •-►  /)«/*- 
gue  che  è  il  perchè!  Perchè  ristai!  legge  l'Ang.  E.  R.  ^-m 

id2  viltà  y  paura,  — >  allette  per  alletti  ,  antitesi  in  grazia 
della  rima .  Gli  Accademici  della  Cr.  nel  Vocabolario,  dopo 
spiegato  allettare  per  invitare ,  chiatnare  ,  incitare  con  pia-- 
cevolezza  e  con  lusinghe ,  lat*  allicere  ,  passano  a  dire  che 
il  medesimo  verbo  adoperi  Dante  qui  e  in  quell'altro  verso  : 
Ond*esta  tracotanza  in  voi  sgalletta  [b] ,  metaforicamente 

t«J  San.  4a.     [ftj  ipf,  i».  ^3. 


CANTO  II.  53 

Perchè  ardire  e  franchezza  non  bai  j 
Poscia  che  fai  tre  Donne  benedette  1 34 

Curan  di  te  nella  corte  del  Cielo ^ 
£'1  mio  parlar  tanto  ben  t'iuiprometle? 
Qaale  i  fioretti,  dal  notturno  gielo  127 

ChiDati  e  chiusi,  poi  chel  Sol  gì' imbianca, 
Si  drizzan  tutti  aperti  in  loro  stelo; 
Tal  mi  fec'io  di  mia  virtute  stanca;  i3o 

fet  alloggiare,  albergare. Che  in  questi  esempj  equivalga  a/« 
Iettare  ad  alloggiare  ,  albergare ,  non  vi  ho  difficoltà .  Solo 
mi  pare  strano  che  sia  il  medesimo  già  spiegato  allettare 
(pAh  che  qui  metafoi'icamente  s'adopera  :  imperocché  pare 
a  me  che  sia  il  presente  allettare  un  verbo  anatto  spropoi"* 
lionato  ti  primo  9  e  tanto  da  quello  diverso ,  quanto  esempi-^ 
grazia  è  diverso  il  verbo  sperare  «  significante  aì^re  sperane 
zoy  dal  verbo  sperare ,  significante  opporre  al  lume  una  cosa 
per  veder  snella  traspare  [a]  :  panni  cioè  che  questo  a//&^* 
tare  di  Dante  significhi  propriamente  dar  letto ,  come  albèr'* 
gare  ed  alloggiare  sigmficano  dare  albergo  j  dare  alloggio 
(allcttarsi ,  per  istare  continoyamente  a  letto  j  dicono  iRo" 
mani),  e  che  y  per  essere  il  letto  la  cosa  principale  che  nel-* 
Talloggio  si  dà  9  perciò  adoperi  Dante  allettare  per  alloga 
giare ,  albergare .  m^  allette ,  cioè  dai  ricetto ,  accogli.  E.  F. 
'-'Il  eh.  cav.  Monti  [&]  consente  alla  metaforica  significazione 
<li  questo  verbo  per  albergare ,  alloggiare  ec;  ma  non  già 
che  sia  diverso  da  quello  definito  dalui  Crusca  per  iìii^tare  j 
chiamare  con  lusinghe ,  affermando  anzi  che  sono  la  stessa 
cosa  sotto  una  medesima  metafora . 

y^  tre  Donne  y  cioè  quella  ^en/i7,  che  si  compiange  eCj 
t  Beatrice ,  e  Lucia . 

127  9^  Quali  fioretti  legge  il  Vat.  Sigg.  4-» 

128  imbianca  jfer  illumina  0  per  colorisce  9  come  elegan- 
temente Prudenzio: 

Rebusgue  iam  color  redity  -  fluita  nitentis  sideris  [e]  • 

i3o  lai  mi  fec^  io  ec.  Ellissi  ;  quanto  se  detto  avesse:  tal 

(  ittessamente  )  mi  fec'io  forte  di  mia  virtù  1  ch'era  già  stanca* 

f«]  Vedi  il  Yocab.  della  Cr.  al  verbo  Sperare,  [h]  Prop*  voi.  itPt  a» 
^'*  k^    [e]  Bjnm.  Halut. 


54  INFERNO 

E  tanto  buono  ardire  al  cor  mi  corse , 

Ch'io  cominciai,  come  persona  franca: 
O  pietosa  colei,  che  mi  soccorse,  i33 

E  tu  cortese,  ch'ubbidisti  tosto 

Alle  vere  parole,  che  ti  porse! 
Tu  ra'  hai  con  desiderio  il  cor  disposto         1 36 

Si  al  venir,  con  le  parole  tue. 

Ch'io  son  tornato  nel  primo  proposto. 
Or  va,  eh' un  sol  volere  è  d'amendue:  i3G 

Tu  Duca,  tu  Signore,  e  tu  Maestro. 

Cosi  gli  dissi;  e  poiché  mosso  fue, 

1 3 a  m^francaj  libera  da  ogni  impedimento.  Biaoiojli.  -Sem* 
bra  però  che  la  franchezza  di  Dante  sia  l'opposto  della  mir- 
iate stanca^  cioè  deirabbattimento  d'animo,  di  cui  sì  parla 
nella  terzina .  Quindi  uon  libci*a  d' impedimento  y  ma  corag- 
giosa j  intrepida ,  cosi  il  rom.  Edit.,  che  dichiara  di  dover 
quesU  nota  al  sig.  Salvatore  Betti .  4-« 

1 36  i^ere  parole ,  consistenti  massime  in  quella  terzina-  Z^a- 
micomio^enon  della i^enturay  ^Nella  diserta piaggiaecn\a\ 

1 3d  proposto  j  sustantivo  :  col  secondo  o  stretto  >  propo- 
sito  y  deliberazione .  Vocab.  della  Crusca . 

i39  »-»  Or  mota  y  che  un  teiere  è  d^amenduez  ha  il  cod. 
Ang.  E.  R.  —  d^amendue  noi  (spiega  il  Magalotti)  ;  il  tuo 
d'andare ,  il  mio  di  venire .  4-« 

ì\o  A-^Nota  qui  lo  Scolari  questa  giusta  qualiGcazione  di 
Virgilio  in  Duca ,  Signore  e  Maestro ,  con  cui  Dante  si^aific^ 
la  sua  ferma  volontà  di  seguirlo ,  ubbidirlo  ed  ascoltarlo  .  ««-i 

i4i  p*c.  Sia  detto  ora  per  sempre  (nòta  alla  voce  fue  Tait 
tico  Prospetto  de* verbi  toscani) ,  che  il  genio ,  e ,  dirò  così 
la  natura  della  nostra  linsfua  è  di  non  terminare  le  voci  in  ac 
cento  ;  e  perciò  i  nostri  più  antichi  non  terminavano  quasi  ma 
le  voci  così  [i].  —  *  Il  Kìpi'oduttore  però  sig.  Marco  Masiifi 
fini ,  nelle  sue  Teoretiche  dimostrazioni  sulle  coniugazion 
ed  iìifiessioni  de'  verbi ,  dimostra  di  piii  che  fiie  era  la  gc 

[a]  Verso 6 1   e  seg%  del  presente  canto,  [b]  Sotto  il  verbo  Essere  ,  n.  « 


CANTO   li.  55 

Entrai  per  lo  cammino  alto  e  Silvestro. 

nuioa  e  regolare  inflessione  della  terza  persona  sing.  del  pret. 
iod.,  che  poi  restò  monca  ed  in*egolare  come  tante  altre.  Vedi 
Form.  de^Perf.  de^Verh.  Aus*  fac.  19.  E.  R. 

\fyi  alto  .  Prende  qui  questo  aggettivo  al  senso  medesimo 
che  neirottavo  della  presente  cantica^  ove  dice  alto perim 
glio  [aj  ,  e  nel  ventesimosesto,  dove  alto  passo  \b^j  al  8en« 
50  cioè  di  difficile  e  pericoloso  [e] .  —  silvestre  j  salvatico  j 
impraticato .  b^  Qui  Magalotti  intende  alto  nel  suo  proprio 
significato ,  cioè  di  elevato  e  sublime  y  come  spiegò  il  Manetti 
nella  sua  ingegnosa  operetta  circa  //  sito  y  forma  e  misura 
deir Inferno  di  Dante ,  di  cui  ne  daremo  un  estratto  nel  5.^ 
Tolmne  di  questa  nostra  edizione  ,  e  qual  leggesi  precisamente 
neirE.  F.  —  Biagioli  per  alto  intende  invece  profondo.  4-» 

[«]yeno^9.[6]yerso  i3a.  [c]yediiiyo€ab.delkCr.aIlavoce^to.{.v, 


CANTO    III 


<•%•  ^ 


ARGOMENTO 

Dante  i  seguendo  P^irgiliOy  perviene  alta  porta  dell' fn- 
ferno  :  dove ,  dopo  aver  lette  le  parole  spaven  tose  che 
v'erano  scritte  ,  entrano  ambedue  dentro  -  Quivi  in  - 
tende  da  Virgilio ,  che  erano  puniti  i  poltroni:  e,  se- 
guitando il  loro  cammino,  arrivano  al  fiume  detto 
j^cheronte ,  nel  quale  trovano  Caronte ,  che  tragetta 
le  anime  all'altra  riva.  Ma  come  Dante  vi  fu  giun- 
to, su  la  sponda  del  detto  fiume  si  addormento* 

X  er  me  si  va  nella  ciità  dolente:  i 

Per  me  si  va  nel!' eterno  dolore: 
Per  me  si  va  tra  la  perduta  gente . 

Giustizia  mosse!  mio  alto  Fattore:  4 


»-►  Da  questo  caato  ha  principio  la  narrazione  del  Poema. 
Nel  i.^  sono  toccate  le  circostanze  che  T hanno  occasionato,  il 
tempo  in  cni  fu  scritto  9  ed  il  fine  proposto  ;  nel  ^P  è  compresa 
soltanto  Vantiscena ,  ossia  la  narrazione  dì  quello  che  ha  pre- 
ceduto la  proposizione  dell'opera.  Sgombrasi  così  qualunque 
dubbio  occasionato dairopinione  del  Gellì,  come  osserva  il  Ma- 
galotti ,  che  affermò  cominciarsi  il  poema  dal  primo  verso  del 
canto  v;  il  che  non  può  intendersi  in  senso  alcuno.  Scoi. ab  1.  ^hi 

I  Per  me  ec.  Sono  questi  primi  nove  versi ,  come  dal  de- 
cimo ed  undecimo  appaiìrà ,  un'  iscrizione  sopra  la  infernale 
polla  ,  nella  quale  iscrìzione^nduccsì  per  prosopopeia  a  par- 
lare la  porta  di  sé  medesima  e  dell'  Inferno . 

3  m-¥  nella  perduta  gente  legge  il  cod.  Cact.  E.  R.  <-« 


CANTO  III:  57 

Fecemi  la  divina  Potestà  te, 
La  somma  Sapienza,  e'I  primo  Amore. 
Dinanzi  a  me  non  fur  cose  create,  *  7 

Se  non  eterne,  ed  io  eterno  duro: 
Lasciate  ogni  speranza,  voi,  cbe'ntraie. 

5  6  Fecemi  la  divina  ec.  Accenna  ]a  teologica  massima ,  che 
cyiera  aò  extra  sunt  totius  Trinitatisc  e  per  la  diuina  Potè- 
itale  intende  l'eterno  Padre;  per  la  somma  Sapienza  il  divin 
Verbo  ;  per  il  primo  Amore  lo  Spirito  santo .  Patri  (dice  san 
Tommaso  [a])  attribuitur  et  appropriatur  potentia  ....  Fi' 
Ho  autem  appropriatur  sapientia . .  • .  Spiritai  tuitem  san  do 
appropriatur  boni tas.  Vedi  anche ,  se  vuoi.  Dante  medesimo 
nel  Convitto  [b],  •-►Dice  più  brevemente  e  piii  chiaro  il  Torel- 
I19  accennando  che  Dante  con  ragione  teologica  circoscrive  la 
Trinità,  perocché  le  operazioni >  che  dai  teologi  si  dicono  ab 
extra ,  sono  comuni  a  tutte  tre  le  divine  persone.  -Nota  il  Bia- 
gioli  che  cjuesta  terzina  fu  troppo  inconsideratamente  biasima- 
ta dal  sìg.  Ginguenèf  che  non  ne  penetrò  il  sentimento.  4-« 

j  8  Dinanzi  a  me  ec.  Indica  creato  da  Dio  T  Inferno  a  pu- 
nizione degli  Angeli  ribelli,  come  abbiamo  nel  santo  Vange- 
lo [e],  e  perciò  non  essere  stata  prima  dell'Iuferno  altra  crea- 
tura che  gli  Angeli  stessi,  cose  eterne ^  cioè  eternamente  du* 
revoli.  »-^ Le  cose  dalFelemento  del  fuoco  in  su ,  che,  secondo 
i  Peripatetici,  furono  ab-eterno  per  sé  stesse.  Biagioli.  —  La 
materia  prima,  i  cieli,  gli  Angeli  (Landino  Vellutello  e  il 
Venturi).  -  Gli  Angeli,  dopo  la  cui  ribellione  si  deve  credere 
fiibbrìcato  V  Inferno  ;  così  Magalotti  ,  che  afferma  poter  dirsi 
gli  Angeli  etemi ,  perchè  immortali ,  benché  creati  da  Dio  • 
"  Lo  Scolari  opinando  che  la  promessa  d*un  premio  e  la  mi- 
naccia d^un  castigo  debba  essere  stata  contemporanea  alla  crea- 
zione degli  Angeli,  ritiene  che  l'Inferno,  se  non  fu  ci'oato  pri- 
ma, noi  fosse  neppur  dopo  degli  Angeli  stessi.  Quindi  per 
quelle  vo'se  eterne  vuole  che  s* intenda,  o  Dio  uno  e  trino,  o 
Duir altro  di  più  preciso.  —  Il  cod.  Vat.  3199  legge,  invece 
di  etemo  t  eterna  ^  e  cosi  TAngelico,  n ferendo  qucst'addiet- 
tivoalla  porta.  =Noi  leggiamo  eterno^  come  pur  vogliono  gli 
Editori  della  Minerva.  ==  (  Gli  Editori  fiorentini.  ) 

[a]  V.  I.  q.  55.  art.  6.  [bj  Tratl.  a*  cap.  6.  [e]  Malt.  i5.  v,  ^^. 


58  INFERNO 

Queste  parole  di  colore  oscuro  i  o 

Vid'io  scritte  al  sommo  d*una  porta  j 
Perch'io:  Maestro,  il  senso  lor  m'è  duro. 

Ed  egli  a  me ,  come  persona  accorta  :  1 3 

Qui  si  convien  lasciare  ogni  sospetto: 
Ogni  viltà  convien  che  qui  sia  morta. 

Noi  sem  venuti  al  luogo,  ov^io  t',ho  detto  16 

Che  vederai  le  genti  dolorose, 
Ch'hanno  perduto  "i  ben  dello 'ut  alletto. 

IO  ^^i  colore  oscuro j  d!  color  negro* 

12  duro  per  ispiacei^ole .  Vediae  altri  eseinpj  nel  Vocab. 
della  Crusca,  e  dee  intendersi  cotale  spiacere  massimamente 
riguardo  alFultimo  verso  Lasciate  ec»  m^duro^  penoso.  Bia- 
GioLi; -aspro,  spaventoso,  e  non,  come  altri  vogliono,  oscu- 
ro. Magalotti.  —  //  senno  lor  ine  duro  legge  TAog.  E*  R* 
—  Ma  questo  senno  leggesi  forse  per  errore  del  copista.  4-« 

1 3  m-^elli  in  luogo  di  egli  qui  ed  altrove  legge  il  Vat.  3 1 99*4-v 

1 4  1 5  morta^  spenta,  annichila  ta.  m^  Così  nel  6.  deirEneide  : 
Nuncanimis  opus^Aenea^  nunc  pectore  firmo  .Mao  AhOTTu-*^ 

|6  sem  per  siamo  qui  ed  altrove  [a]  adopera  Dante,  ed  an- 
che il  Petrarca  [AJ. 

1 7  Che  vederai ,  legge  la  Nidobealìna  con  tutte  le  antiche 
edizioni ,  ed  anche  colla  maggior  parte  de'rass.  veduti  dagli  Ac- 
cad.  della  Cr.  I  medesimi  Accademici  però  hanno  voluto  piut- 
tosto seguire  il  numero  assai  minore  di  quelli  che  leggono  CAe 
tu  i^edraiy  non  avvertendo  che  questo  tu,  dopo  appena  il  t'ho 
detto  j  riesce  stucchevole, e  che  il  vederai^  oltre  di  trovarsi  ado- 
perato da  molti  altri  in  verso  e  in  prosa  [e] ,  viene  poi  da  loro 
medesimi  accordato  al  Poeta  nostro,  se  non  altrove,  nel  xiv. 
certamente  di  questa  stessa  cantica,  v.  120.,  e  Par.  v*  i'*  ita» 

Tu  7  vederai:  però  qui  non  si  conta. 
E  per  te  vederai,  come  da  questi, 

18  7  ben  dello  intelletto;  cioè  Dio,  nel  conoscere  il  quale 
a  velatamente  la  beatitudine  consiste.  Vehtubi.  •-»  (jo&\  anche 

\à\  fnf.  ztii.  3?.,  Farad,  xni.  i3.  ec.  [b]  Son.  8.  [e]  Vedi  Teoria-e  Pro* 
spetto  de' verbi  itaU  soUq  il  verbo  flettere ,  d.  13. 


CANTO  IH.  59 

E  poiché  la  sua  mano  alla  mia  pose  1 9 

Con  lieto  volto,  oad'ìo  mi  confortai, 
Mi  mise  dentro  alle  scerete  cose . 

Quivi  sospiri,  pianti,  ed  alti  guai  ati 

Risooavan  per  l'aere  senza  stelle. 
Perch'io  al  cominciar  ne  lagrimai. 

Diverse  lingue,  orribili  favelle,  a 5 

Parole  di  dolore,  accenti  d'ira, 
Voci  alte  e  fioche,  e  suon  di  man  con  elle 

Torelli .  -Nota  il  Biagioli  che  è  tolto  da  Aristotile  nel  3.  del- 
VAninuij  oye  dice:  bonurnintellectus  est  ultima  beati tudo*'^^ 

ig  E  poiché  ec,  E  poiché  m'ebbe  preso  per  mano .  ' 

a  I  scerete  cose ,  perocché  nascoste  agli  occhi  de'  mortali . 

aa  ■-♦  altri  guai  il  cod.  Ang.  E.  R.  —  In  questo  e  nei  due  se*- 
gnenti  terzetti  sembra  che  Dante ,  dice  il  Magalotti ,  abbia  vo- 
glia di  superar  Virgilio  nell'espressione  della  miseria  dei  dan- 
nati .  S'ei  se  la  cavi  0  no ,  giudichilo  chi  farà  il  confronto  di 
Ioesto  luogo  con  quello  della  Eneide  lib.  ti.  ^.  bSy,  e  segg. 
fine  ejcaudiri  gemitus ,  et  saeya  sonare  efc.  —  Non  ti'a* 
scurò  il  Biagioli  questa  osservazione  del  eh.  Magalotti .  4-« 

a3  aere,  la  Nidob.;  aer,  l'altre  edix,  "^stelle ,  per  ogni 
celeste  lume .  -*  Risonava  in  queir aer  ha  il  Vat.  3 199.  <-m 

a4  al  cominciar  :  su  quel  primo  ascoltar  quelle  voci  la-- 
menteuoli,  chiosa  il  Venturi  ;  ma  io  amerei  più  d'intendere  : 
su  '/  beir  incominciar  di  cotale  mia  visita  . 

a5  Diverse  lingue  ,  idiomi  diversi ,  ad  accennare  che  nel- 
llnfemo  sono  di  tutte  nazioni .  —  orribili  favelle ,  linguaggi 
ài  orribile  suono . 

a6  Parole  di  ec.  Potendo  le  stesse  parole  manifestanti  do- 
lore essere  dette  o  in  aria  di  cercare  commiserazione  ,  ovvero 
in  aria  di  solo  sfogare  l'impazienza  e  la  rabbia ,  accortamente 
perciò  il  Poeta  ,  a  significarne  che  non  si  dolevano  que'tristi 
che  per  isfogo  di  rabbia  ,  dice  che  le  parole  erano  di  dolore  , 
e  gli  accenti  (  le  maniere  cioè  di  pronunciarle  )  d'ira .  m-^Pa^ 
rote  dolorose  ha  il  cod.  Ang.  E.  R.  -♦-• 

ay  alte ,  e  fioche  y  sonanti  e  rauche  ;  —  e  suon  di  man  con 
elle  :  accompagnando  i  dannati  le  grida  col  percuotersi  per 
labbia  da  loro  stessi .  »-^  Rauche  9  ma  con  raucedine  spavci^ 


6i  INFERNO 

Degli  Angeli ,  che  non  furpn  ribelli , 
Né  f UT  fedeli  a  Dio ,  ma  per  sé  foro . 
Cacciarli  i  Giel,  per  non  esser  men  belli,       4o 
Né  lo  profondo  Inferno  gli  riceve , 
Ch'alcuna  gloria  i  rei  avrebber  d'elli. 

di  furono  molto  osata  da*  poeti .  Di  cotal  coro  j  o  sia  brigata, 
d'Angeli  per  mera  codardia  alieni  dai  due  detti  contrarj  par- 
titi degli  altri ,  pare  che  favelli  Clemente  Alessandrino  nel 
settimo  degli  Strami ,  in  quelle  parole  :  Novit  enim  aliquos 
quoque  ex  Angelis  propter  socordiam  humi  esse  lapsos  , 
quod  nondum  per  fede  ex  Illa  in  utramque  portene  prodi-- 
vitate  9  in  simplicem  illuni  atque  unum  expediissent  se  ha^ 
bitum  [a] .  La  loro  situazione  poi  in  questo  luogo  »  e  degli  uo- 
mini poltroni  con  essi ,  la  è  idea  tutta  del  Poeta .  m^  captii^o 
coro  f  legge  l'Angelico.  E.  R.  —  Qui  9  dice  il  Biagioli ,  ognu- 
no si  avvede  che  è  intenzione  del  Poeta  di  avvilire  9  siccome 
meritano  9  coloro  i  quali  9  nelle  civili  discordie  e  nei  disastri 
della  Patria  9  sono  9  per  viltà  d'animo  9  indifferenti  9  ossia  neu- 
trali .  —  Né  furo  a  Dio  fedeli  9  ma  per  sé  foro  9  ha  il  VaU 
3 1 09  9  ma  forse  per  eiTor  del  copista  9  alterando  cosi  la  misura 
del  verso  9  come  vedesi  egualmente  alterata  nel  seguente  dello 
stesso  codice  che  legge  :  Cacciarli  i  Cieli  j  per  non  esser  men 
belli  ;  che  forse  Dante  scrisse  fedei  e  dei .  4-« 

4o  al  4^  (^Id  per  Cieli  9  apocope  a  causa  del  metro  niente 
pili  licenziosa  di  molte  dai  poeti  latini  per  simile  cagione  ado- 
perate [i] .  —  ner  non  esser  men  belli  9  a  fine  di  non  rendersi 
meno  belli,  a  une  di  non  perdere  9  perla  costoro  società ,  di  loro 
vaghezza,  -^alcuna  gloria  ec«:  glorìerebbersi  quegl'infami  pec- 
catori di  aver  compagna  gente  vissuta  senza  infamia.  '^PelUj 
di  loro9  d'essi  [e].  m-¥  Caccianli  con  bella  variante  Wgono  il 
cod.  Ang.  ed  il  Caet.  E.  R.  —  Il  P.  Delia-Valle  nelle  Osservar 
zioni  in  lode  dell'ediz.  romana  1 79 1  del  Dante  del  Lombardi, 
stampate  in  Torino  per  Bayno  1 792,  sospetta  che  sia  alterato 
il  pruno  verso  di  questo  tei'zetto  9  e  che  debba  leggersi  cosi  : 

Cacciolli  il  Ciel  per  non  esser  ben  belli . 
ponendo  in  singolare  il  Ciel ,  come  Inferno  nel  secondo  verso. 
E  stando  a  questo  (tutto  suo)  parere  9  conviene  intendere  ben 

[a]  Edìz.  d'OxCord  171  f».  [b]  Vedi,  tra  gli  altri ,  Vossio ,  Lai,  Grani' 
maU  d€  metaplasmo»  [e\  Vedi  il  Ciuoo.  Par  tic.  loi.  16. 


CANTO  IIL  63 

Ed  io:  Maestro,  che  è  tanto  greve  4^ 

A  lor,  che  lamentar  li  fa  si  forte? 
Rispose:  dicerohi  molto  breve. 

Questi  DOQ  haopo  speranza  di  morte:  4^ 

per  motto*  —  ben  belli  legge  pure  la  veneta  ediz.  i49i-  *  Il 
seabmento  di  questi  yeisi ,  secondo  il  Magalotti ,  è  tale  :  pel 
Cielo  son  troppo  brutti ,  per  l'Inferno  troppo  belli  ;  quindi 
stanno  disperati  nel  mezzo  j  cioè  nel  vestibolo  deiriniemo  • 
•  II  signore  Strocclii  ritiene  che  i  rei  qui  nominati  sieno  quelli 
del  Limbo  9  e  che  il  genitivo  d'elli  si  rìferisca  ai  dannati  nel- 
rinfemo  9  e  chiosa  :  /  Inferno  rifiuta  i  rei,  cioè  1  sospesi  ^per^ 
che  non  debitamente  riceverebbero  qualche  gloria  d'ellij 
cioè  adesso  Inferno  •  Elli  per  elio  j  ed  elio  per  esso  era  usato 
dagli  scrìttoli  del  Trecento .  — »  Il  eh.  cav.  Monti ,  nella  sua 
Prop.  voi.  I.  P.  2.  fac.  79.,  sostiene  che  alcuna  abbia  qui  forza 
di  niuna ,  all'usanza  Dantesca  e  d'altri  antichi  9  e  spiega  :  gli 
scacciò  il  Cielo  per  non  perdere  flore  di  sua  bellezza  9  n- 
ienendo  nel  suo  seno  quei  %^ili .  Non  li  riceve  e  gli  scaccia 
pure  r Inferno  9  perchè  mwiB,  gloria  ne  verrebbe  ai  dannati 
dalCaverli  in  lor  compagnia .  -  Il  Biagioli  si  dichiara  in  fa- 
Tore  della  interpretazione  del  Monti  9  -  e  lo  Scolari  pei*  la  co- 
mime  riportata  da  prima  dal  Biagioli  9  cioè  :  non  li  vuole  il 
profondo  Inferno  ,  perchè  ivi  trovandosi  con  questi  vili  in 
una  pena  stessa ,  avrebbero  la  gloria  di  poter  dire:  almeno 
noi  Vabbiamo  meritata  pugnando  .  —  In  tanta  diversità  di 
pareri  a  noi  sembra  che  la  spiegazione  del  Monti  meriti  so- 
pra ogn'altra  la  preferenza .  Alcuna  per  niuna  trovasi  usato 
da  Dante  stesso  al  e.  xii.  v.  9.  di  quesU  cantica.  *  C/» 'alcuna 
via  darebbe  a  chi  su  fosse  ;  e  due  volte  nel  suo  Convito  ^  co- 
me osserva  il  Cinonio  [a],  e  come  puoi  vedere  nella  nota  del 
nostro  P.  Lombardi  al  sopraccitato  v.  9.  e.  xii.  di  questa.  -  Il 
codice  Stuard.9  consultato  dal  Biagioli ,  porta  :  Che  alcuna 
gloria  non  avrebber  duelli .  «^ 

i5  dicerolti  dal  dicere  latino  9  usato  talora  dagli  scrittori 
toscani  così  intiero  in  luogo  del  sincopato  dire.  Vertuai.  -  Arc- 
*^e  in  fi)rza  d'avverbio ,  brevemente ,  in  poche  parole.  Volpi. 

46  al  48  Questi  non  hanno  speranza  ec.  sono  certi  di  do- 
Tere  nella  loro  miseria  dm*are  eternamente,  '^ieca  per  oscura^ 

1«]  Partie.  1 3.  6. 


64  INFERNO 

E  la  loro  cieca  vita  è  tanto  bassa, 
Che 'nvidiosi  soq  d'ogn' altra  sorte. 
Fama  di  loro  il  mondo  esser  non  lassa  :  49 

Misericordia,  e  Giustizia  gli  sdegna. 
Non  ragioniam  di  lor,  ma  guarda,  e  passa. 

catacresi  molto  dagli  scrittori  praticata.  Vedi  ilVocab  della  Gr. 
ma  qui  traslativamente  per  inonorata.  -*  Che  Nvidiosi  san 
d'ogni  altra  sorte .  Il  Yellutello  e  '1  Venturi  per  ogn'altra 
sorte  intendono  ouella  ancora  de*dannati  nel  profondo  Infera 
no .  Ma  se  dice  il  Poeta ,  che  quei  del  profondo  Inferno  al- 
cuna gloria  avrebbero ,  avendo  costoro  in  lor  compagnia,  segno 
è  che  voglia  questi  di  miglior  condizione  di  quelli  ;  e  che  j  se 
non  li  vuole  solamente  pigri  y  ma  anche  scioccni  y  non  possa  far 
loro  invidiare  lo  stato  di  quelli  che  stanno  peggio.  Sorte  adun- 
que direi  io  intendersi  in  buon  senso ,  e  A^ogn^ altra  sorte  va- 
lere lo  stesso  che  d*ogni  quantunque  picciolissimo  buon  nome. 
wh¥  Pensa  il  Magalotti  che  V  intendimento  del  Poeta  in  questa 
terzina  sia  di  inferire  j  che  la  maggior  pena  di  costoro  è  fa  ver- 
gogna di  non  essere  almeno  stati  da  tanto ,  poiché  a  perdere 
si  avevano ,  di  perdersi ,  come  suol  dirsi ,  per  qualche  cosa. 
-  d'ogni  altra  sorte  :  persin  di  quelli  che  la  giustizia  piti 
crucciata  martella  ;  cosi  il  Biagioli .  4-« 

49  Fanuty  memoria,  rinomanza. 

50  Misericordia  ec.  non  trova  in  costoro  di  che  spiccare  né 
la  Misericordia  in  perdonare ,  né  la  Giustizia  m^umte.  »->La 
Crusca  spiega  gli  sdegna ,  cioè  gli  ha  a  schifo.  Spiegazione 
che  non  si  ammette  dallo  Scolari  ;  perocché ,  data  la  colpa , 
non  trova  possibile  che  la  Giustizia  divina  non  eserciti  su  chic- 
chessia il  suo  potere  :  essendo  1*  Inferno  soggetto  ad  essa  che 
mosse  FEtemo  a  farlo,  ella  ha  già  pronunziato  sui  rei,  ed  il 
verso  suddetto  é  appunto  la  ragione  di  sua  sentenza .  Quindi 
egli  spiega  :  Misericordia  e  Giustizia  gli  fa  sdegnare  9  sog- 
giungendo che  sdegnare  in  senso  attivo  è  de'  Glassici.  *  Nota 
il  Torelli,  che  li  sdegna  però  che  i  Cieli  li  cacciare ,  e  Tln- 
ferno  non  li  riceve .  Quindi  poco  dopo  gli  chiama  :  jd  Dio 
spiacenti  ed  nCnetnici  sui .  4-a 

5 1  w-¥  Non  ragionar ,  leggono  con  bella  variante  i  codici 
Ang.  e  Caet.,  il  ms.  Stuaixliauo ,  e  con  essi  la  terza  romana 
edzione .  ^-c 


CANTO  m.  65 

Ed  io,  che  riguardai,  vidi  una  insegna,  Si 

Che  girando  correva  tanto  ratta , 
Che  d'ogni  posa  mi  pareva  indegna: 

E  dietro  le  venia  sì  lunga  tratta  55 

Dì  gente,  eh'  io  non  averci  credulo, 
Che  Morte  tanta  n'  avesse  disfatta . 

Poscia  eh'  io  v'  ebbi  alcun  riconosciuto,  58 

Guardai,  e  vidi  l'ombra  di  colui. 
Che  fece  per  vii  tate  il  gran  rifiuto. 

5d  insegna j  bandiera. 

54  Che  d'ogni  posa  (pausa,  riposo)  nU  pareva  indegna. 
Trasferisce  nella  insegna  T indegnità  di  pausare,  ch'era  in  co- 
loro (cioè  nei  già  da  Virgilio  indicatigli  poltroni)  che  alla  in- 
stami dovevano  correre  appresso  :  e  vuol  dire,  che  per  quel  ve- 
l<«e  e  continnato  correre  gli  appariva,  gli  si  manifestava  la 
indegnità  loro  di  avere  alcuna  pausa .  %^  indegna  y  sincope  di 
indegnata  y  come  compra  per  comprata  ^  mozza -fet  mozzar 
ta  ecj  ad  imitazione  del pontem  indignatus  Araxes  di  Virgi- 
lio; osservazione  dal  sig.  Dott.  Gaspare  Selvaggi  comunicata  al 
lampredi ,  é  da  questi  forse  al  Biagioli .  -Ad  ogni  modo  lo  Sco- 
Uri  non  sa  convenire  che  \ indegna  stia  qui  in  luogo  iUndegnor 
ta^  non  potendosi  supporre,  come  accade  in  questi  due  luoghi , 
il  dispetto  di  un  fatto  anteriore ,  di  cui  nel  caso  nostro  non  si  ha 
traccia  alcuna .  Spiega  quindi  indegna  per  isdegnosa  0  inde^ 
gnante  come  il cor^^a  iìidignantia paoem  dì  Ovidio.  — Ma- 
galotti chiosa:  incapace y  od  altra  cosa  equwalente . 4^ 

56  ch^io  non  alerei  creduto  :  cosi ,  oltre  la  Nidob. ,  tutte 
Taltre  antiche  edizioni  e  tutti  i  mss.  veduti  dagli  Accad.  della 
Cr^  fuori  che  tre;  coll*autorità  dei  quali  è  piaciuto  agli  stessi 
Accademici  di  leggere  invece  ch^  V  non  avrei  mai  creduto , 
come  se  fosse  Dante  tanto  della  sincope  amico ,  che  non  avesse , 
per  cagìon  d'esempio,  scrìtto  replicatamente  cederai  in  luogo 
dì  vedrai  \a\.  m^  IlVat.  3 199  legge  <iome  la  Nidob.  4-« 

59  60  vidi  l'ombra  di  colui  ^  ec.  Nel  determinare  il  sogget- 
U>  dal  Poeta  qui  inteso  errano,  a  mio  credere ,  tutti  grinter- 

{«]  Vedi  la  noia  al  v.  1 18.  del  canto  !•  della  presente  cantica. 

FpL  I.  5 


66  INFERNO 

preti .  Parecchi ,  tra'  quali  noTellamente  il  Venturi ,  vogliono 
che  per  colui  abbiasi  a  capire  s.  Pier  Celestino,  che  rinunziò 
il  papato  :  alcuni  dicono  intendersi  Esaii,  che  vendè  la  primo- 
genitura al  fratello  Giacobbe:  altri  finalmente  Dioclexiano, 
che  in  sua  vecchiaia  rinunziò  l'impero. 

Quanto  ad  Esaii  e  Diocleziano,  tra  gli  altri  ostacoli  vi  è 
quello  insuperabile,  che  non  conosce  mai  il  Poeta  in  tntto  que- 
sto suo  viaggio  anime  d'uomini  vissuti  avMiti  di  lui ,  se  non  gli 
si  manifestano  o  da  sé  medesime ,  o  da  altri  '  e  però  conoscendo 
egli  qui  l'ombra  di  colui  di  per  sé  (detto  già  avendogli  Vir- 
gilio: Non  ragioniamdi  lor,  maguarda,  epasfdj  dee  cer- 
tamente cotale  essere  persona  vissuta  al  tempo  suo ,  e  da  lui 
conosciuta  quassii,  quali  non  furono  nò  Esaii,  né  Diocleziano. 

Quanto  poi  a  s.  Pier  Celestino,  omesso  che  Tolonuneo  da 
Lucca,  storico  al  Santo  contemporaneo, rifiorito da'BoUandisti 
nella  vita  del  medesimo  Santo,  scrivelo  morto  nelPanno  i3oa,  se- 
condo la  qual'epoca  sarebbe  nel  1 3oo  (anno  in  cui  finge  Dante 
di  aver  fatto  questo  suo  viaggio)  [a]  stato  s.  Pier  Celestino  an- 
cor tra'vivi  ;  ed  omesso  che  l'epoca  stessa  siegue  il  Breviario  Ro- 
mano, e  perciò  conta  Tanno  iii3,  nel  quale  fu  il  Santo  da  Cle- 
mente V.  canonizzato  [&],  per  l'uadecimo  anno  dopo  la  di  lui 
morte ,  anno  postquam  decessit  undecima;  ciò ,  dico ,  omesso, 
e  supposto  invece,  come  i  BoUandisti  per  altri  monumenti  sta- 
biliscono, morto  s.  Pier  Celestino  nd  1296,  sottentrano  tutta- 
via a  ritranie  dalla  pretesa  assurda  intelligenza  altri  riguardi. 

Primieramente  Dante  medesimo  ne  dà  chiaro  ad  inten* 
dere  la  persuasione  sua,  che  Celestino  rinunziasse  il  papato 
per  inganno  di  Bonifazio  Vili. 

SeUu  già  costi  ritto  f  Bonif agioì 

Se^tu  sì  tosto  di  quell'after  sazio  > 

Per  lo  (fual  non  temesti  torre  a  'nganno 
La  bella  donna  ^  e  di  poi  fame  strazio  f  fc] 
Credesse  però  Dante  ingannato  Celestino  da  Boni&zio  in  q[ual- 
si  voglia  de*  due  modi  che  si  raccontano,  cioè  o  per  aperta  per- 
suasione di  Bonifazio  medesimo,  ovvero  per  voci  intronìesseglì 
di  nottetempo  in  istanza,  a  fiu*gli  credere  che  tale  rinunzia 
era  voluta  da  Dio  9  altro  non  risulterebbe  nel  santo  Pontefice 
che  una  profondissima  nmika  cristiana ,  virtii  sommameute 

\a]  Vedi  la  noU  al  primo  verso  del  poema .  [b]  Vedi  ì  BoUaDdikù  ueU 
U  ^tia  di  s.  Piar  CeUsUno.  [e]  Inf.  ux.  53.  e  segg. 


CANTOIII.  67 


OMmiieiidaU  dal  medesimo  nostro  Poeta  [a] ,  od  al  più  al  più 
tuia  inayyediita  semplicità;  e  non  giammai  viltà,  ossia  yi! ti- 
more,  che  solo  paò  dirsi  quello  che  nasce  da  motivo  creduto 
comunemente  spi'egevole. 

Inoltre  lavorava  Dante  intomo  a  questa  sua  opera  dopo> 
e  molto  dopo ,  la  morte  dell'  Imperatore  Arrigo  di  Lucembui'go 
settimo  ed  uldmo  di  tal  nome,  seguita  nel  i3ii[6]7  cioè  dop0 
la  canonizzazione,  che  nell'anno  medesimo  fu  fatta,  di  s.  Pier 
Celestino  :  e  questi  stessi  primi  canti  o  sciasse  pur  dopo ,  od  al- 
meno riattò  a  tenore  de' nuovi  fatti  accaduti  prima  di  compiere 
latto  il  poema  [cj.  Ora  chi  bene  considererà  il  procedere  di 
Dante  in  questa  sua  opera,  confesserà  del  tutto  inverisimile,  che 
>oiesse  egli  porre  nell' Inferno  chi  dalla  Chiesa  era  venerato  su 
gli  altari.  Biasima  Dante  bensì  i  vizj  d^alcuni  sommi  Ponte- 
fici, ma  nondimeno  l'autorità  della  Qiiesa,  e  de' sommi  Pon- 
tefici mai  sempre  rispetta,  protestando  di  mitigare  l'asprezza 
tiel  parlare  vei'so  JNicolò  IH.  per  La  riverenza  delie  somme 
t'hiavi  [d\ ,  dando  tutto  il  valore,  alle  indulgenze  [e]  ,  e  sco* 
mmiiche  [/],  e  trovando  in  Paradiso  santi  que'  che  la  Chiesa 
eziandio  a'  di  lui  tempi  riconobbe  esser  santi,  e  tra  essi  ancora 
un  s.  Pier  Damiano  \g\ ,  che  pm*e  rinunziò  il  vescovado  per 
timarsene  alla  primiera  solitudine. 

Agginngesi  finalmente  il  dubbio,  che  tanto  il  Poeta  no-* 
»tro  non  vedesse  mai  s.  Pier  Celestino,  quanto  non  vide  mai 
uè  Esaù,  né  Diocleziano.  Egli  almeno  è  certo,  che  non  fu 
dalla  sua  repubblica  mandato  ambasciatore  ad  altro  Papa  che 
a  Bom'£uio  VIII.  [h]. 

Io,  per  dire  il  mio  parere,  piuttosto  che  a  s.  Pier  Cele- 
stino o  ad  alcun  altro  dei  nominati  soggetti ,  pendei'ei  a  qual- 
<  be  concittadino  dello  stesso  Dante ,  il  quale ,  o  per  non  ispen- 
«lere  danaro ,  o  per  akro  vii  motivo  ricusando  di  sostenere  il 
partito  de'  Biancni ,  cacone  fosse  dei  grandissimi  avvenuti 
icuai,  tanto  al  Poeta,  che  a  quei  del  suo  partito. 

7ra^er/a^aifra(scrive  di  quelle  fiorentine  vicende  Dino 
Oimpagni)  e  per  Paifarizia  1  Cerchi  di  niente  siprot^idono , 
r  erano  i  principali  della  discordia  ;  e  per  non  dar  mangia" 
re  affanti,  e  per  loro  viltà  niuna  difesa  né  riparo  feciono 

{«}  Vedi, Ira  gli  altri  luoghi ,  Parg.  x.  131.  xn.  1 10.  fftjVedi  ^rislorìci. 
lei  Vedi  la  nota  al  i^.  10 1  •  del  e.  1 .  delia  presente  cantica,  [d]  Ini.  xix.  101. 
k'  Porg.  ti.  98.  vedi  qacUa  nota,  [f]  Parg.  in.  i3d.  [g]  Par.  xxt.  1  '^i . 
|A;  Fìlelfo  presso  1*  autore  delie  Memorie  per  la  Pila  di  Dante ,  $  9' 


68  INFERNO 

nella  loro  cacciata  \  e  essendone  biasimati  e  ripresi  ^  ri' 
spondeano  che  temeano  le  leggi ^  E  questo  non  era  ^cro  j  pe^ 
tocche  venendo  a' signori  Messer  Torrigiano  de*  Cerchi pet 
sapere  di  suo  stato ,  fu  da  loro  in  mia  presenza  confortalo , 
che  si  fornisse  e  apparecchiassesi  alla  difesa ,  e  agli  altri 
amici  il  dicesse  y  e  che  fosse  valente  uomo .  iVb/t  lo  feciono  t 
perocché  per  viltà  mancò  loro  il  cuore  :  onde  i  loro  ai^er* 
sarj  ne  presono  ardire ,  e  innalzarono;  il  perchè  dierono 
le  chiasmi  della  città  a  Messer  Carlo  [a\ 

Per  fissare  che  parlasse  qui  Dante  di  Torrigiano  de' Cer- 
chi altro  non  abbisognerebbe  ^  se  non  che  nell*  anno  1 3oo,  in 
cuiy  com'è  detto >  finge  Dante  di  aver  fatto  questo  suo  viag^O) 
trovassesi  Torrigiano  tra'  morti .  Ma  se  Torrigiano ,  come  il  rì- 
fisrìto  parlare  delCompagni  accenna ,  e  con  espressi  monumt^nti 
accerta  il  CSonacci  \h\ ,  era  tra'  vivi  nel  1 3o  i ,  quando  fu  Carlo 
in  Firenze  [cj,  era  però  la  fazionarìa  briga  già  incominciata 
molti  anni  innanzi  [aj  ;  e  ben  potè  della  stessa  famiglia  dc'Ccr- 
chi  )  che  generalmente  il  Compagni  di  capi  della  discordia  e 
di  viltade  accusa  [e] ,  essere  premorto  cni  in  altra  circostanza 
facesse  il  medesimo  rifiuto  che  fece  Torrigiano . 

Il  monaco  Celestino  P.  Barcellini  nelle  sue  Industrie  filo^ 
logiche  sopra  il  presente  passo  di  Dante,  stampate  in  Milano 
nel  1701 ,  fa  autore  il  summentovato  Cionacci  leggersi  in  una 
cronichetta  manoscritta  di  DinoCompagni^  come  partitosi  Gia^ 
no  della  Bella  da  Firenze  >  il  popolo  restato  senza  sostegno  f 
ricorse  al  suo  fratello  per  farlo  suo  capo;  ed  egli  rifiutò j 
e  non  volle  attendere ,  quando  pote\fa  diifentar  padrone 
della  città  senza  molto  impegno  y  mentre  veniva  assistito 
dal  popolo  e  dalla  forza  d* altri  par teggiani  amici  di  Giano 
sbandito  :  e  però  questi  (soggiunge  esso  Barcellini)  è  quelFuo^ 
ma  vile ,  codardo  ,  e  pusilìanimo  ,  di  cui  intese  Dante  [f\i 
La  cronaca  però  di  Dino  Compagni ,  tanto  la  stampata  da] 
Muratori  la  prima  volta,  ed  inserita  nel  tomo  ix.  degli  Scrittori 

[aj  CroR.lib.  a.  [h]  Storia  della  B.  Umìliana^^*  4*  ^^^P-  4-  [c\  Compagni 

Crotu  ivi.  [^jVeditra  gli  altri  Paolino  Pieri  e  Tolommeo  da  Lucca.[ej  In 

compro  va  mento  di  ciò,  oltre  il  già  riferito  parlare  del  Cninpagai  nel 

lib.  a.  della  soa  Cronaca^  può  servir  quello  che  de'  medesimi  Cerchi 

dice  anche  nel  libro  1 .  rapporto  ad  altri  anteriori  avvenimenti  :  Ì4m,  par^ 

te  Bianca  non  sappiendosi  reggere ,  perchè  non  avea  capo^  perché  i 

Cerchi  schifavano  non  itoUre  il  nome  della  Signoria^  pili  per  viltà , 

che  per  pietà  f  perché  forte  temeano  1  loro  avversari  ce,  [f]  ingiusti  t4 
a.  cap,  8. 


CANTO   III.  69 

Iiìcontanente  liitesi,  e  certo  fui,  61 

Che  quest'  era  la  setta  de'  cattivi 
A  Dio  spiacenti,  ed  a'  nemici  sui. 


delle  cose  d' Italia ,  quanto  la  ristampata  in  Firenze  dal  Manni, 
nulla  ha  dì  ciò  ;  anzi  narra  :  Giano  e  suo  lignaggio  si  partì 
delpaese  [a]*  m^  Aìv.  69.  yidi  e  conobbi  ha  l'Ang.  £•  n.  e  il 
Tat  3199.  **Maealottiy  Bìagioli,  la  Bolognese  iSig,  e  TE.  F., 
il  Ventorì  e  lo  Scolari  da  noi  consultati,  tutti  si  accordano  liei 
determinare  il  soggetto  dal  Poeta  qui  inteso  nella  persona  di 
Celestino  V.,  che  innalzato  alla  prima  dignità  della  Chiesa  con 
unÌTersale  aspettazione  di  vederne  riordinate  le  cose ,  parte  per 
posillaninutà  propria,  e  parte  per»raltrui  sottigliezza,  dopo 
nove  mesi  s'indusse  a  rinunziato  al  papato,  e  rifuggissi  in  un 
chiostro.  Fu  santificato  nel  1 3 1 3,  e  Dante  morto  nel  1 32 1  p(H 
tpTa  correggere,  come  osserva  lo  Scolari,  il  suo  scritto  (fatto 
non  avvertito  dal  Biagioli);  ma  sapendo  egli  come  era  andata 
ouella  faccenda ,  non  avrà  creduto  di  doversi  ritrattare,  veden-* 
do  sempre  nella  pochezza  di  Celestino  la  causa  indiretta  deU 
r esaltazione,  secondo  lui  funesta,  di  Bonifazio  VIII.4-« 
61  »-»Il  cod.  Antaldino  legge  Immanianente.  E.  B.  4^ 
63  ^  Dio  ec.  Vuol  dire ,  che  gl'inerti  uomini  non  solo  di- 
spiacciono a  Dio,  ma  anche  ai  nemici  stessi  di  Dio,  ai  demo- 
ni, che  bramerebbero  in  loro  maggior  reità.  —  sui,  alla  ma-» 
uim  latina  per  suoiy  sincope  in  grazia  della  rima .  a-»  Bicnno- 
^ct  in  questo  luogo  il  Biagioli  la  conferma  della  spiegazione  del 
Monti  di  niuna  gloria  data  al  y.  4^*  *  Il  cod.  Antald.  e  l'Ang, 
leggono  spiacente,  riferendolo  a  schiera.  E.  R.  «^  Qui  molto 
«easatamente ,  per  quanto  ci  pare,  osserva  lo  Scolari  che  ninno 
dei  Comentatori  di  Dante  ha  sin  qui  ben  distinto  la  vera  qua» 
lita  dei  sofferenti  in  questa  vallata  d'Inferno.  Riflette  che  Dante 
cmsse  un  poema  per  li  suoi  tempi ,  le  parti  del  quale  sono 
tutte  disposte  in  corrispondenza  al  fine  politico  ch'egli  si  pro- 
P*>se;  e  che  qui  intose  di  parlare  degli  egoisti  e  dei  yili .  I  primi 
*<ino  circoscritti  dal  m.  22.  al  5 1.,  e  li  secondi  dal  v.  5 1.  al  69,, 
gli  ani  e  gli  altri  con  assoluta  separazione  di  senso.  Dei  primi 
'«de  r aborrito  esempio  negli  Angeli^  che  nel  givm  conflitto 
/^er  sé  foro;  delli  secondi  lo  ha  davanti  agli  occhi  in  uno  del 


70  INFERNO 

Questi  sciaurati,  che  mai  non  far  vivi,  64 

Erano  ignudi,  e  stimolati  molto 

Da  mosconi ,  e  da  vespe ,  ch^  eran  ivi  • 
Elle  rigavan  lor  di  sangue  il  volto,  6; 

Che  mischiato  di  lagrime,  a'  lor  piedi 

Da  fastidiosi  vermi  era  ricolto . 
E  poi ,  che  a  riguardar  oltre  mi  diedi ,  70 

Vidi  gente  alla  riva  d'nn  gran  fiume; 

Perch' io  dissi:  Maestro,  or  mi  concedi, 
Ch'  io  sappia  quali  sono,  e  qual  costume        7 3 

Le  fa  parer  di  trapassar  sì  pronte , 

fatti  più  luminosi  del  suo  tempo ,  in  quello  cioè  di  Celestino  V. 
di  cui  si  è  l'agionato  di  sopra.  Quindi  conclude:  non  potersi 
credere ,  che  dove  sono  puniti  gli  egoisti  ed  i  vt7i  vi  sieno  i 
sospesi j  de* quali  parla  sopra  lo  Strocchi.^-s 

64  ntai  non  fur  i^ii^iy  vale  quanto  nuti  al  mondo  fur  no* 
minati f  né  in  heney  né  in  male.  »-^ Morde  acutamente  con 
questa  forma  di  dire  la  perduta  lor  vita.  Magalotti.  —  Vt^iì 
la  nota  del  Perticari  al  1^.  70.  del  canto  1.  -  Il  Yat.  2 199  Icgg< 
sciagurati y  che  guasta  il  verso. 

65  m^  stimolati,  riguarda  anche  questo  la  loro  pigrizia 
Magalotti,  ^hì 

67  al  69  Elle  rigaifan  ec.  Allusivamente  al  marcir  nelle 
poltroneria  e  neWozioy  che  dicesi  de' pigri;  accenna  in  co 
storo  un  sangue  da  lentezza  di  moto  corrotto  e  guasto ,  e  per 
ciò  da  fastidiosi,  schifosi,  vermi  ricolto,  pascolato . 

70  »-^  Da  questo  verso  al  120.9  Dante  non  fa  che  rappre 
sentale  la  foga  dell'anime  dannate  »  che  stimolate  dalla  divini 
Giusiizia  passano  TAchei^onte.  Tutto  questo  squarcio  è  pieni 
di  bellezze  impareggiabili.  Scolari.  <-• 

72  •-►Il  cod.  Antald.  ci  dà  un  miglior  verso*-  Perch'io 
maestro  mio,  dissi,  concedi.  E.  R. «-« 

7H  74  costume,  vale  qui  legge;  e  parer  vale  apparine 
esser  ueduto.  •-►Ma  qui  pare  che  significhi  qualità,  coni 
Par.  XXXIII.  V.  88.:  Sus tamia  ed  accidente,  e  lor  costumi 
Torelli.  <<-« 


CANTO   III.  71 

Gom'  io  dìsceruo  per  lo  fioco  lame  » 
Ed  egli  a  me:  le  cose  ti  fien  conte  76 

Qaando  noi  fermeremo  i  nostri  passi 

Su  la  trista  riviera  d'Acheronte  • 
AUor  con  gli  occhi  vergognosi  e  bassi,  79 

Temendo  no  1  mio  dir  gli  fosse  grave, 

y  5  fioco  lume  »  detto  figuratamente  per  barlume  »  o  lume  de* 
hole.  \oLri  •  »->  Lo  Scolari  spiega  come  il  Volpi ,  apertamente 
dissentendo  dal  parere  del  Biagioli,  il  quale  suppone  che  qui 
abbia  Dante  voluto  usare  d'una  traslazione ,  e  che,  come  la 
raucedine  è  difetto  9  cosi  si  possa  qualificare  con  egual  voca- 
bolo il  manco  lume.  Ma  raucedine,  oppone  lo  Scolali,  non  è 
idea  esprimente  difetto ,  ma  sì  appannamento  e  impedimento  di 
voce;  ed  è  poi  imposaibile  il  dimosti*are  che /foco  voglia  dir 
rauco  f  e  che  fiochezza  di  voce  sia  eguale  a  raucedine.  -Ma* 
galotti  n>iega  :  lume  assai  languido  ;  traslazione  mirabile  di 
(peUo  che  è  proprio  della  voce  per  esprimere  con  maggior  for^ 
za  quello  che  si  appartiene  alla  vista  •  4^ 

76  fien  e  fieno  per  saranno^  anche  nelle  prose  adoprato: 
Tedi  r  antico  Prospetto  de*  verbi  toscani  sotto  il  yerho£sse^ 
re,  n.  i5.  Reggendo /fé  e  fieno  in  questo  siccome  in  molti  altri 
esempj  al  senso  medesimo  di  si  farà ,  e  si  faranno ,  sembra 
rhe  dal  latino  a  questi  corrispondente  flet  e  flent  possano  es- 
<eni  introdotti  ed  uniti  al  verbo  essere  in  luogo  di  sarà  e 
saranno .  *  A  tal  uopo  vedi  il  Prospetto  de^  verbi  itaL  di 
Mastrofini ,  fac.  4^*  È*  I^*  —  conte ^  palesi.  Vedi  cotale  pale* 
Mmento  al  i/.  i  a  i .  e  segg. 

77  fermeremo  i,  la  ^^ob»;  fermerem  li,  Talti'e  edizioni. 
;8  risiera  per  fiume  spiega  il  Volpi  ;  ma  sul  fiume  non  si 

Inmano  i piedi,  Èiuiera  adunque  ottien  qui  il  proprio  suo  si* 
gnificato  m  riva .  —  Acheronte ,  nome  del  gran  fiume  stesso, 
^la  riva  del  quale  vedeva  Dwale gente i  ed,  ellissi  usando,  di- 
ce Virgilio  d^ Acheronte  semplicemente,  invece  òxà\ved*A^ 
Atrontey  che  tu  vedi.  «-^Biagioli  difende  la  chiosa  del  Volpi 
dicendo,  che  per  fermarsi  0  sedersi  sul  fiume  non  è  necessa- 
rio entrarvi  dentro.  G)sl  nel  e.  v.  Dante  fa  dire  a  Francesca: 
Sitde  la  terra ,  doi^e  nata  fuij  -  Su  la  marina  ec.  4^ 

80  Temendo  che  7  mio  dir ,  la  Nidob.  ;  Temendo  no  7  nUo 
^ì  l'altre  edizioni,  m^  e  ultimamente  quella  del  Biagioli ,  ed 


7!i  INFERNO 

Infine  al  fiume  di  parlar  mi  trassi* 

Ed  ecco  verso  noi  venir  per  nave  '  82 

Un  vecchio  bianco  per  antico  pelo 
Gridando  :  guai  a  voi ,  anime  prave  ! 

Non  isperate  mai  veder  lo  Cielo:  .85 

r  vegno  per  menarvi  all'  altra  riva 
Nelle  tenebre  eterne  in  caldo  ^  e  'n  gielo  : 

E  tu,  che  se  costì,  anima  viva,  88 

Partiti  da  cotesti ,  che  son  morti  : 
Ma  poi  eh'  e'  vide  eh'  io  non  mi  partiva^ 

Disse  :  per  altre  vie ,  per  altri  porti  9 1 

Verrai  a  piaggia ,  non  qui ,  per  passare  : 

i  codd.  Ang.9  Antald.  e  Caet.  E.  R.  •—  Lezione  che  si  volle  dt 

noi  adottare  perchè  dà  maggior  grazia  e  piii  forza  al  verso. 

Anche  il  Vat.  3igi)  legge,  Temendo  né  7  mio  dir  ec.<<-« 
8i  mi  trassi y  mi  ritirai ,  m'astenni.  / 

83  •-►  Un  vecchio  ec*  Forma  assai  rara  e  nobilissima  per 

esprimere  la  canizie  del  vecchio  Caronte.  Magalotti.  4-a 

87  •-►  in  caldo  e  'n  gielo  y  intendi  9  tormenti  di  qualunque 
sorta  e  qualità ,  Poggiali. «-« 

88  al  90  m^  Non  disse  da  codeste /ipenAìè  come  anime  eran 
vive;  disse  da  codesti j  cioè  nomini,  de' quali  si  potea  vera- 
mente dire  che  fossero  morti .  Magalotti  .  —  Afa  poiché  vide , 
cK*io  non  mi  partii^a^  ^^%?1^  P^^  nettamente  il  cod.  Vat.  £.  R. 
—  Il  Val.  3  igg.  come  la  JVidob. 

91  Per  altre  vie^  ecy  per  trovarti  altre  vie  od  altri  porti 
verrai  a  piaggia  ^  ti  presenterai  tu  a  questa  spiaggia  non  per 
passar  qui ,  qui  dentro ,  nella  mia  barca .  —  porti ,  passi  (  spe- 
zie di  barche,  )  su  i  quali  si  varcano i  fiumi.  Daniello.  Comu- 
nemente cotali  legni  porti  si  appellano  nella  Lombardia  anche 
in  oggi. Porto  inteso,  come  solamente  lo  intende  il  Vocabol. 
della  Cr.,  per  luogo  nel  lito  del  mare ,  doue  per  sicurezza 
ricoverano  le  naui,  non  ha  qui  luogo,  m^per  altra  via  ha 
il  Vat.  3 1  Qq.  —  Col  Rifiorito  spiega  il  Magalotti  per  altri  porti , 
cioè  per  altra  condotta,  per  altri  che  si  portino;  e  per  lo  più 
licite  legno j  l'Angelo  che  passò  Dante  all'altra  riva.  —  Due 
passi  distingue  Dante ,  come  osserva  il  Biagioli ,  per  le  anime 


CANTO  III.  73 

Più  Keve  legno  convien  che  ti  poni . 

E 1  Duca  a  lui  :  Caron ,  non  ti  cruciare  :        94 
Vuoisi  così  colà  dove  si  puote 
Ciò  che  sì  vuole  :  e  più  non  dimandare  : 

Quinci  fur  quete  le  lanose  gote  97 

AI  nocchier  della  livida  palude  ^ 
Che  'ntomo  agli  occhi  avea  di  fiamme  mote . 

che  vanno  all'altro  mondo. Questo ,  cioè,  ove  s'imbarcano  i  rei 
per  r Inferno ,  e  quello  per  cui  passano  l'anime  buone  desti* 
*  ~  "       '  -^       *  iidata  da 

porti  di 
parla  Caronte.  —  L'oggetto  che  ci  siamo  proposti  non  può 
dispensarci  dal  qui  riferire  una  postilla  degli  Editori  Bolognesi 
a  questo  luogo,  ritenuta  di  sonmio  pregio  dall' E.  R.  et  altri  ^ 
»  quasi  dica  :  altri  ti  passerà  alV  opposta  piaggia ,  non  io  -, 
spasserai  in  altro  legno ^  non  qui.  Jfon  essendo  riell'Ache- 
9  rontc  altro  passo ,  altra  nave ,  si  vede  come  queste  parole  sie- 
»  no  piene  d'ira  e  di  scherno.  »  <^ 

93  Pili  lieve  legno  ec. ,  legno  cioè  che  piii  di  onesto  gal- 
leggi, talché  il  peso  del  tuo  corpo  noi  faccia  affondare,  come 
cerumente  affonderebbe  questo,  che  intanto  regge  in  quanto 
che  non  si  carica  che  di  spiriti. 

94  Ducuj  lo  stesso  che  duce ,  cioè  Virgilio.  —  Caron  ap- 
pella, al  modo  de'  Greci  e  de' Latini,  il  tragittatore  delle  anime 


ipellea  macstiia  ne  dipinge 
mando  di  Virgilio,  e  il  tacere;  e  vuol  dire,  che  le  barbute 
guance ,  che  prima  nel  minaccioso  gridare  agitavansi ,  tacendo 
s'acquietarono.  —  /iViV/a  palude  appella  il  fiume  Acheronte 
piT  le  torbide  e  pigre  di  lui  acque .  Livido  propriamente  ap- 
pellasi quel  nero  colore  che  fa  il  sangue  venuto  alla  pelle  ; 
ma  qni  adoprasi  traslativamente  per  torbido  e  nericcio  . 
—  Che  ^ntorno  agli  occhi  avea  (  ave'  leggono  V  edizioni  di- 
verse dalla  Nidobeat.  )  di  fiamme  ruote ^  cerchi  di  fuoco:  al- 
lude a  quello  che  dice  Vii^ilio  dello  stesso  Caronte  :  stant 
lumina  fiamma,  {Àeneid.  vi.  v.  3oo.) 


74  INFERNO 

Ma  quell'  anime,  eh'  eraa  lasse  e  nude,  loo 

Cangiar  colore,  e  dibatterò  i  denti, 
Ratto  che  inteser  le  parole  crude. 

Bestemmiavano  Iddìo,  e  i  lor  parenti,  io3 

L' amana  specie ,  il  luogo,  il  tempo ,  e  'i  seme 
Di  lor  semenza ,  e  di  lor  nascimenti . 

Poi  si  rìlrasser  tutte  quante  insieme,  loG 

Forte  piangendo,  alia  riva  malvagia. 
Ch'attende  ciascun  uom,  che  Dio  non  teme. 

Caron  dimonio  con  occhi  di  bragia  i  og 

Loro  accennando,  tutte  le  raccoglie: 
Batte  col  remo  qualunque  s' adagia . 

Come  d' autunno  si  levan  le  foglie ,  1 1  a 

L'una  appresso  dell'  altra ,  infìn  che  1  ramo 

I  oo  Ma  queWanime  ;  •-»•  Il  codice  Cass.  legge.  Ma  quelle 

{lenti  ec.  Questa  yarìante  rende  il  verso  pia  sonoro ,  scansando 
'elisione,  e  sembra  aver  più  analogia  colle  espressioni  segg. 
Cangiar  colore  ,  ec.  —  Oltre  di  che,  aggìimge  FÉ.  R., genie 
nuda  j  cioè  senza  la  mortai  gonna ,  dice  meglio  che  anima , 
alla  quale  inutile  è  certo  Taddiettivo  di  nuda.  Lezione  bellis- 
sima ,  e  per  solo  rispetto  alla  comune ,  da  noi  non  introdotta 
nel  testo.  —  Il  cod.  Vat.  3 199  legge  anime.  ^-« 

102 Batto f  avverb.  subitamente.  m-^Tosto  invece  di Hatto 
leggono  i  codd.  Caet.  e  Ang.  E.  R.  —  e  il  Vat.  3 199.  ♦-• 

I  o4  I  o5  9h¥seme  -  Di  lor  semenza ,  V  origine  delia  loro  ori- 
gine ,  spiega  Torelli.  —  Gli  Avi  e  i  Padri .  Magalotti.  ♦-• 

1 09  occhi  di  bragia  ,  occhi  infuocati . 

I I  o  Loro  accennando ,  facendo  loro  cenno  d'entrare  in  bar- 
ca. —  le  raccoglie f  le  riceve  nella  sua  barca. 

I I I  s^ adagia,  ^adagiarsi  vale  qui  prendersela  adagio,  co- 
modamente, m^  s^adagiaj  cioè  si  trattiene ,  e  non  già  si  acco- 
moda nella  barca ,  come  spiega  il  Daniello ,  che  sarebbe  spro- 
posito .  Magalotti  .  —  Biagioli  come  il  Lombardi .  -«-• 

1 1  ^  al  I  i4>->Similitudine  presa  da  Virgilio  nel  vi.  dcllaEn., 
i^.  ioq.  e  segg.  Quam  multa  in  siluis  ec;  ma  qui  meglio  adat- 
tata e  p!ii  nobile,  come  osservano  il  Magalotti  ed  il  Biagioli.<«-« 


CANTO  III.  75 

Rende  alla  terra  tutte  le  sue  spoglie; 

Simìlemente  il  mal  seme  d'Adamo:.  1 1 5 

Gittansi  di  quel  lito  ad  una  ad  una 
Per  cenni ,  com'  augel  par  suo  richiamo . 

Così  sen  vanno  su  per  V  onda  bruna  j  118 

£d  avanti  che  sien  di  Jà  discese. 
Anche  di  qua  nuova  schiera  s' aduna . 

Figliuol  mio,  disse  il  Maestro  cortese,         1 1 1 
Quelli,  che  muoion  nell'ira  di  Dio, 
Tutti  convegnon  qui  d'ogni  paese; 

E  pronti  sono  al  trapassar  del  rio ,  1 24 

1 1 4  •^Alcuni  testi ,  e  con  essi  i  codd.  Caet.,  TAntald.  e  l'An- 
irelico  (come  noU  il  rem.  Ed.) ,  leggono  Fede  mveceàiBende. 
—  T.  Tasso  (  Dis.  3.  ^rt.  poet.  )  segue  questa  lezione  come 
piena  di  energia,  essendo  una  di  ouelle  traslaMom  che  met- 
tono la  cosa  in  atto.  E.  F.  -Anche  il  Vat.  3 199  legge  vede.*^ 

1 16  Gitumsi.  Corrisponde  questo  numero  plurale  non  alla 
voce  mal  seme ,  ma  alla  moltitudine  che  per  quella  vien  si- 
gnificata  ;  come  dice  Virgilio:  Pars gladios  stnr^simt\a\ ,  e 
come  ne' sacri  Salmi:  Jttendite ,  popìUe  meus,  [6J.  òinte.« 
wn  onesta  figura  dai  grammatici  appellata  [e],  ^ad  una  ad 
una ,  qui  vale  quanto ,  ad  uno  ad  uno ,  singillatim  ;  e  cosi  di- 
cesi  m  «no  e  in  una,  simul;  e  mal  semed: Adamo  deesi  mten- 
dere  per  collettivo  di  anime,  onde  segua  ad  una  ad  una.  lo- 
ULLi .  —  Il  cod.  Vat.  3 1 99  legge  Gittasi  .'*■* 

117  Per  cenni ,  che  loro  va  facendo  Caronte,  -come  a«- 
gel,  come  gli  uccelli  si  gituno  al  paretaio  o  al  boschetto,  al- 
lettati dal  canto  degli  uccelli  di  gabbia.  Vw»tw«i.  •^Fer 

cenno,  legge  l'Ang.  E.  R.  •♦«  •       * 

1 2 1  cortese ,  perche  risponde  adesso  all'interrogazione  lat- 
tagli da  Dante  sopra  [d].  Vehtijbi. 

laaal  ia6QBc//i,c*«etf.«^Co/or,cAe, legge  1  Ang.E.R.«^ 

Tutu  quelli  che  mnoion  nell'  ira  di  Dio  d'ogni  paese  convengon 
qui.  E  questo  per  risposta  di  quello  che  dimandò  dicendo:  CA  to 

W  Jeneid.  xii.  a^S.  [b]  Psalm.  77.  i.  [e]  Gerard.  Voss.  Gtamm.  D» 
ctmitruct.  figurata.  [d\  Verso  73.  e  segg. 


76  INFERNO 

Che  la  divina  Giusiizla  gli  sprona, 
Sì  che  la  tema  si  volge  in  disio. 

Quinci  non  passa  mai  anima  buona:  127 

E  però  se  Caron  di  te  si  lagna  y 
Ben  puoi  saper  ornai ,  che  1  suo  dir  suona . 

Finito  questo,  la  buia  campagna  1 3a 

Tremò  si  forte,  che  dello  spavento 
La  mente  di  sudore  ancor  mi  bagna. 

sappia  quali' sono .  Ora  venendo  a  rispondere  alla  seconda  do- 
manda, la  quale  è:  Ch^  io  sappia  guai  costume  li  fa  parer 
sì  pronti  nel  trapassare  ,  dice  esser  sì  pronti  a  trapassar  lo 
rio ,  perchè  la  divina  giustizia  gli  sprona  e  punge  tanto ,  che 
la  tema  dell'andar  alle  pene  eterne  deirinlemo,  si  volge  in 
desiderio.  y8LLUTELi.o.  «-^a  trapassar  lo  rio  hanno  TAntald., 
TAng.  e  il  CaeU  E.  R.  — *  e  il  Yat.  3 199.  —  Opina  il  Maga- 
lotti che  Dante  abbia  preteso  di  esprimere  un  terribile  effetto 
della  disperazione  dei  dannati,  pei  la  qnale  paia  loro  mil Panni 
di  piecipitarsi  nei  tormenti,  ed  empiere  in  sì  fatto  modo  l'atro* 
cita  della  divina  Giustìzia,  la  quale,  secondo  loro,  è  si  vaga 
della  loro  ultima  miseria.  4-« 

1 29  Ben  puoi  saper  er.,  puoi  tu  ben  capire  la  cagion  del- 
le sue  grida  e  di  sua  ripulsa.  Accenna,  che  le  ragioni  addotte 
da  Caronte  per  non  ammetter  Dante,  e  perchè  fosse  egli  an- 
cor vivente ,  e  perchè  piii  lieve  legno  conveniva  che  portarse- 
lo ,  non  fossero  che  pretesti  ;  e  che  la  vera  cagione  fosse  ,  per» 
che  egli  vi  andava  per  effetto  di  pentimento  delle  sue  colpe , 
e  per  istabilirsì  in  tm  salutevole  timore  dei  divini  e  temi  gasti- 
ghi,  cosa  ai  demonj  rincresce v ole. 

1 3 a  La  mente ^  qui  pure ,  come  nel  canto  precedente,  t^»  8., 
per  \^  memoria -^di  sudore  (disudor  IVdizioui  diverse  dalla 
Midob.)  ancor  mi  bagna  ^  anche  ora  colla  sola  ricordanza  mi 
fa  sudare:  non  essendo  f v'aggiunge  il  Venturi)  che  una  cara 
semplicità  di  taluno  ^  l" interpretare  ^  che  Dante  ^  da  che 
idde  questo  spettacolo  j  finché  lo  descrisse^  non  as^sse  mai 
ancora  asciugata  la  fronte  da  quel  sudor  freddo  .  E  pure  è 
tale  costui  j  che  %^uole  ogni  dottore  al  lato  manco .  •-►  Maga-» 
lotti  sostiene  che  m^nf^  sia  ij  nominativo  dellagcute  cbepro« 


CANTO  IH  77 

La  terra  lagrimosa  diede  vento,  i33 

Che  balenò  una  luce  vermiglia, 

dace  il  sudore,  e  sigidRchì  fantasia ,  confutando  3  Vellutello 
e  il  Daniello,  che  mente  ritengono  essere  l'accusativo  indi- 
cante la  cosa  bagnata.  —-Lo  Scolari  vuole  cLe  mente  sia  no- 
minatJTO ,  ma  che  non  significhi  gùi  fantasia ,  ma  si  bene  me^ 
moria  —  Ancor  men  bagna ,  legge  il  cod.  Aug.  E.  R.  4-« 

1 33  ]  34  La  terra  lagrimosa ,  bagnata  dalle  lagrime  de 'pol- 
troni ,  come  ha  detto  nel  p.  68.  —  diede ,  esalò ,  \'ento ,  -  Che 
balenò ,  il  quale  fece  balenare,  una  luce  vermiglia.  Per  capir 
ciò  basta  supporre  il  Poeta  nostro  del  medesimo  intendimento 
che  riferisce  Cicerone  :  Placet  Stoicis  eos  anhelitus  terrae  , 
qui  frigi  di  sintj  cumfluere  coeperint^  yentos  esse  :  cum  aU" 
lem  se  in  nuÒem  induerint ,  eiusque  tenuissimatn  quamque 
partem  coeperint  diuidere ,  atque  disrumpere  ,  iaque  cre^ 
brius  facere  ,  et  i^ehenientius ,  tum  et  fulgura ,  et  tonitrua 
exsistere  [a] .  m^iede  v^ento.  Questo  è  conforme  la  volgare 
opinione ,  che  crede  il  ten*emoto  prodursi  da  aria  serrata  nelle 
viscere  della  terra  ;  la  quale  opinione  sappiamo  essere  stata 
alleila  seguita  da  Dante.  Magalotti .  :  —  e  continua  spiegan- 
ao:  la  terra  diede  i^ento ,  perche  una  luce  i^ermiglia  balenò; 
per  conseguenza  fu  quello  occasionato  da  questa.  Ritiene  poi 
che  questa  luce  %fermiglia  sia  ciò  solo  che  potè  il  Poeta  vedere, 
e  che  debbasi  in  sostanza  intendere  per  1*  apparizione  di  un 
Angelo ,  che  fece  a  Dante  passare  il  fiume  mentre  era  tramor- 
tito (e  non  addormentato ,  come  pensano  gli  altri  ) .  Avvalora 
questa  sua  opinione  col  passo  della  Scrittura:  Elecce  terrae 
wotus  factus  est  nuzgnus;  Angelus  enim  descendit  de  Caelo; 
osservando  che  l' introduzione  del  meraviglioso  in  occasione  di 
difficili  avvenimenti  è  in  pratica  di  tutti  i  grandi  Autori.  -Adun- 
que, soggiunge  lo  Scolan ,  senza  credere  che  il  Biagioli  sia  stato 
il  primo  a  spiegare  questo  mistero  della  comparsa  di  un  An- 
gelo, chioseremo  con  esso  lui:  L* Angelo  \fiene  ,  un  tremuoto 
r annunzia  {v.  i3i.),  F Angelo  sia\^anza,  un  \fento  impe- 
tuoso il  precede  (v.  i33.j.  V  Angelo  giunge  (i^.  1340»  Dante 
non  dee  vedere ,  ed  una  luce  vermiglia  lo  abbaglia  e  lo  atter^ 
fa  coìne  soprappreso  da  subito  sonno  (y  1 3  5 . 1 36.).  -JE*  balenò 
d'una  luce  ì^ermiglia^  legge  al  u.  \'i\,  il  cod.  Ang.  E.  R.  «-« 

(«J  De  diinnai,  llb.  a.  n.  44- 


78  INFERNO 

La  qual  mi  vinse  ciascun  sentimento; 
E  caddi,  come  Tuora,  cui  sonno  piglia. 

i35  1 36 im  mije,m'abbatlèy  m'instapidl.- fcotfUi, co- 
me /*ifOfn,  cui  sonno  piglia  :  ed  a  guisa  di  addormentato  cascai 
per  terra,  m^che  sonno  piglia y  legge  il  cod.  Ang.  E-  K.^^* 
Merita  osservazione ,  che  in  ogni  passaggio ,  tanto  in  que- 
sto 9  come  in  quello  al  Purgatorio  [a] ,  ed  in  quell'altro  al  Pa- 
radiso [6] ,  sempre  il  Poeta  s*addormenU .  Vorrà  egli  forse 
significare ,  che  non  si  passi  a  questi  luoghi  né  realmente ,  se 
non  per  divina  forza,  né  mentalmente,  per  via  di  medita- 
zione ,  se  non  con  una  mente  sgombra  d'ogn^altro  pensiero  > 
come  d'ordinario  suol  renderla  il  sonno .  Prova  di  ciò  >  almeno 
in  parte ,  pait*  il  »'.  4*  del  seguente  canto  : 

E  rocchio  riposalo  intorno  mossi . 

[m]  Piurg.  iz.  II.  e  s«gg.  [b]  Purg.  xxxiu  68*  e  segg. 


CANTO   IV. 


ARGOMENTO 

Desiato  il  Poeta  da  un  tuono  f  e  seguendo  oltre  colla 
sua  guida  y  discende  nel  Limbo ,  che  è  il  primo  cev- 
chio  dell* Inferno  y  dove  trova  l* anime  di  coloro  che 
erano  colaggiù  pel  solo  originale  peccato .  Indi  è 
condotto  da  Virgilio  per  discendere  al  secondo  cer- 
chio • 

iLuppemi  r  alto  sonno  nella  testa  i 

Un  greve  tuono ,  sì  eh'  io  mi  riscossi , 
Come  persona ,  che  per  forza  è  desta  : 

E  l'occhio  riposato  intorno  mossi  4 

Dritto  levato ,  e  fiso  riguardai , 
Per  conoscer  lo  loco,  dov'  io  fossi . 

I  atto  per  profondo  y  ch'è  T  epiteto  che  suol  darsi  al  mye 
sonno  ; — nella  testa ,  pleonasmo ,  nonperò  inatile  y  perocché  in- 
dicante che  nella  testa,  cioè  nel  cerebro,  formasi  quel  sopi- 
mento che  sonno  appelliamo.  «-^  Sta  sul  filo  della  similitudine 
presa  da  chi  dorme  ;  onde  chiama  sonno  quello  che  .in  realtà 
era  smarrimento  di  spiriti  e  svenimento.  Magalotti  •  4-« 

a  Un  greve  tuonoy  il  tuono  dHnflniti  guai^  che  dirà  nel  v.  9. 

4  5  £  rocchio  ec.  G>stmz.  E  diritto  levato  (  corrisponde  a 
CIÒ  che  disse  nel  fine  del  canto  preced.  E  caddi j  come  Puom^ 
*c.)  mossi,  girai,  intorno  rocchio  riposato  j  nel  sonno,  e  r«- 
guardai  fiso,  fissamente,  attentamente,  m^  Dritto  levato ,  in- 
tendi non  rocchio  ,  ma  Dante.  Tobelli*  •4-« 

Gm^LàV  «'  fossi  ha  il  cod.  Vat.  3 199,— ed  il  locoj  invece 
di  lo  loco ,  con  miglior  suono  le^e  coir  Ang.  la  3.  rom.  ediz.-^-^ 


8o  INFERNO 

Vero  è  che  'n  su  la  proda  mi  trovai  7 

Della  valle  d*  abisso  dolorosa , 
Che  tuono  accoglie  d'infiniti  guai. 

Oscura ,  profond'  era ^  e  nebulosa  io 

Tanto,  che  per  ficcar  lo  viso  al  fondo , 
Io  non  vi  discernea  veruna  cosa . 

Or  discendiam  quaggiù  nel  cieco  mondo,       i3 
Incominciò  1  Poeta  tutto  smorto: 
Io  sarò  primo ,  e  tu  sarai  secondo . 

7  Vero  èj  vai  quanto  la  verità  si  è,  fatto  sta,  e  simili  « 
-^ proda ,  riva,  sponda.  Vedi  il  Vocab.  della  Crusca  • 

o  valle  d'abisso  appella  T infernale  buca,  perocché  ^tta, 
come  in  progresso  apparirà ,  a  guisa  di  rotonda  valle ,  larga 
nella  cima  e  stretta  nel  fondo. 

9  Che  tuono  accoglie  ec. ,  che  unisce  nella  sua  cavila  uno 
strepito  di  guai  infiniti.  »->frono  ha  il  cod.yat.  3  i^g,— e  l'Ang. 
ha  pur  trono  j  e  di  più,  e  infiniti  guai.  E.  R. 4-« 

1 1  m-^per  invece  di  quantunque^  cioè  quantunque  ftcciis-' 
si  ec:  piglia  ficcar  la  vista  per  ussar  gli  occhi  ;  maniera  assai 
bizzan'a .  Magalotti,  —  a /'o/i^^o  ha  il  cod.  Stuard.,  l'Ang.  e 
il  Caet.  E.  R.  <<-« 

1 2  •^veruna  cosa  ;  alcuna  legge  Lombardi  colla  Nidobeat.| 
chiosando:  ce  Intendi  massimamente  nel  fondo  di  essa  valle  infer- 
»  naie  ;  imperocché  in  non  molta  distanza  dal  luogo  ove  stava 
»  V*  era  un  foco ,  -  Ch'enUsperio  di  tenebre  vincia  {%^.  68.  e 
M  seg.),  e  qualche  lume  per  vedere  le  vicine  cose  sempre  Dante 
»  lo  suppone. — veruna  cosa  piacque  agli  Accad.  della  Cr.  di 
»  leggere  coirautorità  di  pochissimi  testi.  »  «-  Il  Biagioli  le^e 
pure  'veruna  ;  e  parendo  a  noi  ch'egli  noti  opportunamente  es- 
sere questa  lezione  voluta  dal  sentimento  e  dairorecchioy  l'ab- 
biamo introdotta  nel  nostro  testo.-Il  Vat.  3 1 99  legge  alcuna.^^ 

1 3  cieco  9  per  buio ,  catacresi  molto  usata .  Vedi  il  Vocab. 
della  Crusca . 

f  4  s-^  ConUnciò  il  Poeta,  tutto  smorto:  il  Vat.  3199.  ^"^ 
a5  m-¥  Verso  assai  chiaro  quanto  alla  lettera,  dice  Magalot- 
ti, ma  vuol  foTs'anche  signincare  che  a  descrivere  1*  Inferno 
Virgilio  fu  il  primo ,  e  I)ante  il  secondo .  4-« 


CANTO  IV.  8i 

Ed  io,  che  del  color  mi  fui  accorto,  16 

Dissi:  come  verrò,  se  tn  paventi, 
Che  suoli  al  mìo  dubbiare  esser  conforto  ? 

Ed  egli  a  me:  l'angoscia  delle  genti,  19 

tgm^  Ed  egli  a  me:  ec.  Qui  Dante  entra  a  parlare  del  vero 
LìidIm)  da  lui  figurato  ;  ed  a  questo  luogo  meritano  d*  esser 
lette  le  Note  dello  Scolari  •  Noi  ci  lìmiterenio  a  qui  dame  un 
estratto ,  ciacche  ro£Bnrle  in  disteso  noi  consente  il  metodo  di 
bievità  Y<Hato  dalle  nostre  aggiunte . 

Si  fa  egli  a  parlare  :  i.^  dell'  intenzione  di  Dante  nel  far 
parala  delle  anime  di  coloro  che  vissero  avanti  Cristo  in  rela- 
skme  al  ano  poema  ;  2P  dell'opinione  di  Dante  intomo  alla 
possibile  intora  13>erazione  di  esse  ;  'ÒP  del  suo  pensiero  di 
dividere  il  Limbo  in  due  difierenti  stati . 

iP  Osserva  che  Dante  9  essendosi  prefisso  di  scrivere  un 
poema  pe'  suoi  tempi ,  a  renderlo  efficace  cercò  ritrame  forza 
di  effetto  e  probabilità  d' invenzione  col  regolarne  il  disegno 
solle  basi  di  nostra  religiosa  credenza,  e  che  volendovi  far  per 
entro  risplendere  la  nobiltà  e  sapienza  del  divino  consiglio  nel 
premiare  e  punire ,  sostituì  nelle  sue  finzioni  un  sistema  teo- 
logico a  quello  della  mitologia  . 

2.^  Dalla  condizione  medesima  in  cui  Dante  raffigura  pò» 
Ite  tali  anime,  e  dai  discorsi  ch'egli  va  tenendo  a  Virgilio >  de- 
some  che ,  rapporto  ai  buoni  e  savj  delle  generazioni  ante* 
riori  a  G.  C,  non  che  ai  bambini  moiti  senza  battesimo ,  Dante 
opinasse  :  poter  la  grazia  ed  onnipotenza  divina  condonar 
loro  quel  danno  che  (data  nei  primi  un'assoluta  integrità 
di  vita)  avevano  incontrato  senza  loro  colpa  ^  come  senza 
colpa y  tranne  Voriginaley  lo  incontrano  li  secondi. 

iP  Osserva  per  ultimo ,  che  nel  Limbo  immaginato  da 
Dante  (che  quello  non  può  essere  della  religiosa  nostra  cre- 
denza) le  amme  vivonvi  in  uno  stato  non  avvivato  da  una  spe- 
fvoà  assoluta ,  ma  neppur  rintuzzato  da  una  certezza  contra- 
ria ;  il  che  lo  stato  costituisce  di  vera  sospensione  :  che  a  fiur  ri- 


di Sederini  (soggetto  del  noto  epigramma  del  Machiavelli)  non 
FoL  L  6 


8a  INFERNO 

Che  son  quaggiù ,  nel  viso  mi  dipinge 
Quella  pietà ,  che  tu  per  tema  senti . 

Andiam^  che  la  via  lunga  ne  sospinge.  23 

Cosi  si  mise  y  e  così  mi  fé'  'ntrare 
Nel  primo  cerchio,  che  l'abisso  cinge. 

Quivi ,  secondo  che  per  ascoltare ,  a  5 

Non  avea  pianto,  ma  che  di  sospiri, 


avrebbe  avuto  a  dolersi  della  ripulsa  di  Plnto,  il  quale ,  non 
volendola  airinfemo  j  la  mandò  al  Limbo  dei  bambuii  ;  e  che 
a  rendere  un  omaggio  alla  virtii  eminente  immaginò  che  la 
divina  grazia  abbia  colà  avanzate  le  ombre  degli  antichi  Saggi 
sino  ad  occuparvi  una  sede  luminosa ,  alta  ed  aperta ,  formata 
da  un  castello  cerchiato  di  alte  mura  ,  cinto  da  un  finmicello , 
e  all^rato  all'  intemo  da  verde  smalto  ec.  «^ 

a  I  pietà  I  compassione,  -^per  tema  sentii  apprendi  per  ti- 
more  ;  •-►  orvero  giudichi  per  timore ,  in  senso  deìVita  sentio 
de*  Latini ,  cosi  giudico.  Vico.  Cosi  nota  Biagioli.  -  Il  Torelli 
spiega:  ^er  tema,  quellapietà  che  tuargomenti  esser  timore.^^ 

a  a  ne  sospinge^  ne  la  fretta ,  non  ci  permette  di  perder 
tempo . 

23  Così^  ellissi,  intendi,  dicendo  ;  —>^iiiu>e,  entrò  egli. 

a4  Nel  primo  cerchio  9  che  ecy  nel  primo  circolar  ripiano» 
che  r  infemal  buca  circonda .  Qii  sa  com'erano  disposti  i  gradi 
intorno  agli  antichi  anfiteatri ,  non  ha  ,  per  formare  idea  dei 
cerchi  del  Dantesco  Inferno ,  a  far  altro,  che  concepire  divisa 
in  soli  nove  altissimi  e  larghissimi  circolari  ripiani ,  a  guisa  di 
gradi  d'anfiteatro ,  tutta  l' infernale  discesa  ;  e  sopra  dei  ripiani 
medesimi  intendervi  ripartite  le  aninie  de'  dannati . 

a5  secondo  che  per  ascoltare .  Cosi ,  ellissi  adoperando , 
invece  di  secondo  che  per  ascoltare  parei^a .  ■-►  secondo  che 
per  r udito  sipotea  raccorrei  Magalotti  ;  —  secondo  che  mi 
parve  di  comprendere  ascoltando  ^  E.  F.  —  QiuVi ,  secondo 
c^^ io pote^ ascoltare ,  troviamo  notato  nel  ms.  Torelli  :  bellis- 
sima lezione  da  lui  riscontrata  nel  codice  di  Frate  Stefano  j 
e  che  non  senza  qualche  ripugnanza  ci  siamo  trattenuti  d*in« 
scrire  nel  nostro  testo .  «^ 

^  a6  Non  auea  (  per  non  era  )  pianto  ,  ma  che  di  sospiri , 
cioè  I  se  non  di  sospiri  ;  ed  è  modo  di  parlare  piuttosto  lom* 


chi 


CANTO  IV.  83 

Che  Faura  eterna  £icevaQ  tremare. 
E  ciò  avveoia  di  daol  senza  martìri ,  a 8 


bardo,  che  fiorentino,  perchè  dicono  :  questo  non  è  ma  che 
bene ,  cioè ,  questo  non  è  se  non  bene .  Lasdivo  ,  seguito  da  al- 
tri, e  dal  Venturi  specialmente.  — Se  però  non  è  in  altre  parti 
della  Lombardia ,  nel  Milanese  parmi  di  poter  assicui'are  che 
cotal  modo  di  parlare ,  almeno  a'  di  nostri ,  non  sia .  Sarebbe 

li  mai  questo  tna  che  il  mas  què  degli  Spagnuoli,  lo  stesso 

e  il  magis  quam  dei  Latini  7  Egli  certamente  sembra  che  an- 
che a  questo  senso  tomi  bene  :  jVon  auea  pianto ,  ma  che  di 
sospiri,  non  era  significazione  di  dolore  piti  che,  maggiore  chcj 
di  sospiri;  cioè  non  erano  lì,  come  altrove ,  gemiti  e  strida,  ma 
solamente  sospiri.  »-»>  Prima  del  Lombardi  fu  già  sospettato  dal 
Magalotti  derivare  il  ma  che  dal  magis  quam  dei  Latini.— >Il 
Perazzini  Io  ripete  dal  lombardo  doma  \a\ ,  ed  il  Conte  Galeani 
Napione  di  Cocconato  dal  ma  eh*  d' piemontese  [i] ,  V  uno  e 
raltro  significanti  solamente.  —  Il  Perticari  estima  derivato  il 
ma  che  dal  nuujue  o  machè  dei  Romani ,  che  veramente  usa- 
nmo  di  questo  avverbio  allo  stesso  modo  di  Dante  in  signifi- 
cato di  piucchè  [e]  ;  nel  qual  senso  Fuso  pure  il  Poeta  nostro 
ael  canto  xxviii.  verso  66.  di  questa  cantica:  E  non  avea  ma 
ch^un*  orecchia  sola .  Vuole  il  Biagioli  che  ma  qui  valga  quan- 
to più  j  osservando  con  esempi ,  che  in  tal  senso  fu  usato  anche 
in  prosa.  —  Il  cod.  Cass.  legge ,  mai  che  ;  lezione  accettata  dal- 
rE.  R.  nella  seconda  e  terza  sua  edizione,  chiosando  :  se  non 
sospiri,  e  cavandone  questo  senso:  si  sospirat^a,  e  non  sipian^ 
gfwì.  Questa  lezione  fu  ricevuta  dagli  Exlit.  Bolognesi  nella 
moderna  edix.  1819* — II  Vat.  8199  legge,  ma* che. ^^ 

a^  r  aura  etema  :  estende  ed  applica  all'  aura  ,  ossia  al- 
l'aria dell'  infernale  prigione ,  l' epiteto  che  alla  prigione  stessa 
più  propriamente  si  conviene. 

w  di  diiol  senza  martiri  f  da  puro  intemo  dolor  d'animo,' 
icnza  cagione  d' alcuno  estemo  tormento  :  dal  solo  rammarico 
d'esser  privi  della  beatifica  vision  di  Dio:  non  dal  fuoco,  o 
altro  esteriore  tormentoso  mezzo:  dalla  pena  del  danno ,  in 
una  paiola  ,  non  da  quella  del  senso . 


[«]  Carreei.  in  DanU  Com.  Veronae  177$.  [b'\  Vedi  le  Vote  a  questo 
ctato  della  E.  F.  [e]  Prop.  voi.  a.  fac.  i66. 


84  INFERNO 

Ch'  a veaD  le  turbe ,  eh'  eran  molte ,  e  grandi , 

E  d'iafanti,  e  di  femmine,  e  di  viri. 
Lo  buon  Maestro  a  me  :  tu  non  dimandi       3 1 

Che  spiriti  son  questi ,  che  tu  vedi  ? 

Or  vo'  che  sappi ,  innanzi  che  più  andi , 
Ch'  ei  non  peccaro  ;  e  s*  egli  hanno  mercedi ,      34 

^  ^9  le  turie,  le  comitive ^  le  brigate;  ^ grandi y  copiose 
ciascuna  d' individui  della  propria  classe. 

3o  femmine^  in  contrapposto  ad  infanti^  e  congiunto  a  viri, 
vale  quanto  femmine  di  adulta  etàj  donne.  — Wr/,  uomini 
fatti ,  voce  latina ,  italianamente  però  adoperata  anche  da  altri 
ottimi  scrittori .  Vedi  il  Vocab.  (fella  Cr.  9^  Di  infanti ,  senza 
elisione,  leggono  il  EKonisi  e  il  Vat  3 199.— L'Ang.,  come  nou 
r  E.  R.,  pone  un  £  in  principio ,  triplicandolo  così  con  beli'  ef- 
fetto per  la  maggiore  armonia  che  ne  acquista  il  verso  •  Le- 
zione per  ciò  appunto  anche  da  noi  seguita .  <-m 

32  JH^  Ch^ anime  sono  queste  »  invece  di  Che  spiriti  j  ha  il 
c^d.  Ang.  E.  R.  4-< 

33  andi  per  vadi.  L'autore  delFantico  Prospetto  de^^erbi 
toscani  sospetta  ragionevolmente  che  non  (osse  ai  tempi  di 
Dante  cosi  difettivo  il  verbo  andare  come  lo  è  al  presente  [a]  ; 
e  ne  arreca  in  conferma  quell'  altro  verso  del  Burchiello  : 

Sesso ,  quando  andi  alla  città  Sanese  [b]  : 
ove  certamente  non  adoperasi an^i  per  cagion  della  rima.-*Per 
via  di  molti  esempj  raccolti  da'  primi  Autori  italiani  non  resta 

Ìiii  dubbiosa  una  tale  assertiva.  Vedi  Mastrofini,  Teoria  e 
Prospetto  ecy  fac,  91.  e  seg.  E  R. 

'i^  mercedi  vale  opere  buone-,  e  però  disse  anche  Gino  da 
Pistoia  : 

Che  ben  faria  mercè  chi  vn! uccidesse  \c\. 
•-^  Ma  il  Biagioli  sostiene  che  mercedi  non  voglia  dire  opere 
buone,  ma  premio  d'opera  buona  ;  e  siccome  il  premio  suppo- 
ne l'opera  corrispondente,  però  usasi  l'uno  per  l'altro.*- Ma- 
galotti spiega:  mercedi  per  meriti,  come  altrove  al  \f.  73.  e-  xxxi  i. 
del  Farad.:  Dunque^  senza  mercè  di  lor  costume,  ^m 

[a]  Sotto  il  verbo  Andare,  n.  i.  [b]  Pari,  2.8011. 6a.  [e]  Rim,  ani.  Fi- 
rcosc  i5a7.1ib.  5. 


CANTO  IV.  85 

Non  basta ,  perch'  e'  non  ebber  battesmo , 
Ch'è  parte  della  Fede,  che  tu  credi  ; 

36  Ch^èparte  :  lezione  ammessa  dalla  comune  de'testi  ma- 
noscritti e  stampati  avanti  la  correzione  degli  Accademici  della 
Crusca ,  e  la  sola  che  non  incontra  veruna  difficoltà.  Wh¥  G)sl 
leggono  pure  i  codd.  Qiet.  e  Ang.  E.  R.  —  e  il  Val.  Siop^^Hi 
Basta  avvertire  di  non  prendere  il  che  per  il  quale  9  relativo 
alla  sola  voce  battesmo ,  ma  per  lo  che  9  relativo  a  tutta  la  sen- 
tenza ;  cioè  che  non  bastano  per  salvarsi  le  buone  opere  senza 
il  battesimo  :  e  la  è  questa  veramente  una  parte  ^  o  sia  un  ar« 
ticolo  della  fede  che  noi  crediamo . 

Per  mancanza  di  questo  intendimento  è  sembrata  agli  Ac- 
cademici prefati  gran  sorte  di  avere  tra  li  novanta  e  pili  testi , 
cbe  per  la  correzione  del  presente  poema  consultarono ,  trovati 
dne,  ne' quali  era  scritto  porta  in  vece  di  parte  ;  e  caccian- 
done questa  lezione ,  e  quella  inserendovi ,  scrissero  in  maiv 
gine  :  Sappicndosi  quanto  il  Poeta  fosse  scienziato  in  diyi'^ 
nitàj  e  da^ maestri  a  essa  chiamandosi  il  battesimo  janua  sa- 
cramentorum ,  abbiamo  con  P autorità  j  quantunque  di  pochi 
testi  y  rimesso  porta  nel  nostro  testo  :  tenendo  per  fermo  , 
^  luogo  essere  stato  guasto  dalla  ignoranza  de^copiatori* 
Oltre  alVessere  indivisibile  la  ragion  formale  della  fede  1 
^n  pare  che  possa  dirsi  a%f€r  parti . 

Egli  è  però  ben  diverso  appellare  il  battesimo  porf a  dei 
sacramenti  j  ed  appellarlo  porfa  della  fede  ;  imperocché  apre 
l>ensi  il  battesimo  la  via  a  ricevere  gli  altri  sacramenti ,  ma 
non  già  a  ricevere  la  fede  ;  anzi  (tutto  il  contrario)  la  fede  di- 
spone a  ricevere  il  battesimo  :  creda  filium  Dei  esse  Jesum 
Christum  dovette  protestare  l'Eunuco  al  santo  diacono  Filippo 
prima  di  esseme  battezzato  [a]  :  e  istessamente  y  cosi  santa 
Obiesa  ordinando,  professar  debbono  tutti  quelli  che  al  mede* 
cimo  salutare  lavacro  aspirano.  Il  perchè  non  il  battesimo  por- 
to della  fede  appellare  si  dee  9  ma  piuttosto  la  fede  por^a  del 
^tesimo  .  E  tale ,  per  dir  vero ,  se  non  l'ha  Dante  espressa- 
mente pronunciata ,  l'ha  però  evidentemente  accennata  nel  se* 
condo  della  presente  cantica ,  dicendo  essere  la  fede  principio 
olia  via  di  salvazione  \h]  . 

Qie  poi  la  ragion  formelle  della  fede  ,  cioè  l'autorìtà  di 

[à\  AcL  8.  37.  [b]  Verso  3o. 


86  INFERNO 

E  se  furon  dinanzi  al  Gristianesnaio ,  37 

Non  adorar  debitamente  Iddio  : 
E  di  questi  colai  son  io  medesmo . 

Dio  rivelante ,  sia  una  e  indivisibile  ,  ciò  è  verÌMÌmo  :  ma  edi 
è  però  ugualmente  vero ,  che  ha  la  fede  distinti  articoli  ;  e  clic 
per  la  ragione  medesima  che  articoli  sì  appellano  [a]  ,  pos- 
sono anche  appellarsi  parti . 

Per  un  altro  motivo  vorrebbe  che  si  leggesse  porta ,  e  non 
parte ,  il  sig.  Bartolommeo  Perazzini  [b] ,  per  corrispondenza 
cioè  a  queiraltro  passo  del  Parad.  canto  xxv.  i'.  8.  e  segg. 

in  sul  fonte 

Del  nUo  battesmo  prenderò  V  cappello  : 
Perocché  nella  Fede ,  che  fa  conte 
L'anime  a  Dio ,  quiv  entropio ,  ce.    ^ 
Unendo  noi  però  questo  a  quell'altro  eia  riferito  parlar 
di  Dante ,  che  la  lede  è  principio  alla  via  ai  salvazione ,  ed 
alla  stessa  verità  del  fatto  della  precedenza  della  fede  al  bat- 
tesimo ,  tosto  ci  avvediamo ,  che  altro  qui  non  accenna  il  Poe- 
ta ,  se  non  appunto  l'anzidetto  universale  rito  di  professare  i 
battezzandi,  nel  luogo  medesimo  dove  devono  battezzarsi, 
la  fede  al  prete  prima  di  riceverne  il  sacramento  :  e  non  già , 
che  pel  battesimo  entrasse  egli  nella  fede ,  come  intende  il 
sig.  Perazzini.  »->Nota  qui  Torelli  :  altri  leggono ,  ch^èpor^ 
ta ,  ma  senza  necessità ,  potendosi  ritener ^aric  ;  essendo  che 
la  fede  cristiana  ci  propone  da  credere  altre  cose  oltre  il  bat- 
tesimo .  •#-• 
i  38  Non  adorar  debitamente  Iddio  :  richiedendosi  per  co- 

!  tal  debiu  adorazione  la  fede ,  ch'essi  non  ebbero  ,  in  Cristo 

venturo .  Vedi  ciò  ch'è  detto  nel  i.  di  questa  cantica  j  y.  12. 
Dio  y  leggono  l'ediz.  diverse  dalla  Nidobeatìna . 

39  di  questi  cotai  son  io  medesmo .  f^irgilius  (  scrive  P<v 
tavio)  [e]  Sentio  Saturnino  y  et  Lucretio  Cinna  Coss.anno 
mundi  3960,  ante  Christum  19,  Brundusii  moritur.  Unendo 
però  quanto  rileva  Rueo  della  morte  di  Virgilio  l'anno  4^  ^^" 

[à]  Ut  enim  corporis  membra  articulis  distinguunlur\  Uia  etiam  in 
hac  fidei  confessione  quidquid  distincie,  et  separalim  ab  alio  nobis 
ctedendum  est,  ree  te  et  apposite  articulum  dicimus,  Gathec.  RonL 
cip.  I.  [b]  Correct.in  Dant,  Com,  Veropae  1795.  [c\RaL  Temp.  F.  1. 
lib.  4*  cap.  ai. 


CANTO  IV.  87 

Per  tai  difetti,  e  non  per  altro  rio,  4^ 

Semo  perduti ,  e  sol  di  tanto  offesi , 
Che  senza  speme  vivemo  in  desio. 

Gran  duo!  mi  prese  al  cor,  (juandò  lo  'ntesi ,     4*^ 
Perocché  gente  di  molto  valore 

r impero  d'Ottaviano  Augusto  [a],  e  ciò  che  scrive  Baronio 
della  nascita  di  Gesù  Cristo  l' anno  del  medesimo  Imperatore 
4i  0  4^  [^]  9  viene  la  moHe  di  Virgilio  a  seguire  3  o  4  ^^^^ 
dopo  nato  G-  G.  Ma  anche  a  questo  modo  sarebbe  vero  che 
fosse  Virgilio  dinanzi  al  cristianesimo;  imperocché  s'intende 
incominciato  il  cristianesimo,  non  colla  nascita,  ma  colla  pre- 
dicazione di  Gesti  Cristo  • 

4o  rio  y  sustantivo,  per  reità ^  come  in  quell'altro  passo 
del  Piupg-  e.  VII,  V.  7.  e  seg.: 

T  son  Virgilio  ;  e  per  nulV altro  rio 
Lo  Ciel  perdei,  che  per  non  aver  Fé. 
M^Per  tai  diffecti,  non  per  altro  rio,  sopprimendo  la 
cepola  e,  legge  il  Vat.  3 199.  <-« 

4i  Semo  per  siamo .  Ayemo  e  semo  (scrive  il  Cinonìo)  che 
nel  Petrarca,  e  nel  Boccaccio  si  leggono;  e  cotante  si  fatte, 
che  sì  frequentemente  in  Dante  si  trovano  e  ch^entrano  nel 
parlar  comune  di  tutta  Italia,  non  si  dovranno  cacciare  cor 
me  straniere;  ma  come  parcamente  usate  dagli  scrittori , 
parcamente  usarle  ancor  noi  [cj.  —  di  tanto,  in  luogo  di  sem- 
plice tanto,  equivalente  qui  a  talmente  [d];  —  offesi,  molesta- 
li,afflitti.  m^Semo  perduti.  Avendo  detto  Virgiuo  nel  canto  11. 
V,  53.:  Io  era  intra  color,  che  son  sospesi ,  il  semo  va  inteso 
per  maniera  elittica  esprimente:  siamo  tra  li  perduti;  il  die 
è  vero  quanto  alla  collocazione  di  essi  spiriti ,  ma  non  mai  ri- 
spetto alla  condizione  loro,  mentre ,  se  ciò  fosse  ,  Virgilio  si 
direbbe  dannato  e  sospeso  ad  un  tempo  .  Scolabi.  <^ 

4^  senza  (  sanza  Pediz.  diverse  dalla  Nidob.)  speme  vive" 
mo  [^fer  viviamo,  come  sopra  sem^  per  siamo  )  in  desio  :  vi- 
viamo in  desiderio  della  beata  vision  di  Dio  senza  speranza 
di  ottenerla . 

43  »^  Gran  duol  mi  prese  allor ,  ha  il  cod*  Ang.  E  R.  4-« 

[a]  Firg.  HisU  [li]  Noi.  ad  Martirol.  Rom.  95.  decembr.  [e]  Tratt,  d$i 
Terbi,  cmp.  3.  [^J  Vedi  Cinon.  Parile.  936.  n.  4*  0  16 • 


88  INFERNO 


Conobbi ,  cbe  'n  quel  Limbo  eran  sospesi  • 
Dimnìi,  Maestro  mio^  dimmi,  Signore,         4^ 

Comincia'  io  per  voler  esser  certo 

Di  quella  Fede ,  che  vince  ogni  errore  : 
Uscinne  mai  alcuno  o  per  suo  merto,  49 

O  per  altrui ,  cbe  poi  fosse  beato  ? 

E  quei,  che  'ntese  1  mio  parlar  coverto, 

45  sospesi:  perchè  «picsto  termine  adoperi ,  si  è  dello  no I- 
r  Inferno,  e.  ii.  i^.  52. 

47  ^^pcr  voler  esser  certo^Di  quella  Fede  ec,  per  avere 
ripi*ova  di  quella  fede  ,  che  quantunque  dagli  errori  impugnata 
sempre  trionfa . 

49  »-►  Uscì  ci  ha  il  cod.  Vat.  3 199.  ♦«« 

5 1  parlar  coi^rto  ;  imperocché  invece  di  apertamente  di- 
mandare se  Gesti  Cristo  dopo  morte  discendesse  colaggiù ,  e  ne 
traesse  l'anime  de 'giusti  a  lui  premorti ,  addimanda  solamente 
se  alcun  mai  uscisse  di  là  o  per  proprio,  0  per  altrui  merito. 
Ma  perchè  questa  copertura  di  parlare?  perchè  tacere  il 
nome  dì  Cristo,  tanto  Dante  nella  proposta,  che  Virgilio  nella 
risposta?  Forse  per  essere  Virgilio  stato  uomo  del  gentilesimo? 
Cosi  l'intendono  il  Landino  e  il  Daniello.  Ma  se  non  ostante 
sapeva  Virgilio  ciò  che  fosse  cristianesimo  (come  dal  preceden- 
te di  lui  parlare  si  scoile  ) ,  e  sapeva  che  dopo  l' institozione 
del  cristianesimo  era  necessario  per  l' eterna  salvezza  il  batte- 
simo, perchè  non  poteva  lui  nominarsi,  e  nominar  esso  pure 
l'ìnstitutore  del  cristianesimo  e  del  battesimo  Gesii  Cristo? 

Osservando  io  che  non  solamente  qui ,  ma  in  nessun  luo- 
go dell'Inferno  mai  nomina  Dante  altro ,  né  &  da  alcun  nomi- 
nare il  nome  di  Gesii  Cristo,  eleggerei  piuttosto  di  credere  mo- 
tivo di  cotale  silenzio  quel  sanctum  et  terribile ,  che  del  nome 
di  Gesù  Cristo  predisse  Davide  [a\ ;  e  per  non  propinare  la 
santità  del  nome  in  quell'infame  luogo ,  e  per  evitare  lo  spa- 
vento che  il  di  lui  suono  avrebbe  colaggiii  apportato.  »-»>Altra  è 
la  ragione,  secondo  il  Biagioli,  di  qacsto parlar  covertoi^A  me 
»  pare,  die 'egli ,  che  il  giusto  motivo  sia  che,  se  avesse  Danto 
»  in  altra  forma  fatto  cotal  dimanda ,  avrebbe  mostrato  di  du- 

[a]  Psal.  110.1^.9. 


CANTO  IV.  89 

Rispose:  io  era  nuovo  in  questo  stato,  52 

Quando  ci  vidi  venire  un  Possente 
Con  |segno  di  vittoria  incoronato  « 

Trasseci  l'ombra  del  Primo  Parente ,  55 

D'Abel  suo  figlio,  e  quella  di  Noè, 
Di  Moisè  legista  j  e  l'ubbidiente 

»  bìtar  di  quello  di  cui  era  già  certo  •  E  poi  la  dimanda  di  Dan- 
»  te  è  semplice  e  naturale  >  siccome  naturalissima  è  la  rispo- 
»  sta  di  Yii^io  f  perchè  conforme  alla  prima  sensazione  da 
»  lui  provata  in  veder  scendere  nel  Limbo  quel  Possente  in- 
»  coronato  con  segno  di  vittoria .  Infine ,  come  sarebbe  prò- 
»  iànato  j  pronunciandolo  9  il  nome  di  Cristo  là  ove  non  si  prcH 
»  fanò  la  persona  medesima  con  andarvi  ?  Se  nome  tanto  san- 
»  tissimo  non  si  profima  nelle  piii  vili  taverne  ?  Se  non  nelle 
9  impurissime  bocche  di  chi  tutto  di  lo  bestemmia  ?  »4hì 

5a  era  nuovo  in  questo  stato  y  era  venuto  qui  non  molti 
arni]  prima,  per  essere  9  com'è  detto  al  verso  Sg.,  morto  Vir- 
gilio, o  secondo  Petavìo  diciannove  anni  avanti  Cristo  9  o  se- 
condo altri  nel  terso  anno  dalla  nascita  di  Cristo  •  Secondo 
ambedue  questi ,  quantunque  varj  9  pareri  9  risulta  tra  la  morte 
di  Vii^Ho  e  la  morte  e  andata  di  Qristo  al  Limbo  un  divario 
d'anni  che  9  paragcmato  agli  anni  quasi  mille  e  trecento  scorsi 
dalla  morte  di  Cnsto  al  tempo  che  Virgilio  cosi  parlava  9  potè 
ragionevolmente  riputarsi  picciolissimo  • 

53  5^  un  Possente  9  Cristo  Redentore.  -  Con  segno  di  iàt^ 
tona  incoronato  9  cioè  incoronato  di  palma  9  che  vittoria  si- 
gnifica ,  siccome  il  lauro  trionfo  •  Vellutello  .  -  Ma  ben  puos- 
si  per  vi/toriaintendere  trionfo;  e  lasciarsi  la  corona  di  palma 
a'retori  ed  avvocati  nelle  forensi  aringhe,  ai  quali  solamente 
Rassegnano  gli  antiquari  M  '  *^  Quando  vidi  venire  un  Re 
possente  ,  legge  TAng.  E.  R,  ♦« 

55  Trasseci  per  trasse  di  qua  •  Vedi  il  Varchi  nell'i^rco- 
lano .  VoLM.  —  Primo  Parente,  Adamoi parente  ^er padre 
alla  maniera  latina  9  che  ha  per  sinonimi  parens  e  pater. 

57  legista  (significa  lo  stesso  che  legislatore),  e  ubbidiente. 
Sembra  cJie  voglia  il  Poeta  con  questa  unione  in  Moisè  di  le^ 

[a]  Laorent.  Polymai.  lìb.  5. 


90  INFERNO 

Abraam  Patriarca,  e  David  Re,  58 

Israele  col  Padre,  e  co' suoi  nati, 
£  eoa  Rachele,  per  cui  tanto  fé': 

Ed  altri  molti ,  e  fecegli  beati  :  6 1 

£  vo'  che  sappi ,  che  dinanzi  ad  essi 
Spiriti  umani  non  eran  salvali . 

Non  lasciavam  d'andar,  perch'ei  dicessi,       64 

« 

gista  e  ubbidiente  sferzare  rordmarìo  costume  de'  legislatori , 
di  più  volentieri  comandare ,  che  ubbidire;  e  di  facilmente  in 
favor  della  propria  loro  persona  trovar  epicheia  a  quella  legge 
che  vogliono  dagli  altri  rigorosamente  osservata.  Ubbidente^ 
invece  à^uhbidientej  leggono  Tediz.  diverse  dalla  Nidob.  Ubbi- 
diente però  non  solo  si  adatta  meglio  all'uso  dello  scrìvere;  ma 
sciogliendosi  nella  seconda  i\  e  pronunziandosi  di  cinque  silla- 
be, arreca  al  verso  dolcezza.  •-►Ckisi  chiosava  il  Lombardi;  ma 
>f  itenendo  noi  che  Dante  abbia  qui  voluto  decisamente  qualifi- 
care Abramo ,  come  in  piii  luoghi  ce  lo  dimostra  la  Sacra  S<:ril- 
tura  ,  modello  di  perfetta  obbedienza  al  volere  di  Dio,  abbiamo 
perciò  tolti  i  due  punti  che  si  riscontrano  in  tutte  le  edizioni 
dopo  ubbidiente^  affinchè  subito  s'intenda  doversi  quest'epiteto 
non  già  a  Mosè,  ma  bensì  ad  Abramo  riferire.  Questa  lezione  fu 

I>ropostadal  ch.sig.  Ab.  e  Bib.  Francesconi  in  una  sua  Memoria 
etta  nella  I.  R.  Accademia  di  Padova  nell'aprile  del  1 8 1 3.  <-« 

59  Israele  col  Padre  j  la  Nidob.;  Israel  con  suo  padre  j  le 
altre  edizioni .  Israele  fu  il  nuovo  nome  che  impose  l'Angelo  a 
Giacobbe ,  figlio  d'Isacco^  dopo  ch'ebbe  con  esso  lui  lottato  [a]. 
«—  nati  "per  figli  j  alla  maniera  latina,  voce  adoperata  anche  da 
altri  buoni  italiani  scrittori .  Vedi  il  V ocab.  della  Gr  »-^  Israel 
con  lo  Padre  ha  il  Vat.  3 199.  ^-« 

60  Rachele  ,  figlia  di  Labano ,  per  aver  la  quale  in  isposa 
servi  Giacobbe  a  Labano  quattordici  anni  [i] . 

63  non  eran  salitati,  non  erano  in  Paradiso,  perocché  dal 
momento  in  cui  Adamo  peccò  fino  alla  redenzione  stato  chiuso. 

6^JYon  lasciavam  d'andewyperch^eiy  la  Nidobeatina;  Ta/i- 
daryperch*e\  l'altre  edizioni,  -"dicessi  per  dicesse  j  antitesi  in 
grazia  della  rima.  m^VandarypercVè* dicessi^  leggono  i  codici 

[a]  Genes.  3a.  v,  a8.  [b]  Genes,  39.  v.  a3.  e  5o. 


CANTO  IV.  gì 

*  Ma  passavam  la  selva  tuttavia  j 
La  selva  dico  di  spiniti  spessi  • 
Non  era  langi  ancor  la  nostra  via  67 

DI  qua  dal  sommo,  qnand^ìo  vidi  un  foco, 
Gh'  emisperio  di  tenebre  vincia  • 

Vat.  3 199  — *  e  Angelico.  E.  fi*  —  ed  anche  il  Magalotti,  die 
spiega:  ancorché  ei  favellasse.  4-c 

65  m^  tuttavia,  forma  elittica,  e  non  sinonimo  dell' avver- 
bio sempre  9  siccome  il  Vocab.  della  Gr.  e  i  suoi  Compilatori 
veglione  ;  ma  dell'  espressione  in ,  o  per  tutta  la  via ,  e  mo-> 
difica  soltanto  nn' azione  cominciata  una  o  piii  volte,  riguardo 
al  proseguimento  della  medesima .  Biagioli.  <-• 

66  selva  di  spiriti  spessi  9  vale  quanto  folla  di  moltissimi 
spiriti. 

67  m~^IV6n  era  lunga  •  Cosi  il  Lombardi  colla  Nidobeat.,  e 
chiosava  :  non  era  ancor  molto  il  viaggio  da  noi  fatlo^'^Non 
era  lungi ,  leggiamo  noi  con  tutte  V  altre  edizioni ,  sembran- 
doci che  il  lungi  esprìma  assai  meglio  il  concetto,  ^hì 

68  69  Di  qua  dal  sommo,  di  qua  dalla  sommità,  dalla  proda 
della  valle  d^ abisso  [a],  su  la  quale  essendo  disse  Virgilio; 
Or  discendiam  quaggiù  ec.  [6  j.  Kipetendo  Dante  col  pensiero 
in  questa  narrativa  il  viaggio  realmente  fatto,  adopera  lo  stes/io 
di  qua,  che  avi*ebbe  adoperato  parlando  colaggiù.-u;»  foco  , 
-(Hiemisperio  di  tenebre  vincia.  Tutti  gli  Espositori  comur 
Demente  intendono  detto  t;i/icia  in  grazia  della  rima  per  vineea, 
dal  verbo  ^vincere  nel  solito  italiano  significato,  corrispondente 
al  latino  vinco ,  is,  di  superare.  Ma  però  se  per  V emisperio  di 
tenebre  non  può  (come  pare  che  certamente  non  possa  )  inten- 
dersi altro  che  tutto  il  rotondo  buio  dell'  infernale  buca  ;  po- 
nendosi tutto  questo  buio  da  cotal  fuoco  superato ,  come  potuto 
avrebbeDante  della  medesima  infernale  buca  dire:  Oscura,pro^ 
fond^era,  e  nebulosa  [e]?  Io  dubito  che  vincia  adoperi  qui 
il  Poeta  nostro  non  al  senso  di  superare ,  ma  a  quello  di  ay* 
t^incere ,  di  cingere ,  di  circondare ,  corrispondentemente  cioè 
al  Ì9tmo  vinciovincisj  non  al  vinco,  iV.Egii  almeno  par  certo, 
che  il  fuoco,  di  cui  Dante  favella,  suppor  dovesselo  aggirarsi  a 
tutta  intomo  la  infernale  buca.  Abbiansi  le  seguenti  xiflessioni. 

[a]  Vcfio  7  e  8.  [b]  v.  i3.  [e]  v.  io. 


92  INFERNO 

Di  lungi  v'eravamo  ancora  un  poco,  ^o 

Ma  non  sì,  ch'io  non  discernessi  in  parte, 

Serviva  colai  fuoco  a  rendere  illuminato  il  luogo  abita- 
to dai  Gentili  eroi  in  armi  ed  in  lettere ,  in  premio  delle  lur 
chiare  gesta. 

Il  luogo  da  questi  abitato  era  una  circolar  divisione  del 

firimo  infernal  cerchio >  fatta  dal  giro  in  esso,  per  tutta  la  di 
ui  estensione ,  di  sette  alte  mura  e  di  un  fiumicello  [aj  ;  ed 
aveva  cotale  circolare  striscia  per  termini  esse  mura  da  un  lato, 
e  dall'altro  r infernal  vano.  Si  fatta  circolare  abitazione ,  oltre 
che  la  intende  e  insegna  ilVellutello,  che  nella  infernale  Dan- 
tesca topografia  è  tra  gli  Espositori  il  piii  dilìgente  ed  esatto, 
viene  poi  anche  stabilita  dalla  uniformità  ;  stile  essendo  di 
Dante  di  non  costituire  mai  difierenti  magioni,  se  non  circo- 
lare ciascuna  intomo  a  tutto  Tlnfemo. 

Il  fuoco  di  una  sola  fiamma  esistente  in  una  sola  parte  di 
esso  giro ,  o  non  avrebbe  potuto  portare  il  lume  a  tutto  intomo 
il  vastissimo  giro ,  di  miglia  (  secondo  il  calcolo  di  esso  Ycllu- 
tello  [&])  piii  di  ottocento;  ovvero,  posto  che  la  smisurau 
grandezza  ciò  avesse  potuto,  avrebbe  eziandio  dovuto  spander 
lume  moltissimo  a  tutta  V  infernal  valle ,  e  non  lasciarla  es- 
sere ,  come  era,  oscura  e  nebulosa  [ci  ;  massime  per  non  es- 
sere (  al  calcolare  del  prefato  yellutello,[<iJ  )  niente  piii  pro- 
fonda che  neir  orificio  larga. 

Un  fuoco  adunque  conviene  intendere  piccolo,  ma  che  gi- 
rasse tutto  intomo  quel  cerchio;  e  che  per  conseguenza  tutto 
circondasse  il  buio  infernale  emisperio,  m-¥  un  foco ,  forse  una 
fiamma  librata  in  alto  nell'  aria.  Ne  è  da  stare  attaccato  alia 
forza  delle  parole ,  dovendosi  qui  Dante  intendere  come  poe- 
ta, e  non  come  geometra .  Magalotti.  — Pare  al  Biagioli  che 
il  Lombardi  derivando  il  vincia  dal  verbo  lat.  wncioj  tolga 
al  concetto  ogni  bellezza ,  e  spiega  vincea .  Crede  poi  che  il 
fuoco,  di  cui  qui  si  parla ,  sia  un  chiai*ore  egualmente  diffuso 
per  tutto  il  contenuto  dal  giro  delle  mura  del  castello  ;  chia- 
rore che  il  Poeta  chiamò  fuoco ,  perche  tale  gli  apparì  dal  luo- 
go ond*  egli  il  giudicò  esser  tale .  —  Alla  parola  emisperio  vi 
è  nel  cod.  Ang.  in  postilla  la  parte  de  socio  delVonfemo.  E.  B. 

[à\  Verso  106.  e  w^^.  [b]  Descrizione  dell'In ferno  premessa  al  co- 
mento .  [e]  Verso  10.  [d]  Ivi. 


CANTO  IV.  93 

Gh'  orrevol  gente  possedea  quel  loco  : 
0  tu,  ch'onori  ogni  scienza,  ed  arte,  7 3 

Questi  chi  son,  ch'hanno  cotanta  orranza, 
Che  dal  modo  degli  altri  gli  diparte? 
£  quegli  a  me:  l'onrata  nominanza,  76 

Che  di  lor  suona  su  nella  tua  vita. 
Grazia  acquista  nel  Ciel,  che  si  gli  avanza. 
Intanto  voce  fu  per  me  udita:  79 

'^  sonno  ia  luogo  di  sommo  9  hanno  il  Vat.  3199  e  PAng.  ; 
i]  CaeL  però  legge  sono.  E.  R.  -—Anche  il  Torelli  legge 
sonno,  e  intende,  di  qua  dal  luogo  ,  dou^  io  nC  addormen" 
tai  ;  ed  il  cincia ,  derivandolo  pure  dal  latino  vincio ,  lo  spiega 
per  cerchiala ^"^(^ue^Ui  lezione  è  pur  seguita  ed  intesa  egual- 
mente dal  Perazzini  e  dal  Venturi  ;  e  dietro  Tautorità  dei  citati 
codd.9  ed  il  parere  di  questi  tre  illustri  Chiosatori ,  si  potrel^- 
be  preferire  a  quella  della  Nidob.  4hì 

72  orrei^olefer  onorei^o/e,  moho  da'buoni  antichi  adoprato* 
Vedi  il  Vocab.  della  Cr.;  e  dovrebbe  essersi  fatta  questa  voce 
per  antìtesi  dalla  sincopata  onreuole,  come  fu  fatto  orranza 
di  onranza .  m^  Il  cod.  Stuard.  Xe^gi^possedean ,  e  soggiugne 
Biagioliy  che  forse  Dante  scrisse  così  .4hì 

73  onori  j  fai  col  tuo  scrivere  salire  in  pregio*  m^O  tu 
c'onori  et  Scientia  et  Arte  ha  il  cod.  Vat.  3 199.  4hì 

74  orranza  per  onoranza,  onore,  voce  pure  da  molti  buoni 
antichi  usata .  Vedi  il  Vocab.  della  Crusca. 

73  dal  modo ,  dalla  condizione .  *  Il  codice  Cass.  legge  9  dal 
ikndo ,  ed  il  suo  Postili,  chiosa  :  guia  non  sunt  in  ea  parte 
in  qua  ala.  Sebbene  questa  nuova  lezione  possa  stimarsi  mi- 
gliore f  non  abbiamo  creduto  necessario  di  sostituirla  nel  te- 
sto,  e  ci  siamo  contentati  di  qui  riferirla.  E.  R. 

76  onrata,  sincope  d^  onorata.  Vocab.  della  Gr.  —  nomi'' 
nanza ,  nome ,  fama . 

77  suona  j  rimbomba  ;  —  su  nella  tua  vita ,  lassù  dove  tu 
ancor  vivi,  nel  mondo. 

78  Grazia,  favore;  — gli  avanza,  gli  fa  superiori  di  con- 
dizione agli  altri  di  questo  luogo . 

79  w-^per  me  eqmvale  adfa  me;  maniera  moltoelegante  usata 
da  tatti  i  buoni  sci*it(orì  si  antichi  che  moderni.  Poooiali.  «« 


94  INFERNO 

Onorate  Taltissimo  Poeta: 
L'ombra  sua  toraà,  ch'era  dipartita. 

Poiché  la  voce  fu  restata^  e  queta^  82 

Vidi  quattro  grand'  ombre  a  noi  venire  : 
Sembianza  avevan  ne  trista ,  né  lieta  • 

Lo  buon  Maestro  cominciommi  a  dire:         85 
Mira  colui  con  quella  spada  in  mano^ 
Che  vien  dinanzi  a'  tre ,  si  come  Sire  • 

Quegli  é  Omero  poeta  sovrano  :  88 

L'altro  è  Orazio  satiro,  che  viene , 

80  V altissimo  Poeta j  Virgilio. 

81  dipartita y  per  assistere  a  Daate  [a]. 

82  restata  ^  e  queta  y  pleonasmo  in  grazia  della  rima  •  »-^Ne- 
ga  irBiagioli  che  sia  qaesto  mi  pleonasmo»  e  perchè  non  può 
esserlo  in  alcuna  lingua,  e  perchè  Dante  non  fu  mai  servo 
della  rima  9  e  perchè  in  fine  le  voci  restata  e  queta  hanno 
qui  una  marcata  differenxa  di  significato .  <-« 

84  ne  trista j  ee.  Fa  costoro  e  tutti  gli  eroi,  che  in  seguito 
dirà,  esenti  da  quei  gravi  sospiri,  Che  Paura  eterna  faceyan 
tremare  [&J:  e  però  uscendo  dal  luc^o  loro ,  dirà  dì  uscire  JF'uor 
della  queta  nelVaura ,  che  trema  \c\  m^nè  trista  perchè  non 
erano  in  pena,  né  lieta  perchè  non  erano  in  gloria.  Poggi  ali.4-« 

85  Cominciommi  a  dire,  la  Nidob.;  cominciò  a dire^  Tal- 
tre  edizioni  ;  •-►  e  ^ncominciò ,  il  cod.  Vat.  3 1 99.  ^hi 

86  airSS  con  quella  spada  in  mano ,  in  simbolo  delle  da 
lui  cantate  guerre.  Anche  (suggerisce  opportunamente  il  dottisi, 
sig.  Ennio  Visconti)  nella  famosa  apoteosi  d'Omero,  antico  bas- 
sorilievo nella  biblioteca  dell'eccellentissima  casa  Colonna,  una 
figiira  tenente  la  spada  in  mano  simbolecgìa  le  da  lui  cantate 
gueiTe|^aJu>ire,signore,prenape;jovrano,pnncipale,pnmano. 

89  satiro ,  cioè  satirico ,  compositor  di  satire  :  come  i  Latini 
pure  dissero  satirus  prò  eo  qui  satiram  scribit  [e]. 

[a]  Inf.  II.  Sa.  e  segg.  [b]  Vers.  ^T»[c]  Vers.  1 5o.  [d]  Vedi  la  fisura  del 
baMorilievOy  e  le  illustrazioai  al  meclesimo  fatte  dal  Caperò,  Deitom.  -j. 
del  Poleoi,  SuppL  al  Tesoro  delle  aoticfait^i  di  Gre v  io  e  Gronovio. 
[e]  Perottus  Cornueop.  in  Bpìgr.  6.,  ed  anche  Roberto  Stefano  The- 
jéuw.  Jing.  lat.  art.  Satirus. 


CANTO  IV.  95 

Ovidio  è  '1  terzo,  e  T ultimo  è  Locano. 
Perocché  ciascun  meco  si  conviene  91 

Nel  nome ,  che  sonò  la  voce  sola , 

Fannomi  onore,  e  di  ciò  fanno  bene. 
Così  vidi  adunar  la  bella  scuola  94 

Di  quel  Signor  dell'altissimo  canto, 

92  Nel  norncy  cioè  di  poeta  $  —  che  sonò  »  che  fece  risuo- 
nare  ;  —  voce  j  quella  cioè  che  disse  :  Onorate  rattissimo 
Poeta.  -  F^oce  sola ,  per  s^oce  di  molti ,  che  gridino  insieme 
lo  stesso  y  chiosa  il  Volpi ,  e  ne  adduce  in  esempio  quel  verso 
di  Maniale  :  f^ox  diì^ersa  sonat  :  vopulorum  est  yoac  tamen 
una  [aj.  E  di  fatto  dicendo  Dante  cne ,  dopo  udita  colai  voce, 
vide  avvicinarsi  quelle  quattro  grand* ombre ,  accenna  che 
fosse  la  voce  non  a*una ,  ma  di  tutte  e  quattro  insieme  le  om- 
bre .  m-¥  Fanno  bene  a  onorarmi ,  perchè  siamo  tutti  poeti ,  e 
Tonore  che  è  fatto  ad  uno  toma  sopra  tutti .  Magalotti.  -  Per- 
chè gli  eccellenti  nella  medesima  facoltà  è  bene  che  si  dimo- 
strino una  scambievole  compiacenza  del  loro  rispettivo  merito. 
PoGGiAi.1.  —  Godono  di  far  onore  al  loro  cor^ratello ,  spie* 
ga  invece  lo  Scolari ,  ritenendo  che  bene  sia  sostantivo  e  non 
avveribio ,  ove  giustificare  si  voglia  l'approvazione  che  Virgi- 
lio (sapposto  bene  avverbio)  viene  a  manifestare  degli  onori 
resi  a  lui  stesso. '<-« 

95  Di  quel  Signor eCj  d'Omero,  principe  dell'epica  poesia, 

flit  d*ogni  altra  sublime.  Il  Venturi,  persuaso  che  fosse  Omero 
inventore  del  verso  eroico,  crede  che  a  cotal 'invenzione  miri 
questa  lode  dì  Dante  ;  ma  n'è  confutato  dal  Kosa  Moi*ando  [b]. 
m-^  Si  è  agitata  in  questi  ultimi  tempi  la  quistione,  se  per 
la  beila  scuola  quella  di  Omero  si  abbia  ad  intendere,  o  quella 
dì  Virgilio  9  e  se  quello  0  questo  abbiasi  a  ritenere  «Signore  «/e/- 
Caltissimo  canto .  — -  Il  Dolce  intese  qui  Virgilio ,  e  lo  intese 

rlmente  lo  Speroni ,  come  rilevasi  dalle  sue  postille  ine^ 
marginali  che  si  leggono  in  un  esemplare  Aldino  della  Di-^ 
vina  Gom.  posseduto  dal  eh.  March.  Giacopo  Trivulzio.  Tale 
sentenza ,  data  senz'altra  spiegazione  dai  due  predetti  autori , 
venne  sostenuta  dal  eh.  signor  Abate  e  Bib.  Fi^ancesconi  in  un 

[m]  im  amphitheatrum  Caes*  epigr.  3«  [b]  Osserv.  sopra  Flnfi  al  pre- 
scQia  cauto  iv. 


96  INFERNO 

discorso  Ietto  alP  I.  R.  Accademia  di  Padova  nel  i8i3^  e  fu 
dopo  difesa  anche  dai  eh.  signori  M arzari  ed  Ainalteo  9  dal  pri- 
mo con  una  Memoria ,  e  dial  secondo  con  un  Dialogo ,  letti 
alFAteneo  di  Treviso  nel  5  marzo  18 1 5  [a]  $  parendo  loro  che 
cosi  richiegga  la  convenienza  di  tutto  il  discorso  :  i.^  perchè 
il  Poeta  allude  all'inno  poco  sopra  cantato  dai  quattro  accen- 
nati poeti,  iquali  al  ritorno  di  Vii^ilio  mossero  incontro  a  lui 
per  onorarlo  »  e  come  a  loro  Capo  intuonarono  :  Onorate  rat- 
tissimo Poeta;  2P  perchè  Dante ,  conoscitore  di  que*sommi 
poeti  e  libero  nella  scelta ,  preferi  Virgilio  9  anziché  Omero, 
a  guida  nel  suo  viaggio^  3.^  perchè  quell'el(^o  di  Dante,  aven- 
do in  mira  principalmente  lo  stile,  deesi  credere  fatto  a  Vir- 
gilio ,  e  non  già  ad  Omero ,  di  cui  non  conoscendo  la  lingua, 
non  potea  esseme  giudice  competente;  4*^  perchè  se  Dante 
nel  suo  poema  parla  ,  all'occasione ,  con  lode  di  Omero ,  o  il 
fa  per  bocca  di  Vii^ilio ,  o  dove  non  sieno  messi  questi  due 
poeti  a  coufironto;  5.^  perchè  il  debito  di  gratitudine  e  di  ci- 
viltà l'obbligavano  a  preferire  Virgilio  ad  Omero,  come  quello 
che  in  cosi  diiEcilc  e  disastroso  viaggio  gli  si  era  di  già  offerto 
a  Duca .  Fin  qui  Marzari  ed  Amalteo.  —  Aggiungi  per  6.^  che 
Dante  riconosce  sempre  per  suo  autore  Virgilio ,  a  preferenza 
d'ogni  altro ,  chiamandolo  onore  e  lume  degli  altri  poeti y  la 
Musa  maggiore  ,  V onore  di  ogni  arte  e  scienza;  e  per  yP 
che  il  posteriore  supera  in  merito  l'anteriore,  come  quello  che 
perfeziona;  e  come  Aristotile  è  posto  innanzi  a  Platone,  ben- 
ché fiorisse  dopo,  cosi  nel  coro  de'  poeti  ha  la  preferenza  Vir- 
gilio, come  il  perfezionatore  dell'epica  poesia.  Questi  due  ul- 
timi ai^omenti  si  leggono  nelle  Note  dello  Scolari,  il  quale, 
ciò  non  pertanto,  accordandosi  coi  piii ,  ritiene  che  Dante  al- 
luda qui  decisamente  ad  Omero:  i.^  perchè  il  senso  naturale 
e  proprio  di  Scuola  unendo  l'idea  d'insegnamento,  non  si 
conviene  che  a  quella  d'Omero;  ^P  perchè  Virgilio  stesso  lo 
qualifica  ^oeM  sovrano  ;  3.^  perchè  le  poche  lodi  tributate  da 
Dante  ad  Omero,  sono  tali  che  equivalgono  alle  molte  che  dà 
a  Virgilio,  chiamando  Omero  colui 

Che  le  Muse  lattar  più  ch^ altri  mai; 
4-^  perchè  il  verso:  Di  quel  Signor  delV altìssimo  canto ,  con- 
siderato il  luogo  in  cui  parla  Dante  in  compagnia  di  Vii^ilio, 
è  ^iniOò'tr/z^iVod'uua  persona  che  gli  sia  alquanto  discosta,  qoal 
era  appimto  Omeix>  che  veniva  incontro  ad  essi.  4-« 

[a]  Vedi  Memorie  Scienti f,  e  Leti,  dell* Ateneo  dìTreviso^t.  i.fac.  4i. 


CANTO  IV.  97 

Che  sovra  gli  altri ,  com  aquila ,  vola . 

Da  ch'ebber  ragionato  'nsieme  alquanto,        97 
Volsersi  a  me  con  salutevol  cenno  : 
E'I  mio  Maestro  sorrise  di  tanto: 

£  più  d'onore  ancora  assai  mi  fenno,  100 

Ch'essi  mi  fecer  della  loro  schiera, 
Sì  ch'io  fui  sesto  tra  cotanto  senno. 

Cosi  n'andammo  infino  alla  lumiera,  io3 

96  ccm^aquilay  volai  ellissi ,  e  sarebbe  T intiero  parlare > 
con^e  aquila  sopra  gli  altri  uccelli  vola,  estollesi. 

97  al  99  »-►  ce  Qai  non  accade  strologar  molto  quello  che 
u  Virgilio  a  costoro  dicesse,  vedendosi  manifestamente  (tanto  è 
»  artificioso  qaesto  terzetto)  ch'egli  li  ragguagliò  delFessere  di 
»  Dante,  del  suo  poetico  spirito,  e  della  sua  profondissima 
»  scienza.  Ciò  si  discopre  dalla  cortesìa  del  saluto  ch'essi  gli 
x>  fecero ,  e  dal  sorridere  che  ne  fece  Virgilio .  Magalotti.  » 4-« 
sorrise ,  fece  bocca  ridente ,  mostrò  piacere  ;  *  di  tanto  dee 
equivalere  adi  ciò.  L'equivalenza  della  particella  tanto  alla 
CIÒ  vedesi  in  pertanto  e  perciò .  m-^di  tanto ,  sottintendi  ono- 
re j  diiosa  il  Biagioli,  negando  che  di  tanto  valga  di  ciò.  ^-c 

1 00  m^Ed  anco  più  onore  assai  mi  fenno ,  TÀng.  E.  R.  4-« 

101  loa  CK*  essi  mi  fecer  ^  l^gg^  ^^  Nidob.,  e  istessamente 
parecchi  mss.  veduti  dagli  Accademici  della  Cr.  E  mi  fa  mera- 
vìglia ,  che  non  preferissero  gli  Accademici  questa  lezione  alla 
Ch*ei  si,  che  dall'Aldina  hanno  trascritto  nell'ediz.  loro:  le- 
zione, nella  quale  o  vuoisi  la  particella  si  per  riempitiva,  e 
non  produce  se  non  deirimbrogliojin  vicinanza  massimamente 
dell'altra  sì  nel  seguente  verso;  o  vuoisi  posta  per  così,  per 
to/pit^n^e,  ed  allora  abbisognerebbe  che  fosse  Dante  tra  cotanto 
senno  stato  fatto  non  il  sesto  j  cioè  l'ultimo,  ma  un  de'primi. 
—  Sì  cK*io  vale  onrf' io  [a\.  m-¥  Ch*ei  sìmmi  fecer  ec.  ha  il 
Vat.  3i99.4-a 

io3  alla  lumiera  y  al  fuoco,  che  disse  nel  i^.  68.,  che  o  sem- 
plicemente per  isplcndente  aerea  circolare  striscia  dee  inten- 
dersi, o  al  pili  per  una  circolar  serie  di  fiaccole:  al  qual  senso 

[a]  Del  sì  che  o  sicché  a  colale  si^ificato  vedi  il  Vocab.  della  Cr. 

Fai.  L  7 


98  INFERNO 

Parlando  cose,  che  1  tacere  è  bello , 
Sì  com'era '1  parlar  colà  dov'era. 
Venimmo  al  pie  d'un  nobile  castello ,  io6 

Sette  volte  cerchiaio  d'alte  mura, 

aache  pu5  lumiera  adattarsi  [al.  «-^  Così  andammo,  legge 
il  cod.  Ang.  E.  R.  —  e  il  Vat.  5 1 99.  4-« 

I  o4  I  oS  cose,  che  7  tacere  è  bello  ec;  impeì*occhè  qui  ram^ 
meniate  sarebbero  affatto  fuori  del  mio  proposito:  siccome  era 
bello  e  conveniente  il  parlarne  dove  se  ne  parlò.  Veh rumi.  Ma 
forse  accennar  vuole  Dante,  che  si  parlasse  ivi  delle  finezze 
della  poesia,'  e  che  le  medesime,  come  dal  volgo  non  inlese, 
non  istarebbeì^  qui  se  non  malamente  rammemorate  «a-^Garba 
assai  al  Magalotti  un  pensiero  del  Rifiorito  sul  vero  senso  di 
questi  versi .  Stima  questi  che  tutto  quel  discorso  fosse  in  lodar 
Dante;  e  perchè  mostra  che  ancor  egli  favellasse,  il  ano  par- 
lare non  fu  per  avventura  altro  che  recitare  qualcuna  delle  sue 
canzoni ,  secondochè  da  que'  Poeti  ne  fu  richiesto .  Ciò  toma 
bene  al  costume  non  solo,  ma  anche  al  sentimento  de' versi; 
essendo  verissimo  che  ora  la  modestia  fa  diventar  bello  il  la- 
cere quello  che  allora  bellissimo  era  a  parlare.  —  doi^Uo  era^ 
al  M.  io5. ,  legge  TAng.  E.  R.  4hi 

1 06  1 07  d'un  nobile  castello ,  cioè  delle  aelte  alte  mura , 
che,  come  è  dettQ  al  \f.  68.,  dividevano  circolarmente  in  due  parti 
la  larghezza  del  primo  cerchio.  Per  queste  sette  mura ,  chiosa 
il  Laudino,  e  vi  acconsente  il  yelltttello;jefte  virtù  y  cioè  quat- 
tro moraluprudenzaf  giustizia,  fortezza  e  temperanza  ;  e  tre 
speculative:  mfe/Zi^enza  (che  appellaìiO  le  scuole  la  cognizione 
delle  cose  per  sé  «tesse  chiarissime, come  sono,esempig]^azia,  i 
geometrici  assiomi),  jcien^a  (ch'è  cognizione  acquisuu  coirà- 
ziocmio),  e  sapienza  (  ch'è  la  scienza  di  cose  altissime).  Il  Da- 
niello pensa  invece,  che  per  le  sette  mura  intendere  si  deb- 
bano le  sette  arti  liberaIi,cioè:  ^rammarica,  rettorica^ dialet- 
tica, aritmetica,  musica,  geometria,  astronomia.  L'esposizio- 
ne però  del  Landino  eVellutello  si  adatta  meglio  a  tutti  ì  generi 
di  personaggi  ch'eutro  ad  esse  mura  si  rinvengono,  cioè  ai 
virtuosi  tanto  in  lettere,  quanto  in  armi;  agli  ultimi  de'qua  li 
non  troppo  bene  larti  liberali  si  convengono.  Che  ha  egli  a 

[n]  Vedi  il  Vocab.  della  Cr.  sotto  la  voce  Lumiera ,  J.  3. 


CANTO  IV.  99 

Difeso  ntorno  d*uQ  bel  iìamicello. 
Questo  passammo  come  terra  dura  :  1 09 

Per  sette  porte  intrai  con  questi  Savi  : 

Giugnemmo  in  prato  di  fresca  verdura . 
Genti  v'erati  con  occhi  tardi  e  gravi,  1 12 

Di  grande  autorità  ne'lor  sembianti: 

Parlavan  rado  con  voci  soavi. 

Eire  la  grammatica  o  qualunque  altra  delle  prefate  aiti  liberali 
col  Bruto,  che  cacciò  Tanfuino,  con  Lucrezia ,  Julia  ec? 
»♦  Delle  suesposte  opinioni,  ninna  forse,  dice  il  Biagioli ,  è  la 
▼era  ;  e  vuoisi  piuttosto  per  le  sette  mura  significar  quella 
rocca,  di  ci^  la  Filosofia  ragiona  a  Boezio  nel  libro  i.  In  tal 
caso  per  le  sette  mura  intenderebbesi  e  le  sette  arti  e  le  sette 
▼iitù  sopraddette .  4-« 

108  d*un  bel  ftumicello :  l'eloquenza,  per  questo  bel  •/tu* 
micelio  y  chiosano  d'accordo  il  Landino,  Vellutello  e  Daniello; 
ed  è  a  proposito  il  detto  che  reca  quest'  ultimo  di  Gcerone  : 
sapientiam  sine  eloquentia  parum  prodesse  civitatibus  [a]« 

1 09  passammo  come  terra  dura,  per  esser  piccolo,  ed  es- 
servi dentro  poca  acqua.  Daniello.  Ma  io  crederei  piii  volen- 
tieri essere  intenzione  di  Dante  di  accennare  con  tale  asciutto 
passaggio ,  che  Teloquenza  appo  i  sapienti  ha  poco  o  nissun 
luogo  :  Neque  indisertum  academicum  (fa  Cicerone  che  V el- 
ido dica)  pertimuissem ,  nec  rhetorem ,  quam^is  etoqueri" 
iem  ;  neque  enim  fiumine  conturbor  inanium  verborum  [&]. 
E  QoiDtiliano  insegna  che ,  ^i  sapientes  iudices  dentur  ^per^ 

Satn  sit  eanguus  eloquentiae  locus  [e]  •  m-¥  Rigettando  come 
sa  questa  opinione,  il  Biagioli  opina  che  i  Poeti  cosi  passa- 
rono quel  fiumicello,  per  diinostrare  che  nulla  è  al  mondo  che 
non  possano  i  v^si  •  ^-^ 

1 1  o  Per  sette  porte ,  perocché  disse  ch'erano  sette  le  mu- 
raglie in  tomo  a  quel  castello. 

f  I  a  al  1 1 4  «-^Terzetto  che  può  servir  di  norma  a  qualunque 
piglia ,  descrivendo,  a  rappi'esentare  il  costume  di  gran  persfH 
naggio.  MAGALoTti,  -  Genti  ec,  forse  va  letto ,  Gente  v^eran, 

\a\  De  inventa  lib.  i.  [b]  De  nat,  deor*  lib.  a.  n.  ii.  [e]  instit.  orai, 
lib»  9.  cap.  17. 


tao  INFERNO 

Traeinmocl  cosi  dall'uà  de' canti  1 15 

Iq  luogo  aperto,  luminoso,  ed  alto, 
Sì  che  veder  si  potean  tutti  quanti . 

Colà  diritto  sopra  '1  verde  smalto  1 1 8 

Mi  fur  mostrati  gli  spiriti  magni, 
Che  di  vederli  in  me  stesso  n'esalto. 

hóla  Torelli,  come  in  questo,  v.  44-  ^  *^g*'  P^^à  che  gente  di 
tholto  calore  ^Conobbij  che  'n  quel  Limoo  aran  sospesi  ;  e  aW 
Ito  ve  :  gente ,  che  sospira ,  -£  fanno<  Infi  cytuu.  1 1 8.  e  seg.^ni 

1 15  »-i»  L'essersi  traui  da  un  canto,  prova  che  il  castello 
non  era  murato  a  tondo ,  come  alcuni  han  creduto  t  e  figuran- 
docelo Dante  semplicemente  come  un  dilettevole  prato  intor- 
niato di  mura ,  è  chiaro  che  in  esso  non  vi  doveva  essere  impe- 
dimento di  mura  ,  case ,  od  altro  da  potersi  trarre  da  un  canto. 
Cosi  Magalotti,  il  quale  p&rlando  dell'ubicazione  e  grandezza 
di  questo  castello,  intende  di  provare  che  non  arrivasse  colle 
sue  mura  in  su  la  sboccatura  del  secondo  cerchio ,  ma  che  fos- 
se tutto  dentro  all'orlo  del  Limbo  in  su  la  mano ,  su  la  quale 
camminavano  Dante  e  Virgilio .  4-« 

I  ly  potean ,  che  legge  la  Nidobeatina ,  preferisco  allo  strsH 
vagante  potéri^  che,  a  quant'osservo ^  leggono  tutte  Taltre 
ediz.  E  se  per  l'andamento  del  verso  converrebbe  che  potèn 
o  si  pronunciasse  colla  seconda  sillaba  breve  y  ovvero  si  spez- 
zasse e  pronunciasse  : 

«Si  che  veder  si  po^en  tutti  quanti  ; 
una  delle  medesime  licenze ,  aggiunta  alla  crasi  delle  due  vi- 
cine vocali  e  ay  basta  ad  abilitarne  anche  il  potean.  Spezza- 
tura di  versi  consimile  all'accennata ,  per  chi  noi  sapesse ,  ac- 
cade da  praticarsi  indispensabilmente  non  solo  in  altri  versi  di 
questo  medesimo  poema,  nel  i4*  esempigrazia  del  canto  vi« 
della  presente  cantica,  ma  in  alcuni  eziandio  d'altri  poeti. 
Vedi  la  nou  al  detto  u.  i4-  m-^potèn ,  legge  il  Vat.  Sigg^^-tf 

1 18  diritto  dee  qui  equivalere  a  dirimpetto  j  dirincontro. 
—  verde  smalto  appella  metaforicamente  il  prato  di  fresca 
verdura,  m-^  Quivi  diritto ,  legge  il  cod.  Ang.  E.  R.  ♦-• 

1 20  esalto ,  antitesi  in  gi*azia  della  rima ,  per  esulto  ;  e  forse 
fondata  nella  non  del  tutto  improbabile  supposizione ,  che  f 
latini  yerhiexsultareQàexsaltare  dcrivinsi  da  sinonimi  fonti, 


CANTO  IV.  loi 

Io  vidi  Elettra  con  molti  compagni ,  121 

Tra'  quai  conobbi  ed  Ettore ,  ed  Enea , 
Cesare  armato  con  gli  occhi  grifagni. 

Vidi  Cammilla,  eia  Peotesilea  124 

miello  da  exilio  e  da  salio  j  e  questo  da  salto .  N* esalto  poi 
dice  o  per  enallage  di  tempo ,  invece  di  ri^ esaltai,  ovvero  fi 
diaotare,  che  durava  in  lui  il  contento  di  quella  vista  fino  al 
tempo  che  ciò  scriveva.  m-¥Chedel  vedere  ha  il  cod,  Vat.  3  igg. 
—  Che  di  vedere  in  me  stesso  rn* esalto ,  lezione  non  dispre- 
gevole del  codice  Ang.  —  L'AntaJd.  legge  y  me  stesso  nesal^ 
to.  EL  R.  ♦^ 

lai  Elettra,  Tutti  i  Comentatori  rìconx)6Cono  questa  ^let-» 
tra  per  quella  figliuola  d'Atlante,  moglie  di  Conto  Re  d'Ita- 
lia, che  di  Giove  generò  Dardano  fondatore  di  Ti^oia  :  e  co|i 
ragione  9  perchè  vieue  accompagnata  e  corteggiata  dagli  eroi 
della  discendenza  di  Dardano,  Ettore,  Enea  e  Cesare,  che  cU 
Enea  riconosceva  la  sua  origine  ;  ^ascetur  vulcra  troianus 
origine  Caesar  [a\ .  Solo  un  niodemo  (  il  Volpi  ) ,  senza  ad- 
dome ragione  alcuna ,  condro  il  comyn  parere ,  dice  esser  que- 
sta anzi  l'Elettra  figliuola  di  Aganiennone  e  Clitennestra ,  dal 
nome  della  quale  intitolò  Sofocle  un^  sua  tragedia ,  che  ancor 
si  legge,  VRKTfruj. 

122  Ettore y  figliuolo  di  Piìamq  Re  di  Troia,  e  di  tanto  va^ 
lore,  che  quasi  solo  fu  cagione  che  Troia  si  difendesse  dieci 
anni.  -^Enea^  figliuolo  d'Anchise  Troiano,  notis9i]^p  nell^ 
storie  e  nelle  favole»  Volpi. 

123  Cesare y  Giulio,  primo  Imperatore  romanoi^con  gif 
occhi  grifagni,  di  sparviere  grifagno:  accenna  gli  occhi  neri 
e  lucidi  che  dice  Svetonio  nella  di  lui  vita  aver  esso  avuto . 
^•t  con  occhi,  omesso  ^^^rtìcolo,  leggono  T Ang.  e  l'Antald, 
E.  R,  f.^ 

1 24  Canm^'lla^  donielì^  guerriera,  figliuola  di  M^tabo  Re  del 
Volsci ,  che  combattè  a  favore  di  Turno .  -  Pent^sil^a ,  Regina 
delle  Amazoni,  che  andò  in  socporso  de'Troianì ,  e  fu  upcisa  d^ 
Achille .  Vewtuhi,  m^F'idi  Cammilla  e  la  PentesHea  ;  -  Dal-^ 
r altra  parte  vidi  7  Re  Latino ,  ec;  cosi  pi*opone  di  leggere  jl 
Per^zzìni  [6],stimando  che  si  debbano  /separare  Jegu^rri^re  Cf^mm 

[pì\  Yirg.  Aeneidf  i.  386«  [b]  Correct.  in  Dant,  Cam,  YerpTiap  Y77$t 


io:e  inferno 

Dall'altra  i)arte,  e  vidi  1  Re  Latino^ 
Che  con  Lavinia  sua  figlia  sedea . 
Vidi  quel  Bruto,  che  cacciò  Tarquino;         127 
Lucrezia,  lulia,  Marzia,  e  Goroiglia, 
£  solo  in  parte  vidi  1  Saladino . 

nulla  e  Pentesilea  dal  paci  Geo  Zafmo  e  dairimbelleZaf^mia. 
Questa  interpunzione  pur  sì  liscontra  nel  codice  Antaldino, 
come  attesta  il  romano  Editore  ;  e  sembra  al  certo  da  preferirsi 
alla  comune.  — >Non  si  può  per  altro  dissimulare  che  la  co- 
mune lezione  può  reggere  e  sostenersi  del  pari,  avendo  Cam- 
milla  pugnato  per  Turno,  e  Pentesilea  a  favor  de'  Troiani,  ^-m 

125  Latino y  Re  degli  Aborigeni ,  padre  di  Lavinia. 

1 26  iMvinia ,  promessa  in  isposa  a  Turno  Re  de^Rntuli ,  e 
poi  sposata  ad  Enea  ;  cagione  che  adirato  Turno  muovesse  guer- 
ra a  Latino  e  ad  Enea.  Lavina ^  leggono  Fediz.  diverse  dalla 
Nidobeat.9  «-^rAng.,  il  Caeu  E.  R.  —  e  il  Val.  3 199.  4hì 

127  Bruto  ec.  Lucio  lunio  (e  non  Marco,  come  dice  un  mo- 
derno,  il  Volpi) 9  che  cacciò  di  Roma  Tarquinio  Superbo  ,  e 
diede  alla  patria  la  libertà.  Vertubi.  —  Tarquino  per  sincope 
scrive  Dante  in  grazia  della  rima  . 

1 28  Lucrezia ,  moglie  di  Collatino  y  violata  da  Sesto  Tar- 
quinio,  figliuolo  del  Superbo  y  la  quale  si  uccise  per  attestare 
la  sua  innocenza .  —  Julia ,  figliuola  di  Cesare  e  moglie  dì 
Pompeo  il  grande»  amantissima  del  marito.  "^Marzia ,  mo- 
glie di  Catone  utioense ,  ceduta  da  questo  per  moglie  ad  Or» 
tensioy  morto  il  quale,  ritornò  al  primo  marito.  —  Cornelia  y 
figliuola  di  Scipione Afiricano  il  maggiore,  e  moglie  dì  Grac- 
co, donna  di  rara  prudenza  e  facondia.  Venturi.  Comiglia 
per  Corneglia,  antitesi  a  cagione  della  rima . 

1 29  in  parte ,  vale  quanto  in  disparte ,  come  scrìsse  il  Boc- 
caccio: tratto  Pirro  da  parte  [a],  invece  di  tratto  in  disparte 
-—  Saladino ,  fu  Soldano  di  Babilonia ,  ed  eccellente  in  arme . 
Ed  il  Poeta  dice  averlo  veduto  solo ,  perchè  pochi  o  nessun  al- 
tro di  quella  generazione  s'è  renduto  famoso.  Ed  in  disparte y 
per  essere  stato  di  rcgion  lontana.  Vellutello.  m^  ce  Era  costui 
»  oriundo  di  Persia,  cioè  del  Kurdistan,  e  di  semplice  soldato  , 
M  messosi  a  militare  con  un  suo  fratello  sotto  Noradino  Re  della 

la]  Noi^.  9(1.  6. 


I 


CANTO  IV.  io3 

Poiché  innalzai  un  poco  più  le  ciglia ,  1 3o 

Vidi  1  Maestro  di  color  che  sanno , 
Seder  tra  filosofica  famiglia . 

Tutti  l'ammiran,  tutti  onor  gli  fanno,         i33 
Quivi  vid'io  e  Socrate,  e  Platone, 
Ghe'nnanzi  agli  altri  più  presso  gli  stanno, 

Democrito,  che  4  mondo  a  caso  pone,         i36 

»  Strìa  e  della  Mesopotamia,  pervenne  col  suo  valore  e  co*8uoi 
»  talenti  ad  essere  Soldano  dell'Egitto,  della  Sona  e  paesi  con*» 
»  tigoL  Ck>nquistò  Gerusalemme ,  di  cui  era  allora  Re  Guido  di 
3B  Lusignano.  Mori  colmo  di  gloria  e  di  figliuolanza  y  e  ricco  di 
»  stati  nel  1 1 94*  Percbè  fu  eccellente  neirarmi  e  dotalo  di  molta 
»  umanità  in  mezzo  alle  piii  sanguinose  gueiTe,  Dante  lo  col* 
»  loca  qui  tra  gli  eroi  infedeli,  e  a  bello  studio  lo  rappresenta 
»  solo  in  parte  y  cioè  in  disparte  y  essendo  fino  a  que' tempi 
a  stata  cosa  rara  l'umanità  ed  una  certa  costumatezza  i^  UH 
»  conquistatore  Maomettano .  »  Poggiali  .  4-c 

i3 1  Maestro  y  capo  y  principe  ;  intende  Aristotile ,  al  quale , 
dice  nel  Convito,  la  natura  più  aperse  li  suoi  segreti  [a]  y  ed 
il  quale  solo  a'  suoi  tempi  era  in  grandissima  voga*.  «*-  di  color 
chesannoy  vale  di  coloroy  che  sapienti  sonoyde^fitosofiyaotfoi^ 
cioè  sapienti  y  appellati  prima  che  Piltagora,  per  isfuggire  rai"* 
roganza  del  nome  y  scegliesse  in  vece  quello  di  filosofo ,  di 
amatore  cioè  solamente  della  sapienza.  Vedi  Gceron^  [^J  e 
Diogene  Laerzio  [e]. 

i33  »-»  Bella  è  la  variante  de*  codd.  Antald.  e  Caet.:  lo  nuw 
ran,  E  R.  —  e  così  pure  legge  il  Vat,  3 199, 4-« 

1 34  Socrate ,  filosofo  ateniese  y  maestro  di  Platone .  «*  Pia* 
toncy  pur  ateniese,  maestro  d'Aristotile. 

i35  Che^nnanzi  ec.  Vuole  accennare  «Ae  Socrate  e  Pia-» 
Urne  si  avvicinino  in  grandezza  di  fama  ad  Ai*istotìle  piii  di 
ogn*  altro  filosofo. 

1 36  Democrito  y  Abderita .  —  a  caso  pone ,  intendi ,  fatto , 
Seguitando  costui  la  dottrina  di  Leucippo,  insegnò  essere  il 
mondo  composto  di  certi  corpiqciuoÌi.inaivisil)ili  a  ca^o  uuili 
insieme.  Volpi. 

[a]  Tratt,  S.  cap.  5.  [b]  Tusc.  5«  [e]  Proem.  ad  vii.  philes, 


io4  INFERNO 

Diogenes,  Anassagora,  e  Tale, 
Einpedocles,  Eraclito,  e  Zenone: 

£  vidi  1  buono. accoglitor  del  quale,  189 

Dioscoride  dico  ;  e  vidi  Orfeo , 
Tullio,  e  Livio,  e  Seneca  morale, 

Euclide  geometra,  e  Tolommeo,  142 

1 37  Diogenes  o  Diogene y  Cinico ,  da  Sinope,  filosofo  ama- 
tore della  povertà  e  del  disagio ,  e  rigoroso  riprensore  degli  al- 
trui difetti.  Volpi.  — Anassagora ^  Clazomenio,  filosofo  do- 
gmatico antichissimo  ed  eccellente.  Volpi  .  —  Tale  o  Taleie^ 
Milesio,  uno  de'sette  Savj  della  Grecia.  Volpi. 

i38  Empedocles  o  Empedocle  ^  filosofo  d'Agrigento  9  città 
di  Sicilia  y  il  quale  compose  un  bellissimo  poema ,  della  natura 
delle  cose;  in  che  fu  poi  da  Lucrezio,  poeta  fatino,  imitato.  Volpi. 
— Eraclito y  d'Efeso,  filosofo  antichissimo,  i  cui  scritti  intomo 
alla  natura  delle  cose  erano  ripieni  di  oscurità.  VoLpi.^-Ze- 
noncy  Cittico ,  cioè  da  Cittico,  antica  città  di  Cipro,  principe 
degli  Stoici.  Fu  un  altro  Zenone,  detto  f/eate,  dalla  sua  pa- 
tria, dialettico  acutissimo.  Volpi. 

1 39  1 4o  7  buono  accoglitor y  Teccellente  raccoglitore  e  scrit- 
tore ;  ^^del  quale ,  il  concreto  per  l'astratto ,  per  della  qualità , 
della  virtù  cioè  dell'erbe,  delle  piante  e  delle  pietre  e  de' ve- 
leni e  loro  rimedj  ;  delle  quali  cose  scrisse  Dioscoride  d'Ana- 
zarba  nella  Cilicia.  —  Or/eo ,  nativo  di  Tracia,  figliuolo  d'f^- 
gro  e  della  musa  Calliope .  Fingono  i  poeti  che  costui  osasse 
tanta  maestria  nel  sonar  la  cetra ,  che  i  più  fieri  animali  e  gli 
alberi  stessi  concorressero  ad  udirlo.  Volpi. 

1 4 1  Tullio  y  Cicerone. — Liuio ,  legge  la  NidobeaU,  invece  di 
Linoy  che  leggono  tutte  l'altre  ediz.  ;  e  Livio  istoriografo  ro^ 
mano ,  ripete  nella  Nidobeatina  anche  il  comento.  Ed  ecco  tol- 
to così  il  congiungimento  di  cose  disparate  imputato  a  Dante  in 
questo  passo:  Guarderaiiiy  dice  il  Casa  nel  Galateo,  di  non 
congiunger  le  cose  difformi  tra  sé ,  come  :, 

Tullio y. e  Lino ,  e  Seneca  morale. 
Seneca  morale y  fu  Spagnuolo,  e  maestro  di  Nerone,  da  que- 
sti poscia  fatto  ammazzare.  Volpi.  m-^Lino  ha  rAntald.,eudf/ir 
no  legge  l'Ang.  E.  R.  —  e  il  Vat.  3 199.  4-« 

i4a  Euclide  y  il  celebre  autore  degli  elementi  geometrici* 


CANTO   IV.  io5 

Ippocrate,  Avicenna,  e  Galieno, 
Averrois^  che'l  gran  comento  feo. 

Io  non  posso  ritrar  di  tutti  appieno ,  1 45 

Perocché  sì  mi  caccia  '1  lungo  tema , 
Che  molte  volte  al  fatto  il  dir  vien  meno. 

La  sesta  compagnia  in  duo  si  scema  :  1 48 

—  Tolommeo  Claudio  9  rastronomo  e  geografo ,  autore  dell'in 
addietro  comunemente  ammesso  mondiale  sistema,  detto  Tb-* 
hmmaico. 

143  Ippocrate  f  medico  greco  antichissimo  ed  eccellente , 
nato  neir isola  di  0)0»  della  razza d'Esculapio.  Volpi. «-*^^i- 
cennay  Arabo ,  medico  eccellente.  Fioii  circa  gli  anni  di  no- 
stra salute  io4o«  YoLri.^^Galieno  appella  Galeno,  il  famoso 
medico  pergamene ^  0  per  uso  di  parlare  (appellandolo istes- 
samente  anche  nel  Corn^ito)  [a],  ojfer  epentesi  in  grazia  del 
metro. 

1 44*  ^verrois  o  Averroe ,  Arabo  9  gran  Comentatore  d'Ari- 
stotile) ma  empio  nelle  sue  opinioni.  YoL?i.  —  /*eo  per /i?\  ad 
iscliivare  Paccento  e  fare  la  rima  l'adoprò  j  tra  gli  altri ,  anche  il 
Gasa,  son  35.: 

Per  cui  la  Grecia  armassi^  e  guerra  feo  [&]. 

145  ritrar^  ponesi  qui  metaforicamente  per  descrivere y  per 
riferire. 

146  mi  caccia y  mi  spinge ,  mi  dà  fretta  ;  —  7  lungo  tenuta 
la  vasta  materia  del  mio  assunto,  m^  sìmmi stringe  ha  il  cod. 
Vat  3i99.4-« 

i47  ^l  fatto  il  dir  vien  meno,  non  può  il  dire  stendersi 
a  tutto  laccaduto. 

148  sesta  compagnia  y  per  compagnia  senaria ,  di  sei.^in 
due  si  scema  y  ellissi ,  invece  di  dire  y  in  due  parti  dividendosi 
si  scema  y  si  spicciolisce ,  rendesi  di  minor  numero.  Le  due 
parti,  nelle  quali  si  divide ,  sono:  Virgilio  e  Dante  una;  Ome- 
ro y  Orazio,  Ovidio  e  Lucano  T altra;  restando  questi ,  e  piro- 
seguendo quelli  il  loro  viaggio* 

[«]  Tralt.  1.  cap.  8.  [b]  —  *  Trovasi  però  anche  nelle  prose  He*  buoni 
•ntori  aatichi /i;o  peryè*.  Vedine  molti  esempi  nel  Mastrofmì,  Teo- 
ria €  Prosp*  de  verbi  italiani,  sotto  il  verbo  Fare  .  n»  6.  E.  R. 


io6  INFERNO 

Per  altra  via  mi  mena  1  savio  Duca 
Fuor  della  queta  nell'aura,  che  trema: 
£  vengo  in  parte ,  ove  non  è  che  luca . 

1 49  Per  altra  via ,  cioè  non  più  per  miella  che  passava  tra 

5 lì  eroi 9  piana  ed  aperta,  ma  per  un'altra  affatto  da  quella 
iversa,  per  cui  scendevasi  al  secondo  infemal  cerchio. 
i5o  l'uor  della  queta.  Che  non  fosse  Paria  nella  magio- 
ne degli  eroi  da* sospiri  agitata,  accennoUo  Dante  con  dire  che 
avevano  essi  sembianza  né  trista^  ne  lieta  [a].  —  nelVaura^ 
che  trema y  non  per  sospiri  sólamente,  come  al  di  là  delle 
sette  mura ,  ma  per  sospiri j  pianti,  ed  alti  guai,  come  dal 
seguente  canto  apparirà  • 

i5i  m^oife  non  è  chi  luca,  legge  il  Vat,  Si^g^^Hi 

[a]  Verso  $4. 


CANTO    V 


ARGOMENTO 

Perviene  Dante  nel  secondo  cerchio  dell' Inferno,  al- 
V entrar  del  quale  tnva  Minos,  giudice  di  esso  In- 
ferno, da  cui  è  ammonito,  cVegli  debba  guardare 
nella  guisa  ^  ch*ei  v'entri  •  Quivi  vede^  che  sono 
puniti  i  lussuriosi;  la  pena  de' quali  è  l'essere  tor- 
mentati di  continuo  da  crudelissimi  venti  sotto 
oscuro  e  tenebroso  aere .  Fra  questi  tormeìUati  ri^ 
conosce  Francesca  da  Rimino;  per  la  pietà  della 
quale s  e  insieme  di  Paolo  cognato  di  lei,  cadde 
in  terra  tramortito. 


G 


osi  discesi  del  cerchio  primaio  i 

Giù  nel  secondo,  che  nien  luogo  cinghia, 
£  tanto  più  dolor,  che  pugne  a  guaio. 

m^  Ci  chiama  Dante  in  questo  canto  a  meditare  la  mise- 
ria delli  carnali  ;  ma  Dante  sa  qnanto  sia  1*  uomo  soggetto  al 
potere  del  senso  :  Dante  conosce  quella  passione  che  lu  spesso 
lo  scoglio  e  degli  eroi  e  dei  sapienti  ;  e  Dante  parla  colle  voci 
della  compassione  e  del  più  tenero  affetto.  Ecco  la  ragione  poe* 
fica  dell'orditura  di  questo  canto,  e  della  rappi*esentazioue  del 
pietoso  fatto  di  Francesca  di  Arìmino,  che  lo  termina.  Scol  ari  .4-« 

a  cinghia  y  vai  quanto  cinge  j  circonda .  Neiresempio  del-, 
l'anfiteatro 9  recato  nel  precedente  canto,  u>  24*'  ^'  capirà  fa- 
cilmente come  di  mano  in  mano  debbano  i  più  bassi  infernali 
cerch  j  cinger  men  luogo ,  fare  un  più  ristretto  giro  . 

3  tanto  pia  dolor j  intendi,  Aa,  cioè  contiene  più  dolore; 
^  che  pugne  a  guaio  t  che  punge  e  loi*meuta  quelli  spìriti  lino 


io8  INFERNO 

Stavvi  Minos  orribilmente ^  e  ringhia:  '  4 

a  farli  guaire,  cioè  fino  a  farli  mandare  altissimi  lamenti  e  stri* 
da;  e  non  soli  sospiri,  come  nel  Limbo.  Guaio  è  propriamente 
la  voce  lamentevole  clic  manda  fuori  il  cane  percosso  (agnan* 
dosi,  e  allora  si  dice  il  cane  guaire  •  Vehtubi. 

4  Minos ,  figliuolo  di  Giove  e  d'Europa ,  Re  e  legislatore  dei 
Gretensi,  uomo  d'incontaminata  e  severa  giustizia ,  il  quale 
finsero  i  poeti  che  fosse  giudice  airinfemo  insieme  con  Eaco  e 
Radamante .  Vox.pi.  -  ringhia  ;  ringhiare ,  digrignare  i  denti, 
minacciando  di  mordere,  proprio  dei  cani,  vale  qui  dimo^ 
strarsi  pieno  di  sdegno  .  m^Stauui  Minos ,  e  orribilmente 
ringhia ,  cosi  il  cod.  Ang.  E.  R.  — -  La  descrizione  qui  fatta  di 
Minosse  ha  dato  a  molti  motivo  di  tacciar  Dante  d' insoppor- 
tabile stravaganza.  —  Landino  se  ne  trasse  d' impaccio  affer- 
mando che  Minosse  in  figura  di  bestia  feroce  e  ringhiosa  rap- 
presenta i  rìmoixlimcnti  e  i  latrati  della  coscienza.  -  Magalotti 
osservò ,  che  «  conoscendo  il  Poeta  l'obbligo  ch*egli  aveva  di 
»  uscire  piii  che  poteva  dall'  ordinario ,  rispetto  al  luogo  e  ai 
»  personaggi  ch'egli  aveva  tra  le  mani ,  andò  trovando  maniere 
»  strane  ed  inusitate  per  significare  i  loro  concetti.  »  —  Bia- 
gioii  null'altro  ha  scritto,  se  non  che  quella  coda  è  Vornamen^ 
to  più  proprio  di  lui ,  e  che  Dante  non  lo  poteva  rivestir 
del  robbone .  —  Riportate  dallo  Scolari  siffatte  opinioni  ,  né 
giudicandole  sufficienti  a  giustificare  il  Poeta  nostro ,  ed  a  mo- 
strare quanto  siasi  anche  qui  contenuto  entro  i  limiti  del  veri- 
simile nell'ordine  delle  cose  credute ,  si  fa  quivi  a  proporre 
alcune  sue  osservazioni ,  di  cui  ne  daremo  qui  un  brevissimo 
estratto,  rimettendo  i  curiosi  alle  sue  Note  » 

Minosse,  figlio  di  Giove  e  di  Europa,  regnò  in  Creta  fa-* 
moso  per  la  tremenda  vendetta  della  morte  di  Androgeo  ,  e 
per  molt'altri  ingiusti  fatti  e  crudeli .  Non  per  la  sua  giustizia 
adunque ,  ma  per  la  sua  ferrea  severità  e  fermezza  di  carattei*e 
fu  da' poeti  costituito  giudice  dell' Inferno.  Se  Dante  l'avesse 
giudicato  innocente ,  posto  non  lo  avrebbe  per  certo  nell*Iii- 
iemo  cristiano.  Ivi  ponendolo ,  s'avvide  non  convenirsi  rap- 
presentarvelo  come  giudice  dignitoso  e  tranquillo  che  senten- 
zia .  Lo  trasformò  quindi  in  un  mostro  orribile ,  incaricato  dalla 
divina  Giustizia  di  ordinare  quel  grado  e  qualità  di  pene  che 
fossero  le  piii  proporzionate  al  delitto  e  le  piii  corrispondenti 
al  supremo  volere.  A  dimostrar  poi  la  proprietà  ^  conveiù<e9za 


CANTO  V.  109 

Esamina  le  colpe  nelF entra ta: 
Giudica ,  e  manda,  secondo  ch'avvinghia. 
Dico  che ,  quando  l'anima  mal  nata  7 

Gli  vien  dinanzi,  tutta  si  confessa: 
E  quel  conoscitor  delie  peccata 

nell'invenzione  della  lunga  coda  di  Minosse,  osserva:  i.^  es- 
sere opinione  ricevuta  dai  Naturalisti  y  che  la  coda  sia  stata  data 
alle  firn  per  manifestare  con  essa  i  moti  delPanimo;  2.^  che 
nelle  sacre  Pagine  vien  riguardata  come  simbolo  di  possan- 
M  [a];  'iP  che  nei  geroglifici,  come  attesta  il  Valeriano  [Aj, 
rappresenta  la  non  curanza  di  coloro,  i  quali  nella  vita  lieta 
badar  non  vollero  al  termine  delle  cose  ed  alFavvenire.  Espo- 
ste siffatte  opinioni ,  conclude  col  dire  che  forse  Dante  de- 
rivò quest'immagine  da'principj  della  filosofia  naturale  degli 
antichi ,  tanto  in  voga  a  tempi  di  lui ,  sulla  preziosità  della 
spina  dorsale  9  da  cui  derivarono  le  morali  significazioni  di  essa 
e  della  coda,  termine  della  medesima,  che  fu  presa  quasi  per 
simbolo  del  fine  delle  cattive  azioni  degli  nomini ,  quelle  ap* 
punto  cui  Minosse  è  delegato  a  punire.  4-« 

5  neWentrataj  neirentrare  di  ciascun'anima. 

6  secondo  ch^ avvinghia ^  che  rivolge  intomo  a  sé  stesso  la 
coda;  cooie  in  seguito  spiega  Dante  medesimo.  Giudice  nel- 
r Inferno  Minos  10  hanno,  come  di  sopra  è  detto,  collocato 
altri  poeti,  T ornamento  però  della  coda,  come  a  giudice  in- 
fernale, e  cotale  compendioso  modo  di  sentenziare ,  sono  idee 
vaghissime  del  Poeta  nostro*  s-^  Qui  manda  va  spiegato  nel 
suo  proprio  senso,  che  è  quello  di  comanda;  ciò  che  fa  Mi- 
nosse quando  che  avvinghia  i  0  s^auyinghia^  come  vogliono 
alcuni  altri.  Scolari.  4-« 

7  mal  nata,  scianrata,  e  che  però  meglio  sarebbe  stato  per 
lei  il  non  nascere.  Vevturi  •  G)sl  di  fatto  disse  Gesti  Cristo  del 
suo  traditore:  honum  erat  ei,  si  natus  nonfuisset  [e].  Po- 
trebbe però  anche  cotal  aggettivo  avere  il  più  comun  senso 
d'ignobile  e  di  wfc,  sfornita  d'ogni  uirtù . 

8  m^ li  giunge  innante  ha  il  cod.  Ang.  E.  R.*^ 

q  peccata  f  peccati;  è  voce  latina:  dicesi  però  in  italiano  a 
quella  foggia  che  si  dice  carra ,  sacca ,  fusa ,  ginocchia ,  mem^ 

[a]  Ap.  e.  9.  V.  19.  [h]  De  ffierogljrpk.  lìb.  34-  [e]  Mali.  a6.  m.  a6. 


no  ì        INFERNO 

Vede  qual  luogo  d'Inferno  è  da  essa:  io 

Gignesi  con  la  coda  tante  volte, 
Quantunque  gradi  vuol  che  giù  sia  messa. 

Sempre  dinanzi  a  lui  ne  stanno  molte  :  i  i 

Vanno  a  vicenda  ciascuna  al  giudizio: 
Dicono,  e  odono,  e  poi  son  giù  volte. 

O  tu ,  che  vieni  al  doloroso  ospizio ,  1 6 

Disse  Minos  a  me,  quando  mi  vide, 
Lasciando  latto  di  cotanto  ufìzio, 

bra  j  ed  altre  simili  voci«  Volpi.  Se  però  carra^  sacca,  pua  f 
ginocchia  ec.  non  sono  voci  latine ,  ma  i  femminini  plurali 
di  carro  j  sacco  ec,  peixhè  vorrem  dire  voce  lAiìna  peccata , 
o  demonia? 

10  m^da  in  luogo  di  per^  ed  esprime  attitudine ,  proprietà 
e  convenevolezza.  Veggasi  il  Cinonio.  Magalotti.  4-« 

1 1  m^Cignesi:  alcuni  sospettano  che  debbasi  l^gere  ci^ 
gnele,  prendendo  in  senso  attivo  Vatt^inghia  del  u*  ò«,  come 
suonano  attivamente  gli  altri  verbi  di  queste  terzine ,  e  così 
il  senso  è  pili  naturale  e  piii  netto*  4-« 

la  Quantunque  per  quanti.  Vedi  il  Vocab.  della  Crusca . 
—  gradi  appella  gl'infernali  cerchj ,  e  bene^  perocché ,  come 
è  detto 9  sono  appunto  come  i  gradi  di  anfiteatro. 

i3  al  i5  »^In  questi  tre  versi  è  compresa  un'esattissima  e 
puntualissima  forma  di  giudizio.  Magalotti. 4-« 

i4  a  vicenda  qui  non  significa  sautìbievolmente^  ma  una 
dopo  r altra.  Vertubi. 

i8  Vatto  di  cotanto  uftzio.  Tatto  di  dudicarcj.  »-»Qiu 
tacciono  i  Gomentatori,  dice  Io  Scolari,  od  accennano ,  come 
isi  il  Biagioliy  Vufizio  del  giudicare ^  e  non  altro;  ma  al  giu- 
dicare non  si  restringe  solamente  l'uffizio  di  Minosse.  Davanti 
a  lui  le  anime  dei  perduti  sono  costrette  a  confessare  le  loro 
colpe;  egli  destina  loro  la  pena, pronunzia  sulla  qualità  del  luo- 
go che  nell'Inferno  è  da  esse;  gira  la  coda  intomo  al  ventre, 
quantunque  gradi  vuole  che  giù  sian  messe ,  ed  a  questo  se- 
gno del  suo  comando  l'anime  sono  precipitate  nel  baratro.  Co- 
nosci ato  cosi  il  vero  uffizio  di  Minosse,  pai^e  che  si  possa  ora 
meglio  valutare  la  fòrza  di  quel  cotanto.  —  Prima  dello  Sco- 


CANTO  V.  Ili 

Guarda  com' entri,  e  di  cui  tu  ti  fide:  19 

Non  t'inganni  l'ampiezza  dell'entrare. 
E  '1  Duca  mio  a  lui  :  perchè  pur  gride  ? 

Non  impedir  Io  suo  fatale  andare  :  2  2 

Vuoisi  cosi  colà ,  dove  si  puote 
Ciò  che  si  vnole ,  e  più  non  dimandare . 

Ora  incomincian  le  dolenti  note  a 5 

A  Tarmisi  sentire  :  or  son  venuto 
Là,  dove  molto  piantomi  percuote. 

Io  venni  in  luogo  d'ogni  luce  muto,  28 

lari  chiosava  a  questo  luogo'il  Poggiali  :  ce  lasciando  Patto  ec. 
»  >aol  dire:  interrompendo  V esercizio  dì  si  importante,  si  au- 
»  torevole,  ed  insieme  sì  terribile  ministero.  Qual  dignità  ^qaa^ 
»  le  enei^a  in  questo  versoi  »  4hì 

igdi  cui  tu  ti  fide:  accenna  la  fiducia  che  aveva  Dante 
nella  scorta  di  Virgilio.  fUde  per  fidi  j  antitesi  in  grazia  della 
rima. 

^olfon  ^inganni  ec.  Allude  BÌfacilis  descensusjivemi,.* 
Sed  revocare  gradum^  superasque  evadere  ad  auras^^Hoc 
opusj  hic  labor  est  [a].  Yeutvbi.  Ma  forse  ancora  all'avviso 
<ii  Gesii  Cristo:  Lataporta^  et  spatiosa  via  est  quae  ducit 
<^ perditionem  [A]. 

31  pur  gridai  O  la  particella  pzire  accenna  continuazione, 
come  se  invece  detto  avesse  :  perchè  continui  tu  a  gridare  ? 
0  è  meramente  riempitiva.  "^ gride  -per  gridi ,  antitesi,  m-*  Il 
Biagioli  la  pensa  diversamente,  e  dice,  cne  Virgilio  ricordan- 
<l^i  del  grido  di  Caronte ,  risponde  con  isdcgno  a  quello  di 
Mìqos  :  perchè  gridi  tu  pure  :  anche  tul  ^-m 

tifatale,  voluto  dal  fato»  voluto  dal  Cielo. 

ii  a4  F^uolsi  così  ec.  Le  stessissime  parole  dette  da  Vir^ 
gHio  medesimo  a  Caronte,  canto  iii.  qS.  96. 

30  note  per  voci» 

27  mi  percuote ,  intendi,  V orecchie . 

28  muto  per^rfVo,  catacresi,  m-^  Qui  si  noti  col  Magalotti , 
<^nie  stando  $eraprc  su  la  medesima  bizzarra  traslazione  di  at-* 

id]  Àen,  6.  i».  1^6.  1)8.  e  seg.  [b]  3faU,  7.  v,  i3. 


Ili  INFERNO 

Che  mugghia ,  come  fa  mar  per  tempèsta , 
Se  da  contrarj  venti  è  combattuto* 
La  bufera  ioferoal,  che  mai  non  resta ,  3i 

Irìbuire  il  proprio  della  voce  «1  proprio  della  vista ,  vaconti- 
nuamente  crescendo.  Nella  selva ,  dove  Toscurità  e  Tombra  era- 
no accidentali ,  la  luce  si  tace  (  i^.  60.  e  i .  )  •  Nell'atrio  deU'In- 
femoy'dove  roscorità  non  è  accidentale ,  ma  naturale ,  la  luce  è 
fioca  (  i/.  75.  e.  III.  ).  Innoltratosi  finalmente  nel  profondo  della 
valle,  per  dinotare  che  le  tenebre  non  sono  accidentali,  né  a 
tempo,  ma  spesse,  ostinate  ed  eteme,  la  luce  è  mieto  •  «-« 
3o  contrarj  venti ,  cagione  della  tempesta  « 
3i  bufera y  aria  fiiriosamente  agitata  a  modo  di  turbine.  Il 
Volpi  vuole  inoltre  che  venga  insieme  turbinando  pioggia  o 
neve ,  acciò  si  nomini  propriamente  bufera ,  amando  di  attener- 
si stretto  alla  Crusca .  Ma  il  Boccaccio ,  a  cui  forza  è  che  la  Gru* 
sca  si  sottometta,  non  vi  richiede  né  pioggia,  né  neve,  con* 
tentandosi  d'una  furia  impetuosa  di  vento,  che  s velia,  schianti , 
abbatta ,  rompa  quanto  gli  si  para  dinanzi.  VEvruRL-Titai  non 
resta y  non  resta  mai:  non  perchè  non  finisca  mai  di  soffiare, 
perchè  tosto  dirà  :  Mentre  che  7  vento ,  come  fa^  si  tace  ;  ma 
perchè,  sebbene  ha  di  tanto  in  tanto  qualche  pausa,  con  tutto- 
ciò  deve  essere  etemo  in  quel  tenore  ;  e  cosi  inteso  giustamente 
il  senso ,  non  vi  sarà  bisogno  del  vix  unquam  del  P.  d'Aqui- 
no per  addolcire,  come  die'  egli,  la  contraddizione  di  quei  due 
versi ,  eh' è  solamente  verbale  ed  apparente .  Veuturi  .  La  spic- 

S [azione  del  Venturi  conviene  con  quella  del  Daniello ,  il  qua- 
e  ,  a  quanto  veggo ,  fu  il  primo  ad  apprendere  la  difficoltà  di 
combinare  il  presente  con  quell'altro  verso:  Mentreche  ^lyentoy 
come  fay  si  tace.  Ma  io  credo  che  il  Daniello,  il  Venturi  e  il 
d'Aquino  falsamente  tutti  e  tre  suppongano  che  dicendo  Fran- 
cesca :  Mentre  che  7  ventOj  come  fa^  si  taccy  intenda  tacere, 
cioè  essere  cessata ,  la  bufera  non  solamente  per  sé  e  pel  com* 
pagno,  ma  per  la  schiera  tutta  de' lascivi.  E  perchè  non  ca* 
pirem  noi  piuttosto  che,  uscendo  i  due  amanti  della  schiera  ^ 
ov'è  Dido  [a],  dalla  schiera  de'Iascivi ,  lasciassero  essa  schiei*a 
nella  continuante  bufera?  e  che  tacere  il^vento  dica  Francesca 
rapporto  solamente  a  sé  ed  all'amante  compagno  ?»-»>Magalotti 

[a]  Verso  85. 


CANTO  V.  ii3 

Mena  gli  spirti  eoa  la  sua  rapiaa  ; 

Voltando,  e  percotendo  gli  molesta. 
Quando  giungon  davanti  alla  ruina,  34 

Quivi  le  strida,  il  compianto,  e'I  lamento; 

Bestemmian  quivi  la  virtù  divina. 
Intesi  eh' a  così  fatto  tormento  87 

spiega,  che  tanto  può  esser  vero  che  la  bufera  ricorra  a  volta 
a  volta,  come  che  sia  stata  prodigiosamente  sospesa;  e  non 
per  li  due  amanti ,  ma  in  grazia  di  Dante  9  che  per  divina  di- 
sposizione facea  quel  viaggio.  -*  Biagioli  usa  parole  diverse  e 
diffuse,  ma  sta  col  Yeulmì,  la  cui  opinione  anche  allo  Scolari 
sembra  la  migliore  .^-c 

3^  Mena ,  ti*ae  seco.  —  rapina  per  rapidità  •  Vedi  il  Y ocab. 
della  Crusca,  a-^cc  Male  spiega  il  Lombardi ,  come  nota  TE.F., 
»  rapina  per  rapidità ,  mentre  qui  ha  significato  di  rapimento 
»  in  giro ,  ossia  vortice  •  In  tal  senso  l'usò  pur  Dante  nel  Con^' 
n  yito  (fac.  1 15.)  ove  disse:  La  rapina  del  primo  Mobile  m^^ 

i'i percotendo  •  Chiosa  il  Daniello,  che  il  \eutopercotessef 
scagliasse  quelli  spiriti  contro  i  duri  massi  dell'infemalripa: 
intendendo  essa  ripa  significarsi  nel  seguente  verso  col  vocabolo 
di  nana  ;  e  cosi  appellarsi  dal  Poeta  allusivamente  alla  opinio- 
ne sua ,  d' essere  rinfernal  buca  un  ruinamento  di  ten'eno  av-< 
venuto  allorché  dal  cielo  in  terra  cadde  Lucifero  [a] . 

34  dai^anti  alla  ruina ,  secondo  la  prefata  chiosa  vale ,  in 
vicinanza  della  dirupata  sponda,  »-> Laudino  spiega  rKina 
allegoricamente  pel  cadere  della  cosa  amata.  -—  Magalotti  pel 
dirupamento  delfapertura,  giìiper  la  quale  è  disceso  il  Poeta, 
e  da  dove  sbocca  il  torrente  dell'aria  che  li  mena  in  giro«*Bia- 
gioii  intende  le  acute  punte  degli  scogli  ond'  è  irta  la  ripa  del 
girone  .'Lo  Scolari  chiosa  :  ce  rinicimo  di  Dante  non  va  sempre 
»  al  basso  ?  Minosse  non  fa  egli  voltare  in  giù  le  anime  che 
»  ha  giudicato  ?  A  che  dunque  tanto  ammaltii*e  sul  verso  : 
»  Quando  giungon  davanti  alla  ruinal»^-m 

35  Quivi  le  strida  ec*,  per  avvicinarsi  all'urto.  Esprime  ciò 
la  frequente  peripezia  de'lussuriosi  di  trovarsi  inaspcttatameu- 
le  ed  mevitabilmente  vicini  a  grandissimi  urti. 

[«]  lof.  xxztv.  lai.  e  segg. 

Fot.  I.  H 


ii4  INFERNO 

Sodo  dannati  i  peccator  carnali, 

Che  la  ragion  sommettono  al  talento. 
E  come  gli  stornei  ne  por tan  l' ali  4^ 

Nel  freddo  tem])o  a  schiera  larga  e  piena; 

Cosi  quel  fiato  gh'  spiriti  mali 
Di  qua,  di  là,  di  giù,  di  su  gli  mena:  43 

38  Sono  dannati j  legge  la  Nidob.;  eran dannati ,  l'altre 
edizioni.  —  ^11  cod.  Gass.  legge  ennoj  usato  anche  altrove  da 
Dante  per  sono*  E.  R.  »-> enno  legge  pare  il  Vai.  3 199* ♦-■ 

39  talentOj-pergeniojinclinazionej  anche  nelPurg.xxi.64* 

40  storneL  Questa  Toce  storneo  (chiosa  il  Venturi  }  nel  Vo- 
cabolario non  la  trovo  ancor  registrata .  Leggiadro  ay^^iso  per 
certo  (  risponde  il  Rosa  Morando  [a]) ,  e  da  sapergliene  gran- 
de. Ho  vergogna  a  dover  qui  dire^  che  storaci  non  ha  rori" 
gine  da  stomeo  9  ma  da  stornello  ;  e  che  questa  "voce  è  ac^ 
cordata  da  stornelli ,  conte  bei  da  belli  j  e  capei  da  capelli. 
Zm  Crusca  ha  registrato  stornello  :  anzi  questo  stesso  i^erso 
di  Dante  ne  vien  citato .  Non  è  però  men  vergognosa  cosa 
che  in  una  Firenze  siasi  di  fresco  ristampato  il  presente  poema 
colle  note  dello  stesso  Venturi ,  senza  neppure  una  virgola  di 
avvertimento  a  cotale  apertissimo  svarione .  -  neportan  l'ali  j 
ne  vengono  portati  dalle  ali,  ne  volano.  Sceglie,  al  paragone 
dell'irregolare  mossa  data  dal  vento  a  quelli  spiriti ,  il  volo  de- 
gli stornelli,  perocché  di  fatto  è  ìrregolarìssimo.  •-►Bellissima 
similitudine ,  e  cavata  con  finissimo  accorgimento  da  animali  t<s 
nuti  in  niun  pregio,  e  per  ogni  conto  vilissimi.  Maoai;.otti.-#-v 

4^  •sfiato,  per  vento,  ''gli  spiriti  mali.  Crede  il  Torelli 
che  il  sentimento  non  debba  continuarsi  nel  seguente  terzetto, 
e  che  dopo  mali  convenga  mettere  un  punto  fermo.  La-ragione 
è  che  Dante  non  avrebbe  detto  :  gli  spiriti  mali  gli  mena ,  re- 
plicando sii  due  volte  senza  necessità .  4-c 

43  al  45  Di  qua,  di  là,  G>ndegno  gastigo  a  quella  rea  in- 
costanza ed  agitazione  d'animo ,  in  cui  si  lasciano  i  carnali  da 
amore  trasportare.  •-►Espressione  felicissima  ed  inarrivabile 
di  quel  tormento ,  e  che  vince  quasi  il  vedere  stesso  degli  oc- 
chi. Magalotti  .  4-« 

[a]  Osserv.  sopra  Vlnf. 


CANTO  V.  ii5 

Nulla  speranza  gli  conforta  mai , 

Non  cbe  di  posa,  ma  di  minor  pena . 
E  come  i  gru  van  cantando  lor  lai ,  4^ 

Facendo  in  aer  di  sé  lunga  riga , 

Cosi  vid'io  venir ,  traendo  guai, 
Ombre  portate  dalla  detta  briga  •  49 

Perch'io  dissi:  Maestro,  chi  son  quelle 

Genti,  che  Faer  nero  si  gastiga? 
La  prima  di  color,  di  cui  novelle  5^ 

Tu  vuo* saper,  mi  disse  quegli  allotta. 

Fu  Imperatrice  di  molte  Svelle. 
A  vizio  di  lussuria  fu  sì  rotta ,  55 

46 1  gru.  Gra,  gma ,  grae ,  nome  di  uccello  noto  »  the  al- 
ami pronunziano  come  mascolino  y  ed  altri  femminino.  Vedi 
Q  Vocab.  della  Gr.  —  lai ,  propriamente  sono  versi  di  lamen* 
lo.  Dalla  significazione  poi  di  versi  lamentevoli  passò  a  ouella 
di  lamenti ,  di  voci  meste  e  dolorose  ;  e  in  questo  modo  fu  fire- 
qnentemente  usata  dai  Toscani .  Dante  poi  trasportò  qui  que* 
sta  voce,  significante  lamentevoli  veìvi ,  a  significare  il  lamen- 
tevole canto  dei  gru.  Rosa  Mobavdo  [aj. 

48  traendo  guai.  Trarre  guai  vale  lamentarsi  j  dice  e 
prova  con  varj  esempi  il  Vocab.  della  Crusca  [&] . 

4g  briga  dee  appellare  la  suddetta  bufera ,  avuto  riguardo 
all'accennata  origine  della  medesima  da  briga  y  contrasto  dei 
venti .  •-#>  Magalotti  nota  che  qui  briga  vale  lo  stesso  che  noia^ 
fastidio  f  tramaglio  •  ♦-■ 

5i  aer  nero  y  vale  quanto  vento  in  tenebroso  luogo  sof" 
fante,  m^aura  nera^  legge  TAng.  E.  R.  —  e  il  Vat.  3  igg.^-* 

53  allotta ,  per  allora  j  adoperato  da  buoni  antichi  anche 
b  prosa .  Vedi  il  Vocab.  della  Crusca . 

54  Fu  Imperatrice  ec.  Signoreggiò  molte  e  varie  nazioni  y 
le  quali  parlavano  diverse  lingue  ;  o  pure  fu  Regina  di  Babi- 
lonia, dove  prima  furono  confusi  i  linguaggi.  Vbvtubi  e  Volpi. 

bi  fu  sì  rotta  y  ebbe  cosi  rotto  ogni  ritegno .  »-^  Foima  di 
dire  assai  singolare  y  nota  il  Magalotti .  4-« 

[«]  Velie  ctUte  Osterà,  [b]  Sollo  il  verbo  Tirare,  |  1 17. 


ii6  INFERNO 

Che  libito  feMicito  in  sua  legge, 
Per  torre  il  biasmo,  in  che  era  condotta-. 
EU* è  Semiramìs,  di  cui  si  legge,  58 

Che  succedette  a  Nino,  e  fu  sua  sposa: 
Tenne  la  terra ,  che  1  Soldan  corregge  • 

56  Che  libito  ec.  Gostruz.  Che  in  sua  legge  felicito  libi" 
io  j  cioè  stabili  che  fosse  lecito  tutto  ciò  che  fosse  libito  j  che 
piacesse . 

57  Per  torre  ec,  per  rimovere  da  sé  quel  giusto  biasimo 
che  la  sua  impudica  condotta  le  cagionava . 

58  Semiraniìs  y  il  latino  e  greco  nome  di  Semiramide  y  la 
detta  Regina  di  Babilonia . 

59  Che  succedette  ec,  Sinchisi  in  grazia  della  rima ,  in- 
vece di  dire  che  fu  sposa  di  Nino  j  e  succedette  nel  regno 
ad  esso  • 

60  che  7  Soldan  corregge  y  che  ora  (parla  del  suo  tempo) 
governa  il  Soldano ,  ed  ivi  suol  far  residenza:  essendo  attempi 
nostri  de'Turchi  y  da  poi  che  se  ne  insignori  Selim,  padre  di 
Solimano.  Ma  qui  il  Poeta  piglia  uno  sbaglio  y  ed  equivoca , 
perchè  la  Babilonia  edificata  da  Semiramide  è  quella  della  Gal* 
dea;  e  la  Babilonia  y  che  fu  reggia  del  Soldano»  è  quella  di 
Egitto,  detta  altramente  il  Cairo.  Ybrtubi.  U opposizione  (ri- 
sponde il  Rosa  Morando  )  è  trascritta  dal  saggio  d^aicune 
postille  y  che  fece  a  Dante  il  Tassoni  y  datoci  dal  Mur€Uori 
nella  sua  vita .  Ma  ciò  lasciando  daWun  desiali  j  è  falso 
che  Dante  in  questo  luogo  equivochi  da  Babilonia  sul  Nilo 
all'altra  sulV Eufrate:  qui  non  si  parla  di  Babilonia,  ina 
si  dice  y  che  Semiramiae 

Tenne  la  terra ,  che  1  Soldan  corregge  , 
cioè  regnò  in  quel  paese  ,  che  ora  (parla  del  suo  tempo)  è 
sotto  il  dominio  del  Soldano  y  e  s'intende  dell' Egitto  j  della 
Seria  y  e  di  tutte  V altre  provincie  y  che  a*Soldani  furon  sog^ 
gette.  La  9oce  terra  in  nostra  lingua  non  significa  s€>io  città, 
ma  significa  ancora  regione ,  paese ,  e  provincia.  Esempio 
tutto  a  proposito  se  ne  ha  nel  Tesoro  di  Brunetto  Latini: 
il  Re  Nino  tenne  in  sua  signoria  tutta  la  terra  d^Asia  •  «Semi- 
ramide  successe  nel  regno  a  Nino  suo  marito  >  da  cuiy  se^ 
condo  Ctesia  Gnidio  y  riportato  da  Diodoro  (lib.  a.  cap.  i .) 
furono  soggiogati  V Egitto  y  la  Soria  y  e  molte  altre  provine 


CANTO  V.  117 

L'altra  è  colei,  che  s' a ncise  amorosa,  61 

£  ruppe  fede  al  cener  di  Sicheo: 


eie;  anzi  pure  tutti  ipopoli  iV  Oriente ,  seprestiam  fede  a 
Giustino  j  che  lo  ci  attesta  nelle  prime  linee  della  sua  sto^ 
ria  [a].  9-^  Se  io  avessi  ad  esaminarmi  per  la  verità  delF  In- 
tenzione che  credo  abbia  avuto  Dante ,  io  starei  y  dice  il  Ma- 
galotti ,  col  Daniello  e  Venturi  ;  tanto  più  che  ai  tempi  di  Dan- 
te non  si  aveva  cosi  esatta  notizia  di  geografia  da  non  poter 
prendete  equivoco  intomo  ad  una  città,  nella  quale  era  facilis- 
stmo  l'equivocare .  Chi  però  sostener  volesse  che  Dante  non 
abbia  errato  9  potrebbe  farlo  col  dire,  che  perSoldano  intese 
quegli  stesso  che  nel  suo  tempo  signoreggiava  la  vera  Babi- 
lonia di  Semiramide  j  essendo  la  voce  Soldano  nome  di  di- 
gnità ,  e  perciò  convenevole  ad  ogni  principe  .  4-« 

61  6a  colei  j  intende  Didone  moglie  di  Sicheo  9  la  quale  j 
secondo  racconta  Virgilio  [&]  9  dopo  di  aver  promessa  al  de- 
fimto  marito  castità  vedovile ,  innamoratasi  ed  isposatasi  al- 
l'ospite Enea ,  e  dal  medesimo  abbandonata  ,  per  ismania  si 
uccise.  Il  Petrarca  (avvisa  il  Venturi)  nel  Trionfo  della  Ca- 
stità rispettosamente  senza  nominarlo  riprende  Dante  ;  e 
restituisce  a  Didone  la  fama  toltale  e  dal  latino  poeta 
maestre j  e  dal  poeta  toscano  discepolo  j  là  do^e  canta' 
Taccia  7  i^ulgo  ignorante:  indico  Didoj 
Cui  studio  d* onestate  a  morte  spinse  j 
Non  vano  amer  ^  cornee  7  pubblico  grido . 
Ma  non  è  stato  il  primo  a  dir  lo  stesso  dopo  Virgilio  il 
poeta  toscano  discepolo:  già  detto  lo  avevano  molto  prima 
di  lai  altri  poeti  latini  discepoli  e  condiscepoli  [e],  Ovidio  > 
tra  gli  altri  [d]  y  e  Silio  Italico  [e] .  Les  sapants  sont  parta-- 
gès  sur  la  perite  de  cette  histoire ,  avvisa  perciò  nel  suo  Di- 
xioiiario  storico  il  Moreri .  —  s*ancise  y  il  medesimo  che  si  uc^ 
dse.  Vedi  il  Vocab  della  Gr.  •-►Molto  opportunamente  a 
onesto  proposito ,  dice  lo  Scolari ,  ha  il  Biagioli  osservato  che 
il  Petrarca  nel  Trionfo  della  Castità  sta  per  un'opinione  y  e 
nella  canzone  :  Verdi  panni  ec.  sta  per  Taltra .  4-« 

f'I  Osserv* sopra  l'inf.  a  questo  passo.  [V]  Aeneid.ts,  [e]  Adoprasi 
cotal  tennine  rapporto  ad  Ovidio ,  che  fiori  coDtemporanearoente  a 
Virgilio,  [d]  Bpist.  Heroid.  7.  [e]  Lib.  vui. 


ii8  INFERNO 

Poi  è  Gleopatràs  lussuriosa. 
Elena  vidi,  per  cui  tanto  reo  64 

Tempo  si  volse;  e  vidi  'i  grande  Achille, 
Che  con  Amore  al  fine  combatieo . 

63  CUopatràs  j  la  famosa  real  cortigiana  di  Egitto  »  per 
eoi  Antonio  ripudiò  Ottavia.  VairTvai.  Cleopairàsj  invece  di 
Cleopatra ,  è  piaciato  agli  Accademici  della  Crusca  d' inse- 
rire nella  loro  edizione ,  per  aver  cosi  trovato  scrìtto  in  al- 
<{uanti  mss.;  sema  cioè  avvertire  che  un  numero  assai  mag- 
giore di  mss.  •-►  tra*  quali  y  come  accenna  V  E.  R* ,  anche  i 
codd  Caety  Ang.  e  VaL  Sigg.^-*  ed  inoltre  1*  edizioni  tutte 
leggevano  Cleopatra;  e  che  finalmente  Cleopatràs  non  è 
nome  né  greco ,  né  latino  j  né  italiano  • 

Il  sig.  Bartolommeo  Perazzini  pare  che  accordi  Cleopatràs^ 
ai&nchè  possa  reggere  il  verso.  Versus  y  dice ,  procul  tiubio 
ita  regendus  est: 

Poi  è  Cleopatràs  lussuriosa. 
Senza  però  cotale  tenninazione  e  cotale  accento,  batta  che 
si  pronunzii  Cleopatra  al  modo  che  si  pronunzia  da'Grecie  dai 
Latini  penultima  correpta  y  come  avvisa  Roberto  Stefano  [a]. 
•-►  Ciò  non  pertanto  ci  parve  meglio ,  per  l'armonia ,  di  adot- 
tare con  la  Crusca ,  Perazzini  e  Biarioh ,  il  Cleopatràs,  <*-■ 

64  65  Elena.  Tutti  i  Comentaton  naxrano  Elena  moglie  di 
Menelao ,  dal  troiano  Paride  rapita  :  e  solo  il  Landino  vi  ag- 
giunge ,  come  ad  abbondanza  :  benché  alquanti  dicono  che 
non  la  rapì  j  ma  essa  di  sua  polontà  lo  seguì.  Ma  questa  è 
la  circostanza  appunto,  per  cui  sola  potè  Dante  collocare  Elena 
tra*  lussuriosi.  E  tra  gli  alquanti  dal  Landino  accennati,  te^ 
s tifica  cotale  importante  circostanza  l'istoriarle  eaccidioTroiad 
attribuita  a  Darete  Frigio,  scrittore  piii  antico  d'Omero,  '^per 
cui  tanto  ec,  per  cui  passarono  anni  tanto  sanguinosi  per 
guerre  fira' Troiani  e  Greci .  ^  Achille  ^  figliuolo  di  Peleo  e 
Ted,  l'eroe  d'Omero  nella  Iliade.  Voi.pi.  Perchè  tra'  lussuri 
sia  messo  vedi  la  nota  seg.  •-►Tocca  di  passaggio,  dioe  Ma 
lotti  9  e  con  nobilissima  maniera  la  guerra  de'Greci,  e  le  ulti 
calamità  de'  Troiani  •  —  E  vidi  Elèna  ha  il  cod.  Ang.  E.  R. 

66  con  Amore  alfine  combatteo.  O  allude  all'amore  «  B: 

[a]  Thesaur*  ling.  lai.  art.  Cieopaira. 


CANTO    V.  119 

Vidi  Paris,  Tristano;  e  più  di  mille  67 

Ombre  mostromrai,  e  nominoUe  a  dito, 

seide  portato  >  per  cui  si  ritirò  da  combattere  ;  o  all'amore  por- 
tato a  Polissena  j  sorella  di  Paride ,  da  cui  fu  ^  nell'atto  di  spo- 
sarla y  a  tradimento  ucciso  ;  e  non  all'amore  di  Deidamia  j  come 
Tuole  il  Vellutello,  che  c'infrasca  ancor  questo:  che  ciò  fu  la 
prima  prodezza  di  questo  eroe,  quando  era  in  abito  femmi- 
nile: o  pure,  che  combatto  alla  fine  con  Amore,  opprimen- 
do i  Troiani,  per  vendicare  l'amato  Patroclo,  ucciso  da  Etto- 
re. VniTVBi.  Egli  però  cosi  parla  del  Yellutello,  perchè  non 
capisce  l'obbligo  che  il  Vellutello  adempie,  ed  esso  ometter^ 
d'insieme  istruirci  della  cagione,  per  cui  Dante  ponga  Achil- 
le tra'  lussuriosi  •  AchiUe  {  ecco  la  chiosa  del  \ellutello  )  si 
rende  lussurioso  e  lascivo  :  prima  per  aver  conosciuto  Dei*- 
damiaj  figliuola  di  Licomede ,  la  quale  di  lui  generò  Pirro 
(  chi  non  vede  quanto  a  dimostrar  Achille  lussurioso  vi  stia  be- 
ne ,  anzi  dì  necessita ,  infrascata  questa  prima  di  lui  pro^ 
dezza  ?  );  poi  condotto  per  opera  a  Ulisse  a  Troia  nelfe^ 
serciio  de  Greci ,  ^ '  innamorò  e  possedè  /'  amore  di  Bri" 
seide ,  figliuola  di  Brisseo  sacerdote  ,  la  quale  essendogli 
tolta  da  Agamennone ,  soffri ,  per  grave  sdegno ,  star  piii 
tempo  senza  colersi  armare  ,  e  che  i  Greci  fossero  malme^ 
nati  da*  Troiani .  Ultimamente  s*  innamorò  di  Polissena 
figliuola  di  Priamo  y  e  trattando  con  Ecuba  j  madre  di  leiy 
di  volerla  sposare ,  si  condusse  per  questo  nella  città ,  ove 
fu  da  Paris  a  tradimento  ucciso  ;  onde  il  Poeta  dice ,  che 
alfine  combattè  con  Amore .  -  combatteo,  per  combattè  j  e 
pel  costume ,  altre  volte  detto ,  di  volentieri  schivare  gli  an- 
tichi l'accento  su  1'  ultima  sillaba,  ed  insieme  per  adattarsi 
alla  rima.  Combattere  però  non  ha  qui  senso  di  guerreggiare, 
ma  di  capitar  male ,  0  di  perire  . 

67  Paris.  È  incerto  se  Dante  voglia  intendere  Paride  troia- 
no, 6gliaolo  di  Priamo  e  rapitore  di  Elena,  notissimo  nelle 
£ivole  ;  o  pure  uno  degli  erranti  cavalieri,  famosi  ne'romanzi, 
di'ebbe  tal  nome.  Volpi  -  Tristano,  nepote  del  Re  Marco  di 
Gyrnovia  (  di  Cornovaglia  altri  scrìvono  ),  ed  il  primo  de  'ca- 
valieri erranti  che  Artà  Re  di  Brettagna  tenesse  in  corte,  co- 
me si  legge  nel  libro  degli  antichi  romanzatorì:  amò  la  Reina 
Isotta ,  donna  d' esso  Re  Marco ,  il  quale  trovatoli  in  fatto ,  ferì 
a  tradimento  Tristano;  della  quale  ferita  fra  brevi  giorni  si 

mori.  VzliLVTELLO  . 


120  INFERNO 

Ch'Amor  di  nostra  vita  dipartille . 

Poscia  ch'io  ebbi  il  mio  Dottore  udito  70 

Nomar  le  doaue  antiche,  e  i  cavalieri, 
Pietà  mi  vinse,  e  fui  quasi  smarrito. 

Io  cominciai:  Poeta,  volentieri  73 


69  di' amor  di  nostra  vita  dipartille^  le  quali  Amore  aveva 
dipartite  di  questa  nostra  mortai  vita  ;  volendo  in  sentenza  in- 
ferire 9  che  esse  erano  morte  per  amore.  Vellvtello.  Semirami- 
de, di  fatto  9  cunt  concubitumftliipetiissetj  ab  eodem  interfe* 
età  est  j  narra  Giustino  [a] .  Cleopatra ,  condotta  dalF  amore 
verso  Marc' Antonio  ad  esser  divenuta  prigioniera  d'Ottaviano 
Augusto  9  per  evitare  lo  scorno  di  essere  da  Ottaviano  menata 
in  trionfo,  da  sé  stessa  si  uccise  [&].  Elena,  avendo  col  suo 
adulterio  con  Paride  cagionata  la  guerra ,  in  cui  mori  Tlepole- 
mo,  fu  perciò  da  Polisso,  moglie  di  Tlepolemo,  fatta  strozzarefc]. 
Paride  (  il  Troiano  )  medesimamente ,  per  essere  colla  sua  libi- 
dine stato  cagione  del  distruggimento  della  sua  patria  e  del 
regno,  fini  i  giorni  suoi  trucidato  \d]  •  Di  Tristano  e  Didone 
è  già  detto  a  suo  luogo.  Tutti  adunque  i  nominati  furono  per 
cagion  d'amore  tolti  di  vita.  »->  Magalotti  chiosa  :  «  della  morte 
»  delle  quali  fu  cagione  illecito  amore  ;  »  e  Biagioli  :  «  le  quali 
»  (ombre)  diparti  amore  della  vita  nostra.  >9  Qui  riflettendo 
lo  Scolari  che  V  illecito  del  Magalotti  non  è  necessario  al  pen- 
siero di  Dante ,  e  che  Biagioli  ha  dato  per  interpretazione  la 
cosa  stessa ,  si  fa  a  spiegare  il  verso  in  questo  modo ,  ritenen- 
do che  Dante  sia  quello  che  parla  :  Le  Ombre  che  Amore  di' 
sgiunse  dalla  vita  che  noi  godiamo .  4-s 

72  Pietà  mi  vinse  ec.  Dee  qui  il  Poeta ,  accennando  sé  pure 
macchiato  dal  vizio  gastigato  in  costoro,  voler  esprimerne  e  la 
compassione  verso  i  medesimi ,  e  lo  smarrimento  e  paura  per 
propria  parte.  GÌ'  istessi  due  effetti  esprimerà  in  progresso  pu- 
re con  Francesca  da  Polenta  ,  dicendole  : 

Francesca ,  i  tuoi  martiri 

A  lagrimar  mi  fanno  tristo ,  e  pio  [e]. 

[a]  Lib.  1.  cap.  «.'  [b]  Svel.  io  Àug,  ca)>.  17.  [e]  Pausaiiìa  iipp«i  Nettai 
Conti,  3frihoiog,ì\b.  6.  cap.  a3.  [d]  Lo  stesso  Sfatai  Conti,  ivi. 
[e]  Verno  1 16.  e  sc^.  di  questo  canto. 


CANTO  V.  121 

Parlerei  a  que'duo,  che  'nsieoie  vanno, 
E  paioQ  sì  al  vento  esser  leggieri . 
Ed  egli  a  me:  vedrai. quando  saranno  76 

Più  presso  a  noi  ;  e  tu  allor  gli  prega 
Per  quell'amor,  che  i  mena;  e  quei  verranno. 

•-►Non  trovando  ragione  di  credere  macchiato  il  Poeta 
dal  vizio  gastigato  in  costoro  ^  come  troppo  facilmente  ac- 
cenna il  Lombardi  y  noi  vogliamo  intendere  che  fosse  vinto  da 
pietà  per  sola  compassione  verso  i  medesimi.  —  Nota  qui  Bia- 
gioii:  OT sta' alla  lettera ,  e  credi  che  per  la  pietà  che  lo  vinse 
»  di  quegli  infelici  amanti ,  fu  quasi  smarrito  ;  e  non  già  per 
»  paura  di  sé ,  come  sogna  il  LombaitLi .  »  -  Pietà  mi  giunse , 
legge  il  cod.  Ang.  E.  £.  —  ed  anche  il  Vat.  3 199.  ^-m 

78  m-^eiy  legge  il  Lombardi,  e  chiosa:  «sincope  d'e//i ,  adope- 
»  rato  dagli  antichi  nel  retto  caso  e  nell'obbliquo  [a],  equivale 
a  qui  a  loro.  -  ch*ei  mena^  dice  cosi  invece  di  dii*e,  ch*è  loro 
»  cagione d^essere  da  quella  buferadimenati,ì>'DiyeT8SL'm€i^ 
te  la  pensa  il  Biagioli  e  spiega:  ch*eglimena  insieme-,  perchè 
Dante,  dic'egli ,  altiìmenti  li  pregherebbe  per  lo  tormento  che 
gh  alBigge,  comodai  senso  dei  versi  i  o4*  e  1  o5.di  questo  canto. 
—  Magalotti  chiosa:  a  per  quelPamore  cK^ei  si  portai^ono.  E£- 
»  ficacissima  preghiera  e  convenientissima  a  due  amanti,  scon- 
»  giurarli  per  lo  scambievole  amore.» — Vuole  il  Perazzini  che 
qui  si  legga  che  i  invece  di  ch^ei ,  notando  che  questa  lezione 
tu  già  inmcata  dall'eruditissimo  Giuseppe  Tomasclli ,  non  tro* 
vandosi  esempio  dellei  in  caso  accusativo  :  Est  enim  (soggiun- 
ge) ìpro  li ,  ut  nos  (Lombardi)  dicere  solemus;  e  ne  riporta 
ad  esempio  i  versi  seguenti:  La  sconoscente  ^ita ,  che  ife*soz^ 
zi  [A]  ;  -  Inftno  al  pozzo ,  che  i  tronca  ,  e  raccogli  fc];  -  Pur 
come  gli  occhi j  eh* al  piacer ,  che  i  mow  [d].  —  Che  i  legge 
pur  anche  il  VcUutelIo  ;  —  che  i  aiTermano  d'aver  trovato  nei 
codici  piii  antichi  e  piii  accuratamente  scritti  gli  Editori  del- 
la E.  F.,  credendo  essi  pure  che  la  voce  1 ,  e  non  ei ,  sia  quella 
che  significhi  gli  [e].  —  Anche  il  Vat  3 1 99  legge  che  1.  -  Che 

f«]  n  Cinon.  Partic  loi.  ia.  dice:  et  voce  sincopata  dì  egli]  ma  po- 
teva per  qaesto  esempio  di  Dante  dirla  sincopala  anche  dV///.  \ò]  Inf. 
ynu  V,  S3.  [e]  Inf.  zvtii.  v.  i8.  [d\  Farad,  zìi.  v*  a6.  [è\  YeUi  il  Vocab. 
dcUa  Cr.  lettera  I,  $5.  y.  e  vi. 


iM  INFERNO 

Si  tosto  j  come  1  vento  a  noi  gli  piega ,  79 

Muovo  la  voce:  o  anime  affannate , 
Venite  a  noi  parlar,  s'altri  noi  niega. 

Quali  colombe,  dal  disio  chiamate,  81 

Con  l'ali  aperte  e  ferme  al  dolce  nido 
Yengon  per  aere  da  voler  portate  ; 

i  sia  aferesi  del  pronome  /f ,  ed  antica  maniera  di  favellare ,  lo 
dimostra  pure  con  molti  esempj  il  eh.  cav.  Monti  nella  sua 
Proposta  [a].  -  Tutte  queste  ragioni  ci  hanno  persuasi  a  sco- 
starci,  senza  tema  di  esseme  ripresi,  dalla  Nidob.y  leggendo 
che  i*  Questa  lezione  è  pur  seguita  dall'E.  R.  nella  sua  3.  ediz^ 
ma  senza  addume  ragione  alcuna  che  la  giustifichi .  4-« 

yg  Wh¥  piega  invece  di  piegò  j  scambiamento  di  tempo  9  in 
relazione  al  Mossi  che  segue.  G>si  chiosa  il  Torelli ,  che  qui 
legge  colla  Crusca  •  «mi 

80  Muoi^o,  che  hanno  trovato  in  un  ms.  gli  Accad.  della Cr., 
accorda  con  Sì  tosto  ,  come  7  i^ento  a  noi  gli  piega ,  e  non 
già  Afossi  9  che  j  solamente  perchè  trovato  in  un  maggior  nu- 
mero di  ms.y  vi  hanno  essi  Accademici  inserito  in  luogo  di 
A^ioi^o  ;  contro  però  al  costume  loro  lodevole  di  non  badar 
tanto  al  numero  de' testi,  quanto  alla  convenienza.  m^Afuoi^Uo 
la  uoce  j  ha  il  VaU  3 199*-  o  anime  affannate  i  aggiunto  di  mi- 
rabile proprietà ,  e  senza  dubbio  il  piii  proprio  che  dar  mai  si 
possa  ad  anime  tormentate  da  si  fatta  pena .  Magalotti.  ♦« 

8 1  F^enite  a  noi  parlar  :  fa  servire  la  stessa  a  e  per  segna- 
caso al  pronome  noi ,  e  per  preposizione  al  verbo  parlare  ; 
come  se  detto  fosse:  venite  a  parlar  a  noi . 

82  air84  Quali  colombe.  È  la  colomba  animale  molto  los- 
surioso ,  e  per  questo  gli  antichi  dedicarono  la  colomba  a  Ve- 
liere •  Lavdiko.  "Con  Tali  aperte  e  ferme  :  positura  in  cui  le 
colombe  ed  i  volatili  tutti  tengono  l'ali  mentre  abbassano  il  volo 
per  posare ,  e  perciò  atta  ad  esprimere  il  volo  delle  colombe 
tendenti  a  ricovrarsi  nel  loro  nido.  ^^Vengonper  aere  da  'vo- 
ler portate^  vengono,  sono,  per  aria  portate,  mosse,  dal  volere, 
dalla  volontà,  accondiscendente  al  detto  disio  \{xro."F^olanper 
Vaer  dal  voler  portate  j  leggono  TedizionidiversedallaNidob. 

[a]  Voi.  ni.  P,  1.  fac.  8o. 


CANTO   V.  ia3 

Colali  uscir  della  schiera,  ov'è  Dido,  85 

Venendo  a  noi  per  l'aere  maligno, 
Si  forte  fìi  r affettuoso  grido. 

0  animai  grazioso,  e  benigno,  88 

Che  visitando  vai  per  Taer  perso 

B-^dal  voler  j  dal  desio  de'  loro  nati .  Biaoioli  •  —  Graziosìssf- 
ma  similitndiiie  epiena  di  tenero  e  compassionevole  affetto.  Gli 
ultimi  due  Tersi  possono  avere  due  sentimenti ,  cioè:  i.^  volan 
per  Taere  con  Tali  aperte  e  ferme  9  cioè  dirette  al  dolce  nido 
[fisse  e  ri%^olte  intende  pare  il  Torelli  )  ;  2.^  volano  al  dolce 
nido  con  Tali  aperte  e  ferme,  descrivendo  in  tal  guisa  il  volo 
delle  colombe  9  quando  con  Tali  tese  volano  velocissimamente» 
sema  ponto  dibatterle  ;  in  che  si  raffigura  un  certo  non  so  che 
più  di  voglia  e  di  desiderio  di  eiugnere.  Magalotti  •  —  ali  a/* 
tate,  al  %^.  83*9  leggono  i  coda.  Antald.9  Ang.  e  Caet.  E.  R.  -  e 
il  Yat.  3 1 99.  *  Fengon  per  Caere^  leggono  pure  i  codd.  Caet., 
Antald.  e  la  3.  ediz.  rom.  —  Volan  per  Vaer^  Ws^  ^1  Biagioli 
(che  difende  l'antica  lezione  )  l'Ang.  E.  R.  — '  e  il  V at.  3 1  QQ.'^hì 

85  o»^'  è  Dido*  Sceglie  tra  gli  altri  personaggi  Dido  per 
esigenza  della  rima,  m-^  Non  per  la  rima  9  nota  Biagioli,  ma  per 
essere  fina  tutte  quell'ombre  famosa  9  a  motivo  del  suo  tragico 
fine.4Hi 

86  F^enendo  a  noi  per  Paere  maligno  9  la  Nidob.;  jé  noi 
venendo  per  Vaer  maligno  9  Taltre  ecuz.9  »-►  il  Vat.  3 199  9  il 
Biagioli  9  che  disapprova  la  lezione  della  Nidob.  9  e  i  codici 
Ca^  e  Ang*  E*  R.  4-«  maligno^  per  infetto^  pestifero^  peroc- 
ché infiemale. 

87  Sì  forte  j  vale  così  possente  ^  efficace]  -*  F affettuoso  gri* 
doy  o  perchè  supponelo  fatto  nel  modo  che  Virgilio  suggerì  9 
Per  queir iunorj  che  i  mena;  ovvero  per  l'affetto  di  compassio- 
ne che  ben  da  per  sé  stesso  dimostra  quelVo  anime  affanna' 
te  9  -  Venite  ec. 

88  animale j  per  uomo  9  il  genere  per  la  specie;  quello  che 
diversificava  Dante  dalla  parlante  Francesca  dell'animalità  spo- 
gliata •  m^  grazioso  9  e  benigno  :  per  atto  di  gentilezza  usatole 
m  darle  campo  9  raccontando  i  suoi  avvenimenti  9  di  dare  al- 
quanto di  sfogo  al  dolore .  Magalotti.  4hì 

6^ perso  9  nome  di  colore  ;  adopralo  qui  a  cagion  della  rima 
ui  vece  di  nero  0  di  oscuro .  Perso  (ne  spiega  Dante  medesimo 


i!i4  INFERNO 

Noi  y  che  tignemmo  '1  mondo  di  sanguigno , 
Se  fosse  amico  il  Re  dell'  universo ,  g  i 

Noi  pregheremmo  lui  per  la  tua  pace, 
Da  eh'  hai  pietà  del  nostro  mal  perverso . 
Di  quel,  ch'udire,  e  che  parlar  vi  piace         94 
Noi  udiremo ,  e  parleremo  a  vui , 
Mentrechè'l  vento,  come  fa,  si  tace. 

nel  Cornato  )è  un  colore  misto  di  purpureo  e  di  nero ,  ma 
mnce  il  nero  j  e  da  lui  si  denomina  [a]  • 

90  che  tignemmo  7  mondo  di  sanguigno  y  che  morimmo 
ammazzati. 

g3  Da  ch^haipietdy  legge  la  Nidob.»  meglio  che  le  altre  edi-* 
zioni;  alcone,  Po* eh' hai  pietà  j  accorciando  allo  stesso  modo 
poi  e  poco  ;  ed  altre  j  Poi  cKhai  pietà ,  creando  l'ingrato  suono 
de'  vicini  oi  e  ai.  m^Pó^c^  ài  pietà  y  legge  il  Gaet.  E.  R.  —  e  il 
YaLSigo.^Hi 

94  95  Di.  Sopra  questa  voce  pongono  le  moderne  edizioni  il 
segno  di  verbo  ;  ma  ella  non  è  qui  se  non  segno  del  secondo  ca- 
so. Il  senso  n*è  abbastanza  chiaro:  noi  parleremo  a  voi  di  quel 
che  vi  piace  udire  »  ed  udiremo  di  quel  che  vi  piace  parlare. 
^•^ti piace,  invece  di  vipiace,  leggono  Tediz.  diverse  dalla  Ni- 
dob.9  m^  il  cod.  Gaet.  E.  R.  —  il  Vat.  3 1 99 ,  ed  il  Biagioli  che 
difende  la  lezione  comune.4-«Ma  abbenchèparli  Francesca  con 
Dante  solamente 9  risponde  però  alla  richiesta  di  esso  Dante: 
Fenite  a  noi  parlar  [&],  ed  inoltre  accorda  con  parleremo  a 
*vui  del  seguente  verso.  — -  vui  per  voi y  antitesi  in  grazia  deUa 
rima.  »>  Che  qui  rispondesse  la  donna  piuttosto  che  l'uomo, 
ciò  è  molto  adattato  al  costume  della  loro  loquacità  e  legge- 
rezza. Magalotti.  4HI 

96  taccy  catacresi 9  per  istà  quietOy  non  ci  molesta.  »-^Il 
riposarsi  del  vento  non  è  cosa  impropria  y  anzi  è  accidente  con- 
facevole  alla  natura  di  quello;  oltreché  non  sarebbe  inverisi- 
mile  il  dire  eh'  ei  si  fermasse  per  divina  disposizione.  Pieno  è 
il  poema  di  grazie  singolarissime  dalla  divina  Bontà  concesse 
al  nostro  Dante.  Magalotti. -ci  tacCy  leg^e  il  codice  Vati- 
cano 3199. 


[a]  Trstt  4*  cap.  ao  [b]  Verso  81. 


CANTO  V.  125 

Siede  la  terra ,  dove  nata  fai ,  g^ 

Su  la  marina ,  dóve  1  Po  disceade 
Per  aver  pace  conseguaci  sui. 


97  al  99  Siede  la  terra j  ec.  Era,  la  parlante  ombra,  Frai^ 
cesca  y  figlia  di  Guido  da  Polenta  Signor  di  Ravenna ,  che  visse 
attempi  di  Dante  ,  femmina  bellissima  e  molto  gentile ,  ma« 
ritata  dal  padre  a  Lanciotto ,  figliuolo  di  Malatesta  Signore  di 
Rimini,  uomo  valoroso ,  ma  detorme  della  penona  ;  la  quale 
iimamoratasì  di  Paolo  suo  cognati  9  cavaliere  di  tratto  molto 
arvenente ,  ebbe  con  lui  disonesta  pratica,  sino  che,  trovata  in 
sol  fatto  dal  marito,  fu  daini  con  un  sol  colpo  uccisa  insieme 
col  drudo.  Volpi*  Dice  adunane,  che  la  terra,  ove  ella  me 
eque ,  cioè  Ravenna ,  siede  sul  mare ,  perocché  dal  mare  so* 
lamente  tre  migUa  discosta  ;  ansi  un  tempo  vi  era  del  tutto 
ficina  [a].  — •  dove  7  Po  discende ,  in  vicinanza ,  a  circa  una 
decina  di  miglia  dove  scarica  il  Po.  —  Per  aver  pace  co*  je- 
guaci  sui  y  per  riposare  le  acque  sue  e  dei  molti  numi  che  gli 
s'immischiano  e  lo  sieguono  al  mare*  sid ,  alla  maniera  latina, 
per  suoi ,  sincope  in  grazia  della  rima,  m^  L'espressione,  dove 
naia  fui ,  usata  da  Dante  due  altre  volte  in  questo  senso  nella 
presente  cantica ,  cioè  al  v.  ^%.  e  xxii.  ed  al  v.  94.  e.  zziii., 
pare  che  esprima:  ove  io  nacqui ,  e  vissi  nei  primi  miei  an- 
ni j  non  senza  però  qualche  latinismo  e  licenza  in  grazia  della 
rima.  —  Veg^asi  circa  ciò  il  Cinonio  al  cap.  a6.  del  Tratt. 
de  verbi.  Poggiali. 

Persuasi  di  far  co^^a  grata  ai  piii  de*  nostri  lettori ,  ripoi^ 
teremo  qui  sotto  la  narrazione  di  questo  tragico  fatto,  e  quale 
nscontiasi  nel  Comento  del  Boccaccio  alla  Divina  Commedia, 
ediz.  di  Fir.  17^4»  voi.  5.,  fiio.  3ia  e  segg,  [&]. 

[«]  BaiMlrand,  Lexic,  geogr. 

[b]  ce  B  dunque  da  sapere  che  costei  fa  figliaola  dì  Messer  Guido  veo- 
cluo  da  Polenta ,  Signor  di  Ravenna  e  di  Cervia  ;  ed  essendo  stata  lun- 
ga guerra  e  dannosa  Ira  lai  e'  Signori  Malatesta  da  Rimino»  avvenne 
che  per  certi  mezsani  fu  trattata  e  composta  la  pace  tra  loro.  La  qua- 
le, acciocché  pia  ferniexza  avesse ,  piacque  a  ciascuna  delle  parti  dì 
«lover  fortificar  per  parentado:  e  il  parentado  trattato  fu  che  il  detto 
Meuer  Guido  dovesse  dar  per  moglie  ana  sua  giovane  e  bella  figliuo- 
la ,  cfaiamala  Madonna  Francesca ,  a  Gianciotto,  figliuolo  di  Mcttser  Ma- 
Uasta.  Ed  ossendo  questo  ad  alcuno  degli  amici  di  Mosser  Guido  già 


ia6  INFERNO 

Non  dilicata  né  gradita  cosa  può  agli  occhi  nostri  parere 
l'atto  di  Dante  nel  rimembrar  questa  macchia  nelP  illustre  fa- 
miglia di  un  benefattore  e  di  un  amico  di  lui.  Ma  le  parole 

BUDifesto ,  disse  na  di  loro  a  Messer  Guido 9  guardate  come  Yoi  fate  , 
perciocché  se  voi  aoo  preaderete  modo  ad  alcuaa  parte ,  eh'  è  io  que- 
sto pareotado,  egli  ve  ne  potr^  sesnire  scandalo.  Voi  doYete  sapere 
chi  è  vostra  figliuola,  e  quaalo  elVè  d'altiero  animo;  e  se  ella  vede 
GianciottOy  avanti  che  il  malrimouio  sia  perfetto» né  voi,  né  altri  po- 
trà mai  fare  che  ella  il  voglia  per  marito  :  e  perciò  quando  vi  paia ,  a  me 
parrebbe  di  doverne  teaer  questo  modo  :  che  qui  non  venisse  Gian- 
ciotto  ad  isposarla,  ma  venisseci  un  deTrategli,  il  quale  «  conse  suo 
n aratore ,  la  sposasse  in  nome  di  Gianciotto  •  Era  Gianciotlo  oimiio 
^  an  sentimento  p  e  speravasi  dover  lui ,  dopo  la  morte  del  padre  » 
rimanere  Sienore .  Per  la  qual  cosa ,  quantunque  sozzo  della  persona  » 
e  sciancato  fosse,  il  disiderava  SI.  Guido  per  genero,  piuttosto  che  al- 
cuno de' suoi  frategU.  E  conoscendo,  quello  9  che  '1  suo  amico  gli  ra* 
gionava,  dover  poter  venire,  ordinò  segretamente  cosi  si  facesse»  co* 
me  l'amico  suo  l'avea  consigliato*  Perchè  ai  tempo  dato»  Tenne  in  Ra* 
venna  Polo  »  fratello  di  Gianciotto ,  con  pieno  mandato  ad  isposare  Ma- 
donna Francesca.  Era  Polo  bello,  e  piacevole  uomo,  e  costumato 
mollo:  ed  andando  con  altri  gentiluomini  perla  corte  dell' abitazion 
di  M.  Guido,  fu  da  una  delle  damigelle  di  là  entro  1  che  il  conoscea, 
dimostrato  da  un  ))ertugio  d' una  finestra  a  Aladonna  Francesca ,  di- 
cendo, quelli  è  colui  che  dee  esser  vostro  marito:  a  cosi  ai  credea  la 
buooa  femmina.  Di  che  Madonna  Francesca  incontanente  in  Ini  punse 
l'animo ,  e  l'amor  suo .  E  fatto  poi  artificiosamente  il  contratto  delle 
sponsalìzie;  e  andatane  la  donna  a  Rimino»  non  s'avvide  prima  dello 
'nganno ,  che  essa  vide  la  mattina  seguente  al  dì  delle  ooote»  levar  da 
lato  a  sé  Gianciotto  ?  di  che  si  dee  credere  che  ella ,  vedendosi  ingan- 
nata» sdegnasse»  né  perciò  rimovesse  dall'animo  suo  Paraora  già  po- 
stovi verso  Polo.  Col  quale  ella  poi  si  congiugnesse  »  mai  non  udii  di- 
re, se  non  quello,  che  l'autore  ne  scrive  ;  il  che  possibile  è ,  che  cosi 
fosse  .  Ma  io  credo  quello  esser  piuttosto  finzion  formata  sopra  anel- 
lo, che  era  possibile  ad  essere  avvenuto,  che  io  non  credo  che  Van- 
tore  sapesse,  che  così  fosse,  fi  perseverando  Polo»  e  Madonna  Fran- 
cesca in  questa  dimestichezza  ;  ed  essendo  Gianciotto  andato  in  alcane 
terre  vicine  per  Podestà ,  quasi  senza  alcun  sospetto  »  insieme  comin- 
ciarono ad  usare.  Della  qual  cosa  avvedutosi  un  singnlare  servidore  di 
Gianciotto ,  andò  a  lui ,  e  raccoutògli  ciò,  che  delle  bisogne  sapea  ;  pro- 
mettendogli, quando  volesse,  di  mrgliele  toccare,  e  vedere.  IK  che 
Gianciotto  fieramente  turbato ,  occultamente  tornò  a  Rimino  :  e  da 
questo  cotale  »  avendo  veduto  Polo  entrar  nella  camera  di  Madonna 
Francesca,  fu  in  quel  punto  menalo  all'uscio  della  camera,  nella 
quale  non  potendo  entrare,  che  serrata  era  dentro,  chiamò  di  foora  la 
donna,  e  die  di  petto  nell* uscio;  perchfe,da  Madonna  Franoesca,  e  da 
Polo  conosciuto,  credendo  Polo»  per  fuggir  subitamente  per  una  ca- 
teratta ,  per  la  quale  di  quella  camera  si  scendea  in  un'altra,  o  in  tnito 
o  in  parte  potere  ricoprire  il  fallo  soo ,  si  gittò  per  quella  cateratta  , 


CANTO  V.  127 

che  egli  pone  ia  bocca  a  Francesca  sono  tali  da  ispirare  il  più 
TÌ?o  interesse  e  destare  il  sentimento  della  piìi  tenera  compas- 
sione*. Francesca  nel  sno  racconto  attribuisce  la  passione  del 
cognato  non  già  a  depravazione,  ma  bensì  a  nobiltà  d'animo. 
Confessa  ch'ella  fu  avvenente,  che  amò  perchè  amata,  che 
questo  pensiero  trionfò  di  lei,  e  che  un'indegna  morte  la  spen- 
se. Qui  Dante  unisce  concisione  a  chiarezza,  e  la  più  ignuda 
semplicità  alla  più  profonda  conoscenza  del  cuore.  La  fiamma 
di  Francesca  sopravvive  al  castigo  che  il  Cielo  le  infligge,  ma 
senza  ombra  di  empietà  •  Ella  non  fu  sedotta:  soli  e  non  con- 
sapevoli del  pericolo  leggevano  un'istoria  d'amore:  la  felicità 
dei  due  amanti  dell'  istoria  che  leggevano ,  inavvedutamente 
li  sospinse  al  doloroso  passo.  Fatta  appena  una  tal  confessio- 
ne ,  affrettasi  a  compiere  il  quadro  con  un  tocco  che  la  riempie 
di  rossore  e  di  confusione  :  — *  quel  giorno  più  non  vi  le^ 
gemmo  innante.  —  Non  proferisce  altra  parola! 

Cosi  sempre  presso  Dante  la  divina  Giustizia  punisce  la 
colpa  oonunesaa  ;  ma  l' umana  pietà  compiange  ed  attenua  Tof- 


dicemlo  alla  donna ,  che  gli  andasse  ad  aprire.  Ma  non  avvenne ,  come 
if  fisato  avea;  perciocché  gittandosi  già,  si  appiccò  una  falda  d'un  co- 
rei lo  {armatura  per  difendere  il  core  )«  il  quale  egli  avea  in  dosso ,  ad 
na  ferro,  il  quale  ad  un  legno  di  quella  cateratta  era.  Perchè  avendo 
già  la  donna  aperto  a  Gianciotlo,  credendosi  ella,  per  lo  non  esservi 
trofalo  Polo,  scusare:  ed  eotrato  Giancìotto  dentro,  ìnconlanente 
s'accorse  Polo  esser  ritenuto  per  la  falda  del  coretto;  con  uno  stocco 
in  oiano,  correndo  là  per  ucciderlo;  e  la  donna  accorgendosene,  ac* 
csocebè  quello  non  avvenisse,  corse  oltre  presta  ,  e  misesi  in  mezzo 
Ira  Polo,  e  Giancìotto,  il  quale  avea  già  alzato  il  braccio  con  lo  stocco 
in  mano , e  tutto  si  gravava  sopra  il  colpo:  avvenne  quello  eh'  egli  non 
arebba  voluto,  cioè,  che  prima  passò  lo  stocco  il  petto  della  donua, 
che  egli  aggiugnesse  a  Polo .  Per  lo  quale  accidente  turbato  Gianciotto, 
siccome  colui,  che  più  che  sé  medesimo  amava  la  donna,  ritratto  lo 
stocco,  da  capo  riferi  Polo,  ed  ucciselo  :  e  cosi  amenduoi  lasciatogli 
BMfti,  sobitamente  si  partì,  e  tornossi  all'uficio  suo.  Furono  poi  li 
due  amanti  con  molte  lacrime  la  mattina  seguente  seppelliti,  ed  in 
uoa  medesima  sepoltura.» 

Non  sarà  discaro,  dice  l'È.  R.,  il  sapere  che  questa  miserabile 
scena  avvenne  nel  ia88  in  Pesaro,  come  il  eh.  sig.  Teofilo  Betti  ha 
preso  di  provare  nelle  sue  Memorie  inedite  per  la  storia  Pesarese ^ 
appoggiato  priocifialmente  sull'autentico  documento  della  dimora  che 
Giovanni  Sciancato,  esule  da  Rimino  con  tutta  la  sua  famiglia,  faceva 
io  Pesaro  di  quell'anno .  ^*  Pietro  Dante  chiama  il  marito  di  France- 
sca ioannes  Ciottus  ^  ian  Ciotto,  cioè  zoppo,  sciancato,  per  cui  al- 
cani  mas.  ne  fecero  malamente  la  voce  Lanciotto,  ÌL  F. 


ia8  INFERNO 

fesa  secondo  le  circostanze  incoi  venne  commessa, 
loda  le  persone  secondo  il  bene  o  il  male  che  hanno  fatto  alla 
loro  patria,  secondo  la  gloria  o  l'infamia  che  hanno  lasciato 
dietro  dà  so .  Per  le  nazioni  che  giacciono  in  uno  stato  semi- 
barbaro, le  passioni  sono  le  leggi  più  forti  ;  e  Dante,  che  scrisse 
pe*suoi  tempi,  riputò  onorevole  la  vendetta,  come  lo  addi- 
mostra questa  sentenza,  con  cui  chiude  una  delle  sue  liriche 
composizioni  :  ce  Ctiè  bell'onor  s^acquiHa  in  far  vendetta,  n 
Queste  ragioni  chiariscono  T episodio  di  Francesca,  in  tutto 
conforme  alle  massime,  alla  poesia,  ed  alle  inclinazioni  di 
Dante  e  del  secolo  in  cui  egli  visse.  Soddisfa  alla  divina  Giu- 
stizia ponendo  Francesca  nelF Inferno;  ma  ve  la  pone  in  tal 
maniera,  che  l'umana  fralezza  ne  risente  la  piii  alta  pietà. 
La  natura  avea  conferito  a  questa  donna  l'indole  poetica;  la 
storia  di  lei  era  tale  da  non  potersi  rimanere  nascosta  •  Dante 
diede  cosi  alla  figlia  del  suo  amico  quella  celebrità  che  la  po- 
polar tradizione  non  potea  compartirle.  S'aggiunga  a  tutto 
questo,  che  il  marito  di  Francesca  era  ancor  vivo  e  potente 

5[uando  Dante  scriveva  ;  ma  l'imperterrita  vendetta  del  Poeta 
0  consascra  all'infamia,  e  predice  che  lo  attende*  T oscuro 
pozzo  dei  firatricidi  :  -  Caina  attende  chi  in  vita  ci  spense. 
-  Verità  di  fatto  si  è,  che  il  padre  di  Francesca  continnò  a 
proteggere  Dante ,  e  non  solo  ne  accompagnò  al  sepolcro  le 
mortali  i^eliquie,  ma  recitò  un  funebre  elogio  alla  loro  pre- 
senza. E  i  suoi  successori  difesero  essi  pure  la  tomba  del  Poeta 
contro  il  potere  di  Carlo  di  Valois,  Re  di  Napoli,  e  del  Pon- 
tefice Giovanni  XXII. ,  quando  mandò  da  Avignone  a  Ra- 
venna il  Cardinal  del  Pogge tto,  coli' ordine  di  trar  fuori  le 
ossa  del  Poeta  dal  riposo  del  sepolcro ,  onde  arderle  e  spar- 
geme  al  vento  le  ceneri.  Questo  aneddoto,  a  dir  vero,  non 
vien  ricordato  che  dal  Boccaccio  nella  vita  di  Dante ,  lavoro 
biografico ,  e  che  generalmente  e  riguardato  come  un  roinanzo . 
Ma  il  fatto ,  a  quanto  ci  pare,  viene  confermato  per  vero  nelle 
opere  di  Bartolo,  celebre  scrittore  di  ragion  civile,  che  vìveva 
in  quel  tomo ,  e  che  apertissimamente  ad  esso  allude  nel  trat- 
tare della  legge  De  reiudicandis  reis  [a  j . 

Queste  riflessioni  si  compendiarono  da  noi  da  un  articolo 
del  eh.  Ugo  Foscolo,  che  si  legge  nella  Beuista  di  Edimòor^ 
go ,  riportato  in  estratto  nel  Raccoglitore  milanese ,  1 8  iq, 
Quad  i.4-« 

[a]  Ad  eod.  lib.  i.  cod.  De  reiudic. 


CANTO   V.  1.9 

Amor,  che  al  cor  gentil  ratto  s'apprende ,        1 00 
Prese  costui  della  bella  persona , 
Che  mi  fa  tolta,  e '1  modo  ancor  m  offende: 

Amor,  che  a  nullo  amato  amar  perdona,      io3 
Mi  prese  del  costui  piacer  si  forte, 


100  cor  gentil.  Il  Boccaccio  vieta  il  pigliar  quel  gentile  iii 
significato  di  nobil  lignaggio ,  o  di  animo  adomo  di  gran  vir- 
tù ;  ma  vuole  che  significhi  solamente  cuor  dolce  ,  e  natural- 
mente disposto  ad  amare  ;  potendo  (juesta  facilità  ad  intene- 
rirsi valere  per  qualche  discolpa  del  grave  fallo.  Vehturi. 
•-►a/  corj  legge  la  Nidobcatina.  —  a  cor ,  nota  Torelli,  è  as- 
sai meglio  detto  che  al  cor,  e  ci  sarebbe  piaciuto  d*  intimo- 
darre  questa  lezione  nel  nostro  testo .  4-« 

101  Prese  ,  accese,  innamorò  )" costui ,  Paolo,  il  cognato 
soddetto.  — persona,  per  corporatura.  Vedi  il  Vocabolario 
della  Crusca . 

102  e  7  ntodo  ancor  m'offende  '  la  maniera  ,  con  la  qual 
'e  fo  tolta,  essendo  stata  colta  in  atto  venereo,  \ offende,  per-« 
che  ricordandosene  ne  prendeva  dolore.  Dahiello.  Ma  ben  an-i 
die  può  intendersi  del  repentino  modo,  che  non  diede  un  mi-, 
nimo  tempo  di  chiedere  perdono  a  Dio  prima  di  morire  ;  ch*è 
CIÒ  di  cui  doveva  quella  coppia  esseme  piti  ramm ancata . 
^  Piuttosto  del  modo  barbaro  e  disonesto ,  e  deirerribile  idea 
che  accompagna  quella  dell'assassinamento.  Bvacioli.  <-• 

io3  nullo,  per  niuno,  adoperato  da  buoni  «lutorì  anche  in 
pmsa.  Vedi  il  Vocab.  della  Cv, -^  amar  perdona ,  valeri/o- 
^^^^,  esenta  di  riamare.  «-^E  Biagioli:  Amore  che  non 
consente  che  chi  è  amato  non  riami.  ♦-• 

»o4  su  prese,  mi  fece  schiava  ;  —  del  costui  piacer ,  del 
PJ^cere  di  costui  ;  —  sì  forte ,  cosi  fortemente,  cosi indissolu-» 
'^'Imeiìte .  •-►  Costui  nel  secondo  caso  stanza  il  suo  segno  si 
|">n  spesse  volte  usato  dagli  Autori  (Vedi  il  Cinonio.)  Può 
"il^ndàrsi ,  secondo  il  Magalotti ,  questo  verso  in  due  sensi  : 
'•  mi  prese  del  piacere,  della  gioia  di  amar  costui  -,  2P  mi 
prese  del  piacere  cVio  faceva  a  costui,  mostvando  così  d'es- 
**'^\  innamorata  non  tanto  per  genio,  quanto  per  vaghezza 
d^^«)rgersi  di  piacere  e  di  essere  amata ,  e  per  certo  obbligo 
«•  gentil  corrispondenza. 


f^oL  L  c) 


i3o  INFERNO 

Che ,  come  vedi ,  ancor  qoq  m' abbandona  : 
Amor  condusse  noi  ad  una  morte:  106 

Gaina  attende  chi  vita  ci  spense: 

Queste  parole  da  lor  ci  fur  porte . 
Da  eli' io  'ntesi  (jueir  anime  oB'ense,  109 

Chinai  '1  viso,  e  tanto  '1  tenni  basso, 

Fin  che  '1  Poeta  mi  disse:  che  pense? 
Quando  risposi,  cominciai:  o  lasso!  1  n 

Quanti  dolci  pensier,  quanto  disio 

Menò  costoro  al  doloroso  passo! 
Poi  mi  rivolsi  a  loro,  e  parlai  io,  ii5 

1 06  ad  una  morte  j  peroochè  uccisi  tutti  e  due,  com'è  det- 
to, GOii  un  sol  colpo.  »-►  Arroge  forza  con  la  lena  i*eplica,  e 
con  graadissim'arte  diminuisce  il  suo  fallo  ^  rovesciando  sopra 
di  Amore  tutta  la  colpa,  Magalotti.  4-s 

107  Caina,  luogo  nelP  Inferno  de' fratricidi ,  denominalo 
così  da  Caino  uccisore  del  fratello  Abele.  —  chi  vita  ci  spense^ 
chi  la  vita  ci  distrusse y  ci  tolse.  — ^  chi  ^n  vita  ci  spense,  leg- 
gono malamente  Tediz.  diverse  dalla  Nidob.  »-►  e  il  cod.  Ao- 
tald.  E.  R.  e  il  Biagìoli.  — Il  Vat.  3 199  legge,  a  vita,<rm 

1 08  da  loPj  perocché  parlava  Francesca  a  nome  ancon  del 
cognato.  »-^E  cosi  Torelli ,  richiamando  il  I^^oi  udiremo,  e 
parleremo  a  vui  dì  sopra .  <-m 

109  affense,  per  offese^  epentesi  dal  latino  io  grazia  della 
rima, 

1 1  a  o  lasso  f  ec.  Accenna  con  questa  esclamazione  qualche 
rimorso  in  sé  medesimo  di  simili  talli.  »^  A  tale  chiosa  si  op* 
pone  il  Biagioli,  affermando  che  questa  non  è  altro  che  inte- 
riezione di  dolorosa  compassione.  —  Si  osservi  di  fatti  che,  se 
si  adotta  questa  chiosa  del  Lombardi ,  per  la  stessa  ragione 
inferh*  si  dovrebbe  che  Dante  fosse  pur  anche  un  parassito* 
giacche  nel  e.  vt.  al  v,  59.  l'affanno  di  Ciacco  (  pai'assito)  gli 
pesa  così ,  che  lo  invita  a  lagrimare .  —  Quand'io  risposi  ec^ 
banno  TAng.  e  il  Caet.  E.  II.  ««-e 

ì  i^  al  doloroso  passo/  alla  morte  e  dannazione . 

1 15  parlai  io  ,  dice ,  perocché  fino  allora  avevano  parlato 
^ssi ,  ossia  Frapcesca  a  nome  di  tutti  e  due  :  e  resclamaziooti 


CANTO    V,  i3i 

E  cominciai:  Francesca,  i  tuoi  marliri 
A  lagrimar  mi  fanno  tristo,  e  pio. 
Ma  dimmi:  al  tempo  de'  dolci  sospiri,  i  i8 

A  che ,  e  come  concedette  Amore 
Che  conosceste  i  dubbiosi  desiri? 

0  lassai  —  Quanti  ec^j  fu  fatta  parlando  con  yii^illo  sola- 
mente. Po' e  parla*  y  invece  di  poi  e  parlai ,  leggono  le  cdiz« 
diverse  dalla  Nidobeatina. 

wj  A  iagrimar  0C^  sintesi,  di  cui  la  costrus.:  Ali  fanno 
tristo  e  pio  a  (vale  fino  a)  [a]  lagrimarcy  fino  a  i*ai*mi  pian- 
f^ere;  ^^  tristo ^  pel  proprio  rimorso  di  simili  colpe,  e  colise^ 
goentemente  pel  meritato  ugual  gastigo  ;  pio ,  per  compassione 
a  quelle  anime.  »^A  questa  chiosa  si  oppone  saggiamente  Bia- 
^o\\j  ritenendo  che  sconvolga  la  natura,  ed  accusi  ingiustamente 
di  adulterio  il  Poeta ,  cho  si  mostrò  ne  suoi  amori  santo  e  puro 
più  cfa^altri  mai;  e  che  quand'anche  la  cosa  fosse  stata  alu*imeuti, 
tiOD  era  qui  luogo  di  frastornare  con  rimorsi  il  lettore  intenerito 
<li  pietà  per  quelle  anime.  -Il  Magalotti  peròsi  mostra  dubbioso 
se  quel  tristo  abbia  qui  ad  intendersi  per  iscellerato  o  per  me-^ 
r/(i;e,  quantunque  egli  inclini  a  credere  che  Dante  l'abbia  usato 
in  senso  di  mestOy  maninconiosoec^,  riflette  che  tristo  in  signi- 
ficato di  empio  fa  un  bellissimo  contrapposto  con  pio .  <-« 

ii8  al  tempo  de*dolci  sospiri ^  al  tempo  eh* ognun  di  voi 
^ft^pirava  per  amoroso  fuoco,  senza  maniiestarvelo  l'un  l'ai- 
trii.  Suppone  che  in  essi ,  come  in  tutti  intravviene ,  facesse  da 
[irìma  la  modestia  e  la  ragione  qualche  argine  al  ceneeputo 
amoroso  ardore. 

119^  che ,  ad  occasione  di  che,  a  quale  incontro  ;  — «  co^ 
»te ,  in  qual  modo.  Questa  ricerca  non  fa  già  Dante  per  mera 
curiosità  ed  oziosità ,  ma  per  venire  col  fatto  a  renderci  istilli- 
li «  quanto  a  sciorreil  freno  alle  male  nostre  inclinazioni  e  pas- 
^i^i  abbiano  possanza  i  eattivi  libri  e  colloquj .  •-»  A  che  , 
♦piega  Torelli ,  a  quale  indizio?  Allo  scolorare  del  viso  ;  —  e 
'  '»'ie  j  per  qual  modo  ?  Per  la  lettura  degli  amori  di  Lanci- 
l'»tio  e  di  Ginevra .  ♦-• 

130  conosceste j  intendi,  accertatcunente  ;  -^1  dubbiosi 
tUuri ,  i  desirì  non  manifestati  innanzi  se  non  con  segui  dui^ 

'1]  Vedi  il  CiuoQ.  Pariic»  lai.  e  il  Vocab.  delia  Crusca. 


i33  INFERNO 

Ed  ella  a  me:  nessun  maggior  dolore,  m 

Che  ricordarsi  del  teippo  felice 
Nella  miseria,  e  ciò  sa  U  tuo  dottore. 

Ma  se  a  conoscer  la  prima  radice  .124 

Del  nostro  amor  tu  hai  cotanto  affetto, 
Farò  come  colui  che  piange,  e  dice, 

biosi ,  equivoci .  m^  dubbiosi ,  per  non  essersi  ancora  Tuii  l'al- 
tro discoperti  •  Magalotti»  <-• 

1 23  ciò  sa  7  tuo  dottore.  Il  Daniello  e  il  Venturi ,  per  non 
trovarsi  tra  gli  scrìtti  di  Virgilio  sentenza  che  confermi  il  dello 
di  Francesca,  sonosi  rivolti  a  Boezio,  scrivendo  questi:  In 
omni  adversittUe  fortunae ,  infelicissimum  genus  infortunu 
est  fuisse  felicem  [a].  A  me  però  sembra,  che  ciò  sa  7  tuo 
dottore  non  voglia  dire ,  come  questi  due  valent' uomini  sup- 
pongono, che  ciò  il  dottore  scritto  avesse ,  ma  che  il  sapesw 
per  prova,  trovandosi  anch'egli  nella  misepa  dell' inferoalc 
carcere  :  tanto  piii  che  non  era  poi  Francesca  donna  di  leUeJc 
»^Biagioli  se  ne  sta  col  Venturi ,  osservando  inoltre  che  Dante 
nelle  sue  avversità  aveva  sempre  tra  le  mani  il  Boezio,  comt* 
rilevasi  da  un  passo  del  suo  Contrito.  —  Ma  sia  dello  a  glo- 
ria del  vero,  questa  osservazione  non  è  altrimenti  sua,  ma  s» 
bene  del  Magdotti ,  il  cui  Ck)mento,  quantunque  in  allora  ine^ 
dito,  forse  vide,  benché  noi  dica ,  il  Biagìoli;  del  che  e  in- 
dusse egli  in  sospetto  in  parecchi  luoghi  di  questi  primi  cin- 
que canti:  iVbn  la  miseria  e  ciò  fa  il  tuo  dottore ,  legge  U 
cod.  Ang.  E.  R,  4-« 

1 24  >  5i5  Ma  se  a,  la  Nidob.;  Ma  s'a ,  TaltT'ediz.  —  la  pri- 
ma radice  —  Del  nostro  amor^  la  prima  cagione  dell'amo- 
rosa nostra  pratica  •  -—  affetto ,  per  desiderio  • 

iik6m^Farò  ec;  il  Lombardi  colla  Nidob.  legge  Dirò  in- 
vece di  Farò ,  chiosando  :  «  Non  vuole  dire  di  più  che  nel  v,  9- 
»  del  canto  xzziii.  di  questa  cantica  :  Por/ore  e  lagrimarvc' 
»  drai  insieme.  »  —  Farò ,  invece  di  Dirò ,  hanno  rediiioni 
diverse  dalla  Nidob.,  il  Biagìoli,  a  cui  non  garba  la  lezione  di 
Nidobeato,  il  cod.  Ang.  E.  R.,  e  il  Vat.  3 199.  Il  ch.Slroccbl 
difenda  questa  lezione,  osservando  che  il  verbo  fare^  tss^^< 
di  sua  natura  ausiliare,  può  comprendere  l'azione  del  pian 

[a\  De  consolai. ,  prosa  4* 


CANTO  V.  i33 

Noi  k'ggevamo  un  giorno  |)er  diletto  1217 

Di  Lancilotto,  come  Amor  lo  strinse. 
Soli  eravamo,  e  senza  alcun  sospetto. 

Per  più  fiate  gli  occhi  ci  sospinse  i3o 

Quella  lettura,  e  scolorocci  '1  viso:  ^ 

Ma  solo  un  punto  fu  quel,  che  ci  vinse. 

Quando  leggemmo  il  disiato  riso  i33 

Esser  baciato  da  cotanto  amante, 
Questi ,  che  mai  da  me  non  iìa  diviso , 


gene  e  del  dire  insieme  ;  ma  che  poi  non  è  buona  sintassi  dire 
come  colui  che  piange ,  perchè  il  verbo  dire  non  è  ausiliare  • 
Quindi  conclude  j  che  il  ^.  9.  e.  xxxiii.  deirinfemo  non  può 
qui  addursi  per  equivalente ,  mentre  le  parole  non  sono  og- 
getti di  vedute  se  non  pei  moti  delle  labbra  e  per  Talito  del 
parlatore.  —  Queste  ragioni  ci  persuasero  a  mettere  Farò  nel 
nostro  testo  •  <^ 

f  27  al  1 29  Noi  leggevamo  9  la  Nidob.  ed  altre  antiche  ediz.; 
Noi  leggiauatno ,  dopo  l'Aldina  e  quella  della  Ciiisca ,  tutte 
le  moderne.  •-►Si  osservi  con  quanta  evidenza  rappresenta 
Tamoroso  avvenimento  di  Paolo  e  di  Francesca  in  questo  ter- 
ii*tto.  Magalotti.  *— iVbi  leggiayamo ,  leggono  pure  il  cod. 
VaL  3 1 99  ed  il  Biagioli .  <-•  Di  Lancilotto  j  come  ec,  di  Lau- 
ciloUOy  cavaliere  celebrato  ne'  romanzi  (ma  principalmente  in 
qoello  intitolato  Tavola  ritonda ,  che  era  in  prezzo  ai  tempi 
dì  Dante),  come  egli  invaghito  di  Ginevra ,  giunse  al  suo  in- 
tento. VaiTTuai.  —  Amor  lo  strinse  9  per  legò ,  rese  innamo- 
rato schiavo ,  intendi  j  di  Ginestra  . 

i3o  i3i  Per  più  fiate  ec.  Tale  lezione  piii  volte  li  mosse 
a  sospirare  9  e  ad  amorosamente  riguardarsi  9  e  ad  impallidirsi , 
come  sogliono  il  piii  delle  volte  far  gli  amanti:  onde  Ovidio 
nel  lib.  I .  V.  729.  de  arte  amandi  :  Palleat  omnis  amans  j 
color  esthic  aptus  amanti.  Davibllo. 

1 33  il  disiato  riso ,  la  bocca ,  ed  è  posto  Teffetto  per  la  ca- 
gione, cioè  il  riso  per  la  bocca,  dalla  quale  esso  ha  depen- 
denza. Davibllo. 

i'i3  Questi  j  Paolo I  il  cognato. 


i34  INFERNO 

L;i  ]}occa  mi  baciò  tutto  tremante.  i3fì 

Galeotto  fu  il  libro,  e  chi  lo  scrisse: 

l'Mì  tutto  tremante;  non  essendo  ancora  ben  certo  qiial  Cos$e 
in  tal  atto  l'animo  di  quella.  Vbllutello.  »-^Non  già  prr  Tìn- 
certezza,  ma  per  1*  impeto  della  passione  che  lo  ardeva.  E.  F. 
—  pel  sommo  desiderio  e  per  Tes trema  paura.  Biagioli.  <-m 

l 'òy  Galeotto  fu  il  libro  9  e  chi  ec.  Galeotto  y  nome  prò* 
prio  di  uomo  9  che  fu  T infame  sensale  tra  Ginevra  e  Lancilotto 
(suddetti  )  •  Ma  qui  in  senso  di  nome  appellativo  vuoi  dire ,  che 
quella  impura  leggenda  e  il  suo  autore  indusse  Paolo  e  Francc^ 
sca  a  quella  enormità ,  come  Galeotto  quei  due  antichi  amanti 
a  comspondersi  illecitamente.  Benvenuto  da  Imola  ci  dà  con- 
tezza,  con  tal  nome  essei*si  in  quel  tempo  appellato  chiunque 
facevasi  mezzano  d'intrighi  d'amore  :  e  quindi  è ,  che  ius4*- 
cnandosi  amorose  malizie  nelle  cento  Novelle  del  Boccaccio, 
fu  loro  posto  in  fronte  il  cognome  di  Principe  Galeotto  y  che 
ritengono  nel  titolo  i  testi  antichi.  Veutuai. 

Io  però  per  crederglielo  ne  von'ei  vedere  qnalch'  altro 
esempio  diverso  da  questo  di  Dante ,  e  dall'allegato  titolo  del 
Decamerone  del  Boccaccio  • 

Mai  non  adopei^  Dante ,  fiior  di  qui ,  il  termine  di  ga- 
leotto ,  che  nel  senso  di  semplice  nocchiero;  talmente  che  non 
ischiva  di  appellar  galeotto  perfino  lo  stesso  angelo  che  tj*a- 
gitta  anime  dal  mondo  al  Purgatorio  [a]  :  ed  ove  accade  di 
mentovar  ruffiani  y  mai  d'altro  che  del  medesimo  chiaro  è  co* 
mun  termine  di  ruffiano  si  vale  : 

Bujflany  baratti  y  e  simile  lordura  [i]  • 
Bujftany  qui  non  son  femmine  da  conio  \c\. 
Ed  il  pretendere  che  al  senso  di  mezzano  d^intrighi  d*amore^ 
ossia  di  rtifflanoy  adoperi  qui  galeottOyàicenAo- Galeotto  fu  il 
libroy  e  chi  ec.y  è  un  pretendere  che  stucchevolmente  dica  Dante 
cosa  che  già  per  la  precedente  narrativa  non  può  non  essere  in- 
tesa .  E  chi  mai  dalla  precedente  narrativa  non  capisce  piii  die 
abbastanza  che  fu  quel  libro  incentivo  al  cadere  de'due  amanti? 
Riguardo  poi  al  titolo  di  Principe  Galeotto  attribuito 
alle  Novelle  del  Boccaccio,  ne  tutti  i  testi  ve  lo  attribuiscono, 
né  moko  meno  piace  a  tutti  la  pretesa  interpretazione  {d\  • 

[a]  Pnrg.  11.  37.  [&]  Inf.  zi.  Go.  [e]  Inf    xvin.  fi6.  \d\  Vedi  le  annota- 
zioDÌ  dei  deputati  allii  correzione  del  Decameront  At\  Boccaccia*  n.  t. 


j 


CANTO  V.  kH5 

To  per  me  adunque  ^  attesa  la  universale  asserzione  de« 
gV  Interpreti  (del  Boccaccio ,  di  Benvenuto  suddetto ,  del  Lan-* 
(lino,  e  di  tutti  gli  altrì),  che  Galeotto  stesso 9  il  mezzano  de-^ 
gli  amori  ti*a  Lancilotto  e  Ginevra  j  fosse  lo  scrittore  di  quel 
libro  9  me  la  sbrigherei  con  dire  f  che  Galeotto  fóss*  anche  il 
titolo  del  libro  o  datogli  dall^autore  medesimo,  ovvero  dal  vol-^ 
go  attribuitogli  dal  nome  stesso  delPautore  (come  j  per  cagion 
d'esempio  y  appelliamo  comunemente  Ariosto  il  poema  l*Or-» 
landò  Furioso^  perchè  scritto  dalVAiùostoj  e  Tasso  il  Goffrè^ 
do ,  perchè  scritto  dal  Tasso)  ;  e  che  Galeotto  fu  il  libro  j  e 
chi  lo  scrisse j  vaglia  quantos  Galeotto  fu  il  Home  del  libro-,  e 
di  chi  lo  scrisse.  »->Il  libro  e  l'autore  die  lo  scrisse  fecero  tra 
Paolo  e  Francesca  la  parte  che  fece  Gsil^otto  b*a  Lancilotto  e 
Ginevra.  AlAGALotTi.  -cAe  lo  sctisse ,  legge  il  cod.  Vat*  3 199» 
—  Il  lihro  che  i  due  Amanti  leggevano  era  il  famoso  ed  antico 
romanzo  detto  il  Lancilotto  ^  che  si  legge  ancora  in  alcuni  vec^* 
chi  mss.  e  nella  rarissima  ediz.  del  i558«  Sono  esposte  in  detto 
libro  tutte  quelle  cose  che  Dante  qui  descrive.  Stimiamo  pre-* 
gio  del  nostro  Comento  il  riportar  qui  parte  del  capitolo  lxvk 
di  questo  libro  medesimo^  ove  si  legge  chiaralnente  quel  fatai 
passo,  dopo  cui  Paolo  e  Francesca  piii  non  lessero  avanti . 

Chi  non  vede  da  tutto  questo,  che  il  nome  di  Galeotto  si 
fece  in  antico  >  per  questa  Istoria ,  sinonimo  di  mezzano  ?  E 

Capitolò  LXVL 


«  Come  la  Heina  conobbe  Landlotio,;  e  còme  la  prima  congiunzioni 
Ju  fatta  fra  Lancilotto  e  Ginevra  per  lo  mezto  di  Galeotto  • 

Dicela  Ginevra  a  Lancilotto.  E  quanto  è  che  voi  tanto  mi  amate? 
Lane.  Dal  giorno  ch'io  fui  Cavaliere.  Gin.  Per  la  fede  adunque  che 
voi  mi  dovete  9  donde  viede  quest'amore  che  voi  avete  messo  in  me  ? 
Lame,  Dama»  da  voi  \  che  di  me  faceste  un  vosti-o  amico  9  se  la  vostra 
bocca  non  mi  ha  mentito  •  Amico  mio  !  (dice  elU  ^  come  ?  Ed  egli  :  Da- 
ma, io  venni  davanti  voi  quando  io  presi  licenza  dal  Re;  e  vi  accomandai 
a  Dio;  e  dissi  ch'io  era  vostro  Cavaliere  in  tutti  i  luoghi*  E  voi  midiceste, 
che  volevate  eh'  io  foisi  vostro  amico .  £d  io  dissi  :  addìo  >  Dama .  E  voi 
diceste:  addio »mio  belloi  e  dolce  amico .  Questo  fu  il  motto  che  mi  fece 
valente  uomo  ,  se  io  il  sono:  né  mai  poscia  fui  a  s)  gran  perìcolo,  ch'io 
Don  me  ne  ricordassi  :  questo  motto  mi  ha  riconfortato  contra  tutti  i  ne* 
mìci  miei  :  questo  mi  ha  guarito  da  tutti  i  mali.'  questo  mi  ha  fatto  ricco 
io  mexro  la  povertà.  Per  mia  tk^  disse  la  Reina,  questo  motto  fu  detto 
in  buon'ora;  ma  io  non  la  piglio  per  cosa  certa»  come  voi  fate  ;  perché 
ho  detto  questo  a  molti  valenti  uomini .  E  tale  è  la  costuma  de'Gavalic* 


i3G  liM  ERNO 

ri,  clic  fauno  sembiante  dì  pregiar  tali  cose  a  molte  Dame  «  le  qndlì  non 
SODO  loro  niente  a  caorc.  E  questo  ella  diceva  per  vedere  come  Do- 
lesse darli  martello,  perchè  vedeva  bene  die  non  pretendeva  ad  altro 
amore  che  al  suo;  ma  si  dilettava  di  travagliarlo  .Ond'egli  ebbe  si 
grande  angoscia ,  che  mancò  poco  che  non  si  venisse  meno;  e  U  Rei- 
na, eirebbe  paura  che  non  cadesse,  chiama  Galeotto;  ed  egli  viene 
correndo.  Quando  vide  che  'I  suo  compagno  era  si  travasliato,  n'ebbe 
tanto  dolore,  che  piii  non  potea.  Ahi  !  Dama  (  dice  Galeotto  )  voi  ce 
lo  potrete  ben  torre  ;  ma  questo  sarà  gran  danno  ....  Dama,  se  Dio 
m' aiuti,  è  se  gli  può  ben  credere  :  che ,  cosi  com'  egli  è  '1  piti  valente 
di  tutti  gli  uomini,  così  il  suo  cuore  è  piti  veritabile  che  tutti  gli  al- 
tri ...  •  Per  Dio!  Donna,  abbiate  di  lui  pietà!  e  fate  voi  così  per  me, 
com'  io  farei  per  voi,  se  voi  mi  pregaste.  Gin»  Che  pietà  volete  ch'io 
II'  abbia  ?  GaL  Dama ,  voi  sapete  eh  ei  v'ama  sovra  tutte;  che  ba  fatto 
ver  voi  piti  che  Cavaliere  facesse  mai  per  donna  .Certamente  (dic'ella) 
Ila  egli  fatto  per  me  più  di  quello,  ond'io  lo  potessi  mai  rimeritare  :  e 
non  potrebbe  richiedermi  cosa  ch'io  gli  sapessi  negare.  Ma  egli  non  mi 
richiede  di  niente  !  anzi  è  tanto  roaniuconioso ,  che  è  maraviglia.  Don* 
Da,  ( dice  Galeotto)  abbiate  pietà  !  egli  è  tale,  che  v'ama  pih  che  sé 
medesimo  .  E  Ginevra  :  se  m'aiuti  Dio,  io  non  sapea  cosa  alcuna  della 
sua  volontà  • ...  Io  ne  avrò  tale  pietà  quale  voi  vorrete .  E  Galeotto  : 
Dama  ,  voi  avete  fatto  quello  di  che  io  v'ho  richiesto  :  e  altresì  deb- 
b'  io  fare  ciò  che  voi  mi  chiederete.  Ma  se  egli  (risponde  Ginevra  ) 
s'egli  non  mi  richiede  di  niente!  Certamente  (  risponde  Galeotto)  e' 
non  s'ardisce  :  né  vi  domanderà  mai  cosa  alcuna  per  amore ,  perchè 
teme;  ma  io  ve  ne  prego  per  lui;  e  sebbene  io  non  ve  ne  pregassi ,  sì 
lo  dovreste  voi  procacciare  ;  perchè  piò  ricco  tesoro  non  potreste  con- 
quistare giammai.  Certamente ,  dic'ella ,  il  so  bene ,  e  farò  tutto  che 
voi  mi  comandate.  B  Galeotto  ;  Dama  «  gran  mercè.  Vi  prego  adunque 
che  gli  doniate  l'amor  vostro;  e  lo  ritegnate  sempre  per  vostro  Cava* 
liere;  che  dive^^natesua  leale  Dama  tutta  la  vostra  vita  ;  e  Farete  fatto 
uiò  ricco  che  se  gli  aveste  donato  tutto  il  mondo.  Certamente,  dice 
la  Reina ,  lo  prometto  ;  solo  eh'  egli  sia  mio,  io  sarò  tutta  sua  ;  e  per 
voi  sieno  emendate  tutte  le  cose  mal  fatte  •  Dama  ,  (  dice  Galeotto  ) 
or  conviene  che  si  facci»  il  comincia  mento .  Baciatelo  avanti  me  per 
principio  di  vero  amore.  Del  baciare,  dic'ella,  io  qui  non  veggono  loco , 
né  tempo .  Non  dubitate,  eh'  io  non  lo  facessi;  ansi  volentieri  lo  farei. 
Ma  queste  Dnme  che  sono  qui,  non  potrebbe  essere  ohe  non  vedesse- 
ro .  Non  neitanto ,  se  voi  il  volete,  io  lo  bacerò  volentieri.  E  Lanci- 
lotto  ne  fu  si  allegro .  che  non  potè  rispondere,  se  non  tanto  che  di- 
re:  Dama,  gran  mercè  .  E  Galeotto:  o  Donna  ,  del  sdo  volere   non 
dubitate ,  perchè  è  già  vostro  ;  e  sappiate  bene  che  ninno  se  ne  accor- 
gerà .  Noi  tre  saremo  insieme  come  se  noi  coosnltassiino  •  Di  che  mi 
farei  io  pregare  f  diss'ella  ;  piii  lo  voglio  io  che  voi.  Allora  si  traggo- 
no da  parte  sorridendo ,  e  fanno  sembiante  di  consigliare .  E  la  Reina 
vede  cne  il  Cavaliere  non  ardisce,  e  lo  prende,  e  lo  bacia  avanti  Ga- 
leotto assai  lungamente .  E  la  Dama  di  Malheanit  seppe  di  vero  ch'el- 
la lo  baciò  ....  Allora  si  levarono  tolti  a  tre:  ed  era  fattosi  notte 
grandemente;  mn  la  Lon^  era  levata ,  e  facea  chiaro  si,  ch'ella  Iacea 
per  tutta  la  prateria.  » 


CANTO    V.  i37 

Quel  giorno  più  non  vi  leggemino  avante. 

Mentre  che  Tuno  spirto  questo  disse,  189 

L'altro  piangeva  sì,  che  di  pietade 
Io  venni  meno  come  s*  io  morisse^ 

£  caddi,  come  corpo  morto  cade. 

con  ragione  Dante  potè  dire  che  crael  libro  tenne  per  Francesca 
quel  loco  stesso  y  cne  Galeotto  già  tenne  per  la  bella  Ginevra. 
Fa  specie  che  ninno  dei  Chiosatori  di  Dante  abbia  mai  riferito 
questo  luogo ,  colpa  forse  0  della  rarità  del  libro  ^  o  deirosce- 
nità  sua.  Imperocché  è  uno  de* libri  piii  antichi  che  la  Chiesa 
abbia  proibiti.  E  lo  fulminò  Innocenzo  III.  al  tempo  stesso  di 
Dante  con  una  Bolla  data  Tanno  1 3 1 3.  (Vedi  Ducang.  Diss.  ti. 
sulla  Stor.  di  san  Luigi  Re.)  Pbrticabi.  E.  F.  ««-e 

1 38  Quel  giorno  più  non  i^i  ec.  La  particella  tà  vale  in 

J  nello ,  in  quel  libro  (Vedi  il  Cinon.  Par  tic.  26 1.  3.);  e  vuole 
rancesca  aire ,  che  per  quel  giorno  non  andò  più  avanti  la  let- 
tura in  quel  libro.  «-^Accenna  con  nobil  tratto  di  modestia  Tin- 
terrompimento  della  lettura,  ed  in  conseguenza  il  passaggio 
dai  tremanti  baci  agli  amorosi  abbracciamenti.  Magalotti.  -Il 
padre  di  Aquino  ha  elegantemente  tradotto  questo  passo  cosi  : 
cr  Distulimus  post  haec  sontes  evolv^ere  chartaSf 
n  Sontes!  heu  miserami  grauius  nocuere  remotae^  E.  F.4-« 
iJ^i  Io  venni  meno  come  sHo  morisse ,  legge  la  Nidob. , 
ove  Taltre  ediz.,  F venni  men  così  compio  morisse  ;  •-»  e  cosi 
legge  anche  il  Vat.  3 199.  — -  Io  uenni  meno  si  come  morisse  j 
ha  il  cod.  Ang.  E.  R.  ♦-«  Morisse  y  per  morissi  y  antitesi  in  gra- 
zia della  rima  & 


i»t»  fta 


CANTO  vr. 


•<»^ 


ARGOMENTO 

Travasi  il  Poeta  ^  poiché  in  sé  stesso  fu  ritornato  j 
nel  terzo  cerchio,  ove  sono  puniti  i  golosi,  la  cui 
pena  è  l^esser  fitti  nel  fango ,  e  panmente  tormen- 
tati da  grandissima  pioggia  con  grandine  mescola- 
ta ,  in  guardia  di  Cerbero ,  il  quale  latrando  con 
tre  bocche,  di  continuo  gli  offende  ed  affligge.  Tra 
così  fatti  golosi  trovando  Ciacco^  seco  delle  di- 
scordie di  Fiorenza  ragiona»  Finalmente  si  parte 
per  discendere  nel  quarto  cerchio . 

AX  tornar  della  mente,  che  si  chiuse  i 

Dinanzi  alla  pietà  de'  due  cognati , 
Che  di  tristizia  tutto  mi  confuse , 

Nuovi  tormenti ,  e  nuovi  tormentati  4 

I  Al  tornar  (sottintendi  ad  operar,  firase  però  giustissi- 
ma) della  mente ^  che  si  chiuse,  che  restò  senrata,  l^ata, 
inoperosa  y  per  cagione  del  suddetto  tramortimento  del  corpo  ; 
dalla  cui  atUludine,  in  questo  stato  d' unione ,  nelPoperar  suo 
Tanima  necessariamente  dipende . 

a  •-^Dinanzi ,  vale  testé  y  poco  prima.  Tobelli.4-«  alla  pie-- 
tà.  Il  Vocab.  della  Crusca ,  ed  altri  appresso  a  quello ,  sola- 
mente a  ^lèfa^  coll'accento  sulla  penultima  sillaba ,  attribuisco- 
no il  significato  or  di  affanno  e  pena ,  or  di  misericordia  e 
compassione;  e  non  sl pietà  coU'accento  suirultima.  Ma,  se 
non  altro,  l'esempio  presente  dimostra  chiaramente,  che  anche 
pietà  può  significare,  e  che  qui  di  fatto  significa  affanno  e 


CANTO  VI.  i39 

Mi  veggio  intorno ,  come  eh'  io  mi  muova , 
E  come  eh'  i'  mi  volga ,  e  eh'  io  mi  guati . 

lo  sono  al  terzo  cerchio  della  piova  7 

Etema ,  maledetta ,  fredda  y  e  greve  : 
Regola ,  e  qualità  mai  non  V  è  nuova  • 

Grandine  grossa,  ed  acqua  tinta,  e  neve         io 
Per  laer  tenebroso  si  riversa: 
Pute  la  terra,  che  questo  riceve. 

Cerbero,  fiera  crudele  e  diversa,  i3 

pena .  Io  credo  che  non  passi  tra  queste  due  voci  niente  piti  di 
svario  y  che  appo  Dante  medesimo  tra  podestà  e  podestà  [al. 

5  6  »-»>  come  eh'' io  mi  muova  ec.j  cioè  in  qualunque  modo 
0  per  qualunque  verso  io  mi  muova  o  mi  volga  e  mi  guardi 
intomo i  cosi  il  Poggiali,  che  ritiene  i  mi  di  questi  versi,  e 
r  ultimo  specialmente  >  come  particelle  ridondanti  0  riempi- 
tive ;  altrimenti  io  mi  guati  vorrebbe  dire  io  guardo  me  stes^ 
so  y  Io  che  non  si  accorda  col  sentimento  •  —  Lombardi  colla 
INidob.  legge,  E  chUo  mi  volga  e  come  ch^io  guati;  ma  qne» 
sta  lezione  non  piace  al  Poggiali ,  ed  è  dal  Biagioli  considerata 
come  guasta.  Trattandosi  di  non  nuocere  minimamente  al  con- 
cetto, e  di  rendere  d'altronde  il  verso  piii  sonoro,  ci  piacque 
di  sostituire  alla  lezione  del  Lombardi  quella  della  Crusca  e 
di  tutte  le  altre  edizioni .  —  Il  Cod.  Vat.  3 1 99  legge  come  la 
Nidob.  •«-«  guati ,  lo  stesso  che  guardi  • 

ò  greve  j  -oer  facente  gravi  percosse  ;  perocché  non  di  sola 
aequa,  ma  ai  grandine  grossa  ancora,  come  ora  dirà,  com* 
posta.  •-►  Greve  non  è  sinonimo  di  facente  gravi  percosse , 
ma  qualifica  la  piova,  rispetto  alla  sua  gravità  opesoy  onde 
deducesi  Peffetto  relativo.  Biagioli.  4hi 

9  Regola  y  e  qualità  mai  ec.i  né  mai  cessa  di  piovere ,  né 
piove  altro  mai  che  le  medesime  materie  • 

ì%  Pute,  da  putire  f  che  significa  lo  stesso  che  puzzare  ; 
*•  che  questo  riceve ,  sopra  la  quale  cade  cotale  mistura . 

i3  Cerbero  j  can  di  tre  teste ,  crinito  di  serpenti ,  il  quale 
finsero  gli  antichi  poeti  essere  custode  della  porta  deirinfemo. 

!«]  Vedi  in  questo  medesimo  canto t  v,  96. 


i4o  INFERNO 

Con  tre  ^ole  caniiiatnente  latra 
Sovra  la  gente,  che  quivi  è  sommersa. 
Gli  occhi  ha  vermigli ,  e  la  barba  unta  ed  a  ira ,  1 6 
E  '1  ventre  largo,  e  unghiate  le  mani  : 

y  ox.?i.  -  diversa ,  per  istrana ,  orribile  j  aspra  y  spiega  il  Vo- 
cab.  della  Gr.  alla  voce  diverso,  e  ne  arreca  in  prova  molti 
chiarissimi  esempi  d'altri  buoni  scrittori.  »-^6iagioli  intende 
invece  sottinteso  a  diversa  il  secondo  termine  della  relazicHie 
che  è  dalle  idtre  fiere.  <-• 

ì^ContregolecaninamenteecDdiìlefifezzatiire  di  parole, 
che  si  rinvengono  talvolta  nella  fine  decersi  e  greci  e  latiui  ed 
italiani}  come,  per  un  de' molti  esempj,  quella  di  Orazio: 

non  gemnUs  |  neque  purpura  »yh 

Naléy  nec  auro  : 
argomenta ,  per  mio  giudico  j  egn^amente  il  signor  Rosa  Mo- 
rando \a] ,  anche  neimezso  de' versi  essersi  fatto  e  doversi  fare 
uso  della  spezzatura  per  aggiustamento  del  metro;  e  siccome 
que'versi  del  Petrarca  : 

Nemica  naturalmente  di  pace  [i] , 
E  perchè  naturalmente  s  aita  [e]  : 
vuole  che  abbiansi  a  leggere  come  se  scrìtti  fossero  : 
Nemica  naturai  •—  mente  di  pace , 
E  perchè  naturai  —  mente  s^aita  : 
Ad  uno  stesso  modo  spezzato  vuole  che  si  legga  anche  il  pre- 
sente verso  di  Dante  : 

Con  tre  gole  canina  —  mente  latra 
-—  *  Qui  però  il  eh.  Lombardi  avrebbe  potuto  citare  la 
non  dispregievole  lezione  che  trovasi  tra  le  varianti  nelle  po- 
stille éà  Volpi  >  Com.  ly^y,  cioè  :  «  Caninamente  con  tre 
gole  latra.  »  Cosi  legge  pure  il  cod.  Poggiali ,  ed  il  dotto  Edi- 
tore vi  aggiunge  :  «  che  tal  verso  y  come  dai  più  si  legge  y 
ingrato  nel  pronunciarsi  y  diviene  colla  nuova  lezione  di 
spedita  pronunzia ,  ed  espressivo .  »  E.  R. 

i6 vermigli y  infuocati ;- fmta ,  sudicia ;- afra,  imbrattaU 

di  sangue,  come  desaivesi  da  Seneca:  sordidumtabocaput\d]. 

ly  inani y  'per  zampe,  m^  unghiate  le  maniy  cioè  le  zampe 

anteriori  y  dette  mani  per  similitudine .  Cosi  Plinio ,  1. 8,  e  36., 

[u]  Oss.  sopra  il  Par.  e.  xxiv.  [b]  Caos.  5.  si.  4.  [e]  Soo.  39.  [d}  Bere. 
Fur.  ;^84. 


CANTO   VI.  i4i 

Graffia  gli  spiiti  ^  gli  scuoia ,  ed  iscjnatra  • 
Urlar  gli  fa  la  pioggia  come  cani  :  i  q 

Dell'  UD  de'  lati  fanno  all'altro  sclieriuo: 

Volgonsj  spesso  i  miseri  piofaui. 
Quando  ci  scorse  Cerbero ,  il  gran  verino,     a  a 

appella  mani  le  zampe  anteriori  dell'orso ,  e  propriameDte  più 
mani  che  zampe  fti  cnìamano  qaelle  della  sciinia.  Movti  [aJ-'^hi 

i8  isquatra.  Questo  isquatra  ^ce  il  Ventui'i)  non  lo  ha 
ancora  accettato  nel  suo  Yocab.  la  Crusca.  Ma  dee  essere  que- 
sto ou  granchio  con^agno  dello  storneo  nel  precedente  canto  t 
V.  4o;  dee  egli  cioè  aver  cei'cato  nel  Vocabolario  della  Ci*usca 
isquatrare  j  e  non  squatrare .  Squatrare  (  legge  in  caratteri 
maiuscoli  nel  suo  Vocab.  la  Crusca)  squartare  lat.  secare  j 
dissecare ,  lacerare  :  ed  oltre  al  pi'esente  di  Dante  9  né  arreca 
un  altro  esempio  tratto  dalle  Rime  antiche  i  e  la  lettera  i  s'ag- 
giunge a  squatra  nel  presente  vei*se  non  per  altro  che  per  ad- 
dolcire la  j^  impura  pi'eceduta  dalla  d^  come  in  simil  caso  di- 
remmo istudiare  invece  di  studiare  ^  istarsene  invece  di  stat*^ 
sene  ec.  »>  I  codd.  Antald.  e  Ang.  hanno  ingoia  invece  di 
scuoia.  E.  B.  —  e  cosi  il  Yat.  Sigp.'^-* 

ao  a  I  DelVun  de" lati  ec.  Vuol  dire  che  sempre  sono  dalla 
grandinosa  pioggia  percossi ,  e  che  non  hanno  altro  riparo  che 
di  sottrarre  alla  pioggia  il  lato  più  addolorato ,  e  presentar  Tal- 
tro;  e  per  questo  aggiunge,  che  volgonsi  spesso,  "profaniy  cioè 
irreligiosi  y  appella  costoro,  che  sono  i  golosi,  per  rapporto  pro- 
babilmcLitc  alquorutn  Deus  i^enterest^  che  di  loro  sta  scritto  [6  J. 

aa  il  gran  vermo.  f^ermoy  pevvermef  in  rima,  chiosa  il 
Volpi .  Kermo  però  anche  fuor  di  rima  appella  Dante  mede- 
simo Lucifero  : 

.  • mi  presi 

Al  pel  del  vermo  reo ,  che  7  mondo  fora  [e]. 
Chi  sa  poi  perchè  appelli  Dante  uermo  il  Cerbero  e  Lu- 
cifero? Foi*se  perchè  animali  nascosti  sotto  terra  a  guisa  di  lom- 
btìchi  e  simili  vermi  ?  O  forse  che  pel  verme  ,  che  le  scritture 
ftaci-e  pongono  insieme  col  fuoco  al  tormento  de'dannati  [^j, 

(«1  Prop.  voi  3.  P.  I.  r«c  5)7.  [b]  Ep.  ad  Philip.  S.  v.  19.  [e]  fnf.xawv. 
1^7.  e  seg.  [d]  f^ermis eorum  non  moritur ,  et  ignis  non  extinguiiur, 
le^gtanio  iu  Isaia,  66,  %^.  a4«f  ed  io  s.  Marco,  9.  »*.  43- 


i4ti  INFERNO 

Le  bocche  aperse,  e  mostrocci  le  sanne: 
NoQ  avea  membro,  che  tenesse  fermo. 
E  1  Daca  mio,  distese  le  sue  spanne,  a 5 

intende  essi  demonj  ?  O  forse ,  per  ultimo  ,  invece  di  appcl-* 
larli,  come  ben  poteva,  si  l'uno  che  l'altro  xer^en/i,  gli  ap* 
pella  vermi  per  quella  somiglianza  che  vi  ò  tra  '1  corpo  del 
•eipente  e  del  verme  ? 

Al  Bulgarìni  (dice  il  Venturi)  non  va  molto  a  grado  Tap* 
plicazion  di  tal  voce ,  come  troppo  per  quel  mostro  (Cerbero) 
sproporzionata  ;  e  per  dir  vero  non  sarebbe  in  simiglianti  co- 
sette lodevolmente  imitato  Dante  da  chicchessia . 

Luigi  Pulci  (risponde  il  Rosa  Morando) ,  puigato  scrittor 
fiorentino,  senza  temere  quella  j^ro/9orzione  che  il  Bnlgarini 
oppose,  chiamò  ancor  egli(^er/iio  una  bestia  orrìbilee  smisurata: 

E  conoscea  j  che  questo  erudel  vermo 

Voffendea  troppo  col  -flato  e  col  caldo  [a]  ; 
e  l'accuratissimo  Ariosto  chiamò  verme  il  diavolo ,  eh*  è  bea 
maggior  bestia  di  Cerbero  : 

E  mostrargli  delV arte  paragone  j 

Che  al  gran  verme  infornai  mette  la  briglia  [b\ . 
Può  finalmente  a  queste  ragioni  aggiungersi ,  che  inermi ^ 
con  proprio  vocabolo,  trovansi  appellati  non  piccioli  insetti  so- 
lamente,  come  il  Bulgarìni  ed  il  Venturi  mostransi  persuasi, 
ma  animali  eziandio  dì  tanta  mole  da  mettersi  a  paro  e  da  su-* 
perare  ancora  Cerbero  e  Lucifero.  In  Gange  (se  scrìve  vero 
u  Peroni)  fiumine  Indiaepisces  sunt,  quiafacie  t^ermes  di^ 
cuntUTj  binis  branchiis  sexaginta  cuhitorum ,  quibus  tanta 
%fis  esty  ut  e/ephantos  ad  potum  venientes  y  mordicus  com-^ 
prehensa  proboscide ,  abstrahant  [e] . 
-  aS  sanne  y  o  zanne ,  diconsi  propriamente  i  due  denti  sporti 
fuor  dal  labbro  de*porci,  cinghiali  ec^co'qnall  sogliono  essi  ferire: 
qui  per  lunghi  ed  acuti  denti.  m^La  bocca ,  ha  il  Vat.  3 1  QQ.'^hì 
24  J^on  ayea  membro y  ec.i  dimenavasi  tutto,  come  fame- 
lico cane  vedendo  il  cibo.  »-»  Pittura  terribile  e  piena  di 
evidenza .  Cosi  gli  Editori  della  E.  F.  <-« 

a5  spanne.  Spanna  è  la  lunghezza  della  mano  aperta  e  di* 
stesa  dalla  estremità  dèi  dito  mignolo  a  quella  del  grosso  ;  ma 

[a]  aorg.  e.  tVf  st.  )5.  [L]  Cant.XLVi.  st.  78.  [e]  Cornac,  ad  epigr.  t* 
art.  yertnis» 


CANTO   VI.  143 

Prese  la  terra,  e  con  piene  le  pugna 
La  gitiò  dentro  alle  bramose  canne. 

Qu^)  è  quel  cane,  ch'abbaiando  agugna,         28 
£  si  racqueta  poiché  1  pasto  morde. 
Che  solo  a  divorarlo  intende,  e  pugna; 

Cotai  si  fecer  quelle  facce  lorde  3 1 

qai  per  nuino .  m^  distese  y  in  questo  laogo  è  verbo  5  oppor  no« 
me,  cosi  che  distese  le  sue  spanne  debba  prendersi  per  abla^ 
tìvo  assoluto?  Torelli. '«-^ 

26  27  Prese  la  terra ^  ec.  Virgilio  nell'Eneide  fa  che  la  Si- 
billa conducitrice  di  Enea  all'Inferno ,  acquietasse  Cerbero  con 
gettar  lui  a  mangiare  un  pasticcio  sonnifero: 

Melle  soporatani ,  et  niedicatis  frugibus  offam 
Obiicit  [a\i 
Per  qnal  motivo  adunque  fa  qui  Dante  da  Virgilio  acquietarsi 
Cerbero  con  deUa  teiTa?  Vorrebb^egli  per  avventura  redarguire 
taciumente  la  gentilesca  persuasione  di  Virgilio,  che  si  potes- 
sero dagli  uomini  i  demonj  ingannare ,  e  nel  tempo  stesso  far 
capire  che  la  umiltà ,  intesa  per  la  terra  [&] ,  sia  lo  scudo  piii 
valevole  contro  quelli  spiriti  superbi?  O  vuol  forse  significare, 
die  l'umana  carne,  di  cui  Cerbero  era  bramoso,  non  è  in  so* 
stanza  altro  che  terra?  —  bramose  canne ,  fameliche  gole« 

28  agugna,  j4gugnare  o  agognare j  desiderai'e  con  avidità, 
V(.*dì  il  Vocab.  della  Ci*usca . 

3o  pugna .  Pugnare ,  per  combattere ,  adoperata  da  ottimi 
Italiani  anche  in  prosa  .Vedi  il  detto  Vocab.  »-^£'Wo,hail 
coA  Ang.  E  R.  4Hi 

3i  fociy  legge  la  Nidob.  ;  e  facce  ^  leggono  invece  tutte  le 
altre  edizioni .  Ma  la  faccia  non  è  che  dell'uomo,  efociefai^ 
ci  sono  voci  sinonime  [e],  e  proprie  d'ogni  animale.  Le  fauci 
adunque  di  Cerbero,  lorde  per  la  in  esse  gettata  terra,  cotai 
si  fecer  ^  fecero  come  fa  il  cane  nel  detto  paragone,  s'impie- 
garono cioè  ad  inghiottire  la  terra,  e  s'acquietarono.  »-►  Sem- 
bra al  Biagioli  che  la  lezione  foci  della  Nidob.  tradisca  ed  ai^ 


[a]  Lib  VI  V.  4^0.  [b]  Humus  autem  terra  est,  a  qua  humilfs,  dice 
Niccolò  Perotù,  Cornucop,  epigr.  io.  art.  Humus f  e  coaferioaQO  tutti 
gli  ^iniologisii,  [e]  Vedi  il  Vocab.  delia  Crusca, 


i44  INFERNO 

Dello  demonio  Cerbero,  che  ^ntrona 
L'anime  sì,  ch'esser  vorrebber  sorde. 
Noi  passavam  su  per  l'ombre,  ch'adona         34 
La  greve  pioggia ,  e  ponevam  le  piante 
Sopra  ior  vanità,  che  par  persona. 

rechi  gran  guasto  al  sublime  concetto  di  Dante ,  affermando  col- 
l'autorità  della  Cr.,  che  si  può  benissimo  chìnm^r  faccia  anche 
il  muso  o  ceffo  di  un  bruto ,  giacché  le  parti  del  ceffo  chiamaiiM 
appunto  come  quelle  della  faccia  vaaan&yocchijnasoj bocca  er. 
£  chiamandosi  cognomi  stessi  le  parti  di  due  confrontati  ogget- 
ti, non  sa  vedere  perchè  le  due  totalità  co' nomi  medesimi  non 
si  possano  chiamare. Di  piii,  leggendo  facccy  tu  vedi  tosto  quelle 
tre  agitai*si  e  dibattersi ,  odi  suonar  le  mascelle  e  strìdere  le 
saune  y  mentre  che  leggendosi  foci  la  comparazione  non  va  , 
cessa  ogni  azione ,  si  ferma  il  pensiero  in  contemplare  ciò  che 
l'occhio  non  vede  ^  e  si  affatica  invano  di  trovar  la  ragione  per- 
chè il  Poeta  chiamò  le  non  vedute  foci  lorde  di  terra .  Per 
tutte  queste  ragioni  noi  abbiamo  sostituito  facce  al  foci  della 
Nidob.  — /Iwrcc ,  legge  pure  il  Vat.  3 19^.  ♦-# 
3a  ^ntrona,  stordisce. 

34  adona.  Adonare  y  abhfissare  ^  domare y  spiega  il  Vo- 
cab.  della  Cr.;  ed  oltre  questo  ne  reca  in  esempio  quelPaltro 
passo  di  Dante  :  Nostra  virtù ,  che  di  leggier  j*adona,  *  Non 
spermentar  faj;  e  quelle  parole  di  Gio.  Villani:  E  così  si 
adonò  la  rabbia  dello  ingrato  e  superbo  popolo  di  Firen^ 
ze  \b\  :  ed  a  cotal  senso  di  adona  corrisponde  ottimamente  ciò 
che  dice  Dante  di  quelle  anime,  chìElle  giacean  per  terra 
tutte  quante.  ^^^  Adonato  per  abbattuto ,  e  adonaniento  per 
abbattimento  trovasi  anche  nelle  rime  di  Bona^unta  Urbi- 
ciani,  e  sono  voci  derivate  dal  provenzale.  E.  F.  <«-« 

11  Venturi  amerebbe  d'intendere  detto  adona  per  aduna. 
Non  sarebbe  certamente  la  mutazione  delle  inusitate;  ma  bi- 
sognerebbe verificare  che  la  greve  e  grandinosa  pioggia  adu- 
nasse di  fatto  quelle  anime  :  che  altro  è  che  le  gettasse  a  terra , 
altro  che  le  adunasse  ed  ammucchiasse. 

35  ponevam ,  la  Nidob.;  ponayam^  l'altre  edizioni . 

36  Sopra  Ior  ec,  sopra  la  loro  incorporalità  che  par  corpo. 

[n]  Pnrg.  ix.  19.  [b]  Creo.  lib.  6.  cap.  80. 


CA  NTO  VI.  i4^ 

Elle  giacean  per  terra  tulle  qtiaate,  ^7 

F'uor  ch'una,  eh' a  seder  si  levò,  ratio 
Ch'ella  ci  vide  passarsi  davante* 

O  tu,  che  se' per  questo  loferno  tratto,  4^ 

Mi  disse,  riconosci  ali,  se  sai: 
Tu  fosti  prima,  ch'io  disfatto,  fatto. 

£d  io  a  lei:  l'angoscia,  che  tu  hai,  4^ 

Forse  ti  lira  fuor  della  mia  mente. 
Si  che  non  par,  ch'io  ti  vedessi  mai. 

Ma  dimmi  chi  tu  se',  che  'n  si  dolente  4^ 

Luogo  se' messa,  ed  a  sì  fatta  pena. 
Che  s' altra  è  maggior,  nulla  è  sì  spiacente. 

3j  giacean  ,  la  Nidob.;  giacenj  altre  edizioni  « 

08  ratto  j  avverbio,  subitamente.  w^-^Fuor  tfuna ,  ha  il  cod» 
\  au  3 1  gc).  4-« 

3g  m^  Perchè  ci  %^ide  passeggiar  dai^ante^  legge  diversa- 
mente dagli  altri  il  cod.  Caet.  E .  B.  <-« 

4o  tratto  y  condotto  • 

4'i  Tu  fosti  prima  fatto ,  cioè  j  tu  pascesti  prima  ch'io  fossi 
disfatto^  morto.  Ti Anizhho ^  Bisticcio  sgradilo  e  svenatole 
anzi  che  nò  <,  grida  il  Venturi  a  questo  verso  «  Bisticcio  però  j 
(L'cfj  io  lui ,  nulla  piti  sgradito  e  svenevole  di  c|uello  si  ha  nel 
>crsodi  Cicerone  riferito  da  Quintiliano  neirundecimo  libro 
delle  Instituzioni  oreUorie  y  capo  i  • 

O  fortunatani  natatn ,  me  consule ,  Romam. 

43  r angoscia y  che  tu  hai,  soi\\xLUsixà\ySVÌs€uidoti.  m^Ed 
io  a  lui,  legge  TAng.  E.  R.  ««hi 

44  niente  y  per  iìèemoria. 

47  »-»  e  hai  si  fatta  pena  ,  ha  PAug^  E.  R.  <^ 

48  maggior ,  legge  la  Nidob.,  e  con  essa  tutte  Taltre  anti^ 
«*lie  edizioni.  Agli  Accademici  della Cr.  è  piaciuto,  per  F au- 
torità d'alquanti  mss.,  di  leggere  invece  maggio,  peix>ccliè ,  di- 
«xmii,  molte  altre  volte  in  questo  poema  si  legge  maggio  yve/* 
maggiore.  Maggio  pcT maggiore  adoperano  molti  buoni  anti^ 
chi  scrittori  in  verso  ed  in  prosa ,  come  so  uè  possono  ved<»i'e 
pli  esempi  nelVocab.  della  Cr.;  ma  Dante  non  lo  adopera  cb» 

fol.  /,  IO 


i46  INFERNO 

Ed  egli  a  me:  la  tua  Città,  eh' è  piena  49 

D'invìdia  sì,  che  già  trabocca  il  sacco, 
Seco  mi  tenne  in  la  vita  serena , 

Voi,  cittadini,  mi  chiamaste  Ciacco:  5u 

a  &re  la  rima  in  fin  del  verso  [a]  ;  ed  uua  sola  volta  dentro 
il  verso  77*  del  canto  ixviii.  del  Paradiso: 

Di  maggio  a  più  ,  e  di  iiUnore  a  meno  , 
ove  cioè  la  r  guasterebbe  il  verso  j  ed  altrove  sempre  scrìve 
maggiore  :  maggior  Piero  [éj,  maggior  dolore  [e J ,  maggior 
pietà  [d]  ec. 

Piuttosto  da  cotal  usodi  maggio  senza  accento  acutosullo 
io  crederei  che  facilmente ,  al  bisogno ,  pronunziassero  gli  anti- 
chi istessamente  anche  magr^ibr,  al  modo  cioè  del  latino  maior; 
ciò  ohe  nel  presente  verso  agevolerebbe  il  metrico  andamento. 
»-»r  Vuole  il  Biagioli  che  si  abbia  a  leggere  con  la  Crusca  mag' 
gio ,  e  non  maggior  j  che  guasta  il  verso ,  dicendosi  tuttora  in 
Firenze  via  maggio^evi^ia  maggiore  j  e  nel  Contado  ri  maggio 
per  t/mo  maggiore  ec.  Maggio  hanno  pm*e  i  codici  Antald. , 
Caet.  ed  Ang.,  per  quanto  ce  ne  assicura  il  romano  Rditoi*e> 
•^^  ed  anche  il  Vat,  3 199 ,  e  dà  al  verso  maggiore  armonia .  ••-• 

5i  vita  serena ,  qui>  e  dolce  mondo  nel  i'.  88.  fa  Dante 
appellarsi  da  Ciacco  la  vita  nostra  e  il  nostro  mondo ,  o  a<l 
imitazione  di  Virgilio  j  che  dulcis  vitae  ea^sortes  appella  i 
morti  bambini  [e],  ovvero  rispetti vnnien te  al  torbido  ed  amato 
ch'è  neir Infamo* 

02  Ciacco  significa  in  lingua  fionMitina  lo  stesso  che  porco; 
e  per  essere  costui,  che  non  si  sa  chi  sì  fosse^  stato  un  para»* 
sito,  era  perciò  tanto  comunemente  appellato  Ciacco  y  cnegli 
era  questo  vocabolo  in  luogo  di  nome ,  e  come  tale  lo  adopei*a 
Dante  sei  versi  sotto,  parlando  con  luì  medesimo:  Ciacco,  il  tuo 
affanno  ec,  segnale  che  non  fosse  cosi  appellato  solamente  in 
assenza ,  e  come  si  suol  dii*e ,  dietro  alle  spalle .  Riferisce  di  cw- 
stui  il  Landino,  che  (osse  uomo  assai  eloi/uenle,  e  pieno  d^ui'^ 
òanitàf  e  di  motti  j  e  di  facezie  ,  e  di  soavissima  conversa-» 
zione .  m^  In  una  copia  di  antiche  postille  ad  un  certo  codice 
Cassinese  affeiina  il  rom.  Edit.  d*aver  letto  intorno  a  questo 

[a]  Vedi  maggio  nel  primo  dei  Ire  ìndici  dt-l  Volpi.  [^|  lof.  ii.  v.  u^. 
[ì;]  Inf.  V,  v.  121.  [i/J  Inf.  vii.  v.  99.  [e]  Aencid.  vi.  v^,  ^à^. 


CANTO   Vr.  i47 

Per  la  dannosa  colpa  della  gola, 
Come  tu  vedi ,  alla  pioggia  mi  iiacco  : 

Ed  io  anima  trista  non  son  sola,  55 

Che  tutte  queste  a  siniil  pena  stanno 
Per  simil  colpa;  e  più  non  fé'  parola. 

Io  gli  risposi  :  Ciacco,  il  tuo  afianno  58 

Mi  pesa  si ,  eh'  a  lagrimar  m' invita  : 
Ma  dimmi,  se  tu  sai,  a  che  verranno 

Li  cittadin  della  Città  partita:  6i 

\uùgo:  (Ciacco)  homo  de  curia  fuit  et  gulosommvuldei,  Ciac^ 
chus  idest  ciens  ethos  ;  ma  teme  che  il  trascriuoi'e  abbia  erra-» 
to,  e  cnnchittde  che  in  tali  oscurità  nulla  èda  spregiarsi.-Bia-i 
gi(»li  ritiene  che  Ciacco  sia  nome  proprio  che  »  ai  tempi  di  Dante  ^ 
V  forse  ancora  nel  contado  di  Firenze,significava/43copo.Qui  pero 
è  soprannome  e  vaie  porco .  Se  vuoi  sapere  cui  fu  cotal  sopran- 
nome imposto  leggi  laNov*  8.  Giom.  9.  del  Decanierone*'^-^ 

5354  Per  la  dannosa  colpa  della  gola ,  -alla  pioggia  ini 
fiacco.  Circa  la  ragione  di  far  Dante  puniti  i  parassiti  con  que- 
sta pioggia  di  Grandine  grossa ,  e  acqua  tinta^  e  ne^e  [aj,  più 
file  le  molte  e  varie  cose  che  dicono  gli  Espositori  y  e  che  non 
iio  flemma  di  riferire,  piacerebbemi  d* intendere  che  l'acqua 
ùnta  e  la  neve  servano  a  formare  il  brago  in  cui  cosUu'O,  che 
hanno  menato  vita  da  porci,  possano  voltolarsi  ;  e  clic  la  gran* 
«line simboleggi  l'ingordigia ac'  medesimi  di  consumar ,  se  po- 
tessero, in  pochi  momenti,  a  guisa  di  desolatrice  tempesta, 
(pianto  la  natura  ha  per  l'universale  vitto  degli  uomini  prepa* 
rato;  e  vi  si  confà  quel  proverbio  :  iVb»  i/è  /naggior  tempesta 
-  Del  buco  della  testa,  m^  alla  pioggia  mi  /tacco ,  vale  :  s^)n 
fiaccato  j  cioè  maltrattato  e  conquiso  dcUla  penai  pioggia  di 
f/uesto  cercJùo .  Non  è  dunque  qui  mi  fiacco  verbo  reciproco,, 
(^)me  a  taluno  sembrar  potrebbe,  ma  neutro  passivo,  conio 
"li  struggo  ,  mi  rifinisco,  e  simili.  Poggi  ali.  *-m 

tìo  a  che  verranno  ^  a  qual  cosa  fare  si  ridiUTanuo. 

61  Città  j  Firenze; — partita  yOicììe  due  fazjoui  de 'Neri  e 
de' Bianchi . 


'«•  V 


erfto  IO. 


i48  INFERNO 

S* alcun  v'è  giusto^  e  dimmi  la  cagione, 
Perchè  l'ha  tauia  discordia  assalila. 

Ed  egli  a  me:  dopo  luuga  tenzone  64 

Verranno  al  sangue,  e  la  pane  selvaggia 
Caccerà  F altra  con  molla  oHensione. 

Poi  appresso  convien  che  questa  caggia  67 

Infra  ire  Soli,  e  che  Talira  sormonti 

63  »-^  Perch^ella  è  tanta  discordia  salita  j  legge  il  codice 
Aog*  E  A.  -^  ma  leggerebbe  egli  mai  a  tanta  ?  «-« 

Ò4  tenzone ,  contrasto  di  parole  e  maneggi .  V BVTumi .  •-►  E 
quelli  a  me  •  Dipo^ec.y  ha  il  VaU  3 1 99,  ^p  irpostill«Cass.  a  to/i- 
zone  nota  :  guoa  diu  oontenderant  intus  et  extra^  Albi  et  Ni^ 
gri  coram  Cardinali  Matthaeo  et  Papa  Bonifacio.  E.  R.-4-c 

65  66  f^erranno  al  sangue  y  veiTanoo  alle  mani ,  e  sì  spar- 
gerà molto  sangue .  Vevtuhi  .  —  la  parte  seli^aggia ,  la  parte 
Bianca,  che  alcuni  intendono  così  denominata  dall'  avere  iCei"- 
chj ,  capi  di  essa,  avuto  origine  dalla  selvosa  Yaldisicve ;  altri 
dall'essersl  la  medesima  parte  trovata  a  quel  tempo  cacciata  da- 
gli avversarj  fuori  diFii*enze.  '^Caccerà  Valtra^  la  parte  Nei-a. 
Queste  9  che  Ciacco  predice ,  cran  cose  già  accadute  quau- 
do  Dante  scriveva  ;  ma  col  fingere  fatto  il  suo  viaggio  alP altro 
mondo  neiranno  1 3  00  fa] ,  prima  che  le  cose  accadessero ,  vierK* 
con  tal  meazoa  far  profezia  dellastoria.  m^ parte  selvaggiaj  fu 
così  dettala  parte  de'Bianchi,  perchù  n'era  capoVierì de'Gerchj, 
uomo  ricco  e  pregiato  ,  ma  di  nobiltà  allora  nuova  ,  e  poc'  anzi 
venuto  di  Aoone  e  dai  boschi  di  Val  di  Nievole  >  situata  tra  Pi- 
stoia e  Poscia.  Dell'altra  opposta de'Neri  era  capo  Corso  de'Do- 
nati ,  di  nobiltà  antica  e  specchiata ,  ma  non  di  tante  ricchezze , 
uè  dal  popolo ,  pel  suo  troppo  fasto  ,  amato .  Poggiali  .  •<-■ 

67  questa^  la  parte  Bianca;  -  caggia^  da  caggere^  sìnOBimo 
di  cadere ,  verbo  (  nota  il  Vocab.  della  Cr.  )  di  cui  son  rimase 
e  si  usano  solamente  alcune  terminazioni  di  certi  tempi  ,  ado- 
perate in  particolare  e  con  vaghezza  da'poetì,  comuni  pure  agli 
scrittori  di  prosa ,  eziandio  del  secolo  migliore . 

68  tre  Soli ,  por  tre  giri  del  Sole  intorno  allo  zodiaco ,  per 
ire  anni  ;  -  r altra ,  la  parte  Nera  ;  -  sormonti ,  superi  ,  trionfi, 

[(^]  Vedi  luf.  XXI.  1 13  I  e  Purg.  ii.  gS. 


CANT(5  vi:  i4c) 

Con  la  forza  di  tal,  che  testé  piaggia. 
AIro  terrà  lungo  tempo  le  fronti,  Jo 

Tenendo  l'altra  sotto  gravi  pesi, 


?H)  Con  la  forza  (ti  tal ,  di  Carlo  di  Vàlois  ,  detto  Catto 
ienza  terfa ,  fratello  di  Filippo  il  Bèllo  Re  di  Fnineia.  -  che 
testé  piaggia  9  dee  per  enallage  esser  detto  invece  di  che  testé 
piaggerà ,  e  dee  valere  quslnto ,  che  presto  9  che  tra  poco  i 
verrà  per  mettersi  di  mezzo  a  comporre  le  partii  verrà  , 
«•ioè ,  in  qualità  Ai  paciere  ;  che  di  fatto  con  questo  nome 
portossi  Carlo  in  Firenze ,  quantunque  favorisse  poi  la  Nera 
parte ,  a  depressione  ed  espulsione  della  Bislnca .  Piaggiare 
per  istar  di  mezzo  Io  spiega  il  Buti  [a]  ,  e  quadi'a  qui  assai 
meglio  che  peradulare,  com'altri  lo  intendono^  e  non  mi  paion 
Anzi  cento  miglia  lontani  da  cotal  verbo  e  cotal  significai'e  i 
termini  di  pieggio  epieggeHa^  ch'alcuni  adoperano  inJuogO 
di  mallevadore  e  malleverìa  [A]  .  A  prendere  ^01  piaggia  il 
presente  pel  (ulvaro piaggerà  j  ne  costringe  la  storia,  che  dice 
venuto  Carlo  in  Firenze  nel  novembre  del  1  io  i  [t] ,  che  vale 
a  dire,  un  anno  dopo  del  i  Hoo  in  cui  fingesi  questa  profezia  ; 
r  ben  enallage  cotale  adopriam  noi  pure  sovente  nel  nostro 
rnmnn  modo  di  favellare,  quando  esempigrazia  di  cosa  in  breve 
futura  parlando,  diciamo:  presto  sen  viene  ,  ora  sen  va  ec» 
»^  CiW«  il  Biagioli  che  piaggiare  sia  queir  imminere  occa^^ 
sioni  dì  Q.  Curzio  ,  e  ritiene  col  Daniello  e  col  Venturi  che  tal 
verbo  valga  star  fermo  nelle  spiagge  della  marina  ,  e  ripo^ 
snre,  aspettando  il  tempo  favorevole  per  ingolfarsi  |  il  che  mo- 
stra lo  stato  di  chi  fra  le  divisioni  sta  quieto ,  per  poi  di  questi 
torbidi  approfittarsi .  -  testé  vaile  poco  fa,  poetanti  j  ma  qui  è 
ev  identemente  adoperato  "per  or a^pr esentemente i  Poggi  ali.^hi 

70  j4lto  terrà  ec.  La  detta  con  la  forza  di  Carlo  soiTOon- 
tata  parte  terrà  y  nianten*à,  lungo  tempo  alto,  in  altura  ,  in 
alterìgia  )  le  fronti  j  intendi  dei  partigiani  suoi,  m^^lta  leg- 
ge TAntald.;  ^Ite  l'Ang.  E.  R.  —  ed  il  Vat.  3 199.  4-« 

7 1  Tenendo  V altra  sotto  gravi  pesi  y  opprimendo  >  cioè  , 
Temala  gravemente* 

[n]  OiUto  nel  Vocal>.delU  Crtlsca  nlla  Voce  Piaggiate,  [h]  Vtài  TaR» 
giunta  al  Vocab.  della  Crusca  dei  Bei  glutini .  [c\  Vedi  Mem^  ffcr  la 
f^ita  di  Danieli  10. 


ijo  INFERNO 

Come  che  di  ciò  pianga ,  e  cbe  n^  adonti . 

Giusti  soD  due;  e  non  vi  sono  intesi:  ^l\ 

Superbia ,  invidia ,  ed  avarizia  sono 
Le  tre  ia ville,  ch'hanno  i  cori  accesi. 

Qui  pose  fine  al  lagrimabil  suono;  ^(ì 

Ed  io  a  lui:  ancor  vo'che  m'insegni, 
£  che  di  più  parlar  mi  facci  dono. 

7-»  Come  che  vale  qui  coìnunque  ,  per  quanto  titai  [a] , 
Wh-¥  secondo  Poggiali  y  sta  qui  elegantemente  per  sebbene .  <«h! 
ìi^adonti'  ne  qui  è  pai*ticella  riempitiva;  »-^]l  Hiagioli  sostiene 
invece  che  è  vero  pronome.  <-«  e  adonti  ha  significato  passivo, 
come  .ri  adonti^  si  crucci .  Vuole  in  sostanza  dire  che  uè  per 

riiangere ,  né  per  adirarsi  della  Bianca  oppressa  parte ,  cesserà 
'altra  d'aggravare  la  mano.  »-►  Cosi  anche  il  Torelli    <-■ 

75  Giusti  son  due .  Chi  siano  questi  due  giusti  qui  non  si 
dice.  Guido  Frate  Cai-melitano  [b\  asserisce  essere  stato  Dante 
isresso  e  Guido  Cavalcanti.  »->Cosi  pm'e  il  Postillatola  del 
(]aet.  E.  R.<-«  Altri  essere  stato  piuttosto  Baixluccio  e  Giovanni 
da  Vespignano,  de' quali  parla  Giovanni  Villani ,  e  ne  riporta 
r  intero  capitolo  il  Vellutello  ;  ed  altri ,  ma  con  poca  felicità 
di  ripiego  ,  la  legge  divina  ed  umana  intendono .  VBifTumt.— e 
non  vi  sono  intesi^  non  vi  sono  ascoltati.  Giusti  son  duo^  ma 
non  i^i  sono  *ntesi  j  leggono  altre  edizioni ,  »->e  i  codd.  Caet. 
e  Antald.  E.  R.,  —  la  Crusca  e  il  Vat.  3 199;  lezione  che  a  noi 
pure  sarebbe  piaciuto  di  preferii'e.  -  Il  Biagiolì  è  persuaso  che 
Dante  voglia  qui  lodare  due  singolarissimi  suoi  amici ,  il  primo 
de^  quali  è  Guido  Cavalcanti ,  dal  Poeta  nella  sua  f^ita  nuova 
chiamato  il  primo  degli  atnici  suoi  ;  è  l'altro  un  tale  parimenti 
accennato  nell'opera  stessa  con  queste  parole:  Poiché  detta  fu 

Ìjuesta  canzone  (quella  cioè  che  incomincia  :  Gli  occhi  do- 
entiec.)  si  venne  a  me  uno  9  il  quale  ^  secondo  i  gradi  dt*Ì^ 
r amistà ,  è  amico  a  me  immediatamente  dopo  il  primo  ec.«<« 

76  suono  j  per  parlare  . 

78  di  più  parlar  mi  facci  dono  9  mi  favorisci  d*ulteri<  vil- 
mente rispondere . 

[a]  Vedi  Ci  non.  Par  tic.  57.  7.  [b]Nelcoinenro  yd  ice  Landino)  ch*eì  ft-ce 
sopra  veniiselte  capitoli  di  qutfilo  libro  • 


CANTO  VL  1^1 

Farinata^  e  '1  Teggiiiaio,  che  fur  sì  degni,      79 
Iacopo  Rusticueci,  Arrigo,  e  4  Mosca, 
E  gli  altri ^  eh' a  ben  flir  poser  gì' ingegni, 

Dimmi  ove  sono,  e  fa  ch'io  gli  conosca,        Sit 
Che  gran  desio  mi  siringe  di  sapere, 

79  airs  I  Farinata  $  e  7  Thgghiaio ,  ec:  Quantùnque  iiou 
dica  Dante  il  casato  che  del  solo  fiusticucci ,  contuttociò  co* 
mnnemente  gli  Espositori  assegnano  a  tutti  costoro  il  casato  di 
nobili  fiorentine  famìglie  y  e  dicono  Farinata  essere  stato  de«- 

5  li  liberti  y   Tegghiaio  Aldobrandi  degli  Adimari ,  Arrigo 
eTisantì ,  Mosca  degli  Uberti  o  Lamberti . 

Pretende  il  Volpi ,  che  per  ridursi  il  verso  al  giusto  nu- 
mero di  undici  sillabe  9  debbasi  nel  pronunziare  la  voce  Teg" 
ghiaio  levarlesi  la  io  ;  e  istessamente  nel  pronunziare  UcceU 
tatoio  in  quell'altro  verso  del  Paradiso  : 

Dai  vostro  Uccellatoio  j  che  cornee  vinto  fa]. 
Così  y  dice,  usavano  di  fare  qualche  volta  gli  antichi .  Bà" 
sti  per  tutti  il  Petrarca  nel  cap.  4*  ^l  Trionfò  d'Amore  : 
Ecco  Cin  da  Pistoia ,  Guitton  d'Arezzo  . 
Io  però  non  so  darmi  a  credere  che  né  Dante ,  né  il  Pe- 
trarca ,  né  qualsivoglia  altro  poeta  ^  intendesse  doversi  in  co* 
tal  modo  pronunziare  alcuna  parola  dei  loro  versi.  Bensì  piut- 
tosto persnadomi  che  9  come'delle  due  e  tre  vocali  sovente- 
mente j  COSI  anche  delle  quattro  formassero  eglino  in  qtiesti 
casi  una  sillaba  sola  :  spezie  di  crasi  che  9  giusta  il  Buommatr 
tei,  direbbesi  quadrittongo  disteso  [frj.  Esempio  pure  di  quat* 
tro  vocali  adunate  in  una  sillaba  é  quello  della  voce  figliuoi 
fiel  izifti.  di  questa  cantica: 

Nel  viso  armici  figliuoi  9  senta  far  motto  [e]  . 
^  che  fur  sì  degni  4  Condannando  il  Poeta  questi  medesimi 
soggetti  airinfemo  ^  e  tra  le  anime  più  di  Ciacco  nere  »  ne  fii 
capire  che  f  mentre  dicegli  sì  degni  9  e  che  a  ben  far  poser 
gCingegni ,  cioè  l' industria ,  non  vuol  esser  inteso  che  d'una 
bontà  meramente  civile  9  di  retta  amministrazione  de'  magi' 
strati ,  e  non  già  di  morale  cristiana  bontà  «  Egli  di  fatto  col- 
loca di  costoro  Farinata  tra  gli  eretici  \d]  ;  Tegghiaio  e  Ru-* 

[a\  Canto  xv.  p.  i  io.  [6]  Della  lingua  toscana ^  iralt.  5«  [e]  Verso  4^. 
[d]  Inf.  X.  f^.  3a. 


i5i  INFERNO 

Se  M  Ciel  gli  addolcia ,  o  Io  'nferno  gli  atlosr;t . 
£  quegli  :  ei  son  ira  T anime  più  nere:  S5r 

Diversa  colpa  giù  gli  aggrava  al  fondo. 
Se  tanto  scendi,  gli  potrai  vedere* 

sticucci  tra*  carnali  contro  natura  [a\;  ed  il  Mosca  (e  col  Mosca 
dee  intendersi  quello  che  con  lui  qui |  né  mai  più  altrove,  nieu- 
lova  Arrigo)  tra' seminatori  di  risse  tra  congiunti  f6];  e  nìs- 
suno  di  essi  pone  ti*a*  barattieri  o  traditori  defla  patria  :  segno 
che  ver  lei  giusti  fossero . 

Altri  (testimonio  il  Landino)  hanno  queste  lodi  intese  per 
una  ironia . 

m^  Molto  opportunamente  nota  a  questo  luogo  il  Poggia- 
li che  Dante  in  questo  suo  poema  parla  per  lo  più  da  Te<^ 
logo  9  ma  sovente  ancora  da  cittadino,  e  da  cittadino  impegnato 
nelle  turbolenti  fazioni.  Quindi,  come  cittadini  che  pensarono 
ed  operarono  virtuosamente  verso  la  patria ,  egli  loda  questi 
cinque  ,  collocandoli  d'a]ti*onde  come  uomini  pecc^itorì  in  quei 
luoghi  deirinfenio  che  egli  crede  aver  essi  mirri  tati  per  le  lon», 
tc^ologìcamente  considerate ,  colpe.  4-« 

84  Se  7  Ciel  gii  addoicia  ec.j  se  il  Ciel  li  pasce  di  dol- 
cezza ,  o  rinfemo  di  amaro  tossico.  '^Addoiciare  j  per  addol» 
ciré ,  vedilo  nel  Vocabolario  della  Crusca  adoperato  da  altri 
buoni  italiani  scrittori  . 

85  più  nere  ,  vale  quanto  più  ree ,  più  dalle  colpe  nuu> 
chiale  ed  annerite.  m^W  eh.  cav-  Monti  [e]  riflette,  cJie  tra* 
sensi  figurati  di  Nero ,  nel  Vocab.  della  Cr.  è  stato  dìmeiiti* 
cato  quello  di  Malvagio ,  citandone  in  prova  questo  esempio 
di  Dante  •  ^hì 

86  Diversa  colpa  giù  gli  aggrava^  '^gg^  '"  Nidob.,  meglio 
che  Taltre  edizioni ,  l)ii»erse  colpe  giù  gli  aggrava.  Diversa^ 
intendi ,  dalla  golosità ,  eh 'è  la  colpa  quivi  punita.  •-►Diver- 
samente la  pensa  il  Biagioli ,  il  quale  vuol  che  si  legga  diverse 
colpe f  spiegando  poi  colpe  di  diversa  natura,  -Ma  il  Poggiali 
si  dichiara  in  (avoi'e  della  Nidob.  sfuggendosi  così  un  atticismo 
strano  ed  incongruo  alla  lingua  nosti*a .  — 11  Caet.,  l'Anta Id. 
e  TAiig.  leggono  li  grava,  È.  R.  —  e  cosi  il  Vat.  3199.  •<-■ 

8j  m-¥Se  tanto  scendi^  là  i  potrai  veder  e  >,  ha  il  Val.  i  1  pp-^^-s 

[a]  liif.  XVI.  4i-  44*  L^j  1°^*  xxvni.  io6.  [e]  Prop.  voi.  3.  i\  i.  fac  i65. 


CANTO  VI.  i53 

Ma  quando  tu  sarai  nel  dolce  mondo,  88 

Pregoti  eh'  alla  mente  altrui  mi  rechi  : 
Più  non  ti  dico,  e  più  non  ti  rispondo. 

Gli  diritti  occhi  torse  allora  in  hiechi  :  9 1 

Guardomm'  un  poco,  e  poi  chinò  la  testa: 
Cadde  con  essa  a  par  degli  altri  ciechi  • 

88  dolce  mondo ,  il  mon<Io  nostro .  Vedi  ciò  eh'  è  dello  al 
»^»  Si*  »>  al  dolce  mondo ,  legge  il  cod.  Ang.  E.  R.  4-« 

89  Pregoti  ch'alia  mente  ec.\  mente-,  per  memoria .  Il 
Landino  e  il  Vellntello  ,  i  soli ,  a  quanto  veggo ^  che  cercano  la 
ragione  di  qnesta  petizione  che  Ciacco  fa ,  dicono  appartener 
essa  a  dimostrare  j  che  ancora  quelli  che  sono  in  infimo  sta'* 
tOjC  dannati d^abbominei^oli  i^izi^  desiderano  fama;  e  che 
olirà  di  ciò  era  Ciacco  in  luogo  che  niente  altro  poteva  chic 
dere .  Ma  sebbene  la  stessa  brama  d' essere  al  mondo  ramme* 
morali  si  manifestasse  ancora  in  alcuni  altri  dannati ,  e  segna*- 
lamenle  in  GuidogueiTa ,  in  Tegghiaio  Aldobrandi  e  Iacopo 
Ruslicucci  (  Inf.  XTi.  83.  e  segg.  ),  la  non  è  però  universale  in 
tulli  i  dannati.  Bocca  degli  Abati ^  alla  esibizione  che  gli  fa 
Dante  di  recare  al  mondo  notizia  di  lui  9  risponde  : 
.  •  •  .  «  del  contrario  ho  io  brama  : 
Le^^ati  quinci  j  e  non  mi  dar  più  lagna  :  ec.  [a]. 
Per  questo  e  per  queir  altro  parlare  del  Conte  Ugolino  allo 
stesso  Dante: 

,  •  •  ,  se  le  mie  parole  esser  den  seme , 

Che  frutti  infamia  al  traditor ,  cA'  10  rodo  9 
Parlare  ^  e  lagrimar  vedraimi  ^nsieme  [6]: 
stabilirei  io  piuttosto  essere  ne'  dannati  la  brama  di  ottenere 
commemorazione  tra'  viventi  un  effetto  di  attacco  eh'  essi  tut- 
tavia ritengono  al  mondo  ;  ma  essere  cotal  brama  ed  affetto  in  al- 
cuni vinto  e  superato  dal  rossore  delle  troppo  infami  loro  colpe . 

91  Gli  diritti  occhi  torse  ec,  i  non  U'avolti  occhi  fece  al- 
lora travolti . 

93  Cadde  con  essa  a  par  ec.^  corrisponde  al  i^.  3 7.:  Elle 
giacean  per  terra  tutte  quante .  —  ciechi ,  metafora  ,  per 
non  avere  veduta  la  via  delle  virili . 

Lfl]  Inf.  zsxii.  95,  e  scgg.  [b]  Inf.  xzxrii.  7.  e  srgg. 


i54  INFERNO 

E  '1  Duca  disse  a  me:  più  non  si  desta  94 

Di  qua  dal  suon  dell*  angelica  troailia, 
Quaodo  verrà  la  dì  mica  podestà: 

Ciascun  ritroverà  la  trista  tomba ,  97 

Ripiglierà  sua  carne ^  e  sua  figura, 
ÌJdirà  quel  che  in  eterno  rimbomba  • 

Sì  trapassammo  per  sozza  mistura  no 

Deir ombre,  e  della  pioggia,  a  passi  lenti, 

p4^<'<^  '^^  ^i  desta,  per  non  sbalza  più  da  giacere*  m-^dis" 
sballai  ha  il  Vai.  3199.  4-* 

95  Diqua^  yalquantodinanzif  prima;  —  suon  delV  ange^ 
lica  trombai  rantecedente  pel  conscguente,  la  cbiamataairuni- 
versale  giudizio  (che,  giusta  la  frase  del  Vangelo  fa],  unissi  da- 
gli Angeli  asuon  di  tromba)  peri*  universale  giudizio  medesimo* 

96  la  nimica  podestà  (  pronunzia  in  grazia  della  rima  po^ 
desta  senza  accento  acuto  sulFa,  come  dai  Latini  pronunziasi 
potestas  ).  La  podestà  grande,  colla  quale,  dice  il  Vangelo  [&], 
che  verrà  Gesù  Cristo  a  giudicare  il  mondo ,  fa  qui  Dante  me- 
tonimicamente da  Virgilio  porsi  in  luogo  di  Gesii  Cristo  me- 
desimo :  ella  sarà  veramente  podestà  ai  dannati  nimica ,  cioè 
contraria  ed  odiosa .  —  lor  nimica  podestà  ,  leggono  l' edi- 
zioni diverse  dalla  Nibod.;  ma  essendo  pur  lo  stesso  Vii^lio 
tra'  morti  nelV  ira  di  Dio  [cji  ^  quadra  meglio  che  parli  se- 
condo la  Nidobeatina.  m-¥  Il  Bìagioli  disapprova  e  rifiuta  la  le- 
zione di  Nidobeato,  perchè  Virgilio  non  è  tra' morti  nell'ira 
di  Dio,  poiché,  avendo  egli  perduto  il  Cielo  per  sola  mancanza 
di  fede,  non  è  dalla  divina  vendetta  martellato.  —  Diuinapo^ 
testa ,  legge  TAntald.  E.  R.  4-« 

97  •-►I  codd.  Ang.  e  Stuai*d.  leggono  riì^ederàj  — -  e  cosi  il 
Vat.  3199.  —  Ciascuno  ri\^edrà  >  legge  TAutald.  E.  R.  ♦-« 

99.  quelj  la  sentenza;  — •  rimbomba^  enallage  di  tempo  in- 
vece di  rimbomberà  ;  ed  in  eterno  rimbomberà  vale  quanto 
in  eterno  av^rà  effetto^  in  eterno  non  si  ritratterà.  •-►  Quel 
non  vuol  dire  la  sentenza,  ma  determina  il  nome  suono  sottin- 
teso. Himbomba  non  istà  qui  per  rimbomberà  ,  ma  è  questa 
Tespressione  piii  positiva  dannasi  terribile  verità.  BiaoioIiI.4-« 

[a]  Maith.  34.  i*.  3i.  [b]  Luoae  ut.  e  27.  [e]  laf.  ut».  i9a. 


CANTO  VI.  i55 

Toccando  un  poco  la  vita  futura  ; 

Perdi'  io  dissi  :  Maestro  ^  esti  tormenti  io3 

Cresceranno  et  dopo  la  gran  sentenza, 
O  fien  minori,  o  saran  si  cocenti? 

VA  egli  a  me:  ritorna  a  tua  scienza,  io6 

Che  vuol,  quanto  la  cosa  è  più  perfetta. 
Più  senta  '1  bene,  e  cosi  la  doglienza. 

Tuttoché  questa  gente  maiadetta  109 

In  vera  perfezion  giammai  non  vada, 
Di  là,  più  che  di  qua,  essere  aspetta. 

Noi  aggirammo  a  tondo  quella  strada,  t  m 

Parlando  più  assai ,  eh'  io  non  ridico  : 
Venimmo  al  punto  dove  si  digrada  ; 

iù%  Toccando  «  per  menzionando . 

I  o3  I  o4  estif  per  questi ^  aferes!  molto  dagli  antichi  italiani 
adopnta.  Vedi  il  Vocab.  della  Cr.  —  eij  per  eglino  [a]. 

io5  sìj  cosìj  come  sono  di  presente. 

106  loj  a  tua  scienza^  alla  tua  aristotelica  filosofia,  la  qua- 
le insana  che ,  quanto  V  uomo  ha  più  della  perfezione ,  tanto 
è  più  atto  a  (rnir  la  beatitudine ,  e  cosi  a  sentir  maggior  mise- 
ria ;  onde  s.  Agostino  :  Cum  fiet  resurrectio  carnis ,  et  bono^ 
rii/ngaudiutn  erity  et  tormenta  maiora.  Dahibllo.  Che  fosse 
Dante  aristotelico  nel  fa  sapere  egli  medesimo  con  appellar 
Aristotile  Maestro  di  color  che  sanno  [&]. 

1 08  doglienza ,  per  dolore ,  termine  adoperato  da  buoni 
scrittori  anche  in  prosa.  Vedi  il  Vocab.  della  Crusca . 

1 1 1  Di  là  9  più  che  ec.y  ellissi  •  Coerentemente  al  già  detto 
Di  qua  dal  suon  deW angelica  tromba  y  e  al  qui  premesso  9 
che  non  vadan  mai  quelle  anime  in  vera  perfezione  y  dee  il  ri- 
stretto parlare  di  questo  verso  intendersi  come  se  invece  detto 
frisse:  aspetta  nondimeno  di  essere  per  fetta  più  di  lày  dopo 
deir  universale  giudizio ,  che  di  quay  che  dinanzi  ad  esso. 
•-^  Di  lày  cioè  più  tormentata  che  meno.  Toeblli.'4-« 

11/^  si  digrada ,  si  scende  « 

[a]  Cioon.  Partii  loi.  a.  [b\  Inf  iv.  i3i. 


i56  INFERNO 

Quivi  irovammo  Plato,  il  gran  nemìoo . 

1 1 5  Plato .  Non  bisogna  confonder ,  né  suppotre ,  comr  il 
Venturi  ed  altri  Spositori  suppongono ,  che  confonda  Dante 
Plato  con  Plutone.  Un  soggetto  dall'altro  distinguono  i  Mi- 
tologi [a].  Plato  (  lat.  Platas  )  dicono  nato  di  Iasione  e  Ce- 
rere ;  e  Plutone  (lat  Plato  o  Platon)  da  Saturno  ed  Opi . 
Plato  dicono  tutti  il  distributore  delle  ricchezze  ;  ed  a  Plu^ 
tane  assegnano  tutti  V  impeix)  deUlnfemo  •  Platone  con  al- 
tro nome  alcuni  appellano  Dite  [b]  ;  Plato  nissuno  con  tal 
nome  appella .  Perciò  Danle  fa  qui  al  cerchio  degli  avari  e 
prodighi  pi*esiedere  Plato:  e  nel  canto  xxxiv.  della  presente 
cantica  riconosce  Plutone  nella  persona  di  Lucifei^o,  e  Dite 
lo  appella  [eie  Jmperador  del  doloroso  regno  [d\  ^-^  grati 
nemico  dice  Dante  Pluto  pel  grande  distui*bo  che  apportano 
le  ricchezze  all'  uman  genere  ;  onde  a  Pluto  stesso,  come  delle 
ricchezze  distributore ,  grida  Timocreone  :  Per  te  omnia  in" 
ter  homines  mala  [e] . 

[a]  Vedi  tra  gli  ahrl  NaUl  Comi,  Myihol  lib.  :i.  cap.  9.  e  io.  [h]  €ic. 
de  nat.  deor.  lìb.  9.  [e]  Verso  so.  {d\  Verso  aS.  [e]  Presso  Kaul 
Conti,  dfythoL  lib*  a.  cap.  io. 


CANTO    VII, 


ARGOMENTO 

Pervenuto  Dante  nel  quarto  cerchio  ,  trova  nelVen-^ 
troia  Pluto  come  guardiano  e  Signor  di  esso  cer^ 
chìo .  Quindi ,  per  le  parole  di  Virgilio  avendo  otte- 
nuto di  passare  avanti  i  vede  i  prodighi  e  gli  avari 
puniti  col  volger  Vano  contra  V altro  gravissimi 
pesi.  JE  di  là  passando  nel  quinto  cerchio,  trova 
nella  palude  Stige  gl'iracondi  e  gli  accidiosi,  quelli 
percotendosi  e  molestandosi  in  varie  guise ,  questi 
stando  sommersi  in  essa  palude;  la  quale  aven-^ 
do  girata  tt  intorno  y  trovasi  ultimamente  appiè 
d*un^alta  ton'e. 

JL  ape  Satan,  pape  Satan  alepi>e,  i 

I  Pape  Satan  j  ec.  Miscuglio  di  varj  idiomi  fatto  dal  Poeta 
B  Glie  di  render  orrido  il  parlar  di  Pluto,  o  foiose  anche  per  ad- 
ditamelo perito  in  tutti  i  linguaggi . 

Papae  con  ae  dittongo  è  interiezione  ammirativa  greca 
e  latina ,  equivalente  al  nostro  capperi.  Satan  è  voce  d[>raica» 
signiCcante  avversario ,  nemico ,  e  perciò  applicabile ,  qual 
nome  appellativo,  non  solo  a  Lucifero,  ma  a  Pluto  ed  a  tutti 
i  demoni  '  perocché  tutti  d'Iddio  e  delTuman  genere  inimici. 
Aleppei  Valeph ,  prima  lettera  delPebraico  alfabeto  (aggiusta-» 
U  alla  italiana,  come  aggiustasi  loseph  in  loseppe  e  Giiiseppe) 
ha  tra  gli  altri  signi6cati  quello  di  capo ,  principe  ec.  [aj  ;  e 
però  essa  voce  pur  bene  appoggiasi  a  Pluto,  s)  per  esser  egli , 
rome  dio  delle  ricchezze ,  il  capo  avversario  dell'  umana  ieli** 

(«J  Vedi»  tra  gli  altri,  Calme!,  Diclion,  sa^r,  scripi. 


i58  INFERNO 

cita,  sì  per  la  presidenza  di  questo  ìnfemal  luogo,  e  ti  final- 
mente per  la  unifoi*mità  che  ìisiSatan  alephj  pressialeph  in 
questo  senso,  con  gran  nemico ,  che  l'is tesso  Dante  ap|)e!U 
Plttto  nel  precedente  verso ,  nltimo  del  passato  canto  : 
Quiifi  troxfammo  Plato  il  gran  nemico. 

Intendo  io  adunque ,  che  con  queste  per  la  foga  interi*olte 
r  ripigliate  voci  brontoli  Pluto  irosamente  seco  stesso ,  ad 
ugual  senso  che  se  detto  avesse:  Capperi  Satanasso^  capperi 
gran  Satanasso  !  E  come  in  aria  di  proseguire:  così  poco  sci 
tu  rispettato  ! 

Il  filati  (citato  nel  Vocab.  della  Cr.  alla  voce  aleppe  )  il 
Landino,  il  Vellutello,  il  Daniello  ed  il  Volpi,  riconoscendo 
essi  pure  in  aleppe  Pebraico  aleph ,  diconlo  adoperato  qui  per 
interiezione  di  dolore  in  equivalenza  al  nostro  ah.  Io  però  non 
trovo  alcun  maesti*o  di  lingua  ebraica,  che  attribuisca  ad  aleph 
cotal  significazione. 

Nel  tomo  iv.  di  tutte  le  opere  di  Dante,  stampate  in  ^  e- 
nezia  nel  1 760,  alla  pag.  64  si  riferisce  qual  particolare  e  de- 
cisiva la  spiegazione  di  questo  verso  fatta  da  Benvennto  Gel- 
lini,  in  CUI  pretende  che  il  pape  formato  sia  dal  francese ^aix 
pni^  y  ed  aleppe  altresì  dal  francese  alez.  Ma  (sia  detto  por 
amor  della  verità ,  e  non  per  togliere  la  dovuta  stima  a  chi 
si  adopera  in  favor  delle  lettere)  oltre  che  a  questo  riguardo 
dcsidererebbesi  che ,  assecondando  Dante  in  tutto  ciò  che  ago- 
volmente  poteva  il  francese  dialetto ,  scritto  avesse  pe  pe ,  e 
non  pape.  Ve  d'avvantaggio ,  ohe  il  paix  paix  (  zitto  zitto, 
cheto  cheto  )  0  direbbelo  Pluto  a  sé  medesimo ,  esortandosi 
ad  aver  sofièrenza ,  e  mal  gli  si  converrebbe  quel  rimbrotto 
di  Virgilio  : 

taci ,  maladetto  lupo; 

Consuma  dentro  te  con  la  tua  raòbia  : 
o  direbbelo  a  Dante  ;  e  mal  si  conveiTebbe  al  quieto  suo  pi-c* 
sentarglisi . 

L'anonimo  autore  de^pregiabilia/ie/Z^ofi  stampati  in  que- 
sti anni  in  Verona ,  per  dimcoltà  appoggiata  sulla  supposizione, 
al  Venturi  e  ad  altri  Spositori  comune,  che  Dite,  il  l«e  dcHIu- 
ferno ,  e  Pluto  sieno  un  soggetto  solo  ( contro  lavvertimeuta 
posto  in  fine  del  passato  canto) ,  e  che  Satan  nome  sia  non  ad 
altri  che  al  solo  Lucifero  applicabile  (couti*o  il  teste  divisata 
significare  della  voce  Satan)  j  adotta  il  parer  del  Celliiii  fino  a 
volere  che  per  sola  ragione ,  senza  autoritìi  de'  lesti ,  coireggasì 
il  pape  inpe  pcj  e  che  cotal  fitmcese  parlare  mirasse  a  ìris- 


.  CANTO  VII.  i59 

ure  lo  a  quel  tempo  ancor  vivenle,  ed  al  Poeta  inviso,  Filippo 
il  Bello  Re  di  Francia  [a].  -  *  Il  nuovo  Editore  delle  Opere  di 
Benvenuto  Cellini  (Milano  1806),  il  eh.  signor  Ab.  Consigliere 
Carpaniy  si  unisce  al  nostro  P.  Lombardi  per  ripi*ovare  questa 
opinione.  E.  R.  •->  Il  Biagioli  interpreta  il  pape  e  l' aleppe  co* 
me  il  Lombaixii ,  e  spiega  il  verso  cosi  :  oh  f  Satannsso  I  oht 
SaUmasso  principe  di  questi  luoghi/  un  tenterario  mortale 
ardisce  por  qui  dentro  il  piede  •..../ 

Il  cn.Cav.  Monti  I  non  adottando  alcuna  delle  esposìzio^ 
ni  fatte  flnora  dai  varj  Chiosatori  a  questo  verso,  si  ristringe 
a  dire  che,  messa  a  parte  la  ridicola  pretensione  di  spiegare 
in  modo  clic  soddisfaccia  il  senso  parziale  di  tutte  le  barbare 
voci  componenti  quel  barbarissimoP/x^ei$afanec,,il  senso  lor 
complessivo  evidentissimamente  è  qnello  di  spaventai*e  i  due 
Poeti  per  farli  tornar  addietro;  e  in  fine  dell' acutissima  osser* 
vazione  sulle  studiate  parole  di  Dante  conchiude  che  quelle 
srmo  voci  be.itiali ,  e  al  tutto  fuori  dall'umano  concetto,  l' intel- 
ligenza delle  quali  il  Poeta  riserba  unicamente  al  sapere  di 
quel  Savio  gentil  che  tutto  seppe  [Aj . 

L'eruditissimo  signor  Abate  Michelangelo  Lanci ,  Profes- 
sore  di  lingue  orientali  nella  Sapienza  di  Roma,  in  una  sua 
dotta  Memoria  colà  pubblicatasi  nell'anno  1819,  in  8.^,  coi 
tipi  del  Contedini ,  ha  inteso  di  dimostrare  che  questo  verso 
è  composto  di  ebraiche  voci,  le  quali  significano  :  Tirnostra^ 
Satanasso;  ti  mostra  nella  maestà  de*  tuoi  splendori ,  Prin" 
ripe  Satanasso . 

Ma,  primo  del  Prof.  Lanci  a  credere  ebraiche  queste  pa- 
nile di  Plutone,  ed  a  spiegarle  secondo  l'ebraica  lorooiìgin« 
(  e  a  nostro  parere  assai  piii  chiaramente  che  non  fece  il  Lanci  ) 
si  fu  il  veronese  signor  Ab.  Giuseppe  Venturi  in  una  lettera 
del  %'j  febbraio  1 8 1 1  al  suo  amico  G.  B.  Giramenti ,  stampata 
aelPanno  stesso  in  Verona  dal  Mainardi,  ove  ne  rende  il  si- 
gli ificato  cosi  :  Qui  qui  Satanasso ,  qui  qui  Satanasso  ò  rin^ 
peraiore .  E  soggiugne  che  Plutone  (dio  della  ricchezza),  guar-* 
diano  del  cerchio  ove  sono  puniti  i  prodighi  e  gli  avari,  ve- 
dendo venire  alla  volta  sua  Dante  e  Virgilio,  non  soggetti  all'In- 
femo  e  liberi  dalle  pene  di  quel  cerchio,  si  adira,  e  per  re- 
spingerli grida  contr'essi:  audaci ,  come  venite  voi  quii  Qui 
Lucifero  è  Imperatore  ;  qui  egli  comanda.  Contro  tale  mi- 
ra] jinetliL  n  cap.  j.»  e  Ànedil.  4*  ^^^i'*  i^-  W  Pf'Op,  ee,  voi.  1.  P,  s. 
r4cc«  33.  e  seg. 


i6o  INFERNO 

GoniiDciò  Fillio  con  la  voce  chioccia: 
E  quel  Savio  geatil,  che  lutto  seppe, 
Disse  per  coufortarmì  :  noa  ti  noccia  4 

La  tua  paura;  che  |)oder,  ch'egli  abbia ^ 
Non  ti  torrà  Io  scender  questa  roccia  • 

naccia  di  Plutone  ò  acconcia  così  la  risposta  di  Virgilio  die  in- 
coraggisce  Dante:  non  ti  noccia  ec.^-c/té  poder  ch^ egli  ab-' 
bia  ec.  ;  e  lo  conforta  a  non  temere  di  quella  sovranità ,  la 
quale  (  come  Virgilio  risponde  a  Plutone  e  lo  avvilisce  )  è  sog- 

fetta  al  volere  di  Dio  :  Vuoisi  così  colà  ,  doi^e  Michele  ei\ 
^er  tal  modo  d' interpretazione  vedesi  tosto  il  fino  accoi^- 
mento  di  Dante  nel  chiamar  qui  Virgilio  Savia  gentil ,  che 
tutto  seppe  f  mentre  se  quel  verso  non  avesse?  esposto  sigili- 
Beato,  e  non  fosse  che  una  espressione  di  meraviglia,  disde- 
gno e  di  rabbia,  non  ci  von^bbe  ne  savie%2a,  né  dottrina  per 
intenderla.  4-c 

a  chioccia ,  rauca ,  cosi  fatta  dal  timore  »  <Jìiosai|o  Landino , 
Vellutello  e  Daniello  <  Ma  io  dh*ei  piuttosto  rauca  ed  aspra  per 
l'ira.  Che  Pluto  parlasse  irato,  non  ne  lascia  dubitare  il  in- 
ferito rimbrotto  fiitti^li  da  Virgilio  :  Consuma  dentro  te  con 
la  tua  rabbia  ;  e  che  stendere  si  possa  a  cotale  significazione 
l'aggettivo  chioccia  apparisce  da  questo  e  da  altri  esempi 
che  al  medesimo  aggettivo  sottopone  il  Vocab.  della  Crusca. 

3  quel sai^io gentil ^  quel  probo  pagano,  che  d'ogni  scienza 
fìi  fornito,  Virgilio .  »->  Piacerà  a  molti  piuttosto  ,  dice  TE.  B.. 
di  ravvisare  nel  Sas^io  gentil  di  questo  verso  lo  Spirla  gentil 
di  Petrarca,  canz.  xi.:  Gentil  mia  donna y  id.  canz.  xix.  ed  altri 
molti ,  non  altrimenti  che  intese  dire  lo  stesso  Alighieri ,  Inf.  ii. 
V,  g6.,  v.  1^.  IQÒ.,  XXVI.  y.  62.  ec«  —  Anche  il  Biagioli  prende 
gentil  nel  senso  di  nobile  j  cortese  ec.-— Perciò,  a  meglio 
indicarlo ,  abbiamo  nel  uosti*o  testo  innalzata  la  iniziale  di 
Savio  j  e  come  riscontrasi  nel  Vat,  3199. 4-c 

4  non  ti  noccia  ec.,  non  ti  abbatta  la  conceputa  paura . 

5  che  ,  vale  qui  imperocché-,  — poder  ,  ch'egli  abbia  ,  el- 
littica usi  tata  maniera  d'esprìmersi ,  e  vale  per  quanto  podere 
fh*egli  abbia . 

6  JVon  ti  torrà ,  la  Nidob.  ;  non  ti  terrà ,  l'altre  edizioni , 
9~^  e  i]  cod.  Val.  3  i99.4-c  Ma,  oltre  che  non  ti  terrà  vornliln* 
éiallo  scendere  piuttosto  che  lo  scendere ,  uuifoimasi  poi  aii« 


CANTO  VII.  i6i 

Poi  si  rivolse  a  quella  entiata  labbia ,  7 

£  disse  :  taci ,  maladetto  lupo  : 
Cousunia  dentro  te  eoa  la  tua  rabbia . 

che  la  Nidobeatina  lezione  meglio  allo  stile  del  Poeta  in  que- 
gli altri  luoghi  : 

Che  del  bel  monte  il  corto  andar  ti  toUe  [a]  : 

i7  nostro  passo 

Non  ci  può  torre  alcun  :  ec.  \K\ . 
»♦  Non  ci  terrà ,  legge  TAog.  -  Il  ci  di  questa  lezione ,  com- 
prendendo nella  stessa  sorte  i  due  viaggiatori ,  ed  evitaudo 
qae]  ti  tOy  è  dall'E.  R.  nella  3^  edizione  sostituito  al  ti  della 
Nidob.;  ma  non  cosi  il  terrà  ^  come  vorrebbe  il  Biagioli ,  cbe 
ntieae  per  giusta  e  leggiadra  tal  forma  di  dire  j  sostenendo  che 
il  volerla  escludere  sia  un  volere  impoverire  male  a  propo- 
silo la  lingua  nostra  di  una  sua  particolare  eleganza .  —  Gju- 
fessa  però  il  sig.  Poggiali  che  il  terrà  della  Nidob.  esprime 
megìio  V impedire  y  anche  secondo  la  mente  di  Dante ,  che  in 
ul  senso  ne  ha  fatto  uso  e  al  i^.  1 20.  del  e.  11.  e  al  ^.  1 Ò5.  del 
e  vili,  di  questa  cantica .  *-m  roccia  y  per  balza ,  ripa  ,  tei^ 
mine  adoperato  da  ottimi  italiani  scritturi  anche  in  prosa ,  co- 
me nel  Vocabolario  della  Crusca  se  ne  possono  vedere  gli 
esempi  ;  dee  c^ser  preso  dal  francese  roche . 

7  a  quella  enfiata  labbia  y  aPluto.  Zaiiia ,  faccia ,  aspet- 
to, spiega  il  Vocabolario  della  Crusca  con  molti  esempi  ^^^^ 
mano,  non  di  Dante  solamente ,  ma  d'altri  autori.  —  enfiata^ 
per  superba  ed  altera  y  chiosano  il  Landino  e  il  Vellutello  > 
allasivamente  ad  esser  Pluto  dio  delle  ricchezze,  ed  airalte- 
ngia  che  sogliono  queste  produrre  in  chi  le  possiede .  A  me 
però  parrebbe  meglio  d' intepdere  col  Daniello  enfiata  p(!r 
Sbuffante  dalla  collera;  a  norma  di  quel  d'Orazio:  Quid  caitA- 
toc  est  y  merito  quin  illis  lupiter  aìubas  -^  Iratus  huccas 
infltt  .,..?[<?] 

8  lupo.  Per  aver  Dante  fatto  della  liq)a  simbolo  dell  avarì- 
l'a  [d^y  pensano  il  Landino,  Vellutello  e  Daniello,  che  appelli 
Dante  Pluto  lupo  a  significazione  d'avarizia .  La  non  sembre- 
rebbe però  una  interpretazione  del  tutto  inv  erisimi  le,  se  si  di- 
cesse che  cosi  facesse  il  Poeta  nostro  da  Virgilio  appellarsi 
'(Qel  demonio  9  cagione  del  rauco  ed  orrendo  urlai*e  che  face;  va. 

[«;  lur.  11.  I  ao.  [6]  luf.  vili.  I o5.  [e]  Ai/ir.  lib.  1 .  sai.  1 .  [d]  lui',  i .  49* 
/  o/.  /.  I  I 


i62  INFERNO 

Non  è  senza  cagion  T andare  al  cupo:  io 

Vuoisi  cosi  nell'alto  ove  Michele 

Fé'  la  vendetta  del  superbo  strupo . 
Quali  dal  vento  le  gonfiate  vele  1 3 

Caggiono  avvolte,  poiché  l'alber  fiacca; 

Tal  cadde  a  terra  la  fiera  crudele. 


IO  senea y  la  Nidobeatiaa  ;  sanza y  alu«  edìx.  ^^iUcupoy 
al  fondo  dello  Inferno. 

1112  Fuolsi  così  neWalto  y  in'Cielo .  Vuoisi  nelValto  lày 
redizioni  diverse  dalla  Nidob^  »-^e  i  codd.  Ang.  e  Anlald.E.  R. 
eil  Vat.3 199,4^  JUicheley  il  santo  Arcangelo.  ^Fe'la  vendetta 
del  superbo  strupo  •  Strupo  invece  di  stupro  non  per  cagione 
della  rimay  come  pensano  il  Landino,  Daniello  e  Volpi,  ina 
per  metatesi  molto  dagli  antichi  italiani  scrittori  praticata  an- 
che in  prosa.  Vedi  il  Vocab.  della  Gmsca.  Seguendo  il  Poeta 
lo  stile  delle  Scrittore  sacre,  le  quali  per  catacresi  appropriano 
molte  fiate ,  ai  peccati  d' infedeltà  contro  Dio ,  i  nomi  di  carnali 
peccati ,  di  adulterio  e  di  fornicazione  \a\ ,  appropria  egli  il 
nome  di  strupo  alla  infedeltà  praticata  dagli  Angeli  contro  Dio 
medesimo;  e,  come  fu  cotale  mossa  effetto  di  superbia,  su- 
perbo strupo  perciò  l'appella.  »-►  U  P.  Beccaria,  celebre  fisi- 
co piemontese,  meglio  che  la  Crusca  (che  in  senso  metafo- 
rico intende  usata  la  parola  strupo  per  stupro)  dà  alla  voce 
strupo  il  significato  di  branco.  Di  fatto  stroup  in  dialetto  pie> 
montese  significa  branco  d'animali  specialmente  ;  il  che  otti- 
mamente SI  adatta  alla  turma  degli  Angeli  ribelli.  E.  F.  (Disc, 
intomo  al  iv.  canto  delPInf.  PoL  iv.  nota  6.  fac*  3o.)  <-m 

i4  fiacca y  non  è  (dice  il  Venturi  d'accordo  con  Volpi)  in 
attivo  significato,  ma  in  sentimento  di  neutro  passivo  xi^occa. 
Tra*  molti  esempj  però  che  sotto  il  yerho  fiaccare  nel  Vocab. 
della  Crusca  si  producono,  sarebbe  questo  solo  di  Dante,  in 
f  :ui  adoprerebbesi  in  cotal  sentimento  :  e  ben  anche  in  questo 
stesso  potrebbesi  fiaccare  riputare  attivo ,  e  come  se  detto  fos- 
se: quali  y  come ,  le  uele  gonfiate  dal  vento,  poiché  questo 
t albero  fiacca ,  caggiono  avvolte. 

[n]  Tcji  jimoè  7.,  LffvU.  19.,  Deulerom,  2a.«  Pra^et-b.  23.,  Tob,  4*  •>» 
C0rfirl   6.,C0h$s.6g  Hcb.  i3. 


CANTO   VII.  i63 

G)si  sceDdemmo  nella  quarta  lacca,  i6 

Preadendo  più  della  dolente  rìj)a, 

1 6  lacca.  Non  avendo  (couvien  credere)  i  Gompilatarì  del  V o- 
cab.  della  Cr.  ritrovata  questa  voce  che  in  tre  luoghi  della  pre» 
•cute  commedia ,  qui  ed  In£  zìi.  J  i .  e  Purg.  vii.  j- 1 .  ;  e  scorto 
a  vendo  titubauteil  Buti  nella  spiegazione  di  essa  \  oce,  chiosando 
e£[li  qui  lacca  per  china  y  scesa ,  o  lama ,  ed  Inf.  xti.  per  ripa, 
e  Purg.  VII.  per  yalle^  luogo  concai^o  e  basso,  sonosi perciò  essi' 
Compilatori  astenuti  d'assegnare  al  la  medesima  voce  alcun  signi- 
ficato, ed  altro  non  hanno  fatto  che  registrare  sotto  di  essa  gli 
acceunati  tre  passi  di  questa  commedia,  con  sotto  a  ciascun  pas- 
•0  la  chiosa  del  Buti,  lasciando  al  lettore  la  briga  di  scegliei'e. 
Variano  poi  anche  circa  la  spiegazione  della  medesima 
voce  tutti  gli  altri  Comentatori .  Il  Landino  vuole  che  signifi- 
chi ripa,  il  Vellutello  yalle,  il  Daniello  or  ruina,  ordisce^ 
M,  il  Volpi  e  il  Venturi  ripa . 

In  mente  mia  però  tre  motivi  si  uniscono  ad  esigere  che 
non  diasi  alla  voce  tacca  altro  significato  che  di  cayiià,  valle  > 
fossa ,  o  simile.  m-¥  Così  anche  il  Cav.  Monti  [a] ,  dicendo 
che,  nel  figurato  linguaggio  di  Dante ,  lacca ,  pozzo ,  cisler^ 
na,  esprimono  sempre  la  stessa  idea.  4-c 

L'affinità,  primiei'amente,  che  ha  lacca  coi  latino /aci/.r, 
f  molto  pia  col  latino  barbaro  laccarli ,  nome  col  quale  ajy- 
pellavansi  gli  scavatori  di  fosse  [&]. 

La  necessità,  in  secondo  luogo,  di  cotal  senso  ad  essa  voce 
nel  citato  settimo  cauto  del  Purg.,  come  ivi  si  può  vedci-e . 

L'adattabilità ,  per  tono ,  del  medesimo  significato  alla 
▼oce  stessa  tanto  qui  che  nel  duodecimo  citato  canto  dell*  In- 
famo; per  conoscere  la  quale  basta  intendere  gV infernali  cei^ 
(^j>  non  di  superficie  piana  ,  ma  concava  ,  e  però  contenenti 
*l  bisogno  ove  acqua  [e] ,  ove  sangue  [d]  ce.  -  *  Il  Postillatore 
^^1  coi  Cass.  alla  voce  lacca  nota  :  idest  circulo,  uniformali-^ 
<h>si  alla  chiosa  di  Iacopo  della  Lana:  segue  lo  poema  mom. 
itrando  come  scese  nel  quarto  cerculo.  E.  R.  m^Lacca^  luoga 
hasM>e  concavo,  e  in  piii  largo  comprendimento,  fossato  cu" 
^i'rna.  Cosi  chiama  il  Poeta  il  quarto  cerchio.  Biagiou.*-» 
i";  Prendendo  più  della  ripa,  vale  quanto,  in^oltrandoci 

'*'  Prop,  voi.  3.  P.  1.  f»c.  8.  [b]  Vedi  il  GlossMKÙf  del  Du  Frciiiit  :  « 
y-'imnUea del  Laureali,  [e]  Iiif.  e.  vn.  i8.  [r(^(af«  e.  su.  47* 


\ 


i64  INFERNO 

Che  '1  mal  dell' universo  tutto  'nsacca. 
Ahi  giustìzia  di  Dio!  tante  chi  stipa  19 

Nuove  travaglie  e  pene,  quante  io  viddi? 

E  perchè  liostra  colpa  si  ne  scipa  ? 
Come  fa  Fonda  là  sovra  Cariddi,  ni 

vieppiù  nella  infernale  ripa,  -  dolente^  ^r piena  di  dolori. 
m^  I  codd.  Ang.  e  Caet.  leggono  j  Pigliando  più  ec.  E.  B.  <«-« 

18  Che  Umal  delVuniv^erso  tutto  j  che  tutte  le  soeleraggiuì 
del  mondo  9  •  insacca^  per  aduna  e  punisce*  Alouni ,  ti*a*quali 
il  Vellutello  j  intendono  per  questa  ripa  la  sola  che  gira  in- 
torno al  cerchio  quarto  1  in  cui  si  puniscono  gli  avarie  i  pro- 
dighi ,  e  spiegano,  ch'essendo  l'avarìzia  cagione  di  tutti  i  mali 
dei  mondo ,  dicasi  perciò  essa  ripa  9  contenente  l'avarìzia ,  con* 
tenere  tutto  il  male  dell'universo.  Il  primiero  general  senso 
però,  abbastanza  chiaro ,  poteva  questi  Espositori  esimeredalla 
briga  di  stiracchiai*  l'avarizia  ad  essere  la  cagione  di  tutti  i  mali. 

19  al  21  m^  Ahi  vendetta^  l^^g^  l'Antald.  £•  R.  <#-«  tante 
chi  stipa  ec,  chi  stiva,  ammucchia  e  calca  laggiii:  ochi  puu 
ristringere  nella  mente,  e  figurarsi  immaginando  tante  e  si  stra- 
ne pene!  G)si  il  Venturi  abbraccia  quanto  hanno  detto  prima 
di  fui  i  Comentatori.  A  me  però  (tralasciando  affatto  la  prima 
interpretazione,  come  quella  per  cui  mostrerebbesi  il  Poeta  trop- 
po ignorante  a  non  sapere  che  quante  pene  son  nell"  Inferno 
sono  tutte  dalla  divina  Giustizia  ordinate)  piacei^bbe  meglio  di 
chiosare  che  non  della  difficoltà  di  ristringere  nella  mente  in- 
tenda il  Poeta,  ma  della  difficoltà  di  stiìngere  in  versi ,  che  nel- 
l'atto di  scrivere  sentiva,  m^  chi  stipa  ec*  Questa  spiegatone 
del  Lombardi  non  gai*ba  punto  al  Biagioli,  il  quale  spiega  :  chi 
stiva,  cioè  accumula ,  ammucchia .  II  Poeta,  dic'egli,  nell'atto 
della  parola,  è  come  chi ,  alzando  gli  occhi  al  cielo ,  e  sorpreso 
da  tante  meraviglie,  esclamasse  :  chi  mai  potè  tante  dittine 
oierav^iglie  creare  ?  4-«  Di  travaglia  per  travaglio^  e  di  scipare 
per  conciar  male ,  vedi  il  Vocab.  della  Crusca.  m-^JVuoyi  tra' 
yaglij  ha  il  cod.  Ang.  E.  R.4hì  viddi  in  gi^azia  della  rima  fece 
Dante ,  o  dell'  usato  veddij  mutata  per  antilesi  la  e  in  1,  ov- 
vero di  vidif  aggiuntovi  per  epentesi  un'altra  d. 

22  'jt'ò  lày  nello  511*6110  di  mare  tra  la  Calabria  e  la  Sicilia  ^ 
appellato  il  Faro  di  Messina.  ^ sovra  Cariddi.-  Charyhdis 
(  .scrive  nel  suo  Tesoro  della  lingua  latina  Roberto  Stefano) 


CANTO   VII-  i65 

Che  si  frange  con  qnellci,  in  cni  s'inlop|)a; 
Cosi  convien  che  qui  la  gente  riddi . 

Qui  vid'  io  gente,  più  ch'altrove,  troppa,       aS 
E  d'una  parte,  e  d'altra  con  grand'  urii 
Voltando  pesi  per  forza  di  poppa . 

Percotevansi  incontro,  e  poscia  pur  li  28 

Si  rivolgea  ciascun,  voltando  a  retro, 
Gridando:  perchè  tieni,  e  perchè  burli? 

locus  maris  periculosus  nautis  inter  Calubriam  etSiciliam  y 
quod  contrarios  fluctuwn  cursus  facit  . .  •  Fuit  auiem  Cha^ 
rybdis  ftemina  uoracissinia ,  guae ,  quia  boves  Herculis  ra^ 
puitj  a  love  fulnunata  est ,  et  in  mare  praecipitata  ;  unde 
naturam  pristinam  serpat .  —  Che  si  frange  con  ec»  La  ra- 

F'one  è  (  dice  il  Daniello  )  perchè  in  quello  stretto  si  scontrano 
onde  che  vengono  del  mare  Ionio  con  quelle  del  Tirreno . 
^4  Cosìj  intoppando  gli  uni  cogli  altri  9  come  onda  con  onda 
nel  detto  mare  «  -^riddù  ìtiddare^  insegna  il  Vocabolario  della 
Cx^danzare^menarla  ridda^ballo  dimolte  persone  fatto  in 
giro  *  e  per  similitudine  9  andar  rigirando  a  guisa  »  che  si 

{!s  nella  ridda  :  ed  in  esempio  di  questo  yerbo  per  cotal  simi- 
itudine  adoprato,  oltre  il  presente  di  Dante ,  reca  queir  altrof 
molto  pure  al  proposito  nostro  confacente,  del  CiriffoCalvaneoi 
Così  passammo  la  crudele  Scilla  , 
Z^oi^e  C€u:qua  ritrosa  par  che  riddi  [a]  • 
25  troppa ,  per  molta .  Avveitesi  nel  Vocab.  della  Ci*usca 
che  la  voce  troppo ,  talora  ha  forza  d^anH^erbio  9  ancorché 
s* accordi j  come  aggiunto^  col  sustantiyo  ;  e  recasi  in  esem- 
pio, tra  gli  altri  y  il  presente  passo  di  Dante.  »-^  Qui  uid'io  ec. 
Dice  questo  per  significare  che  l'abuso  delle  ricchezze  ò  nel 
mondo  un  male  molto  piii  esteso  d*ogn* altro.  Pooouti. -Q»f 
vidi  gente  ec.»  ha  il  Vat.  3 199.  «-e 

a6  al  3o  E  d'una  parte  y  e  d^ altra  y  vale  come  in  appresso 
dirà,  da  ogni  mano  ^  cioè  da  destra,  in  sinistra,  e  da  sinistra 
in  destra;  — poppa  y  mammella,  ipeì  petto  y  la  parte  pel.  tutto. 
—  pur  liec.  (  liy  avverbio  dì  luogo,  privato  d'accento  in  gra- 

[k]  Lib.  I.  (ac  6«d«ll'ediz.  veneta  i535. 


166  INFERNO 

Cosi  tornavan  per  lo  ceicbio  tetro 
Da  ogni  mano  all'opposUo  punto, 
Gridandosi  anche  loro  ontoso  metro  : 


sia  della  rima  )  nel  aito  medesimo  del  percuotimento  ciascun 
si  rivolgeva  e  tornava  indietro  •  —  Gridando  :  perchè  ec. , 
pei*chè  trattieni  tu  il  mio  peso  ?  gridando  uno  ;  e  perchè  bur^ 
lif  rotoli,  tn  il  tuo?  rispondendo  Taltro.  Burlare  (con  V  u 

Emnunziato  a  modo  d' o  chiuso  )  per  rotolare  dicesi  in  Lem- 
ai'dia,  dalla  quale  ha  preso  Dante  di  certo  altri  termini  fa]  ; 
e  si  differenzia  da  burlare  per  beffare^  che  pronunziasi  miesto 
con  u  francese.  Burlare ,  per  termine  lombardo  significante 
voltare  e  muov^ere ,  conobbelo  anche  il  Vellatello  ;  al  qnale 
se  avessero  i  Compilatori  del  Vocab.  della  G-usca  posto  nien- 
te, non  avrebbero  per  quest*  unico  esempio  insegnato  che  bar* 
lare  signiGchi  anche  gittar  uìa ,  usar  prodigalità .  Burli  , 
cioè  bui  (  chiosa  il  Landino  )  :  buiare  in  lingua  aretina  signi- 
-fica  gettare .  Troppo  però  è  di  veraa  la  formazione  dell'  uno  e 
dell'altro  vocabolo.  -^*11  Postili.  Cass.  su  la  voce  tieni  no- 
ta: refertur  ad  av^aros;  e  sopra  burli  y  adprodigos.  Questa 
breve  spiegazione  va  perfettamente  di  concerto  con  la  chiusa 
di  lac.  aelia  Lana.  E  diceche  urlai^anoj  cioè  lamentauan^i 
a  modo  di  canij  dicendo  Vuna  parte  aW altra:  perchè  tie- 
ni ?  cioè, perchè  fosti  aifarot  e  V altra  diceva:  perchè  burli 7 
cioè  ,  perchè  gittasti  lo  tuo  inordinatanienteì  E.  R.  «^Pie- 
tro Dante,  Boccaccio ,  l'Anonimo ^  il  Buti,  il  Cav.  Monti  ed  il 
Biagio!!  concorrono  tutti  nella  sentenza  surriferita  del  Postili. 
Cass.  e  di  Iacopo  della  Lana .  4-c 

3 1  al  33  Così  tomat^an  ec.  Ricapitolazione  è  questa  del  già 
detto.  •  cerchio  tetro ,  circolare  oscura  strada .  -  Gridandosi 
anche  loro  ontoso  metro  :  la  particella  anche  dee  qui  inten- 
dersi valere  come  da  ì^antaggio ,  di  soprappiù ,  e  come  se 
avesse  invece  detto  che,  oltre  il  travaglio  di  raggirare  que' pe- 
si e  di  percuotersi,  che  quelli  scianrati  soffirivano,  si  grida- 
vano di  soprappiù  loro  j  essi  f 5]  gli  uni  agli  altri  ,  ontoso 
metro,  ingiuriose  parole .  -^*  Il  cod.  Cass.  legge.  Gridando 
ancora,  cioè  gridando  sempre:  perchè  tieni  1  perchè  burli? 

[a]  Vedi,  percsgion  d'esempio,  Tnf.  m.  9B.  \b]  Del  pronome  loro 
aoche  nelrettocaso  Ulvoha  adoperato,  vedi  it  (jiionio,  Partic.  159.  5. 


CANTO  VII.  167 

Poi  si  volgea  ciascun ^  quand'era  giunto ^        34 
Per  lo  suo  mezzo  cerchio,  alFaUra  giostra  • 
Ed  io,  cb'avea  lo  cor  quasi  compunto, 

Dissi:  Maestro  mio,  or  mi  dimostra  37 

Che  gente  è  questa ,  e  se  tutti  fur  cherci 
Questi  chercuti  alla  sinistra  nostra  • 

Ed  egli  a  me  :  tutti  quanti  fur  guerci  4^ 

Si  della  mente  in  la  vita  priraaia , 
Che  con  misura  nullo  spendio  ferci . 

Questa  nuova  lesione  potrebbe  preferirsi  da  ebi  non  ama  gli 
arcani  in  ogni  conceUOt  £•  B. 

34  iSPoisii^olgeaeCéiCOètruzìoue:  Poi  ciascun^  guaniTera 
giunto  (idV apposito  punto  intende)  ^i  uolgeaper  lo  suo  mezzo 
cerchio  f  pel  medesimo  già  corso  mezzo  cerchio  faceva  rìtonio, 
alCaltra  giostra ,  a  ripercuotere  nuovamente  nel  primiero 
ponto.  •-» Il  movimento  di  questi  peccatori  é  oscuro  qual  fosse. 
Il  V^elltttello  gli  fa  muovere  per  lo  diametro  del  cerchio,  pren- 
dendo mezzo  cerchio  j  nelle  parole  di  Dante ,  per  metà  dello 
spazio  circolare,  non  della  circonfei*enza .  Io  credo  al  contra- 
rio ;  credo  y  cioè  i  che  si  movessero  per  la  circonferenza  ,  se- 
condo la  quale  intelligenza  tutto  il  passo  diventa  chiarissimo: 

Così  tomai'an  per  lo  cerchio  tetro  ec. 
intendi  per  la  circonferenza^  e  non  solamente  del  maggior  cer- 
cliiof  ma  di  tutti  i  minori  concenUici.  Da  ogni  manoj  da  ogni 
|Mirte  della  circonferenza  suddetta  i  aW apposito  punto  ;  poi- 
ché muovendosi  due  per  la  circonferenza  di  contraria  parte  ^ 
il  punto  dove  s'incontrano  è  opposto  a  quello  donde  partirono. 
ToaaLLi.  ^-m 

36  m^Ed  io  e^ aveva  e  7  cor  ee.^  l^gge  il  Vat.  3 1^«  ^^ 

38  cherci*  Cherco,  sincopato  da  chericOf  av  visa  ilYocab.  del- 
la Cr.y  e  dimostralo  adoperato  da  ottimi  scrittori  anche  in  prosa. 

39  chercuti  y  sincopato  da  chericuto  »  che  dicesi  di  chi  ha 
cherica»  ossia  quella  rotonda  rasura  de'capelli,  che  si  fanno  in 
capo  le  persone  addette  al  sacerdozio. 

40  al  4^  Ed  egli  a  me  :  ec.  Ha  Dante  fatte  a  Virgilio  due 
interrogazioni:  la  prima,  che  gente  fosse  quella,  cioè  qual  razza 
di  peccatori  si  fosse;  l'altra,  se  fosser  tutti  cherci  li  chercuti . 


ir>8  INFERNO^ 

Assai  la  voce  lor  oliiaro  T abbaia,  4-^ 

Quando  vengono  ai  duo  punti  del  cerchia, 
Ove  colpa  coniraria  gli  dispaia. 

Questi  fur  cherci,  che  non  han  coperchio       4^> 
Filoso  al  ca))o,  e  Papi,  e  Cardinali, 
la  cui  usò  avarizia  il  suo  soperchio. 

Ed  io:  Maestro,  tra  questi  cotali  49 

Dovrei  io  ben  riconoscere  alcuni, 
Che  furo  immondi  di  cotesti  mali . 

Incomincia  adunque  Virgilio  a  soddisfare  alla  prima  dimanda, 
ed  invece  di  dirc  ch'erano  tuUi  o  avari ,  o  prodighi,  usando 
cii*coscrizione  9  dice  che  nella  primiera  mortai  vìla  furono  lotti 
quanti  sì  guerci  della  mente  (  catacresi  )  cosi  storti  nel  loro 
pensare ,  che  nullo  spendio  y  ninna  spesa ,  ferci  (  la  ci  per  ot^ 
namento  \a]  ed  in  grazia  della  rima)  con  misura;  spendendo 
cioè  o  troppo  poco,  come  gli  avari,  0  troppo  eccessivamente, 
come  1  prodighi,  m^  ferci.  Non  v'ha  posto  ci ,  dice  il  Biagio- 
li ,  né  per  ornamento ,  né  in  grazia  della  rima ,  ma  si  bene 
ptTchè  Virgilio  ha  riguardo  alla  vita  primaia  .  4-« 

4^^  la  uoce  lor^  cioè  il  perchè  tieni ,  che  intendesi  dica  il 


prodigo  all'avaro,  e  \\  perchè  burli y  deiravai*o  al  prodigo; 
baia ,  per  manifesta .  a-^  abbaia ,  secondo  il  Biagioli  j  non 
vuol  dire  manifesta  ciò ,  ma  bensì  manifesta  ciò  abbaian- 
do j  urlando  come  cani,*-^ 

44  4^  ^'  ^''^  P^*^^'  ^^^  cerchio ,  ai  due  diametralmente  op- 
posti punti  del  cei-chio  ;  -Oi^e ,  nei  quali  due  punti;  -^ colpa 
contraria y  l'avarizia  e  la  prodigalità;  -^gli  dispaia ^  gli  ri- 
batte in  parti  cfmti'aiìe . 

48  In  cui  usò ,  invece  d'In  cui  usa  ^  che  leggono  tutte  Tedi- 
zioni ,  hanno  trovato  in  1 3  mss.  gli  Accademici  della  Gr.|  e  sta- 

riisco  che,  avendo  essi,  ove  ragione  il  richiese,  inserite  voci  su 
'autorità  di  un  assai  minor  numero  di  testi ,  non  abbiano  in- 
serita la  presente,  la  quale,  oltre  eh 'è  richiesta  dalla  sintassi 
in  connspondenza  a /%iro,  toglie,  o  scema  moltissimo  la  maldi- 
cenza. Che  se  fosse  mai  per  avventura  sembrato  agli  Accademici, 

[a]  Vedi  Cinon.  Panie.  ^S.  9. 


CAUTO   VII.  169 

Ed  egli  a  me:  vano  pensiero  aduni:  5'i 

La  sconoscente  vita,  che  i  fé'  sozzi, 
Ad  ogni  conoscenza  or  gli  fa  brani . 

In  eterno  verranno  agli  due  cozzi  :  55 

Questi  risurgeranno  del  sepnlcro 
Col  pugno  chi  uso  «  e  questi  coi  crin  mozzi. 

Mal  dare,  e  mal  tener  lo  mondo  pulcro  58 

che  r  accento  nelU  voce  usò  potesse  impedir  Y  elisione  col  se- 
rvente a  y  doveva  togliere  loro  ogni  scrupolo  il  verso ,  tsagU 
aKii  9  I  i6é  del  canto  xxvi.  del  Purgatorio: 

Col  dito  (  e  additò  uno  spirto  innanzi) 
»-»  In  emusò  y  legge  pure  il  Gaet.,  ed  usa  hanno  i  codd.  Aa- 
tald.  ed  Ang.  £•  R.  -  e  il  Vat.  3 199-  -  Questa  lesione  ò  pur  s^ 
guita  e  difesa  dal  Biagioli  ;  ma  le  ragioni  che  ne  adduce  non 
ci  hanno  persuasi  a  scostarci  dalla  Nibod.,  sembrandoci  chiaris- 
sima, da  tutto  il  contesto^r  allusione  ai  morti  colà  veduti.<«-«i/ 
suo  soperchio^  il  suo  soverchiamente  aiFezionare  alle  ricchezze. 
Sa  aduni ,  per  a  te  unisci  ^  abbracci . 

53  i  f  per  gli.  Vedi  il  Vocabolario  della  Cr.,  lettera  I,  J.  5.» 
•-^e  le  nostre  giunte  al  cemento  del  Lombardi  sul  verso  78., 
e.  T.  di  questa  cantica.  4-s  sozzi ,  laidi . 

54  j^dogni  ec.  Rendeli  ora  brunii  oscuri |  talmente  che 
ad  ogni  cronoscimento  li  sottrae  • 

55  agli  due  cozzi  ^  agli  due  urti  nei  due  detti  opposti  punii 
del  cerchio  • 

56  57  sepulcro  9  per  sepolcro ,  antitesi  ed  imitazione  del  la* 
tino  in  grazia  della  rima .  -  questi  col  pugno  chiuso,  gli  avari , 
in  segno  di  tenacità;  -  questi  coi  crin  mozzi j  i  prodigni»  in  se- 
gno db  arer  venduti  e  consumati  perfino  i  capelli,  come  per 
proTCfbio  dicesi»  Accenna  col  pronome  questi  e  gli  avari,  e  i 
prodighi,  perocdiè  tutti  presenti  a  dito  li  segna .  •->  G)si  anche 
il  Torelli,  ridiiamando  il  v.  4^.  del  e.  xxu.  del  Purg.  ^-c 

58  Mal  dare ,  del  prodigo  ;  •  mal  tenere  j  dell'  avaro,  ^pul^ 
ero ,  per  belloy  Ifltinismo  usato  dal  Pulci  anche  fuor  di  rima: 

La  faccia  pnlcra ,  angelica ,  modesta  [a] . 
mondo  pulcro^  il  Paradiso:  o  forse,  usando  il  concreto  per 

[a]  Morg.  STI.  38. 


I70  INFERNO 

Ha  tolto  loro,  e  posti  a  questa  znflfa: 
Quafeila  sia,  parole  doq  ci  appulcro: 
Or  puoi,  figli aol,  veder  la  corta  bufl&  6i 

De'  bea ,  che  son  commessi  alla  Fortuna , 
Perchè  Fumana  gente  si  rabbuflSi; 

V  astratto ,  mondo  pulcro  dice  in  luogo  di  mondana  bellezza^ 
ehc  81  conosce  e  gode  da  qoe'solamenteche  sanno  contenersi  nei 
viituosiliniitidellamediocrità,  lungi  dai  sempre  >iziosiestreniì. 

69  a  questa  zuffa ,  a  questi  urti. 

dopatole  non  ci  appulcro.  Del  suddetto  aggettivo /»fi/* 
ero  forma  qui  appulcrare  j  al  senso  di  ornare  ed  aiòellire  ; 
e  la  ci  in  luogo  di  qui  adoprando  [a] ,  viene  a  dire  il  mede- 
simo che  se  avesse  invece  detto:  Qual  ella  sia^  non  isiò 
qui  a  cercar  belle  parole  per  fartene  la  descrizione  ;  e  in* 
tende  che  bisogno  non  fosse  »  perocché  vedovala  Dante  cogli 
occhi  proprj .  •->  11  cod»  Va  t.  3 1 99  legge,  non  cipidcro  ;  *-  P  Ang^ 
non  li  pulcro  ;  e  TAntald.,  non  cimpìdcro .  E.  R.  4-« 

61  la  corta  buffa  j  la  brieve  vanità ,  disse  Benvesato.  K 
Fì'ancesoo  da  Buti  espone  buffa  ,  derisione.  Ma  ^roìpno buffa 
è  vento  ;  onde  diciamo  buffettare  chi  getta  vento  per  bocca, 
e  sbuffare  quando  con  snono  di  parole,  o  9  a  dir  meglio  ,  con 
ventose  ed  enfiate  parole  alcuno  minaccia  •  Cosi  il  Landino . 
Corta  buffa ,  per  oreue  *vento  e  vanità  spiega  pure  il  Daniel- 
Io  .  Ma  io  direi  di  piti ,  che ,  per  aiuto  della  rima ,  e  per  la  li- 
cenza ,  stata  in  uso  presso  degli  antichi ,  di  adoperare  %HH:ifen^ 
minili  per  lo  maschile  [&] ,  dica  Dante  buffa  invece  di  bi^fb  » 
sinonimo  di  soffto  ;  e  che ,  trasferita  essa  voce  a  significare  la 
forza  ed  influenza  in  noi  de'beni  di  fortuna ,  corta  le  agginn* 
ga  y  per  non  estendersi  a  punto  aintai*ci  di  là:  come  dichiarerà 
ne'  versi  64-  e  segg.  m-¥  buffa .  Il  significato  di  questa  parola 
a  questo  luogo  è  quello  di  ridicolezza  o  vanità  f  onde  6u/* 
fone  dicesi  chi  fa  o  dice  ridicolezze .  Poogiali.  4-« 

63  Perchè  f  valepei^iio/i  &0ni,  come  usoUo  il  Petrarca  pure; 
Quanti  lamenti  lagrimosi  sparsi 
Fur  i%n  ;  essendo  quei  begli  occhi  asciutti , 
Perch*  IO  lunga  stagion  cantai  ed  arsi  !  [cj 

[a]  Tedi  Cinon.,  Pariic,  ^H,  5,  [b]  Sleniìut  »  Cosintz,  irregol.  cap.  1  •• 
[e]  Trionfo  deUa  Morte  f  tB^  1. 


CANTO   VII.  171 

Che  tutto  Toro,  eh' è  sotto  la  Luna,  64 

O  che  già  fa ,  di  quest*  anime  stanche 
Non  poterebbe  farne  posar  una . 

Maestro,  dissi  lui,  or  mi  di'  anche:  67 

Qnesta  Fortuna,  di  che  tu  mi  tocche, 
Cheè ,  che  i  ben  del  mondo  ha  si  tra  branche  ? 

E  quegli  a  me:  o  creature  sciocche,  70 

Quanta  ignoranza  è  quella  che  v*  offende  ! 
Or  vo\  che  tutti  mia  sentenza  imbocche  • 

•-  si  rabbuffa ,  s' accapiglia  >  e  scompiglia .  »-^Il  cod.  Vat  3 1 99 
legge  9  (hiae  V  umana  ec.  «-« 

64  65  foro  y  eh' è  sotto  la  Luna  y  -  O  che  già  fu  :  V  oro 
rke  presentemente  esiste  in  terra ,  o  che  fu  già  consumato  • 
■-»  Il  cod.  Staard.  porta:  E  che  già  fu  ;  lezione  che  piace  as^ 
sai  al  BiagioH.  ^-m 

66  poterebbe  invece  di  potrebbe  y  come  fu  scrìtto  andereb^ 
he  y  alerei  ec.  \a]  invece  di  andrebbe ,  ai^rei  ec. ,  i  quali , 
come  sincope  che  sono  di  quelli  1  debbono  essere  certamenttLi 
pili  recenti.  E  se  in  oggi 9  come  avverte  l'autore  dell'  antico 
Prospetto  de*  inerbi  toscani  \h]  y  non  si  dmsi poterebbe  se  non 
per  potare  y  cioè  tagliare  alle  piante  il  superfluo  de*  rami , 
QÒ  credersi ,  che  nel  tempo  in  cui  àÀ  potere  ùice\MÌ  potereb- 
fy  dì  potare  facessesi  potarebbey  come  9  per  avviso  del  me» 
desimo  autore  [e],  dicevasi  amarebboy  terminarebbe  ec.  in* 
vece  di  amerebbe y  terminerebbe ac.  «-^ Il  cod.  Stuard.  legge, 
Son  poterebbe  far  posar  sol  una*  Biagioli.  **  ed  una  variane 
te ,  attribuita  al  Petrarca ,  e  posta  in  margine  al  cod.  Vat.  3 1 99 , 
Ab»  ne  potrebbe  far  posar  pur  una .  ♦-■ 

G^hasi  tra  branche  y  ha  cosi  tra  le  unghie  y  traslativamente 
detto  invece  di  ha  così  in  suo  potere  e  balìa. 

^^  Or  ^o\  che  tutti  mia  sentenza  imbocche  y  legge  la  Ni- 
dob. ,  meglio  delle  altre  edisioni  che  leggono ,  Or  vo*  che  tu  mia 
sentenza  ne  imbocche.  Imboccare y  letteralmente  preso,  vuol 
dire  mettere  in  bocca;  Cy  trasferendosi;  come  qui  si  trasferisce ,  a 


L° 


««1  Ycdi  TaoUco  Prospetto  de* perìn  toscani  ne' citali  verbi,  [h]  Sotto 
il  verbo  Poltre,  num.  a 5.  [e]  Sotto  il  verbo  Amare ^  n.  11. 


171  INFERNO 

Colui ,  lo  cui  saver  tutto  trascende,  7 3 

Fece  li  cieli  y  e  die  lor  chi  conduce , 
Si  eh'  ogni  parie  ad  ogni  parte  splende , 

Distribuendo  ugualmente  la  luce  :  76 

Similemente  agli  splendor  mondani 

I    Ordinò  general  ministra,  e  duce, 

sentenze  od  a  parole ,  imboccare  alcuno  vnol  dire  insegnar  lui 
ciò  che  tia  a  dire .  Volendosi  leggere  colle  edizioni  diverse  dalla 
Nidob.,  bisogna  per  questo  solo  caso  attribuire  al  verbo  inJHM" 
care  il  senso  di  ricevere  in  bocca  ,  ossia  d*  apprendere ,  co- 
me sono  perciò  forzati  gì'  Intei'preti  di  attribtui^lielo .  —  <m- 
bocche  e  tocche  ,  invece  d^  imbocchi  e  tocchi  ^  sono  antitesi 
in  grazia  della  rima.  »-►  Il  cod.  Vat.  3 199.  ha,  tu  mia  senten^ 
tia  ne  ^mbocche  •  —  Questa  lezione  è  difesa  dal  Biagioli  9  cui 
sembra  non  poter  reggere  quella  di  Nidobeato ,  non  essendo 
lecito  il  dire  :  mettere  in  bocca  una  cosà  uno ,  ma  ad  uno .  «-■ 

y'i  Colui y  Iddio. 

74  chi  conduce  f  cioè  le  motrici  Intelligenze  t  Angeli  [aj  9 
ehe  il  loro  moto  governino:  e  però  Farad,  zxyiii.  76.  e  segg.: 
Tu  uederai  mirabil  contenenza 
Di  maggio  a  più  ,  e  di  minore  a  meno 
In  ciascun  cielo  a  sua  Intelligenza  • 

76  76  ogni  parte  ad  ogni  parte  splende  ^  ec.  Non  intende 
già  che  ogni  qualunque  parte  de' cieli  veggasi  da  ogni  <|ualnn- 
qùe  parte  della  terra:  altrimenti  contraddii*ebbe  alla  verità,  ed 
a  sé  stesso,  ove,  delle  stelle  nel  polo  antai'lico  fa  vellando»  escJaina: 

O  settentrional  vedovo  sito , 
Poiché  privato  se*  di  mirar  quelle  ì  [i] 
ma  solo  intende  eoe  ambedue  gli  emisferi  di  dascan  cielo  (ac- 
ciausi  girando  vedere  ad  ambedue  i  terresti-i  emisferi. 

77  ^S^^  splendor  mondani ,  agli  opoii  e  rìcchezse. 

78  general  ministra  y  e  duce ,  un'  altra  intelligenza  y  da  noi 
appellata  Fortuna  •  Scrive  s.  Agostino  nel  quinto  della  Città  di 
Dio  :  Nos  eas  causas ,  quae  dicuntur  fortuitae  (  undc  etùun 
fortuna  nomen  accepit)  non  dicimus  nuUas ,  sed  iatenies , 

[a]  Cosi  Daale  sl«sto  nel  Convito,  tratt.  a.cap.  a.  [b]  Pnr^  cant.  i. 
verso  a6. 


CANTO  VIL  173 

Che  permutasse  a  tempo  li  ben  vani  79 

Di  gente  in  gente,  e  d'uno  in  altro  sangue, 
Oltre  la  difension  de' senni  umani  : 

Perchè  una  gente  impera ,  e  T altra  langue,     di 
Seguendo  lo  giudicio  di  costei, 
Che  è  occalto,  come  in  erba  T angue. 

Vostro  saver  non  ha  contrasto  a  lei:  85 

Ella  provvede,  giudica,  e  persegue 
Suo  regno,  come  il  loro  gli  altri  Dei. 

eas4f tt0  trihìiinuu  ,  vel  veri  Dei  y  %fel  quorumlibet  spiri tuuni 
{ (*ccu  l'opinione  del  nostro  Poeta  )  v^oluntati  • 

7y  a  tempo ,  a  tempo  debito  9  0  di  tempo  in  tempo . 

80  sangue ,  per  stirpe  j  famiglia . 

8 1  Oltre  ec^j  superiormente  ad  ogni  riparo  posto  dall'uma- 
na industria  contro  i  colpi  di  essa  Fortima  • 

82  Perchè  y  vale  qui  per  la  qual  cosa  ;  —*  langue  y  intendi 
soggetta .  »-^  ed  altra  langue y  legge  l'Antald.  E.  R.  4-« 

84  Che  òy  la  Nidob.  ed  altre  antiche  ediz^  Chedèy  Tediz. 
della  Crusca  appresso  dell'Aldina,  m^  Che  stày  legge  TAu- 
tald.  E«  R.  4-«  angue  y  -per  serpe  y  adopralo  pure  il  Petrarca  ed 
altri  poeti.  Vedine  gli  esempj  nel  Vocab.  della  Ci*usca . 

85  m^non  èy  ha  il  cod.  Stuard.  Biaoioli.  -  contasto  y  per 
errore ,  legge  il  Vat,  3 199*  ^-« 

86  persegue  >  chi  per  continua ,  chi  per  manda  ad  esecu- 
zione  chiosano  gl'Interpreti  ;  ma  intenderei  io  piii  volentieri 
posto  qnì  perseguire  nel  senso,  a  cui  adoprarono  talvolta  i  La* 
tini  il  persegui y  di  difendere y  dicendo:  persegui  suum  ius. 
a-^  Risponde  piuttosto  alla  frase  latina:  factis persegui  guod 
dicimus  ;  peix^faè  ha  voluto  esprimere  il  Poeta  ratto  che  segue 
il  giudicare  y  che  è  l'eseguire ,  e  vuol  dire  1  che  dopo  aver  prov- 
veduto e  giudicato  1  essa  procede  alla  esecuzione  delle  cose . 
BiAGioLi.  —  Il  cod.  Antald.  ha  >  Questa  provvede  y  giudica  e 
prosegue t  e  Questa  legge  pure  TAng.  E.  R.  «•-• 

Sy  gii  altri  Dei.  Dei  appella  le  Intelligenze  mollici  de  Vie- 
li  t  o  allusivamente  all'appellazione  di  Dei ,  che  (  riferisce  il 
Poeta  nel  Convito  [al  )  danno  alle  medesime  i  Gentili ,  ov- 
[a]  Tratt.  a.  cap.  5. 


174  INFERNO 

Le  sue  permatazioa  non  hanno  triegae:         88 
Necessità  la  fa  esser  veloce , 
Sì  spesso  vien  chi  vicenda  consegne. 

Questue  colei,  eh' è  tanto  posta  in  croc^  91 

Pur  da  color ,  che  le  dovrian  dar  lode , 
Dandole  biasmo  a  torto ,  e  mala  voce . 

Ma  ella  s  è  beata  ^  e  ciò  non  ode  :  g4 

vero  pel  nome. di  Dei ,  che  si  attribuisce  agli  Angeli  la  fil«iui 
luogo  delle  divine  Scritture  [a]  . 

80  triegue ,  per  intermittenze^  il  plurale  pel  singolare. 

89  Necessità^  proveniente  dalla  divina  ordinazione.  »-»Bìa* 
gioii  attribuisce  piuttosto  questa  necessità  airimmensa  molti- 
tudine delle  persone ,  che  implorano  con  sollecite  pi^hìere 
continue  il  favor  della  Dea,  che  toglie  ad  uno  per  arricchir  Tal- 
Irò 9  precipita  chi  sta  su  per  alzar  chi  va  terra  terra,  ec  <«-« 

90  Sì  I  m  questo  modo  ;  -  vien ,  si  dà  ;  -  consiegue ,  per  sìà- 
bisce;  -  vicenda y  mutazione  di  stato.  •-^•Torelli  leggendo  che 
invece  di  chi^  spiega:  così  spesso  avviene  che  vicenda  se^ 
guita.  —  Poggiali  diiosa:  ttchiy  è  poeticamente  per  ciò  che; 
a»  consegue  vuol  dire  qui  ottiene ,  e  per  catacresi  esige .  »  Così 
ne  cava  questo  senso  :  giacché  spesso  accadon  cose ,  che  csi^ 
gono  variazione  e  cangiamento  •  -Il  Biagioli  per  ultimo  in- 
terpreta: «4$/  ;  ed  essendo  cosi,  spesso  viene  ctu  consegue  la 
a»  sua  vicenda ,  la  sua  vice ,  la  sua  volta.  a>  —  A  noi  sembra 
però  che  il  senso  più  ovvio  e  piii  naturale  di  questo  verso  sia 
il  seguente  :  Tanta  è  F affluenza ,  la  calca ,  aei  ricorrenti  e 
soggetti  alle  variazioni  e  mutamenti  della  Fortuna .  4-s 

9 1  posta  in  croce  y  per  maladetta  e  bestemmiata  • 

92  Pur  da  color  y  ec.y  eziandio  da  quelli  che  U  dovreb- 
bero ringraziare  e  lodare  ;  perchè  fu  grazia  ciò  che  li  lasciò 
godere  ;  e  non  è  ingiurìa  se  poi  se  lo  ripiglia  y  essendo  suo  . 

VBHTlTBt. 

93  Dandole  ecy  a  torto  biasimandola  e  vituperandola  • 

94  ^'^9  P^i*  ^i  sta.  9-^  Qui  e  sotto  al  v,  9S.  le  particelle  si 
sono  ridondanti  y  ma  nondimeno  sono  molto  espi'essive,  ed  ele- 
ganti •  Poggiali,  ^-m 

[a]  Velli ,  ÌT»  gli  altri ,  Tirino  «  Idiotismi  linguai  ff ebraiche  et  Gr«#- 


CANTO   VII.  l^S 

Con  l'altre  prime  creature  lieta 
Volve  saa  s})era ,  e  beata  si  gode . 

Or  discendiamo  ornai  a  maggior  pietà  :  97 

Già  ogni  stella  cade,  che  saliva 
Quando  mi  mossi ,  e  1  troppo  star  si  vieta  • 

Noi  rìcidemmo  1  cerchio  all'altra  riva,        100 

^  prime  creature  appella  le  Intelligenze  motrici  de' cieli , 
perocché,  com'è  detto,  le  suppone  Angeli,  che  certamente  fu* 
inno leprime creature. •-♦  Il  V at  3 199 legge ,  TralV altre, ^-m 

96  rolve  sua  spera.  Come  le  altre  Intelligenze  attendono 
a  Tolgcre  le  celesti  sfere ,  cosi  la  Fortuna  attende  a  volgere 
la  sfera  sua  de'  beni  temporali  • 

97  a  maggior  pietà ,  a  maggiori  angustie  ed  affanni,  a  più 
tormentoso  cerchio.  »^  Non  è  tale  il  vero  senso  di  queste  pa- 
role ,  secondo  il  Biagioli ,  e  spiega  :  a  luogo  oi^e  si  sente  corur 
passione  maggiore,  4-« 

98  99  Già  ogni  stella  ec.  Dee  intendersi  come  se  detto 
avesse  :  Già  hanno  passato  il  mezzo  cielo ,  e  cadono  yerso 
occidente  le  stelle  ^  che  mentre  entrammo  neW  Inferno  in 
oriente  salivano  •  Ed  essendovi  entrati  mentre  Lo  giorno  se 
n'  andava  ^  e  V  aere  bruno  '^Toglieva  gli  animai ,  che  sono 
in  terra j  —  Dalle  fatiche  ec,  [a],  eh'  è  quanto  a  dire  ,  sul 
principiar  della  notte ,  viene ,  cosi  dicendo ,  a  dichiarare  pas- 
sata la  mezzanotte.  Questo  luogo  di  Dante ,  dice  il  Daniello  ^ 
fii  più  chiaro  quel  di  Yii^lio ,  che  è  nel  secondo  dell'  Enei- 
de :  suadentque  cadentia  sidera  sqnmos,  —  e  7  troppo  star 
si  tneta  :  allude  all'  insegnamento  degli  Ascetici ,  che  nella 
considerazione  de'  vizj  non  si  fermi  la  mente  di  soverchio,  ma 
solo  quanto  basta  a  conoscerne  la  bruttezza  loro  e  pemizie. 
»-»  Riflette  il  Poggiali  che  ,  anche  fuor  di  allusione  ,  è  ragio- 
nevole il  supporre  (benché  Dante  noi  dica)  che  la  permis- 
sione accordatagli  per  un  viaggio  di  tal  natm*a  esser  dovcssa 
per  più  riguardi  di  un  tempo  molto  limitato .  <-■  * 

100  ricidemmo ,  per  attraversammo  ;  -  alla  valer  dee  i n- 
fino  air  [b^  altra  riva  ,  opposta  riva  ;  opposta  a  quella  per 
cui  erano  entrati  nel  cerchio  medesimo  • 

[«]  Inf.  II.  e  se](g.  {b]  Vedi  Cìnoa,  Parlic,  i.  ai. 


176  INFERNO 

So vr'  una  fonte ,  che  bolle ,  e  riversa 
Per  un  fossato,  che  da  lei  diriva. 
L'acqua  era  buia  molto  più  che  persa;  io3 

£  Qoi  ia  compagnia  dell'  onde  bige 

101  1 03  Sovr^una  ecy  sopra  la  sponda  di  una  fonte  ^  che 
bolle y  che  ivi  pullulai  scaturisce;  -  e  rwersa  -  Per  ec.^  e  ro- 
irescia  l'acqua  in  un  fossato,  die  da  lei  sgorga.  YsNTuai.  Della 
particella  per  al  senso  d'in  vedi  il  Gnonio  [a].  m^Per  noa  è 
qui  posto  per  in ,  secondo  il  BiagioU  ;  imperocché  ae  Dante 
-avesse  voluto  dire  che  Tacqua  ivi  stagna  9  avrebbe  detto  in  \ 
ina  disse  per  j  a  fiirci  vedere  quell'acqua  discorrere  pel  suo 
fossato.  «-•  Onde  poi  cali  quest'acqua  all' Inferno  >  vedi  nel 
canto  XIV.  di  questa  cantica  9  1^.  1 1 3.  e  segg. 

io3  V  acqua  era  buia  molto  più  che  persa  *  Trovando  upi 
avei«  Platone  a  questa  medesima  infernale  acqua  della  palude 
Stige  attribuito  il  colore  cj-aneum  prope  [ij,  non  possiam  du- 
bitare che  dallo  stesso  Platone  non  prendesse  Dante  idea ,  e 
che  non  sia  il  medesimo  colore  che  vuole  qui  Dante  all'acqua 
stessa  attribuito.  Perso  (com'altrove  è  detto)  spiega  il  Poeta 
nel  Conuito  [e]  ch'è  un  colore  misto  di  purpureo  e  di  nero, 
ma  uince  il  nero.  Dunque  un  colore  buio  molto  piti  che  perso, 
cioè  nn  porporino  de'  più  scuri,  dovette,  secondo  lui ,  essere  ii 
ejyaneun^ prope.YoìgsTmente  (a' tempi  nostri  almeno)  perr^a- 
neus  intendesi  azzurro  o  turchino  y  colorì  che  nulla  hanno  mi- 
schiato di  porporino .  A  giustificazione  però  di  Dante  può  ba- 
stare che  il  fiore  ciano,  onde  prende  nome  il  colore ,  per  te- 
stimonianza de' botanici  [d],  trovasi  anche  di  colore  porporino. 

1 04  bige  appellando  Vonde  dell'acqua  già  detta  buia  molto 
più  che  persa ,  non  può  per  bigio  intendere  se  non  buio  od 
oscuro ,  e  non  colordi  cenere ,  come  chiosan  altii  :  e  per  buio 
o  nero  dee  lo  stesso  bigio  essere  adoprato  anche  nel  Malmao- 
file  in  que' versi  : 

Ultimamente  la  palude  Stige  9 

Che  a  Dite  inonda  tutto  il  circuito , 

E  in  sé  racchiude  furbi ,  e  anime  bige  [#J. 

[a]  Pmvti'c,  1 95.  1 5.  [b]  Vedi  il  passo  a  tale  proposito  appArtenentc  » 
che  dal  Ft^doiie  di  Platone  riferisce  e  traduce  Natal  Conti,  Hj  ih,  l.  3. 
Cftp.  3.  [e]  Tratt.  4*  cap.  90.  [d]  Vedi  Chabraei siirpium sciagraf»ina  , 
€\.\5S,  aS  p  e  le  annotazioni  del  Dodoneo  a  Tcofraato,  Kb.  9*  [«}€«ut«i  «1. 
si.  ai. 


CANTO  VII-  177 

Entrammo  giù  per  una  via  diversa . 

Uua  palude  fa ,  eh'  ha  nome  Siige  ^  1 06 

Questo  tristo  ruscel,  quando  è  disceso 
Al  pie  delle  maligne  piagge  grige . 

£d  io,  che  di  mirar  mi  stava  inteso,  log 

Vidi  genti  fangose  in  quel  pantano, 
Ignude  tutte,  e  con  sembbnte  offeso. 

Queste  si  percotean  non  pur  con  mano,        112 

io5  Entrammo  giù  ,  scendemmo  più  a  dentro.  —  diversa^ 

3uì  pure  y  come  Inf.  ti.  lit.,  per  orrida.  Il  Veli utello spiega 
iversa  per  altra  da  ij nella  che  facevan  t  onde  dell'  acqua  ^ 
mvegnachè  andassero  in  compagnia  di  quelle.  •->  Auclie 
il  Torelli  spiega  diversa  per  difllcile^  malagevole ,  —  p^ia 
diversa  j  secondo  il  Biagioli,  qui  non  vuol  alti'o  significare  che 
tua  dalle  altre  diversa ,  soggiugTiendo  :  tocca  a  chi  legge  a 
discernere  in  che  consiste  la  diversità ,  che  nasce  qui  dal^ 
forridezsa  e  malagevolezza  della  scesa .  <<--• 

1 06  th*  In  lo  palude  va ,  legge  l'Aug.  E.  R.  ;  — -  Una  pa^ 
lode  va  ec,  il  Yat.  3 199.  4-c 

107  tristo  denomina  quel  loisccllo,  e  rapporto  al  luogo 
pien  di  tristizia ,  entro  cui  scorre  y  e  rapporto  al  fine  per  cui 
scorre,  eh' è  d'impaludarsi  a  rattristare  e  tormentar  anime. 

108  maligne  piagge  grige.  Piagge  j  il  plurale  pel  singo- 
lare per  piaggia ,  cioè  per  la  costa  intorno  al  quinto  cei*chio. 
^tnaligne  ,  per  male ^  malagevoli.  ^ grige  .  iirigio  (dice  il 
\<>cab.  della  Crusca ,  ed  appresso  al  Voeab.  spiegano  qui  il 
\  ulpi  e  il  Venturi  )  y  colore  scuro  con  alcuna  mescolanza  di 
bianco*  Per  oscuro  però ,  senza  altra  misdiianza,  dee  qui 
Dante  esserselo  preso .  ■-♦  Dante  probabilmente  nei  colori  ^/'i- 
^io  e  bigio  non  ha  qui  considerato  se  non  quanto  hanno  di 
Karo:  altrimenti  si  conu-addirebbe,  specialmente  colF  attri* 
biure  il  bigio  a  quelle  onde ,  che  ha  dette  più  nere  del  color 
perso,  che  ù  molto  nero.  À  ciò  ha  dato  forse  motivo  l'impc- 
^no  nella  premeditata  rima  Stige,  Poggiali.  <-m 

109  inteso  y  per  intento  y  o  in  attenzione . 

1 1 1  con  sembiante  offeso y  con  viso  iracondo  e  crucciato. 

I  i  2  Questi y  sottintende  dannati;  micosi  leggeva  e  chiosava 

il  lombardi.  —  Elle,  ha  il  cod.  Antald.  E.  R.;  le/jonr  piìi  ra- 


178  INFERNO 

Ma  con  la  testa,  e  col  petto,  e  co' piedi ^ 
TroQcaodosi  condenti  a  brano  a  brano. 

Lo  buon  Maestro  disse:  figlio,  or  vedi  1 15 

L'anime  di  color,  cui  vinse  Tira: 
Ed  anche  vo',  che  tu  per  certo  credi 

Che  sotto  l'acqua  ha  gente,  che  sospira,        118 
E  fanno  pullular  quest'acqua  al  summo. 
Come  l'occhio  ti  dice,  u'che  s'aggira. 

Fitti  nel  limo  dicon:  tristi  fummo  i ai 

Nell'aere  dolce,  che  dal  Sol  s'allegra. 
Portando  dentro  accidioso  fummo  ^ 

gionevole  di  ogni  altra,  e  che  ci  persuase  di  sostitaire  al  Que- 
sti delle  altre  raizioni  il  Queste ,  che  riferito  sl  genti ,  rende  il 
senso  più  chiaro  1  e  la  sintassi  più  regolare,  ^-m  si  percotetuiy 
intendi 9  vicendevolmente  l'un  l'altro ,  effetto  dell'ira  ;  e  però 
nel  seguente  canto 9  v.  58.  e  segg. ,  dirà  di  Filippo  Argenti: 
Dopo  ciò  poco  vidi  quello  strazio 
Far  di  costui  alle  fangose  genti , 
Che  Dio  ancor  ne  lodo  9  e  ne  ringrazio  • 

I  f  6  cui  vinse  /* ira.  Convenientemente  dà  cotal  pena  Dante 
agFiracondi ,  per  essere  appunto  rb*a  un  torbidamento  dell'aiii- 
mo  f  e  per  impedir  la  medesima  perfino  l'iutiero  proferire  delle 
parole. 

I  ig  Pullulare,  propriamente  è  l' uscir  de'  germogli  dalle 
piante  e  da 'semi  ;  ma  qui  significa  il  gonfiarsi  ed  uscir  l'acqua 
fuor  della  sua  piana  superficie  9  come  sempre  interviene  quando 
sotto  della  medesima  fassi  movimento.  -  al  summo  (antitesi  ed 
imitazione  del  latino  in  grazia  della  rima  )  alla  sommità. 

I  ao  ti  dice  j  catacresi ,  per  ti  tnanifesta  ;  -  if  '  che^  lo  stesso 
che  o^^e  che ,  ovunque  [a], 

lai  limo  y  fango 9  poltiglia;  —  tristi y  pieni  di  mal  talento. 

1 22  »^  11  cod.  Stuai-d.  legger  del  sol  s^ allegra ,  ed  al  Bia- 
gioii  sembra  forma  più  genti  le .  ^-m 

123  dentro j  intendi,  di  noi • '^ accidioso  fummo.  Non  ca- 
pendo gli  antichi  Sposi  tori  che  potesse  accidioso  significar  altro 

[a\  Vedi  Cinon»,  Partic.  igZ,  la. 


CANTO  VII.  179 

Or  ci  attristiam  nella  belletta  negra.  124 

Questo  inno  si  gorgoglian  nella  strozza, 
Gbè  dir  noi  posson  con  parola  integra . 

che  annoiato  del  ben  fare ,  sono  quindi  passati  a  persuader- 
si che  per  costoro  posti  sott'  acaua  e  portanti  dentro  acci" 
dieso  punmo  si  avessero  a  intenaere  non  i  rei  della  piii  cupa 
rabbia  j  ma  gli  accidiosi.  Il  Daniello ,  recedendo  il  primo  da  cch 
tale  interpetrazione  9  vuole  che  accidioso  fummo  non  altro  si- 
lenifichi  die  lenta  ira .  Trovando  noi  però  a  que'  tempi  (  testi* 
monio  Du  Fresne  fa]  )  detto  latinamente  accidiosus  al  senso 
di  tristis  j  par  meglio  che  accidioso  fummo  spieghisi  per  ispi^ 
rito  di  tristezza  e  di  rabbia .  m^  Il  Poggiali  sta  qui  col  Da-* 
niello  e  spiega  questo  vei*sQ  cosi  :  ce  covando  dentro  di  noi  tor* 
u  bìdi  fumi  di  lento  1  ma  Gero  rancore,  che  proromper  dovesse 
9  un  di  nelle  piii  sensibili  ingiurie  ed  oflese  contro  altiì .  »  <-« 
I  a4  Or  ci  attristiam*  — ^ Il  cod.  Gass.  legge ,  Or  ci  tufflant, 
E.  R.  —  belletta ,  lo  stesso  che  poltiglia ,  fango  :  -^  ncgruj 
perocché  deposizione  di  aqqoa  torbida  e  buia  1  quale  ha  già 
Dante  detto  essere  questa. 

laS  Questo  inno  gorgoglian  nella  strozza^  ^^SS^  1^  Nido- 
beatina  ,  ove  V  altre  edizioni,  Quest*  inno  si  gorgoglian  ec* 
Bene  perù  la  Nidobeatina  toglie  di  mezzo  la  particella  ji,  che 
di  leggieri  potrebbe  riputarsi  corrispondente  alla  che  in  prin- 
cipio del  seguente  verso,  a  formar  sentimento  di  talmente  che. 
LoMBAEDi.  •-♦Il  Biagioli  ritiene  il  sij  dicendo:  1.^  essere  im- 
possibile di  pigliarlo  nell'  eiToneo  senso  che  accenna  il  Lom- 
bardi ;  :kP  perchè  si  gor^j^oglian  è  modo  piii  toscano  che  il 
semplice  gorgoglian  ;  òP  perdiè  la  lezione  Midob.  non  si  cou-« 
forma  all'  azione  come  la  comune  ;  ^P  perchè  mancando  il  siy 
converrebbe  supplirvi  con  una  licenza  ardita  e  affatto  inutile . 
—  Per  tutte  queste  ragioni  ci  piacque  di  adottare  la  lezione  co* 
mone .  ^-m  Inno  y  canto  di  lode  i  qui  ironicamente  per  ^ersi  di 
lamento .  -^  Gorgogliare  ,  lo  stesso  che  barbugliare,  pro- 
nunziare malamente  ;  —  strozza ,  canna  della  gola .  m-^  Il  cod. 
Sloard.  legge,  Quest^inno  lor  gorgoglia  nella  strozza  y  le-^ 
zione  che  al  Biagioli  sembra  preferibile  alla  comune .  4hì 

1 36  Ohe  dir  noi  posson  con  parola  integra  ;   imperoc-^ 
che,  pel  fango  che  ingozzano,  noi  possono  intieramente  pro- 


a]  Giossai'»  mtd.  aeri.  Art.  Accidiosus,  \ 


i8o  INFERNO 

Così  girammo  della  lorda  pozza  127 

Grand' arco  tra  la  ripa  secca,  el  mezzo, 
Con  gli  occhi  volti  a  chi  del  fango  ingozza: 

Venimmo  appiè  d'una  torre  al  dassezzo. 

nunziare.  -^integra  y  per  intiera  ^  dal  latiao  in  gi*azia  della 
rima. 

1 27  1 28  pozza ,  pozzanghera  ;  propriamente  (chiosa  il  Lan- 
dino) significa  piccola  congregazion  d'acqu£^(come  le  buche 
ripiene  d'acqua  piovana  nelle  rotte  vie)'  ;  ma  qui  la  piglia  per 
la  gran  palude  dì  Stige,  ed  usa  una  figura  molto  trita  appi-esso 
de'  greci  e  latini  poeti ,  chiamata  tapinosis  y  quasi  abbassa^ 
mento  y  perchè  pare  che  s'  abbassi  la  cosa  grande,  descin Ven- 
dola con  dizione  eh*  importi  cosa  picciola.  —  Grand*  arco  . 
Arco  appellasi  una  porzione  di  cerchio  ;  onde  Grand  arco 
vuol  dire  gran  porzione  di  quel  quinto  cerchio  ;  —  tra  la 
ripa  secca ,  e  7  ììwzzo  .  Dee  il  Poeta  avere  aggiunto  secca  , 
cioè  asciutta  ,  alla  ripa  ,  per  cui  dal  quaito  citino  nel  quinlf> 
cerchio  discesi,  a  fine  di  meglio  fare  intendere  che  mezzo  non 
significa  qui  medie tà  ,  ma  l'opposto  di  secco ,  cioè  il  molle  y 
il  molle  della  palude  [a]  ;  e  come  se  detto  iuvcce  avesse ,  ira 
la  ripa  e  la  palude . 

1 29  a  chi  del  fango  ingozza^  a  chi  del  fango  ingliiottisco , 
come  conveniva  che  facessero  que'  sciaurati ,  perocché  nel  fan- 
go del  tutto  immersi . 

1 30  F^enimmo  appiè  ec.  Significando  al  dassezzo  il  mede- 
simo che  finalmente  y  ultimamente  [b]  ,  dee  essere  la  costru- 
zione: f^enimmo  al  dassezzo  appiè  d'una  torre. 

[a]  Vedi  nel  Vocab.  della  Cr.  come  dee  cotal  voce  proounz tarsi,  [b]  V«ilt 
lo  flesso  Vocabolario  • 


CANTO    Vili. 


ARGOMENTO 

Trainandosi  ancora  Dante  nel  quinto  cerchio ,  come  fu 
giunto  al  pie  della  torre  ^  per  certo  segno  di  due 
fiamme  lessato  da  Ftegiàs,  tragettatore  di  quel  luo* 
gp,  in  una  barchetta,  e  già  per  la  palude  navigan- 
dò ,  incontra  Filippo  jirgentl  ;  di  cui  veduto  lo 
strazio,  i  due  Poeti  seguitano  oltre  insino  a  tanto 
che  persfeugono  alla  città  di  Dite ,  nella  quale  en* 
trar  volendo ,  da  alcuni  demonj  è  loro  serrata  la 
porta . 

lo  dico  seguitando,  eh*  assai  prim^l,  t 

Che  noi  fussiino  al  pie  dell'alta  torre, 
Gii  occhi  nostri  n'andar  suso  alla  cima 


I  Iodico  seguitando  j  ec.  Ad  alcuni ,  che  da  questo  modo 
d  incomìociarc  pretendouc  di  trarre  conferma  per  T  opinione 
loro  y  che  scritti  avesse  Dante  i  sette  canti  precedenti  anterior- 
mente al  suo  esilio,  e  che  ricominciasse  di  qui  dopo  l'esìlio  lo 
intralasciato  lavoro ,  risponde  ^  a  mio  giudizio  j  ottimamente  il 
Marchese  Scipione  MajQTei,  che  per  la  medesima  ragione potreb* 
besi  dire  che  anche  V Ariosto  interrompesse ,  e  poi  in  altro 
paese  il  suo  poema  rìassimiesse)  perchè  dice  nel  principio 
del  canto  xvi.:  Dico  la  bella  istoria  ripigliando  ;  e  nel  prin-' 
cipio  del  XXII.:  Ma  tornando  al  lavor,  che  vario  ordisco  \a\. 

a  Cile  noi  fussìmo  j  laNidob.;  Che  no^ pissimo  y  l'altr^ediz. 

3  n^ andar ,  si  diressero  . 

[a\  Osserv.  Leti.  tom.  a.  fac.  a^J^ 


\ 


^ 


i8a  INFERNO 

Per  due  fiamnieUe,  che  i  vedemmo  iiorre,      4 
E  un'altra  da  luagì  reader  cenno, 
Tanto,  ch'api^enal  potea  T occhio  torre. 

Ed  io  rivolto  al  mar  di  tutto  1  senno,  ^ 

Dissi:  questo  che  dice?  e  che  risponde 
Quell'altro  fuoco  ?  e  chi  son  que' ,  che  '1  fenno? 

Ed  egli  a  me  :  su  per  le  sucide  onde  i  o 

Già  puoi  scorgere  quello,  che  s'aspetta, 

4  Per  due  fiammette .  Scrìvendo  lo  Scoliaste  dì  Tucidide 
nel  lìb.  3.,  che  colai  cenni  di  fuoco  facessersi  in  tempo  e  di 

Jnierra,  e  di  pace  ,  col  solo  divario ,  che  in  tempo  di  guerra  si 
acessero  doppj  di  quelli  che  in  tempo  di  pace  si  facevano , 
pensa  il  Mazzoni  [aj  che  perciò  finga  Dante  fatto  cenno  con 
doppia  fiamma  a  dinotare  che  Vanirne  non  erano  pacificamene 
te  ricettate  nella  città  di  Dite .  Potrebbe  però  anche  pen- 
sarsi che  intendesse  Dante  essere  sistema  di  accendersi  su  la 
torre  tante  fiamme 9  ouant 'erano  le  anime  che  venivano.  «»  che 
i  vedemmo  porre ,  legge  la  Nidob. ,  e  significando  la  1  istes- 
samente  che  iyi  [b\ ,  è  cotal  lezione  preferibile  alla  che  ve- 
demmo  porre  dell'altre  edizioni.  m-¥  Spiacendo  all' occhio  ed 
allo  orecchio  quell'aggiunta  della  i,  è  meglio  sottintendere  in 
su  la  cima ,  e  seguir  la  comune.  Biagioli.  4^ 

5  6  un^ altra ,  torre  al  di  là  della  palude  ;  —  da  lungi  ren-^ 
der  cenno j  ''Tanto  j  cheec^  sinchisi,  e  dee  essere  la  costruzione: 
render  cenno  tanto  da  lungi ,  che  ec,  -  rocchio  torre*  Torre j 
per  iscorgercj  spiega  il  Buti,  citato  nel  Vocab.  della  Gr.  a  questo 
passo  ;  ma  meglio  si  capisce  per  comprendere  j  daìpremiere y 
che  in  sé  racchiude,  sinonimo  di  torre  o  togliere.  lor  %fia ,  per 
comprendere  j  discernere  y  dicesi  volgarmente  in  Lombardia. 

7  mar  di  tutto  '/  senno  y  Virgilio  :  perifi*asi  di  quel  Savio 
gentil^  che  tutto  seppe  y  del  precedente  canto  y  u.  ó.  «-^  Et  io 
mi  volsi  y  legge  il  Vat.  3 199.  *-• 

I  o  sucide  y  sporche ,  fangose  . 

II  Già  puoi  scorgere  f  legge  ÌSiNiàoh,;  Già  scorger  puoi  ^ 

[al  Dif,  di  Dante t  lìb»  i.cap.  97.  [b]  Vocabolario  della  Crusca  soUo 
lii  Jeitora  I,  5*  ^* 


N 


CANTO  Vili.  i83 

Se  1  fummo  del  pantao  noi  ti  aasconde . 
Corda  non  pinse  mai  da  sé  saetta ,  1 3 

Che  sì  corresse  via  per  T  aere  snella , 

Com'  i'  vidi  una  nave  piccioletta 
Venir  per  V  acqua  verso  noi  in  quella ,  i6 

Sotto  '1  governo  d*  un  sol  galeoto. 

Che  gridava:  or  se' giunta,  anima  fella? 
Flegiàs,  Flegìàs,  tu  gridi  a  voto,  m 


tatte  r  altre  edizioni  ;  mày  o  con  mancmza  di  un  piede  al  ver- 
aOy  o  costrìngendoci,  con  non  mai  praticato  esempio y  a  pro- 
muiziar  qui  puoi  ài  due  sillabe,  w^  quello ,  che  s'aspetta^ 
da  chi  fece  il  primo  segno ,  cioè  ia  barca.  'Bìkaxaui.  ♦« 

la  fummo  del  pantan^  la  nebbia  (ch'espressamente  dirà 
nel  canto  stg.  i^*  6.  ),  perocché  formata  da  esalazioni  sfumanti 
da  esso  pantano. 

i3  Corda^  intendi  d*areoi  -~  non. pinse  mai  da  sòj  non 
spìnse ,  non  cacciò  mai  lontano  da  sé  • 

i6  in  quella f  vale  in  quel  mentre.  Vedi  il  Vocabolario 
della  Crusca* 

17  Sotto  *l  governo  ec.y  mossa  e  guidata  da  un  sol  remi- 
gante; —  galea to  con  un  t  solo,  sincope  in  grazia  della  rima. 

18  anima  fellah  disse  d'una»  e  non  di  due 9  0  perchè  solo 
una  Te  n'era  spogliata  di  corpo,  o  veramente  pose  il  singolare 
pel  plurale  9  o  veramente  volle  il  Poeta  esprimere  il  vizio  del- 
rincondoy  il  quale  s'accende  tanto»  che  spesso  né  vede»  né 
ode  abbastanza  «  LAirnnro. 

19  sio  Flegiàs»  Fingono  le  favole  che  9  per  aver  Fl^às  ab- 
bruciato il  tempio  d'ApoUine,  adirato  per  la  figliuola»  che  era 
da  esso  Dio  slata  violata  »  fu  dal  medesin|0  Apollo  per  vendetta 
dannato  all' Inferno.  Di  costui  Virgilio  nel  sesto  dell'Eneide: 

Phlegjrasqi^  miserrimus  omnes 

j^dmonetj  et  magna  testatur  voce  per  umbrasc 
Discite  ìustitiam  moniti  j  et  non  temnere  Diuos  [aj. 
Ed  è  questo  Fl^às  posto  in  questo  luogo  dal  Poeta  sopra  gli 
inuHmdi»  per  esser  egli  stato  iracondissimo.  DasibiiIiO.  Questa 

[«]  Vtrso  5iS.  •  Mf^ 


i84  INFERNO 

Disse  lo  mio  Signore,  a  questa  volta  : 

Più  noQ  ci  avrai ,  se  non  passando  il  loto . 
Quale  colui,  che  grande  inganno  ascolta,         22 

Che  gli  sia  fatto,  e  poi  se  ne  ram marca. 

Tal  si  fé'  Flegiàs  nell'  ira  accolta . 
Lo  Duca  mio  discese  nella  barca,  a 5 

£  poi  mi  fece  entrare  appresso  lui  ; 

E  sol ,  quand*  io  fui  dentro ,  parve  carca . 
Tosto  che  1  Duca ,  ed  io  nel  legno  fui ,  a8 

Segando  se  ne  va  V  antica  prora 

ullima  asserzione  però  9  d'essere  Flegiàs  messo  ia  qaesto  luc^ 
sopra  gC  iracondi  j  per  esser  egli  ec,  quantanqoe  sia  oomn- 
ne  al  Landino  eziandio  ed  al  Vellulello  y  a  me  sembra  da  non 
ammettersi;  imperocché  l'uffizio  ch'esercita  Flegiàs  di  con- 
durre anime  alla  città  di  Dite,  luoffo,  come  in  appresso  Te* 
diremo,  dei  miscredenti,  mostralo  alla  medesima  spettante;  e 
ììtemnere Diuos  è  delitto  di  miscredenza  piii  che  altro .  i^^JPre» 
giasy  ha  sempre  il  Vat.  3199.  —  Disse  lo  mio  maestro  <,  ha 
il  cod.  Ang.  E.  R.  >«-«  ^  gridi  a  uotOj  -  Disse  ea  costrozio- 
ne:  disse  lo  mio  Signore y  tu  a  questa  yolta  (lo  stesso  che 
per  questa  t^olta  )  gridi  a  voto ,  invano. 

a  I  Più  non  ci  attrai ^  se  non  ecj  non  ci  avrai  teco  per  al« 
tro  tempo,  se  non  mentre  passeremo  il  fimgo,  la  fiingosa  palu- 
de. Loto  e  luto  significano  ugualmente  fango  y  e  sono  di  quelle 
▼OGÌ  che  pronunziar  si  possono  tanto  coll'o,  che  coll'u,  come 
coUiifare  e  cultivare ,  sorgere  e  surgere  f  ed  altre  molte  [a]. 

24  nel  tira  accolta  9  nell'ira  presasi,  nella  concepnta  ira. 
m^Fecesiy  legge  TAng.  E.  R.  —  e  il  Vat.  3 199^  4-s 

27  E  soly  ec. ,  per  non  aver  corpo  alcuno  dei  tre,  se  non 
esso  Dante. 

28  fuiy  invece  dì  fummo y  zcuma;  come  scrisse  Virgilio: 
hic  illius  armay  -  Hic  currus  fuit  [b]»  m^Fui  non  ista  qui 
per  fummo ,  ed  eccone  la  prova;  tosto  che  il  duca  fu  nel  le* 
gno  f  e  tosto  ch^iofui  nel  legno.  Biagioli.  ^-s 

29  ioSegando^  dividendo,  solcando.  »^5ecam2o9  hailcod. 

la]  Vedi  il  Vocab.  della  Or.  alla  lettera  O.  [b]  Aeneid.  1. 16.  e  seg. 


CANTO  Vili.  i85 

Deir acqua  più,  che  non  suol  con  altrui. 
Mentre  noi  correvam  la  morta  gora,  3i 

Dinanzi  mi  si  fece  un  pien  di  fango, 

£  disse:  chi  se' tu,  che  vieni  anzi  ora? 
Ed  io  a  lui:  s'io  vegno,  non  rimango;  34 

Ma  tu  chi  se',  che  sì  se' fatto  brutto? 

Rispose:  vedi  che  son  un  che  piango. 

Vat.  3 199.  <4-«  prora  y  la  parte  anteriore  della  nave  ^  per  tutta 
la  nave  ;  -  antica ,  perciocché  fatta  la  suppone  fin  dal  tempo 
che  fu  fatto  l' Inferno  ;  -pia  ,  che  non  suol  ec,  per  esser  solita 
a  portar  spiriti,  e  non  corpi .  Imitazione  di  Virgilio >  ove  della 
nave  di  Caronte  caricata  del  coi^o  di  Enea  dice  : 

simul  accipit  alveo 

Ingentem  Aenetan.  Gemuit  sub  pondere  cjrmba 
Sutilis  y  et  m^ltam  accepit  rimosa  paludem  [aj  . 
3i  correvamo  la  Nidobeatina;  corrat^am.  Tattile  edizioni, 
»-►  e  il  codice  Vaticano  3 1 99*4^1  morta  gora ,  acqua  stagnante 
r  pantanosa.  Volpi,  b-^  corras^anio  j  per  correvamo ,  è  una  di 
quelle  antiche  sconce  inflessioni,  che  l'autorità  di  Dante  e 
de*  suoi  contemporanei  non  ha  potuto  far  vìvei*e  sino  ai  no- 
stri tempi  •  Poggiali  .  -  Gora  è  propriamente  il  canale  per  cui 
divcrgesi  l'acqua  dei  fiumi  al  volger  mulini  o  simili  edifizj.  Il 
Poeta  per  mezzo  dell'aggiunto  morta y  l'applica  a  quella  pa^ 
lode.  Bi  AG  IOLI .  <4-« 

33  anzi  ora,  avanti  il  tempo,  perchè  scorge  vaio  vivente  in 
anima  e  corpo,  e  sapeva  che  non  si  andava  a  que' luoghi  sa 
Don  da  morti. 

34  s^io  "vengo  l' non  rimango ,  la  Nidobeatina  ;  s^  f  vegno , 
non  rimango ,  Taltre  cdiz.  »-»>  e  il  cod.  Vat.  3 199. 4-«  Val  co- 
me sSo  vengOy  non  però  vengo  per  rimanere  y  come  tu  pensi . 
•-»  Sembrando  anche  al  Biagioli  che  la  lezione  di  Midobeato 
renda  il  verso  assai  meno  dignitoso,  noi,  seguendo  i  più,  abr- 
biamo  nel  nostro  testo  soppressa  la  i\  e  sostituito  vegno  a  ven^ 
gOy  per  evitare  il  mal  suono  deUVng^o  ,  ango  .  •<-• 

36  vedi  che  son  ec,  i  risposta  che  non  serve  ad  altro,  che  a 
far  capire  importuna  e  noiosa  la  richiesta . 

[a]  Aeneid,  ti.  4i3-  e  scgg. 


i86  INFERNO 

Ed  io  a  lui:  con  piangere  e  eoo  lutto,  37 

Spirito  maladetto,  ti  rimani; 
Ch'io  li  conosco,  ancor  sie  lordo  lutto. 

Allora  stese  al  l^no  ambe  le  mani:  4^^ 

Perchè  '1  Maestro  accorto  lo  sospinse , 
Dicendo:  via  costà  con  gli  altri  cani. 

Lo  collo  poi  con  le  braccia  mi  cinse;  4-^ 

Baciommi  '1  volto,  e  disse:  alma  sdegnosa, 
Benedetta  colei,  che  'n  te  s'incinse. 

3^  con  piangere  e  con  lutto  j  con  pianto  e  tristezza. 

39  ancor  sie ,  invece  di  ancor  che  sii  •  Dell'  omissione  9  che 
sovente  snol  farsi  della  particella  che^  vedi  il  Cinonio  [a]  ;  e 
del  sie  in  luogo  di  sii,  vedi  il  Prospetto  de'* verbi  toscani  , 
sotto  il  verbo  Essere ,  n.  20. 

40  »-^  anibo ,  legge  il  Vat.  3 199 .  4hì 

42  via  costà  ec;  ellissi 9  e  come  se  detto  fosse:  Partiti  tli 
costà  y  e  vattene  tra  gli  altri  cani  pari  tuoi ,  Dell*  omissione 
della  paiticella  di  vedi  il  Gnonio  [6]. 

44  alma  sdegnosa,  intendi  di  giusto  sdegno  ;  e  vuol  signì* 
ficare  che ,  come  nello  spirito  (  da  lui  discacciato)  si  dimostrava 
queirira,  la  quale  è  vìzio  9  cosi  in  Dante  si  dimostra  quella  pai*^ 
te  irascibile  9  che  si  muove  con  giusto  sdegno  contra  de*  vizj ,  la 
quale  i  Greci  dicono  nemesin  9  ed  in  lingua  fiorentina  propria- 
mente significa  ragionevole  e  giusto  sdegno.  Lasoibo. 

45  Benedetta  colei ^ec.  Benedetta  la  donna  9  che  dì  te  rimase 
gravida,  e  però  vestendosi  e  cingendosi 9  cingeva  sé  stessale 
te  ancora  9  che  eri  nel  suo  ventre  •  Ck>sì  il  Venturi  9  ed  in  somi- 
gliante maniera  anche  il  Landino,  Vellutello  e  Daniello.  Ma  a 
che  tanta  borra  ?  Incignersi  (  qualunque  sia  la  di  lui  origine  } 
significa  ingravidarsi ,  e  Vin  te  vale  lo  stesso  che  di  te  [  r] ,  o 
con  te  [d]  •  Bene  però  chiosa  il  Volpi  9  incignersi  in  alcuno  j 

[a]  Partic.  44.  40.  [b]  Ivi  80.  a8.  [e]  Ohre  che  ciò  si  deduce  dall'es- 
sere sinouimi  incignersi  ed  ingravidarsi ,  e  dal  dirsi  coniaoenieDte  la 
madre  gravida  del  tal  figliuolo  ,  serva  di  riprova  il  trovarsi  la  di  ado- 
prata  per  la  1/1,  come  mostra  il  Oiuoiito,  Parlic,  80.  8.  [d]  Vedi  il 
Yocab.  dt:1la  Cr.  sotto  la  particella  in,  f  ». 


CANTO  Vili.  187 

Quei  fa  al  moDdo  persona  orgogliosa  :  4^ 

BoDtà  non  è,  che  sua  memoria  fregi: 

Cosi  è  r  ombra  sua  qui  furiosa  • 
Quanti  si  tengon  or  lassù  gran  Regi ,  49 

Che  qui  staranno  come  porci  in  brago, 

Di  sé  lasciando  orribili  dispregi  ! 
£d  io:  Maestro,  molto  sarei  vago  5 2 

Di  vederlo  attuffare  in  questa  broda , 

Prima  che  noi  uscissimo  del  lago. 
Ed  egli  a  me:  avanti  che  la  proda  55 

Ti  si  lasci  veder,  tu  sarai  sazio: 
li  tal  disio  converrà ,  che  tu  goda . 


per  ingravidarsi  d'alcuno .  m^  Biagioli ,  contraddicendo  al 
Ix>mbardi ,  chiosa:  nlncinta  viene  dal  latino  inciens  y  che  vuol 
»  dir  gravida^  Ora,  volendo  l'analogia  che  si  esprima  il  modo 
»  di  essere  come  il  tempo ,  e  questo  come  il  luogo  in  che  uno 
»  è,  chi  non  vede  che  il  segno  naturale  della  relazione  dev'es- 
n  sere  la  preposizione  in ,  e  che  però  quando  dicesi  incinta  di 
»  uno  9  vlia  difetto ,  e  vi  si  sottmtenoe  nella  persona  ?  a»  4hì 

46  Quei  fu  j  la  Nidob.;  Que*fu,  Taltre  ediz.  Di  queij  sincope 
di  quegli y  reca  il  Cinonio  in  prova  il  Petrarca  in  quel  verso: 

E  quei,  che  del  suo  sangue  non  fu  avaro  \a\  • 
a->  Quel ,  legge  il  Vat.  3 199.  <<-« 

48  Così  y  in  sentimento  di  però  [6j.  Cosìs^èy  aspramente 
Taltre  ediz.  »-►  e  il  Vat.  3199.  4hì 

50  brago  y  fango  • 

5 1  lasciando  y  intendi  su  nel  mondo. 

53  Di  vederlo  attuffare ,  dee  valere  quanto ,  di  vederlo 
dagli  altri  assalito  ed  attuffato  ;  — -  broda  y  per  poltiglia  , 
fangosa  acqua . 

54  •-»  Anzi  che  y  legge  il  Vat.  3 199.  ^-m 

55  la  proda  y  la  ripa  a  cui  dovevano  approdare  . 

56  tu  sarai ,  la  Nidob.;  tu  sarà'  y  Paltre  ediz.  -  sazio  y  sod- 
disfatto • 

5y  Di  tal  disio ec.  Suppone  y  per  fondamento  della  promessa^ 

'[a]  Son.  S08.  [b]  Vedi  Cinon.y  Partie.ti.  a. 


88  INFERNO 

Dopo  ciò  poco  vidi  quello  strazio  5S 

Far  di  costui  alle  fangose  genti, 
Gilè  Dio  ancor  ne  lodo,  e  ne  ringrazio. 

Tutti  gridavano:  a  Filippo  Argenti:  6i 

Quel  fiorentino  spirito  bizzarro 


che  avessero  i  tormenti  di  costoix)  cortissima  tricgua ,  quasi 
dica  :  tanto  spesso  rissano  costoro  j  che  non  può  non  accadere 
che  tu  non  goda  del  bramato  spettacolo . 

5c)  alle  j  per  dalle  \a], 

Ho  Che  Dio  ancor  ne  lodo  ,  ec.  Dal  confronto  de'  luoglii 
ove  Dante  compassiona  S  dannati,  ed  ove  compSacesi  del  loro 
gastìgo,  sembra  che  possa  st<ibilirsi  che  compiacciasi  egli  drl 
gastigo  di  quelli  che  se  la  sono  presa  immedi  ala  mrnt<*  contni 
Dio  o  contro  il  prossimo ,  e  che  tutti  gli  altri  compassioni  ;  e 
]MH'ò  compiaccsi  di  costui  qui ,  di  Capaneo  nel  canto  xiv.  r.  li.i., 
di  Vanni  Pucci  nel  canto  xxy,  v.  4*  ce.  :  all'  incontro  com- 
pissiona  i  lussuriosi  nel  canto  v.  i^.  62.,  i  golosi  nel  canto  n. 
V.  r»().  ec. 

61  Filippo  j4 V fronti  *  Dice  il  Boccaccio  essere  stato  cosini 
della  uobil  famiglia  Cavicciuli  undeVami  degli  Adimari,  ric- 
chissimo e  potentissimo  ;  ma  che  per  ogni  minima  cosa 9  anu 
per  niente,  montava  in  bestiai  furore.  Venturi.  •-♦In  quel  cod. 
Cassin.,  del  quale  citammo  altre  postille,  aggiungesi:  scili^ 
rei  dii^itis  et  fortis  qui  eqmtni  ferri s  argenti  f errori  fecìt^ 
E.  R.  4Hi  Tutti  gridavano  :  a  Filippo  argenti  :  sottintendi 
diaui* addosso;  ed  anche  intendi  che,  per  accrescergli  rabbia, 
propalassero  il  nome  che  avea  egli  negato  di  manifestare . 

(ì2  Quel  fiorentino^  la  Nidob.;  Lo  Fiorentino^  l'altre  edìz. 
»-*'E  l  fiorentino y  leggono  i  codd.  Ang.  e  Antald.  E.  R. -e 
il  \'at.  3  !()().  —  Così  voiTebbe  pure  che  si  leggesse  il  Poggia- 
li .  4Hi  bizzarro  ,  stizzoso  .  »-►  Piuttosto  però  matfoglorioso  , 
come  dicono  i  Romani ,  per  le  ragioni  di  sopra .  V».  R.  —  -Nfa 
clic  bizzarro  qui  valga  quanto  stizzoso  ,  lo  crede  pur  anche* 
il  Poggiali,  essendo  questo  vocabolo  chiaramente  derivato  da 
Aizza ,  che  anche  oggidì  significa ,  sebbene  in  basso  modo , 
stizza,  ossia  rabbiosa  collera,  ^-m 

[a]  \ei!i  Ciijon.,  Palile,  i.  i-i. 


r 


CANTO  Vili.  i8ij 

In  sé  medesmo  si  volgea  co'deaiì. 
Quivi  1  lasciamojo,  che  più  non  ne  narro:     64 

iVIa  negli  orecchi  ujì  ])ercosse  un  duolo^ 

Perch'io  avanti  intento  Focchio  sbarro. 
E  *l  buon  Maestro  disse:  ornai,  figh'uolo,        67 

S'appressa  la  Città,  ch'ha  nome  Dite, 

63  In  sé  medesmo  ec. ,  mordendosi  per  rabbia  le  mauì . 
•^In  sé  medesmo  è  un  latinismo,  che  equivale  a  contro  semc^ 
Jesimo ,  prendendo  la  preposizione  in  per co/i/ro .  Poogijii.i.4-« 

(>4  che  vale  qui  il  perchè j  per  la  qual  cosa. 

(>j  duolo  j  per  lamento  y  la  causa  per  relTcllo ,  disselo  il  Boc- 
raccio  pure  nella  Tes eidei 

Di  quella  uscimmo  facendo  gran  duoli  [a  j . 
K  veniva  cotal  lamento  dalla  vicina  Dite. 

<><>  sbarro ,  quanto  spalanco.  Vedi  il  Voc.  della Cr.  wn^aifan-- 
te  r  occhio  intento  sborro  ,  legge  T  Ang.  E.  R.  —  Sbarrare  è 
i]fiì  lo<>Ii('re  il  riparo  agli  occhi  j  metafora  molto  espressiva  per 
si»;  ni  (ira  re  lo  spidancar  degli  occhi  col  ritirare  quanto  più  si 
può  le  piip:*bre,  che  sono  il  riparo  della  vista.  Poggiali.  4hì 

Gj  ()8  m-^Lo  buon ,  leggono  TAng.  E.  R.  —  e  il  Vat.  3 1 99.  ♦-• 
ornai  y  figliuolo ,  -  S* appressa  ec.  Navigando  erano  si  appi^esso 
alla  città  posta  nel  mezzo  della  palude ,  che  vi  si  comiuciava  a 
scorgere  i  maggiori  e  piii  alti  edìficj .  Dove  è  da  intendere  die 
il  Poeta  in  questo  imita  Virgilio,  quanto  sopporta  la  nostra  re- 
ligione 9  perciocché  Virgilio  descrive  lo  Inlémo  ,  e  ne'  primi 
cercbj  pone  i  minori  peccati ,  e  quelli  co'  quali  fu  mista  alcu- 
na immagine  di  virtii.  Dopo  descrive  i  Tartari  circondati  da 
Fiegetonte  j  fiume  focoso  ;  pone  le  porte  con  colonne  di  diaman* 
te  ;  pone  le  torri  di  ferro  ;  prme  a  guardia  della  porta  Tesifone , 
furia  infernale.  Similmente  Dante  ne*  superiori  eerchj  ha  posto 
i  più  leggieri  peccati ,  i  quali ,  pei*cliè  procedono  da  incontinen- 
za,  son  degni  di  qualche  commiserazione  ec.LAVDiito.  —  la  Cit'^ 
tà  y  eh*  ha  nome  Dite  ,  detta  così  (chiosa  il  Volp,  e  istessa- 
mente  gì*  Inteipreti  tutti  )  da  Plutone  suo  Re ,  che  anche  Dite, 
noe  ricco  ,  fu  chiamato  da^  Poeti.  Dante  pq^'ò  ,  come  già  al- 
(rr)ve  [6J  è  stato  avvisato  ,  appella  Dite  ed  Imp er odor  del  do^ 

«]  Lib.  'j.  63.  1^^]  Itif.  VI.  Il 5. 


/ 


igo  INFERNO 

Coi  gravi  cittadin ,  col  grande  stuolo . 

Ed  io:  Maestro,  già  le  sue  raeschite  70 

Là  entro  certo  nella  valle  cerno 
Vermiglie ,  come  se  di  fuoco  uscite 

Fossero;  ed  ei  mi  disse:  il  fuoco  eterno,        7 3 

loroso  regno  Lucifero  [a] ,  e  però  Città  di  Dite  dee  a  noi  suo- 
nare lo  stesso  che  Città  di  lÀicifero .  Anzi ,  e  perchè  dal  cen- 
tro dell' Inferno  I  ove  è  fitto  Lucifero ,  fa  Dante  giungere  fino 
a  questo  luogo  cotal  denominazione»  e  perchè  di  tutto  il  s^;uen- 
te  infernale  tratto,  dalle  vicine  mura  fino  a  Lucifero  medesimo, 
ne  fa  Dante  una  porzione  d'Inferno,  che  appella /b/i^o  della 
trista  conca  \b] ,  io  m' avanzo  ad  asserire ,  che  per  Città  di 
Dite  intenda  il  Poeta  non  solamente  il  vicino  luogo  de^miscre- 
denti,  ma  tutto  il  suddetto  infernale  tratto  fino  a  Lucifero;  e  che 
voglia,  cosi  appellandolo,  dinotare  racchiusi  in  esso  coloro,  che 
per  luciferiana  instigazione,  piiiche  per  umana  fragilità ,  han- 
no peccato,  al  contrario  cioè  de'dannati  ne*precedenti  cerchj^ 

69  Coi  gratti  cittadin ,  ec.  Gravi  ^  pieni  di  gravità  e  di 
modestia  f  spiega  il  Landino;  ^là  aggravati  di  pena  j  il  Ven- 
turi :  più  aggravati  di  colpa ,  direi  io  piuttosto  ;  m^  e  piìi  ag" 
gravati  di  colpa  e  di  pena  intende  il  Poggiali.  4-c 

70  meschite  è  vocabolo  saracinesco  (chiosa  il  Buti,  citato 
a  questa  voce  nel  Vocab.  della  G*.)  ed  è  luogo  dove  i  Sara-* 
cìni  vanno  ad  adorare  (moschee  in  linguaggio  nostro  appellau- 
si  cotalt  luoghi);  e  perchè  quei  luoghi  hanno  ton*i  a  modo  di 
campanili,  ove  montano  li  loro  saceixioti  a  chiamarlo  popolo, 
che  vada  ad  adorare  Iddio,  però  l'Autore  chiama  le  torri  di 
Dite  meschite  • 

7 1  m^  certo ,  avverbio  equivalente  a  diiaramente ,  distin^ 
tamente .  Poooiali.  —  cerno .  Cernere ,  per  vedere  ,  ado- 
prato  anche  da  altri,  vedilo  nel  Vocab.  della  Cr.  »-^  Potrebbe 
anche  essere  aferesi  di  discerno.  Poggiali.  <^ 

72  f^ermiglie ,  come  ec.  Che  non  solo  l'arche ,  nelle  quali 
si  rinchiudevano  i  miscredenti,  ma  anche  le  toni,  intese  dal 
Buti  per  le  meschite ,  roventi  fossero ,  apparisce  dal  cauto  se- 
guente, V.  36.: 

F^er  Calta  torre  alla  cima  rovente . 

[n]  Iiif.  xxsiv.  90  e  a8.  [b]  Tiif.  iz.  18. 


CANTO  Vili.  uji 

Ch'entro  l'affuoca,  le  dimostra  rosse, 
Come  tu  vedi  in  questo  basso  'nferao. 

Noi  pur  giugnemnio  dentro  all'alte  fosse,       76 
Che  vallan  quella  terra  sconsolata: 
Le  mura  mi  parean  che  ferro  fosse. 

Non  senza  prima  far  grande  aggirata,  79 

Venimmo  in  parte,  dove  '1  nocchier  forte. 
Uscite,  ci  gridò,  qui  è  l'entrata. 

Io  vidi  più  di  mille  in  su  le  porte  8i 

Dal  ciel  piovuti,  che  stizzosamente 
Dicean:  chi  è  costui,  che  senza  morte 

Va  per  lo  regno  della  morta  gente?  8S 

£  '1  savio  mio  Maestro  fece  segno 

j5  in  questo  basso  ^nfemoi  pleonasmo  in  grazia  della  ri- 
ma. «^Questa  firase,  dice  il  Biagiolì,  indicando  una  circostanza 
particolare ,  essa  non  è  un  pleonasmo  •  Il  PoeU  divide  rinfei*- 
no  in  due  parti  :  Tuna  detta  lealtà  Inferno  y  V  altra  il  basso 
Inferno .  Nella  prima  è  punita  V incontinenza  ;  nella  seconda , 
la  malizia  e  la  matta  bestialità,  «hi 

j6  m^  girammo  j  ha  il  cod.  Ang.  E.  R.  <<-« 

77  vallan ,  per  circondano ,  dal  latino  vallo ,  as. 

78  mi  parean ,  la  Nidob.;  mi  parca ,  Taltre  ediz.  m-^  il  cod. 
Vat  i  1 PQ**^^  che  ferro  fosse  :  discordanza  attica  y  in  virtìi  del* 
la  quale  si  pone  il  fosse  singolare,  retto  da  muroy  in  luogo 
del  fossero  plurale,  che  meglio  accorda .  Veittitbi  .  m^  Biagioli 
coi  pili  legge /larea,  sembrandogli  che  la  lezione  della  Nidob. 
tolga  a  questa  locuzione  il  bello  grammaticale,  e  fa  Finterà 
costruzione  cosi  :  Le  mura  y  cioè  quel  inasto  precinto  y  mi  pan 
rea  che  fosse  ferro. '*-• 

80  m^  forte  è  avverbio  per  fortemente  y  ossia  ad  alta  i^oce» 
Poggiali.  ♦« 

83  Dal  Ciely  la  Nidob.;  Da  Ciely  Taltre  edizioni  •-♦e  il  cod. 
V^at.  3 199.  <^ piovuti  y  per  caduti  y  d'Angeli  fatti  demonj . 

84  85  senza  morte, senza  esser  morto. -re^fio,  per  regione. 


19»  INFERNO 

Di  voler  lor  parlar  segretamente . 
Allor  chiusero  uà  poco  il  gran  disd^no ,        88 

E  disser:  vien  tu  solo,  e  quei  sen  vada., 

Che  si  ardito  entrò  per  questo  regno: 
Sol  si  ritorni  per  la  foUe  strada  :  91 

Pruovi,  se  sa;  che  tu  qui  rimarrai, 

Che  scorto  V  hai  per  sì  buia  contrada . 
Pensa,  lettore,  s'io  mi  sconfortai  94 

Nel  suon  delle  parole  maladette  ; 

Che  non  credetti  ritornarci  mai . 
O  caro  Duca  mio,  che  più  di  sette  97 

Volte  m'hai  sicurtà  reuduia,  e  tratto 

88  chiusero ,  per  raffrenarono  ;  »*  e  Bìagiolì  .chiusero  in 
tè,  per  contrapposto  all'idea  sottintesa,  che  è  il  disdegno 

tUschiuso  •  *-*  j 

91  folle  strada,  per  follemente  intrapresa  strada . 

oa  Pruovi,  intendi  di  tornarsene. 

03  Che  scorto  l'hai  per  sì ,  la  ISidob.  ;  Che  gli  hai  scorta 
«,  l'altre  edizioni  ^^.e  l'Ang.  E.  R.  -  e  il  Vat.  3  lyj).  *^  Di 
scorto  per  guidato,  vedine  altr' esempio  nel  Vocab.  «Iella  Cr. 
•-►Qui  la  lezione  di  Nidobeato  è  riputata  dal  Biagioli  prefe- 
ribile a  quella  della  Crusca .  ♦-•  ,    -«. ,  i       n 

94  Pensa,  lettore,  sUo  mi  sconfortai,  la  jXidob.;  Pertsa, 
lettor  ,  s'i'mi  disconfortai,  l'altre  cdìz.  ■-►e  il  \'at-  Ji^y. 
—  Come  laNidob.  legge  il  codice  del  sig.  Ppggiali,  il  quale, 
cosi  leggendosi ,  confessa  che  divien  migliore  il  vereo ,  l'espres- 
sione ed  il  sentimento. 

96  Che  vale  imperocché;  —  rilornarci ,  la  ci  vale gtia,  o 
digua.  Vedi  il  Vocab.  della  Cr.  ed  il  Cinonio  fa]. 

97  98  sette -Folte .  Il  VelluloUo  e  il  Rosa  van  rintracciaii- 
do'le  precise  sette  volte  che  fu  già  Dante  da  ^'i^gil^o  difc»..; 
ma  riesce  di  maggior  eleganza  l' intcndeix:  adop.-ato  il  iiun.<m 
determinato  per  l' indeterminato. 

la]  Patite.  4^'  4* 


CANTO  Vili.  193 

D*aIlo  periglio 9  cbe  'ncontra  mi  stette, 

Non  mi  lasciar,  diss'io,  così  disfatto:  100 

£  se  r andar  più  oltre  m'è  negato, 
Ritroviam  Torme  nostre  insieme  ratto. 

E  quel  Signor,  che  lì  m'avea  menato,  io3 

Mi  disse:  non  temer,  che  '1  nostro  passo 
Non  ci  può  torre  alcun,  da  Tal  n'è  dato. 

Ma  qui  m'attendi,  e  Io  spirito  lasso  106 

Conforta,  e  ciba  di  speranza  buona, 
Cb*io  non  ti  lascerò  nel  mondo  basso. 

Cosi  sen  va,  e  quivi  m'abbandona  109 

Lo  dolce  Padre,  ed  io  rimango  in  forse. 
Che  '1  no,  e  '1  sì  nel  capo  mi  tenzona. 

Udir  non  potè' quello,  eh* a  lor  porse:  1 1  i 

Ma  ei  non  stette  là  con  essi  guari, 

99  atto  per  grande  ;  — -  incontra  mi  stette  ^  mi  occorse  . 

100  lOi  disfatto f  per  disgiunto;  •-►e 9  secondo  Biagioli» 
disconfortato ,  smarrito  d'anin^o  ;  ^abbandonato  d'ogni  soc^ 
corso  e  guida .  E.  F.  ««hi  m'è  negato ,  legge  la  Nidob.,  meglio 
che  c*è  negato  dell'altre  edisioni  m^  e  del  Vat.  3 1 99  4^  ;  ira- 
perocché  solo  a  Dante  era  negato  l' ingresso:  uien  tu  solo  9  e 
t/ueisen  uada ,  ec.  »-»»  Ma,  secondo  Bìagioli ,  non  vuol  dire  il 
H(ieu  se  il  posto  è  negato  a  me  >  ma  bensì  se  è  negato  a  mo 
con  te,  cioè  a  noi  insieme.  Dunque  leggerai  c^è  negato* ^seU 
passar  piti  oltre  c*è  negato,  ha  il  cod.  Ang.  E.  R.^hi 

f  1 1  Che  H  no,  e  7  sì ,  la  Nidob.;  Che  sì  e  no  Tallre  edia. 
•-♦  e  il  Vat.  3 199.  <4-«  mi  tenzona ,  invece  di  tenzonano ,  com- 
battono: zeuma  di  numero  consimile  alla  notata  di  sopra  ¥■  a8, 
*^  tenzona ,  secondo  il  Biagìoli ,  non  istà  qui  invece  di  tenzo* 
nano,  ma  disse  Dante  »  e  dovea  dire  così ,  perchè  una  è  Tidea, 
siccome  uno  il  contrasto  delle  dne  opposte  forze.  Questo  modo 
di  dire  è  spiritoso  e  vivace  assai,  e  l'usò  piure  il  Peti*arca  : 

yiì^omi  intra  due , 

»  Né  sì ,  né  no  nel  cor  mi  sopa  intero*  ^-m 

I  la  Udir  nonpuoti,  la  Nidob.j  non  potè' ,  Taltre  ediz,  m^^ 

roLl  li 


194'  INFERNO 

Che  ciascun  dentro  a  pruova  si  ricorse. 
Chiuser  le  porte  quei  nostri  avversari  1 15 

Nel  petto  al  mìo  Signor,  che  fuor  rimase, 

E  rivolsesi  a  me  con  passi  rari . 
Gli  occhi  alla  terra,  e  le  ciglia  avea  rase         i  i8 

D'ogni  baldanza,  e  dicea  ne' sospiri: 

Chi  m'ha  negate  le  dolenti  case? 
Ed  a  me  disse:  tu,  perch'io  m* adiri,  i^i 

Non  sbigottir,  ch'io  vincerò  la  pruova, 

Qual  ch'alia  difension  dentro  s'aggiri. 

noi  col  Vat.  3199.  Il  Gass.  legge  non  potti.  E.  R.  «-■  Seb- 
bene dica  di  non  aver  potato  udire  quello  ,  che  a  lor  porse , 
cioè  espose  j  dee  però  supporre  che  esponesse  loro  venirsene  ìj 
vivo  suo  compagno  per  celeste  disposizione ,  ma  che  presso  a 
que*portìnaj  de'miscredenti  non  trovasse  alle  parole  sue  quella 
fede  che  altrove  dappertutto  aveva  trovato.  »-»  quello  y  cK*a  lor 
porse ,  Da  questo  modo  di  dire  si  deduce  la  povertà  della  liii- 

5 uà  toscana  al  tempo  del  nostro  Poeta ,  che  obbligava  ad  esten- 
ere ,  piii  che  oggidì ,  il  8Ìgni6cato  dei  vocaboli  ;  perocché  dìci*si 
bensì  oggigiorno  porger  prieghi ,  %foti ,  suppliche ,  ma  non 
già  porger  detti  j  parole j  sentimenti,  PoggiaIiI.<«-« 

1 14  a  pruova  y  a  gara ,  colla  maggior  possibile  velocità;  -j< 
ricorse  9  la  si  stavvi  per  semplice  ornamento  [a]  ,  e  ricorse 
vale  quanto  ritornò  •  m^  ritorse  «  ha  il  cod.  Ang.  E.  R.  «-« 

1 1 7  con  passi  rari  :  accenna  che  di  mal  grado  facesseli  re- 
trogradi • 

118  119  rase  ^D^ogni  baldanza^  spogliate  d'ogni  alteri^^ìa, 
umili ,  dimesse.  —  dicea  ne^ sospiri ^  dicca  sospirando.  »-^  La 
chiosa  del  Lombardi  Ùl  perdere  9  a  parer  del  Biagioli ,  una  gtau 
bellezza .  «  Virgilio  9  dic'egli  9  non  fa  motto  ,  ma  sospira ,  e  i 
»  suoi  sospiri  sono l'eloquentissimo  linguaggio,  col  quale  espri- 
M  me  il  concetto  che  Dante,  che  sa  ben  quello  della  natura,  tra- 
»  duce  in  questo  :  Chi  ni*  ha  negato  le  dolenti  case  ?»<#-« 

1 20  le  dolenti  case ,  cioè  l'entrata  in  questa  città  di  dolori, 
VivTURi.  •-»  Che  nihan  negate f  legge  il  cod.  Ang.  E.  R.  4-« 

123  Qual  chCf  chiunque  sia  che.  Voi*»!.  Qualunch^a  (lorse 
[4J  Tedi  Cinonio,  Parlic.  219.  3* 


CAJNTO  vii!  195 

Questa  lor  tracotanza  non  è  nuova,  1  ^^4 

Che  già  Tusaro  a  nien  segreta  porta, 
La  qual  senza  serrarne  ancpr  si  truova . 

Sovr  essa  vedestù  la  scritta  morta:  127 

E  già  di  qua  da  lei  discende  l' erta , 
Passando  per  li  cerchi  senza  scorta 

Tal ,  che  per  lui  ne  iia  la  terra  aperta . 

por  Qualunque  a)  difension ,  legge  la  Nidob.  m-¥  alla  di  feri" 
iion^  alla  difesa  dell' ingresso.  <«-«  s'aggiri  ^  s^adopen. 

1 20  i'a6  Che  già  Vu^aro  ec.  Allusivamente  alle  palmole  del- 
la Cliiesa  nel  divino  uiBzio  del  sabato  santo:  Hodie  portas 
morti Sy  *:£  seras  par  iter  Salvator  noster  disnipit.  Suppone 
Dante, cb'entrandonell 'Inferno  Gesìi Cristo  per  trame  dal  Lim- 
bo r anime  de* santi  Padri,  vi  si  opponessero  i  demonj,chiu- 
<li*iido  r  iiifemal  porta  ;  e  ehe,  atterrate  dal  medesimo  di\  in  8al- 
^atoi-e  le  imposte, rimanesse  poi  sempre  quella  senza  alcun  ser- 
urne.  —  men  segreta  appella  la  prima  porta  dell'Inferno  in 
confronto  di  quella  della  città  di  Dite,  per  essere  questa  in  più 
hésso  e  recondito  luogo.  »-^  Che  già  l'asaro  a  me  in  secreta 
porta  j  legge  il  Val,  ^199.  <<-« 

I  -17  vedestù ,  sincope  ài  vedesti  tu-,'' la  scritta ,  la  iscrizio- 
ne ,  qaella  che  incomincia  :  Per  me  si  i^a  ec.  -  morta ,  di  co* 
ìovf  smorto,  oscuro. 

1^9  senza  scorta y  scnz'  aver  bisogno  di  chi  lo  guidi. 

tSo  Tal ,  un  Angelo  mandato  da  l3io.  «-^  la  terra y  la  città 
ili  Dite.  «-« 


CANTO    IX. 


m  n> 


ARGOMENTO 

Dopo  alcuni  impedimenti ,  e  lo  wer  veduto  le  ìnfer- 
nati  Furie  ed  altri  mostri ,  con  lo  muto  d'un  jin- 
gelo  entra  il  Poeta  nella  città  di  Dite ,  dentro  la 
quale  trova  essere  puniti  gl'increduli  dentro  alcune 
tombe  ardentissime  ;  ed  egli  insieme  con  Virgilio 
passa  oltre  tra  le  sepolture  e  le  mura  della  città . 

\^uel  color,  che  viltà  di  fuor  mi  pinse,  i 

Veggendo  1  Duca  mio  tornare  ia  volta , 
Più  tosto  dentro  il  suo  nuovo  ristrinse. 

Attento  si  fermò,  com'uom  ch'ascolta;  4 

Che  rocchio  noi  potea  menare  a  lunga 
Per  Faer  nero,  e  per  la  nebbia  folta . 

Pure  a  noi  converrà  vincer  la  punga ,  n 

I  Quel  color  ec.f  qiiel  pallido  colore 9  che  vii  patirà  nel  %Ì50 
mi  dipinse. 

3  Più  tosto  i  più  presto  9  ristrinse  ec.y  fu  cagione  cheA  ir- 
gilio,  per  non  mi  far  avvilire  maggioi*mente ,  procurasse  di  più 
presto  ricomporsi  in  viso ,  e  ristringere  9  ritrarr»  quel  colore 
che  vergogna  aveva  nel  di  lui  viso  cagionato,  a-^  Vei^gogna  non 
già 9  ma  sdegno  e  mestizia,  secondo  il  Biagioli,  gli  dipinsero 
il  volto  in  vedersi  chiudere  le  porte  in  petto .  <-m 

6  nebbia j  sopra  la  suddetta  stigia  palude. 

7  al  9  Pwe  a  noi  converrà  ec,  Questo(dice  il  sig.  RosaMo« 
rando  )  è  uno  dfe*  più  bei  passi  di  Dante  f  e  de'più  arti f  dosi. 
Il  comentatore  (iuteade  il  Venturi) /o  %mole  de*più  intralciati. 


CANTO  IX.  .     197 

Cominciò  ei:  se  non ...  tal  ne  s'offerse. 
Oh  quanto  tarda  a  me  eh* altri  qui  giunga! 

e  afferma  che  Vosàurità  nasce  dal  se  non,  che  si  doma  sU 
tuare  dopo  tal  ne  s'offerse,  siccome  svorrebbe  la  sintassi  f  e 
dal  non  potersi  agevolmente  raggiungere  il  i^eto  sentimento 
di  questo  se  non,  non  %d  si  scorgendo  immantinente  la  reticene 
zay  come  nel  Quos  ego*..*  sed  motos  praestat  componere  fluctns 
di  F'irgilio[a]é  Ma  non  c'è  bisogno  di  x^olger  sossopra  la  pò* 
sì  tura  delle  parole;  e  la  reticenza  sarà  chiara  o%^e  si  usi  un  a 
diversa  interpunzione.  Con  questa  interpunzione  io  leggo  i 
Pure  a  noi  converrà  vincer  la  ponga  : 

Cominciò  ei  :  se  é . .  non  .  •  •  tal  ne  s'offerse  « 
O  quanto  tarda  a  me  ch*a]ti*i  qui  giunga  I 
CTè  una  reticenza  di  più  ;  ma  tutte  e  due  riescon  chia» 
re  e  i^risimilissime  in  una  persona  affannata*  Virgilio  pen^ 
joso  dice  :  Pure  ci  cons^errà  vincere  questa  pugna ,  se ,  e  ci 
si  dee  intendere^  mi  fu  promesso  il  vero;  ma  tosto  interrom* 
pe  il  sentimento  j  perchè  ogni  menomo  dubbio  è  troppo  in* 
giurioso  a  Beatrice  (che  mandato  avevalo  in  soccorso  a  Dan- 
te fi]  )y  e  soggiunge  :  non ,  cioè  non  può  essere  che  non  mi 
scabbia  promesso  il  uero^  non  lice  dubitarne  -,  tal  ne  s'of«> 
fene  ^  cioè  ne  si  offerse  in  aiuto  personaggio  così  verace  • 
fui  reticenza  del  se  non  è  punto  strana ,  essendo  usanza  il 
lasciare  alle  volte  dopo  la  particella  se  qualche  parola  che 
si  sottintenda  f  come  nella  novella  x.  dell'ottava  giornata 
del  Decamerone ,  ove  si  dice  :  ecco  se  tu  fossi  crucciato  me* 
co ,  perchè  non  ti  rende*  così  al  termine  i  tuoi  danari  ;  e  qui  si 
dee  sottintenderci ,  sono  prontissima  a  soddisfarti .  La  reti^ 
renza  poi  del  non  ognuno  vede  quanto  naturalmente  e  ac* 
conciamente  ci  venga.  Ma  Dante  trae  la  parola  tronca  apeg- 
gior  sentenza  che  Virgilio  non  tenne ,  perchè  e' si  da  a  ere* 
dere  che  Virgilio  voglia  significar  questo  j  cioè  pure  ci  con* 
%*errd  sincere  questa  pugna  ^  se  non  ,  cioè  se  non  è  vietato 
a  me  e  ad  ogh* altro  Ventrar  qua  dentro  ;  tal  ne  s*  offerse  9 
cioè  ne  s*appresentò  sì  feroce  lo  stuolo  de'demonj ,  che  la 
porta  in  faccia  dispettosameute  ci  chiusero .  Ecco  dichia* 
rato  il  passo  9  e  diradata  ogni  tenebra .  Fin  qui  il  Rosa  [e]. 
Non  voglio  però  tralasciare  di  brevemente  dire  com* anche  in 

[a]  Jemeid.  1.  i35.  [^j  luf.  11.  ;o  [e]  Osi,  sopra  Vlnf.»  questo  pAkSo* 


198  INFERNO 

lo  vidi  ben,  sì  com*ei  rico|)erse  io 

Lo  cominciar  eoa  l'altro^  che  poi  venne, 
Glie  fnr  parole  alle  prime  diverse. 
'  Ma  nondimen  paura  il  suo  dir  dienne,  i3 

altro  modo  potrebbe  intendersi  :  Pttr<?,  nondimeno,  a  noi  con-- 
verrà  vincer  la  pugna ,  se  non ,  intendi  omesso  9  ci  viene 
aiuto  dal  Cielo,  ^tal  ne  s^ offerse ^  aiuto  però  tale  n'è  stata 
offerto,  e  non  paò  mancare  •  -  Oh  quanto ec.i  confermato  per 
cotal  riflessione  in  fidacia  d'essere  aiutato  9  muovesi  a  braraarp 
che  presto  cotal  aiuto  sopraggiunga.  — Punga y  -per  pugna  , 
guerra  y  metatesi  praticata  da  buoni  scrittori  anche  in  prosa  : 
vedi  il  Vocab.  della  Cr.;  ed  una  affatto  simile  trasposizione  di 
lettere  fassl  da  quasi  tutta  V  Italia  nella  voce  spunga  j  che  i 
Toscani  dicono  spugna.  wH^()\xesX.o  luogo ,  secondo  il  Biagioli  ^ 
è  stato  siuora  malamente  interpretato  da  tutti.  La  formula  clit- 
tica  se  non  ,  secondo  lui ,  è  quella  appunto  che  la  natura  detta 
a  ciascuno  nello  stato  d' incertezza  in  cui  si  trova  Virilio . 
Questi  s'accorse  che  con  questa  parola  impauriva  Dante  ,  ed 
oltraggiava  Beatrice  che  se  gli  era  offerta  in  aiuto.  Quindi  ri- 
coperto r  ingiusto  dubbio  con  l'idea  d'una  certa  speranza  che 
gli  succede,  con  parlar  ti*onco,  voluto  dalla  natura  del  senti* 
mento ,  soggiunge  :  tal  ne  s* offerse ,  concetto  che  fa  agevol- 
mente indovinare  quanto  la  natura  delle  circostanze  vuole  che 
si  taccia .  A  questo  succede  un  grido  natui*a]e  d' impaziente 
desiderio  e  di  gioia ,  del  quale  spiega  il  senso  e  la  cagione  ciò 
che  segue:  quanto  tarda  a  me  ch'altri  qui  giunga  .  •«-« 

I  o  al  I  ri  ricoperse  ,  per  modificò .  —  Lo  cominciar ,  il  pri- 
miero parlare  ;  —  con  l'altro  ,  che  poi  venne  ,  con  l'altro  par- 
lare, che  venne  poi  a  quello  in  seguito.  ■-►  11  Vat.  3  ipg  leggo 
con  l'altro  che  pria  venne*  ♦-•  <7Ae,  imperocché ,  /ìiry:?aro/ff, 
quf-lle  venute  in  seguito,  diverse  alle(fer  dalle  \^a]) pritne, 
m-¥  Che  non  vale  imperocché ^  ma  si  ilqual  parlare;  né  alle 
sta  qui  p4'r  dalle ,  ma  perchè  la  diversità  d'una  cosa  non  si 
c^onoscc,  se  non  rispetto  ad  altra  o  altre,  a  cui  viene  compa- 
rata .  Biagioli.  <-« 

l'ò  dienne y  per  ne  diede  j  mi  diede ^  in  rima.  Voipi .  Ma 
potrebbe  anciie  la  particella  ne  starvi  per  riempili  va. 

[a]  Ciiion. ,  Parie  a.  4* 


CANTO  IX.  199 

Perch*Jo  traeva  la  parola  tronca 
Forse  a  peggior  sentenza^  eh' e' non  tenne. 
Il]  questo  fondo  della  trista  conca  16 

Discende  mai  alcun  del  primo  grado, 
Che  sol  per  pena  ha  la  speranza  cionca  ? 

1 4  1 5  /a  parola  tronca  9  quel  se  non .  -  Forse  a  peggior  ec  * 
La  paura,  che  già  Dante  ci  ha  manifestata  d'essere  da  Virgilio 
abbandonato,  aovette  al  medesimo  cagionare  sospetto  che  il 
trinco  se  non  potesse  valere  :  se  non  me  n^  entro  io  solo  ,  e 
lascio  costui  in  abbandono .  m^  la  parola  tronca ,  nota  To-* 
rellì  j  è  se  non .  Forse  Virgilio  volea  dire  :  se  non  ci  fu  pro-^ 
messo  il  falso;  e  Dante  intese ,  se  non  ci  converrà  tornare  ad" 
dietro t  eh' è  peggior  sentenza,  ^-m  piggior  sentenzia  leggono 
diversamente  dallA  Nidob.  le  moderne  edizioni  .^sentenza ,  per 
sentimento y  senso.-/enFitf ,  pereAie.  »-^ La  sentenza  di  Vii^ 
gllio  era  auelladi  uno  stato  d'incertezza;  ma  Dante  impaurito 
^P^^S^^^  la  parola  tronca  cosi:  ^e  non  %f indarno y  chi  sa  che 
mi  ai^errà  ;  o  io  non  ne  esco  più ,  o  se  pur  n'  esco^  tornerò 
nella  selva y  e  sarà  finita  per  me  • . . .  Dante  non  ebbe,  né 
potè  aver  paura  d'essere  abbandonato  da  Virgilio ,  sapendo  che 
questi  non  faceva  quel  viaggio  per  suo  diporto ,  ma  per  accom- 
pagnar lui ,  in  grazia  di  quella  che  ne  io  pi^gò  si  caramente . 
Bugigli.  —  Il  VaU  3199,  al  «/.  i5.^  legge  a  miglior  senten^ 
za.  4-s 

16  trista  conca y  per  trista  cavità  j  appella  T Inferno* 
1718  primo  grado  j  il  Limbo,  il  luogo  dove  aveva  Dante 
inteso  che  stanziava  Virgilio  [a]  :  ed  addimanda  cosi  in  gene- 
rale, per  tema  di  non  ofiendere  Virgilio ,  dimandando  se  fosse 
egli  esperto  di  tale  viaggio .  —  Che  sol  per  pena  ec,  corri- 
sponde al  dettogli  da  Virgilio: 

•  •#••••  e  sol  di  tanto  offesi s 
Che  senza  speme  uivemo  in  disio  [6]  : 
~  cionca  significa  lo  stesso  che  tronca .  »-♦  Cionco  dicesi  pro- 
priamente qualche  membro  di  animale,  o  ramo  d'albero,  ri- 
masto non  affatto  dal  corpo  o  dal  fusto  staccato,  ma  rotto  iu- 
temamentc,  e  ciondolante  per  esservisi  perduta  la  circolazio- 
ne degli  umori,  senza potervisi  rianimare.  Cosi  inteso ,  ognuu 

[a]  Inf.  IV.  39.  [b]  WlP.^ì.  e  seg. 


ano  IJNFERNO 

Questa  queslion  fec'io;  e  quei:  di  rado  ig 

lucootra,  ini  rispose,  che  di  nui 
Faccia  1  cammiuo  alcun ,  pei  quale  io  vado. 

Ver' è  ch'altra  fiata  quaggiù  fui  ati 

Congiurato  da  qiiella  Eriton  cruda, 
Che  richiamava  l'ombre  a* corpi  sui. 

vede  qnanto  sia  qui  esprìmente  questo  epiteto  appropriato  alla 
già  esposta  speranza.  Poggiali.  —  Che  sol  per  pena  ,  la  spe- 
ranza cionca  ?  legge  il  Vat.  3 199.  4hi 

ao  nuij  per  noi,  antitesi  in  grazia  della  rima, 
a  1  »-^ll  Torelli  legge  ^  pel  quale  ;  lezione  che  9  parendoci  mi- 
gliore della  comnae  per  {/uctl  f  ci  piacque  di  adottare .  4--« 

'J2  •-»  F'erè,  fatto  però  sta.  F^ero  è,  la  Nidob.;  P'erè^ 
laltre  edizioni 9  e  noi  col  Lombardi. 4-« 

23  24  Congiurato  da  quella  Eriton  ec   Mori  f^irgilio 
(dice  qui  il  Gistel vetro)  Vanno  'j'i^daWediftcamento  di  Bo- 
ntà^ essendo  consoli  C.  Senzio  e  Q.  Lucrezio  ^  secondo  che 
testimonia  Eusebio  f  o  (  secondo  che  si  trotta  scritto  nella 
t'ita  di  Donato)  Gn>  Plauzio  in  luogo  di  C  Senzio  (ben" 
che  io  stimi /srrore  nella  scrittura  della  predetta  ulta) ,  che 
fu  Vanno  quartodecimo  j  da  che  uiugusto  era  succeduto  a 
Giulio  Cesare  •  Ma  se  morì  nel  quartodecimo  anno  dello  W 
perio  d* Augusto  f  come  poi  si  fa  dire  a  lui  medesimo  : 
Ver'è  j  ch'altra  fiata  quaggiii  fui 
Congiurato  da  quella  Eriton  ec. . . .  ? 
Poiché  ErictOy  della  quale  fa  menzione,  fu  al  tempo  della 
battaglia  che  fu  tra  Cesare  e  Pompeo  in  JPoì'saglia ,  e  con-* 
gfwando  riuocò  uno  spirito  al  corpo  suo ,  per  dar  risposta 
al  figliuolo  di  Pompeo,  che  volev^a  sapere  Vaxn^enimento  della 
guerra ,  siccome  racconta  Lucano  {nel  lib.  6.)  ;  il  che  fu  pri^ 
ma  che  O^tasiano  fo%se Imperatore ,  non  che  morto  Virgilio. 
Al  giudizio  del  Castelvetro  si  unisce  anche  il  Venturi . 
Qui  (dice)  bisognerà  ricorrere  alV anacronismo ,  se  basta; 
essendo  cosa  certissima  che  la  morte  di  f^irgilio  segui  non 
poco  dopo  queste  guerre  disili. 

L'anacronismo  (risponde  al  Venturi  il  sig.  Rosa  Moran- 
do) non  basta  certamente ,  quando  si  dicache  il  Poeta in^ 
tenda  dì  quella  Erittoìie,  maga  di  2  essa  glia,  chefuj  secondo 


CANTO    IX.  aoi 

Lucano^  adoperata  da  Sesto  Pompeo ,  figlinolo  del  Magno  » 
per  intendere  il  fine  delle  guerre  cibili  che  tra  suo  padre 
f  Cesare  ardevano  ;  imperocché  ci  sarebbe  la  contraddizio^ 
tie ,  dicendo  ora  che  f^irgilio  era  morto  atlanti  queste 
(bierre  civili  j  e  avendo  prima  detto  ch^egli  era  vissuto  a 
Roma  sotto  il  buon  Augusto •  Conuien  dunque  affermare^ 
the  DaHte  non  intenda  qui  di  quella  Erittone  che  da  Luca" 
no  vien nominata . Sentasi  il  Mazzoni,  ce  Io  credo  ch'egli 
»  (cioè  Dante)  volesse  intendere  d'un' altra  donna,  maga,  la 
»  «pale  egli  finge  che  fosse  dopo  la  morte  di  Virgilio  j  e  la 
»  nomina  Erittone,  perchè  quel  nome  fu  conveniente  a  tutte 
»  le  donne  venefiche  e  maghe ,  cmne  può  chiaramente  appa* 
tt  reie  in  quel  verso  d'Ovidio  (Epist.  Sappho  Phaoni)^ 

«  Ulne  mentis  inops ,  ut  quam  forialis ,  Erìchtho 
»  Impulit  •  ti 
Sin  qui  il  Mazzoni,  ce  Yeneficiis  fftmosa  fuit  thessala  mu- 
»  lìer;  cuins  nomen  hic  prò  qualihet  venefica  ponitur.  »  Co- 
sì  disse  a  questo  passo  d*  Ovidio  Daniel  Crispino  nel  suo 
tomento  \a\  • 

Forse  saiii  cosi  ;  ma  potrebb'  anche  aver  Dante  intesa  ]a 
slessissima  maga  di  Lucano,  senz* anacronismo  e  senza  con- 
traddizione veruna»  Contansi  egli  forse  tra  la  guerra  farsalica 
e  la  morte  di  Virgilio  più  che  soli  trent'anni  \b\ì  Perchè  adun- 
que non  potè  Dante  fingere >  che  sopravvivesse  a  Virgilio,  e 
rbe  nuovi  prodigj  operasse  colei  che  sapeva  rendere  vita  an- 
che ai  morti? 

Dico  nuovi  prodigj  ^  perocché  certamente  questo  che 
Dante  accenna  non  accorda  con  quello  che  ne  descrive  Lu<* 
cano .  Olti^echè  Lucano  non  fa  valersi  Erittone  dell'  opera  di 
\  ii*gilio,  Dante  pone  ti*atto  dall'Inferno  lo  spirito  di  un  tra- 
ditore >  e  però  il  fa  uscire  dal  cerchio  di  Giuda,  che 

fr  .  .  .  è  '/  più  basso  luogo ,  e  '/  pia  oscuro  , 
E  '/  più  lontan  dal  del  [e]. 
Lneano  all'opposto  finge  che  Erittone  non  cercasse  altro  spiri- 
to, se  non  di  quel  corpo  che  primo,  tra' molti  che  sul  campo  di 


[a]  Oss»  sopra  V  Inf.  a  qaeslo  passo,  [h]  Tale  intervallo  dì  tempo  ri- 
sulta chiaramente  ne* Fasti  consolari»  presso  Sigonio  e  Lengl<^t  «  tra  'I 
consolato  dì  Gialio  Celare  e  di  Publio  Servilio  (  durante  il  quale,  per 
te»iinioniauza  di  esso  Cesare,  de  hello  cibili ^  lib.  3. ,  successe  la  bat- 
taf()ia  fairtalica  )  e  il  consolato  dì  Caio  Seozio  e  dì  Quinto  Lucrey/m, 
ili  lem^o  ilei  quale  morì  Virgilio,  [e]  Verso  a8  e  seg. di  questo  canto. 


aoa  INFERNO 

Di  poco  era  di  me  la  carne  nuda,  a> 

battaglia  insepolti  giacevano,  le  venisse  fortuitamente  alle 
mani,  avente  intieri  gli  organi  della  favella: 

4 pererrat 

Corpora  caesorum  j  tumulis  proiecta  negatis , 

et  gelidas  letho  scrutata  medullas 

Pulmonis  rigidi  stantes  sine  vulnere  ftbras 
Inx^enit  9  et  voeem  defuncto  in  corpore  quaerit  \a  | . 
rd  aggiunge  che  non  aveva  ancora  quello  spinto  passato  la 
Stige  : 

Tristia  non  equidem  Parcarum  stamina ,  dixit , 
Adspexi ,  tacitae  revocatus  ab  aggere  ripae  \b\  : 
tanto  era  lungi  dal  fingerlo  tratto  dal  piii  profondo  deiriufei^ 
Ito.  "Cruda  appella  Dante  Erittone  per  lo  spargere  deiruma- 
no  sangue,  che  il  medesimo  Lucano  descrive  [cj,  solito  da  rt>- 
Atc^i  farsi  nelle  sue  fattucrhicrie^-jifi  9  alla  maniera  latina  p(*r 
stìoif  sincope  in  grazia  della  rima. 

La  ragione  poi  di  finger  Dante  da  Erittone  adoprato  a  tal 
uopo  Virgilio  più  ch'altro  soggetto ,  può  ripetersi  o  dall'eo- 
rellenza  di  Virgilio  in  poesia ,  e  dallo  aver  egli  stesso  magni- 
ficata la  vijtii  dc\ersi  per  cotali  bisogni: 

Carmina  \fel  caelo  possunt  deducere  lunam  i 
Carniinibus  Circe  socios  mutav^it  Ulyxi  [V/J  : 
ovvero  anche  dair  essersi  Virgilio  nella  sua  Eneide  mostrata 
notizioso  de' luoghi  infernali.  »-^Il  cod.  Ang.  legge,  ErictO'» 
E-  R.  —  e  cosi  il  Vat.  3 199.  ♦-• 

a  5  Di  poco  j  intendi  tempo, 'adirne  nuda^  di  me  priva, 
disgiunta  da  me .  Pare  Dante  d'intendimento  che  Erittone  ob- 
bligasse Virgilio  al  suo  servizio  per  fattucchieria  praticata  so^ 
ra  il  di  lui  cadavere;  e  che  perciò,  come  presso  Lucano  fece 
a  maga,  per  queir  incantesimo  ,  scelta  di  un  recente  cadave- 
re y  cosi  pei*  quest'altro  eleggesse  il  cadavere  poco  anzi  dall'ani- 
ma di  V  irgi fio  separato  .  •-»  Perchè  poi  finga  il  Poeta  che  la 
maga  scelse  Virgilio  a  cotale  uffizio ,  ognuno  se  lo  può  indo- 
vinare ,  pensando  che  conveniva  che  Virgilio  avesse  (atto  altra 
fiata  quel  cammino ,  onde  assicurar  Dante ,  e  cavarlo  del  dub* 
bio  die  ei  potesse  avere  sbagliato  la  strada .  Biaaioli  .  «-« 

r#il  Lih.  VI.  797.  e  segg.  [h]  Verso  -88.  e  seg.  [e]  Verso  Sio.  e 


r. 


CANTO  IX.  103 

Girella  mi  fece  ^ntrar  dentro  a  qdel  muro, 
Per  trarne  nn  spirto  del  cerchio  di  Giuda  « 

Qneirè  '1  più  basso  luogo,  e  1  più  oscuro,     a8 
£  '1  più  lontau  dai  ciel,  che  tutto  gira: 
Ben  so  1  cammin;  però  ti  fa  sicuro. 

Questa  palude,  che  gran  puzzo  spira,  3i 

Cinge  d'intorno  la  città  dolente, 
U'non  potemo  entrare  ornai  senz'irà; 

^6  quel  muro ,  le  mura  della  città  di  Dite  • 

27  del  cerchio  di  Giuda ,  del  cerchio  appellato  poscia  di 
Giuda  il  traditore  discepolo  del  Salvatore;  imperocché^  se  tì 
entrò  Virgilio  poco  dopo  sua  morte  f  non  potè  Giuda ,  che  mori 
Tanno  stesso  che  mori  il  Salvatore  y  e  però  una  ti*entina  d'anni 
per  Io  meno  [a]  dopo  di  Virgilio  9  trovarsi  già  nell* Inferno  a 
denominare  dal  nome  suo  quel  fondo.  E  di  avere  Virgilio  ti*atlo 
ano  spirito  da  colai  cerchio ,  non  dee  finger  Dante  per  altro 
fine,  che  per  farsi  credere  Virgilio  pratico  dell'Inferno  da  ci- 
ma a  fondo . 

29  che  tutto  giraj  che  tutto  il  mondo  contiene,  w^  tanto  r 
in  luogo  di  tutto  j  ha  il  cod.  Ang.  E.  R.  —  Pel  cielj  che  tutto 
^ra  j  intende  il  cosi  detto  primo  mobile  j  il  quale  9  secondo 
i  allora  seguito  sistema  Tolemaico,  che  costituisce  la  terra 
frrma  nel  centro  dell'universo,  è  l'ultimo  dei  cieli  mobili ,  e 
olla  sua  continua  rapidissima  rotazione  gira  e  fa  girare  attorno 
alla  ten*a,  traendogli  seco,  tutti  gli  altri  cieli  e  coi*pi  celesti; 
onde  è  che  il  vocabolo  gira  è  qui  sinonimo  di  aggira .  Pog- 
gi \Li.  —  Qucst'  opinione  piace  più  d'ogn'altra  anche  al  £ia* 
gioii ,  perchè  inchiude  le  due  idee  di  cingere  e  muovere  in 
giro  tutti  gli  altri  cieli.  4hi 

^  I  puzzo ,  cagionato  dalle  ree  esalazioni.  'm-¥  il  gran  puzzoy 
K*ggoao  il  cod»  Vat.  3 199,  Tediz.  veneta  1 49  >  9  ^  <^o^  '^  Crusca 
il  Biagioli.  "Spira  è  sinonimo  di  e^a/^,  tramanda,!^  ooqi  ali. *-m 

'A'2  la  città  dolente,  piena  d'aspri  martiri. 

3;i  £/',  per  dove  ;  ^  senz* ira  ,  la  Nidob.;  sanzUra,  Tal- 
lir edizioni. 

^a    V^di  liif.  IV.  3t).  r  5». 


ao4  INFERNO 

£d  altro  disse,  ma  Don  l'ho  a  mente;  34 

Perocché  l'occhio  m'avea  tutto  tratto 
Ver  l'alta  torre  alla  cima  rovente, 

Ove  in  un  punto  vidi  dritte  ratto  87 

Tre  Furie  infernal  di  sangue  tinte, 
Che  membra  femminili  avean,  ed  atto, 

E  con  idre  verdissime  eran  cìnte:  4^ 

Serpentelli,  e  ceraste  avean  per  crine. 
Onde  le  fiere  tempie  eran  avvinte. 

E  quei,  che  ben  conobbe  le  meschine  4^ 

34  non  Vho  a  mente ^  per  non  Vho  a  memoria* 

35  tutto  tratto  y  tirata  tutta  Tattenzione  mia . 

36  F^er  ^  accorciamento  di  verso;  —  Palta  torre:  quella 
torre  dee  intendersi  9  da  cui  fu  visto  render  cenno  alla  prima  ^ 
che  mise  su  la  cima  le  due  fiaramette .  Vedi  il  principio  del 
ranto  tiii.  m^Valta  torre.  L*articoIo  mostra  ch'ei  parla  della 
stessa  torre  affocata,  posta  sopra  alla  porta.  Biagioli.  «-• 

37  ratto  f  prestamente  • 

38  »-»  Tre  Furie  infernali  di  sangue  tinte  y  legge  il  cod* 
Vat.  3i()().4-« 

39  ai^ean ,  legge  la  Nidob.  con  altre  antiche  edizioni  ;  ed 
a\fèno ,  leggono  e  l'edizione  degli  Accademici  della  Crusca  e 
le  moderne  seguaci  • 

40  idre.  In  orbe  terrarum  pulcherrimum  anguiuni  genus 
esty  quod  in  aqua  vivit,  hjrdri  uocantur ,  nullis  serpentium 
inferiores  veneno  j  scrive  Plinio  \a\  :  Hjdrus  mas  i  hjrdra 
(emina.  V.  Roberto  Stefano  [A]. 

4i  Serpentelli  ^  e  ceraste  ec#  dee  valere  quanto  serpenti 
piccioli  e  grossi '  i  piccioli  pel  crine  sciolto,  e  i  gi*ossi  avvolti 
in  trecce;  altrimenti  verrebbe  questo  parlar  di  Dante  ad  esser 
simile  al  goffo  di  colui  che  dicesse:  aaorno  il  capo  di  fioretti 
e  di  viole.  Cerasta  è  una  serpe  cornuta  e  molto  velenosa  • 

43  queij  sincope  di  quegli  [e],  e  s'intende  Virgilio,  -me- 
schincp  cioè  ilamigelley  comenta  il  Boccaccio  ;  serve  (che  toni» 

[a]  Fisi.  lih.  99.  cap.  4.  [b]  Thesaur.  ling,  laL  srl.  Hrdrus.  [c\ 
il  Ciuoo.,  Parile.  'd\^,  ■;. 


/ 

CANTO   IX.  aor> 

Della  Regina  dell* eterno  pianto, 
Guarda,  mi  disse,  le  feroci  Erine. 

Questue  Megera  dal  sinistro  canto:  4^ 

Quella,  che  piange  dal  destro,  è  Aletto; 
Tesifone  è  nel  mezzo;  e  tacque  a  tanto. 

Con  r unghie  si  fendea  ciascuna  il  petto;         49 
Batteansi  a  palme;  e  gridavan  si  alto. 
Charmi  strinsi  al  Poeta  per  sospetto. 

lo  stesso  )  ed  ancelle  spiega  il  Mazzoni  [a] ,  e  dioe  tal  voca« 
bolo  in  colai  setkBO  proprio  della  lingua  di  Fiandra  e  diBrn^ 
banzia.  Il  Du-Fresne  però  dicelo  deTrancesi.  Eccone  uno  d.i 
molti  esempi  che  arreca  in  prova.  Chron.Bonae  speiy  fac.  34^. 
Ordonons  que  à  nostre  vénerable  p-ere  en  Dieu  Ahhè  de 
Benne  Esperance  >  pour  son  gouì^emement ,  pour  un  servii 
teur  j  et  pour  une  meschine  ec.  [ij.  La  vicinanza  di  tutte  le 
dette  Provincie  può  aver  fatto  che  fosse,  almeno  in  qualche 
tempo,  meschine  voce  a  tutine  le  medesime  comune. 

44  Jiegina  delV eterno  pianto,  Proserpina  moglie  di  Plu^ 
tone  Re  dell* Inferno,  ov'è  pianto  etemo. 

45  Erine,  dal  latino  Erinnjrs,  appellale  tre  infernali  Fu* 
rie ,  Megera ,  Tesifone ,  ed  Aletto .  m^  Trine ,  per  Erine ,  ha  il 
cod.  Vat.  3ig9.4-« 

48  a  tantOj  per  intanto ,  in  questo  mentre .  Vedine  altro 
esempio  di  Gio.  Villani,  recato  nel  Vocab.  della  Cr.^^A  tanto 
Don  vale  intanto ,  in  questo  mentre  ;  ma  queste  voci  sono 
elementi  delle  proposizioni  :  e  giunto  j  in  parlando  ^  a  tanto 
quanto  detto  ho,  ei  si  tacque,  Biagioli  •  -Contuttociò  che  a 
tanto  qui  yalesL  intanto  y  lo  troviamo  confermato  dalPerticari 
Del  cap.  XVI.  tac  i56.  del  voi.  21.  P.  11.  della  Proposta. ^^ 

50  a  palme,  colle  palme  delle  mani.  Della  particella  a  pcv 
con  vedi  il  Ononio  [cj. 

5 1  m^CW  mi,  così  noi  col  Vat.  3 199.  e  cou  tutte  l'altre  ediz. 
diverse  dalla  A'idob.  che  ha,  Che  mi.  Citi  mi  legge  pur« 
TAng. ,  e  con  esso  la  3.  ediz.  romana.  4-«  sospetto ,  per  timore^  ; 
e  per  tale  s'adopera  anche  oggidì  comunemente  in  quel  toscano 

]a]  ììif.  di  Dante  t  lìh.  1.  csp.  S.  [6]  Glossar,  med,  aavi^  srt.  Mischi* 
mas.  [e]  Par  tic,  1.  6. 


ao6  INFÈRNO 

Venga  Medusa,  si'l  farem  di  smalto,  Sa 

Grida van  tutte,  riguardando  in  giuso: 
Mal  non  vengiammo  iu  Teseo  l'assalto. 

pi'OYerbìo  riferito  dal  Vocabolario  della  Cr.  [a].  Il  sospetto 
non  si  può  armare  y  che  i^a/e  (spiega  esso  Vocabolario)  che 
Varmi  non  incoraggiano  i  timidi. 

5 a  Venga  Medusa ^  rechisi  il  capo  di  Medusa,  il  capo  d« 
Perseo  reciso ,  che  convertiva  in  pietra  chiunque  mira  vaio,  -xi 
il  farem  di  smalto  9  cosi  convertii^m  costui  in  smalto ,  spezio 
di  pietica  artefatta,  per  pietra  in  genere. 

53  Gridavano  la  Nidob.,  meglio  che dicevan  dell'altre  edi- 
zioni wh-¥e  del  Vat.  3 199. •Ma  questo  che  dicon  le  Furie  di- 
verso è  dai  gridi  messi  innanzi  per  rabbioso  traspoilo  di  fu- 
rore. BlAGlOLI.  4-S 

54  Mal  non  vengiammo  ec, 'malamente  non  vendicammo 
noi  iu  Teseo  colla  di  lui  morte,  come  vendicammo  uel  di  luì 
compagno  Pirotoo,  V assalto  y  il  tentativo  di  rapirci  Prosei'pina; 
imperocché  Tessere  Teseo  stato  per  opera  di  Ercole  liberato 
da  quella  prigionia,  colla  quale  ci  accontentammo  di  punirlo, 
ha  dato  a  costui  il  coraggio  d'entrar  qnaggiii. 

Per  l'arresto  che  sofferse  Teseo  colaggiìi,  e  per  esservi 
dopo  morte  stato,  secondo  Virgilio,  condannato  eternamente 
{sedety  aetemumque  sedebit^jfnfelix  ITieseiis  [ij),  è  entrato 
in  capo  al  Ventmn,  contra  la  comune  degli  Espositori,  che  il 
Mal  non  i^engiammo  fosse  anzi  un  vanto  delle  Fuiìc,  come 
se  detto  avessero:  non  mal  ci  {mendicammo  y  né  leggiermen" 
te  ec.  Il  fendersi  però  che  facevano  le  Furie  con  1*  unghie  il 
petto,  ed  il  percuotersi  da  se  medesime ,  sono  atti  che  meglio 
si  confanno  col  pentimento  di  non  aver  fatto  con  Teseo  il  me- 
desimo che  fatto  avevano  con  Pirotoo,  che  lo  diedero  a  divo- 
rare a  Cerbero .  —  Kengiare ,  per  vendicare ,  dal   francese 
%'engery  trovasi  adopratoda  molti  buoni  anticlii  scrittori  •>€- 
ch'ne  gli  esempj  nel  Vocab.  della  Cr.  m^W  Poggiali,  appog- 
giato anche  all'autorità  del  suo  cod.  che  h*gge,  M€ii  non  ^v^- 
giammoy  conferma  l'intei'pretazione  del  nostro  P.  Lombardi» 
come  la  più  giusta  e  la  piii  seguita.  —  f\'rtgiare y  per  uendi-^ 
carcy  dissero  gli  antichi ,  f^engianza ,  per  vendetta  y  u*o^a«i 
iu  Bonagiunta  (  B.  ant,  tom.  i.  fac,  494*  )  E.  F.  «^ 

[a'>  Alla  Moct  Sospetto.  \b]  Àeneid.  >i.  61^. 


CANTO  IX.  107 

Volgiti  'odietro,  e  tien  lo  viso  chiuso;  55 

Cbè  se  '1  Gorgon  sì  mostra ,  e  tu  '1  vedessi  j 
Nulla  sarebbe  del  tornar  mai  suso . 

Cosi  disse  '1  Maestro^  ed  egli  stessi  TiS 

Mi  volse,  e  non  si  tenue  aUe  mie  mani. 
Che  con  le  sue  ancor  non  mi  chiudessi . 

0  voi,  ch'avete  gl'intelletti  sani,  61 

Mirale  la  dottrina,  che  s'asconde 

55  visoy  per  la  vista  ^  per  gli  occfii . 

56  Gorgon ,  il  capo  di  Medusa ,  cosi  appellato  dal  Poeu 
giudisiosamente ,  per  essere  Medusa  stata  una  delle  sorelle 
Gorgoni,  delle  quali  vedi  i  Mitologi  [a]  • 

57  Nulla  sarebbe  ec.  In  questo  ed  in  quell'ai tro  yei*so  : 

Ma  però  di  levarsi  era  niente  \b] 
scorgonsi  chiaramente  adoprate  le  particelle  nulla  e  niente  al 
significato  di  nissun  modo  ^  nissun  n^ezzo  ;  ciò  che ,  a  quanti» 
>eggo,  né  il  Cinonio,  né  verun  altro  ha  notato .  »-»  Nulla  sì  è 
addiettivo  di  femminil  genere,  e  sarà  sempre  cotale  ;  adunque 
ei  debbe  qualificare  un  nome  dello  stesso  genere  dalla  ellissi 
taciuto ,  che  esser  puote  speranza  od  altro  simile  .  Onde  cu- 
f  traisco  cosi  :  la  speranza  del  tornar  mai  suso  sarebbe  nulla. 

BlAGIOLI.  «-• 

58  stessi ,  qui  per  stesso  j  e  nella  corrispondente  rima  chiu^ 
dessi j  per  chiudesse  y  antitesi.  »-^Sono  usi  dei  tempi  di  Dan- 
te, non  sopravvissuti  fino  a  noi  :  stessi j  per  altro,  invece  di  ^ 
itesso,  può  scusarsi  per  un'ipallage  in  grazia  della  rima,  co- 
me in  altro  pronome  diciamo  anche  oggidì  questi  per  questo. 
Poggiali  •  «^ 

59  e  non  si  tenne  alle  mie  mani ,  nou  si  fidò  delle  mie 
sole  mani . 

60  non  mi  chiudessi  ^  nou  mi  ricoprisse  gli  occhi  • 

61  m~¥  intelletto  sano  ,  nota  Torelli ,  si  può  dire  quando , 
per  malizia  d'animo  o  di  coi'po ,  impedito  non  è  nella  sua  ope- 
razione ,  eh'  è  conoscere  quello  che  le  cose  sono ,  come  vuole 
Aristotile  nel  terzo  deìVjénima.  <-m 

!<«J  >4ial  Comi,  tra  <;li  altri,  Ub.  7.  e.  12.  [b\  lof.  zxu.  i43« 


io8  INFERNO 

Sono  'l  velame  degli  versi  strani . 
E  già  venia  su  per  le  torbid*onde  64 

63  Sotto  7  velame  degli  i^ersi  strani  ^  80tto  la  coperta  de- 
gli strani  avvenimeutì  che  in  questi  vei*si  racchiudonsi  ;  il  con- 
tinente, cioò,  pel  contenuto  y  metonimia .  m^  Il  senso  morale , 
chiosa  Torelli,  è  quello  che  i  lettori  detono  intentamente  an- 
dare appostando  per  le  scritture  a  utilità  loro,  ^-m 

Sebbene  si  volesse  al  Venturi ,  contro  del  Landino,  Vel- 
lutello  e  Daniello,  accordare  che  diane  il  Poeta  qni  una  Tolta 
per  sempre  questo  avvertimento  ;  non  però  semnra  da  poter- 
tegli  accordare  che  qui ,  e  non  altrove ,  collocasselo  ,  accioc» 
che  apprendesse  il  lettore  in  altre  incidenze  simili  a  que- 
sta ,  che  sembra  più  povera  di  dottrina  morale  e  d*ogni 
senso  allegorico ,  a  non  trascorrerle  senza  riflessa  pende* 
razione  ;  imperocché ,  se  altrove  la  morale  dottrina  e  il  senso 
allegorico  abbonda,  qui  certamente  non  iscarseggia  • 

Pel  non  prestarsi  in  questo  luogo  d'increduli  alle  parole 
di  Virgilio  quella  fede  che  altrove  da  per  tutto  si  presta,  e  Io 
abbisognare  perciò  che  scenda  un  Angelo  dal  cielo ,  accennasi 
evidentemente  la  proprietà  degl*  increduli  di  non  credere  se 
non  ciò  ch'essi  veggono  • 

Per  la  Medusa,  dice  Natal  G)nti  [a},  femmina  bellissi- 
ma ed  insieme  lussuriosissima ,  puossi  intendere  significato  il 
libidinoso  piacere . 
\  Per  r  impietrare  che  faceva  gli  uomini ,  gli  effetti  (siegue 

il  medesimo  )  che  la  libidine  produce  negli  uomini  ,  di  ren- 
derli dimentichi  di  Dio  e  di  ogni  officio  di  umanità  e  d' ogni 
utilità . 

Pel  non  fidarsi  Virgilio  di  Dante ,  quantunque  reso  av« 
vertito ,  può  significarsi  la  troppa  nostra  fi'agilità  in  questa 
parte. 

E  finalmente ,  pel  sei-barsi  e  adoprarsi  a  sicurezza  dì  que- 
sto luogo  dei  miscredenti  il  teschio  di  Medusa ,  può  accennarsi 
la  massima  cagione  di  apostatare  dalla  &de,  eh  è  sempre  stata 
la  libidine  stessa  ;  ond'è  scrìtto  :  vinum ,  et  mulieres  aposta* 
tare  faciunt  sapientes  [i]  ;  e  ne  fu  veduto  uno  de' piti  segnai 
lati  esempi  in  Salomone . 

64  toràid'ondej  della  Stigia  palude  • 

[a]  Afyi^oiog.  lib.  7.  cap.  ìì'[b]  BccL  19.  v.  a.. 


CANTO   IX.  209 

Un  fracasso  d'uà  suon  pien  di  spavento, 
Per  cui  iremavaa  aoiendue  le  sponde  j 

Non  altrimenti  fatto,  che  d'un  vento  67 

Impetuoso  per  gli  avversi  ardori , 
Che  fier  la  selva,  e  senza  alcun  rattento 

Li  rami  schianta,  abbatte,  e  porta  fori;  70 

65  pien  di  spavento ,  spaventevolissimo . 

66  aniendue  le  sponde  y  il  teri^eno  dall'  una  e  dairaltra  parte 
della  palude . 

68  Impetuoso  per  ec.  Aderendo  il  Poeta ,  com'è  detto ,  Iiif. 
e  III.  i33.,  a  ciò  che  gli  Stoici  pensano ,  eos  anhelilus  terrae^ 
^ui  frigidi  sintj  cwn  filiere  coeperint,  i^entos  esse^  dee  ad- 
ditar qui  cagionarsi  tale  flusso ,  tale  scommento ,  per  azione 
del  contrario  calore.  «-^Osservi  il  diligente  lettore  questa  dan- 
tesca spiegazione  deirorigine  di  alcuni  venti  quanto  è  confor- 
me alle  pili  applaudite  teorie  della  moderna  nosti'a,  tanto  piii 
perfezionata ,  Fisica.  Poggiali.  4-s 

69  70  Che /ter  la  selva ,  e  senza  alcun  rattenlo  -  Li  rami 
schianta y  abbatte ^  e  porta  fori;  così  la  Nidob.  -  ed  il  Cass. 
E.  R.  —  Che  fier  la  selva  sanza  alcun  rattento  ;  -  Gli  rami 
schianta  y  abbatte  j  e  porta  i  fiorii  Tal  tre  edizioni .  Ma  nella 
Nidnbeatina  lezione  la  e  tra  selva  e  senza  serve  alla  maggiore 
unità dcir immagine;  e  fori  (che  vai  quanto  fuori  [fl])  invece 
di/for/stavvi  assai  meglio  per  doppia  ragione.  Pnmicinmenle 
perdiè  i  fiori  vogliono  essere  ne' prati  e  ne'giardini,  e  non  nelle 
selve:  Poi  pei*chè  troppo  indebolirebbe  Timmagine,  passando  il 
vento  dal  ferire  la  selva  e  dallo  schiantai^e  i  rami  al  portarne 
i  fiori.  I  soli  rami  adunque  è  meglio  che  schianti  il  vento 9  i^d 
abbatta,  e  porti  fuor  della  selva.  »-^  Che  fier  la  selva  ec.  Fier^ 
ner  ferisce  ;  rattento  y  per  rattenimcuto .  E.  F.  -11  eh.  Strocchi 
legge  qui  colla  Gioisca  e  chiosa  :  ce  Vei*so  bellissimo  e  inoppor- 
»  tanamente  mutato  nella  Nidob.  L'immagine  di  un  vento  ini- 
»  petuoso,  lungi  dall'essere  infievolita  dall'idea  di  svellere  e 
n  portare  in  aria  i  fiori ,  è  invece  mirabilmente  accresciuta  * 
»  Imperocché  ad  estirpare  tenerelle  piante ,  che  inchinano  e 
»  secondano  al  sofiio  dei  venti ,  è  bisogno  di  magqior  veerac^n- 

fa]  Fori,  invece  di  fuori ^  scrive  qui  ed  altrove  bene  spesso  la  rfidoh.,  e 
ricorda  scritto  anche  il  Vocab.  della  Cr.  neirarticolo  Fuora  avverbio^ 


aio  INFERNO 

Dinanzi  |>olveroso  va  superbo  j 
E  fa  fuggir  le  fiere,  e  gli  pastori. 
Gli  ocelli  mi  sciolse ,  e  disse  :  or  drizza  *1  nerbo  73 
Del  viso  su  per  quella  schiuma  antica 

M  za  ;  e  quindi  la  forza  della  descrizione  tanto  più  si  accresce . 
M  Traggo  questa  dottrina  dai  Tersi  10 3.  e  segg.  del  e  1.  del 
M  PurgAtono: 

»  Nuir altra  pianta ,  che  facesse  fronda  ^ 
»  O  che  indurasse  j  %^i  puote  ayer  vita^ 
u  Perocché  alle  percosse  non  seconda  • 
99 1  fiori  nascono  poi  ancne  nelle  selve  come  nei  fipardiai ,  e  la 
M  differenza  di  loix)  vaghezza  è  niente  agli  occhi  del  Poeta  che 
M  descrive  la  natura.  »  Questa  spiegazione  perfettamente  com- 
bina con  quella  déireruditissimosig.  Poggiali,  il  quale  opina 
che  Dante  abbia  qui  voluto  accennare  uno  dei  più  notabili  ef- 
fetti della  veemenza  di  un  gagliardo  vento.  -Biagioli  appella 
barbara  la  lezione  di  Nidobeato ,  e  chiosa  :  porta  i  fiorii  cioè , 
rovesciando  f  atterrando ,  porta  via  i  fiori  ^  vale  a  dire  i  prin- 
cipi, ^"  prima  bella  speranza  del  frutto.  -Il  cod.  Vat.  3ii|i) 
legge ,  che  fier  la  sel^a  f  senza  alcun  rattento  :  —  Gli  rami 
schianta  f  abbatte  ^  e  portai  fiori.  —  Malgrado  queste  varie 
autorità  ed  ingegnose  spiegazioni  che  si  danno  per  sostenere  la 
più  comune  lezione  fiorii  noi ,  attenendoci  alla  Nidobeatiuav 
troviamo  la  similitudine  più  semplice,  più  naturale,  e  fors*au* 
che  più  animata  e  più  propria,  «^Comc  la  Kidob.  l^sgge  pure 
TAng.  E.  B.|  e  la  Veneta  ediz,  del  ]49i*^-« 

72  fiere  e  pastori ,  per  animali  ed  uomini. 

j3  74  ^''  occhi  mi  sciolse  y  levando  le  mani  colle  quali 
glieli  teneva  coperti  •  ^drizza  7  nerbo  '^Del  yiso:  adopera  quì^ 
come  in  pai*eccni  altri  luoghi  del  poema ,  viso  per  wsta  ;  ed 
essendo  della  vista  Torgano  principale  il  nervo  ottico,  che  dal 
cerebro  in  ambedue  gli  occhi  si  dii*ama ,  drizza ,  dice ,  il  nen-o 
del  yiso ,  invece  di  dire  drizza  la  vista.  »-»>  Il  cod.  Vat.  3 199 
non  ha  l'or.  ♦-«  schiuma  antica ^  ab  antico  esistente  sopra  di 
quella  palude ,  cioè  fin  da  quando  incominciarono  i  daunati 
iracondi  ad  immergersi  e  rendere  schiumosa  queir  acqua:  né 
so  aderire  al  Venturi,  il  quale  asserisce  che  quelPaMìicsL  non 
può  significare  altro  che  bianca  ;  e  ciré  forse  preso  dal  la- 
tino rana  pruina  e  dallo  spuma  canescvre  fiictus .  m-¥  Il  Pog^ 


CANTO    IX.  aii 

Per  indi,  ove  quel  fummo  è  più  acerbo. 

Come  le  rane  innanzi  alla  nimica  rQ 

Biscia  per  T acqua  si  dileguan  tutte, 
Fin  ciì'alla  terra  ciascuna  s'abbica, 

Vid'io  j)iù  di  mille  anime  distruric  "jij 


gitili  però  se  ne  sta  qui  col  Venturi, rigettando  ogu'altra  troppo 
ricercata  spiegazione.  —  Gli  occhi  mi  sciolse  ec.  Il  eh.  caT. 
Monti  [aj  non  sa  indursi  a  credere  che  nerbo  del  viso  sia  stato 
qui  preso  da  Dante  nella  sua  naturale  e  propria  sigui6cazione 
di  nervo  ottico.  Riflette  che  i  due  Poeti  trovansi  avvolti  fra 
le  piii  fitte  esalazioni  della  palude  Stigia  ,  e  che  Virgilio  sapeva 
che  un  Angelo  venir  doveva  ad  aprir  loro  le  porte  di  Dire. 
Peitriò  volendo  che  Dante  stia  attento  alla  venuta  deH*Angelo» 
Virgilio  gli  dice  :  drizza  il  nerbo  del  viso ,  vale  a  dii*e ,  drizza 
Facume  della  vista .  E  cosi  devesi  intendere  >  e  non  altriiueotiy 
questo  passo  ;  poiché  a  ravvisare  un  oggetto  in  mezzo  alla  neh* 
bia,  e  nebbia  com'era  quella,  non  basta  drizzare  il  nervo  ottico 
semplicemente,  ma  fa  a  uopo  aguzzar  ben  bene /'/iciime,  lafor^ 
za,  il  ^vigore  della  vista.  Riscontra  il  dottissimo  osservatorv 
imitato  in  questo  luogo  il  "flecte  acies  di  Virgilio  in  quel  passo 
della  Eneide  [&J:  Huc  geminas  mine  flecte  acies  y  in  cui  se 
\'irgilio  avesse  detto  invece  flecte  oculos^  l'espressione  stata 
sarebbe  troppo  debole  all'intenzione  d'Anchise;  laddove  Tas- 
soluto  flecte  acies  (drizza  l 'acume),  senza  curarsi  di  aggiungcrv  i 
oculoruniy  ha  piii  fona  d'assai.  £  se  Anchise  così  parlava  ad 
Enea  in  luogo  tutto  luce,  con  quanta  piii  ragione  Virgilio  do  vea 
dirlo  a  Dante  in  un  luogo  tutto  pieno  di  nebbie  e  di  tenebre  ì 
—  Il  VaU  3  igg  legge  fiamma  invece  di  schiuma»  ♦-• 

75  {juel  funmio  è  più  acerbo.  Essendo  il  fumo  agli  occhi 
acerbo^  acre,  e  tanto  piii  quanto  è  piii  denso,  adopera  Danta 
più  acerbo  invece  di  più  denso  ;  e  questa  maggior  oensità  pro- 
veniva dal  fuggire  e  nascondersi  sott'acqua  i  dannati  ove  passa- 
la TAngelo,  che  ora  dira. 
78  s^abbicay  s^ammucchia. 

'^c^  distrutte  t  ^r  istraziate  ;  v-^c^  secondo  Biagtoli ,  disfate 
te  j  cioè  sciolte  dai  corpi .  4-^ 

[a]  Prop,  >oK  3.  P.  I.  fac.  i63.  [6]  Lih.vi.  i".  789. 


212  INFERNO 

Fuggir  cosi  dinanzi  ad  un  ^  ch'ai  passo 
Passava  Stige  con  le  piante  asciutte. 

Dal  volto  rimovea  queir  aere  grasso ,  Si 

Menando  la  sinistra  innanzi  spesso; 
E  sol  di  quell'angoscia  parca  lasso. 

Ben  m'accorsi,  ch'egli  era  del  Giel  Messo,    85 
E  volsimi  al  Maestro  ;  e  quei  fé'  seguo 
Ch'io  stessi  cheto,  ed  inchinassi  ad  esso. 

Ahi  quanto  mi  parca  pien  di  disdegno!  88 

Giunse  alla  porta ,  e  con  una  verghetta 
L'aperse,  che  non  v'ebbe  alcun  ritegno. 

O  cacciati  del  Ciel,  gente  dispetta,  gì 

Cominciò  egli  in  su  l'orribil  soglia, 
Ond'esta  oltracotanza  in  voi  s'alletta? 

8o  al  passo:  al  per  col  (  vedi  il  Cinonio  [a]  )»  col  proprio 
passo ,  non  da  nave  portato,  com'essi  Poeti  furono  in  quel  me- 
desimo passaggio.  »-^Il  Biagioli,  coi  piii,  intende  dov*  è  il 
varco  del  ftunie ,  opinione  ricevuta  anche  dall'E.  R.  <4-« 

82  qiielV aere  grasso^  quella  nebbia,  quel  fumo.  —  aer^ 
leggono  l'edizioni  diverse  dalla  Nidobeatina. 

83  menando  la  sinistra ,  intendi  mano  ;  e  la  sinistra  me- 
nava ,  pcrclic  colla  destila  teneva  la  possente  verglietta ,  di  cui 
nel  V.  89. 

84  E  sol  ec.f  perocché  nell'acqua  non  s'immergeva  egli 
punto,  ma  nel  fumo  solamente. 

85  del  Ciel  Messo  ^  un  Angelo. 

86  queij  sincope  di  quegli  [i]. 

go  m-¥  non  ebbe^  ^^gS^  ^ -^"S*  ^'  ^*  ^  '^^  Vat.  3 199.  ♦-• 
91  O  cacciati y  intendi  spiriti.  *-►  L'epiteto  dispetta ^  iLd 
idi, despectus y  equivale  a  disprezzata j  cioè  abbietta,  e  tenuta 
lungi  dal  consoi'zio  della  gente  dabbene  e  onorata  .Poggi  a  i.i.<4-c 
[)i  estay  per  questa  y  a  (cresi  dagli  anlìcbi  praticata  molto. 
Vedi  il  Vocabolai'io  della  Gr.  -  oltracotanza ,  tracotanza ,  bai* 
diiììzsL, "Sgalletta ,  per  si  annida ,  si  alberga .  Vedi  luf.  11.  1 25. 

[a]  Pai  tic,  1.7.  [b]  Vedi  Ciuouio>  Partic,  ui4-  7. 


CANTO  IX.  2i3 

Perchè  ricalcitrate  a  quella  voglia ,  g4 

A  cui  non  puote  '1  fin  mai  esser  mozzo, 
E  che  più  volte  v'  ha  cresciuta  doglia  ? 

Che  giova  nelle  fata  dar  di  cozzo?  97 

Cerbero  vostro,  se  ben  vi  ricorda, 
Ne  porta  ancor  pelato  il  mento,  e  '1  gozzo . 

^■^Oltracotanza  è  composta  da  olirà  e  cuitanzaj  antica  voce 
iulìaDa  venutaci  dal  provenzale  cuidance  (pensiero)^  e  questa 
includer  [pevsare)\  e  n'abbiamo  in  Fra  lacopone  l'esem- 
pio, 3.  23.  3.:  iSVo  pur  non  fallo  nella  mia  cuitanza.  Quin- 
di oitrarofanza  passò  a  significare  arroganza ,  presunzio- 
ne, superbia  y  perchè  simili  affetti  vanno  oltra,  al  di  là  del- 
Tumaiio pensiero .  Cx)sì  tracotanza^  aferesi  di  oltracotanza^ 
ossia  trascorso  del  pensiero  fuori  del  giusto.  Monti.  [«J*-* 

94  9^  quella  voglia >,  la  divina  volontà.  -  esser  mozzo ,  per 
esser  mancante* 

97  fata  j  falò  j  che  significa  celeste  disposizione  ^  è  uno 
il  que'  nomi  che  nel  singolare  sono  di  genere  del  maschio-,  e 
nel  plurale  fannosi  d'amJ)o  i  generi . 

9^  99  Cerbero  vostro ^  se  ben  ec.  GÌ* iiitei-preli  tutti,  dal 

f>rìmo  air  ultimo ,  intendono  accennata  qui  la  favola  della  vio- 
fnU  estrazione  di  Ceri) ero  dall*  Inferno  ,  fatta  da  Ercole  per 
comando  di  Euristeo.  Mi  fa  però  meraviglia  gi'ande  che  a  nis- 
snno  dei  tanti  data  siasi  a  conoscere  l'intollerabile  assm*dità, 
che  da  un  Afesso  del  Cielo ^  da  un  Angelo,  si  ammettesse  per 
Ì5toria,  e  si  rinfacciasse  a'demonj  una  favola.  Mai  no.  Ha  di 
già  Virgilio  in  questo  medesimo  incontro  fatta  ricordare  la  di- 
scesa all'Inferno  del  nostro  Salvator  Gesii  Cristo  [i]  :  e  perchè 
dunque  non  intenderem  noi  piuttosto  che  fosse  Cerbero  in 
tale  occasione  sti^tto  con  catene  al  collo  e  con  musoliera ,  tal 
che  non  potesse  avventarsi  e  neppur  abbaiare?  e  che,  fremen- 
do esso  e  dibattendosi  in  colali  sti-etture ,  si  dipelasse  il  mento 
e  7  gozzo  ?  e  che  finalmente ,  come  in  perpetua  memoria  di 
quel  fatto,  la  porta  dell' Inferno  .fenza  serrarne  ancor  si  trO' 
vcy  così  anche  Cerbero  ne  porti  ancor  pelato  il  mento  e  7 
gozzo  ?  A  questo  modo  sarà  un  abbellimento  poetico  accre- 

[a]  Prop,  voi.  3.  P.  i.  fac.  196  [b]  Canto  precedente,  v,  134*  ^  '^8S* 


2i4  INFERNO 

Poi  si  rivolse  per  la  strada  lorda ,  ino 

E  non  fé' motto  a  noi;  ma  fé' sembiante 
D'uomo,  cui  altra  cura  stringa  e  monia, 

Cile  quella  di  colui ,  che  gli  è  davante:  io3 

scìutoad  un  fatto  storico;  OTe  a  quelFaltro modo ,  dagrinter- 
pi'etì  inteso  »  sarebbe  una  favola  supposta  istoria .  —  *  Benché 
questa  esposizione  del  Lombardi  sia  a  molti  piaciuta ,  e  tra  gli 
altri  al  sig.  Portirelli  (£</.  Class*  MiL)j  il  sig.  Poggiali  ^i si 
oppone  ;  e  se  noi  dovessimo  dare  un  giudizio ,  ci  atterressimu 
assolutamente  airopinione  di  cpiest'  ultimo ,  vale  a  dii^  alla  ci>- 
mune  :  tanto  ci  dispiace  di  vedere  il  favoloso  cane  custode  del 
Tartaro  incatenato  e  trascinato  dal  TaioiiFAToa  d'Abisso  ,  come 
un  mastino  che  dal  giosti*atore  si  toglie  a  dispetto  dalla  lizza 
de'  tori .  Ci  sia  per  altro  permesso  di  fare  un'osservazione  :  Cer- 
bero Kepfòspo^^  da  Kpso^^poQ,  non  vuol  dire  altro  che  Dna- 
ratore  di  carne  ;  né  ul  nome  è  stato  soltanto  dato  da' Poi  ti 
al  trìfauce  Molosso  dell'Orco ,  ma  alla  terra  ancora  in  cui  si 
pongono  carni  ad  esser  divorate  e  consunte:  Cerbero  pur  sì 
nominò  da  alcuni  il  serpente  di  Tenai*o ,  tanto  fatale  a  que'  po- 
poli ;  e  Cerbero  si  chiamò  il  cane  di  Alessandi'o  Epirota ,  clie 
si  azzuffava  co'  leoni  •  Cerbero  dunque  può  esser  detto  un  mo- 
stro qualunque  feroce  e  carnivoro  ,  quale  appunto  può  dirsi  il 
Diavolo  pei*sonificatOy  che  fa  strage  dell' umanità  ;  e  cosi  seuza 
ricorrere  alla  favola,  che  in  tal  luogo  non  par  che  si  accordi 
co'  soggetti  e  colle  circostanze  ,  potrà  intendersi ,  Sotto  7  ve* 
lame  degli  versi  strani  ^  lo  Spirito  infernale  nella  discesa  di 
Cristo  9  che  graiEossi  per  rabbia  ed  oltraggiossi  il  volto  in  piii 
guise ,  non  potendo  dar  di  cozzo  nella  Divinità.  E.  R.  m^  L'o- 
pinione del  Lombardi  intomo  alla  musoliera  di  Cerbero  è  com- 
battuta dal  Biagioli  y  il  quale  osserva  che  j  se  quel  cane  avesse 
visto  l'anima  lucente  di  Cristo,  senza  bisogno  di  musoliera  «  o 
sarebbesi  tosto  intenebrato ,  o  cascato  dairabbagliamento  di 
tanto  fulgore.  •<-«  se  ben  vi  ricorda ^  ellissi,  per  j^e  ben  %n  si 
ricorda,  »-»•  Toma  Biagioli  e  fa  la  costruzione  :  se  la  wnente 
VI  ricorda  bene  il  fatto  .  *-« 

I  oo  strada,  lorda ,  per  la  fangosa  palude  medesima  cbe  ave- 
va di  fi*esco  passata . 

loi  non  fe*motto  a  noiy  non  ci  disse  parola:  non  a  Vir^ 
gilio  j  per  esser  dannato  ;  non  a  Dante ,  perocché  esso  pure 


CANTO   IX.  ai5 

E  noi  movemmo  i  piedi  in  ver  la  terra 
Sicuri  appresso  le  parole  sauté. 

Dantro  v'entrammo  senza  alcuna  guerra:      106 
Ed  10^  cli'avea  di  riguardar  disio 
La  condizion  ^  che  tal  fortezza  serra , 

Come  fui  dentro,  F occhio  a  torno  invio,      log 
E  veggio  ad  ogni  man  grande  campagna, 
Piena  di  duolo ^  e  di  tormento  rio. 

Sì  come  ad  Arli ,  ove  1  Rodano  stagna ,         1 1  2 
Sì  come  a  Pola  presso  del  Quarnaro, 
Che  Italia  chiude,  e  i  suoi  termini  bagna  , 

soggetto  odioso  all'Angelo  pe^gravi  vi7.j ,  de'qaali  siipponesi 
reoy  e  che  per  quelFandata ,  ossia  meditazione  ueirinfcrno,  iu'* 
tendeva  di  pui*gare.  Solo  perciò  nel  Purgatorio  incominciano 
gli  Angeli  a  parlar  con  Dante .  »•->  Pare  ai  Biagloli  che  l*An- 
grlo  non  facesse  motto  ne  a  Virgilit  ^  ne  a  Dante,  non  già  per 
qaello  che  ne  dice  il  Lombardi,  ma  sì  bene  perchè  il  dovere  del 
suo  carico  vuole  che  vadasi  dritto  al  fine  e  ritornisi  in  egnal 
modo*  «-• 

I  oH  senza ,  la  Nidob.  sanza  ,  Taltre  edizioni . 

108  •->  lui  condizion  ec,  cioè  lo  staio  e  la  qualità  de'tor- 
menti  dell'anime  chiuse  in  auella  fortezza  [/zj.  Monr u  4^  ser^ 
ra  9  per  contiene  dentro  alle  sue  mura . 

11%  Arli ^  cittadella  Provenza;  — Rodano,  fiume;  ^sta* 
gna,  forma  lago.  •-♦  Ad  Arli ,  fuori  della  porta  che  va  ai  Cap- 
puccini ,  lontano  nn  miglio  incirca  dalla  città  ,  vi  sono  ancora 
molti  sepolcri  e  sarcofaghi  de' tempi  romani ,  come  si  conosce 
dalle  iscrizioni  e  dalle  figure .  Lami.  E«  F.—  Il  Yat.  3 1 99  legge  , 
o*^e  Rodano  •  <-« 

1 1 3  Po/a,  città deiristria;  -^rej^o^e/Qciarnaro,  golfo  detto 
volgarmente  i7  Quarnero  [&],  e  da*LalìnìsinusFlanaticusy  non 
Phanaticus,  come  malamente  scrivono  il  Daniello  e  il  Ventm'i. 

1 14  Che  Italia  chiude ,  e  i  suoi  termini  bagna  9  perocché 
bagna  Tlstria ,  ch'è  l'ultima  parte  d'Italia,  e  la  divide  dalla 
Croazia  [cj  . 

[d\  Proposta ,  toI.  i.  P.  ii.  fac.  174.  [b]  Vedi  Ferrari ,  Lexic,  geograph. 
[e]  VmU  pure  Ferrari , 


2i6  INFERNO 

Fanno  i  sepolcri  tutto  1  loco  varo;  1 15 

Così  facevan  quivi  d'ogni  parte, 
Salvo  che  '1  modo  v'era  piÌL  amaro, 

Gilè  tra  gli  avelli  fiamme  erano  sparte ,         1 18 
Per  le  quali  eran  sì  del  tutto  accesi , 
Che  ferro  più  non  chiede  verun'arte. 

Tulli  gli  lor  coperchi  eran  sospesi,  iii 

E  fuor  n'uscivan  sì  duri  lamenti, 
Che  ben  parean  di  miseri,  e  d'offesi. 

Ed  io  :  Maestro ,  quai  son  quelle  genti ,  1 24 

Che  seppellite  dentro  da  queir  arche 
Si  fan  sentir  coi  sospiri  dolenti? 

Ed  egli  a  me:  qui  son  gli  eresiarche  1:17 

I  1 5  Fanno  i  sepolcri  ec.  I  sepolcri  in  quelle  Yidiie  pia- 
nure rendono  varia  la  campagna  con  ineguali  alzate  di  terreuo 
e  con  lapidi  sepolcrali  sparse  qiia  e  là.  Di  queste  sepolture 
gran  cose  si  dicono ,  ma  le  credo  favolose  ;  e  il  vero  sarà  che 
usassero  in  quei  luoghi  di  seppellire  i  morti  in  tal  foggia  alla 
campagna  [a] .  Vi  è  chi  quel  i^aro  non  dal  i^arius  (  o  dal  va^ 
rio  9  per  sincope  )  y  ma  dal  i^arus  latino  deduce  ;  e  vorrà  in  tal 
caso  significare  che  i  sepolcri  non  rendon  varia,  ma  curva 
quella  campagna,  a  conto  di  quei  rialti.  Non  mi  dispiace  il 
pensiero,  né  veggo  che  rechi  sconcio  alcuno  al  sentimento  ; 
uè  lo  disapprova  la  Crusca ,  citando  il  Buti .  VsiiTuai .  •-»  11 
Vat.  3 199.  legge  tutti  in  luogo  .  ■#-• 

1 1 7  amaro ,  per  cattiv^o  . 

124  i^^  m^  queste  genti  ^  e  quest'arche  ,  ha  il  cod.  Ang. 
E.  R.^ 

1 26  Si  fan  sentir  coi  sospiri  dolenti^  laNidob.;  Si  fan  sen- 
tir con  glisospir  dolenti  ^  altre  edizioni  •->  e  il  Vat.  3  igg.^-^ 

127  eresiarche^  -per eresiarchi y  antitesi  alcuna  volta autì» 
camentc  praticata .  Vedi  il  Manni  ?  Tas^ola  di  U€>ci  notab^  nei 
Gradi  di  s.  Girolamo ,  alla  voce  Profete  . 

[/il  Del  cimilcro  d'  Arli  fa  mcazinnc  Tiir|iion  pure  nella  Vita  di  Carlo 
MagQO^  cap.  281  e  Su.»  e  dìcclo  beiiedetiu  da  scile  sauli  Vc^ovL 


CANTO  IX.  217 

Co'  lor  seguaci  d' ogni  sella ,  e ,  molto 
Più  che  non  credi,  son  le  lombe  carche. 

Simile  qui  con  simile  è  sepolto  j  i3o 

£  i  monimenli  son  più  e  men  caldi: 
E  poi  ch'alia  man  destra  si  fu  volto, 

Passammo  tra  i  martìri,  e  gli  alti  spaldi, 

i3o  simile  giù  con  ce,  ognuno  con  quei  della  sua  setta. 

i3i  monimenti j  sepolcri. 

1 33  Passammo  tra  i  martìri ,  e  gli  alti  spalai^  per  quello 
stretto  calle  (  che  nel  principio  del  seguente  canto  dirà  )  po- 
sto tra  le  infuocate  arche ,  entro  delle  quali  soffrivano  gli  ere- 
tici i  meriuti  martìri  y  pene 5  e  tra  gli  alti  spalai,  le  alte 
mura  della  città  di  Dite.  Spalai  (insegna  il  Vocab.  della  Cru- 
sca) si  dicono  i  ballato]  che  si  face\^ano  anticamente  in 
cima  alle  mura  e  alle  torri.  Per  sineddoche  adunque  adopera 

i  Dante  spaldi  per  mura.  »-►  altri  spalai^  legge  il  codice 
ng.  E*  £•  4-« 


I 


/ 


CANTO    X. 


ARGOMENTO 

Bramando  Dnhfe  di  vedere  e  parlare  con  afcnni  di 
quei  dannati  miscredenti  »  ne  viene  da  f^irgiho 
condotto  a  Farinata  degli  liberti  e  a  Cas^alcante 
de' CfWal canti ,  ove  da  Farinata  ode,  tra  le  altre 
cose»  predirsi  la  cacciata  sua  di  Firenze ,  e  con 
ammirazione  intende  che  i  dannati  hanno  cogni- 
zione delle  cose  future^  e  non  già  delle  presenfij 
se  non  sono  avvisati  e  ragguagliati  da  quelli  che 
vi  vanno  alla  giornata. 


0 


ra  sen  va  per  uno  strelto  calle,  i 

I  Ora  sen  va  per  uno  stretto  calle^  cosi  legge  la  Nidob.,  me* 
glìo  certamente  delle  altre  ediz.  «-^e  del  Vat.  3  iqq^-c  che  leg- 
gono, per  un  segreto  calle.  Oltreché  l'epìteto  di  stretto  s'ac- 
coitla  meglio  coli*  andare  deToeti  ano  dopo  le  spalle  dell'al- 
tro (ciò  che  dalla  strettezza  della  via  deduce  Dante  stesso 
espressamente  nel  Pnrg.  xzt.  8.:  prendendo  la  scala  j^^  Che 
per  artezza  i  salitor  dispaia .  ) ,  male  eziandio  si  conTerrebbo 
repiteto  di  segreto  ad  un  calle  ch'era  in  vista  di  tutto  quello 
infernale  campo  ;  di  modo  che  y  alzando  que'  dannati  il  capo 
dalle  arche  in  cui  giacevano ,  vi  scorgevano  i  viandanti,  come 
in  appresso  si  dirà.  —  Ora^  particella,  dice  il  Cinonio,  con 
la  quale  talvolta  si  ripiglia  o  si  continua  il  parlare,  lat.  i7a- 
que  [a].  •->  Il  Bia^oli  segue  e  difende  la  comune  lezione,  op- 
ponendosi alla  Nidob.;  ma  le  sue  ragioni  non  valgono,  in  no- 
stra sentenza,  a  rendere  meno  rispettabile  la  lezione  della 
Nidob.,  ritenuta  come  indubitatamente  migliore  anche  dal  di. 

[a]  Parile,  taa.  4* 


r 


CANTO  X.  !ii9 

Tra  'I  muro  della  terra,  e  gli  mariìri, 
Lo  mìo  Maestro,  ed  io  dopo  le  spalle. 

O  virtù  somma,  che  per  gli  empj  giri  4 

Mi  voi  vi,  cominciai,  come  a  te  piace, 
Parlami,  e  soddisfammi  a' miei  desiri. 

La  gente,  che  per  li  sepolcri  giace,  ^ 

Potrebbesi  veder?  già  son  levati 
Tutti  i  coperchi,  e  nessun  guardia  face. 

Ed  egli  a  me:  tutti  saran  serrati,  io 

Poggiali ,  che  chiosa  a  questo  luogo  come  il  nostro  P.  L<>iiibap- 
dì.V. 

2 martiri.  Vedi  la  nota  all'ul timo  verso  del  canto  precedente. 

4  O  virtù  somma  j  o  virtuosissimo  uomo.  -  empj  giri:  girij 
per  cerchj,  ossia  circolari  ricettacoli  dell'Inferno;  ed  empj^ 
per  Tempie  ivi  contenute  anime. 

5  6  Mi  uoltàj  m'aggiri ,  —  come  ti  piace ^  legge  la  Nidob.; 
•-♦  conte  a  te  piace  y  le  altre  edizioni  —  e  il  Vat.  3 199  ;  lezio- 
ne da  noi  seguita,  e  che  sembra  anche  al  Biagioli  di  maggior 
seotimento  ed  energia,  ^«hì  soddisfammi  con  due  m ,  0  perchè 
si  pronunziasse  soddisfa ,  o  per  epentesi  a  causa  del  met]*o . 
»-»  L' espressione  a'  miei  desiri  è  elittica ,  ed  è  lo  stesso  che 
riguardo  à*  miei  desiri .  Poggiali  .  <♦-• 

7  al  9  La  gente ,  ec.  Dal  parlare  di  Dante  in  ouesti  tre  versi 
sì  accorse  Virgilio  di  due  cose.  Primieramente,  che  fosse  Dante 
nel  falso  sentimento ,  che  a  quelle  arche  fossersi  recentemente, 
e  qnasi  in  grazia  loro,  levati i  coperchj  ;  in  secondo  luogo,  che 
il  desiderio  di  Dante  non  era  semplicemente  di  vedere  alcuno 
qualunque  Incredulo ,  ma  di  accertarsi  se  tra  gli  Epicurei  tro- 
ta vansi  que'che  di  Epicureismo  sapeva  essem  stati  tacciati,  Fa- 
rinata e  Givalcante  Cavalcanti. 

Kispondendo' adunque  Virgilio,  incomincia  ad  avvertire 
Dante  che  non  mai  coloro  in  queir  arche  serrati  furono,  né 
mai  si  serreranno,  se  non  dopo  il  giorno  dell' universale  giudi- 
zio: poi,  per  soddisfiirlo  del  taciuto  desiderio,  passa  ad  indi- 
care al  medesimo  dove  stavano  l'arche  degli  Epicurei,  acciò 
potesse  tra  quelle  cercare *chi  bramava;  e  soggiunge  ch^ivi  pò* 
teva  rimaner  soddisfatto  non  solo  di  quanto  apertamente  chiese, 


a2o  INFERNO 

Quando  di  losaphat  qui  torneranno 
Coi  corpi ,  che  lassù  iianno  lasciati . 

Suo  cimitero  da  questa  parte  hanno  1 3 

Con  Epicuro  tutti  i  suoi  seguaci , 
Che  r anima  col  corpo  morta  fanno. 

Però  alla  dimanda,  che  mi  faci,  i6 

Quinc' entro  soddisfatto  sarai  tosto, 
Ed  al  disio  ancor ,  che  tu  mi  taci . 

Ed  io:  buon  Duca,  non  tegno  nascosto  19 

A  te  mio  cor,  se  non  per  dicer  poco; 

ma  eziandio  della  taciuta  brama .  m-¥  Tur  li  i  sepolcri ,  invece  di 
TiUti  i  coperchjj  legge  il  Vat.  3 1 gc)-  levali ,  al  i'.  8., non  signi- 
fica lolti 9 ma  alzati , eles^ali^  essendosi  veduto  al  e  1 2 1 .  e.  \  1 1., 
cliequcsli  sepolcri  eranbensì  soccbiusi;  ma  non  del  tutto  aperti; 
lo  cne  meglio  si  deduce  dal  u.  ò.  e  se^?,  del  canto  che  setrue. 
Questo  participio  è  preso  dai  latini  verbi  elevo  o  levo ,  giac- 
ché ancue  a  questo  secondo  verbo  nei  tempi  della  decadala  la- 
tina lingua  si  dava  il  significato  di  alzare  ^  come  inOniti  esempj 
ne  abbiamo  nella  bassa  latinità  della  traduzione  latiua  della 
Bibbia,  detta  comunemente  la  J^olgaia.  Poggiali.  •«-« 

1 1  Quando  di  losaphat  qui  torneranno  (  cosi  Ipgjje  la  Ni- 
dobeatina,  meglio  deiraltrc  edizioni,  che  leggono  losaffà^  c-lie 
non  è  né  ebreo,  né  greco ,  né  latino,  né  italiano)  ;  e  voo)  din», 
quando  torneranno  dall'universale  giudizio,  che  per  avviso  del 

{irofcta  Gioele  [a]  si  farà  nella  valle  di  Giosafat .  m^  Josafà  , 
egge  TAng.  E.  R.  —  e  il  Vat.  3 199  .  <-« 

1 3  cimitero ,  per  carcere ,  perocché  stanno  coloro  in  arclie 
«ome  le  sepolcrali. 

i4  Epicuro 9  filosofo  ateniese,  tra  gli  altri  errori  insegnò 
che  colla  morte  perisse  tutto  l'uomo,  anima  e  corpo,  contro 
l'universale  persuasione  di  tutti  gli  uomini ,  che  sempre  han- 
no creduta  l'anima  immortale* 

19  9h^ riposto y  per  nascosto,  ha  il  Vat.  3199.  <-• 

20  dicer  j  per  dune,  adoprato  da  alti*i  buoni  antichi  scritto- 
ri [iJ].  m-¥ji  te  niio  dir,  ha  il  Vat.  3i99.<4-« 

fa]  Gap.  3.  q.  a.  [b]  Vedi  Maslrofioi^  Prospetto  de^  verbi  italiani, 
sotto  il  verbo  Dire^  a.  1. 


CANTO   X.  !x:ii 

E  tu  m' hai  non  pur  ora  a  ciò  disposto  • 
O  Tosco,  che  per  h  città  del  foco  22 

Vivo  tea  vai  così  parlando  ooesto , 
Piacciati  di  restare  in  questo  loco. 
La  tua  loquela  ti  fk  manifesto  a 5 

Di  quella  uobil  patria  natio, 
Alla  qual  forse  fui  troppo  molesto  • 
Subitamente  questo  suono  uscio  a8 

^i  E  tu  m%ai  non  pur  ora  a  ciò  disposto  ,  legge  la  Ni- 
dobeatina  ;  E  tu  ni*hai  non  pur  mo  a  ciò  disposto j  l'altre 
edizioni  ■"*•  e  il  Vat.  Sigg. -♦^  Disposto  ^  intendi ,  e  col  par- 
lar tuo  preciso  che  qui  mi  fai  ^  e  colla  precisa  maniera  che 
adoperi  negli  scritti  tuoi . 

23  città  del  fuoco j  la  stessa  che  nell'ottavo  canto,  v.  68., 
appellasi  ci7/à  ,  ch^ha  nome  Dite^  che  incomincia  dentro  dal 
sopraddetto  muro,  ed  estendesi  fino  al  fondo  dell* Inferno  ;  e 
dicesi  del  foco  j  perocché  fuori  di  essa,  come  s'è  veduto,  noii 
souo  anime  tormentate  dal  fuoco . 

a3  parlando  onesto ,  come  parlavi  adesso  col  tuo  condot- 
liere.  —  onesto ,  avverbio,  per  onestamente y  ma.  qui  per  mo- 
deslamente . 

24  B-»*  restare .  Uno  dei  significati  di  questo  verbo  è  fermar^ 
si,  soffermarsi y  trattenersi  alquanto.  In  questo  senso  appun- 
to dee  qui  prendersi .  Poggiali'.  -  ristare  ^n^i  il  Vat.  3 199.  ♦-• 

25  JLa  tua  loquela  ec,  ad  imitazione  dell' ancilla  ebrea, 
che  disse  a  Pietro  apostolo  :  loquela  tua  manifestum  te  facit. 
Daniello. 

26  Di  quella  nobil  patria  y  invece  di  quella  nobile  città  ; 
e  intende  Fiorenza,  comune  patria  di  Farinata  degli  JJberti , 
che  ei*a  colui  che  parlava,  e  del  Poeta  nostro. 

2^  forse  fui  troppo  molesto ,  unendosi  ai  Ghibellini  di  Sie- 
na e  di  altre  città,  a  danno  dei  proprj  concittadini  Guelfi  [«]. 
Ma  disse  forse  (nota  il  Landino)  per  non  si  privare  al  tutto 
di  scusa;  quasi  dica;  se  io  fui  empio,  i  miei  avversar]  me  ne 
dieron  cagione . 

[a]  Vedi  la  Cron,  di  Ciò.  Villani  »  lib.  6.  cap.  75. 


111  INFERNO 

D'una  deir arche:  però  m'accostai, 
Temendo,  un  |X)co  più  al  Duca  mio. 

Ed  ei  mi  disse:  volgiti,  che  fai?  3i 

Vedi  là  Farinata,  che  s'è  dritto: 
Dalla  cìntola  in  su  tutto  '1  vedrai. 

Io  avea  già  '1  mio  viso  nel  suo  filto:  34 

Ed  ei  s'ergea  col  petto,  e  cou  la  fronte. 
Come  avesse  lo  'nferuo  in  gran  dispitto: 

E  r animose  man  del  Duca  e  pronte  87 

Mi  pi  user  tra  le  sepolture  a  lui. 
Dicendo:  le  parole  tue  sien  conte. 

29  »-^^erc&*{o,  legge  l'Ang.  E.  R.^hì 

32  Farinata.  Costai  (della  cui  patria  e  fazione  s*è  dcUo 
nelle  due  pitKsedenti  note  )  fu ,  dice  il  Landino  j  uomo  senza 
fallo  di  grandmammo  e  non  di  minor  consiglio,  ma  ebbe  pra- 
va e  falsa  opinione  dell'anima  umana,  stimando  quella  perire 
insieme  col  corpo;  e  però  giudicava  esser  bene  in  questa  bre\e 
vita  pigliar  ogni  voluttà  di  coi*po;  in  forma  che  nel  vitto  enei 
cibi  passava  la  modestia.  Il  che  notò  Dante  nel  sesto  cauto  [aj, 
quando  domandò  Ciacco  (il  ghiottone)  se  era  con  lui. 

36  Come  avesse  lo  *nfemo  in  gran  dispitto  :  come  gran  di* 
sprezzo  dell'  Inferno  facesse ,  e  niente  da  que'tormenti  av\ilito 
tosse.  Dispitto  per  ^^ijprezzo;  come  insegna  il  Vocabolario  del- 
la Crusca,  adoprato  anticamente  dispittare  per  dispettare ^ 
dispregiare.  Vespitto  disse  invece  il  Petratta  ,  son.  81.:  Per 
isfogare  il  suo  acerbe  despitto .  //  Trissino  (  aggiunge  il  ^'en- 
turi  ),  nel  suo  dialogo  del  Castellano,  la  dice  voce  non  fio- 
rentina. Saba  da  Castiglione  la  vuol  prosternale.  Quai^ella 
si  siaj  la  rima  ad  usarla  costrinse  questi  gran  maestri.  11 
verbo  dispittare  però  riferìscelo  il  Vocabolario  della  Crusca 
in  prosa  adoprato.  m^a  gran  dispitto,  legge  TAng.  E.  R.^-c 

09  sien  conte j  siano  manifeste  e  chiare,  e  non  ambigue  o 
dubbie;  perciocché  a  parlar  con  eretici  bisogna  esser  molto 
accorto  eriguai*doso.  Dahiello. 

[a]  Verso  79. 


CAJNTO   X.  223 

Tosto  eh' al  pie  della  sua  tomba  fui,  4^ 

Gttdrdoinmi  un  poco;  e  poi ,  quasi  sdegnoso, 
Mi  dimandò:  chi  fur  gli  maggior  lui? 

Io  eh'  era  d' ubbidir  disideroso,  43 

Non  gliel  celai,  ma  tutto  gliele  apersi; 
Ond'  ei  levò  le  ciglia  un  poco  in  soso. 

Poi  disse  :  (ieramente  furo  avversi  46 

A  me,  ed  a'  miei  primi ,  ed  a  mia  parte; 
Sì  che  per  due  fiate  gli  dispersi . 

S' ei  fur  cacciati ,  ei  tornar  d' ogni  pane,         49 

4o  »-►  ComiOf  invece  di  Tosto  chcy  ha  l'Ang.  E.  R.  —  e 
il  Val.  3199.*^ 
4^  tui,  alla  maniera  latina  per  tuoij  sincope  in  grazia  della 

rima. 

44  gi^i^  P^^  glielo^  così  sempre  il  Boccaccio.  Volpi.  Vedi 
aadie  il  Cinonio  [aj.  La  Nidobeatina  legge,  Nollil celai ^  ina 
tutto  li  apersi;  e  Tediziooi  venete  1 568  e  1 5^8 ,  Non  gliel  ce- 
Uà  ma  tutto  glieC  apersi.  Wh^Non  liei  celai  i  ma  tutto  li  Caper^ 
sij  ha  il  cod.  Vat.  3 199.  -^  Gliele  ^  per  glielo ,  gliela  ^  glieli 
e  gliene f  usa  continaamente  il  Boccaccio,  specialmente  nel 
Decamerone ,  e  con  esso  molti  buoni  prosatori  e  poeti  cosi  an- 
tichi che  moderni.  Così  il  Poggiali,  il  codice  del  quale  legge 
il  verso  cosìtJVòn  gli  celai j  ma  tutto  gli  mi  apersi;  bella  va- 
riante 1  che  toglie  ogni  imbarazzo  per  isviluppare  questa  espres- 
sione y  rendendo  il  senso  seguente  :  non  gli  celai  chi  fossero 
I  miei  antenati,  ma  gli  manifestai  tutto  ine  stesso,  ^hi 

45  soso  di  suso  forma  per  antitesi,  come  del  latino  supra 
ba  formato  sopra  l'italiano  dialetto. 

47  ^  n%ej  ec.  Vuole  Farinata  dire  che  i  maggiori  di  Dante 
furono  nemici  di  esso  Farinata,  degli  antenati  suoi,  e  del  suo 
partito»  ch'era  il  ghibellino.  E  di  fatto  i  maggiori  di  Dante 
furono  del  partito  euelfo  [&],  e  fu  Dante  il  primo  che  ,  dopo 
di  essere  cacciato  da  Firenze,  divenne  Ghibellino. 

49  ei  tornar  j  legge  la  Nidobeatina  ;  e' tornar^  Tahre  edizioni. 

[al  Parile 0  9  cap.  1 19«  [b]  Memorie  per  la  i^ita  di  Dante  ,$.  io.  i  uelle 

Dote. 

* 


/ 


2^4  INFERNO 

Risposi  io  lui,  e  Tuna  e  F altra  fiata; 
Ma  i  vostri  non  appreser  ben  quell'  arte . 
Allor  surse  alla  vista  scoperchiata  5i 

Uq'  ombra  lungo  questa  infino  al  mento  : 

Ei^  per  eglino ,  adoperalo  Dante  spesso  \a\  •  —  tornar  agogni 
parte,  intendi  in  quella  cittk,  donde  furono  cacciati.  •-♦In 
tutta  questa  terzina,  osserva  il  Poggiali,  Dante  risponde  da 
Guelfo  ed  in  maniera  piccante ,  non  già  perchè  egli  fosse  Guel- 
fo quando  ciò  scrisse ,  ma  perchè  si  unge  fatto  questo  suo  poe- 
tico viaggio  nel  i3oo,  epoca  in  cui  egli  non  era  ancor  Ghibel- 
lino ,  motivo  per  cui  estema  qui  sentimenti  ed  espressioni  da 
vero  Guelfo .  4-« 

50  Risposi  io  luij  e  Funa  e  F altra  fiata ,  la  Nidobeatina 
cosi;  e  l'altre  edizioni.  Risposi  lui,  Pana  e  Poltra  fiata, 
•-►  e  come  queste  il  Vat.  3 199. 4-« 

5 1  Ma  i  uostri  (  quelli  del  partito  vostro  )  non  appreser 
ben  queir  arte,  Tarte  cioè  di  tornare,  essendone  cacciati;  im- 
perocché trovavansi  in  allora  i  Ghibellini  esuli  tuttavia  • 

5 a  alla  vista  scoperchiata,  ipet  aperta,  scoperta,  termine 
adoperato  anche  da  altri  buoni  scrittoli .  Vedi  il  Vocab.  della 
Crusca. 

53  lungo  questa ,  a  canto  a  questa  ;  ^-  infino  al  mento ,  al- 
zando cioè  la  sola  faccia  sopra  il  labbro  dell'arca.  Chi  fosse 
qnest'altr'ombra  ne  lo  fa  Dante  conghietturare  da  ciò  che  dice 
in  appresso,  ove  non  solamente  manifesta  il  nome  del  costei 
figlio  Guido,  ma,  acciocché  d'altro  Guido  non  sia  inteso 9  ne 
lo  accenna  uomo  d'alto  ingegno,  ed  amico  e  compagno  suo  pro- 
prio, quale  altro  Guido  non  fu  che  il  Cavalcanti  \o\ .  L' ombra 
adunque  con  Farinata  conseppellita  era  di  Cavalcante  Caval- 
canti, padre  di  Guido  Cavalcanti.  Incorse  costui  in  infamia, 
dice  il  Landino,  ^er  tener  epicurea  opinione  •  Ma  perchè  ne 
parlava  con  più  modestia  e  pia  copertamente  che  Farinata, 
però  il  Poeta  non  lo  fa  surger  tanto  fuori  deWarca,  quanto 
lui.  Wh¥  Qui  il  Lombardi ,  dice  il  Biagioli,  s'inganna .  La  ragion 
vera ,  per  cui  V  ombra  di  Cavalcante  non  surse  tanto  fuori  del 
sepolcro ,  quanto  quella  di  Farinata,  è  la  diversa  natura  delle 

[a]  Vedi ,  a  cagion  d' esempio ,  laf.  iv.  34*  W  Memorie  per  la  vitm  di 
Dante ,  5*  8- 


CANTO   X.  :xi/> 

Credo  che  s'era  ingÌDOcchion  levata. 
D'intorno  mi  guardò,  come  talento  55 

Avesse  di  veder  s'altri  era  meco; 

Ma,  poi  che  '1  suspicar  fu  tutto  spento, 
Piangendo  disse:  se  per  questo  cieco  58 

Carcere  vai  per  altezza  d'ingegno, 

due  ombre  :  qnesta  magnanima ,  anzi  &roica.  ;  l'altra  di  poco 
animo,  siccome  il  suo  piangere  il  dimosU'erà  ben  tosto .  <-m 

54  inginocchion  (inginocchia  legge  la  Nidobcatina),  pe- 
rocché Farinata  y  essendo  ritto  in  piedi ,  avanzava  fuori  del- 
larca  dalla  cintola  in  suy  e  Cavalcante  sopravanzava  l'arca  col- 
ai faccia  solamente.  »-^//t  ginoochie ^  leggono  i  codd.  Caet. 
e  Ang.  E,  R.  —  e  il  Vat,  3 199.  -♦-• 

55  56  come  talento  -  Avesse  di  veder  ec.  Talento  per  vo" 
s;lia^  curiosità.  Dal  parlare  precedente  fattosi  tra  Farinata  e 
il  Poeta,  Cavalcante y  che  nella  stessa  tomba  giaceva,  capi 
che  il  conlocntore  ci*a  Dante  \  e  sapendo  essere  Dante  amicis- 
<imo  di  sno  6glio  Guido ,  alzossi  a  vedere  se  mai  fosse  con 
Dante  anche  il  proprio  figlio . 

57  suspicar  y  legge  la  Nidob.  ;  e  sospicciar^  l'altre  edizioni 
•-»  e  il  cod.  Vat.  3 199.  —  «  Qui  si  avvisi  cosa  non  conosciuta 
»  dai  VocabdlaiTsti  e  dai  Comentatori  di  Dante.  Sospicare ,  o 
»  sQxpettare ,  usasi  anche  in  buona  parte  ,  significando  avere 
»  opinione  dubbia  di  fui  uro  bene.  Imperocché  tale  deve  es- 
»  sere  il  senso  del  verso  suddetto .  L'ombra  di  Cavalcante  c^ca 
n  dall'arca ,  sperando  che  il  figliuol  suo  sia  venuto  vivo  a  tro- 
»  vario  insieme  coir  Alighieri  .  Ne  il  padre  che  si  creda  di  v(^ 
»  dere  il  figlio  ancor  vivo  nel  regno  de'morti ,  può  dirsi  ch'ab- 
»  bia  a  porre  qtiesta  credenza  in  conto  di  male.  [aJm  Perti- 
('\M.'^^mfu  tutto  spento^  fu  totalmente  dileguato,  svanito. 

58  5g  se  per  questo  cicco  -  Carcere  vai  ec.  Nota ,  dice*  il 
Landino  t  che  queste  parole,  se  per  questo  cieco  ^Carcere  vai 
per  altezza  a  ingegno  j  servono  insieme  alla  fizione  ed  alU 
«dlegoria  ;  perciocché  secondo  il  senso  lìtterale  diremo:  se  per 
nhezza  d''  ingegno  j  quasi ,  se  per  nlcuna  mirahirarte  puoi 
avo  e  senza  pena  andar  per  r  In  fervo  »  Ma  sccuudo  l'allego- 

\'i^  Prop  ,  ToK  ti.  V.  a.  f.ic    191.  ?fcla  5. 

/'o/.  /.  li 


aa6  INFERNO 

Mio  figlio  ov'è,  e  perchè  aou  è  teco? 
Ed  io  a  lui:  da  me  stesso  qoq  vegno:  61 

Colui,  ch'attende  là,  per  qui  mi  mena. 

Forse  cui  Guido  vostro  ebbe  a  disdegno  • 
Le  sue  parole,  e  1  modo  della  pena  64 

M'avevau  di  costui  già  letto  il  nome) 

Però  fu  la  risposta  cosi  piena . 
Di  subito  drizzato  gridò:  come  67 

Dicesti:  egli  ebbe?  non  viv'egli  ancora? 

Non  fiere  gli  occhi  suoi  lo  dolce  Ionie  ? 

ria  intendi,  se  per  altezza  d*  ingegno  e  gran  dottrina  vai  per 
la  speculazione  de^t^izj ,  il  mio  figlio  è  tale  y  che  deye  poter 
questo  medesimo.  m-¥  Career  ten  vai^  ha  TAng.  E.  R.  ^-m 

61  6a  Ed  io  a  lui:  ec.  Quasi  dica  (siegue  il  Landino  ) ,  ìi 
mio  ingegno  non  mi  avrebl>e  data  tal'  invenzione.  Ma  menami 
colui,  eh' attende j  cioè  che  aspetta;  perciocché  la  dotti-ina  « 
11  figmento  di  Virgilio  y  che  ho  imitato,  mi  mena ,  mi  guidii, 
a  far  tale  fizione,  perchè  non  è  molto  dissimile  dalla  sua  . 

63  cui  Guido  mostro  ebbe  a  disdegno .  Quasi  dica  ,  perchè 
Guido  vostro,  datosi  tutto  alla  filosofia,  non  degnò  i  poeti,  la  soa 
filosofia  non  gli  è  bastata  a  ùv  simil  poema  ;  la  quale  poteva 
fare,  se  avesse  degnato  di  leggere  Virgilio,  ed  imitarlo.  Lakdivo. 

64  Le  sue  parole  f  accennanti  l'altezza  d' ingegno  del  figlio, 
e  Tamicizia  del  medesimo  con  Dante  ;  per  le  quali  cose  spe- 
rava che  fosse  seco,  —e  7  modo  della  pena  ,  e  l'esser  pu« 
nito  tra  gli  Epicurei  • 

63  già  letto  il  nome ,  già  fatto  capù*e  chi  egli  era.  »-»  U 
cod.  Aniald.  legge ,  già  detto  •  E.  R.  <«-« 

66  fu  la  risposta  così  piena ,  fu  la  risposta  mia  a  quel  mo* 
d  )  soddisfacente .  •-♦  ce  La  risposta  di  Dante ,  dice  il  Biagiolì , 
«  fu  tutt'altro  che  soddisfacente .  Piena  è  qui  in  setìso  figu^ 
•>  rato ,  preso  dall'essere  d'un  continente  ,  il  quale  ,  quando 
»  nulla  manca  di  suo  contento ,  dicesi  esser  pieno  ;  onde  piena 
•>  significa  intiera  o  compiuta  .  »  <<-• 

67  drizzato ,  intendi  in  piedi ,  ove  pareva  prima  che  stasse 
ginocchione  • 

6g  /[ere ,  da  -flerere ,  che  inveiM^  di  ferire  ndopraronn  gli 


CANTO  X.  227 

Quando  s'accorse  d'alcuna  dimora,  jq 

Ch'io  faceva  dinanzi  alla  risposta, 
Supin  ricadde,  e  più  non  parve  fuora. 

M«i  queir  altro  magnanimo,  a  cui  posta  7.3 

Restato  m'era,  non  mutò  aspetto, 
JVè  mosse  collo ,  né  piegò  sua  costa  : 

E  se,  continuando  al  primo  detto,  76 

Snelli  han  quell'arte,  disse,  male  aj^resa, 
Ciò  mi  tormenta  più,  cbe  questo  letto. 

Ma  non  cinquanta  volte  Ila  raccesa  79 

anticbi.  Vedi  il  Vocabolario  della  Crusca,  •—  lofne,  fcrlumm 
(  intendi  del  Sole  ),  antitesi  in  grazia  della  rima  •  «-^  2Vbn  /f<r 
negli  occhi  suoi ,  legge  il  cod.  Ang.  E.  R.  <-m 

70  dimora .  Di  questa  dimorane  vedrai  la  cagione  nel  ver- 
so 1 13. 

73  auell^aitroj  Farinata.  — a  cui  posta  y  a  cui  requisizion», 
beneplacito.  Vedi  il  Vocabolario  della  Crusca, 

74  75  Restato  m^eray  quando  mi  disse:  Piacciati  di  re- 
stare  ec.j  v.  24*  -*•  non  mutò  ec.y  nulla  si  mosse ,  da  magna- 
ni me. 

76  77  E  scy  continuando  ec.  Ecco  come  dee  essere  la  co* 
stmzione  di  questi  due  versi  :  Ey  continuando  al  prim4>  detto 
(  al  discoi^so  già  incominciato  ) ,  disse  :  se  egli  (  per  eglino  [a]) 
han  quell'arte  ec,  Tarte  cioè  di  ritornala  essendone  discao- 
l'iati ,  come  è  detto  nel  1^.  5 1  •  Elli,  invece  d'egli  y  legge  la  Ni- 
dobeatina  .m-^EsCy  continuando  il  primo  dettOy^Egli  àn  eC.y 
legge  il  Vat.  3 199.  <-« 

78  Ciò  mi  tormentapiùy  ec.  Parlare  corrìspondente  a  queW 
l'invitto  animo  dimostrato  già  nel  portamento  del  corpo iper^ 
eÌ€K:chè  y  chiosa  il  Landino ,  chi  è  di  tal  animo ,  non  gli  è  mo^ 
lesto  tormento  o  morte ,  quanto  è  aper  a  cedere  al  nemico* 
-^  letto  appella  Tinfuocato  avello  y  in  cui  conveni vagli  giacere. 

79  80  Aia  non  ec.y  vuol  dire:  non  si  faranno  cinquanta 
plenilunj  ;  feroechè  ne'  pleniluni  la  &ccia  tutta  della  Luna 

[ti]  Vedi  il  CÌD.y  Partic,  lOi.  n.  9.,  ed  il  noslto  PoeUi  >te»9o ,  luf  asm. 
V.  64*  ed  ahrova  • 


2^8  INFERNO 

.  La  faccia  della  Donna,  che  qui  regge, 
Che  tu  saprai  quanto  quell'arte  [jesa: 
£  se  tu  mai  nel  dolce  mondo  regge,  82 

che  risgoarda  la  terrai  viene  dal  Sole  accesa  »  cioè  illmninau. 
"Donna ,  che  qui  (nell'Inferno)  regge  y  appella  la  stessa  Luna, 
conciossiachè  fingasi  dai  poeti  esser  la  medesima  in  cielo  La- 
na ,  in  terra  Diana ,  e  neirinfemo  Proserpina  ;  e  Regina  j  percbè 
moglie  diPlntonci  ch'è  il  Re  dell'Inferno. 

81  Che  tUf  che  tu  stesso >  saprai  quanto  queWarte  (che 
tu  dicesti  dai  Guelfi  appresa  meglio  che  dai  Ghibellini)  pesa^ 
sia  dannosa  e  fatale.  Passi  a  questo  modo  Dante  da  Farinata  pre- 
dire le  miserie  che  per  opera  de'Guelfi  medesimi ,  tornati  col- 
Parte  loro  in  Firenze  ^  avrebbe  provato  esso  Dante  9  quando  di 
li  ad  anniquattroy  cioè  del  i3o4,  dopo  ch'ebbero  vano  riasci- 
mento  e  la  mediazione  di  Papa  Benedetto  XI.  (che  perciò  spegli 
in  Toscana  il  Card.  Niccolò  da  Prato)  e  l'ultimo  tentativo  dei 
Bianchi  uniti  a'  Ghibellini  per  rientrare  nella  patiìa  [a] ,  «co- 
stretto fu  ad  andare  pel  mondo  ramingo. 

8a  E  se  tu  mai  nel  dolce  mondo  (dolce  appella  FarinaU 
questo  mondo  nostro  per  rapporto  a  quello  amaro  e  tormen- 
toso ov'egli  era)  regge  per  reggi ,  antitesi  a  cagiou  della  ri- 
ma, e  vale  quanto  duri^  continovi  a  stare.  Del  verbo  reggere 
in  questo  senso  vedine  altri  esempj  del  Vocabolario  della  Cru- 
sca. Questa  se  tu  maiec. none,  dice  il  Venturi ,  uniformemente 
al  Landino,  formola  condizionale <,  ma  deprecati\fa  ;  conte  sa^ 
rebbe  :  dimmelo ,  se  Dio  ti  aiuti  ;  e  il  senso  è:  così  tu  nel  tuo 
mondo  una  volta  ritorni  e  rieda  ;  oppure  :  ^iV  grande  ,  e  nei 
supremi  magistrati  comandi ,  e  prego  Dio  che  tei  conceda 
se  mei  dici,  dimmi.  Regge  per  riedi,  ritorni,  spiegano  anche 
il  Daniello ,  il  Volpi ,  e  il  Vocabolario  della  Crusca  nel  verbo 
Reddire,  e  per  regni  e  comandi  spiega  il  Vellutello  pure. 

Ma  primieramente  tra  i  molti  esempj  che  abbiamo  e  dal 
(jinonio  \b\  e  dal  Vocabolario  della  Crusca  della  particella  se 
posta  in  luogo  di  così  nelle  formolo  depi'ecative,  ad  imitazione 
di  quelle  latine:  Sic  te  Diva  potens  Cjrpri.'Sic  tua  Cjrmaeus 
ftiglant  ex€unina  taxos  ec,  ninno  esempio  si  trova  ,  in  cui  al 
se  aggiungasi  il  mai ,  che  qui  se  gli  aggiunge  ;  siccome  uè 

[a]  Memor,  per  la  vita  di  Dante ^^^^  1 1.  [^']  Paiiic,  aa3.  la. 


CANTO  X.  359 

anche  tra  i  latini  esempj  del  deprecativo  sic  mai  gli  si  trova 
ag<^imto  Vunquam  ;  che  per  l'opposto  trovasi  bene  spesso  uni- 
to al  condizionale  :  si  unquani  in  dicendo  fuimus  aliquidj  si 
unquam  alias  fuimus  ec» 

Poi  regge i  o  reggi  y  è  da  riedi  troppo  distante  ;  e  regge  9 
per  regnare ,  è  gìh  detto  nella  con  ispondente  rima  :  e  sebbene 
innisi  aver  Dante  colla  medesima  parola  al  medesimo  signi- 
ficato composte  tutte  tre  le  rime  [a] ,  mai  però  non  si  tixi^  a 
che  ne  componesse  due  solamente . 

Tali  difficoltà  da  questa  paite  incontrandosi,  e  chiaro  es- 
sendo dall'altro  canto  cne  y  per  soddisfare  alla  richiesta  di  Fa- 
rinata ,  non  abbisognava  altro  se  non  che  reggesse  ,  durasse, 
Dante  tra'vivì ,  non  pare  che  possa  né  la  particella  se  preci- 
dersi in  altro  senso  che  di  condizionale ,  ne  il  verbo  reggere 
In  altro  senso  che  di  durare .  «-^  Qui  Biagioli  dimostra  che 
la  particella  se  non  è  già  semplice  condizionale ,  ma  voce  di 
desiderio  e  di  preghiera  ;  che  Tal  tra  mai  è  l'elemento  di  un'e- 
spressione ellitica  equivalente  ad  una  delle  st^guenti  manie- 
re :  in  modo  da  durar  sempre ,  da  non  mai  auer  termine  ecy 
(*  che  è  destinata  ad  esprimere  9  con  energia  ad  ogn'altra  di- 
Impari  j  l'intensità  e  la  dm*ata  dell'azione.  Cos)  le  parole  del 
testo,  H  se  tu  mai  ec,  sono  da  lui  tradotte  in  queste  :  se  io 
desidero  che  tu  regge  nel  mondo  dolce ,  e  che  tu  non  ceda 
mai  air  impeto  nemico  ,  dimmi  in  ricambio  ec»  Hegge^  lic. 
poet.  per  reggi  o  regga ,  che  ha  per  oggetto  il  nome  l«  àot« 
tinteso.  Dicesi  che  uno  non  può  reggere ,  quando  non  ha  foi'ze 
bastanti  per  resistere  all'urto  di  forze  maggiori  ed  avverse . 
—  Il  Landino,  il  Daniello  ed  il  Volpi  spiegano  regge  per  ri« 
forni.  Ma  oltre  la  novità  del  verbo  reggere  per  ritornare i 
rlic  nou  ha  esempio ,  esclude  un  tale  significato  il  predire  che 
ià  Farinata  a  Dante  del  suo  esilio ,  per  cui  fa  bisogno  che  ri- 
ti imi  al  dolce  mondo.  Regge  dunque  sta  qui  ^per  regga  ,  cioè 
governi  I  come  già  avea  fatto  prima  d'esser  cacciato  da  Firen' 
s**  ;  e  quel  modo  di  dira  non  è  già  condizionato  ,  ma  depreca- 
ii\o  come^tf  Dio  ti  salvi  ^  secondo  che  nota  il  Landino.  To- 

■ELLI.  4-0 

Che  poi,  per  ultimo  ,  parli  Farinata  così,  cioè  dubitati- 
vamente ,  ciò  combina  con  quanto  egli  stesso  poco  sotto  dirà, 
rlie  delle  cose  del  mondo,  quando  s^appressano^  o  sono,  nulla 
rolaggiù  si  sa . 

[a*  Vedi,  a  cagion  d'e04fin|»io,  Farad, xit.  71.  e  sxz.  95.  ^^^ 


a3d  INFERNO 

Dimuii  :  perchè  quel  {)0])olo  è  si  empio 
Inct)atr'a'iniei  ia  ciascuua  sua  legge? 

Onci'  IO  a  lui  :  Io  strazio ,  e  '1  grande  scen)pio ,    85 
Che  fece  l'Arbia  colorata  in  rosso, 
Tale  orazioQ  fa  far  nel  nostro  tempio. 

Poi  ch'ebbe  sospirando  il  capo  scosso:  88 

A  ciò  non  fu' io  sol,  disse,  uè  certo 
Senza  cagion  sarei  con  gli  altri  mosso; 

Ma  fu' io  sol  colà,  dove  sofferto  gì 

Fu  per  ciascun  di  torre  via  Fiorenza , 

8?(  84  sì  empio  j  sì  crudo  e  inesorabile ,  perchè  mai  non  si 
rimetteva  pena  y  o  concedeva  benefizio  ai  Ghibellioi ,  che  gli 
Ubfiti  (casato  di  Farinata)  non  ne  fossero  esclusi.  VEVTrai. 

85  86  lo  strazio  ,  e  U grande  scempio,  -  Che  ec,  la  scon- 
fitta per  tua  cagione  sofferta  dai  Guelfi  a  Monte  Aperto,  tale 
che,  scorrendo  a  rivi  il  sangue  in  quel  fiume  Arbia^  fece  ros- 
aeggianti  le  di  lui  acque. 

87  Tale  orazion  ec.  Riferisce  Gellio  che  M.  VarronedboiuV, 
eonftrmasfitqueynisiinlocoperaugures  constitìOo^quod  tem^- 
ptum  appellaretur  ^  senatus  consultwn  facium  esset,  iustum 
id  non  fuisse  :  propterea  et  in  curia  Hostilia  ,  et  in  Pam-- 
peia  9  et  post  in  lidia  fCum  profana  ea  locafuissent,  tempia 
esse  per  augures  constituta  [nj.  Curia,  dice  però  anche  (li- 
cerone,  est  sedes  et  templum  publici  consili  [6]  .  Allusiva- 
mente a  cotal  latino  costume ,  dui'ato  in  Fiorenza  medesima 
fino  a  circa  il  1 282,  che  i  magistrati  e  i  consigli  per  le  chie^ 
se  coni^enissero  \c\ ,  potè  Dante  appellar  tempio  la  fioren- 
tina curia  ;  e  sul  volgare  intendimento  di  tempio  per  chiesa , 
scherzevolmente  appellar  orazione  gli  stabilimenti  in  ess9L  fat* 
ti.  •->  11  Postillatore  del  cod.  Angelico  dice  a  questo  verso:  in 
illa  curia  quae  erat  prope  palatium  dominorum.  E.  R.  4-« 

88  il  capo  scosso ,  effetto  d'iracondia,  m^  mosso  y  ha  l*Ang 
E.  R.  «—  e  il  Vat.  3i^.4Hi 

89  al  93  ^  ciò  non  ec.  Risponde  Farinata ,  e  dimostra  Tin* 
giustizia  di  quel  procedere  contro  della  sola  sua  schiatta  pev 

[a^  Lib.  14  cjip<  7.  [b]  Prò  domo  sua.  [c\  Machiv^.,  Slot.  lib.  a. 


«^•1 


CANTO  X.  i3i 

Colui,  che  la  difese  a  viso  a}>erto. 
Deb  se  riposi  mai  vostra  semenza,  94 

tre  capi.  Primo  y  perchè  alla  suddetta  impresa  non  fu  egli  solo 
Fìoi-entinoy  ma  fui'onvi  altri  seco  9  alle  famiglie  de*  quali  però 
non  veniva  fatto  lo  stesso  mal  trattamento  cne  alla  sua.  In  se- 
condo luogo  9  perchè  se  procurò  egli  quella  rotta  a' Fiorentini 
Guelfi 9  ne  aveva  qualcne  ragione,  da  che  ei*a  egli  pei*  opera 
loro  fuoiTiscito  [a] .  In  terao  luogo  finalmente ,  perchè  dopo  la 
rotto  di  Monte  Aperto  (  riferisce  il  Vellutello  da  Giovanni  Vil- 
lani [b]  )  tornati  i  Ghibellini  in  Firenze  i  fu  fatto  ad  Empoli 
un  general  consiglio ,  ove  intervennero  gli  ambasciatori  di  tutte 
le  città  e  terre  Ghibelline  di  Toscana  ;  nel  quale  ultimamente 
fu  concluso  che  per  ultimo  estenninio  de'  Guelfi  si  dovesse 
rf>\  inare  Firenze,  acciocché  gli  avversar)  non  avessero  mai  più 
speranza  di  rìtoiiiarvi;  e  solo  P'arìnata  e  con  detti  e  con  fatti, 
ora  pregando  ed  ora  minacciando,  s'oppose  a  tanto  miserabile 
sentenza,  e  costrinse  ciascuno  a  rìvocarla.  a-^Ecco  come  nana 
brevemente  questo  fatto  l'Antico  citato  nell'E.F.cc  A  stanza  del 
»  conte  Giordano,  ch'era  per  lo  Re  Manfredi  in  Toscana,  dopo 
»  la  sconfitta  di  Montapcrti  si  fece  parlamento  a  Empoli  ;  donde 
»  lutti  gli  Ghibellini  induceano  il  detto  conte  a  disiare  Firenze; 
»  se  non  che  Mess.  Farinata  si  oppose  con  tanto  animo  e  vigo- 
»  re,  che  lo  difese  contro  a  tutti,  e  il  conte  assentie  a  lui.  »4-« 
sofferto  -  JFu  per  ciascun ,  invece  di  soffrì  ciascun ,  e  uitendi 
de* fiorentini  Ghibellini;  che  quelli  d'altri  luoghi  non  sola- 
mente sofirivano,  ma  istavano  di  torre  via  Fiorenza  y  di  to- 
glierla di  mezzo,  di  atterrarla  .  •->  San  za  cagion  con  li  altri 
sarei  mosso  j  l'Antald.  E.  R.  e  il  Vat.  Sigg.  -  jFi/^erci<JJCtt- 
no  di  ter  via  Fiorenza ,  ha  il  cod.  Antald.  -  difesi  y  al  v,  g3., 
legge  TAntald.  E.  R.  -  e  il  Vat.  3 1 99. 4-« 

94  ^^  riposi  mai  vostra  semenza .  Questa  ancora ,  dicono  il 
laudino  e  il  Venturi ,  essere  formola  deprecativa ,  come  dissero 
poco  anzi  quella  del  m.  82.  Così  il  Cielo  (  ecco  1*  inteipretazio- 
ne  del  Venturi)  dia  una  volta  pace  alla  vostra  discendenza. 
Ma  qui  pure  contrasta  lo  stesso  meii^  che  ivi  è  detto  ;  e  capi'« 
remo  che  il  se  vi  può  stare  come  condizionale,  seintendere* 
roo  che,  usando  Dante  dell'  ellissi ,  parli  cosi  invece  di  più  este- 
samente dire:  Deh  Farinata ,  se  mai ,  al  preveder  vostro ,  sia 

[a]  Tedi  Landino  e  Velltitpllo.  [b]  Cron,  lib.  6.  S3. 


ti3i  INFERNO 

Prega' io  lui,  solveieriii  quel  nodo, 
Che  qui  ba  inviluppata  nua  sentenza* 

E'  par,  che  voi  veggiate,  se  ben  odo,  97 

Dinanzi  quel  che  1  tempo  seco  adduce , 
E  nel  presente  tenete  altro  modo. 

Noi  veggiam  come  quei  eh*  ha  mala  luce  1 00 

Le  cose,  disse,  che  ne  son  lontano; 
Cotanto  ancor  ne  splende  '1  sommo  Duce: 

Quando  s'appressano,  o  son,  tutto  è  vano     io3 

un  dì  per  riposare  %^stra  schiatta ,  deh  in  grazia  di  tale  ri- 
poso  solvelemi  ec.  «-^Biagioli,  disapprovando  la  chiosa  del 
Lombardi ,  spiega  (juesto  verso  QOSÌiDeh , csclaroazione  depre- 
catiS  a  che  vai  quanto ,  io  ti  prego ,  io  ti  scongiuro ,  se  riposi  er.^ 
cioè ,  se  io  desidero  che  la  mostra  semenza  riposi,  -  qui  mai 
vale  in  alcun  tempo  j  quando  che  siaj  un  giorno y  ec,4rm 

96  96  solveteìni  (/uel  nodoy  Che  ec,^  scioglietemi  quella 
diflicoltà  che  m'imbroglia  il  capo* 

97  Elpan  vale  e/  quant'e^/i,  avverbialmente  posto.  Vedi 
Cìaou.,  Parti  e.  i  o  i.  1 5.  —  je  ben  odo  per  se  bene  capisco  • 
»-^  Cosi  leggeva  e  chiosava  il  Lombai  di .  Malgi^ado  ciò  »  II* par 
ci  piace  leggere  con  tutte  le  edizioni  diverse  dalla  Kidob.  -  Et 
poi  9  dice  il  Biagioliy  é  sincope  di  elloj  siccome  e'  à^egliy  e 
sarà  sempre  pronome 9  né  potrà  mai  esser  posto  avverbial- 
mente, siccome  vuol  suppoiTe  il  Lombardi.  ♦-« 

98  Dinanzi,  prima  che  &y\eugSL , '•^ quel  che  *l  tempo  seco 
adduce  y  mena  seco 9  in  sua  compagnia. 

91)  E  nel  presente  tenete  altro  modoy  vale  quanto,  e  nel 
presente  non  i^edete. 

I  ooqueiy  nominativosingolarC)  accorciamento  di  ^ueg-Zi:  vedi 
Cinon.y  Par  tic.  2 1 4*  7-  —  mala  luce ,  per  mala  vista;  e  intende 
la  vista  del  vecchio 9  che  vede  meglio  da  lontano  che  da  vicino. 

\o\  9^  che  non  son  lontano y  legge  il  Vat.  3 1 99;  ma  forse 
per  errore  del  copista  o  di  stampa  :  tale  crediamo  anche  il  C€>^ 
tantanto  del  verso  che  segue  nel  codice  stesso .  «-« 

1 02  Cotanto  ancor  ec,  di  tanto  continua  Iddio  a  darci  lume. 

I  o3  I  o4  tutto  è  vano  ^Nostro  'intelletto ,  noi  non  sappiamo 
più  niente,  -no/  ci  apporta ,  legge  la  Midob.  ;  non  ci  apporta  » 


CANTO  X.  a33 

Nostro  'ntelleuo,  e  scaltri  noi  ci  ap}K)rta, 
Nulla  sapecn  di  vostro  stato  umano. 

Però  comprender  puoi  che  tutta  morta  106 

Fìa  nostra  conoscenza  da  quel  punto, 
Che  del  futuro  fia  chiusa  la  porta . 

Allor,  come  di  mia  colpa  compunto ,  lo'^ 

Dis5*io:  ora  direte  a  quel  caduto. 
Che  '1  suo  nato  è  coi  vivi  ancor  congiunto. 

E  s'io  fu' dianzi  alla  risposta  muto,  113 

Fat'eì  saper,  che  '1  fei,  perchè  pensava 

Talu^  edizioai  •-»  e  TAntald.  E.  R.  4-«  Per  raccontare  e  pò* 
stillare  i  fatti  già  accaduti  ia  aria  di  profezia,  attribuisce  a'dan- 
nati  questa  prescienza  delle  future  cose  ;  la  quale  però  igno- 
bilila  e  tronca  circa  le  cose  presenti  a  doppio  fine  ;  e  per  diP- 
f(!renztare  anche  in  questa  parte  i  dannati  dai  beati ,  e  per  mag- 
giormente promovere  il  dialogo  tra  essi  e  lui  y  che  delie  cose 
presenti  poteva,  come  fa,  istruirli. 

loS  tutta  morta ^  affatto  spenta;  oscurata  • 
1 07  I  od  da  quelpuntOj  "Che  ec.^  dà  quel  punto  che  finirà  il 
tempo,  in  cui  solo  vi  è  il  futuro,  dopo  iidi  del  finale  giudizio. 
1 09  di  mia  colpa  ,  di  aver  tardato  a  rispondere  a  Cavai- 
caute,  come  ne' versi  70-71. 

I I  o  Diss"  ioì  ora  direte  a  quel  caduto  9  cosi  la  Nidobeati-- 
na  ;  e  Taltre  edizioni  »  Dissi  :  or  direte  dunque  a  quel  caduto* 
-  quel  caduto ,  Cavalcante  Cavalcanti  •  Vedi  il  v^^j^.m^  L'An- 
taid.  legge,  DissUo:  or  dite  dunque*  E.  R.  —  Il  Yat.  3 199. 
Dissi  :  or  dicerete  dunque  a  quel  caduto .  Il  dicerete ,  che  ac- 
cresce il  verso  di  una  sillaba,  sarà  pur  qui  errore  del  copista.  4-« 

I I I  Che  7  suo  natOf  suo  figlio  Gudo.  »^è  tra^vtuiy  leg- 
ge il  Vat.  3199. 4-c 

1 12  dianzi  f  poco  fa,  — alla  risposta  mutOy  muto  al  ri- 
spondere che  da  me  aspettava  • 

1 13  1 14  Potrei  saper f  ch^il  feciy  eh* io  pensala j  così  la 
Nidobeatina;  e  l'altre  edtz.,  Fatei  saper  ^  che  'l  feij  perchè 
pensai^a .  £1  ^  per  a  lui ,  che  adopera  Dante  qui  ed  altrove  [a  J, 

[«]  Piirg.  SII.  83.,  Par.  xxix.  17. 


!i34  INFERNO 

Già  neirerror,  che  m'avete  soluto. 

£  già  '1  Maestro  mio  mi  richiamava:  1 15 

Perch'io  pregai  lo  spirito  più  avaccio, 
Che  mi  dicesse,  chi  con  lui  si  slava. 

Dissemi:  qui  eoa  più  di  mille  giaccio:  1 18 

Qua  entro  è  lo  secondo  Federico  , 
E  '1  Cardinale,  e  degU  altri  mi  taccio: 

dee  essere  il  latino  et.  »-^La  lezione  Nidob.  di  questo  verso 
è  dal  Biagioli  reputata  guasta;  quindi  piace  a  noi  pure  di  ìv^- 
gere  con  tutte  le  altre  edizioni,  Fat^ei  saper  ^  che  7  fei^per^ 
thè  pensava,  -  Cosi  pur  legge  l'Ang.  E.  R.  -  e  il  Vat,  3  igg.^-^ 
Già  neWerrorj  nella  difficoltà  ch'erroneamente  m'era  insor- 
ta, cioè,  come  mai  non  sapeste  voi  le  cose  presenti ,  mentre 
predicevate  le  future  ? 

1  iSpiù  aitacelo,  pili  spacciatamente,  con  maggior  prestezza. 
Vedi  il  Vocabolario  della  Ciiisca  che  ne  dà  altri  esempj.  m-^più 
avaccio  si  riferisce  a  Dante,  non  a  Farinata.  Torelli.  «-« 

1 1 7  »-►  con  lui  stava ,  TAng.  E,  R.  —  e  il  Vat.  3 1 99.  <-m 

1 19  Federico  secondo,  Imperadore,  figliuolo  d'Arrigo V, 
e  nipote  di  Federico  Barbarossa,  fu  Gerissimo  persecutor  dell» 
Chiesa,  e  perciò  posto  da  Dante  fi*a  gli  eretici.  Volpi.  m-¥  Di 
costui  cosi  parla  r  Antico,  ci  tato  nell'E.  F.  ce  Federigo  li.  sep- 
»  pe  latino  e  greco  e  saracinesco  ;  fu  largo  ,  savio  e  proM'ar- 
»  me;  fu  lussuri  oso  9  sodomita  e  epicurio:  fece  a  ciascuna  ca- 
a>  Dorale  cittade  di  Sicilia  e  di  Puglia  un  forte  e  ricco  castello; 
»  il  castello  di  Gipovana  in  Napoli,  e  le  torri  e  ponti  sopra 
»  il  fiume  del  Volturno  a  Capua  ;  il  luogo  deiruccellagione  al 
?>  Pantano  di  Foggia  ;  quello  della^  cacciagione  a  Granvilla  e 
w  Amalfi;  Io  castello  di  Prato  ;  la  Rocca  di  san  Miniato  ec.  »> 
*-  Di  quest'Imperatore  parla  il  Villani  nella  sua  Storia  (lib.  6. 
e.  I.  ec).  E.  F.  —  dentro ,  ha  il  Vat.  3 199. 4-» 

1^0  EU  Cardinale.  Accordansi  tutti  gli  scrittori,  e  massime 
i  vicini  ai  tempi  di  Dante ,  ch'egli  intenda  del  Caixfinal  Otta- 
viano degli  XJbaldini ,  il  qual  ceito  fu  uomo  di  gi-an  governo 
e  d'animo  invitto,  ma  di  vita  e  di  costumi  piuttosto  tii-amiHi 
che  sacerdotali ,  e  tonto  favorevole  a'Ghibeliini ,  che  non  curo 
di  far  contro  l'autorità  pontificale  in  aiuto  di  quelli.  Da' quali 
poi  non  sovvenuto  in  certi  suoi  bisogni ,  disse  me,  se  anima  è, 


CANTO   X.  i35 

Indi  9* ascose;  ed  io  iover  l'antico  iii 

Poeta  volsi  i  passi,  ripensando 
A  quel  parlar y  ciie  mi  parea  nemico. 

£gli  si  mosse;  e  poi,  cosi  in  andando,         124 
Mi  disse:  perchè  se' tu  sì  smarrito? 
Ed  io  gli  soddisfeci  al  suo  dimando. 

La  mente  tua  conservi  quel  ch'udito  127 

Hai  contra  te,  mi  comandò  quel  Saggio, 
Ed  ora  attendi  qui;  e  drizzò  '1  dito. 

Quando  sarai  dinanzi  al  dolce  raggio  i3o 

egli  l'aveva  perduta  per  i  GUbelIini  ;  le  quali  parole  lo  dimo* 
straroDO  epicureo ....  né  era  chiamato  aJtrìmenti  che  Cardi- 
nale ;  ed  ogni  volta  che  si  diceva,  il  Cardinale  dice  o  fa ,  si  in- 
tendeva di  lui.  Landiuo.  —  Per  la  medesima  antonomasia  adun-* 
que  non  lo  appella  Dante  piii  che  il  Cardinale . 

lai  antico  '^Paeta^  Virgilio,  perocché  stato  secoli  più  di 
dodici  prima  di  Dante  • 

1^3  nemico  j  perchè  gli  aveva  detto  Farinata  che  sai*ebbe 
discacciato  di  Fiorenza  ;  che  fu  quello  :  Ma  ìwn  cinquanta 
volte  fta  raccesa  ec.  Daniello. 

I  ^4  135  così  in  andando ,  la  Nidob.;  e  così  andando ,  Tal- 
tre  edizioni,  s-^e  il  Vat.  3199.  —  "^  disse ^  in  luogo  di  Jm 
disse  j  legge  lo  stesso  codice  al  1^.  i25. 4-c 

19.9  attendi  qui  per  attendi  a  me.  s-^Qiii,  dice  il  Bia- 
gioli ,  è  avverbio  di  luogo,  e  Virgilio  invita  Tattenzione  al  luo- 
go ,  perchè  in  esso  dirà  le  cose .  ^  «  drizzò  7  dito ,  spiegano 
comunemente  i  Comentatori,  per  a%^ertir  con  quest'atto  Dan^ 
te  a  fare  attenta  riflessione  a  ciò  che  era  per  dirgli .  Per 
altro  quest'alzamento  di  dito ,  per  richiamare  ad  un'attenzione 
verso  uno  che  parla,  forse  non  soddisfarà  a  molti.  A  questi  si 
offre  nn  poco  meno  astrusa  la  nostra  variante:  Et  ora  attendi 
a  cui  io  drizzo  7  dito ,  forse  al  Cielo ,  forse  verso  Beatrice , 
di  COI  subitamente  dopo  parla .  Il  lettore  riflessivo  e  spassio- 
nato non  stenterà  forse  molto  ad  ammettere  questo  secondo 
sentimento.  »  Poggiali.  4-c 

1 3o  1 3 1  a/  dolce  raggio  <-  Di  quella  ec,  al  beatifico  splen- 
dore di  Beatrice  che>  come  beata,  in  Dio  vede  tutto. 


a36  INFERNO 

Di  quella,  il  coi  beli' occhio  tutto  vede, 
Da  lei  saprai  dì  tua  vita  il  viaggio . 

Appresso  volse  a  man  sinistra  il  piede;  i^'\ 

Lasciammo  il  muro,  e  gimmo  ìnver  lo  mezzo 
Per  un  seniier,  eh' ad  una  valle  fiede, 

Che  'ufin  lassù  facea  spiacer  suo  lezzo . 

1 3a  Da  lei  saprai  ec»  Supponendo  il  Venturi  iropmtar  qne* 
sto  parlare  che  risaper  dovesse  Dante  per  bocca  della  stessa 
Beatrice  il  ^i^gio,  il  decorso  di  sua  vita,  e  trovando  nel  Pa- 
radiso ^  xTii.  4^.  e  scgg.y  che  non  Beatrice  i  ma  Cacciaguida,  il 
trisavolo  di  Dante,  è  quello  che  glielo  disvela,  passa  quindi  a 
tacciare  il  Poeta  di  smemoraggine .  Potendo  però  il  €Ìa  lei  va- 
lere il  medesimo  che  appresso  di  leij  in  compagnia  di  lei  [/i], 
perchè  vorrem  noi  piuttosto  appigli aixi^allo  sconvenevole  sen- 
so del  Venturi  ? 

1 35  ftede  da  fiedere ,  verbo  sinonimo  di  ferire  ,  qui  però 
per  puntare ,  per  metter  capo .  m^  in  una  valle ,  ha  il  codice 
Ang.  E,  R.  "ftede^  cioè  va  a  terminare  a  quella  valle,  spiega 
il  cav.  Monti  nel  voi.  3.  P.  i.  fac.  1 1^*  della  Proposta.  <^ 

i36  9h¥  Quassù  ed  olezzo ,  ha  il  cod.  Ang.  E.  B.  ««hp 

\à\  Paò  la  mrticellR  da  adoprarsi  in  luogo  della  a  ,t\%a  per  appretso 
o  con.  Vedi  il  Yocah.  della  Or.  e  Ginon.y  Parile.  4.  7.  e  la.  cap.  i. 


asr^i^s^ 


CANTO    XI. 


ARGOMENTO 

Jrriva  il  Poeta  sopra  l* estremità  di  un  alta  ripa  del 
settimo  cerchio,  ove,  offeso  molto  dalla  puzza  che 
ne  usciva ,  vede  la  sepoltura  di  Papa  ylnastagio  ere- 
tico, E  quivi  fermatosi  alquanto  y  intende  da  Fìi^ 
gilio,  che  ne*  seguenti  ire  cerchj  che  hanno  a  vede- 
re, è  punito  il  peccato  della  violenza  j  della  fraude^ 
e  della  usura*  Indi  gli  dimanda  la  cagione ,  per  cui 
dentro  la  città  di  Dite  non  sono  puniti  i  lussuriosi , 
i golosi,  gli  avari,  i  prodighi  e  gl'iracondi.  Jp 
presso  gli  chiede  come  la  usura  offenda  Dio .  Ne 
vanno  alla  fine  i  due  Poeti  verso  U  luogo ,  onde  in 
esso  settimo  ceìrhio  si  discende. 

in  SII  restremità  d' un'alta  ripa,  i 

Che  facevan  gran  pieire  roiie  in  cerchio, 
Veni  ni  ino  sopra  più  crudele  stipa  : 

1  JCuxCalta  ripa ,  terminante  il  cerchio  degli  eresiarchi ,  e 
rìs^uardante  sopra  quello  de*  violenti.  m-^cUtrUy  ha  il  codice 

Angelico.  E.  R.^Hi 

2  Che  faceuan  gran  pietre  rotte  in  cerchio ,  che  compo- 
iic\aao  in  giro  grandi  pieUre  stagliate  y  e  piene  di  sfenditure . 
*■*  Che  faceva  gran  pietre  ec,  malamente  legge  il  codice  Va- 
ticano 3i99.4-« 

i  stipa  f  stipamentOf  ammassamento,  intendi  d'anime dan« 
nate;  e  piti  crudele ^  perocché  fassi  in  maniera  più  penosa.  Il 
Boti  y  citalo  a  qnesta  voce  nel  Vocabolario  della  Crusca,  spiega: 
ifipof  cioè  ucpe  che  chiude  e  circondai  e  viene  questa  di 


\ 


a38  INFERNO 

E  quivi  per  Y  orribile  soperchio  4 

Del  puzzo ,  che  1  profondo  abisso  gitta , 
Ci  raccostammo  dietro  ad  un  coperchio 

D'un  grand' avello,  ov'io  vidi  una  scritta ,         7 
Che  diceva:  Anastasio  Papa  guardo, 
Lo  qual  trasse  Fotin  della  via  dritta. 


lui  interpretazione  seguita  dal  Voi  pi  .Senza  necessità  però  d 
uo  a  questa  voce  un  senso,  di  cui  non  si  trova  alti*o  esempio i 
e  in  tempo  che  stipa  ad  evidente  senso  di  ammassamento  ado- 
perala Dante  stesso  in  questa  cantica ,  e.  xxit.  82.  : 

E  vidivi  entro  terribile  stipa 

Di  serpenti  ec. 
4  soperchio ,  eccesso  :  vedi  il  Vocabolario  della  Crusca  cht 
ne  pone  esempio  d'altri  buoni  scrittori  anche  in  prosa. 

6  Ci  raccostammo ,  al  luogo,  intendi ,  degli  eretici,  che  \af 
sciavamo.  »^'nJ<err*a  un  coperchio  j  legge  il  Vat.  3  ic^-^oc- 
costare  j  quando  non  dimostra  reiterazione  di  azione,  accenna 
un  certo  sfono,  o  fatica,  o  pena,  che  accompagna  l'azione. 

BlÀOlOLI .  4Hi 

7  D'un  grand*avello ,  ec.  Dimosti*a  Favello  essere  stato  più 
grande  degli  altri,  ed  aver  avuto  la  scritta  (T inscrizione)  so* 
pra  di  esso,  il  che  gli  altri  non  avevano;  avendo  rispetto  alla 
grandezza  ed  autorità  del  Papa ,  il  quale  ,  come  vero  Vicario  di 
Cristo  e  come  capo  della  religione ,  dovrebbe  aver  più  fede  che 
ciascun' altra  qualsivoglia  cristiana  persona.  Daniello.  »-^>el 
sepolcro  d'Anastasio  Papa  vi  è  una  scritta,  a  distinzione  degli 
altri  ;  e  ciò  va  bene ,  perchè ,  secondo  Giovenale , 

«  Omne  animi  vitium  tanto  conspectius  in  se 

»  Crimen  habet^  quanto  maiorquipeccathabetur.n  E.  F.  «-« 

8  9  Anastasio  {Antzstagio ,  1  edizione  della  Crusca  e  le  se- 
gnaci) Papaguardo^^Lo  qual  trasse  ec.  De eo  (avvisa Natale 
Alessandro  di  questo  Papa  Anastasio,  che  è  il  secondo ,  e  non 
il  quarto,  come  sbaglia  il  DRuiello) scribit  libri ponti/tcalis 
atictor  (  Anastasio  Bibliotecario .  Vedilo  nel  num.  li.  )  multos 
rlericos  eius  communionem  eiurasse ,  quod  inconsultts  Epi* 
scopis  et  Clero  y  Photino  thessalonicensis  ecclesiae  diacono 
eommunicasset  j  qui  communionis  jicacii  retinentissimau 
e  rat  ;  et  quod  Acacium  clandestinis  censi liis  revocare  de* 


CANTO  XL  a39 

Lo  nostro  scedder  conviene  esser  tardo ,         iq 
Si  che  s'ausi  in  prima  un  poco  il  senso 
Al  tristo  fiato y  e  poi  non  fia  riguardo. 

G)sì  1  Maestro;  ed  io:  alcun  compenso,         i3 
Dissi  i'ui  j  trova ,  che  1  tempo  non  passi 
Perduto;  ed  egli:  vedi  eh' a  ciò  penso. 

Figliuol  mio,  dentro  da  cotesti  sassi ,  i6 

erwisset  •  Quarti  ob  caussam  diinnitus  percussus  est.  Sed 
kanc  fabulam  diserte  refellit  annaliunh  ecclesiasticorun^ 
parens  [a]. 

~*  Dobbiamo  però  noi  in  questo  luogo  osservare ,  insieme 
col  diligendssimo  siff.  Poggiali  j  che  ninno  de*quattro  Pontefi- 
ci, quali  portarono  di  Anastagio  il  nome ,  fu  contemporaneo 
di  rotino  j  e  molto  meno  infetto  degli  errori  di  lui:  arguisca 
egli,  coi{>iii  sensati  Comentatoriy  cne  Dante,  già  indisposto 
verso  la  Corte  di  Roma,  si  lasciasse  illudere  dalla  mal  digerita 
Crouica  di  Fra  Martino  da  Polonia ,  che  confondendo  jinasta^ 
sto  /•  Imperadore  con  uno  de*Papi  Anastagi ,  attribuì  ad  uno 
di  questi  Terrore ,  di  cui  quello  fu  pm*  troppo  macchiato.  E.  R. 
-ideila  "Via  dritta  {delta  per  dalla) ,  dalla  retta  fede.  »-^A 
qaesto  luogo  il  Biagioli  chiosa  :  e*  Dante  profitta  con  piacere 
sdeirerrore  d'alcuni  del  suo  tempo,  nato  per  equivoco  U-a 
»  Anastasio  Papa  e  Anastasio  Imperatore,  che  fu  U  veramente 
«sedotto  da  Potino  diacono  tessalonicense,  discepolo d'Aca* 
»  ciò ,  vescovo  eretico .  •>  «-« 

Illa  sfatisi  in  prima  un  poco  il  senso  y  legge  la  Nidob.; 
e  un  poco  prima  il  senso ,  l'altre  edizioni .  Ausare  vale  av^ 
vezzare.  sfiato  qui  per  esalazione .  -e  più  non  fia  y  la  Nidob; 
e  poi  non  fia ,  l'altre  edizioni.  s-^Il  Biagioli  dice  che  i  due  passi 
eguali  in  prima  y  un  poco  della  Nidob.  guastano  IWmouia  del 
>erao .  «-^  Sembra  però  al  rom.  Edit  che  quelFiin  poco  prima 
dell  altre  edizioni  sìa  indicazione  di  tempo,  e  vogUa  significare 
un  poco  avanti.  •*  Il  Yat.  3 199  legge  però  come  ràltre  edi- 
zioni, un  poco  prima.  —  poi  non  fUty  leggiamo  noi  col^*al« 
tre  ediz.,  e  coi  codd.  Ang.,  Antald.,  E.  R.,  e  Vat.  3 199»  -*  AI 
Biagioli  sembra  guasta  la  lezione  di  Nidobeato ,  e  sostiene  la 

,M^  ffffJl.  *-«r/   Kiicc.  5.  4'ft|i.  i.Mrt-   II. 


a4o  INFERNO 

.  Cominciò  poi  a  dir,  son  ire  cerchietti 
Di  grado  in  grado,  come  quei  che  lassi. 

Tutti  son  pica  di  spirti  maladetti:  19 

Ma  perchè  poi  ti  basti  pur  la  vista , 
lateudi  come,  e  perchè  soo  costretti. 

D'ogni  malizia,  ch'odio  in  Cielo  acquista ,     21 
Ingiuria  è  il  fine,  ed  ogni  fin  cotale 

comuae  chiosando:  E  poi  (intendi)  che  il  senso  si  sarà  usato 
ai  tristo  fiato ,  non  -fia  riguardo  che  ci  trattenga  .  4-a 

17  son  tre  cerclùetti^  cioè  tre  parti  generali  deli'Iuferuo, 
che  loro  rimanevano  a  vedere  ;  ma  dice  cerchietti  y  a  differenza 
dì  quelli  che  avevano  veduti  j  a  dinotare  che  quelli  ver  la  sa-« 
pcrficie  della  terra  erano  molto  piti  larghi  ed  ampj ,  e  questi 
molto  meno,  per  essere  piii  vicini  al  centro  univei^sale  (cioè 
pi  il  vicini  alla  punta  della  conica  infernale  buca).  Dari£|.x.o. 
Vedi  anche  la  nota  al  verso  a.  del  v.  passato  canto . 

20  ti  basti  pur  la  i^ista  :  pur  vale  qui  solamente  ,  e  vuol 
dire:  acciò  andando  innanzi  ti  basti  di  solamente  guarda- 
re f  senza  chiedermi  altra  contezza . 

9 1  costretti  (  intendi  I  prefati  spiriti  ),  cioè  stretti  insieme , 
insieme  rinscn^ati  in  questo  fondo  dell'Inferno ,  giusta  l'oii- 
ginario  senso  del  latino  constringo ,  che  significa  smiul  strin^ 
go.  Con  et  cum  (scrive  Roberto  Stefano)  idem  signi ficani  : 
sed  cum  fere  separata  ;  con  vero  semper  composita  reperì- 
tur,  et  significat  simul  fa] .  E  la  ragione  di  essere  quegli  spi** 
riti  costretti  in  fondo  dell' InfeiTio  è,  come  seguirà  adiiv,  p(*r 
convenir  tutti  nel  genere  di  maliziosi,  m^costretti ,  cioè  strei'^ 
tiy  stipati,  ammassati ,  corrispondentemente  alla  crudele  sti- 
pa  detta  di  sopra,  intende  anche  il  cav.  Mohti  [^J-**-* 

aa  D'ogni  malizia,  ch'odio  in  Cielo  acquista,  cioè  d'ogni 
tiìalizia  propriamente  detta  e  peccaminosa;  a  differenza  di  quel- 
la ,  che  meglio  direbbesi  prudente  ripiego,  che  praticarono  al 
bisogno  anone  i  medesimi  Santi .  »-^  acquista,  cioè  ottiene,  si 
procaccia.  Così  il  cav.  Monti  [c\  e  V  K.  F.  ••-• 

a3  24  Ingiuria  è  tifine,  qualdie  atto  ingiusto  ne  è  lo  scopo; 

[a]  Thesaur.  iing.  lai,,  art.  Con.  [0]  Prop.  voi.  i.  P.  n.  fac  i^B, 
[il  Ivi,  fac  i5.  ^ 


CA^TO  XL  341 

O  con  forza,  o  cod  frode  alimi  contrista . 
Ma  perchè  frode  è  dell^uom  proprio  male,     2 5 

Più  spiace  a  Dio;  e  però  stan  di  suUo 

GII  frodolenti,  e  più  dolor  gli  assale. 
De' violenti  il  primo  cerchio  è  tutto:  !i8 

Ma  percliè  si  fa  forza  a  tre  persone , 

In  tre  gironi  è  distinto  e  costrutto. 
A  Dio,  a  sé,  al  prossimo  si  puone  3i 

Far  forza;  dico  in  loro,  e  in  le  lor  cose. 

Come  udirai  (jon  aperta  ragione. 

^fdogìii  /fn  cotale  ec^  vuol  dire  che  ogni  ingiuria  8eni|ire 
«a  a  contristare  alcuno  o  con  aperta  violenza  ^  o  con  occulta 
fnide.  Tale  divisione  della  ingiuria  (avverte  molto  bene  il  Dn- 
uiollo  )  fa  eziandio  M.  Tullio  nel  primo  libro  degli  Offcj  dictni- 
dn  :  Cum  atttem  duobns  modis^  idest  ani  ^n  aut  fraude  fiat 
imuriaf  frans  quasi  vìdpcculae  >,  ans  leonis  videturc  utrumque 
(iHenissimNìiè  ab  homine  esty  sedfraus  odio  digna  maiore  etc. 

3j  frode  è  deiraonh  proprio  nude ,  conaistcrndo  non  (  come 
U  violenza  )  iieirabuso  delle  forze  che  ha  con  gli  altri  animali 
cmnuni,  ma  nel!  abuso  deirintellettoedella  ragione»  dote  sua 
pniprìa.  VETfTuai. 

'^(>  .ru/zo,  ad  imitazione  del  latino  subtusy  per  sotto  i  antitesi . 

3o  /»  ire  gifoni  è  distitUOj  e  costrutto*  in  tre  circolari  ri- 
nHtacoli  eoncentriei ,  cioè  uuo  cerchiaute  Talti'Oye  l*alure  l'alti'o.. 

3i  pHone  por  puòy  iu  rima.  Volpi.  Il  Ciuonio  però  ne  1» 
<*'ipin?  di  avere  trovato  a  questa,,  e  ad  altre  voci  terminanti  in 
aarnto,  aggiunta  per  ripeso  della  prommzia  la  ne  anche  fuor 
di'ilarima,  quantunque  di  rado  [aj. 

3')  iì  in  loro  vale  nelle  persone  loro*  Diversamente  dalla 
Mdnheatina  leggono  Taltre  edizioni ,  in  sé  y  ed  in  lor  cose^  a^e 
^'tHl  logge  il  Biagioli  chiosando:  et  il  nome  sé  indica  meglio  la 
»  personali  ita  y  e  dà  al  verso  miglior  suono.  »  -^  Il  Vat.  3!C)C) 
'«•Kge,  Far  forzai  dico  in  loroj  et  in  lor  cose,*^  aperta  ro- 
^"i'ie,  per  chiaro  divisamento;  b->  e  per  chiara  e  ragioitata 
(liftk)sirazione.  Biagioli.  «-« 

l«ij  Parftc,  177.  •j4. 

/W.  /.  16 


\ 


24^  INFERNO 

Morte  per  forza,  e  ferule  dogliose  34 

Nel  prossimo  si  danno;  e  nel  suo  avere 
Ruine,  incendi,  e  collette  dannose: 

Onde  omicidi,  e  ciascun  che  mal  fiere,  37 

34  Morte  per  forza,  ec.  Avendo  dichiarati^  che  si  può  osare 
maliziosa  violenza  a  Dio,  a  sé  ed  al  prossimo,  incomincia  qui 
a  parlare  della  violenza  contro  del  prossimo,  come  quella  che 
giudica  il  meno  male,  e  vuole  perciò  collocata  piix  in  su*  E  lo 
stesso  metodo  tien  poi  in  seguito  in  altre  suddivisioni. 

35  Nel  prossimo  si  danno ,  nelle  persone  del  prossimo  si 
effettuano . 

36  collette  dannose ,  legge  la  Nidob. ,  invece  di  toilette  dtin^ 
nose,  che  leggono  tutte  raltre  edizioni  ;  e  colte  j  eh' è  voce  sin- 
copata e  sinonima  di  co//elte,  ripete  pure  il  comento  della  stessa 
Nidobeatina.  Colletta ,  come  con  esempj  ne  mostra  il  Vocabo- 
lario della  Ci*usca,  significa ,  tra  le  altre  cose,  aggrat^io ,  impo» 
sizione,  rappresaglia,  eh' è  ciò  appunto  che  qui  si  conviene; 
e  r  epiteto  di  dannose  vieppiii  ve  io  stabilisce .  Di  toilette  aK* 
l'opposto  non  si  riferisce  nel  Vocabolario  della  Crusca  altro 
esempio,  che  questo  stesso  di  Dante;  che  perciò  può  giusta- 
mente riputarsi  errore  di  seri ttm'a.  •-►Biagioli  trova  ammissì- 
bile la  lezione  di  Nidobeato,  ma  legge  coi  piii  toilette,  chio- 
sando: che  questa  parola  viene  da  tolte,  adoperato  a  modo  dì 
sustantivo,  dicendosi  dai  Toscani  :  ella  è  stata  per  me  una  buo" 
na  tolta,  quando  uno  ha  comprato  alcuna  cosa  e  n'ha  avuto 
buon  mercsiio. "Toilette  dannose  è  Tistesso  che  maliolte,  dal 
latino  barbaro  malatolta,  che  vale  furto,  estorsione^ ài  che  vedi 
Du-Cange,  Diz,  lat.  barò.  E.  F.  — 11  Vat.  3199  legge ,  to/- 
lecfe.*-^ 

3y  omicidi,  leggono  parecchi  testi  veduti  dagli  Accademici 
della  Cr.  [a]  ;  ed  omfcìdii,  invece  à!onUcidì ,  dee  per  errore  di 
stampa  leggei*e  la  Nidobeatina.  Gli  Accademici  hanno  scelto  non 
ostante  pel  loro  lesto  la  voce  omicide.  11  plurale  di  omicida, 
ossia  onùcidiatio,  è  quello  che  qui  il  giusto  senso  evidente- 
mente esige  ;  e  il  plurale  di  omicida  non  è  comunemente  omi^ 
cidc ,  ma  omicidi  ^  come  di  Papa ,  poeta  ec*  non  è  Pape  e 

\a\  Vr<li  1.1  Ta\fola  delV  autorilà   de'' testi  nella  edizione  degli  Ac- 
cacl.  (Iella  Crusca  e  ucUa  Coiiiiuiuijii  • 


CANTO   XT.  a43 

Guastitori,  e  predon  tutti  tormenta 
Lo  gìroQ  primo  per  diverse  schiere. 

Punte  uomo  avere  in  sé  man  violenta,  ^o 

E  ne  suoi  beni  ;  e  però  nei  secondo 
Giron  convien  che  senza  prò  si  penta 

Qualunque  priva  sé  del  vostro  mondo ,  43 

porte^  ma  Papi  e  poeti,  E  sebbene i  Inf.  ix.  laj.,  dica  Dante 
in  nmA  eresiarche  per  eresiarchi,  e  Inf.  xix.  1 13.  idolatre  jxt 
idolatri j  perchè  qui  fuor  dì  rima  vorrem  noi  piuttosto  omicide 
c\ìc omicidi?  Adunque  Onde  omicidi ,  e  ciascun  che  mal  fiere 
l«'^gepera  noi  9  e  intenderemo  valer  quanto ,  Però  omicidiarj , 
<•  ijualunque  ingitLffamenle  ferisce  altrui  —  *  Il  cod.  Giss. 
I«';;^M»,  omicida.  r"Il  !*•  Ab.  di  Costanzo  riflette  qui  saggia- 
mcnle  che  fl  senso  di  Dante  non  sembra  esigere  il  plurale  di 
<w/aV//i,  come  pretende  il  P.  Lotiibardi,  ma  piuttosto  il  singo- 
lare, seguendo  un  altix)  singolare,  e  ciascun  che  malftere^  E.  R. 
•^  Il  cod.  Vat.  3 1  gg  J*'gge  >  omicide .  •*-• 

38  Guastatori y  e  predon;  predon  invece  di  predoni  dice 
|»T  apocope.  Guastatore^  chiosa  il  Volpi,  chi  dà  il  guaito 
alle  catnpagne  ;  troppo  però  limitatamente ,  impt^roccliè  ccutì- 
5{K)iide  al  latino  vasto  e  vastator ,  che  non  solo  delle  campa- 
f,'w,  ma  delle  città  e  delle  di  lei  parli  si  dicono:  Troiae  vasta* 
t'^r  j4cfulles  f«J.*  vastare  omnia  ferro  et  incendiis  [A].  G//«- 
^fatoriy  dice  bene  il  Daniello,  corrisponde  a  quel  mine  e  in* 
<fnfli;  e  predon  a  quell'altro  toilette  (come  anch'esso  legge 
ìnvi»cedi  collette)  dannose.  Si  diversifica  pt»i  H guastatore  dal 
l^'rdoncj  che  il  guastatore  non  intendo  ad  altro  che  a  distrug- 
i;»*re,  e  il  predone  ad  appropriarsi  l'altrui  roba,  e  Tuno  e  lal- 
tro  però  con  aperta  violenza,  e  non  con  occulta  frode,  come  fa 
il  ladro . 

^\)  per  dii^erse  schiere  j  cioè  guastatori  con  guastatori,  ^Vi>- 
<Ì«ui  cc»n  predoni  ec,  quantimque  nel  girone  medesimo . 

^a  senza  prò ,  legge  la  Nidobeatina  ;  sanza  prò ,  Taltre  edi- 
l'uiì:  pentii-si  senza  prò  vale  quanto  pentii*8Ì  senapi  ottenere 
a  «uno  alleggerimento  alle  sue  p<*ne . 

1>  del  vostro  mondo ,  dice  Virgilio  a  Dante,  perocché  Dante 

/^  SlJt.  Achitt.  a.  [b]  «:ic.  i.  i:i  Catti. 


244  INFERNO 

Biscazza,  e  fonde  la  sua  fliciiltade, 
E  piange  là  dove  esser  dee  giocondo. 
Puossi  far  forza  nella  Deilade,  4^ 

Col  cuor  negando  e  besleminiaudo  quella, 

era  ancor  vivo  ed  apparteuente  a  questo  mondo  ;  e  prillar  sé  del 
mondo  vale  qui  lo  stesso  che  uccidersi  da  sé  medesùno . 

44  Biscazzare  (da  bisca  o  da  &f!f cazza,  peggiorativo  di  bi- 
sca, luogo  dove  si  tiene  giuoco  pubblico)  dee  valere  lo  stesso 
die  frequentare  la  bisca,  osiuocare;  ed  è  verbo  adoprato  an- 
elle  da  altri  buoni  scrittori.  Il  Vocabolario  della  Crusca  Biscaz" 
zare  spiega  giuocarsi  il  suo  a^ere^  lai*  pecuniam  prodigare  f 
indo  profondere;  e  tra  gli  altri  reca  in  esempio  il  presente 
passo  di  Dante . 

Ma  il  presente  passo  appunto  ne  (a  meglio  capire  che  bi- 
scazzare non  significhi  pi-opria mente  se  non  frequentare  la  bi- 
sca ,  0  giuocare  ;  imperoccbè  sarebbe  superfluo  che  al  biscizzza 
sì  aggiugnessee  fonde  la  suafacultade.  Biscazza ^  adunque, 
e  fonde  sua  facultade  valer  dee  lo  stesso  che  frequenta  /a  bi- 
sca j  e  dissipa  il  suo  attere. 

45  E  piange  là  ec.c  e,  riducendosi  in  miseria ,  piange  in  quel- 
la vita  cne,  astenendosi  dal  giuoco  ^  dovevano  le  di  lui  sostanze 
iai^li  essere  gioconda . 

4(1  forza  nella  Deitade  vale  forza  contro  la  Deità ,  cofi- 
tro  Dio . 

47  Col  cuor  ec.  Su  di  questa  espressione,  che  ripete  Dante 
ancora  cinque  versi  piii  in  giù,  chi  degli  Espositori  non  là  al- 
cuna riflessione,  e  chi  malamente  l'intende.  Landino,  Veli utello 
e  Venturi  capiscono  che  non  aggiimga  Dante  col  cuore  ,  se  non 
per  escludere  quelli  che  bestemmiano  solo  colla  bocca .  Mai 
no:  bestemmiatala  Deitade j  Iddio,  è  attribuire  ad  essa  qut^Uo 
che  non  le  si  conviene,  ovvero  rimuovere  dalla  medesima  quello 
che  le  si  conviene .  Coloro  adunque  che  la  Deitade  col  cuore 
e  c(»lla  bocc»  bestemmiano,  come  eretici  manifesti  che  sono,  gli 
intfMide  Dante  tra  gli  d'etici  da  lui  nel  sesto  passato  cerchio 
collocati  ;  e  in  questo  più  basso  luogo  vuole  anzi  collocare  tra 
i  maliziosi  cohn'o  che  per  umani  rispetti,  o  per  ottenere  utile, 
o  per  evitar  danno ,  astutamente  coprono  la  loro  perv(u*sa  cre- 
denza con  cristiano  parlare.  Questo  adunque  vuol  dire  Col  cuor 
negando  ce.  nel  pi*esente  verso,  e  col  cuor  favella  nel  i^.  òi ., 


CANTO  XI.  !i45 

E  spregiando  Natura ,  e  sua  boutade  : 
£  però  lo  minor  girou  suggella  49 

Del  s^no  suo  e  Soddoma ,  e  Caorsa  ^ 
E  chi,  spregiando  Dio,  col  cuor  favella. 
Ij.i  frode  y  ond'ogni  coscienza  è  morsa ,  5i 

altrimenti  a  che  GoUocherebbeli  tra*  maliziosi  7  essendo  ami  di 
ingenuità  che  quanto  è  in  bocca  sia  pure  nel  cuore  • 

48  pregiando  Natura ,  e  sua  bonuule  vale  spregiando  IVa- 
tura^  ed  i  suoi  ienij  1  suoi  proiloiti  y  quanto  cioè  essa  na- 
tura somministra  all'umana  industria  pel  vitto  e  vestito  non 
rurmdoy  ed  applicando  invece  all'  usura,  a  far  fruttare  il  da- 
naro. 

^9  5o  to  minor  giron  1  cioè  il  terzo ,  di  jìvl  corto  diametro 
degli  altri  due.  ^^ suggella  ''Del segno  suo»  Non  accade  cei^ 
car  qui  cogli  Espositori  uè  il  serrarne  col  suggello ,  né  le  fiam- 
me in  luogo  del  suggello  :  egli  dee  esser  questo  un  modo  di  (a- 
sellare  preso  dal  costume  di  marcarsi  gli  schiavi  col  nome  od 
altra  impronta  decloro  padroni  [aj,  e  dee  suggella  del  segno 
suo  siffnificare  Io  stesso  che  fa  suoi  schiatn.  -  Soddoma  y  una 
e  la  pnncipale  delle  quattro  città  della  Pentapoli  nella  Palestina, 
*r^  con  fuoco  piovuto  loro  sopra  dal  cielo ,  in  gastigo  del  ne&ndo 
Tizio  contro  natura,  e  ponesi  qui  Soddoma  per  tutti  i  macchiati 
di  esso  vizio.  '^Caorsa,  città  di  Provenza  (chiosa  il  Volpi 
Concordemente  a  tutti  gli  altri  Spositori),  attempi  di  Dante 
piena  d'usurai.  Ma  questa  Caorsa  nella  Provenza  (almeno  co- 
ine  in  oggi  si  limita)  io  non  la  trovo;  bensì  trovo  Cahors  (lat. 
Cadurcum)  capitale  del  Quercì  nella  Guienna:  e  questa  ap« 
punto,  per  cortese  avviso  del  dottissimo  sig.  Ab.  Gio.  Cristo- 
foro Amaduzzi ,  trovo  avere  Du-Cange  inteso  essersi  qui  dal 
Poeta  nostro  nomata  Caorsa,  ed  essere  a  que*  tempi  effetti  va** 
(Bnite stata  nido  di  usurai  [b]. 

5i  chiy  spregiando  Dioy  col  cuor  f ancella y  colui  (ripeto  it 
detto  al  i^.  47*  )  che  fintamente,  per  mondano  utile  o  tema,  spac- 
cia credenza  in  Dio,  ed  internamente  lo  nega  e  bestemmia, 
^a  Za  frode  y  ond*ogni  coscienza  è  morsa  y  secondo  quel 
di  Gcerone  :  sua  quemque  fraus ,  ef  suus  terror  maxime  vex€A: 


W  Vedi,  Ira  gU  altri,  il  Laarensi ,  Polimaih.  lib.  i.  diss.  8.  [h]  Yrdi 
DaCasfe » Giotsar. art.  Caorciiù . 


!>46  INFERNO 

Può  ruomo  usare  ia  colui,  che  sì  fida, 
E  iQ  quello,  che  fidanza  non  imborsa  . 
Questo  modo  di  retro  par  ch'uccìda  55 

Pur  io  vincol  d'amor,  che  fa  Natura; 
Oude  nel  cerchio  secondo  s'annida 

stittm  qttemque  scelus  agitai  [a].  Il  Landino  e  il  Vellatello, 
ed  in  palle  anche  il  Ventali,  supponendo  Ae  frode  possa  pren- 
dersi in  buono  ed  in  cauivo  senso,  dicono  a  frode  aggiunger 
Dante  ond*ogm  coscienza  è  morsa  ^  a  dinotare  che  parla  deiU 
frode  rea  e  peccaminosa.  Ma  quando  anche  fosse  il  nome  di 
frode  di  cotale  indiffei^nza,  parlando  qui  Dante  ddla  frode  , 
come  di  quella  che  ha  già  di  sopra  divisata  pel  secondo  in<(iii- 
rìoso  (ine  della  malizia,  cK*odio  in  Gelo  acquista y  sarchi )c 
questa  nuova  specificazione  superflua. 

53  54  in  colui y  che  si  fida  ^  l^gg^  la  Nidobeatiiia  ;  ed  in  r«p^ 
lui,  che  *n  lui  fida,  leggono  Tallre  edizioni  »->e  il  cod.  An^-. 
E.  K.,  e  il  Vat.  ^  11)9.  <-«  In  vale  qui  conira  [AJ.  -  E  in  fuci- 
lo j  che  fidanza ,  legge  la  Nìdobeatin»  ;  Kd  in  quei,  che  ftdoit- 
za  ;  l'altre  edizioni  »->e  il  Vat.  '^  1 99.  <*-•  non  imborsa ,  per  non 
riceve,  non  ammette  dentro  di  sé  ,  detto  con  ugual  propor- 
zione all' irri&ei^&r^iy  esempigrazia  9  "per  apprendere  • 

55  Questo  modo  M retro,  per  quest* ultimo  modo»  —  «r- 
cida,  per  tronchi,  tagli,  foi*se  riguardando  l'orione  del  latino 
occidere,  ammazzai*e ,  da  oh  e  caedere,  che  tagliare  significa. 
»-♦  modo  diìitto,  legge  TAng.  E.  R.  ♦^ 

56  Pur,  anch'esso;  —  lo  uincol  d'amor,  che  fa  ^aiura, 
generalmente ,  intendi ,  fra  gli  uomini  tutti  ;  stampgmdocì  per- 
ciò nella  ragione  quella  massima  :  Non  fare  ad  altri  ciò  che 
non  vuoi  per  te*,  m-¥  vinco  d'amor,  ha  il  Vat.  3 199.  —  Pre- 
tende il  Poggiali  AePur  qui  \BÌgn  solamente,  trovandolo  in 
tale  senso  usato  in  piii  luoghi  di  questo  poema ,  e  qai  Telato 
dal  contesto  e  specialmente  dal  t^.  6a.  che  s<^ne.  In  qoessi 
senso  lo  sospetta  dedotto  dall'avverbio  pure  dei  Latini ,  clie 
nei  tempi  della  decaduta  latinità  si  usava  per  ^arameme ,  stn 
lanu^nte .  ♦-• 

57  cerchio  secondo  dei  tre  che  ha  detti  residui,  i».  17.; 
'^s'annida,  per  si  rinchiude . 

[a]  Pro  Rose.  Jmer.  [b]  Ciooo.,  Pariiv,  laS.  4* 


CANTO  XI.  i47 

I|)ocrisia,  lusinghe,  e  chi  affatuira,  58 

Falsità,  ladroneccio,  e  simonia, 

Ruffiao,  baratti,  e  simile  lordura. 
Per  l'altro  modo  queir  amor  s'obblia,  6i 

Che  fa  Natura,  e  quel,  ch'è  poi  aggiunto, 

""*  che  la  fede  speziai  si  cria: 


58  Ipocrisia  j  lusinghe.  Benchò  gli  uomini  con  questi  due 
Tnj  non  ingannino  se  non  coloro  che  gli  credono  e  si  fidano , 
cmituUociòy  perchè  appunto  gli  adoperano  a  fine  d'indurre  a 
fidarsi  chi  non  si  fida,  fa  il  Poeta  che  appartengano  all'ultima 
descritta  spezie  di  frode  •  -  chi  affattura,  affatturare ,  far  ma^ 
licf  nuocer  con  fattura  j  latino  ì^eneficiis  aj/lcere  (Vocabolario 
della  Crusca) y  male  anche  (piesto  che  s'intenta  al  prossimo 
ù^udolentemente  • 

ùij  falsità  fCT  falsificazione*  Si  comprendono  sotto  questo 
Dome  tatti  i  falsificatori,  de' quali  vedi  nel  canto  ixx.  —  £n- 
droneccioy  furto,  qui  pure  tra  le  firodi;  imperocohè/ur/o pro- 
priamente appellasi  quello  che  si  fa  con  occulta  fi'ode  ;  come 
all'opposto  riipina  quella  dicesi  che  si  fa  con  aperta  iriolenza, 
e  che  perciò  va  intesa  sotto  il  nome  dell'anzidetti»  co//&/fe  don-* 
nose.  "-^ simonia f  cioè  regali,  ossequj,  servizj  ec.  apparente- 
mente  fatti  per  tutt'aitro  fine,  ma  in  realtà  a  solo  fine  di  sedur- 
re l'animo  di  chi  può  dare  benefizj  o  dignità  spirituali. 

60  Rufflany  accorciato  a  cagion  del  metro  in  vece  di  /t//^ 
faniy  mezzani  prezzolati  delle  cose  i;en<;ree.  Vocabolario  del- 
la Cr.  —  baratti  per  óitrattieri.  Baratteria  (  spiega  il  Buti ,  ci- 
tate» io  questa  voce  nel  detto  Vocabolario) ,  che  per  altro  nome 
si  chiama  maccatelleriay  è  vendimento,  ovvero  oompramento 
dì  quello  che  l'uomo  è  tenuto  di  fare  per  suo  officio  per  da- 
nari o  per  cose  equivalenti* 

61  al  63  Per  r  altro  modoy  cioè  di  frode  in  colui  che  si 
fida .  m-^Per  altro  modo ,  ha  il  Vat.  3 199«4-«  quelCamor  .  .  • 
-  Che  fa  Natura^  cioè  il  generale,  detto  nel  56.;  —  e  quelj 
eh"  è  poi  aggiunto  per  particolare  vincolo  di  parentela  o  di 
amicizia;  -»  Di  che  la  fede  speziai  si  cria^  d'onde  nasce  una 
spicciale  fidanza  tra  gli  uomini  •  Criare  per  creare ,  adoprato 
da  buoni  scrittori  in  verso  e  in  prosa.  Vedilo  nel  Vocabolario 
della  Crusca. 


!i48  INFERNO 

Onde  nel  cerchio  minore,  ov*è  1  punto  64 

Deir universo y  in  su  che  Dite  siede, 
Qualunque  trade  in  eterno  è  consunto  « 

£d  io:  Maestro,  assai  chiaro  procede  67 

La  tua  ragione,  ed  assai  ben  distingue 
Questo  baratro^  e  '1  popol,  che  '1  possiede. 

Ma  dimmi:  quei  della  palude  pingue,  70 

# 

64  nel  cerchio  minore  j  nel  più  profondo  e  più  ristretto  cer- 
chio; vedi  la  nota  al  (^.  a  del  t.  passato  canto. -oi^* è  V  punto 
-  Deir  universo  y  in  mezzo  al  quale  sta  il  centro ,  Yerso  coi  ten- 
dono tutti  i  gravi. 

()5  in  su  che  Dite  siede.  Dite  appella  Dante  Lucifero  [n]^ 
e  fa  nell*  ultimo  di  questa  cantica  posatasi  di  fatto  Lucifero  sul 
centro  della  terra ,  colla  metà  della  vita  sopra  di  esso  e  la  mela 
sotto.  Il  Volpi  per  Dite  intende  qui  T Inferno.  Ma  se  Dite  ap- 
pella Dante  Lucifero,  e  lo  fa  realmente  sedere  sul^unlo  del* 
Punit^ersoj  a  che  cercar  altro?  Tanto  più  che,  nel  senso  in 
cui  può  dirsi  sedere  V  Inferno  sul  centro ,  può  ugualmente  dirsi 
di  tutta  la  terra.  a-^Dante,  come  apparisce  dal  e.  viii.  i^.Gy.-AH. 
di  questa  cantica,  chiama  Dite  tutto  quell'ampio  spazio  d* In- 
ferno che  rimane  compreso  dentroalla  palude  Stigia  e  alle  mura 
che  lo  circondano,  il  quale  sempre  degradando»  va  ad  appuu- 
tsarsi  al  centro  della  terra  :  onde  sbaglia  il  Lombardi  nel  ere* 
dere  che  Dante  chiami  qui  Dite  Lucifero,  forse  ingannato  dalla 
voce  siede ,  che  deve  interpretarsi  ha  il  suo  appoggio  e  il  suo 
sostegno  nel  punto  dell*  universo,  che  chiamasi  centro.  E.  F.-  Il 
Biagioli  prende  ^li  pure  Dite  per  Lucifero ,  chiosando  che  qui 
il  siede  sta  al  senso  di  iwer  seggio ,  e  non  già  di  sedere  •  ^-c 

6(ì  consunto ,  consumato ,  per  istraziato . 

67  m^  chiara  y  legge  il  cod.  Ang.  E.  R.  ♦^ 

68  »-»  ragione j  cioè  ragionamento,  intende  il  Poggiali  ;-per 
la  fiicoltàehe disceme,  giudica  e  divisa  le  cose,  spiega  il  Bia- 
gioli.4^ 

69  che  ^l  possiede  per  die  V abita* 

yo  palude  pingue  per  morbida  j  fangosa  f  dove  tono  gli 
iracondi. 

fu]  Vedi  la  aota  al  passato  canto  vin.  6S* 


CANTO  XI.  i49 

Che  mena  1  vento,  e  che  batte  la  pioggia, 
E  che  s'incootran  con  sì  aspre  lingue) 

Perchè  non  dentro  della  città  roggia  78 

Son  ei  puniti y  se  Dio  gli  ha  in  ira? 
E  se  non  gli  ha ,  perchè  sono  a  tal  fc^ia  ? 

Ed  egli  a  me:  perchè  tanto  delira ,  7G 

Disse,  lo  'ng^no  tuo  da  quel  eh* e* suole, 
Ovver  la  mente  dove  altrove  mira  ? 

Non  p  rimembra  di  quelle  parole,  79 

Con  le  quai  la  tua  Etica  pertratta 
Le  tre  disposizion ,  che  *1  Ciel  non  vuole, 

n  I  ^a  Che  mena  7  uentOj  ec»,  intendi  come  se  a  questo  ed 
igii  altri  due  capi  d*  interrogazione  ripetuto  fosse  e  premesso 
il  pronome  gneif  e  dicessesi:  quei  che  mena  il  vento  (cioè  i 
lussuriosi  )  9  e  quei  che  batte  la  pioggia  (i  golosi) ,  e  qìiei  che 
s*inconiran  con  sì  aspre  lingue  (i  pi*odigui  e  gli  avari) ,  che 
si  urtano  gli  uni  con  gli  altri  co' pesi  che  rotolano ,  e  si  ^i^ 
dano  ontoso  metro  [aj*  m^che  s*  incontra  y  al  i^.  721.  ^  ^^gg^ 
il  Vat.  3199.4H1 

J'^  ciità  roggia j  rossa,  infuocata;  la  stessa  che  nel  x.  can* 
lo,  %f.  aa*«  appella  città  del  fuoco;  e  nellViii.  canto,  u.  68., 
cinàj  ch'ha  nome  Ditey  ed  in  cui  trovansi  attualmente  i  due 
Poeti,  m^fla  la  città ,  legge  TAng.  E.  R.  — >  e  il  Vat.  3 199.4H1 

70  perchè  sono  a  tal  foggia?  mtendi  trattati  ^  tormentati. 

76  a!  78  perchè  tanto  delira ,  — -  lo  ^ngegno  tuo  ec. ,  pei^ 
che  tanto  travia  dal  solito  retto  pensai^?  —  Ovuer  (intendile 
non  deliri)  do^e  la  mente  altrove  mira?  qual*altra  cosa  hai 
pel  capo?  Dicelo  in  somma  o  pazzo,  o  distratto. 

80  Si  la  tua  Etica ,  la  morale  di  Aristotile  da  te  studiata  ; 
^ pertratta j  tratta ,  per  discorre  sopra*  m-¥  Pertrattare ,  in- 
vece di  tratiare y  è  voce  affatto  latina,  né  sai^bbe  disdicevole 
Tosarla  anche  oggidì,  specialmente  in  prosa,  giacché  sembra 
ch'esprima  piii  del  semplice  trattare.  Pogoiai.1.  ^-m  Le  tre  di" 
sposizion^  ec.yì  tre  costumi  «  ai  quali  non  vuole  il  Cielo  l'uo- 
mo disposto ,  dedito. 


[a]  lof.  VII.  33* 


' 


i5o  INFERNO 

Incontinenza,  malizia,  e  la  matta  81 

Bestialitade?  e  come  incontinenza 
Men  Dio  offende,  e  men  biasimo  accatta? 

Se  tu  rignaixli  ben  quesu  sentenza,  85 

E  rechiti  alla  mente  chison  quelli, 
Che  su  di  fuor  sostengon  penitenza , 

Tu  vedrai  ben  perchè  da  questi  felli  88 

Sien  dipartiti ,  e  perchè  men  crucciata 
La  divina  Giustizia  gli  martelli. 

O  Sol,  che  sani  ogni  vista  turbata,  91 

Tu  mi  contenti  si ,  quando  tu  solvi , 

83  air 84  Incontinenza j  ec.  Aristotile,  nel  principio  dfl 
settimo  libro  dell'idrica,  dice  che  tre  specie  di  cose  intorno 
ai  costami  sono  da  fuggire:  il  vizio,  l'incontinenza ,  e  la  feriù. 
Il  Inogo  è  questo:  Dicendwn  est  rerum  circa  mores  fugien' 
darum  tresspecies  esse  e  i^itiunij  incontinentiam^  et  ferita- 
tem .  E  chiama  il  Filosofo  vizio  quello  che  il  nostro  Poeta 
malizia;  efetità  quello  che  matta  bestialità.  Dabibllo.*^ 
come  incontinenza  "Men  ec.  Dell* incontinenza  di  fatto  parla 
ivi  pure  Aristotile  in  termini  che  ne  alleggeriscono  la  gravez- 
za y  dfcendola  essere  un  male  di  non  continua  durata ,  non  con- 
tinua improbitasy  e  di  cui  T  incontinente  quodammodo  poe- 
nitet, 

86  87  chison  quelUj  cioè  iracondi,  lussuriosi,  golosi,  a^ari 
e  prodighi  [a  ] ,  <-C%e  su  di  fuor,  che  sopra ,  fuori  della  città  di 
Dite ,  dentro  di  cui  i  Poeti  si  trovavano,  -^penitenza  per  pena, 

88  al  90  Tu  ifcdrai  ben  perchè  da  questi  felli  y  rei  maliziosi 
e  fieri ,  -  Sien ,  coloro  rei  di  sola  incontinenza ,  dipartiti. ^men 
crucciata^  meno  adirata,  con  minore  ira.  ^gli  martelli^  gli  pu- 
nisca, m^  vendetta  invece  di  giustizia  ^  l^ge  l*Ang*  E.  R.«-* 

91  che  sanij  che  rischiarì,  ^ogni  vista  turbata  j  per  ogni 
confuso  intelletto. 

93  quando  tu  solvi j  intendi  i  miei  dubbi.  Solvffre  per 
sciorrcj  sciogliere  j  dichiarare  j  adoperato  da  buoni  autori 
anche  in  prosa,  vedilo  nel  Vocabolario  della  Crusca. 

[a]  AcceDoati  al  v.  70.  e  segg. 


CANTO  XI.  a5i 

Che,  non  men  che  saver,  dubbiar  m'aggrata . 

Ancora  un  poco  'ndietro  ti  rivolvi,  94 

Diss'io,  là  dove  di'  ch'usura  offende 
La  divina  Boutade ,  e  *1  groppo  svolvi . 

Filosofia,  mi  disse,  a  chi  T attende,  97 

Nota,  non  pure  in  una  sola  parte, 
Come  Natura  lo  suo  corso  prende 

Dal  divino  'ùtelletto,  e  da  sua  arte  :  loo 

K  se  tu  ben  la  tua  Fisica  note , 
Tu  troverai  non  dopo  molte  carte , 

Che  Tarte  vostra  quella,  quanto  puote,         io3 

g^  rnaggrataf  antìtesi,  inyece  A^ aggrada  j  aggradisce. 

c|4  •->  ancora  ec.y  cioè  ,  prima  di  dar  fine  aiFatto  a  ouesto 
discorso  toi*ua  un  poco  a  quanto  dicestì  aull^usura  cbe  offende 
la  divina  Bontà.  Poggiali . •<-•  riv^oUi.  Rii*ol\^ere^  per  rwol" 
gercj  adopera  anche  il  Petrarca,  se  non  altrove,  nelle  can- 
soni  XI*  3.,  zxitx.  7. 

95  96  là  doi^e  dV  chiusura  offende^ La  divina  Bontade. 
Ciò  disse  innanzi  non  già  ne' precisi  qui  allegati  termini,  ma 
in  termini  equivalenti ,  mentile  disse  :  Puossi  far  forza  nella 
Deitade ,  '-'spregiando  Natura ,  e  sua  bontade  [«]•  sgroppo  » 
nodo.-^(^o/^<  per  isvolgi^  dal  latino  ex^olvercj  che  adoperasi 
p*r  sinonimo  di  extr icore.  •-»-  sohi^  al  verso  96.,  ha  il  codice 
Vat.  3199.  4-« 

9;-  •->  a  chi  lo  infende ,  ha  11  codice  Ang.  £•  R.  >  —  e  chi 
la  *ntendej  il  Vat.  3i99.<«-« 

98  non  purey  non  puramente,  non  tanto. 

99  Natura  lo  suo  corso  prende^  riceve  la  costituzione  sua. 

1 00  Dal  divino  intelletto ,  dalle  eteme  divine  idee,  -e  da 
sua  arie^  e  dal  divino  operare,  ossia  volere,  che  in  Dio  sono 
una  cosa. 

I  o  I  tatua  Fisica ,  la  Fisica  d'Aristotile,  che  tu  hai  studiata, 
loa  non  dopo  molte  carte,  nel  secondo  llhro. 
io3   io4  Che  Parte  vostra  quella,  cioè  la  detta  natura; 
^ Segue f  imita,  ^rj,  dice  nel  citato  libro  Aristotile»  imitatur 

[a]  Verso  4^*  «  4^*>  ^^^i  4aelÌa  nota. 


a52  INFERNO 

Segue,  come  'I  niaestro  fa  il  discente , 
Si  che  vostr'arte  a  Dio  quasi  è  DÌ|K>te. 
Da  queste  due,  se  tu  ti  rechi  a  mente  iciG 

Lo  Genesi ,  dal  principio  con  vene 

naiuram  in  quantum  poteste ^  discente^  per  discepolo  f  ado- 
pera Dante  anche  fuor  di  rima .  Par  xzt.  64-  »-^  discente ,  come 
osserva  il  Poggiali,  non  è  on  osioso  sinonimo  di  discepolo ^ 
qncUo  indicando  colui  clie  impara,  come  spiega  la  Crusca,  e 
questo  propriamente  chi  studia.  4Hi 

I  o5  a  Dio  quasi  è  nipote.  Quasi ,  cioè ,  per  una  certa  sinii- 
glianza  ed  analogia  è  nipote ,  perchè  la  natura  procede  (secoudo 
ch*è  detto)  da  Dio,  come  flgliuola  sua  ;  e  Parte  nostra  procede, 
come  figliuola,  dalla  natura,  con  imitarla. Vertoai.  •-►T.  Tas- 
so, nel  Dialogo  il  Ficino  o  deWArte^  dice:  L'arte  è  prima 
neir intelletto  divino,  secondo  i  Platonici,  poi  nella  natura, 
e  ultimamente  nell'intelletto  dell'uomo  ;  la  qual'arte  è  in  terzo 
grado  lontana  dal  divino  artifizio  ;  però  dice:  «Sì  che  vostrarte 
a  Dio  quasi  è  nipote.  E.  F.4-« 

106  Da  queste  ducy  cioè  dalla  natura  e  dall'arte. 

1 07  Lo  Genesi y  il  sacro  libro  della  Genesi.  Genesi  di  ma- 
scolino genere  lo  fanno  anche  altri  ottimi  scrittori.  Vedi  il  Vo- 
cabolario della  Crusca .  Leggiamo  di  fatto  in  questo  libro  ordi- 
nata da  Dio  la  natura,  cioè  la  produzione  delle  cose  pe'bìso* 
gni  dell'uomo,  ed  insieme  ordinata  all'uomo  l'arte,  cioè  il  tra- 
vaglio; tanto  mentre  viveva  l'uomo  nel  Paradiso  terrestre  in 
quelle  pai-ole:  tulit  ergo  Doniinus  Deus  hominem  j  et posuit 
enm  in  Paradiso  voluptatisy  ut  operareturj  et  ctutodiret  il- 
lum  \a\  ,  quanto  fuor  d'esso  con  quella  dura  intimazione:  in 
sudore  vultus  tui  vesceris  [b^."  dal  principio  vale  quanto  da 
principio  [e].  -'Contane.  Cosi  leggo  con  parecchi  lesti  mano- 
scritti e  stampati,  e  cosi  intendo  scritto  dal  Poeta  per  sincope, 
a  cagione  della  rima,  invece  di  coni^enne ;  come y  tra  gli  altri 
esempj ,  scrisse  Baco  [d]  invece  di  Bacco ,  e  come  in  contra- 
rio bisogno  per  epentesi  viddi  [e]  invece  di  vidi.  Tanto  più 
che  nei  testi  del  Buti  [f]  e  del  Benvenuto  qui  solamente  tro* 
vasi  conicene  ;  ed ,  ove  questo  verbo  è  del  tempo  presente ,  tro- 

[a]  Gen.  9.  i5.  [b]  Gen,  3.  19.  ]c]  Vedi  il  Cinon.,  Parile.  ')%.%.  [d]  fnf. 
mx«  S9.  [e]  Inf.  yti.  ao.  [f]  MS. nella  preziosa  rsccolia  «ti  libri  del  fa 


CANTO   XI.  253 

Prender  sua  vita ,  ed  avanzar  la  gente . 
E  jiercbè  i'usuriere  altra  via  tiene,  log 

« 

vasi  scritto  contiene.  Vedi,  per  cagion  d'esempio,  In£  can- 
to IT.  verso  Qi. 

Leggendosi,  come  tutte  le  moderne  edizioni  appresso  a 
qaella  della  Crusca  leggono,  compierle  j  non  può  dal  principio 
cujigiongersi  che  con  lo  Genesi j  né  può  estorquei'si  altro  senso, 
se  non  col  fare  stravagantemente  equivalere  la  particella  dal 
alla  nelj  e  intendere  come  se  detto  fosse  :  se  tu  ti  rechi  a  mente 
lo  Genesi  nel  principio  f  nelle  prime  sue  pagine,  »-^Llutcf^ 
pretasione  del  Lombardi  combina  con  quella  del  Vellutello.  - 
li  Landino,  la  Crusca ,  e  tutte  le  edizioni  seguaci  pospongono  la 
virgola  alla  voce  principio;  e  ritenendo  u  conicene  di  tempo 
presente ,  da  tutto  il  terzetto  ne  traggono  questo  sentimento  : 
Se  tu  ti  richiami  a  mente  ciò  che  dice  la  Genesi  fin  dalle 
prime  pagine ,  vedrai  che  è  un  doi^ere  degli  uomini  si  il  ri" 
cQ\»are  il  quotidiano  loro  mantenimento ,  sì  il  fare  qualche 
avanzo  pei  bisogni  ulteriori  ^  che  possono  occorrere^  da  que^ 
sta  due  sole  sorgenti j  cioè  dalla  natura  e  daWarte.  —  Nò 
sa  trovarvi  il  Biagioli  la  stravaganza  che  vi  sup|)one  il  Lombar- 
di ,  riflettendo  che  la  proposizione  da  è  il  segno  naturale  della 
relazione  che  si  accenna ,  cioè  del  punto  da  cui  dcbbe  partirsi  il 
pt^nsiero,  che  è  il  principio  della  Genesi.  Cosi  leggendo,  esti- 
ma la  sentenza  piii  positiva ,  parendogli  che  Virgilio  voglia  de- 
terminare il  termine  onde  debbe  il  pensicTo  di  Dante  disenfi 
rerc.  -  Anche  il  eh.  sig.  Ab.  Portirelli  [a]  alla  lozione  della  Ni- 
(lob.,  da  lui  seguila ,  qui  preferisce  la  comune ,  che  è  pur  quella 
del  cod.  Vat.  il 99.  L'È.  R.  nella  3.  ediz.  adotta  egli  pure  la 
comune  lezione ,  ma  senza  giustificarla;  e,  quel  che  è  peggio, 
vi  lascia  la  chiosa  del  Lombardi,  che  ad  essa  interamente  si 
opp(me .  4HI 

loS  Prender  sua  vita^  ed  auanzar  ec,  ricavare  il  quoti- 
diano vitto,  e  far  anche  qualche  avanzo  pei  bisogni  che  pos* 
SODO  accadere. 

109  al  1 1 1  JE*  perchè  Cusuriere  ec,  costmisco  e  spiego: 
Perchè  Fusuriere  per  vivere  ed  avanzare  tiene  altra  via  dalle 

signor  Ab.  Vtccola  de' Rossi  »  Secretarlo  dell' Ero Inenlissimo  Corsini  » 
parlato  presentemente  nella  doviziosa  biblioteca  dell'  eccellentissi- 
ma casa . 

[oj  Vedi  il  Dantii  da  lui  illustrato  oell'cdiz.  dei  Classici  di  Milano» 


a54  INFERNO 

Per  sé  Natura,  e  per  la  sua  seguace 
Dispregia,  poiché  in  altro  pon  la  speue. 

Ma  seguimi  oramai,  che  '1  gir  mi  piace,        un 
Che  i  Pésci  guizzan  su  per  l'orizzonta, 
E  '1  Carro  tutto  sovra  1  Coro  giace, 

E  1  balzo  via  là  oltre  si  disroonta . 

due  dette  9  della  natura  e  deìV arte  j  poiché  pon  la  spene  (spene 
per  ispenie  ^speranza)  in  altro ,  cioè  nel  frutto  del  danaro  che 
presta  ad  usura  ;  dispregia  natura  doppiamente  e  per  sé ,  cioè 
ed  essa  direUamente ,  non  si  prevalendo  di  lei ,  e  indirettameii- 
ie  per  la  sua  ^eg'uoce y  dispregiando  Tarte^  di  lei  seguace,  di 
CUI  pure  non  si  prevale* 

1 13  Che  i  Pesci  ec.  Quando  il  Poeta  entrò  nell*  Inferno 
era  da  sera,  e  però  disse;  Lo  giorno  se  n'andcRfa;  poi  de- 
scrisse la  mezza  notte,  dicendo:  Già  ogni  stella  cade,  che  sa-' 
Uva:  ora  ci  descrive  T aurora ^  dicendo  che  i  Pesci  guizzano 
(allude  cosi  alla  natura  loro)su  per  Vorizzonta{^eTori zzonte, 
antitesi  in  grazia  della  rima  ) ,  perchè  essendo  il  Sole  neirArie* 
te  [a\j  i  Pesci  levavano  innanzi  del  Sole.  Daniello. 

1 1 4  £*  V  Carro*  Carro  si  chiama  tra  le  costellazioni  un  grup- 
po di  sette  stelle  disposte  in  forma  di  cari*o,  quattro  delle  quali 
formano  le  ruote,  e  tre  il  timone,  altrimenti  detto  Orsa  maggio^ 
re.VoL?u^tuito  sovrani  Coro  giace.  Quando  solvono  i  Pesci, 
il  Carro  viene  ad  essere  verso  Coro,  detto  dai  Latini  Caurus 
(ed  anche  Corus)^  da'Grecìyirgeste ,  da'marinari  Ponente  mae^ 
strOj  vento  che  spira  tra  occidente  e  settentrione.  Dahiello. 

1 1 5  E*l  balzo ,  cioè  Valta  ripa ,  detta  nel  primo  verso  di 
questo  canto,  ^^rua  là  oltre y  assai  in  là,  — si  disrnonta ,  si 
discende:  e  ciò  aggiunge  a  fine  di  sollecitare  la  partenza. 

•-^  Poche  sono  le  bellraze  poetiche  da  ij^otai'si  in  questo 
Canto;  ma  i  veri  conoscitori  della  lingua  avranno  da  ammi- 
rarvi quello  sforzo  mu*acoloso  d'aver  descritto  con  si  bt*lle 
maniere,  con  si  leggiadre  f(V*nie ,  con  tanta  grazia,  natui-alezza 
e  precisione,  quello  che  malagevolissimo  e  foi'se  impossibile 
sarebbe  ad  altri  esprimere  pur  in  pi*osa  con  palmole  si  chiare, 
si  belle  e  si  proprie.  Biàgioli  .  <-« 

\4i\  VeJi  il  passato  canto  i.,  v.  38, ,  e  cjaclU  nota.    . 


CANTO  xn. 


ARGOMENTO 

Discendendo  il  Poeta  con  f^irgilio  nel  settimo  cer- 
chio ^  dove  sono  puniti  i  violenti  ^  per  un  luogo  rovi- 
noso ed  aspro s  trovò  che  v'era  a  guardia  il  Mino- 
tauro. Il  quale  da  Firgilio  placato^  si  calano  per 
quellarovina^ed  avvicinandosi  al fondoyveggono  una 
riviera  di  sangue,  nella  quale  sono  puniti  i  violenti 
contro  il  f^rossimo.  T  quali,  volendo  uscir  del  san- 
gue pia  di  quello  che  per  giudicio  non  è  lor  conce- 
dato ,  sono  saettati  da  una  schiera  di  Centauri  che 
vanno  lungo  essa  riviera.  E  tre  di  questi  si  oppon- 
gono dal  pie  della  rovina  ai  Poeti;  ma  f^trgilio  ot- 
tiene da  uno  di  quelli  di  essere  ambedue  portati  sa 
la  groppa  oltra  la  riviera.  E  passandovi  j  Dante  è 
informato  della  condizione  di  detta  riviera ,  e  ilelle 
anime  che  dentro  vi  sono  punite. 

Julra  lo  loco,  ove  a  scender  la  riva  i 

Venioimo,  alpestro,  e,  per  quel  ch'iv'er'aiico, 
Tal,  ch'ogni  vista  ne  sarebbe  schiva, 

Qtial'è  quella  ruina,  che  nel  fianco  4 

Di  qua  da  Trento  TAdice  percosse, 

a  quel  eh* iv*  er* anco  y  cioè  il  Minotauro .  Vedi  v.  1 1  •  e  segg. 

3  ne  sarebbe  schiva  y  schiverebbe  volentieri  d'afBssarvisi . 

4  5  QuoTè  quella  ruina  y  ec.  Buina  che  percosse  radice 
^el  fianco  chiama  Dante  una  caduta  d*una  gi^an  parte  di  Monte 
^rco,  po5to  tra  Trevigi  e  Tit^uto;  la  qua!  caduta  fece  disco* 


256  INFERNO 

Stare  il  fiume  Adice  buono  spazio  da' piedi  del  monte ,  dove 
prima  scorreva.  Volpi.  Intendono  altri  [a]  questa  rmita  in  al- 
tra parte  ;  ma  ovunque  sia ,  poco  importa,  m-^  Trovando  noi  per 
Ttipposito  interessante  tutto  ciò  ciie  riguai*da  il  divino  poema 
di  Dante,  stimiamo  pregio  del  nostro  lavoro  il  qui  riferir  bre- 
vemente quanto  da  noi  si  è  potuto  raccogliere  ad  illustrazione  ' 
di  un  passo  o  trascm*ato,  o  ti-oppo  sin  qui  leggermente  toccalo 
d;i  tutii  ì  Comentatori.   —  Alla  citata  chiosa  del  Volpi  si  op- 
pone il  cav.  Giuseppe  Valeriano  Vannetti  [^J,  sostenendo  che 
il  dotto  Gomentatore  abbia  qui  preso  un  enonne  abbaglio^ 
stantccliè  di  Monte  Barco  non  sì  ha  indizio ,  né  memoria  al- 
cuna; rchc  probnbilmrnte  sia  nato  scambio  di  parola  ImBarco 
e  A/arco.  De vesi  quindi ,  secondo  lui ,  intendere  ce  mia  cadaU 
3»^  di  un  grandissimo  monte  presso  Marco  9  piccolo  villaggio 
»  sotto  Ltzzana ,  ad  un'oi*a  da  Rovereto  sulla  via  che  alla  si- 
ai  nistra  dell'Adige  porta  a  Verona,  e  che  dai  paesani  è  detto 
»  lo  Slattino  di  Afarco.  »  —  Questa  mina  avvenne  con  gran 
probabilità  nell'anno  883,  come  ha  scoperto  negli  annali 
Ftddcnsi  il  eh.  Iacopo  Tartarott?  [cj,  il  quale  sospetta  che 
dai  Chiosatori  di  Dante  sia  stato  preso  Monte  Barco  (che  non 
si  conosce)  per  Castel  Barco y  situato  alla  destra  dell'Adige 
sopra  Chiusole,  al  di  là  di  Rovereto  verso  Trento.  —  Giro- 
lamo Tartarotti,  fratello  del  suddetto  Iacopo ,  in  nn  suo  Co- 
mento  ms.  sopra  V  Inferno ,  veduto  dal  Vannetti ,  pensa  al  con- 
trario, che  Dante  abbia  qui  inteso  di  parlare  d' un'altra  ruìna 
a  due  miglia  e  mezzo  al  di  là  di  Rovereto,  volgarmente  dotta 
il  Cengio  rosso  j  e  dove  ora  è  il  Castello  della  Pietra  y  es- 
sendo questa  mina  ripida  ed  altissima,  e  quindi  piii  propria 
a  rappresentarci  l'immagine  di  Dante  dell'altra  di  Afarca  piii 
ampia  s),  ma  distesa  e  rovesciata  al  piano  -Il  Mafl^i  [^J  ha 
sr)spettato  essere  quella  mina  un  gran  pezzo  di  scoglio  rove- 
sciato nell'Adige  presso  Rivoli  (vicino  alla  Chiusa);  pensa- 
mento che,  al  dir  del  Vannetti,  è  più  per  grazia  di  not^iid  » 
che  di  verità .  Pure ,  a  conforto  di  tale  opinione ,  valer  forse 
potrebbe  ciò  che  leggiamo  nel  pregevole  Ck>mento  ms.  del  ce- 


[a]  Vedi  Serte  di  Aneddoti ^  nnm.  II.  Verona»  1786»  cap.  %•  [h]  Vcd»ae 
la  soa  Lettera  a  Giù*  Pietro  Moneta  nel  voi.  4*  ^»  ■!•  del  Oaote  ,  edìz. 
•n  4-^  del  Zatta  91757.  [e]  Vedi  la  sua  Raccolta  delle  più  antiche  iscri- 
zioni di  Rovereto  e  dtlla  f^alle  Lagarinaf  fac.  74  7S.»  pibblìc^la 
nel  1754  ila  Girolamo  Tartarott  1  nelle  sue  Afemurie  anticfic  «£«  Jfa- 
vcreto.  [d]  Feron,  illust.  P.  ni.  e.  8.  (ac.  5yt3. 


CANTO  XII.  2r>^ 

0  per  treiBUolo^o  per  sostegno  manco; 
Che  da  cima  del  monte,  onde  si  mosse,  7 

Al  piano  è  si  la  roccia  discoscesa  , 
Cir  alcuna  via  darebbe  a  chi  su  fosse  j 

lebre  Torelli.  Trovasi  in  esso  a  questo  luogo  postillato:  ce  la- 
»  copo  Pìndemonte  in  una  Cronaca  ms«  posseduta  (^vìt^ente 
»  Torelli)  daLaìg.  Don  Bartolommeo  Campagnola,  Arciprete 
»  di  s.  Cecilia 9  che  comincia  dall'anno  1 100  e  teinraina  all'au- 
ano  141S9  così  scrìve:  udnno  i3io,  die  Sabati ^  'io  lunii  , 
»  eeciderunt  Montes  de  la  Clusa  •  »  —  Trattandosi  di  un 
&tto  accadalo  non  solo  ai  tempi  di  Dante,  ma  contemporaneo 
«Ila  sua  dimora  presso  gli  Scaligeri,  v'ha  ragion  di  supporre 
eh  egli  abbia  voluto  in  persona  visitare  quella  nuova  mina,  e 
che,  (la  essa  colpito ,  a  lei,  piuccbè  ad  ogn'altra,  abbia  iutcso 
di  alludere  iu  questi  versi  •  Tutto  ciò  che  si  è  cpii  detto ,  seb- 
bene non  definisca  la  quistione,  die  rimaiTa  tuttavia  Torse  iu- 
det'isa,  servirà  nonpertanto  a  mettere  qualche  raggio  di  luce 
nel  mezzo  di  tante  tenebre,  ^hi 

fi  o  per  sostegno  manco  ,  manchevole  . 

7  si  mosse ,  intendi  la  detta  mina . 

^  roccia  discoscesa  j  ripa  dii'otta.  Della  voce  roccia  vedi 
Inf.  VII.  6. 

9  Cli  alcuna  via  ec.  Passo  mal  inteso  da  tutti  gli  Espositori . 
Il  Cinonio  alla  voce  alcuno  [a]  dicela  stare  tal  voi  la  iu 
laogo  di  niunon  Egli  ne  arivca  due  eserapj  tratti  dal  Convico 
del  medesimo  nostro  Poeta.  Il  primo  è:  Il  desiderio  è  di  fai' 
iii'acosaj  che  alcuno  desidera  quello  che  ha ,  ma  quello  che 
non  ha  [&]•;  il  secondo  è:'  Alcuno  sensibile  in  tutto  ilmon" 
fio  è  più  degno  di  farsi  esempio  di  Dio ,  che  il  Sole  [ci.  Ma 
{^offgiunge  esso  Cinonio)  leggono  altri  testi,  forse  migliori: 
Mullo  desidera  quello  che  ha.  Nullo  sensibile  ec 

Il  pi-csenle  passo  però  decide,  che  non  questi  ultimi  sie- 
110  i  migliori  testi,  ma  que' primi;  imperocché  alcuna  (che 
concordemente  leggono  tutti  i  mss.  e  le  stampe  )  non  può  qui 
a  rere  altro  senso ,  che  dìniuna^  troppo  essendo  evidente  che 

>ì  Parile.  i3.  6.  [b]  Trall.  3.  cap.  i5.  [e]  Trall.  3,  e.  iq.  L'ccllzioric 
v^QCla  1760  alle  pae.  176  e  iS3  roalameutc  aìcgue  le  depravate  lezio- 
ni ili  nut/n  invece  d  alcuno, 

f  ol.  /,  ij 


258  INFERNO 

Cotcìl  di  quel  burraio  era  la  scesa:  io 

£  'q  su  la  punta  della  rotta  lacca 

lo  scoscendi  meato  di  uà  monte  non  dà,  ma  toglie  9  a  ehi  v'è 
sopra ,  la  via  di  scendere . 

Il  francese  anca»  (saggìameute  a v  vette,  neirattocfae  si 
drgna  di  rived(*re  qnesta  mia  fatica ,  il  dottissimo  sig.  Ennio 
Vi  icmtì  )  significa  e  qualcuno  e  nissuno .  Vago  adunque  Dante 
d'ingrandire  collaiuto  d'altri  dialetti  la  allora  bambina  Italia- 
n^  favella,  ha  volato  far  pi*oprìa  della  medesima  anche  cotale 
francese  ostensione  di  significato  del  pronome  alcuno .  m^  La 
voce  alcuna  ha  qui  evidentemente  il  significato  di  nitma ,  an- 
che per  parere  del  Poggiali  e  del  eh.  cav.  Monti  [a]»  •  Gli 
Editori  però  della  E.  F.  sostengono  che  alcuna  abbia  qoi  a 
prendersi  nel  suo  naturale  significato,  chiosando:  ce  £  tale  la 
»  materia  di  pietre  infirantc  e  di  sassi  caduta  dall'alto,  che 
»  qualche  via  o  mezzo  di  scendere  darebbe  a  chi  fosse  in  su 
a»  la  punta  della  lacca ,  onde  la  mina  si  mosse;  cioè  una  >ia 
»  fatta  dalla  natm'a  e  non  dall'arte  9  e  che  servire  poteva  di 
«>  via,  ove  via  propriamente  non  era.  E  che  cosi  debba  iuten- 
»  dersi  lo  dimostra  anche  reffetto,  poiché  Dante  e  Vii^ilio  di- 
ai  scesero.  (Vedi  infira  u.  28.  al  3o.)»  Questa  chiosa ,  a  parer 
nostro,  indebolisce  infinitamente  l'immagine,  e  tradisce  il  vero 
concetto  di  Dante,  il  quale  con  questa  mirabile  similitadioe 
volle  al  vivo  raffigurarci  l'onìbile  e  paurosa  rovina  di  quella 
discoscesa  ripa  infernale.  Che  poi  non  ostante  Virgilio  e  Dante 
sieno  per  essa  discesi,  ciò  non  ripugna  minimamente,  doven- 
dosi questo  attribuire  all'azione  della  Divinità  sopra  rnomo, 
in  cui  consiste  tutto  il  meraviglioso  dell'Epopea.  E  che  que* 
sta  misteriosa  discesa,  ossia  viaggio,  fosse  voluta  da  Dio,  lo 
ha  già  detto  Virgilio  sino  dal  e.  111.  f/.  96.  e  seg.: 
f^uohi  così  colà ,  doue  si  puote 

Ciò  che  si  vuole  ; 

e  replicato  nel  e.  v.  al  v.  a3.  e  seg.  colle  identiche  parole.  — 11 
codice  StuanL  legge  Ch*alcuna  via  nonv^è  a  chi  su  fosse  • 
Biscioli.  4HI 

I o  burraio ,  rupe ,  luogo  scosceso .  Vedi  il  Vocab.  della Gr. 

il  su  la  punta  della  rotta  lacca.  Il  Buti ,  che  altrove  spiega 
lacca  per  valle ,  luogo  concaio  e  basso  [b] ,  qui  spiega  il 


f«]  Vedi  la  nostra  nota  al  v.  4^*  «•  m*  (H  quella  L-autira    [b]  Vedi  il 
Vocab.  della  Cr.  alla  voc«  Lacca . 


CANTO  XII.  iHj 

L'infautia  di  Greti  era  dislesa, 
Glie  fu  coucelta  ueila  falsa  vacca  :  1 3 

E  quando  vide  noi  sé  stessa  morse  ^ 


rabola  incJesiini*  per  ripa  [aj.  Egli,  cioè  j  iiou  ha  av  veitito  che 
\alta  ripuj  -  Che  faceuan  gran  pietre  roti  e  in  cerchio  [b], 
formava  aecessariameDie  ia  mezzo  a  sé  stessa  una  cavità  ;  e  che 
poiè  Dante  beDÌssimo  deuoininare  rotta  essa  cavità  dalla  nit- 
tura  della  ciixx>iidante  ripa  :  come  beae^  per  cagioa  d' esempio  , 
diremmo  rotto  un  pozzo  dall'essere  rotto  il  mui*o  che  lo  cir^ 
nuda.  Il  Laudino,  ed  appresso  a  lui  il  Volpi  e  il  \  euturì,  non 
sdlamentequiyma  dappiu'UUto  ove  incouti'asi  il  vocabolo /arca» 
spii'ganlo'^r  ripa.  \  edi  pei'o  il  torto  che  hanno  nella  nota  al 
passato  canto  vi  r .  i^.  i  b. ,  ed  in  quoUal  tra  al  f.  7 1 .  del  cauto  v  11. 
d'I  Purgatorio. Concludendo  adunc|ue ;  su  ia  punta  delia  rotta 
lacca  vale  lo  stesso  che  sa  la  cima,  su  Torlo  della  cavità  cci^ 
dilata  dalle  rotte  pieti*e. 

l'j  Vmfiunia  di  £V*e/<,  colui  che  colla  ue^nda  sua  orìgine 
rpca  infamia  alT isola  dì  Catidia  {Crete  appellata  dai  Greci ,  dai 
Latini  Creta-,  e  Creii  anche  da  Gio.  Villani ,  Cron.  lib«  1  .cap.6.), 
cifiè  il  Minotauro  ;  pei*ciocchè  fu  questo  mostro  mezzo  uomo  e 
■li^zsobneycoucepito  dal  commei*cìo  ch'ebbe Pasi le,  moglie  di , 
Miuos  Be  di  Candia,  con  un  toro,  di  cui  si  era  bestialmente 
invaghirai,  e  per  ottenere  il  quale  si  rinserrò  e  adattò  in  una 
tacca  di  legno,  fabbricatale  da  Dedalo,  '^distesa ,  giacente. 
•-»  discesa  ha  il  Vat.  '6 1 1^).  <*-% 

Pupgcmsi  a  guardia  di  questo  cerchio  il  Minotaaro  qui , 
fd  i  Centauri  piii  innanzi ,  mostri  tutti  mezzo  uondni  e  mi*z- 
y^  bestie,  a  dinotare  T indole  mezzo  bestiale  dell'uomo  vio- 
lento. 

i3  concetta  nella  falsa  inarca,  dalla  detta  Pasife,  intendi, 
MAcottasi  nella  vacca  fabbricatale  da  Dedalo.  '^^  falsa-,  arte- 
fatta, non  vera  e  naturale. 

14  se  stesso ,  legge  la  JN'idob.  »-^  e  il  Vat.  3 1^  4^  ed  ac- 
corda col  sottinteso  Minotauro  e  col  ver  lui  due  versi  soHo. 
"sè  stessa y  leggono  l'altre  ediz.  •-►e  noi  col  Biagioli,  che  so- 
stiene doversi  leggere  cosi  per  riferirsi  al  nome  bestia  ^  che  è  in 
niente  a  chi  parla;  e,  se  due  versi  sotto  dice  ver  luiy  il  fa  in 

[«j  yoLob*  d«Ila  Cr.  alla  voce  Lanca,  \h]  Canto  prcced.  i^.  a.   v 


26o  INFERNO 

Si  come  quei ,  cui  Y  ira  dentro  fiacca . 

Lo  Savio  mio  in  ver  lui  gridò:  forse  i6 

Tu  credi  che  qui  sia  1  Duca  d'Atene , 
Che  su  nel  mondo  la  morte  ti  porse? 

Partiti ,  bestia ,  che  questi  non  viene  i  g 

Ammaestrato  dalla  tua  sorella, 
Ma  viensi  per  veder  le  vosfre  pene. 

Qual  è  quel  toro,  che  si  slaccia  in  quella,       ai 

riguardo  al  nome  di  quella  bestia ,  che  è  Minotauro ,  al  quale 
s'affissa  il  pensiero 9  senza  considerar  più  là.^Hi 

1 5  fiacca.  Fiaccare  per  lacerare ,  consumare  j  adoperò  an* 
che  il  Petrarca  :  j4 spettati  do  ragion  mi  struggo  j  e  6acco  \a\ 

t6  »•*  Lo  savio  mio  F^irgilio  gridai  forse.  Bella  variante 
del  Vat.  3199.  <4Hi 

1 7  Duca ,  cioè  reggitore  d*  Atene ,  appella  Dante  Teseo  ra- 
gionevolmente; ijnperocchè  cumprius  inpagos  dispersi  essent 
hotnines  Athenienses ,  ipse  Tlieseus  aictus  est  illos  in  una 
moenia  inclusisse,  legesqne  dedisse  j  et  popularem  udmini'^ 
strationem  ibi  instituisse ,  qnae  usque  ad  ea  tetnpora  per- 
durai^it  ^quibus  Pisistratus  ^oppressa  republica^tjrrannidem 
invasit  \o\. 

1 8  ti  porse ,  ti  diede  • 

20  Ammaestrato  dalla  tua  sorella ,  cioè  da  Arianna ,  figlia 
di;lla  stessa  Pasife  e  del  detto  di  lei  marito  Miiios.  Costei ,  imia« 
morata  di  Teseo,  estratto  a  sorte  tra  i  sette  giovani  Ateniesi  che 
ogni  anno  si  mandavano  ad  essere  divorati  dal  Minotauro,  ani* 
maestrollo  come  dovesse  uccidere  quel  mostro,  e  come  riuscire 
dal  laberinto. 

ai  wensiy  la  Nidob., invece  di  vassij  che  leggono  tutte  le 
fà\ìre  edizioni  »-^e  TAng.  E.  R.  — e  il  Vat.  Bipc)^-*;  ed  ac- 
ci irda  meglio  col  questi  non  igiene  ec.  sopraddetto.  Veramente 
la  Nidob.  legge  inense  ;  ma  Vi  in  e  scambia  sovente,  come  al- 
tn)ve  è  detto  [e], 

22  23  toro  ec.j  intendi  tirato  con  funi  al  macello,  m^  si 
lancia  f  col  cod.  Gict.  piace  di  leggere  al  R.  E.  e  per  trovarla 

[a]  Son.  106.  [b]  Nalal  Ctrtitì»  àfjthoi,  lib.  7.  cap  9.  [e]  Vedi  ìé  oou 
al  i'.  Si.  c.  vi. 


CANTO  Xn.  a6i 

Ch'  ha  ricevuto  già  '1  co1|k>  morlule , 

Che  gir  non  sa  ^  ma  qua  e  Tà  salrella  ; 
Vid*  io  lo  Minotauro  far  cotale .  a 5 

E  quegli  accorto  gridò  :  corri  al  varco  ; 

Meutre  eh'  è  'n  furia ,  è  buon  che  tu  ti  cale . 
Così  prendemmo  via  giù  per  lo  scarco  18 

Di  quelle  pietre,  che  spesso  movienst, 

più  cooforme  alla  maggior  parte  delle  antiche  edizioni,  com- 
prese le  Aldine ,  e  per  sembrargli  più  naturale  ad  esprimei'e  il 
moto  di  un  toro  colpito ,  e  più  corrispondente  al  saltellare  qua 
e  /à,  ed  al  cotale  che  fé' il  Minotauro,  u.  24.  a5.  —  Per  noi 
riteoiamo  che  lo  slacciarsi  y  oltre  air  includere  Tidea  di/an- 
darsi ^  esprìma  di  più  l'energia  dello  sforzo  fatto  dal  toro  nel 
mmpere  le  funi  che  lo  tenevano  sU*etto.  Anche  il  Vat.  3ic)9 
le^ge  colla  comune  slaccia  •  *  CKha  ricevuto  lo  colpo  mor~ 
tale  y  legge  parimenti  l'È.  R.  col  Caet.,  sembrandogli  insigni- 
ficaute  la  particola  ^1^9  ed  all'incontro  l'articolo  lo  molto 
Simigliare  al  nostro  Poeta,  e  più  atto  a  rendere  il  verjtospo 
diU)  e  sonoro,  -in  quella y  intendi  in  quel  punto .  Volpi.  <-• 

^4  g^  non  say  sbalordito  dal  ricevuto  mortale  colpo. 

aS  far  cotale y  far  lo  stesso»  far  cosi.  Vedi  il  Vocab.  della 
^'^^  cotale  y  secondo  ilBiagiolii  è  voce  elementare  della 
fornirla  in  nu>do  tale.*^ 

26  quegli y  Virgilio,  —a/  inarco y  all'apertura  della  scesa. 

37  calcy  per  la  rima  invece  di  ealiy  antitesi. 

38  39  scarco  y  sincope  di  scarico  y  scaricamento .  Cosi  ap- 
p<^IIa  il  rovesciamento  di  quelle  pietre ,  perocché  cadendo  ave- 
vano discaricata  del  proprio  peso  quella  ripa,  su  della  quale 
<*riao  prima  collocate.  — *  moviensi  per  movei^ansiy  spiega  il 
^olpi,  detto  in  rima  qui  e  nel  zviii.  79.  del  Par.  Ma  anche 
fuor  di  rima  il  ripete,  Pnrg.  in.  Sg.,  xxix.  69.;  e  penieno , 
per  venii^ano  y  pur  fuor  di  rimascrisse  eziandio  il  Petrarca  [aj: 
e  per  questi  ed  altri  simili  esempj  conclude  il  Gnonio  essere 
^t'oeraimente  stati  soliti  gli  antichi  di  fare  in  simili  desinenze 
coul  cambio  [6].  m-*su  per  lo  scarco  y  legge  il  codice  Vati- 
cano3i99.4-« 


>i  Suo.  tao.  [b]  Tran,  de'y^rbi ,  e.  6, 


( 


ti6^  INFERNO 

Sono  i  mie' piedi  per  lo  nuovo  carco. 

Io  già  |ìensaiidoj  e  quei  disse:  lu  pensi  3i 

Forse  a  questa  rovina,  ch'ò  guardata 
Da  quell'ira  bestiai,  ch'io  ora  spensi. 

Or  vo'che  sappi  che  T altra  fiata,  34 

Ch'io  discesi  quaggiìi  n^  basso  'nferno, 
Questa  roccia  non  era  ancor  cascata. 

Ma  certo  poco  pria,  se  ben  discerno,  37 

Che  venisse  Colui,  che  la  grau  preda 
Levò  a  Dite  del  cerchio  superno , 

3o  niioi^o  carco j  mai  più  innanzi  sostenuto;  accennando 
die  prima  non  passassero  di  là  se  non  spiriti. 

H3  spensi  j  resi  vana.  m^Da  quelCiraec.y  vuol  dire  dal  Mi* 
nota  uro,  che  io  ora  acqnìetai .  Poggiali  .  -^  spensi  y  per  esser 
l'ira  un  bollimento  di  sangue  intcuno  al  cuore.  Biacioi.i.«-i 

H4  faltra  fata,  detta  di  sopra  nel  canto  ix.  aa.  e  segg. 
»-♦  r*a  Valtra  flatay  legge  il  Vat.  Hipg.  4hì 

H6  Qttesta  roccia  (  rupe  [a]  )  non  era  ancor  cascata  ;  im- 
pei*occhè9  quando  F altra  fiata  vi  discese,  era  appena  morto: 

JDi  poco  ^ra  di  me  la  carne  nuda  ec; 
e  Gesìi  Cristo ,  nella  di  cui  morte  ia  in  seguito  capire  esseni 
quella  ripa  rovesciata ,  mori  una  buona  cinquautiua  d' anni  do- 
po Virgilio  [^].  m-¥non  er'' ancor  tagliata,  legge  il  codice 
Vaticano  Sigg.^-c 

1^7  al  39  se  ben  discerno  y  dice  a  dinotare  che,  come  Gen- 
tile, non  aveva  certa  scienza  delle  cose  di  Gesù  Cristo,  "poco 
pria  che  venisse  Colui  (quel  Possente  ^Consegno  di  littoria 
incoronato  y  detto  nel  canto  iv.  passato  9  %f*  53.  e  scgg.  ),  che 
/evo  a  Dite  y  a  Lucifero  f  e]  ,  la  gran  preda  del  cerchio  sU" 
perno y  le  gi*andj  anime  del  Limbo,  nomate  neir  indicato  can- 
to IV.  V.  55  e  segg.  Neil' ora  »  in  conclusione  ^  della  morte  di 
Gesii  Ciìsto,  quando  terra  mota  esty  et  petrae  scissaesunt  [d  ^ 

[à]  Dolili  voce  roccia  vedi  Ibf.  e  tiu  G.  \b]  yirgiltusanpo ante  Chi- 
slum  19  Brundusii moriiur,  Vcìa\,  Bal^iemp,  P.  i.  Iib4.  cap.»i.  Ag- 
giiiiigansi  gli  anni  della  viia  di  Gesù  Cristo,  e  rorinerassi  il  detto  nu- 
mero   [v]  S\*di  U  oola  al  p.  68.  del  passato  cauto  viti  [di  Sfati,  37. 


CANTO  XII.  a63 

Da  tutte  parti  l'alta  valle  feda  4^ 

Tremò  sì ,  eh'  io  pensai  che  l'universo 
Sentisse  amor,  per  lo  quale  è  chi  creda 

Pili  volte  '1  mondo  in  caos  converso:  4^ 

Ed  in  quel  punto  questa  vecchia  roccia 
Qui,  ed  altrove  più,  fece  riverso. 

la  aual  morte  certamente  non  fìi  se  non  poco  pria  della  disce- 
sa del  medesimo  Redentore  all'Inferno. 

4o  ralia  frolle  feda  y  la  profonda  e  brutta  valle  infernale . 
RcTi  [a].  Brutta  e  per  sé  stessa  materialmente  y  e  perche  7  mal 
dtlCunwerso  tutto  ^risacca  [ti] .  Fedita  per  bruttura  y  ado- 
pnimno  altri  antichi .  Vedi  il  Vocab.  della  Crusca . 

\ì  al  4^  che  i^  universo '^  Sentisse  amory  per  lo  quale  è  chi 
creda  ec.  Empedocle ,  il  quale  poneva  sei  principj  (  formanti  il 
mniido  ^,  cioè  quattro  elementi,  ed  amore  e  discordia  ;  e  diceva 
che,  quando  gli  elementi  ed  i  moti  del  cielo  erano  in  concor- 
dia ,  (^ni  cosa  tornava  in  caos  (in  un  confuso  ammassamento  di 
materia  )  ;  e  quando  cessava  la  concordia ,  e  veniva  la  discor- 
dia, tornava  il  mondo  nella  pristina  forma .  Landiito.  Opinione 
(  aggiunge  il  Yellutello  )  riprovata  da  Aristotile  nel  primo  della 
fìsica y  e  nel  primo  deW^nima,  m^ìì  Volpi  pensa  cne  forse  al- 
luda qui  il  Poeta  all' opinione  di  Eraclito  d'Efeso  y  antichissv- 
mu  filosofo,  il  quale  teneva  che  il  fuoco  fosse  la  materia  co- 
maoe  di  tutte  le  cose,  e  che  dopo  un  certo  intervallo  di  tem- 
fj  tornasse  il  mondo  a  risolversi  in  fuoco .  E  insegnava  che 
quando  le  particelle  del  fuoco  si  vainavano  e  si  condensavano , 
luciando  la  propria  semplicità ,  venivano  a  pi*odurre  le  gene- 
razioni; e  che  all'incontro  quando  le  dette  particelle  si  assot- 
tigliavano j  riprendendo  la  natura  primiera  y  si  cagionava  la  di- 
struzione dell'  universo 9  e  ciò  molte  volte  a  vicenda  [e].  E.  F.<-« 

44  questa  i^cehia  roccia  y  quest'antica  ripa,  e  intende  tutta 
U  ripa  della  città  di  Dite  da  cima  in  fondo;  ed  antica  T ap- 
pella, perocché  conta  le  stesse  migliaia  d'anni  che  conta  il  mondo. 

4i>  Qui ,  ed  attroi^epiù ,  fece  riverso  y  legge  la  Nidob.,  me- 
glio die  non  leggono  l'altre  ediz.,  QtUy  e  cdtrove  tal.  —  Più 

'«]  Citalo  del  Tocab.  óeìU  Or.  alla  voce  Pedo,  [b]  Inf.  vii.  i6  [c]  VccU 
Ì>tog.  LacrL  F'it.  RracL,  e  fiutar,  de  placit»  philos* 


264  INFERNO 

M«i  ficca  gli  occhi  a  valle;  che  .s* approccia       4^ 
La  riviera  del  sangue,  in  la  qual  bplle 

riverso  y  cioè  maggiore  rovesciamento,  è  certamente  quello 
che  si  descrive  pur  nel  medesimo  tempo  avvenuto  uella  se- 
sta bolgia  deirottavo  cerchio,  ricettacolo  degripocriti,  do>e 
dicesi  Tutto  spezzato  al  fondo  Carco  sesto  [aj ,  ed  in  modo 
che  convenne  ai  due  Poeti,  per  proseguire  il  loix)  viaggio,  die 
s*  arrampicassero  pe^  mal  sicuri  rottami  del  le  pietre  [6J .  •-♦  Cou- 
viene  il  Biagioli  che  l'altra  roina  è  veramente  maggiore;  ma, 
facendo  quii!  Poeta  un  confronto  di  qualità  e  di  forma,  cuou 
di  quantità,  vuole  che  si  abbia  a  seguire  la  lezione  della  Cra« 
sca.  —  11  \'at.  3199  legge  colla  comune  Quiy  et  altrove^ 
tal  er.  <«-• 

Tale  maggior  ruina  in  quel  luogo  de*  violenti  ipocriti  (tra 
i  quali  trova  Dante  aspramente  puniti  Caifasso  ed  Anna  )  cor^ 
risponde  anche  al  motivo,  per  cui  può  presumersi  che  facesse 
il  Poeta  cagionai'e  il  ti*emuoto,  nella  morte  di  Gesii  Cristo, 
iniina  solamente  nel  luogo  de' violenti:  il  quale  motivo  non 
pare  che  possa  esser  altro ,  che  quel  medesimo  che  saggiamente 
rileva  il  Vellutello,  per  dinotare,  cioè,  che  allora  fu  usata 
la  maggior  i^iolenza  che  mai  fosse  e  che  mai  possa  essere , 
essendo  seguita  nella  persoìux  del  ftgliuol  di  Dio.  Or  come 
di  cotal  fatto  l'unica  cagione  fu  l'ipocrisia  degli  ebrei  sacer- 
doti, quadra  molto  bene  che  nella  bolgia  de' violenti  ipocriti 
facesse  quel  tremuoto  H  maggiore  rovesciamento. 

46  ficca  gli  occhi  a  v^cdle^  fissa  lo  sguardo  giù.  alla  valh*. 
Ficcar  gli  occhi ,  detto  ad  imitazione  del  fgere  oculos  de*La- 
tini:  \nrginefigis  in  una  y  -  Quos  mando  debes^  oculos.  Ovid. 
Aletamorph.  iv.  196. e scg.  —  j'a/Y?roccia,  s'appi'esaa.a-fr/ic- 
car  gli  occhi  a  inaile  significa  semplicemente  ficcar  gli  acciù 
al  basso  ,  aW ingiù.  Biagioli.  —  s''anproccia  è  forse  dal  fran- 
cese s^approchcy  e  l'uno  e  l'altro  dal  latino  approxiniOj  ben- 
ché questo  verbo  sia  di  bassa  lega ,  cioè  dei  tempi  della  deca- 
duta latinità.  Poggiali.  <«-« 

47  riviera  per  stagno.  Volpi.  — del  sangue  j  peroccliè 
piena  di  bollente  sangue,  in  cui  bollivano  que' violenti  ch'era- 
no sfati  vaghi  di  spai'gere  o  faix;  spargere  umano  sangue.  S'"»- 
bra  questa  idea  del  Poeta  presa  dal  fatto  della  regina  Tamiri  9 

« 

[a]  luf.  XXI.  108   e  icjg.  [b\  luf.  xxi\.  ly.  e  S'gg. 


CANTO  XII.  a65 

Qual,  che  per  violenza  in  altrui  neccia. 

O  cieca  cupidigia,  o  ira  folle,  49 

Che  sì  ci  sproni  nella  vita  corta, 
E  nell'  eterna  poi  sì  mal  e'  im molle! 

Io  vidi  un'  ampia  fossa  in  arco  torta,  5^ 

Come  quella ,  che  tutto  il  piano  abbraccia , 
Secondo  ch'avea  detto  la  mia  scorta: 

E  tra  '1  pie  della  ripa  ed  essa ,  in  traccia         55 

che  9  in  vendetta  del  tanto  sangue  da  Giro  sparso  i  volle  attuf- 
fata  la  recisa  di  lui  testa  in  un  vaso  pieno  di  sangue  »  con  quel 
motlo:  .taiia  te  sanguine  quam  sitisti  [a\. 

48  Qual  per  chiunque ,  qualunque  •  Vedi  il  Vocab.  della 
Crusca . 

5i  e* immolle j  per  la  rima  invece  di  c*immolliy  ci  bagni: 
antitesi .  m-¥  sì  mal  c'immolle  vuol  dire  sé  dolorosamente  ci 
bagni .  Poggi  ali  .  <-• 

51^  Come  quella  significa  qui  il  medesimo  che  perciocché 
quelloy  ut  quae  ;  vedi  il  Cinonio  \b\:  e  rende  cosi  Dante  la 
ragione  perchè  fosse  quell'ampia  fossa m  arco  torta;  e  vuol 
dire,  che  tale  conveniva  che  fosse ,  acciò  potesse  abbracciare  y 
circondare»  tutto  quel  rotondo  piagno. 

54  Secondo  cKavea  detto  ec^y  facendo  cioè  cotale  fossa  il 
primo  delli  tre  gironi ^  ne' quali  la  di  lui  scorta  y  Virgilio  ^ 
disse  [e]  distinto  quel  cerchio . 

53  in' traccia y  in  seguito,  uuo  dopo  Taltix)  (così  il  Voca- 
holarìo  della  Cr»  sotto  la  voce  Traccia  y  $.  3./ spiega  il  pre- 
MMite  passo >  ch'ivi  aiTeca),  e  ciò  a  dinotare  la  strettezza  oella 
\ia  che  coiTevann  i  Centauri ,  tra  il  piede  della  ripa  e  la  fossa. 
Può  a  questo  servir  di  lume  quell'altro  passo  del  canto  x.  della 
presente  cantica,  ove  per  simile  strettezza  di  calle.  Tra  7  mu" 
ro  della  terra  j  e  gli  martìri  y  dice  Dante  che  camminava  die- 
In)  di  Vii^'lio  : 

Ora  sen  va  per  uno  stretto  calle , 

Tra  7  muro  della  terra  j  e  gli  martìri  y 
Lo  mio  Maestro ,  ed  io  dopo  le  spalle  \d\  • 

[«]  Instin.  lib.  i.c.  8.  [b]  Pariic.  36  a4-  W  'n^*  xr»  3o.  [d]  Verso  i. 


^66  INFERNO 

Gorrean  Centauri  armati  di  saette  ^ 
Come  soleau  nel  mondo  andare  a  caccia . 

Vedendoci  calar  ciascun  ristette,  58 

E  della  schiera  tre  si  dipar-tiro 
Con  archi,  ed  asticciuole  prima  elette: 

E  Tun  gridò  da  lungi:  a  qual  mariiro  61 

Venite  voi ,  che  scendete  la  costa  ? 
Ditel  costinci,  se  non ,  l'arco  tiro. 

Lo  mio  Maestro  disse:  la  risposta  r>4 

La  strettezza  pure  del  calle  dee,  aver  volato  il  Poeta  iudioare 
anche  nel  principio  del  x\iii.  di  questa  cantica  in  que*  versi: 
Tacili^  solij  e  senza  compagnia 

N*andauam  Vun  dinanzi  j  e  t*altro  dopOj 
Conte  i  frati  Minor  vanno  per  i^ia , 

56  Centauri,  mostri  favolosi ,  mezzo  uomini  emesso ca\al- 
]i .  m-¥  F^cnian ,  legge  TAng.  E.  R.  <-« 

67  solean  nel  mondo  andare  a  caccia.  Pretende  appunto 
Palefato  (  •-►antico  ed  acuto  greco  filosofo,  che  si  crede  vis- 
suto circa  due  secoli  prima  dell'era  volgare  <-•  )j  che^dall'es- 
ser  una  comitiva  dì  giovani  di  Tessaglia  posti  la  prima  volla 
a  cavallo  per  cacciare  ed  ammazzare  dei  tori  selvatici  che  di- 
vastavano  i  campi,  avvenuto  sia  che,  veduti  in  cotal  modo 
que* giovani  dalla  inesperta  gente,  creduti  fossero  mezzo  uo- 
mini e  mezzo  cavalli.  De  non  credendis  fabulosi s  narrat. 

5()  tre^  li  tre  Centauri  che  in  appresso  nominerà,  cioè 
Nesso,  Chirone,  e  Folo;  — ^<  dipartirò ,  andando  verso  i  due 
Poeti . 

60  asticciuole ,  frecce ,  saette ,  perocché  appunto  fiitte  a 
guisa  di  picciole  aste.  ^ prima  elette y  scelte  dal  mazzo  pri- 
ma che  dalla  schiera  degli  altri  si  dipartissero  ;  e  scelte  a  fine 
di  fare  al  bisogno  miglior  colpo. 

61  a  qual  martìroy  a  quale  cerchio ,  a  qual  girone. 

63  DitM  costinci j  ditelo  di  costi ,  cioè  dal  luogo  dove  siete; 
—  se  nony  ellissi  nel  parlar  nosti*o  assai  frequente,  vale  quan- 
to se  non  lo  dite  :  —  Inarco  tiro  per  ui  saetto  ;  perocché  per 
saettare  tiransi  gli  estremi  dell' arco  ad  incurvazioDe,  e  poi  sa 
rilasciano . 


CANTO  Xlf.  1G7 

Farem  noi  a  Cliiron  costà  di  presso: 
Mal  fu  la  voglia  tua  sempre  si  .tosta. 

Poi  mi  tentò,  e  disse:  quegli  è  Nesso,  67 

Che  morì  per  la  bella  Deianira , 
E  fé'  di  sé  la  vendetta  egli  stesso. 

E  quel  di  mezzo,  che  al  petto  si  mira ,  70 

L  il  gran  Chirone ,  che  nudrio  Achille  : 

65  Farem  noi  a  Chiron^  capo  de' Centauri  »  che  loro  o^ 
manda,  vedi  in  seguito.  —  costà  di  presso ^  in  cotesto  vicino 
lo(^o.  m-¥  Costà  j  nel  luogo  ov' essi  sono;  ma  perchè  quest*av«^ 
cerbio  non  limita  siccome  il  costi  j  però  aggiunse  di  presso  ; 
Bugigli  .^-s 

66  Mal  fu  ec. ,  a  tuo  danno  fosti  tu  sempi*e  precipitoso 
nelle  tue  voglie.  Era  costui,  come  nel  seguente  verso  dichiarasi. 
Nesso  &ntauro  ;  e  motteggia  cosi  Virgilio  la  furiosa  df  lui  li- 
bidine verso  Deianira,  per  cui  fu  da  Ercole,  di  Tei  marito,  saet- 
talo e  morto  fa]*  9^tosta  per  subita ,  precipitosa ,  ec;  e  in  que- 
sto senso  vedila  usata  anche  al  ^.  4^-  del  11.  passato  canto.  <-• 

67  mi  tentai  mi  toccò  leggermente  e  di  soppiatto.  V.  il  Voc« 
deDa  Crusca. 

^egii  stesso y  intendi,  quantunque  mor£o. Accòrtosi  Nesso 
d'essere  da  Ercole  ferito  con  frecce  tinte  nel  sangue  dell'Idra 
lemea,  e  che  sarebbe  perciò  il  p*oprio  sangue  stato  ad  altrui 
un  potentissimo  veleno,  diede  a  Deianira  ad  intendei*e  che,  se 
col  di  lui  sangue  avesse  tinta  la  camicia  del  maiito ,  spento  sa- 
tt'bbcsi  in  lui  ogai  amore  verso  altra  donna.  Per  la  qual  cosa 
serbato  avendo  fa  donna  del  sangue  del  Centauro,  quando  una 
fiata  intese  ch'era  Ercole  perduto  dietro  a  Iole ,  mandò  lui  una 
nunicia  tinta  del  serbato  sangue  ;  e,  credendo  di  trarre  il  marito 
dall'amore  di  Iole,  il  ti*asse  ai  vita  [i]. 

yoyi  E  quel  di  mezzo ,  ec.  Chirone ,  avo ,  e  nuti*itore,  e  mae* 
stro  d'Achille  [c^.  ^^  al  petto  si  mira^  significa  essere  cogita- 
bondo, ed  anche  esprime  la  natura  saturnina  che  teneva  del 
padre.  Vellutello.  --^  che  nudrio  ^  ^^gg^  ^^  Nidob.,  con  mag- 
gior dolcezza  delle  altre  edizioni  che  leggono,  il  qual  nudrìj 

[di  Ye«lì,  Ira  gli  altri,  Igino,  Fab,  cap    3^.  e  36.    [h\  Lo  stesso  ivi* 
[(]  Vedi,  ti M  gli  altri f  Nalal  Cuoli,  àIjUioL  lib.  9.  ca^i.  ia« 


268  INFERNO 

Qacir altro  è  Folo,  che  fu  sì  pièn  d'ira. 

Dintorno  al  fosso  vanno  a  mille  a  mille,         73 
Saettando  quale  anima  si  svelle 
Del  sangue  più,  che  sua  colpa  soriille. 

Noi  ci  appressammo  a  quelle  fiere  snelle:       76 
Ghiron  prese  uno  strale,  e  con  la  cocca 
Fece  la  barba  indietro  alle  mascelle . 

Quando  s'ebbe  scoperta  la  gran  bocca,  7Q 

Disse  a*  compagni  risiete  voi  accorti 
Che  quel  di  retro  muove  ciò  che  tocca  ? 

Così  non  sogh*on  fare  i  pie  de'  morti.  8i 

•^  come  leggono  pur»  i  codd.  Ang.  e  Antald.  E.  R.  —  e  il  c(kI. 
Vat.  3i99.4-« 

73  Foloj  altro  Centauro',  ed  uno  de' primi  a  menar  le  mani 
nelle  nozze  di  Piriloo  con  Deidamia,  O9  com' altri  vogliono,  I{>- 
podamia  [a]. 

74  7^  (juale  anima  vale  qualunque  anima.  Vedi  il  Cino- 
nio  [AJ.  —  si  svelle  Del  sangue  y  esce  da  quel  bollente  san- 
gue; "^piùj  che  sua  colpa  sortille  ^  più  che  sua  colpa  le  me^ 
rito,  essendo,  come  in  appresso  dirà,  alcune  anime  più  rre 
immerse  infino  al  ciglio ,  altre  men  i^ee  in  fino  alla  gola ,  e 
cosi  altre  via  meno  ree  via  meno  immerse. 

J 6  fiere  snelle ^  Centauri. 

77  con  la  cocca j  cioè  con  l* estremità  opposta  alla  punta, 
dove  sta  la  cocca,  ossia  tacca,  nella  quale  entra  la  corda  clie 
nel  rilasciamento  dell'arco  spinge  la  saetta. 

78  Fece  la  barba  indietro  alte  mascelle.  Avendo  ciò  (atto 
per  poter  più  liberamente  parlare ,  come  dai  seguenti  due  veni 
apparisce,  consiegue  che  per  la  barba  fatta  indietro  alle  ma- 
scelle s'abbiano  a  intendere  i  peli  delle  basette,  che  la  bocca 
coprivano,  allontanati  dalla  bocca  e  cacciati  vei*so  le  mascelle. 

8 1  Che  quel  di  retro  (  Dante)  muove  ciò  die  tocca ,  l^e 
la  Nidob.;  ove  l'altre  edizioni,  che  quel  di  rietro  muove  ciò 
eh*  e*  tocca  j  m^e  cosi  anche  il  Vat.  8199. -«-s 

82  Così  non  soglion  fare  i  pie  de* morti.  Non  per  la  nn 

[a]  NaUl  Couti,  Sfjthol.  Iib«  7.  cap.  4.  [^j  Paitic,  10.  cap.  316. 


CANTO   XIL  a69 

E  *1  mio  buoa  Duca ,  che  già  gli  era  al  petto, 

Ove  le  due  nature  son  consorti , 
Ri$[iose:  ben  è  vivo,  e  sì  soletto  85 

Mostrarli  mi  convien  la  valle  buia: 

Necessità  '1  c*iaduce,  e  non  diletto. 
Tal  si  parti  da  cantare  alleluia,  88 

gione  di  Lacrezio ,  recata  qui  dal  Venturi ,  petlere  enim  et 
pelli ^  nisi corpus j  nulla  potest  res  (che  tra  oiia  nuJtitudioe 
d*escmpj  contrarj  ti*overemo  nel  canto  xxxii.  dell' lufeniOy 
V.  104.9  presi  dal  Poeta  nostro  e  sterpati  ì  capelli  a  Bocca  de- 
gli Ababy  ed  in  questo  stesso  canto  Nesso  porterà  Dante  sulia 
groppa),  ma  pei*cbé  le  nude  anime  non  fanno  peso  sopra  le 
pietre,  e  perciò,  quantunque  sconnesse  sieno,  da  loro  non 
vengono  mosse.  Girne  poi  vadi  in  sistema  di  Dante  il  tangere 
r  il  tangi  delle  anime 9  vedrailo  nella  risposta  alla  critica  del 
Castclvi!tro,  sotto  il  e.  ri.  del  Pui^.y  v.  83. 

K.»  al  petto  y  cioè  colla  sua  testa  vicino  al  p:*tto  di  Chirone; 
f*  ciò  ad  indicare  Taltexxa  di  quel  Centauro,  e  cbe  dal  petto 
iu  su  sopravanzava  Virgilio . 

84  le  due  nature 9  quella  d^uomo,  cioè,  e  quella  di  eaval- 
lo; •  son  consorti y  sono  contigue  e  congiunte  (essendo  il  Cen- 
laaro  dal  petto  in  su  uomo,  e  nel  resto  del  corpo  cavallo). 
Consortes  dicuntur  quorum  fines  contìgui  sunt  [aj. 

85  86  soletto  ^  Mostrarli  nù  convien .  Come  fassi  Dante 
guidare  iu  questo  suo  viaggio  da  Virgilio  per  indicare  la  nor^ 
ma  appresa  da  lui  di  descrivere  T Inferno,  cosi  fa  dire  allo 
stesso  Virgilio  di  convenirgli  soletto  mostrai*e  a  Dante  T  In- 
feroo,  per  accennare  che  Virgilio  medesimo  è  il  solo  tra  i  pjcti 
die  poteva  in  questa  parte  erudir  Dante .  -—  la  valle  buia  , 
r  Interno  • 

8  j  Necessità  7  c^induce ,  e  non  ec.  Necessità  per  pulsarsi 
(lai  vizj ,  vedendo  come  sono  neirinfcino  puniti.  -  Necessità 
il  conduce ,  non  diletto  y  legge  la  Nidobcatina  . 

88  Talf  Beatrice  [6],  si  partì  da  cantare  alleluia  y  dal  Pa- 
rii<liso  ;  cosi  attamente  circoscrivendolo  per  rapporto  a  quella 
ti'stimonianza  di  s.  Giovanni  neirApocalissc  :  ^«liiVi  quasi  vo'^ 

l**]  Rub.  Sle|>!t.,  Tbes.  ling,  lai.  [b]  luf.  u.  v.  53. 


!i7o  INFERNO 

Che  mi  commise  qucsf  uficio  nuovo; 
Non  è  ladroQy  né  io  anima  fuia. 

cem  tvrbarum  multarum  in  caelo  dicentiwn  Alleluia  [a]. 
jélleluia  è  ▼oce  ebraica  che  significa  lode  a  Dio  [6J. 

89  Che  mi  commise  y  legge  la  Nìdid).,  meglio  cke  ne  cofn- 
mise  delPahre  edizioni,  essendo  la  commissione  stata  dat«  a 
Virgilio  solo.  --  uficio  nuouo-*  per  essere  cosa  nuoi'a ,  chio- 
sano il  Landino  e  il  Vellutello,  che  i  viui radino  alt' Inferno» 
Essendo  però  9  secondò  le  favole  e  secondo  Vìi-gilio  medesimo , 
andati  all'  Inferno  alti-i  vivi ,  rimane  che  appelli  nuovo  cotale 
OiBcio  rispetti vamenU!  a  se  medesimo.  Imperocché,  sebbene 
aia  egli  disceso  all' Inferno  a//ra  fiata  [cj  ,  non  però  per  con- 
durre colaggiii  alcun  vivo  9  ma  per  trame  di  là  uno  moito. 

90  Non  è  ladron^  intendi ,  questo  che  uien  meco  j  e  muove 
amlando  le  pietre;  -né  io  anima  fuia^  cioè  Juracej  fura^ 
ladra ,  rapace  :  oppure  negra ,  scura  ;  o  forse  trista  e  cattila , 
dal  fun^usj  onde  furvae  hostiae.  Cosi  il  Venturi.  Ma  io  non 
so  (oppone  il  Rosa  Morando)  come  furutis  possa  mai  sigiiiti- 
care  tristo  e  cattivo.  Furvae  hostiae  d'ano  chiamati  quegli 
animali  di  pel  nero,  che  si  sacrificavano  agli  Dei  deirintènio; 
onde  lo  Scoliaste  di  Valerio  Massimo  [^J:  furvae  hostiae  ni' 
grae ,  antiqui  superis  immùlabant  alba  ammalia ,  inferìs 
yero  nigra;  e  apporta  quel  verso  di  Vii^lio  [e].* 

Due  nigras  pecudes  ;  ea  prima  piacula  sunto . 
Anzi  lo  stesso  Valerio  Massimo  spone  la  voce  furvus  in 
questo  modo  f^J.*  hostias  nigras  ^  <fuae  antii/idlus  furvae</i- 
cebanturé  Non  ci  sarebbe  en*ore  alcuno  se  questa  anuotazioDe 
si  leggesse  cosi  :  Furace ,  fura  ,  ladra ,  rapace  ;  oppure  trista 
e  cattii^a  ^  o  forse  nera  e  oscura ,  dal  furvus ,  onde  furvae 
hostiae.  Fido  nel  significato  di  tristo  e  cattivo  si  vede  usato 
in  quel  passo  riferito  dalla  Crusca  ;  per  avarizia  fuia  si  tro- 
vano tutte.  Io  per  altro  credo  che  ciò  sia  stata  una  pura  inav- 
vertenza del  Comentatore ,  e  eh  egli  avesse  intenzione  di  dire 
nel  modo  che  si  è  per  me  emendato  ;  perchè  nel  Pui^atorio 
al  e.  zxzui.,  V.  44«* 

Messo  di  Dio  anciderà  la  fuia 
mostra  d'intendere  la  yoce  furvus  nel  suo  vero  significato,  di- 

(/il  Jpoe.ffp.  19.  [b]  Magri,  Notti.  de*vocab  eccles.  [e]  fot  ix.  aj* 
[ti]  Lib.aiCap.  4-  oum.  5   [e]  Anneid»  vi.  iS3.  \f\  Lib.  ^  c<ip  40-  ^* 


CANTO  XII.  571 

Ma  per  quella  virtù  y  per  cu'  io  muovo  g  1 

Li  passi  miei  per  si  selvaggia  strada, 
Danne  un  de^tuot,  a  cui  noi  siamo  a  pruovo, 

cendo  :  qual  poi  significato  abbia  la  voce  fuit  se  di  fura  e 
ladra,  se  di  furva  e  fosca ,  vedilo  nel  canto  xii.  delC Inferno 
dov^è  spiegato .  Che  poi  la  \oce  fuia  possa  derivare  àsLfuruusj 
e  significar /bjca,  è  totalmente  chimerico •  Apparisce  chiara^ 
mente  dal  contesto  che  il  Poeta  Tusò  per  fura  ,  cioè  furace. 
Fttioe  furo  sì  disse  per  la  parentela  che  passa  tra  1'/ elVnel 
modo  che  paio  e  paroj  danaio  e  danaro  ^  e  simili  •  Cosi  il 
sig.  Bosa  Morando  [a]. 

A  me  però  ,  considerati  i  qui  riferiti  esempj  e  quelF  al- 
tro del  Poeta  nostro  parimenti: 

Dio  vede  tutto  »  e  tuo  uetler  s*illuia^ 
Diss^  io  j  beato  spirto ,  sì  che  nulla 
f^oglia  di  se  a  te  puot^ esser  fuia  [A], 
pare  che  risulti  che  fuio^  ondunque  si  derivi  (probabilmente 
però  dal  latino  furvus  )y  propriamente  voglia  significare  neroj 
buioy  aggiunti  di  colore;  e, che,  come  quegli  aggiunti  trasfe- 
rìsconsi  a  significare  eziandio  or  reo  j  or  nascosto  aWinten* 
dimento  (  dicendosi,  per  cagion  d'esempio,  coscienza  nera^ 
questione  buia  ),  cosi  trasferiscasi  fuio  qui,  e  nel  citato  verso 
del  Purgatorio ,  ed  in  quell'altro  esempio  recato  dalla  Crusca^ 
a  significar  reo\  e  nelr  esempio  poi  del  Paradiso^  dame  pro- 
dotto ,  a  significare  nascosto  • 

Né  si  può  accordare  al  sig.  Bosa  che  apparisca  chiara" 
mente  dal  contesto  che  fuia  vaglia  qui /lira .  Il  contesto  non 
richiede  altro,  se  non  che  Virgilio  si  manifestasse  esente  dal 
subir  ivi  alcuna  pena  ;  ed  a  ciò  bastava  tanto  il  dire  ch'egli  non 
era  anima  fura^  quanto  il  dire  che  non  era  anima  rea^  e  co- 
me esso  Virgilio  aveva  già  detto  a  Dante  di  non  essere  per- 
duto per  alcun  no  difetto  [e],  cosi  potè  qui  rispondere  a  Chi« 
rene  di  non  essere  anima  rea* 

91  per  quella  uirtù^  per  la  divina  virtii. 

92  selvaggia^  orrida. 

93  a  pruovo  vale*  appresso  .  Ha  Dante  tal  voce  (  avvisano 
ottimamente  il  Vellutelio  ,  il  Daniello  e  il  Volpi  )  presa  dalla 

[a]  Osserva*,  sopra  V  In/,  a  qucslo  passo.     [h\  Farad,  ix.  78.  •  segg. 
le]  Inf  IT.  4o* 


17^  INFERNO 

E  cbe  ne  mostri  là  dove  si  guada  ^  94 

E  cbe  poni  costui  iu  su  la  groppa , 
Ch'el  non  è  spirto,  che  per  laere  vada« 

Cbiron  si  volse  in  su  la  destra  poppa,  97 

E  disse  a  Nesso  :  torna ,  e  sì  gli  guida , 

Lombardia .  Se  non  ba  essa  voce  dai  tempi  di  Dante  a  questa 
parte  sofferta  mutazione  [à]y  pronunziasi  di  pi^eseute  in  Lom- 
bardia a  pruo%^  in  maniera  che  non  si  può  seri > ere,  oè  leg- 
gere y  se  non  alla  francese  a  preuv.  L'ha  però  Dante  con  assai 
proprietà  toscanamente  così  vestita  ;  imperocché  come  i  Lom- 
bardi invece  d'iiof^o  y  nuovo  ec.  dicono  (  sempre  alla  firancese  ) 
4?at^9  neuvecy  cosi  il  Poeta  d*a^reiii^  ha  fatto  a  ^ruof^,*  voce^ 
in  fine  9  che  dovrebbe  trarre  origine  del  latino  a</ e  ^ro»pe,  on- 
de i  Latini  stessi  hanno  fatto  adpropinquo  o  appropinquo. 

94  ^  che  f^  mostrila  doue  si  guada  ^  l^ge  la  Kidob.,  in- 
vece di  Che  I/e  dimostrila  o9e  ec.j  cbe  leggono  T altre ediz. 
—  guada  y  da  guardare ,  passare  il  guado  ^  eh' è  quel  luogo  dei 
fiume,  o\e  T acqua  è  poco  profonda.  Volpi. 

95  che  porti  costui  ec.  EUsendo  Dante  col  corpo,  conveniva 
che  avesse  chi  lo  portasse  oltre  il  fiume  sanguinoso  •  Dahiello* 
"groppa  y  spiega  il  Voc.  della  Cr. ,  parte  delt  animale  quadra^ 
pede  appiè  della  schietta  ;  qui  però  sta  la  parte  per  tutto  il  dorso . 

96  Cliel  non  è  spirto  j  che  per  Paere  t^ada^  legge  la  Ni- 
dob.,  un  pò* meglio  che  non  leggono  l'altre  ediz..  Che  non  è 
spirto  che  per  Vaer  vada,  Jàere  dì  due  sillabe  adoperalo 
Dante  stesso,  per  testimonianxa  deiredizioni  tutte,  se  non  al- 
trove ,  certamente  nel  Purg.  xxv.  91.  ■-►La  lezione  della  Ni- 
dob.  è  disapprovata  dal  fiiagioli,  che  a  giudice  ne  chiama  ogni 
buon  orecchio  italiano  •  <-« 

97  destra  poppa  per  lato  destro  •  A  ciò  che  di  sopra  ba 
detto,  che  Chirone  sla\a  di  mezzo  tra  Nesso  e  Folo  (  t^.  70.), 
aggiunge  qui  ed  accenua  che  Nesso  stava  alla  destra  parte  di 
Chirone,  e  che  peix*iò  Chirone  per  parlare  a  Nesso  %H>ltossi  in 
su  la  destra  poppa . 

98  torna.  Com*  è  detto  al  f.  69,  Chirone,  con  Nesso  e  Folo, 

[a]  Molli  termini  cln  que' tempi  aMì  noalrì  alterali  e  mutati  &i  possono 
vedere  per  ^U  esempj  parecchi  rJu*  Dante  sIp»m>  dì  vnr)  dieleui  uè  u^ 
reca  oel  suo  trai  tato  UtUa  volgare  elo^ueuia^ 


'v 


CANTO   XII.  273 

£  fa  cansar,  scaltra  schiera  s'intoppa. 
Or  ci  movemmo  con  la  scoria  fida  1 00 

Laugo  la  proda  del  bolior  vermiglio, 

Ove  i  bolliti  facean  alte  strida. 
Io  vidi  gente  sotto  infino  al  ciglio;  io3 

E  T  gran  Centauro  disse:  ei  son  tiranni, 

Che  dier  nel  sangue,  e  ueli'aver  di  piglio. 

si  enmo  fatto  incontro  ai  due  Poeti.  Dovendo  adunque  Nesso 
senìre  ai  medesimi  Poeti  di  guida ,  doveva  tornare  indietro . 
—  e  sif  e  cosi  commessi  bramano.  »-►  torna  è  forse  preso  dal 
liraiicese  tourner^  se  tournerj  voltarsi.  Poggiali  .^-c 

Q/^cansoTy  allontanare.  -^ scaltra  schiera ,  intendi  di  Cen«- 
tauri  che,  come  ha  detto  9  Dintorno  al  fosso  vanno  a  mille  a 
mille  \a\. 

100  Or  ci  tno^ntmo,  cosi  la  Nidob.;  IVoi  ci  movemmo  f 
Tallre  ediz.  Or,  particella,  dice  il  Cinonio,  con  la  <|uale  tal* 
volta  si  ripiglia  0  si  continua  il  parlare,  lat.  itaque  [6J;  ed 
io  questo  senso  vi  sta  qui  meglio  che  noi.  Or  ci  movemmo^ 
l^ge  andie  il  Vellutello  e  chiosa  :  questo  modo  di  dire  è  simi" 
le  a  quello  die  il  Poeta  usò  di  sopra  al  principio  del  decimo 
canto  f  o%fe  disse  e  Ora  sen  va  ec.  -^  con- la  scorta /tda,  con 
Nesso.»-»  La  lezione  della  Nidob.  non  piace  al Biagioli,  rim- 
proverando al  Lombardi  di  aver  qui  male  a  proposito  citato 
il  CÌDoaio.  —  Il  Vat.  3 199  legge  colla  comune  JVoi  ci-,  —  e 
così  TAntald.  E.  R.  Malgrado  ciò,  non  ti*ovando  noi  disprege- 
vole la  lezione  e  la  chiosa  del  nostro  P.  Lombardi ,  stimiamo 
bea  fatto  il  non  iscostarci  da  lui .  <«hì 

101  Lungo  la  proda  ec,  lungo  la  ripa  del  fiume  di  boi- 
lente  sangue . 

io2  facean j  legge  la  Nidob.;  e  faceny  l'altre  edizioni. 

io3  Io  vidi  gente  sotto ,  intendi  sotto  il  bollente  sangue; 
tnjtno  al  ciglio  j  alle  ciglia  degli  occbi. 

100  Che  dier  di  piglio  oc. ,  che  miser  le  mani  nel  sangue  e 
nellarobaaltrni  .««^Z^ard^i^f^/io ,  pigliare  con  violenza  ;  ne  pò* 
trebbe  questa  espressione  esser  sinonimo  di  prendere ,  se  non 
considerandoreffetto;  ene chiedo  perdono alIaCr.  BugioIii.<<-« 

y\  Verso  73.  [b]  Pùttic,  4*  Cap.  laa. 

To/.  /.  i8 


a74  INFERNO 

Quivi  si  piaogoD  gli  spietati  danai:  106 

Qui  v'è  Alessandro,  e  Dionisio  fero, 

106  m^ spietati y  crudeli,  perchè  da  animo  spietato  sugge- 
riti. Bellissimo  modo  di  dire  è  questo  attribaii'e  agli  eflettile 
qualità  delle  cagioni  onde  son  mossi.  Biaoioli.^^ 

107  »-►  QuxV'é  ec.  j  legge  l'Autald.  E.  R.  *  e  il  Vat.  3  igo*^ 
Qui  u*S  Alessandro .  JVon  Alessandro  Magno  (chiosa  il  Ven- 
turi )j  come  spiegò  il  Landino  con  altri  ^  e  trasportò  ultima^ 
mente  il  P.  d* Aquino  Pellaeus  in  unda  aestuat  hac  iuvenisf 
non  sembrando  probabile  che  il  Poeta  lo  ponga  in  tal  luogo 
e  con  tal  campagnia;  ma  Alessandro  Ferèoy  tiranno  ddla 
Tessaglia ,  le  cui  tirannie  descrive  Giustino . 

Questa  spiegazione ,  contraria  alla  comune  d^li  antichi 
Gimentatoriy  miselain  campo  il  primo  il  Vellutello:  dal  Vel- 
lulello  presela  il  Daniello;  ma  non  prese  insieme  T errore  di 
citar  Giustino.  Il  Venturi  si  ha  fatto  suo  l'uno  e  l'altro. 

Non  solamente  Giustino  non  ci  dice  nulla  di  Alessaodro 
Ferèo  [a] ,  ma  ci  narra  crudeltà  così  grandi  usate  da  Alessan- 
dro Magno  verso  de' suoi  medesimi  parenti  ed  amici  9  che  e  per 
esse  e  pel  corto ,  ma  significantissimo  carattere  che  al  medesi- 
mo fa  Lucano  in  quel  felix  praedo  [b]  y  potè  con  giustizia  dal 
Poeta  nostro  collocarsi  qui  tra  coloro  Che  dier  nel  sangue y  e 
nelVoifer  di  piglio .  Il  nome  che  pone  qui  Dante  di  Alessan- 
dro succintamente ,  senz*  altro  aggiunto  y  serve  d' indizio ,  che 
vuoisi  intendere  del  più  famoso,  eh'  è  certamente  il  Magno; e 
il  non  aver  Dante  collocato  Alessanditi  stesso  tra  gli  spiritima- 
gniàeì  Limbo,  ènna  riprova  cheriserbasseloper  questolaogo. 

Dallo  scrivere  Dante  nel  Coni/i>o  dì  Alessandro  Macedone. 
E  chi  non  è  ancora  col  cuore  Alessandro  per  li  suoi  reali 
bene/tcj  [cj ,  l'autore  della  Serie  (TAneddoti,  num.  //.,  sum- 
pata  in  Verona  1786,  tira  conseguenza  che  non  possa  Dante 
qui  j^ev  Alessandro  intendere  il  Macedone  stesso. 

Primieramente  i  reali  benefici  compai'titi  dal  Macedone 
a'commilitoni  suoi  non  fanno  contraddizione  alla  taccia  òxpre- 
datore;  poi,  se  anche  contraddicessero,  non  sarebbe  qncìto 
r  unico  luogo  dove  la  Coìnmedia  di  Dante  pugnasse  col  Con- 
pito.  Vedi,  per  cagiou  d'esempio  ,  Parad.  11.  5b.  e  segg.,  e tui* 

[a]  Parla*  tra  gli  altri*  dì  Alessandro  Ferco  Diodoro  di  Sicilia  ac'U- 
bri  iS.  t  i5.  [b]  PharsaL  i«  ai.  [e]  Trall.  4*  cap.  io. 


CANTO  XII.  ^75 

Che  fé'  Cicilia  aver  dolorosi  anni  : 
£  quella  fronte ^  eh'  ba  '1  pel  cosi  nero,        109 
E  Azzolino;  e  quel!' altro,  eh' è  biondo, 
È  Obizzo  da  Estì ,  il  qual  per  vero 
Fa  spento  dal  figliastro  su  nel  mondo.         1 1  a 

V,  34. 9^  L' Antico^  citato  nella  E.  F.,  crede  che  qai  debbasi 
iotcndere  di  Alessandro  il  Macedone,  sebbene  fosse  a  suoi  tempi 
da  alcuni  creduto  che  Dante  abbia  aui  inteso  di  parlare  di  Ales- 
taodro  Re  di  Gerusalemme,  bisavolo  di  Erode,  uomo  crudelis-* 
timo,  di  cui  parla  Giuseppe  Flavio  nella  sua  Storia.  —  II  Bia- 
gioK  è  di  parere  che  Dante  qui  parli  di  oueirAlessandro  Fé- 
rèo,  atrocissimo  tiranno,  di  cui  intende  che  parlasse  anch«  il 
PMnurca  nel  Trionfo d^jé more  in  questi  versi. 
Qué^duo^  pien  di  paura  e  di  sospetta  ^ 
Vuno  è  Dionisio ,  e  Poltro  è  jilessandro .  4-« 
—  Dionisio  fero,  Dionisio,  tiranno  di  Siracusa  faiSi<- 
cifia,  notissimo  nelle  storie  greche.  Yolfi. 

to8  Cicilia^  per  Sicilia ^  scrìssero  spesso  gli  anticfaL -- m^e r 
dolorosi  anni ,  con  frase  somigliante  diciamo ,  dare  il  mal  anno^ 
»ere  il  mal  anno^as^er  dunque  dolorosi  anni  vorrà  dire  aver 
lunghi  guai. 

1 1  Qjézzolinoj  o  Ezzelino ,  di  Romano,  Vicario  imperiale  nella 
Maixa  Trìvigiana,  e  tiranno  crudelissimo  de 'Padovani.  Volfi. 
s-^Fd  della  (amiglia  dei  Conti  di  Onara ;  nacque  nel  1  iq4,  e  ti- 
niue^ò  la  Marca  Trìvigiana  e  parte  della  Lombardia  dal  1  %ìq 
al  1 260.  E.  F.(V.Sansov.  Urig»  delle  famiglie  illus.  d'Italia.)^^ 
1  i  I  Ila  Obizzo  da  Estij  Marchese  di  Ferrara  e  della  Marca 
d'Ancona,  uomo  crudele  e  rapace,  che  fu  soffogato  da  un  suo 
figlinolo,  detto  dal  Poeta  per  l'atto  inumano  figliastro  ;  benché 
Don  si  scoperse  mai  bene  il  fatto,  uè  si  venne  in  chiaro  chi 
ne  fosse  veramente  stato  il  micidiale,  ed  altrì  innocenti  ne  fu- 
HMio  a  Corto  incolpati .  Vehtuiu  . 

Appunto  per  mostrarsi  Dante  notizioso  di  tale  storico  con- 
trtsio  v*aggiunge^er  vero,  che  vale,  per  dir  quello  eh* ève" 
rumente .  m^  ce  Questi  (Obizzo)  fu  uomo  gentile  e  potente.  Fu 
»  «'letto  per  la  Chiesa  in  Marchese  della  Bf  arca  d'Ancona ,  dov(* 
»<rioclito  e  di  licito  guadagnò  tanto,  che,  tornatosi  ad  Esti, 
»  con  aiuto  de' suoi  amici  occupò  FeiTara,  e  caccionue  poi  fuor 
M  li  nobili  Vincìguerrì,  e  la  parte  dello  Imperio . .  •  Finalmontf 


270  INFERNO 

Allor  mi  volsi  al  Poeta,  e  quei  disse: 
Questi  ti  sia  or  primo,  ed  io  secondo. 

Poco  più  oltre  '1  Centauro  s'affisse  1 15 

Sovr'  una  gente ,  che  'niìno  alla  gola     • 
Parea  che  di  quel  bulicame  uscisse. 

Mastrocci  un'  ombra  dall'  un  canto  sola ,       118 
Dicendo:  colui  fesse  in  grembo  a  Dio 

»  con  un  primaccio  fu  soffogato  da  Azzo  suo  figliuolo .  »  G)&i 
l'Antico  nell'E.  F.  <mì 

1 1 3  Allor  mi  volsi  al  Poeta.  VoltossI Dante  a  Vii^io,  pa- 
rendogli da  lui  9  e  non  dal  Centaui'Oy  avere  ad  essere  iuformato 
degli  spilliti  di  quel  luogo.  Vbllut£llo. 

1 1 4  1 1 5  £1  sia  or  prirno ,  ti  sia  ora  maestro  ;  -  ed  io  secon- 
do y  ed  io  sarolti  dopo  di  ììiì.'^s^afpssej  fermossi.  Dabiello. 

116  117  uscisse  dal  bulicame  fino  alla  gola  vale  il  mede- 
simo che  ai^esse  tutto  il  capo  fuori  del  bulicame  •  Chiama  bu- 
licame quella  fossa  del  sangue  bollente ,  per  similitudine  del 
Bulicame  di  Viterbo ,  che  è  si  caldo ,  die  vi  si  cuocerebbero  le 
uova.  BuTi  [a\. 

1 1 8  Sola  y  accenna  la  singolarità  del  delitto  da  lei  commesso. 

fio  lao  colui  ec.  Nell'anno  1270  Guido  yO)nte  diMonfor- 
le  y  nella  città  di  Viterbo ,  in  chiesa  e  in  tempo  di  messa ,  anzi  nel 
tempo  stesso  dell'elevazione  della  sacra  Ostia ,  con  una  stocca- 
ta nel  cuoi^  proditoriamente  ammazzò  Arrigo  >  nipote  d'Arri- 
go III.  Re  d* Inghilterra,  in  vendetta  dell' obbrobriosa  morte 
che  Adoardo,  cugino  dell'ucciso,  aveva  per  giusta  ragione  di 
stato  fiitta  in  Londra  subire  a  Simone  di  Monforte  suo  genit(H^. 
Ti-asferito  in  Londra  il  coi*po  del  morto  Arrigo,  fu  sopì  a  dì 
una  colonna,  a  capo  del  ponte  sul  Tamigi,  riposto  il  di  lui 
cuore  entro  una  coppa  d*oro,  per  ricordare  agl'Inglesi  Toltrag- 
gio  ricevuto  [&].  Questa  notizia  premessa,  ecco  la  costmzioDc 

[a]  Citato  dal  Vocabolario  della  Cr.  alla  voce  Bulicame,  [b]  Il  Landi- 
no» Vellotelloy  Daniello  e  Yen  (uri ,  tutti  d'accordo  dicono  la  coppa 
eoo  entro  il  cuore  d'Arrigo  posta  in  mano  alla  statna  del  medesimo 
Arrigo,  innalzata  sopra  il  di  lui  sepolcro  nella  cappella  dei  He. Caio. 
Villani  però,  piii  favorevolmente  al  parlare  del  Poeta  nostro  ,  riferisce 
collocata  quella  coppa  su  di  uoa  colouua  sopra  il  poute  del  Tarn 
Cron,  lib.  7.  cap.  40* 


%'- 


CANTO  XII.  177 

Lo  cuor,  che  'n  su  '1  Tamigi  ancor  si  cola  • 
Poi  vidi  genti ,  che  fuori  del  rio  1 21 

Tenean  la  testa,  e  ancor  tutto  '1  casso: 

E  di  costoro  assai  riconobb'  io  • 
Cosi  a  più  a  più  si  facea  basso  1  i4 

Quel  sangue  sì ,  che  copria  pur  li  piedi  : 

£  quivi  fu  del  fosso  il  nostro  passo. 
Siccome  tu  da  questa  parte  vedi  1 27 

Lo  bulicame ,  che  sempre  si  scema , 

insieme  e  spiegazione  de' presenti  due  versi.  Colui y  Guido  di 
Mooforte,  in  grembo  a  Dioj  espressione  enfatica  invece  di  dire 
nella  casa  di  Dio  ed  alla  di  lui  pi*esenza  ;  fesse  y  da  fendere ,  ia- 
gliò ,  ferì  lo  cuor  di  Arrigo ,  che  *n  sul  Tamigi  [a J ,  sul  pont« 
del  Tamigi  ;  ancor  si  cola  gli  E^ositori  tutU  intendono  per 
antitesi  detto  invece  di  si  cole  »  si  onora  ;  chi  sa  però  che  non 
fnsse  quella  coppa  forata  a  guisa  di  colatoio  j  acciò  se  ne  ve- 
desse il  sangue  a  scolare  ^  e  cosi  maggiormente  si  eccitassero 
gli  animi  alla  vendetta  ;  e  che  ancor  si  cola  non  vaglia  quanto 
ancora  se  ne  sta  nel  colatoio?  »-^Il  Biagioli  trova  questa  se- 
conda opinione  del  Lombardi  indegna  di  lui,  non  che  di  Dan- 
te, e  ridicola  quanto  mai  si  può  aire;  né  in  questo  sappiamo 
come  il  Lombardi  possa  aver  luogo  a  buona  difesa  •  4hì 

la I  Poi  %^idi  genti ,  che piori  del  rio  f  legge  la  Nidob.  ; 
Po\idi  genti,  che  di  fuor  del  rio yV altre  eóiziom  »-^rAng. 
E.  R.  •>-  La  lezione  di  Nidobeato,  secondo  il  Biagioli,  dà  al 
verso  un'armonia  disconvenevole  affatto  al  sentimento  in  lui 
compreso .  «-• 

laa  Casso  (chiosa  il  Vocab.  della  Cr.),  la  parte  concav^a 
del  corpo  circondata  dalle  costole ,  lat.  awsum ,  Amob.;  ed 
oltre  a  varj  esempì  del  nostro  Poeta,  ne  allega  altri  di  autori 
diversi. 

134  A  pia  apiùj  lo  stesso  che  di  mano  in  mano  più.  Vo- 
cabolario della  Crusca. 

1 75  pur  li  piedi  j  solo  i  piedi.  a-^Gosl  anche  Torelli  •<-« 

[«]  Ripartaci  tal  leaione»  invece  della  volgata  «  che  *n  su  Tamigi ,  irò- 
vaia  nel  ma.  di  Filippo  Villani»  il  eh.  autore  degli  Jneddoli,  Vero- 
"**790»n.  v.fac.  la. 


378  INFERNO 

Disse  1  Centauro,  voglio  che  tu  cretii 
Che  da  quest'altra  più  e  più  giii  prema        i3o 
Il  fondo  suo,  iufin  che  sì  raggiunge 
Ove  la  tirannia  coovien  che  gema . 
La  divina  Giustizia  di  qua  punge  i33 

QuelFAttiia,  che  fu  flagello  in  terra , 
E  Pirro,  e  Sesto  ;  ed  in  eterno  munge 
Le  lagrime,  che  col  bollor  disserra  i36 

i3o  al  l'oli  pia  e  più  già  prema  ec.j  di  mano  Iti  numo  ab- 
bAftsi  il  fondo  suo 9  fino  che»  circolarmente  aggirandosi,  si  rio- 
nisce  là  dove  prima  vi  vedemmo  Alessandro  e  Dionisio,  egli 
altri  tiranni  immersi  infino  al  ciglio*  m^  Mei  si  raggiunge y 
ha  il  Yat.  3 199;  -  e  cosi  legge  pure  Torelli  chiosando:  «c<fi;(ii 
•»  ch^egli  s^arrii^a;  raggiungere  ^r giungere j  il  verbo  compo- 
n  sto  pel  semplice.  Altri  intende ,  infinche  il  fondo  svanisce;  e 
a>  non  so  quanto  bene .  »  ^hi  Che  da  queltaitr^a  più  a  più ,  leg- 

Sono  l'edizioni  diverse  dalla  Nidob.»  »-^ed  il  Biagioli,  senaiirao- 
ogli  formola  più  bella  assai  che  il  più  e  più  della  Nid(d>.4-c 
i34  Attila y  Re  degli  Unni»  che  fu  appellato  Flagello  di 
Dio . 

i35  1 36  Pirro 9  Re  degli  Epiroti  o  Albanesi,  avidissimo 
d'imperio  ed  implacabile  nemico  de'Romani .  Altri  intendono 
dì  Pin-o  figliuolo  d'Achille,  e  questi  siegue  il  P.  d'Aquino,  Pe- 
lidde  hic  soboles;  sebbene  il  Volpi  tiene  per  indubitato  che 
non  deve  intendersi  di  questo.  Vertvki. 

Sesto  Pompeo  (spiega  giustamente  il  Daniello),  fY^uo/e 
fu  grandissimo  corsale ,  come  dimostra  Lucano ,  il  quale  di 
lui  parlando  dice  : 

Seztus  erat  magno  proles  indigna  parente  ; 
Qui  moz  scyllaeis  exsul  crassatus  m  undis 
PoUuit  aeqnoi'eos  Siculus  pirata  trìumphos  [aj. 
ji tenni  (  siegue  }  dicono  cosini  essere  stato  Sesto  Jarqui- 
nioy  che  violentò  Lucrezia. 

Il  Venturi,  riferite  ambe  queste  opinioni ,  soggiunge  che 

3uanto  a  lui  è  più  probabile  che  il  Poeta  non  intendesse  n^ 
etTunOy  né  deiraltro  ^  per  non  essere  stati  propriamente 

[a]  V?ggasì  aiiclie  Floio,  Epitome  lib.  ia3. 


CANTO  XII.  aV9 

A  Rmielr da  Cometo,  a  Rinier  Pazzo, 
Che  fecero  alle  strade  tanta  guerra  : 
Poi  sì  rivolse,  e  ripassossi  '1  guazzo. 

tiranni  j  ma  ili  Sesto  Claudio  Nerone  f  crudelissimo  Impe* 
rotore  e  tiranno . 

Due  errori.  Il  primo  è  di  non  ricordarsi  che  in  questo 
cerchio  bolle  -  Qualj  che  per  violenza  in  altrui  noccia  \a\ ,  e 
non  i  soli  propriamente  tiranni.  L'altro  è  di  cognominar  iS^- 
sto  Nerone  Imperatore,  non  si  trovando  dati  lui  altri  nomi  che 
di  Claudio  Domizio  Nerone.  Peitanto  sono  di  avviso  con  Da- 
niello che  debba  intendersi  Sesto  Pompeo  ^  o  Sesto  Tarqui" 
nio.  »^Mail  Poggiali,  coi  più  sensati  Cementatori ,  pensa  che 
il  Poeta  alluda  qui  unicamente  al  primo ,  troppo  noto  per  le 
vili  sue  piraterie.  4~m  in  e  temo  munge  -  Le  lagrime  j  aprane , 
Gì  uscir  le  lagrime  etemalmente,  —  che  col  bollor  disserra , 
alle  quali  col  bollore  apre  la  porta,  m-^quel  bollor ^  ha^  con 
buona  variante ,  il  cod.  Antald.  E.  R.  ^-m 

tìy  i38  Rinier  da  Corneto  infestò  co' ladronecci  la  spiaggia 
nuittima  di  Aoma  ;  e  Rinier  della  nobile  famiglia  ed* Pazzi  no* 
itentioo,  fu  fiunoso  assassino  ancor  esso*  YmBiVM.m^a  Rinier 
Pazso ,  leggono  TAng.  e  TAntald.  E.  R.-e  noi  colYat.  3  i^g^^Hi 
189  si  riiH}lse.  Nesso  Centauro  che,  come  nel  i^.  ia6.  è  det^ 
U>,  aveva  coi  Poeti  passato  quel  sanguigno  fosso ,  portando 
(s* blende,  giusta  la  petizione  di  Vii^lio,  i^.  gS»)  Dante  sulla 
S'appai  ora  sen  toma  indietro  e  ripassa  il  guazzo^  il  foaso 
medesimo,  per  riunirsi  a  Chirone  ed  agli  altri  compagni. 


[fl] Tersi  47.  e  4^- del  presente  canto. 


J 


CANTO   XIII 


i»»>> 


ARGOMENTO 

Entra  Dante  nel  secondo  girone^  ave  sono  puniti  que- 
gli che  sono  stati  violenii  cantra  loro  stessi,  e 
quegli  altri  che  hanno  usata  la  violenza  in  ì-uina 
de*  lofo  proprjheni.  I  primi  trova  trasformati  in 
nodosi  ed  aspri  tronchi ,  sopra  i  quali  le  Arpie 
fanno  nido  •  /  secondi  vengono  seguitati  da  nere  e 
bramose  cagne,  tra'  quali  conosce  Lana  sanese  e 
Iacopo  padovano.  Ma  prima  ragiona  con  Pietia 
dalle  Vigne,  da  cui  intende  la  cagione  della  sua 
-morte,  e  come  le  anime  si  trasformano  in  quei 
tronchi  :  ed  ultimamente  ode  da  un  Fiorentino  la 
^cagione  de* calamitosi  avvenimenti  della  città  sua^ 
e  ch'egli  nella  propria  casa  f  ossesi  da  se  medesimo 
appiccato  • 


N 


on  era  ancor  di  là  Nesso  arrivalo,  i 

Quando  noi  ci  mettemmo  per  un  bosco. 
Che  da  nessun  sentiero  era  segnato. 

m-^  «Bellissimo  oltre  ad  ogni  credere  si  è  tutto  questo  can- 
^  tOy  e  di  ricchezze  pellegrìoe  di  poesia  e  di  lingua  aUxMidaii- 
»  tissimoy  le  quali,  non  si  potendo  a  una  a  una  annoverare,  le 
»  lascio  al  discernimento  deiraccorto  lettore. i>  BiacioIiI. 4-a 

I  di  là  dalla  sanguigna  fossa  sopraddetta. 

a  3  ci  mettemmo,  c'incamminammo. -^ioxco  da  nessmn 
sentieio  segnato  vale  saluatichissimo  .  m^  Di  nessun  sentiero 
ha  più  gentilmente  il  cod.  Antald.  E.  R.  «^ 


CANTO  XIII.  a8i 

Non  frondi  verdi ,  ma  di  color  fosco  ;  4 

Non  rami  schietti ,  ina  nodosi  e  'nvolti  ; 
Non  |x>mi  v*eran,  ma  stecchi  con  tosco, 

Non  han  sì  aspri  sterpi ,  né  si  folti  7 

Qaelle  fiere  selvagge,  che  'n  odio  hanno 
Tra  Cecina  e  Corneto  ì  luoghi  colti . 

Quivi  le  brutte  Arpie  lor  nidi  fanno,  io 

4  B-^  Non  fronda  verde  ^  leggono  i  codd*  Antald.  e  Ang. 
E.  R.  —  e  il  Vat.  3 199. 4-« 

5  rami  schietti  j  dritti  e  senza  nodo .  Petrarca  :  In  un  bo» 
tchetto  nuoi^o  i  rami  santi  -  Fiorian  d'un  lauro  gioi^inetto 
e  schietto  •  Ed  altrove  :  Schietti  arboscelli  ^  e  verdi  frondi 
acerbe •  DahiblIiO.  '^ incolti ,  intralciati. 

6  stecchi  con  tosco  vale  quanto  spine  e  tossico .  Stecco  , 
spiega  il  Vocabolario  della  Crusca,  spina  eh* è  in  su  U  fusto  j 
0  tu' rami  d* alcune  piante, 

7  al  9  Cecina ,  fiume  che  sbocca  in  mare  mezza  giornata 
lontano  da  Livorno  verso  Roma.  Corneto  j  piccola  città  della 
provincia  del  Patrimonio .  In  questo  tratto  di  maremma  vi  sono 
boschi  e  macchie  foltissime,  e  sono  popolate  di  daini,  caprioli 
e  cignali ,  fiere  che  amano  il  salvatico  e  fuggono  il  domestico 
(i  laoghi  colti  )•  Vbhtubi. 

10  brutte  Arpie*  m^  Sono  le  Arpie  uccelli  &volosi  con  viso 
p  collo  di  donzelle .  I  poeti  le  dissero  figlie  di  Tanmante  e 
d'Elettra.  Furono  tre,  chiamate  Aelo ,  Ocipete  e  Celeno.  Pre- 
dicevano i  destini .  Si  finsero  rapacissime ,  e  perciò  i  poeti ,  dal 
greco  ipTiiS^t^y  <^he  significa  rapire ,  le  chiamarono  Arpie.  •«-• 
Ecco  come  le  descrive  Virgilio  : 

Tristius  haud  illis  monstrum^  nec  saeuior  uUa 
Pestis  et  ira  deum  stjrgiis  sese  extulit  undis  • 
yirginei  volucrum  vultus ,  foedissima  ventris 
Proluuies  y  uncaeque  manusj  et  pallida  spmper 
Ora  fame  [a] . 
—  nidi,  la  Nidobeatina;  e  nido  j  Talune  edizioni,  i^lì  co- 
dice Vat.  3199  legge ,  QiuVi  lor  nidio  le  btutt* Arpie  fan^ 

[«]  Àeneid^  iiJ«  9 1 4*  ^  segg. 


aSa  INFERNO 

Che  cacciar  delle  Stro£ide  i  Troiani  ^ 
CoD  tristo  aoQuazio  di  futuro  danno. 

Ali  hanno  late  •  e  colli ,  e  visi  umani ,  1 3 

Pie  con  artigli,  e  pennuto  1  gran  ventre: 
Fanno  lamenti  ia  su  gli  alberi  strani . 

E  *1  buon  Maestro:  prima  che  più  entre,        i6 
Sappi  che  se*  nel  secondo  girone, 
Mi  cominciò  a  dire,  e  sarai,  mentre 

Che  tu  verrai  nell'orribil  sabbione.  19 

Però  riguarda  ben  se  vederai 

1 1  Che  cacciar  ce.  RaccoDta  Vii^Iio,  nel  citato  luogo  9  che 
essendo  nel  suo  viaggio  Enea  coi  Troiani  compagni  approdato 
Mi^Strofade  (isole  del  mare  Ionio,  o^^ Stridali  volgarmente 
appellate  \a\)t  l'Arpie,  che  in  quelle  isole  abitavano,  a  forxa 
d'insulti,  e  massime  col  rapire  ed  imbrattare  ai  Troiani  le  vi- 
valide,  li  costrinsero  presto  pi^esto  a  partirsene  di  là . 

la  Cqìk.  tristo  annunzio  ec,  predicendo  a' Troiani  da  ona 
alta  rupe  un'Arpia: 

Ibitis  Italiani  ^portusqueintrare  licebit. 
Sied  non  ante  aatam  cingetis  moenibus  urbemy 
Quam  POS  dira  fames ,  nostraeque  iniuria  caedis 
Jimbesas  subigat  malis  absumere  mensas  [&J. 
Predizione  che  forte  li  sbigotti ,  ma  che  poscia  revento  dimo- 
strò enigmatica;  e  che  per  le  mense  intendevansi  le  stiaoctate 
di  pane ,  che  una  fiata  mangiando  sul  prato  fecero  servire  di 
mense ,  mettendole  sull'erba ,  e  soprapponendo  alle  ■*^^^"»* 
le  frutta  per  cibo  destinate  [e] . 

1 3  m-^  Ale  hanno  late ,  colli  e  visi  umani  ^  legge  TAnuld. 
E.  R.4-« 

i5  m-^  Fanno  i  lamenti,  ha  TAng.  E.  R.4hì 
*    1 8  19  mentre  ^Che  per  infinattantoché  ^  in  cotiispooden- 
za  al  latino  donec  \d\  •  ^neirorribil  sabbione  del  girone  teno. 

20  riguarda  ben ,  considera  e  nota  bene.  —  riguarda  ben 
se  i^ederai ,  legge  la  Nidobeatii>a  ;  riguarda  bene ,  e  sì  vedrai^ 


[a]  Ferrar.  Lexic.  Geogr.  [b]  Aeneid,  nt.  a 54.  e  segg.  [c\  jteneid*  vu. 
109.  eseg«  [d]  Tedi  il  CÌDon.«  Panie.  1.  cap.  171. 


CANTO  Xin.  a83 

Case,  che  daran  fede  al  mio  sermoDe. 

Io  sentia  già  d'ogDÌ  parte  trar  guai,  ili 

E  QOQ  vedea  persona  che  '1  facesse  : 
Perch'  io  tutto  suiarrito  m'arrestai. 

Io  credo  eh'  ei  credette  eh'  io  credesse,  a 5 

l^eono  le  altre  edizioni .  —  Vederai ,  cosi  la  Nidobeatina 
anche  altrove .  Vedi  il  %f,  17.  del  passato  canto  111.  e  (jnella 
nota.  Wh¥  Però  riguarda  ben;  sì  veder  ai  ^  legge  il  codice  Vai. 
8199.  Il  Biagioliy  che  legge  colla  Cmsca,  vuole  che  la  lezio* 
ne  di  Nidob.  an*echi  orribil  guasto  al  sentimento  ed  ai  versi . 
Confessa  che  nelle  parole  del  testo,  logicamente  parlando,  la 
coslnuione  è  viziata,  e  conclude  che,  se  fosse  lecito  ad  alti4 
por  mano  alle  cose  dei  grandi ,  avrebbe  sostituito  al  testo  la 
seguente  lezione: 

Però  riguarda  bene ,  e  sì  vedrai 

Cose  I  che  daran  fede  al  mio  sermone  • 
Per  queste  parole  mio  sermone  j  vuole  poi  che  s'intenda 
dò  che  \ii*gilio  ha  detto  nel  11 1.  della  Eneide  in  quei  vani  die 
nccontano  come  il  morto  Polidoro  parlò  ad  Enea .  4-a 

3 1  Cose  f  che  daran  fede  ec*  ;  legee  la  Midobeatina  ;  ove  le 
altre  edìz .  (m^  e  i  codd. Àng. e  Antald.,  E.  R.,  e  il  Vat  3 1 99 <-« ) 
leggono,  Cose  ,  che  torrien  fede  ec.i  alla  qual  lezione biso* 
gnerebbe  sottintendere  se  le  dicessi  ^  e  supporre  che  non  le 
dicesse  mai  •  Avendo  adunque  Virgilio  cofcali  mirabili  strava- 
gaaze  raccontate  già  nella  sua  Eneide  \a\^  e  supponendo  es* 
iVi  Dante  di  cotal  suo  racconto  notizioso  ed  incredulo  9  come 
pel  verso  46.  e  segg.  apparisce,  resta  che  la  Nidobeadna  le« 
liooe  sia  la  preferibile. 

%%  Io  sentia  già  d'ogni  parie  trar  guai  j  cosi  laNidobea* 
tina;  e  l'altre  edizioni,  P  sentia  d*  ogni  parte  tragger  guai. 
Trarre  o  traggere guai  vale  lamentarsi.  Vedi  il  Vocabolario 
deUa  Crusca  sotto  i  verbi  Tirare  e  Trarre^  $•  117.»-^  trarre 
guai  espulso  il  già  ,  legge  il  codice  Antaldino,  E.  R»,  —  e  il 
cod.  Vat.  3199.  E  a  dir  vero  quel  già  della  Nidobeatina  ren- 
de il  verso  disarmonico  e  saltellante ,  come  osswva  anche  il 
Bi«gioli.4-« 

u'ó  Io  credo  ch^ei  credette  j  ec»  Il  Venturi  giudica  questo 
[a]  Lib.  ui«  «3.  e  segg. 


i84  INFERNO 

Che  tante  voci  uscisser  tra  que'  bronchi 
Da  gente,  che  per  noi  si  nascondesse: 
Però,  disse  'I  Maestro,  se  tu  tronchi  28 

Qualche  fraschetta  d'una  d'este  piante. 
Li  pensier,  eh'  hai,  si  faran  tutti  monchi . 

scherzo  di  yarole' poco  degno  d^  imitazione  ^  né  gli  basta  che 
imitasselo  PAriosto: 

Io  elodea  ^  e  credo  ,  e  creder  credo  il  vero  [a]  . 
ed  avrebbe  invece  voluto  detto: 

rpenso  d%* e* stimasse  ck* Scredessi. 
Nel  verso  però  di  Dante^  se  non  vi  fosse  altro^  v'è  almeno  lo 
scherzo  y  e  non  v*è  quella  ricercata  e  fredda  mutazione  di  si- 
nonimi, nò  quel  fascio  d'erano,  asse^  essi^  che  ci  vorrebbe  ca- 
ricare il  Venturi,  m^  Questa  maniera  non  è  molto  dissimile  da 
quella  usata  da  Persio:  scire  nihil  est^  nisi  te  scire  sciatala 
ter.  Torelli.  —  Cred^io^ec-y  legge  il  Vat  3 199.  —  Anche  il 
Biagioli  difende  a  tutta  possa,  e  con  un  esempio  del  Boccaccio 
e  parecchi  altri  dell'Aidosto,  questo  verso  di  Dante.  Ma  il  dotto 
Cementatore  ci  perdoni  l'osservazione.  Il  Decamerone  edilFn* 
rioso  sono  produzioni  d' un  genere  da  quello  della  Divina  Com- 
media assai  differente.  In  esBe  può  lodarsi  ed  ammettersi  ciò 
che  alla  seria  ed  alta  poesia  non  s' addice.  Ne  a  torto,  a  parer 
nostro,  questi  freddi  giuochi  di  parole  vennero  rimproverati 
ai  per  altro  incomparabile  Tasso.  Senza  però  intendere  di  vo- 
lerne qni  fare  col  Venturi  un  gran  reato  al  Poeta  nostro ,  ci  per* 
metteremo  di  osservare  che  simili  schermi  di  vocaboli  servono 
di  spiacevole  distrazione  allo  spirito,  raffreddando  il  sentimento, 
diminuendo  1* interesse,  e  muovendo  quasi  a  dispetto  il  lettore 
tutto  assorto  nella  contemplazione  di  oggetti  gravi  ed  elevati . 
—  n  Poggiali  esclama  qui  contro  V  espressione  io  credesse , 
,  inflessione  nella  prima  peraona  dell'imperfetto  del  subiontivo, 
che  la  lingua  nostra  non  ha  mai  ammessa,  e  che  ha  rilasciata 
totalmente  alla  rispettabile  antichità  •  4hì 

36  Wh¥  di  que^brondiiy  ^<^g^  TAntold.  E.  R.  ^^ 
3o  si  faran  monchi  j  tix>ncneranno  e  cacceranno  il  pr^a- 
dizio  che  presentemente  l'ingombra:  ovvero  appariranno,  qua* 
li  sono ,  manchi  e  difettosi . 

[a]  Fur.  cant.  iz  st.  a3. 


CANTO  XIII.  285 

Ailor  pors'  io  la  tuano  un  poco  avante,  3 1 

£  colsi  un  ramicello  d'un  gran  pruno, 

£  1  tronco  suo  gridò  :  perchè  mi  schianto  ? 
Da  che  fatto  fu  poi  di  sangue  bruno ,  34 

Ricominciò  a  gridar:  perchè  mi  scerpi? 

Non  hai  tu  spirto  di  pietate  alcuno  ? 
Uomini  fiimmo,  ed  or  sem  fatti  sterpi:  37 

Ben  dov rebb^  esser  la  tua  man  più  pia , 

Se  stati  fossim'  anime  di  serpi. 
Come  d' un  stizzo  verde ,  oh'  arso  sia  4^ 

Dall' un  de' capi,  che  dall'altro  geme, 

E  cigola  per  vento  che  va  vìa  j 
Così  di  quella  scheggia  usciva  insieme  43 

Parole,  e  sangue;  ond'  io  lasciai  la  cima 

3i  Allor  pors^  io  j  legge  la  Nidobeatina  ;  e  j4Uor  porsi  ^  le 
tltre  edizioni:  «-^  e  il  Biagioli  pretende  che  la  lezione  di  Nidob. 
tolga  non  so  qual  grazia  al  verso.  «-■ 

^im^E  colsi  un  rcuniselda  un  gran  pruno  j  legge  il  cod. 

33  sAianie^  antitesi,  ìnyece  di  schianti.  Schiantare ^  rom^ 
pere  con  violenza y  spiega  il  Vocab.  della  Crusca. 

3S  mi  scerpi  f  alFistesso  senso  del  latino  discerpere*  Scer^ 
pffrcy  rompere  i  guastare  y  Schiantare  ^  spiega  il  Vocabolaiìo 
della  Crusca  9  che  poteva  aggiungervi  anche  dilacerare*  La  Ni- 
dobeatina legge ,  mi  sterpi. 

39  Se  per  ancorché ^  quantunque.  Vedi  il  Ginonio  [aj. 
»^  Ile  jrote  legge  il  Vat  8199.  «^ 

40  Comcj  sottintendi  ai^iene,  <—  stizzo ,  tizzone  9  tizzo  9 
Vedi  il  Vocabolario  della  Crusca.  »-►  Come  di  un  tizzon  uer^ 
ff^  ^. ,  legge  il  cod.  Poggiali ,  e  rende  il  verso  migliore .  ^hi 

4i  •^aalVun  de* lati ^  Legge  il  Vat.  3199.  ♦-■ 
4^  cigola .  Cigolare  pare  appunto  verbo  formato  dal  suono 
Hie  manda  il  tizzo  verde  che  abbrucia .  —  va  uia  per  esce . 
43  44  ■-►  Si  della  scheggia  rotta  uscii^a  insieme ,  bella 

.'ij  Patite.  aa3.  Duni.  9. 


!>86  INFERNO 

Cadere ,  €  stetti  come  Y  uom ,  che  teme  • 
S' egli  avesse  potuto  creder  pri  ma ,  4^ 

Rispose  '1  Savio  mìo,  anima  lesa, 
Ciò  eh'  ha  veduto  pur  eoa  la  mia  rima , 
Non  averebbe  in  te  la  man  distesa;  49 

Ma  la  cosa  incredibile  mi  fece 
Indurlo  ad  ovra,  eh' a  me  stesso  pesa. 
Ma  dilli  chi  tu  fosti,  si,  che  'nvece  5i 

D'alcuna  ammenda ,  tua  fama  rinfreschi 
Nel  mondo  su ,  dove  tornar  gli  lece . 

Tarlante  del  cod.  Antald.  E.  R.  4hì  scheggia  qui  per  tronco 
jteheggiaio ,  come  altrove  per  ischeggiato  scoglio  [a]  »  e  però 
uel  verso  55.  appella  tronco  quel  inedesimo  che  qui  scheggia 
appella .  —  usciva  insieme  -  Parole ,  e  sangue  ;  sillessi  j  coinè 
quella  di  Virgilio  nel  i .  dell'Eneide:  JJic  illius  arma ,  hic  cut' 
rusfuit.  •-►Ma  pretende  il  Biagioli  che  il  Lombardi  s'innnniy 
non  essendo  questa  di  Virgilio  unasillessi,  ma  bensì  on'ellissi , 
essendo  l' intero  costrutto  :  Hic  illius  arma  fuerunt  j  hic  illius 
currus  fuit  •  «-« 

46  47  Scegli  ecj  costruzione:  anima  lesa,  scegli  at^sse 
potuto  ec.  ;  e  vale  quanto  se  detto  avesse:  O  anima  offesa^ 
se  costui  allesse  prima  d'ora  potuto  piegar  sua  niente  a  ere- 
dere  ec- 

48  m^pur  con  la  mia  rima,  cioè  per  le  mie  sole  parole. 
ToftELLi.4Hi^rir,  ancora  .-rima ,  da  rhythmus  per  yersi^  con- 
venientemente dello.Bhjrthmus  est  i/ersus  imago  modulala  [6]. 
I  versi  di  Virgilio ,  che  ciò  raccontano,  sono,  com'è  detto,  del 
terzo  dell'Eneide . 

5 1  ad  oura ,  all'opera  di  troncare  il  ramicello,  consigliatagli 
ne* versi  28.  e  ag.;  — -  eh* a  me  stesso  pesa,  che  a  me  stesso 
Ùl  ribrezzo. 

Sa  al  54  <f'  ^6  ^ni^ce '^ D* alcuna  ammenda^  vale  quanto» 
sì  che  per  alcuna  ammenda,  cioè  per  qualche  compensazicMKN 
su  nel  mondo ,  dove  tornar  gli  lece ,  dove  di  ritomave  gli  è 
lecito,  rinfreschi j  rinnovi,  tua  fama, 

[a]  Inf.  'Svitt.  'lì  >\h]  Dìomed.  presso  Rob.  Slef.»  Thes^ur.  fin^. I«f. 


CANTO  XIII.  !i87 

E  '1  tronco  :  si  col  dolce  dir  m'adeschi,  55 

Gli'  ì'  non  posso  tacere  ;  e  voi  non  gravi 
Perch'io  un  poco  a  ragionar  m'inveschi. 

Io  soD  colui ,  che  lenui  ambo  le  chiavi  58 

Del  cuor  di  Federigo,  e  che  le  volsi, 
Serrando  e  disserrando,  si  soavi , 

Che  dal  segreto  suo  quasi  ogni  uom  tolsi  :      6 1 
Fede  portai  al  glorioso  uiìzio, 
Tanto ,  eh'  io  ne  perdei  lo  sonno  e  i  polsi . 

55  col  dolce  dir  m*adeschiy  colla  gradevole  esibizione  m'al- 
letti. 

57  a  ragionar  m'ini^eschi,  mi  attacchi  e  trattenga,  s-^/zi- 
vescarcj  quasi  andare  alPesca ,  appigliarsi  con  affetto  ad  una 
cosa.  fiiAGioLi.  —  iPifii^eschi  y  mi  lasci  vincere  dal- piacere  di 
ragionare  e  dairallettamento  di  quella  cortese  promessa  [a] . 
MovTi.  4-a 

58  69  ambo  le  chiatti  -^Del  cuor  di  Federigo.  Chiavi  me- 
taforicamente per  arbitrio  di  muoverlo  ad  amore  e  ad  odio.  E 
costai  che  parla  Pier  delle  Vigne,  Capuano ,  cancelliere  di  Fé* 
derigo  li .  Imperatore.  Fu  egli  un  tempo  caro  a  Federigo  sopra 
ogn'altro  ;  ma  poscia  accusato  essendo  da  maligni  ed  iuvidiosii 
cortigiani  d' infedeltà ,  e  di  aver  rivelati  i  segreti  alla  sua  fedw 
commessi ,  fu  dal  troppo  credulo  Imperatore  fatto  accecare  :  la 
quale  calamita  non  potendo  soffrire ,  s'uccise  da  sé  stesso  [6J. 

60  sì  soavi  f  invece  di  cosi  soavemente . 

61  Che  dal  segreto  suo  ec,  dalia  confidenza  di  Federigo. 
-- quasi  ogni  uom  tolsi  j  non  confidando  egli  segreto  quasi  a 
oissun  altro . 

6a  Fede  portai  per  serbai ^  mantenni,  m^al glorioso  Ho^ 
spitio  j  legge  qui  per  errore  il  Vat.  3 1 99.  ^hi 

63  Tanto  y  cA'io  ne  perdei  lo  sonno  e  i  polsi ,  legge  la  Ni- 
dob.  ed  altri  testi  veduti  dagli  Accademici  della  Crusca;  e  U 
sonni  e  i  polsi  ha  pur  veduto  altrove  scritto  il  Vellutello. 
Questa  lezione  mi  sembra  preferibile  all'altra  comune ,  lanto^ 
ch'iene  perderle  vene  e  i  polsi y  ■-►  Ch'è  pui*  quella  del  cod. 

[a]  Prop,  voi.  a.  P.  I.  fac.  aóf.  [b\  Gio.  VilUni,  lib.  6.  cap.  iS. 


a88  INFERNO 

La  meretrice 9  che  mai  dall'ospizio  64 

Di  Cesare  non  torse  gli  occhi  putti , 
Morte  comune,  e  delle  Goni  vìzio, 

Infiammò  contra  me  gli  animi  tutti ,  67 

£  gì' infiammati  infiammar  si  Augusto, 
Che  i  lieti  onor  tornaro  in  tristi  lutti . 

L'animo  mio  per  disdegnoso  gusto,  70 

Credendo  col  morir  fuggir  disdegno , 

AntaliL  E.  R.  e  delVat.  3 199;  4^  imperocché  alla  perdita  della 
vita,  che  sola  per  le  perdale  uene  e  polsi  s'intende  (ed  egual- 
mente anzi  per  la  sola  perdita  de'  polsi  y  che  per  la  perdila  delle 
vene  e  de'polsi),  fa  la  Nidob.  lezione  con  giusto  grado  precedere 
la  perdita  da  Piero  fatta  del  sonno  y  cioè  le  notti  da  esso  lui 
vegliate  per  esercitare  con  fede  ed  esattezza  il  suo  impiego  ; 
venendo  in  sostanza  a  dii^;  il  medesimo  che  se  avesse  invece  del- 
lo: Tanto  y  cK*io  vi  perdei  gli  agi  e  la  vita.  m^AX  Biagioli 
non  piace  la  lezione  della  Nidob.,  e  taccia  di  scipitezza  la  caiio- 
sa  del  Lombacdi  con  queste  parole:  cKG*rto  Dante  non  potè 
M  dir  cosa  tanto  scipita  ;  che  simile  sarebbe  al  dire  di  colui  che, 
u  per  mostrare  le  sue  perdite  y  dicesse:  ho  perduto  dite  lire  e 
»  cento  milioni,  Adunqne  la  parola  del  testo  vuol  dire ,  ch'io 
»  ne  perdei  la  vita .  m  ^hi 

64  al  66  La  meretrice  ec;  costruzione:  La  meretrice  (rin- 
vidia),  Morte  comune  (allusivamente  al  dello  della  Sapienza  : 
invidia  Diaboli  mors  introivit  in  orbem  terrarum  [aj),  e  vi" 
zio  delle  Corti  (per  de* cortigiani)  y  che  mai  torse  (voltò  via) 
gli  occhi  putti  (puttaneschi,  maliziosi ,  maligni:  allo  slesso  si- 
gnificato adopera  Dante  questo  addiettivo  nell*  undecimo  del 
Pui^.,  V.  i44-)  dairospizio  di  Cesare y  dall'imperiale  palagio. 

69  lutti y  pianti 9  guai.  »-»  Che  lieti  y  omesso  rarlicolo,  leg- 
ge il  Val,  3 1 99. 4-« 

70  disdegnoso  gusto  vale  gusto  arrabbiato  . 

7 1  fuggir  disdegno  per  fuggire  dispregio  (Vedi  il  Voca- 
bolario della  Crusca);  e  dice  credendo y  intendi  falsamente y 
perocché  uccidendosi  incontrò  peggior  disprezzo  nelF  Inièmo. 

\a]  Snp.  a.  34. 


CANTO  Xiri.  289 

Ingiusto  fece  me  contra  me  giusto. 
Per  le  nuove  radici  d'esto  legno  7.3 

Vi  giuro  che  giammai  non  ruppi  fede 

Al  mio  Signor,  che  fu  d'onor  sf  degno: 
E  se  di  voi  alcun  nel  mondo  riede,  76 

Conforti  la  memoria  mia,  ohe  giace 


7 a  Ingiusto  fece  me  ec*^  spingendomi  a  danni  non  merita- 
ta morte. 

yS  Per  le  nuo%^  radici  tTesto  legno ^  di  quest'albero,  in 
coi  mi  racchindo  ;  nuove  appellando  le  di  lui  radici  per  rap- 
porto a  quelle  d'altri  simili  alberi  d'anime  contro  sé  stesse  vio- 
lenti, cheiri  esser  dovevano  già  da  molti  secoli  ;  ed  il  parlante 
Piero  non  poteva  aver  contato  in  quel  luogo  che  una  cinquan- 
tina d*anni  in  circa  •  •->  Torelli  interpi*eta  nuoi^e  per  mirabili, 
-Oj^nendosi  al  Lombardi,  vuole  il  Biagioli  che  queirombra 
infelioe  chiami  nuoue  quelle  radici  per  la  novità  lagrimevole 
dello  stato  suo,  si  diverso  da  quello  che  già  fu.  4-« 

75  che  fu  d^onor  sì  degno.  Pare  (  chiosa  qui  il  Landino) 
che  l'autore  si  contraddica,  chiamando  Federico €/e^o  d*ono^ 
rCf  lo  goal  di  sopra  pose  come  eretico  e  nemico  della  sedo 
Apostolica  [a].  Ma  rispondo  che  non  parla  ora  il  Poeta ^  ma 
messer  Piero  ;  il  quale  volendo  persuadere  di  non  l' aver  tra- 
dito. Io  cbiama  degno  d^onore^  acciocché  per  questo  sia  ve- 
risimile che  non  l'avrebbe  tradito,  essendo  sì  degno.  O  vera- 
mente diciamo  che,  benché  avesse  il  visio  già  detto  di  sopra, 
nondimeno  in  molte  altre  cose  fu  eccellente,  e  massime  nella 
disciplina  militare  e  nella  signoria  ec.»->Equi  opportunamente 
ricorda  il  sig.  Poggiali  la  massima  esternata  da  Dante  [&] ,  che  i 
dannati  del  ano  Inferno  sanno  solamente  le  cose  avvenire,  ma 
che  delle  presenti  non  sono  punto  informati .  In  consc^enza 
di  qoeata  ignoranza  en|  dunque  ignoto  a  Pier  delle  Vigne  de 
Federigo  IL,  già  suo  signore,  fosse  da  5o  anni  a  quella  parte 
all' Intano  nel  cerchio  sesto  tra  i  miscredicnti ,  come  abbiamo 
veduto  sopra  al  i^.  1  ig.  e.  x.  ;  altrimenti  non  l'avrebbe  forse  qui 
chiamato  d'onor  si  degno .  ^-m 

77  che  giace  j  eh' è  vilipesa  « 

[a]  Caoto  X.  1 19.  [òj  laf.  e  x.  da!  r.  ^7*  al  n  8. 

FoL  L  1 9 


ago  INFERNO 

Ancor  del  colpo,  che  'nvidìa  le  diede. 
Un  poco  attese  ,  e  poi:  da  ch'eì  si  tace,  79 

Disse  1  Poeta  a  me,  non  perder  Fora, 

Ma  parla ,  e  chiedi  a  lui ,  se  più  ti  piace . 
Ond'io  a  Ini:  dimandai  tu  ancora  8:2 

Di  quel  che  credi  eh' a  me  soddisfaccia; 

Ch'io  non  potrei,  tanta  pietà  m'accora. 
Però  ricomincio  :  se  Y  uom  ti  faccia  85 


j6  del  colpo  f  del  fevdal.  Vedi  il  Cinonio  [aj.  s-^Ma  s'in- 
gamia,  dice  il  Biagioli,  poiché  del  colpo  è  un  compendio  di 
a  cagione  del  colpo  ;  onde  chi  sottilmente  guarda  «^accorge 
esaere  intenzione  di  chi  parla  d'aver  in  riguardo  la  cagione,  e 
non  l'effetto  suo;  che  non  la  pena,  ma  la  cagion  sua  è  quella 
che  disonora  .«-^ 

79  80  Uh  poco  attese  j  ec»;  costruzione:  Il  Poeta  j  Virgìlioy 
un  poco  attese  j  aspettò  [61,  e  poi  disse  a  me:  da  (per  già) 
ch^eisitaccf  non  perder  t  ora  j  il  tempo.  «-^  La  preposizione 
da  sta  qui,  e  in  ogni  altro  luogo,  per  sé,  cioè  per  indicare 
il  luogo  o  il  tempo  da  che  comincia  o  dee  cominciar  TazicMic. 

BlAGIOLl«4Hi 

81  se  pia  ti  piace  f  se  ti  piace  d'udir  da  lui  alcuna  cosa  di 
più. 

82  m^  dimanda  j  legge  l'Ang.  E.  R.  e  il  Vat.  3i9g.4-« 

83  eh' a  me  soddisfaccia ,  che  sia  per  soddisfarmi. 

84  Ch^io  non  potrei y  ec,  non  poti*ei  reggere  a  parlar  eoo 
lui,  tanto  il  mio  cuore  è  stretto  dalla  compassione  di  sue  di- 
savventure. 

85  all'87  se  Puom  ec.  Se  per  così,  deprecativo  (  in  quella 
guisa  che  i  Latini  adoperano  alcuna  fiata  il  sic.  Sic  te  diva 
potens  Cypri  [e]),  usato  dal  Poeta  nostro  in  piii  lucrili,  e  da 
altri  antichi  buoni  scrittori  [d],  È  adunque  il  sentimento:  O 
spirito  incarcerato  in  cotesto  tronco  ,  così  ti  faccia  ruomo 
(  o  per  quest^  uomo ,  cioè  Dante ,  o  il  singolai^  pel  plurale ,  per 

[a]  Par  tic.  la.  cap.  8t.  [b]  Del  verbo  Attendere  per  aspettare ,  ve«li 
li  Vocab.  della  Qrìisc^ .  m-^ Attendere  tkon  vuoi  dire  aspettare^  hm. 
stare ,  con  l'attenzione  aduna  cosa^  aspettando,  BiAciOLf.-«-«[cJ  Uor. 
lìb.  I.  ode.  3.  [d]  Vedi  il  Ciuon.>  Partie.  a33.  a.  12.  i3.  e  14. 


CANTO  xnr.  291 

Liberamente  ciò  ohe  1  tuo  dir  prega  , 

Spirito  incarcerato,  ancor  ti  piaccia 

i  dirne  come  T  ani  ma  si  lega  88 

In  questi  nocchi;  e  dinne,  se  tu  puoi, 

S' alcuna  mai  da  tai  membra  si  spiega . 

Allor  soffiò  Io  tronco  forte,  e  poi  91 

Si  converti  quel  vento  in  cotal  voce: 
Brevemente  sarà  ris])osto  a  voi . 

Quando  si  parte  l'anima  feroce  94 

Dal  corpo,  ond'ella  stessa  s'è  disvelta, 

gli  uonuni)  UbenunentSj  senza  incontrare  ostacolo  (o  fors'an- 
che  per  liheralnieìUe  ^  come  nel  xxxiii.  del  Par.  %^.  16.  caegg.: 
La  tua  benignità  non  put*  soccorre  —  A  chi  dimanda  y  ma 
moite /late  ^LihenAmenle  al  dimandai' precorre.);  ciò  che  7 
tuo  dir  prega  ^  che  si  confoìti  nel  mondo  la  memoria  tua^  ^-  77* 
m-*Perch*elli  incominciò  j  al  y.  85.|  legge  TAntald.  E.  R.,  e 
Perciò  ricominciò  y  il  VaU  3 1  gg*  -  je  Cuom  ti  faccia  ec,  V  noie 
il  Biagioli  che  se  qui  non  istia  per  coW,  qua  1  particella  depre- 
cativa 9  e  riempie  il  vuoto  dellellissi  in  questo  modo:  je  desi^ 
dero  che  Vuom  (  questi ,  cui  lece  tornar  nel  mondo  )  faccia  ec.^ 
dinne  f  in  ricambio  »  come  ec.  4-« 

89  nocchi.  JS occhio  j  spiega  il  Vocabolario  della  Crusca^, 
quella  parte  pia  dura  del  fusto  delTedbero  y  indufita  e  gon^ 
/tata  per  la  pullulazione  de* rami,  lat.  nodus;  ma  qui  nocchi 
sta  per  alberi  nocchiosi j  nodosi.  —  se  tu  puoif  se  ti  è  a  co- 
gnizione. 

90  si  spiega  f  sì  discioglie  y  si  sprigiona  •  ^^di  tai  menhbra , 
legge  il  Vat.  3 199. 4-« 

91  m^jillor  soffiò  ec.  Questo  sotBo,  ch*è  un  sospiro  di  do- 
lore 9  precede  naturalmente  il  parlare  d'ogni  misero  che  sidi« 
spone  al  racconto  di  ciò  che  gÙ  rammenta  la  cagione  del  suo 
tormento.  Biagiom.  «-« 

92  m^  %H}ce  si  prende  qui  non  per  una  sola  parola  9  ma  per 
più,  come  està  parola  nel  i>.  62.  del  cauto  iZTiii.deirinler- 
110  •  TomzLLf .  4-« 

93  Brevemente  ec:  sono  pai'ole  del  tronco^  ossia  di  Pier 
dalle  Vigne. 


^9^  INFERNO 

Minos  la  manda  alla  settima  foce. 

Cade  in  la  selva,  e  non  l'è  parte  scelta;  97 

Ma  là ,  dove  Fortuna  la  balestra , 
Quivi  germoglia,  come  gran  di  spelta. 

Surge  in  vermena,  ed  in  pianta  silvestra:      100 
L'Arpie,  pascendo  poi  delle  sue  foglie^ 
Fanno  dolore,  ed  al  dolor  finestra. 

96  JUinosj  detto  di  sopra  [a]  giudice  dell' Inferno ,  e  cono- 
scitor  delle  peccata  i  ^  settima  foce  ^  per'settimo  infemal  cer- 
chio .  jFocì  j  sinonimo  di  fauci  [&] ,  qui  per  cat^ità ,  bene  addi- 
tasi agi'  infernali  cerchj  y  die ,  secondo  intende  il  Poeta  y  sono 
circolari  fosse ,  che  tratto  tratto ,  facendo  rinfemal  ripa  dì  sé 
grembo,  viene  a  formare  ;  detti  pel  motivo  stesso  anche  lacche  [e]. 

97  98  non  rè  parte  scelta  ;  ec.  Dee  voler  Dante  con  ciò  in- 
dicato che  nell'ammazzare  uno  sé  stesso  non  interviene ,  come 
nell'ammazzar  altrui,  maggiore  o  minore  crudeltà  e  peccalo 
che  degno  sia  di  maggiore  o  minor  pena ,  non  cercando  in  realtà 
il  suicida  altro  che  il  termine  di  sua  noiosa  vita,  -/a  balestra. 
Balestrare  j  per  similitudine,  gittare ,  scagliare.  Vedi  il  Vo- 
cabolario della  Crusca. 

99  come  gran  di  spelta  :  quello  che  la  rima  ha  scelto  tn 
i  semi  facili  a  germogliare ,  de'  quali  uno  è  ceilamente  quello 
della  biada  appellata  italianamente  spelta  ^  e  da' Latini  zea. 

100  in%»ermenay  (che  vuol  dire  sottile  e  gioitane  ramicel- 
lo  [d])  prima,  e  poi  in  pianta  sihestraj  in  grosso  salvatico 
albero.  E  perchè  tra' viventi  ì  soli  vegetabili  sono  incapaci  di 
nuocere  a  sé  stessi ,  e  per  accemiare  che  l'uomo  uccisore  di  sé 
medesimo  è  indegno  di  vestire  anche  la  sola  apparenza  di  cpiel 
coipo  che  uccise,  perciò  dee  Dante  voler  vestita  cotal* anima 
di  forma  arborea. 

I  o  I  V Arpie ,  dette  nel  verso  i  o. 

1 03  Fanno ,  recano ,  dolore ,  per  essere  quelle  foglie  come 
le  carni  e  le  membra  de*  tormentati  ;  ed  al  dolor  finestra ,  per- 
chè dalle  rotture  e  squarci  delle  pasciute  foglie  disfoga  lo  spi- 
rito, e  manda *faori  coi  lamenti  e  coi  sospiri  il  dolore.  Qnesta 

[a JCanto  V.  4-  [^1  Vedi  la  ooU  al  pabSato  e.  vi.  3 1 .  [e]  Vedi  f nC  vii.  ■  6. 
[^j  Vocab  della  Crusca  • 


CANTO  XIIL  ^93 

Come  l'altre,  verrem  per  nostre  s{)ogliej      io3 
Ma  non  però  ch'alcuna  sen  rivesta; 
Che  non  è  giusto  aver  ciò  eh'  uom  si  toglie . 

Qui  le  strasdneremo ,  e  per  la  mesta  106 

Selva  saranno  i  nostri  corpi  appesi, 
Ciascuno  al  prun  dell'ombra  sua  molesta. 

Noi  eravamo  ancora  al  tronco  attesi ,  1 09 

Credendo  ch'altro  ne  volesse  dire, 
Quando  noi  fummo  d' un  rumor  sorpresi , 

Similemente  a  colui,  che  venire  1 1  a 

Sente  '1  porco ,  e  la  caccia  alla  sua  posta , 

è  la  risposta  alla  prima  interrogazione:  come  Pamoèa  silega 
-  In  auesti  nocchi.  Vutuai. 

loi  al  108  Come  l'altre  ec.  Rende  ora  negativa  risposta 
alla  seconda  interrogazione  :  S*alcuna  mai  da  tai membra  si 
spiega;  facendo  ai  Poeti  noto  che  neppur  dopo  il  finale  giu- 
dizio usciranno  le  anime  dalla  prigionia  di  que' tronchi;  non 
prescindendo  dalla  ^ferità  del  penultimo  articolo  del  Credo^ 
come  rimprovera  il  Venturi ,  ma  prendendo  poeticamente  quel- 
r  articolo  in  senso  accomodo  rispettivamente  a' suicidi,  accoi^ 
dando  loro  la  sola  l'esurrezione  della  carne  »  e  non  la  formai riu« 
nione .  ■->  ma  non  per  ciò ,  legge  il  Vat .  3 1 99.  ^-m  al  prun  del^ 
l'ombra  sua  molesta ,  all'albero  che  rinserra  la  sua  ombra , 
r  anima  sua ,  a  sé  molesta ,  micidiale  ;  •-»  e  Biagioli  spiega  mo^ 
testata  j  come  suona  la  voce.  4-«  Pruni  appella  quegli  alberi, 
perocché  aventi ,  come  nel  principio  del  canto  ha  detto,  rami 
nodosi  e  stecchi,  e  pruno  (insegna  il  Vocabolario  della  Crusca} 
è  nome  generico  di  tutti i  frutici  spinosi. 

I  la  a  colui,  a  quel  cacciatore  appostato  nella  selva  ad  aspet- 
tare il  passaggio  delle  fiere,  mentre  altri  uomini  e  cani  cerca- 
no la  selva. 

I  r3  il  porco y  cignale,  porco  salvatico;  -^  e  la  eaccia ,  ì 
cani  che  cacciano  esso  porco  [a] .  Diversamente  il  Volpi  :  Il  por-' 
€*o,  dice,  e  la  caccia,  cioè  il  porco  j  o  il  cinghiale  cacciato. 
Simil  figura  di  parlare  usò  rirgilio  nel  a.  della  Georgica  ai 

[a]  Voc.  della  Cr.  sotlo  la  voce  Caccia,  $.  a. 


1 


194  INFERNO 

Ch'ode  le  bestie  e  le  frasche  stormire. 
Ed  ecco  due  dalla  sinistra  costa  1 15 

Nudi 9  e  graffiali,  fu^endo  sì  forte. 
Che  della  selva  rooipièao  ogui  rosta . 

qfcrso  19?-:  paterìslibamusy  et  auro,  che  patena  aureis.Per 
ciò  però  elle  Dante  aggiunse,  CK*ode  le  bestie  e  le  frasche 
stordire ,  pare  deciso  che  per  caccia  i  caocianti  cani  mtpiìda . 
— -  alla  sua  posta^  al  sito  in  cui  si  sta  «gli  appostato  ad  aspidi- 
tal*  le  fiere  per  ucciderle. 

1 14  stormire^  far  rmnoi'e.  Vedi  il  Vocabolario  della  Crusca. 
,    1 15  sinistra ,  sempre  intesa  per  la  parte  rea.  Vellotum). 
tt-¥alla  sinistra  ,  legge  il  Vat.  3 199.  ^-a 

1  i6m^ graffiati ,  intendi  j  dai  rami  e  spini  che incontran fug- 
gendo •  BiÀGioLi.  —  Il  Poggiali  vuole  però  che  graffiati  qui 
valga  quanto  morsicati^  in  virtù  d'una  delle  solite  licenze  di 
Dante  circa  il  valore  de*  termini .  -^  correndo  sì  forte  ^  ha  con 
buona  lesione  TAntald.,  mentile  quel  forte  poco  aggiunge  al 
ffiggire ,  moltissimo  al  correre .  E.  K.  4-« 

1 1 7  rompièno  per  rompe%>ano ,  come,  tra  gli  altri  esempi 
Molti  y  disse  nel  Purgatorio  mof'ie/io  i^ev  moi^evano  [aj,  e  come 
anche  il  Boccaccio  disse  in  prosa  facièno  per  facei^ano  [&]• 
-^  Aosta  y  chiosa  il  Vocabolario  della  Cinisca,  strumento  ndo 
da  farsi  vepìto ,  e  per  similitudine  si  dice  di  ramucelli  con 
frasche ,  usandosi  talora  tali  ramucelli  invece  di  rosta;  e  ne 
arreca  in  prova  oou  altri  esempj  questo  stesso  di  Dante .  Deb- 
bono  però  i  Ckmipilatori  del  Vocabolario  essersi  dimenticati  del 
far  rosta,  che  precedentemente ,  sotto  il  verbo  Fare  j  hanno 
spiegato  per /ìir<?  im/>e^</iienro.  Bene  perciò  il  sig.Bartolommeo 
Perazcini,  ricercando  il  significato  di  rosta  nel  natio  suo  vero* 
Uese  dialetto  :  ptteri  (  dice  )  apud  nos ,  quando  aquae  riyuUtm 
luto  coercentj  ne  excurrat ,  dicunt  sefecisse  la  rosta.  Igitur 
(siegne)  della  selva  ogni  rosta ,  quodvis  est  impedimentum  ex* 
currentibus  per  silvam  obiectum  ;  quod  tanèen  impetu  ipso 
super  ari  possit  [e].  Cìoincidc  questa  colla  spiegazioue  del  Da- 
niello: Rosta,  ogni  impedimento  ^  È  rosta  quella  palificata 
che  si  suol  fare  per  ritegno  de W acque  iìnpetuose.  E  per  ve- 

\n}  Cantoni.  S9.,  x.  81.  ce.  [b]  Am,  Fis.  cap.  1 3  [e]  Corrcct,  etadnoU 
in  Daniis  Coinoed,  Veronac  177^. 


CANTO  XIII.  295 

Quel  dinanzi  :  ora  accorri  ^  accorri ,  Morte  ;  118 
£  r altro,  a  cui  pareva  tardar  troppo, 
Gridava:  Lano,  si  non  furo  accorte 

Le  gambe  tue  alle  giostre  del  Toppo.  121 

£  poiché  forse  gli  fallia  la  lena, 

rìtà  a  qaesto  modo  T  espressione  diel  Poeta  nostro  ac(^ista  br^ 
sa.  »^ rosta  è  una  specie  di  ventilabro  tondo  o  bislungo ,  a  si 
miiiludine  dei  rami  fixMuati  degli  alberi^  Lami  •  Qui  ò  prèso 
pei  rami  medesimi.  £«  F«  4-« 

1 18  Quel  dinanzi i  (tace  per  ellisaf^  e  dee  intendersi  gri» 
dava)  ora  accorri y  accorri^  Morte  ;  cioè  :  ora  soccorri  ^  Morte , 
perchè  ranime  dannate  5  per  terminare  i  loromaitiri,  von-iano 
poter  mofii*e)  onde  nel  primo  canto  in  persona  di  Virgilio  dei 
dannati  all'Infèrno  disse  :  Ch^aila  seconda  morte  ciascun gri" 
da.  Vbli.i7tbllo.  w^  Accorri  vale  corri  in  aiuto  (  grido  di  chi 
chiama  soccorso):  anticamente  quando  si  chiamava  aiuto  si 
gridava»  accorri  uomo.  Lami.  E.  F.  «-« 

1 19  P  altro  y  a  cui  pareva  tardar  troppo  ^  a  cui  sembrava 
troppo  tardo  il  suo  corso  per  tener  dietro  al  primo»  e  foggii*e 
le  cagne  che  l' inseguivano  • 

130  I  !i  I  Gridava  :  Latto  »  sì  non  furo  accorte  ^Le  gambe 
tue  ec.  Dicono  che  fu  Senese ,  il  quale  >  avendo  rovinatele  cose 
8oe,  andò  con  1*  esercito  di  Siena  ad  Arezzo  in  aiuto  de*  Fio* 
rentìni  ;  e  tornandosene  poi  indieftro  con  quello  9  furono  assaliti 
da  uno  agguato  degli  Aretini  alla  Pieve  del  Toppo,  ove  mori- 
roao  assai  di  loro.  La  qual' istoria  recita  il  Villani  (  Giovanni) 
al  cap.  1 19.  del  vii.  libra  della  sua  opera.  Ma  Lano,  avvegna- 
che  leggiermente  si  potesse  ritirar  al  sicuro 9  nondimeno 9  come 
disperato,  desiderando  piuttosto  morire  che  vivere  in  miseria, 
si  gettò  tra*nemici  per  farsi ,  come  fece ,  uccidere.  Adunque  quel 
di  dietro,  perchè  Lano  correva  più  veloce  di  lui  (per  invtdia 
e  rabbia  ),  gli  ricorda  che  le  gambe  sue  non  fnron  si  veloci 
alle  giostre  f  cioè  agli  scontri,  del  Toppo  f  ov'egli  con  gli  al- 
tri Senesi  furon  dagli  Aretini  assaliti  e  rótti.  yELLi;TBirLO.»^a/ 
Toppo f  legge  TAng.,  E.  R.,  e  il  Vat.  3ig9«4-« 

laa  gli  fallia^  gli  mancava,  -  la  lena,  la  forza  di  durare 
nel  corso  per  non  essere  raggiunto  dalle  nere  inseguenti  cagne. 
^^  E poij  che  forse  gli  fallia  la  lena,  ha  con  bella  variante 
TAntald  E.  K.  4^ 


agfi  INFERNO 

Di  sé,  e  d'uà  cespuglio  fece  groppo. 
Dirietro  a  loro  era  la  selva  piena  ia4 

Di  nere  cagne  bramose ,  e  correnti 

Come  veltri,  eh*  uscisser  di  catena. 
In  quel  che  $* appiattò  raìser  li  denti,  lay 

E  quel  dilaceraro  a  brano  a  brano; 

Poi  sen  portar  quelle  membra  dolenti . 
Presemi  allor  la  mia  Scorta  per  mano ,         1 3o 

£  menommi  al  cespuglio,  che  pìangea, 

ia3  Di  sé 9  ed'' un  cespuglio  fece  groppo j  legge  U  Nido- 
beatìna  ed  alcuni  testi  veduti  dagli  Accademici  della  Crasa; 
ove  le  altre  edizioni y  fé* un  groppo;  »-^e  il  cod.  Ang.  E.  R. 
e  il  Vat.  Hi 99  leggono ^^ce  un  groppo.  4-«  Comunque  però 
leggasi  y  altro  non  vuole  dire  se  non  cne  si  nascose  in  un  cespo- 

SliOy  provando  (s'intende)  se  cosi  riuscivagli  d'essere  perdalo 
i  vista,  odi  schermirsi  in  (gualche  modo  dalle  ins^^nenti  cagne. 
137  al  129  In  quel  9  che  s^ appiattò  j  ec.  Vuole  qui  il  Poeta 
dire  che  quelle  arrabbiate  cagne  fecero  strazio  e  del  corpo  di 
colui  che  si  era  appiattato  nel  cespuglio,  e  del  cespuglio  mede- 
simo ;  ina  che  poi  gì'  infranti  rami  del  cespuglio  lasciarono  ivi 
per  terra  sparsi,  e  le  membra  di  queiraltro  via  si  portarono: 
«^e  cosi  l'intende  pur  anche  il  Poggiali. 4-«  La  Nidobeatina 
con  miglior  sintassi  nel  a.  verso  della  terzina  legge ,  E  quel  di' 
laceraro ,  cioè  il  cespuglio  »  e  istessamente  leggono  altre  anti- 
che ediz.,  ove  quella  degli  Accad.  della  Cr.  e  tutte  le  seguaci 
leggono,  E  quel  dilacerato  •  »-^  Vuole  il  BiagioU  che  si  le^ 
la  terzina  cosi  :  In  quel  che  s^ appiattò  miser  li  denti^  -£,  quel 
dilacerato  a  brano  a  brano,  (e  cosi  legge  pure  il  VaL3i99) 
•Poi  sen  portar  quelle  membra  dolenti  i  e  spiega  :  «e  avendo 
»  dilacerato  quel  misero  che  erasi  nascosto,  poi  se  ne  porta- 
a>  ron  via  quelle  membra  dolenti  •  »*^  membra  dolenti:  quan- 
tunque separate 9  vive  le  suppone,  e  dee  supporle;  altrimenti 
verrebbe  lo  straziato  a  cosi  ottenere  quella  seconda  morte,  a 
cui  ha  detto  che  i  dannati  gridano  invano  « 
i3o  »-^/o  mi* Duca,  l^ge  il  Vat.  3199.  ♦-• 
1 3 1  1 3a  «-^  Per  le  rotture ,  intendi ,  per  la  via  delle  roC- 
tui^,  non  in  grazia  o  per  causa  delle  rotture.  TonELU.-JOff- 


CANTO  Xm.  ^97 

Per  le  rotture  sanguiaenti^  iavano* 
0  Iacopo,  dicea,  da  sant'Andrea ,  1 33 

Che  l'è  giovato  di  me  fare  schermo? 

Che  colpa  ho  io  della  tua  vita  rea  ? 
Qaando  1  Maestro  fu  sovr'esso  fermo,         1 36 

Disse:  chi  fusti,  che  per  tante  punte 

Soffi  col  sangue  doloroso  sermo  ? 
£  quegli  a  noi:  o  anime,  che  giunte  i39 

Siete  a  veder  lo  strazio  disonesto, 

Ch*ha  le  mie  frondi  si  da  me  disgiunte, 
Raccoglietele  al  pie  del  tristo  cesto  :  1 4:2 

guinenti  impano  »  colla  Nidob»  legge  il  Lombardi,  e  chiosa:  cf  in-» 
»  panoj  sofferte  senza  ayer  gioYato  a  chi  voleva  per  lui  ripa- 
Brani  dalle  cagne.»  «*•  Vellutello  riferisce  invece  V impano 
al  piangea  :  opinione  che  è  pur  quella  del  Boccaccio,  e  che  a 
noi  col  Biagioli  sembra  piti  naturale  e  la  vera.  —  Andie  il  co- 
dice Vau  3 199  pone  la  virgola  dopo  sanguinenti.  4-« 

i33  O  Iacopo  y  ee.  Fu  questo  Giacopo  gentiluomo  pado- 
vano ;  d' una  fiimiglia  chiamaU  dalla  cappella  di  santo  Andrea  ; 
il  quale  essendo  molto  ricco  e  poco  prudente,  consumò  tutta  If^ 
sua  lacoltà  ,  getUndola  via  ,  sens' alcun  profitto.  •-#>«  Fu  dìt 
»  Monselice,  erede  di  grandissime  ricchezze,  e  prodigo  a  se- 
«  gno  di  far  ardere  una  sua  villa  pel  desiderio  di  vedere  un 
»  bello  e  gran  fuoco.  »  Cosi  TAntico  ciuto  nella  K.  F.-Gia- 
ewfio,  legge  l'Antald.  E.  K.  -e  il  Vat.  3 199. 4^ 

i35  9^  CkiR  colpa  i  ho  ecj  legge  il  Vat.  3  199.4-k 

i38  sermo  per  sermone  j  apocope  ad  imitazione  del  latino 
adoprata  in  grazia  della  rima  qui  e  Par.  xzi.  i  la.  Soff,  sermo  ^ 
espressione  allusiva  aUa  precedente  dei  versi  91.  e  92.: 
j^llor  sojllò  lo  tronco  forte ,  e  poi 
Si  cornarti  quel  t^ento  in  coiai  voce  .• 

f  4o  strazio  disonesto  j  lo  sconcio  e  lagrimevole  strazio,  co- 
me talora  significa  Yinhonestus  latino.  E  forse  il  Poeta  mirò  a 
quel  di  Virgilio:  truncas  inhonesto  vulnere  nares.  Vehtuei. 

14 1  m^dtiha  le  mie  memora,  legge  TAntald.  E.  R.4^ 

eie  • '•^  del  tristo  cesi^  ^ 
imprigionata  che  favella* 


\\'à  Raccoglietele  vale  appressciele •  ^^del  tristo  cesio ^ 
deir  infelice  mio  cespuglio .  È  l'ombra  imprigii 


298  INFERNO 

Io  fai  della  città ,  che  nel  Battista 
Cangiò  'I  primo  padrone^  ond'  ei  per  questo 

i43  144  Io  fui  della  città  ^  ec.  Di  Firenze ,  ch'essendo 
Gentile!  ebbe  Marte  per  suo  principal  nume;  e  divenuu Cri- 
stiana 9  elesse  per  sno  protettore  s.  Giovanni  Battista.  M.Gio- 
vanni Boccaccio  (dice  il  Venluri)  si  dà  a  credere  aver  Dante 
studiosamente  taciuto  il  nome  proprio  di  questo  Fiorentino  (cliet 
come  appresso  dirà,  s'impiccò  da  se  medesimo) ,  perchè  in 
quei  tempi  y  essendovene  molti  da  sé  inLpiccatiy  si  potesse  in- 
tendei'e  di  ciascheduno.  Vi  è  chi  dice  esser  questi  Rocco  dei 
Mozzi  9  che  sMmpiccò  per  isfuggire  gli  stentj  della  povertà,  dis- 
sipate  le  ricchezze:  altri  tiene  accennarsi  qui  Lotto  d^li  Agli, 
appiccatosi  per  malinconia  dopo  aver  data  una  sentenza  ingìn- 
sta  :  »-►  Mutò  9  invece  di  Cangiò  1  leggono  i  codd.  Ang.  e  An- 
tald.  E.  R.  —  e  il  Vat.  3i99.4-«  omTei^  Marte  (intende però 
per  Marte  il  Demonio ,  giusta  l'avviso  del  salmo  :  Diigentitm 
Daemonia  \a\)per  questo  rifiuto  con  rarte  sua  la  farà  tri' 
sta  y  le  procurerà  ogni  possibile  danno*  —  Persuade  però  mol-* 
lissimo  una  diversa  intei*prelazione  a  questo  passo  nel  comento 
marginale  del  cod.  Gaet.,  che  si  stima  di  Marsilio  Ficino,  co^ 
me  io  dichiara  una  nota  a  tergo  dell'  ultima  pagina  di  cantttere 
simile  al  comento.  Dice  dunque  il  Comentatore;  ctldest  dum 
fiorentini  dilexerunt  Mattem^  idest  foriitudineniy  et  virtU" 
tem  armorunif  habuerunt  pturimas  ^idonaSf  et  benesuca* 
debat  res  f  quottiam  modo  quaestumfaciunt  cumpectmiisy  ei 
Wicant  avaritiay  etflorenisj  idest  lucro  ^  et  congregationi 
Florenorum;n  e  coerentemente  al  verso  i46«:  tubisi  rema* 
neret  adhuc  de  bonitate ,  et  yirtute  antiqua  in  quibusdam 
ec.  »  Egli  dunque  metaforicamente  prende  Marte  non  fcr 
lo  DiOy  ma  per  l'arte  della  guerra,  nella  quale  i  Fiorentini 
ai  erano  distinti  ;  ed  il  Battista  non  già  per  il  Santo  proiet- 
tore della  città,  ma  per  l'immagine  di  lui  scolpita  nelle  mo- 
nete ,  come  se  Dante  per  bocca  di  quel  suicida  volesse  rim- 
proverare ai  suoi  concittadini  di  aver  trascurato  il  valor  mili- 
tare per  attendere  a  cumular  danaro*  Questa  spiegazione  sem- 
bra tanto  pili  plausibile ,  in  quanto  viene  a  togliei*e  l'assordo 
disdicevole  ad  un  poeta  cristiano  ^  e  ben  rilevato  dal  sig.  Pog- 
giali ,  che  cioè  il  Demonio  Marte ,  divinità  di  Fiorenza  gen^ 

[0]  PsnL  9S.  1^.  5. 


CANTO  Xni.  399 

Sempre  con  l'arte  sua  la  fàtk  trista.  i45 

£  se  noD  fosse  che  'n  sul  passo  d'Arno 
Rimane  ancor  di  lui  alcuna  vista , 


lUeyne  potesse  più  di  s.  Gio.  Battista  pititettore  di  Florensa 
eristiéma. 

A  comproTtfr  poi  anche  collo  stesso  Dante  qna  talespie-> 
gallone  ci  piace  di  addume  la  corrispondenxa  ne'i^.  67.  68. 
69.  e  y'ò.  74>  75.  del  canto  xti.  Domanda  Iacopo  Rusticucci 
al  Poeta  nel  i.^  terzetto: 

Cortesia  e  inalar  ^  di*  se  dimora 
Nella  nostra  città  9  sì  come  suole  >, 
O  se  del  tutto  se  n*è  gito  fuora? 
Risponde  Dante  nelP  altro  s 

La  gente  nuoifa^  e  i  subiti  guadagni 
Orgoglio  j  e  dismisura  han  generata , 
Fiorenza  j  in  te,  sì  che  tu  già  fen  piagni. 
E  prima  nel  canto  ti.  v.  74.  e  seg.»  là  dove  Dante  risponde  a 
Ciacco  su  i  malori  della  città  partita^  cioè  Firenze 9   agitau 
dalle  discordie  intestine  de' Guelfi  e  Ghibellini  »  dice: 
Superbia ,  insidia  9  ed  avarizia  sono 
Le  tre  faville j  ck^ hanno  i  cuori  accesi.  E.  R. 
1 46  1 47  -E  ^e  non  fosse  »  che  *n  sul  passo  et  Amo  ec.  Seri* 
ve  (jiOTanni  Villani  ch'essendosi  i  Fiorentini,  in  tempo  che 
vivevano  negli  errori  del  paganesimo ,  eletto  per  loro  protettola 
il  dio  Marte,  edificarono  a  questo  nume  un  tempio,  in  mezzo 
al  quale  vi  posero  la  di  lui  statua  in  forma  d'un  ùat^aliere  ar* 
moto  a  cat^allo  [a],*  e  che  poscia,  convertiti  alla  fede  di  Ce- 
sa Cristo,  levarono  il  loro  idolo ^  e  puoserlo  in  su  una  alta 
torre  presso  al  fiume  d'Arno  [A];  e  che  essendo  di  là ,  nella 
distruiion  di  Firenze  per  Totila ,  rovesciata  in  Arno  [e],  stette 
nel  fiome  fino  alla  riedificazione  della  città ,  dell'  80 1 ,  nel  qual 
U^mpo  ripescata  fu  posta  su  uno  piliere  in  su  la  riva  del  detto 
fiume ,  dove  è  oggi  il  capo  di  Ponte  Wecchio  f  rf]  ;  e  che  final- 
menle  ncH' inondazione  d'Amo  del  i333  ricadde  la  medesima 
Mtoa  in  Amo  [e] .  Prima  adunque  del  1 333 ,  vivente  il  Poeta 
aofttro,  en  al  detto  capo  di  Ponte  Vecchio  la  statua  di  Marte, 
elle  ora  non  è.  Con  ciò  sia  però  che  narri  il  Villani  esser  la 

[a]  Croo.  lib.  i*  cap.  4a«  [^]  Lib.  1 .  C.  Oo.  [e]  Lib«  a.  cap.  1  •  [d\  Lìb«S. 
cap.  1.  [é\  Lib.  II.  cap.  1 . 


3oo  INFERNO 

Quei  cittadln,  che  poi  ia  rifondarno  i4B 

Sovra  1  cener  che  d'Attila  rioiase, 
Avrebber  fatto  lavorare  indarno. 

statua  medesima  stata  in  forma  d*un  cavaliere  armata  aeor 
f^alioj  avvisa  il  Borgbim  d'essersi  in  ciò  il  fiorentino  popolo 
ingannato,;  perocché,  dice,  non  si  costumarono  le  statue  di 
Marte  fare  a  cat^allo  [a];  ed  aggiunge ^  in  iscusa  di  Dante, 
eh'  egli  in  questo ,  come  in  altre  cose ,  seguì  la  fama  conutne  9 
la  quale  a.  poeti  poco  rilie\^a ,  o  yera ,  o  falsa  che  ella  sia  • 
Pare  nondimeno  che  al  Borghini  contraddica  il  celebre  mito- 
logo Natal  G)nti,  il  quale  £  Marte  scrìve;  Habuit  hic  Deus 
multa  cognomina  a  locis  in  quibus  tempia  ereeta  pierunt  ^ 
'vel  ab  eventisj  vel  ab  iisj  qui  dicanmt  tempia.  Sic  Con* 
daens ,  et  Mamertus ,  et  Jihacius ,  et  Equestris  dicitur  \b\ 

1 49  cener  per  rottami.  w-¥  Alcuni  testi  ed  il  Comento  au 
tribuito  al  Boccaccio  leggono.  Sul  cener  che  di  Totila  rima» 
ne-,  lo  che  è  conforme  a  ciò  che  scrive  il  Villani  [e] .  ce  Del  re- 
»  sto  è  sbaglio  (dice  il  Lami  )  che  Attila  devastasse  Firenze, 
»  non  essendo  egli  mai  passato  di  <pia  dell'Apennino  :  ma  fu 
»  Totila  che  ne  fe' strazio,  benché  non  la  distruggesse  total- 
»  mente ,  come  alcuni  hanno  creduto.  Che  Firenze  fosse  risto- 
>>  rata  ed  ampliata  sotto  Gu*Io  Magno,  é  assai  credibile  [</]. 
£•  F.  s>  —  Il  Biagioli  qui  giustifica  Dante  coir  asserire:  «r  che 
»  la  distruzione  di  Firenze  attribuita  ad  Attila,  era  al  tempo 
»  di  Dante  una  favolosa  tradizione  sparsa  per  tutti  i  popoli 
a>  d* Italia,  e  singolarmente  creduta  dal  popolo  fiorentino,  cui 
tt  Dante,  poeta,  e  non  già  storico,  secondò,  per  mm  contra^ 
»  porsi  air  opinione  generale .»  4-« 

i5o  Avrebber  fatto  lavorare  indarno:  vicppiii  arrabbiato 
il  Demonio ,  procurato  avrebbe  il  totale  esterminio  della  città , 
talché  Indarno  1* avrebbero  i  cittadini  rifondata.  Suppone  però 
questo  parlare  che  i  Fiorentini  pe'loì*o  pravi  csostumì  non  sì 
meritassero  la  protezione  del  loro  s.  Giovanni  Battista.  ••^Leno- 
stre  riflessioni  peròallanotadeW.  i43.e  1 44- ^^■'O l>*^^*nte 
schiarimento  anche  a  questo  passo,  nel  quale  non  possiamo  es- 
ser totalmente  d*accoitio  col  Lombardi.  E^  R.  s^cc  Dieresi  che 


[a\  DeirOrig  di  Firenze,  pag.  aoa.  e  2o3.  [b]  BfylhoL  lib.  a.cap.  7. 
fc]  G.  Vili.  Star»  lib.  a.  eap.  1  [d]  Vedi  Disc,  di  Vioc.  Borghini  e  il 
Prospei.  d*una  nuova  Compii,  di  Si.  Fior,  di  A.F.  Adami.  l*isa  i75S% 


CANTO  XIII.  3oi 

Io  fei  giubbetto  a  me  ddle  mie  case . 

•gli  antichi  di  rifarla  (i^iren^e)  non  avean  potere  ^  se  prima  non 
»  aYessero  tratta  la  imagine  del  marmo  consecrata  per  li  primi 
»  edificatori  pagani  al  loro  dio  Marte  [a].  »  —  La  stessa  opi« 
nione  riferisce  PAnonimo  nella  chiosa  al  verso.  Sempre coltar^ 
te  sua  la  fard  trista  jOyecìdknotìzia  che  il  di  4  Novembre  i3a3y 
cadendo  il  Ponte  Vecchio  ^  la  statua  di  Marte  cadde  di  nnovo 
nel  fiome  Amo.  —  Così  la  E.  F.9  con  manifesto  errore  di  co- 
pista 0  di  stampa  y  sapendosi  da  Giovanni  Villani  essere  il  detto 
ponte  precisamente  caduto  nel  di  4  Novembre  i333  [&]•  4hì 
i5i  Io  fei  f  legge  la  Nidobeatina;  ed /*/!?%  altre  ediz«»-feil 
YaL  ìtgif.^-m  giubbetto y  vocabolo  formato  dal  francese  ^'(fref, 
che  significa  forca .  Adunque  Io  fei  giubbetto  a  me  delle  mie 
case  vuol  dire  che  della  sua  casa  (per  sineddoche  la  casa  per 
la  soffitta  y  o  trayi  della  soffitta  ponendo)  fece  a  sé  stesso  forca. 
**11  Postili.  Cass.  nota:  Iste  fui  t  quidam  Florentinus  y  qui  se 
suspendit  in  domopropria ,  et  dicitur  quodfecit  giubettum  ec, 
Giubettufn  est  quedam  turris  Parisiis  y  ubi  homines  suspen^ 
duntur.  Sopra  Florentinus  si  aggiunge  Messer  Loto  de  tjaliy 
cioè  Zo/£o  degli  Agli  y  come  nel  comento  di  Iacopo  della  Lana. 
E.  R.  »-^La  famiglia  degli  >^^/t  fu  potente  e  facoltosa  in  Fii'en- 
le.  Da  essa  si  denomina  anche  oggidi  una  contrada  in  detta 
città,  onde  non  è  meraviglia  che  avesse  in  Firenze  più  case  o 
abitazioni.  Poogiili.4>« 

[«]  Gio.  Vili.  Sior.  lib.  3.  cap.  i.  \b\  Ivi»  lìb.  1 1.  cap.  1. 


CANTO    XIV. 


ARGOiMENTO 

Giungono  i  due  Poeti  al  principio  del  terzo  girane , 
il  quale  è  una  campagna  di  cocente  arena  j  ove  sono 
punite  ire  condizioni  e  qualità  di  violenti  y  cioè 
contra  Iddio  j  contra  la  natura  s  e  conira  l'arte. 
La  lor  pena  è  V  esser  tormentati  da  fiamme  arden- 
tissime  «  che  loro  eternamente  piovono  addosso . 
Quivi  tra'  violenti  contra  Iddio  vede  Capaneo. 
Poi  trova  un  fiumicello  di  sangue ,  ed  indi  una 
statua^  dalle  cui  lagrime  nasce  il  detto  Jiumicello 
insieme  con  gli  tdtri  tre  infernali  Jiumi .  In  fine 
attraversano  il  campo  dell*  arena  • 

JLoicliè  la  carità  del  natio  loco  i 

Mi  strinse y  raunai  le  fronde  sparte , 
E  rendelle  a  colui ,  eh'  era  già  Goco; 

Indi  venimmo  al  Hne,  ove  si  parte  4 

I  la  carità  del  natio  locoy  remore  della  patria  Firenze , 
della  quale  disse  d'essere  stala  l'ombra  supplicante* 

21  Mi  strinse  y  mi  costrinse. 

3  E  rendelle  a  colui ,  eh* era  già  fioco  ,  legge  la  Nidob.; 
E  rendale  a  colui  che  era  già  roco  ,  Tallii  ediz.  Ma  avendo 
rend^  per  rendei  l'accento  snll* ultima  lettera,  non  veggo  per- 
chè non  debba  seguire  V  universal  legge  di  far  duplicare  la  ini- 
ziale consonante  lettera  del  pronome  aggiunto. 

^  m^al  fine  ^  intendi ,  al  confine ,  al  termine  della  sci* 
\R.^-m  al  fine y  ove  si  parte  ^  legge  la  Nibob.,  meglio  che 
non  leggouo  l'altre  ediz.,  onde  si  parte ,  che  non  e  già  ijni 


CANTO   Xlir.  3o3 

Lo  secondo  giron  dal  terzo,  e  dove 

Si  vede  dì  Giustizia  orribirarle. 
A  ben  maDifestar  le  cose  nuove  7 

Dico  che  arrivammo  ad  una  landa, 

Che  dal  suo  letto  <^ni  pianta  rimuove. 
La  dolorosa  selva  V  è  ghirlanda  1  o 

Intorno,  come  '1  fosso  tristo  ad  essa: 

Quivi  fermammo  i  piedi  a  randa  a  randa . 
Lo  spazzo  era  una  rena  arida  e  spessa ,  1 3 

partir  per  anditr  via^  ma  per  distinguere.  •-♦«  Indif  avver- 
»bio  composto  delle  due  preposizioni  indicanti  le  due  reiasioni 
odi  stanza  e  di  sceveramento ,  di  e  in;  ed  equivalente  a  da 
ntfitel  luogo  in  cui  enufomo ,  di  là  da  quel  cespuglio;  e  non 
»  vuol  già  dire  folto  questo  1  come  interpreta  il  Boccaccio.  E  sia 
»  detto  col  debito  rispetto  a  tanto  senno  •  al  fine ,  al  con6ue  ;  » 
cosi  il  Riagioli  I  il  quale  sostiene  pura  che  si  debba  leggere 
ondcj  cioè  dal  quale  confine,  e  non  oi^e,  come  la  Nidob«4Hi 
6  arte  per  modo, 

8  landa  9  pianura^  spiegano  d'accordo  e  rettamente  il  Vo- 
cabolario della  Crusca }  il  Volpi  e  il  Venturi:  solo  errano  a 
donare  lo  stesso  significato  a  lama^  che  significa  valle  ^  cavità 
di  terreno.  Vedi  la  nota  al  canto  zz.  di  questa  cantica ,  v^  7<). 
Landa  (chiosa  nel  suo  Glossario  il  Dufi'esne)^/am7i«.r  incula 
ta^  nostris  lande,  vojc  ex  Saxonico^  aut.  Germ,  land. 

9  Che  dal  suo  letto  ec,  che  nel  suo  letto  non  ha  pianta 
lenuia. 

10  II  Za  ^o/oro.raje/^a,  de*  pruni  animati  anzidetti  9 -/'è 
ghirlanda  -  Intorno ,  la  circonda .  -  carne  7  fosso  tristo  (la  fossa 
di  sangue  bollente ,  descritta  nel  e  xii.) ad  essa  selva ,  intendi, 
è  ghirlanda  f  cioè  circonda  essa  pure.  Vedi  la  nota  al  r.  io. 
d(M  passato  canto  zi.  9-^  li  è  ghirlanda ,  legge  il  VaL  3 1 9C)«4-« 

13  i3  a  randa  a  randa ^  cioè  rasente  rasente  la  rena  (di 
die  è  per  du*e),  cioè  tanto  accosto  e  tanto  rasente ,  che  non 
si  poteva  andar  più  in  là  un  minimo  cAe.Buti,  riportato  dal 
Vocab.  della  Crusca .  jirent  dicesi  in  Lombardia  per  appresso: 
^  pronunziato  alla  francese  arante  ha  molta  somiglianza  ron 
a  randa f  -—  Lo  spazzo ^  il  suolo  di  essa  landa. 


3o4  INFERNO 

Non  d* altra  foggia  fatta,  cbe  colei, 
Che  da'  piei  di  Gatoa  già  fu  oppressa  • 

O  vendetta  di  Dio,  quanto  tu  dei  i6 

Esser  temuta  da  ciascun,  che  legge 
Ciò  che  fu  manifesto  agli  occhi  miei! 

D'anime  nude  vidi  molte  gregge,  iq 

Che  piangean  tutte  assai  miseramente, 
E  parea  posta  lor  diversa  legge: 

Supin  giaceva  in  terra  alctma  gente:  !iti 

i5  Che  da  piei  di  Catongià  fu  oppressa^  legge  la  NidoÌK 
»-^e  il  Vat  31994-*  meglio  dell*  altre  edizioni ,  che  I^gooOt 
Che  fu  dappiè  di  Caton  già  soppressa .  TA  piei 'per piedi  ve- 
dine altri  esempi  d'antichi  autori  nel  Vocabol.  della  Cr.  alla 
Toce  Piede;  ed  invece  dì  premuta  tanto  può  stare  oppressa  ^ 
che  soppressa.  «^  *  Cosi  annota  il  Lombardi;  ma  avendo  noi 
rinvenuto  nel  cod.CaeL  la  lezione,  Che  da^ piei  di  Caiongià 
fu  soppressa  f  aenz^  altra  variazione  della  Nidob.  che  in  que- 
st'ultima parola ,  non  possiamo  fare  a  meno  di  aggiungere  che 
il  verso  ci  sembra  più  naturale  e  sonoro  ;  ed  in  ciò  confermaci 
Tidentifica  lez.  del  cod.  Poggiali.  E.  R.  »-^  Anche  il  BiagioK 
disapprova  la  lezione  di  Nidobeato  j  riguardandola  come  scoi^ 
eia  rispetto  alla  comune  •4-«  La  rena  da  Catone  calpestata  fi& 
quella  della  Libia  y  mentre  per  quella  regione  condusse  gli  avan- 
zi dell'  esercito  del  morto  Pompeo  per  unirsi  a  Giuba ,  Re  di 
Numidia.  F'adimus  (  dice ,  nella  Libia  entrando ,  Catone  stesso 
appo  Lucano  )  in  campos  steriles  exustaque  mundio  — -  Qua, 
nimius  Jìtan  y  et  rarae  in  fontibus  undae...  Ingrediarj  pri" 
musque  gradus  in  putuere  ponam  [aj. 

ai  parea  dee  qui  valei*e  quanto  apponila j  scorgetHui^ 
—  posta  lor  dii^ersa  legge  ^  ordinata  dalla  divina  Giustizia 
tra  coloro  una  diversità  di  atteggiamenti.  «-►Non  disse  era^ 
ma  parea  y  perchè  il  giudizio  Io  forma  dall' apparir  cosi  le  cose. 

BtAGlOLl.  4Hi 

aa  al  a4  Supin  non  è  accorciamento  dell'aggettivo  supina 
(  accorciamento  di  cui  non  ne  ha  il  Venturi  considerata  la  brut* 

[0]  Phars,  lib.  iz.  v.  38a.  e  segg. 


CANTO  XIV.  3oj 

Alcuna  si  sedea  tutta  raccolta; 

Ed  altra  andava  contioovamente . 
Quella  che  giva  intorno  era  più  molta,  iS 

£  quella  men  ;  che  giaceva  al  tormento  ; 

Ma  più  al  duolo  avea  la  lingua  sciolta . 
Sovra  tutto  '1  sabbion  d'un  cader  lento  gtS 

Piovean  di  fuoco  dilatate  £ilde, 

Come  di  neve  in  alpe  senza  vento. 
Quali  Alessandro  in  quelle  parti  calde  3 1 

tesza),  ma  deiravirerbio  supino  ^  ch'equivale  a  xii^i/i/i/nen/e. 
•-^iSirpi/iO}  secondo  il  Biagioli ,  non  è  avverbio,  ma  addiettivo, 
essendone  1* espressione  intera  m  atto  supino.  '^  giacca  per 
terra  f  legge  TAng.  E.  K.^^  tutta  raccolta  ec,  tutta  rannic-* 
chiau,  cioè  colle  gambe  strette  alle  coscie,  e  le  braccia  alla 
vita,  a  fine  di  ricevere  sopra  di  sé  men  che  potesse  delle  pio- 
venti fiamme.  Qnei  che  supini  giacevano  erano  i  violenti  con- 
tro Dio;  e  però  tra  essi  è  Capaneo,  i^.  4^.  e  segg.  Quelli  che 
correvano  erano  i  violenti  contro  natura  j  come  dal  seguente 
canto  apparisce ,  e  massime  dal  i^.  r  1 4- 1  rannicchiati  finalmcMite 
erano i  violenti  contro  l'arte,  come  dal  canto  xvii.  i^.  35.  e  segg. 

25  a6  era  più  molta  y  in  cambio  d'era  mo/fa^ttt«  trasposi- 
sjonepoco  avvenente ,  dice  il  Venturi .  Se  ne  desidererebbe  poro 
(patene  ragione  ;  altrimenti  piii  giova  l'averla  il  Cinouio  ripoi'- 
tata  tra  le  sue  Particelle  (  1 09.  11.)  senza  darle  veinna  ecce- 
xione,  che  non  osti  il  contrario  buon  gusto  del  Venturi. -A' 
qttella  men ,  ec»  Accenna  che^  come  nel  bene,  cosi  nel  male  i 
più  segnalati  sono  i  più  pochi . 

27  Afa  più  al  duolo  ec..*  essa  però  piii  dell'altra  strideva 
pel  maggior  tormento  che  soffriva ,  per  non  potere  col  moto 
prendersi  dallo  sventolamento  cpialche  refrigerio. 

29  Piovean  f  la  Nidob.;  e  Piouèn,  Taltre  edizioni .- ^///n- 
tnte  falde j  fiocchi  di  fuoco.  Il  castigo  del  (ìioco,  piovuto  dal 
<^ielo  sopra  dei  Pentapolitani  violenti  contro  natura  j  accomuna 
Dante  a  tutti  i  violenti . 

30  Come  di  neve  in  alpe  senza  vento;  ottimamente,  p<> 
rocche  il  vento  sminuzza  i  fiocchi  della  cadente  ne^e. 

il  al  33  Alessandro j  il  grande.  —  in  quelle  (intendi,  cl.e 

FoL  I.  00 


3o6  INFERNO 

D*  India  vide  sovra  lo  suo  stuolo 
Fiamme  cadere  iniioo  a  terra  salde, 
Perdi' ei  provvide  a  scalpitar  lo  suolo  34 

Con  le  sue  schiere ,  perciocché  1  vapore 
Me'  si  stiugue va ,  mentre  eh'  era  solo  ; 


la  storia  racconta)  parti  calde  ^-  D* India  vide  sovra  lo  suo 
stuolo  (  sopra  1*  esercito  suo  )  -  fiamme  cadere  infino  a  ter^ 
ra  salde  :  che  anche  in  terra  cadute  j  non  si  dissipavano  ed 
estinguevano,  ma  intiere  ed  accese  rimanevano. 

34  al  36  Perch*ei  ec.  Scalpitare ,  pestare ,  e  calcar  <»' piedi 
in  andando .  Vedi  il  Yocab.  della  Cr.  ^perciocché  *l  vapore  (in* 
tendi  acceco  )*3fe' (accorciamento  di  meglio)  si  stingueva(ipeT 
estingueva,  aferesi},  mentre  citerà  solo;  cioè  prima  die  gli 
si  unisse  dell'altro,  m^acciò  che  lo  vapore  "Mei  si  siingevoy 
ecy  ha  il  Vat.  3 199.  4hì  II  Cementatore  della  Nidobeatina  atte> 
sta  leggersi  cotal  fiitto  nella  vita  di  Alessandro:  chi  sa  da  chi 
scritta.  Quinto  Curzio  certamente,  come  avverte  anche  il  Lan* 
dìno;  nulla  ha  di  ciò,  come  nò  Giustino,  né  Plutarco.  Nella 
lelteradi  Alessandro  ad  Aristotile  (qualunque  abbiala  scritta) 
fassi  menzione  bensì  della  focosa  pioggia  ;  ma  dicesi  il  riparo 
essere  stato  di  comandare  Alessandro  ai  soldati  di  contrapporre 
al  fuoco  le  loro  vestìmenta  :  iussi  autem  milites  suas  'oestes 
opponere  ignibus  •  »>  Biagioli ,  sempre  mal  disposto  verso  il 
Lombardi ,  vuole  che  questi  s' inganni ,  e  che  la  sua  spiegazione 
sia  cosa  da  fanciullo ,  che  non  ha  lasciato  ancora  il  babbo  e  V 
dìndi. '^ he  fiamme  cadenti,  secondo  il  Biagioli,  infiamma van 
Taluna  si,  che  quell'acceso  vapore  serviva  poi  di  alimento  alle 
fiamme  soprav  vegnenti .  I  soldati  erano  cosi  ajQlitti  ad  on  tempo 
da  un  doppio  incendio,  quello,  cioè,  delle  cadenti  fiamme  e 
quello  del  suolo  acceso. Scalpitando  il  terreno,  rimaneva  spenta 
l'arsura;  quindi  l'igneo  cadente  vapore  si  estingueva  m^lio 
mentre  che  era  solo ,  vale  a  dire ,  non  accompagnato  dal  va^ 
poro  ilei  suolo  infuocato .  -  L'È.  R.  ritiene  che  questa  sia  ona 
chiosa  da  pedagogo  y  e  che  in  fondo  voglia  dire  lo  stesso  che 
quella  del  Lombardi.  Ma  se  ciò  non  è  vero  a  rigore ,  non  ci  sean* 
bra  però  che  per  tale  interpretazione  possa  il  Biagioli  menar 
tanto  rumore,  come  se  si  trattasse  di  una  delle  più  interessAnù 
scopeite  nelle  scienze  fisiche 0  matematiche.^— «Wo  «detto 


CANTO  XIV.  307 

Tale  scendeva  T eternale  ardore:  37 

Onde  la  rena  s' accendea ,  coni'  esca 
Sotto  1  focile,  a  doppiar  lo  dolore. 

Senza  riposo  mai  era  la  tresca  4^ 

Delle  misere  mani ,  or  quindi  or  quinci 
Iscoiendo  da  sé  l'ardura  fresca . 


»  per  sollo ,  gettando  una  lettera  9  come  usa  di  far  Dante  quan- 
di do  bisogna .  Così  galeoio  per  galeotto  y  e  Baco  per  Bacco . 
»  Sollo  poi  significa  ntoUcy  tenero.  Il  Landino  ed  il  Daniello 
nThanno  inteso  male 9  ed  il  loro  erroi^e  nacque  forse  da  que- 
»  sto ,  che  congiunsero  la  voce  solo  con  vapore ,  quando  va 
»  congiunta  con  suolo .  i>  Tokelli.  «—  Questa  inteiprctazione  è 
da  notarsi  se  non  altro  per  la  novità  del  pensieix).  ^hi 

37  etemale  ardore  9  la  focosa  pioggia  eternamente  dui*e- 
Tole. 

38  39  conCesca^SoUo  V  focile  j  cosi  la  Nidob;  e  Sotto  fo^ 
nley  Faltre  «dizioni  »>e  il  Yat.  3 199. ^-«  *  Focile ,  istrumeuto 
antichissimo  che  si  compone  di  un  pezzo  di  acciaio  e  di  una 
^oheggia  di  selce,  ma  piii  propriamente  di  quella  specie  detta 
focaia •  Virgilio  ne  suppose  la  cognizione  fin  da*  tempi  d' Enea 
la  dove  dice  nel  lib.  1.  dell*  Eneide  [aj: 

Ac  prifnuni  silicis  scintillam  excudit  j4chateSf 
Suscepitque  ignem  foliis  »  atque  arida  circum 
Nutrimenta  deditj  rapuitque  in  fomite  flanmiam* 
Ed  il  Caro  volgarizzò  appunto:  - 

Acaie  fece  in  pria  selce  e  focile 
Scintillar  foco  >  e  dielli  esca  e  fomento  ec.  E.  R. 
-^  a  doppiar  lo  dolore  ^  cagionandone ,  intendi,  altrettanto 
l'accesa  rena,  quanto  ne  cagionavano  le  cadenti  fiamme. 

4o  al  4^  tresca  si  chiama  un  ballo  saltereccio ,  dove  sia 
^nde  e  veloce  movimento  ;  e  a  denotare  lo  veloce  movimcutu 
delle  nani  di  quelle  misere  anime  a  scuotei'si  l'arsura ,  lo  chia- 
na tresca  •  Buti ,  riportato  nel  Vocab.  della  Cr.  alla  voce  Tre^ 
rea,  ^  ardura  legge  la  Nidob.  ;  ed  arsura  Taltre  ediz.  »-♦  e 
i  codd.  Ang.  e  Caet.  E.  R.  —  e  il  Vat*  'ònjg.^^  fresca ,  di 
UQovo  sempre  sopra  v  vegnente  « 

i«I  Verso  174»  «  segg. 


3o8  INFERNO 

Io  cominciai:  Maestro,  tu,  che  vinci  4^ 

Tutte  le  cose,  fuor  che  i  Dimon  duri, 
Ch' all'entrar  della  porta  incontro  uscinci, 

Chi  è  quel  grande ,  che  non  par  che  curi         46 
Lo  'ncendio ,  e  giace  dispettoso  e  tono 
Si ,  che  la  pioggia  non  par  che  1  maturi  ? 

E  quel  medesmo ,  che  si  fue  accorto  49 

4  i  al  4^  ^^  vinci  '^Tutte  le  eosej  ecj  a  cai  tatto  quaggiù 
ubbidisce,  -^fuor  che  1  Dimon  duri  (Demonj  ostinati) ,  "Ch'ai- 
Centrar  della  porta  (della  ciuà  di  Dite»  nella  qaaie  erano  i 
due  Poeti)  incontro  uscinciy  ci  asciano,  per  luoirono.  Vedi  il 
contrasto  co'Demonj  nel  passato  e.  yiii.  i^.  i  i5.  e segg.  •^tUf 
che  vinci  ec.  Cosi  s'è  dimostrato  Vii^lio  insin  qui.  Ma  qne* 
ite  parole  hanno  in  sé  nascosto  alto  sentimento,  che  la  lettera 
uoa  dice,  e  questo  si  è  quello  del  nostro  gran  Urico:  nulla  ai 
mondo  è  che  non  possano  i  uersi.  Biagiou.  «-• 

47  ^orfo ,  vaga  antitesi ,  per  torw> ,  cioè  con  occhi  torvi.  7br> 
ì^us  a  torto  aspectUj  spiega  Roberto  Stefimo  nel  Tesoro  della 
lingua  latina . 

4^  non  par  che  V  maturi ^  cioè  che  tolga  lui  la  durezza, 
rai*dire  ;  traslazione  presa  dalle  firutta  che  per  matnrezza  s*aiiH 
molliscono. 

Era  costai,  come  in  appresso  da  Virgilio  medesimo  verrà 
nominato,  Capaneo,  unode'setteRe  che  assediarono  Tebe;  quel 
Superunij  come  lo  descrive  Stazio,  contemptor  et  aetfui  [aj, 
che  per  le  bestemmie  còntra  Giove  fu  da  Giove  fulminato. 
m-¥  Vedi  (in  questa  terzina)  bel  quadro  di  quell'inflessibile  e 
altero  bestemmiatore  degli  Dei  ;  ammira  con  quant*arte  il  di- 
vino ingegno  del  Poeta  sceglie  e  aduna  le  tinte  piìi  conformi 
al  carattere  del  soggetto.  Hai  veduto  con  quali  colorì  ritrasse 
la  viltà  d*animo  degli  sciaurati,  vinti  nel  duolo  per  lievi  pun- 
ture di  mosconi  e  di  vespe  ;  ti  ha  mostrato  deli'  uom  magna- 
nimo il  carattere  negli  atti  e  nelle  parole  di  Farinata;  vedi  <m^ 
quel  del  superbo,  nella  guardatura  torva,  nell'aria,  e  negli 
atti  e  parole  deirarrogante  Capaneo ,  cui  il  fuoco  stesso  non 
può  maturare .  Biaoioli^  «-• 

[a]  Thcb.  lib.  3,  verso  60:1. 


CANTO  XIV.  309 

Cirio  dimandava  1  mio  Duca  di  lui. 
Gridò:  qual  io  fui  vivo,  tal  son  morto. 

Se  Giove  stanchi  il  suo  fabbro,  da  cui  5 a 

Crucciato  prese  la  folgore  acuta, 
Oade  l'ultimo  di  percosso  fuij 

E  s'egli  stanchi  gli  altri  a  muta  a  muta  55 

lo  Mongibello  alla  fucina  negra , 
Gridando:  buon  Vulcano,  aiuta,  aiuta, 

Sì  com'el  fece  alla  pugna  di  Flegra,  58 

i 

5i  qual  io  fui  %fivoj  l^gg^  1^  Nidob.  1  e  quale  i* fu* vivo  j 
y  altre  ediz.  ,*  »>  e  il  Vat.  5 1 99,  quale  io  fu^  vìpo  •  ^  E  vuol 
dire  che  lo  stesso  ardire  contro  gli  Dei,  che  aveva  avuto  da  vi"- 
vo,  lo  riteneva  anche  dopo  morte  ;  e  però  prosiegue  a  vantarsi 
che  non  si  umilierebbe  neppui*e  ,  se  continuasse  Giove  a  sca- 
gliare sopra  di  lui  tanti  fulmini ,  quanti  nel  fiibbricarsi  stancar 
potessero  le  braccia  di  Vulcano  e  dei  di  lui  Ciclopi  • 

5a  il  suo  fabbro y  Vulcano,  «-^t  suo*fabriy  legge  il  codice 
Vat  3199.4^ 

i>3  Crucciato  9  adirato  per  le  bestemmie  di  Capaneo  •  -*•  /b/- 
gore  acuta ,  acuta  saetta . 

54  ultimo  dì,  cioè 9  di  sua  vita« 

55  E  scegli  stanchi,  l^gg^  ^  Nidob»,  meglio  delle  altre 
(dizioni,  che  invece  di  f  leggono  O.  La  millanterìa  di  Capa* 
neo  ricerca  che  si  staiichino  in  fabbricar  fulmini  ncm  divisa- 
mente o  Vulcano 9  oi  di  lui  garzoni,  i  Ciclopi,  ma  unitamente 
e  l'ano  e  gli  altri  quanti  sono.  —  a  muta  a  muta  ,  scambiau** 
doli  a  brigata  a  brigata  •  Birri  [a] .  m^  Non  a  brigata  a  brigata , 
essendo  i  Fabbri  subalterni  tre  soli ,  ma  scamòtevolmenie ,  a 
^ndoj  mutandosirun  Faltro,  finché  sienostadchi.  Biaoioll^hì 

56  Mongibello ,  o  Etna ,  monte  ignivomo  della  Sicilia ,  den- 
tro del  quale  fingono  i  poeti  esservi  la  fucina  di  Vulcano ,  *n<;- 
gf'o  per  la  molta  fuliggine. 

57  58  Gridando  :  ec,  chiamando  esso  Giove  da  Vulcano  aiu- 
^y  come  già  fece  nella  guerra  ch*ebbe  coi  Giganti  in  Flegi*a, 
v^e  di  Tessaglia.»-^  Chiamando^  invece  di  Gridando,  al 

[4]  Riportato  nel  Vocabolario  della  Crasca  airartìc  A  mutammutm» 


3io  INFERNO 

E  me  saetti  di  tatta  sua  forza, 

Non  ne  potrebbe  aver  vendetta  allegra  • 

Allora  1  Duca  mio  parlò  di  forza  6i 

Tanto,  ch'io  non  l'avea  si  forte  udito: 
O  Capaneo,  in  ciò  che  non  s' ammorza 

La  tua  superbia,  se' tu  più  punito:  64 

Nullo  martirio,  fuor  che  la  tua  rabbia, 
Sarebbe  al  tuo  furor  dolor  compito. 

Poi  si  rivolse  a  me  con  miglior  labbia,  67 

Dicendo  :  quel  fu  un  de'  sette  Regi , 
Ch*assiser  Tebe,  ed  ebbe,  e  par  eh* ^li  abbia 

i^.  57.*  legge  TAng.  £•  R.  —  e  il  Vat.  3 199.  ♦«  Si  coni  e/,  li 
Nidob. ,  in  laogo  di  Sì  coni' e*,  che  leggono  l'altre  edizioni. 

60  JVon  ne  potrebbe  ec.  Con  Scagliarmi  contro  tutti  i  pre- 
Siti  fnlminiy  non  avrebbe  1*  allegrezza  di  vedermi  mniliato. 

61  di  forza  j  fortemente. 

62  sì  forte  udito ,  ellissi ,  intendi  parlare . 

63  in  dò  vale  lo  stesso  che  per  questo  appunto  (  in  aDe 
veci  di  per  vedilo  nel  Cinonio  [a]  ). 

66  dolor  compito  per  pena  adequata  • 

67  con  miglior  labbia.  Labbia j  faccia ,  aspetto.  Vedi  il 
Vocab.  della  Cr.  Adunque  con  miglior  labbia  significa  il  me- 
desimo che  con  aspetto  più  mite.  »^  G)si  il  Petrarca  .^.  o^e 
fusate  penne  —  Mutai  per  tempo  e  la  mia  prima  labbia. 

BlAGlOLI.  4-« 

6y9^fu  Pan  y  legge  l'Ange  E.  R-,  e  il  VaL  3 199,  e  la  Cru- 
sca. «-•  sette  Jtegij  cne  assediarono  Tebe  per  rimettervi  Polì* 
nice  ;  e  furono  Adrasto  9  Polinice,  Tideo,  Ippomedonte ,  Anfia* 
rao ,  Partenopeo  e  Capaneo  •  Vedi  Stazio  nella  Tebaidej  Volf f . 

69  Ch^assiser  Tebe,  dal  yf erho assiderei  non  si  assiderono 
intomo  a  Tebe  però  (  critica  il  Venturi  )  j  ma  rassediarono  ; 
èhè  assidersi  vale  porsi  agiatamente  a  sedere.  Volgarmente 
preso  y  messer  si ,  risponderebbegli  Dante  ;  ma  non  preso  in  sua 
origine  dal  latino  assiderei  che  fu  adoprato  anche  per 

[a]  Partie,  i38.  io. 


CANTO  XIV.  3fi 

Dio  in  disdegno,  e  poco  par  che  '1  pregi  :        70 
Ma 9  com'io  dissi  lui,  gli  suoi  dispetti 
Sono  al  suo  petto  assai  debiti  fregi. 

Or  mi  vien  dietro ,  e  guarda  che  non  metti        7  3 
Ancor  li  piedi  nella  rena  arsiccia  ; 
Ma  sempre  al  bosco  gli  ritieni  stretti  • 

Tacendo  divenimmo  là  've  spiccia  76 

Fuor  della  selva  un  piccioi  iiumicello , 
Lo  cui  rossore  ancor  mi  raccapriccia . 

Quale  del  Bulicame  esce  '1  ruscello ,  79 

Che  parton  poi  tra  lor  le  peccatrici  ; 

ilare  f  ammissumque  oppidwn  assideri  sine  prcielio  audie- 
haty  riferisce  da  Sallustio  Prìscianp  [a]. 

70  m^Dio  in  dispregio  legge  il  Val.  Ì199. 

71  com'io  dissi  lui  (t^.  63. e  segg.),  gli  suoi  dispetti  ^  le 
ingiurie  che  sforzasi  di  fare  a  Dio.  »-»La  parola  dispetti  ri- 
sponde a  questo  :  auer  Dio  in  disdegno  y  e  pregÌ£uìo  poco  . 
Adanoue  neiranzidetto  vocabolo  si  comprendono  le  due  idee 
di  disdegno  e  disprezzo.  Biagioli.  «-« 

ja  debiti  fregia  ironicamente  per  debite  pene . 

j4  -^ncotj  invece  iì  per  ancora ,  per  adesso  j  accennando 
che  li  pure  T arena  era  infuocata ,  e  che  non  ei*a  ancor  luogo 
da  passare  nel  nuovo  contiguo  girone.  m-¥ Ancor  va  congiunto 
oon  guarda  j  ed  ha  forza  di  pure  •  Tobelli.  <-m 

75  u^sì  li  tieni  j  legge  il  cod.  Ang.  E.  R.;  -  e  tien  li  piedi  j 
il  Vat  3i9g.4-« 

78  rossore ,  color  di  sangue  •  -*  ancor  mi  raccapriccia  ^  colla 
•ola  ricordanza. 

79  Bulicame.  Cosi  appellasi  uno  stagno  d'acqua  bollente  in 
vicinanza  di  Viterbo. 

80  Che  parton  poi  ec.y  che  si  parte  per  varj  condotti  nelle 
case  del  postribolo  9  in  servizio  delle  peccatrici  donne.  A  questa, 
cbela  coniane  interpretazione  di  tutti  gli  antichi  Spositorì,  si 
oppone  il  Venturi  :  ma  io  9  dice ,  che  ho  visto  il  Bulicame  y  non 
^ggocome  ciò  possa  verificarsi y  essendo  due  miglia  lontano 

[a]  Lìb.  S.Vedì  anche  il  Tesoro  delia  lingua  latina  di  Roberto  Slefaoo . 


3i4  INFERNO 

Diss'egli  allora,  che  s'appella  Greta, 
Sotto 4  cui  Rege  fu  già  'I  mondo  casto. 

Una  montagna  v'è,  che  già  fu  lieta  97 

D'acqua  y  e  di  frondi ,  che  si  chiama  Ida  ; 
Ora  è  diserta,  come  cosa  vieta. 

Rea  la  scelse  già  per  cuna  fida  100 

Del  suo  figliuolo;  e,  per  celarlo  meglio , 
Quando  piangea ,  vi  facea  ùr  le  grida  • 


filosofia  profonda  e  vera  »  alto  immaginaTe  ,[iiigegno  veramente 
divino.  BiAGioLi.<4-« 

95  Creta  f  Candia. 

96  Sotto  7  cui  Jtege,  Saturno ,  fa  il  mondo  pudico;  coti 
Giovenale:  Credo  pudicitiam  Saturno  Rege  moratam^In 
terrism  Vehtubi.  Jtege,  per  i?e,  adopei*a)o  Dante  parecchie 
Volte^ed  altri  scrittori  pui*e.  Vedi  il  Vocab.  della  Crusca. 

98  D^ acqua  y  e  di  frondi ^  che  si  chiama  Ida ,  cosi  la  Ni* 
dob.y  meglio  delPaltre ,  che  leggono 9 Z>*ac^iie  e  di  fronde^che 
si  chiamò  ;  perocché  corrisponde  al  scappella  Creta  scrìtto  di 
sopra  ;  dove  si  vede  che  non  ha  il  Poeta  avuto  riguardo  ai  nuo- 
vi nomi  che  nell'età  nostra  si  danno  di  Candia  all'isola ,  e  di 
Psiloriti  [a]  al  monte .  m^  si  chiamò ,  legge  l'Ang.  E.  B.  -  e  il 
Vat.  3 1 99 ,  -  e  così  colla  Cr.  il  Biagioli  ;  e  vuole  che  il  chiamò 
renda  il  verso  di  maggiore  armonia;  il  che  non  ci  sembra .4^ 

99  diserta,  da  tutti  abbandonata .- come  cosa  uieta^  vec* 
chi  ai  fracida  e  fiappa;  onde  si  dice  saper  di  vieto  una  cosa 
quando  è  divenuta  vecchia.  Dahiello. 

100  al  102  Reay  chiamata  anche  Berecintia,Cibeley  Terra, 
Opiy  la  Gran  Madre ,  figliuola  del  Cielo  e  di  Vesta:  data  in 
moglie  a  Saturno,  gli  partorì  Giove,  Giunone,  Nettuno  e  Plu- 
tone; e  perchè  il  marito  si  divorava  i  figliuoli  che  di  lei  nasce- 
vano, fece  nutrir  Giove  secretamente  nel  monte  Ida  ;  dove,  af- 
finchè non  si  sentissero  i  vagiti  del  bambino,  faceva  fare  gran- 
di strepiti  con  cembali  ed  altri  fragorosi  strumenti  di  festa,  e 
voci  incondite  di  allegrezza.  Vehtuei.— -ernia  fida  adunque 
▼ale  quanto  sicuro  nascondiglio  • 

[a]  Vedi  Ferrar.,  Lexic^  Ceogrt  ari.  Ida  • 


CANTO  XIV.  3i5 

Dentro  dal  monte  sta  dritto  un  gran  veglio ,    i  o3 
Che  tien  volte  le  spalle  in  ver  Damiata, 
E  Roma  guarda  sì ,  come  suo  speglio . 

La  sua  testa  è  di  fin'  oro  formata ,  1 06 

E  puro  argento  son  le  braccia  e  '1  petto; 
Poi  è  di  rame  intìno  alla  forcata: 

Da  indi  ingiuso  è  tutto  ferro  eletto ,  109 

Salvo  che  '1  destro  piede  è  terra  cotta, 

io3  Dentro  dal  monte  ec.  Per  fare  aTverai^e  sempre  più 
che  l'Inferno  V  nud  dell^univ^rso  tutto  *nsacca  [al  «  vuole 
Dante  nell'acque  stesse  infernali  simboleggiata  la  scolatura  dei 
Tizj  dell' uman  genere  in  ogni  tempo.  In  una  statua  adunque 
di  nn  gran  %^eglioy  composta  da  capo  a  piedi  di  varie  materie 
gradatamente  peggiori ,  come  quella  che  nelle  Scritture  sacre 
dlcesi  veduta  da  Nabuccodonosor  [&] ,  figura  egli  il  tempo ,  e 
il  peggioramento  de' costumi  entrato  e  cresciuto  col  tempo  stes- 
so neiruman  genere;  e  dal  corrompimento  delle  materie  com- 
ponenti cotale  statua ,  eh 'è  quanto  a  dire  dai  vizj  di  tutti  i  tem- 
pi, derivano  le  fecciose  infernali  acque. 

Ripone  Dante  questa  statua  in  Creta,  perchè  in  Creta 
(chiosa  d  Venturi  col  Landino)  fingono  i  poeti  che  col  regno 
di  Saturno  cominciasse  del  tempo  la  prima  età.  Non  ponela 
in  vista  y  ma  nascosta  dentro  del  monte ,  acciò  Tesperienza  non 
tolga  fede  alla  finzione.  L'altre  circostanze  in  seguito  • 

104  io5  tien  volte  le  spalle  ins^er  Damiata,  —  iF  Roma 
guarda  ec.  O  per  Damiata  accennasi  Ponente ,  e  per  Roma  Toc- 
cidente  y  e  vuole  indicarsi  che  il  tempo  non  sia  altro  che  un 
riguardo  al  moto  degli  astri ,  che  da  oriente  in  occidente  fassi  ; 
0  vuole  significarsi  che  il  tempo  è  fatto  per  la  beata  eternità , 
e  però  guardi  Roma ,  cioè  la  vera  religione  che  alla  beata  eter- 
nità sola  conduce,  e  volti  le  spalle  a  Damiata  città  d'Egitto, 
inteso  per  l'idolatrìa  ed  ogni  erronea  setta.  »-►  E  Itomaguar^ 
da,  come  suo  speglio y  legge  l'Ang.  E.  R.  -e  il  Vat.  Sigg.-^^ 

106  al  III  La  sua  testa  ec.  Ne' metalli  di  cui  è  composta 
la  statua  si  riconoscono  le  diverse  qualità  de  costumi,  secondo 
i  diversi  tempi  ed  età  del  mondo.  Vedi  Ovidio,  lib.  1.  delie 

[a]  Inr.  fit.  18.  [b]  Dan,  a. 


3i6  INFERNO 

E  sta  'n  su  quel ,  più  che  'q  sull'  altro ,  eretto. 
Ciascuna  parte  ^  fuor  che  V  oro ,  è  rotta  1 1 1 

D*  una  fessura  y  che  lagrime  goccia  y 

Le  quali  accolte  foran  quella  grotta . 
Lor  corso  in  questa  valle  si  diroccia:  1 15 

^   Fanno  Acheronte ,  Stige,  e  Flegetonta; 

Poi  sen  van  giù  per  questa  stretta  doccia 
Intin  là^  ove  pia  non  si  dismonta:  1 18 

Trasfomu:  Aurea  prima  saia  est  aetas  ec*  Il  pie  di  cn^t», 
su  cui  si  posa,  è  Tetà  che  corre  pvesentomeDte:  vedi  Giov^ 
naie  nella  saU  1 3.,  che  dà  la  rarione  perchè  questa  parte  ancora 
non  sia  di  metallo,  come  le  altre  (cioè  perchè  appellinsi  dai 
poeti  tutte  le  precedenti  età  col  nome  di  qualche  metallo ,  fuor 
che  l'età  corrente): 

Nona  aetas  agitar  [aj,  peioraque  saecula  ferri 
Temporibus  j  quorum  sceleri  non  ins^enit  ^sa 
JVomen ,  et  a  nullo  posuit  natura  metallo . 
Vehtvbi.  —  forcata  y  quella  parte  del  corpo  dove  termina  il 
busto  e  comìncian  le  cosce.  Volpi. 

I  la  al  1 15  Ciascuna  parte,  fuorché  VorOy  (metallo  porìs- 
simo  che  non  prende  ruggine,  indicante  però  l'innocenza  de'pri- 
mi  uomini)  erotta  '^D  una  fessura  y  che  lagrime  goccia  y  da 
cui  sgocciola  la  scoria  di  quelle  impure  materie  •  ^quella  grotta^ 
il  fondo  di  quella  grotta  che  la  statua  tiene  nascosta .  9-^questa 
grotta y  legge  il  Vat.  3I99.4HÌ  si  diroccia y  cioè  si  discende, 
correndo  a  modo  di  fiume.  Buti  ,  riferito  nel  Vocabolario  della 
Crusca. 

117  doccia  y  canale ,  condotto .  Del  medesimo  significato  bassi 
il  latino-barbaro  dógaei  canales  (chiosa  il  Laurenti  [Aj)» 
quibus  aqua  ducitun 

iiSlày  oue  più  non  si  dismontay  al  fondo  delPInfemo.  »-»  /n- 
fin  là  i  l'edizione  Aldina  ha  punto  fermo  dopo  doccia  $  e  convien 

fn]  Nona  igitur  aetas  agitar  (chiosa  al  riferito  passo  di  Giovenala  il 
Juvenci)»  quia  Graeci  non  tantum  quatuor  aetates  {iam  exaetas,  io- 
teodi)  mumerabantf  ut  Latini  ^sed  octo:  auream^  argemteam,  eie* 
ctream,  aeream,aupream,stanneam,plumbeam9ferream.  [b]jlmmiià. 
onom»  art.  Dogae, 


CANTO  XIV.  317 

FaoDo  Cocito;  e 5  qual  sia  quello  stagno. 
Tu'!  vederai,  però  qui  uod  si  conta. 
£d  io  a  lui:  se  1  presente  rigagno  1 1 1 

Sì  deriva  cosi  dal  nostro  mondo , 
Perchè  ci  appar  pure  a  questo  vivagno? 


kggere  inftn  per  insin,  detto  avverbialmente  wt  finalmente. 
TouLLL-Gol  mostrare  che  qaeste  lagrime  scendono  neirinfer- 
nOy  vnol  significare  che  laggiù  piomJbano  i  rei  col  pondo  delle 
colpe  loro 9  e  ch'esse  lagrime  saranno  ivi  l'eterno  foro  suppli- 
zio. Formano  quelle  làmine  Acheronte^  che  suona  quanto  jen- 
za  allegrezza  ;  il  che  mostra  il  primo  effetto  del  delitto,  che  è 
di  torre  al  reo  ogni  allegresza  e  contento.  Foimanoin  seguito 
lo&i^yche  s'interpreta  triVfezza)  a  dimostrare  quella  tristezza 
che  ingombra  il  reodopo  il  delitto.  Formano  posaa^F/efi^efon/ay 
Toce  significante  (traente  j  a  dimostrare  i  supplizj  e  le  ango* 
Ke  che  cruciano  il  malvagio.  E  infine  Oocito  y  che  s'interpi*eta 
pianto  y  a  dame  ad  intendere  che  il  piangere  9  il  dolersi  e  il 
rammaricarsi  succedono  poi  ai  tre  sopraddetti  effetti .  Onde  si 
conchiude 9  che  il  delitto  è,  tanto  in  questo  quanto  nell'altro 
mondo,  il  vero  inferno  dell'uomo  malvagio.  Biagioli.  4hì 

1^0  Tu  U  ti  vedrai  [a]  y  invece  di  Tu  7  vederaiy  la  temo 
correzione  di  tale  troppo  amico  della  sincope.  Vedi  Inf.  1.  1 1 8r 
e  quella  nota. 

lai  ri^ogTio 9  rigagnolo 9  picciol  rivo.  Vedi  il  Vocabolario 
delia  Crusca . 

123  m^  del  vostro  mondò  y  legge  il  Vat.  3 199.  4hì 

123  pure  a  auesto  vii^amoy  solamente  a  questa  ripa,  f^i- 
vagno  (  chiosa  il  Vocab.  della  Cr.)  propriamente  l'estremità 
de  lati  della  tela,  Persimilit.  vale  ripa.  Pareva  a  Dante  che , 
scendendo  quel  rivo  dal  nostro  mondo 9 dovesse 9  mentr'era  nel*- 
l'alto  dell'Inferno,  vederlo  scendere. 

Per  qtiesta  interrogazione  che  Dante  fa ,  e  per  la  risposta 
rlie  rende  lui  Virgilio 9  scuopresi  l'insussistenza  di  ciò  che  il 
laudino  e  Vellutello  suppongono  ;  ed  ha  anzi  il  Vellutello 
in  chiari  termini  premesso  nel  e.  vii.  di  questa  cantica ,  i^.  io6« 
e  ftc^g. ,  che  le  acque  cadenti  dalla  palude  stigia  del  quinto 


[a]  Vcilì  Seri€  dìAnedd,  Verona  1790 ,  téz.  45« 


3i8  INFERNO 

Ed  egli  a  me  :  tu  sai  che  1  luogo  è  tondo  ;         124 
E  tutto  che  tu  sii  venuto  molto 
Pur  a  sinistra  giù  calando  al  fondo. 

Non  se' ancor  per  tutto  '1  cerchio  volto;        127 
Perchè 9  se  cosa  n  apparisce  nuova, 
Non  dee  addur  maraviglia  al  tuo  volto. 

Ed  io  ancor:  Maestro,  ove  si  truova  i3o 

Flegetome,  e  Lete,  che  dell' un  taci, 
E  r altro  di'  che  si  fa  d'està  piova? 

cerchio  facciano  questo  stesso  fiume,  detto  Flegetonte;  imperoc- 
ché, cosi  essendo,  avrebbe  dovuto  Virgilio  a  questa  interroga- 
zione rispondere,  che  già  coiaX  rigagno  era  apptwso  nel  pas- 
sar che  fecero  dal  quarto  al  quinto  ceixhio,  in  quella /onte, 
che  bolle  e  riv^ersa  ec.  [a] ,  cioè  nel  fiume  Stige  • 

I  a6  Pur  a  sinistra ^  leggono  l'edizioni  del  Luidioo,  Vello- 
tello  e  Daniello,  assai  meglio  che  la  G>miniana  ed  altre  mo- 
derne appresso  alla  edizione  degli  Accademici  della  Crusca,  che 
legge.  Pure  sinistra .  Eccone  la  iacìle  costruzione:  Tutto  che  tu 
calando  giù  al  fondo  sii  pure  venuto  molto  a  sintstray  quan- 
tunque, cioè,  nell'atto  che  tu  cali  verso  il  fondo  dcir inferno, 
siiti  pur  molto  nell'obbliqua spirale  via,  chea  sinistra  impren- 
desti ,  innol Irato .  La  Nidobeatina  legge ,  Piìi  a  sinistra  ;  ma  an- 
che di  questa  è  migliore  Pur  a  sinistra .  «-^  Come  la  Kidob. 
leggono  i  codd.  Cass.  E.  B.  —  e  il  Vat.  3  igg-^-s 

1 2  j  JVon  se"  ancor  per  tutto  '/  cerchio  volto ,  non  sei  an- 
cora giunto  al  punto  posto  sotto  quello,  onde  incominciasti  la 
discesa. 

1 2q  Non  ^ee  addur  ec. ,  non  dee  rendere  il  tuo  volto  ma- 
ravigliato, non  dee  recarti  maraviglia. 

i3i  i32  £erè,  lec^ge  qui  ed  altrove  \h'\  sempre  la  Nidob.; 
e  inteso  che  pitinunziar  dcbbasi ,  come  i  Gi'eci  e  i  Latini  pro- 
nunzianlo ,  colla  seconda  e  lunga ,  non  8ai*à  in  \erun  luogo  bi- 
sogno di  quel  Letèo ,  che  dee  malamente  alcuno  aver  gìiMlicato 
necessario  per  l'aggiustatezza  del  verso.  Non  mi  sembra  però 

[«1]  Inf.  VII.  IDI.  I09.  \ìji\  liei  V.  1 56.  del  presenta  canto.  Turg  mxTi. 
io8.|Zxviu.  i3o.|XZx.  143.  XXXIII.  96.  i'j3. 


CANTO  XV.  3i9 

In  tutte  tue  questìon  certo  mi  piaci ,  1 33 

Rispose  ;  ma  'I  bollor  dell'acqua  rossa 
Dovea  ben  solver  l'una ,  che  tu  faci . 

Lete  vedrai,  ma  fuor  dì  questa  fossa,  i3G 

Là  dove  vanno  Tanìme  a  lavarsi. 
Quando  la  colpa  pentuta  è  rimossa. 

Poi  disse:  ornai  è  tempo  da  scostarsi  i^g 

buona  la  ragione  che  ne  aggiunge  il  Perazzinì ,  che  essendo  il 
latino  Leihe  di  genere  femminino ,  posto  che  Dante  stesso  vi 
avesse  giunto  lettera,  scrìtto  avrebbe  Zetèa^  e  non Letèo  [ah 
imperocché  in  questi  versi  appunto  dicendo  di  Flegetonte  e  di 
Lete,  delVun  taci ^^ E  r altro  di\  scopi*esi  Dante  d'intendi- 
mento che  fossero  ambedue  questi  nomi  di  genere  del  maschio  • 
—  delPun  taciy  di  Lete ,  —  E  Paltro ,  Flegetonte  :  di* ,  dici , 
che  si  fa  d^esta piova?  di  quest'acqua  piovente  dalla  descrìtta 
statua. 

1 34  1 35  '/  hollor  deir acqua  rossa  9  che  tu  hai  poco  anzi 
veduta  a  gastSgo  degl'immersi  violenti  contilo  il  prossimo  [&j. 
-^Douea  ben  solver  Vunay  delle  questioni,  che  tu  faci^  per  ' 
/'m  .-imperocché  sapendo  tu  esser  il  nome  di  Flegetonte  formato 
dal  greco  verbo  pÀsyciìj  che  significa  abbruciare  [cj,  doveva  il 
hollor  di  quell'acqua  farti  accorgere  ch'era  la  medesima  il 
Flegetonte,  di  che  tu  chiedi. 

Può  questo  passo  raddoppiare  il  peso  agli  ai^omenti,  coi 
quali  Fautore  delle  Memorie  per  la  vita  di  Dante  [^],  e  l'au- 
tor degli  Anedd.y  Verona  1 790  [e] ,  sostengono ,  contro  il  sen* 
timento  del  maroh.  Scipione  MafFei  e  d'altri  letterati,  che 
avesse  il  nostro  Poeta  cognizione  del  greco  idioma .  «-^Qui  pure 
il  Biagioli  coneorre  nel  sentimento  di  coloro  che  vogliono  il 
Poeta  nostro  nella  greca  lingua  perìto.4-« 

i36  questa  fossa ^  intendi  tutta  l'infernale  cavità  . 

iSj  Là  dove  ec.,  nel  Purgatorio,  canto  xxtiii.  verso  a3,  e 

1 38  Quando  la  colpa  pentuta  è  rimossa.  Accenna  qui  Dan^ 
te  quel  giustificante  pentimento  che  le  purganti  anime,  dopo 

fai  Correct,  in  Dani.  Co moed.V ctonie  1775.  [b]  Canio  xii.  47.  •  wgg« 
[cj  Schrcvcl    léCxic,  Or,  LaL  [d]  J.  S.  [e\  Gap.  i3. 


320  INFERNO 

Dal  bosco;  falche  di  retro  a  me  vegne: 
Lt  margini  fan  via,  che  non  son  arsi, 
£  sopra  loro  ogni  vapor  si  spegne . 

le  sofferte  pene,  giunte  al  fiume  Lete»  prima  d*esservi  imincr* 
se  »  sentono  in  sé  stesse  eccitarsi  ;  siccome  il  Poeta  attesta  di 
sé  medesimo  colà  giunto,  come  nel  Pui^.  xxxi.  85.  e  segg. 
Di  penter  sì  mi  punse  ivi  Vorticaj 
Che  di  tuti'attre  cose  guai  mi  torse 
Più  net  suo  amor^  pia  nii  si  fé*  nimica . 
Tanta  riconoscenza  il  cor  mi  morse , 
Che  ec, 
Pentuta  dapenterey  addiettivo  adoperato  dal  Boccaccio  pure 
e  dal.  Villani.  Vedi  il  Vocabol.  della  Ci*,  m^ Pentuta  è  più 
conforme  al  senso  del  latino  poenitere  y  cioè  poena  tenere  ) 
verbo  che  i  Grammatici  vulgarì  han  detto  voler  il  nominati- 
vo airaccusativo ,  per  non  aver  saputo  che  la  proposizione  me 
poenitet  peccati  mei  è  un  compendio  di  poena  peccati  mei 
tcnet  me.  Biagioli.  ««hì 

Si  trova ^  dice  il  Venturi,  in  qualche  codice  pentuta  ha 
rimossa  ;  e  allora  zie/i/u^a  sarebbe  nome  sostantivo,  come  pen^ 
timento  j  rendendo  questo  senso  :  la  penitenza  ha  tolto  via 
ogni  i/est igio  di  colpa.  E  vi  è  chi  giura  aver  ritrovata  in  altri 
scrittori  classici  tal  voce  antica  in  questo  medesimo  significato. 
Non  vi  è  qui  bisogno  della  voce  pentuta  a  questo  senso  ; 
quando  però  vi  fosse ,  l'esempio  l'avremmo  lampante  dalla  Crt>« 
naca  di  Donato  Velluti,  prodottoci  nel  Vocab.  della  Crusca: 
sconfitti  due  polle  ^  come  sono  stati  y  ed  essere  sotto  tiran^ 
no;  di  che  n^ hanno  centomila  pentute. 

i4o  vegne y  antitesi  per  rima;  invece  di  vegni  o  i^enghi* 
i4i  che  non  son  arsiy  che  sono  di  pietra  non  coperta  del* 
r infuocata  rena,  come  è  detto  ne  versi  83.  e  84-  9-*  Noa per 
esser  di  pietra ,  ma  perchè  non  vi  cascan  le  fiamme  come  nel- 
la  rena»  Biaoioli.^-v 

1 4^  JE  sopra  loro  ogni  i^apor  si  spegne ,  perchè ,  come  nel 
principio  del  seguente  Canto  dirà ,  */  fummo  del  ruscel  di  so» 
pra  aduggia'Sìy  che  dal  fuoco  siUva  Inacqua  y  e  gli  argini. 


t^^A.i 


CANTO   XV. 


ARGOMENTO 

Innoltratisi  i  due  Poeti  nd  nuwo  girone,  b  tìlhniQr 
natisi  dal  bosco  in  modo  che  più  non  si  poteva  ve- 
dere, incontrano  una  schiera  di  tormentate  anim^; 
e  queste  Èono  i  violenti  contro  natura}  tra  quali 
Dante  conobbe  Brunetto  Latini  suo  maestro ,  a  cui 
fa  predire  il  suo  esilio . 

Vy ra  ceD  porta  l' un  de'  duri  nfiargiui  ^  i 

E  i  ftinimo  del  ruscel  di  sopra  aduggia 
Si ,  che  dal  fuoco  salva  F  acqua  ^  e  gli  argini . 

Quale  ì  Fiamminghi  tra  Guzzante  e  Bruggia,  4 

I  duri  margini ,  del  i-ascello ,  perocché  eran  di  pietra  y  e  non 
enperti  della  cocente  i-ena ,  come  è  detto  nel  precedente  canto^ 
i'.  82.  8it.  m^Tun  de* due  margini  ^  legge  l'Ang.  E.  R.4-c 

%  3  E^l  fununo  del  ruscel^  perche  bollente  ò  Tacqaa  che 
in  esso  scorre,  essendo  la  medesima  che  nel  primo  di  onesti 
tre  ^roni  castiga  i  violenti  contro  il  prossimo,  e  che  attrayer» 
sando  il  secondo  e  terzo  girone,  cioè  lasciva  dei  pmni  animati 
e  il  presente  sabbione ,  va  a  cadere  ne'  cerch j  inferiori .  -•  adug* 
già  -  ^f ,  che  dal  fuoco  salva  ee.  Aduggiare ,  fttr  ombra ,  qui 
per  soprastare:  ed  essondo  il  fumo  della  bollente  a<qua  una 
esalazione  umida  tanto ,  che ,  come  ne  ammaestra  l' esperiensa^ 
sp^ne  la  fiamma  d'una  candela,  ragionevolmente  gli  appropria 
Dante  la  virtii  di  estinguere  le  pioventi  fiammelle  prima  che 
giungano  alla  superficie  della  stessa  bollente  acqua  e  degli  ar- 
gini intorno •  .  '      > 

4  Guzzante^  picciola  villa  di  Fiandra.  -  Bruggia^Brugg/^ 

Voi.  L  21 


3aa  INFERNO 

Temendo  4  fiotto ,  che  in  ver  ior  s*  avventa , 
Fanno  lo  schermo ,  perchè  'I  mar  si  fuggia  ; 

£  quale  i  Padovan  lungo  la  Brenta ,  7 

Per  difender  Ior  ville,  e  Ior  castelli , 
Anzi  che  Chiarentana  il  caldo  senta  ; 

A  tale  immagine  eran  fatti  quelli ,  10 

Tutto  che  né  si  alti,  né  sì  grossi, 
Qual  che  si  fosse ,  lo  maestro  felli  • 

Già  eravam  dalia  selva  rimossi  i3 

Tanto,  eh'  io  non  avrei  visto  dov'era, 
Perch'io  'ndietro  rivolto  mi  fossi; 

e  Bruges  [a] ,  nobilissima  città  di  Fiandra ,  discosta  da  Gut^ 
zante  cinque  leghe.  »-^  Guizante,  legge  il  Vat.  3199.  4-c 

A  flotto ,  marea ,  gonfiamento  di  mare ,  ondeggiamento  y  fiatto. 

6  lo  schermo  j  con  argini  detti  anche  dighe  ^  dal  francese 
digues . ^fuggia  ^.per  fugga  y epentesi  imitante  il  latino  fugiau 
in  grazia  della  rima .  m-^purchè ,  invece  àiperchè ,  legge  il  cod. 
Ang.  E.  R.  —  ed  anche  il  VaU  3  igg.  ♦-■ 

y  Brenta  y  fiume  che  attraversa  il  Padovano  9  e  si  scarica 
nell'Adriatico . 

9  Anziché  Chiarentana ec>  Quella  parte  delle  Alpi,  do^e 
nasce  il  detto  fiume  j  piena  e  ricoperta  per  lo  più  di  altissime 
nevi  9  che  disfatte  e  in  acqua  risolute  al  primo  sentirsi  del  cal- 
do )  fanno  oltremodo  ingi'ossare  la  Brenta.  Vertcri. 

1  o  al  12^  tale  imtnagine  ec.  A  tale  somiglianza  erano  gli 
argini  delF infernale  ruscello;  solo  che  rartenoe^  chionque  si 
fosse,  non  feceli  né  si  alti ,  né  si  grossi ,  come  quelli  de'Jb iam- 
minghi  contro  il  mare,  o  de' Padovani  contro  la  Brenta,  ma 
più  bassi  e  più  piccioli,  proporzionati  alla  picciolezza  del  ru- 
scello. Dicendo  QUiU  che  si  fosse ^  lo  maestro  <,  cioè  il  fabbri- 
catore ,  mostra  di  dubitare  se ,  come  alla  ten*a  oleata  da  Dio 
hanno  gli  uomini  aggiunte  delle  opere,  così  airiafenio,  pur 
latto  dalla  divina Potestate  [6J, abbiano!  demonj  aggiunto  al- 
enila cosa,  m^  Qual  che  si  fosser,  legge  l'Ang.  E.  K.  «^ 

i5  Perchè  ha  qui  senso  di  caso  che  ^  benché^  oaiittile.  V«^ 

\m]  Fi-rrar.  Lexìc,  Ceogr,  [b]  Inf.  ni.  S. 


CANTO   XV.  3a3 

Quando  inconcrammo  d^atiime  nna  schiera,   16 
Che  venia  lungo  l'argine,  e  ciascana 
Ci  riguardava ,  come  suol  da  sera 

Guardar  l'un  l'ciltro  sotto  nuova  Luna,  19 

E  sì  ver  noi  aguzzavan  le  ciglia, 

dine  altri  esempj  e  del  Poeta  stesso,  e  d  altri  ottimi  scrittori 
ritaii  dal  Cinonio  [a]  e  dal  Vocabolario  della  Crusca.  »-^ll 
Riagiolì  si  oppone  e  vuole  che  qui  abbia  invece  il  significato  di 
per^  chiosando .-cv  era  ^i<7  distante  dalla  seha  tanto  chcj  per 
svolgersi  indietro^  non  avrebbe  %*eduto  os^^essa  se  ha  era,v>^^ 
Per  poi  capire  cbe  parla  Dante  a  questo  modo ,  non  per  aggiun- 
tar pjirole  9  ma  per  accrescer  forza  al  concetto ,  convien  notare 
riaecose.  La  prima  è  che  un  oggetto,  quantunque  ci  stia  die* 
tro  alle  spalle,  nonostante ,  se  sia  quello  assai  esteso,  com'era 
di  fatto  quella  selva,  Tocchio  lateralmente  mosso  lo  vede.  La 
seconda  è  che  guai*dando  in  cotal  modo,  colle  spalle  volte 
ill'(^getto,  convien  che  l'occhio  miri  apaiti  dell'oggetto  assai 
piò  da  sé  rimote  di  quelle  altre  parti ,  alle  quali  mirerebbe 
le  ?uardasselo  direttamente  (  questo  è  come  a  dire  che  tra  le 
molte  linee  rette  che  da  un  punto  tii*are  si  possono  sopra  di 
un  piano,  la  perpendicolare  è  sempre  la  più  breve).  Vuole 
adanque  il  Poeta  inteso  che  tanto  erasi  dalla  selva  allontanato, 
ehenon  solo  colle  spalle  volte  ad  essa,  obbliquameute,  e  parti 
della  selva  più  da  sé  rimote  guai*dando ,  non  la  vedeva  più ,  ma 
neppure  avrebbela  veduta  se  rivoltosi  fosse,  e  guardato  a  ves* 
•eia  in  parte  meno  da  sé  rimota. 

17  ^-^ lungo  V argine.  L'Ang.  legge  invece,  lungo  gli  ar^ 
fini.  E.  R.  <«-« 

18  al  ao  come  suol  da  sera  ec.-^ sotto  nuoi^a  Luna;  ee« 
Sera  adoprando  per  noffe ,  com' altri  pur  sogliono  (Vedi  il  \o* 
cabolario della  Crusca  sotto  la  voce  Sera ,  $.  3.  ),  e  sotto  nuoua 
I^na  dicendo,  invece  di  dire  in  tempo  di  Luna  nuova y  vuole 
significarne  che,  come  in  tempo  di  Luna  nuova  (  perocché,  tva» 
montando  in  tal  tempo  la  Luna  poco  dopo  il  Sole ,  rimane  la 
iM>tte  buia  )  conviene  che  i  viandanti ,  per  guardarsi  l'un  Tal* 
<n)i  fissino  ben  bene  gli  occhi,  così  quelle  anime  fissamente 
guardavano  i  due  Poeti.  m-¥  Guardare  uno  altro  j  al  u.  19., 

[«]  Partii.  196  8. 


3^4  INFERNO 

Come  vecchio  sartor  fa  nella  crana . 

Così  adocchiato  da  cotal  famiglia,  ^^ 

Fui  conosciuto  da  un  che  mi  prese 
Per  lo  lembo ,  e  gridò  :  qual  maraviglia  ? 

Ed  io,  quando  '1  suo  braccio  a  me  distese,     a5 
Ficcai  gli  occhi  per  lo  colto  aspetto, 
Sì  che  '1  viso  abbrucialo  non  difese 

La  conoscenza  sua  al  mio  'ntelletto:  a8 

E  chinando  la  mano  alla  sua  faccia 


legge  TAng.  E.  R,  —  e  cosi  il  Vai.  3 199.  —  Vuole  il 
che  r  espressione  da  sera  si  abbia  ad  intendere  quale  essa  suo- 
na, siccome  ralu*a  salto  ntiot^a  Luna;  perchè  allora  rende k 
Luna  si  5cai*sa  luce ,  che  non  si  può  agevolmente  rafl^nrare  k 
persone  .-CiOSÌ  anche  prima  del  Biagioli  chiosava  il  Poggia]i.4-s 

21  cruna y  intendi  dell'ago ,  ed  è  il  foro  onde  s* infila:  per 
far  ciò  conviene  che  il  vecchio  sartore  adoperi  tutta  la  sua  fona 
visiva .  m-¥  Come  7  vecchio  sartor  ec.  ^  legge  TAng.  E.  R.  —  e 
il  Val.  3i99.4-« 

^3  Fui  conosciuto  f  legge  ^^  Nidob.;  ove  l'altre  edisiooii 
Fu*  conosciuto. 

214  P^^'  ^o  lembo j  intendi  della  veste;  e  ciò  perchè  Dante 
camminava  sull'argine  del  ruscello 9  e  quell'ombra  veni?aa 
pie  dell'alane ,  dentro  l'infuocata  arena, onde  non  poteva  pren- 
dere che  il  lembo .  -  qual  maravigiia?'fev  qual  marayigliosa 
cosa  è  questa  mai? 

26  al  aS  cotto  aspetto  j  abbrostolito  dal  fuoco.  —  Tion  di* 
fese  -  La  conoscenza  sua ,  non  tolse  a  me  di  comprendere  chi 
egli  era.  m^ difese.  Difendere  per  vietare ^  come  appresso  i 
Francesi  ;  ma  non  è  senza  esempio  ne' prosatori.  ToaBL&i.—* Il 
eh  stg.  Ab.  Portirelli  lo  vuol  derivato  invece  dal  latino  defen^ 
-dere^  che  significa  anche  impedire 


stg  E  chinando  ee>  E  abbassando  le  mani  alla  sua  faccia^ 
«Ila  quale  sola  poteva,  per  l'alteasa.in  cui  era»  accostar  le  mani 


più  giusto 
di  chinar  la  mano.  Ma  a  lui  si  oppone  il  Biagioli,  col  dire  die 


CANTO  Xy.  3^5 

Risposi:  siete  voi  qai,  ser  Brunetto? 
E  quegli:  o  figliiiol  mio,  non  ti  dispiaccia      3f 
Se  Brunetto  Latini  un  poco  teco 


l'atto  di  Dante  nel  chinare  la  mano  alla  faccia  di  Brunetto  fu 
fatto  dopo  di  averlo  conosciuto;  e  però  se  Dante  ctiinò  la  fac- 
cia per  abbassarsi  a  lui  e  riconoscerlo  meglio ,  lo  fece  tre  o 
quattro  versi  più  su,  e  che  non  poteva  rinnovare  qui  un  tal 
>tto  per  conoscere  l'ombra  di  già  conosciuta  nel  pi*ecedenlc 
canto.  Malgrado  ciò,  1*E«  B.  nella  3.  ediz.  rom.  conferma  la 
ina  sentenza ,  asserendo  di  ripeterla  con  piacere  si  j  ma  senza 
ostentazione.  -  E  chinando  la  mano  a  la  mia  faccia ,  ha  il 
cod.  Vat  3i99.4-« 

3o  ser  Brunetto  Latini,  Fiorentino,  uomo  di  gian  scienza 
«  maestro  di  Dante.  Scrisse  un  libro  in  lingua  fiorentina ,  chia- 
mato Tesoretto  ;  e  un  altro  in  lingua  francese ,  intitolato  Te 
soro.  Volpi.  •-►Ser  Brunetto  morì ,  secondo  il  Villani ,  neiraii- 
no  1 394.  Fu  del  partito  de*  Guelfi  ;  è  dopo  la  battaglia  di  Mon- 
taperti  si  partì  da  Firenze.  Il  Pataffio  (se  pure  è  opera  di  ser 
Brunetto)  è  un  libro  pieno  di  oscenità ,  e  vi  si  fa  V apologia 
de'Sodomiti .  Il  Villani  medesimo  dice  che  ser  Brunetto  fu  no- 
nio mondano  ;  lo  che  giustifica  in  qualche  modo  Dante  dal- 
l*averlo  posto  tra  i  Sodomiti  [a].  E.  F.  -In Firenze  (j^ru/ie/fo 
Latini) j  in  versi  e  in  lingua  fiorentina,  scrìsse  il  Tesoretto y 
nve  tratta  dei  costumi  degU  uomini  e  delle  vicende  della  va- 
nabil  fortuna .  Tn  Parigi ,  in  prosa  e  in  lingua  francese,  scrisse 
il  Tesoro ,  diviso  in  tre  libri,  ove  sono  molte  confuse  notizie 
<li  Cronologia  y  di  Storia  ^  di  Fisica y  di  Astronomia  o  piut- 
tosto Astrologia j  di  Morale,  di  Politica y  e  molti difiusi  ra- 
gionamenti sulla  Rettorica,  Ambedue  quest'opere  esistono 
anche  oggidì,  e  fanno  testo  di  lingua,  giacche  fa  seconda  fu 
volgarizzata  da  Bono  Giamboni,  e  stampata  piii  volte.  Poo^ 
cMLi.  —  Molti  hanno  imputato  ad  ingratitudine  a  Dante  Taver 
condannato  nel P Inferno  Brunetto  Latini.  Molte  cose  si  sono 
dette  dagli  Sposi  tori  per  indagarne  il  motivo.  La  cagion  vera 
di  ciò  mi  sembra  che  ser  Brunetto  era  Guelfo,  ed  uno  di  quelli 
rhe  provocarono  la  discesa  in  Italia  di  Carlo  di  Valois,  di  cui 
tanto  si  duole  il  Poeta  e  la  Storia  fiorentina .  Se  Dante  non 

;«;  Vili.  lih.  6.  e  74.  e  HI).  8.  e.  IO. 


/ 


3^6  INFERNO 

Riioroa  in  dietro,  e  lascia  'iidar  la  traccia. 

Io  dissi  lui:  quanto  posso  veu'  preco;  34 

E  se  volete  che  con  voi  m' asseggia , 
Faròl,  se  piace  a  costui,  che  vo  seco. 

O  figliuol,  disse,  qual  di  questa  gre^ia         87 
S'arresta  punto,  giace  poi  cent'anni 
Senza  arrostarsi  quando  1  fuoco  il  feggia. 

perdonò  alla  sua  patria  stessa,  perchè  Guelfa,  che  maraviglit 
se  non  ha  perdonato  al  suo  maestro?  Cosa  possa  lo  stadio  di 
parti  ormai  non  è  chi  Io  ignori .  Strocchi.  -  Alla  nota  sul  v.  8%. 
di  questo  canto  vedremo  dal  Biagioli  pulito  il  Poeta  nostro 
da  questa  taccia  d'ingratitudine,  ^-m 

33  Ritorna  in  dietro ,  perchè  tenevano  quelle  anime  con- 
traria via,  e  per  andar  con  Dante,  che  seguiva  V^ii^lio,  con- 
vf«nì va  tornar  addietro.  —  lascia  ^ndtw  la  traccia  vale  il  me- 
desiinf)  che  abbandona  il  seguito  degli  altri.  Vedi  In£  xii.  55. 

34  i^eh* preco  per  i^e  ne  prego  ,  tolto  dal  latino  precor  a 
cagìon  della  rima .  m^  Perchè  con  questo  esempio  non  si  mette 
nel  Vocab.  della  Crusca  il  verbo  precare ,  come  vi  si  mettt 
la  voce  preco?  Tobblli.^-c 

35  m  asseggia .  ^  questo  i^rbo  asseggiare  (dice  il  Ventorì) 
non  ha  spedito  ancora  il  passaporto  la  Crusca.  Ma  asseg' 
già  (rìprendelo  ottimamente  il  Rosa  Morando)  vien  da  asseda^ 
come  %^cggia  da  ueda^  e  la  Crusca  pone  assederò  y  e  ne  porta 
per  esempio  questo  verso  stessissimo  [a] . 

36  che  vo  seco  vale  quanto  perchè  vado  secOf  quasi  dica 
perchè  non  mi  posso  scompagnare  da  lui. 

iy  greggia y  comitiva. 

3()  senza  arrostarsi.  Dee  il  proprio  significato  del  verbo 
arrostarsi  essere  il  medesimo  di  sventolarsi^  da  rosta  ^  che, 
come  per  molti  esempj  nel  Vocabolario  della  Crusca  si  può  ve- 
dei*e,  propriamente  significa  ventaglio.  Qui  però  dee  equivalenr 
a  muoversi  j  cagione  dello  sventolarsi,  com*è  detto  al  i*.  ^7* 
del  canto  precedente.  La  Kidob.  legge  ros tarsi,  che  viemeglio 
da  rosta  scorgerebbesi  derivato.  Contuttociò ,  per  non  trovani 
nel  Vocabolario  della  Crusca  altro  esempio  che  di  arrostare, 

[aj  Osserif.  •  questo  c»ntu. 


CANTO  XV.  337 

Però  va  olire:  i'  ti  verrò  a'  panni,  4^ 

E  |ioi  rìgiugnerò  la  mia  masnada , 
Che  va  piangendo  i  suoi  eterni  da  uni. 

Io  non  osava  scender  della  strada,  4^ 

Per  andar  par  di  lui;  ma  '1  capo  chino 
Tenea,  com*uom  che  riverente  vada. 

£i  cominciò:  qual  fortuna,  o  destino  4^ 

Anzi  r ultimo  di  quaggiù  ti  mena? 
E  chi  è  questi ,  che  mostra  '1  cammino  ? 

Lassù  di  sopra  in  la  vita  serena ,  49 

Rispos'io  lui,  mi  smarrì'  in  una  valle. 
Avanti  che  Tetà  mia  fosse  piena. 

ra^  astengo  da  mutazione .  —  f^ggì^  j  d^  f^SS^''^  '  ^^^  significa 
lo  stesso  che  ftederey  ferire.  Vedi  il  Vocabolario  della  Ci'u- 
sca  alla  voce  Fiedere. 

^o  ti  l'errò  a^ panni y  verrò  appresso  a  te,  alludendo  all'at- 
to che  faceva  di  tenerlo  pel  lembo  della  veste,  y.  2^, 

4i  masnada  per  comitiva  semplicemente,  come  Purg.  ii. 
i'.  i3o.  Vedi  anche  il  Vocabolario  della  Crusca. 

43  Io  non  osava  ec. ,  per  non  abbruciarsi  i  piedi  nel!'  in- 
fuocata rena,  come  n'era  stato  da  Virgilio  avvertito  [aj. 

ao  in  una  valle  y  nella  selvosa  oscura  valle  delle  ree  pas- 
sioni e  de'vizj  dettane^  primi  versi  del  poema,  m^  Mi  smarrii^ 
lui  risposi j  in  una  vallea  legge  TAug.  E.  R.4-« 

5  I  avanti  che  l'età  mia  fosse  piena.  Due  errori,  uno  in 
conseguensadeir aitilo,  commettono  qui ,  a  mio  giudizio,  tulli 
^li  Espositori.  Il  primo  è  d'intendei^  che  si  snuirrissc  Dante 
iu  cotesta  selvosa  valle  Nel  mezzo  del  cammin  di  nostra  ui* 
iaf  cioè  (  come  a  suo  luogo  è  detto  )  in  età  d'anni  treutacin- 
(|ue.  L'altro  è  di  conseguentt^mente  spiegare  che  per  la  non 
piena  etìi  ne  indichi  il  Poeta  il  medesimo  mezzo  di  nostra 
vita.  Innanzi  (ecco  il  Daniello,  da  cui  non  sembrano  discola 
di  gli  altri  Spositori  )  che  reta  sua  fosse  piena  ^  perchè  disstf 
che  vi  si  smarrì  nel  mezzo  del  cammin  delta  sua  vita . 

f«j  Cuoto  preceil.  p.  73.  e  srgg. 


3a8  INFERNO 

Pur  ier  mattina  le  volsi  le  spalle  :  5i 

Questi  m'apparve^  tornandolo  in  quella. 


Non  hanno  9  cioèi  essi  avvertito  ch'era  Dante  Ae/mexro 
del  eammin  di  nostra  vitay  d'anni  trentacinquey  mentr*era 
nell'Inferno  e  parlava  con  ser  Brunetto  ;  e  che  dicendo:  ^t^anti 
che  reta  mia  fosse  piena  f  mostra  evidentemente  che  fosse  ^ 
mentre  cosi  parlava,  a  cotale  pienezsa  di.etàpervenato;  come 
ben  mostrerebbe  d'esser  veccnio  chi  parlando  dicesse  ai'an/i 
che  mi  sopravvenisse  la  vecchiaia. 

D*  uopo  adunque  è  distinguere  l'età  nella  quale  si  smani 
Dante  sonnacchioso  [a\  nella  selvosa  valle ,  dalla  età  iu  cui, 
come  dal  sonno  risvegliato,  trovossi  nella  valle  smarrito.  Qui 

f^arla  dell'età  in  cui  si  smarrì;  e  nel  principio  del  poema  dice 
'età  in  cui  si  riconobbe  smarrito:  età  chci  perchè  appunto 
nel  mezzo  di  nostra  vita^  è  la  piìi  compiuta  di  forze,  e  quasi 
lume  di  Luna  in  mezzo  al  di  lei  periodo,  perciò  intende  es- 
sere ìa piena  e  pìii  perfetta,  m^  Quest'acuta  e  giudiziosa  ossero 
vazione  del  Lombardi  è  ripetuta,  tradotta  in  altri  termini,  dal 
Biagioli,  senza  additarti  la  fonte  da  cui  l'attinse,  e  grìdando 
poi  contro  i  Comentatori  di  Dante,  che  hanno  confase  que- 
st'epoche, Tuna  coir  altra,  ed  anzi  delle  due  fatta  una  sola.  4-« 
5 a  Pur  ier  mattina j  solamente  ieri  mattina;  non  avendo 
di  fatto  impiegata  nell'  Inferno  che  la  notte  sopravvenuta  al 
giorno  in  cui  trovossi  smarrito  nella  valle  [6]. 

63  Questi  m* apparve  f  ec.  Se  alla  dimanda  fatta  da  aer  Bru- 
netto, Chi  è  questi  che  mostrali  cammino  j  avesse  volato  Dante 
soddisfai*e,  avrebbe  dovuto  dire  che  questi  eraVii^licDal  cun- 
t<*gno  però  adoperato  dal  medesimo  Virgilio  nell' incontro  (xm 
Stazio  [e] ,  da  quello  stare  cioè  Con  viso ,  che  taceìuto  dic^a  : 
tacij  e  dalla  paura  altresì  che  nel  medesimo  incontro  ebbe 
Dante  di  manifestare  a  Stazio  il  nome  di  Virgilio,  si  può  con- 
ghietturarc  che  a  bella  posta  tei^ versi  qui  Dante,  e  ricu&i 

[a\  lof.  1. 1 1.  [b]  Dal  principio  del  csoììoiu^  Lo  giorno  $eH*amdm9f^ee , 
non  ba  fin  qui  conlato  che  \%  mezza  notte  nel  canto  vii..  Già  ogni  si^- 
la  cade  ec^  e  ravvicinarsi  dell'aurora  nel  e.  xi..  Che  i  Pesci  guitzoM 
su  per  V orizzonta;  o  non  fa  tramontar  la  Luna»  che  (per  tssftr^f  co 
me  fiupponela»  piena)  vai  quanto  far  nascere  il  giorno,  se  non  nella 
quatta  bolgia  dell*  oKavo  cerchio  nel  fine  del  canto  xx  ^Ma  viemiom^ì^ 
che  già  tiene  il  confine  ec,  [e]  Furg.  xxu  io3  e  segg. 


CANTO  XV.  3^9 

£  rìdncetni  a  ca  per  questo  calie . 
Ed  egli  a  me:  se  tu  segui  tua  stella,  55 

Non  puoi  £illire  a  glorioso  porto , 

di  rispondere  a  ser  Brunetto  adeqnatamente.  Qie  poi  verso  di 
Stazio  mutasse  Virgilio  contegno  i  e  se  gli  facesse  finalmente 
dal  Poeta  nostro  nominare ,  e  niente  si  curi  di  essere  mani  fé* 
stato  a  ser  Brunetto  y  può  di  tale  divario  essere  cagione  che 
Stazio  era  stato  di  Vii^ilio  studiosissimo»  com'egli  stesso  ivi 
confessa y  e  non  cosi  ser  Brunetto.  -^tornandUo  in  quella ,  leg- 
gono tre  mss.  della  biblioteca  Corsini  [a]  e  l'edizione  di  Fi- 
renze 1 4^  >  9  meglio  delle  alti'e  edizioni,  che,  leggendo  ritornane 
doinquellay  non  fanno  con  uguale  chiarezza  capire  che  la  per- 
sona cne  ritornava  era  lo  stesso  Dante,  -m  quella  per  in  quel 
mentre  spiegano  alcuni  ;  ma  avendo  Dante  raccontato  nel  pri- 
mo canto  9  che  gli  apparve  Virgilio  mentre  appunto,  invece  di 
salite  il  dilettoso  monte,  ritomavasene  alla  primiera  noia  della 
oscura  valle  [&] ,  non  pare  che  possa  in  quella  significar  altix^ 
che  in  quella  ualle  medesima ,  a  cui  ridice  qui  che  volte  ave- 
va le  spalle,  m^ritornando  in  quella  ^  legge  anche  il  Vat.  3 199; 
lezione  difesa  dal  Biagioli,  trovando  cosi  migliore  la  costitu- 
zione ed  il  suono  del  verso.  -  Ma  come  la  Nidob.  legge  il  cod. 
del  Poggiali ,  il  quale  riscontra  in  questa  lezione  una  maggiora 
proprietà  di  espressione .  4-« 

54  ca  per  casa^  voce  tronca  lombaitia.  Vedi  Anton  Maria 
Salvini  ne'suoi  Disc,  accada  fac  5o4-  Qui  riducenUa  caec. 
vale  al  mondo  di  sopra  mi  riconduce  ^  passando  per  quo" 
sto  tenebroso  di  quaggiù .  Vbhtubi.  ■-►  Anche  Omero  fa  si- 
mile troncamento  nella  voce  stessa ,  dicendo  do  per  doma.  Bia- 
gioli.'«-e  Altri  per  la  casa  intendono  la  celeste  patria  ;  ma  il 
ìierbo  riducenti  accenna  conduciinento  a  luogo  dove  sia  Dante 
stato  prima ,  e  però  o  il  mondo  di  sopra  dee  intendersi ,  o 
piuttosto  la  primiera  onestà  della  vita.  —  calle ^  via. 

55  56  Essendo  ser  Brunetto,  mentre  viveva,  asti*ologo,  ave- 
va, dice  il  Daniello,  preveduto  che  Dante  era  nato  sotto  gran 
costellaxioue  ;  onde  lo  esorta  a  seguire  la  sua  stella  y  quel  ce- 
leste influsso  che  lo  guidava  a  glorioìso  porto  y  cioè  al  felice 
fine  delle  sue  Càùclìn.jSfon  puoi  fallire  a  glorioso  portOf  omette 

[a]  Seguati  607.  608.  610.  [b]  Verso  61.  e  tegg. 


33o  INFERNO 

Se  ben  m'accorsi  nella  vita  bella: 
E  s*  io  non  fossi  si  per  tempo  morto,  .  58 

Veggendo  '1  Cielo  a  te  così  benigno  | 

Dato  t' avrei  air  opera  conforto. 
Ma  quello  ingrato  popolo  maligno ,  6i 

Che  discese  di  Fiesole  ab  antico, 

E  tiene  ancor  del  monte  e  del  macigno, 
Ti  si  farà  per  tuo  ben  far  nimico:  64 

Ed  è  ragion;  che  tra  gli  lazzi  sorbi 

Si  disconvien  fruttare  il  dolce  lieo. 

per  ellissi  d'aggiungere  il  cammino.  •-¥  Qui  fallire  ba  fona 
di  mancare ,  ea  è  una  delle  buone  eleganze  di  Dante  ;  e  simile 
al  deftcere  dei  Latini ,  e  non  è  modo  Dantesco  y  ma  romanesco. 
Perticabi  [a].  —  Anche  il  Bìagioli  attribuisce  qui  al  fallire 
il  significato  di  mancare  j  e  chiosa:  non  puoi  mancare  di  per- 
venire  a  glorioso  fine.  — fallar ff  al  u.  66.,  ha  il  cod.  Àng. 
£.  R.4-« 

57  «Se  ben  ec.  Se  io,  mentre  viveva  su  nel  mondo,  feci  bene 
le  mie  supputazioni  nel  &r  la  pianta  astrologica  della  tua  na- 
tività. Venturi.  Appella  la  vita  nel  mondo  ma  bella  per  rap- 
porto alla  vita  disperata  che  conduceva  esso  colaggiù.  m^tn 
la  vita  nocella  j  legge  TAntald.  E.  il.4-« 

61  al  63  quello  ingrato  ec.  Accenna  il  fiorentino  popolo , 
disceso  da  Fiesole ,  città  antica  situata  in  monte ,  sei  miglia 
discosta  da  Firenze.  •-►  La  distanza  di  Fiesole  da  Firen«e  non 
è  che  di  circa  tre  miglia  •  —  del  monte  j  intendi  V asprezza^ 
e  del  macigno ,  supplisci  la  durezza  ;  ed  è  bellissimo  d*espres- 
sione  questo  verso.  Bìagioli.  4-« 

65  66  lazzi ,  aspri ,  lapposi ,  astringenti .  Vedi  il  Salvini  «  di* 
scorso  84*  centuria  i.VzKTURi.-iSar&o, albero  noto ,  che  dà  fratti 
d'aspro  sapore.  -  il  dolce  fico  ^  la  Nidobeatina  ;  ove  Tal  tre  ediz., 
al  dolce  fico.  «-^  A  questi  due  versi  cosi  chiosa  il  Bìagioli: «Bel- 
»  lissimo  sentimento  e  vero,  espresso  con  graziosa  leggiadrìa. 
»  E  questo  vuol  dire  che  Tuomo  valoroso  e  d'animo  gentile 
»  non  può  abitare  fra  gente  di  malvagia  condizione Pei 

[a]  Pr9p.  voi.  3.  P.  II.  r«c.  aoS.  NoU  i. 


CANTO  XV.  33i 

Vecchia  fama  oel  mondo  li  chiama  orbi;        67 
Gente  avara,  invida,  e  superba: 
Da*  lor  costumi  fa' che  tu  ti  forbi. 

La  tua  fortuna  tanto  onor  ti  serba,  70 

Che  Tana  parte  e  F altra  avranno  fame 
Di  te  ;  ma  lungi  fia  dal  becco  V  erba . 

»  lasgi  sorbi,  che  voglion  tempo  amatararsiy  intende  la  no- 
»  biltà  nuova ,  e  pel  dolce  fico  fa  nobiltà  vecchia ,  qual'era  la 
»  sua ,  scesa  da  quei  primi  coloni ,  cittadini  fiorentini  e  soldati 
»  romani.  Lombardi  colla  sua  jVidob.  legge ,  il  dolce  fico  ;  ma 
»  Tintero  costi'utto ,  il  fruttare  tra  i  lazzi  sorbi  si  discom^iene 
noi  dolce  ficoj  scioglie  ogni  dubbio.  »  —  Il  Vat«  3 199  leggo 
però  come  la  Nidob.,-e  fruttar  lo  dolce  fico  y  ha  TAng.  E.  R.4-« 

67  li  chiama  orbi ,  ciechi .  Dicesi  dai  Comentatori  originato  il 
soprannome  dal  seguente  fatto  .Avendo  i  Fiorentini ,  a  preghiera 
deiPisani,  guardata  Pisa  mentr'erano  questi  passati  alla  conqui- 
sta dell'isola  Maiorica  ;  rìtoi'nati  vittoriosi  i  Pisani ,  in  segno  di 
riconoscenza  oiTerirono  a' Fiorentini ,  che  delle  prede  di  ià  tra- 
«pntate  si  scegliessero  qual  delle  due  piii  loro  piacesse  »  o  due 
p  >rte  di  bronzo  bellissime  (che  ora  adornano  il  duomo  di  Pisa) 
0  due  colonne  di  porfido,  che  perchè  non  si  vedesse  com'erano 
guaste  dal  iìioco,  coperte  avevano  di  scarlatto:  i  Fiorentini  cie- 
camente si  capparono  le  due  colonne,  che  sono  (dice  Paolino 
Pieri  )  in  Firenze  dinanzi  alla  chiesa  del  beato  Giovanni 
Battista  \a].  ^ 

<>H  Gc^im'ida ,  la  Nidobeatina^a-^lezione  che  non  piace  punto 
al  BiagiolÌ4-«  inv»idiosay  Talti'e  edizioni  ■-►e  il  codice  Vati- 
cano 3199.  ^~*  ti  forbi y  ti  purghi.  m-¥  Dante,  fedele  a  questa 
ammonizione  di  ser  Brunetto,  nella  sua  epistola  a  Can  della 
Scala  si  dire  Florentinus  natione,  non  ntoribus*  E.  F.  ^-« 

71  72  Che  runa  parte  e  V  altra  j  iNeriei  Bianchi,  fazioni 
nelle  quali  ei*a  Firenze  partila.  —  m*ranno  fonie  "Di  te.  Non 
si  può  per  questa  intender  altro,  se  non  il  desiderio  che  preve* 
desse  Dante  dover  finalmente  col  gii*o  degli  anni  nascere  in 
cuore  de* suoi  concittadini  di  averlo  avuto  sempre  in  patria,  e 
p(*r  Tenore  ch'era  la  medesima  per  ricevere  dai  di  lui  scrini, 

I«l  Cron.  an.  1 1 18. 


33a  INFERNO 

Facciaa  le  bestie  fiesolane  strame  73 

Di  lor  medesme,  e  non  toccbin  la  pianta, 
S* alcuna  surge  ancor  nei  lor  letame, 

In  cui  riviva  la  sementa  santa  76 

Di  quei  Roman ,  che  vi  rimaser  quando 
Fu  fatto  '1  nidio  di  malizia  tanta . 

Se  fosse  pieno  tutto  1  mio  dimando,  79 

Risposi  io  lui ,  voi  non  sareste  ancora 
Dell'umana  natura  posto  iu  bando: 

Che  in  la  mente  m'è  fitta,  ed  or  m'accuora  8^1 

e  per  gli  aspri  rimbrotti  e  frizzi  ch*avrebbersi  rispormiati.  -imi 
lungi  fta  dal  becco  rerba;  espressione  allegorica,  invece  di 
dire:  ma  il  desiderio  sene  rimarrà  digiuno y  ^venza  effetto. 
73  al  78  le  bestie  ftesolane  f  que' Fiorentini  cbe  tengono 
ancor  del  monte  e  del  macigno  dell' originaria  Fiesole,  -/oc* 
cian  strame  ^  strame  dicesi  ogni  erba  che  si  dà  in  cibo  e  serve 
diletto  alle  bestie  [a].-  facciano  adunque  strame  di  iorme^ 
desime  vale  quanto  s  addentino  e  si  calpestino  tra  di  loro. 
-  e  non  tocchino  y  e  non  molestino ,  se  nel  lor  letame ,  nel  pu- 
tridume de*  loro  costumi ,  surge  j  nasce  per  avventuj^,  a/cuna 
pianta ,  alcun  cittadino ,  in  cui  riviva  la  sementa  santa ,  civile 
ed  onorata,  di  quei  Romani  che ,  quando  fu  fatto  il  nidio  di 
tanta  malizia ,  Firenze ,  vi  rimasero ,  vi  concorsela)  a  fiibbii- 
cai'la  e  ad  abitarla  \b].  m^  Letame  viene  dal  lat.  laetanten  , 
perchè,  col  fertilizzarli,  fa  lieti  i  campi.  Biagioli.-«^ 

79  Se  fosse  pieno  tutto  V  mio  dimando ,  se  tutte  le  mie 
reghiere  fossero  esaudite,  m^  Se  fosse  tutto  pieno  ec,  legge 
'Ang.  E.  R.  —  e  il  Vat.  3 iqg.  4-« 

80  Risposi  io  luij  la  Niddbeatina;  e  l'altre  edizioni,  Ri* 
sposi  luiy  m^  e  cosi  il  Vat.  3 1 09  ;  e  Biagioli ,  per  opporsi  sena- 
pre  al  P.  L.,  vuole  che  laNidob.  qui  legga  contro  Fagione.^-» 

8 1  posto  in  bando ,  allontanato  e  tra'  morti . 

82  ed  ory  intendi ,  così  malconcia  scorgendola.  m-¥  A  que- 
sto veivo,  e  sino  all'  87 ,  molto  opportunamente  nota  il  Biagiuli  1 

[^1  VncnI)  (Iella  CruscM.  [6]  Vcdi»tra  gliaktri^  Gio.  Vili.  Cron.hb  t. 


r- 


CANTO  XV.  333 

La  cara  e  buona  imniagine  paterna 

Di  voi  nel  mondo,  quando  ad  ora  ad  ora 

M' insegna  vate  come  l' uom  s' eterna  :  85 

E  quant'  io  l'abbo  in  grado,  mentre  io  vivo, 
Gonvien  che  nella  lingua  mia  si  scerna. 

Ciò,  che  narrate  di  mio  corso,  scrivo,  88 

E  serbolo  a  chiosar  con  altro  testo 

A  Donna,  che  '1  saprà,  s'a  lei  arrivo. 

K  Questi  versi,  pieni  di  sentimento  e  d* amore,  e  figli  di  gra- 
9  titudine  etema ,  rispondono  da  per  sé  a  chi  taccia  Dante  d  in« 
a  grato  per  aver  posto  a  tal  pena  il  suo  maestro .  Come  disce* 
»  pnlo,  rese  Dante  al  suo  maestro  il  tributo  di  gratitudine  de* 
a  bito  alle  paterne  sue  cure;  come  fedel  di  Lucia,  il  fé* veder 
»  là  ove  i  suoi  vizj  il  dannarono,  it^-c 

85  Ln  rara  e  buona  y  legge  la  Nidob.;  La  cara  buona  j  le 
altre  edizioni;  »-^il  Vat.  3 199  legge  La  cara  bona  jrmagi'^ 
ne ,  et  paterna .  ^-m 

84  Di  %foi  nel  mondo  ^  quando  ec.j  legge  la  Nidobeatina; 
Di  voi 9  quando  nel  mondo  j  l'altre  edizioni,  »^l'Ang.  E.  A., 
il  Vat.  3 199,  e  colla  Cr.  Il  Biagioli,  asserendo  che  Ja  lezione 
della  Nidob.  guasta  la  bellezza  del  vei^so.  «-« 

86  87  E  qtumt*io  ec;  costruzione:  Econvien  che  mentre 
ro  wVo,  si  scema ^  apparisca,  nella  lingua  mia ,  nelmiopair* 


quale  è  di  parere  che  con  questa  variante  ci  guadagni 
timento  e  la  proprietà  della  lingua  •  Egualmente  leggesi  nel- 
Tedizione  di  Fuftgno  i47^«  E.  ft.- 

88  di  mio  corso y  delle  mìe  venture  ;  —  scrino  ^  mi  ritengo 
a  mente. 

89  90  E  serbolo con  altro  testo  ^  con  l'altra  predìzio- 

iM>  fattami  da  Farinata  ^Ma  non  cinquanta  volte  f.a  raccesa 
^-  [A],  a  chiosare y  a  far  chiosare  ,  a  Donna ^  che  H saprà ,  a 
Bi-atrìce  ;  come  in  seguito  alla  predizione  di  Farinata  promesso 

W  Vc<1i  f]  Vocah.  dpUa  Crasca  al  verbo  Avere ^  5*  ^'-i  ^d  il  Mastrofì- 
ai.  Teoria  e  Prospetto  de* verbi  toscani,  [ò]  Iiif.  x.  79.  e  segg. 


334  INFERNO 

Tanto  vogrio  che  vi  sìa  Diaoifesio,  ^      91 

Pur  che  mia  coscienza  non  mi  garra , 
Ch'  alla  Fortuna ,  come  vud ,  son  presto . 

Non  è  nuova  agli  orecchi  miei  tale  arra:         i)4 
Però  giri  Fortuna  la  sua  ruota, 
Come  le  piace,  e  '1  villan  la  sua  marra . 

Lo  mio  Maestro  allora  in  su  la  gota  97 

Destra  si  volse  'udietro,  e  rigivardooimi  ; 

aveva  a  Dante  stesso  Virgilio  Da  lei  saprai  di  tua  vita  il 
viaggio  [a] . 

91  al  g3  Tanto  ec.  9  sintesi ,  di  cui  ecco  la  costruzione  :  Tan- 
to f  solamente  [b] ,  io  %fOglio  che  ui  sia  manifesto  die ,  purché 
ìnia  coscienza  non  mi  garra,  non  mi  gan'isca,  non  mi  sgri* 
di  f  non  mi  rimproveri  (intendi  d*alcuno  mal  operare  ),  son 
presto,  prontO)  alla  fortuna,  come,  comunque,  essa  yuole.B^hà 
purità  della  coscienza  è  Tusbei^o  migliore  contro  alla  fortuna, 
e  fa  veramente  Tuomo  tetragono  ai  colpi  suoi.  Ha  voluto  ri- 
trar  qui  lo  invincibile  coraggio  dei  savj  nelle  avversità ,  i  quali, 
opponendo  un  petto  di  ferro  ai  dardi  della  fortuna,  o  rimbal- 
zano o  vi  si  spuntano.  Biagioli.  •«-• 

94  arra  propriamente  vuol  dir  caparra,  o  sia  pai  te  del 
pagamento ,  che  si  dà  innanzi,  per  sicurtà  del  contratto  stabilito; 
qui  però  si  trasferisce  a  significare  predizione,  osia  assicura- 
zione delle  cose  avvenire  :  e  come  il  predettogli  da  ser  Brunetto 
accenna  il  medesimo  esilio  pronunziato  già  lui  in  qualche  modo 
e  da  Ciacco  nel  vi.  dell' Inferno,  e  da  Farinata  nel  z.,  perciò 
dice  che  non  è  nuova  agli  orecchi  suoi  tale  arra  • 

95  96  giri  Fortuna  ec.  -  e  V  villan  ec.  Ciò  dice  ad  accen- 
nare che  tanto  non  è  per  csmciarsi  di  qualunque  girar  di  mota 
che  la  Fortuna  faccia,  quanto  non  è  per  afiliggersi  del  modo 
qualunque  in  cui  adoperi  il  villano  la  sua  marra ,  strumento 
rusticano  per  radere  il  teneno.  Vedi  il  Vocab.  della  Crusca. 

gj  ^  Lo  mio  Maestro i  Virgilio.  —  m  su  la  gota ^^ De- 
stra si  ìfolse  *ndietro:  supponesi  che  Virgilio,  in  tempo  die 
faceva  Dante  i  suoi  complimenti  con  ser  Brunetto,  innoltrato 

[u]  ìb(.  X.  9.  i39.  [b]  Vedi  il  Ciaon. ,  Partic.  ^36,  6. 


CANTO  XV.  335 

Poi  disse  :  ben  ascolta  chi  la  nota . 

Né  per  tanto  di  men  parlando  vommi  i  oo 

Con  ser  Brunetto,  e  dimando  chi  sono 
Li  suoi  compagni  più  noti  e  più  sommi . 

Ed  egli  a  me  :  saper  d' alcuno  è  buono  ;         i  o3 
Degli  altri  iia  laudabile  tacerci, 
Che  '1  temjK)  saria  corto  a  tanto  suono. 

In  somma  sappi  che  tutti  fur  cherci,  io6 

fessesi  alquanti  passi ,  ma  che  non  ostante  udisse  ciò  che  gli 
altri  due  dicessero . 

99  ben  ascolta  chi  la  nota;  quasi  dica  Virgilio:  o  Dante  t 
to  hai  bene  ascoltato  queUo  eh'  io  dissi  y  superanda  omnis  for* 
tana  ferendo  est  [a] ,  perciocché  V  hai  notato  :  e  non  bene 
ascolta  f  ovver  intende ,  una  cosa  colui  che  non  la  nota  •  Da- 
«lELLO.  m^jiscolta^  dal  lat.  ausculto  y  che  \uol  dire  intende 
rcy  piuttosto,  che  semplicemente  ascoltare.  Poggiali.  4-« 

100  loi  Neper  tanto  ec,  né  per  cagione  di  tali  cose  pre- 
dettemi si  fa  il  parlar  mio  con  ser  Brnnetto  piii  scarso. 

ioa  più  noti  e  più  sommi:  noti  per  grido  di  fama,  sommi 
per  grado  di  dignità .  Il  comparativo  aggiunge  al  superlativo 
per  dargli  maggior  forza . 

io4  loa  fta  laudabile  tacerci  y  ec.y  legge  la  Nidobeatina; 
e/ta  laudabile  il  tacerci  y  Tal  tre  edizioni.  —  a  tanto  suono 
per  a  così  lungo  parlare ,  che  abbisognerebbe  se  si  avesse  a 
dire  di  tutti . 

loCi  cherci,  Enti*ano  qui  gli  Fpositon  tra  di  loro  in  forte 
contrasto.  Il  Vellutello  e  il  Aosa  Morando  vogliono  che  prenda 
qui  Dante  cherci  dal  francese  clerc,  nella  signiGcazione ,  che 
tra  le  altre  ottiene,  di  letterato:  ìh»-co$ì  anche  Biagioli  »4-« 
Il  Venturi ,  all'opposto,  per  raggiungere  che  fa  Dante  ai  cher^' 
ci  anche  i  leftera/iy  conferma  il  sentimento  del  Volpi  e  degli 
•Uri  Spositori,  che  per  cA  «min  tenda  il  Poeta  uomini  di  chiesa^ 
Mio  parere  è  che  la  sbaglino  gli  uni  e  gli  altri,  e  che  pt^ 
cherci  intenda  Dante  in  questo  luogo  scolari;  siguiflcato  a  cui 
attesta  esteso  a  que' tempi  il  ÌrIÌììo  clericus  Durresne  [&].»-»£ 
rorlamente  pia  intenzione,  riflette  a  questo  luogo  il  sig.  P(^« 

ia^  Arneid.  lib.  >'  %^»  7^0.  [b]  Glossar,  art.  Clericus. 


/ 


336  INFERNO 

£  letterati  grandi,  e  di  gran  &ma, 

D*  un  medesnao  peccato  al  mondo  lerci . 

Prìscian  sen  va  con  quella  turba  grama,        109 
E  Francesco  d'Accorso  anco;  e  vedervi, 
S'avessi  avuto  di  tal  tigna  brama, 

Collii  potei,  che  dal  Servo  de'  servi  1 12 

Fu  trasmutato  d*Arno  in  Bacchigiioae , 

giali ,  di  alcuni  più  moderni  G)menUtorì ,  per  onor  del  Clero , 
Io  sforzarsi  a  dai-e  uu  altro  significato  alla  parola  cherci;  ma 
avendola  cosi  distintamente  per  denominazione  di  Enrclesiistici 
definita  Dante  stesso  per  bocca  di  Virgilio,  sopra  al  (^.  4^.  e 
scgg.  del  e.  VII.,  non  rimane  a  noi  che  deploi*are  o  l*atra  bile 
di  Dante  contro  gli  Ecclesiastici,  o  la  somma  depravazione  del 
Clero  di  quei  tempi.  <-« 

108  lerci ^  lordi,  imbrattati.  Vedi  il  Vocabolario  della  Gru* 
sca.  m^fVun  peccato  medesmo ,  legge  l'Ang.  E.  A.  ^-m 

log  Prisciano  di  Cesarea  di  Cappadocia ,  grammatico  ec- 
cellentissimo, che  fiorì  nel  sesto  secolo,  non  si  l^geche  fosse 
macchiato  di  tal  vizio;  onde  alcuni  Spositori  vogliono  che  Dante 
ponga  l'individuo  per  la  specie,  potendosi  costoro  facilmente 
abusai'e  della  lor  professione  d' insegnare  a' giovanetti .  Vo- 
TURi.  »-^Ma  è  da  stimare  che  Dante  avesse  notizie  di  Priscia- 
no piii  che  non  ne  aveva  il  Venturi  ;  poiché  sarebbe  cosa  trop- 
po sconcia  il  pensare  che  il  Poeta ,  per  usare  la  figura  di  porre 
l'individuo  per  la  specie,  volesse  alla  cieca  nominare  quel 
grammatico  in  si  gi*ave  peccato ,  per  infamare  tutti  i  maestri 
de* giovanetti.  Poetirelli.  <-•  con  quella  turba  grama  y  infe- 
lice, tapina,  accennandola  turba  stessa,  della  quale  erasi  egli 
tolto  per  parlar  con  Dante. 

I  IO  al  I  ì/^ Francesco  (TAccorso^  Fiorentino,  giurisconsolto 
a* suoi  tempi  eccellentissimo.  Vehturi.  •-►  Mori  nel  1239*  Fa 
Professore  a  Bologna ,  e  celebre  per  la  sua  Glossa  alle  l^gi 
di  Giustiniano.  Poggiali.  4-«  e  %^den^iec.\  costruzione:  E  se 
auessi  tu  attuto  brama  di  tale  tigna  y  di  tale  noia  [aj,  hi  ve- 
der costoro, ^<ej  ^er potetti  [A] ,  intendi ,  mentr'eri addietro 
• 

[a]  Cosi  spiega  qui  tigna  il  Vocabolario  della  Crasca.  [6]  Tedi  O» 
non.y  de*verbi,  cap.  5.»  e  il  Prospello  deìttrbi  toscaiU, 


CANTO  XV.  337 

Ove  lasciò  li  mal  ptx>tesi  nervi . 

Di  più  direi j  ma  '1  venir,  e  '1  sermone         1 15 
Più  lungo  esser  non  può ,  però  eh'  io  veggio  : 
Là  surger  nuovo  fummo  dal  sabbione. 

Gente  vien ,  con  la  quale  esser  non  deggio  :      118 
Siati  raccomandato  '1  mio  Tesoro, 
?iel  quale  io  vivo  ancora ,  e  più  uon  cheggio . 

i«fari//coiW^Aiidreatie'Mossi,Fioi«ntinOt  chiosando  d'accordo 
tonigli  Spositori)  o&e  diU  Servo  de* servi j  dal  Papa  (che  nelle 
bolle  d  appella  Servus  servorum  Dei)  fu  trasmutato  JCArno 
^  BacchigUonef  fii  trasferito  dal  vescovado  di  Firenze»  per 
dove  ^ssa  l'Amo 9  al  vescovado  di  Vicenza,  per  dove  passa  il 
fticchifirlione;  dove  lasciò  i  nervi  mal  protesi  ^  cioè  in  mala 
parte  custesi ,  perchè  in  Vicenza  si  moti .  m^  Così  anche  il  To- 
nili, •>  «e  A  ine  pare  che  questa  sia  una  pungente  satirica  locu- 
»  sioue  9  colla  quale  il  Poeta  morde  il  vizio  nefando  di  quel 
»  I^lato  •  Onde  penso  che  nervi  mal  protesi  qui  non  sienihchi 
»  già  tutto  il  corpo  mal  proteso  f  ma  quella  parte  del  corpo 
»  che  è  bello  il  tacere ,  e  di  cui  queirattico  monsignore  fece 
»  tanto  mal  uso  •  Togli  quella  frase  di  dosso  a  quel  personaggio , 
»  e  Lasciar  i  nervi  per  Lasciar  il  corpo  y  ossia  Morire ,  diven- 
»  terà  frase  <li  sciocco  sapore  e  indegna  di  Dante  [al  •»Moim.4-« 

1 17  nuoiH}  fummo  >  nuovo  polverìo  ;  e  nuovo  l'appella  per 
apporto  a  quello  che  già  Brunetto  supp<me,  almeno  in  parte» 
•«dato,  eccitato  prima  dalla  sua  comitiva . 

1 1 8^  Gente  vien ,  con  la  quale  esser  non  deggio ,  non  pò- 
'«ndosi  a  talento  passare  d*una  in  altra  comitiva. 


edixioni 

cosi 

ìniiiokto  Tesoretto  [b]. 

lao  vivo  ancora^  per  fama.  —  cheggio  per  ihieggo ,  non 
però  da  chiedere ,  che  vorrebbe  chieggio ,  ma  da  chedere ,  verbo 
n«ato  dal  Barberino  in  piii  luoghi  de'suoi  Documenti  d^amore^ 
<"  <hi  F.  Guittone  ancora  [cj. 

'«]  Prop.  voi.  3.  P.  1.  f»c.  164.  [b]  Vfdi  la  noU  al  v.  3a.   [e]  Vedi  la. 
i>vol«  delle  voci  posla^in  fitie  del  Barberini. 

/  0/ •  /.  a  a 


338  INFERNO 

Poi  si  rivolse,  e  parve  di  coloro,  1:11 

Che  corroQO  a  Verona  1  drappo  verde 
Per  la  campagna  y  e  parve  di  costoro 

Quegli  che  vince,  e  non  colui  che  perde. 

lai  al  124  »^Poi  si  partì f  legge  il  Vat  3 199.  «-c^on^ 
di  coloro  j  che  su  la  campagna  di  Verona  corrono  il  palio  dì 
drappo  verde;  il  che  la  prima  Domenica  di  quaresima  soIcmì 
anticamente  fare:  adesso  più  non  s*usa.  Diviello.-  Córrere 
(nota  il  Menzini  )  ha  il  quarto  caso ,  non  solo  come  il  currere 
cnrsum  de^ Latini ^  ma  anche  della  cosa,  o  segno j  a  cui  si 
corre;  %^glio  dire  jsenza  la  particella  esprimente  il  caso  del 
motos  onde  dicesi  piuttosto  correre  il  palio,  la  giostra  ce,  cht 
al  palio  ed  alla  giostra  [a] .  •-»  Il  Menzini  s'ingannò,  giudican- 
do secondo  la  lettera,  e  non  secondo  la  ragione,  che  vuole  che 
ogni  relazione  sia  indicata  dal  segno  relativo;  e  se  questo  vien 
tolto  dall'ellissi ,  sta  a  chi  legge  a  saperlo  supplire .  Bi aoioli.^-i 
e  parve  quegli  the  di  (per  tra  \b\  )  costoro  %fince^  cioè  il 
piii  corrìtore. 

[n\  CoMèruM,  irregoL  «ap.  io.  [k]  Ciaon.,  Partie,  So.  •  •• 


CANTO    XVI. 


•'■■^^  «'■ 


ARGOMENTO 

Pervenuto  Dante  quasi  €il  fine  del  terzo  ed  ultima 
girone .  intanto  che  egli  udi%fa  il  rimbombo  del  fiume 
che  cadei^a  neW ottavo  cerchio,  s'incontra  in  alca* 
ne  anime  di  soldati  che  erano  stati  infettati  dal 
vizio  detto  di  sopra*  Indi  giunti  ad  una  profon^- 
dissima  cavità  3  f^rgilio  vi  trasse  dentro  una  cor- 
da ^  di  che  Dante  era  cinto ,  e  videro  venir  nuotando 
per  l'aria  una  mostruosa  ed  orribile  fi  gara. 

xjrià  era  io  loco,  ove  s  udia  1  rimbombo       i 
Dell'acqua,  che  cadea  nell'altro  giro, 
Simile  a  quel,  che  Tarnie  fauno,  rombo; 

Quando  tre  ombre  insieme  $ì  {)ariiro,  4 


I  m^onde  studia  rimbombo  f  legge  l'Aos.  E.  R.  «-• 
a  DelCacqua,  di  quel  rivo  »  salla  sponda  del  quale  cam« 
minava.  -^nelV altro  girOf  nellottavo  cerchio. 

3  arnie  sono  le  cassette  da  pecchie;  ma  qui  il  continente 
pel  contenuto»  Varnìe  per  le  pecchie*  Questo  rumore  che  di 
piesente ,  per  essei*e  ancora  dalla  ripa  lontani  9  rassomiglia  Dan* 
te  al  romoo  delle  api  j  fa  poi  in  vicinanza  crescer  tanto  » 

Che  per  parlar  saremmo  appena  uditi  [a]. 
Rombo  è  qui  voce  onomatopeica ,  esprimente  il  rumore  cba 
fanno  le  pecchie*  mosconi  e  simili,  volando* 

4  al  6  Quando  tre  ee>;  costruaioue:  Quando  da  una  ter* 

{«j  Varto  9S« 


34o  INFERNO 

Correndo  9  duna  toriDa,  che  passava 

Sotto  là  pioggia  dell'aspro  martiro: 
Venian  ver  noi;  e  ciascuna  gridava:  7 

Sostati  tu,  che  all' abito  ne  sembri 

£ssere  alcun  di  nostra  terra  prava . 
Aìoìè,  che  piaghe  vidi  ne*  lor  membri,  io 

Recenti ,  e  vecchie  dalle  fiamme  incese  ! 

Ancor  men'  duoi,  pur  eh*  io  me  ne  rimembri . 
Alle  ior  grida  il  mio  Dottor  s*atlese;  i3 

Volse  1  viso  ver  me,  e,  ora  aspetta, 

fìMf  da  una  moltitudine  di  gente ,  che  passat^a  sotto  tapiog^ 
già  deW aspro  martiro  j  delle  martirizzanti  fiamme ,  si  partirò 
tre  ombre  insieme  correndo  •  «^Sembra  al  Biagioli  questa  co- 
struzione dal  Lombardi  stravolta,  e  ne  dà  quest'altra:  Quando 
tre  ombre  partirono  sé  insieme  da  una  torma ,  cfie  passala 
sotto  la  pioggia  delCaspro  martiro ^  e^  correndo^  "oennero 
verso  noi.  '^ Torma  è  voce  presa  dal  latino  tarma y  signifi- 
cante propriamente  una  brigata  di  ca%^allcria  .  Qui  esprime 
in  generale  una  moltitudine  di  gente.  Poggiali.  «-• 

8  Sostati ,  fermati ,  derivato  dal  latino  subsistere ,  e  adopmto 
da  altri  ottimi  scrittori.  Vedi  il  Vocab.  della  Cr.  —  all'abito ^ 
al  modo  di  vestire.  Accenna  che  avessero  a  que'  tempi  i  Fio- 
rentini una  qualche  foggia  di  vestire  diversa  dalle  altre  nasioni. 

9  terra  prauaj  maligna,  perversa,  intendi  Firenze. 

1 1  incese  dee  essere  detto  per  mciVe,  antitesi  in  grazia  del- 
la rima  bensi,  ma  fondata  su  la  orìgine  del  Ittìino  incido  ^  da 
in  e  caedoj  il  cui  supino  è  eaesum  [a] .  Chiosando  il  Ven- 
turi colla  comune  degli  Espositori  che  incese  yngìÌA  formate 
dalle  fiamme  y  solo  ne  aggiunge  che  inceso  chianuisì  lacot^ 
tura  del  cauterio  fatta  con  un  bottone  di  fuoco.  •-»  Anche 
il  Torelli  spiega  incese  come  il  Venturi ,  cioè  per  la  cottura 
del  cauterio .  —  Pensa  il  Biagioli  che  incese  qui  valga  quanto 
fatte  dai  vapori  incesi.  «-« 

la  l'i  pur  che,  solo  che.  ^-^s^attese,  porse  orecchio,  die 
retta. 

[«]  Vedi  Rob.  Slef.  Thesaui\  ling,  lai. 


CANTO  XVI.  34i 

Disse  ;  a  castor  si  vuole  esser  cortese . 

E  se  non  fosse  il  fuoco,  che  saetta  i6 

La  natura  del  luogo  ^  i'  dicerei 
Che  meglio  stesse  a  te,  eh' a  lor,  la  fretta. 

Ricominciar,  come  noi  ristemmo,  ei  ig 

L'antico  verso;  e  quando  a  noi  fur  giunti , 
Fenoo  una  ruota  di  sé  tutti  e  trei . 

Qual  suolen  i  campion  far  nudi  ed  unti,        !i2 
Avvisando  lor  presa  e  lor  vantaggio, 
Prima  che  sien  tra  lor  battuti  e  punti  ; 

i5  9-^si  vuole  per  si  dei^e^  fì*a$e  elegantissima  della  Iìih 
gua  nos  Uà.  Poggi  Alti.  4Hi 

iti  al  iS  il  fuoco,  che  la  natura  del  luogo,  perocché  abi-* 
tato  da* sodomiti 9  saetta  per  esige  che  saetti,  che  vi  caschi 
sopra.  —  dicerei  per  direi  [a]  ,  che  la  fretta  stesse  meglio 
a  te  j  che  a  loro  ;  ciò  ad  accennare  ch'erano  coloix)  che  venivano 
personaggi  grandi  piii  di  Dante,  acquali  perciò  conveniente 
cosa  stato  sarebbe  che  Dante  corressse  incontro. 

ig  ao  Ricominciar  ei  per  eglino  [&],  Cantico  verso,  il 
pianto,  cioè,  che  prima  facevano  [e],  e  che  solo  per  pregar 
Dante  ad  arrestarsi  intermesso  avevano  ;  e  però  vedendo  l'erma- 
lo  il  Poeta  ,  né  avendo  piii  bisogno  di  parlare,  ritornarono  al 
pianto.  In  Inogo  è!ei  altri  leggono  chi  ehi  e  chi  hei  \d]  (  -*  il 
cod.  Cass.  Iiejr.  E.  R.  ),  e  chiosano  che  cotale  ìnterieaione  di 
dolore  fosse  l'antico  verao  ricominciato  da  quelle  anime. 

a  I  fenno  per  fecero  [ej ,  una  ruota  di  sé  i  ci  si  aggira- 
vano intomo;  pei*occhè  il  limarsi ,  anche  per  cortissimo  tem- 
po, era  loro  vietato  [^J.  —  trei  perire ,  paragoge,  come  osa- 
rono i  Latini  dicier  per  dici^ 

aa  al  a4  Qua/^oo/enicampibn,  lesela Nidob..;  e  inteso, 
come  si  dee  intendere ,  che  suolen  sia  detto  invece  di  soglion  [g\ , 

[a]  Vedi  MastrofiDÌ,  Prospetto  diverbi  itaììani,  soUo  il  verbo  D*rc  , 
n  iS.  [b]  Inf.  IV.  34<f  vi.  104.  [e]  xiv. '17.  [d]  Vedi  il  Boti,  Landino, 
Vcllulelloe  Daoiello*  [e]  Vedi  il  Prospetto  de'verbi  snddettoy  éotio 
il  verbo  Fare^  o.  6.  |/j  Inf.  xv.  37.  e  scgg.  |gt  Vedi  però  MMirofioi , 
Prospetto  de* verbi  italiani ^  sotto  il  verbo  Solere,  u.  5. 


34t  INFERNO 

Cosi,  rotando,  ciascuno  il  visaggio  iS 

Drizzava  a  me,  si  che  'n  contrario  il  collo 
Faceva  ai  pie  coutiaovo  viaggio. 

viene  a  togliere  dal  testo  la  sconcordanza  de' tempi  che  ammel^ 
tono  tutte  l'altre  edizioni»-^ e  il  Vat*  ^igg^-s  che  leggono» 
Qual  solean  i  campion  far  ec.  -  Prima  che  sien  tra  ior  bai* 
futi  ec.  Ecco  adunque  la  costruzione  e  spiegazione:  Qual  i 
campion ,  i  gladiatori ,  nìidi  ed  unti  suolen  far  prima  clte 
sien  tra  Ior  battuti  e  punti  f  prima  che  siensi  mossi  all' offesa  » 
ai^isando  Ior  presa  e  Ior  vantaggio  f  movendosi  bensì ,  ma 
sempre  gli  occni  fissi  l*un  nell'altro  tenendo,  per  cogliere  il 
giusto  tempo  di  afferrare  e  di  vantaggiare.  •-♦  Difende  il  Biar 
gioli  la  comune  lezione  soleano  per  la  maggiore  bellezza  del 
verso  e  del  concetto,  che,  secondo  lui,  per  l'apparente  scon- 
cordanza de* tempi,  s'accorda  meglio  con  la  verità  e  con  la 
mente  del  Poeta.  E  vuole  che  sia  stata  intenzione  di  Dante  di 
scrivere  soleano  e  non  sogliono^  per  trasportare  il  pensiero 
di  chi  legge  al  tempo  in  cui  tali  esercizj  fecevansi  ;  e  sogg;inngo 
poi  sieno ,  perchè  con  la  forma  del  presente  si  dipineon  me- 
glio le  cose,  e  pongonsi  sotto  gli  occhi  e  in  atto.  —  JÌ\^isaie 
vale  fissar  bene  gli  occhi  in  un  oggetto ,  per  ben  esaminarlo  : 
comunemente,  e  forae  con  piii  espressione,  si  dice  oggidi  m- 
%'istare.  Poggiali.  —  Quid  sogliono  ec,  la  3.  rem.  ediz.  col* 
l'Aog.  che  legge ,  Qual  soglion  far  gli  campion  nudi  ed  unti. 
E.  R.  —  Campioni  sono  detti  dal  battersi  nel  campo.  Qui  in* 
tende  Dante  dei  Pugili  e  Palestriti,  che  nudi  ed  unti  pugna- 
vano, e  non  de'  Gladiatori,  come  dicono  il  Venturi  ed  il  Lom- 
bardi :  onde  Virgilio  :  Exercentpatrias  oieo  l€U}ente  ptUestras, 
Lami.  E  F.  4^ 

»5  al  27  ciascuno  y  legge  la  Nidob.  (  —  *  e  l*ediz.  di  Foli- 
gno 1 47^9  E.  R.  ) ,  meglio  di  ciascuna ,  che  hanno  l' altre  ediz., 
perocdbò  corrisponde  agli  altri  mascolini  ei,jeftf/iti,  tutti ^  co^ 
cominciò  Vuno  ec.  Ecco  poi  la  costruzione.*  C!osì  ciascuno,  dei 
tre,  rotando,  correndo  in  cerchio ,  drizzat^aame  il  visaggio, 
la  (accia  [a]  ,  sì  che  il  collo  faceva  continuo  viaggio  in  con" 
Vario  ai  pie:  movendosi,  esempigrazia ,  i  piedi  da  destra  in  si- 
nistra, conveniva ,  per  sempre  guardar  Dante,  torcere  il  collii 

[<it  Kismgffio,  vifo,  ficctii ,  io  rtrn;i,  ehì<f«a  il  Volali;  ma  fu  adoperato 
auclie  in  |iroaa«  Veiliiie  gli  eiieiii|ij  nel  Vbcibulariu  della  Crucca  • 


CANTO  XVI.  343 

E,  se  miseria  d*esto  loco  sollo  28 

Rende  in  dispetto  noi ,  e  nostri  preghi , 
Cominciò  l'uno,  e  '1  tinto  aspetto  e  brollo, 

da  sinistra  in  destra.  »-^Biagioli  vuole  che  si  legga  colla  co- 
mune, dascunaj  perchè  qui,  siccome  nei  Tersi  4«  e  7.9  vide 
il  Poeta  nei  tre  individui  tre  ombre*  ^-c  Avvei*ta  però  il  saggio 
lettore  di  non  intendere  che  gii*assero  quelle  ombre  intorno  allo 
stesso  Dante,  che  allora  tale  torcimento  di  collo  non  richiede- 
lebbesi;  imperocché  chi  corre  su  la  circonferenza  di  un  cir- 
colo non  ha  bisogno,  per  guardar  sempre  il  centro,  che  di  fer» 
mare  il  collo  in  quella  positura  medesima  che  al  pimo  sguardo 
fagli  necessaria.  Restò  Dante  in  alto  sulla  sponda  medesima  del 
fiomicelloy  su  della  quale  camminava ,  e  le  tre  ombre  rotavano 
abbasso  neir  acceso  sanbione;  non  giravano  adunque  in  tomo  al 
Poeta.  •-»  Il  codice  Vaticano  3 199  legge  questo  terzetto  come 
spgne:  Così ,  rotando ,  ciascuna  il  ì^isaggio^Drizzaì^a  a  me , 
//  ;  Ae  '/s  coniraro ,  il  collo-'  Face%fa  ai  pie  eontinuoij  i^iag^ 

d8  al  3o  J?,  je  miseria  ee.  Ho  tramezzato  le  due  particelle 
e»  se  con  una  irirgola,  parendomi  certissimo  che  la  costmziofw 
delli  presente  tenina  debba  esser  questa:  E  ^  cominciò  l'uno, 
*e  miseria  d*esio  loco  sollo^j  e  C aspetto  tinto  e  brollo ,  rende 
in  dispetto j  spregeToli  (in  quella  maniera  che  i  Latini  direb* 
htfofaeit  despicaiui  esse) ,  noi ,  e  nostri  preghi)  la  fama  no^ 
stra  pieghi  t*  animo  tuo  a  dirne  ec.  Per  mancanza  di  questa 
vii^la  il  Daniello,  e  dietro  ad  esao  il  Venturi ,  sonosi  sforzati  di 
finri  intendere  che  questo  £'j«  sia  quello  che  i  Ijatini  dicono  etsi, 
quanivis  ;  cosa  che  non  avrebbe  esempio.  Gli  Accademici  della 
Cr.  hanno  in  alcuni  testi  invece  di  E  trovato  Deh .  Se  vi  fosse 
bisogno,  m* appiglierei  piuttosto  a  questa  lezione,  il  bisogno 
però  per  meszo  della  sola  virgola  cessa  aifatto^  ed  il  senso  v^ 
sta  benissimo  legato .  -  loco  sollo .  i$o//o  (  chiosa  il  Vocab.  della 
Cr.  ) ,  non  assonato ,  soffice ,  contrario  di  pigiato  ^  onde  solla 
diccsi  la  neve  -di  fresco  caduta ,  prima  che  si  comprima  e  s'in- 
dori. Noi  Lombardi,  che  in  molte  voci  mutiamo  la  /  in  r  (dicen^ 
do  gora ,  mora  ec.  per  gola ,  mola  ec.  ),  appelliamo  cotal  neve , 
0  simii  cosa,  sora.  Sotto  adunque  denomina  Dante  quel  luogo 
*  cagione  d'essere  il  terreno  del  medesimo  arenoso,  e  cedente' 
•otto  i  piedi  di  ehi  lo  xaalpestava .  -  tinto  aspetto  (  cioè  nero , 


344  INFERNO 

La  fama  nostra  il  tuo  animo  pieghi  3 1 

,  ,  A  dirne  chi  tu  se',  che  i  vivi  piedi  * 

Cosi  sicuro  per  lo  'nferno  freghi  • 
Questi^  Torme  di  cui  pestar  mi  vedi,  34 

Tutto  ciie  nudo  e  dipelato  vada, 
Fu  di  grado  maggior,  che  tu  non 


fol^ginoso  )  legge  la  Nidob. ,  più  adattatamente  alla  ivi  cadente 
piòggia  di  fiamme y  che  non  leggono  tristo  l'altre  ediz.  tnUe 
»-►  e  il  Vati  3  i99«4Hi  hrollo  e  orullo  hanno  il  medesimo  signi- 
ficato di  spogliato  e  nudo;  ma  qoi  di  scorticato j  per  le  pia> 
ghe  dette  nel  i^.  io.  (m\  pnie  nel  ixxit.  di  ipiesta  cantìcat 
u.  58.  e  segg.: 

..••••. il  mordere  era  nulla 

Verso  7  graffiar^  die  tal  volta  la  schiena 
Jtimanea  della  pelle  tutta  brulla* 
m^  brollo  qui  forse  vale  bruciato;  e  potrebbe  venire  dal  tnor 
cese  brulé.  E.  F.  —  Cosi  anche  il  Biagioli;  ma  soggiunge  che 
QUI  i]  Poeta  l'usa  in  senso  di  scorticato y  e  tale  per  i'asioDe 
del  fuoco. 4HI 

3)  33  che  i  vivi  piedi  ec.  Invece  di  diie^  die  vivo  eammi^ 
ni  per  P  Inferno  i  dice  che  freghi ,  che  stropicci,  i  vivi  piedi 
per  lo  ^nferno .  Quantunque  il  firegare  de'  piedi  contro  il  soolo, 
nell'atto  di  andare ,  sia  dei  vecchi  massimamente  t  in  qualche 
modo  nondimeno  fiissi  da  ognuno  che  cammina  ;  e  però  bene 
vien  qui  posto  fregare  i piedi  per  camminare.  Fregare^  *P*^^ 
il  Venturi ,  i  propriamente  far  linee  formate  senza  disegno 
su  gualche  cosa  con  che  che  sia,  le  quali  si  dioon  freghi* 
Il  Vocabolario  però  della  Qiisca  y  tra  i  vari  significati  del  verbo 
Fregare  f  mette  il  primo  quello  di  leggiermente  stropicciare: 
e  il  latino  fricaroj  che  gii  ha  dato  orìgine,  nulla  ha  ch«  fiure 
con  linee  cotali.  • 

34  al  36  pestar  Porrne  per  seeuit€ir  le  pedate,  '^dipetato, 
dovendo  significar  lo  stesso  che  oroUo  nel  v.  3o.|  òoèseorti' 
cato  j  meglio  starebbe  scritto  con  due  /  9  dipellato  f  giacchi  tio* 
vasi  dipellare  per  tor  via  la  pelle.  Vedi  il  Vocab*  della  Gr. 
»-^IlVat3i<)9co6l  legge  tutta  questa  tenina:  (hiest^ormef  di 
cui  tu  pestai'  mi  vedij  -  Tutto  che  nudot  et  dipelata  ^fsuia; 
*  Fur  di  grado  maggior  »  c&e  tu  non  eredi m^-a 


CANTO  XVI.  345 

Nepote  fu  della  buona  Gualdrada  :  37 

Guidoguerra  ebbe  oome,  ed  ia  sua  vila 
Fece  col  senno  assai,  e  con  la  s[>ada. 

37  38  della  buona  Gualdrada,  Gualdrada,  narra  Giù.  Vil- 
lani [a],  e  da  esso  riportano  tutti  gli  Espositori  essere  stau 
in  Fiiense  una  vei^ine  di  singoiar  bell^ezza ,  e  figliuola  di  mes* 
serBellincion  Berti  y  della  famiglia  dei  Ravignani,  nobilissimo 
oiTaliere  ;  e  che  essendo  veduta  da  Ottone  IV •  Imperatore ,  che 
allora  era  in  quella  città  1  stupefatto  di  tanta  bellezza  ^  domandò 
chi  ella  fosse:  al  miai  messer  Bellincione,  che  era  appresso  di 
lui)  rispose  esser  figliuola  di  tale 9  che  a  lui  bastava  l'animo  » 
quando  piacesse  a  sua  Maestà  >  di  irgliela  baciare  ;  eche»  in- 
tese le  parole  dalla  fanciulla,  fattasi  m  viso  rossa,  si  levò  in 
piede ,  e  disse  al  padre  che  uomo  vivente  non  la  bacerebbe 
se  non  fosse  suo  marito .  Per  la  qual  saggia  e  casta  risposta 
rimperatore  molto  la  commendò  ;  e  il  Conte  Guido ,  uno  dei 
suoi  baroni ,  per  consiglio  del  medesimo  Imperatore  la  si  fece 
moglie.  Aggiunge  poi  esso  Villani  che  di  Guido  e  di  Gual« 
dnMla  nacque,  tra  gli  altri  figlia  Ruggieri,  e  di  Ruggieri,  Gui- 
dogoerra,  che  venne  perciò  ad  esser  nepote  di  Gualdrada. 

II  Borghini,  accertandosi  da  un  canto  che  l'Imperator  Ot* 
tone  rV.  non  fu  mai  in  Italia  prima  del  1 209,  e  trovando  dal- 
Taltro  canto  scritture  del  i  aou,  contenenti  vendite  da  esso  Con- 
te Guido  fatte  alla  città  di  Firenze ,  nelle  quali  vedesi  che 
aveva  egli  già  dalla  mofflie  Gualdmda  due  figlia  e  di  età  che 
potessero  esser  presenti  e  dare  la  parola  al  contratto ,  passa  a 
gindicare  favolose  le  dette  circostanze  di  quel  matrimonio  [&]• 
Io  non  so  se  per  le  stesse ,  o  per  altre  ragioni ,  prece- 
desse Dante  nel  medesimo  giudizio  al  Borghini  :  questo  si  bene 
mi  pare  certissimo  che,  se  stato  fòsse  Dante  persuaso  di  cotale 
patema  esibizione,  anzi  che  di  menzionarne  con  lode  il  padre 
di  Gualdmda  Bellincione  ne* canti xv.  1 3.  e  segg.,  e  xvi.  99.  del 
Paradiso ,  commemorato«avrebbelo  con  biasimo  nel  xvm*  del- 
l'Inferno. 

39  Fece  coi  senno  assai  y  ec.  Costui  fu  eccellentissimo  neU- 
Tarte  militare,  e  di  gran  prudenza  e  consiglio  «Onde  nella  bat^ 
CagBa  commessa  a  Benevento  tra  Carlo  e  Manfiredi  fu  riputato 

fa]  Crom,  lib»  5.  e.  3^.  [b]  Disc.  déìForig,  di  Firenze,  eiliiione  i7S5^ 


346  INFERNO 

L'ahro,  eh*  appressa  me  la  rena  trita,  4^ 

È  Teggbiaio  Aldobrandì ,  la  cui  voce 
Nel  mondo  su  dovrebbe  e$«$er  gradila  : 

Ed  io,  che  posto  son  con  loro  in  croce,         4^ 
Iacopo  Rusticncci  fui  ;  e  certo 
La  fiera  moglie,  più  eh* altro,  mi  nuoce. 

S' i'  fussi  stato  dal  fuoco  coverto,  ^6 

Gittato  mi  sarei  tra  lor  di  sotto, 
E  credo  che  '1  Dottor  Tavria  sofferroj 

Ma  perch'  i'  mi  sarei  bruciato  e  cotto,  49 

Vinse  paura  la  mia  buona  voglia, 

prìucipal  cagione  della  vittoria  di  Carlo.  Lahdivo^  ^^eol senno 
fece  assai  9  et  con  la  spada  j  legge  il  VaL  3 199.  «-« 

40  la  rena  trita  ^  rarena  pesta  »  invece  di  cammina. 

4 1  4^  Tegghiaio  Aldobnmdi .  Fu  costui  degli  Adimari , 
molto  stimato  e  a  casa  e  negli  eserciti  per  molle  maravigliose 
opere  e  consigli.  Costai  sconfortò  Tiropreisa  eontra  i  Senesi , 
dimostrando  che  non  si  poteva  in  quella  aver  vittoria;  ma  non 
fu  accettato  il  sno  consiglio:  onde  ne  segui  T infelicissima  rotta 
d'Arbia ,  ovvero  di  Montaperti.  LAvoiiro.  -^/a  età  voce^  i  cui 
consigli  (•-♦ovvero  la  cui  fama  o  nominanza  j  come  col  Boe» 
caccio  la  pensa  il  Biagioli^ni)  doterebbe  esser  gradita  su  mei 
mondo  I  dovrebbero  i  Fiorentini  tenersi  a  mente  ed  aver  evi. 

9h¥do¥ria9  al  u*  4^-9  ^%S®  ^^  ^^^  3' 99*^^ 

43  posto  in  croce  per  tormentato* 

44  4^  Iacopo  Rusticucci  fu  onorato  e  ricco  cavaliere  ,  ma 
ebbe  una  moglie  molto  ritrosa  ;  e  finalmente,  non  potendo  con 
lei  vivere  1  gli  convenne  lasciarla  e  viver  solo  :  u  che  fa.  ca- 

E'one  di  fargli  far  poi  quello ,  perchè  fu  dannalo  all'Infiemo . 
▲vfBLLo.  •-¥  Disse  nuoce  t  e  non  nocque^  perdiè  TeffeUn  è 
attuale  t  benché  la  causa  sia  remota*  Biaoioli.  «-« 

46  colerlo»  riparato»  '    "'^. 

47  di  sotto  $  nel  sabbione  sotto  la  ripa,  sn  della  quale  ess4- 
sta  va  4 

48  Dottor 9  Virgilio.  —  sofferto  che  mi  allcmtanassi  per- 
ciò alquanto  da  esso  lui . 


CANTO  XYl  347 

Che  di  loro  abbracciar  mi  facea  ghiotto. 

Poi  cominciai:  non  dispetto, -ma  d<^lia  5^ 

La  vostra  coodizion  dentro  mi  fisse 
Tanto,  che  tardi  tutta  si  dispoglia, 

Tosto  che  questo  mio  Signor  mi  disse  55 

Parole,  per  le  quali  io  mi  pensai 
Che,  qual  voi  siete,  tal  gente  venisse» 

Di  vostra  terra  sono:  e  sempre  mai'  5S 

L'ovra  di  voi,  e  gli  onorati  nomi 

5i  ghiotto  per  tnndo.  Metafora ^  critica  il  Venturi,  non 
iMle  più  gentili  j  pigliata  in  prestito  dal  taglier  del  tinello. 
Troppo,  con  occhiali  simili  lìsguardando ,  troveremmo  da  crì« 
tvcare.  -^Eòroy  che  in  vece  di  ricolmo  disse  il  Casa  in  quei 
versi  : 

Nuova  mi  nacque  in  prima  al  cor  vaghezza  ec^ 
Che  tosto  ogni  mio  senso  ebro  ne  fue  [a] 
onde  si  dirà  preso  dal  tinello  o  dalla  bettola?  Ghiotto  ferbra*' 
moso  lo  ha  scritto  chi  doveva  avere  un  po' miglior  gusto  del 
Vmturi ,  l'Ariosto  [A]  : 

Così  gli  piacque  il  dilicato  volto  , 
Così  ne  venne  immantinente  ghiotto. 
•-^'Questa  metafora ,  al  dir  del  Biagioli ,  mostra  anzi  assai  bene* 
r intensità  del  desiderio  di  abbracciare  quegli  illustri  perso- 
naggi; e  conchiude  che  le  voci  piii  triviali,  quando  sono  ben 
collocate,  diventan  perle.  4-« 

53  al  67  non  dispetto^  ma  doglia  ^La  vostra  eCé  Ecco  la 
costruzione:  Tosto  che  questo  nuo  Signor  f\irgiììOj  mi  disse 
parole  y  per  le  quali  io  mi  pensai  che  venisse,  tal  gente  j  di 
alto  griflo,  qual  siete  voi,  la  vostra  condizione^  aspra  e  tor» 
mentosa^  mi  fisse ^  eiicitò  in  me,  non  dispetto ^  non  disprezzo 
(vedi  la  nota  al  v.  39.),  ma  doglia ,  ma  compassione ,  tanto  den* 
troj  che  tardi  tutta  si  dispoglia  (il  presente  pel  futuro),  che 
non  si  potrà,  se  non  tardi,  tutta  togliersi  dalranimo  mio. 

59  Ùovra  il  singolare  pel  plurale  ,  per  Vovre  per  r opere 
insigni. 


348  INFERNO 

Con  affeziOD  ritrassi ,  ed  ascoltai. 
Lascio  lo  fele,  e  vo  pei  ddci  pomi  6i 

Promessi  a  me  per  lo  yence  Daca  ; 

Ma  fino  al  centro  pria  convien  che  tomi . 
Se  lungamente  l'anima  conduca  64 

Le  membra  tue ,  rispose  qu^li  allora , 

E  se  la  fama  tua  dopo  te  luca , 
Cortesia  e  valor,  di\  se  dimora  67 

60  Con  affètion  ec»;  costruzione  :  ascoltai  con  eiezione  f 
e  ritrassi,  ricopiai  in  me. 

61  6u  Lascio  lo  felcy  lascio  il  vizio  f  e  vo  pei  dolci  pomi 
della  virtiiy  i  quali  si  colgono  in  cielo,  ove  essa  virtù  è  pre^ 
miata.  Promessi  a  me  per  lo  verace  Duca,  per  Virgilio,  che 
per  vera  sti*ada  lo  scorgeva  al  cielo .  Damisllo*  ^^per  dola 
pomif  legge  il  VaL  3199.4-c 

63  tomi.  Esprìme  il  suo  discendere  all' Inferno  col  medesi- 
mo termine ,  col  quale  esprimesi  Tandarvi  di  quelli  che  vi  sono 
per  etemo  gAstigo  precipitati  ;  che  tornare  è  propria  mente  cal- 
dere a  capo  in  già  [a]  ;  e  bene  l'identità  del  luogo  da  con- 
venienza e  vaghezza  alla  identità  del  termine .  —  che  tomi , 
le^e  la  Nidob.;  di*  f  tomi ,  l'altre  edizioni. 

04  al  66  Se  lungamente  ec.  Cosi  tu  viva  lungamente,  e 
cosi  rìsplenda  e  sia  chiaro  il  tuo  nome  ancor  dopo  che  sarai 
morto.  VzHTURi.  -Il  se  fercosi ,  o  che  [ój  apprecativo,  a  quel 
modo  che  adoprarono  i  Latini  il  sic  e  Vutinam,  ripetelo  Damte 
anche  altrove  [cj ,  e  del  medesimo  han  fatto  uso  altri  buoni 
scrittori  [d],  •-»  Secondo  il  Biagioli ,  quesu  particella  se  non 
è  deprecativa  I  ma  condizionale .  -  rispose  quelli  ancora  j  leg» 
gè  il  Vat.  3 199. 4-c 

67  »-^  Cortesia ,  definisce  il  Poeta  nel  Convito  questa  voce 
COSÌ  :  a  Cortesia  e  onestade  è  tutt'  uno  ;  e  perocché  nelle  corti 
anticamente  le  virtudi  e  li  belli  costumi  s'usavano,  aiooome 
oggi  s' usa  il  contrario,  si  tolse  questo  vocabolo  dalle  corti,  e 
fu  tanto  a  dire  cortesia  quanto  ììso  di  corte;  il  qnal  vocabolo, 

[a]  Veda  il  Vocabolario  dell»  Cr.  [b\  Vedi  il  Cinonio,  PaHic  44.  a3. 
[e]  lof.  xi?ii.  57.,  zxix.  89^  ed  «Uruve.  [d\  Vedi  il  Ciooa.  9a3.  la.»  e 
il  Vocab.  della  Crusca. 


CANTO  XVI.  349 

Nella  nostra  città ,  si  come  suole, 

O  se  del  tutto  se  né  gito  fuora? 
Gilè  Guglieloìo  Borsiere,  il  qual  si  duole        70 

Con  noi  per  poco,  e  va  là  coi  compagni, 

Assai  ne  crucia  con  le  sue  parole . 
La  gente  nuova,  e  i  subiti  guadagni  7 3 

Orgoglio,  e  dismisura  han  generata, 

Fiorenza,  in  te,  si  che  tu  già  ten  piagni. 


M>  Oggi  si  togliesse  dalle  corti,  mass  ini  amente  d*Italia;  non  sa* 
nhbe  altro  a  dire  che  turpezza.  » Biagioli.  ->^a/ore  par  che 
debba  intendersi  per  abilità  nelle  cose  più,  ardue  ed  itnpor* 
tanti,  non  semplicemente  nelle  intraprese  militari.  Poogiali.<-« 

68  come  suole  per  come  soleva,  m^ suole  non  istà  qui  per 
jio/eva,  ma  ben  per  sé;  e  con  questa  forma  dimostrano  esser 
più  avversi  dal  credei'e  il  contrario  di  quello  che  domandano. 

BuGIOLI.  4-« 

69  »-»  O  jeec;  o,  se  il  valore,  e  per  conseguente  la  cortei 
^ia,  perchè  vanno  insieme,  se  n'è  gito  fuori  dalla  citta  nostra. 
BiAGioLi .  —  Qui  delle  due  voci  cortesia  e  ì^alor  uon  accorda 
che  la  seconda  col  verbo.  Tokelli .^-c 

70  71  •-♦  Chèj  cioè  IO  ti  dimando  questo  perchè  ec  Bia- 
aiou.4-«  Guiglieltno  Borsiere,  valoix>so  e  gentil  cavaliere,  mol- 
to pratico  delle  corti ,  e  (  come  affeiina  il  Boccaccio  nella  no- 
vella di  M.  Eiiuinio  dei  Giòmaldi)  fiiceto  e  prontissimo.  —  si' 
duole  per  poco,  conciossiachè  poco  fa  ci  venne,  non  essendo 
molto  ch'egli  era  morto.  Davibllo. 

72  crucia  con  un  e  solo  legge  la  Nidob.,  e  istessamente 
Indizioni  del  Landino,  Daniello  e  Vellutello,  a  differenza  delle 
altre,  che  leggono  cruccia.  Crucciare  però  significa ^or  a</f- 
rare  [a];  e  sta  qui  meglio  ancia  da  cruciare^  che  significa 
tormentare  ,  affliggere  • 

73  al  ^5  La  gente  ec*  Invece  di  rispondere  a  Iacopo  ^  vol- 
gasi Dante  con  apostrofe  a  Fiorenza  stessa  •  La  gente  nuova  ^ 
«lucila  (chiosa  il  Daniello)  che  nuovamente  di  contado  era  ve- 
nula ad  abitai^  nella  città  ;  i  guadagni  subiti  j  cioè  non  le- 

,4J  Vcili  ii  Vocabulario  (Iella  Crucca  • 


370  INFERNO 

lluM  gridai  con  la  faccia  levata:  '^6 

E  i  tre,  che  ciò  iateser  per  nspo&ia, 
Guatar  l'un  T altro,  come  al  ver  si  guata. 

Se  Taltre  volte  sì  poco  ti  costa,  79 

Kìsposer  tutti,  il  soddisfare  altrui. 
Felice  te,  che  si  parli  a  tua  postai 

citi  ed  ineiosti  ;  perchè  le  rìcchesse  che  in  uu  subito  si  ianuo, 
par  che  illecitamente  sì  facciano ,  come  per  usura  ec.  :  cum  nemo 
yir  bonus  dives  bren^i  evadatj  lasciò  scrìtto  Matal  Cooti  [aj; 
han  generata  in  te,  Fiorenza  ^  orgoglio  j  superbia  ed  alteii- 

5ia  nei  cuori  gon6ati  dalle  ricchezze  ;  e  dismisura  :  chiamasi 
ismisuralo  colui  che  passa  i  termini ,  e  fa  le  sue  cose  fuori 
di  misura  ed  è  immodesto  >  perchè  9  come  dice  Oia&io,  Esl 
modus  in  rebus ,  sunt  certi  denique  fines ,  -  QuosM^ra  dira- 
que  nequit  consistere  recium,  UaviblIiO.  —  sì  che  tu  giày  a 
quest'oi'a,  /e/t  /ria^fii*-  ^Vedine  la  corrispondenza  al  v.  i^i- 
e  segg.  del  e.  xin.,  spiegata  secondo  la  nostra  annotazione.  El. A. 
^b  Così  gridai  j  cioè  cotai  parole  giìdando  fec*io;  con  la 
faccia  levata  y  guardando  in  su  verso  u  mondo  nostro  9  peroc- 
ché parlava  con  Fiorenza. 

78  Guatar  y  invece  di  guardar  ^  legge  la  Nidob»,  e  corri- 
sponde meglio  tX guata  in  fine  del  verso  medesimo.  •-»  Il  cod« 
Vat.  3 199  legge  guardar  •'^^  come  al  ^er  si  guata ,  facendosi 
coli*  occhio  e  col  volto  quel  segno  di  approvazione  che  suol 
farsi  all'udii^e  una  cosa  che  si  tiene  per  vera  e  degna  di  rìsa- 
persi.  Vbntubi.  »-^  Questo  verso  dipinge  ;  e  quel  silenzio  »  quello 
stupore,  con  che  l'un  guata  l*alu*o,  dopo  cotal  risposta,  è  più 
eloquente  di  qualsivoglia  discorso.  Biagioli.^-s 

79  all'  8 1  Se  r altre  uolte  ec.  A  quanto  veggo ,  tutti  sM  Espo- 
sitori intendono  che  in  questi  tre  versi  non  altro  voglia  Dante 
che  applaudire  alla  propria  facilita  di  spiegarsi.  Felice  te (^tt^ 
Jrole  ael  yentm*i  non  dissimili  da  quelle  degli  altri  Spositori) 
cAe  hai  questa  facilità ,  e  felicità  merat^igliosa  di  spiegarti 
9nirabilmente  f  come  ti  %den  più  in  grado  •  Con  buona  pace 
però  di  tutti  io  voglio  piuttosto  credere  che  il  principale  scopo 
del  Poeta  sia  di  accennare  il  danno  che  gli  cagionò  il  libero 

[a^  Ai^'ihoL  1. 1.  cap   S. 


CANTO  XVI.  35i 

Però,  se  campi  d'esti  luoghi  bui,  Sa 

£  torui  a  riveder  le  belle  stelle , 

Quando  ti  gioverà  dicere:  i'  fui, 
Fa' che  di  noi  alla  gente  favelle:  85 

Indi  rupper  I9  ruota ,  ed  a  fuggirsi 

Ale  sembiaron  le  lor  gambe  snelle .       "^ 
Un  ammen  non  sarìa  potuto  dirsi  8S 

Tosto  così,  com'ei  furo  spriti: 

•00  parlare.  Lionardo  Aretino ,  della  speranza  parlando  dal 
Poeta  perduta  d'essere  rimesso  in  pallia,  ogni  speranza  j  di- 
ce, al  tutto  fu  perduta  da  Dante  ;  perocmè  di  grazia  egli 
medesimo  si  a$feva  tolto  la  via ,  per  lo  sparlare  e  scrivere 
contro  a' cittadini  che  governavano  la  repubblica  [a].  Io 
peoso  adunque  che  vogliano  quest'ombre  aire  a  Dante:  feli^ 
ce  te,  che  cosi  parli  a  tua  posta ^  a  tuo  talento,  a  tua  voglia p 
•e  il  soddisfare  con  tal  libei'o  parlare  ad  altrui  alu-e  volte  si 

I»oco  ti  costa,  come  costati  ora,  che  nessun  danno  t* arreca. 
Yiposta  per  voglia  |  piacimento ,  vedi  il  Vocabolario  della  Cru- 
sca sotto  la  Yoce  Posta  j  $.  17. 

8a  m^se  campi  ec.  Questo  se  ò  iniziale  di  un  officioso  au» 
gnrio  di  felicità,  dice  il  Poggiali,  nò  può  essere  dubitativo, 
poiché  i  tre  spiriti,  secondo  iicontesto,  ben  sapevano  che  Dan- 
te era  sicuro  di  uscir  ben  presto  da  ijuei  tenebrosi  luoghi ,  e 
(ii  tornare  a  riveder  le  stelle.  4-« 

84  ti  gioverà  dicere  i  ^  fidj  ad  imitazione  del  vii^^liano 
Enea,  dicente  ai  compagni:  f or  san  et  haec  olim  meminisse  ùi* 
vabit;  e  Seneca  :  Quod  fuit  durum  pati^  meminisse  dulce  est* 
Dabiiujo.  Di  qui  prese  il  Tasso  nel  e  zv.  del  Goffredo,  st.  38.  : 

2  UOMO  mi  gioverà  narrare  altrui 
;  novità  vedute ,  e  dire  :  io  fui. 
Riflessione  del  Venturi. 

86  rupper  la  ruota,  finirono  la  ruota,  che  di  sé  camminane 
do  fieevaiio,  detta  nel  v.  ai. 

87  »-^  jile  sembiar  le  gambe  loro  snelle  ^  l^ge  il 
Ang.  E.  R*  —  t  coti  il  Vat.  3 199.  ♦« 

\m)  réim  di  Dmmte. 


3Sa  liw^ERNO 

Perchè  al  Maestro  parve  di  partirsi  « 
Io  lo  seguiva ,  e  poco  eravam  iti,  91 

Che  '1  suon  dell'acqua  n'era  si  vicino. 

Che  per  parlar  saremmo  appena  uditi . 
Come  quel  fiume,  ch'ha  proprio  cammiao     94 

Prima  da  Monte  Veso  in  ver  levante 

Dalla  sinistra  costa  d'Apennino, 
Che  si  chiama  Acquacheta  suso^  a  vanta  9^ 

Che  si  divalli  giù  nel  basso  letto, 

go  •sparve  qui  equivale  al  uisum  estf  neutro  impersonale 
de'  Liatini ,  cioè  paive  bene  •  Poggiali.  <-« 

92  93  »^  Che,  neirora  in  che;  7  suon  dell'acqua ^  il  rn» 
more  della  cascata  nelP  ottavo  cerchio  del  fiume  FWetonte, 
sul  margine  del  quale  erano  per  anche  i  Poeti  ;  cascata,  aula  qua- 
le erano  ornai  cosi  vicini,  che,  per  quanto  avessero  parlato  for- 
te, appena  si  sarebbero  ti^  loro  sentiti  a  motivo  del  mmore 
di  essa.  Poggiau.  ^-c 

94  Come  quel  fiume ,  ee.  Reca  in  paragone  della  caduta  di 
Flegetonte  dal  settimo  nell'ottavo  cerchio  laromorosa  cascata 
del  Montone,  fiume  di  Romagna,  dall'Apennino  sopra  la  Badia 
di  8.  Benedetto;  e  circoscrive  esso  fiume  dicendolo  il  primo, 
che  dalla  sorgente  del  Po  su  Monviso  (  Mons  F^esulus  appel* 
lato  dai  Latini ,  e  Monte  Veso  dal  Poeta  nosti'o  }  dirigeiidoci 
verso  levante,  troviamo  scendere  dalla  sinistra  costa  deirApen- 
nino  ,  e  andar  al  mare  conproprio  cammino ,  cioè  con  proprio 
particolare  alveo  :  ed  è  vero  ;  imperocché  tutti  gli  altri  fiumi , 
che  dalhi  sorgente  del  Po  fino  a  quella  del  Montone  cascanodalla 
sinistra  costa  d'Apenninoytutti  s'uniscono  al  Po,  e  camminano 
con  es30  al  mare,  a-^  Ammira  il  Biagioli  in  questa  bella  simi- 
litudine il  meraviglioso  artificio  del  Poeta  nell  averespressocon 
tanta  precisione  ed  esattezza  quello  che  non  si  saprebbe  <,  con 
altrettanta,  in  prosa;  con  parole  e  frasi,  si  belle,  e  il  perk>do 
intero  aggirato  in  modo ,  che  principia  e  procede  quieto  qoìe* 
to,  rìnciuzandosi  a  poco  a  poco  col  correre  del  fiume ,  sin  che 
tes  faccia  sentire  T altissimo  romore  ch*egli  fa  cadendo.  4^« 
95  Prima f  primamente,  prima  d'ogn' altro  fiume. 
98  si  diifolli,  caschi  nella  valle;  basso  lette  y  basso  suola. 


CANTO  XVI.  353 

E  a  Forlì  di  quel  nome  è  vacante , 
Rimbomba  là  sovra  san  Benedetto  i  oc 

Dall'  alpe ,  per  cadere  ad  una  scesa  ^ 
Dove  dovrìa  per  mille  esser  ricetto  j 
G>si  giù  d'una  ripa  dìscoscesa  io3 

Trovammo  risonar  quell'acqua  tinta. 
Sì  che  'n  poc'ora  avria  T orecchia  offesa. 

99  è  yacanie ,  privo  ;  perocché  ivi  non  si  appella  più  Acqua^ 
dieta j  ma  Montone, 

IDI  •^per  cadere  ad  una  scesa y  cioè,  a  motivo  di  cadere 
tutto  ad  ìxn  tratto  dal  monte  in  ona  valle  y  dove  ec.  ;  così  col 
Lombardi  il  Poggiali.  ^  ad  una  scesa ,  cioè  da  un  precipizio  y 
da  un  balzo y  in  luogo ^  dove  ec.;  così  Volpi  e  Biagioli.  <-« 

102  Do$^  dovria  per  mille  esser  ricetto^  o  pei*cbè|  come 
<lal  Boccaccio  riferisce  il  Landino ,  fosse  una  volta  disegno  «  ma 
poi  non  eseguito ,  dei  Conti  signori  di  quel  paese  di  fabbricai* 
ivi  un  casteUoy  e  di  riunire  in  esso  molti  de' vicini  villaggi; 
ovvero,  come  intende  il  Daniello  y  perchè  essendo  quella  Badia, 
per  la  sua  vastità  e  ricchezza  9  capace  di  moltissimi  monaci , 
aoQ  fosse,  per  usurpazione  di  chi  amministra  vaia ,  provvedili  a 
die  di  pochissimi .  »-^  L'Anonimo  citato  nella  E.  F.  legee^  Z^o- 
l'è  do%fea  ec.  ;  e  chiosa,  che  dovea  essere  ricettacolo  ed  abita- 
zioiieper  mille  abitanti.  Forse  vuol  dire  che  i  molti  beni ,  dt*ì 
quali  godevano  que' pochi  monaci,  sai'ebbero  stati  sufBcicult 
per  nutrire  e  dar  ricetto  e  stanza  a  mille  abitanti.  <-m 
.  1 04  Ti-ot^ammo  ec.  a-^L'E.  R.  legge  invece  col  Caet.  Sentita^ 
'HO,  per  la  ragione,  die' egli,  che  il  suono  si  percepisce  col" 
i^uditOy  e  non  colla  uista.  —  Questo  cambiamento  è  disappro* 
>ato  dal  fiiagioli,  riflettendo  che  il  Poeta  disse  trottammo  per 
(esprìmer,  la  sorpresa,  onde  quel  gran  fracasso  lo  colpi*  Alla 
i^ioiie  poi  addotta  dall' E.  K.  in  difesa  del  Sentimmo  y  il  Bia- 
gioli  risponde:^c<m' a  i>anfe  se  9era  fosse  j  a  Omero  y  e  agli 
altri  tutti f  Malgrado  ciò,  il  sig.  De-Romanis  non  ha  creduto 
<ii  doversi  ritrattare ,  e  Sentimmo  legge  pur  anche  la  3.  ro- 
mana edizione.  —  L'Ang.  legge  Tro\^iinimoy  E. R.  —  e  così  il 
Val.  3199.  <«-• 

inj  »-^/a  lingua  offesa y  legge  il  Vat,  3 199,  e  r orecchia 
li  poslilla  marginalo  al  detto  codice,  attribuita  al  Petrarca.4^« 


354  INFERNO 

Io  aveva  una  corda  intorno  cinta ,  '  106 

E  con  essa  pensai  alcuna  volta 
Prender  la  lonza  alla  pelle  dipinta* 


id6  al  ìoS  Io  a^eva una  corda  intomo  cinta.  Questo  luo- 

Ìo  (chiosa  il  LaDdino)  contiene  in  sé  ima  fizione  assai  oscura. 
Iquanti  dicono  che  Dante  in  sua  puerizia  prese  T  abito  di 
s.  Francesco y  e  dopo  partitosi  lo  lasciò.  E  p^r  questo  pone  la 
corda y  della  quale  ei*a  cinto,  per  la  ipocrisia.  Il  che  né  credo, 
né  mi  par  verisimile. 

Commemorando  Dante  nel  Paradiso  con  somma  lode  san 
Francesco  e  i  veri  di  lui  seguaci  [aJ  ,  uè  mai  V  istituzione  di 
qualunque  sacra  Gerarchia  biasimando  egli ,  ma  solo  i  vixj  d'al- 
cuni individui,  non  è  ceitameute  veiisimile  che  volesse  pel  mi- 
noritico  cordone  significata  la  ipocrisia .  Altra  cosa  è  però  che 
ponga  Dante  per  simbolo  deiripocrìsia  il  francescano  cordone  i 
ed  altra  è  che  supponga  ingannato  Gerione  pel  cordone  get- 
tato colaggìti,  persuadendosi  che  venisse  con  tal  segno  (giacché 
in  quella  distanza  e  rumoi*e  la  voce  non  era  bastante  )  chia- 
mato a  prendersi  e  portarsi  abbasso  tale,  che  col  manto  della 
penitenza  ricopeita  avesse  l'iniquità.  Questo  pare  a  me  ch'es- 
ser debba  l'intendimento  del  Poeta:  eh' egli 9  cioè,  per  cingersi 
del  francescano  cordone  y  pensasse  alcuna  uolta  ^ch'è  quanto 
a  dire  una  yolta)  diprendere ^  cioè  di  frenai^e,  il  sensuale  ap- 
petito y  già  di  sopra  [6]  per  la  lonza  indicato  ;  e  che  il  cordone 
medesimo  portando  egli  tuttavia,  come  Terziario  dell'Ordine 
stesso  [cj,  facesselo  quivi  servire  ad  ingannare  e  far  venir  so- 
pra Gerione.  -  alla  pelle  dipinta  y  dipinta  alla  pelle  |  invece  di 
nella  pelle y  scambiato  nella  in  allay  come  l'ira  scambiasi  in 
al.  Vedi  il  Cinonio  [d],  —  dipinta  poi  nella  pelle  vale  quan- 
to coperta  di  pel  maculato y  come  già  disse,  la  medesima 
lonza  [e] .  m^  Alla  pelle  dipinta  non  é  l' inversa  del  costrutto 
dipinta  alla  pelle .  Il  Poeta  ha  detto  alla  pelle  dipinta  y  per 
esser  questo  il  termine,  al  qual  volger  vuole  l'animo  del  let- 
tore. Biagioi.i.4-« 

[a]  Canto  xzii.  90.  ed  altrove,  [b]  Inf.  i,  3a.  [e]  L'autore  delle  Memorie 
per  la  vita  di  Dante ,  oltre  di  riferire  detto  dal  Buli  il  medesimo  che 
(lice  il  Landino,  aggiunge  la  testimonianza  di  P.  Antonio  Tognocclii 
da  Terrinca  che  tosse  Dante  e  morisse Terxiario  del  francescano  Or- 
dine .  J.  viit.  [d]  Partic.  ».  I.  [e]  lof.  1.  33. 


CANTO  XVI.  355 

Poscia  che  V  ebbi  tutta  da  me  sciolta ,  1 09 

Si  come  *1  Daca  m'avea  comandato, 
Porsìla  a  lui  aggroppata  e  ravvolta  ; 

Ood'  ei  si  volse  in  ver  io  destro  lato,  1 1 2 

E  alquanto  di  lungi  dalla  sponda 
La  gittò  giuso  in  queir  alto  burraio . 

El  pur  convien  che  novità  risponda,  1 15 

Dicea  fra  me  medesmo,  al  nuovo  cenno, 
Che  '1  Maestro  con  T  occhio  sì  seconda . 

Di  questa  corda  non  ne  fanno  parola  i  moderni  Spositorì 
Volpi  e  Venturi* Il  Landino,  Vellutello,  Daniello  la  intendono 
nna  corda  del  tutto  allegorica,  cioò  la  firaude ,  con  cui  Dante 
alcuna  fiata  tentasse  di  giugnere  a  lascivi  fini.  Ma  come  poi 
di  colale  allegorica  corda  farsene  un  obbietto  da  aggropparsi 
e  ravvolgersi,  da  allontanarsi  dal  Poeta,  e  da  far  pervenire 
fino  a  Gerione?  a-^La  corda  che  aveva  veramente  cinta  a  sé 
d'intorno  ilPoeta,  secondo  il  Biagioli,  significa  rnmiltà,  con 
la  quale  si  dee  l'uomo  accostare  alla  scienza,  perocché  ella  è 
colei  che  umilia  ogni  superbo,  E  auesta  coi*da  se  la  cinse  il 
Poeta  quando,  accortosi  d'esser  ueiP errore,  si  propose  di  la- 
sciarlo, e  di  sposarsi  alla  scienza.  *-• 

1 1 1  aggroppata  e  rai^^^olta  a  guisa,  intendi,  di  gomitolo; 
e  ciò  non  per  aitilo  fine,  se  non  perchè  la  potesse  Virgilio  sca- 
gliare lontano. 

1 1  a  si  t^olse  inuer  lo  destro  lato .  Volendosi  scagliare  colla 
destra  mano  alcuna  cosa ,  conviene  appunto  ehe  volgasi  alquan- 
to a  destra  il  braccio  e  il  corpo,  per  prendere  spazio  a  dar  im- 
peto al  corpo  che  vuoisi  scagliare. 

1 1 3  1 1 4  ^<  lungi  dalla  sponda  -^  La  gittò ,  acciò  non  qual« 
che  o  pietra  o  sterpo  dalla  sponda  prominente  la  trattenesse, 
ma  andasse  a  cadere  nell'ottavo  cerchio.  —  burraio  e  burro* 
ne^  luogo  scosceso,  dirupato  e  profondo.  Vedi  il  Vocabolario 
della  Crusca. 

1 15  al  I  ly  Elpur  convien^  I^gK^  '^  Nidob.;  ed  essendo  ci 
voce  tronca  d'e//i  in  luogo  d*e^/< ,  come  avverte  il  Cinonio  [aj, 

[a]  Par  ite.  lOi.  i4< 


356  INFERNO 

Abi  quanto  cauti  gii  uomini  esser  denno       1 18 
Presso  a  color ,  che  non  veggon  pur  l' opra , 
Ma  per  entro  i  pensier  miran  col  senno! 

£i  disse  a  me  :  tosto  verrà  di  sopra  1  !i  1 

Ciò  clV  io  attendo  ;  e  che  1  tuo  pensier  sogna 
Tosto  convien  eh'  al  tuo  viso  si  scuopra . 

Sempre  a  quel  ver, eh'  ha  faccia  di  menzogna,  1 24 

dee  El  pur  com^ien  valere  lo  stesso  ch^  egli  pur  com^ien  ;  dee 
cioè  V  el  non  tenersi  qui  in  altro  eonto  che  di  particella  riem- 
pitiva ;  e  sta  qui  meglio  che  E  pur  coni^ien ,  che  leggono  l'al- 
tre edizioni  ,  »-^  e  colla  Crusca  il  Biagioli ,  che  disapprova  la  le- 
zione di  Nidobeato.  ^-mal  nuouo  cenno,  al  cenno  non  mai  Bnoi'a 
prtiti<$ato  di  gettare  giii  roba  da  un  cerchio  nell'altro .  —  Che  7 
Maestro  con  rocchio  sì  seconda y  guaiolando  giii  dove  la  cor- 
da gettata  andava  a  cadere  •  —  conuien  che  novità  risponda , 
dee  venire  in  seguito  alcuna  novità.  m-¥  colli  occhi j  al  %'.  1 1  j.. 
ha  il  Vat.  3 199.  4-« 

1 18  al  120  »->  L'avvertimento  che  vuol  dame  qui  il  Poeta, 
dice  il  Biagioli,  è  degno  d'essere  scritto  in  lettore d  oro  -  Quan- 
ti infatti,  che  vedendo  le  azioni  de'savj ,  ed  ignorandone  i  mo- 
tivi, osano  di  imprudentemente  censurarle!  Se  Dant«  ciò  fatto 
avesse,  quel  famoso  Saggio,  che  mirava  col  senno  per  enlm 
i  pensieri  di  lui ,  gli  avrebbe  risposto  in  altro  modo  da  quello 
che  fa  nei  versi  seguenti ,  ed  avrebbegli  dipinto  il  viso  di  tri- 
sta vergogna,  colmandolo  di  confusione.^-»  che  non  ueggon  pur 
/"oprai  che  non  pur ^  non  solo,  i^eggono  V opera  con  gli  oc- 
chi, intendi ,  ma  col  senno,  t^on  T intelletto,  miran  per  entro 
i  pensieri, 

I  aa  1 23  r?  che  '/  tuo  pensier  sogna  —  Tosto  ec.  »-^  c/ip  il 
mio  pensier  sogna  j  ha  il  Vat.  3199.  ^hi'cos tniz ione  :  e  tosto 
conv^ien  che  al  tuo  viso ,  alV  occhio  tuo ,  si  scuópra  ,  si  manife- 
sti, che  7  tuo  pensier  sogna,  che  tujensi  il  itslso.  »-♦  Dante 
qui  non  pensava  il  falso,  dice  il  Biagioli,  ma  piuttosto  il  vero, 
come  apparisce  anche  dai  1^^.  1 1 5.  al  1 1  ^.di  questo  canto.  Quin- 
di spiega  :  e  ciò  che  il  tuo  pensier  sogna  (^vede  come  in  sogno), 
com^iene  che  si  scuopra  al  tuo  x^iso  (al  tuo  occhio).  ♦-« 

1 24  di'  ha  faccia  di  menzognn^  che  ha  circostanze  tali  Ja 
essere  discrediite  da  chi  le  ascolta. 


CANTO   XVI.  35; 

De'  riioni  chiuder  le  labbra  quanto  puote, 
Però  che  senza  colpa  fa  vergogna . 

Ma  qui  tacer  noi  posso;  e  per  le  note  i  a 7 

Dì  questa  commedia,  Lettor,  li  giuro, 
S'elle  non  sien  di  lunga  grazia  vote, 

Ch'io  vidi  per  quell'aere  grosso  e  scuro       1  3o 
Venir  notando  una  figura  in  suòO| 

laS  guanto  puote ,  Non  dice  assolutamente^  perocché,  ove 
la  necessità  il  richiegga,  il  vero  si  dee  sempre  dire,  comuuijue 
sia  per  riceversi  dagli  ascoltanti .  —  Quant*ei puote ,  leggono 
Tediziom  diverse  dalla  Nidobeatina»-^e  il  Vat.  3 199;  lesione 
che  ha  più  grazia,  al  dii*  del  Biagioli.^-v 

126/0  svergogna  y  accatta  beffe  •  Tanto  premette  per  acqui* 
starsi  fede  iu  ciò  che  è  per  raccontare  • 

127  12S  per  le  notCj  per  le  parole  9  o  canti  ^  —  Di  questa 
commedia  j  Lettor  ^  ec;  come  se  dicesse  :  pei*  la  vita  di  questa 
mia  figliuola  ti  giuro  eh*  io  vidi  ec;  giuramento  gentile  9  desi- 
déraudo  naturalmente  sopra  d*ogui  alti*a  umana  cosa  qualun* 
qae scrittore  immortai  vita  e  gloriosa  a' suoi  scritti.  Vbiituai. 
Commedia  colPaccento  suU'/  alla  gitrca  maniera  (avviso  del 
preludalo  sig.  £nuio  Visconti  [a\)  esige  il  metro  che  scrivasi 
«'  pi'oiiuiizisi  ;  facendosi  però  nondimeno  delle  due  vocali  1  ed 
A  mia  sillaba  sola  ,  come  nel  verso  :  E  non  tni  si  pania  di" 
fianzi  al  scolto  [A] . 

I  ^.9  Snelle  non  sien  cc.y  vale ,  così  ottengano  esse  lunga" 
mente  stima  ed  applauso .  Della  particella  se  al  senso  di  co^ 
ffy  >edi  quanto  si  è  (l<'lt(>  in  questo  stesso  canto,  i'.  64* 

i3o  aere,  logge  la  JNidob.,  con  maggior  grazia  del  verso; 
a-^il  che  non  crede  il  Biagioliì^Hi  edoerr,  l'altre  ediz.;  ^^ros^ 
soy  peluche  sotto  terra,  anche  senza  il  concorao  d'alu*e  cagio- 
ni, è  l'aria  umida  e  grossa;  ma  qui  vi  si  aggiungeva  il  fumo 
del  Flegetonte. 

f3i  J^enir  notando  y  per  traslazione,  perchè  solo  nellacqua 
si  nuota;  ma  è  lecito  a  Dante  imitar  il  suo  Maestro ,  che  disse 
di  Dedalo  :  Insuetum  per  iter  gelidas  enai^it  ad  jérctos  ;  e 
poco  piii  sotto  :  Remigiuni  alarum  ec.  [e]  Ck>si  il  Daniello  1  ap* 

[a]  Tedi  Inf.  xti.  9  [b]  Inf.  1.  34*  [e]  Aeneid.  lib.6^  up.  16.  e  19* 


358  INFERNO 

Meravigliosa  ad  ogni  cuor  sicuro  ; 
Sì  come  torna  colui ,  che  va  giuso  1 33 

Talvolta  a  solver  l'ancora,  ch'aggrappa 
O  scoglio ,  od  altro ,  che  nel  mare  è  chiuso , 

presso  al  Landino  ed  al  Vellutello  •  Con  più  di  ragione  però 
8e;mbra  che  potesse  Dante  dire  che  nuotasse  questa  fiera ,  per* 
che  non  avea  ali^  e  movea  Parìa  colle  branche  i  come  dirà  nel 
canto  seguente  y  v.  io5.  a-^Biagioli  chiosa  a  un  dipresso  come 
il  Lombat*di,  e  poi  lo  censura,  attribuendogli  la  ripoi-tata  chio- 
sa del  Daniello,  della  quale  il  Lombardi  stesso  non  si  mostra 
troppo  pei'suaso.^-c  Nel  medesimo  seguente  canto, w.  97.,  ap- 
palesa Dante  il  nome  di  questa  fiera,  Gerione^  nome  di  un 
antichissimo  Re  di  Spagna ,  il  quale  finsero  i  poeti  che  avesse 
tre  corpi,  per  la  padronanza  che  avea  delle  tre  isole,  Maio- 
rica ,  Minorica  ed  Ebuso ,  ossia  I vica .  E  poulo  il  Poeta  (  ag- 
giunge ivi  il  Daniello)  per  la  fi*aude,  per  essere  stato  esso  astu- 
tissimo e  pieno  d'ogni  magagna. 

1^2  Meravigliosa^  cioè  piena  di  meraviglia,  intendendo  di 
quella  che  dà  tensore  e  spavento;  onde  dice  ad  ogni  cuor  si* 
ciiroy  cioè  ad  ogni  invitto  e  franco  animo.  Vellutello.  ^*on 
voglio  però  tacere  il  dubbio  che  io  ho,  che  ponga  Dante me- 
ra%ngliosa  nel  proprio  significato  di  sorprendente ,  e  cuor  si* 
curo  per  cuor  affidato ,  ad  esprimere  che  non  rimaue  dalla 
frodo  (  di  cui  quella  fiera  è  sozza  immagine  [a\  )  sorpreso  e 
meravigliato  se  non  chi  si  fida  d*altrui  ;  ond'è  in  ptx>verbio  : 
chi  si  fida  vien  ^ra^ito.  •-►Spiega  il  Biagioli  questo  verso  così: 
Merav^igliosa ,  cioè  capace  di  spirar  meraviglia ,  passione  nata 
da  novità  o  da  cosa  rara  ;  ad  ogni  cuor  sicuro  >  cioè  ad  ogni 
cuore  più  di  sé  sicuro,  vale  a  dire  men  facile  ad  essei'e  per- 
turbato dalle  passioni.  —  Ma  meglio  d'ogn' altro  ,  a  parer  no- 
stro ,  lo  spiega  il  Poggiali  cosi  :  Meraivigliosa  ec.y  cioè  capace 
di  cagionar  sorpresa  anche  in  uno  spinto  fermo  ed  intrepido. 
—  Se  non  che,  forse  più  conforme  alFidea  del  Poeta,  sarebbe 
r  intendere  mera%ngliosa  per  capace  di  cagionar  paura  piut- 
tostochè  sorpresa.  4-« 

134  i35  Talvolta  a  solver  V ancora  ^  J<*gg^  '*  Nidob.,  me- 
glio che  Talora  a  solver  ancora^  che  leggono  Taltre  edizioni 

[a]  Canto  seg.  v,  7. 


CANTO  XVI.  359 

Che  'n  su  si  stende,  e  da  pie  si  rattrappa. 

appresso  a  quella  della  Crusca  1  che  ha  mutato  Talvolta  in  Ttt* 
lora  y  sensa  dime  il  perchè ,  ni  citar  manoscritti.  —  od  altro f 
la  Nidob.  ;  o  altro  1  Paltre  edizioni  4  w^cVagrappa^^A  scoglio , 
I<^ge  il  Yat.  3199.4^ 

i36  Che  *n  su  ec,  che  nella  parte  superiore,  cioè  nel  capo 
e  nelle  braccia,  distendesi,  e  nella  inferìor  parte ^  cioè  neUe 
coaoe  e  nelle  gambe,  ripiegasi. 


■CANTO    XVII.I 


ARGOMENTO 

Descrive  il  Poeta  la  forma  di  GèHone  •  P(À  segue 
che  discesi  ambedue  su  la  riva  che  divide  il  settimo 
cetxhio  dall'ottavo^  e  chiamato  colà  Gerioncy  Vir- 
gilio rimane  con  esso  lui ,  ed  egli  seguita  alquanto 
pia  oltre  per  aver  contezza  della  terza  maniera 
de*  violenti t  cioè  di  quegli  che  usano  la  violenza 
contro  V arte.  Infine  tornandosi  a  Virgilio y  discen* 
dono  per  aria  neW  ottavo  cerchio  sul  dosso  di 
Gerione. 

Hicco  la  fiera  eoa  la  coda  aguzza ,  i 

Che  passa  i  monti ,  e  rompe  muri  ed  armi  : 
Ecco  colei,  che  tutto  il  mondo  appuzza; 

Sì  cominciò  Io  mio  Duca  a  parlarmi,  4 

Ed  accennoiie  che  venisse  a  proda, 
Vicino  al  fin  de'  passeggiati  marmi  : 

I  al  3  Ecco  la  fiera  ec.  Fingendo  che  questa  fiera  sia  rim* 
magine  della  fraude,  dice  ch'ella  avea  la  coda  aguzza  ed  appnn* 
tata  sì  fattamente ,  che  passai^a  (cioè  traforava  )  monti ,  e  rom* 
peva  muri  ed  armi  ;  perciocché  non  è  al  mondo  cosa  si  difficile 
e  dura ,  che  il  malizioso  con  la  sua  acutezza  non  passi .  -—  ap» 

{mzza  y  ammorba  e  corrompe.  Dahiello.  »-»  i  muri  e  rarmij 
egge  FAng,  E.  R.,  e  il  Val.  3 199. 4-» 

5  aecennolle^  alla  fiera.  — a  proda  j  a  riva. 

6  a/  fin  de  passeggiati  marmi ^  alla  estremità  «^elle  mar- 
moree spondei  su  delle  quali  passeggiavano  i  due  Poeti  (  come 


CANTO  XVII.  36i 

E  quella  sozza  immagine  di  froda  ^ 

Sen  venne,  ed  arrivò  la  testa  e  '1  busto; 
Ma  in  su  la  riva  non  trasse  la  coda . 

La  faccia  sua  era  faccia  d'uom  giusto,  io 

Tanto  benigna  àvea  di  fuor  la  pelle, 
E  d'un  serpente  tutto  l'altro  fusto. 

Duo  branche  avea  pilose  iniin  lascelle:  1 3 

A  detto  nel  canto  xit.  iv.  83.  e  i  4  i  0  9  ^<1  ì^^  sopra  l'ottavo  cer- 
chio avean  termine.  •-►Cosi  anche  il  cav.  Monti  [a] .  <<-« 

8  9  arriyò  per  trasse  su  la  riva  ;  e  però  siegne  :  Ma  in  su. 
la  riva  non  trasse  la  coda*  Solo  adunque  con  la  testa  e  col 
busto  entrò  Gerione  sopra  la  riva ,  acciò  potessero  i  Poeti  mou- 
tallii  addosso,  m^in  su  la  riua  non  trasse  la  coda.  Però  che 
la  firaude  sempre  cela  e  nasconde  il  suo  fine.  Così  P Anonimo 
nella  E.  F.  —  Nel  Vocab.  della  Cr.  arriyare  in  senso  attivo 
vuol  dire  condurre  a  riva  ;  ma  in  questo  significato  non  è  più 
in  uso,  ed  è  comunissimo  laltro  significato  neutro  di  pe/veni« 
re^  giungere.  Cosi  il  sig.  Poggiali  y  volendone  da  ciò  inferii^ 
chequi  gran  caratteri  di  probabilità  acquista  la  variante  del  suo 
codice  :  Sen  uenae  a  rii^a  con  la  testa  e  7  busto  j  che  rende 
il  verso  migliore,  conserva  il  sentimento,  ed  esclude  il  verbo 
arrit^are  in  senso  attivo,  che  per  avventura  molto  non  piaceva 
anche  al  tempo  di  Dante.  <<-« 

10  m^ faccia  iTun  giusto ,  legge  PAng.  E.  R.4-«  ^  Da  que- 
sta descrizione  di  Gerione  sembra  che  PAriosto  abbia  desunta 
quella  della  fraude,  dicendo  di  essa: 

jivea  piacet^ol  viso ,  abito  onesto , 

Un  umil  uolger  d^ occhi y  un  andar  grai^e  y 

Un  parlar  si  benigno  e  sì  modesto^ 

Che  parca  Gabriel  che  dicesse  Aue; 

Era  brutta  e  diforme  in  tutto  il  resto  •  E.  R. 
»^  La  descrizione  qui  fatta  della  frode  da  Dante  è  sottilmente  e 
propriamente  presa,  secondo  l'Anonimo,  dal  Genesi,  e.  3.  E.F.4-S 

1 1  la  pelle  y  per  Pestemo,  per  Papparenza. 

f  3  m^Due  brancVa\^a  pilose  insin  P ascelle ,  legge  il  cod. 
Vat.  Sfgg.^-* 

[4]  Pr0p,  voi.  3.  P.  I.  fac.  104. 


36a  INFERNO 

Lo  dosso,  e  '1  petto,  ed  ambedue  le  coste 
Dipinte  avea  di  nodi  e  di  rotelle . 

Con  più  color  sommesse  e  soprapposte  i6 

Non  fer  ma'  in  drappo  Tartari ,  né  Turchi , 
Né  fìir  mai  tele  per  Aragne  imposte. 

Come  talvolta  stanno  a  riva  i  burchi,  19 

Che  parte  sono  in  acqua,  e  parte  in  terra, 
£  come  là  tra  li  Tedeschi  lurchi, 

i4  i5  coste ^  per  lati»  ^^di  nodi  e  di  rotelle ^  attissimi 
simboli  di  firode  sono  questi.  Il  nodo  i  cioè  rinviluppaiiiento 
di  fime  o  d'altra  flessibile  materia ,  indica  T  inviluppo  di  pa- 
role che  usa  il  fraudolenta ,  e  la  mira  che  ha  sempre  d'inn- 
luppare  ed  illaqueare  altrui .  La  rotella  poi,  ossia  scudo ^  co» 
me  serve  al  guerriero  per  coprirsi  al  nemico,  accenna  Toccul* 
tare  che  il  fraudolente  fa  delle  inique  sue  mire  ad  altrui  • 

16  sommesse  e  soprapposte .  Soprapposta  è  quel  risalto  che 
ne' drappi  di  varj  colori  rileva  dal  fondo;  e  sommessa f  nome 
sostantivo  (come  soprapposta)  ^  è  il  contrario  di  soprapposta. 
Il  Daniello  spiega  alla  goffa,  sommessa  ^  vest^  da  portar  sotto. 
Vekturi. 

17  mà'y  sincopato  di  mai^  attesa  la  seguente  i.  -  Tartari  ^ 
né  Turchi.  Tartari ,  Turchi  e  Mori  sopra  de' suoi  drappi  molto 
artificiosamente  tessono.  Vellutello.  marnai  drappo ^  legge 
il  cod.  Ang.  E.  R.,  e  il  Vat.  3199.  4-s 

1 8  per  Progne ,  insigne  tessitrice  di  Lidia,  cangiata  da  Fd- 
lade  in  un  ragno ,  perchè  osò  di  provocarla  a  chi  filava  e  tes- 
seva meglio.  '^ imposte y  poste  sul  telaro,  o  telaio,  cheTOgliam 
dirlo.  Vekturi. 

rg  20  burchi j  spezie  di  navilj  che'si  tirano  mezzi  in  tem, 
e  Taltra  metà  sta  in  acqua ,  quando  non  si  navica.  Buri ,  ci- 
tato nel  Vocabolario  alla  voce  Burchio. 

a  I  Tedeschi  lurchi  j  Tedeschi  golosi ,  bevitori  egran  mangia- 
tori :  Dediti  spmno ,  ciboque .  Tacit.  de  Mor.  Germ.  Lurehi 
viene  dai  latino.  Cosi  Lucilio:  edite  lurconesy  comedones,  nf- 
vite  ì^entres.  Vbhtuei.  •-►Secondo  l'Anonimo,  citato  nelIaE.F.9 
hwco  significa  divoratore  immondo .  4hi  K  da  riflettersi  che  i 
nostri  padri  davan  questo^piteto  sempre  in  dispresso  :Tcrensia 


CANTO  XVII.  363 

Lo  bevero  s'assetta  a  far  sua  guerra;  21 

Così  la  fiera  pessima  si  stava 
Su  Torlo  che,  di  pietra,  il  sabbiòa  serra. 

Nel  vano  tutta  sua  coda  guizzava,  25 

Torceado  in  su  la  venenosa  forca , 
Ch'  a  guisa  di  scorpion  la  punta  armava . 

Lo  Duca  disse:  or  convieu  che  si  torca  28 

La  nostra  via  un  poco,  infino  a  quella 
Bestia  malvagia ,  che  colà  si  corca  • 

Però  scendemmo  alla  destra  mammella ,  3 1 

ad  un  lurco  aggiunge  edux^  furaxj  fugax.  -  tra  li  Tedeschi  y 
cioè  sa  le  rive  del  Danubio,  ove  trovasi  il  bevero,  del  quale 
è  per  dire. 

22  £0  beueroy  il  castoro.  La  Nidobeatina  legge,  biifero^ 
»^e  così  il  YaL  3 199  4-«  che  s' accosta  meglio  Bljtber^  nome 
iatino  del  castoro  medesimo.  —  scassetta  a  far  sua  guerra ^ 
intendi I  ai  pesci  di  che  si  ciba:  e  per  questo  (  riferisce  il  Vel- 
tatello  )  sta  con  la  coda ,  la  quale  ha  squammosa ,  larga  e  molto 
grassa ,  nclP  acqua ,  perchè  movendola  la  ingrassaa  modo  d*  olio, 
r  cosi  allettando  i  pesci,  al  gustar  di  quella  li  prende. 

24  Su  rorlo  chcj  di  pietra  j  il  saobion  serra.  Fa  qui  il 
Poeta  uso  della  sinchisi,  e  dice  così  invece  di  dire:  «Su  Vorlo 
di  pietra  y  che  il  sabbion  serra  ^  termina  intomo. 

26  la  venenosa  forca ^  la  venenosa  biforcuta  punta. 

28  2()  che  si  torca  —  La  nostra  uia  ec,  dalla  sponda ,  su 
della  quale  camminato  avevano ,  rettilinea  e  mirante  al  mezzo 
deir Inferno,  passando  sul  cii*colar  orlo  di  pietra  che  terminava 
quel  settimo  cerchio  ;  su  del  qual  orlo  erasi  Gerione  apposta- 
lo, com*è  detto  nei  yu,  23.  e  24- 

30  •■^  Bestia  malvagia  y  e  sopra  al  i^.  23.  fiera  pessima  chia- 
■na  il  Poeta  Gerione  ;  ma  in  ambedue  i  luoghi  perchè  è  con» 
ftiderato  come  un'immagine  delia  frode.  Poggiali.  <-« 

3 1  scendemmo  alla  destra  mammella ,  invece  di  al  destro 
IfUoj  continuando,  cioè,  sua  direzione  di  girare  da  destila  in 
sinistra,  com*è  detto  nel  canto  ziv.  126.  E  dice  scendemmo 9 
p<*rocchè  la  sponda  del  fiume  era  piii  alta  dell* orlo  del  cerchio. 
*^1  poeti  non  \aiino  da  destra  in  sinistra  j  ma  fanno  anzi 


364  INFERNO 

E  dieci  passi  femmo  in  su  lo  stremo, 
Per  bea  cessar  la  rena  e  la  fiammella  : 

E  quando  noi  a  lei  venuti  semo,  34 

Poco  più  oltre  veggio  in  su  la  rena 
Gente  seder  propinqua  al  luogo  scemo . 

Quivi  '1  Maestro:  acciocché  tutta  piena  37 

tutto  r  opposto  y  torcendosi  ora  un  poco  dalla  dii^ezione  tenuu 
sin  qui.  L'osservazione  è  del  Biagioli,  e  nella  3.  ediz.  roni.è 
stato  tacitamente  corretto  l'eiTore  del  Lombardi .  4-« 

32  33  dieci  passi  per  pochi  passi . — in  su  Io  stremo ,  in 
su  r estremità  dell'orlo,  dalla  parte  del  vano.  -  Per  ben  ces* 
sor  la  rena  e  la  fianiniella ,  essendo  1* estremità  dell'orlo  dalla 
pai'te  del  vano  la  più  lontana  dal  sabbione  infuocato  e  dalle 
pioventi  Gamme,  m-^  Il  Lombardi  colla  Nidob.  leggeva  roncar  ^ 
scambio  inutile,  ed  a  parere  del  Biagioli  fatto  a  danno  delle 
lettore  e  a  dispetto  della  verità.  Cessare  infatti  significa  ei'i- 
tare ,  allontanare ,  nmuovere ,  e  simili  ;  e  in  questo  senso 
1*  usò  Dante  nel  Farad,  xxv.  1 1 3.,  e  nel  Convivio  face.  70.  e 
85.  j  e  trovasi  anche  nelle  cento  Novelle  antiche  j  e  come  dal 
seguente  esempio,  riportato  dalla  E.  F.,  può  rilevarsi  :  Per  vo* 
ler  cessare  briga  a  loro  ed  a  me  (  Nov.  6.  )  -  cessar ,  leggono 
tutte  le  antiche  e  moderne  edizioni ,  e  i  codd.  Ang.,  Caet.  e 
Vat.  3 199;  per  cui  anche  al  sig.  De  -  Romania  piacque  oeir  ul- 
tima sua  edizione  di  sostituire  tal  lezione  a  quella  della  Nido- 
beati  na  ,  riscontrandola  pili  bella  e  piii  ragionevole.  -  Cessare 
nel  5 ues presso  attivo  significato  si  usa  elegantemente  anche  ai 
di  nostri,  massime  in  poesia,  come  osserva  il  sig.  Poggiali. 
Ecco  le  ragioni  che  c'indussero  a  rivocai*e  in  luce  la  comune 
e  piii  antica  lezione  cessare .  ^-m 

36  propinqua j  vicina:  termine  usato  pur  da  altri  ottimi 
scrittori.  Vedi  il  Vocabolario  della  Ci'usca.  —  eU  luogo  sce^ 
tnoj  al  vano  deirinfernal  buca;  e  però  propinqua  al  luogo  sce^ 
moj  vale  lo  stesso  che  vicina  all'orlo,  su  del  quale  erano  di 
fresco  sccsi.  •-►«Scemo,  dal  lat.  semusj  fiitto  dasemisy  la  me- 
tà ;  scemato  t  mancante^  privo  di  materia  y  nel  piii  lar^ro  com- 
prendimento .  Biagioli.  '«hi 

37  tutta  è  qui  avverbio,  e  vale  affatto;  come  in  quel  passo 
del  Boccaccio  :  la  donna  udendo  costui  parlare ,  il  quale  ella 


CANTO  XVIL  365 

Esperienza  d'esto  giròa  porti , 

Mi  disse ,  or  va ,  e  vedi  la  lor  mena . 

Lì  tuoi  ragionamenti  sien  là  corti  :  4^ 

Mentre  che  tomi ,  parlerò  con  questa, 
Che  ne  conceda  i  suoi  omeri  forti  • 

Così  ancor  su  per  la  strema  testa  43 

Di  quel  settimo  cerchio  tutto  solo 
Andai ,  ove  sedea  la  gente  mesta . 

Per  gli  occhi  fuori  scoppiava  lor  duolo:         4^ 
Di  qua ,  di  là  soccorrien  con  le  mani , 

teneva  mutolo  >  tutta  stordì  [ci] .  m^  tutta  non  è  avverbio ,  dice 
il  Biagioli  f  ma  addìettivo  determinante  il  nome  rispetto  all'idea 
d'ÌDtegrìtà  y  di  totalità ,  d'incei^tesza  :  acciocché  tu  poni  intera 
esperienza  ;  non  gli  restando  a  vedere ,  se  non  costoro  j  del  pre- 
sente cerchio .  •<-• 

3^  m-^  Mi  tlisse.*  va  e  vedi  ec.j  il  cod.  Aug.  E.  B.  m-^Ìa 
lor  mena  y  cioè  la  loro  condizione.  Buri ,  citato  a  cotal  voce  dal 
Vocabolario  della  Crusca .  E  quantunque  esso  Vocabolario  non 
iTchi  di  mena  per  condizione ,  stato  y  sorte  y  altri  esempj  che 
di  Dante 9  veggonsi  riducìbili  al  significato  medesimo  anche  di 
«{uelli  altri  esempi  che  apporta  sotto  mena  per  operazione , 
maneggio  y  affare  ec,  e  tra  gli  altri  quello  della  vita  di  Bai^ 
l'?»m  ;  cominciò  molto  duramente  a  piangere  della  bellezza 
tifila  pulcellay  per  cui  egli  era  stato  in  così  male  mene. 
*-^mena  vale  condizione  y  ma  per  lo  piii  trista;  angustiatine 
(fnictudine  y  btùgay  ec.  Vedi  Rime  ant,  di  Pier  dalle  Vigne  e 
'1<*I  Re  Enzo,  e  Gipvanni  Villani,  Uh.  io.  e.  160.  E.  F. 4hì 

/^o  m-^sien  là  corti.  Per  non  esser  quella  gente  degna  che 
uno  si  ti*attenga  seco.  Biagioli .  <<-« 

4-5  ancor  su  per  la  strema  testa j  su  per  Tultima  parte:  e 
la  pivmessa  particella  ancor  acccima  la  visita  da  esso  Dante 
ÌMU  già  di  altre  parti  del  medesimo  cerchio. 

^7  soccorrien ,  legge  la  Nidobeatina ,  meglio  che  non  leggono 
Taltiv  edizioni  •-►(e  il  Vat.  3  igq.)*-»  soccorren  ;  nel  qua!  caso 
fiovrv^bhesi  ricorrer  ad  una  ellissi  inusitata  della  lettera  a  iu 

o   Oiorn.  3.  Wov.  !• 


366  INFERNO 

Quando  a'  vapori ,  e  quando  al  caldo  socio . 

Non  altrimenti  fan  di  state  i  cani  49 

Or  col  ceffo,  or  col  pie,  quando  son  morsi 
O  da  pulci ,  o  da  mosche ,  o  da  tafani  • 

Poi  che  nel  viso  a  certi  gli  occhi  porsi,  Si 

Nei  quali  il  doloroso  fuoco  casca, 
Non  ne  conobbi  alcun  ;  ma  io  m' accorsi 

Che  dal  collo  a  ciascun  pendea  una  tasca ,      55 
Gh'  avea  certo  colore ,  e  certo  segno  ; 

una  desinenza  già  sincopata,  come  soceorreano  per  soccorre' 
uano  :  tanto  più  che  trovasi  scritto  dal  medesimo  uosU-o  Poeta 
rnox^ieno  per  mo*^eano  [a] ,  e  da  altri  credicno  per  credeva^ 
no  [b].  m->  Il  verbo  soccorrere  è  qui  preso  nei  primitivo  sao 
lignificato,  che  sarebbe ,  secondo  la  sua  etimologia ,  correr  jo£- 
tOj  e  per  analogia  correr  di  contro •  Poggiali,  ^-c 

4B  vapori  per  le  cadenti  fiammelle,  —  caldo  suolo ^  Hn- 
fìiocata  rena. 

49  al  5 1  m->  Questa  similitudine  i  dice  il  Biagioli,  è  da  no- 
tarsi y  per  la  natuialezza ,  la  verità,  e  pel  meccanismo  dei  versi 
—  Or  co* piedi  y  or  col  ceffo,  quanao  morsi -^  Da  pulci  son, 
da  mosche,  o  da  tafani,  cosila  Nidob.  ;  né  veggo  perchè  gli 
Accademici  della  Crusca  volessero  piuttosto  :  Or  col  ceffo ,  or 
coi  pie,  quando  son  morsi  *  O  da  pulci,  o  da  mosche,  o 
da  tafani*  Lombardi.  Ma  la  lezione  di  Midobeato  sembra  al 
.fiiagioli  un  po' guasta;  e  l'È.  R.,  chiedendo  scusa  al  Lombardi, 
aella  3.  ediz.  sostituisce  nel  testo  l'antica  lezione ,  che ,  secondo 
lui ,  si  sostiene  non  solo  coirautorità  della  Crusca ,  ma  colla  piti 
sHitica  dei  codici  Caetano,  Angelico  e  Vaticano;  e  colla  maggior 
lucidezza  e  semplicità  dell'espressione  è  del  verso.  *Koi  pu* 
re  Tabbiamo  seguita,  rimettendoci  al  giudizio ^/e'&en  costrutti 
orecchi,  —  Il  codice  Vaticano  3 199  legge  però  come  la  Nido- 
beatina.  «-e 

55  tasca ,  sacchetto ,  borsa,  sono  qui  tutt*  uno. 

66  certo  colore,  e  certo  segno:  l'aiine  coi  pi*oprj  coinri 

[/1I  Purg  X  81.  \b]  Vedi  Maslrofiuì,  Teoi'ia  e  Prospetto  de' retbi  tta- 
itiiui ,  ili  \erbu  Credere^  fac.  64.  fi.  11. 


CANTO  XVII.  367 

E  quindi  par  che  '1  lor  occhio  si  pasca  • 
£  com'  io  riguardaDdo  tra  lor  yegoo^  58 

In  ana  borsa  gialla  vidi  azzurro, 
Che  d' un  lione  a vea  £iccia  e  contegno  • 
Poi  procedendo  di  mio  sguardo  il  curro,       61 
Vidine  un'  altra  come  sangue  rossa , 
Mostrare  un  oca  bianca  più  che  burro  • 

dtlla  famiglia  di  ciascuno  •  Veutubi.  •-►  certo  per  staUlito  y 
determiìiato .  Honhhi.  4^ 

DJ  si  pasca  y  guardando  qnella  tasca  con  piacere.  Dinota  la 
loro  ingordigia  del  danaro.  •-►La  ragione ,  per  la  quale  pascono 
quindi  Toccnio  lorO|  non  è 9  come  na  detto  il  Lombardi,  per 
esser  loro  questa  vista  di  piacere ,  che ,  fra  crucio  e  tormento 
si  &ttOy  ninno  piacere  yi  puote  aver  luogo  ;  ma  si  perchè  cotal 
lista  rimembra  loro  la  misera  cagione  del  loro  eterno  supplì** 
sioy  il  che  è  stimolo  a  maggior  duolo;  siccome  agli  avari  e  ai 
prodighi  è  pur  cacone  di  più  gran  pena  il  seuthsi  ad  ogni 
giostra  rinfacciare  la  cagione  del  lor  tormento.  Biagioli.  «-• 

59  60  In  una  borsa  ec.  Qui  viene  accennata  la  famiglia  no- 
bile di  Firenze  Gianfigliacci,  che  per  arme  antica  portava  un 
lione  azzurro  in  campo  giallo.  Volpi.  -^d*un  lione ^  ^^SS^  '^ 
Nidobeatina  ;  di  lione  j  1  altre  edizioni .  —  faccia  e  contegno  9 
figura  ed  atto.  »-^ Anche  il  Torelli  spiega:  faccia  e  contegno 
^T  forma  e  sembianza ,  o  altitudine.  -^ Contegno  è  proprìa- 
meate  un  portamento  di  vita  decoroso  e  sostenuto ,  e  che  par- 
tt'cipa  di  alterìgia.  Poggiali.  «-• 

6 1  procedendo  di  mio  sguardo  il  curro ,  per  metafora ,  che 
vale  quanto,  seguitando  lo  scorrimento  de^ miei  occhi»  Bvti, 
citato  nel  Vocab.  della  Cr.  alla  voce  Curro ,  ove  vedesi  la  me- 
desima voce  ,  e  nel  medesimo  senso  9  adoprata  da  altri  buoni 
scrittori  anche  in  prosa . 

6a  63  come  sangue  rossa  y  legge  la  Nidobeatina  ;  ove  l'altre 
dizioni  f  più  che  sangue  rossa.  Nel  primo  modo  però  è  la  com* 
pai-azione  abbastanza  viva ,  e  non  fii  dare  nello  stucchevole  Tal- 
tra,  che  immediatamente  siegue,  bianca  più  die  burro.  »-^  Di- 
fendo il  Biagioli  la  comune  lezione  col  dire:  ce  oltre  il  senti- 
»  mento 9  che  è  sopra  ogni  dimostrazione,  v'è  poi  anche  la  ra- 
»  gioue  del  maggior  risalto  che  nasce  dagli  opposti  colori  in 


368  INFERNO 

Ed  un ,  che  d'una  scrofa  azzurra  e  grossa       64 
Segnato  avea  lo  suo  sacchetto  bianco, 
Mi  disse:  che  fai  tu  in  questa  fossa? 

Or  te  ne  va:  e,  perchè  se  vivo  anco,  67 

Sappi ,  che  1  mio  vicin  Vitaliano 
Sederà  qui  dal  mio  sinistro  fianco  : 

Con  questi  Fiorentin  son  Padovano:  ^o 

Spesse  fiate  m'intronan  gli  orecchi, 
Gridando:  vegna  il  cavalier  sovrano. 

Che  nachera  la  tasca  con  tre  becchi .  -3 

Quindi  storse  la  bocca,  e  di  fuor  trasse 

«  egual  grado  di  forza .  »  <<-•  Qui  viene  da  Dante  accenoau 
la  ramiglia  nobile  fiorentina  Ubbrìacbi ,  cbe  per  arme  portara 
un'oca  bianca  in  campo  rosso.  Volpi.  —  burro ,  butirro. 

64  65  scrofa  azzurra  e  grossa.  ^^ grossa ,  cioè grun^ida. 
BiA6ioLi.<<-«  Qui  viene  da  Dante  accennata  la  famìglia  nobile 
di  Padova  Scrovigni,  cbe.  per  arme  di  suo  casato  portava  una 
scrofa  azzurra  in  campo  bianco.  Volpi. 

66  fossa  appella  Tinfemal  buca. 

67  68  se\ii^o  anco ,  legge  la  Nidob.,  meglio  dciraltre  edi- 
zioni, che  leggono,  se\iif^anco.  —  E  perchè  sei  ancor  vi\o  , 
e  lo  p<»ti*ai  sopra  raccontai*e,  sappi  che  ^^ italiano  àiA  Dente, 
Padovano  ancor  esso  e  vicino  a  me  di  casa,  oppure  semplice- 
mente concittadino  (usando  in  tal  significato  tal  voce  altrove 
Dante,  ed  una  volta  il  Petrarca),  il  quale  pur  ancor  vive,  es- 
sendo famoso  usuraio,  mi  sarà  vicino  ancor  quaggiii.VsH'mLi. 
»->  Di  queste  due  interpretazioni  che  si  danno  alla  parola  r*/- 
cino ,  crede  il  Biagioli  che  la  prima  sia  la  sola  che  si  debba  am- 
mettere .  — '  Così  r  intese  anche  il  Poggiali .  •<-« 

71  m^Che  spesse  fiate  ecy  bella  variante  dell*Àng.  E.  R.^-a 
intronane  legge  la  Nidobeatina;  intruonarij  l'altre  edizioni: 
ma  tutte  poi  nel  vi.  della  presente  cantica,  ^.  3a.,  leggono. 
Dello  demonio  Cerbero ,  che  *ntrona  '-'L* anime  si ,  che  er. 
Intronare j  stordire.  Vedi  il  Vocabolario  della  Ci'usca. 

73  al  75  i'-egna  il  cavalier  sovrano^  ec.  M.  Gio.  Buiamonie* 
il  più  infame  usuraio  d'Eui*opa,  clie  iàceva  quelKai^me  di  tiv 


CANTO  XVII.  369 

La  IiDgua,  come  bue  che  1  naso  lecchi. 
Ed  jo,  temendo  no  '1  più  star  cfracciasse        76 

Lui 9  che  di  poco  star  m'avea  ammonito, 

Tornd  indietro  dall'anime  lasse. 
Trovai  il  Duca  mio,  ch'era  salito  79 

becchi ,  o  rostri  d' uccello .  E  qnel  capolier  sovrano  è  detto  per 
ironia  y  come  lo  mostra  quel  distorcer  Ja  bocca  e  U'ar  fuori  la 
lingua  nel  cosi  mentoTarlo.yBiiTvai*»-»Il  Poeta  (opportunamente 
riflette  qui  il  Biagioli }  fa  fare  cotal  atto  plebeo  all'ombra  dello 
Scrorigni  per  avvilirlo  e  mostrarlo  di  bassissima  condizione  real- 
mente I  ovvero  per  Tarte  sua  disonorante.  Questo  modo  d'imi- 
tasione  è  il  fine  e  l'officio  del  Poeta*  Ora  nascendo  le  cose 
Uitte  ogni  volta  da  per  sé  dalle  circostanze,  ed  essendo  intese 
ad  on  fine  e  con  ìstile  proprio  descritte ,  non  sa  egli  vedere  per- 
chè s'abbia  qui  da  alcuni  a  riprendere  il  nostro  Dante  più  di 
anello  che  non  facciamo  Omero,  quando  rappresenta  le  azioni 
ae' porcari  d^isse,  delle  fantescne,  e  d'altri  vili  ed  abbietti. 
-  D  cod.  Ang.,  in  un'antica  postilla  al  cavalier  soprano ^  dice: 
Dominus  Toannes  de  Lirtis  deFlorentia.  -  coi  tre  becchi j  fa 
V.  73.,  e  distorse  la  bocca  ^  al  %^.  74*  >  legge  il  Vat.  3199;  -e 
distorse  la  faccia  f  ha  l'Ang.  E.  n.  4-« 

76  77  temendo  no  '/  più  star  ec*i  manca  la  particella  cAe, 
per  ellissi  coi  verbi  temere  ^  dubitare  e  simili,  assai  praticata  [a]. 
E  adunque  il  senso:  temendo  che  lo  stare  ivi  di  piii  non  ap- 
portasse afflizione  aVirgilio.  «-^La  3.  cdiz.  rom.  l^ge  coU'Ang. 
temendo  no  7  più  dir^  sembrando  al  aig.  Editore  cosa  non 
vaga  la  vicina  ripetizione  del  yerbo  stare.  Giustifica  la  da  lui 
seguita  lezione  con  una  nota  del  sig  Salvatore  Betti ,  che  non 
ci  sembra  cosa  di  mn.  momento  •  La  lezione  temendo  no  *lpiù 
dir  importa  che  Dante  abbia  qui  parlato  almeno  un  poco;  ma 
cosa  ha  wli  mai  detto ,  se  neppure  ha  risposto  alla  dimanda  del 
dannato  Scrovigni  :  che  fai  tu  in  questa  fossa?  La  ripetizione 
d'altronde  dello  Vcore  a  noi  qui  sembra  naturalissima,  voluta 
dal  oonteato  e  dal  sentimento,  e  famigliare  in  tutti  i  nostri  di- 
scorsi. ♦-« 

78  Tomai  f  la  Nidobeatina;  Tornami  y  l'altre  edizioni  •-♦e 
rAng«  E.  R.-4-*  Tornai  in</iefro  da W anime  lasse  f  lasciai  quel** 
le  tormentate  anime  e  tomai  a  Virgilio. 

[«]  Vedi  Inf.  ni.  9. 80| lesiona  della Griiscs • 

FoL  L  s4 


370  INFERNO 

Già  sa  la  groppa  del  fiero  animale , 
£  disse  a  me  :  or  sie  forte  ed  ardito . 

Ornai  si  scende  per  si  £itte  scale  :  8a 

Monta  dinanzi,  ch'i'  voglio  esser  mezzo, 
Si  che  la  coda  non  possa  far  male  : 

Qual  è  colui ,  eh'  ha  sì  presso  '1  rìprezzo         85 
Della  quartana ,  eh'  ha  già  l' unghie  smorte, 
E  trema  tutto ,  pur  guardando  il  rezzo  ; 

8i  or  sie  ec;  sie  per  sii,  adoperato  dagli  antichi  ed  an- 
che dai  moderni  per  grazia  di  lingua. 

83  esser  mezzo  f  esser  di  mezzo  fra  te  e  la  coda  della  fien. 

84  •^ non  possa  far  male,  supplisci  a  te.  BiiLGioLt.«« 

85  riprezzo,  quel  tremito  e  caprìccio  che  il  fiieddo  della 
febbre  si  manda  innanzi  ;  lo  che  oggi  piii  comunemente  diciamo 
ribrezzo.  Vocabolario  della  Crusca. 

86  quartana  per  febbre  quartana ,  una  per  tntte  le  fd>- 
bri  intermittenti ,  nel!  accesso  delle  quali  suole  sempre  cotal  ri* 
brezzo  e  scolorimento  delle  unghie  mtervenire  \a\ .  —  unghie 
smorte ,  legge  la  Nidobealina ;  ed  unghia  smorte,  l'altre  ediz.; 
ma  tutte  poi  d'accordo  nel  e  ix.  u:  49-  della  presente  <:antica 
leggono:  Con  /'unghie  si  fendea  ciascuna  il  petto. 

87  trenta  legge  la  Nidobeatina  ;  e  triema  Taltre  edizioni 
— pur  guardando  il  rezzo  :  continuando  (  chiosa  il  Venturi  )  a 
star  all'ombra  fresca  e  nociva,  e  non  risolvendosi  per  pigrizia  0 
avvilimento  a  partirne,  e  cercarsi  un  luogo  caldo  per  qualche 
conforto  al  male.  Il  Daniello  intende  per  rezj^o  i  varj  segni  del- 
l'ombra,  che  a  que' tempi  anteriori  air  invenzione  di^Iì  orologi 
si  osservavano  per  capir  Tore  del  giorno  ;  ai  quali  segni  il  feb> 
bricitante  si  accorgesse  della  vicina  periodica  febbre  .A  me  non 
soddisfa  né  l'una,  né  l'altra  8pi^[azione|  e  direi  piattosto  in- 
tendimento del  Poeta  che  a  colmch'è  vicino  il  periodo  della 
quartana,  cagioni  fi%ddo  il  pur,  il  solo,  guardare  il  reszo  (cioi 
l'ombroso  e  firesco  luogo),  non  che  lo  stare  in  esso.  »-►  Qui 
rezzo  non  ò  altro  che  il  pallore  delle  unghie .  Tomsi.&i  •  «-  Qne* 
sto  è  il  luogo,  dice  il  Biagioli,  che  ha  imbrogliato  tutti  gl'In* 
terpreti.  Venturi  solo  ha,  secondo  lui ,  traveduta  la  verità,  ma 

[a]  V«di|  Ira  gli  altri,  Alleo  «  Sjnopis  inedie^  art.  34* 


CANTO  XVll.  371 

Tal  dìvenQ'io  alle  parole  porte:  88 

Ma  vergogna  mi  fer  le  sue  minacce, 
Che  'nnanzi  a  buon  signor  £1  servo  forte. 

r  m'assettai  in  su  quelle  spallacce:  91 

Sì  volli  dir,  ma  la  voce  non  venne 
Com'io  credetti:  ia'che  tu  m'abbracce. 


lum  ha  saputo  dire  auale  aia  stato  l' intendimento  vero  del  Poe- 
ta. Adunque  vuol  aire  che,  appena  Virgilio  gii  disse  di  sali-* 
re,  gli  venne  un  raccapricciamentOy  un  ribrezzo  tale,  quale 
pigliar  suole  colui  che  ec;  che ,  siccome  manca  a  colui  l'animo 
di  trarsi  in  luc^o,  ove  si  rattempri  il  gran  freddo,  e  se  ne  sta 
tuttavia  al  rezzo,  così  era  egli  ;  restando  da  prima  sordo  al  co- 
mando di  Vii^lio,  e  finché  gli  (tìce  onta  e  gli  dette  animo  ai 
salire;  come  avviene  a  chi  è  dalla  febbre  assalito,  che  sta  da 
prima ,  e  si  risolve  poi  d'andare  o  di  lasciarsi  condun*e  in  luogo 
contrario  a  quello  ove  sta.  La  formola  guardar  il  rezzo  sì* 
gnifica  continuare  a  stare  alPombra.  4-« 

9%  parole  porte  per  dette^  come  adoprasi /^or^ere  per  dire. 
Vedi  il  Vocab.  della  Crusca  ^ 

89  Ma  lyergogna  ec.  Ne  fa  capire  che ,  vedendo  Virgilio 
Dante  impaurilo,  lo  sgridassse  e  minacciasse. 

90  fa  accorda  con  vergogna  ;  e  realmente  chi  si  vergogna 
d'esser  codardo  fassi  coraggio  e  supera  sé  stesso;  massime al- 
rcsempio  di  buon  signor  j  di  prode  comandante.  -*  Il  Caet.  leg- 
ge /^,  e  forse  in  tal  gaisa,  accordandosi  con  nunacco  del  vers<i 
antecedente,  potrà  piacer  piii  il  sentimento  e  la  sintassi.  E.  R. 

93  93  SI  uolli  dir,  tace,  e  dee  intendersi  premessa  la  par* 
ticella  congiuntiva  e ,  e  dee  farsene  la  costruzione:  esì^e  cosi 
e  in  cotal  modo  (intendi  assettatomi)  volli  dir:  fa*  che  tu  mi 
abbracce  (antitesi  in  grazia  della  rima ,  per  abbracci)  ^  ma  la 
ifoce  non  venne  com  io  credetti  j  comMo  pensai  che  dovesse 
venire  :  credeva  di  poter  parlare,  e  non  potei.  «-^Cosi  chio- 
sava il  Lombardi .  —  Il  Biagioli  però  costruisce  questi  versi 
nel  modo  seguente:  io  volti  dir  si  (così),  fa^ che  tu  nCah^ 
bracci;  ma  la  voce ,  legata  dalla  paura ,  non  venne  intera , 
come  io  credetti;  e  al  certo  con  piii  di  ragione  e  di  evidenza , 
por  cui  abbiamo  in  questi  due  veni  seguita  l'interpunzione  da 
lui  indicata.  4HI 


3^2  INFERNO 

Ma  esso 9  ch'altra  volta  mi  sovvenne  94 

Ad  alto  forte,  tosto  ch'io  montai , 
Con  le  braccia  m'avvinse  e  mi  sostenne j 

E  disse  :  Gerion  ^  muoviti  omaji  :  97 

Le  ruote  larghe,  e  lo  scender  sia  poco: 
Pensa  la  nuova  soma,  che  tu  hai . 

Come  la  navicella  esce  di  loco  100 

Indietro  indietro ,  si  quindi  si  tolse  j 
E  poi  ch'ai  tutto  si  sentì  a  giuoco, 

94  95  cValtra  volta  ad  alto  (cioè  a  più  allo  luogo  di  quel» 
lo  o v'era  allora ,  nel  qainto  cerchio»  esempigrazia»  e.  n.  v.  58. 
e  segg.)  mi  soi^ennef  tosto  ch'io  nèontai j  forte  j  fortemente, 
m  avvinse  con  le  braccia  y  e  mi  sostenne ,  w^  Torelli  »  lema* 
do  jid  altro  forte,  chiosa:  cioè  ad  altro  incontro  difficile.  E 
qui  forte  è  sostantivo,  ^m 

90  m^ni  aggiunse  e  mi  sostenne  j  legge  il  Vat.  3 199. 4-9 

97  Gerion,  Vedi  la  contezza  che  di  costui  si  è  data  al  ver- 
sò i3i.  del  canto  precedente. 

98  99  Le  ruote y  i  giri»  larghe y  e  lo  scender  siaec;  len- 
ma  di  numero»  come  quel  Virgiliano»  En.  1.  16.  e  seg.:  hit 
illius  arma,  -^Hic  currus  fuiu  Acciocché  a  Dante  »  chiosa  il 
Venturi  »  non  girasse  il  capo  »  se  i  giri  fossero  stati  stretti»  e  se 
si  fosse  fatto  uno  scendere  quasi  che  a  piombo  •  Dovea  adim- 

ue  descrìvere  come  tuia  larga  scala  a  lumaca  »  ma  assai  dolce 
cioè  di  comoda  scesa).  -  Pensa  la  nuova  soma.  Abbi  riguar- 
do a  Dante»  poco  avvezzo  a  simili  rischj  »  e  va  a  bell'agio.  Vi 
è  chi  r  intende  diversamente  »  interpretando  :  bada  bene;  il  cor 
rico  è  più  pesante  ilei  solito;  non  è  un  corpo  aereo;  portalo 
con  riguardo  di  non  cader  sotto  del  peso.*  non  mi  finisce  di 
piacere.  Vbhtori. 

f  00  al  1 03  Come  la  navicella,  assicuratasi  »  intendi»  in  qual- 
che stretto  seno»  si  che  non  si  possa  voltai'e.  — si  tolse,  Ge- 
rione.  ^si  senti  a  giuoco .  Diciamo  l'uccello  essere  a  giuoco 

Quando  è  in  luogo  si  aperto»  che  può  volgersi  ovunque  vuole. 
lAKDiiro*  m^  E  grazioso  modo  di  dire  »  che  significa  irovarsiin 
largo  e  libero  nell'azione  Te/a<iVa.BiAoioLi. -Avendo  il  PoeU 
fatto  venire  Gerìone  alla  sponda  al  modo  à^ burchi  e  Atcor 


i 


CANTO  XVIL  373 

Là  V*era  1  petto  la  coda  rivolse  ^  io3 

E  quella  tesa,  come  anguilla,  mosse, 
E  con  lel)ranche  Taére  a  sé  raccolse. 

Maggior  paura  non  credo  che  fosse  1 06 

Quando  Fetonte  abbandonò  gli  freni , 
Perchè  '1  ciel,  come  appare  ancor,  si  cosse ^ 

Né  quando  Icaro  misero  le  reni  109 

Semi  spennar  per  la  scaldata  cera, 
Gridando  il  padre  a  lui  :  mala  via  tieni  ; 

stori jiv.  19.  e  3a.y  dere  ora  intendersi  che  (jnella  fieni  si  tì- 
(insse  dalla  riva  rinculando,  e  come  la  navicella  che  sia  stata 
per  metà  tirata  in  ten*a,  4-« 
io3  •■^Dot'e  auea  *l  petto  y  legge  il  cod.  Ang.  E.  R.  4-« 
io4  quella  tesa,  cioè  in  lungo  distesa  miellacoda  che  pri- 
ma, Torcendo  in  su  la  uenenosa  forca  [a] ,  doveva  far  arco, 
-—come  anguilla f  mosse ,  con  quel  guizzo ,  con  cui  movonsi 
I*  anguille  nelF  acqua . 

io5  con  le  branche  Paere  a  sé  raccolse  :  esprime  Tatto  del 
nuotare  (  giacché  ha  detto  nel  canto  precedente  j  u.  1 3 1 .,  e  ri- 
peterà or  ora  che  va  questa  fiera  notando  )  ;  nel  qual  atto  il 
nuotatore,  mentre  le  stese  ed  alleate  braccia  riunisce,  par 
che  raccolga  a  sé  dell'acqua. 

107  aA6afM2ond^/i/V'eni  de*  cavalli  del  Sole»  secondo  la  no- 
u  ÙLYoìtLiAkntis  inops  gelida  formidine  lora  remisit,  O  vid«[6]. 

108  Perchè  7  eie/,  come  appare  ancor  j  si  cosse;  favoleg- 
giandosi chela  celeste  via  lattea  effetto  sia  del  cuocere,  del- 
l'abbruciare che  fece  il  mal  guidato  Sole  in  quella  parte  di 
cielo.  L'edizioni  dalla  Nidobeatina  diverse  leggono /rare ,  wh¥  e 
cosiilVat.  3i9g.4-« 

109  al  I II  Né  quando  Icaro  ec*  Per  volere  Icaro  (altra 
&vola)  colle  artificiose  ali  fattegli  dal  padre  Dedalo  volare  trop- 
po alto  e  vicino  al  Sole,  non  badando  al  padre,  che  per  ciò 
sgridavalo,  dìsciolse  finalmente  il  calor  del  Sole  la  cera,  con 
cui  stavangli  al  dorso  (  reni  dice  il  Poeta  per  dorso)  attaccate 
le  penne ,  e  precipitò  in  mare.  »♦  li  reniy  legge  TAug*  E.  R.  4-« 

[«]  Verso  9tf.  [b]  MéL  it.  aoo 


374  INFERNO 

Che  fu  la  mia,  quando  vidi  eh'  io  era  1 1 ^ 

Nell'aere  d'ogni  parte,  e  vidi  spenta 
Ogni  veduta ,  fuor  che  della  fiera  • 

Ella  sen  va  notando  lenta  lenta  ;  1 1 5 

Ruota,  e  discende,  ma  non  me  n' accolgo, 
Se  non  ch'ai  viso  e  di  sotto  mi  venta  • 

Io  seniia  già  dalla  man  destra  il  gorgo  1 1 8 

Far  sotto  noi  un  orribile  stroscio; 
Perchè  con  gli  occhi  in  giù  la  testa  sporgo. 


1 1  a  Che^  particella  che  rìferiscesi  al  comparativo  maggior , 
sei  versi  sopra»  e  vale  di  quello  die* 

1 1 5  »-^  notando .  Questo  verso  poU*ebbe  leggersi  anco  così  - 
Ella  sen  va  ruotando  lenta  lenta;  e  sarebbe  grazioso  il  ri- 
petere  Ruota  ec.  Torelli  ,*^ 

1 1 6  117  Ruota  9  e  discende ,  girando  si  abbassa .  ^  ma  non 
me  n*accorgo^  —«Se  non  cKal  viso  e  di  sotto  mi  ventai 
cioè  y  io  non  mi  accorgeva  del  ruotare  che  io  faceva  ^  se  imui 
per  lo  ven^o  che  mi  percoteva  il  viso,  né  mi  accoi^vadel  di* 
scendere 9  se  non  per  il  vento  che  sentiva  sotto  di  noi.  Damicl-. 
LO.  E  certamente,  essendo  al  Poeta  spenta  —  Ogni  i^uta^ 
fuor  che  della  fiera ,  non  poteva  di  cotal  ruotare  e  scx^ndere 
accorgersi  se  non  dal  contrasto  dell* aria.    ~ 

118  1 19  sentia  già  dalla  man  destra  il  gorgo  ec*  Come 
per  montar  sul  dorso  a  Gerione  lasciarono  i  Poeti  a  sinistra  il 
FlegetontCì  sulla  sponda  del  cniale  camminato  avevano,  ed 
avanzaronsi  a  destra  sull'orlo  del  cerchio  [a]  ;  cosi ,  inteso  che 
a  mano  destra  girassero  anche ,  da  Gerione  portati ,  vien  chia- 
ro di  conseguenza  che  9  siccome  il  rotondo  lato  di  quella  ca«* 
verna  sempre  avevano  i  Poeti  a  mano  destra ,  cosi  anche  a  ma- 
no destra  sempre  incontrassero  vicino  il  Flegetonte,  che  ra- 
sente il  medesimo  lato  cadeva.  —  sentia  il  gorgo  ec, ,  per  sen- 
tia r  acqua  cadente  nel  ^or^o ,  eh*  è  quella  profonda  fossa  che 
scava  ed  empie  P acqua  che  da  alto  cade.  -^  ^{rojciO}  strepito 
che  fa  l'acqua  cadendo. 

[n\  Tedi  il  t^.  3i  del  presetilc  cnnlo  e  la  corrU[>ondcntc  nota. 


CANTO  XVIL  375 

Allor  fu* io  più  timido  allo  scoscio:  121 

Perocch*  io  vidi  fuochi  ^  e  senti'  pianti  ; 
Ond'io  tremando  tutto  mi  raccoscio. 

£  vidi  poi  ^  che  no  1  vedea  davanti,  1 24 

Lo  scendere  e  1  girar ,  per  li  gran  mali 
Che  s' appressa van  da  diversi  canti, 

lai  timido  allo  scoscio  (allo  per  dello  f  come  adoprasi  a 
per  ili  [a]),  timoroso  del  precipìzio . 

laS  tutta  mi  raceos^ioj  cioè  tutto  mi  ristringo  e  riserro  le 
coscie  (per  non  cader  da  cavallo  )•  Gomento  citato  nel  Voca* 
bolarìo  della  Crusca  al  verbo  Raccosciare*'^  raccoscio  j  pre« 
«ente  9  pel  preterito  raccosciai* 

ia4  al  136  J?  vidi  poiy  che  no  7  uedea  damanti .  Cosi  la 
Nidobeatina  non  solo  (ed  il  code  Cass«) ,  ma  molti  testi  e  ma- 
notcritti  [61  e  stampati  [e]:  ed  è  a  questo  modo  facile  la  co- 
struzione ed  il  senso y  cioè:  e  quello  scendei*e  e  girare,  che  pri- 
ma ncm  vedeva,  ma  solamente  pel  ventare  argomentava  ^  misi 
fece  dipoi  visibile  per  l'appressarsi  da  diversi  canti  li  gran 
malij  gli  orribili  obbietti  di  quel  nuovo  luogo.  9-^Cosi  ancbe 
il  Torelli,  dicendo  che  questa  è  la  vera  lezione;  imperocché 
lo  scendere  si  mostrava  dal  veder  quello  che  prima  gli  era  na« 
acoso  per  la  distanza ,  e  il  girare  dal  vedere  cose  diverse  da 
partì  diverse*  Bisogna  dunque  mettere  una  vii^ola  avanti  la  pre- 
posizione per.  ♦-•  Appresso  all'Aldina  edizione  quella  degli  Ac- 
cademici  della  Cr.,  la  Gominìana,  e  tutte  le  moderne  eaiz.  leg- 
gono: IS  udVpoiy  che  non  Pudia  dottanti  ^Lo  scendere  e  7 
girar  ec.  Lo  scendere  però  e  il  girare  non  si  ode,  ma  si  vede. 
•^n  cod.  del  sig.  Poggiali  legge  come  la  Nidob.,  lezione ,  se- 
cando lui»  più  pregevole  e  da  preferirsi.  —  L*una  e  l'altra  le- 
zione può  stare ,  al  parer  del  Biagioli;  ma  prefensce  alla  Nidob. 
quella  degli  Accademici,  perocché  la  sensazione  che  piii  forte 
percoteva  l'anima  del  Poeta  ai  era  quella  che  riceveva  per  l'udi- 
to, dovendo  egli  essere  piii  impressionato  dai  gran  mali ,  grida 
e  lamenti  che  udiva  da  diversi  canti,  che  dai  fuochi  che  in  quel- 

[«]  Vedi  il  Cinon.  Panie,  i.  i5.  [b]  Tra  gli  altri,  cinqaa  della  Biblio- 
teca Corsini»  segnati  6o5.  608.  609.  610.  laSS.  [e]  Due,  tra  gli  aliri» 
•tampatì  in  Veoesta  nel  1 568.  e  1 578. 


376  INFERNO 

Come  1  falcon,  eh' è  stato  assai  su  VsAì^        1 37 
-Che,  senza  veder  logoro  o  uccello , 
Fa  dire  al  £ilconiere  :  oimè  tu  cali  ; 

Discende  lasso,  onde  si  muove  snello  i3o 

Per  cento  ruote,  e  da  lungi  si  pone 
Dal  suo  maestro  disdegnoso  e  fello; 

Cosi  ne  pose  al  fondo  Gerione  1 33 

rìmmenso  spazio  in  un  solo  luogo  poteva  redere.  —Il  codioc 
Vai.  3 109  legge:  E  indi  pai  (me  non  Cudia  davanti  — »  Lo 
scender)  el  gridar  per  li  gran  mali»  Al  uidi  del  testo  si  so- 
stituisca Vudi*y  come  in  mai^pneal  detto  codice  corresse ,  se  pur 
è  vero,  il  Petrarca ,  e  ne  risalterà  una  lesione  splendidissima , 
a  quanto  ci  pare  ^  e  perchè  toglie  di  mezzo  ogni  ambiguità  d' in- 
terpretazione f  e  perchè  rende  il  senso  chiarissimo  •  E  Tolen* 
tierì  si  sarebbe  da  noi  sostituita  alla  lezione  Nidobeatina,  se 
ueir  antecedente  terzetto  non  avesse  di  già  detto  il  Poeta  di 
aver  sentiti  i  pianti^  per  la  qual  cosa  il  gridare  qui  tanto 
bene  non  quadrai  questo  in  natura  udir  dovendosi  prima  del 
pianto.  ^M 

127  cKè  stato  assai  su  Pali  vale-jqoanto  che  si  è  stan» 
cato  di  stare  in  aria. 

I  a8  logoro ,  richiamo  del  falco  j  che  è  fatto  di  penne  e  di 
cuoio  a  modo  d' ungala ,  con  che  lo  falconiei^e  lo  suole  rìcfaia» 
mare  girandolo.  Buti  >  citato  dal  Vocabolario  della  Gmsca  alla 
voce Zo^oro.  -  o  uccello,  uccello  \erO|  intendi ,  che  mostrato 
dal  falconiere  al  falco  9  richiama  esso  falco  meglio  che  il  logoro. 

1^9  Fa  dire  ec;  ellissi ,  dovendosi  intenderei  cala ,  e  fa 
dire  al  falconiere:  oimè  tu  cali;  adunque  non  ei^i  da  spe^ 
rar  preda . 

i3o  al  i3a  Discende  lasso,  onde  (  vale  al  luogo  onde)^ 
stanco  discende  a  terrai  onde  si  muove,  da  cui  suole  9  quando 
si  rilascia  a  predare |  muoversi,  allontanarsi  1  snello ,  agile i/ier 
cento  ruote,  per  cento  giravolte  1  e  disdegnoso  e  fello ,  ^eno 
d*  ii*a  e  di  mal  talento ,  si  pone  lungi  dal  suo  maestro  9  dal 
falconìei'e. 

1 33  i34  »->  Così  al  fondo  ne  pose  Gerione ,  legge  TAng. 
E.  R.4-V  Così  ne  pose  ec;  costruzione  e  senso:  Cosi  Gerione 
(disdegnoso  e  fello  per  aver  travagliato  senza  far  preda  9  solito 


CANTO  XVII.  377 

A  piede  a  pie  della  stagliata  rocca, 
£,  discarcate  le  nostre  persone , 
Si  dileguò,  come  da  corda  cocca. 

essendo  di  fare  quel  viaggio  a  solo  fine  di  portare  dannati  e<^ 
laggiù  )  al  fondo  y  intanai  pefvenuto  »  ne  pose  a  piede ,  di  a 
eavallo  ch'erayamo,  ne  pose  a  piede  (  io  stesso  che  a  piedi. 
Vedi  il  Cinonio  [a]  e  il  Vocabolario  della  Crusca)  a  pie  della 
stagliata  rocca  ^  ad  imo  9  al  fondo  della  scoscesa  rocca^  per 
roccia  (  a  cagion  della  rima  ),  balza.  Ck>si  panni  che  pòssa 
ngionevolmente  spiegarsi  il  presente  passo.  Non  voglio  però 
dissimularmi  assai  propenso  alla  spiegazione  del  Volpi  «  ^-^  (  a 
cui  s'accosta  il  Biagioli  )  4-«  che  detto  sia  a  piede  apiè  in  forza 
di  superlcaiuo;  che  come,  cioè,  ad  esprimere  maggiormente 
vicinanza  suol  dirsi  vicin  vicino  [b] ,  così  Dante  a  maggior- 
mente esprimerne  la  vicinanza  al  piede  della  stagliata  rocca , 
dica  a  piede  a  pie .  »♦  ji  piò  da  pie ,  legge  l'Ang.  E.  R.,  -e 
Ajdedta  pie  il  Vat  3  rgg.  —  stagliata  j  grossamente  tagliau, 
ooasi  scoscesa;  rocca  per  roccia f  ed  è  tutto  il  circolar  muro 
del  enin  pozzo.  Buoioli.  4-« 

106  Si  dileguò y  si  allontanò;  come  da  corda  cocca.'  cor^ 
da  per  areoj  e  cocca  fer  freccia;  e  vuol  dire  :  con  uguale  ce- 
lerità che  si  allontana  dall'arco  la  scagliata  freccia. 

[a]  Partic.  cap.  So.  5.  [b]  Tedi  il  Vocabolario  deUa  Crusca  seUp  la 
^octf^icino. 


CANTO   XVIIL 


ARGOMENTO 

Descrisse  il  Poeta  il  sito  e  la  forma  dett  ottavo  cer- 
chio  9  il  cui  fondo  divide  in  dieci  bolge  f  nelle  quali 
si  puniscono  dieci  maniere  di  fraudoleiUi .  Ed  in 
questo  canto  ne  tratta  solamente  di  due:  Vuna  è 
di  coloro  che  hanno  ingannato  alcuna  femmina  ^  ut- 
ducendola  a  soddisfiu^e  o  a  sé  medesimi  ^  o  ad  al- 
trui; e  pongli  nella  prima  bolgia  j  nella  quale  per 
pena  sono  sferzati  dai  demonf:  Inoltra  è  </eg/i  adu- 
latori i  e  questi  sono  costretti  a  starsi  dentro  a  un 
puzzolente  sterco  • 

jLjuogo  è  in  Inferno  detto  Malebolge,  i 

I  MàtebolgCé  Piaciuto  essendo  al  Poeta  di  appellar  bolge 
gli  spaitimenti  del  presente  ottavo  cerchio,  convenientemente 
perciò  a  tutto  il  complesso  de*  medesimi  impone  il  nome  di 
MalebolgCj  che  vale  quanto  cattive  bolge. 

II  perchè  poi  vòless'egli  cotesti  spartimenti  appellati  bol- 
ge puossi  indovinando  pensare  per  la  figura  de' medesimi  so- 
migliante a  quella  della  bolgia,  ossia  tasca ,  lunga,  cioè,  pro- 
fonda e  stretta  ;  ed  itisieme  per  così  adattare  ai  ricettacoli  dei 
fi^udolenti  fl  nome  di  cosa  che  può  per  simbolo  dell'occulta- 
mento e  della  frode  valere. 

•-^  Affinchè  possa  il  discente  formarsi  una  giusta  ed  ade* 
guata  idea  del  luogo  in  cui  ora  si  ritrova  il  Poeta,  stimiamo  op- 
portuno il  riportar  qui  per  esteso  la  descrizione  che  ce  ne  of- 
ire  il  Biagìoli,  chiara  quanto  importa  per  l'intelligenia  ,  mal- 
grado l'inesattezza  degli  usati  termini  geometrici.  «-  a  Admiqne 
»  si  figuri  un  vastissimo  e  profondo  pozzo;  s'immagini  che  nel 


CANTO  XVlìl.  379 

Tutto  di  pietra  e  di  color  ferrigno, 

»  giusto. messo  del  suo  fondo  aprasi  un  altro  posso/ la  cai 
»  circonferenza  abbia  per  diametro  la  decima  parte  di  quello 
»del  primo  pozzo.  Si  rappresenti  il  fondo  del  maggior  pozzo 
tt  formante  un  piano  circiuare  inclinato  verso  la  n\a  del  mi* 
»  nore.  Figurisi  cbe  dieci  fossi  scavati  nel  vivo  sasso  5  di  cui 
»  è  tutto  fiitto  il  fondo  y  e  aventi  per  comun  centro  il  mezzo 
»  del  fondo  stesso  9  s'aggirino  intomo  intomo  per  quanto  si  di- 
»  stende  il  piano.  La  lai^hezza^  e  l'argine  minore  d*ogni  fosso 
»  vamio  scemando  a  piii  a  piii.  Ora  dal  piede  della  ripa  muo- 
»  vonsi  dieci  scogli  V  un  dalraltro  egualmente  distante ,  i  quali 
»  varcano  i  dieci  fossi,  e  vanno  a  mettere  capo,  e  a  finire  alla 
»  ripa  del  seguente  pozzo ,  inarcandosi  sovra  i  fossi  a  guisa 
»  d'altrettanti  ponti.  E  questi  piire  vanno  scemando  di  tosso 
»  in  fosso  di  grossezza.  Questa  è  l'immagine  vera  del  luogo, 
»  ove  sono  ora  i  Poeti .  Esso  è  fatto  d' un  sol  masso  di  pietra , 
»  e  sono  pure  in  essa  scavati  i  fossi  ad  accrescere  lo  spavento 
»  e  l'orrore  che  spira  tal  vista  ;  va  il  piano  abbassando  verso 
»  il  centro  a  piìi  a  più,  e  con  esso  i  fossi,  perciocché  più  è 
»  grave  il  peccato,  più  va  giù  il  peccatore  sotto  il  peso  suo; 
»  si  ristringono  i  fossi  colla  detta  progressione ,  perocché  quan* 
»  to  é  maggiore  il  delitto ,  tanto  é  minore  il  numero  de' rei , 
»  essendo  questi  in  ragione  inversa  dell'enormità  del  peccato  ; 
»  scemano  pure  i  ponti  per  ragion  della  giusta  proporzione 
»  delle  parti  col  tutto.  Arriverà  il  Poeta  di  ponte  in  ponte  alla 
»  riva  del  seguente  pozzo  varcando  dei  primi  cinque  fossi  i 
»  ponti,  che  il  sesto  é  spezzato,  l'un  dopo  l'altro.  Trasportato 
»  da  Vii^lio  per  la  maggior  ripa  del  sesto  fosso  nel  fondo  , 
»n* uscirà  salendo  8ull'ai|[ine  settimo,  al  punto  ove  il  settimo 
»  ponte  ha  principio.  Rimangono  quattro  bolge,  e  però  quat- 
»  tro  ponti ,  e  questi  gli  varca  il  Poeta  V  tm  dopo  l'altro  in 
»  fila;  e  cosi  perviene  sulla  riva.»^^ 

3  Tutto  di  pietra  ec*  Dovrebbe  questo  esser  detto  ad  ac- 
cennarne quel  suolo  non  solamente  ad  ogni  firutto  sterile,  ma 
anche  alla  vista  orrido.  ^  color  ferrigno  j  rugginoso,  spi^il 
comento  della  Nidobeatina,  •-»  e  cosi  anche  il  cav.  Monti  [a]. 
'^ferrigno ,  di  fen*o,  cioè  del  ferro  non  travagliato ,  e  però 
di  vista  più  spaventoso.  Biaoioli.  «-« 

[a]  Prop,  voi.  3.  P.  !•  fac.  106. 


38o  INFERNO 

Come  la  cerchia ,  che  d*  iotoroo  il  volge . 

Nel  dritto  mezzo  del  campo  maligno  4 

Vaneggia  un  pozzo  assai  largo  e  profondo, 
Di  cui  suo  luogo  conterà  l'ordigno. 

Quel  cinghio ,  che  rimane ,  adunque  è  tondo  j     7 
Tra  '1  pozzo  e  '1  pie  dell'  alta  ripa  dura , 
Ed  ha  distinto  in  dieci  vaUi  il  fondo. 

3  cerchia  f  sinonimo  di  cerchio  ;  ponesi  qoi  per  U  eson- 
dante altissima  ripa  d*onde  erano  i  Poeti  stati  da  GerioDeealatì. 

4  5  dritto  mezzo  per  giusto  mezzo  :  «-^cosi  anche  Torel- 
li .,4-«  maligno  y  ripieno  d'anime  fraudolenti  e  maligne.  -/^i»> 
neggiaj  s'apre ,  fii  il  luogo  vano»  T6to*  »-^  Corrisponde  al  la- 
tino hiat.  Lami.  E.  F.  <<-• 

6  Di  cui  suo  luogo  conterà  Fordigno^  invece  di  dire,  di 
cui  a  suo  luogo  racconterà  la  disposizione .  m^dieerò ,  legge 
invece  coi  codd.  Cass.  e  CaeL  TE.  R.|  sembrandogli  lesione 
più  Dantesca.  — >  Il  Biagìoli  però  si  attiene  all'antica ,  dichia- 
randola bel  modo  di  dircj  e  che  significa:  di  cui  si  conterà 
a  suo  luogo  Cordine  artificioso  e  la  forma.  -  conterà,  legge 
pure  il  Vat.  3199;  -e  sua  forma  dicerày  l'Ang.  E.  R.  ««-s 

7  8  Quel  cinghio,  ec;  costruzione:  jédum/ue  quel  àn* 
ghio,  quella  fascia  di  terreno,  che  rimane  tra  V  pozzo  e  7 
pie  detratta  ripa  dura  (cioè  della  stagliata  rocca  y  detta  nel 
canto  preced.  y.  1 34«)  è  tondo.  9-¥  Quel  cerchio ,  ha  il  codice 
Ang.  E.  R.  ^ 

9  yattiy  ai^ni,  bastioni ,  dal  latino  valium,  spiega  bene  il 
Venturi  ;  e  non  già  yalli ,  da  yalte  y  cavità ,  che  male  accorde- 
rebbesi  al  mascolino  pronome  fue/Zi  nel  p>  r3«,  che  pur  si  ri- 
ferisce a  valli.  Solo  erra  il  Venturi  in  supporre  che  sia  valli, 
da  vallo ,  un  termine  di  Dante  particolare,  mentre  trovasi  adcK 
prato  da  altri  antichi  buoni  scrittori  eziandio  in  prosa.  Vedi  il 
Vocabolario  della  Crusca.  9-^11  Biagioli  non  vuol  qui  atarsene 
col  Venturi  e  col  Lombardi,  e  piglia  f/a//i  per  plurale  di  vai'- 
le ,  cavità .  Le  sue  ragioni  non  saranno  forse  spr^evoli  ;  ma  vi 
brilla  per  entro  una  troppo  ricercata  metafisica,  ed  in  soatansa 
ci  sembrano  piii  speciose  che  vere,  e  quindi  piii  illusorie  die 
convincenti.  — In  conferma  della  sposizione  del  Venturi  e  del 
Lombakii  così  pure  chiosa  il  Poggiali  :  «  La  voce  valli  bisogna 


CANTO  XVIII.  38 1 

Quale,  dove  per  guardia  delle  mura  io 

Più  e  più  fossi  cingon  li  castelli  ^ 
La  parte  dov'  ei  soq  rende  figura  : 

Tale  immagine  quivi  facean  quelli  :  1 3 

a»  guardarti  di  non  prenderla  pel  plurale  di  valle ,  ossia  pia* 
a»  nurai  perocché,  oltre  a  dar  luogo  ad  una  sconcordanza  ira 
a»  il  quBlU  del  p.  i3«  e  questo  termine  iW/i,  oltre  di  questo^ 
a»  dico  9  noi  consente  neppure  il  sentimento ,  giacché  troveremo 
IO  bensì  nel  decorso  chiamato  valle  il  fondo  di  alcuna  di  que- 
m  ale  bolge 9  e  lo  spasio  tra  una  bolgia  e  T altra,  ma  non  già 
m  le  spallette,  che  sono  anzi  un  rialto,  e  non  un  sito  depi*esso, 
»  quale  esprimerebbe  il  termine  yalle  •  Qui  é  dunqueil  plurale 
»  di  i^a//o ,  dal  uallumdeì  Latini,  esprimente  steccato j  bastia^ 
n  ne ,  palizzata ,  perché  appunto  tale  apparenza  presentavano 
jtairoccfaio  dei  riguardanti  quelle  spallette  delle  bolge.  m-iSì 
ha  distinto ,  legge  TAng.  E.  R.  «hi 

IO  al  i3  Quale  y  d^  ec,  -*  La  parte  dovrei  son  rende 
figura.  Di  questa  importantissima  lezione  ne  dobbiamo  tutti 
saper  grado  alla  impareggiabile  diligenza  ed  accortezza  del  eh. 
autore  degli  ^ne^oei  recentemente  in  Verona  stampati ,  il  qua- 
le, in  Firenze,  nel  testo  creduto  scrìtto  di  mano  di  \  ilippo  Vii* 
lani ,  ad  onta  della  raschiatura  e  deturpante  scrittura  faltavi 
sopra  da  imperita  mano,  ha  saputo  dalle  rimase  vestigia  del 
primiero  antico  inchiostro  rilevamela  e  riportaiTiela  [aj.  Non 
si  può,  per  verità,  desiderare  di  piii  chiaro,  né  di  più  esatto. 
Quale  fdoue  cingon  li  castelli  a  guardiadelle  muta  più  epiù 
fossi  j  rende  figura,  forma  aspetto,  la  parte  f  il  cii*condario  ter- 
reno, dovrei  sonj  dove  i  fossi  esistono.*  tale  immagine ,  tale 
aspetto,  é/uiui  facean  quelli ,  i  detti  inaili  di Malebolge .  •  *E 
da  notarsi  che  Ti  cod.  Cass.  presenta  la  stessa  lezione  •  E.  A* 

Prima  che  dalla  gentilezza  e  generosità  del  eh.  autore  ri- 
cevessi copia  delle  pregiabilissimedi  lui  produzioni ,  aveva  io 
pure  esclusa  la  moderna  intrusa  lezione  :  La  parte  dot^ee^son 
rendon  sicura  ($\  perché,  se  i  fossi  circondano,  non  v'ha  par*, 
te  intorno  dove  non  sieno;  si  perché  incon venientemente,  ad 
esempio  de'iW/i ,  cioè  de*bastoni  od  argini,  dividenti  coteste 
infernali  bolge  i  porrebbonsi  i  più  fossi  circondanti  i  castelli  » 

[«J  Sene  d'An^dd.  Vcruaa  1790,  n.  5«  fac.  1 1. 


382  INFERNO 

E  come  a  tal  fortezze  da'  lor  sogli 
Alla  ripa  di  fuor  soq  ponticelli , 

piuttosto  che  i  bastioni  medesimi , rhe  pur  necessariamente  tra 

{>ià  fossi  esser  debbono  di  mezzo  )  ;  ed  erami  determinato  di 
eggere,  come  alcune  edizioni  [a]  ed  alcuni  mss.  [b]  m-f'  fra  i 
quali  il  cod^Yat.  3i99)«-8  leggono ,  La  parte  doi^e  il  Sol 
rende  figura ^  e  chiosava:  che  volendo  il  Poeta  per  circoscri* 
zione  accennare  i  bastioni  dividenti  le  molte  fosse  intomo  acca- 
stelli j  in  Inogo  di  dimeli  la  parie  dell* acqua  prominente  y  e 
la  sola  atta  a  far  ombra ,  con  equivalente  concetto  dicesseli 
la  parte  doue  il  Sol  rende  figura  ^  cioè  dove  il  Sole,  percuo- 
tendo,  viene  a  formare  delle  figure  ossia  de' contomi  alle  om» 
bre.  Cosi  io  prima.  Ora  però: 

JYascendo  il  Sol  i^ien  meno  ogn^aliro  lume. 
»-^Non  senza  grande  sforzo y  anche  per  parere  del  Poggiali» 
si^piega  questo  sentimento  di  Dante ,  secondo  l'ediz.  degù  Ac- 
cad.  Trova  egli  più  verisimile  e  patentemente  più  ragione* 
uole  la  lezione  del  Dionisi ,  seguita  qui  dal  Liond>ardi ,  che  è 
pur  quella  del  suo  codice.  Infatti  ne  risulta  questo  natnralis* 
simo  sentimento:  quale  immagine  e  figura  presenta  aglioe^ 
chi  dei  riguardanti  quella  parte  di  fortificazione  >  ove  sono 
piii  fossi  colla  prominenza  delle  loro  sponde  e  spallette  ;  tale 
immagine  e  tal  figura  ofirivan  quivi  i  detti  sballi  o  spallette  delle 
varie  bolge  colle  loro  prominenze .  •  Il  eh.  sig.  Ab.  Portirelii 
loda  egli  pure  V  adesione  del  Lombardi  alla  lezione  rende  figu- 
ra •  -  Malgrado  ciò  »  il  Biagioli  sostiene  la  lezione  della  Cmsca , 
siccome,  a  parer  suo,  piii  degna  del  Poeta.  Anche  air  E.  R. 
sembra  ohe  i  emendazione  del  Dionisi  porti  un  verso  di  stra* 
no  senso  y  o  almeno  d* oscuro ,  In  tanta  disparità  di  pareri  noi 
lasceremo  ^i  dotti  il  decidere  sul  merito  della  quistione.  *«-« 
■  4  1 3  a  tai  fortezze  y  attorniate,  cioè  ,  da  piii  fossi  ;  da* lor 
sogli y  dalle  soglie  o  limitari  de' loro  ingressi;  -  j4lla  ripa  di 
fuorj  alla  ripa  fuor  de'  castelli  circondante  V  ultima  fossa .  -^som 
ponticelli y  intendi  sopra  di  cijis^mna  fossa.  »-»  La  costruzione 
di  questi  versi,  che  si  legge  nel  comento  del  Biagioli,  servirà 

[a\  L'edìsìonì  coli 'esposlz.  del  Daniello  in  Veneaia  i568«  e  i^tiella  p- 
rimente  di  Venezia  1578,  coi  conienti  del  Landino  e  Yellutelto* 
\b]  Uno  della  Corsini ,  num.  607.,  ed  uno  della  TaticanSt  nom.  (  dd* 
r  Indica  Capponi  )  26^, 


CANTO  XVIIL  383 

Cosi  da  imo  della  roccia  scogli  16 

Movien^  che  ricideao  gli  argini  e  i  fossi 
Iniino  al  pozzo,  che  i  tronca  e  raccogli , 

In  questo  luogo,  dalla  schiena  scossi  19 

Di  Gerion,  trovammoci:  e  1  Poeta 
Tenne  a  sinistra  ;  ed  io  dietro  mi  mossi . 

Alla  man  destra  vidi  nuova  pietà,  2:2 

a  più  chiara  Intelligenza  del  testo:  e  come  a  fortezze  tali 
Squali  sono  le  anzidette)  sono  posti  ponticelli  ^nu^entisi  dai 
loro  soeli  sino  alla  ripa  di  fuori;  così  scogli  move^ansi  da 
imo  della  roccia  y  i  quali  riddavano  gli  argini  e  i  fossi  in* 
sino  al  pozzo  che  raccoglie  e  tronca  essi  scogli.  4«« 

16  ij  ila  imo  della  roccia  f  dal  basso  della  balza  ond'erano 
stati  c^ti  da  Gerione.  m-¥  Così  da  uno  della  roccia  y  scogli 
-  AUn^èn ,  legge  il  VaL  3 1 99.  <«-«  Moi^ien  y  cosi  la  Nidobeatina , 
che  mai  né  qui,  né  altrove  [a]  legge  mot^èi»,  come  l'altre  edi- 
zioni leggono,  e  che  sarebbe  um^Iio  sostituito  per  mossero f  che 
per  mo%feuano ,  che  è  ciò  che  dee  qui  significare.  Vedi  anche 
la  nota  al  i^.  47*  del  precedente  canto.  —  Abioyere  in  questo 
luogo  Tale  quanto  aver  principio <,  aver  origine*  Vedi  u  Vor 
cabolario  della  Crusca  al  verbo  Atuoveroj  $.11. 

a8  cAe  tronca  f  legge  laNidob.;  ch'ei  tronca  9  Taltre  ediz. 
•^  Ci  siamo  qui  pure  scostati  dalla  Nidob.  per  leggere  col  Pe- 
razxini  [&]  che  1 9  e  come  abbiam  fatto,  Inf.  c«  v.  f^.  78.  e  e.  vii. 
u.  53.  Cosi  pur  legge  la  3.  romana  edizione,  che  attribuisce  al 
sig.  Betti  questa  emendazione.  4-«  raccogli  per  racco*^/i e,  spie* 
gano  i  Comentatori  ;  ma  io  amerei  piii  di  crederlo  sincope  di 
raccoglieU;  dimodoché  tronca  e  raccogli  significhi  lo  stesso 
cbe  li  raccoglie  e  troncai  in  quella  guisa,  cioè,  che  la  testa 
della  ruota  raccoglie  in  sé  i  raggi  e  li  tronca,  sicché  non  pes* 
sino  nella  di  lei  cavita ,  dove  entra  Tasse  •  Dei  dubbj  che  il  pre- 
lodato autore  degli  Aneddoti  muove  contro  di  questa  plm*alità 
e  raunamento  di  scogli,  parlerò  nel  canto  zxiii.  v.  i34«  j  dove 
priocipalniente  appoggia  l'autore  il  suo  dubbiare. 

aa  pietà f  afianno.  Vedi  anche  Inf.  e.  1. 1^.  ai. 

[a]  lof.  zzjnv.  Si.y  Par.  ziv.  1 10.  ec.  [h]  Vedi  la  nostra  oota  al  ^>  78, 
e.  v:  di  questa  cantica  • 


3«4  ■  INFERNO 

Nuovi  tormenti ,  •  nuovi  fruslatori , 
Di  che  la  prima  bolgia  era  repleta . 

Nel  fondo  erano  ignudi  peccatori  :  i5 

Da  mezzo  in  qua  ci  venian  verso  '1  volto , 
Di  là  con  noi ,  ma  con  passi  maggiori  : 

Come  i  Roman ,  per  V  esercito  molto ,  38 

L'anno  del  Giubbileo^  su  per  lo  ponte 
Hanno  a  passar  la  gente  modo  tolto  : 

Che  dall'un  lato  tutti  hanno  la  fronte  3i 

Verso  '1  castello,  e  vanno  a  santo  Pietro: 

a3  »-^  L'epiteto  nuovi  va  inteso  per  non  pia  i^eduiit  eik 
•eodo  qui  la  prima  volta  che  s'incoatim  tal  genere  di  si]|^U> 
aio.  Poggiali.  4-« 

a4  repleta.  Latinismo  di  Dante  non  aneor  dalla  Cnuce 
accettato  j  chiosa  il  Venturi.  Ma  potrebbe  anch'essere  9  che  al 
tempo  cB  Dante  fosse  ugualmente  in  oso  Taggetlivo  repUtOf 
ehe  il  snstantivG  replesione, 

a5  erana  igfmdi  peccatori  ^  I^gS^  1*  Nìdobeatina;  e  Tsltie 
ediaioni  »♦  (e con  esse  il  Qod«  Yat.  3 199  )^-^erano  ignmdi  i 
peccatori, 

a6  27  Da  mezzo  in  qua  ee.  Divideasi  la  turba  di  coloro 
in  due  briffate  correnti  in  contrarie  dKreaioni. Dal  meizo  dells 
larghoaa  ddls  bolgia  iBno  alla  sponda,  su  della  quale  i  due 
Poeti  cammina  vanOy  correva  una  brigata  contrariamente  al  cam- 
minare de' Poeti,  e  però  dice:  ci  uenian  t^erso  *l  trotto;  e  dal 
meiao  della  bolgia  alla  sponda  opposta  correva  l'altra  brigata 
nella  stessa  direzione  che  i  due  Poeti  camminavano;  solo  dbe 
affrettava  quella  brigata  il  passo  più  che  i  Poeti  mm  fccessero. 

a8  al  So  esercito  per  turba  fólta.  »-»  Papa  Bonifàsio  Vili, 
appunto  nel  i3oo  istitid  un  anno  di  remissione  spuritwde  da 
ric(MTeve  ogni  1 00  anni,  e  che  si  <^iamò  Giubbiteo.  Il  numero 
de' ricorrenti  a  Roma  in  tal' epoca  fu  si  grande,  ehe  ad  evitare 
la  confusione  e  gli  sconcerti  die  nascer  potevano  dall'adden» 
sata  folla  di  chi  andava  e  tornava,  fu  d*uopo  erigere  un  muro 
di  divisione  nel  mezso  e  tutto  al  lungo  del  ponte  di  Castel 
Sant'Angelo,  aflinchà  Tuna  parte  occupata  (o9se  da  chi  andaTa 
a  san  Pietro,  e  l'altra  da  chi  ne  tornava.^-*  modo  tolto, cs\ 


CANTO  XVm.  385 

Dall'altra  sponda  vanno  verso  1  monte] 
Dì  qua,  di  là,  su  per  lo  sasso  tetro  34 

Vidi  diuiOD  cornuti  con  gran  Terze, 
Che  !i  battean  crudelmente  di  retro. 
Ahi  come  facean  lor  levar  le  berze  3 7 

diente  preso,  cioè^  seguendo  taloixliue.  m-^ modo  colto  y  legge 
TAog.  £.  II.  —  e  il  Vat.  3ij|9.  ««-• 

33  verso  7  monte.  Quando  abbia  Dante  pel  rtiorUe  inteso 
alcun  monte  particolai<e  di  Roma ,  e  non  tutta  la  opposta  al 
Castel  Sant'Angelo  montuosa  parte  della  città ,  appellata  li 
fnofUij  dovi<ebbe  tale,  piuttosto  che  il  Palatino  o  TA ventino, 
essere  il  monte  Giordano  j  piccolo  pramontorìodirimpelto^  e 
pocUssimo  distante  da  esso  ponte .  «-^cc  Dev'essere  piuttosto 
»  (dice  TE.  K.)  il  monte  Gianicolo,  la  di  cui  estremità  ,  do\e 
M  esiste  la  celebre  fontana  dell'acqua  Paola,  veduta  dalPalto 
»  del  Castel  Sant'Angelo  >  come  alti  esi  sulla  accurata  pianta  di 
»  Roma  del  Nolli ,  è  più  vicina  e  più  diretta  di  qualunque  al- 
M  tro  de'sette  famosi  colli.  Né  giova  porre  in  questo  coufi*outo 
M  il  piccolo  monte  Gioixiano  poco  distante  dal  Castello  sud- 
»  detto,  prominenza  formata  da  antiche  1*0 v ine  e  che  non  si  sa 
»  che  esistesse  ne' tempi  andati.  Se  si  avesse  una  diligente  to- 
»  pografia  di  Roma  dei  tempi  di  Dante ,  chi  sa  che  non  esisteu- 
»  do  allora  la  via  Giulia ,  ed  essendo  spesso  chiusa  la  porla 
»  SeiUmiana  {sub  lano)^  che  unisce  il  Trastevere  al  V atleta* 
»  uo  «  non  si  vedesse  per  pubblico  comodo  una  strada  parta* 
n  dal  ponte  Sant'Angelo,  e  tagliar  con  insensibile  diversione 
»  Tabitato  lino  al  ponte  EUio  o  Gianiculeuse ,  in  oggi  detto  Si* 
j»  sto  ;  di  maniera  che  chiunque  usci  va  dall'augusto  tempio  del 
»  Prìncipe  degli  Apostoli  vedesse  fin  dal  ponte  Sant'Angelo 
»  il  prospetto  delPaitit)  suo  santuario  su  quel  monte ,  ove  molli 
j>  credono  che  fosse  martirizzato ,  tenuto  per  laddietiti  in  gran- 
M  dissima  venerazione,  a*  «-• 

H4  *osso  tetro  f  di  color  ferrigno,  di  coi  ha  detto  che  tulio 
Malebolge  era  foimato  [a]. 

35  m^ferze  è  lo  stesso  che  fruste  j  forse  dal  lat.  ferula»  Di- 
orsi o^dl  piuttosto  sferze.  Poggiali.  4-« 

37  facenti  ìegffe  la  Midobeatina;  e  facen  l'alti^  ediziouu 

f«}  Tedi  il  priocipio  d«l  caoM . 

rol.  /.  aS 


386  INFERNO 

Alle  prime  percosse!  e  già  nessuno 
Le  seconde  aspettava  né  le  terze. 

Mentr'  io  andava,  gli  occhi  miei  in'uno  4^ 

Furo  scontrati  ;  ed  io  sì  tosto  dissi  : 
Già  di  veder  costui  non  son  digiuno . 

Perciò  a  figurarlo  gli  occhi  affissi  :  4  ^ 

E  '1  dolce  Duca  meco  si  ristette, 
Ed  assenti  ch'alquanto  indietro  io  gissi: 

E  quel  frustato  celar  si  credette,  4^ 

Bassando  1  viso,  ma  poco  gli  valse; 

^•*-  leuar  le  terze  per  affrettare  il  passo .  Berza^  spiega  il  Vo* 
cabolario  della  Crusca,  parte  della  gamba  dal  finocchio  al 
pie  ;  ma  qui  sta  per  tutta  la  gamba  ;  ed  alzar  le  eambe  a  si* 

fnificare  affrettamento  di  passo  e  fuga,  scaltrì  noi  dicono,  i) 
iciam  noi  Lombardi,  j^lcuni  (nota,  il  Voìfi) per  berte  inteiH 
dono  uesciche  j  o  bolle  j  che  lei^ansi  nella  pelle  a  forza  di 
battiture  j  lat.  vibices ,  pustulae.  •^berze^  forse  dal  lat.  va^ 
ricesj  enfiature,  vesciche.  Lami. E.  F. <-« 

Dee  pe*ruflSani,  che  costoro  sono,  avere  il  Poeta  scelta 
la  frustatura  y  per  essere  la  medesima  tra  noi  il  solito  castigo 
de' ruffiani. 

4i  4^  sì  tosto  dissi  yaìe  o  subito  così  dissi j  o  per  ellissi, 
subito  così  ,  come  lo  wWi,  dissi,  m^  Di  già  veder ^  legge  1  Ang. 
al  v,  42.  E.  B«  4-«  non  son  digiuno ,  non  sono  stato  finora  jxìvo. 
43  a  figurarlo y  per  ridurmi  a  roemoria  chi  egli  fosse.  —  1 
piedi  affissi^  così  la  Nidob.,  ove  le  altre  edizioni  leggono,  gli 
occhi  affissi.  Il  seguente  verso  però,  E  7  dolce  Duca  mecn 
si  ristette ,  richiede  che  i  piedi ,  non  gli  occhi ,  affiggesse  j  cioè 
fermasse.  Dante;  imperocché  tener  fissi  gli  occhi  in  qneU'oro* 
bra  poteva  anche  andAudo,jtff[ggere  ^r  fermare  adop^nra  Dan- 
te anche  nel  Purg.  xvii,  77,  »->Gosì  il  Lombardi ,  qui ,  per  qnan* 
to  ci  sembra ,  ben  a  ragione  disapprovato  dal  Biagìoli ,  chiosan- 
do :  gli  occhi  sono  quelli  che  adoprano  a  rafj^gurare  uno:  e 
dice  poi  che  F^irgilio  si  fermò  secOf  lasciando  Videa  subai* 
terna  io  mi  ristetti ,  perchè  naturalmente  s^indovina .  -  An- 
che TE.  R.  nella  3,  ediz.,  suirautorità  del  Vat.  ^ic^g,  ha  re* 
ftituita  Tantica  lezione  occhia  da  noi  pure  preferita  •«-• 


CANTO  XVIII.  387 

Ch'io  dissi:  tu,  che  T occhio  a  terra  gelte, 
Se  le  fazioQ  che  porti  non  son  false,  49 

Veaedico  se*  tu  Cacciani mico; 
Ma  che  ti  mena  a  sì  pungenti  salse? 

48  »-^  fu,  che  rocchio ,  tuUe  le  edizioni  ;  o  tu  che  C  occhio , 
più  naturalmente ,  il  cod.  Ang.  E.  R.  4-m 

49  Sofazioìij  fattezze 9  che  porli ,  clic  hai,  non  son  false  ^ 
non  sono  fidiaci.  F'enedico  [F^enedigo  legge  il  testo  della  Ni* 
dob.,  e  Genetico  quelli  del  Landino,  Veiiutello  e  Daniello) 
Caceianinuco  j  Bolognese,  che  per  danaii  indusse  la  sorella', 
chianiata  Ghisola,  a  consentire  al  inai*chese  Obìzzo  da  Este, 
Signor  di  Ferrai*a .  Daniello  .  »-♦  Questo  Max'chesc ,  conlemjx)^ 
raneo  del  Caccianimico  e  di  Dante,  non  può  essei-eche  Obìz*^ 
so  II.,  nominato  da  Dante  al  e.  xn*  1^.  1 1  1.  di  ([ucsta  cantica. 

POGOIALI.  4-« 

5i  Ma  chcj  legge  la  jVidobeatina ,  meglio  di  Afa  chi  ^  che 
leggasi  nelle  altre  edizioni  ;  imperocché  non  cerca  già  il  Po4'ta 
qoal  persona  precipitasse  Caccianimico  colaggi u,  ma  qual  ca- 
gione, qoal  peccato:  cercali  quid^  non  il  quis»  »-^Divei*samcii- 
te  la  pensa  il  Biagioli,  e  chiosa:  Il  Poeta  sapeva  benissimo  qual 
peccato  sipunii^a  in  quella  bolgia;  adunque  maliziosamente 
chiese  chi, e  non  che.  -  Il  cod.  Ang Jegge come  la  Nidobcatiua , 
E.  R., -e  cosi  il  Vat.  31999  per  cui  ci  siamo  astenuti  da  cam- 
biamento, ^-ma  sì  pungenti  salse  :  metafoi*icamente  per  si  aspiv 
sferzate;  che,  come  le  salse  pungenti  feriscono  la  pellicola  del 
palato,  cosi  quelle  sferzate  la  pelle  del  dorso.  «-^  et  Le  Salse  > 
V  dice  il  eh.  cav.  Strocchi ,  ai  tempi  di  Dante  era  una  contrada 
»  di  Bologna ,  lungo  la  quale  si  scopavano  i  malfattori  ;  e  que- 
i>  sto  verao  con  questa  sposizione  è  tanto  piti  bello,  quanto 
»  che  Bolognese  era  quel  Caccianimico  che  in  Interno  era  fru-^ 
»  stato,  avendo  per  denari  indotta  la  sorella  Ghisola  a  consen^ 
»  tire  al  marchese  Obizzo  da  Estc,  Signor  di  Ferrara  t>.  -  Ri-* 
putìam  pregio  di  queste  nostre  aggiunte  il  riportare  la  chiosa 
del  Boccaccio  a  questo  luogo  ^  e  quale  si  legge  nel  suo  Comcn- 
to  alla  Divina  Commedia.  Trattandosi  di  un  Autore  tanto  vi- 
cino al  Poeta  nostro ,  questa  interpretazione  sarà  forse  da  prc- 
fi'rìrsi  ad  ogn' altra,  m  Le  Salse  è  un  luogo  (  die' egli  )  abbomir 
j»  nevole  e  pieno  d'infamia.  Imperocché  anticamente  soleva es- 
»  sere  che  dai  Bolognesi  v'erano  gittati  gli  uomini  che  morivano 


338  INFERNO 

Ed  egli  a  me:  mal  voleotier  lo  dico  ;  5^ 

Ma  sforzami  la  tua  chiara  favella , 
Che  mi  fa  sovvenir  del  mondo  antico. 

r  fui  colui ,  che  la  Ghisola  bella  55 

Condusse  a  far  la  voglia  del  Marchese, 
Come  che  suoni  la  sconcia  novella . 

E  non  pur  io  qui  piango  Bolognese  :  58 

M  disperati  senza  voler  tornare  a  vei*a  penitenza.  Ed  ò  questo 
M  luogo  delle  Salse  a  Bologna  tre  miglia  alla  montagna;  e  per- 
si che  questo  peccato  di  ruffianesimoè  abbomiuevoleesozzo, 
»  si  gli  rammenta  l'Autore  questo  luogo.  »  E.  F.  *  Il  luogo  qui 
accennato  (  come  si  legge  in  una  nota  del  eh.  sig.  Paolo  Costa , 
riportata  nella  recente  bolognese  edizione  della  DivinaComme- 
dìi  )  si  trova  un  terzo  di  miglio  circa  sopra  la  casa  di  villa  del 
iiig.  conte  Antonio  Aldini,  la  quale  fu  già  convento  de* Frati 
Minori  osservanti  riformati.  11  detto  luogo  è  una  angusta  valle 
assai  profonda  y  circondata  da  grigie  coste  senza  alberi,  e  qua  e 
là  coperta  da  sterili  erbe;  oiTjdo  sito  e  veramente  acconcio  se- 
polcro de*  corpi  infami ,  che  i  nosUÌ  antenati  sdegnavano  di  ri* 
cevere  ne'  sacri  i*ecinti ,  o  ne*  luoghi  colti  ed  abitati .  ^-m 

53  54  tua  chiara  favella  j  al  contrario  delle  voci  delle  om* 
lire,  che  parean  fioche.  Vedi  la  nota  al  i^.  63.  del  canto  primo 
dt^Ua  presente  cantica.  Istessamente  spiega  anche  il  Venturi.  E 
([uesta  spiegazione  rigettandosi,  non  restei^ebbe  altix)  che  din* 
1  cndore  per  la  chiara  faldella  V  idioma  toscano  che  Dante  par- 
lava. Ma  come  poi  faremmo  avverare  che  Tidioma  toscano,  piut- 
tosto che  il  bolognese,  od  altro,  che  da' suoi  compegni  dove\  a 
(^accianimìco  udire,  facesse  al  medesimo  sovvenire  del  mondo 
antico  ,  cioè  del  mondo  per  lui  passato? 

jj  Come  che  suoni  ec.y  in  qual  altro  modo  si  pubblichi  di 
tal  cosa  la  coiTotta  fama;  perchè  dicono  che  alcuni  dicevano 
non  esser  vero  che  messer  Venetico  fosse  di  tal  cosa  consape* 
vole;  ed  altri ,  che  nuUane  era  seguito, avvegnaché  il  Marchese 
r  avesse  fatta  per  altri  mezzi  molto  sollecitai*e  :  cosi  il  Landino^ 
nel  di  cui  sentimento  convengo  io  pure ,  che  sconcia  sia  det- 
to invece  di  corrotta.  Di  sconcio  ^v  guasto  ,  ciré  lo  .«tes^ 
f4)i  vedi  il  Vocabolario  della  Crusca. 

58  /f  non  pur  io^  io  solo,  qui  piango  Bolognese  • 


CANTO  XYIIL  389 

Anzi  u*è  questo  luogo  tanto  pieno, 
Che  tante  lingue  non  son  ora  apprese 

A  elicer  sipa  tra  Savena  e  'I  Reno:  61 

E  se  di  ciò  vuoi  fede,  o  testimonio, 
Recati  a  mente  il  nostro  avaro  seno. 

Così  parlando  il  percosse  un  demonio  64 

Della  sua  scuriada,  e  disse:  via, 
Rulfian,  qui  non  son  femmine  da  conio. 

Io  mi  raggiunsi  con  la  Scorta  mia  :  67 

Poscia  con  pochi  passi  divenimmo 
Dove  uno  scoglio  della  ripa  uscia . 

Assai  leggeramente  quel  salimmo,  no 

£,  volti  a  destra  su  ])er  la  sua  scheggia. 
Da  quelle  cerchie  eterne  ci  partimmo. 

60  61  tante  lingue  ec.f  intendi,  che  tanti  uomini  non  sono 
ora  in  Bologna ,  che  sappiano  dire  sìpa.  I  Bolognesi  dicono  sipa 
invece  di  jia,  e  non  gii  invece  di  W,  come  chiosano  ahri 
Espositori. -«SaM^fta  e  7  JRenOj  due  fiumi,  tra  i  quali  è  situata 
Bologna  e  parte  del  Bolognese. 

6'ò  seno  fifpiratamente  per  cuore  ^  che  ha  il  seggio  nel  seno. 
Cosi  il  Voc.  della  Cr.  Suppone  la  espressione  notoria  fama  di 
avarizia  ne' Bolognesi . 

(i5  scuriada,  sfa*za  di  cuoio. -«i^ia,  paiticella  significante 
lo  stesso  che  uà  via^  partiti. 

66  conio  y  impronta  sul  danaro ,  qui  pel  danaro  medesimo  ; 
onde  fefìunine  da  conio  vale  cfnantofemnune  che  per  danaro 
vendono  la  propria  onestà ,  femmine  cenali» 

69  uno  scoglio  f  uno  dì  quelli  che  ha  già  detto  dr  sopra 
(  w.  1 6.  e  ly.)  che  da  imo  della  roccia  moi^ièn  e  ricidean  o/n. 
gini  e  fossi.  m-^La  dov^un  scoglio  ^c,  l^ge  il  Vat.  3 1  qq.^^ 

71  super,  legge  la Nidobeatìna ;  e  sopra ^  l'altre  edizioni. 
—  scheggia  per  ischeggiato ,  mal  tagliato  dorso . 

7a  Da  quelle  cerchie  eterne  ec.  Cerchie  (conamin  il  Daniellojt 
chiama  quel  sasso ,  che  il  settimo  dalVottav^o  cerchio  divide.- 
eterne,  continole ,  per vhè  abbraccia^'a  a  torno  a  torno  tutte 


390  INFERNO 

Quando  noi  fummo  là,  dov'  el  vaneggia         73 
Di  sotto^  per  dar  passo  agli  sferzati , 
Lo  Duca  disse:  attienti,  e  fa  che  feggia 

Lo  viso  in  te  di  quest'altri  mal  nati,  76 

Ai  quali  ancor  non  vedesti  la  faccia, 
Perocché  son  con  noi  insieme  andati . 

Ir  bolge  i  che  se  eterne  volesse  dir  perpetue  in  questo  luogo  ^ 
parrebbe  che  sol atnente  quelle  cerchie  j  e  non  altre  parti  d'In' 
fernoj  fosser  tali.  Adunque  eterne^  continole.  OtadiocAànuTi 
perpetuum  deducile  tempora  Carmen:  idest  continoum  cannelli 
cornee  r eroico  verso  a  differenza  dell* ode ^  e  delP elegie. 

Sipartiron  (chiosa  diversamente  il  Vellutello)  da  quel- 
le cerchie  eteme ,  Intendendo  che  essi  si  partirò  da  tutte  le 
sponde  tanto  di  questo,  quanto  de'' superiori cerchj ^ perchè 
questa,  che  lasciavano  ora  addietro,  era  rultima^  non  in- 
tendendo  il  pozzo ,  verso  del  quale  andavano ,  per  cerchio  » 
essendo  cosa  minima  rispetto  à*cerchj,  e  piuttosto  da  esser 
domandato  punto ,  che  cerchio*  Eterne  dice,  perchè  eteme 
sono  ancora  le  pene,  che  da  quelle  son  contenute. 

Il  Venturi ,  tenendosi  parte  col  Vellutello  e  parte  col  Da- 
niello, per  quelle  cerchie  intende  tutte  le  precedenti  passate 
ripe;  e  per  eterne  piega  ad  intendere  continuate,  noninter* 
rotte  ;  perocché ,  dice ,  appunto  di  queste  sì  /bUe  (cioè  non  in* 
leiTolte  )  non  ne  restava  a  veder  più ,  per  esser  ^quelle  del 
pozzo ,  che  rimanevano  a  passarsi,  intermezzate  dai  ponti. 

A  me  però  sembrerebbe  la  più  sbrigativa  d'intendere  per 
quelle  cerchie  il  cuxolai*e  alto  muro,  ond* erano  i  Poeti  da  Ge- 
rionc  stati  deposti,  ed  a  cui  erano  vicini,  ed  il  circolar  aitine 
appiè  di  esso  muro,  sopra  del  quale  stavano;  e  che  eterne  esse 
due  cerchie  appelli  Dante ,  perocché  parti  di  quel  luogo  ch*egli 
medesimo  appella  luogo  eterno  [a],  9-pCqsì  anche  il  Biagio) i. 
—  Di  quelli  cerchi  eterni^  ^^gg^  '•^'^g*  E'  R*^"^ 

7  3  dovei,  legge  la  Nidobcatiua;  dovrei,  l'altre  edizioni. 
Kl  fovegli,  esso ,  adopera  Dante  anche  altrove  spesso  [i],  ed 
ì'  qui  pronome  dello  scoglio  quattro  versi  sopra  mentovato. 
-^lumeggia,  v  volo,  fa  arco  e  ponte. 

j-5  al  j8  attienti,  e  fa  che  feggia  ec,  fermati,  e  attendi* 

[u]  luf.  canto  ;.  1 14*  ed  altrove,  [b]  Inf.  xxyii.  la.  Purg«  ii.  5i. 


V 


CANTO  XVIII  391 

Dal  vecchio  poote  guarda vam  la.  traccia,        79 
Che  venia  verso  noi  dall'altra  banda, 
£  che  la  ferza  similnieote  schiaccia. 

£  1  buon  Maestro,  senza  mia  dimanda,         Si 
Mi  disse:  guarda  quel  grande  che  viene, 
E  per  dolor  noti  par  lagrima  spanda: 

Quanto  aspetto  reale  anco  ritiene  I  85 

Quelli  è  lason  che ,  per  cuore  e  per  senno , 

e  fa'  che  ferisca  In  te  lo  sguardo  di  questi  y  acquali ,  perché  trot« 
lavano  secondo  il  nostro  cammino ,  tu  non  potesti  yeder  la  fac* 
eia.  Vehtvbi.  Feggia  da  feggere^  che  significa  lo  stesso  che 
fiedercj  ferire^  com'è  detto  nel  passato  e.  zv.  ^.  Sg* 

79  80  /a  traccia  f  la  seconda  delle  due  tracce  sopraddette 
che  facevano  contrario  cammino  ^  iv.  26.  e  a^.  m^Del  secchio  f 
al  M.  79.9  e  Che  ^enian^  al  i^,  80.,  legge  il  Vàt.  3 199. 4-m 

8 1  schiaccia ,  pesta  9  percuote  «  — »  ^  Il  CaeL  legge  scaccia  ^ 
t  forse  potrà  piacere  ,  riflettendo  che  i  demonj  siei'zavano ,  e 
gli  sferzati  correvano  innanzi;  oltre  di  che  ^cAtacci^xre  nel  suo 
vero  senso  non  può  attribuirsi  al  vigore  ed  al  peso  delle  sfer* 
xate«  E.  II.  «-^Ma  cpiesto  scaccia^  dice  il  Biagioli,  dopo  aver 
detto  quello  ch'esprime  ai  versi  ii5«  al  87.,  è  un  fiore  inari- 
dito .  Malgrado  ciò  9  convien  confessare  che  questa  variante  non 
è  dispregevole. <Hi 

S^  E  l  buon  Maestro  f  semaj  legge  la  Nidobeatina;  ove 
Tal  tre  edizioni,  //  buon  Maestro  y  sanza» 

84  E  per  dolor  ec.  Per  quanto  senta  dolore,  non  par  la* 
grima  spanda y  tanto  è  grande  e  forte  il  suo  animo;  ovvero  y 
perchè  il  dolore  eccessivo  gli  sopprime  le  lagrime .  9^  (Il  Bia- 
gioii  su  per  la  prima  interpretazione.  )4-«  Così  Taddoloratis" 
simo  conte  Ugolino  dirà  '•  Io  non  piangeva ,  sì  dentro  émpie" 
trai.  Canto  ixxni.  p«  49*  deirinfemo*  Vivruat* 

85  ancOf  legge  la  Nidob.;  ancor ^  Taltre  edizioni. 

86  air  88  lason,  che  per  cuore,  per  ardire  «  e  per  sen* 
no ,  per  prudenza ,  fene  (aggiunto  il  ne  al  fé*  per  riposo  del* 
la  pronunzia  \a])  li  Colmi j  popoli  dell'Asia  minore , /iriVaii 

[m]  Vadiil  CiooD.  Partic  17$.  34* 


3gi  INFERNO 

Li  Colobi  del  monton  privali  fene . 

Elio  passò  \\ev  F  isola  di  Lenno,  88 

Poi  che  Tardile  femmiDe  spieiaie 
Tulli  li  maschi  loro  a  molte  dienao. 

Ivi  con  segni,  e  con  parole  ornate  91 

Isiiile  ingannò,  la  giovinetta, 
Che  prima  T altre  avea  tulle  ingannate. 

LnscioUa  quivi  gravida  .e  soletta;  94 

Tal  colpa  a  tal  mariiro  Ini  condanna: 
Ed  anche  di  Medea  si  fa  vendetta . 

Con  lui  sen  va  chi  da  lai  parie  inganna  :         9^ 

del  monton  9  del  vello  d'oro  9  attaccato  da  Frisso  nel  tempio 
di  Marte. 

Neiroccasione  di  questa  impresa  tradì  Giasone  dae  fem* 
mine,  ingravidandole,  con  promessa  di  sposarle,  e  poi  abban- 
donandole. La  prima  fulsifde,  colei  che  nell'isola  di  Lenno, 
contro  la  convenzione  fatta  con  l'altre  donne  di  uccidere  ima« 
sebi  tutti  delle  rispettive  loro  case,  salvò  il  proprio  genitore 
Tornite:  l'altra  fu  Medea,  figliuola  del  Re  de'Colchi  medeM- 
mo ,  che  Maga  essendo ,  aiutò  coU'arti  sue  Giasone  a  superare 
gli  ostacoli  fortissimi  che  impedi vangli  il  rapimento  del  veUo. 

9 1  m^  Ivi  con  senno ,  legge  l'Ang.  E.  R.  4-« 

93  Che  prima  Vcdtre  avea  tutte  Ingannate ,  legge  la  Ni- 
dobeatina;  e  l'altre  edizioni.  Che  prima  tutte  FaUre  avea  In- 
gannate. JK^con  verso  migliore.  -Cosi  col  Val.  3199  legge 
anche  la  3.  rom.  edizione.  —  Che  prima  avea  tutte  r altre 
ingannate  j  leggono  i  codd.  Ang.  e  Caet.  E.  R.4-« 

97  Con  lulf  con  Giasone.  •  ail  da  tal  parte  Inganna  y  chi 
non  con  danari ,  ma  con  promessa  di  matrimonio ,  parmi  che 
debbasi  capire  ;  imperocché  inteso  chi  da  tal  parte  semplice- 
mente per  coloro  che  lusingano  femmioe  per  sé  medesimi,  e 
ììon  per  altri  (come  chiosano  il  Daniello  e  il  Venturi),  mala- 
mente si  collocherebbero  questi ,  che  senza  la  promessa  di  ma» 
trìmonio  sarebbero  meno  colpevoli,  in  paite  della  bolgia  piìi 
al  centro  vicina  di  (juella  de'ruffiani  predetti  ;  che ,  secondo  il 
sistema  del  nastro  Poeta,  corriaponde  a  delitto  maggiore* 


CANTO  XVIII.  393 

£  questo  basti  della  prima  valle 
Sapere,  e  di  color,  che  'n  sé  assaDoa. 

Già  eravam  là  Ve  lo  stretto  calle  100 

CoQ  l'argine  secondo  s'incrocicchia, 
E  fa  di  quello  ad  un  altr'arco  spalle. 

Quindi  sentimmo  gente,  che  si  nicchia         io/) 
Nell'altra  bolgia,  e  che  col  muso  sbuffa, 
£  sé  medesma  con  le  palme  picchia . 

Le  ripe  eran  grommate  d' una  muffa ,  1 06 

Per  Talito  di  giù,  che  vi  s'appasta^ 
Che  con  gli  occhi  e  col  naso  facea  zufia  • 


g9  assanna.  Assanììore ^  che  indifferentemente 
anche  azzannare  (chiosa  il  Vocab.  della  Q-uaca),  afferrar 
dtecchessia  colle  zanne  o  strignere;  ma  qai  metaforicamente 
lo  adopera  Dante  per  serrare  e  tormentare. 

ioa  E  fa  di  quello  ec,  e  foi*ma  dì  quel  secondo  amne 
spalle^  ^ppogg^o»  ^^  ''^  ^l^^o  arco  che  passa  sopra  la  bolgia 
seconda . 

io3  m-¥  Quisfi  sentimmo^  legge  TAng.E.  R.4-«^i  nicchia, 
con  sommessa  voce  si  lamenta  ;  che  questo  significa  propria* 
mente  nicchiare,  VELLuraLLo  concordemente  aJ  Laiidivo.»-#vti 
annicchia ,  legge  il  cod.  Staardiano .  Bi  agiou  .  -  e  il  cod.  CaeL 
E.  R.4-. 

to4  io5  sbuffa y  buffa,  soiBi  colla  bocca  e  colle  narici ,  per 
nausea  che  crea  loro  quel  puzto.  m^scuffa^  forse  per  eiTor  del 
copista,  legge  invece  il  cod.  Vat.  3 199.  «-«  picchia^  pei*cuote. 
B^ picchiare  è  detto  dair  uccello  ^iccAio ,  lat.  pieus;  questo 
verbo  fa  sentir  il  suono  delle  percosse.  BiàoioLi .  4hì 

106  al  108  grommale  f  inci'ostate,  d'una  muffa  ec.  Intei^ 
viene  ne* luoghi  umidi  e  chiusi  che  i  vapori,  i  quali  si  levano 
da  tale  umidità ,  non  potendo  esalare,  rimangono  appiccati  alle 
mura,  e  fanno  muffa:  cosi  in  questo  luogo Talito,  cioè  lVsala« 
zione,  che  si  levava  dal  fondo,  surgea  sì  grossa,  che  si  appic- 
cava alle  ripe,  e  facca  tal  gromma,  che/iscea  zuffa  col  naso 
e  con  gli  occhi,  cioè  offenofeva  il  naso  pel  tristo  odore,  e  gli; 
occhi  per  la  sua  bruttezza.  Lahduio. 


3g4  INFERNO 

Lo  fondo  è  capo  si,  che  non  ci  basta  109 

Luogo  a  veder ,  senza  montare  al  dosso 
Dell'arco,  ove  lo  scoglio  più  sovrasta. 

Quivi  venimmo,  e  quindi  giù  nel  fosso         1 12 
Vidi  gente  attutita  in  uno  sterco, 
Che  dagli  uman  privati  parca  mosso: 

£  mentre  ch'io  laggiù  con  T occhio  cerco,    1 15 
Vidi  un  col  capo  sì  di  merda  lordo , 

109  al  III  non  ci  basta  -  Luogo  a  *oeder<,  senza  ec.,-  ci 
per  uij  i^i  [a]y  non  è  ivi  luogo  bastevole  ^  atto ,  a  vedane  co- 
laggiii«  —  Off  e  lo  scoglio  più  sovriuta  ^  sul  mezzo  dell*  arco, 
eh' è  la  parte  più  elevata;  e  vuole  in  sostanza  dire  che  Unto 
era  quella  bolgia  profonda  y  che ,  ove  il  raggio  visuale  obliquasse 
fantino  dal  perpendicolo >  andava  a  terminare  nelle  pareti,  e 
non  nel  fondo* 

II 3  1 14  prii^atij  cessi  4^  mosso  f  per  calato  colaggiii;  come 
accennando  che  fosse  quello  il  ricettacolo  di  tutti  i  eessi  del 
mondo .  «-^  ce  Qui  (  dice  il  Biagioli  )  piii  d' un  lezioso  torcerà  il 
J9  glifo,  e  biasimerà  il  Poeta  d'aver  adoperato  immagini  e  p- 
»  role  cosi  immonde.  Ma  doveva  egli  in  grazia  di  questi  leziosi 
»  lasciar  di  parlare  di  questa  rea  gente ,  ovvero ,  per  rispetto  del 
»  loro  delicato  naso^  porli  tra' fiori  e  l'erbe  di  ridente  giardino? 
»  Violare  le  leggi  ch'obbligano  alla  vera  imitazione  earìtrar 
»  le  cose  quali  ea$e  sono ,  per  non  dispacere  a  costoro  si  tor* 
»  tamente  opinanti?  Q)nsiglinsi  questi  cotali  con  Quintiliano  e 
»  con  Aristotile,  e  impareranno  da  loro  ch'uno  de'  maggior 
»  meriti  del  Poeta  si  è  d  aver  sempre  rispetto  al  luogo,  al  teD>- 
»  pò,  alle  persone,  e  al  fiiie.»<Hi 

Per  cotal  pena  data  agli  adulatori  pare  a  me  (  ben  Inu^i 
dalle  altrui  chiose)  che  anche  Dante  sapesse  dello  Ungere  cl»^ 
nes  per  adulare . 

1 16  •-»  Si  ricordi  qui  pure  il  lettore  che  Aristotile  nel  3. 
della  Rettorica  e'  insegna ,  eh*  essendo  le  parole  imitazione  dei 
concetti,  debbono  la  loro  bassezza  e  la  loro  altezza  imitafe* 
Omnia  uerbay  ripeto  con  Quintiliano  «  suis  locis  opùmaj 
etiam  sordida  dicuntur  proprie*  Biaoiou.4-« 

[à]  Cioon.  Partic.  48.  4* 


CANTO  XVIII.  395 

Che  noQ  parea  s*era  laico  o  cherco.  ' 

Quei  IDI  sgridò  ;  perchè  se'  tu  sì  'ngordo         1 1 8 
Di  riguardar  più  me,  che  gli  altri  brutti? 
Ed  io  a  lui  :  perchè,  se  ben  ricordo, 

Già  t' ho  veduto  coi  capelli  asciutti ,  1  a  i 

£  se' Alessio  lutermiuei  da  Lucca  : 
Però  t'adocchio  più,  che  gli  altri  tutti. 

Ed  egli  allor,  battendosi  la  zucca:  124 

Quaggiù  m'hanno  sommerso  le  lusinghe^ 
Oad'io  non  ebbi  mai  la  lingua  stucca. 

Appresso  ciò  lo  Duca:  fa*  che  pinghe,  127 

Mi  disse,  un  poco'l  viso  più  avante, 
Si  che  la  faccia  ben  con  gli  occhi  attingbe 

1 17  non  parea  s* era  laico  o  cherco  y  non  appariva ,  non  si 
vedeva 9  per  la  lordura,  se  avesse  cherìca  ono.  jk^ Trafigge  a 
un  tempo  le  due  classi ,  ma  più  la  seconda .  Biagioli*  ^-m 

1 18  sgridò  y  la  Nidobeatina^  gridò  ,  laltre  edizioni,  '^in* 
gordo  per  avido.  m-¥gordo  per  errore  legge  i)  YaL  3 199.  «-« 
Volere  ingordo  per  avido^  disse  pure  il  Petrarca^  cans.  3 1 .3.; 
ed  ingordo  udire  j  il  Varchi  nel  suo  Boezio  ^  3.  1. 

1 19  bruni j  lordi.  »-^L'Aug.  qui  legge  tutti ,  e  nel  t^*  ia3. 
brutti.  £•  R.^-m 

121  coiy  la  Nidob.;  co\  laltre  ediz.  -asciutti  per /iii/ilV. 

\%ik  jàlessio  JnternUnei yO  Interniinelli y  nobilissimo  cava- 
liere lucchese,  uomo  lusinghiero  fuor  dì  modo.  Voiiri*  a-^Il 
Lami  lo  crede  della  stessa  mmiglia  Intelminelli  ^  oAntelnU'» 
nelliy  della  quale  fu  Castruccio.  £•  F.  ^u4ntermineiy  legge 
il  cod.  Vat.  3i99.4-« 

124  battendosi  la  zucca y  cioè  il  capo;  corrìapondenlemen- 
te  al  detto  in  generale  di  tutta  quella  turba,  v.  io5.: 
E  sé  medesma  con  le  palme  picchia. 

126  stucca  per  sazia.  Vocabolario  della  Ginisca^ 

i^j pinghe  ftv pinghiy  spinghiy  cacci.  Antitesi. 

1 29  attinghe  invece  di  attinghi  per  arrivi .  9^  Questa  elo- 
cnzione  è  vaga  assai,  e  vuol  dire:  sicché  tu  aggiunga  coli' oC" 
chio  alla  faccia  ec.  Biagioli.  4-v 


396  INFERNO 

Di  quella  sozza  scapigliata  £iQte,  i3o 

Che  là  si  grafl6la  con  F unghie  merdose. 
Ed  or  s'accoscia ,  ed  ora  è  in  piede  stante  : 

Taida  è  la  puttana,  che  rispose  i33 

Al  drudo  suo ,  quando  disse  :  ho  io  grazie 
Grandi  appo  te?  anzi  maravigliose: 

i3o  Bufante y  cioè  bagascia.  Moirrt  [o]-4r« 

i3i  m-^Ch*efla  si  graffia j  l'Ang.  E.  R.;  —  e  il  Vat.  ^^gc^ 
Chellà.^ 

1 3*2  Ed  or  s^ accosciai  atti  meretricj.  Laitdiho  e  VbllutelIìO. 

]33  al  i3j  Taida y  la  iBieretrìce  di  Terenzio  nelP fornico. 
Non  posso  qui  (dice  il  Ventuii)  approvare  che  quella  mere^ 
irice  spenga  nominata  con  quella  uoce  da  chiasso  •  Ma  come 
ci  assidui*a  il  Venturi  che  non  fosse  ai  tempi  del  Poeta ,  yì- 
ciui  al  parlar  latino ,  piii  intesa  e  da  chiasso  la  voce  latina  me^ 
retricCf  cbe  vorrebb*eg}i  invece  adoprata?  V'ha  egli  dubbio, 
che  come  ad  una  parte  di  una  provincia  è  voce  da  chiasso  quella 
che  ad  alu*a  parte  della  provincia  medesima  non  è,  cost  non 
intravenga  eziandio  alle  vane  etadi?  La  voce  drudo,  per  ca- 
gion  d'esempio  >  a' tempi  nostri  non  si  adopera  che  in  cattivo 
senso  ;  e  ai  tempi  di  Dante  adoperavasi ,  e  Dante  stesso  ada- 
prala,  anche  in  buon  senso.  Puttaneggiare  (per  accostarci  an- 
che meglio  al  proposito)  chi  a*  di  nostri ,  onestamente  scaivcn- 
dO|  adoprerebbelo  in  luogo  di  fingere  ,  come  adopraronlo  i 
due  Villani  Giovanni  e  Matteo ,  scrittori  al  Poeta  quasi  con* 
temporanei  ed  onestissimi  [b^l  »^ Meretrice  però  legge  l'Ani;. 
E.  R.4HÌ  che  rispose  ec.  Dee  essei'e  la  costruzione  :  che  al  drudo 
suo  (al  suo  innamorato  Trasone)  quando  disse  (quando  costai 
chiese  )  :  ho  io  grazie  grandi  appo  te?  (professi  tu  a  me  grandi 
obbligazioni?)  rispose:  anzi  maravigliose ^  grandi  a  maravi- 
glia. Veramente  Terenzio  fa  che  cosi  Trasone  inteirogasse , 
ed  udisse  rispondersi ,  non  da  Taida  medesima  y  ma  dal  mez- 
zano Gnatone,  da  cui  aveva  fiitto  a  Taida  presentare  in  dono 
una  vaga  schiava  :  ma  ben  può  Dante  ragionevolmente  sup- 
porre instruito  cosi  Gnatone  dalla  scaltrita  donna . 

[al  Prop,  voi.  a.  P.  1.  Tue.  65.  [b]  Vcilinc  gli  esempi  nel  Vocabolario 
della  Crusca. 


CANTO  xviir.  397 

E  quinci  sieo  le  aostre  viste  sazie. 

m^  Questa  Taide,  dice  il  sig.  Po{^ali,  secondo  il  costume 
delle  sue  pari ,  sapeva  ben  pronttare  1  senza  punto  amarlo  »  della 
prodigalità  e  smargiasseria  di  Trasone,  giovine  soldato  per  lei 
Appassionatissimo.  Affinchè  poi  si  riconosca  costei  per  la  Taide 
terenziana,  riporta  qui  Dante  una  parte  di  Dialogo  relativo  ad 
essa  preso  dal  principio  della  Scena  I.  Atto  HI.  dell'i^iinuco. 
—Or  ne  daremo  l'originale  e  colla  spiegazione  del  Biagioli  a 
maggiore  illustrazione  ael  testo.  «Trasone ,  ragionando  con  Gna* 
ce  tone  del  dono  mandato  a  Taide  9  questi  dicendogli  che  il  dono 
M  le  era  stato  assai  caro,  e  ave  vaio  ringraziato  sommamente,  que- 
u  gli  dice  :  magnas  i^ero  agere  Tliais  mihi?  (  Tu  dici  adunque 
»  che  Taide  mi  rende  grazie  grandi  del  dono?)Gnatone  :  ingen^ 
u  i4fs  (  grandissime  grazie  ti  rende .  )  Trasone  :  ain  tu  laeta  est?^ 
»  (tu  ojci  ch'ella  è  lieta  del  dono?)  Gnatone.*  non  tam  ipso 
n  quidem  dono ,  quàm  abs  te  datum  esse .  (non  tanto  1  affé ,  del 
»  dono  per  sé ,  quanto  per  esserle  da  te  fatto  )•  Ora  questo  che 
»  Trasone  chiede  al  mezzano  e  che  questi  gli  risponde ,  Io  sup- 
w  pone  il  Poeta  nostro  detto  da  Trasone  a  Taide  medesima,  % 
a»  ch'ella  fa  a  lui  stesso  la  risposta,  e  quale  appunto  da  si  fatte 
M  ièramine,  che  tutte  in  Taide  si  figiurano,  si  suol  fare.a»««-« 

i36  E  quinci  sien  «e,  e  di  qui,  di  questa  sporca  bolgia, 
siano  gli  occhi  nostri  sazj,  di  altro  vedere  in  essa  non  curino. 


CANTO    XIX 


^^^^♦■^^1 


ARGOMENTO 

tengono  i  Poeti  alla  terza  bolgia^  Hos^e  sono  puniti 
i  simoniaci;  la  pena  de*  quali  è  L' esser  fitti  con  la 
testa  in  giù  in  certi  fori  ^  né  altro  vi  appar  di  fuo- 
ri che  le  gambe  M  le  cui  piante  sono  accese  di  fiam- 
me ardenti.  Poi  al  fondo  della  bolgia  trova  Dante 
papa  Niccolo  Ill.y  e  di  lui  e  di  altri  Pontefici  bia- 
sima le  cattisfc  opere  (benché  altri  scrinano  che 
Niccolo  ///. ,  di  casa  Orsini  ^  fosse  un  degno  Pon- 
tefice}, Infine  y  per  la  stessa  via  onde  era  disceso» 
e  portato  da  f^irgilio  dalla  bolgia  sopra  l'arco ,  che 
risponde  al  fondo  della  quarta  bolgia. 


o 


Simon  mago,  o  miseri  seguaci,  i 

Che  le  cose  di  Dio,  che  di  boataie 
Deano  essere  spose,  voi  rapaci 

I  Simon  mago.  GosXniy  come ìeggesi ne fr\i  Ani  apostolici, 
offerse  danari  a  s.  Pietro  per  comprai*  da  lai  la  potestà  di  eoo- 
ferire  la  grazia  dello  Spirito  Santo  >  e  perciò  dali*A postolo  fa 
maledetto.  E  quindi  il  patteggiare  e  contrattare  che  si  fa  delle 
cose  sacre y  chiamasi  simonìa.  Volpi. 

a  3  che  di  bontate^Denno  essere  sposcy  che  alla  bontà  deb- 
bon  essercongiunte ,  che  ai  buoni  debbon  esser  date.»-^/>et>no, 
i  codd.  Caet.  £.  fi.  e  il  Vat.  3 199 ,  e  con  essi  la  3.  rem.  edix.4-c 
voi  rapaci j  la  Nidob.,  meglio  delle  altre  edis.>che  rompendo  il 
senso  leggono,  e  voi  rapaci.  »-» Vuole  il  Bìagioli  che  Tornii 
a  ione  della  congiuntiva  e  tolga  gran  foraa  al  sentimento.  <«-« 


CANTO  XIX.  399 

Per  oro  e  per  argento  adulterale:  4 

Or  convien  che  per  voi  suoni  la  tromba , 
Perocché  nella  terza  bolgia  state. 

Già  eravamo  alla  seguente  tomba  7 

Montati,  dello  scoglio  in  quella  parte 
Ch'  appunto  sovra  '1  mezzo  fosso  piomba . 

O  somma  Sapienza,  quant'  è  l'arte,  io 

Che  mostri  in  cielo,  in  terra,  e  nel  mal  mondo, 
E  quanto  giusto  tua  virtù  comparte! 

4  adulterate  dee  valer  quanto  prostituite  n  »-►  Della  voce 
adulterio  ecco  1*  etimologia  di  Pesto  gramatico  :  adulleret  adul- 
tera dicuntur  quia  et  ille  alteram  9  et  haec  ad  allerum  se  se 
eonferunt.  Buoioli.  —Singolare  è  la  lezione  dell'Ang,  che 
dice:  a  voi  tirate ^  Ma  il  volgare  adulterate  dice  assai  più, 
parlandosi  delle  cose  di  Dio,  le  quali  sono  chiamate  spose  di 
bontà .  Betti  .  E.  R.  4-c 

5  suoni  la  tromba  per  si  parli  ^  si  dica  epicamente . 

6  Perocché  nella  terza  bolgia  state y  a  veder  la  quale  {in* 
tendi  ) dalla  seconda  bolgia  venimmo, 

y  alla  ^r  sopra  la, 

c^ piomba  j  sovrasta  a  piombo,  perpendicolarmente,  m^so^ 
yra  mezzo  il  fosso  j  legge  il  codice  Angelico,  e  con  bella  eie* 
ganza,  e  forse  secondocnè  scrisse  originalmente  rAHghieri . 
BcTTi-  E*  R.  —  so^ra  mezzo  il  fosso ,  legge  pure  il  codice 
Vaticano  Sigg.  «hi 

ioli  quant*è  forte  ec.j  cioè  nel  dare  i  premj  ei  gastighi 
condegni  all'opere:  accennando  condegno  gastigo  a* simoniaci 
quello  eh* è  ora  per  descriverci,  di  starsene  costoro  fitti  in  ter- 
ra a  capo  in  giìi,  quasi  a  mirare  le  viscere  della  terra,  d'on«* 
de  si  cava  l'oro  e  l'argento»  e  guizzando  e  spingendo  coi  pie- 
di contro  il  cielo  »  quasi  in  atto  di  dargli  de'  calci .  —  mal  mon^ 
doy  r Inferno,  perchè  '/  mal delP uni%ferso tutto  *nsacca  [a]« 

1 9  -  *  Il  cod.  Gaet.  e  quello  del  sig.  Poggiali  leggono ,  Quan  « 
ta  giustizia  tua  virtù  comparte  it*.  K.»-¥  giusto  j  avverbio, 
per  giustamente  *  Toam«i,i-  <<-« 

'«]  lof.  Vii*  i8« 


4oo  INFERNO 

r  vidi ,  per  le  coste  e  per  lo  fondo ,  1 3 

Piena  la  pietra  livida  di  fori , 

D'uQ  largo  tutti,  e  ciascuno  era  tondo. 
Non  mi  parien  meno  ampi,  né  maggiori,        16 

Che  quei  che  son  nel  mio  bel  san  Giovanni 

Fatti  per  luogo  de*  battezzatori; 

1 3  per  le  coste  y  e  per  lo  fondo ,  cìuè  non  solo  uel  più  bas- 
Èó  di  quella  bolgia,  ma  anche  nelle  falde  degli  ai^nì;  e  dee 
con  ciò  volere  il  Poeta  accennare  che  si  contenesse  in  quelli 
bolgia  piii  gente  di  qualunque  altra. 

i4  IO  liuiday  metaforicamente  detta  periAf  colore  oscuro. 
—  di  fori ,  —  D^un  largo  tutti  ec.  y  di  buchi  tutti  d*  egual  gran* 
dezza  e  rotondi .  m-^  Cosi  anche  Torelli .  «-« 

16  al  id  JVon  mi  parièrif  la  Nidob.,  la  quale  oè  qui,  uè 
altrove  mai  legge  jx^parèn^  uè  parénti ,  come  T altre  edizioni, 
ma  sempre  parean ,  parien  j  pariemi  [a] ,  uniformemente  alio 
scrìvere  d' altrì  antichi  [6J .  ^^  Sembrando  però  all'È.  R.  il^ 
rien  cosRstrana  e  si^enei^ole ,  nella  3.  rom.  ediz.  ha  restituita  la 
comune  lezione  parèn^  confortata  pur  anche  dall' antorità  del 
codice  Vaticano  3 1 99.  — -  ce  Fa  comparazione  della  grandezza  di 
»  questi  fori  a  quelli  che  sono  in  certi  battezzatori  nella  sua 
••  cniesa  maggiore  di  s.  Giovanni  di  Firenze 9  che  sono  di  talf 
»  ampiezza y  che  un  garzone  v'entra  ec.  »  Cosi  l'Antico.  —  Ih 
questa  chiosa  viene  ad  avvalorarsi  la  spi^azione  che  dà  il  can. 
Dionisi  alla  voce  battezzatori j  che,  secondo  lui,  signi6ca  bat- 
tisterfj  e  noni  ministri  che  battezzano,  dovendosi  pronunziare 
largo  l'o  di  questa  voce.  E.  F.<4-«  meno  ampi^  né  ec»  Permeglio 
espnmersi  (  chiosa  il  Landino  )  aggiunge  che  erano  a  simili- 
tudine di  quelli  quattro  pozzetti ,  i  quali  uel  tempio  del  Bat- 
tista Giovanni  sono  intorno  alla  fonte  posta  uel  mezzo  del  tem- 
pio ,  fatti  perchè  vi  stiano  i  preti  che  battezzano ,  acciuccjiè  stia- 
no piii  presso  all'acqua .  Al  tempo  del  Landino,  come  da  que- 
sto di  lui  modo  di  parlai^ apparisce,  esisteva  cotal  battistero; 
né  fu  demolito  se  non  (  testimonio  il  Rica  [e]  ),  del  1376,  oes- 

[a]  Vedi  Purg.  vfi.  84  ,xii.  67.,  xix.  4^.,  xx.  3o.  e  i48.  [6]  Tedi  lb> 
-strofini.  Teoria  e  Prospello  de'  verbi  italiani ^  sotto  il  wrbo  Pmrwrt^ 
n.  5.  [e]  Notti,  delle  Chiese  Fioienline.  tom.  5.  P.  •• 


CANTO  XIX.  4oi 

L' ano  de'  quali ,  ancor  non  è  niolt'  anni ,        1 9 
Rupp'  io  per  un ,  che  dentro  v'  annegava  : 
£  qaesto  sia  suggel,  ch'ogni  uomo  sganni . 

salo  essendo  l'antico  costmne  di  non  battezzare  (  fuori  del  caso 
di  necessità  )  bambini  che  nel  sabato  santo  e  nella  vigilia  di 
Pentecoste  [a];  costarne  che,  apportando  necessariamente  folla 
di  gente  y  aveva  indotto  il  bisogno  di  provvedere  i  preti  bat* 
tezzauti  di  simili  stalli.  »-» Bella  chiama  la  chiesa  del  suo  saa 
Giovanni ,  come  bella  comparisce  anche  oggidì ,  di  diseguo  però 
antico,  che  si  perde  in  troppo  minute  spartizioni,  ma  s\elta^ 
grandiosa  e  tutta  di  marmo.  Poggiali.  -Tutto ciò  che  il  Poeta 
qui  dice,  dal  u.  i6.  sino  al  21.,  raffredda,  anzi  che  no,  TaUen- 
done  del  lettore,  nò  si  potrebbe  perdonare  al  Poeta ,  riflette  il 
sig.  Biagioli ,  se  non  vi  si  vedesse  chiaro  V  intenziou  sua  di  ren- 
der ragione  d'un  fatto  che  i  suoi  nemici  imputa vangli  a  maU 
vagio  fine.  Adunque,  per  liberare  un  fanciullo  caduto  in  uno 
di  quei  fori  del  battisterio,  spezzò  Dante  col  robusto  suo  brac- 
cio la  bocca  del  pozzetto,  ev'era  per  annegai*si,  e  lo  liberò. 
I  nemici  attribuivangli  quest'  atto  a  empietà ,  e  però  dà  questa 
testimonianza  pubblica  a  disinganno  d*ognuno.  4-« 

19  ao  L'uno  de^ quali  j  la  Nidob.;  J^ un  degli  quali  j  Tal- 
tre  edizioni  ;»-¥£* un  delti  quali  j  il  Vat.  3 1 99«^-a  Aupp^io  ec. 
Intervenne  (  prosiegue  il  Landino)  che,  essendo  piìi  ianciuUi 
nel  tempio  di  s.  Giovanni,  e  scherzando,  siccome  è  di  lor  co- 
stume, uno  cadde  in  un  de* pozzi,  doppio  (cioè  colle  gambe 
rivolte  alla  vita;  positura  atta  a  fbrmai'e  incaglio  )  e  non  se  ne 
potendo  per  altra  via  cavare,  vi  s'abbattè  Dante,  e  di  sua  ma- 
no ruppe  il  pozzo,  e  scampò  il  fanciullo. -i^*an/ie^ai^a,  per 
vi  si  soffogava,  perdeva  il  respiro,  a  cagione  del  predetto  in- 
doppiamento  dei  di  lui  corpo.  Quando  non  voglia  supporsi  che 
per  rottura  fosse  l'acqua  della  fonte  penetrata  nella  cavità  stes- 
sa in  cui  era  il  fanciullo  caduto. 

a  f  E  questo  sia  ec. ,  la  Nidob.  ed  altri  testi  (*  fira'  quali  il 
Cass.  E.  R.  )  ;  «^/Ea ,  la  Gcmiiniana  e  Taltre  recenti  ediz.  »-»  e  il 
Vat.  3199.4-C  *  Deve  intendersi:  E  questo  (cioè  questi)  che 
io  scampai  sei*va  a  disingannare  chiunque  opinasse  che  ciò 
fatto  avessi  per  ostentazione  (come  il  Postillatore  Cass.):  dice*^ 

[a]  Vedi,  tra  gli  altri.  Durante  »  Itb. 6.  Bapt. 

roL  /.  v(ì 


4o2  INFERNO 

Fuor  della  bocca  a  ciascun  soperchiava  21 

D'un  peccatore  i  piedi,  e  delie  gambe 
Iiiiiuo  al  grosso,  e  1* altro  dentro  stava. 

Le  piante  erano  accese  a  tutti  iotrambe;         a5 
Perchè  sì  forte  guizzavan  le  giunte , 


bant  eniaiy  quod  fecerat  ad  pompam  ee.;  ovvero  per  violare 
le  cose  sacre  ec.  (Cosi  glossa  il  Lsindiao)  E.  R. 

22  e  segg.  -*  Il  Postili,  del  cod.  Gaet.,  che  j  come  già  dicem- 
mo,  v'è  fondamento  di  credere  che  sia  stato  .A&rji/io  Ticino, 
prende  cosi  a  dimostrare  la  congruenza  del  gastigo  de* simo- 
niaci: Dal  rectam  poenam  isùs  Praelmis  y  qui  debebant  hor 
bere  inentem  ad  Deuni ,  et  speculari  caeiestiaj  et  ierrefut  de- 
spicerej  et  sequi  vestigia  Chrisiij  cuius  yicem  gerani  in  hoc 
mundo  j  et  fatentur  ;  sed  oppositum  fecerunt  ;  ideo  oro  poena 
habent  mentem  in  terra ^et  pedes  odDeum^  quasi eiicereniiin 
toto  sperno  caelestia,  et  terrena  volo  possidere  ec.  II  Laih 
dino  mterpreta  pur  esso  così  ;  e  chi  aa  che,  attesa  la  nota  fami- 
liarìtà  di  Landino  con  Macsilio  Ficino,  le  idee  dell'uno  noesi 
cambiassero  con  quelle  dell'altro,  ed  insieme  compissero cpel 
profondissimo  comento  che  si  conosce  sotto  il  nome  del  Lan- 
dino? E.  R.  -  bocca  j  imboccatura,  orifizio;  a  ciascun y  intendi, 
toro  ;  soperchiat^a  ^t  soperchiavano  (ad  imitazione  delFalti* 
ca  discoi*danza),  avanzavano  fuori.  »-►«  Io  non  credo,  dice  il 
»  Biagioli,  che  ad  alcun  popolo  del  mondo  siano  mai  state  cod- 
»  cesse  le  discordanze,  e  che  niun  autore,  se  non  per  eirofVi 
»  siasi  mai  permesso  di  fame  ;  e  però  affermo  che  il  Poeta  ha 
»  detto  soperchiava  j  nel  numero  dell'uno,  perchè  delle  parti 
»  annoverate  n'ha  composto  un  sol  tutto,  ima  sola  unità,  e 
a>  questa  ha  avuto  poi  in  riguardo.»  <-« 

23  24  D^un  peccatore  i  piedi  j  la  Nidob.;  D*un  peccatar 
li  piedi  f  l'altre  edizioni,  •-►e  coi  codd.  Ang.  e  Vat.  3199  la 
3.  rom.  ediz.  «-«  e  delle  gambe  jìalen^  porzione  j  per  ellissi 
taciuta.  —  Infino  al  grosso  j  fino  alla  polpa  ;  e  ToAra ,  il  ri- 
manente del  corpo,  dentro ^  del  foro,  staila. 

20  Le  piante ,  le  parti  inferiori  de'  piedi.  Vocab.  della  Cr. 
'^ accese  j  intendi,  da  fiamme  che  le  investivano.  —  intrambe^ 
tutte  e  due.  •-»  a  tutti  accese  intrambe ,  l' Ang.  E.  R.^-* 

^^  guizzavan ,  si  contorcevano;  le  giunte  j  le  giunture j  comi- 


CANTO    XIX.  4o3 

Che  spezzate  averian  ritorte  e  strambe. 
Qual  suole  il  fiammeggiar  delle  cose  unte      :i8 

Muoversi  pur  su  per  T estrema  buccia, 

Tal  era  lì  da' calcagni  alle  punte. 
Chi  è  colui ,  Maestro ,  che  si  cruccia ,  3 1 

Guizzando  più  che  gli  altri  suoi  consorti , 

Diss'  io,  e  cui  più  rossa  fiamma  succia? 

messwrBf  o  articoli  y  tpiegano  il  Venturi  j  il  Volpi ,  e  ittui  con- 
cordemente gli  Espositori.  La  descrizione  però  del  cavallo  che 
Ùl  il  Pulci  nel  suo  Morgante  [ài ,  richiede  che  fet  giunte  »  no« 
articoli,  ma  membri  sMntendano: 

£gli  era  largo  tre  palmi  nel  petto , 
Corto  di  schiena  y  e  ben  guari  aio  tutto  f 
Grosse  le  gambe  ^  e  d*ogni  cosa  netto  y 

Corte  le  giunte 9  e  il  pie  largo,  altOf  asciutto  ec* 
Piuttosto  adunque  per  giunte  intenderei  io  i  colli  de* piedi.  E 
di  fiitto,  intendendosi,  come  il  Landino  chiosa ,  che  non  notes- 
sero  costoro  mover  le  gambe,  perchè  erano  rinchiuse  nel  poz- 
zo j  non  restava  ad  essi  da  potere  agitare  altro  che  il  collo  dei 
piedi. 

27  ritorte  e  strambe  •  Ritorta ,  legame  fatto  di  ramicciuoli 
o  vermene  attorcigliate  da  legare  fastella  (fàsci  di  legna)  ;  Crom- 
ia, corda  fatta  non  per  via  di  torcere,  ma  d'intrecciare  fili 
d' erbe  tra  loro  •  Venturi  .  Qui  però  dee  stramba ,  spezie  di  fu- 
ne,  intendersi  pel  genere,  e  come  se  avesse  detto  ritorte  e  funi . 

ao  pur^  solamente.  —  estrema  buccia  ^  per  la  parte  super- 
ficiale. 

3o  da' calcagni  alle  punte.  Punta  del  piede  dicesi  la  pai*te 
dove  sono  le  dita  ;  onde  da'^  calcagni  alle  punte  vale  lo  stesso 
che  in  tutta  la  suola  del  piede. 

3  a  Guizzando  più ,  contorcendo  i  piedi  assai  piti .  »-»  con- 
sorti qui  vuol  dire  sottoposti  ad  una  medesima  disgraziata 
sorte*  PocoiALi.  4-« 

33  più  rossa j  più  ardente.  —  succia.  Succiare  j  che  anche 
dicesi  sucdiiaref  significa  propriamente  attrarre  a  sé  Vtunore 
e  il  sugo  [6J,*  ma  qui  pel  diseccare  ed  ardere  che  fa  la  fiamma 

[aj  Canto zv.st.  10;.  [b]  Vocsb. della  Crusca. 


4o4  INFERNO 

Ed  egli  a  me  :  se  tu  vuoi  che  ti  porti  34 

Laggiù  per  quella  ripa,  che  più  giace , 
Da  lui  saprai  di  sé ,  e  de'  suoi  torti . 

Ed  io:  tanto  m' è  bel  quanto  a  te  piace:  87 

Tu  se'  Signore ,  e  sai  eh'  io  non  mi  parto 
Dal  tuo  volere ,  e  sai  quel  che  sì  tace . 

AUor  venimmo  in  su  l'argine  quarto;  4^ 


34  che  ti  porti j  la  Nidob.;  ch^C  ti  porti j  l'altre 
•-♦e  cosi  il  Val.  Sigg,  seguito  nella  3.  rom.  ediz.,  a  fine  di 
aggiungere  al  porti  ^  a  maggior  chiarezsa,  il  nominativo  re- 
golatore .^-c 

35  che  più  giace  j  eh' è  meno  alta;  perocché  verso  il  cen- 
tro si  andavano  quelle  ripe  di  mano  in  mano  abbassando. 
m^  quella  ripa^  che  più  giace  non  vuol  dire  quella  ripa  c&*è 
meno  alta,  ma  si  bene  quella  che  ha  una  base  piti  eslesa,  che 
giace  sopra  maggior  larghezza  di  suolo ,  e  perciò  è  fiii  dolce 
e  di  piii  fàcile  discesa .  •«-« 

36  forft'y  torte  operazioni , peccati.  •-►Altrispiegaiio;de*jiioi 
torti j  cioè  dell'ingiurie  maggiori  che  gli  sono  fiitte  nell'esse- 
re piii  degli  altri  cosi  tormentato.  4-c 

òy  al  39  e  sai  quel  che  si  tace  y  conosci  il  pensier  mio  sen- 
za che  te  lo  manifesti  con  parole  ;  e  però  anche  nel  e.  xru  ver- 
so 118.: 

Ahi  quanto  cauti  gli  uomini  esser  denno 
Presso  a  color,  che  non  'veggon  pur  Vopra^ 
Ma  per  entro  1  pensier  miran  col  senno  ! 
»-»  tanto  TìCe  bel ,  cioè  m'aggrada ,  dal  provenzale  tan  nitA- 
bellis.  E.  F.  —  Pieni  di  grazia,  d'onesta  cortesia,  e  attissimi 
a  muover  l'animo  di  Virgilio  sono  questi  versi;  e  chi  gli  ode 
una  volta,  non  se  ne  scorda  piii.  Biaoioli  .  4-« 

4o  jillor  t^enimmoj  intendi  portato  Dante  da  Virgilio. 
•-►  Disapprova  il  Biagioli  questa  interpretazione ,  volendo  che 
Virgilio  non  abbia  portato  Dante  che  per  la  rìpa  del  fosso, 
aspra,  malagevole,  e  forse  impossibile  a  scendere  e  a  salire 
ad  uomo  vivo.  Però  sol  dopo  u  Volgemmo  s'ha  adintenderp 
che  Virgilio  l'abbia  levato  su  la  sua  anca.  Questa  chiosa,  se 
pur  non  siamo  in  errerei  puzza  un  tantino  di  sottigliezza  e  di 
sofisticheria  •  <-• 


CANTO  XIX.  4oo 

Volgemmo,  e  discendemmo  a  mano  stanca 
Laggiù  nei  Ibndo  foracchiato  ed  arto. 
E  1  baon  Maestro  ancor  dalla  sua  anca  4  '^ 

Non  mi  dipose,  sin  mi  giunse  al  rotto 
Di  quel  che  si  piangeva  con  la  zanca . 


4i  mano  stanca y  mftno  sinistra.  Vedi  il  Vocabolario  della 
Grnsca  [a];  e  dicesi  tuttora  in  Bologna.  m-^F'olgendo  e  di" 
icendendoj  legge  TAng.  E.  R.  4-c 

4^  fondo  foracchiato ,  pieno  di  fori  contenenti  peccatori . 
^arto  per  istrettOj  dal  latino  arctus,  l'adopera  Dante  an- 
che nel  Farad.  \b].  Dalla  strettezza  essersi  queste  cavità  ap» 
pelltte  bolge j  è  detto  al  »».  i.  del  canto  precedente,  m^arto  j 
perchè  foracchiato;  menti-e  tanto  vi  perdea  di  fondo,  quanto 
v'era  di  vano .  ToaiLLi  <-« 

43  ancay  Tosso  che  è  tra  il  fianco  e  la  coscia,  sopra  cui  lo 
portava.  VinTuai. 

44  •^non  mi  dispose  y  legge  malamente  il  Vat.  3 199.  «hi 
rotto  per  rottura  e  foro. 

45  Diquel  y  la  Nidob.;  Di  quei,  l'altre  ediz.  ^pianget^a  con 
la  zanca,  m^ zanca  per  zampa  y  gamba y  è  termine  non  per 
^che  intiqoato.  Poggiali. 4-c  (con  la  tanca ,  per  cagione  della 
nma ,  invece  di  con  le  zanche).  Piangere  dee  qui  Dante  avere 
adoprato  o  nel  medesimo  proprio  senso  del  latino  piangere  y 
che  significa  battere  y  o  allusivamente  air  originaria  cagione, 
per  cui  si  fa  esso  piangere  y  sinonimo  di  lugere;  quia  (spiega 
Roberto  Stefiino  nel  suo  Tesoro  Latino)  in  ipso  luctupectora 
piangere  solemus  .*  onde  vedesi  che  non  tanto  esso  verbo  si^ 
gaifica  lagrinune  y  quando  dar  segno  di  dolore*  Nel  pi'tmo 
^eoso  piangeva  con  la  zanca  varrà  quanto  Aa^le^a ,  o  sbat" 
leva  con  le  zanche  :  »^  e  in  questo  senso  lo  prende  il  Pog- 
fi[idÌ4-«  nell^altro  vorrà  dire  che  da%fa  segno  di  dolore  col  di" 
^^attimento  delle  zanche .  Né ,  per  fine  y  appar  ragione  che  non 
potesse  l'acutissimo  nostro  Poeta  usare  cotal  verbo  colla  mira 
iQsieme  ad  amendue  i  detti  sensi .  »-►  Anche  il  Torelli  combina 
^^1  Lombardi,  e  crede  che  Dante  usi  qui  il  verbo  piango  per 
piango  nel  significato  latino  primitivo,  derivandolo  da  plangoy 

>]  Alla  voce  Stanco,  [b]  Canio  zzviii.  v,  33. 


4o6  INFERNO 

O  qua!  che  se' ,  che  1  di  su  tien  di  sotto ,       4^ 
Anima  trista,  come  pai  commessa, 
Comincia'  io  a  dir,  se  puoi,  fa' motto. 

Io  stava ,  come  1  frate  che  confessa  49 

Lo  perfido  assassin,  che,  poi  eh*  è  fitto. 
Richiama  lui,  perchè  la  morte  cessa. 

Ed  ei  gridò:  se'  tu  già  costi  ritto,  Si 

percutio  ;  e  cosi  piangeva  vuol  dir  percuotm^a^  e  foise  Dante 
«crisse  piangeva^  -Qui  ride  il  Biagioli  a  spese  del  Lombardi  j 
dandoci  di  questo  verso  la  seguente  spiegazione:  //  quale  j  guiz* 
zando  più  che  gli  altri  suoi  consorti  y  dava  sì  gran  segni  di 
dolore •  -Gli  editori  della  E.  F.  amerebbero  di  leggere  piut- 
tosto si  piangcuay  cioè  si  doleva  y  in  francese  seplaignait.^^ 

46  guai  che  per  qualunque,  [a]  -*  che  7  di  su^  la  parte 
del  corpo  che  dovrebbe  star  di  su;  -fien  per  tieni ^  apocope. 

47  commessa  per  messa  y  fitta  • 

48  fa*  motto  y  parla* 

49  al  5 1  lo  stava ,  ec.  Accenna  qui  Dante  una  orrìbile  seru 
di  supplizio  praticata  a' suoi  tempi,  ch'era  d'impiantar  le  pela- 
sene vive  col  capo  in  giìi  in  una  buca  scavata  a  tale  efietto  nel 
terreno  y  e  poscia ,  col  gettar  terra  nella  buca  medesima  y  so&> 
focarle.  Appella  vasi  cotal  genere  di  motte  propagginare  j  pe- 
rocché a  somiglianza  del  propagginar  delle  viti  e  d'altre  pian- 
te •  Vedi  il  Vocab.  della  Cr.  Vuole  adunque  il  Poeta  dire  che, 
come  al  frate  (suppone  che  i  soli  frati  assistessero  aggiusti- 
ziandi)  richiamato  a  confessare  di  nuovo  il  reo,  mentre  sta  già 
nella  buca ,  conviene,  per  udirlo,  abbassare  l'orecchio  alla  bu- 
ca; casi  erasi  egli  abbassato  per  udir  ciò  che  dal  fondo  delia 
buca  rispondess^li  quel  dannato  :  e  tocca  di  passaggio  come 
richiamandosi  dal  reo  il  confessore,  sospendevano  i  carnefici 
di  gettar  terra  nella  buca  per  dare  a  colui  morte  ;  ch'è  ciò  che 
vuol  dire  perchè  la  morte  cessa y  intendi,  inianio  che  si  con^ 
fessa.  »-^Cosi  anche  il  cav.  Monti:  cessay  cioè  resta  sospesa 
per  tutto  il  poco  di  tempo  che  dura  la  confessione  \b'\ .  4-« 

Sa  53  Edei  gridò  e  intendi  l'anima  di  Niccolò  IIL,  dì  cui  si 
pirla  appresso.  »-^S«l  carattere  di  questo  Pontefice,  Tedi  Gio- 

(  tt]  Cinon.  Partfe.  io8.  1 1.  [b]  Prop.  vói,  i.  P.  a.  fac  i5$. 


CANTO  XIX.  407 

Se  tu  già  costi  riito,  Bonifazio?    . 
Di  parecchi  anni  mi  mentì  lo  scritto . 

Tanni  Villani ,  Star.  lib»  7.  cap.  53. 4-c  Se*  tu  già  costì  ritto  ^ 
ec.  —  Tui  che  ^tai  costi  in  piedi,  sei  tu  Bonifazio?  Cosi  ne 
dice  il  Venturi  qualche  cosa ,  dove  sii  altri  affatto  taciono.  Du- 
bito io  però  che  ritto  non  sia  qui  il  preteso  aggettivo)  ma  una 
voce  niente  significaute^  ed  aggiunta  per  mera  proprietà  di  lin-* 
guaggìo  ;  e  che  scrivesse  Dante  costiritto ,  o  forse  costiritta ,  co- 
me trovasi  scritto  auirittay  quicirittai  qmrìrittaeCk  [a]»-»Que* 
sto  dubbio  del  P.  Lombai*di  è  corroborato  dal  cod.  Cass. ,  che 
ha  unita  questa  parola  io  ambidue  i  versi ,  e  porta  chiaramente 
costiritia.  I  coda.  Caet.  e  Ang.  sono  colla  volgar  lesione.  E.  II. 
—  e  cosi  il  Vat.  3 199.  ♦^ 

Bonifazio  VIIL  (  che  è  quello  che  viene  qui  accennalo) 9 
uomo  di  grand* animo  e  di  gran  mente)  ma  pui*e  tacciato  come 
ambizioso  di  signoreggiare  >  e  d'avere  usato  per  questo  fine  alti 
non  del  tutto  buoni  e  lodevoli ,  benché  non  mancano  scrittori 
che  ciò  negano  e  lo  giustificano.  Vehtubi.  »-»Av verte  saggia-* 
mente  a  questo  passo  il  sig.  Poggiali  che  Dante  togliesse  pre-* 
testo  di  satirizzare  contro  1  tre  Pontefici  di  lui  contemporanei  9 
Niccolò  III.  9  Bonifazio  VIIL  e  Clemente  V.,  perchè  y  quando 
scrisse  il  poema,  si  trovava  egli  impegnatissimo  nella  fazione 
Ghibellina,  fautrice  della  Potenza  imperiale,  nemica  fin  d  al^ 
lora  del  dominio  temporale  de* Papi.  —  La  ragione,  per  cui 
gli  collocò  tra' simoniaci ,  riguardo  ai  due  primi ,  si  fu  per  avere 
essi  profusi  Benefizi,  Vescovadi,  Cardinalati,  rendite  e  stati 
eoclesiastici  ai  loro  parenti ,  ed  ai  fautori  del  temporale  domi- 
nio ed  ingrandimento  della  Chiesa;  riguardo  poi  al  terzo,  cioè 
a  Clemente  V.  francese,  per  essere  stato  fatto  Pontefice,  per 
quanto  ne  dicono  gli  Storici  di  lui  malevoli ,  per  opera  del  Ae 
ai  Francia  Filippo  iV.,  colla  tacita  o  espressa  promessa  di  ti*a- 
sferire  la  Santa  Sede  in  Francia. 4-« 

54  al  56  Di  parecchi  anni  mi  mentì  lo  scritto^  la  profezia.  Ac- 
cenna che  Niccolò  III.  prevedesse  la  morte  diBoniiazio  tre  anni 
dopo  di  quel  i3oo,  come  realmente  segui. Per  cotesto  scritto 
tutti  (a  quanto  veggo  )  gli  Espositori  intendono  letteralmente 
una  qualche  scritta  profezia  o  cabala  ;  ma  avendo  Dante ,  Inf. 
e.  X.  V.  100, ,  dotate  l'anime  dannate  di  previsione,  questa  è  io 

[n]  Vedi  lì  VocHb.  JcUa  Cr. 


4o8  INFERNO 

Se'  tu  sì  toslo  di  queir  aver  sazio,  55 

Per  lo  qual  non  temesti  torre  a  ingaono 
La  bella  Donna,  e  di  poi  farne  strazio? 

Tal  mi  fec  io,  quai  son  color,  che  stanno,     53 
Per  non  intender  ciò  eh'  è  lor  risposto, 
Quasi  scornati ,  e  risponder  non  sanno . 

AUor  Virgilio  disse:  dilli  tosto,  6i 

Non  son  colui,  non  son  colui  che  credi. 
Ed  io  risposi  come  a  me  fu  impósto  j 

Perchè  lo  spirto  tutti  storse  i  piedi:  64 

Poi  sospirando,  e  con  voce  di  pianto 
Mi  disse  ;  dunque  che  a  me  richiedi  ? 


scritto  metaforicamente  detto,  né  v'è  bisogno  d'altra  profe- 
sìa  o  cabala.  «—  auer,  ricchezze.  —  torre  a  ingaìino  vale 
quanto  sposarti  con  inganno  j  fiitto,  intendi,  a  s.  Pier  Celesti- 
no. Vedi  la  nota  al  canto  in.  di  questa  cantica,  %f.  69. 

57  La  bella  Donna ,  la  Chiesa ,  non  habentem  (^come  seri  ve 
s.  Paolo)  maculam,  aut  rugam,  aut  aliquid  huiusnuydi  [aj. 
—  farne  strazio^  avvilii4a  col  mal  governo.  •-►Allude  ai  ma* 
neggi  tenuti  da  Bonifazio  VITI,  con  Cario  IL,  re  di  Napoli,  contro 
Celestino  V.  Questo  Monaco  di  santa  vita,  e  che  ora  veneriamo 
sugli  altari,  fu  da  Bonifazio  costretto,  come  si  è  altrove  accen- 
nato ,  a  rinunziare  alla  dignità  pontiGcia  un  anno  dopo  la  sua 
elezione  ;  e  rinchiuso  nella  rocca  di  Fumone  in  Campagna ,  po- 
co dopo  vi  morì .  «hi  [&] 

58  al  60  oìud  sonj  la  Nidob.;  qua" son j  l'altre  edizioni 
»-»>  e  il  Yat.  o  199.  —  Questi  versi  dipingono,  e  sempre  piii  si 
scorge  il  mirabile  ingegno  del  Poeta  nostro  di  saper  trarre  dalle 
minuzie  stesse  le  bellezze  della  semplice  natura,  che  piùdilet* 
tano  che  le  superile  immagini  e  le  magnifiche  parole.  L'attuale 
stato  del  Poeta  offre  il  suggetto  d'un  bel  quadro  a  chi,  con 
ischietti  e  forti  colori,  la  confusione,  T incertezza  e  la  aospen- 
sion  d* animo  sa  in  tela  ritrarre.  Biaoioli .  •«-« 

[a]  Ephes,  V,  vtn,  [b]  Gio.  Villani  Sion  lib.  8.  cap.  5.  e  6. 


CANTO  XJX.  409 

Se  di  saper  oh'  io  sia  ti  cai  cotanto,  67 

Che  tu  abbi  però  la  ripa  scorsa, 
Sappi  eh'  io  ibi  vestito  dei  graa  mfiiito: 

£  veramente  fui  (igliuol  dell'  Orsa,  70 

Cupido. sì,  per  avanzar  gli  Orsatti, 
Che  su  l'avere,  e  qui  me  misi  in  borsa* 

Di  sotto  al  capo  mio  son  gli  altri  tratti,  73 

68  la  ripa ,  tra  l'alto  deiramne  e  auel  fondo.  Vedi  il  %f.  36« 
mt^corsa^  in  luogo  dì  scorsa ,  legge  u  Val.  3 1^9,  —  Che  tu 
n^abbi  però  ec^  legge  il  cod.  Poggiali  con  miglioramento  del 
verso  e  deirespressione*  4-c 

69  gran  manto  ^  ponti  Scio . 

70  ftgliuol  del r  Orsa.  -  Orsa^  stemma  della  famiglia  Orsi- 
ni  9  per  la  &miglia  medesima .  Qui  si  parla  di  Niccolò  IH.  som* 
mo  Pontefice,  della  Simiglia  nobilissima  Orsini  di  Aoma,  pò* 
sto  da  Dante  fira' simoniaci:  ma  altri  tengono  che  fosse  degno 
Pontefice.  Volm.  •-►Fq  generoso ,  di  gran  consiglio 9  di  buona 
vita,  grand^amatore  e  fautore  delle  persone  dotte 9  giusto  nel 
dispensare  le  dignità  e  gli  onori  ;  ma  amò  talmente  i  suoi  y  che 
usò  ogni  modo  per  arricchirli.  Tra  le  altre  cose  ebbenell'ani- 
mo  di  fare  della  famiglia  Orsini  due  Re»  Tuno  di  Toscana,  che 
tenesse  in  fireno  i  Francesi,  che  possedevano  la  Sicilia  e  il  re- 
gno dì  Napoli;  T altro  di  Lombardia,  che  tenesse  in  freno  i 
ì^ermani,  che  abitavano  una  parte  dell'Alpi*  PoaTiauLi.  «^J? 
yeramente  ec.  Orsa  è  animale  cupido  :  prima  divora  che  esa- 
mini quel  che  mangia.  Cosi  l'Antico,  citato  nella  E.  F.  ♦-• 

7 1  Orsatti^  figli  dell'Orsa ,  per  que' della  famiglia  Orsini» 
73  Che  su  ec.;  costruzione  :  che  misi  in  borsa  su ,  nel  mon- 
do ,  Pavere  j  il  danaro,  e  ^111,  nell'Inferno,  nie,*  cioè,  misi  me 
bi  questo  foro,  come  danaro  in  borsa .  »♦»  È  aa  sapere  che  co- 
»  stoì  fue  corrotto  per  pecunia,  della  quale  elli  era  vago,  da 
tt  messer  lan  di  Procida,  trattatore  della  ribellione  di  Sicilia; 
»  onde  elli  assentie  alla  detta  ribeUione,  e  del  detto  assentii 
»  mento  acrisse  lettere  alli  congiurati  ;  ma  non  le  boUoe  con 
»  papale  bolla  ec.»  Chiosa  deirAntico  ripcniata  nella  E.  F  4-« 

73  al  75  Di  sotto  al  ec.,*  sinchisi  la  è  questa,  di  cui  dee 
essere  la  costmzione:  Di  sotto  al  capo  mio,  tratti  per  lafes» 
stira  della  pietra ,  cio^  pel  foro  medesimo,  in  cui  son  io  ora 


4io  INFERNO 

Che  precedetter  me  simoneggiando, 
Per  la  fessura  della  pietra  piatti. 

Laggiù  cascherò  io  altresì ,  quando  76 

Verrà  colui ,  ch^  io  credea  che  tu  fossi ,       ' 
AUor  eh'  io  feci  '1  subito  dimando  • 

Ma  più  è  '1  tempo  già,  che  i  pie  mi  cossi,      79 
E  eh'  io  son  stato  cosi  sottosopra , 
Ch'  ei  non  starà  piantato  coi  pie  rossi; 

Che  dopo  lui  verrà  di  più  laid'  opra  82 

Di  ver  ponente  un  Pastor  senza  legge, 
Tal  che  convien,  che  lui  e  me  ricuopra. 

Nuovo  lason  sarà ,  di  cui  si  legge  85 

« 

impiantato:  sono  piatti^  appiattati,  nascosti  (distesi  e  non 
dritti  sottosopra  j  com'era  luiy  chiosa  il  VcUutello),  gii  al" 
tri,  che  precedetter  me  simoneggiando*  m^piatti  per  nor 
scosti j  anche  Torelli,  ^^m 

'j'j  colui  jF^psi  Bonifazio  suddetto. 

78  dimando f  richiesta,  che  fu  quella:  se*  tu  già  costi  nt^ 
to  ec.  V.  52. 

79  all' 84  Ma  più  è  7  tempo  ec.  Fingendo  Dante  questo  suo 
viaggio,  come  al  primo  verso  del  primo  canto  si  è  avvisato^ 
nell'anno  1 3oo,  venivano  ad  essere  già  anni  venti  che  Niccolò 
(morto  nel  1280  [a])  stava  in  quella  positura;  e  tra  la  motte 
di  Bonifazio  Vili,  e  quella  di  Clemente  y«  (che  ò  quel  Pastor 
che  dice  t^rrà  di  s^er ponente j  cioè  dalla  Francia,  dalla  Gua- 
scogna, eh 'è  al  ponente  di  Roma)  corsero  aj^na  anni  undi- 
ci \b].  Dice  adunque  vero  Niccolò,  ch*era  già  più  tempo  che 
se  ne  stava  egli  in  quella  positura  y  di  quello  stato  vi  sarebbe 
dopo  di  lui  Bonifazio .  —  pie  rossi  vale  accesi ,  come  disseti 
nel  u.  a5.  di  qiìesto  canto.  »-^  Che  di  pò* lui ^  al  i^.  8 a. 9  l^ggc 
il  Vat.  Stgg.  •«-« 

85  air  87  Nuowjf  lason  ec.  Paragona  Clemente  V.,  peroc^ 
che  eletto  Pontefice  pel  preteso  &vore  di  Filippo  il  Bello  9  re 
di  Francia,  al  perfido  lasone  per  favore  d'Antioco  £ato sommo 

[»]  Vedi  gli  Krilton  delle  Vite  de' Papi,  [b]  Vedi  siiacnttori  iMdesiw. 


CANTO  XIX.  4ti 

Ne'  Maccabei  ;  e  come  a  quel  fii  moDe 

Suo  Re,  cosi  ila  a  lui  chi  Francia  re^e. 
Io  non  so  s' i'  mi  fui  qui  troppo  folle  :  88 

Ch'  io  pur  risposi  lui  a  questo  metro  : 

Deh  or  mi  di'  quanto  tesoro  volle 
Nostro  Signore  in  prima  da  san  Pietro ,         91 

Gh*  ei  ponesse  le  chiavi  in  sua  balia  ? 

Certo  non  chiese,  se  non:  viemmi  dietro. 
Né  Pier ,  ne  gli  altri  chiesero  a  Mattia  94 

Oro,  o  argento,  quando  fu  sortito 

sacerdote»  come  si  teme  nel  lib.  a.  e.  4*  de'Maccabei  :  A  difesa 
diGlemeiitey.scrìveNat.  Alessandro  :  Conftdas  in  eius  odium 
calumniaSf  ob  sedis  in  GiUliam  traslationem  t  et  ordinis 
T&nplariorum  extinctionemy  Itali  seriptores  ^vulgarunt  [a], 
--^  molle  per  arrendeifole  à*prieghi  j  ^erfai^reyole.th^Qiiia 
promisit  regi  Frandae  qmdquidj  ut  esset  Papa*  Cosi  il  Po* 
stili,  del  codice  Gaetano.  E.  n.  4-c 

88  folle  j  per  ardimentoso  a  riprendere  tali  e  tanti  perso- 

89  a  questo  metro,  cioò  a  questo  modo •  VbiluteIiLO* 

90  al  ga  Deh  or  ec»i  costruzione:  mi  dV quanto  tesoro  nO" 
Siro  Signore  volle  da  s.  Pietro  in  prima  (  vale  lo  stesso  che 
prima ,  avanti)  che  ponesse  le  ahiavi ,  della  Chiesa,  in  sua  ba^ 
Ha  j  in  suo  ari>itrìo?  "Ch^eij  legge  la  Nidob,;  Che,  l'altre  edi« 
rioni.  •-♦  Nostro  Signore  in  pria  che  a  santo  Pietro 9  —  Ei 
ponesse  le  chiavi  in  sua  balia?  ha  TAng.  E*  R«»  —  e  il  Vat* 
3199  legge  i  suddetti  due  versi  cosi:  Nostro  Signore  impria 
da  San  Petro^  -  Che  U ponesse  le  chiavi  in  balla?  4-c 

93  »^  Certo  no  i  chiese ,  se  nom  Viemmi  retro  j  legge  il 
Vat.  3 199. 4-c  Viemmi  dietro,  Sequere  me^  cosi  nel  Vangelo 
di  s.  Giovanni y  e.  ai. 

94  chiesero .  »^  G>si  leggono  la  volgata ,  il  ood.  Gaet,  il  sig. 
PortireUi  ed  altri:  il  P.  L.  nella  «uà  raiz.  del  1791  vi  aveva 
soatitnito  tolsero  senza  recarne  alcuna  ragione  ;  ma  forse  egli 
tolse  questa  lenone,  dice  TE.  R.,  dal  cooL  Angelico»  4-c 

[n]  Saee,  siv.  cap.  9.  art.  i. 


4ia  INFERNO 

Nel  luogo,  che  perde  raaima  ria . 

Però  ti  $ta,  che  tu  se' bea  panilo,  97 

E  guarda  ben  la  mal  tolta  moneta , 
Ch'esser  ti  fece  contro  Carlo  ardito: 

E  se  non  fosse ,  eh' ancor  lo  mi  vieta  100 


96  Vanima  ria^  Giada,  in  di  ed  hiogo  fusoscitoito  ••  Mat- 
tia .  »^  Al  luogo  I  legge  elegantemeiite  l'Ang.  E.  R.  -^  e  cod 
il  Val.  3 199..  4^ 

97  »-^cAè  per  poiché^  così  nói,  interpretando  :  Però  tire-- 
staj  poiché  ben  giusta  ò  la  tua  punizione»  <-« 

98  E  guarda  ben  ec.j  allusivamente  a  quanto  è  detto  nella 
nota  a'  versi  1  o.  e  1 1  •  del  presente  canto;  e  fora' anche  a  quella 
imprecazione  di  s.  Pietro  a  Simon  mago:  pecunia  tua  tecum 
sit  in  perditionem  \a\  •  m^  E  guarda  ben  ec,  Gbìaro  è  questo 
testo  per  ciò  che  abbiamo  aggiunto  alla  nota  del  v.  72.  di  que» 
sto  canto.  -^ E  guarda  ben  vuol  dire  :  e  considera y  oppure 
custodisci •,  ironicamente,  TombIiLi.^-c 

99  Ch* esser  ti  fece  ec.  Accenna  qui  Dante  ciò  ohe  di  Nic* 
colò  III.  scrive  Gio.  Villani.  Ancora  imprese  tenza  (tento- 
ne, contrasto  )  col  Re  Carlo ,  per  cagione  che  il  detto  Papa 
fece  richiedere  lo  Re  Carlo  d^ imparentarsi  con  luij%^endo 
dare  una  sua  nepote  a  uno  nepote  del  Re  ;  il  quale  paren" 
tado  lo  Re  Carlo  non  volle  assentire  j  dicendo  e  perdi* egli 
abbia  il  calzamento  rosso ,  suo  lignaggio  non  è  degno  ili  mi^ 
schiarsi  col  nostro  ;e  che  sua  Signorìa  non  era  retaggio .  Per 
la  qual  cosa  il  Papa  contro  a  lui  indegnato ,  non  fu  poi  suo 
amico;  ma  in  tutte  cose  al  segreio  gli  fu  contrario  ,*  e  del 
palese  gli  fece  rifiutare  il  Senato  di  Roma  e  7  f^icariato  di 
Toscana  ec.  [&]•  Gli  Espositori  dicano  invece  che  NicocdòIIL 
richiedesse  al  re  Garlo  mia  figliuola  per  un  suo  nipote  ;  ed  il 
Volpi  e  il  Venturi  danno  al  nominato  re  Garlo  il  luogo  di  se* 
condo  malamente;  imperocché  mori  Garlo  I.  del  ia84  [c]y 
quattro  buoni  anni  dopo  Niccolò  IH.  »^  Il  Postili.  Caet.  dice 
che  richiedesse  la  figlia ,  e  dice  Carolum  prinuun*  E«  R.  «-« 

'    loo  foi  ancor f  quantunque  sii  neirinlenio.»^  Rispetto- 
sissimo sempre  mai  si  dimostra  il  Poeta  nostro  verso  le  dignità  , 

[a]  Jet,  8.  [b]  Lib.  7.  cap/54*  [e]  Gio.  VilUni  ael  cit.  lìb.  7.  csj».  94- 


CANTO  XIX.  4i3 

La  riverenza  delle  somme  Chiavi , 
Che  tu  tenesti  nella  vita  lieta , 

Io  userei  parole  ancor  più  gravi  j  i  o3 

Che  la  vostra  avarizia  il  mondo  attrista, 
Calcando  i  buoni ,  e  sollevando  i  pravi . 

Di  voi  Pastor  s  accorse  il  Vangelista ,  1 06 

Quando  colei ,  che  siede  sovra  V  acque , 
Puttaneggiar  co'  Regi  a  lui  fu  vista  ; 

Quella  9  che  con  le  sette  teste  nacque .  1 09 

ma  Musa  alcun  riguardo  alle  persone  che  le  disonorano.  Ria- 
gioì»!  .  ♦-• 

ioa  lieiaj  al  paragone  della  trista  colaggiù, 

io4  Chò YAÌeqyi perocché . 

t  o5  •-»  Calando  i  buoni  y  ha  l'Ang.  ;  su  levando  i  prayi ,  il 
detto  cod.  Ang.  E.  B.  —  e  il  Yat*  3 1 99.  —  Versi  pieni  di  nohi- 
le  sdegno»  di  verità  e  di  maschio  vigore.  Così  Boezio ^  lib.  3.; 
jit perversi  resident  celso^^Mores  solio j  sanctaque  calcant 
—  tniusta  vice  colla  nocentes.  Biagioli.  <-• 

106  al  108  Di  voi  Pastor  (per  Pastori)  si  accorse  ec.  ìtìr 
sgnaida  onesto  parlar  di  Dante  a  crael  passo  dell'Apocalisse, 
ove  dice  1  Angelo  all'Evangelista  s.  Giovanni:  F'eni ,  ostendam 
tibi  damnadonem  meretricismagnaej  quae  sedet  super  aquas 
mukas  f  cum  qua  fornicati  sunt  reges  terrae  .  • .  haòentem 
capita  septem  et  comua  decem  [a].  Sembrato  cioè  essendo  al 
Poeta ,  forse  per  avere  gli  occhi  di  ghibellinesco  atro  umore  vi- 
ziati, che  si  prostituisse  ai  Begi  la  pastorale  pontificia  dignità, 
massimamente  in  Bonifazio  Vili,  ed  in  Clemente  V.  [6] ,  pre- 
tende perciò  avere  il  Vangelista  san  Giovanni  riconosciuto  ngur 
nrsi  cotal  prostituzione  in  quella  della  riferita  meretrice.-^iiae 
sedei  super  aquas  multasy  idest  (chiosATirìno) quae praesi" 
dei ,  et  ifnperat  nudtis  populis ,  instar  aquae  paulatìm  dila* 
benùbus ,  et  sibi  invicem  succedentibus .  •-^che  sedea ,  al  ver- 
so 107.,  l'Ang.  E.  B.4-« 

1 09  Quella ,  che  ec.  Qui  Dante  (  dice  il  Venturi  )  imbroglia 
il  sacro  tcssto,  dove  le  sette  teste  unitamente  con  le  dicci  coma 

[a]  Cap.  17.  [b]  Vedi  Purgai,  xzxu.  149.  e  quella  nota. 


4i4  INFERNO 

E  dalle  diece  coma  ebbe  argomento. 
Finché  vinate  al  suo  marito  piacque  • 
Fatto  v'avete  Dio  d' oro  e  d'ai^ento:  1 1 a 

E  che  altro  è  da  voi  all'  idolatre , 
Se  non  eh'  egli  uno,  e  voi  n'orate  cento? 

non  si  dice  averle  la  meretrice ,  ma  la  bestia  sa  coi  ella  sede» 
▼a .  Monsig.  Bossuet  però  »  nella  sua  Spiegazione  deWApocO' 
lissej  dice  che  s.  Giovanni  spiega  chiaramente  che  la  bestia 
e  la  donna  non  sono  in  sostanza  che  la  stessa  cosa  [aj. 
— *  sette  teste.  Vuole  il  Landino  per  queste  sette  teste  inteso  o 
i  sette  sacramenti ,  o  (com'altri  chiosano)  i  sette  doni  dello  Spì- 
rito Santo,  0  le  sette  virtii,  tre  teologali  e  quattro  cardinali. 
Nel  canto  però  xxxii.  del  Purgatorio  non  solamente  rammemo- 
ra Dante  queste  sette  teste  medesime  [6] ,  ma  le  fii  capire  quali 
cose  distinte  e  dai  sette  doni  dello  Spinto  Santo ,  che  i%ipure 
figura  in  sette  fiaccole  [e] ,  e  dalle  teologali  e  cardinali  viitìi, 
che  in  sette  donne  rappresentata  [d] .  Adunque  e  pel  settenario 
numero  9  ohe  (  esclusi  i  doni  dello  Spirito  Santo  e  le  sette  men- 
tovate virtii)  non  pare  applicabile  ad  altro  che  ai  sette  sacra- 
menti, ed  ijtresì  per  convenire  in  quel  canto  xxxii.  del  Pur- 
gatorio  ai  sette  sacramenti  l' uflizio  a  cui  vengono  ivi  le  sette 
teste  deputate,  non  intenderem  qui  per  le  medesime  teste  che 
i  sacramenti,  coi  quali  massimamente,  piii  che  coi  sette 
dello  Spirito  Santo  o  còlle  sette  virtii ,  pare  che  possa  dirsi 
ta,  ossia  da  Gesù  Cristo  instituita  la  pontificia  dignità* 

Ito  E  dalle  diece  coma  :  per  queste  i  dieci  comandamenti 
di  Dio  intendono  tutti  gl'lnterpretvjcoraunemente.  —  ebbe  or- 
gomentOf  ebbe  la  pontificale  dignità  segno,  ripvova d'essere, 
qual'è,  instituita  da  Gesii  Gìsto. 

1 1 1  JFin  che  virtute  al  suo  marito  piacque:  finché  i  som* 
mi  Pontefici  mariti y  sposi  della  santa  Chiesa,  furono  virtuosi, 
osservanti  de' medesimi  divini  comandamenti. 

1 1 2  Fatto  v'anfcte  Dio  d'oro  e  d* argento .  Simulacrorwn 
senàtus  dicesi  l'avarizia  anche  da  s.  Paolo  [<?]. 

1 13  m4  9-^Et  ch*è  altro  da  voi  alT idolatre j  ha  il  cod. 

[a]  Al  cìt.  cip*  17.  [b]  Verso  i4S*e8egg.  [e]  Verso  98.  e  segg.  [«'jUi» 
[e\  jid  Coioss,  III.  5« 


CANTO  XIX.  4i5 

Ahi,  Costaotin,  di  quanto  mal  fa  maire,      1 15 
Non  la  tua  conversion,  ma  quella  dote 
Cbe  da  te  prese  il  primo  ricco  Patre  ! 

E  mentre  io  gli  cantava  coiai  note,  1 18 

O  ira,  o  coscienza,  che  '1  mordesse, 

Val  3i()g.4-«  idolatre  per  idolatri  (a  cai  perciò  si  accoixla 
Vegli  del  seguente  verso,  che  vale /quant '0^/irao  \a])j  antitesi 
ne* primi  tempi  della  toscana  favella  pi-aticata .  Vedi  il  Manni 
nella  Tauola  delle  tfoci più  notabili  f  posta  in  fondo  ai  Gradi  " 
di  san  Girolamo  <,  alla  voce  Pro  fé  te.  Uno  e  cento  y  non  che 
(chiosa  il  Venturi)  1*  idolatria  adorasse  un  solo,  ma  perchè  ogni 
popolo  riconosceva  qualche  suo  nume  con  culto  speziale .  A  me 
però  piacerebbe  piii  d'intendere,  che  uno  e  cento  sieno  qui 
numeri  determinati  in  luogo  d'indeterminati  qual  si  vogliono 
aventi  la  proporzione  che  è  tra  il  cento  e  V  uno  ;  e  come  se  "^ 
detto  avesse;  per  quanti  idoli  si  adorassero  gC idolatri ,  ite 
adorate  voi  cento  yoUe  pia  ,  poiché  vi  fate  idolo  ogni  pezzo 
d*oro  e  d'ai^nto,  ogni  moneta.  ^^ orate  per  adorate.  m-¥  Se 
non  ch'elli  unoy  legge  il  Vat.  3 199.  — onrate ,  in  luogo  di 
orate y  le»e  il  ood.  Ppggiali;  bella  variante,  e  che  forma  un 
senso  molto  congruo  a  tutta  l*espi*essione.  <-• 

1 15  al  I  ly  Ahiy  Costantin  ec.  Intende  il  Poeta,  giusta  la 
persnasione  in  che  si  viveva  a'  tempi  suoi  [6] ,  che  per  1'  Impe-> 
rator  Q)$tantino  Magno  donata  tosse  Roma  a  san  Silvestro 
Papa  \c]j  cui  perciò  appella  il  primo  ricco  Patre;  e  intende 
che  cotal  dote^  cotal  donazione,  cagionasse  nel  Papa  e  negli 
ecclesiastici  l'amore  alle  ricchezze,  e  conseguentemente  altri 
infiniti  guai .  Mostrandoci  però  la  sperienza ,  che  per  esibizio- 
ni torce  dal  dritto  piti  facilmente  il  povero  che  il  ricco,  peg- 
gio forse  sarebbe  se  gli  ecclesiastici  fossero  poveri .  —  matre 
e  patre  f  antitesi  prese  dal  latino  in  grazia  della  rima. 

1  18  cantala.  Cantare  qnì  ^t  parlar  francamente,  -^note 
per  parole y  in  corrispondenza  al  cantare;  che  nota  propria- 
mente vorrebbe  significare  segno  di  canto* 

\n^  CiiiOii.  Pariic,  101.  7.  [b]  V(*fli,  tra  gli  altri  montitneiiti,1ii  Croiiic» 
>l  «rtiniana,  osi'i  di  Martino  Poloiio  ,  Silvesttrt  Costntiiinus.  [e]  Veili 
Paracl,  zz.  55.  e  segg. 


CANTO   XX. 


ARGOMENTO 

In  questo  canto  tratta  il  divino  Poeta  della  pena  di 
coloro  che  presero ,  vivendo .  presunzione  di  predire 
le  cose  avvenire;  la  guai  pena  è  l'avere  il  viso  e  la 
gola  volti  al  contrario  verso  le  reni;  ed  in  questa 
guisa ,  perchè  è  tolto  loro  il  poter  vedere  innanzi , 
camminano  all' indietro.  Tra  questi  trova  Manto 
Tebanay  da  cui  narra  avere  avuto  origine  la  cele- 
bre città  di  Mantova  •  E  son  questi  così  faiii  in- 
dovini posti  nella  quarta  bolgia . 


D 


i  nuova  pena  mi  convien  far  versi ,  i 

£  dar  materia  al  ventesimo  canto 
Della  prima  canzon,  eh' è  de' sommersi . 

3  Della pritna  canzon^  eli  è  de* sommersi.  Sommerso  per 
similitudine  vale  ricoperto  da  checchessia  (Vocab.  della  Cr.)  ;  e 
bene  perciò  si  appropria  a' dannati  ricoperti  nell'infernale  buca 
dalla  terrestre  volta. 

Qi«/ (critica  il  Venturi) /a  chiama  canzone ,  altrove  com- 
media ,  altrove  poema;  e  che  nome  non  dà  a  questa  sua  opera? 
Dante  (  risponde  al  Venturi  bravamente  il  sig.  Rosa  Mo- 
rando) dividendo  Topera  sua  in  tre  parti,  e  a  ciascuna  dando 
il  nome  di  canzone ,  ossia  cantica ,  non  viene  per  questo  a  dar 
più  d' un  nome  alla  sua  commedia ,  come  non  si  danno  molti 
nomi  a  una  commedia ,  chiamandone  le  parti  or  prologo  >  ora 
attOj  ora  scena.  Quanto  poi  al  nome  di  poema ^  questo  è  un 
nome  generico  y  per  parlare  alla  maniei*a  de'loici  ;  e  si  posson 


CANTO  XX.  419 

Io  era  già  disposto  tutto  quanto  4 

A  risguardar  nello  scoverto  fondo, 
Che  sì  bagnava  d'angoscioso  pianto: 

E  vidi  gente  per  Io  vallon  tondo  -^ 

Venir,  tacendo  e  lagri mando ^  al  passo 
Che  fanno  le  letane  in  questo  mondo. 

Come  'I  viso  mi  scese  in  ior  più  basso, ,  io 

chiaì^Sire  poemi  tanto  V  Iliade  e  V  Ulissea  d' Omero ,  quanto 
ìeNubi  e  il  Platon  d'Aristofane;  né  perciò  queste  due  comme- 
die avrebbero  più  d' un  nome ,  come  non  lo  avrebbe  j  per  esem- 
pio, F'erona  (patria  del  sig.  Filippo  )  se  si  chiamasse  col  nome 
generico  di  città.  Intorno  ali* aversi  chiamate  cantiche,  ossia 
canzoni j  le  tre  parti  di  (f^vislai  commedia y  leggasi  il  Mazzoni 
nella  sua  Difesa {^^^vU  i.  lib.  2.  cap.  '40.  ),  che  molto  erudita- 
mente ne  parla  y  mostrando  come  gli  antichi  dissero  cantico  il 
monologiOf  e  come  si  può  compor  commedia  di  soli  cantici. 
La  ragione  che  qui  il  Rosa  afirgiunge ,  per  cui  Dante  ap- 
pellasse questa  sua  opera  commedia  j  vedila  da  noi  riportata 
nel  volume  quinto  della  presente  edizione. 

4  5  Io  eragià  disposto  tutto  quanto -' ^  risguardar  ^  vale 
come  9  Io  m^  era  già  posto  con  tutta  quanta  Inattenzione  a 
risguardare.  m-^A  riguardar ,  ^cgge  il  VaU  3199.  ^^  ^c*^" 
vertOf  patente  all'occhio  mio,  in  quel  colmo  dell'arco ,  do» 
v'era  [a],  in  tutta  l'estensione  da  un  lato  all'altro  [&1. 

6  si bagnaifa d* angoscioso  pianto,  che  V  angoscia  sprem<^- 
va  e  faceva  cadere  dagli  occhi  di  que' dannati. 

7  tondo,  circolare. 

8  9  al  passo  ''Che  fanno  le  letane  ec.  A  quel  passo  lento 
e  posato  che  fanno  le  nostre  pix)cessioni ,  appellate  litanie  y 
dice  il  Magri  [e],  dalla  voce  greca  XnotpeiXy  che  significa  sup-^ 
plicazione,  per  le  preghiere  che  nelle  processioni  si  fanno. 
—  letane  f  invece  di  litanie,  adopera  anche  Gio.  Villani  [d]. 
•-►Il  cod.  Caet.  legge  assolutamente  letanie;  —  e  Co*  per  co- 
me l'Ang.,  invece  di  Che.  E.  R.  ^-« 

IO  i^i^a,  alla  latina,  in  significazione  di  vistaediocchi.VziiTURr. 

fui  Canio  preced.v.  laS.  [^]  Inf.  TVi\uv.iog.tsegfi^*[c]NotUmd0vo' 
taùoU  eceles.  [d]  Grou.  lib.  a.  cap.  i3. 


/Ì2o  INFERNO 

Mirabilmente  apparve  esser  travolto 
GiascuQ  dal  mento  al  principio  del  casso  : 

Che  dalle  reni  era  tornato  il  volto,  i3 

Ed  indietro  venir  li  convenia , 
Perchè  1  veder  dinanzi  era  lor  tolto . 

Forse  per  forza  già  di  parlasìa  16 

Si  travolse  cosi  alcun  del  tutto; 
Ma  io  noi  vidi,  né  credo  che  sia. 

II  I  a  ciisso  9  sastanti vo  j  la  parte  concava  del  corpo  circon- 
daU  dalle  costole  (  Yocab.  della  Cr.  ) ,  altrimenti  appellato  bu- 
sto ,  torace .  Dicendo  adunque  esser  travolto  -  Ciascun  dal 
mento  al  principio  del  casso  ,  vuol  dire  che  al  torcitura  si  &• 
ceva  tutta  nel  collo.  **IlGaet.  legge,  tra  il  mento  ec.^m^e  così 
il  Vat,  3  j 99;  4Hi  e  ciò  indica  forse  meglio  la  parte ,  cioè  il  collo, 
in  cui  si  scorgeva  la  controversione  della  faccia  verso  le  spalle. 
E.  R.  La  ragione  di  fingere  tale  punizione  in  costoro,  che  sono 
gr  indovini,  vedila  nel  y.  38.  •-►e  nella  nota  sotto  al  i/.  14.  <-• 

1 3  che  saie  perocché .  —  reni ,  una  delle  parti  deretane  del 
corpo  nostro ,  per  tutto  il  di  dietro  di  esso.  —  tornato  per  ri- 
corro ,  voltato  • 

14  Ed  indietro  venir  li  (  per  loro  [a]  )  convenia.  Aven- 
do essi  il  viso  dalla  parte  della  schiena,  per  vedere  ove  si  an- 
dassero conveniva  loro  andare  indietro,  cioè  al  contrario  dello 
andar  nostro.  m-^E dirietro  venir y  legge  il  Vat.  3 199.  — Os- 
servi r  accorto  lettore  quanto  giudiziosamente  il  Poeta  Cnge 
costoro  col  viso  si  rivolto.  £ssi  furono  indovini;  vollero  col 
corto  veder  nostro  penetrar  nelP avvenire  ;  ora  conviene  che 
guardino  indietro  :  il  che ,  col  rammentarne  loro  la  cagione , 
raddoppia  il  tormento  presente.  Biagioli. ^hi 

1 6 parlasìa  eparalisìa ,  come  parletico  cparalitico ,  scris- 
sero gli  antichi  ugualmente  (  vedi  il  Yocab.  della  Cr.  )  ;  ed  è, 
dice  il  Volpi,  risoluzione  de*  nervi,  che  cagiona  storcimento 
di  alcuna  parte  del  corpo  • 

18  né  credo  che  sia,  che  trovisi  al  mondo. 

[a]  Allo  stesso  signìficatg  adoprò  il  Boccaccio  il  pronome  gli.  Vedi 
CiuoD.  Par  tic.  118.  i. 


CANTO  XX.  4^1 

Se  Dio  ti  lasci  y  Lettor  ^  prender  frutto  19 

Di  tQa]leziooe ,  or  peasa  per  te  stesso , 
Gom'  io  potea  tener  lo  viso  asciutto, 

Quando  la  nostra  immagine  da  presso  22 

Vidi  si  torta ,  che  1  pianto  degli  occhi 
Le  natiche  bagnava  per  lo  fesso . 

Certo  io  plangea  ^  poggiato  ad  un  de*  rocchi   2  5 
Del  duro  scoglio,  s)  che  la  mia  Scorta 
Mi  disse  :  ancor  se'  tu  degli  altri  sciocchi  ? 

Qui  vive  la  pietà  quand'  è  ben  morta  :  a8 

19  al  ai  Se  Dio  ec.  Dovrebbe  la  costruzione  esser  questa: 
Orà^  Lettore  j  se  Dio  ti  lasci  prender  frutto  di  tua  lezio^ 
ne;  cioè:  Or  posto  »  o  Lettore  9  che  Dio  ti  conceda  commovi- 
mento ed  orrore  nel  solo  leggere  queste  cose ,  pensa  per  te 
stesso  f  coni  io  potea  tener  lo  i^iso  asciutto,  com'io,  presen- 
te trovandomi  alle  cose  medesime ,  contener  mi  potessi  dal 
piangere.  «-^Mai  secondo  il  Biagioli,  il  sentimento  di  questi 
versi  è  il  seguente:  O  Lettore y  se  io  priego  Dio  che  ti  lasci 
prendere  frutto  di  tua  lezione y  tu,  in  ricambio  di  questa 
mia  preghiera  y  pensa  se  possibile  era  eh* io  non  piangessi 
nel  vedere  eCn  <-« 

^n  la  nostra  immagine ^  l'umana  figura  in  quelle  ombre. 

a3  al  a6  sì  torta ,  che  ec*  Lodando  qui  il  Daniello  la  variar 
zione  che  usa  il  Poeta  nel  ripetitamente  descrivere  cotale  stor- 
cimento deiruman  corpo,  vorrei y  vi  aggiunge  il  Venturi,  po^ 
ter  sempre  lodare  ancor  la  diecenza.  L'espressione  però  con- 
tenuta ne' termini  che  adoperano  gli  anatomici ,  è  in  questi  casi 
sempre  la  piii  decente.  —  o^iin  de* rocchi,  tocchinoti  è  qui 
il  plurale  di  rocco  »  ma  di  rocchio ,  che  significa  (spiega  il  V  o- 
cab*  della  Cr.)  pezzo  di  legno ,  o  di  sasso ,  o  di  simil  mate^ 
ria;  onde  ad  un  de* rocchi  del  duro  scoglio  vale  quanto,  ad 
un  nia3so  prominente  da  qneilo  scoglio  sconcio  (canto  prece- 
dente, V.  i3i.))  scabroso,  su  del  quale  stava  a  guardare. 

37  degli  altri  sciocchi  y  mondani .  m-¥  Mi  disse  e  se*  tu  an- 
cor y  con  piii  facii  lezione  il  cod.  Ang.  E.  R.  4hì 

38  Qui  vive  la  pietà  quand^è  ben  mortac  corrisponde  a 
questa  quell'altra  espressione  :  E  cortesia  fu  lui  esser  villa» 


liii  INFERNO 

Chi  è  più  scellerato  di  colui, 
Cb'  al  giudicio  divio  passioa  comporta  ? 
Drizza  la  testa,  drizza,  e  vedi  a  cui  3i 

S'aperse  agli  occhi  de'  Tebau  la  terra; 

no  [a];  e  per  ben  tnorta  intende  la  pietà y  in  cui  sia  estinta 
ogni  umana  passione;  talché  sia  tutta  zelo  della  gloria  di  Dio: 
né  certamente  a  questo  modo  v'è  cosa,  per  cui  possa  dirsi  il 
Poeta  qui  non  teologo ,  come  il  Venturi  borbotta .  »-»>  In  so- 
stanza vuol  dire  che  qui  è  pietoso  chi  non  sente  di  costoro 
compassione  alcuna.  —  Il  Biagioli  ci  oSv^  una  seconda  inter- 
pretazione di  questo  verso.  L'ordine  diretto  delle  parole  è  il 
seguente:  La  pietà  vi\»e  quiy  quando  la  pietà  è  qui  ben  morta. 
Pigliandosi  pertanto  la  voce  pietà  della  prima  proposizione  nel 
senso  di  devozione  od  affetto  alle  cose  di  religione  <,  e  nella 
seconda  proposizione  in  quello  di  compassione ,  vorrebbe  dire 
che  il  non  aver  per  coloro  nessuna  compassione,  è  un  vero  es* 
serpio;  poiché  coU'aver  sì  fatto  sentimento  per  coloro  che  dal- 
la divina  giustizia  puniti  sono,  è  in  certo  modo  un  disappro- 
vare il  giudizio  di  Dio,  che  è  la  maggior  scelleratezza  che  possa 
Tuomo  commettere .  ^-« 

3o  al  '^ik  passion  comporta  <,  legge  la  Nidob.  con  migliora* 
mento  del  verso  («-^e  cosi  il  Caet.  E.  R.,  eilVat.  3 199,  ed  il  cod. 
Poggiali.  ^-m)y  ove  l'altre  ediz.  Xeggono^passion porta.  Com» 
portare  significa  soffrire;  comportar  aàimqìie passione  al  giù* 
di  zio  disino  vuol  dire,  soffrire  patimento  al  mirare  in  altrui 
gli  effetti  della  divina  giustizia.  «-^ Grida  il  Biagioli  controia 
lezione  diNidobeato,  che,  secondo  lui,  guasta  i7  i'erjo ,  tar^ 
monia  e  il  sentimento .  S'egli  abbia  torto  o  ragione ,  lasceremo 
che  ne  giudichi  il  lettore  intelligente  e  spassionato.  La  corre» 
zione  di  Nidobeato  piace  al  cav.  Strocchi,  dolendosi  però  che 
i  seguaci  di  tal  lezione  altro  non  v'abbian  notato  che  il  miglior 
suono  del  verso.  Era  qui,  secondo  lui,  da  notarsi  un  tropo 
grammaticale,  per  cui,  invece  di  dire  volgarmente,  compassion 
porta j  si  è  detto  alla  foggia  latina,  passionem  comp<»tare^ 
portare  insieme  il  male .  ^-m  a  cui  per  quello  a  cui .  m-^Drizza 
la  testa;  disse  ^  ec.  legge  il  Vat.  Sipg.^-»  agli  occhi  de^Tc" 
San  vale  quanto  i'eggenti  quei  di  Tebe  assediati . 

[a]  Inf.  XI SUI.  I  So. 


CANTO  XX.  4^3 

Perchè  grìdavan  tutti  :  dove  roi  j 

Aoiìarao?  perchè  lasci  la  guerra?  34 

E  noQ  restò  di  ruinare  a  valle 
Fino  a  Minos ,  che  ciascheduno  afferra . 

Mira  eh'  ha  fatto  petto  delle  spalle:  3^ 

Perchè  volle  veder  troppo  davante , 
Dirietro  guarda,  e  fa  ritroso  calle: 

33  34  doi^  ruij^Anfiarao?  Aafiarao,  figliuolo  d'Oicleo, 
o  di  Linceo,  fu  uno  de' sette  Regi  che  assediarono  Tebe  per 
rimettervi  Re  Polinice.  Essendo  egli  indovino,  ed  avendo  pre- 
veduto che  portandosi  all'assedio  di  Tebe  vi  sarebbe  perito, 
erasi  perciò  nascosto  in  luogo  noto  alla  sola  propria  moglie.  Ma 
vinta  costei  da  Argia,  moglie  di  Polinice,  coirofferta  di  un  pre* 
sioso gioiello,  manifestò  dov'era  il  marito;  e  condotto  per  forza 
a  quell'assedio,  mentre  valorosamente  combatteva  gli  si  apri 
sotto  1  piedi  la  terra,  e  Io  inghiotti.  Adunque  ^oi^e  rui^  An-- 
fiarao?  sono  voci  derisorie  degli  assediati  Tebani,  allegri  di 
cotale  di  lui  disgrazia.  Rui  adopera  qui  Dante  a  cagione  della 
rima  per  ruinìj  cadij  come  nel  Parad.  xxx  8a.  riiaper  corra 
in  fretta;  significati  ambedue  del  verbo  latino  ruo ,  ìs;  e  forse 
qui  ebbe  il  Poeta,  come  il  Daniello  avverte ,  qualche  particolar 
riguardo  al  verbo  stesso  che  pone  Stazio  in  bocca  di  Plutone 
interrogante  il  caduto  Anfiarao  :  qui  limite  praeceps  -  Non  li^ 
cito  per  inane  rais  [à]^ 

35  a  valle  j  posto  avverbialmente,  significa  a  ior^o,  alla^'neiù. 
Vedi  il  Vocab.  della  Crusca  che ,  oltre  ad  altri  esempj  di  Dan- 
te, ne  reca  mio  ancora  dell'Anosto. 

36  Fino  a  Minos  y  cioè  fino  all'Inferno  ed  al  giudice  Mi- 
nos [6].  —  che  ciascheduno  afferra.  Afferrare  qui  metafori- 
camente per  sindacare  e  giudicare ,  come  dicesi  comunemente 
capitar  nell'unghie  dì  alcun  giudice  chi  capita  sotto  il  giudizio 
del  medesimo.  Tale  caduta  di  Anfiarao  dirittamente  fino  all'In- 
ferno finge  anche  il  prelodato  Stazio  [e]. 

39  fa  ritroso  calle.  Calle  significa  lo  stesso  che  Wa,  e  ritroso 
vai  quanto  retrogrado;  e  ve  n'ha  molti  esempj  anche  d'altri 
«rriltori  (  vedi  il  Vocab.  della  Cr.  ) .  Adunque  fa  ritroso  calle 

[a]  rheb.\\h.%.  i'.  85  e  seg.   [6]  f  nf.  v.  4.  [e]  ThebAxh.  ^ .  nt\  fine. 


4i4  INFERNO 

Vedi  Tiresia,  che  mutò  sembiante  ^  4^ 

Quando  di  maschio  femmina  divenne, 
Cangiandosi  le  membra  tutte  quante  : 

£ ,  prima ,  poi  ribatter  le  convenne  43 

Li  duo  serpenti  avvolti  con  la  vei^a , 
Che  riavesse  le  maschili  penne. 

Aronta  è  quei ,  eh'  al  ventre  gli  s  atterga ,       4^ 

vuol  dire  il  medesimo  che/^  passi  retrogradi.  Qui  ritroso  (chio- 
sa il  Venturi)  forse  dal  retrorsum  latino  riconosce  ^origine  siia« 
4o  al  4^  F'edi  Jìt&sia,  ec^  Tiresia  TebanOy  altro  celebre 
indovino .  Hassì  nelle  favole  che  nell'atto  che  costui  penxisse 
con  una  vei^a  due  serpenti,  maschio  e  femmina,  insieme  avvi- 
ticchiati ,  d  uomo  in  donna  si  vedesse  cangiato;  e  che  non  ri- 
acquistasse il  sesso  primiero  se  non  dopo  se tt' anni,  mentre  ri- 
trovati i  due  medesimi  serpenti  nello  stesso  atto,  percosseli  di 
nuovo.  —  Cangiandosi  le  membra  tutte  quante;  richiedendo 
il  diverso  sesso  non  solo  diversi  oigani,  ma  diversa  simmetria 
anche  degli  organi  ad  ambo  i  sessi  comuni .  —  E  prima  ec.  ; 
costruzione:  £  /e  ( a  lei  Tiresia,  allora  femmina)  (•-►Il  cod^ 
Vat.  3 199  legge  però  li  invece  di  le .  ^^)  convenne  poi  ribat" 
ter  con  la  verga  li  duo  serpenti  avvolti  ^  prima  che  riavesse 
le  maschili  penne.  -  Le  penne  (  chiosa  il  Ventm*i)  si  pongono 
qui  per  le  membra;  così  ci  avvisa  il  gran  Vocabolario  degli 
Accademici  :  ma  forse  intese  Dante  piuttosto  indicar  la  bail» 
virile,  i  peli  della  quale  àncora  nel  canto  i. al  i^.  4^.  del  Pur- 
gatorio chiamerà  piume .  «-^  Cosi  anche  il  Poggiali  ;  ma  il  Bia- 
gioli  (forse  per  non  convenire  col  Lombardi  )  per  queste ^enne 
vuol  che  s'intenda  ìayece  le  forze  maschili  trasfuse  in  tutte 
quante  le  membra.  4-« 

46  Aronta  è  quelj  la  Nidob.;  ed  è  quei  9  Tal  tre  edus. ,  »♦  e  il 
nostro  testo  coi  codd.  Caet.  e  Vat.  3 199,  e  colla  3.roni.  ediz., 
sembrando  anche  a  noi  che ,  palpandosi  di  persona,  il  quei  sia  da 
preferirsi.^-*  Ai-onta,  0  Aron  te,  indovino  celebre  della  Toscana, 
abitò  ne' monti  di  Luni  sopra  Carrara.  Luiii  era  città  situala  a 
lato  della  foce  della  Magra,  da  cui  ancora  il  paese  d^  intomo 
ritiene  il  nome  di  Lunigiana.  Venturi.  •-»>  Questi  fìie  Aruns^ 
del  quale  p<ir]a  Lucano  nella  Phars.  lib.  i.v.  586.  e  segg.;  cosi 
l'Antico,  citato  nella  E.  F.-^^  ch^'al  ventre  gli  s'^atterga  y  che 


CANTO  XX-  4^5 

Che  ne' monti  di  Lnni,  dove  ronca 
Lo  Carrarese  che  di  sotto  alberga, 

Ebbe  tra'  bianchi  marmi  la  spelonca  49 

Per  sua  dimora  ;  onde  a  guardar  le  stelle 
E  1  mar  non  gli  era  la  veduta  tronca . 

E  quella,  che  ricuopre  le  mammelle ,  5 2 

Che  tu  non  vedi ,  con  le  trecce  sciolte , 
Ed  ha  di  là  ogni  pilosa  pelle , 

Manto  fu,  che  cercò  per  terre  molte,  55 

gli  sta  dietro  al  ventre ,  0  che  al  ventre  di  Tiresìa  accosta  il 
tergo,  essendo  anche  ArontCì  come  tutti  quegli  sciaurati  indo- 
vini, colla  faccia  dalla  parte  della  schiena. 

47  al  5 1  Che  né* monti  ec,  ;  costruzione  :  Che  ebbe  per  sua 
dimora  la  spelonca  tra^ bianchi  marmi  (  tali  appunto  sono  I 
marmi  di  colà  )  ne'*  monti  di  Lunij  dove  lo  Carrarese  (  il  nu« 
mero  singolare  pel  plurale  ) ,  che  alberga  di  sotto  ai  medesimi 
monti ,  ronca ,  coltiva  la  terra .  Roncare  propriamente  è  net- 
tare i  campi  dalPerbe  inutili  e  nocive  ;  ma  si  pone  la  spezie 
pel  genere.  Vbntubi.^— *L*ant.  Postili,  del  cod.  Cass.  su  la 
parola  ronca  nota.*  idest  stertit,  quia  poni  tur  prò  moraturj 
%^l  habitat.  E  siccome  il  rhoncus  dei  Latini  è  il  russare,  po- 
trebbe dii*si  che  roncare  si  usasse  in  italiano  per  lussare ,  rhon^ 
cos  edere  j  volgarmente  ron fare .  Forse  ad  alcuni  persuaderà 
più  la  nota  del  Postili .  Cass.,  che  l'autorità  del  Venturi .  E.  R« 
»-»  Buon  prò  lor  faccia!  per  noi  ci  atterremo  al  Venturi ,  segui- 
to qui  pure  dal  Poggiali  e  dal  Biagioli  ;  anzi  quest'ultimo  in 
proposito  s<^giunge  :  «Se  il  cod.  Cass.  e  Vant.  suo  Postili,  uan* 
no  su  questo  piede  9  diansi  pur  tosto  al  fuoco .  4-a  ondeaguan- 
dar  le  stelle  j"  E*l  mar^  per  formare  i  suoi  vaticinj ,  non  eli 
era  la  ^veduta  tronca ^  non  gli  erano  per  l'altezza  del  sito  della 
spelonca  tronchi  i  raggi  visuali  da  vermi  oggetto  di  mezzo. 

5a  53  le  mammelle ,  -  Che  tu  non  vediy  perocché  porta- 
vaie  nella  parte  opposta  alla  faccia,  e  però  naturalmente  rico^ 
p*rte  dalle  trecce  sciolte. 

54  £d  ha  di  làj  cioè  nella  detta  parte  opposta  alla  faccia. 
<—  ogni  pilosa  pelle  dell'occipite  e  del  pettignone. 

óò    A/anto^  tcbana  indovina,  figliuola  di  Tìresia  soprad- 


4i6  INFERNO 

Poscia  si  pose  là ,  dove  nacqa  io  : 
Onde  un  poco  mi  piace  che  m' ascohe . 
Poscia  che  '1  padre  suo  di  vita  uscio,  58 

E  venne  serva  la  città  di  Baco, 
Questa  gran  tempo  per  lo  mondo  gio . 

detto ,  dopo  la  morte  del  padre ,  fuggendola  tirannia  di  Creonte , 

abbandonò  la  patria;  e  vagando  per  molti  paesi,  fu  anche  in 

Italia,  dove  dal  fiume  Tiberino  ingravidata,  partorì  Ocno,  che 

fondò  Mantova,  e  denominolla  cosi  dal  nome  di  sua  madre: 

lUe  edam  patriis  agmen  ciet  Ocnus  ab  oris , 

Fatidicae  Mantusy  et  tusci  filius  amnis , 

Qiù  muros,  matrisque  dedit  tibi,  Mantua,  namen  [a]. 

5b  tó,  </ot/e /lac^tt' IO -Virgilio  propriamente  nacque  in  An- 

des ,  terra  picciola  nel  Mantovano ,  se  presti  am  fede  al  suo  ap- 

passionatissimo  imitatore  Silio  Italico  ,lib.  8.  :  Maritua  Musarum 

donuisj  atque  ad  sidera  canta-  Erecta  jéndino.  Testimonia 

10  stesso  anche  Donato  nella  di  lui  vita:  natiu  est  in  pago ,  qui 
Andes  dicitur.  Si  è  scoperto  il  sito  preciso  dove  nacque  Vir- 
gilio dal  Marchese  Malfei ,  e  si  chiama  in  oggi  Bande.  \  edi 
il  tomo  2.  della  Verona  illustrata  alla  pagina  6,  dove  tratu 
di  Catullo.  Vehturi.  Nondimeno  però,  come  Virgilio  stesso, 
prendendo  Mantova  pel  Mantovano,  disse:  Mantìta  me  gè- 
rutit  [A];  così  potè  Dante  far  dal  medesimo  dire;  Manto  si 
pose  làj  dov^e  nacquio:  Mantova  mia  terra  ec. 

^y  un  poco  nu  piace  che  rnascolte,  CJostruziooe:  AC  pia- 
ce che  nii  ascolte  (  per  ascolti  )  un  poco . 

59  sen^a^  schiava  del  sopraddetto  tiranno  Creonte.  ^ la  città 
di  Baco ,  Tebe ,  perocché  patria  di  Bacco.  —  Baco  per  Bacco 
in  rima .  Vedi  il  Varchi  nell'  Ercolano  a  carte  1 90,  ed  il  Saltini 
nella  2.  parte  àe''  Discorsi  accademici^  carte  5o5— 5o6.  Volpi. 

11  Venturi  però,  senz' altra  brij^a ,  pronunzia  ex  tripode  che 
Baco  o  significa  i^erniicefloj  o  è  voce  da  far  paura  ai  bam- 
bini. Baco ,  il  Dio  del  viiuj ,  con  una  e  sola  pronunziasi  in  Lom- 
bardia e  nel  Veneziano;  e  come  Dante  da  queste  ed  altre  na- 
zioni prese  lodevolmente  termini  affatto  dai  toscani  diversi, 
molto  più  potè  in  grazia  della  rima  sceglierne  una  solamente 
varia  nella  non  addoppiata  r. 

[a]  y\r^\\.A€neid  x.  1 98.  e  scgg.  [h]  Vedi  Donalo  nella  Fita  diF^irgiiio. 


CANTO  XX.  4i7 

Suso  in  Italia  bella  giace  un  laco,  6i, 

Appiè  dell'Alpe  che  serra  Lamagna 
Sovra  Tiralli,  ed  ha  nome  Benaco. 

Per  mille  fonti,  credo,  e  più  si  bagna,  64 

Tra  Garda  e  Val  Gamonica ,  Pennino 


61  al  63  SusOf  relativamente  all' Inferno  «^ —^lace,  stasi- 
taato.  —  nn  lacoy  antitesi  presa  dal  latino  in  grazia  della  rima 
anche  dall' Ariosto  [aj .  -p/Ì  ha  nome  Benaco .  m^c*à  nonieBe» 
nacoj  il  Vat.  3 1  pc).  <-«  jB  (juesto  il  nome  ch'ebbe  dai  Latini  il 
lago  detto  oggi  voigarmeate  di  Garda .  -^u^ppie  delVAlpe  che 
serra  Lamagna  —  Sovra  Tiralli.  Tiralli  scrive  anche  Gio. 
Villani  [&]  invece  di  Tirolo,  borgo  una  volta,  capo  della  Con- 
tea denominata  da  esso  del  Tirolo  [cj  ;  ed  Alpe  appella  qui 
il  Poeta  tutto  il  montuoso  lungo  tratto  dal  lago  di  Garda  fino 
al  princìpio  delPAlemagna  sopra  del  Tirolo.  •■^ giace  un  loco 
soura  Tiralli  ec^f  cosi  anche  si  potrebbe  costruii'e  ed  interpre- 
tare :  giace  un  lago  vicino  al  Tirolo  (  Provincia  )  ;  la  qual  cosa, 
rapporto  al  Benaco,  è  verissima. -«Sopra  per  appresso  <,  vici* 
no ,  è  de'  classici ,  e  se  ne  possono  vedere  gii  esempj  presso  il 
Cinonio  (cap.  a63.  V.  Edizione  de^ classici  di  Milano).  In 
questo  significato  usò  Dante  la  particella  su  in  pili  luoghi  di 
questo  p'>ema ,  fira  i  quali  vedi  Inf.  e.  ii.  108.,  e  e.  v.  9B.  4«« 

65  ral  Camonica,  Pennino ,  cosi  ammetto  con  var)  testi 
manoscritti  e  stampati,  invece  di  f^al  Camonica  e  Appenni^ 
noj  che,  appresso  airedizioue  degli  Accademici  della  Cr.,  leg- 
gono tutte  le  più  moderne  edizioni  m^e  il  Vat.  3199.  <-«  Varia 
questa  lezione  ch'io  scelgo,  da  quella  che  rigetto ,  in  due  capi: 
il  primo  è  che  togliesi  Ja  particella  e  tra  f^al  Camonica  e 
Appennino:  l'altro  è  che  seri vesi  P^nnmo  invece  d*-^/y>cn- 
nino .  La  pi*ima  variazione  bassi  nella  Nidob.  edizione  ed  in  due 
mss.  della  Corsini  [^J»-^eneirAng.  E.  Fi.;^-*  l'altra  nell'edi- 
sione  del  Vellutello,  e  parimente  in  varj  mss.  [ej;  e,  quel  ch*ò 
piti,  coofermansi  ambedue  da  evidentissima  ragione. 

[a]  Pur.  xun.  1 1*  [^]  Cron.  lib.  13.  cap.  8{.  [e]  Vedi  Baudr«»n(1»J^0xic. 
geoffr.  art.  Tenoium,  [</ì  Segnati  608.  e  ia65.  [e]  Io  uno  della  Vaticana 
a«>giiaio  Saoi,  in  altro  dfUa  Corsini  607,  ed  in  parecchi  altri  veduti  da- 
^li  Accademici  della  Cru;ica,  e  notati  nella  Tai^ta  de' nomi  dei  testi  ec. 


4a8  INPERNO 

y  Ey  cominciando  dalla  particella  congìimtiva)  egli  è  fuor 
di  dubbio  che  9  o  si  legga  Pennino  y  o  jippenninoj  dee  odo 
di  questi,  e  non  già  il  lago  medesimo,  essere  la  cosa. bagnata 
da  que'  mille  fonti  e  più  4  altrimenti  verrebbe  Dante  a  dire 
per  mille  fonti  e  pia  si  bagna  il  lagOj  che  ha  nome  Bena-' 
coj  deWacaua  che  nel  detto  lago  stagna  j  come  se  li  fosse 
pericolo  d*mtendersi  bagnato  quel  lago  di  un' altr' acqua,  di- 
versa da  quella  che  sta  nel  lago.  La  congiuntiva  adunque,  co- 
me quella  che  ne  produrrebbe  una  cotal  rìdicolosaggine,  dee 
onninamente  ri  moversi  • 

Appennino  poi  (ch'è  T  altra  variazione)  sape  vasi  anche 
ai  tèmpi  del  Poeta  [a]  essere  troppo  lontano  dall'  indicato  sito 
tra  Garda  e  VtU  CamorUca ,  e  che  di  là  non  vengono  acque 
al  Benaco .  Bensì  il  Pennino  [6],  o  VAlpes  Poenae  [c\  ,  sa- 
pe vansi  essere  in  quella  parte,  e  bagnarsi  ^r  mille  fonti  e 
più ,  raccolti  e  condutti  ai  Benaco  dal  fiume  Sarcai.  E  stenden- 
do appunto,  come  nelle  carte  geografiche  si  può  vedere,  suo 
corso  il  Sarca  tra  Val  Gimonica  e  Garda  per  mezzo  alle  dette 
pennine  Alpi,  e  scendendo  dalle  medesime  tratto  tratto  rivi  ad 
ingrossarlo,  malamente  affaticasi  il  Vellutello  di  sostituire  a 
f^al  Camonica  F'aldimonica  * 

11  Venturi  a  questo  ptsso  taccia  il  Poeta  nostro  di  scrit- 
tore con  istile  geografico  pochissimo  scrupoloso  ;  e  ne  ag- 
giunge in  con&rma  il  verso  io5.  del  canto  i.  di  questa  me- 
desima cantica,  ed  il  verso  25.  e  seg.  del  canto  ».  del  Para- 
diso. Ma  vedi ,  lettore ,  essi  luoghi  con  le  rispettive  note ,  die 
spero  troverai  peggiore  la  conferma  della  prova  • 

•-^Conviene  il  Biagioli  che  invece  di  Appennino  s'ab- 
bia qui  ad  intendere  Pennino;  ma  non  consente  del  pari,  che 
questo  sia  la  còsa  bagnata.  Secondo  lui,  v*ha  ellissi  nelle pa- 

[a]  Il  Petrarca,  scrittore  a  Dante  contiguo,  intese  per  Appeooino 
r istessa  catena,  che  net  intendiamo,  di  monti  dividente  il  lungo  dd- 
r  Italia  ;  e  però  nei  sonetto  114.  appella  Italia 

il  bel  paese  f 

Ch'Appennin  parte  9  e  7  mar  circondi^  e  VAlpe. 

Che  se  per  Appennino  avesse  inteso  anche  VAlpe  che  serra  Lamagma, 
avrebbe  dovuto  dire,  Ch'Appennin  parie,  e  insiem  col  mar  circomda^ 
[6]  Vedi  il  Boccaccio,  pure  scrittore  a  Dante  vicino,  de  montibus^sil» 
viseCf  artic.  Penius;  e  vedi  altresì  la  Germania  vetus  ueWAtiamte 
stampato  in  Amsterdam  nel  1 64 3,  ed  il  Vellutello  a  questo  passo,  [e] To* 
lomeo»  Geograph,  lib.  3,  cap.  t.,  tabula  FI.  Europae. 


CANTO  XX.  4^9 

role  del  testo ,  l'oidine  regolare  delle  qnali  dice  essere  il  se- 
guente :  il  luogo  compreso  tra  Garda  e  f^al  Camonica  e  j^p- 
pennino  si  bagna  y  cred^io^per  mille  fonti  e  più  deW acqua 
che  stagna  nel  detto  lago»  Soggiunge  poi  che ,  se  Dante  ci  aves- 
se volato  dipingere  i  mille  fonti  cadenti  da  quel  monte  j  altro 
giro  ed  altre  parole  avrebbe  certamente  adoperato,  e  tali  da 
tame  sentire  u  rimbombo  sino  a  Parigi.  Qvesto  scherBO  ha 
dato  si  nel  genio  alFE.  R.,  che,  per  istarseneool  Biagioli, 
nella  3.  edizione  ha  rigettata  persino  la  genuina  lezione  Pen^ 
nino  per  seguire  l'erronea  Appennino .  Ma,  se  que*dne  valenti 
oppositori  esaminata  avessero  con  piii  di  attenaione  la  chiosa 
del  nostro  P.  L.,  ben  si  sarebbero  di  leggieri  avveduti  ch'egli 
per  Pennino  non  intese  già  un  monte  solo,  ma  tutta  quella 
parte  delPAlpi  perniine ,  le  quali  da  Salò  si  estfmdono  sino 
alle  più  alte  scaturigini  del  Sarca  • 

Un*  altra  quistione  si  è.  pure  agitata  in  questi  ultimi  tem-» 
pi ,  relativa  alla  lezione  f^al  Camonica ,  alcuni  essendovi  fra 
1  moderni ,  che  amerebbero  rivocata  in  luce  quella  di  F'al 
ili  Monica  j  per  la  prima  volta  proposta  e  difesa  dal  Vellu*- 
tello.  Noi,  se  non  altro,  per  erudizione,  qui  riferiremo  una 
notizia  che  appoggia  si  fatta  opinione,  quale  ci  venne  gentil* 
mente  trasmessa  dal  eh.  sig.  Carlo  Mazzoleiii  imp.  regio  Vi* 
ce-Delegato  provinciale  di  Brescia ,  e  quale  a  lui  m  scritta  dal 
sig.  Giuseppe  Zamara  imp.  regio  Commissario  distrettuale  di 
Salò- 

• ...  «  per  soddisfarla  le  dirò  schiettamente  quanto  già  pensai 
»  e  penso  ancora  sul  vocabolo  Pennino ,  che  ritengo  per  reg- 
»  gitore  nella  seconda  terzina.  Garda  airEst^ud  sta  bene; 
»  ral  di  Monica  al  Sud-ovest  sta  pur  bene;  poiché  è  real* 
»  mente  una  piccola  valle  nella  F'al  Tcnesi^  e  detta  in  voi- 
»  gare  Moniga^  che  prende  il  nome  da  una  terra  così  nomi- 
»  nata.  Al  Nord-ovest  sta  il  Pennino  (Penino  con  una  n  so* 
»  la  )  I  vera  appendice  delle  jilpes  PoenaCy  le  quali  princi- 
»  piano  al  monte  denominato  s.  Bartolommeo  (a' pie  di  cui  tro* 
»  vasi  Salò)  fino  a  Limone;  cioè  tutta  la  bella  Riviera,ba- 
»  gnata  in  vero  da  moltissimi  rigagnoli  e  fiomicelli  derivanti 
»  da  fonti  perenni.  La  catena  de' monti  da  quello  di  s.  Barto- 
lo lommeo  fino  al  di  là  di  Limone  è  chiamata  appunto  da  Tolo- 
a»  lomeo,  nella  Tavola  vi.  lib.  3.  della  Geografia,  jilpes  Poe^ 
a»  /use.  Aggiungasi  che  tra  Salò  e  Gardone  sul  monte  sta  una 
»  piccola  contrada  detta  da  quei  di  Riviera  Pegnino.  Paiitu 
M  soggiornò  per  molto  tempo  m  Verona,  ed  è  presumibile  {ler- 


43o  INFERNO 

Deir  acqua  che  nel  detto  lago  stagna . 
Luogo  è  nel  mezzo  là,  dove  1  trentino  67 

Pastor,  e  quel  di  Brescia,  e  1  veronese 
Segnar  poria,  se  fesse  quel  cammino. 

w  ciò  ch'egli  conoscesse  i  punti  principali  della  drconferen- 
»'za  del  lago  di  Garda,  a» 

Ma  noi  siamo  di  parere  che  la  sposizione  del  Lombardi 
sia  la  preferìbile,  e  forse  l'unica  e  vera:  i.^ perchè  precisa 
tutta  quella  parte  di  monti,  da  cui  derivano  in  maggior  copia 
le  acque  che  formano  il  Benaco;  3.^  perchè  piii  d'ogn' altra 
soddisfa  all'intenzione  del  Poeta,  apparendo  da  tatto  il  con- 
testo eh'  egli  mirò  alla  topografica  descrizione  di  qnelle  acque, 
e  non  già,  come  molti  han  pensato,  a  fissare  i  principali  pun- 
ti fra  i  quali  il  lago  se  ne  giace  ;  ÒP  finalmente  perchè  i  mon- 
ti, sui  quali  il  Sarcn  ha  la  sua  origine,  confinano  appunto  con 
quelli  che  alla  Val  Camonica  propriamente  appartengono. 4-c 
67  al  69  Luogo  è  nel  mezzo  ec.  Scende  il  Poeta  col  pen- 
siero dall'Alpe,  al  di  cui  pie  disse  giacere  il  fienaco;  e  ve- 
nendo in  giù  lungo  esso  lago  verso  Mantova,  dì  cui  vuole 
principalmente  parlare,  avverte  di  passaggio  un  luogo  situato 
nel  mezzo  della  lunghezza  del  lago,  in  cui  hanno  giurisdizio- 
ne e  possono,  di  là  passando,  segnare ^  cioè  benedire,  tre 
Vescovi,  il  Trentino,  il  Bresciano  e  il  Veronese;  e  dee  essere 
questo  il  cosi  detto  Prato  della  fame  y  discosto  cinque  miglia 
da  Gargnano,  del  quale  Leandro  Alberti  nella  sua  I/alia  scri- 
ve: 4/ui%fi  si  possono  toccare  la  mano  (  come  sì  dice  )  ire  /^'e- 
scot^iy  essendo  ciascun  di  loro  nella  sua  diocesi  :  poi  discen- 
de il  Poeta  a  parlar  di  Peschiera,  posta  in  fondo  al  IstgOy  e  do- 
ve esso  lago  esce  nel  Mincio  •  m-^  Il  Lombaixii  colse  quasi  nel 
segno,  ma  non  si  curò  di  precisare  un  tal  punto.  Si  sono  da 
noi  fatte  delle  indagini  sull'oggetto,  e  Tesito  ha  felicemente 
risposto  alle  nostre  ricerche.  Alla  gentilezza  dell'egregio  sig. 
Giovanni  Milani,  ingegnere  provinciale  in  Verona  ^  dobbiamo 
il  seguente  ragguaglio,  che  determina  a  tutto  scrupolo  il  punto 
cercato. 

ce  II  punto  comune,  ove  i  tre  Vescovi  possono  benedire 
»  stando  ciascuno  nella  sua  diocesi ,  è  ritrovato.  Esso  è  propria- 
s»  mente  anello  ove  le  acque  del  fiutne  Tignalga  sboccano  nel 
»  Iago  di  Garda .  La  sinistra  di  questo  fiume  è  diocesi  di  Tren- 
n  to,  la  destra  di  Brescia,  ed  il  lago  è  tutto  nella  diocesi  di 


CANTO   XX.  43i 

Siede  Peschiera,  bello  e  forte  arnese,  70 

Da  fronteggiar  Bresciani  e  Bergamaschi , 
Ove  la  riva  intorno  più  discese . 

Ivi  convien  che  tutto  quanto  caschi  73 

Ciò  che  'n  grembo  a  Benaco  star  non  può, 
E  fassi  fiume  giù  pe*  verdi  paschi . 

Tosto  che  l'acqua  a  correr  mette  co',  76 

»  Verona.  Ciò  viene  comprovato  anche  dalla  carta  |op<^[ra6ca 
»  della  Provincia  veronese  del  prete  Gi*egorio  Piccoli  3611767, 
u  nella  quale  si  trova  persino  scritto  :  Confine  di  tre  diocesi , 
»  veronese  j  bresciana  e  trentina.  Queili  che  asseriroiio 
n  che  il  cercato  puato  era  presso  il  Prato  della  fame  j  giun- 
tt  sero  vicini  al  vero.  »  4-« 

70  al  73  Siede  Peschiera y  ec.  La  costruzione  della  pre- 
sente terzina  richiede  che  il  terzo  verso  premettasi  agli  altri  due 
nel  seguente  modo:  (h^e  (così  leggono  concordemente  tutti  i 
mss.  della  Corsini  e  Tedizione  del  Veli utello,  »-»e  il  Caet.  E.  K. 
e  il  cod.  Poggiali  4-«  e  meglio  certamente  di  Onde^  che  leg- 
gono tutte  raltre  edizioni  •-►e  il  Vat.  3 199«*«)  la  riva  intorno 
pia  discese j  piii  bassa  ritrovasi ,  siede y  è  situata»  Peschiera^ 
bello  e  forte  arnese  ^  termine  generico  9  qui  per  rocca  ^  for-- 
tezza;  da  fronteggiar  Bresciani  e  Bergamaschi  y  da  far  iron^ 
te  ai  vicini  popoli  di  Brescia  e  Bergamo;  perciocché y  chiosa  il 
Daniello,  agevolmente  questi  due  popoli  dovevano  essere  con* 
giunti  insieme  contro  i  Signori  della  Scala ,  padroni  allora 
di  Peschiera  e  di  tutto  il  Veronese . 

73  al  75  Ivi  convien  ec.  Per  esser  ivi,  come  ha  detto  9  la 
nva  più  bassa,  convien  ch'indi  si  versi  la  sovrabbondante 
acqua,  della  quale  fassi  tra  que' verdi  prati  un  fiume  appel^ 
lato  Mincio  y  come  in  appresso  dirà  Dante  stesso . 

76  a  correr  mette  co\  Co*y  sìncope  di  capoy  che  pai*e  non 
possa  dirsi,  com'altri  la  giudicano,  lombarda,. perocché  troppo 
adoprata  tanto  dal  Poeta  nostro  in  rima  e  fuor  di  rima  [a] , 
quanto  ancora  da  altri  buoni  scrittori  [b] .  Metter  capo ,  par- 
landosi di  acque,  vale  quanto  n^etter  foce^  sboccare;  vedine 

'"'  Vedi  anche  Inf.  xxu  64.,  Purg.  ni.  ia8..  Farad,  in.  9«.  [0]  Vedi  il 
Vocab.  della  Cr.  alla  voce  Co* . 


43a  INFERNO 

Non  più  Benaco ,  ma  Mincio  sì  chiama 
Fino  a  Governo,  dove  cade  in  Pò. 

Non  molto  ha  corso ,  che  truova  una  lama  y    79 
Nella  qual  sì  distende ,  e  la  'mpaluda, 
£  suol  di  state  talora  esser  grama . 

Quindi  passando  la  vergine  cruda  8a 

Vide  terra  nel  mezzo  del  pantano, 

altri  esempi  nel  Vocab.  della  Gr.;  e  però  mette  co*  a  correre 
varrà  lo  stesso  che  sbocca  a  correre  • 

78  Governo  y  castello  situato  dove  il  Mincio  mette  in  Pò. 
Volpi.  »-^Ora  è  detto  Govemolo.*^ 

79  lama  significa  bassezza j  cavità  di  terreno^  dal  latino 
l€Uìia  j  lamae.  Ecco  ciò  che  di  questa  voce  scrive  Dttfresne  ; 
Lama:  Festusj  lacuna.  Enmus^  Siharum sakus ^  Uuebrasj 
lamasque  liitosas.  Dante  in  Inferno  ^  cani.  xx. ,  ìuurpatur 
prò  inaile .  Malamente  adunque  il  Vocali,  della  Qr.,  il  Venturi 
ed  anche  il  Volpi  spiegano  lama  per  pianura.  m^JOanta  non 
è  già  pianura  o  campagna,  come  spiega  la  Crusca ,  ma  bensì 
valle  paludosa  e  fangosa.  Movti  [aj.  ^-m 

81  E  suol ,  essa  acqua  impaludante  quella  lama ,  ili  state 
talora  esser  grama  j  cioè  malsana  ,  dannosa  »  spiega  il  Vo- 
cab.  della  Gr.  E  tale  si  può  intendere  tanto  in  sé  stessa,  pe- 
rocché neirestate  per  l'eccessivo  caldo  si  corrompe ,  quanto  per 
l'infezione  deirarìa,  che  colle  ree  esalazioni  produce,  m-^tal" 
uolta^  invece  di  talora  ^  ha  il  Vat.  Sigg.** 

82  cruda  per  sei^era ,  chiosa  il  Volja;  e  per  salt^atidietta 
anzi  che  no^  il  Venturi:  ma  cruda  dee  qui  Dante  appellar 
Manto  nel  senso  medesimo  che  nel  canto  ix.  passato,  %^.  33.,  ap- 
pella cruda  Eritone,  per  cagione  cioè  d'imbrattarsi  pur  essa 
dell'umano  sangue,  e  d'inquietar  l'ombre  de' morti .  Ecco  ciò 
che  di  Manto  scrive  Stazio  nella  Tebaide ,  Ub.  4-  ^-  4^*^-  ^  ^^gg-^ 

Tunc  innuba  Alantho 

Exceptum  pateris  praeUbat  sanguincm ,  e<  omnes 
Ter  circum  acta  pyras ,  sacri  de  more  parentis  | 
Semineces  fhras ,  et  adhuc  spirantia  reddit 
f^iscera . 

[t\\  Ptnp,  voi.  3.  P.  I.  fac.  n3. 


CANTO  XX.  433 

Senza  cultura,  e  d'abitanti  nuda. 

Li,  per  fuggire  ogni  consorzio  umano,  85» 

Ristette  co'  suoi  servi  a  far  sue  arti , 
E  visse,  e  vi  lasciò  suo  corpo  vano. 

Gli  uomini  poi,  che  'ntorno  erano  sparti ,      88 
S'accolsero  a  quel  luogo,  ch'era  forte 
Per  Io  pantan  eh'  avea  da  tutte  parli . 

Fer  la  città  sovra  quell'  ossa  morte  ;  9 1 

E  per  colei,  che  '1  luogo  prima  elesse, 
Mantova  l'appellar  senz' altra  sorte. 

Già  fur  le  genti  sue  dentro  più  sfìesse,  94 

Prima  che  la  mattìa  da  Gasalodi 
Da  Pinamonte  inganno  ricevesse. 

Osservisi  intanto  detta  Manto  da  Stazio  pure  innuba ,  co- 
me dal  Poeta  nosti'o  vergine  è  delta.  Che  se  la  intese  Dante 
come  la  disse  Vii'gilio  sopraccitato  >  madie  di  Ocno,  dovette 
intenderla  divenuta  madide  dopo  d'essei*e  venuta  ad  abitare  nel 
divisato  luogo. 

84  iTabiianii  nuda  per  ispogliata  di  abitanti, 
8ti  87  sue  ariiy  la  Midob.;  e  sudarti ^  l'altre  edizioni.  Ed 
arti,  intendi  d'indovina,  qual'ei'a,  e  maga.  —  suo  corpoi^ano  j 
vóto  senz'anima. 

93  senz*altra  sorte:  perchè  gli  antichi,  edificato  che  ave- 
vano la  città,  le  davano  il  nome  a  sorte,  o  veramente  da  qual- 
che augurio,  come  in  Tito  Livio  di  Roma  ed  appresso  in  Var-. 
rone  di  Atene  si  legge.  Vellvtello. 

94  al  96  mattìa  per  mattezza ,  come  stoltìa  per  istoltezza 
e  follìa  fer  foltezza  ;  ma  qui  piuttosto  per  stolidezza  o  scioc- 
chezza .  »-»  In  senso  di  baloi*daggine ,  sccmpiezza ,  sciocchez- 
za, spiega  anche  il  cav.  Mohti  \a\,  4-c  da  Casalodi^  ellissi, 
invece  cu  dire  di  quel  da  Casalodi  (  »-♦  de  Casalodi,  ha  in- 
vece TAng.  E.  R.^Hi)  cioè  d'Alberto  Conte  di  Casalodi  ^  castello 
nel  Bresciano*  —  Da  Pinamonte  inganno  ricadesse  .  Le  isto- 
rie dicono  che  avendo  i  Conti  di  Casalodi  occupato  in  ìMau- 

^«»  '   Prop.  voi  3.  l'.  I.  fac.  iiJ. 

/W.  /.  9H 


4U  INFERNO 

Però  r assenno  che,  se  tu  mai  odi  g^ 

Originar  la  mia  terra  altrimenti, 

tova  la  tirannide  9  Pìnamonte  de^Buonacossiy  nobile  di  quella 
città  y  cono^endo  gli  altri  nobili  esser  molto  odiosi  al  popolo, 
persuase  sagacemente  al  Conte  Alberto  Casalodi,  che  allora 
reggeva  iti  quella  j  che  dovesse  per  qualche  tempo  rilegare  nelle 
vicine  castella  alcuni  gentiluomini,  detonali  egli  piti  si  dubi- 
tava di  poter  esser  impedito  a  quello  che  intendeva  di  >oler 
fai*e;  affermando  questa  essere  la  via  da  farsi  per  sempre  il  po- 
polo benevolo  ed  ossequente.  Laqual  cosa  mandata  ad  effetto, 
pìnamonte,  placato  il  popolo  e  fattoselo  amico,  tolse  col  favor 
di  quello  la  signoria  a'  Gasalodi ,  e  mise  a  fil  di  spada  qua^i 
tutti  gli  altri  nobili  che  erano  rimasi  nella  città,  ed  abbrucio 
le  case  loro  ;  e  quelli  che  da  tanto  infortunio  poterono  campa- 
l'e  andarono  in  p;*rpeluo  esilio;  talmente  che  la  città  limase 
in  gran  parte  desolata.  Vellutello.  »-^A  questa  narrazione 
corrisponde  quasi  del  tutto  ciò  che  di  questa  rivoluzione  di 
Mantova  dice  il  Muratori  negli  u^nn.  eT  Italia  air  anno  1 269, 
sulla  fede  di  un' antica  Storia  di  Mantova  da  lui  pubblicata  nel 
tom.  XX.  Ber,  italic.  Poggiali  .  <4-« 

97  t* assenno .  dissennare  per  ax^ertire ,  adoprasi  anche  da 
altri.  Vedi  il  Vocab.  della  Crusca. 

9^99  Originare  per  /ore  originato  j  come  ben  diremmo  1 
per  cagion  d' esempio  :  Eusebio  fonda  Mantova  43o  anmpri* 
ma  di  Roma.,  invece  disdire:  fa^  dice^  fondala  Mantova, 
—  altrimenti.  Fa  qui  Dante  accennarsi  da  Virgilio  l'orìgine 
dì  Mantova,  ch'altri,  non  da  Manto,  madaTarcone  ripetono. 
^4lii  { scrive  Servio  al  riferito  passo  dell' Eneide  )  a  Jarchone 
Tyrrheni  fratre  conditam  dicunt .  Mantuani  autem  ideo  no^ 
minatam  quod  etrusca  lingua  Mantum  Ditem  patreni  ap^ 
pellant , 

Degli  Elspositori  da  me  veduti  non  v' è  alcuno  che  ricerchi 
la  cagione,  per  cui  faccia  Dante  aggiungersi  da  Virgilio  questo 
avvertimento.  Il  solo  Venturi  ne  dice  alcuna  cosa,  eparecbe 
pretenda  essei'e  intenzione  di  Dante  che  prestisi  fede  piutto* 
sto  a  quanto  gli  fa  esso  dire  qui,  che  a  quello  scrìve  egli  me- 
desimo ne'riferiti  versi  della  sua  Eneide  :  Esso  medesimo  (chio- 
sa )  dà  origine  in  parte  diversa  nel  libro  pur  or  citato^  cioè 
nel  decimo  dell'Eneide. 

Qiuinto  però  fa  qui  Dante  dii'e  a  Virgilio  di  vano,  cioè 
dell'abitazione  e  sepoitma  di  Manto  nel  luogo  ov' è  Mantova  « 


CANTO  XX.  4V? 

La  verità  nulla  menzogna  frodi . 

£d  IO:  Maestro,  i  tuoi  ragionamenti  lòo 

Mi  son  sì  certi,  e  prendon  si  mìa  fede, 
Che  gli  altri  mi  sarien  carboni  spenti . 

Ma  dimmi  della  gente  che  procede,  io3 


e  driradanainento  in  esso  luogo  degli  uomini  ,  che  intorno 
erano  sparti y  si  compone  benìssimo  con  ciò  che  scrive  Vir- 
gilio stesso;  né  è  credibile  che  volesse  Dante  per  nissun  con- 
to, e  molto  meno  per  questo  y  tacciar  di  menzogna  colui  che 
tanto  da  per  tutto  ed  in  questo  medesimo  luogo  professa  di  ve- 
nerare. -^ La  verità  nulla  menzogna  frodi.  JVutlo  perniuno, 
molto  presso  gli  antichi  buoni  autori  frequente.  Vedi  il  Voca- 
bolario della  Ci^usca.  Frodare  la  verità  vale  tradire,  na- 
scondere  la  inerita,  m^ìì  poeta  si  è  invero  un  pò*  ti*oppo  di- 
steso nel  descriverci  l'orìgine  di  Mantova.  Ma  U  Biagioli  ri- 
tiene che  si  abbia  non  solo  a  pei*donargli  questa  digressione  , 
trattandosi  dì  onorare  il  sommo  suo  Maestro,  ma  da  ringra- 
ziamelo assai,  avendo  riguardo  all'eloquenza  e  alle  bellezze  di 
stile  e  di  poesia,  delle  quali  ha  saputo  spargere  si  sterile  sug- 
getto,  ov*altri  a  pena  col  solo  merito  della  elocuzione  si  po- 
trebbe sostenere .  ^^ 

loi  prendon  y  costringono,  obbligano  « 

ioa  carboni  spenti.  Sariano  gli  altiiii  ragionamenti ,  in  con- 
fronto dei  tuoi ,  senza  attività  e  vaghezza  veruna ,  come  senza 
attività  e  luce  rimangono  gli  spenti  cai^boiii. 

I  o3  che  procede ,  che  viene  appresso ,  come  (testimonio  Pe- 
sto )  fu  alle  volte  adoprato  il  latino  procedere  prò  succedere» 
Il  Daniello  chiosa:  che  procede ,  cioè  che  t^a  in  processione; 
che  risponde  a  queh  Venir  tacendo  e  lagrimando  al  passo , 
—  Che  fanno  le  letane  in  questo  mondo  \a] .  Ma  col  passo  delle 
tetano  andavano  tutte  quelle  ombi'e  ;  e  Dante  non  bramava  con- 
tezza se  non  dì  quelle  che  venivano  appi^sso  a  Manto,  ed  a 
ffjoeir altre,  delle  cpali  già  gli  era  stato  parlato.  •->  Procedere 
<?  («armato  della  preposizione  prò,  avanti,edicee/e/ie,  lasciare 
il  luogo.  Adunque  vuol  dire,  cAe,  lasciando  il  stiecessii^f» 
/uogOf  igiene  acanti.  Biagioli. 

^  é»  J  Ver«o  8.  •  f  cg. 


436  INFERNO 

Se  tu  ne  vedi  alcun  degno  di  noia  ? 
Che  solo  a  ciò  la  raia  mente  rifiede. 

Allor  mi  disse:  qnel,  che  dalla  gota  loO 

Porge  la  barba  in  su  le  spalle  brune, 
Fu,  quando  Grecia  fu  di  maschi  vota 

Si  ch'appena  ri  maser  per  le  cune  ,  109 

Augure,  e  diede  '1  punto  con  Calcanta 
In  Aulide  a  tagliar  \at  prima  fune. 

Euripilo  ebbe  nome,  e  cosi  '1  canta  1  li 

io4  degno  di  notaj  cioè  d'essere  notalo  e  nominato.  Da- 

HIELLO. 

I  oò  rifiede ,  cosi  la  Nidob.,  e  Tedizioni  del  Vellutello  e  Da- 
niello, e  piti  di  due  dozzine  di  mss.  vedati  dagli  Accademici 
della  Crusca,  in  luogo  di  risiede  ^  che  leggono  l'altre  edizioni 
»-^e  TÀng.  E.  R.4-«  E  vale  rifiede  lo  stesso  che  mira  j  d»fie- 
dere ,  che  pure  al  senso  di  mirare  adopera  Dante  : 

e  fa  che  feggìa 

Lo  viso  in  te  di  quest'altri  malnati  [aj. 
»-»L'una  e  l'altra  lezione  possono  stai*e...  Risiede  esprime  oua 
attenzione  piii  stabile;  e  rifiede  più  penetrante.  BiAGioi.i.-«-a 

1 06  107  dalla  gota ,  il  singolare  pel  plurale ,  cioè  per  dalle 
gote .  —  Porge  ,  stende  ;  ^u  le  spalle ,  a  cagione  del  detto  più 
volte  tra  volgimento  della  faccia.  —  brune  y  perocché  ombra  in- 
fernale . 

1 08  al  III  Fu  quando ,  ec;  costruzione  :  Fu  augure ,  indo- 
vino,  e  con  Calcanta  j  altro  indovino ,  diede  in  Aulide ,  portò 
di  Beozia,  il  punto  a  tagliar  la  prima  fune  f  il  momento  del 
tempo  da  essi  indovini  conosciuto  propizio  per  incominciarla 
tagliar  le  funi  che  tenevano  ferme  in  detto  porto  le  greche  na- 
vi ,  destinate  all'assedio  di  Troia  :  quando  Grecia  fu  di  tua* 
schi  sì  v^otUy  che  appena  riniaser  per  le  cune ,  che  appena  vi 
restarono  i  bambini  entro  le  cune,  passati  essendo  tutti  i  gran- 
di al  detto  assedio.  Iperbole  a  significare  la  gran  moltitudine 
de'Greci  che  a  quell'impresa  passarono. 

I I  a  canta  per  dice  in  versi . 

[a]  Inf.  svili.  75. 


CANTO  XX.  437 

L'alta  mia  Tragedia  in  alcun  loco; 

Beo  lo  sai  tu  che  la  sai  tutta  quanta . 
Queir  altro,  che  ne' fianchi  è  così  poco,         1 15 

Michele  Scotto  fu,  che  veramente 

Delle  magiche  frode  seppe  il  giuoco. 
Vedi  Guido  Bonatti,  vedi  Asdente,  1 18 

1 13  Tragedia  coll'accento  sa  Vi  dee  leggersi ,  ad  imitazione 
del  greco  rpotyùùhx.  Intende  Dante  per  auesta  tragedia  di  Vir- 

Ìnlio  la  di  Ini  Eneide,  che  di  fatto  nel  lib.  a.  (^.  1 14-  e  segg. 
a  menzione  dei  due  auguri  Euri  pilo  e  Cai  canta. 

Perchè  poi  appelli  Dante  tragedia  V  Eneide  di  Virgilio , 
vedi  il  Parere  del  sig.  Rosa  Morando  nel  voi.  V.  di  questa 
nostra  edizione.  \ 

1 14  Ben  lo  saij  legge  la  Nidob.  ;  ove  l'altre  ediz.,  ben  lo 
sa*,  '^che  la  sai  tutta  quanta y  pel  lungo  studio  fatto  sopra 
di  essa.  Vedi  il  e.  i.  t'.  83. 

I  1 5  al  r  1 7  QueW altro  ec.  Alcuni  vogliono  che  questo  Mi- 
chele fosse  Spagnuolo,  la  consuetudine  de' quali  in  quei  tempi 
era  di  portare  vestimenti  molto  assettati  e  cignersi  sti'etti.  Onde 
vogliono  che  per  questo  dica,  che  ne^fianchi  è  così  poco .  Al- 
quanti dicono  che  fu  dell'isola  di  Scozia,  e  però  lo  chiama 
^lichele  Scotto.  Laicdivo.  Michele  Scotto  fu  di  Scozia,  e  dice 
esser  sì  poco  he*  fianchi y  rispetto  a  brevi  e  schietti  abiti  che 
non  solamente  gli  Scozzesi ,  ma  gl'Inglesi,  Fiamenghi  e  Fran- 
cesi usavano  allora.  Vellutello.  -  ne* fianchi . . .  poco^  o  per 
l'abito  attillato,  o  per  esser  egli  stato  di  vita  smilza.  Vehtvri. 
«-♦Essendo  nude  quell'ombre,  non  all'abito,  ma  alla  persona 
risguardano  queste  parole .  Bi agioli  . 4-«  frode  { plurale  di  fro' 
da)  imposture.-  seppe  il  giuoco y  seppe  Tarte.  Visse  costui 
ai  tempi  di  Federico  II.  Imperatore.  •^  Di  costui  il  Boccaccio 
nel  Decameroney  Giom.  viii.  n.  9.,  àxcei  egli  non  ha  ancora 
guari  che  in  questa  città  fu  un  gran  maestro  in  nigroman^ 
zia  y  il  quale  ebbe  nome  Michele  Scotto  j  perciocché  di  Sco^ 
zia  era.  Biagioli.  — >  Il  Poeta  dice  veramente y  essendoché  fu 
costni  tenuto  per  immancabile  nelle  sue  predizioni.  Poggiali. 
'—  Tradusse  costui  in  latino  i  libri  degli  aninuili  io  Aristotile. 
Cosi  r Amico.  E.  F.4-. 

f  18  al   i!ìo  Guido  Bonatti y  altro  indovino,  fu  da  Foi*lh 


4i8  IJNIERNO 

Ch'avere  atteso  al  cuoio  ed  allo  spago 

Ora  vorrebbe,  ma  tardi  si  pente. 
Vedi  le  triste,  che  lasciaron  Tago,  i  a  i 

La  spuola  e  1  fuso ,  e  fecersi  indovine  ; 

Fecer  malie  con  erbe  e  con  imroago. 
Ma  vieni  ornai,  che  già  tiene  '1  confine  i  :a4 

D*amendue  gli  emisperi,  e  tocca  Tonda 

Sóito  Sibilia,  Caino  e  le  spine. 

compose  mi  libro  d'astrologia,  che  dice  il  Daniello  di  aver 
veduto  ;  e  fu  alle  di  costui  predizioni  assai  credulo  il  Conte 
Guido  di  Montefeltro.  »-^  Visse  nel  mi.  secolo,  circa  il  1282; 
fu  autoi^  di  un'  opera  stampata  iu  Venezia ,  che  ha  per  titolo  : 
Theoncae  Planetaruni  et  Astrologia  iudiciaria>hiKQi€a»u4^ 
asciente ,  ciabattino  di  Parma ,  uomo  senza  lettere ,  che  tirando 
a  indovinai*e  <;osì  a  occhi  e  croce,  ci  coglieva  quanto  ogni  al- 
tro del  mestiere;  e  tardi  or  se  ne  pente  di  non  aver  piuttosto 
inteso  (  atteso  y  legge  la  Nidob.  )  al  cuoio  ed  allo  spago  ;  per- 
chè è  inutile  il  pentimento,  quando  non  si  può  porre  riparo 
al  mal  fatto .  Vehturi  .  »-^  Di  costui  parla  Dante  nel  Convìvio  y 
lac.  34 '- — Asdente,  T indovino  di  Paima,  dicesi  chesichia» 
masse  Benvenuto  ;  e  fosse  dietto  Asdente ,  cii)è  senza  denti ,  per 
autifrasi,  perchè  anzi  troppo  grandi  gli  avesse.  Diomst.  E.  F. 

—  nia  tardo  si  pente  ^  ^^SS^  ^^  ^^*  •^^*  ^*  -^-  '^** 

lai  al  \7.'i  Vedi  le  triste ^  ec.  Dopo  la  particolarità  viene 
alla  generalità ,  e  mostra  molte  donne  essere  state  malefiche  e 
incantatrici ,  le  quali,  lasciando  il  cucire,  il  tessei'e  e  filare, 
arti  femminili  (per  le  quali  pone  invece  i  loro  mincipali  stru- 
menti ,  l'ago ,  la  spuola  e  il  fuso  ) ,  si  dettero  alle  malìe ,  osan- 
do varie  erbe  ed  immagini  di  cera  e  di  terra.  LAiiniHo.-i/n- 
mago  per  immagini ^  il  singolare  pel  plorale. 

1 24  al  1  'a6  Afa  vieni  ornai  j  cosi  la  Nidob.  ;  e  bienne  ornai  ^ 
r altre  ediz.  •-►e  il  Vat.  3,199;  —  ed  il  Biagioli  vuole  che  il 
Vienne  sia  forma  piii  graziosa  più,  toscana ,  e  più  colla  gramma- 
tica d'accordo;  poiché  la  particella  ne  è  avverbio  del  luogo 
da  cui  si  di  partono.  4-a  ffià  tiene  7  confine  9  ec.  Costruzione: 
Già  Caino  e  le  spine  (le  macchie  che  sono  nella  Luna  perla 
medesima  Luna;  accomodandosi  alla  favola  del  volgo,  da  lui  per 


CANTO   XX.  4^9 

E  già  iernotte  fu  la  Luna  tonda;  1:27 

aluro  nel  Paradiso  [a]  derisa,  che  sieno  quelle  macchie  Caino 
che  innalzi  una  forcata  di  spine)  tiene  il  confine  (Tamendue 
gli  emisperiy  cioè  sta  neirorizzonte ,  cerchio  divisorio  tra  il 
nostro  emisperìo  e  quel  sotto  di  noi  j  e  tocca  ronda ,  del  mare , 
sotto 9  al  di  là  di  Sibilia  (Siviglia  ora  appellata),  città  mariN 
lima  della  Spagna,  ed  occidentale  rispetto  all'Italia.  ^ tiene  7 
confine  ec.  -  e  tocca  inonda  ec.  -  Caino  e  le  spine .  Tiene  e 
tocca  invece  di  tengono  e  toccano ,  zeuma  come  quella  di 
Vii^lio:  Hieillius  arma^  ^Hic  currus  fuit  [&].  »-^  Ma  non  Io 
accorda  il  Biagioli ,  e  vuole  che  Dante  si  esprìma  cosi  in  virtii 
della  figura  detta  sillessi ,  per  la  quale  si  costruisce  non  secon- 
do la  lettera,  ma  giusta  T intenzione  in  lei  compresa,  peres* 
sere  la  mente  piii  da  questa  che  da  qnella  pi'eoccupata  •  4-c 

1 37  già  iernotte  fu  la  Luna  tonda ,  cioè  piena .  Arguisrp 
con  ciò  alzato  il  Sole  già  da  un^ora  in  circa .  Dalla  notizia  che 
ne  dà  qui  Dante,  e  rìpetccela  nel  Purg.,  canto  xxiii.  ^.  i  ic).* 
di  aver  egli  cioè  incominciato  a  Luna  piena  il  misterioso  suo 
viaggio ,  unita  alle  aitile  notizie  che  il  medesimo  ne  porge  di 
averlo  intrapreso  nell'anno  1 3oo  [rj,  a  Sole  in  ariete  [5j,  vien- 
^i,  per  le  vie  additateci  dagli  Astronomi,  a  rilevare  che  inco- 
.minciasse  Dante  cotal  suo  viaggio  nella  notte  di  mezzo  tra  il 
quarto  e  il  quinto  giorno  di  aprile  [e] .  Essendo  poi  Gesii  Cri- 
sto ,  come  dal  Vangelo  si  raccoglie  \f\ ,  stato  crocifisso  nel 
giorno  seguente  al  plenilunio  stesso  anzidetto;  pei*ciò  Dante 
pone  per  annivei'sario  della  morte  del  Redentore  il  giorno  ve- 
nuto in  seguito  ad  essa  notte  a  Ijuna  tonda  (giorno  che  im- 
piegò Dante  combattendo  colle  tre  fiere  e  ragionando  colPap- 
parsogli  Virgilio)  ;  onde  nel  seguente  canto  ,  i'.  i  1 2.  e  sogg. , 
si  fa  da  un  demonio  dire  : 

ler  più  oltre  cinqu^ore,  che  quest'otta^ 
Mille  dugento  con  sessantasei 
Anm  compier j  che  qui  la  via  fu  rotta. 
Vedi  quella  nota. 


i 


^^o  iJviERNo 

Ben  li  dee  ricordar,  che  uou  li  nocqud 
Alcuna  volta  per  la  selva  fonda . 
Sì  mi  parlava,  ed  andavamo  iritrocqne. 

]  a8  1 29  Ben  ti  dee^  l^g^  ^^  Nìdob.;  e  Ben  ten  dee,  VtX^ 
tre  edizioni  •-►  e  il  Vat.  3 199*4-«  ricordar  vale  qui  so%n^nire. 
—  non  ti  nocque  —  j4lcuna  stolta  per  alcun  voltare ,  alcun 
volteggiamento»  Vedi  il  Vocabolario  della  Cr.  »-*>Coiisealeìl 
Poggiali  a  questa  interpretazione ,  sembrandogli  che  qui  il  sen- 
timento ogu'aUra  ne  escluda.  -*  11  Biagio! i  però  spiega:  a/- 
cuna  volta  j  cioè  tratto  tratto  j  alcunapata.  4^  selva  fonda: 
fonda  vale  qui  quanto  folta .  Siepe  fonda ,  invece  di  folta , 
sci*i veneir^gTico/fura  suaanche  Pier Grescenzi,  lib.  i  o  cap.  33. 
n.  2.  E  si  vuole  dire  che  la  Luna  piena  col  suo  maggior  lume 
e  durata  per  tutta  la  notte  giovasse  al  Poeta  y  nella  folta  seKa 
smaiTÌto ,  per  vedere  ed  iscausare  i  pruni  nell'atto  che  per  en- 
tro a  quella  si  ravvolgeva  per  cercarne  l'uscita;  al  contrario 
cioè  di  quello  che  scrisse  Virgilio  stesso  nell'Eneide  vi.  270.: 

Quale  per  incertam  (inceptam  altri  leggevano,  testimonio 
Servio)  Lunam  sub  luce  maligna 

Est  iter  in  silvis. 
^^  fonda:  forse  va  letto  fronda.  Vedi  la  prima  edizione.  Se 
si  ritiene  fonda ,  la  voce  volta  dee  prendersi  per  giro ,  riW- 
gimento ,  Toeelli.  *-• 

i3o  Introcquej  ti*attanto;  vocabolo  fiorentino,  come  esso 
Dante  dice  nel  primo  libro  della  sua  f^olgare  Eloquenza 
(cap.  i3.):  l'usò  nel  primo  verso  delle  sue  terzine  intitolate 
Pataffio  ser  Brunetto  Latini  (ed  anche  l'antico  volgarizzator 
di  Livio  [a])  :  si  forma  dal  latino  Inter  hoc.  Vedi  VÈrcolano 
del  Varchi,  calte  333,  e  la  seconda  Centuria  del  Salvini,  carte  7  u 
VEirTuar,  il  quale  inutilmente  poscia  perde  tèmpo  dietro  al 
Ruscelli,  che  pretende  introcque  significar  addentro • 

hrala  la  Pasqua  ;  ed  era  il  comando  che  la  Pasqua  si  celebrasse.  a|»- 
|)Uulo  nel  detto  pIcDilunìo.  [à\  Vedi  il  Vocabolario  della  Cnuca* 


CANTO    XXI. 


ARGOMENTO 

In  questo  evinto  descrivesi  la  quinta  bolgia,  nella 
quale  si  puniscono  i  barattieri y  che  è  il  tuffarsi 
costoro  in  un  lago  di  bollente  pece.  E  sono  guar- 
dati da*  demonf ,  ai  quali,  lasciando  discosto  Dan- 
te ^  s* appresenta  f^irgilio  ,  ed  ottenuta  licenza  di 
passare  oltre  ^  ambi  nel  fine  si  mettono  in  cain* 
mino. 

VJosì  di  ponte  in  ponte,  altro  parlando  i 

Che  la  mia  Commedia  cantar  non  cura, 
Venimmo,  e  tenevamo  1  colmo,  quando 

Ristemmo  per  veder  Taltra  fessura  4 

I  di  ponte  in  ponte:  dal  ponte  sopra  la  quarta  fossa  al 
ponte  sopra  la  quinta,  che  è  de'barattieri»  m-^  di  ponte  in  ponte 
si  riferisce  non  solo  al  quarto  e  al  quinto ,  ma  si  a  tutti  i  pre- 
cedenti già  varcati. BiAGioLi.  4-«  Baratteria  (dice  il  Buti)  che 
per  altro  nome  si  chiama  maccatelleriaj  è  vendimento,  ovvero 
compramento  di  quello  che  l'uomo  è  tenuto  di  fare  per  suo 
oiEzioy  per  danaro»  o  per  cose  equivalenti  [a]. 

a  Commedia  coU'accento  su  Vij  alla  greca  maniera,  vuole 
il  metro  che  leggasi  qui,  come  altrove. 

3  7  eolmo,  ael  qumto  ponte. 

4  Ristemmo j  ci  (ermsjoxno •"  fessura  fer  fossa;  che  in 
realtà  non  è  altro  che  fessura,  fenditura  di  terreno.  •^Ristare 
non  vuol  dire  semplicemente  fermarsi ,  ma  fermarsi  di  nuùvo. 

BlAGIOL1.4-C 


[a]  Vedi  il  Vocabolario  della  Crosca  alla  voce  BavatUria  . 


44^  INFERNO 

Di  Malebolge,  e  gli  altri  pianti  Tani  ; 

£  vidila  iDirabìltnente  oscura . 
Quale  nelFArsenà  de'  Veneziani  7 

Bolle  r  inverno  la  tenace  pece, 

A  rimpalmar  li  legni  lor  non  sani, 
Che  navicar  non  ponno;  e  'n  quella  vece  10 

5  Di  Malebolge.  Perchè  cosi  appelli  queste  circolari  fosse, 
è  detto  al  primo  verso  del  canto  xviii.  -—  e  gli  altri  pianti 
vani  per  gli  altri  piangenti  inviano;  che  nessuno  mnovesi 
di  loro  a  pietà. 

6  mirabilmente  oscura ^  piìi  assai  delle  altre,  e  corrìspon* 
dente  al  buio  operare  de' barattieri. 

7  Arsenà^  f<^gg^  la  Nidobeatina,  ed  accostasi  meglio  airin- 
lìera  yoce  Arsencìle^  che  non  u4r  zana ,  che  leggono  l'ai  tre  edi- 
zioni »-^e  il  cod.  Ang.  E.  R,  e  il  YaU  Sigg.^-*  L'Arsenale  è 
in  Venezia  un  gran  recinto ,  dove  si  costruiscono  e  riattano  le 
navi.-  F'enezianij  legge  la  stessa Nidob. ;  f^inizianij  l'altre 
edizioni.  »-^Con  questa  bella  similitudine  vuole  il  Poeta  prìn* 
cipalmente  por  sotto  gli  occhi  del  lettore  la  spaventosa  imma- 

fine  di  quella  bollente  pece,  ove  puniti  sono  i  barattieri j  e  si 
istende  poi  ai  particolari  con  sì  vivi  colori ,  che  par  proprio 
che  si  veggano  le  operazioni  diverse  e  che  s'oda  il  tumultuoso 
fracasso  di  quella  gente  ;  e  chi  esaminerà  bene  i  cinque  ultimi 
versi  (  di  questa  similitudine  )  vi  scollerà  un' eloquenza  e  fa- 
condia mirabile,  nn' azione,  un  movimento,  un  ardore  tale; 
con  quel  fernet  opus  virgiliano ,  che  maggiore  non  si  può  de- 
siderare .  Bl  AGIOLI .  <4-« 

8  rirwemoj  tempo  in  cui  si  riattano  le  navi,  per  essere 
alla  navigazione  il  più  importuno. 

9  Rimpalmare ,  rimpecciare;  e  si  dice  comunentente  delle 
naui.  Vocabolario  della  Crusca.  —  legni  lor^  de'  Veneziani. 

I  o  Che  navicar  non  ponno  ,•  imperocché  navigar  non  poo- 
no,  intendi  i  Veneziani,  non  i  legni;  che  a  quelli,  e  non  a 
questi,  si  riferisce  il  non  ponno.  Veittubi;  e  istessamente  gii 
altri  Sposi  tori.  A  me  però  non  parrebbe  assurdo  se  si  riferisse 
il  non  ponno  anche  agli  stessi  legni .  »-►  A  ozi  a  questi  soli  lo 
vuole  riferito  il  Biagioli .  4-«  e  '/i  quella  vece ,  e  in  quella  oc- 
casione, in  quel  tempo;  a-»"  o  invece  di  navigare.  Poggi  ai.i.<«-€ 


CANTO   XXI.  443 

Chi  fa  suo  legno  nuovo,  e  chi  ristòppa 

Le  coste  a  quel,  che  più  viaggi  fece} 
Chi  ribatte  da  proda ,  e  chi  da  poppa  :  1 3 

Ahri  fa  remi,  ed  altri  volge  sarte; 

Chi  terzeruolo  ed  artimon  rintoppa: 
Tal,  non  per  fuoco,  ma  per  divina  arie,        16 

BoUìa  laggiuso  una  pegola  spessa. 

Che  'nvlscava  la  ripa  d'ogni  parte. 
r  vedea  lei,  ma  non  vedeva  in  essa  iq 

Ma  che  le  bolle ,  che  '1  boHor  levava , 

f  I  ristoppa.  BistopparCy  riturare  le  fessure  colla  stoppa  e 
simili  materie.  Vedi  il  Vocabolario  della  Crusca, 
la  Le  coste,  per  metafora ^  i  lati  dalla  nave. 

1 4  ^olffe  sarte ,  attorciglia  la  canapa  per  far  sarte ,  corde 
inservienti  alle  nari .  •-»  Altri  fan  remi,  altri  ri^olgon  sarte  , 
legge  TAng.  E.  R.  ♦-• 

1 5  terzeruolo  ed  artimone  artimone  è  la  maggior  vela  che 
abbia  la  nave  ;  terzeruolo  è  la  minore .  Buri ,  riportato  dal  Vo- 
cabolario della  Crusca  [al^.-^ rintoppa,  rìsarcisce,  rappezza. 

1 6  m^  perdii^ina  arte  vuol  dire  per  t^irtù  di  Dio-  Poggi  all^-s 

1 7  pegola .  La  ragione  per  cui  Dante  immerge  i  barattieri 
nella  pece,  dovrebbe  essere  per  T inganno  che  fidino  costoro 
agli  uomini,  come  colla  pece,  o  pania  (  che  Dante  pei*  sinoni- 
mi adopera  [&]  ),  s'ingannano  gli  uccelli  «  •^  spessa,  cioè  den« 
sa.  Poggiali. 4Hi 

1 9  ao  non  i^deua  in  essa  *  Ma  che  le  bolle ,  «e.  :  non  iscor* 
geva  in  essa  se  non  che  le  bolle  che  il  caldo  faceva  alzare  alla 
superficie.  E  vuol  intendersi,  che  non  vi  scoi^eva  gente  im« 
me^sa;  imperocché,  come  in  progresso  dirà  \c\,  era  cura  di 
qne' demoni  assistenti  di  non  lasciare  che  alcuno  degFiviat- 
tufiati  galleggiasse.»-» Intorno  al  significato  del  ma  che  vedi 
la  nota  al  i^.  26.  del  canto  tv.  di  questa  cantica.  —  L'È.  R*  legge 
coU'Ang.  e  colPediz.  di  Fuligno  i473  ^^^  ^^^9  ^  <:oai  pur 
legge  il  Vat.  Sigg.  4-« 

f/i'  Alla  voce  Artimone,  [b]  Vedi  il  v.  is^.  del  presente  Canio  [e]  Ver- 
so 5i. 


<^ 


444  INFERNO 

E  gonfiar  tutta ,  e  riseder  compressa^ 
Meutr'io  laggiù  tìsamèote  oiirava,  22 

Lo  Duca  mio,  dicendo:  guarda,  guarda, 

Mi  trasse  a  se  del  luogo,  dov*  io  stava. 
AUor  mi  volsi,  come  l'uom  cui  tarda  25 

Di  veder  quel  che  gli  convien  fuggire , 

E  cui  paura  subita  sgagliarda, 
Che,  per  veder,  non  indugia  'I  partire;  a8 

E  vidi  dietro  a  noi  un  diavol  nero, 

2 1  E  gonfiar  tutta ,  e  riseder  compressa.  Accenna  le  con- 
saete  reciprocazioni  dell*  alzarsi  ed  abbassaci  del  bollente  li- 
quore, massime  di  pece  o  d'altre  simili  materie ^  che  per  la 
sua  tenacità  resistendo  alla  evaporazione  dell'aria,  dilatansi  in 
grandi  bolle  ;  ma  finalmente  aprendosi  a  forza  l'aria  per  qaelle 
bolle  l'uscita,  viene  il  liquore  a  ristringersi  ed  abbassarsi, 
aa  m-¥  Mentre  laggiù  fisamente  ec. ,  il  Vat.  3 199.  ♦-• 
aS  guarda  guarda ,  per  guardati ,  guardati, 
a 5  26  cui  tarda  y  a  cui  sembra  tardi  ;  sembra  che  non  gli 
rimanga  più  tempo.  G)si  il  Vocabolario  della  Crusca  [a];  e 
ne  adduce  in  conferma  quell'altro  passo  pur  di  Dante,  In£  ix. 
V.  9..-  Oh  guanto  tarda  ante  eh* altri  qui  giunga!  Il  mede- 
simo Vocabolario  però  ne  reca  esempio  dal  verbo  Tardare  in 
significato  di  essere  tardi  ;  e  sembra  che  al  medesimo  signifi- 
cato qui  pure  adattare  si  possa:  A  cui  è  tardo  il  %^eder  queL 
che  ec.  a-*-  cui  tarda  -  Di  v^eder ,  cioè ,  cui  pare  tardo  di  mp- 
dere.  In  veronese  diremmo:  Che  nolyede  Cora  de  \feder  se 

ec.  TOEELLI  •  <-• 

aj  sgagliarda,  Sgagliardare^  tor  la  gagliardia,  il  corag- 
gio. Vedi  il  Vocabolario  della  Crusca. 

a8  Che  per  talmente  che  [i].  »-^Ma  non  vedendo  il  Bia- 
gioli  a  qual  parte  del  periodo  si  possa  appiccare,  T intende  per 
che  o  il  quale  uomo  in  tale  incontro .  '«-a  non  indugia  il  par^ 
tircy  efietto  dell'accennata  paura  entratagli. 

20  diavol  neroj  corrispondente  a  quella  bolgia  mirabile 
mente  oscura ,  v^,  6. 

[«]  Al  verbo  Tardare.  5-  a.  [b]  Vedi  il  Ci  nuo.  Par/re*  cap.44*  »»•  »'•  ^i- 


CANTO  XXL  445 

Correndo  su  per  lo  scoglio,  venire. 

Ahi  quant'egli  era  nell'aspetto  fiero!  3i 

E  quanto  mi  parca  nell'atto  acerbo, 
Con  Tali  aperte,  e  sovra  i  pie  leggiero! 

L'omero  suo,  ch'era  aguto  e  superbo,  34 

Carcava  un  peccator  con  ambo  l'anche, 
Ed  ei  tenea  de'  pie  ghermito  il  nerbo . 

Del  nostro  ponte,  disse,  o  Malebranche,         3^ 

3o  su  per  lo  scoglio  y  su  pel  sasso  che  faceva  ponte  sopra 
quella  bolgia. 

34  aguto  9  la  Nidobeatina  e  la  Fuliguate  ;  acuto  y  Tahit»  edi- 
zioni m^e  il  Vai.  3i99^-«  che  poi  alu*ove  leggono  anch'esse 
aguie  (e  non  acute)  scane  [aj.  —  superbo j  cioè  alto»  ch*è  il 
proprio  significato,  come  di  umile  il  basso  ;  e  se  non  per  tra- 
slazione si  applicano  a  chi  si  gloria  di  se  stesso  ed  a  chi  si  tien 
vile.  Minacciando,  nAV jénfttrione  di  Plauto,  Mercurio  a  So- 
sia di  rompergli,  se  non  gli  si  levava  d'innanzi,  le  ossa,  e  fai^- 
nelo  portar  via  alto  su  Taltrui  spalle:  Facianiy  gli  dice,  ego 
hodie  te  superbum ,  nisi  hinc  abis  ....  Auferere ,  non  abi- 
bis ,  si  ego  fusteni  sumpsero  \b] .  Dee  adunque  l'omero  di  co- 
testo demonio  intendersi  formato  in  ben  alto  ed  acuto  gobbo, 
su  di  cui  stassero  bene  insellati  coloro  che  si  portava  colaggiii. 
m^V omero  suo  è  accusativo,  cosi  chiosa  il  Lami.  E.  F.  — e 
cosi  pure  l'intendono  tutti  gli  Espositori  da  noi  consultati. «-« 

35  Carcassa  un  peccator ,  cioè  un  peccatore  faceva  di  suo 
peso  caricato  l'omero  del  demonio .  —  con  ambo  l'anche .  ^/i- 
caj  spiega  il  Vocabolario  della  Crusca,  l^osso  che  è  tra  il 
fianco  e  la  coscia. 

36  tenea  ghermito ,  afferrato ,  il  nerico  de* pie  ,  il  gaietto , 
la  parte  pel  tutto,  invece  di  dire:  teneva  afferrati  i piedi. 
w-¥E  quei  tenea  y  legge  l'Ang.  E.  R.;  e  gremito  y  TAng.  E.  R. 
e  il  \at.  3109.  —  Ghermire  è  propriamente  il  pigliar  che 
fanoo  tutti  gli  animali  rapaci  la  pi*eda  colle  loro  branche  o 
iignelli.  Qui  per  metafora  vuol  dire  pigliare  y  0  tener  con 
forza.  PoooULi. 4Hi 

37  38  /)el  nostro  ponte y  ec,  cioè  dove  io  e  Virgilio  cra- 

[n]  Iiif.  xziiii.  35.  [b]  Ad.  f.  sceua  I.  i».  sai.  e  scg. 


448  INFERNO 

Con  tanta  fretta  a  seguitar  lo  furo. 
Quei  s  attufib ,  e  tornò  su  con  volto  j  4^ 

Ma  i  deinon ,  che  del  ponte  avean  coverchio^ 
Gridar:  qui  non  ha  luogo  il  santo  Volto: 

guitare  con  tanta  fretta  lo  furo.  Furo  per  ladro  j  Yoceado- 
j)erata  da  altri  antichi  buoni  scrittori  ancne  in  prosa.  Vedi  il 
A'^ocabolario  della  Grasca. 

46  e  tornò  su  convolto ,  Convolto  >  cioè  col  capo  in  su  y 
chiosa  il  Daniello  ;  ma  io  spiegherei  piuttosto  col  capo  e  piedi 
in  giù,  e  conia  schiena  in  su,  compiegato  in  arco,*  in  arcum 
convolutusj  dìrebbesi  bene  anche  in  latino.  A  questo  modo  ne 
accenna  Dante  medesimo ,  eh'  emergessero  dalla  bollente  pece 
tratto  tratto  parecchi  di  que' dannati: 

Come  i  delfini ,  quando  fanno  segno 
jt*  marinar ,  con  Varco  della  schiena , 
Che  s*argomentin  di  campar  lor  legno  ; 

Talor  così  j  ad  alleggiar  la  pena  y 

Mostrava  alcun  de' peccatori  *l  dosso  [aj. 
E  direi  anzi  che  la  positura  medesima  di  corpo,  come  simile 
a  quella  di  chi  fa  fervorosa  orazione,  Toggetto  sia  del  seguente 
diabolico  sarcasmo:  qui  non  ha  luogo  il  santo  f^olio;  qu^si 
dicessero:  non  è  qui  T effigie  del  santo  Volto  del  Redentore <. 
dinanzi  alla  quale  solete  voi  Lucchesi  a  questo  modo  incurar^i. 

Il  Vellutello,  Volpi  e  Venturi  chiosano  convolto  per  in- 
volto ^  inviluppato  di  pece  1  imbrodolato  ;  ed  anche  il  Vocabo- 
lario della  Crusca,  spiegando  convolto  per  imbrattato ,  vi  pone 
tra  i  vari  esempj  questo  stesso  di  Dante.  Oltreché  però  none 
in  questo  ,  com*  è  in  tutti  gli  altri  esempj  di  convolgere  e  con- 
volto ,  menzionata  la  imbrattante  materia  (  nella  fr acida  nex'e 
si  convolgevano ,  convolto  per  lo  fango ,  convoìta  nel  fango 
e  guasta  ec,  cosi  sono  tutti  gli  altri  esempj  )  ;  né  anche  poi  si 
capisce  bene  come  al  cosi  inteso  convolto  adattasi  l'enunziato 
sarcasmo. Vedi  in  prova,  due  versi  sotto,  ciò  che  gli  Elsposi* 
tori  vi  dicono. 

47  i  demon ,  che  del  ponte  avean  coverchio ,  che  stavano 
sotto  quel  ponte. 

48  qui  non  ha  luogo  il  santo  f^olto.  Gridarono,  dicr  il 

[n]  Canio  :>cg.  v.  ig.  e  segg. 


CANTO  XXI.  449 

Qui  si  nuota  altrimenti  che  nel  Serchio:        49 
Però  j  se  tu  non  vuoi  de'  nostri  graflì , 
Non  far  sovra  la  pegola  soverchio. 

Poi  l'addentar  con  più  di  cento  raffi ^  5i 

Disser  :  coverto  convien  che  qui  balli , 
Sì  che,  se  puoi,  nascosamente  accafH. 

Non  altrimenti  i  cuochi  ai  lor  vassalli  55 

Vellatelloy  per  derisione  i  demonj  y  che  quivi  non  aveva  luogo 
il  Volto  santo»  da' Lucchesi  avuto  in  somma  venerazione,  ed 
invocato  da  loro  nelle  necessità:  ma  quivi  non  aveva  luogo 9 
perchè  in  Inferno  nulla  est  redemptio;  e  del  medesimo  tuono 
chiosano  gli  altri  Espositori .  Vedi  però  quant*è  detto  due  versi 
sopra.  »-»  Quest'efiEgie,  detta  del  frollo  Santo  del  Redentore» 
è  venerata  nella  Cattedrale  di  Lucca  da  molti  secoli»  e  formava 
un  cnho  particolare  di  quella  già  Repubblica»  indicato  anche 
in  alcuna  delle  loro  monete ,  perchè  creduto  formato  di^  mano 
angelica.  Poggiali.  <-« 

40  Serchio  f  fiume  che  passa  poco  lungi  dalle  mura  di  Lue* 
ca.  VB&&VTXI.I10. 

50  Grafi y  Graffio»  strumento  di  ferro  uncinato:  forse  dal 
greco  yfapiQV;  ma  qui  pare  che  debba  prendersi  per  lo  graf* 
fiane.  Volpi. 

5 1  far  soura  la  pegola  soverchio^  soverchiare»  sopravan- 
«are  la  pegola. 

5  a  Poi  dee  qui  valere  noie&é»  come  Purgatorio  e,  x^v*  1.» 
ed  altrove  sovente.  —  rafp,*  Raffio»  strumento  di  ferro  uncinila 
to .  Volpi  . 

53  couertOy  sotto  la  pece.  —  convien  che  qui  bollii  per 
derisione  appellano  que'demonj  ballo  il  dimenarsi  di  que'sciau* 
rati  pel  bruciore* 

04  «Si  choy  ee.  Viene  eost  ad  accennarsi  al  barattiere  la  con- 
degnìtà  di  tale  pena  ;  e  vale  quanto  se  detto  gli  fosse  :  sì  che  1  se 
puoi,  facci  qui  come  in  vita  facevi»  di  nascosamente  accaffarcy 
inguantare  1  vììXxm.Accaffare ,  arraffare  jìttUarripere  »  extor^ 
quercj  eripere ,  spiega  il  Vocabolario  della  Crusca  »  ed  aggiun- 
ge a  questo  di  Dante  altro  esempio  di  Franco  Sacchetti. 

55  vassalli.  Vassallo  qui  per  servo  semplicemente ,  chio- 
sa il  Vocabolai*io  della  Ci*usca»  ene  reca  altro  esempio  tratto 
Fol.  I.  29 


45o  INFERNO 

Fanno  attuffare  in  mezzo  la  caldaia 

La  carne  con  gli  nncin  perchè  non  galli. 

Lo  buon  Maestro  :  acciocché  non  sì  paia ,       58 
Che  tu  ci  sii,  mi  disse,  giù  t'acquatta 
Dopo  uno  scheggio,  che  alcun  schermo  t'haia; 

E  per  nulla  oflfension,  che  mi  sia  fatta,  6i 

JSon  temer  tu,  eh'  i'  ho  le  cose  conte, 

dalla  vita  di  s.  Margherita,  m^  Ma  è  questa  uà' ardita  licenia 
in  grazia  della  rima.  Poooiali.^-s 

57  con  gli  uncin.  Dell' uncino  comnnemente  ci  senriaiiio 
per  attirare;  ma. può  ben  anche ^  in  altra  maniera  «dopntOy 
servire  a  deprimere.  —  galli.  Gallare  per  venire  a  galla 
adopei*a  Dante  qui,  e  metaforicamente  per  insuperbire  nel 
Purgatorio  j  canto  x.  verso  1 27.  :  come  però  in  ambedue  i  Ino- 
ghi  m  rima  puossi  ragionevolmente  creder  sincope  di  gallega 
giare. 

58  non  si  paia.  Accompagnasi  qui  col  rerhopaia  la  pap> 
ticelU  si  solo  per  ornamento:  di  che  vedi  il  Cinonio  {ai]  Vale 
adunque  lo  stesso  che  non  paia  j  non  apparisca  f  non  veggasL 
»-^Non  per  ornamento  9  oice  il  Biagioli  ,  ma  perchè  questo 
pronome  si  rappresenta  qui  l'oggetto  del  verbo.  4-« 

59  60  t* acquatta  ,  t'abbassa  e  nascondi.  Dopo  per  dietro y 
adoprato  anche  da  altri  buoni  scrittori  :  vedi  il  Vocabolario  della 
Crusca.  —  che  qui  per  talmente  che  [b]  ;  »-»  ma  il  Biagioli  lo 
vuole  pel  relativo  il  quale.  ^^  alcun  schermo  ^  alcun  riparo; 
i*haia^  ti  abbia,  abbia  tu  a  te  stesso.  Haia  per  abòia  ripete 
Dante  anche  nel  Paradiso ,  canto  xyn.  verso  i4o.;  ma  ivi  pure 
in  rima,  e  però,  credo,  per  sincope  di  abbia^  o  ^oome  allora 
seri  ve  vasi,  habbia. 

61  E  per  nulla  offension  ,  che  mi  sia  fatta  j  l^ge  la  Ni» 
dobeatina;  ove  l'altre  edizioni,  E  per  nulto/pension  chiame 
sia  fatta.  Nullo  per  niuno,  adoprato  anche  da  altri  buoni 
scrittori,  vedilo  nel  Vocabolario  della  Crusca. 

62»  m^  conto ^  conta  j  conti ^  conte ,  per  cognito y  cognita^ 
cogniti  f  cognite  f  è  un  elegante  sincope  usitatissima  anche  ai 
di  nostri  ecT  in  prosa  ed  in  versi.  Poggiali,  ^h* 

[a]  Pmrtic,  a99.  SI  [6]  Vodi  il  Ciaunio  »  Pariic.  ^^.  af. 


CANTO  XXL  45i 

Perchè  altra  volta  fui  a  tal  baratta . 

Poscia  passò  di  là  dal  co  del  ponte,  64 

£  com'  ei  giunse  in  su  la  ripa  sesta , 
Mestier  gli  fu  d' aver  sicura  fronte  • 

Con  quel  furore ,  e  con  quella  tempesta,        67 
Ch'  escono  i  cani  addosso  al  poverello ^ 
Che  di  subito  chiede ,  ove  s' arresta  ; 

63  Perchè  altra  volta  ^  quando  cioè  vi  fu.  Congiurato  da 
auella  Eriton  cruda  [a].  m^Eahra  volta^  legge  l'Ang.  E.  R.4hi 
iaraitaj  cioè  contrasto  y  contesa  y  spiega  per  molti  esempj  il 
Vocabolario  della  Crasca. 

64  dal  co ,  sincope  di  capo ,  di  cui  \edi  nel  precedente  can* 
to,  Terso  76. 

65  su  la  ripa  sesta  •  Essendo  ogni  ponte  posato  tra  due  ripe , 
doveva  certamente  di  là  dal  capo  del  ponte  quinto  y  su  di  cui  sta- 
vano i  Poeti,  esser  la  ripa  sesta ,  quella  cioè  che  partiva  la 
quinta  dalla  sesta  fossa . 

66  sicura  fronte  per  coraggio.  b-^È  bel  modo  poetico  e 
ben  giusto,  perchè  la  sicurezza  della  fronte  dimostra  quella 
delFanimo.  Biagioli.  ^-« 

67  tempesta  figuratamente  per  impetuosa  veemenza.  Vedi 
il  Vocabolario  della  Crusca, 

68  Ch'escono  i  cani  ec.  Accenna  il  Poeta  cosa  cné  per  espe- 
rienza è  nota  ad  ognuno ,  cioè  che  ai  pitocchi ,  ogni  volta  che 
si  affacciano  a  qualche  casa  per  accattare,  furiosamente  i  cani 
ai  avventano  ;  e  pare  proprio  che  discemano,  e  mal  volentieri 
soflrano  che  vengano  a  portai*si  via  i  tozzi  di  pane  che  vorreb- 
bero mangiar  essi. 

c)6  Che  di  subito  ec.  Altro  costume  de* pitocchi,  di  chi^ 
dere  ad  un  tratto,  improvvisamente,  la  caritè  a  qualunque 
uscio  si  arrestino.  •-►Pretende  il  Biagioli  che  il  Lombardi  non 
abbia  ben  inteso  questo  verso.  Dice  egli  adunque  che  la  voce 
poverello  ha  un  senso  vago,  potendosi  applicare  ad  ogni  soita 
di  miseria  e d' infortunio .  Con  questo  verso,  equivalente  ad  un 
solo  addiettivo,  volle  dunque  il  Poeta  determinare  la  spezie 
de* poverelli  di  cui  s*haquiad  intendere,  che  sono  appunto 

[a]  lof.  cauto  IX*  verso  a3. 


45a  INFERNO 

Usciron  quei  di  sotto  'i  ponticelio,  70 

E  volser  contra  lui  tu  iti  i  roncigli  ; 
Ma  ei  gridò:  nessoa  di  voi  sia  fello. 

Innanzi  che  l'unciu  vostro  mi  pigli,  73 

Traggasi  avanti  Tun  di  voi  che  m'oda, 
E  poi  di  roncigliarmi  si  consigli . 

Tutti  gridaron  :  vada  Makcoda;  76 

Perch*  un  si  mosse ,  e  gli  altri  stetter  fermi , 
E  venne  a  lui  dicendo:  chi  t'approda? 

quelli  che  hanno  in  uso  di  chiedere  la  limosina  ovunque  e  U>- 
stocbè  s'arrestano.  4-« 

^o  di  sotto  7  ponticello.  Ponticello  per  ponte y  m  c^oo 
della  rima  ;  ed  erano  questi  aue'demonj  medesimi  che  delpon^ 
te  a^ean  ooverchioj  verso  47.  m^di  satto  al  pondoello^  le^ 
con  più  chiarezza  il  cod.  Poggiali  —  e  il  Val.  3199. 4-« 

7 1  roncigli.  Ronciglio  e  nunciglio,  spiega  il  Vocabolario 
della  Cmsca,  ferro  adunco  a  guisa  eTuncino,  gntffio. 

72  fello  j  malvagio,  ingiusto  ec«  Vedi  il  Vocabolario  della 
Crusca. 

73  al  75  »-»  Queste  parole  di  Virgilio  piene  sono  di  nobile 
semplicità ,  e  vengono  da  un  uomo  intrepido  e  di  animo  (ranco. 
BiAGioLi.4-«  roncigliarmi  ,  ferirmi  co* roncigli,  s-^ornina- 
gliarmif  legge  l'Ang.  E.  B.  —  e  il  Vat.  Sigg,^-* 

76  gridaron  1  la  Nidobeatina  ;  e  Taltie  ediz.,  gridat^an  ;  »-»e 
così  il  Vat.  3 199.  «-•  Malaooda ,  nome  d' uno  di  que*  demonj. 

77  Perch^un si  mosse,  cioè  il  nominato il/a/a^YMla. 

78  m^  eh* egli  approda?  cosi  leggeva  il  Lombardi ,  chiosai^ 
do:  fcCosi  io  sparto  e  leggo  il  contuso  adunamento  di  lettere 
7»  che  gli  approda y  che  ne'mss.  [a]  si  ritrova,  non  solo seoxa 
»  verun  segno  d'apostrofo ,  che  a  que* tempi  non  en  in  uso, 
»»  ma  anche  senza  veruno  spazio  intermedio;  e  intendo  cbr 
9>  abbia  egual  senso  come  se  detto  fosse  :  €he  appriìda  egli? 
»  che  arriva  egli  di  nuo\^o  [&]?  e  mi  par  meglio  di  quell'albo 

[a\  Vedi,  tra  gli  altri,  il  1917  della  Gorsiai.  [5]  Siccome  rivm  eptodi 
per  r  identità  del  significato  possono  scambievolmente  adopraisi»  cosi 
approdare  e  arritmre» 


CANTO  XXt.  453 

n  spaitimento  amUiesso  volgannente  nelle  stampe ,  che  gli  ap* 
ii^ proda?  del  quale,  per  capire  quanto  sia  difficile  il  buon  sen* 
»  so,  basta  leggere  la  chiosa  del  Venturi»  che  resti-inge  quanto 
«>  tì  hanno  detto  gli  altri  Spositori  :  «Ae  gli  approda?  che  gli 
ni  a  prò ,  che  eli  piace  di  farci  sapere  ?  oppure  :  che  gli  gio^ 
«>  va  il  mio  andare  a  lui?  in  che  gli  accomoda?  crede  per 
»  questo  doi^ere  slare  libero  da*nostri  grafi? 

»  La  particella  egli  per  riempitiva ,  com*  io  qui  k  pongo  9 
tt  fu  (se  mai  ad  alcuno  nascesse  da  questa  parte  dubbio)  ado- 
»  penta  sempre  dagli  italiani  e  massime  toscani  scrittori  y  ed 
»  adoprala  pur  Dante,  Inf.  xxit.  Sa.»  xxni.  64*:  Purg.xxvni.  ò'j. 
»  ed  altrove.  »  —  cAi  ^approda?  leggeva  TE-  R.  nella  2.  edi- 
tione,  spiegando:  chi  ti  fa  qui  approdare?  come  sei  qui  ca^ 
fatato?  Ma  nella  3.  ediz.  ha  rimessa  nel  testo  la  comune  le« 
tione,  che  gli  approda?  confortata  dalVautorità  de*codd.  Ang., 
Caet.  e  Vat.  3199,  interpretando  col  Biagioli  :  che  gli  accasca!? 
die  gli  accade?  che  gli  occorre?  Ci  offre  poi  una  nuova  in- 
terpretazione di  questo  passo  data  dal  P.  Aiez.  Raguseo,  che 
in  tanta  oscurità  non  è  da  spregiarsi.  Questi ,  trovando  scrìtto 
nel  Vat  3 199,  che  li  approda?  chiosa  :  «io  dividerei  così:  chi 
ȏ  li  a  proaa?  Gli  scrittori  di  quel  tempo  univano  il  segna- 
V  caso  al  nome,  e  raddoppiavano  la  consonante  seguente,  co-* 
a  me  si  vede  al  principio  di  questo  stesso  verso.  Et  venne  allui* 
»  L*  interrogazione  cosi  divìsa  si  gnificherebbe  t  chi  ò  lì  da- 
0  vanti?  ovvero,  chi  è  lì  alla  ripa?  e  sarebbe  presa  dall'uso 
«marinaresco.»  —L'Anonimo,  frequentemente  citato  nella 
E.  F.,  legge  invece  che  t^  approda?  e  spiega:  cAc  ti  giova 
ch*io  venga  qua?  questo  piccolo  ritardare  di  andare  alla 
pena  ti  /ta  di  piccolo  prò.  Parla  come  snelli  fosse  un  anima 
dannata  a  quello  luogo*  «—  Questa  chiosa  concorda  colla  mag*- 
gior  parte  delle  sposizioni  che  dagl'Interpreti  date  si  sono  a 
questo  passo;  ed  alla  voce  approdare  il  Vocab.  della  Cr.  dà 
anche  il  significato  di  far  prò ,  glossare .  <•—  Il  Biagioli  ritiene 
che  il  LoDd!>ardi  colla  sua  lezione  guasti  il  sentimento 9  ^  ^^^ 
qni  pigli  il  pronome  egli  per  riempitivo  con  poca  gloria  di 
Dante.  —  Gli  Editori  bolognesi  sono  d' avviso  che  approda 
sia  qui  in  luogo  di  approderà;  perciò  intendono:  qual  cosa 
gli  potrà  giovare  j  cioè  potrà  salvarlo  dai  nostri  rafi?  Esa- 
minandoci per  la  verità  della  cosa,  fra  tutte  le  esposte,  1^  le* 
aione  del  Lombardi  non  ci  sembra  per  certo  la  migliore  •  ~  Ih 
tanta  incertezza  e  varietà  di  opinioni  noi  abbiamo  seguila  la 
lezione  chi  t* approda?  del  cod.  Cass.,  introdotta  nel  testo  dal- 


4^14  INFERNO 

Credi  tu,  Malacoda,  qui  vedermi  79 

Esser  venuto ,  disse  '1  mio  Maestro, 
Sicuro  già  da  tutti  i  vostri  schermi 

Senza  voler  divino  e  fato  destro?  82 

Lasciami  andar ,  che  nel  Cielo  è  volato 
Cb'  io  mostri  altrui  questo  cammia  silvestre. 

Alior  gli  fu  l'orgoglio  si  caduto,  85 

Che  si  lasciò  cascar  Y  uncino  ai  piedi , 
E  disse  agli  altri:  ornai  non  sia  feruto. 

£  '1  Duca  mio  a  me:  o  tu,  che  siedi  88 

TE.  B.  nella  a.  rom.  edizione 9  come  qiiella  che  »  a  nostro  giudi- 
zio >  merita  la  preferenza.  4hi 

8 1  Sicuro  j  la  Nidobeatina  ;  Securo  9  Taltre  edis.  '^schermi ^ 
per  contrasti.  •-►iSc/cermo  significa  propriamente  J!i/eraoi> 
paro  :  ma  s'adopera  alcuna  Tolta  in  significato  di  offesa ,  es- 
sendo vocabolo  originalmente  proprio  dell'arte  della  scherma, 
nella  quale  ristesse  mosse  ed  opei'azioni  hanno  sempre  in  min 
il  doppio  oggetto  di  difendersi  e  di  offendere.  Poggiau.^-c 

8 a  fato  destro  j  destino  propizio.  Destro  per  propizio  j 
faì^orevole^  adoprato  da  altri  buoni  scrittori  y  vedilo  nel  \  0- 
cabolario  della  Crusca. 

83  m^  Lasciane  andar ,  legge  TAng.  E.  R.,  e  il  Vat.  3199* 
ed  il  cod.  Poggiali  •«-« 

85  gli  fu  l  orgoglio  sì  caduto  j  l'attivo  volto  in  passivo, 
invece  di  gli  cadde  j  gli  cessò  y  rorgoelio  y  talmente  die  ec. 
«-^Bellissimo  modo  di  dire  imitato  dal  Boccaccio  stesso  che 
scrisse  :  subitamente  la  sua  ira  e  lo  sdegno  caduti  ;  —  e  al- 
trove :  perchè  di  presente  gli  cadde  //  furore .  Biagioli  .  «^ 
DalFoperare  nondimeno  di  costoro  >  che  in  seguito  [a]  vedras- 
si ,  bisogna  concludere  che  non  prestassero  ^lino  a  cotale 
manifestazione  se  non  una  dubbiosa  credenza ,  la  quale  facesse 
bcusi  indugiare,  ma  non  dimettere  l'animo  di  nuocere. 

87  feriao  per  ferito  y  adoperato  da  buoni  antichi  scrìtioiì 
anche  fuor  del  verso  e  della  rima  y  vedilo  nel  Vocabolario  della 
Ci*usca  • 

[a]  Vedi  il  I».  1 1 1  del  presente,  e  il  1 6.  e  segg.  del  canto  x\uu 


CANTO  XXI.  45^ 

Tra  gli  scheggioQ  del  ponte  quatto  quatto  ^ 

Sicuramente  ornai  a  me  ti  riedi . 
Perch'io  mi  mossi,  ed  a  lui  venni  ratto:        gì 

E  i  diavoli  si  fecer  tutti  avanti , 

Si  eh'  io  temei  che  non  tenesser  patto. 
E  così  vid'  io  già  temer  li  fanti ,  g4 

Ch*  uscivan  patteggiati  di  Gaprona, 

Veggendo  sé  tra  nemici  cotanti . 

91  ratio f  aTTerbìO)  v^ìe prestamente,  »-»n  Biagioli  però; 
conUt)  il  parere  di  tutti  gli  Espositori,  vuole  che  ratto  non 
sia  qui  avverbio  y  e  che  significhi  con  passo  ratto  >  «-« 

gó  temei  che  non  tenesser  patto  y  cosi  legge  la  Nidob.;  te* 
metti  non  tenesser y  le  altre  edizioni:  e  vuoisi  intendere,  che 
il  Poeta  temè  cKe  i  diavoli  non  osservassero  quello  che  a  Vir- 
gilio promesso  avea  Malacoda.  Tener  patto  è  come  tener  fede\ 
per  mantenere ,  osservar  fede;  come  disse  il  Petrarca,  son.  80.: 

rapidamente  n*  abbandona 

n mondo,  e  picciol  tempo  ne  tien  fede . 
•^temetti  che  rompesser  patto ,  legge  TAng.  E.  R.  ;  e  Si  ch'i* 
temetti,  cK^ei  tenesser  patto  f  il  Vat.  Bigg.  4-« 

94  al  96  i?  così  vid*  io  ec.  Gaprona  fu  già  castello  de*  Pisa- 
ni in  riva  d'Amo,  e  fu  tolto  a*  Pisani  da  Lucchesi,  i  quali  ^ 
collegali  con  gli  altri  Guelfi  di  Toscana ,  facevano  guerra  a  Pisa, 
capo  de*Ghìbellini.  Dopo,  essendo  assediato  da  gi^ande  esercito 
de* Pisani,  i  fanti  Lucchesi  che  v'erano  in  guardia,  mancando 
loro  l'acqua ,  si  dettero ,  salve  le  persone  :  ed  usciti  in  campo  , 
furono  dal  Conte  Guido  legati  tutti  a  una  fune ,  acciocché  non 
si  separassero;  e  separati,  fossero  morti  da*  villani -.e  condotti 
ai  confini  di  Lucca,  rarono  licenziati.  Nondimeno  perchè,  men- 
tre che  passavano  pel  campo  de* nemici  ciascun  gridava,  ap* 
picca ,  appicca ,  essi  temerono  forte. Landiko.  a-^Dice  il  sig.  Pog- 
giali che  questo  fatto  deve  appartenere  al  1 290,  o  circa.  Dante 
aveva  allora  a5  anni,  e,  per  quanto  può  dedursi  da  questa  ter- 
zina, si  trovò  presente  alla  suddetta  evacuazione  de'Lucchesi 
dati  castello  Gaprona .  —  Il  Venturi  pretende  invece  che  questa 
pauia  ravessei*o  i  Pisani  quando  cedettero  il  castello  ai  Luc- 
chesi . 


456  INFERNO 

lo  m' accostai  con  tutta  la  persona  97 

Lungo  1  mio  Duca,  e  non  torceva  gli  occhi 
Dalla  sembianza  lor,  eh'. era  non  buona. 

£i  china  van  li  raffi ,  e  :  vuoi  eh'  V 1  tocchi ,      100 
Diceva  V  un  con  Y  altro ,  in  sul  groppone  ? 
E  rispondean  :  sì  ;  fa  che  gliele  accocchi  : 

IVIa  quel  demonio ,  che  tenea  sermone  io3 

Col  Duca  mio,  si  volse  tutto  presto, 
E  disse:  posa,  posa,  Scarmiglione: 

Poi  disse  a  noi:  più  oltre  andar  per  questo  106 
Scoglio  non  si  potrà  j  perocché  giace 
Tutto  spezzato  al  fondo  V  arco  sesto  : 

Q^  gg  »-^  io  rn  accostai  ec.  Mossa  molto  natnrale  di  dii 
ha  paura.  Poggiali .^-s  Lungo  y  avverbio,  vale  quanto  vicino, 
rasente .  Vedi  il  Vocabolario  della  Crusca,  m^  non  tollera  gli 
occhi  y  ha  il  codice  Ang.  E.  B.  ^  non  buona  y  minacciosa  e 
fiera.  Vehtubi. 

1 00  al  1  oa  £*!  chinas^any  abbassavano  verso  di  me,  li  raff, 
gli  uncini.  -  e.-  vuoi  ec.  ;  costruzione.*  e  y  diceva  Cun  con  C al- 
tro y  vuoi  ch*r  7  tocchi  y  che  il  percuota ,  in  sul  gropponcy  parte 
del  corpo  appiè  della  schiena  soprai  fianchi.  Vedi  il  V^ocabo- 
lario  della  Olisca  alla  voce  Groppa  ;  ma  qui  per  tutta  la  de- 
retana parte  del  busto,  m^  Diceva  Funo  alPaltrOy  buona  t^ 
rianle  del  cod.  Poggiali. ^-«^/ie/e accocchi y  glielo  attacchi,  in- 
tendi il  raffio.  Accoccare  è  propriamente  attaccare  la  corda 
dell'arco  alla  cocca  y  ossia  tacca  della  freccia.  Qui  è  metafon; 
ma ,  come  ognun  vede,  molto  espressiva. Poggijj:j.4-« Di ^/iWe 
indeclinabilmente  per  tutti  i  generi  e  casi,  invece  di  glielo^ 
gliela y  glieli y  vedi  il  Gnonio  [a],  •^vuoi  che*l  tocchi^  al 
V.  1 00. ,  legge  il  Vat.  3 1 99.  ♦-• 

io3  tenea  sermone  per  favellava. 

I  o5  posay  posay  quietati  y  quietati  y  *  Scarmiglione  y  nome 
d^un  di  quei  demonj  che  voleva  feiìr  Dante. 

107  108  ^^  Scolilo  non  si  può  y  ec. ,  legge  il  cod.  Vatica- 

\a]  Par  tic.  cap.  119. 


CANTO  XXI.  457 

£  se  r andare  avanti  pur  vi  piace,  log 

Andatevene  su  per  questa  grotta: 
Presso  è  un  altro  scoglio,  che  via  face. 

ler,  più  oltre  cinqu'  ore  che  quest'  otta^        1 1 2 
Milledugeoto  con  sessantasei 
Anni  compier,  che  qui  la  via  fu  rotta. 

no  3199.  4HI  perocché  ec;  costruzione:  oeroccAè  Carco^  il 
ponte y  sesto  giace  al  fondo ^  di  quella  fossa,  tutto  spezza-» 
to.  Questo  ponte  della  sesta  fossa,  eh' è  degl'ipocriti,  Angelo 
Dante ,  come  appresso  accennerà ,  spezzato  nel  terremoto  av- 
venuto nella  morte  del  Redentore:  e  solo  esso  ponte  degl'ipo* 
criti  rovinò,  in  sesno  di  essere  V  ipocrisia  de' Farisei  stata  la 
cagion  principale  della  morte  di  Gesii  Oisto  ;  o,  come  dice  il 
Landino,  perchè  in  miei  tempo  fu  disgregata  la  sinagoga  dei 
Giudei  e  la  fraude  della  ipocrisia  dei  saceraoti. 

110  111  per  questa  grotta  •  Grotta ,  perchè  luogo  dirupato 
e  sosceso  [aj ,  appella  l' ai^ne  divisorio  tra  la  fossa  quinta ,  alla 
quale  i  Poeti  stavan  sopra,  e  la  sesta  fossa  ;  e  vuole  Malacoda 
dire  che  camminando  i  Poeti  sopra  quell'argine ,  perverrebbero 
ad  un  altro  dei  molti  scogli  intersecanti  quelle  tosse  (rivedi  il 
passato  canto  xviu.»^.  i6.  e  segg.  ),  nel  quale  trgverebbono  in- 
tiero anche  il  ponte  sopra  la  sesta  fossa.  Essere  però  questa 
una  bugili  di  Malacoda,  ed  essere  non  solo  qui,  ma  da  per 
tutto  spezzati  i  ponti  sopra  di  essa  fossa ,  apparirà  nel  e.  xxiii. 
»".  j36.  e  segg.,  dove  i  Poeti  di  tale  gabbamento  si  avveggono. 
La  bugìa  medesima  ripete  ne'iv-  laò.  e  126.;  e  bisogna 
credere  che  sia  intenzione  ael  Poeta  nostro,  che  nel  luogo  dei 
barattieri  facciano  anche  i  demonj  volentieri  del  nò  itUj  t^.  4^* 

I  la  al  1 14  ler j più  oltre  ec  Due  cose  vengono  qui  ad  ac- 
cennarsi: e  fatta  quella  rottura  dal  terremoto  seguito  nella 
morte  del  Redentore ,  e  Tanno  di  nostra  Era  1 3oo  essere  quello 
in  cui  finge  Dante  di  avere  intrapresa  questa  sua  andata  all'al- 
tro mcmdoi  imperocché  essendo  Gesù  Gristo ,  secondo  che  tiene 
esso  Dante  [6],  morto  d'anni  34 9  restano  appunto  tra  il  34  e 
il  i3oo  anni  ia66  [e]. 

[a]  Vedi  il  Vocab.  della  Crusca,  [b]  Convivio,  tratt.  4.  cap.  iS« 
[e]  Nello  stesso  anno  i3oo  fu  il  Giubbtleo,  che  pure  accenna ,  Purg. 
II.  9S. 


458  INFERNO 

Due  errori  però  còmmettonsi  a  questo  passo  dalla  comtnie 
degli  Spositorì:  uno  è,  che  per  più  oltre  cinqu'ore  intendono 
essi  Tom  sesta,  in  cui  il  Redentor  nostro  fu  crocifisso  ;  e  con- 
seguentemente a  tale  intelligenza  spiegano  per  quesi^'otia  (of- 
fa per  ora ,  adoprato  da  buoni  scrìtton  anche  in  prosa ,  vedilo 
nel  Vocab.  della  Crusca  )  1*  ora  prima  del  giorno  ;  non  badan* 
do  che  accennossi  giunta  V  ora  prima  già  fin  dal  canto  prece- 
dente, 1^.  126.  (vedi quella  nota).  L*altro  errore  è ,  che  per 
VIer  intendono  il  giorno  del  venerdì  santo;  e  per  conseguenza 
stabiliscono  che  questo  y  in  cui  Malacoda  cosi  parlaya,  fosse 
il  sabato  santo. 

Scopresi  il  primo  errore  con  avvertire  che  il  prodigioso 
terremoto 9  di  cui  qui  favella»  successe 9  non  nell'ora  sesta  in 
cui  Gesii  Cristo  fu  posto  in  croce  »  ma  nell'ora  nona,  quando 
Gesù  Cristo  mori.  Vedi  il  Vangelo,  Matth.  27,  Marc.  i5. 

Manifestasi  T altro  erroi'e  dallo  avere  Dante  medesimo  in 
persona  di  Virgilio  detto  che  nella  notte  precedente  alio  stesso 
ieri  fosse  la  Luna  tonda  (  canto  preced.  v.  1 27.  ) ,  e  dal  trovar 
noi  che  quella  Luna  tonda y  ossia  plenilunio,  dovette  cadere 
nel  di  4  aprile  (  vedi  la  nota  al  citato  verso  1 27.  ),  e  il  venerdì 
santo  fu  in  quell'anno  i3oo  il  dì  8  aprile  [aj. 

La  quarta  ora  del  giorno  era  adunque  quest*  otta ,  e  non 
la  prima  :  ed  il  giorno  precedente  accennasi  come  anniversario 
della  morte  del  Redentore  non  per  altro  che  per  la  ragione 
detta  al  »^  129.  del  precedente  canto,  cioè  per  essere  quello 
il  fi[iomo  consecutivo  al  giorno  del  plenilunio  a  Sole  in  Ariete, 
nel  quale  consecutivo  giorno  sappiamo  essere  avvenuta  la  pre- 
ziosa morte  di  Gesii  Cristo  (rivedi  quant'ivi  si  è  notato  j;  e 
però  gli  anni  milledugento  con  sessantasei  debbonsi  inten* 
dere  non  meramente  solari y  ma,  come  sogliono  appellarsi, 
lunisolari. 

Anniversario  della  morte  di  Cristo  disse  il  Petrarca  pure 
nel  medesimo  senso  il  di  6  aprile  1327  [6j«  Vedi  il  Tassoni 
sopra  le  rime  di  esso  poeta,  son.  3. 

Altro  anniversario  non  si  può  intendere:  non  quello  che 
la  Chiesa  celebra,  cioè  il  venerdì  santo,  per  la  predetta  ragione, 
cioè  che  non  fu  consecutivo  al  giorno  del  plenilunio:  non 

[a]  Che  nel  dì  8  aprile  cadesse  in  quell'  anno  il  veoerdì  santo,  cono- 
acesi  coosegaeti  te  mente  al  trovarsi  (  secondo  il  metodo  che  ne  insegoano 
gli  scriltori  del  computo  ecclesiastico)  caduta  la  Pasqua  del  f 
anno  nel  dì  10  .iprite,  [b]  Son.  176* 


CANTO  XX!.  45o 

quello  che  corrisponda  al  giorno  fissato  alla  morte  di  Cristo  da 
alcuno  scrittore  sacro  o  profano;  imperocché  chi  scrisse  mai 
esser  morto  Cristo  net  dì  5  aprile?  Io  j  dice  il  Tassoni  nel  men- 
tovato luogo  )  nel  ridurre  che  ho  fatto  in  un  tomo  tutti  gli 
Annali  ecclesiastici  del  Cardinal  Baronio  ,  ho  veduto  non 
solamente  dò  che  sovra  questo  dicono  gV istorici  ^  ma  i  teo" 
logi  e  gli  astronomi;  e  trovo  P opinioni  in  due  classi prin^ 
cipali  divise.  Una  degl* istorici ^  che  tengono  che  il  giorno 
della  passione  del  Salvatore  fosse  di  marzo;  e  r altra  degli 
astrologi  f  che  vogliono  fosse  d^  aprile.  La  più  comune  de* 
gP istorici y  seguitata  da  Tertulliano^  da  Beda^  da  santo 
Agostino  j  da  s,  Giovanni  Crisostomo  j  da  s.  Tommaso 
d'Aquino  e  da  alcuni  altri  Padri  ^  è  che  fosse  il  giorno  aS 
di  marzo;  ed  a  questa  il  Platina  ancora  ed  altri  moderni 
aderiscono .  Afa  la  più  insigne  e  comune  fra  gli  astronomi^ 
quali j  secondo  Abulese  e  Giovanni  Lucido  j  seguono  le 
tavole  Alfonsine  ed  il  calcolo  ecclesiastico  ,  regolato  per 
V  iuxreo  numero ,  è  che  fosse  il  3  d'aprile  ;  e  concorda  pa* 
rimente  con  edcune  antichissime  osservazioni.  Ma  Giosefo 
Scaligero  j  nel  sesto  libro  de  emendatione  temporum,  ag* 
giungendo  un  anno  di  più  allieta  di  Cristo j  con  molte  ra^ 
gionij  autorità  e  calcoli^  si  sforza  dimostrare.che  il  giorno 
della  sua  passione  cadesse  nel  a3  d'aprile;  altri ,  secondo 
Marcello  Fi  ancolino  ^  giudicarono  che  fosse  il  i6  del  me* 
desimo  mese;  e  fra  gP istorici  alcuni  scrissero  per  con^ 
gettare j  che  fu  il  a3  ,  ed  altri  il  3o  di  marzo-  Ma  niuno 
(  conclude  egli  per  rapporto  al  Petrarca  )  fra  tanto  numero 
si  trova  (che  io  mi  sappia)  il  quale  nomini  il  6  d aprite. 
E  niuno  (concluderemo  noi  rispetto  a  Dante)  che  ponga  il  di 
5  aprile. 

Piacendo  alPautore  degli  Aneddoti  recentemente  stampati 
in  Verona (Anedd.  iv.  cap.  i'2.)cbe  per  l'anniversario  della 
morte  del  Redentore  intendesse  Dante  il  di  35  marzo  y  per  com« 
binare  con  esso  giorno  il  plenilunio  dal  Poeta  ammesso ,  indn- 
cesi  a  crederlo  un  plenilunio  meramente  fantastico;  non  avveiw 
tendo  però  che  y  se  non  per  supposto  real  plenilunio,  non  poteva 
Dante,  Inf.  xx.  124.,  ai^omentare  dal  cader  della  Luna  il  na» 
scer  del  Sole .  a-^Il  Biagioli  vuole  che  per  ler  s'abbia  ad  inten* 
dere  il  venerdì  santo;  e  che  auel  rovinìo  dell'Inferno  avesse 
luogo  neirora  sesta,  nella  quale  Gesii  Cristo  fu  posto  in  cimice  ; 
poiché  all'ora  stessa  ebbe  compimento  e  la  violenza  fatta  al  Fi- 
glino] di  Dio,  e  l'effetto  della  farisaica  ipocrisia.  -—  Per  noi  ci 


46o  INFERNO 

Io  mando  verso  là  di  questi  miei ,  1 1 5 

A  riguardar  s' alcua  se  ne  sciorina  : 
Gite  con  ior,  eh'  e'  non  saranno  rei. 

Tratti  avanti ,  Alichino,  e  Galcabrina  y  118 

Cominciò  egli  a  dire,  e  tu,  Gagnazzo, 
E  Barbariccia  guidi  la  decina . 

Libicocco  vegna  oltre,  e  Draghignazzo,        mi 

accostiamo  più  volentieri  all' opinione  del  Lombardi ,  conchin- 
dendo  però»  col  eh.  sig.  Ab.  Portirelli,  che  il  formare  delle  que- 
stioni per  concordare  le  ore  e  il  giorno  sia  una  inutile  &ti* 
ca.  -^uinni  compiè^  al  u.  1 14*9  legge  il  Yat.  3 199. 4-« 

1 1 5  di  questi  mieiy  di  qaesti  demonj  soggetti  al  mio  comando. 

1 16  alcun  f  de* condannati  alla  bollente  pece.  —  ^e  ne  Sab- 
rina. Sciorinarsi  qui  per  uscire  all'aria  luor  della  pece.^-i 
Formasi  questa  voce  da  orina  (auretta)  diminutivo  di  óra 
(aura  )  e  da  jc,  equivalente  alla  preposizione  latina  ex.  Bu- 
gigli. 4HI 

117  non  saranno  rei  j  non  vi  nuoceranno.  Pronoiessa  però 
di  demonio  bugiardo  9  com*  è  detto  al  i^.  1 1 1  • ,  e  Tediassi  in 
effetto  nel  e  xxiii.  e  segg« 

1 18  AlichinOy  e  Caìcabrina  ec,  nomi  di  demonj  1  presi 
dal  Poeta  chi  sa  dove?  forse  da  soprannomi  derisorj  d'uomini; 
forse  da  nomi  che  si  dassero  a  cani  e  ad  altre  bestie  ;  e  forse 
anche  composti  dal  Poeta  medesimo  con  voci  prese  parte  dal 
comune  italiano  dialetto 9  e  parte  da  dialetti  particolari  od  este- 
ri .  Tra  le  spiegazioni  che  sforzasi  il  Landino  di  dare  a  tatti 
qaesti  nomi ,  si  merita  considerazione  quella  di  Ciriatto .  Lo 
chiama  9  dice  9  Ciriatto  sannutOj  perchè  ciro  9  non  sola/nenie 
in  lingua  rusticana  de''  nostri  ^  ma  in  lingua  greca,  signi" 
fica  porco,  m^  È  opinione  del  Biagio] i  essere  stato  intendi- 
mento di  Dante  di  dipingere  in  questi  diavoli  9  negli  atti  e  di- 
scorsi loro  9  gli  sbirri  d'Italia 9  gente  la  piii  vile,  la  piii  sprez- 
zata e  disonorata  e  disonorante  del  bel  paese  ,*  e  dice  ancon 
esser  possibile  che  il  Poeta  nelle  sue  lunghe  perequazioni  ab* 
bia  ricevuto  qualche  disgusto  da  alcuna  banda  di  questi  dia» 
voli  d'Italia  .<«-« 

tao  la  decina.  Di  fatto  con  Barbariccia  si  nominano  qui 
altri  demonj  fino  al  numero  di  dieci. 


CANTO  XXI.  46i 

Ciriatto  saDnuto,  e  Graffiacane, 

E  Farfarello,  e  Rubicante  pazzo: 
Cercate  lutoroo  le  bollenti  pane:  1 34 

Costor  sien  salvi  insino  all'altro  scheggio , 

Che  tutto  intero  va  sopra  le  tane . 
Omè!  Maestro,  che  è  quel  eh' io  veggio?      1 17 

laa  sannutoy  che  ha  sanne;  ed  è  janna  (  spiega  il  Voca* 
bolarìo  della  Crusca  )  dente  grande ,  e  più  propriamente  quel 
dente  curro,  una  parte  del  quale  esce  mori  delle  labbra  d'al- 
cuni animali ,  come  del  porco ,  delP  elefante  e  simili .  In  alcune 
edizioni  ponesi  Sannuto  non  come  epiteto  di  Ciriatto  y  ma  co- 
me altro  nome  di  demonio;  scrìvesi  cioè  con  S  maiuscola,  e 
separasi  con  virgola  da  Ciriatto  •  Dante  però  stesso  nel  canto 
smiente  ne  indica  essersi  ciò  malamente  fatto ,  e  perchè  di 
Oriatto  ripete: 

a  cui  di  bocca  uscìa 

D*  ogni  parte  una  sanna^  come  aporco[a^j 
e  perchè  dice:  iVbi  andauam  con  li  dieci  aimoni  [b\;  quan- 
do che,  posto  Sannuto  qual  altro  demonio,  sarebbero  stati 
undici,  e  non  dieci. 

124  pane  dice  per  sincope  a  cagion  della  rima  invece  di 
panie ,  plurale  di /vaitia ,  materia  alla  pece  molto  simile,  e  po- 
sta perciò  qui  in  luogo  di  essa  pece,  m^  Cosi  anche  Torelli.  4hi 

ia5  Costor  sien  sal\à  insino  ec.  Raccomandazione  finta, 
com'è  finto  e  falso  che  V altro  scheggio  f  cioè  il  seguente  sco* 
glio  intersecante  quelle  fosse,  uada^  passi,  intiero  sopra  le 
tanej  sopra  le  fosse,  e  intendi  tutte,  eziandio  soprala  sesta. 
Vedi  il  detto  al  i'.  iii. 

1 27  Omè  oimè  ed  ohimè  adopransi  ugualmente  per  interie- 
zioni di  dolore.  Vedi  il  Vocabolario  della  Gr.  Trovo  in  tutte 
r  altre  edizioni  stampato  O  me,  diviso  cioè  Fo  dal  me.  («-* 
Tediz.  Fùlignate  1 472  ^^gg^  Ome  tutto  unito .  E.  R.  )  Ma  dee 
questo  essere  sbaglio  cagionato  dalla  vaghezza  degli  antichi  di 
separare  le  maiuscole  iniziali  de*  versi  dalle  seguenti  lettela 
(  vedi  la  Nidob.  tra  Taltre  ediz.  )  ;  o  convien  credere  che  o  me 
ed  ornò  scrivessesi  dagli  antichi  indifferentemente  (  contro  il 

[n]  Verso  S5,e  segg.  [ò]  Verso  iS. 


462  INFERNO 

Diss  io  :  deh  senza  scorta  andiamci  soli , 
Se  tu  sa'ir,  chTper  me  ooa  la  cli^gio. 

Se  tu  se  sì  accorto ,  come  suoli ,  1 3o 

NoQ  vedi  tu  eh'  ei  digrignan  li  denti , 
£  con  le  cigUa  ne  minaccian  duoli  ? 

Ed  egli  a  me  :  non  vo'  che  tu  paventi  ;  1 33 

Lasciali  digrignar  pure  a  lor  senno, 
Ch'ei  fanno  ciò  per  li  lesi  dolenti. 

parere  del  Cmonio[a]  ))  e  noninaicbe  Ome Maestro  «igni» 
fichi  O  fnio  Maestro  j  come  spiega  il  Venturi,  il  cpiale  poscii 
non  può  a  meno  di  non  spiegare  nel  seguente  canto,  k  QIm 
altro  o  me  per  oùnò  • 

1 2q  Se  tu  sa  ir  j  perocché  dicesti  :  Ben  so  7  cammin  ee.  [&]• 
-^  dieggìo  da  chedere^  significante  il  medesimo  che  c&iie<^ 
re  •  Vedi  la  nota  al  \f,  1 20.  del  passato  canto  xv. 

1 3 1  ei  digrignan  li  denti ,  la  Nidobeatina  ;  ed  è* digrignan 
Udenti,  l'altre  edizioni.  Digrignar  li  denti  vale  mostrar  per 
rabbia  li  denti  ."E  con  le  ciglia ,  e  col  bieco  sguardo,  ne 
minaccian  duoli,  guai. 

i36  ei  fanno  ciò  per  li  lesi  dolenti  (ei^  la  Nidobeatioa; 
e' r  altre  ediz.  ),  cioè  la  loro  rabbia  è  contro  de'sdaurati  che 
sono  lesi  dalla  bollente  pece ,  e  non  contro  di  noi .  Cosi  Vii^ 
gilio  credeva;  ma  questa  volta  la  paura  faceva  pensare  a  Daule 
meglio  che  non  pensasse  Virgilio.  »-►  Virgilio  non  s* inganna, 
credendo  veramente  quello  che  le  sue  parole  suonano.  Virgilio 
dice  cosi ,  perchè  altrimenti  Dante  eraspacciato»  tanto  era  gran- 
de la  sua  paura.  Biagioi.1  .  4hì  II  Veli utello  si  accorda  a  legger 
lesi  colla  Nidob.  ;  la  comune  però  legge  lessi  f  come  che  si  les- 
sassero nella  pece.  Piacquemi  da  principio  una  tal  lesione;  ma 
riflettendo  poi  che  Dante  stesso  chiama  quei  meschini  bruciati, 
non  lessati ,  nella  pece  :  E  della  gente ,  didentro  vera  incesa , 
canto  seg.  v.  1 8.  ;  e  che  nei  conienti  di  Butiy  di  Benvenuio  da 
Imola  e  di  Iacopo  della  Lana  trovasi  egualmente  iesiy  e  non 
lessi  $  ho  stimato  di  seguire  la  mia  Nidobeatina  9  alla  quale  è 
concorde  anche  V  edizione  di  Vindel.  de  Spira  1 477-  *-»  Anche 
il  eh.  sig.  Ab.  Portirelli  trova  preferibile  la  lezione  della  Al- 
ici] Panie,  cap.  189.  aS.  [b]  Inf.  ix«  So. 


CANTO  XXI.  463 

Per  r  argine  sinistro  volta  dienno;  1 3G 

Ma  prima  avea  ciascun  la  lingua  stretta 
Co'  denti  verso  lor  duca  per  cenno; 

Ed  egli  avea  del  cui  fatto  trombetta . 

<Iob.,  perchè  allontana  l'idea  del  lesso,  che  qui  invilisce  il  di- 
5rorso.  —  Il  Val.  3  igg  legge  pei'ò  tessi  j  dolenti.  -  Anche  il 
Torelli  legge  pur  lessi  ,  dalla  voce  latina  lessus,  e  spiega  col 
Daniello,  per  quelli  ch'erano  allessati  nella  pece.  4-c 

1 36  Per  r argine  sinistro ,  cioè  per  la  parte  dell'  argine  che 
dal  ponte  scendendo  stava  alla  sinistra  mano. 

ù^j  i38  avea  ciascun  la  lingua  stretta -»  Co* denti i  atto  di 
chi  vuole  sbeffare  senza  farsi  sentire  a  ridere  j  — -  verso  lor  duca 
per  cenno  j  vei'so  Barbariccia ,  loro  condottiero ,  accennandogli 
il  poco  accorgimento  di  Virgilio  in  credere  e  persnadei'e  il  com- 
pagno ,  che  digrignassero  essi  i  denti  per  li  lesi  dolenti,  m-^per 
cenno j  cioè  per  cenno  che  lor  avea  fatto  al  partire,  facendo 
trombetta  del  culo  Male  il  Daniello  ed  altri.  Tobbllì-  ^hi 

i39  avea  del  cui  fatto  trombetta.  Fa  Dante  che  i  dcmonj 
m  modo  sconcio,  ed  alla  loro  viltà  proporzionato,  imitino  il 
moversi  delle  militari  squadre  a  suon  di  tromba.  Può  qui 
trombetta  intendersi  e  per  tromba  e  per  trombettiere . 

Non  so  che  si  pretendano  alcuni  che  a  questo  passo  tor* 
cono  leziosamente  il  grifo.  Vorrebber  eglino  forse  che  a  derì- 
dere i  costumi  delli  demonj  neirinfeiiio  adoprato  fosse  ugua- 
le stile  che  a  descrivere  gli  onesti  tratti  degli  uomini  nelle  più 
polite  sale  ?•-»  Il  Poeta,  dice  a  questo  proposito  il  Biagio!!, 
non  deve ,  per  rispetto  ai  dilicati  nasi ,  tradir  l'arte ,  e  dei  mae- 
stri le  severe  leggi ,  che  vogliono  che  gli  atti ,  le  parole  ed  ogni 
P^rte  ritraente  sia  della  natura  del  tutto  che  si  compongono. 
Tacciasi  adunque  chiunque  accusa  Dante  d'aver  usato  parole 
brutte  e  sozze,  non  l'avendo  fatto  se  non  raiìssime  volte  per 
ntrar  sozze  maniere  di  sozzissima  gente,  e  avendo!  fatto  sol* 
t^Qlo  dove  r obbligo  della  vei'a  imitazione  Tha  cosU*etto.  «-« 


CANTO   XXII. 


-••^ 


ARGOMENTO 

Ascendo  col  canto  di  sopra  Dante  trattato  di  coloro  che 
venderono  la  lor  repubblica ,  in  questo  segue  di  que- 
gli,  che  trombandosi  in  onorato  grado  appresso  il  lo- 
ro signore ,  svenderono  la  sua  grazia .  Descrisvendo 
adunque  la  forma  della  penUy  fa  particolar  men- 
zione di  unos  il  q utile  gli  dà  contezza  degU  altri  ; 
ed  infine  racconta  V astuzia  usata  da  quello  spirito 
neir ingannar  tutti  i  demonj. 


I 


o  vidi  già  cavalìer  muover  campo, 


■-►  II  segno  di  partire,  fatto  daBarbariccia  ai  compagni, 
ha  dato  campo  al  Poeta  di  dar  principio  grande  e  sublime  al 
presente  canto,  ove  per  l'enumerazione  dei  diversi  segni  da 
far  muover  gente ,  o  scior  nave ,  descritti  con  versi  di  belle 
parole  e  modi,  e  d'armonia  ripieni ,  tiene  artatamente  sospeso 
lo  animo  del  lettore,  finché  s'accorge  ove  ferir  vuole  Tinten- 
BÌon  sua.  Molte  bellezze  sono  profuse  in  questo  canto ,  non  di 
quelle  che  al  maggior  numero  piacer  sogliono,  ma  bensì  ai 
pochi,  i  quali  nella  natura  le  ricercano,  onde  le  ha  cavate  il 
Poeta  nostro,  rivestendole  con  semplici  e  schietti  colori,  quali 
all'  esser  loro  si  convengono.  BiIgioli  .  4-« 

I  Io  {fidi  ec.  Enumera  qui  Dante  varie  azioni ,  alle  quali  so- 
gliono gli  uomini  muoversi  con  segni,  e  gli  strumenti  vari  che 
a  dare  i  medesimi  segni  si  adoperano;  e  conclude  di  non  aver 
veduto  mai  il  più  strano  e  deforme  strumento  di  quello  <:bc 
nel  fine  del  passato  canto  ha  detto  adoprato  da  Barbarìccia  per 
guidare  sua  squadra:  stendendo  il  Poeta  la  enumei^aaùone  in 


CANTO  XXII.  46> 

£  coiDiocìare  stormo,  e  far  lor  mostra, 
£  talvolta  partir  per  loro  scampo: 
Corridor  vidi  per  la  terra  vostra ,  4 

O  Aretini,  e  vidi  gir  gualdane, 

tati' altro  che  nella  diabolica  cennamella  y  non  mi  sembra 
giusto  il  rimprovero  del  Venturi ,  che  di  questa  cennamella 
se  ne  empia  un  po'  troppo  la  bocca  [a\ .  —  muover  campo , 
muover  esercito  per  marciare,  ovver  far  cammino.  Daxibllo. 
•-» Significa  piuttosto  y  secondo  il  Biagioli  >  il  principio  dell'azio* 
iiCy  e  ciò  in  riguardo  al  dipartirsi  dei  diavoli  al  segno  del  loro 
capo.  4^ 

a  stormo  vale  qui  combattimento  >  come  in  quel  passo  di 
(fio.  Villani  :  jiyendo  perduta  Creusa  sua  moglie  allo  stormo 
de*  Greci [bJl»  Vedi  il  Vocabolario  della  Crusca.  -^ mostra ^  al- 
tra funzione  »  in  cui  si  muovono  ti*uppe  con  tamburi,  ed  altri 
istrumentiy  detta  altrimenti  ordinanza  o  rassegna.  Vedi  lo 
stesso  Vocabolario. 

3  E  titli^lta  partir  ec,f  movimento  appellato  ritirata  y  a 
cui  pure  si  dà  segno  con  tamburi  ec. 

4  5  Corridor  uidi.  Corridore  y  spiega  il  Vocab.  della  Cr, por 
chi  fa  correrìe;  e  correrìa  significa  lo  scorrere  che  fanno 
gli  eserciti  per  lo  paese  nimico  y  guastando  e  depredandolo'; 
ma  la  8con*erìa  a  guastare  e  predare  dee  piuttosto  intendersi 
sotto  il  seguente  vocabolo  di  gualdane,  Gualdane ^  chiosa  il 
fiuti  9  riportato  dal  Vocabolario  medesimo  a  quella  voce,  cioè 
eat^aicate ,  le  quali  si  fanno  alcuna  uolta  sul  terreno  de^ne^-- 
mici  a  rubare  e  ardere  ^  e  pigliare  prigioni;  ed  {stessamente 
chioaaDO  il  Landino,  il  Vellutello  e  Daniello.  Per  corridori 
adunque  intenderci  iopiii  volentieri  pìcciole  squadre  a  cavallo, 
dette  isolanti f  delle  quali  il  Petrarca  negli  Uomini  illustri:  .ri 
facevano  continuamente  assalti  e  picriole  battaglie  da*  cor" 
ritori  degli  osti*  Nomina  qui  Dante  gli  j4 retini y  come  coloro  ^ 
la  città  de*quali  fu  a  que'tempi  assai  dalle  militata  squadra  mo- 
lestata; e  quasi  disolata ^  dice  il  Landino.  •-*•  Ma  meglio  del 
Landino  rende  di  ciò  ragione  la  seguente  postilla  del  codice 
Caasinese,  riportala  dall'E. R.  Si  U^gge  Adunque  del  Poeta,  che 
tangit  de  Arctio  >  quia  muiquitus  illa  civitas  quando  erat 

'a\  "^oim  al  verso  io.  [h]  Cron.  lib.  i.  is. 


468  INFERNO 

Per  veder  della  bolgia  ogoi  contegno , 
E  della  gente,  ch'entro  v'era  incesa. 

Come  i  delfini,  quando  fanno  segno  19 

A'  marinar  eoo  Tarco  della  schiena, 
Che  s'argomentin  di  caaipar  lor  legno  ^ 

Talor  così  ad  alleggiar  la  pena,  12 

Mostrava  alcun  de'  peccatori  1  dosso, 
E  nascondeva  in  raen  che  non  balena . 

£  come  all'  orlo  dell'  acqua  d' un  fosso  a5 

Stanno  i  ranocchi  pur  col  muso  fuori, 
Sì  che  celano  i  piedi  e  T altro  grosso; 

Si  stavan  d'ogni  parte  i  peccatori:  a8 

Ma  come  s'appressava  Barbariccia, 

17  18  ogni  contegno .  Contegno  y  per  condizione ,  qualità , 
chiosa  il  Volpi  bene,  perocché  adattasi  in  cotal  modo  contegno 
anche  al  seguente  \evso:  E  de/la  gente  ec.  ;  al  qual  verso  non 

Euossi  adattare  contegno  y  come  ne  lo  spiegano  il  Vellatello, 
Daniello ,  Venturi ,  ed  anche  il  Vocab.  della Cr.,  per  contenuto. 
•-»  contegno ,  in  senso  dì  condizione  y  staio  y  essere ,  qualità  y 
Tintende  anche  il  cav.  Monti  (Prop.  voi.  i.  P.  11.  fàc.  i85).«-« 
incesa  per  accesa y  bruciala:  termine  adoprato  pur  da  altri 
buoni  scrittori.  Vedi  il  Vocabolario  della  Crusca. 

19  al  21  m-^Come  deljtniy  ec.y  legge  il  Vat.  3 199.  -  Questa 
similitudine,  e  l'altra  de^ranocchi  ciie  segue,  sono,  per  sen- 
timento del  sig.  Biagioli ,  si  proprie  e  sì  acconce  al  suggetto, 
ch'altre  in  natura  non  si  troverebbero  per  avventura  pù  di 
queste  convenienti.  4hì  s^argomentin  vale  si  dispongano y  si 
prepai'ino  y-»  di  campare ,  intendi ,  dalla  imminente  burrasca, 
che  con  tale  emergere  ì  delfini  avvisano. 

22  m-¥u4.Hegeiare  (  far  l<*ggei'o),  (rane,  allégery  a'Ue^iart*, 
alleggerire,  sollevare  ec.  Biagioli.  ♦-• 

26  Stanno  1  ranocchi y  la  Nidobeatina;  Stan  li  ranocchia 
)'alti*e  edizioni  •-♦e  il  Vat.  iSgg.  4-»pMr,  solamente. 

27  V altro  grosso ,  Tal  tra  loro  grossezza .  Di  grosso  per  gros^ 
$ezza  vedi  il  Vocabolario  della  Crusca. 

:49  come  per  quando ^'^  Barbariccia.  Pone  solo  Barbarie* 


CANTO  XXll.  4^9 

Così  sì  riiraean  sotto  i  bollori . 

lo  vidi,  ed. anche  1  cuor  mi  s* accapriccia ^     3i 
Udo  aspettar  così,  com'  egli  incontra 
Ch'uDa  rana  rimane,  e  Faltra  spiccia; 

E  Graffiacan,  che  gli  era  più  di  contra,  34 

Gli  arroncigliò  le  'mpegoLte  chiome, 
E  trassel  su ,  che  mi  parve  una  lontra  • 

ria,  come  capo  e  ^uida,  per  tutta  quella  decina  de*  deinonp 
»-»  Ma  noi  siamo  a' avviso  che  qui  s'abbia  ad  intendere  di  Bar- 
bariccia  soltanto ,  e  come  suonano  le  parole  del  testo  ;  perocché 
egli,  come  capo,  pi*eiva  agli  altri,  ed  era  per  conseguenza  il 
pi'ìrao  ad  essere  veduto  da* que' sommersi.  ^-9 

3o  ^*  Cosi  si  vìtrnenn.  NellVdi*.  rom.  del  1791  trovasi 
Cosi  si  ritenean  \  ma  olire  che  il  P.  L.  nulla  ci  avverte  della 
nuova  lezione  introdotta,  è  chiaro  che  chi  muta  di  situazione 
non  si  ritiene 'i  ma  si  ritrae;  perciò  lo  crediamo  un  eri'ore  di 
stampa .  E.  R.  -*  Così  per  subito  [«( J ,  •-»  in  corrispondenza  al 
come  per  quando .  ^-m 

"il  m^et  anco  7  cuor  me naccapriccin ,  legge  il  Vat.  3  igq; 
—  e  mi  raccapriccia ,  TAiig.  E.  R.  ♦-• 

32  33  com^egli  (particella  riempitiva)  incontra^  CK^una 
rana  ec.  Ripiglia  la  similitudine  delle  rane ,  e  dice^  che  come 
avviene  che  alcuna  di  esse  rimane  (  intendi  coi  muso  fuori 
detracquà)  menti*e  le  altre  fuggono,  così  vid'egli  tra  i  molti 
che  alPapparire  di  que'dcmonj  nascondevansi»  rimaner  uno  col 
capo  fuor  della  bollente  pece.  •-►Qui  egli  non  è  particella  riem- 
pitiva» al  dir  del  Biagioli,  che  spiega.*  com*egii  incontra  cioè 
come  questo  avviene ,  accade ,  che  ec.  —  ed  altra  spiccia  col 
VaU  3 1 99  legge  la  3.  rom.  ediz. ,  sembrando  al  sig.  Editore  che, 
mancando  il  segnacaso  a  una ,  debba  necessariamente  mancare 
anche  ad  altra.  4-«  Spicciare <,  che  dicesi  propriamente  dello 
sfuggire  de' liquori  per  l'aperture  de' continenti  vasi,  trasferi- 
sce qui  il  Poeta  a  significare  scni^Wc^mcnXe  sfuggi re^  scappare. 

35  36  Gli  arroncigliò y  gli  aggi^appòcoll'uncino. -/ow/ra, 
Animai  quadrupede  anfibio,  di  coIoi*e  nerìccio,  e  de' pesci  di* 
voratore;  e  bene,  tanto  pel  colore,  quanto  pT  Io  trarsi  cotal 

[«^  Cinon.  Partir.  61.  9' 


470  INFERNO 

lo  sapea  già  di  tulli  quanti  '1  nome,  3) 

Sì  li  notai  quando  furono  eletti , 
E ,  poi  che  si  cbiamaro ,  attesi  come . 

O  Rubicante,  fa' che  tu  gli  metti  4^ 

Gli  unghioni  addosso  si  che  tu  lo  scuoi  ^ 
Gridavan  tulli  insieme  i  maladetti. 

Ed  io:  Maestro  mio,  fa',  se  tu  puoi,  4^ 

Cile  tu  sappi  chi  è  lo  sciagurato 
"Tenuto  a  man  degli  avversari  suoi  • 

Lo  Duca  mio  gli  si  accostò  allato:  4^ 

Domandollo  ond'ei  fosse;  e  quei  rispose: 
Io  fui  del  regno  di  Navarra  nato. 

Mia  madre  a  servo  d'un  signor  mi  pose;         49 
Che  m'avea  generalo  d'un  ribaldo, 
Disiruggitor  di  sé,  e  di  sue  cose. 

Animale  per  lo  più  dall'acque,  se  gli  paragona  il  tratto  dalls 
pece  e  di  pece  lordo  bai'atliere.  -*  Il  cod.  Caet.y  invece  di  cA« 
mi  parve  ^  ^^gg^  come  fusse.  E.  R. 

37  al  39  Io  sapea.  Vuole  il  Poeta  con  quc^U  terzina  pre- 
venire una  dimanda  che  potrebbe  lui  essere  fatta,  come  cioè 
sapess*egli  che  colui  ch'aggroppò  il  barattiere,  fosse  Graffii- 
caue .  Disse  adunque  di  aver  appreso  i  loro  nomi  e  perchè  pri- 
mieramente gl'intese  nominare  ad  uno  ad  uno  da  Malacoda,  e 
perchè  poi  die  (  che  vale  qui  quando  [aj)  si  chiamarono  tra 
di  loro,  attese  co/n6,  cioè  come  si  chiamavano.  Wh^attesi  come 
vuol  dii's  attesi  come  si  chiamaro?  o  segue  il  sentimento  coi 
terzetto  seguente 7  levando  il  punto  fermo  dopo  comcj  secondo 
la  Cominiana?  Tobelli  .  ^hì 

5i  scuoi  da  scuoiare j  che  vale  quanto  scorticare. 

47  ond''eij  la  Nìdobeatina;  ond^e'^j  l'altre  edizioni  •-»  e  il 
Vat.  3199.  —  E  domandò  ond*ei  fosse  y  TAng.  E.  R.  ^-m 

48  al  62  regno  di  Navarra  ^  al  presente  diviso  Xxb.  la  Spa- 
gna e  ^a  Francia .- 77fl/o  per  natio.  Volpi.  —  Fu  costui  Giam- 
p)lo,  ovvero  Ciampolo,  figlinolo  di  gentil  donnaj  ma  il  pad:  e 

[a]  Cìnon.  Partic.  44.  u8. 


CANTO  XXU.  47« 

Poi  fui  famiglio  del  buoa  Re  Tebaldo  :  Ss 

Quivi  mi  misi  a  far  baratteria  ^ 

Di  che  rendo  ragione  in  questo  caldo . 
£  Giriatto,  a  cui  di  bocca  uscìa  S5 

D'ogni  parte  ima  sanna,  come  a  porco, 

Gli  fé'  seutir  come  V  una  sdrucìa . 
Tra  male  gatte  era  venuto  il  sorco;  5^ 

(ribaldo  distruggitor  di  sé  e  di  sue  cose)y  consumato  il  pa- 
trinumio,  Io  lasciò  povero  $  onde  la  madre  lo  pose  (in  qualità 
di  aervo)  con  un  barone  del  Be  Tebaldo  di  Navarra  ;  e  fu  tanta 
la  sua  industria ,  che  in  processo  di  tempo  divenne  si  accetto 
aTebaldoy  Re  giustissimo,  che  a  lui  commetteva  ogni  gi*an  &c* 
cenda.  Ma  egli  non  seppe  raffi^enare  le  sue  cupidità;  perche , 
come  dice  Terenzio,  omnes  sumus  deteriores  licentiay  di- 
ventò sommo  barattiere  •  Lahoiito.  Prima  dunque  serico  del  ba^ 
rone)  ^i  famiglio  del  Re.  —  Che  rn*auea  ec.  Il  che  vale  qui 
perocché  y  e  segna  la  cagione  di  avere  la  madre  posto  Ciam- 
polo  a  servire .  9-^ribalao ,  detto  pur  dagli  antichi  ruòaldo  ^ 
come  ruhello  ^er ribello»  A  chi  manda  male  qualche  roba,  di- 
ciamo all'antica  :  oh  eh" è  roba  di  rubello!  perchè  le  cose  con- 
fiscate de 'ribelli  vendevansi  a  fiaccacollo.BiAOiOLi*4-cZ>i>trif^- 
giior  di  séfec,  I  vizj  non  solamente  distruggono  la  roba,  ma 
anche  la  persona  ;  e  della  ghiottoneria  segnatamente  è  noto  quel 
detto  di  Cicerone  :  plures  occidit  gula  quam  gladius»  — ;  fui 
famiglio ,  la  Nidobeatiua  ;  e  fW  famiglia ,  l'altre  edis.  »-»  e  il 
cod.  Ang.  E.  R.  e  il  Vat.  3 199.  ^^ 

54  a-^  Di  che  i* rendo ,  il  cod.  Vat.  3 1  gg.^^  rendo  ragione^ 
pago  il  fio.  —  m  questo  caldo  f  in  questo  boUoi^  della  pece. 

5y  Gli  fé"  sentir  come  Tana  ^  delle  sanne.  -^sdrucìa  per 
fendeva.  Wh¥sdrusciaj  legge  il  Vat.  3199.4-c  , 

58  nude ,  leste  e  feroci .  m-¥  Tra  male  branche ,  legge  il  co- 
dice VaL  3 199.  -  Questi  modi  proverbiali ,  usati  nelle  più  no- 
bili scritture  delle  ti*e  lìngue  più  belle,  greca,  latina  e  italia- 
na ,  collocati  a  tempo  e  luogo ,  di  plebei  diventan  nobili ,  e 
spargono  nelle  scritture  un  si  grazioso  lume,  che  ne  rimane  la 
natia  loro  oscurità  ecclissata.  Biacioli.  '^  sorco  j  sorco  e  sor- 
cio, nota  laCi*usca;  ma  qui  soìto  è  detto  per /orcio,  gettando 
la  I  per  la  rima .  Torelu.  «hi 


4:i  INFERNO 

Ma  Barbariccla  il  chiuse  con  le  braccia  ^ 
E  disse:  state  in  là  mentr'io  k)  'nforco: 

Ed  al  Maestro  mio  volse  la  faccia:  6( 

Diaiandal,  disse,  ancor,  se  più  disìi 
Saper  da  lai,  prima  ch'altri  *I  disfaocia. 

Lo  Duca  :  dunque  or  di'  degli  altri  rii  :  64 

Conosci  tu  alcun  che  sia  Latino 
Sotto  la  pece?  e  quegli:  io  mi  partii , 

60  state  in  làj  fate  lareo,  allontanatevi ,  compagni  mici. 
-  mentrHo  lo  ^nforco .  Inforcare  per  prendere  colla  forca^ 
spiegano  il  Volpi  e  il  Venturì  appresso  il  Vocab.  della  Crusca, 
ciie  a* inforcare  per  prendere  colla  forca  9  adduce  per  esem- 
pio questo  medesimo  di  Dante.  Se  ci  narrasse  Dante  che  vi- 
brasse di  fatto  Barbarìccìa  contro  di  Ciampolo  forca  o  raffio, 
bene  procederebbe  cotale  interpretazione  del  verbo  inforcare^ 
e  converrebbe  intendere  che  dicesse  Barbariccia  agli  altri  de* 
monj  :  state  in  là ,  0  per  non  offendere  in  un  colpo  essi  pore« 
o  per  ottenere  spazio  di  ben  adoprare  il  graffio.  Ma  nulla  di 
ciò  detto  essendoci ,  anzi  scorgendosi  Barbariccia  impegnato  a 
fare  un  momento  cessare  in  Ciampolo  lo  strazio  >  come  possia* 
mo  intendere  che  nientr*io  lo  ^nforco  vaglia  quanto  mentrio 
lo  prendo  colla  forca?  Piuttotto  io  direi  che  9  siccome  infor- 
care disse  Dante ,  ed  altri ,  per  istringere  tra  le  garnbe  [a]; 
cosi,  dalla  rima  costretto,  dir  faccia  a  Bai*bariccia  menir" io 
lo  *nforco  invece  di  mentrio  tengolo  (come  tenevalo  stretto 
fra  le  braccia;  e  che  state  in  là  dir  faccia  agli  altri  demonj 
a  solo  fine  che  non  molestassero  Ciampnlo ,  e  ne  lo  lasciassero 
rispondere  a  Virgilio  in  ciò  che  bramasse  di  sapere  da  lui* 
m-¥  Così  anche  Torelli,  notando  ^li  che  questa  spiegazione  è 
chiarissima  pel  verso  che  segue .  ^-9 

6a Dimandai^  la  Nidob.;  Dimanda ,  l'altre ediz.  s-^e  TAng. 
E.  R.  ed  il  Vat.  3 199.  <-m  Tralasciasi  qui  la  particella  e  congion* 
ti  va  di  questa  colla  precedente  azione.»-»/>oman^are  imo  per  in- 
terrogarloy  dicesi  elegantemente  anche  ai  d)  nostri.  Pogciai.i.  ♦-• 

65  latino  per  Italiano ,  prese  la  denominazione  dal  Lazio* 
celebre  porzione  d' Italia  . 

[a]  Vedi  il  Vocab.  dalla  Crusca  alle  voci  Inforcare  ed  Inforcato^  5-  *- 


CANTO  XXII.  4:3 

Poco  è,  da  UD  che  fa  di  là  vicino;  67 

Così  foss'  io  ancor  con  lai  coverto , 
Ch'io  non  temerei  unghia,  né  micino! 

£  Libicocco:  troppo  avem  sofferto,  70 

Disse,  e  presegli  1  braccio  col  runciglio, 
Si  che,  stracciando,  ne  portò  un  lacerto • 

Dragbignazzo  anche  i  volle  dar  di  piglio         73 
Giuso  alle  gambe;  onde  '1  Decurio  loro 

67  fu  di  là  uicino  vale  quanto  fu  di  quelle  vicinanze;  ed 
ÌBtenae  di  Sardegna,  isola  all' Italia  vicina,  della  quale  fa  fira* 
te  Gomita 9  che,  come  in  seguito  manifesterà,  era  colui  dal 
quale  erasi  Ciampolo  poco  prima  partito . 

68  69  Così  foss^  io  ec.  Si  augura  Ciampolo  d*  essere  con 
(rate  Gomita  sotto  la  bollente  pece,  piuttosto  che  di  essere  ca* 
pitaCo  nelle  mani  di  que'demonj. 

70  al  72  £  Libicocco ,  ec.  Tanta  era  la  rabbiosa  voglia  di 
nuocere  inque'demonj,  ch'ogni  più  corta  dimora  pareva  loro 
troppa;  e  però  contro  il  divieto  di  Barbariccia  si  scagliano  ad» 
dosso  a  Ciampolo  di  bel  nuovo.  —  lacerto f  parte  del  brao> 
ciò  dal  gomito  alla  mano:  prendesi  ancora  per  carne  musco* 
Iosa,  lat  lacertusy  Volpi.  Ed  è  usato  da  altri  iuliani scrittori 
anche  in  prosa.  Vedi  il  Vocab.  della  Cr.  »-^ll  sig.  Poggiali  dice 
che  lacerto  è  invece  quella  parte  del  braccio  che  è  dal  go- 
mito alla  spalla .  4-« 

73  anche  i,  legge  la  Nidob.;  ed  anch'eia  leggono  T altre 
edix*  Il  senso  è  uguale  ;  perocché  tanto  i  quanto  ci  ottengono 
il  signi6cato,  che  qui  abbisogna,  di  a  lui  [a]  ;ma  la  graii^ 
del  verso  diviene  colla  Nidobeatina  migliore.  »-^L'El.  R.,  iloii 
trovandovi  questa  grazia,  ha  restituita  nella  3.  edis.  T antica 
lezione .  —  Ma  oltre  alPessei^  quella  della  Nidobeatina  confonr 
tata  dal  cod.  Vat.  3 199,  ci  sembra  poi  anche  che  renda  il  seù* 
so  più  chiaro ,  togliendo  affatto  il  pericolo  di  prendere  Ti^i  per 
nominativo  riferìbile  a  Dragfaignazso  •  4-c 

Z4  Giuso  alle  gambe ,  la  Nidobeatina  ;  Giù  dalle  gambe , 
tre  edizioni  n-^e  il  Vat.  3 199.  «-«  Decurio  per  decurione , 

fa]  Della  particella  ei  vedi  la  nota  al  t'.  78.  del  canto  v.  passato;  e  della 
I  vedi  il  Vocab.  della  Crusca,  sotto  di  essa  lettera,  $  ^' 


4:4  INFERNO 

Si  volse  iatoroo  intorno  con  mal  pìglio . 
Quand'  elli  un  poco  rappaciati  foro,  76 

A  luì,  eh' ancor  mirava  sua  ferita, 

Dimandò  1  Duca  mio,  senza  dimoro: 
Chi  fu  colui  y  da  cui  mala  partita  79 

Di'  che  facesti ,  per  venire  a  proda  ? 

Ed  ei  rispose  :  fu  frate  Gomita , 
Quel  di  Gallura ,  vasel  d'ogni  froda ,  Si 

capodieciy  alla  marnerà  latina ,  come  scrisse  sermo  perxtfrmo- 
ncj  Inf.  xm.  i38.  ed  altrove;  e  come  9  oltre  a  Dante  iscrissero 
pur  altri  temo  per  timone . 

75  piglio  sigQÌfica  aspetto  y  sguardo .  Vedi  il  Vocabolario 
della  Crusca.  Adunque  con  mal  pigia}  vale  quanto  con  mi- 
naccioso sguardo  • 

y6  rappaciati y  acquietati.  -^forOj  antitesi,  invece  òxfuroj 
apocope  o  sincope  di  furono ,  dai  Poeti  molto  praticata  • 

78  dimoro  j  lo  stesso  che  dimora  ^  cioè  indugio ,  tardanza; 
ed  è  voce  adoprata  da  buoni  antichi  scrittori  anche  in  prosa . 
Vedi  il  Vocabolario  della  Crusca. 

ygda  cuiec;  costruzione:  da  cui  di\  dici,  che  facesti  mala^ 
malavventurata,  partita,  augurandoti  di  non  averla  fatta,  v.  68. 

60  per  venire  a  proda  f  a  riva,  all'orlo  del  bollente  stan 
gno,  col  capo  fuori  come  i  ranocchi,  «/.  25. 

81  m^Egli  rispose y  ^^S?^  l'Ang.  E.  ^.^rm  frate  Gomita, 
Costui,  di  nazione  Sardo ,  di  professione  frate,  ma  non  si  sa  di 
qual  Ordine,  guadagnatasi  la  grazia  di  Nino  de*  Visconti  di 
Pisa ,  governatore  o  presidente  ai  Gallura ,  se  n'abusò  ^  traffi- 
cando nel  barattare  cariche  e  iifficj  con  trappolerìe  e  frodi ,  co* 
me  di  m'ingiare  a  due  ganasce,  mettere  in  mezzo ec.  La  Sar- 
degna di  quel  tempo  era  de*  Pisani ,  che  ne  divisero  il  governo 
in  quattro  giudicati ,  che  si  chiamarono  Logodoro,  Callarì,  Gal- 
lura 9  Alb'irea.  VeirTURt.  Tutti  gli  altri  Comentatori  però  di- 
cono Nino  signore  di  Gallura,  e  non  governatore  o  presiden- 
te; e  scrive  Bernardino  Cono  [a]  di  piii,  die  quella  parte  di 
Sardegna  passò  per  eredità  da  Nino  ai  Visconti  di  MUano 

82  Quel  di  Gallura:  specifica  il  giudicato  ond^ei^  esso  frate 

\a\  Star,  di  MiL  P.  3. 


CANTO  XXII.  475 

eh*  ebbe  i  nemici  di  suo  donno  in  mano, 
E  fé  Jor  sì,  che  ciascun  se  ne  loda: 

Denar  si  tolse ,  e  lascioUi  di  piano ,  8$ 

Sì  com'  e'  dice  :  e  negli  altri  ufici  anche 
Barattier  fu  non  piccol ,  ma  sovrano . 

Usa  con  esso  donno  Michel  Zanche  88 


Gomita,  "vasel  d'ogni  froda ,  ricettacolo  d'ogni  sorta  di  fur- 
fiinterìe.  Casello  none  qui  (e  né  anche  forse  altrove)  diminu- 
tiro  di  vasOf  cornee  nasetto y  ma  significa  quanto  assoluta- 
mente paso» 

83  i  nemici  di  suo  donno y  di  Nino,  di  lui  principe  e  si- 
gnore. —  in  manoj  in  suo  potei'e. 

84  m^Efe*  sì  iory  che  ciascun  si  ne  loda ,  il  Vat.  3 199.  ♦-• 
ciascun  se  ne  loday  ciascun  di  essi  nimici  di  Nino  n'è  di  Go- 
mita contento. 

85  86  lasciolli ,  la  Nidobeatina  ;  e  lasciogli  9  l'altre  edizioni . 
—  di  piano,  —  Si  com' e* dice.  Questo  si  com* e* ilice  o  non 
istk  qui  per  altro  che  per  una  sciocca  riempitura  del  verso 
(  cosa  che  in  Dante  non  avrebbe  esempio  ) ,  o  se  ha  giusta  ra- 
gione, dovrebbe  indicare  che  lasciar  di  piano  yfer  rilasciare 
senza  contrasto ,  senza  gastigo ,  lisciamente  (ciò  che  ai  vuole 
qui  significare),  fosse  a  que' tempi  espressione  pròpria  de'Sar- 
dignoli,  com'era  Gomita.  Il  parlare  di  quell'isola  è  una  cor- 
ruzione dello  spagnnoloy  in  cui  bassi  di  &tto  de  Ulano  equi- 
valente affatto  al  di  piano  t  e  quel  eh*  è  piti  y  una  dotta  persona 
di  Sardegna  medesima  mi  accerta,  che  anche  a* dì  nostri  ado- 
prasi  in  quell'isola  espressione  cotale.  De  plano y  in  significato 
molto  analogo  al  detto,  trovasi  usato  anche  dai  Latini  [a], 

87  soi^rano  in  grado  superlativo. 

88  Usa  y  conversa ,  confabula .  —  donno  Michel  Zanche  (ti- 
tolo anche  questo  donno  di  maniera  sard-i spana  ) .  Dicono  gli 
Espositori,  segnatamente  Landino,  Vellutello  e  Venturi,  cne 
questo  Michel  Zanche,  di  siniscalco  ch'era  del  re  Enzo,  dive* 
nisse,  dopo  morto  Enzo,  Signore  di  Logodoro  in  Sardegna, 
per  essersi  con  fraudi  e  baratterie  ottenuta  in  isposa  la  madre 
d'Enzo.  Se  però  per  isposalizio  acquistossi  costui  signorìa  |  do^ 

a    Vedi  il  Tesoio  di  Roh.  Stefano. 


476  INFERNO 

Di  Logodoro;  ed  a  dir  di  Sardigna 
Le  lingue  lor  uon  si  sentono  stanche. 

O  me!  vedete  F altro ^  die  digrigna:  91 

to  direi  anche;  ma  io  temo  ch'elio 
Non  s'apparecchi  a  grattarmi  la  tigna. 

E  1  gran  Proposto  volto  a  Farfarello,  q4 

Che  stralunava  gli  occhi  per  ferire, 
Disse:  fatti  *n  costà,  malvagio  uccello. 

vette  acquistarsela  sposando,  non  la  madre  d'Enzo,  ma  quella 
medesima  Adelasia  che  fu  ad  Enzo  sposa ,  e  per  coi  acquistò 
Enzo  stesso  signoria  nella  Sardegna  [a].  »-^  Pietro  di  Dante 
dice  che  Michele  Zanche ,  morto  il  re  Enzo  9  sposò  la  di  lui  mo- 

SliCf  dalla  quale  ebbe  una  figlia,  che  maritò  a  messcr  Branca- 
Oria  di  Genova,  il  quale  poi  lo  uccise  a  mensa.  E.  F.  —Non 
discorda  il  Boccaccio  da  Pietro  di  Dante  nella  narrazione  di 
questo  fatto  9  se  non  col  pretendere  che  Michel  Zanche  si  am» 
raoglìasse  invece  con  una  figliuola  del  marchese  Obizzo  vec^ 
chlo  da  Esti .  4-a 

91  r altro y  Farfarello.  Vedilo  nominato  quattro  versi  sotto. 

93  a  grattarmi  la  tigna  ^  scherzoso  gei^o  invece  di  graf* 
/tarmi.  »-^ Parla  un  vilissimo  barattiere,  e  il  Poeta  gli  pone  in 
bocca  i  modi  di  dire  all'esser  suo  convenienti .  BiAGioi.t.  -Gùz 
y apparecchi  f  l'Ang.  E.  R.  ^-s 

94  Proposto 9  prevosto,  dal  latino  praepositus y  appella  il 
menzionato  piit  volte  capodieci  Barbariecia. 

95  per  ferire  vale  quanto  in  procinto  di  ferire  y  come  di- 
ciamo sta  per  andarsene  invece  di  sta  in  procinto  d'andar- 
sene  [6j.  La  è  di  fatto  proprietà  dì  chi  sta  in  prociato  di  fe- 
rire altrui,  di  stralunare,  cioè  di  spalancare  spaventevolmen^ 
te  gli  occhi. 

96  fatti  ^n  costà  equivale  a  tirati  in  là ,  allontanati  di 
<fui  [cj  •  -«->  malvagio  uccello  appellasi  da  Barbariecia  Farfa- 
rello ,  perocché  alato  esso  pure,  come  tutti  i  deraonj  si  fiogoncik 

\a]  Vedi  Peiraccbi,  F'ita  d^ Arrigo  dì  Svsvia  re.  e.  •  i.  [h]  Vedine*  »^n 
esempi  nel  Vocab.  della  Crusca  sotto  la  |iarti cella  Ptfv,  {.  17.  [e]  VrtSi 
Ci  non •  Parile,  72.  5. 


CANTO  XXII.  477 

Se  voi  volete  o  vedere,  o  udire,  97 

Ricominciò  io  spaurato  appresso, 
Toschi,  o  Lombardi,  io  oe  farò  venire. 

Ma  stien  le  male  branche  on  poco  in  cesso,     100 

97  98  Se  vai  volete  o  vedere  ^  o  udire  ^  ^%8^  ^  Nidob.* 
con  maggior  pienezca  e  grazia  che  uon  leggono  1* altre  edìs. 
•-♦(eli  V  at.  3 1 99  )  4HI  «>&  %foi  i^olete  vedere  o  udire .  -  Itico^ 
nUnciò  ec.  Costruzione.  Aicontincid  appresso j  inseguito  »  lo 
spaurato y  CÌAiapolo.  m-^  Incominciò y  legge  il  Vat.  Sigg.  ^-c 

1 00  le  male  branche ,  1*  unghiute  nocive  zampe.  Mancando  9 
come  ognun  sa ,  i  mss.  ed  anche  le  prime  edizioni  di  molti  pai^* 
ti  menti  di  parole ,  né  ammettendo  in  mezzo  ai  versi  mai  lettei'e 
maiuscole ,  credo  essersi  per  errore  intruso  nelle  posteriori  edi*- 
zìoni  tutte  Malebranche  in  una  parola  sola ,  e  con  m  iniziale 
maiuscola  :  e  che  debba  scriversi ,  com'  io  ho  scritto ,  male  braU" 
che  ,  uon  essendo  questo  il  comun  nome  di  que'  demonj ,  corno 
lo  è  nel  verso  87.  del  passato  canto  xxi. ,  nel  u3.  del  seguente  t 
ed  altrove,  ma  la  cosa  onde  ne  vuole  Dante  far  capire  di  avere 
formato  cotal  loro  nome.  Vaglia  in  prova  di  ciò  9  cht  malebran-^ 
che  qui  si  fa  di  genere  femminino  ;  e  nel  citato  verso  a3.  del 
seguente  canto  fassi  di  genere  del  maschio,  ed  il  pronome  di 
maschio  gli  si  fa  corrispondere  : 

noi  gli  avem  già  dietro  : 

Io  gì* immagino  j/,  che  già  gli  sento. 
Accordo  io  bensì  che  ponga  qui  Dante  per  sineddoche  il 
distintivo  di  que'dcnionj  pe*deoionj  medesimi ,  raa  non  giam* 
mai  che  ponga  malebranche  per  nome.  —  stien  un  poco  in 
crsso .  Stare  in  cesso  dee  valere  quanto  stare  in  ricesso  ,  staile 
in  ritiro  y  ritira/*siy  nascondersi;  e  malamente  il  Daniello  e 
il  Venturi  intendono  valere  lo  stesso  che  fermarsi  rimanersi , 
No  :  troppo  a  questo  intendimento  si  oppongono  y  V  effetto  pri- 
miei*aniente  della  maliziosa  proposta,  il  quale  fu  che  di  fatto 
si  allontanassero  i  demonj  da  Ciampolo,  e,  scendendo  alquanto 
dalla  ripa  in  contraria  parte  a  quella  bolgia,  si  nascondesse- 
ro  [a]:  poi  la  ragione  ancora  ;  imperocché  acciò  al  sufolaredi 
Ciampolo  venissero  i  dannati  compagni ,  nou  bastava  che  i  de-* 
monj  stessero  fermi  |  ma  abbisognava  che  non  si  lasciassero  ia 

'«j  Tedi  al  verso  ii6. 


478  INFERNO 

Si  ch'eì  noQ  temaa  delle  lor  vendette; 
Ed  ìoy  sbendo  in  questo  luogo  stesso, 

Per  un,  eh*  io  son,  ne  farò  venir  sette^  io3 

Quando  sufolerò ,  com'  è  nostr*  uso 
Di  fare  alior  che  fuori  alcun  si  mette . 

Gagnazzo  a  cotal  motto  levò  il  musò,  106 

Crollando  '1  capo,  e  disse:  odi  malìzia, 
Ch'egli  ha  pensato,  per  gittarsi  giuso. 

Ond'  el,  eh'  avea  lacciuoli  a  gran  divizia,      109 

conto  alcuQO  vedere.  »-►  un  poco  a  cesso  y  legge  il  codice  An- 
gelico, E.  R. -♦-« 

IDI  Si  cliei ,  la  Nidobeatìaa  ;  5/  che ,  V  altre  edizioni ,  mas- 
lime  le  più  receatì ,  »-►  e  il  Vat.  3  igg.  —  Sì  di* io  non  tema^ 
legge  il  cod.  del  sig.  Poggiali ,  variante  che  forma,  secondo  che 
egli  pen&a,  miglior  sentimento,  perocché  il  maggior  timore  è 
qui  del  NavaiTese  già  tutto  fuor  della  pece ,  ed  esposto  alle  de- 
terminate ire  dei  demonj  :  laddove  gli  altri  barattieri ,  venendo 
alla  superficie  della  pece,  al  pìii  potevau  temere  di  essere  ob- 
bligati a  ritufiarsi.  ^-m 

io3  Per  un ,  eh' io  son^  così  leggo  in  molti  testi  stampati 
e  manoscritti  [a],  e  ripongo  qui  invece  di  ch'aio  so* ^  che  leg- 
gesi  comunemente.  —  sette ^  numero  determinato  per  T inde- 
terminato, per  molti. 

1  o4  I  o5  sufolerò ,  com'è  ec  Indica  Ciampolo  che  fosse  ct^ 
stame  di  coloro,  che ,  mettendo  alcun  di  essi  il  capo  fuor  del- 
la bollente  pece  ,  e  non  vedendo  demonj  intomo  sufolasse,  t-d 
avvisasse  i  dannati  compagni ,  acciò  sicuri  potessero  essi  pure 
prendersi  refrigerio. 

io6  107  tei^ò  il  musoj  —  Crollando  7  capo  :  atto  di  chi  si 
avvede  di  qualche  maliziosa  proposta  . 

108  »-♦  Ch'elli  ha  pensata  j  legge  l'Ang.  E.  R.  e  il  codice 
Vat.  3igQ.  4Hi 

109  av^ea  lacciuoli  a  gran  div^izia,  era  riccamente  fbmiit» 
d*astu2ìie  e  di  frodi. 

fa^  Delle  edizioni,  se  non  altre,  le  venete  i568  e  1S78  ,c  dei  mss.del- 
Ìa  Corsini,  due  leggono  son,  e  quattro  sono. 


CANTO  XXII.  479 

Rispose:  malizioso  sod  io  troppo, 
Quand'  io  procuro  a'  miei  maggior  tristizia . 

Aliolìia  non  si  tenne,  e  dì  rintoppo  i  la 

Agli  altri,  disse  a  Ini:  se  tn  ti  cali , 
Io  non  ti  verrò  dietro  di  galoppo  ; 

Ma  batterò  sovra  la  pece  Tali:  1 15 

Lascisi  '1  collo,  e  sia  la  ripa  scudo, 

110  III  malizioso  son  io  troppo  j  eo.  Malizioso  (  chiosa 
qui  il  Gomentatore  detto  Vj^nticoj  citato  a  questa  voce  nel  Vo^ 
cab.  della  Crusca  )  riene  alcuna  inolia  a  dire  malizioso  e  sa^ 
puto  j  e  alcuna  volta  viene  a  dire  facitore  di  male .  Essendo 
adunque  Giampolo  tacciato  dal  demonio  Cagnaszo  di  malizioso 
risponde ,  sé  esser  pur  troppo  malizioso  ;  non  però  in  quel  sen- 
so, che  Cagnazzo  intendeva,  di  astuto  e  fraudolente  ^  ma  nel 
senso  di  facitor  di  male  \  perocché  veniva  a  tradire  i  compa- 
gni ,  tirandoli  a  maggior  tristizia ,  a  maggior  pena ,  cioè  a  ca- 
dere nelle  mani  di  que'demouj.  -  Quana  io  procuro  a  miei 
ec.  leggono  la  Nidob.  ed  altre  ediz.  antiche  >  »-»ed  il  codice 
Poggiali;  4-9  ove  la  Cominiana  ed  altre  moderne  leggono, 
Quando  procuro  a  mia  maggior  tristizia:  lezione,  per  cui 
dichiarerebbesi  Ciampolo  tornare  a  maggior  di  lui  duolo,  eh' al- 
tri venissero  al  medesimo  strazio  ch^egli  da  que^demonj  soi&i** 
va;  contrariamente  cioè  a  quel  vulgatìssimo  detto:  solatium 
est  miseris  soeios  habere  poenarwn .  Wh¥  Anche  il  Biagioli  con- 
fessa che  la  lezione  a*  miei  ò  preferibile ,  dando  un  senso  chiaro 
e  facile  ;  il  che  non  avviene ,  ove  colla  Crusca  si  legga  a  mia.  <-• 

I  la  non  si  tenne  y  che  non  parlasse  per  costui .  VsLLtrrzL- 
LO.  E  mi  pare  che  dica  meglio  del  Ventm*i,  il  quale  chiosa t 
non  si  tenne  forte  nella  negativa  come  gli  altri .  -*  di  rin^ 
toppo j  oppostamente. 

1 1 3  al  1 1 5  se  tu  ti  cali ,  se  tu  scappi  giii  nella  pece .  -  Io 
non  ti  verrò  ec.  La  sentenza  è  questa  :  io  non  solamente  ho 
piedi  come  tu  hai ,  ma  ho  anche  Tali;  e  però  se  tu  tenterai 
luggirtene  non  ti  correrò  già  appresso  galoppando  co' piedi,  ma 
battendo  1*  ali ,  volando  per  aria  sopitalo  stagno  ;  onde  sicura- 
luonte  i-aggiungerotti  prima  che  nella  pece  ti  attuili . 

I  i6   ìiy  Lascisi  7  collo y  la  Nidobcatina;  e  non  é  se  uou 


48o  INFERNO 

A  veder  se  tu  sol  più  di  noi  vali . 
O  tu  che  l^gi ,  udirai  nuovo  ludo .  i  •  8 

Ciascun  dall'  altra  costa  gli  occhi  volse-, 
Quel  primo,  eh' a  ciò  fare  era  più  crudo. 

per  errore  scritto  in  tutte  l'altre  edizioni,  Lascisi  il  colU.L» 
voce  collo  ha  tra  gli  altri  significali  queUo  di  sonumtà  »  «fwr- 
te  più  alta  del  monte .  Vedine  gli  esempi  nel  Vocab.  delU  Lru- 
•ci  [a]  ,  e  vedine  un  altro  più  ricino  del  nostro  Poeta  stesso 

nel  seguente  canto ,  v.  43: 

E  giù  dal  collo  della  ripa  dura. 

Ed  acciò  la  ripa  divenisse  scudo,  coprisse  cioè  »  ««««^I  •"» 
visu  di  quei  che  dovevano  uscir  della  pece  e  vemr  a  Uampo- 
lo,  non  abbisognava  se  non  che  scendessero  i  demonj  podta 
passi  dalla  sommità  della  ripa  nell'  opposU  falda ,  e  non  gì*  eh» 
scendessero  affatto  dalla  ripa ,  come  importerebbe  X-wcw»  U 
eolle. scoile  legge  però  il  Vat.  3 199,  e  con  esso  U  4. rem. 
ediz.,  —  e  colla  Cr.  il  Biagioli }  asserendo  essere  «  Dante  P«^ 
cinto  appellare  il  sommo  della  ripa  collo  e  colle,  come  lo  com- 
provano i  w.  43.  e  53.  del  seguente  canto. ■«-•  ^  v^dw-  se  im 
sol  ec.,a  in  significato  di  per  [b]  ;  per  così  vedere,  »'  P"»" 
va  se,  come  Cagnazzo  teme,  vali  tu  solo  più  di  noi  tutu,  ^^ue- 
•t"  ovvio  sentimento  viene  in  tutte  le  virgolate  edizioni  ad  in- 
terrompersi con  una  virgola  che  segnano  d«>po  *'«**'' »|*3     * 
perciò  ho  io  tolu,  ed  invece  riposu  nel  fine  del  precedmte 
Terso.  »*  e  sia  la  ripa  scudo,  e  la  riva  ci  ricnopra ,  siechc  i 
barattieri  escano  della  pece  sicuri  non  vedendoa  .-dtnotput 
vali,  cioè,  se  tu  piìi  vali  ad  ingannarci,  che  noi  »  punirU 
dell'inganno.  Torelli.  «-•  , 

I  iSludo  per  giuoco ,  burla,  dal  Ialino  ludus  ,  copralo  da 
altri  buoni  scrittori  anche  in  prosa,  vedilo  nel  Vocab.  della  ur. 
•^  Vuole  il  PoeU  tutta  l'atteiaione  del  lettore,  a  cui  promette 
far  vedere  un  baraltiere  fare  slare  dieci  diavoli.  Biaoiom.*» 

I  IO  Ciascun  dall'altra  costa  gU  occhi  volse-  ciascuno  si 
rivoltò  per  calar  giù  dalla  cima  nell'  oj^sU  falda  di  queU  ar- 

120  Quel  primo,  così  per  ellissi,  invece  di  e  ffoeZ/i»  »/;»»- 
mo .  Quel  prima ,  leggono  l'edizioni  diverse  dalla  Nidob.  »*ed 
il  Vat.  3 199.  «i-*  che  a  dò  far  era  più  crudo.  Crudo  per  duro. 

.«    Sotto  la  voct  Collo,  $.  16.  [6]  VeJi  il  Ciao».  P»>lic.  x.  a». 


CAKTO  XXII.  4Si- 

Lo  Na  varrese  ben  suo  tempo  colse  ;  i  a  i 

Fermò  le  piante  a  terra,  ed  in  un  punto 
Saltò,  e  dal  proposto  lor  si  sciolse, 


resistente  j  come  cruda  poffta ,  invece  di  dura ,  dissero  i  Latini  » 
e  iatendesi  per  costui  Cagnazzo>  che  disse:  Odi  malizia  ec. 
»-»  Accennandosi  piii  giii  al  i/.  i33.  che  Calcabrina,  adirato<ii 
drlla  burla,  si  spinse  addosso  ad  Alichino  per  Carne  sopra  ili 
lui  la  vendetta,  ragion  vuole  che  dello  stesso  Calcahrina  s*in- 
tenda  qui  parlare ,  ch'esso  fu  clic  si  mosti'ò  piii  duro  degli  al- 
tri al  consentire  alla  proposta  del  barattiere  ec.  Biagioli.  4-m 
fai  Lo  Nav^arresCy  Ciampolo, —  ben  suo  tempo  colse: 
giudiziosamente  si  prevalse  del  tempo  per  lui  opportuno. 

I U!»  Fermò  le  piante  a  terra  ,  atto  di  chi  si  dispone  a  saltare. 
— >  ed  in  nn  punto ,  vale  quanto,  e  senza  perder  punto  di  tempo. 
I  a  3  Dal  proposto  lor  si  sciolse ,  sì  liberò  dal  proposito ,  daI-> 
la  intenzione  di  que'  demonj ,  ch*era ,  dopo  di  aver  soddisfatta  la 
«ariosità  de'Poeti ,  di  stracciarlo  ;  e  però  Barbariccia  a  Virgilio  : 
Dimandai^  disse ^  ancor ^  se  più  dìsii 
Saper  da  luij  prima  ch^ altri  7  disfaccia. 
m-¥  Cosi  anche  Torelli  e  Biagioli  .<-«  Il  Vellutelloeil  Vol- 
pi, ed  in  parte  anche  il  Venturi ,  chiosano  qui  pure  ,  come  nel 
i».  94.,  proposto  per  preposi tOy  caposquadra;  e  però  inten- 
dono Barbariccia ,  e  che  dalle  di  lui  braccia  sciogliesscsi  Ciani* 
]x>lo.  *-*  Ma  se  Ciascun  dalV  altra  costagli  occhi  uolse^  volti 
gli  aveva  Barbariccia  pure;  e  se  fosse  Dante  d*iutelligenza 
che  continuasse  Barbariccia  a  tenersi  stiletto  Ciampolo  tra  le 
braccia,  avrebbe  premesso  lo  sciogliersi  al  saltai^ ,  e  non,  co-' 
me  fa,  il  saltare  allo  sciogliersi. 

Saltò ,  e  dal  proposto  lor  si  sciolse . 
»-*  Ma  del  parere  del  Vellutello ,  del  Volpi  e  del  Venturi  si 
mostra  ancora  l' Anonimo ,  citato  nella  E.  F.  — Barbariccia  dif- 
fatti  il  teneva  chiuso  tra  le  braccia,  come  apparisce  dal  v,  60. 
di  questo  canto:  Ma  Barbariccia  il  chiuse  con  le  braccia;  —  e 
nel  Vat.  3 199  trovasi  scritto  ^ropojto  colla  P  maiuscola.  4-^ 
Pone  qui  Dante  questo  inganno  (dice  il  Daniello)  usato  dal 
Navairese  barattiern  per  mostrarci  qual  sia  la  natura  di  simili 
uomini,  e  per  ricreare  alquanto  gli  animi  di  quelli  che  leg-* 
gono  con  questa  piacevolezza ,  dimostrandone  così  i  barattieri 
^^sere  viepiù  astuti  e  tristi  che  non  sono  i  diatoli. 


482  INFERNO 

Dì  che  ciascun  di  colpo  fu  compunto  j  134 

Ma  quei  più,  che  cagion  fu  del  difetlo; 
Però  si  mosse,  e  gridò:  tu  se'  giunto.    ^ 

Ma  poco  i  valse,  che  Tali  al  sospetto  ji-j 

Non  poterò  avanzar  j  quegH  andò  sotto, 
£  quei  drizzò,  volando,  suso  il  petto: 

Non  altrimenti  l'anitra  di  botto,  i3o 

Quando  '1  falcon  s'appressa,  giù  s'attnfia, 
£d  ei  ritorna  su  crucciato  e  rotto. 


124  di  colpo  y  ài  botto  y  immantiuente .  Vedi  il 
della  Crusca.  — fu  compunto ^  rimase  coatrìstato. 

ia5  Ma  quei  più,  ec,  Alichiiio,  che  persuade   di  lasciar 
Ciampolo  ia  libertà . 

l'Ay  1 28  Ma  poco  i  valse  significa  il  medesimo  iàie poco  gli 
%false  [a].  Cosi  legge  la Nidobeatina  ;  ove  raUi-e  edizioni,  Ah 
poco  valsemi  Anche  V E.  R.  nella  i.  ediz. ha  l'estituita  l'an- 
tica lezione  Y  non  trovando  la  1  necessaria  per  l'intelligenza; 
e  dice  che  le  emendazioni  vogliono  essere  o  necessarie  o  in 
meglio .  Malgrado  ciò ,  noi  riteniamo  che  la  lezione  dì  Nido- 
beato  sia  la  genuina  ;  e  questa  nostra  opinione  è  avvalorata 
dair  autorità  del  Vat.  3 1 99 ,  che  legge ,  Et  poco  i  ualse .  <-•  faii 
al  sospetto  -  JVon  poterò  ax^anzan  non  poterono  le  ali  fare 
Alichino  più  veloce  di  quello  facesse  Ciampolo  il  sospetto  j  la 
paura,  m^  Ha  ben  ragione  il  Biagioli  di  affermare  che  questo  è 
uno  de*piii  bei  modi  di  dire  poetici  che  si  possano  iiwontrace. 
-^  Nota  modo  di  dii^:  av^anzare  il  sospetto  y  cioè  esser  più 
pronto  della  paura.  Torelli.  <-«  quegli  j  Ciampolo,  andò  sot^- 
tOy  si  attuffò   nella  pece.  -  E  quei  y   Alichino 9  drizzò  j  uo^ 
landò  y  suso  il  petto  :  esprìme  il  ritornare  in  su  volando ,  che 
uecessainamente  doveva  fai'si  col  drizzare  y  col  dirigere  il  petto 
all'insiiy  come  nello  scendere  dovette  drizzarlo  ingiii. 

i3o  r anitra  y  che  sta,  intendi ,  nuotando  e  vagando  a  fior 
d'acqua. 

1^2  rotto  y  lasso.  »-^  E  significato  piuttosto  antiquato ,  ma 


~^a]  Velli  il  Vucabolario  delia  Crusca  alla  leilcra  1,  $.6. 


CANTO  XXH.  ^    4«1 

Irato  Galcabrina  della  buflfa ,  1 33 

Volando  dietro  gli  tenne,  invaghito 
Che  quei  campasse,  per  aver  la  zuflfa. 

£  come  '1  barattier  fu  disparito,  1 36 

Cosi  volse  gli  artigli  al  suo  compagno, 
£  fu  con  lui  sovra  '1  fosso  ghermito. 

Ma  l'altro  fu  bene  sparvier  grifagno  1 39 

rsprimente.  Pooguli.  —e/,  cioè  il  falcone 9  e  con  Calcabrina, 
come  intese  il  Venturi.  Biagioli.<-« 

i33  al  i36  Irato  Calcubrinaj  contro  di  Alichino,  della 
(  vale  per  la  [a]) buffa j  burla,  colandogli  tenne  dietro  j  in^ 
ì/aghito  9  bramoso  \b\  {m-¥  e  secondo  il  Biagioli  9  lieto  9  con^ 
tento  j  essendo  già  il  desiderio  suo  contentato  «-•  )  che  quei  y 
Cìampolo  9  campasse  9  non  si  lasciasse  raggiuiigtu*e  9  per  at^er 
la  zuffa  9  per  aver  motivo  di  azzuffarsi  egli  con  A  licitino  9  e  cac- 
ciameh)  esso  pui*e ,  intendi  9  sotto  la  pece  insieme  conCiampolo. 
Per  non  celare  però  alcun  sentimento  al  cortese  mio  leg- 
gitore! i>ù  pare  che  in  corrispondenza  al  tener  di  Calcabrina 
dietro  ad  Alichino,  che  volava  verso  la  pece 9  la  particella  /a, 
meglio  che  per  articolo  di  zuffa j  starebbe  presa  qual  avver- 
bio locale  9  per  aver  là  9  sopra  la  pece  9  zuffa  collo  sciocco  Ali- 
l'hinoy  ed  in  quella  farlo  attuffare  esso  pure.  «-»  Ma  non  vi  ac* 
ctinsente  il  Biagioli 9  ritenendo  che  la  sia  l'articolo  che  deter- 
mina il  nome  zuffa.  «^ 

1 36  l'i'j  E  coinè  ec-  -  Così  ec.  vagliono  il  medesimo  che 
nuando  ec.j  subito  ec.  Vedi  il  Cinonio  [cj.  <-«  fu  dispartito  p 
n*gge  il  Val.  3199. 


\'iS  s-^  gremito ,  legge  1*  Ang.  E.  R.  e  il  Vat.  iSgp. 

139  fu  bene  ,  fu  del  pari.  —  sparvier  grifagno y  cioè  va* 
loroso  e  ardito.  Chiamiamo  sparvier  nidiace  quando  piccioliuo 
è  preso  nel  nido 9  che  ancora  non  può  volare;  e  ramingo  quan- 
do incomincia  a  volare  e  sta  su  i  rami;  e  grifagno  poi  che  è 
mutato  in  selva:  e  questi  ultimi 9  benché  con  piii  difficoltà  si 
roncino  (si  addomestichino)  9  nondimeno  sono  più  animosi  allo 
uccellare.  Lavdiho. 

[a]   Cinoo.  Partic.  81.  i3.  [b]  Tedi  il  Vocmbolario  risila  Cr.  [e]  Par» 
tic    6i.8. 


484  INFERNO 

Ad  artigliar  ben  lui;  ed  amendue 
Cadder  nel  mezzo  del  bollente  stagno. 

Lo  caldo  sghermitor  subito  fiie  :  1 41 

Ma  però  di  levarsi  era  niente, 
Sì  a  viene  inviscate  Tali  sue. 

Barbariccia  con  gli  altri  suoi  dolente,  i4^ 

Quattro  ne  fé'  volar  dall'  altra  costa , 
Con  tutti  i  raiSi ,  ed  assai  prestamente 

Di  qua  di  là  discesero  alla  posta  :  1 4^ 

1 40  ^d  artigliar  ben  lui ,  a  prender  fixrtemente  Ini  cògli 
artigli. 

141  »-^  bogliente ,  legge  il  Vat.  3 199.  ♦-• 

142  Lo  caldo  sghermitor  ec,  cosi  (e  non  schermitoro 
schermidore  come  in  tntte  T edizioni  trovo)  legge  il  Batì  n». 
nella  Corsini ,  e  riportato  nel  Vocab.  della  Cr.  alla  voce  Sgher* 
mitore,  e  chiosa:  Lo  caldo  della  pegola  bogliente  sghermi" 
tor  subito  fue  ;  cioèy  che  sentendo  il  caldo  si  sghermirono 
di  sabito ,  e  così  lo  caldo  fu  sghermitore  ;  e  male  a  propo- 
sito 11  medesimo  Vocab.  sotto  la  voce  e  definizione  dì  schiera 
mitore  pone  questo  stesso  verso  di  Dante.  •-¥  sgremitor  ,  ha 
l' Ang.  E.  R.  —  schermitor  nel  testo,  e  schermidor  in  po- 
stilla legge  il  Vat.  3 199.  —  sghermidor^  va  letto  cosile  non 
schermidore  come  nella  Cominiana.  Sghermire  è  contrario 
di  ghermire  j  e  vale  separare  j  dividere  ^  Vedi  il  Vocab.  ddU 
Cr.  Torelli.  <-• 

1 43  era  niente  vale  quanto  era  nissun  modo  »  com'è  delt<i 
Inf.  11.  57. 

i44  <$^  auieno  im^iscate  Pali  sue^  la  Nidob.;  Si  alleano 
inibiscale  Cale  suoj  T  altre  edizioni ,  »<»  e  col  Vai.  3199  U  3. 
rom.  edizione.  <-• 

1 46  dall*  altra  costa ,  perocché  supponesi ,  come  di  sopra 
è  detto,  soeso  cogli  altri  compagni  nella  falda  dell'argine  allo 
stagno  della  pece  opposta. 

1 47  Con  tutti  i  raffl.  Tutti  è  qui  particella  riempitiva  [a]. 
Maffle  sinonimi  A* uncini ^  è  già  detto  di  sopra. 

148  discesero  alla  posta  dee  valer  quanto  discesero  ad 

U]   Yodi  il  Vocab.  delU  Cr.  alla  Yoce  TuU^,  5.  9. 


CANTO  XXII.  485 

Porser  gli  udcìdì  verso  gì' impaniati^ 
Ch'eran  già  cotti  dentro  dalla  crosta, 
E  noi  lasciammo  lor  cosi.'mpacciati, 

appostarsi  j  cioè  alla  estremità  della  ripa,  vicini  alla  pegola 
il  piii  che  potevano.  »-»  Posta  è  termine  di  caccia,  ed  espri- 
me il  posto  assegnato  dal  capocaccia.  Poggiali;  —  ma  piii  ge- 
neralmente il  luogo  dove  si  apposta  il  cacciatore  per  attendere 
la  preda.  —  Qui  sappia  il  lettore  che  il  Poeta  ha  immaginalo 
questo  incidente  non  solo  per  dame  diletto  e  per  dimostrarci 
la  natura  de*  barattieri  e  IMndole  dei  diavoli ,  ma  per  aver  il 
piii  naturale  e  il  piii  semplice  modo  di  sbrigai*si  da  loro ,  pro- 
fittando del  presente  impaccio,  per  non  esser  vittima  delle  loro 
vendette ,  che  non  avrebbe  potuto  schivare  altrimenti  senza 
divino  aiuto.  Biagioli.  ^^ 

ì  ^Q  impaniati  ^  impegolati. 

i5o  crosta^  per  similitudine 9  appella  la  fecciosa  superficie 
di  quello  stagno.»-»  Ch'erano  cotti y  legge  TAng.  E.  R.^«-« 


CANTO    XXIIL 


ARGOMENTO 

in  questo  canto  tralta  il  nostro  Poeta  della  sesta  bol- 
gia, nella  quale  pone  gl'ipocriti;  la  pena  de* quali 
è  V  esser  vestiti  di  gravissime  cappe  e  cappucci  di 
piombo  i  dorati  di  fuori,  e  di  gir  sempre  d^  intorno 
la  bolgia*  E  tra  questi  trova  Catalano  e  Loderin- 
go  frati  Bolognesi  •  Ma  prima  poeticamente  descri- 
ve la  persecuzion  eh'  egli  ebbe  dai  demonj,  e  come 
fu  salvato  da  f^irgilio . 

J.  aciti,  soli y  e  senza  compagni n  i 

N* andava m  Fan  dinanzi,  e  T altro  dopo, 
Come  i  frali  Minor  vanno  per  via. 

Volto  era  in  su  la  favola  d' Isopo  4 

Lo  mio  pensier,  per  la  presente  rissa , 

1  al  3  »-^  Meditando  i  Poeti  sa  le  cose  testé  vedate,  con 
che  Dante  vuol  invitare  il  lettore  a  far  lo  stesso  y  si  avviano  al 
seguente  ponte  in  gran  silenzio;  e  soli,  per  esser  rimasi  tatti 
i  diavoli  neir anzidetto  impaccio.  Il  primo  ed  il  secondo  verso 
dipinge;  il  terzo  e  natura.  Biagioli.  4-c  Come  i  frati  J/i- 
nor  ec.  Dovette  ai  tempi  del  Poeta  essere  universa!  costume 
de^ Francescani  di  viaggiare  un  dopo  l'altro,  m^  Se  quest  > 
avesse  Dante  inteso,  meschino  sarebbe,  al  dir  del  Biagioli,  il 
concetto ,  e  la  similitudine  affatto  inutile .  Onde  spiega  il  versn 
cosi:  col  capo  basso y  come  fanno y  per  umile  modestia^  i 
Francescani ,  quando  vanno  per  uia .  <«-• 

5  presente  rissa  y  tra  Calcabrìua  ed  Àlichino. 


CANTO  XXIIL  487 

Dov'eì  parlò  della  rana,  e  del  topo: 
Clìè  più  non  si  pareggia  mò  ed  issa  ,  7 


6  ei,  Isopo,  il  quale,  tra  1* altre  favole,  racconta  che  una 
rana  esibissi  una  volta  ad  un  topo  di  recarselo  sul  dosso  e  pas- 
sarlo di  là  da  un  fosso,  con  animo  di  annegarlo;  ma  che  quan- 
do stava  per  eseguire  il  malvagio  disegno,  veduti  da  un  nib- 
bio, furono  amendue  rapiti  da  esso  e  divorati.  »-^ L'antico,  ci- 
tato nella  E.  F. ,  dice  essere  questa  favola  invece  quella  in  cui 
la  rana,  legato  un  filo  al  suo  piede,  e  Talti'O  capo  a  quello 
del  topo  per  tragittarlo  di  là  dall'acqua,  temendo  il  topo  di 
annegarsi,  tirava  verso  la  terra,  e  la  rana  verso  T acqua.  L* uno 
cosi  tirava  l'altro,  come  facevano  quei  due  demonj.  «-« 

7  pia  non  si  pareggia  ^  non  si  eguaglia  (  intendi  nel  signi" 
/lento  )  mo  ed  issa;  significando  entrambe  queste  due  parti- 
celie  lo  stesso  che  ora*  Moj  voce  sincopata  del  latino  modoj 
trovasi  usata  non  solo  dal  Poeta  nostro,  ma  da  molti  altri  buoni 
scrittori.  Vedi  il  Vocab.  della  Cr.  Issa  (  forse  dal  tedesco  ifzt) 
dicela  il  Buti  [a]  voce  lucchese;  e  se  non  fu  lucchese,  toscana 
certamente  la  dee  essere  stata  ;  che  troppe  volte  adoprala  Dante 
e  qni  in  rima,  ed  altrove  [6]  fuor  di  rima;  ciò  che  delle  voci 
veramente  forestiere  non  suol  fare ,  come  non  fa  né  di  a  pruovo^ 
né  di  borni j  né  di  giuggiare^  né  di  rofjtay  né  di  tant' altre. 

Il  Venturi,  al  canto  xxiv.  del  Purg.  v.  55. ,  ci  assicura  che 
é  isa  voce  usata  da' marinari  e  da  altri  f alleanti  attorno  a 
un  gran  peso ,  per  animarsi  l^un  T  altro  a  far  forza  unita^ 
mente;  nel  guai  senso  (  aggiunge)  è  usata  in  malie  parti  an^ 
cara  di  Toseana,  Ciò  essendo ,  avremmo  una  riprova  che  issa 
pareggisi  in  tutto  al  moy  che  invece  d^issa  o  dUsa  adoperano 
1  faticanti  di  concerto  in  altre  parti  d'Italia,  quasi  dir  volen- 
do: mo  tiriamo ,  mo  alziamo  ec,  m^  Questa  voce  issa  deriva 
dall^  issamente ,  vocabolo  provenzale ,  che  fu  adoperato  per  si- 
gnificare ancAe  ora.  Così  il  chiarissimo  sig.  conte  Perticar!  [e], 
ritenendo  che  Dante  adoperasse  qui  ed  altrove  (  Purg.  canto 
a 4  verso  55.)  questa  voce  issa  perché  era  del  romano  comu- 
ne; anzi  Vipsa  dei  Latini,  e  non  tolta  dai  Lucchesi,  come 
male  c'insegnò  il  Buti,  issa  ed  isso  trovandosi  in  tutte  le  scrìt- 
ta] Citato  nel  Vocab.  delift  Cr.  alla  voce  issa,  [b]  lat  e.  sxvii*  i^.  vi. 
Purg.  e  XXIV.  V,  55.  [e]  Prop,  voi.  u,  P.  ii.  Tmc.  laa. 


488  IJVFERNO 

Che  r^u  con  l'altro  fa,  se  ben  s'accoppia 
Principio  e  fìne^  con  la  mente  fissa: 

£  come  Tun  pensier  dall'altro  scoppia,  io 

Cosi  nacque  di  quello  un  altro  poi, 
Che  la  prima  paura  mi  fé* doppia. 

r pensava  cosi:  questi  per  noi  i3 

Sono  scherniii,  e  con  danno  e  con  beflfa 
Si  fatta,  eh' assai- credo  che  lor  no). 

Se  Tira  sovra  '1  mal  voler  s'agguefià,  i() 

£i  ne  verranno  dietro  più  crudeli, 

tui'e  siciliane  e  romanesche.  -«  appareggia^  '^gS^  ^  codÌM 
Angelico,  E.  R.  <«-• 

8  g  Che  P  un  con  C altro  fai  di  quello  che  si  pareggino, 
si  rassomiglino  tra  di  loro^  il  fatto  de*  due  demonj  ed  il  fatto 
della  rana  e  del  topo.  —  se  ben  s*  accoppia  ^  ben  si  confronta, 
con  mente  fissa  j  attenlAi  principio  e  fine;  imperocché  iì  prin- 
cipio fu  il  macchinare  ugualmente  un  contro  dell'  altro,  Cal- 
cabrina  contro  di  Alichino ,  e  la  rana  contro  del  topo  ;  ed  il 
fine  fu  che  ugualmente  pure  capitarono  male  e  gli  uni  e  gli 
altri  per  una  terza  cagione:  la  rana  e  il  topo  furono  ghermiti 
dal  nibbio,  e  i  due  demonj  furono  presi  dalla  pece  • 

I  o  scoppia  per  nasce ,  scaturisce  ;  wh¥0  piuttosto  rapida* 
niente  procede  •  E.  B.  •<-« 

iH  m^per  noi,  cioè  da  noi.  E.  B.  •«-• 

K>  nojj  da  notare  ,  annoiare  ,  rincrescere  . 

i()  Se  /*  ira  ec.  Costruzione:  Se  sovra  il  mal  ^oler,  sopia 
JU  perversa  volontà,  che  sempre  costoro  hanno y  ^* ^gueffà^ 
s' aggiunge ,  l'ira .  Aggueffare y  dice  a  questo  passo  il  Buti  \a\ ^ 
è  filo  a  filo  aggiungere^  come  si  fa  ponendo  lo  filo  dalgo^ 
mito  alla  mano ,  o  innaspando  coli*  aspo  s-^  Gueffo  j  ler- 
mine  antiquato  come  aggueffare ,  voleva  anticamente  aire  bal^ 
cone  o  ringhiera  che  sporge  alquanto  in  fuori  della  facciata 
della  casa;  ed  è  però  in  certo  modo  un'aggiunta  al  moro  prin- 
cipale; onde  aggueffare  è  aggiungere.  Poggi aIiI •  ♦-• 

i  7  pia  crudeli ,  cioè  disposti  ad  usataci  maggior  crudelù . 

[a]  Cilato  nel  Vocali,  della  Cr.  al  v»?ihn  A^v^ttrjf'atr. 


CANTO  XXIII.  4S9 

Che  cane  a  quella  leVre,  ch'egli  acceffa. 

Già  mi  sentia  tutti  arricciar  li  peli  19 

Della  paura,  e  stava  indietro  intento, 
Quando  i'  dissi:  Maestro,  se  non  celi 

Te  e  me  tostamente,  io  pavento  11 

Di  Malebranche;  noi  gli  avem  già  dietro  : 
Io  gì' immagino  si,  che  già  gli  sento. 

£  quei:  s'io  fossi  d'impiombato  vetro,  a5 

L'immagine  di  fuor  tua  non  trarrei 
Piò  tosto  a  me ,  che  quella  d' entro  impetro . 

1 8  acceffa  •  Acceffare ,  prender  col  ceffo  y  abboccare ,  pio» 
prìo delle  bestie.  Vedi  il  Vocab.  della  Cà\  m^  Cosi  pure  Torelli 
spiega  V acceffa  per  già  già  afferra  col  muso.  —  Che  V  ca* 
ne  j  legge  TAng.  E  £.  e  il  Val.  3 1 99.  -  che  r acceffa  y  ha  TAng. 
E.  R.  -*-• 

19  tatti  arricciar  y  li  peli j  la  Nidob.;  tutto  arricciar  ^  l'ai* 
U*e  edizioni. 

ao  stava  indietro  ec.j  stava  attento  se  quei  demoaj  ci  cor- 
ressero appresso  k 

2a  !ft3  m^  io  pavento  y  la  Nidob.;  i'' ho  pavento  j  la  Crusca 
e  il  Vat.  3199,  dove  pavento  è  nome  sostantivo ,  il  quale,  se* 
condo  Biagìoliy  ha  più  forza  che  timore  ^-^  Di  male  or€inchef 
legge  il  Vat.  3199.  4hì 

24  ^5  /o  gP  immagino  sìy  che  ec.  Io  gli  ho  alla  immagina* 
sione  cosi  presenti,  che  posso  dire  di  realmente  vederli  .-/io 
fossi  d* impiombato  vetro y  cioè  se  fossi  specchio,  che  è  vetro 
coperto  di  dietro  da  una  sottil  piastra  di  piombo.  Davibllo. 

a6  27  L*  immagine  ec.  Costruzione:  JVon  trarrei  a  me  pia 
tosto ,  non  riceverei  più  presto,  r immagine  tua  di  fuor^  l'im- 
magine del  tuo  estemo ,  che ,  di  quello  che,  impetro ,  acquisto  « 
quella  d'entro^  l'immagine  cioè  del  tuo  interno,  dell'animo  tuo. 
»<»  Cosi  anche  Torelli.  <-«  Impetrare  per  acquistare  adopera 
Dante  anche  nella  quarta  delle  canzoni  sue: 

Così  nel  mio  parlar  voglio  esser  aspro , 
Com'è  negli  alti  questa  bella  pietra ^ 
Ija  quale  ogn^ora  impetra 
Affiggi  or  durezza  ec. 


490  INFERNO 

Par  mo  venieno  i  tuoi  pensier  tra  i  miei        iH 
Con  simil  atto,  e  con  siroìle  faccia, 
Si  che  d'entrambi  un  sol  consiglio  lei. 

S*  egli  è  che  si  la  destra  costa  giaccia ,  3 1 

Che  noi  possiam  nell'altra  bolgia  scendere, 
Noi  fuggirem  l'immaginata  caccia. 

Già  Qon  compio  di  tal  consiglio  rendere,       34 
Gh'  io  gli  vidi  venir  con  Tali  tese. 
Non  molto  lungi ,  per  volerne  prendere. 

Lo  Duca  mio  di  subito  mi  prese ,  3; 

th^  Deve  leggersi  d* entro  in  luogo  di  dentro^  cioè  di  dentro. 
— -  Questa  lesione  è  proposta  dagli  Editori  della  E.  F.,  e  noi 
Tabbiamo  seguita,  sembrandoci  che  renda  il  senso  piiichiaro.^-* 

a8  al  i^o  Pur  mo  ec.  Ora  appunto  si  ap presentarono  a*  miei 
pensieri  i  tuoi  con  simil  atto ,  col  medesimo  sospetto ,  e  con 
simile  faccia  y  con  aria  simile  di  spavento,  *  «Si  che  da  (  vale 
qui  per  [a^)  entrambi  un  sol  consiglio  feiy  feci ,  presi.  »W*fn- 
trambi  non  vuol  dire  per  entrambi  j  ma  si  dal  confronto  e 
dalla  corrispondenza  d*entrambi,  Biagioli.  <^ 

3i  Scegli  è,  se  si  dà.  •  destra  costa  ^  destra  falda  dell' ar- 
gine, su  del  quale  camminavano,  qnella  cioè  che  calava  nella 
sesta  bolgia  degP  ipocriti.  E  di  fatto  essendosi  i  Poeti  dal  ponU* 
sopra  li  barattieri  mossi  su  di  quell'argine  a  mano  sinistra  [b\ 
venivano  nel  lor  cammino  ad  avere  alla  sinistra  medesima  U 
bolgia  de' barattieri,  ed  alla  destra  quella  degl* ipocriti .  ^giac^ 
cia^  sia  inclinata,  il  contrario  di  ritta  [e]. 

33  ^immaginata  caccia ,  che  noi  c'immaginiamo  e  temiaron 
doverci  dare  i  demonj .  Venturi  . 

34  rendere  per  rendermi ^  darmi  in  risposta. 

òy  m^  Da  questo  verso  sino  al  ^0,  il  Biagioli  nota  :  ce  Ma- 
is ravigliosi  sono  questi  versi  non  solo  pei  belli  pensieri  che  rìn- 
»  chiudono,  ma  per  aver  saputo  il  Poeta  colle  parole,  nnnnk^ 
a>  no  che  col  giro  delle  medesime,  espri  mere  divinamente  il  prin- 
j»  ci  pale  suo  intendimento ,  eh'  è  di  condur  l'azione  dal  prìncì- 

[a]  Vedi  il  Cinon.  Partic,  70.  8.  [b]  Inf.  x\i.  137.  [e]  Vedi  hi  noia  *§- 
giatita  al  t^,  35.  del  six.  passalo  canto. 


CANTO  XXIII.  49 « 

Come  la  madre ,  eh'  a  romore  è  desta , 
E  vede  presso  a  sé  le  fiamme  accese, 

C  he  prende  'l  figlio ,  e  fugge ,  e  non  s' arresta ,    4  o 
Avendo  più  di  lui  che  di  sé  cura, 
Tanto  che  solo  una  camicia  vesta  : 

£  giù  dal  collo  della  ripa  dura  4^ 

Supin  si  diede  alla  pendente  roccia, 
Che  r  un  de'  lati  all'  altra  bolgia  tura . 

Non  corse  mai  sì  tosto  acqua  per  doccia         4^ 

»  pio  al  fine  in  modo,  eh* una  parte  T altra  incalzi,  la  prema, 
»  e  le  dia  moto  e  vita ,  accelerando  sempre  verso  il  fine ,  sì  che 
»  vadano  le  parole  con  la  rattezza  stessa  del  pensiero.  »  <-« 

38  a  romore  j  la  Nidob.;  al  romore y  l'altre  edizioni .  ^  per 
day  vedi  il  Cinonio  [a],  ed  a  romore y  intendi,  qualsivoglia, 
o  delle  rovine  che  l'incendio  cagioni,  0  delle  strida  della  gen- 
te, s-^  Grida  il  Biagioli  contro  la  lezione  Nidob.  di  questo  yet^ 
SDy  come  di  cosa  che  fa  oltraggio  al  verso ,  alla  grammatica 
e  a  Dante;  ma  egli  forse  s* inganna.  Come  la  Nidob.  legge 
TAng.  E.  R. ,  ed  anche  il  Vat.  3 199.  •«-• 

4oal  42  Che  prende  ec.  Costruzione.-  Che  prende  il  figlio  ^ 
e  fugge  y  e  attendo  più  cura  di  lui  che  di  sèy  non  s*  arresi  a 
tanto  che  prenda  solo  una  camicia  ;  fugge  tal  quale  ritrovasi  • 
m^  cornisela ,  il  Vat.  3 1 99.  <-« 

43  collo y  cima.  Vedi  il  Vocab.  della  Cr.  —  duray  percliè 
dì  pietra. 

44  Supin  si  diede  y  si  adattò  con  tutta  la  deretana  parte 
del  corpo ,  alla  pendente  roccia ,  rupe  \b] ,  per  scendere  sdruc» 
ciolando  a  quel  modo  nel  fondo ,  portando  me  sopra  il  petto  • 

45  CheTuneCy  che  termina  da  una  parte  la  seguente  bolgia. 

46  doccia  y  canale,  dal  ductus  aquarum  latino ,  o  dal  latino- 
barbaro dochia  [e] .{•-►Per  la  similitudine  di  sopra  ha  di- 
mostratoli Poeta  con  quanto  amore  s'afiTrettò  Virgilio  di  sottrar- 
lo air  imminente  pericolo;  per  questa ,  che  pur  copia  dalla  sem- 
plice natura,  dimostra  la  rapidità  con  che  sdrucciolò  per  quella 
dura  ripa  cosi  supino,  come  ha  già  detto,  Biagioli.  <-« 

[a]  Panie,  caji,  1 . 1  a.  [ù]  Yt'di Inf.  vu.  6.  [e]  Laurent.  Amalth. onomasi. 


49^  INFERNO 

A  volger  ruota  di  malia  terragao, 
Quaod'  ella  più  verso  le  pale  approccia , 

Come  1  Maestro  mio  per  qael  vivagao,  49 

Portaodoseae  me  sovra  1  sao  petto , 
Come  sao  tiglio,  e  ooa  come  compagno. 

Appena  furo  i  pie  suoi  giunti  al  letto  Si 

Del  fondo  giù,  eh'  ei  giunsero  in  sul  colle 
Sovresso  noi:  ma  non  gli  era  sospetto; 

47  terragno^  fabbricato  nel  terreno,  a  differenza  di  quelli 
ehe  si  fabbricano  nelle  navi  sopra  fiumi ,  ove  l'acqua  non  ha 
doccia y  ossia  canale,  che  facciala  da  alto  in  basso  scorrere  ad 
urtare  nelle  pale  della  ruota,  ma  movesi  collo steaso movimento 
che  ha  in  tutta  la  larghezza  del  fiume  ;  e  però  alla  manffgmga 
di  forza  nell'acqua  si  suppli>sce  col  far  le  pale  delle  ruote  lar- 
ghissime d'intiere  tavole  per  lungo. 

48  approccia,  ^approcciare y  neutro passiì^o  (bassi  nel  Vo- 
cabolario della  Cr.  ) ,  ancorché  talora  si  taccia  il  si .  jàppros^ 
simarsiy  appressarsi  ^  verbo  adoperato  anche  da  altri  buoni 
scrittori,  e  che  dovrebbe  essere  preso  dal  fii^ncese  approAer. 
Fa  paragone  del  veloce  sdrucciolare  di  Vii^ilio  giii  per  la  ripa 
al  correr  dell'  acqaa  nella  doccia  di  molino  terragno ,  quand'eUa 
più  verso  le  pale  della  ruota  approccia;  impeiticcbè  neiralto 
dello  scoiTere  d'alto  in  basso  verso  le  pale  della  ruota  acquista 
sempre  velocità  maggiore. 

49  vivagno  (  chiosa  il  Vocab.  della  Crusca  )  propriameme 
r estremità  dei  lati  della  tela.  Persimilit,  vale  ripa 4  e  per 
ripa  non  solo  qui  adopralo  Dante,  ma  anche  Inf.  e.  xiv.  lai., 
e  Purg.  e.  XXIV.  127. 

5  !  m^  non  come  compagno ,  invece  di  e  non  ec.  y  l^ge  c»i 
codd.  Ang.  e  Vat.  3 199  la  3  rom.  ediz.  ♦« 

5a  al  54  letto  "Del  fondo  y  piano  del  fondo.  Vedi  il  Vci- 
eab.  dell^  Crusca,  m^  eh* ei  furono  in  sul  colle  j  legge  il  cod. 
Vat  3 199.  4^  Soi^resso ,  sovra ,  sopra .  —  ma  non  gli:  in  que- 
sto luogo  gli  vale  quanto  vi ,  come  nel  Purg.  xm.  7.,  e  PanuL 
XXV.  124.  »-»  Abbiamo  in  questa  terzina  due  pleonasnu  j  ossi» 
due  fi-asi  ridondanti ,  letto  del  fondo  e  sovresso  noi .  La  pa- 
rola ietto  qui  non  significa  altro  che  il  fondo  della  bolgia; 


CANTO  XXIII.  4y3 

Che  Talta  Provvìdeaza,  che  lor  volle  55 

Porre  ministri  della  fossa  quinta , 
Poder  di  partirs'  indi  a  tutti  tolle. 

Laggiù  trovammo  una  gente  dipinta,  5$ 

Che  giva  intorno  assai  con  lenti  passi , 
Piangendo ,  e  nel  sembiante  stanca  e  vinta . 

Egli  avean  cappe  con  cappucci  bassi  6i 

Dinanzi  agli  occhi,  fatte  della  taglia, 

sicché  letto  del  fondo  ò  l'istesso  che  fondo  del  fondo  f  e  #o- 
vresso  noi  non  significa  più  che  sopra  noi.  Poggiali.  4-« 

5y  tolle j  dairantieo  tollero j  detto  per  togliere.  Vedi  Ma- 
strofini,  Teoria  e  Prospetto  de\erbi  italiani^  fac.  622. 

58  al  60  •-►Eccoci  alla  bolgia  dove  puniti  sono  gF ipocriti. 
Terribile  si  è  il  supplizio  di  costoro,  e  bene  alla  loro  malva* 
gita  conformato ,  poiché  ricorda  ad  un  tempo  a  queste  anime 
triste 9  e  pon  loro  dinanzi  agli  occhi  la  cagione  di  quello,  pei^ 
che  sono  sì  crudelmente  tormentate.  6iagioli.4-« i/<^m<a,  co- 
lorata di  bello  artificiale  colore,  che  ricopre  il  natio  deforme: 
esprime  la  malvagità  degF ipocriti  di  ricoprire  il  vizio  col  co« 
lore  della  pietà .  »-►  Che  giano  j  legge  TAng.  E.  R.^-c  stanca 
e  scinta-,  stanca  pel  grave  peso,  e  vmta  dal  disagio;  onde  nel 
volto  trasparisce  lo  sfioimento  del  corpo  e  deiranimo,  quello 
lasso,  questo  annoiato-  VfiiiTURi. 

6 1  63  bassi^Dinanzi  agli  occhia  abbassati  sopra  la  faccia  tal-* 
mente ,  che  ricopri van  loro  gli  occhi .  •-►G>si  anche  Torelli. ♦-« 
fatte  della  taglia  ec,  cioè,  chiosa  il  Landino,  a  quella  forma 
che  sono  in  Cologna ,  città  della  Magna ,  dove  i  monaci  por- 
tano molto  grandi  e  malfatte  cappe,  in  forma  che  sono  più  si- 
mili a  un  sacco  che  a  una  veste .  Francesco  da  Buti  (  siegue  il 
medesimo  Landino)  riferisce  in  questo  luogo  (non  so  se  é  isto« 
ria  o  fiivola)  esser  già  stato  uno  Abate  tanto  insolente  ed  am- 
bizioso, che  s'ingegnò  d'impetrar  dal  Papa  che  i  monaci  suoi 
potessero  portar  cappe  di  scarlatto,  e  cinture  e  sproni  e  stafi*e 
accavalli  d'argento  dorato:  la  qua!  dimanda  commosse  a  giusto 
sdegno  il  Papa  ,  e  comandò  che  per  Tav venire  usassero  cappe 
nnre  molto  malfatte ,  e  cinture  e  staffe  di  legno.  Il  Daniello  però 
pel  il  Volpi  chiosano:  recate  per  esempio  le  cappe  de*colo- 
uiesi  monaci  solo  per  esser  quelle  molto  piix  agiate  e  larghe 


494  INFERNO 

Che  'a  Cologna  per  li  monaci  £issi . 

Di  fuor  dorate  souy  si  eh' egli  abbaglia;  64 

Ma  dentro  tutte  piombo,  e  gravi  tanto, 
Che  Federigo  le  mettea  di  paglia . 

O  in  eterno  faticoso  manto  !  67 

Noi  ci  volgemmo  ancor  pure  a  man  manca 
Con  loro  insieme,  intenti  al  tristo  pianto. 

di  quelle  che  si  usaiio  in  Italia.  —  *  In  quanto  al  t^.  6a.  il  cod. 
Gaet.  legge,  Che  per  li  monaci  in  Cologna  fossi  \  molte  orec- 
chie che  abbiam  consultato  ci  trovano  minor  disgusto.  E.  R- 
•-►Cosi  pur  legge  il  Vat.  Sigg.^-s 

64  •corate  f  invece  di  dorate y  ha  il  cod.  Ang.  E.  R.  «-•  /i 
ch^egli  abbaglia.  Egli  pronome  neutro  intende  essere  il  Da- 
niello y  e  valer  quanto  quelV esser  dorate .  In  forca  pur  di  neu- 
tro prendendo  il  Cinonìo  la  particella  e//a  in  quelle  parole  del 
Boccaccio:  ella  non  andrà  cosìy  che  io  non  te  ne  paghi  [a], 
chiosa  :  non  andrà  così  il  fatto  [6].  Il  Venturi  pi'opone  o  detto 
egli  invece  di  dire  lo  splendor  deWoro  y  o  detto  aòbagtia  per 
abbagliano  y  secondo  Tattica  eleganza  del  singolare  pel  plurale. 
Detto  abbaglia  per  abbaglian  o  per  Tattica  eleganza ,  ovvero 
per  apocope  in  grazia  dalla  rima,  non  dispiace  neppure  a  me; 
ma  a  questo  modo  intendendosi ,  bisogna  poi  la  particella  egli 
tenere  in  conto  di  aggiunta  per  mero  vezzo  di  favellare  ;  come 
dicesi  :  egli  si  suol  fare  y  egli  si  suol  dire  ec,  m->  L* Antico ,  ci- 
tato nella  E.  F.,  dice  che  la  voce  Ipocrita  nelle  sue  derivazio- 
ni greche  significa  sopra  dorato  y  cioè  dorato  di  fuori.  *-m 

06  Che  Federigo  le  mettea  di  paglia.  Ellissi ,  e  vale  quanto 
se  detto  fosse:  che  quelle  che  metteva  Federigo  al  paragone 
di  queste  erano  di  paglia.  Accenna  qui  Dante  la  crudelissi* 
ma  pena  che  faceva  Federico  II.  imperatore  subire  a' rei  di  lesa 
maestà,  ch'era  di  far  loro  mettere  indosso  una  gran  veste  di 
piombo,  e  di  farli  cosi  metter  a  fuoco  entro  di  un  gran  vaso, 
acciocché  collo  squagliarsi  del  piombo  anche  i  corpi  loro  si  di* 
sfacessero.  Così  riferiscono  tutti  i  Comentatorì. 

68  ancor  pure  y  ancor  medesimamente,  come  fatto  ave vamu 
Inf.  XXI.  187. 

[a]  Giom.  <).oov.  3.  [b]  Partic.  cap.  101.  *ji. 


CANTO  xxni.  495 

Ma  per  lo  peso  quella  gente  stanca  70 

Venia  sì  pian,  che  noi  eravam  nuovi 
Di  compagnia  ad  ogni  muover  d'anca. 

Perch'  io  al  Duca  mio:  fa  che  tu  trovi  7 3 

Alcun  eh*  al  fatto  o  al  nome  si  conosca  j 
E  l'occhio,  si  in  andando,  intorno  muovi. 

Ed  un ,  che  'ntese  la  parola  tosca ,  ^6 

Dirietro  a  noi  gridò  :  tenete  i  piedi , 
Voi ,  che  correte  sì  per  l'aura  fosca: 

71  ja  eraifom  nuovi -^ Di  compagnia i  ci  fiicevamo  duotì 
compagai  ad  alcun  di  coloro .  ^  ad  ogni  muoi^er  {Tanca  {anca 
per  coscia ,  o  per  tutto  il  piede  )  vale  quanto  ad  ogni  passo . 

y^  al  fatto  9  o  al  nonio  si  conosca, ^  di  cui  ne  3Ìa  noto  il 
nome  o  qualche  azione  famosa .  Molte  azioni  si  accertano  nelle 
storie,  e  rimangono  celati  affatto  0  dubbiosi  i  nomi  di  chi  le 
commettesse.  9^  jilcun  e* al  fatto  il  nome  si  conosca <,  ha  il 
Vat.  Sigo--*-» 

^5  f  i  occhio  y  sì  in  andando  y  intorno  muoi^iy  la  Nidob.  ; 
E  gli  occhi  si  andando  ec. ,  laltre  ediz.  «-^  e  la  3.  rom.  ediz.  y 
e  perchè  cosi  leggono  i  codd.  Ang.  e  Vat.  3 199,  e  perchè  al* 
TE.  R.  sembra  che  quel  sì  in  faccia  mal  suono.  <-•  Sì  in  an- 
dando e  così  in  andando  sono  espressioni  che  salgono  quanto 
tra  r andare  yncir atto  di  andare y  come  quella  di  Virgilio.  «/»- 
ter  agendwn  \a]  y  e  la  particella  sì  o  così  altro  qui  non  fa  che 
dinotare  la  continuazione  stessa  detrazione;  onde  comunemente, 
sogliamo  dire;  così  passeggiando  lo  informai  ;  così  in  piedi 
in  piedi  restammo  intesi ^  invece  di  dire:  senza  interrompere 
il  passeggio  lo  informai;  senza  metterci  a  sedere  restammo 
intesi  • 

yiy  la  parola  tosca  y  il  toscano  parlare  di  Dante. 

j7  78  tenete y  trattenete»  fermate.  —  f^oi  y  che  correte  jì, 
cìie  ad  ogni  passo  vi  fate  nuovi  compagni,  verso  7  1.  «-^Tan- 
to quella  gente  andava  piano  y  che  pareva  loro  che  Virgilio  e 
Dante  corressero;  circostanza  che  forse  ad  altin  sai'ebbe  sfug- 
gita ,  per  la  quale  ci  ricorda  il  Poeta  Tenorme  peso  delle  cap- 

a]  Eciog.  is.  «4. 


496  INFERNO 

For3e  eh'  avrai  da  me  quel  che  tu  chiedi .       79 

Onde  1  Duca  sì  volse ,  e  disse  :  as{)etta , 

E  poi  secondo  il  suo  passo  procedi . 
Ristetti,  e  vidi  due  mostrar  gran  fretta  81 

Deir animo,  col  viso,  d'esser  meco; 

Ma  tardavagli  '1  carco ,  e  la  via  stretta . 
Quando  fur  giunti,  assai  con  l'occhio  bieco  85 

Mi  rimlraron  senza  far  parola; 

Poi  si  volsero  in  sé;  e  dicean  seco: 
Costui  par  vivo  all'atto  della  gola,  88 

E,  s'ei  son  morti,  per  qual  privilegio 

pe,  dal  quale  sono  quelle  anime  affaticate  e  rattenute.  Bia- 

GIGLI.  4-« 

79  Forse  ch^aurai  ec.  Volge  il  parlare  al  solo  Dante ,  di  cai 
aveva  intesa  la  curiosità  manifestata  a  Virgilio. 

80  81  aspetta,  ec*  fermati  fin  ch'egli  giunga,  e  poi  vieni 
avanti  con  passo  uguale  al  suo. 

8a  83  mostrar  ec.  »-^Dir  vago  e  poetico  oltre  ad  ogni  cre- 
dere, e  sentimento  verissimo.  Biagioli.4-c  Costruzione:  mo* 
strarcol  \fisogran  fretta  (per  gran  sollecitudine)  deiranimo 
d'*esser  meco .  Attamente  reca  qui  il  Daniello  quel  del  Petrar- 
ca .•  3fa  spesso  nella  fronte  il  cor  si  legge  [a] . 

84  il  earco ,  della  pesante  veste  ;  '-eia  uia  stretta,  da  al- 
tri, credo  intenda,  che  stavan  loro  dinanzi  ed  a  Iato . 

85  al  90  »->  Sempi^  ha  in  vista  il  Poeta  singolarmente  U 
jtatura,  e  nulla  delle  ombi*e  sue  piii  sottili  gli  può  sfuggire. 


quel  rivolgersi  poi  Tun  verso  Taltro,  d'ammirazion pieni ^ 
costui  par  v»i\fo  ec,  Biagioli.  ■<-•  si  uolsero  in  sé  vale  quanto 
si  uolsero  un  v^erso  V altro  >  m-¥si  tolsero  insieme ,  curiosa  le- 
zione delPAng.  E.  R.-*-*  Costui  ec.  Costruzione:  Costui,  cioè 
Dante ,  ali  atto  della  gola  par  uivo .  Due  cose  facevano  man- 
raviglia  ai  due  spiriti  sopravvenuti:  una  il  veder  Dante  the 
allatto  della  gola  parea  vivo  ;  Taltra  il  vedere  s)  Dante  chr 

[a]  Soo.   186. 


CANTO   XXIII.  497 

Vanno  scoverti  della  grave  stola? 

Poi  dissermi:  o  Tosco,  ch'ai  collegio  91 

DegF ipocriti  tristi  se' venuto^ 
Dir  chi  tu  se'  non  avere  in  dispregiò . 

Ed  io  a  loro:  io  fui  nato  e  cresciuto  q4 


Virgilio  scarichi  del  grave  abito  che  i  morti  colaggiii  porta- 
vano, sfatto  della  gola  (chiosa  il  Daniello)  è  quello  «spirare 
che  l'uomo  fa;  onde  il  medesimo  nel  Pui'g.: 
Z/aninie  che  di  me  si  furo  accorte , 

Per  lo  spirar  j  ch^io  era  ancora  i»«Vo  [a] . 
Notisi 9  ch'essendo  questo  puro  eil'etto  e  seguo  di  vita  ,  esclu- 
delo  Dante  dalle  ombre  de'morti  ;  ove  altre  pi-oprietà  vitali,  che 
servono  a  ricevere  pena  o  a  manifestarla ,  come  vedere ,  udii'e , 
moversi,  contorcersi,  piangere,  sospii*are,  e  perfino  sofliare  [6  j, 
tutte  fa  all'ombre  eziandio  essere  comuni .  t  a  in  sostanza  Toni* 
bre  vive  ai  tormenti,  e  morte  alla  vita.  Precisione  non  afl'aUo 
dissomigliante  a  fpiella,  per  cui  pone  s.  Agostino  potersi  le  ìh- 
fernali  damme  congiungere  agli  spirili  dannati  come  il  cor|>o 
nostro  organico  s* unisce  all'anima,  a  condizione  però  di  solo 
recar  le  fiamme  agli  spiriti  pena,  e  non  di  ricevere  da  essi  vi- 
ta: accipientcs  ex  ignibus  poenanij  non  dantes  igni  bus  vi» 
iam  [e],  ideila  grotte  stola,  del  nostro  grave  abito,  eh 'è  ciò 
che  significa  stola  appresso  ni  Latini  ed  ai  Greci. 

i)i  dissenni y  la  Nidob.;  disser  me,  l'altre  ediz.  »-»e  il  Vat. 
3u)9;4-«  ma  in  corrispondenza  al  latino  nhihi  non  si  trova  al- 
tro clic  o  mi,  o  a  me.  -  *  Il  cod.  Caet.  terminerebbe  la  dispu* 
ta,  poiché  l(^e,  Poi  mi  dissero ,  ec.  Noi  non  vogliamo  inno* 
vare,  ma  poniamo  con  molto  piacere  siffatte  varianti  sotto  gli 
occhi  de'bravi  intendenti .  E.  R.  »-»  collegio ,  detto  qui  senza 
ironia,  v^lÌc  adunanza  y  compagnia,  società,  Mouti  [^J*  <«-« 

9H  />!>,  il  dii'e,  l'appalesare,  -^^non  avere  in  dispregio , 
non  li  riputare  a  scorno.  »^Z>|'  chi  tu  se* ;  non  na^ere  in  di" 
spregio ,  il  Vat.  3  igg.  -•-• 

c)4  *~^  i^  f^  nato  eC'  Conveniva  che  rispondesse  :  io  san 
Dante  fiorentino  y  perchè  la  risposta  fosse  ;>iena  ;  ma  soddi^- 

la]  Cauto  if.  V,  67.  e  scg.  [b]  lu  questo  ihimIcsìiiio  canto,  v.  1 13.  [*]  Oo 
ci  vitate  Dei  ^  lih.  *ii.  Cii|i.   la.  [ù]  Prop.  voi.  i.  Fart.  u.  fac«  1 70. 

fai.  /.  J'2 


49»  INFERNO 

Sovra  '1  bel  iìume  d'Arno  alla  gran  villa , 

E  son  col  corpo,  ch'i' ho  sempre  avuto. 
Ma  voi  chi  slete,  a  cui  tanto  distilla,  9^ 

Quant'io  veggio,  dolor  giù  per  le  guance? 

E  che  pena  è  in  voi,  che  sì  sfavilla? 
E  Tun  rispose  a  me:  le  cappe  raoce  100 

Son  di  piombo  si  grosse,  che  li  pesi 

Fan  così  cigolar  le  lor  bilance . 

sfece  in  parte ,  per  non  dii«  il  suo  nome,  che  di  neoe«sitìi  solo 
registra  nel  Poi^atorio  .  Torelli.  «-« 

96  ifilla  y  città  y  alla  francese  ;  e  l'aggiunto  di  gran  delcr- 
niina  Firenze. 

97  ^1  99  ^'•^^'^'^  pcf  ìscorre.  —  dolor  ^  la  cosa  segnata  pel 
segno,  il  dolore  per  le  lagrime,  che  sono  segno  di  dolore,  'cke 
sì  sfavilla y  che  si  &  vedere  cotanto.  «-»  ce  Divini  sono  questi 
»  versi,  divina  Tespressione  tanto  dolor  distilla  giù  per  le 
u  guance f  ponendo  la  causa  per  l'effetto,  il  dolore  perle  la- 
a)  grime  che  spande;  e  divina  questa:  che  pena  è  in  'voi  che 
u  si  sfavilla  ....  Questo  modo  di  sopra  piacque  tanto  al  Pe» 
»  trarca,  che  per  due  fiate  l'imitò,  ne  potè  far,  come  altrove. 
u  sì  che  fosse  il  furto  nascoso .  »  Nella  t.  Ballata  della  prima 
parte  disse:  Convien  che  7  duol  per  gli  occhi  si  distille^Dal 
cuor;  e  nel  sonetto  20H:  Uuna  piaga  arde  e  'versa  foco  e 
fiamma  ,  '^  Lagrime  L* altra  che  '/  dolor  distilla  ^Perglioc' 
chi  miei  del  vostro  stato  rio.  Biagioli.^-c 

1 00  •-»  E  un  rispose  a  me ,  ha  l'Ang.  E.  R.  <«-■  ie  cappe  ran  - 
ce.  Rancio ,  cioè  arancio ,  aranciato  appella  il  colore  di  quelle 
cappe ,  per  averle  dette  di  fuor  dorate ,  e  per  essere  il  color 
dell'arancia  simile  a  quel  dell'oro  (d'onde  l'arancia  stessa  è  dai 
Latini  appellata  malum  anrantium).  Per  la  medesima  ragione 
dirà  nel  Purg.,  che  le  guance  dell'Aurora  Per  troppa  etade 
divenivan  rance  [a]. 

101  102  che  li  pesi  ec.  Parlare  allegorico,  che  vale  quan- 
to, che  li  pesi  fanno  sospirare  chi  li  sostiene,  come  cigola- 
no le  bilance  pe' troppo  pesi  che  loro  si  sovrappongono. 

[ft]  Piirg.  II.  7. 


CANTO   XXIII,  499 

Frati  Godeoit  fumniQ,  e  Bolognesi^  loj 

Io  Catalano,  e  costui  LoderiDgo 
Nouiati  )  e  da  tua  terra  insieme  presi , 

Come  suol  esser  tolto  un  uom  solingo  1 06 

io3  Frati  Godenti.  Frati  furono  questi  d'Ordine  cavalle* 
resco  9  istituiti  per  combaUere  contro  gì*  infedeli  e  violatori  del- 
la giustizia.  L*appeIlazione  loro  pi*opria  fu  de'Frati  di  S.  Ma- 
lìa ;  ma  o  perchè  vivcTan  eglino  ciascuno  in  sua  casa  colla  pro- 
pria moglie,  splendidamente  ed  in  ozio,  ovvei^o  perchè  gode- 
vano di  molti  privilegi  od  esenzioni ,  inrono  soprannomali 
Gaudenti  0  Godenti.  Vedi  tra  gli  altri  Spositori  il  Landino. 
•-»In  progi*esso  di  tempo,  dice  il  Muratori,  quest'  Ordine  si 
sciolse ,  e  venne  meno  da  se  stesso .  4-« 

1  o4  1  o5  /o  Catalano ,  ec.  A  piena  intelligenza  di  questi  due 
versi  bastano  le  seguenti  righe  della  Ci*ouica  di  Paolino  Pieri  : 
IVel  ntilledugentosessantasei ,  in  ealen  di  luglio  furom^ 
fatte  due  podestà  in  Firenze  per  sei  mesiy  adunora^  e  fu^ 
ron  di  Bologna  due  Frati  Godenti^  Vuno  ebbe  nome  mes' 
ser  Loderingo  degli  ondalo ,  e  /' altro  messer  Napoleone 
Catalani  [a],  Loderingo  scrive  Gio.  Vili,  che  fu  comincia^ 
tare  di  quello  Ordine  fA].  «-^Nai'ra  il  Boccaccio  nel  suo  Co- 
nsento cne  quattro  furono  i  primi  Frati  che  cominciarono  que- 
sta Regola,  cioè  Loderingo  degli  Andalò  da  Bologna,  Grua« 
monte  de'Caccianimici  da  Bologna,  Binieri  degli  Adalaitli  da 
Modena,  e  Siracco  da  Boggio.- Combina  con  ciò  che  ne  scrìve 
il  Muratori  negli  Annali  d'Italia  alFanuo  1261;  se  non  che, 
invece  di  Siracco  da  Reggio,  fa  egli  menzione  di  due  altri  no- 
bili Reggiani,  cioè  Schianta  de'Liazzari  e  Bernardino  da 
Sesso.  '•^ e  questi  Loderingo  ^  ^^%%^  *1  \b!ì,  3199.  -  Veggasi  nel 
Fixlericiy  Storia  dei  cavalieri  Godenti^  quel  che  si  appar- 
tiene a  questo  degli  Andalò ,  e  in  quante  maniere  il  suo  nome 
trovisi  variato  e  corrotto.  E.  R.  -  Un  sigillo  preso  da  una  bella 
cera  esibita  all'È.  R.  dal  eh.  sig.  Luigi  Cardinali  &  conoscei*e 
che  il  vero  nome  di  costui  era  Lotorico .  L' iscrizione  attorno 
dice:  »ri  SignumFratris  Lotorici  Ordinis  3/ilicie Beate  Ma-- 
rie»  ♦-• 

f  o6al  108  Come  suol  ec»  Essendo  divisa  Firenze  in  Gu<  Ifi 
e  Ghibellini,  dice  il  Vellutello  che  pi-r  procurarsi  la  pace  e  il 

[a]  An.  ia65.  [6J  Cton.  lili.  7.  e.  iS. 


5oo  INFERNO 

Per  conservar  sua  pace,  e. fummo  tali, 
Gh' ancor  sì  pare  intorno  dal  Gardingo. 

Io  cominciai  :  o  Frati,  i  vostri  mali ...  i  09 

Ma  più  non  dissi;  ch'agli  occhi  mi  corse 
Un ,  crocifisso  in  terra  con  tre  pali , 

Qaando  mi  vide,  tutto  si  distorse,  1 17 

Soffiando  nella  barba  co' sospiri: 

buon  ordine  si  elessero  a  governare  insieme  i  due  prefati  per- 
jonagffì.  Loderingo  di  parte  Ghibellina  9  e  Catalano  di  parte 
Guelfa  (contro  air  inveterato  costume 9  ch'era  di  conferire  la 
podesteria  ad  una  persona  solinga ,  ritirata  cioò  y  intendo  io  , 
•dallo  strepito  de'partiti).  Ma  ottenuto  eh  ebbero  questi  due 
Frati  il  governo  9  di  buoni  ch'erano  creduti,  furono  trovati  pes- 
fiimi  ipocriti;  impei'occhè  corrotti  ambedue  insieme  da'Gneifi 
con  gran  somma  di  danai*! ,  i  Ghibellini  furono  cacciati  dalla 
•città;  e  le  c?ise  degli  liberti ,  capi  de'Ghlbellini ,  ch'erano  nella 
contrada  nominata  del  Gardingo^  furono  tuUe  ai*se  e  rovina- 
te; ciré  ciò  che  vuol  dir  Dante  soggiungendo.-  e  fummo  iali^ 
^CTì*ancor  ec. ,  cioè  ci  comportammo  in  guisa  ,  che  ancor  ne 
i*esta  la  memoria  nell'arse  case  intorno  al  Gardingo*  m-^Gran* 
dingo  j  ha  l*Ang.  E.  R.  -«-• 

109  I  IO  Io  cominciai  /o  Frati j  i  mostri  mali.,,.  ^Mapià 
non  dissi.  Figura  di  reticenza  :  i  vostri  mali  portamenti  han  re- 
cato l'ultimo  csterminio  alla  mia  patria,  voleva  dire,  e  sgridar- 
li» siccome  Ghibellino;  e  non  compatirli,  come  sogna  il  Lan- 
dino, quasi  volesse  soggiungere:  i  vostri  mali  recan  dolore  an* 
cor  a  me.  Ventubi.  —  agli  occhi  mi  corse j  misi  presentò. 

1 1 1  crocifisso  in  terra  con  tre  pali.  Pone  ti*a  gl'ipocriti 
Caifasso,  Anna  e  tutti  quelli  del  Giudaico  sinedrio  >  che  sotto 
maschera  di  zelo  della  divina  legge  sfogai*ono  il  loro  livore  con* 
tro  di  Gesii  Cristo,  a  morte  condannandolo  ;  e  dà  loro  la  stessa 
pena  ch^essi  ingiustamente  sentenziarono  per  Gesii  Cristo.  Co- 
me però  i  chiodi  nel  teiTcno  ni  una  forza  possono  fare,  perciò 
per  la  costoro  crocifissione  fa  adoprati  dei  pali.  •-»>La  bolognese 
edizione  del  Macchia  velli  legge,  Uny  crocifisso  ec.,  e  spicca, 
nnof  che  era  ivi  crocifisso;  interpunzione  da  noi  seguita.  «-• 

I  i3  Sodando  ec.  Sospirando  con  fi'emito  e  sbummento, 
ed  fluitando  perciò  i  poli  dell'irsuta  barba,  che  massime  per 


CANTO  XXIII.  5oi 

E  *I  frate  Catalan,  eh' a  ciò  s'accorse, 
Mi  disse:  quel  confitto,  che  tu  miri,  1 15 

Consigliò  i  Farisei  che  convenia 
Porre  un  uora  per  lo  popolo  a'  martiri  • 
Attraversato  e  nudo  è  per  la  via ,  118 

Come  tu  vedi ,  ed  è  mestier  ch'el  senta 
Qualunque  passa,  com'ei  pesa  pria: 
Ed  a  tal  modo  il  suocero  si  stenta  1 2 1 

non  potersi  aiutare  colle  mani ,  dovevano  estendersi  a  ricoprir^ 
gli  le  labbra .  Cagione  di  tale  fremito  dovrebbe  Dante  intendere 
essere  stato  in  quel  croci6sso  l'accorgimento  ch'esso  Dante  era 
in  anima  e  corpo,  e  che  però  l'essere  da  lui  calpestato  saveb* 
begli  stato  d'assai  maggior  tormento .»-►  Non  consente  ilBia* 
gioii  a  questa  sentenza  del  Lombardi,  e  perchè  Dante  non  po« 
teva  pesar  più  di  qut'H' anime  di  larga  cappa  di  piombo  rico^' 
perte ,  e  perchè  moschinella  anzi  che  no  sarebbe  Tidea  del  Poe- 
ta. Quindi  opina  che  cotal  atto  procedesse  da  rabbiosa  ira  d'es- 
sere in  si  vile  supplizio  da  un  vivo  veduto 9  e  però  l'ipocrisia 
soa  riconosciuta,  e  fatta  anche  fra  i  vivi  palese.  <-« 

1 1 4  ^  Ciò  s* accorse ,  a  tal  mirare  di  Dante  si  accorse  della 
cagione  per  cui  aveva  interrotto  il  parlar  seco. 

116  117  Consigliò  I  Farisei  ec*  Caifasso  intende  ,il  quale 
consigliando  la  morte  di  Cristo,  profetizzò,  senza  accorgei'se- 
ne ,  il  vantaggio  che  avrebb'essa  i-ecato  al  mondo:  expeait  ut 
K*::fs  morialur  homo  prò  populo  [a].  Farisei y  una  setta  dei 
più  antichi  e  considerabili  ti*a  i  Giudei.  Veramente  il  micidiale 
consìglio  non  fu  da  Caifasso  dato  ai  soli  Farisei ,  ma  ad  un  con-* 
cilio,  dice  ivi  il  sacro  testo,  adunato  de' Sacerdoti  e  Farisei; 
Come  però  in  quell'adunamento  dovette  il  maggior  numero  es<^ 
sere  de' Farisei,  pone  perciò  Dante  essi  per  tutti. 

1 1 8  al  I  ao  »-^  ^tirai/ersato  e  nudo  nella  via ,  -  Come  tu 
t^edi  j  è  di  mestier  ch*ei  senta  ce,  bella  e  semplice  variante 
delFAng.  E.  ^.'^  nella  via^  l^gg*?  anche  il  Vat.  ^igc).  <-« 
Ch*el  la  Nidob.,*  cA* e' l'altre  ediz.  ^^  senta  com^ei  pesa^  so- 
stengalo sopra  di  sé  nell'atto  che  da  quello  vicn  calpestato. 

121  il  suocero j  intendi  del  predetto  Caifasso,  cioè  il  saecr- 

[a]  loan.  ii.  v^  '>o. 


5o2  INFERNO 

In  questa  fossa,  e  gli  altri  del  concilio, 
Che  fu  per  li  Giudei  mala  sementa . 
Allor  vidMo  maravigliar  Virgilio  1^4 


dote  Anna ,  in  casa  del  quale  fu  il  catturato  Redentore  prìmie' 
l'amante  condotto  [a] .  -^  si  stenta  per  si  stende  j  chiosa  ilBatì , 
riferito  nel  Vocab.  della  Cr.  sotto  il  verbo  Stentare ,  J.  i.  Sem- 
bra però  che  possa  la  particella  #i  intendersi  aggiunta  a  cotal 
\erbo  per  puro  ornamento;  talmentechè  tanto  vaglia  si  stenta 
quanto  il  semplice  stenta j  detto  invece  di  pena,  come,  per 
cagion  d*  (esempio ,  diciamo  :  egli  si  mangia  e  si  beue  ec.  in- 
vece d'egli  mangia  e  ba^e  ec.  »->  Ma  questo  egli  si  mangia 
e  si  be^e^  dice  il  Biagioli,  non  è  italiano,  a  meno  che  non  si 
aggiunga  altro  complemento  .  Si  può  ben  dire:  egli  si  mangia 
tutto  quello  che  ha;  ma  non  mai:  egli  si  mangia  invece  di 
egli  mangia.  Quindi  spiega  si  stenta  coWk  forma  si  marti ra* 
che  sono  una  stessa  cosa.<<-« 

IT>2  del  concilio  j  dtil  sinedrio  che  condannò  Gesii  Gnsloa 
morte.  —  dal  concilio  j  leggono  T edizioni  diverse  dalla  ^ido- 
beatina  »<♦  e  il  Vnt.  i  1 99.  —  E  il  Biagioli  pretende  che  la  le- 
zione del  la  Nidob.  tradisca  l' intenzione  del  Poeta,  che  disse  d^d 
concilio^  perciocché  da  quel  concilio  trassero  coloro  T infame 
ed  eterna  nominanza  che  suona  di  loro  in  questo  mondo. «-■ 

123  per  li  Giudei  mala  sementa  ,  perchè  fruttò  loro  il  to- 
tale estermlnio  per  Vespasiano  e  Tito. 

1 24  ntarai^igliar  f^irgilio ,  per  non  esser  egli  informato  di 
([uesti  fatti,  siccome  persona  del  paganesimo  ;  o  forse  perchè  ri- 
fletteva aver  «mcor  egli  pronunziata  una  sentenza  poco  dÌ5.M>' 
migliante  nel  libro  2.  dell' Eneide.*  Unum  prò  cunctis  dabitur 
caput ,  Venturi  .  Ma  potrebbe  ben  anche  essersi  cagionata  la  ma- 
raviglia dallo  stesso  nuovo  genere  di  supplizio  e  di  avvilimento 
non  veduto  da  lui  l'altra  nata  che  fu  all'Inferno  Per  trame 
un  spirto  del  cerchio  di  Giuda  [&  j ,  che  fu  prima  della  mor- 
te del  Redentore ,  non  che  di  Cai&s ,  come  apparisce  e  da  quelle 
parole  che  premette  alle  ora  citate ,  Di  poco  era  di  nie  la  car^ 
ne  nuda  [e] ,  e  dal  riuscirgli  nuova  la  rottura  avvenuta  in  que- 
sta bolgia  sesta  pel  ten'emoto  suocesso  nella  morie  di  Cristo. 

[a]  Ioaa.  18.  v.  i3.  \b]  Inf.  e.  ix.  a^.  \c]  Ycdi  I:i  »ota  al  riferilo  vcrsn. 
eh*  è  il  :se.  del  e   ix.  dell'  Inf. 


CANTO  XXIII.  5o3 

Sovra  colui,  ch'era  disteso  in  croce 
Tanto  vilmente  nelF eterno  esilio. 

Poscia  dirizzò  al  Frate  cotal  voce:  ri^j 

Non  vi  dispiaccia,  se  vi  lece,  dirci, 
S'alia  man  destra  giace  alcuna  foce, 

Onde  noi  ambedue  possiamo  uscirci  i3o 

Senza  costringer  degli  angeli  neri, 
Che  vegnan  d'esto  fondo  a  dipartirci. 

Rispose  adunque:  più,  che  tu  non  speri,      i33 
S' appressa  un  sasso ,  che  dalla  gran  cerchia 
Si  muove ,  e  varca  tulli  i  vallon  feri  : 

»-»  A  questa  opinione  del  Lombardi  s'accosta  anche  il  Biagioli, 
che  in  proposito  riporta  la  seguente  sentenza:  Quod  crebro 
iàdeif  non  mi/atur ,  etiam  si  cur  fiaty  nescU,  Quod  ante  non 
yìditf  idy  si  evenerity  ostentum  esse^  censeU^^m 

1 26  Tanto  vilmente^  perche  da  tutti  era  calpestato.  VaitTUBi. 

127  m^ Poscia  drizzò  j  la  Gr.  e  il  Vat.  3199.  44 

128  9-^ se  voi  lece y  ha  TAng.  E.  R.4-« 

1 29  »-^  cUla  man  destra ,  perchè ,  rimontando  a  sinistra  9 
tomeiebbero  indietro .  Biaoioli.  4-«  iUcuna  foce^  alcuna  sboe* 
calura,  alcun  taglio  della  ripa,  onde  uscirne  di  qui  e  prose* 
gnire  il  nosti*o  cammino. 

1 3 1  m-^Senza  scontrar ^  legge  TAng.  E.  ^.<^  degli  angeli 
neri.  Figuralo  modo  di  dire ,  diiamaio  della  parte ,  dice  il 
Cinonio  [a] ,  1/  {/uale  per  esser  un  de'* luoghi  del  parlar  di^ 
fetlivo  9  vi  manca  alcuno ,  alquanto ,  molti ,  parte ,  qualche , 
e  simili*  Qui  segnatamente  vi  manca  alcuno.  Per  angeli  neri 
intendersi  i  demonj  non  è  bisogno  che  si  dica . 

i32  Che  vegnan  ec,  che  vengano  in  compagnia  nostra  per 
gnìdame  fuori  di  questo  fondo. 

i34  i35  un  sasso  j  che  ec;  un  altra  degli  ^co^/i,  che  rici- 
dean  gli  argini  e  i  fossi  [b] .  —  gran  cerchia ,  che  circonda 
tutto  Malebolge  [e] . 

II  più  volte  lodato  autor  degli  jineddoti  y  Verona  1790, 

[a]  Pmriic»  cap.  81.  14.  [b]  lof.  xviii.  v.    i6«  e  9^.  [e]  Ivi  verso  S. 


/;<)4  INFERNO 

forma  del  presente  passo  una  ragione  per  eon fermare  il  parere  ) 
ch'egli  ha  eoi  Daniello  comune,  che  non  attraversi  le  bolge , 
e  faccia  arco  sopra  di  ciascuna  che  un  solo  scoglio  e  non  più, 
e  venga  perciò  a  formare  come  un  ponte  solo  di  parecdii  ar- 
chi :  diversamente  da  quanto  ho  io  inteso  e  spiegato  nel  prin- 
cipio del  canto  xviii.  [a]. 

Quale  contrarietà  però  di  qoi  si  ritragga,  io  non  v^go. 
Là  il  Poeta  ne  descrive  tutta  la  struttura  di  Malebolge,  e  però 
a  farne  capire  ch'erano  molli  gli  scogli  che  le  bolge  attraver- 
savano, ed  al  pozzo  di  mezzo,  quai  l'aggi  di  ruota ,  alla  testa 
della  medesima  si  concentra  vano ,  dice: 

Così  da  imo  della  roccia^cogli  (non  scoglio) 
Movieri  j  che  ricidcan  gli  argini  e  i  fossi 
In/trto  al  pozzo ,  che  i  tronca  e  raccogli  [6]. 
e  qui  Fra  Catalano  altro  non  fa ,  che  al  bisogno  e  petizione  dei 
due  Poeti  indicar  loro  vicino  uno  de' medesimi  scogli.  Glie  ve 
domiu  di  contrasto? 

Anzi  per  questo  dire  Fra  Catalano  a  Virgilio  cbe  nn  sav 
so ,  varcante  tutte  le  bolge,  fosse  a  lui  più  vicino  di  quello  che 
si  ri-edesse,  pai*mi  di  poter  presumere  che  non  fosso  quello  la 
rim.iQente  poraone  dello  scoglio,  su  del  quale  si  erano  i  Poeti 
fin  lì  condotti,  ma  di  un  altro. 

Pongasi  mente .  Appena  passato  avendo  i  Poeti  il  ponte 
sopra  la  quinta  bolgia,  vengono  dal  demonio  Malacoda  avver- 
titi che  il  lì  vicino  ponte  della  seguente  bolgia  ei'a  rovinatole 
con  bugiardamente  far  loro  credere  che  poco  discostfi  eravi  in 
essere  un  altro  ponte ,  ne  vengono ,  con  la  scorta  ad  essi  dau 
d'alcuni  demonj ,  fatti  scostar  di  lì ,  e  camminare  a  sinistra  sul 
dorso  del  rotondo  argine  [e]. 

Dopo  dì  essersi  così  camminando  allontanati ,  succedendo 
tra  i  demonj  che  li  scottavano  baruffa,  fuggono  soli  per  pò* 
ra  i  due  Poeti,  e  da  qae'demonj  dilungandosi,  viepiù  consc- 
guentemente dal  primiero  luogo  si  discostano  [d^. 

Calatisi  i  Poeti ,  per  Sottrarsi  alla  temuta  ira  de*  prefàti  de- 
monj, in  fondo  della  sesta  bolgia,  ivi  continuano  a  cammina- 
re pure  a  man  manca  [e] ,  che  vale  a  dire ,  a  scostarsi  seni* 
pre  più  dal  luogo  primo. 

Or  come  mai ,  dopo  d'essersi  i  Poeti  così  allontanati  dallo 
scoglio,  su  del  quale  avevano  le  prime  cinque  bolge  altra ver- 

frtl  Vedi  il  cap.  x,  di  quegli  Aneddoti  \h]  Inf.  e.  xviii.  tCcseg.  [e]  Inf. 
e.  XXI.  toG.esegg.  [r/Jlaf.  e.  xzii«  i5i.  [e]  Verso  68.de]  presenlf  caoto. 


^ANTO  XXIIL        ^        5o5 

Salvo  eh' a  questo  è  rotto,  e  noi  coperchia:  i36 
Montar  potrete  su  per  la  ruina , 
Che  giace  in  costa ,  e  nel  fondo  soperchia . 

Lo  Duca  stette  un  poco  a  testa  china,  ì3g 

Poi  disse  :  mal  contava  la  bisogna 


salo,  potè  Catalano,  del  medesimo  scoglio  parlando y  con  verità 
dire ,  ch*era  ad  essi  vicino  piii  di  quello  che  non  cn»dessero? 
Piuttosto  moverebbemi  l'altra  ragione,  che  il  medesimo 
autore  aggiunge ,  d'essere  alt  Inferno  un  solo  ingresso ,  una 
sola  porta ,  e  anche  una  via  ec, ,  quando  cioè  fossimo  certi 
che  quelli  scogli  ed  archi  ad  altro  non  servissero  che  per  far 
via  al  potzo  di  mezzo;  e  non  ancora  o  per  puntelli  e  sostegni 
degli  ai^ni)  o  per  salirvi  i  demonj  a  meglio  vedere  ciò  che 
in  fondo  delle  bolge  facciano  i  dannati . 

1  ^&  Salvo  eh' a  questo  è  rotto  y  così  legge  il  nitidissimo  ms, 
in  pci^mcna  della  biblioteca  Corsini ,  segnato  nella  prima  pa- 
gina col  marco  i9.  (7.,  e  cosi  riferisce  il  eh.  autore  degli  jined^ 
iloti  y  ^'crona  1790,  cap.  x.,  essersi  da  antica  mano  emendato 
nel  testo  da  esso  veduto  in  Fii'cnze ,  e  creduta  di  Filippo  Vil- 
lani .  Salvo  che  questo  è  rotto,  leggono  invece  malamente  Tedi- 
zioni  tutte.  —  e  noi  ffoperchia^  e  non  vi  fa  arco  sopra,  come 
lo  fa  sopra  di  tutti  gli  altri  valloni.  •-►  L'una  e  Taltra  lezione 
puote  egualmente  stare ,  per  sentimento  del  sig.Biagioli.  La  no- 
stra lezione  vuol  dire  :  salvo  che  il  sasso  è  rotto  sopra  a  quc 
sto  vallone y  e  però  noi  coperchia:  e  la  comune:  salvo  che 
questo  sasso  è  rotto ,  e  non  coperchia  lo  (  il  vallone  ) .  <-• 

13^  l'iS  ruina  y  maceria.  — •  Che  (  vale  perocché)  in  costa  y 
nella  falda, ^mce,  non  istà  erta,  ma  inclinata,  tanto  ch'è  ac- 
cessibile.-e  nel  fondo  soperchia y  sovrasta,  s'innalza  sopra 
la  superficie  del  fondo;  altra  circostanza  che  agevolava  il  salire. 

1 3i)  Stette  un  poco  a  testa  ialina ,  atto  di  chi  si  scopre  in- 
gannato . 

1 4o  1 4 1  fnal  contava  la  bisogna  vale ,  malamente  evinse'' 
gnava.  -  Colui  che  ec,  il  demonto  Malacoda,  che  aveva  detto 
ai  Poeti.-  (Inf.  xxi.  109.  e  segg.  )• 

E  se  l'andare  avanti  pur  vi  piace  y 
^ndatei'ene  su  per  questa  grotta,* 
Presso  è  un  altro  scoglio y  che  via  face. 


5o6  INFERNO 

Colui  che  i  peccator  di  là  unciaa . 
E  ì  Frate:  io  udì' già  dire  a  Bologna  i4^ 

Del  diavol  vizi  assai ,  tra  i  quali  udì' , 

Ch'egli  è  bugiardo,  e  padre  di  menzogna. 
Appresso  '1  Duca  a  gran  passi  sen  gì,  i4^ 

Turbato  un  poco  d*ira  nel  sembiante: 

Ond'io  dagl'incarcati  mi  parli' 
Dietro  alle  poste  delle  care  piante. 

-  uncina ,  attrappa  coli'  uncino.  »-^  di  qua  uncina ,  il  codice 
Angelico  9  E.  R.  4-c 

14^  143  im/i' apostrofato  per  udiiy  in  ambedue  questi  ver- 
si [a],  ^ a  Bologna y  non  tanto  perchè  sua  patria,  quanto  per- 
chè città  ripiena  d'tiomiui  dotti  in  ogni  materia.  a-^Ma  il  Bia- 
gioii  sospetta  esser  questo  un  frizzo  satirico  dato  dal  Poeta  così 
alla  passata,  e  in  ciò  lo  confermano  i  iv.  58.  e  segg.  del  XTtii. 
passato  canto.  «-« 

147  incarcatiy  delle  gravi  vesti,  intendi. 
'        148  poste y  orme,  pedate.  Vedi  il  Vocab,  della  Cr.  •-►  care 
piante y  parole  piene  di  soave  affezione.  BiÀ6ioLt.4-« 

[a]  Cosi  anehe  Par.  xzci.  3i.,  ed  il  Peirar.  cai»,  is. 


CANTO  XXIV. 


-•♦' 


ARGOMENTO 

Con  molta  difficoltà  esce  Dante  con  la  fida  scorta  del 
suo  Maestro  Virgilio  dalla  sesta  bolgia .  Fede  poi 
che  nella  settima  sono  puniti  i  ladri  da  velenose  e 
pestifere  serpi.  E  tra  questi  ladri  trova  Vanni  Fac- 
ci da  Pistoia^  il  quale  predice  alcuni  mali  della 
città  di  Pistoia,  e  de* suoi  Fiorentini. 


I 


n  quella  parte  del  giovinetto  anno,  i 

Che  'I  Sole  i  crìa  sotto  TAquario  tempra , 


Vago  è  il  princìpio  di  questo  canto ,  e  di  gran  bel- 
lesza  questa  nuova  similitudine ,  tolta  dalla  stessa  natura  ;  e  sem- 
bra questo  uno  di  quei  luoghi  ove  il  Poeta  vuol  mostrarsi  quale 
egli  èj  cioè  ad  ogni  altro  superiore .  II  principale  suo  intendi- 
mento si  è  di  ritraiTe  quanto  fu  grande  il  suo  sbigottimento , 
benché  di  poca  durata,  in  veder  Virgilio  sì  turbato.  Bugioli.^-v 

I  giov»inetto  per  di  fresco  incominciato,  m^giouinett^an" 
noj  con  maggior  armonia  legge  il  Vat.  Sigg,  e  con  esso  la 
3.  rom.  edizione .  <-■ 

a  Che  vale  in  cui.  Vedi  il  Cinonio  [a] .  —  V  Sole  i  crin  , 
i  raggi  j  pe' quali  Apollinc ,  che  da*  poeti  fingesi  essere  il  mede- 
simo Sole ,  appellasi  crinito .  -  sotto  f  Aquario  j  segno  del  zo- 
diaco, col  quale  cammina  il  Sole  per  circa  una  terza  parte  di 
granaio  e  due  terze  parti  di  febbraio .  -  tempra  per  rajfred" 
daj  chiosano  il  Landino  e  il  Daniello  ;  ma  però  per  quello  che 
siegue  a  dirsi,  e  del  ^accorciamento  delle  notti  e  della  corta  du- 

[a]  Partie^^.y 


r)o8  INFERNO 

£  già  le  notti  al  mezzo  di  sen  vanno; 
Quando  la  brina  in  su  la  terra  assempra  4 

L'immagine  di  sua  sorella  bianca, 
Ma  poco  dura  alla  sua  penna  tempra, 

rata  della  brina,  e  molto  più  dello  stupirsi  il  villanello  alla  cn*- 
duta  neve  9  piego  più.  volentieri  ad  ispiegare  col  Vellatello  che 
temperare  significhi  qui  riscaldare  <t  rinforzare  alquanto  ;  ctì- 
me  di  fatto  sotto  l'Aquario,  e  massime  verso  il 'fine,  incntniif- 
cia  il  Sole  ad  invigorire.  E  dal  ferro  che  per  tempera  sì  asv*- 
da  e  fortifica ,  può  intendersi  ben  detto,  che  il  Sole  ancora  tem- 
perii  crini ^  i  raggi,  fortificandoli.  •-►Di  questo  parere  è  pure 
il  Biagioli,  che  qui  trova  dal  Poeta  nostro  imitato  l'oraziano  tem- 
perare^ lib.  3.  ode  19.: . .  ^quis  aquam  temperet  igr$ibus.^< 

3  al  mezzo  dì .  Dì  prendesi  in  questo  luogo  per  lo  spazi» 
di  ^4  ore,  eh*  è  il  di  civile.  Onde  il  dire  che  le  notti  iranno 
al  mezzo  dìj  è  come  a  dire,  che  la  durata  delle  notti  scema, 
e  si  accosta  ad  essere  dì  i!%  ore.  m-¥  a  mezzo  dìy  legge  TAn^. 
E.  R.  -  Vuole  il  Daniello  che  invece  di  al  mezzo  dì  si  debL 
leggere  al  mezzo  e  i  dì;  ma  il  vuole  a  torto,  contro  T auto- 
rità di  tutti  i  testi  ;  poiché  intendendo  per  dì  non  il  giorno  ar- 
ti fiziale,  mail  naturale,  cioò  il  notti  giorno  vo^<^if  jx  5^sy,  iJ 
senso  è  chiarissimo.  Tobelli.  <-• 

4  al  6  Quando  la  brina  assempra  ec.  Come  assemprar  li- 
bri  e  scritture  dissero  gli  antichi  Toscani  invece  di  ricopiar 
libri  e  scritture  (  vedi  il  Vocab.  della  Crusca  al  verbo  ^ssem- 
prare ,  )  e  come  il  ricopiar  libri  e  scritture  fassi  colla  temprata 
penna;  cosi  dicendo  Dante,  che  la  brina  assempra  T immagine 
di  sua  sorella  bianca ,  invece  di  dire ,  che  ricopia  la  brina 
in  se  stessa  l'immagine  della  neve,  a  conseguentemente  espri- 
mcnie  la  poca  durata,  aggiunge  che  la  tempra y  la  temperala- 
ra,  ^oro  dura  alla  sua  penna.  m-¥  Il  colto  lettore  in  questa 
descrizione  del  rigoi*e  dall'aria  e  della  brevità  de* giorni  al  prin- 
cipio dell'anno  non  può  non  vedere  un  supposto  di  troppa 
anticipata  cessazione  di  freddo  e  di  allungamento  di  giorni.  Ci»n- 
vien  dunque  credere  che  Dante  abbia  scelta  per  questa  sua  si- 
militudine la  minor  durata  possibile  dei  rigori  invernali,  e  chr 
molto  ancora  influisca  in  questo  dettaglio  l'aggiunta  di  circa 
sette  giorni  dì  piii  che  face  vasi  all'anno  per  isbaglio  ai  teni{)i 
di  Dante,  cioè  quasi  tre  secoli  prima  della  conx,'%iotte  gregu- 


CANTO    XXIV.  Sog 

Lo  vìUanello,  a  cui  la  roba  manca,  ^ 

Si  leva ,  e  guarda ,  e  vede  la  campagua 
Biancheggiar  tutta,  ond'ei  si  batte  Tanca: 

Ritorna  a  casa,  e  qua  e  là  si  lagna,  io 

Come  1  tapin,  che  non  sa  che  si  faccia; 
Poi  riede,  e  la  speranza  ringavagna, 

riana.  Poggiìli.  -e  /a  sua  penna y  legge  TAng.  E.  R.  —  ^S" 
semprare  per  copiare  j  ritrarre  y  l'usò  anche  il  Davanzati  iiella 
Vita  di  Agrìcola:  l^efftge  della  mente  è  eterna ,  né  con  altra 
materia  od  arte  straniera  Passemprerai  né  manterrai ,  che 
de^tuoi proprj  costumi.  Adunque  cotal  voce  s*ha  a  poter  ado- 
perare ancor  oggi.  -Ciosi  il  Biagiolì,  il  quale  poi  per  penna 
tempra  intende  i  raggi  del  Sole  già  temperati  sotto  TAquarìo  ; 
avendo  pure  il  Petrarca  chiamato ^en/ie  i  capelli,  e  il  Poeta 
nostro  disopra  crini  i  raggi  del  Sole.  —  Un' identica  intei*pre» 
tazione  troviamo  nella  E.  F.  —  II  Torelli,  esposta  T opinione 
del  Veli  atei  lo  e  Daniello,  che  derivano  as  semprare  dal  iran* 
rt5se  assembler  ,  assomigliare ,  e  voglìon  qui  éktiioassempra  p<*r 
a.t semola  in  grazia  della  rima,  soggiunge  :  vjissemprare  vuol 
V  dii-e  ritraf*re ,  copiare ,  €id  exemplar  efftngere ,  coma  ben 
»  nota  la  Crusca,  e  ne  adduce  escmpj  presi  da'Prosatori .  JSoii 
»  è  dunque  vero  che  assempra  signi Gc hi  assomigli  osemOri; 
»  nel  che  s'inganna  anco  il  Volpi  nel  suo  i.  Indice,  né  che 
»  Dante  dicesse  assempra  per  assembra  in  grazia  della  i  ima , 
»  E  qui  nota  quanto  piii  vivamente  ed  elegantemente  dicesse 
M  D^nte  che  la  brina  ritragge  l'immagine  della  neve,  di  quello 
u  che  la  rassomiglia .  Chi  non  intende  la  differenza ,  suo  dau* 

a>  no-  >>  ToRZLLI.  ^-m 

y  la  roba  manca ,  intendi ,  onde  pascere  le  pecorelle  sue  , 
come  dal  seguito  apparisce. 

9  si  batte  ranca y  effetto  d'afflizione  e  rammarico. 

li  ringav^agna.  Il  Vellutello  e  il  Daniello,  e  dietro  ad  essi 
il  Venturi  e  il  Perazzini  [a],  vogliono  che  ringa^^agna  signi- 
fichi ripone  in  cauagna  o  cauagno ,  nomi  che  si  danno  in  Lom-* 
liardia  alla  cesta.  Ma  se  non  altro  ost^icolo,  vi  sarebbe  quello 
di  non  aver  Dante  scritto  rinca^agnay  ma  ringa^fogna* 

[il]  CorrecL  im  Danti i  Comocd, 


$io  INFERNO 

Veggeado  1  moodo  aver  caogiata  faccia  1 3 

In  poco  d'ora 9  e  preade  suo  vincastro , 
£  fuor  le  pecorelle  a  pascer  caccia  : 

Cosi  mi  fece  sbigottir  lo  Mastro,  i6 

Quand'io  gli  vidi  si  turbar  la  fronte, 
E  cosi  tosto  al  mal  giunse  lo  'mpiastro , 

Che  come  noi  venimmo  al  guasto  ponte,         19 

Il  Venturi  ne  l'aggiusta  facilmente  con  dire  che  la  farel- 
la  lombarda,  almeno  di  quel  tempo ^  avesse  gavagno^  non 
«i  dice  però  chi  abbia  fatta  lui  di  ciò  fede. 

Quanto  a  me  dunque  sembra  più  probabile  che  il  PoeU 
nostro ,  a  cagione  della  rima,  usi  qui,  come  in  molti  altri  luo- 
ghi [a] ,  dell'antitesi ,  e  dica  ringayagna  invece  di  ringat^ignu.-^ 
parola,  di  cui  presto  trarrebbesi  significato  dal  noto  inerbo  ag- 
gauigfuitej  che  specificatamente  y ale  pigliare  per  le  gavignef 
pel  collo y  e  generalmente  pigliare  •  Tanto  piti  che,  trovando 
noi  adoperato  dagli  antichi  ingauinato  ad  ugual  senso  di  agga- 
tignato  (vedi  il  Vocabolario  della  Crusca),  possiamo  ragio- 
nevolmente presumere  che  anche  ingai^ignare  e  ringauignare 
si  dicesse,  come  àiceyAsi aggayignare  e  riaggauignare.Y edi 
il  medesimo  Vocabolario.  Onde  per  ringai^agna  intendiamori- 
piglia.  Alcunitesti  (dice  il  Daniello) /lanrio  riguadagna.  s-^Ma, 
con  pace  del  nostro  P.  Lombardi,  l'opinione  de' sopracciuti 
Chiosatori  prende  conforto  da  una  sentenza  del  chiarissimo  si- 
gnor conte  Perticari.  Dice  egli  nella  Proposta  [6j,  che  rin- 
gavagna  è  voce  romanesca.  Perciocché  i  Romagnoli  hanno  il 
termine  gauagno ,  che  vale  canestro ,  o  altro  cestello  da  ser- 
bare ciò  che  si  coglie .  Ed  è  chiaro  che  Dante  da  gayagno  creò 
ingax^agna  e  ringa^agna .  ^hì 

1 3  1 4  '/  mondo  per  la  terra.  -  aver  cangiata  faccia ,  non 
essere  più  bianca.  — vincastro,  ve]*ga,  bacchetta. 

17  turbcur  vale  qui  quanto  turbarsi.  Vedi  il  V^ocabolarìo 
della  Crusca  a  questo  verbo,  %.  a. 

1 8  E  così  tosto  y  come  sparisce  brina  per  Sole,  al  fnal giunse^ 

fai  Come  disse  soso  per  suso^  Inf.  e.  \.  %>.  ^^.^abborrn  wìabbotri  )H*r 
ahberra  ed  abberri ,  Inf.  e.  kkv»  v,  i^\.,  e  c*  xxxi.  v,  a4*  ^^'  l^]  ^'^'*  ^■ 
i'.  11,  fac.  388.  e  4Cg. 


CA^NTO  XXIV.  5ii 

Lo^Duca  a  me  si  volse  eoo  quel  piglio 
Dolce  y  eh'  io  vidi  in  prima  appiè  del  monte . 

Le  braccia  aperse,  dopo  alcun  consiglio         12 
Eletto  seco,  riguardando  prima 
Ben  la  mina ,  e  diedemi  di  piglio . 

£  come  quei  che  adopera  ed  istima,  2 5 

Che  sempre  par  che  'nnanzi  si  proveggia, 
Così ,  levando  me  su  ver  la  cima 

D'un  ronchione ,  avvisava  un'altra  scheggia ,    a 8 

fu  applicato 9 /*im^iArtro,  il  rimedio:  fu  rimediato  ali* afflizio- 
ne  mia.  9^  lo*mpi<istro.  A  Dhnie  solo  è  lecito  usar  voci  trivia- 
li ,  perchè  sa  dar  loro  splendore  e  nobiltà.  Bugioli.  ^hi 

^o  a  I  »-^  con  quel  piglio  -  Dolce ^  vezzoso  modo  del  dire , 
che  si  distende  all' atto  9  all'aspetto,  al  guardo ,  ove  l'animasi 
dimostra.  Biaoioli.  ^hi  piglio  9  aspetto 9  cera ,  è  detto  anche  al- 
trove, '^appiè  del  monte  y  che  tentò  Dante  di  salù'e  prima  d'es* 
sere  condotto  all'lnfeiiio  dall' ivi  apparso  Virgilio  [a]. 

2  a  al  34  Le  braccia  aperse  ^  dopo  ec.  Sinchisi,  di  cui  la 
costruzione:  Riguardando  prima  ben  la  ruina^  dopo  eletto 
seco  alcun  consiglio  9  dopo  fissato  tra  sé  medesimo  alcun  prov- 
vedimento (intendi  circa  il  modo  di  far  salire  Dante  per  quella 
ripa)  le  braccia  aperse  y  e  diedemi  di  piglio  • 

25  che  aalopera  ed  istima  vai  quanto  9  che  mentre  colla 
mani  opera  una  cosaj  cogli  occhi  ne  a  fissa  e  scandaglia 
un  altra  • 

26  Che  ha  forza  di  talmente  che,  "-^par  che  *  nnanzi  y  pai*e 
che  ulteriormente  9  ossia  d'opera  ulteriore^  9  si  proi^eggia^  Co- 
me il  verbo  vedere  ha  veday  vegga  e  veggiay  cosi  il  com- 
posto proi'edere. 

a8  ronchione  y  quasi  rocchioney  rocchio  grande  y  spiega  il 
Vocabolario  della  Cr.;  e  però,  giusta  la  spiegazione  ch'esso 
Vocabolario  dà  alla  voce  rocchio  y  viene  a  significare  lo  stesso 
che  pezzo  grande  di  pietra  y  che  qui,  per  bisogno  di  far  che 
Dante  vi  sì  appoggiasse,  intenderemo  attaccato  allo  scoglio  9  • 
da  esso  prominente. 

[a]  Inf.  e.  1. 1^.  6t .  e  «egg. 


Sia  INFERNO 

Dicendo  :  sovra  quella  poi  t' aggrappa  ; 

Ma  tenta  pria  s  è  tal  eh'  ella  ti  reggia . 
Non  era  via  da  vestito  di  cappa  ,  3i 

Gilè  noi  a  pena,  ei  lieve,  ed  io  sospinto, 

Potevaxn  su  montar  di  chiappa  in  chiappa . 
£  se  non  fosse,  che  da  quel  precinto,  34 

Più  che  dall'  altro ,  era  la  costa  corta , 

La  Nidobeatina  legge  qui:  rocchione;  ma  altrove  ronchio^ 
ne  [a]  e  ronchioso  [Aj.  m^aui^isaua  qui  av^visare  vuol  dire 
notare .  Torelli,  ^-m 

ag  m-^  Credo  che  Dicendo  si  debba  congiungere  con  pai. 
Torelli.  4-« 

30  reggia  per  regga,  come  anticamente  fu  detto  leggio^ 
leggiav^amo  ec.  per  leggo ,  leggevamo  ec.  [e] .  »-♦  Vedi  per 
queste  parole  come  Dante  cava  ultilissimi  insegnamenti  dalle 
minuzie  medesime.  Biagioli.  4-« 

3 1  da  vestito  di  cappa ,  cioè  di  veste  larga  e  talare ,  impic- 
ciaiite  mani  e  piedi,  cne  quivi  bisognava  avere  spediti.  »-»Ma 
vuol  forse  qui  alludere  il  Poeta  alle  pesanti  cappe  degl"  ipo- 
criti, per  ritornare  il  pensier  del  lettore  sopra  a  quei  tristi, 
come  osserva  il  Biagioli»  ^-m 

32  ei  lieve,  cioè  Virgilio,  perocché  mera  ombra  corporea. 
--^ed  io  sospinto,  da  lui,  intendi,  da  Virgilio. 

33  di  chiappa  in  chiappa.  Malamente  il  Vocab.  della  Cr., 
e  dietro  adesso  il  Volpi  e  il  Venturi,  intendono  derivatocAi^ap- 
pa  da  chiappare ,  e  dicono  significar  cosa  comoda  a  ptUersi 
chiappare.  No:  chiappa  significa  qui  lo  stesso  che  rottame^ 
scheggia ,  come  ottimamente  spiegano  il  Landino ,  Vellatello  e 
Daniello;  e  non  da  chiappare  derivare  si  dee,  ma  da  schiap- 
pare ,  che  vuole  appunto  dii*ey^are  in  ischeggie .  Chiappatile 
il  Daniello,  altro  non  è  (propriamente)  che  un  pezzo  dì  pentola, 
scodella,  ovvero  altro  vaso  di  terra  rotto.  Ciappe  in  lombardo 
linguaggio  cotai  pezzi  si  appellano;  e  dal  nissuno  loro  valore 
debbono  essersi  derivati  i  toscani  termini  di  chiappoLore  chiap' 
poleria ,  che  si  danno  a  cose  di  ninno  o  poco  pregio . 

34  35  precinto,  dal  latino  praecingo ,  vale  circondanlc 

[a]  Inf  XXVI.  44*  [^]  1'*^'  xxiv.  6j.  [e]  Prospetto  de' verbi  toscami. 


CANTO   XXIV.  5i3 

Non  so  di  lui,  ma  io  sarei  ben  vinto. 
Ma  perchè  Malebolge  inver  la  porta  ò'j 

Del  bassissimo  pozzo  tutto  pende, 

Lo  sito  di  ciascuna  valle  porta 
Che  Tuna  costa  snrge,  e  Tahra  scende.  ^o 

Noi  pur  venimmo  alfine  in  su  la  punta, 

Onde  l'ultima  pietra  si  scoscende. 
La  lena  m'era  del  polmon  si  munta,  4^ 

aggine.  Il  Landino  e  Vellutello  leggono  procinto  ;  ma  è  tutt'uno. 
\  edi  il  Vocab.  della Gr.  Il  perchè  poi  qiu»l  pi*eointo  o  argine  fos- 
se men  alto  dell  altro  già  passai  n,dirailone'scgn(Mili  due  terzelti. 

ity  Non  so  di  lui  f  di  Virgilio,  che  non  av<»vn  eorpo  vero. 
"Sarei  ben  vinto  ^  sarebbero  certamente  le  mie  foi"ze  state  su- 
perate dall'altezza,  non  avrei  potuto  salire. 

i^7  importa  piT  apertura ^  inihoccntura  ,  —  tutto.,  legj^c  la 
Nidob.;  tutta ^  l'altre  ediz.  «-►e  il  cod.  Ang.  K.  R.  e  il  Vati- 
cano Hipg;^-*  ma  pare  che  tutto  coni«ponda  megh'oal  dello 
innanzi  :  Luogo  è  in  Inferno  detto  ly/aleòolge  f  a] .  —  pende  , 
si  abbassa  nella  cima  degli  argini  di  mano  in  mano  che  al  pozzo 
medio  si  avvicinano. 

Hp  4^  ♦"'^^  P^^'  istruttnra .  —  Puna  costa  surge ,  e  l* altra 
scende j  un  argine  è  alto,  e  T altro  vci^soil  pozzo  è  piìi  basso. 

4  i  Noi  pur  venimtno  alfine.  La  particella  pur  non  è  qui 
che  riempitiva,  e  perciò  non  dee  intendersi  altrimenti  che  se 
fosso  detto:  Noi  finalmente  x^enimmo»  •-►Ma  non  è  tale,  se- 
condo il  Biagioli ,  perchè  il  Poeta  per  questa  voce  vuol  rivol- 
gere la  mente  del  lettore  agi 'impedimenti  da  lui  vinti  del  mon- 
tar su,  e  significa  quanto,  ma/gra/Zo  la  di'ffieoltà  deir ardua 
via*  *-•  su  la  punta ^  su  la  cima  dell'argine.  —  (Ufitie^  la  Ni- 
dob.  ;  in  fine^  Taltiv  edizioni  ■-►  e  il  Vat.  3ic)<).  ♦-• 

4'i  Onde  f ultima  pietra  si  scoscende  vale  lo  stesso  che, 
dalla  qual punta  sta  distaccata  rulthna  delle  sconnesse  pie^ 
tre^  peroccnè  ivi  appunto  termina  colla  rottura  anche  la  salita. 

4-ì  »-^  l»n  lena  ec,  ;  e.spn»ssione  di  molta  foiT.a,  che  dimo- 
Ati'a  quanto  doveva  esseit*  per  la  fatica  lasso  ed  ansante.  Biagio* 
i«i.  4-«  munta  per  esausta  ^  che  mungere  è  pmpriamente  esau* 

[a]  lof.  XVIII.  I. 

roi.  I.  3i 


5i4  INFERNO 

Quando  fui  su,  ch'io  noa  potea  più  okre. 

Anzi  m' assisi  nella  prima  giunta. 
Ornai  convien  che  tu  così  ti  spoltre ,  4^ 

Disse  '1  Maestro;  che,  seggendo  in  piuma, 

In  fama  non  si  vien ,  né  sotto  coltre  ; 
Senza  la  qual  chi  sua  vita  consuma ,  49 

rire .  m^  E  tolta  la  metafora  dalle  mammelle  delle  pecore ,  vao 
che  ec,  le  quali  9  quando  sono  ben  munte  ,sono  spossate  di  umo- 
re e  dì  vigore .  Poggiali  .  -«-s 

46  nella  prima  giunta  vale  al  prinu>  giungere  €he  feci 
colassà . 

4<)  così  ti  spoltre^  per  cotali  prove  e  fatiche  ti  spoltri^  ti 
spoltronisca,  cacci  la  poltroneria. 

47  al  49  che  seggendo  ec.  Costruzione:  eh**  non  si  viene 
in  famay  seggendo  in  piuma  j  né  sotto  coltre:  eh' è  quanta)  a 
dire  :  non  si  rende  ruomo  celebre  coli' ozio  e  colla  pigrizia. 

m-^che  giacendo ,  al  u*  47-  9  l^Rg^  '''^^*  ^*  ^*  ^~*  ^^  tfualj  io* 
tendi ,  fama.  •->  11  eh.  cav.  Strocchi,  scostandosi  dalla  comune 
interpretazione 9  a  questi  versi  chiosa:  ce  Lascio  da  parte  che  è 
»  contrario  ad  ogni  buono  stile ,  e  massi  mamente  a  quello  di  Dan- 
ai te 9  l'usare  due  segni  a  significare  una  sola  idea  (  lo  che  e 
»  vizio  di  pleonasmo);  la  sintassi  grammaticale  nou  concede 
»  che  si  colleghi  la  parola  coltre  alla  parola  piuma ,  quando 
»  fra  l'una  e  Taltra  vi  è  T inciso:  In  fama  non  si  tnen.  Qui 
j»  il  PoeU  accenna  due  fatti  di  premj  proposti  alle  imprese  de- 
»  gli  uomini  vigilanti  ed  energici,  la  celebrità  del  nome  e  la 
j»  grandezza  della  fortuna;  e  quella  dinota  colla  voce  fama^  e 
»  questa  con  la  voce  coltre .  Perlochè  mi  sembra  che  la  costm- 
»  zione  debba  farsi  cosi:  seggendo  in  piuma y  cioè  vivendo 
39  in  ozio  j  non  si  viene  in  fama ,  e  non  si  viene  sotto  colire. 
»  Or  che  sarà  quesU  coltre  degna  di  esseve  proposta  a  pre* 
»  mio  di  gloriose  imprese  al  pain  della  fama^  se  non  quel  pan- 
»  no 9  quel  drappo  di  seta  e  d*  oro,  che  si  porta  sospeso  sopri 
»  le  cose  sacrosante ,  sopi'a  le  sacre  persone  dei  reguanti ,  o  ne 
M  ricopre  i  seggi ,  in  somma  il  baldacchino ,  il  quale  nel  1  ^^o 
»  fu  trovato  dai  Milanesi  per  far  onore  ad  Eugenio  IV.  die  in 
»  quell'anno  tornò  dal  Concilio  di  Lione?  11  senso  di  tali  voci 
M  non  si  debbe  cercare  nei  lessici,  ma  nello  siile  de' poeti»  e 


CANTO    XXIV.  Sin; 

Cotal  vestigio  in  terra  di  sé  lascia , 

Qual  fummo  in  aere,  ed  inacqua  la  schiumi . 

£  però  leva  su,  vinci  T ambascia  5?. 

Con  l'animo  che  vince  ogni  battaglia, 
Se  col  suo  grave  Corpo  non  s' accascia . 

Più  lunga  scala  corivien  che  si  saglia:  5:7 

Non  basta  da  costoro  esser  partilo  r 
Se  tu  m'intendi,  or  fa'si  che  ti  vagh'a. 

•>  nell'indole  della  poesia,  che  di  iiietaforc,  più  che  d'altro, 
»  si  nutrica  e  vive,  m^hi 

3i  Qual  fumino  ee.  Cioè  iiissuii  vestigio,  niss una  memoria 
lascia ,  come  uiun  segno  rimane  in  nria  dello  stato  e  poscia  sva- 
nito fumj,  e  ni  un  segno  nell'acqua  rimane  della  eccitala  e  poi 
disciolta  schiuma .  —  et  in  acqua ,  h^ggelaNidob.  ;  od  in  acqua  y 
r altre  edizioni:  ■-►il  Vat.  Sigg  legge  come  la  Nidob.4-« 

5a  al  54  v-^Il  sentimento  di  questa  sentenza,  che  Dante  so- 
lo poteva  con  si  gran  forza  e  semplicità  dimostrare,  è  vcM*aniente 
degno  che  lo  fermi  ben  chiuso  nella  memoria  cliiuiiqm*  di  bella 
fama  è  vago.BiAoiOLi .  4-«  non  s^accascia.  Proprio  diciamo  una 
cosa  accasciarsi  quando ,  non  potendosi  sostenen*  perla  sua  gr.i- 
vezza ,  si  lascia  andare  a  terra.  Landino.  Vale  adunque  s^ac" 
cascia  quanti)  s'^ abbandona^  Vedi  anche  il  Vocabolario  della 
Crusca,  che  oltre  Ò^ accasciare y  riferisce  detti  ad  ugual  senso 
accasciato  ed  accasciamento . 

53  al  57  Più  lunga  scala  ec;  la  salita  intende  del  Purgato- 
rio, altissimo  monte,  come  nella  seconda  cantica  si  può  ve- 
d(*re.  Non  però  cotale  pilli  lunga  salita  semplicemente  intende 
Ili  Virgilio  di  ricordare  (  che  il  ricordare  maggior  sovrastanti? 
atxa  a  chi  già  per  fatica  è  stanco,  none  incoraggiti,  ma  ab- 
battere vieppiù  ),  ma  bensì  il  Paradiso ,  a  cui  quella  salita  con- 
duce, m^lunsa  scala ^  s'intende  quella  che  dal  cèntro  della 
teiTa  porta  nell'altro  emisfero .  Tohelli  .  «-•  Per  giungere  al  Pa- 
radiso intende  che  Non  basta  da  costoro  cioè  dagP infernali 
sW%rìti,  esser  partilo  ,  ma  bisogna  passane  |x;l  Purgatorio.  E  per- 
ei i  è  finalmente  tace  qui  il  nome  di  Paradiso  (  forse  pt?r  non  lo 
pi*ofanarenel] 'indegno luogo ,)  perciò  termina:  Se  tu  m^ intendi , 
or  fa*  sì  che  ti  uaglia:  fa'  che  tale  antivedenza-ti  sia  ora  di  sti- 
molo e  conforto.»-» Non  creda  il  Lombardi,  dice  il  Biagioli, 


i 


5x6  INFERNO 

Lcvammi  alior,  mostrandomi  fornito  58 

Meglio  di  Iena,  ch'io  non  mi  seDtia; 
E  dissi:  va',  cii'i'son  forte  ed  ardito. 

Su  per  lo  scoglio  prendemmo  la  via^  6i 

Ch'era  ronchioso,  stretto,  e  malagevole, 
Ed  erto  più  assai  che  quel  di  pria . 

Parlando  andava  per  non  parer  fievole:  64 

Onde  una  voce  uscio  dall'altro  fosso, 

che  sia  piuttosto  abbattere  vieppiù  che  incoraggiare  il  ricordar 
maggior  fatica  a  chi  già  per  fatica  è  staaco.  Questo  paote  es- 
ser vero  ad  uà  aaimo  vile^  che  non  abbia  scopo  alcuno  al  suo 
affaticarsi  9  ma  non  già  al  magnanimo y  che  aspetta  al  termiue 
delle  sue  fatiche  ogni  contento  e  riposo  .  Questo  pel  generale. 
Per  quello  che  spetta  al  Poeta  nostro ,  Virgilio  sapeva  bene  che 
non  v'era  per  lui  stimolo  maggiore,  che  il  ricordargli  la  lun- 
ghezza del  cammino  sino  al  luogo  ovedebbe  lasciarlo  con  quella 
Beatrice  che  gli  sarà  guida  nel  Cielo.  Però  gli  soggiunge  che 
non  basta  esser  partito  di  qnel  fondo  ;  e  infine  :  se  tu  m'intendi^ 
or  fa'si  che  rauemii  inteso  ti  uaglia .  ^-m 

58  Leuammit  la  Nidob.  ;  Lei^àmi ,  1*  altre  edizioni ,  •-♦  e  con 
esse  la  3.  romana,  ^-m 

6o  Wh¥  forte  ed  ardito  :  formola  che  comprende  e  la  forza  del 
corpo  e  la  franchezza  dell'animo.  Biagioli.  «^ 

()2  ronchiosoy  disastroso y  pien  di  bernoccoli. 

6'i  erto  più y  pili  montuoso. 

64  65  Parlando  andai^a  ec .  -  Onde  una  voce  ec.  Dee  qui 
la  particella  onde  valer  quanto  laonde  [a]  ;  e  dee  capirsi  cne 
parlando  Dante,  per  non  parer  fievole y  con  voce  gagliarda, 
fosse  perciò  inteso  e  mal  volentieri  conosciuto  colaggiu  da  chi 
aveva  egli  su  nel  mondo  conosciuto .  — rfa/ra/^ro  valerfo/jc- 
guente  al  sesto  già  descritto  fosso  ^  dalla  settima  bolgia;  sen- 
za quell'assoluta  necessità  di  legger  a//o  invece  di  altro ^  che 
vi  pretende  il  eh.  autor  degli  Aneddoti^  contrariamente  a  tutti 
i  testi  manoscritti  e  stampati  [£]. 

[a]  Vedi  Ciuun.  Partic,  i  pa.  6.  [b]  \ed'ìSerietrjàneddoU pY^rousL  1790^ 
II.  V.  pHg.  7. 


CANTO   XXIV.  517 

A  parole  formar  disconvenevole . 
Non  so  che  disse,  ancor  che  sovra  1  dosso     67 

Fossi  dell'arco  già,  che  varca  quivi; 

Ma  chi  parlava,  ad  ira  parca  mosso. 
Io  era  volto  in  giù;  ma  gli  occhi  vivi  70 


66  disconìfenevole  per  non  conveniente  j  non  atta;  quaPè 
di  fiitto  la  voce  di  chi  ad  ira  è  mosso  y  come  nella  terzina  se- 
guente dice  Dante  che  parca  costui.  E  dovrebbe  la  cagione 
deir  ira  essere  stata  il  vedersi  dai  due  viaggiatori  scoperto  ; 
onde  piti  sotto  anche  Vanni  Fucci  dirà  : 

....  più  mi  duol  y  che  tu  m^hai  colto 
Nt-Ala  miseria ,  dov^e  tu  mi  vedi , 
Che  quand^io  fui  de W altra  vita  tolto  [a]. 
Ma  però  non  tanto  Tessei'c  costoro  scoperti  in  quella  miseria 
dovette  esser  loro  cagione  di  duolo  e  d'ira,  quanto  l'esserne 
per  cotale  gastìgo  conosciuti  ladri  ;  che  ladro,  a  differenza  del 
predone  o  rapitore,  è  colui  che  ruba  occultamente,  ed  arrossi- 
sce di  essere  scoperto .  —  *  Sopra  la  parola  disconvenevole  il 
Postili.  Cass. nota  inhabilisy  e  vi  fa  la  seguente  chiosa.- eo  quod 
latrones  cum  sunt  ad  furandum  sibilanty  ut  non  agnoscan^ 
tur  ad  vocem ,  et  eodem  modo  isti  hi  e  sibilane ,  et  ideo  non 
videbatur  vox  opta  ad  loquendum,  Quest'  idea  del  sibilo  che 
sogliono  fare  i  ladri  per  darsi  fra  loro  i  segni  senza  farsi  co- 
noscere, non  è  venuta  in  capo  ad  alcun  altro  Espositore,  co* 
me  riflette  il  P.  Ab.  di  Costanzo ,  e  merita  perciò  di  esser  qui 
rilevata.  Forse  però  si  accosterà  piii  allo  spirito  del  Poeta  il 
cemento  del  cod.  Caet.  che  dice  :  inaepta  et  villana  y  qua  bla* 
sphemahat  Deum  ille  latro,  E.  R. 

67  68  sovra  7  dosso  "deWarco  vale  quanto,  su  la  som^ 
nutà  di  esso ,  ed  in  luogo  che  sovrastava  al  mezzo  della  fossa. 
m-^Foss*io  deWarco  ec,  l'Ang.  E.  R.*-« 

69  -^^  ad  ira  parca  mosso.  Il  cod.  Cass.  legge  ad  ire ,  con 
postilla  sopra,  idestiter.  Se  piii  persuada,  potrà  preferirsi  tal 
lezione .  £•  R. 

70  inolio  in  giày  piegato  per  guardare  abbasso.  —  gli  oc* 
chi  inytj  ancora  viventi  in  carne ,  spiega  bene  il  Vellutello,  pe* 

[a]  Verso  i33.  e  segg. 


5i8  INFERNO 

Non  potean  ire  al  fondò  per  l'oscuro  : 
Perch'io:  Maestro,  Éi'che  tu  arrivi 
Dall'altro  cinghio,  e  dismontiam  lo  muro;     7! 


rocche  questi  per  vedere  abbisognano  di  luce;  e  non  cosi  gii 
ocelli  di  Virgilio  e  delle  altre  ombre,  nelle  quali  non  erano  gli 
occhi  se  non  apparentcmcute ,  e  Tauiina  sola  era  quella  che  fa- 
ceva lutto  di  per  sé,  senza  bisogno  d'organo  corporeo.  Dti;T- 
saineate  intende  questo  passo  il  Landino ,  e  spi^a  in  modo  4i 
far  capire  che  vedesse  piii  Dante  che  Virgilio.  m-¥  et  occhi  v/'.'/. 
M  11  Daniello  parla  degli  occhi  di  Dante,  ch'eran  vivi,  a  ditic- 
a»  renza  di  quelli  di  Virgilio,  eh 'eran  morti .  Il  Landino  intcn- 
»  de  gli  occhi  corporei.  Il  Vellutello  awcora  vit^enti  in  car^ 
M  ne.  Considera  .se  per  occhi  vivi  Dante  intendesse  occhi  ope- 
»  rati  vi,  aventi  la  virtii  visiva.  Inf.  xzix.  y.  54«:  Ed  alior  fu 
j»  la  mia  arista  più  viva .  Tobblli.  »  —  Lombardi ,  dietro  al 
V ellut elio y  spiega  vivi,  cioè  viventi  in  caiiie,  e  s* inganna 
grossamente .  Sono  parole  del  Biagioli,  il  quale  spiega:  »/iVj, 
cioè  ancora  in  l'ita ^  che'poi  toiiia  lo  stesso.  Non  consente  del 
pari  che  T anima  de* morti  vegga  e  faccia  tutto  per  sé,  sema 
bisogno  corpoi*eo  ;  sostenendo  che  Tombi^  trasmettono  le  seii* 
sazionl  all'anima  col  mezzo  degli  oi*gani  sensorj.  Questo  in  so- 
stanza è  un  supporle  a  quest'ora  daimate  in  anima  ed  in  corpo. 
In  tale  ipotesi  non  8ai*ebbei*o  più  ombre,  come  effettivamente 
s^hauno  a  ritenere,  e  come  in  tanti  luoghi  di  questo  poema 
sono  appellate.  I  versi  riportati  dal  sig.  Biagioli  injNro^a  del 
suo  assunto  nulla  provano  contro  la  nostra  ojHnione .  In  e^si 
Dante  cosi  si  esprime,  perchè  quei  dannati,  quantunque  om- 


più  basso  di  quello  ond'erano  partiti  \a\w-^Dair altro  cinghii 
cioè  air  altro  cinghio.  Qui  da  è  segno  del  terzo  caso,  come 
Inf.  XXII.  |/.  I  ig.:  Ciascun  dalV altra  costa  gli  occhi  x^olse  ^ 
cioè  all'altra  costa.  La  ragione  per  cui  Dante  cosi  dice  a  Vir- 
gilio si  è  che  la  costa  più  verso  il  pozzo  era  più  bassa  delibai- 
tra,  onde  si  potea  da  essa  mirare  il  fondo  della  valle  più  da 
pi*esso.  Torelli.  4-«  e  disniontiam  lo  muro.  Quantunque  ne'se- 
guenti  prossimi  versi  espressamente  non  dica  che  di  esser  di- 

[a]  Verso  37    e  scgg. 


CANTO  XXtV.  5i9 

Che,  cornTodo  quinci  e  non  intendo, 
Così  giù  veggio,  e  niente  affiguro. 

Altra  risposta,  disse,  non  ti  rendo,  7G 

Se  non  lo  far;  che  la  dimanda  onesta 
Si  dee  seguir  con  T opera,  tacendo 

Noi  discendemmo  1  ponte  dalla  testa,  ^9 

Ove  s'aggiunge  con  T ottava  ripa, 
E  poi  mi  fu  la  bolgia  manifesta  : 

E  vìdìvi  entro  terribile  stipa  82 

« 

scesi  da  quel  ponte 9  dee  nondimeno  intendersi^  che  anche  Tal- 
ira  parte  della  fatta  petizione,  cioè  di  scendere  il  maro,  ossia 
l'argine,  effetto  avesse  «  Vedi  nel  canto  xxri.  i3.  e  segg.,  che 
dice  di  riascendere  quel  muro ,  ossia  argine ,  per  que'  medesi- 
mi borni  che  avevano  loro  &tto  scala  per  discendere .  »-#>  11 
Poeta,  dice  il  Biagioli,  chiama  muro  la  testa  del  ponte  che  si 
a  Iza  sopra  l'argine  in  cui  si  posa  ;  e  questo  discendono ,  sicccH 
me  al  \f.  79.,  chiaramente  dice  Dante  stesso.  I  Poeti  non  sce- 
sero dunque  l'argine  ;  che  Dante  non  si  sarebbe  lasciato  indur 
sì  facilmente  a  calar  laggiìi  in  mezzo  agli  orribili  serpenti,  onde 
è  la  bol^a  ripiena .  4-« 

75  affguroy  discemo,  disferenzio« 

76  al  78  Se -non  lo  f€iry  se  non  l'opera  stesta  che  tu  chiedi. 
•^seguir  per  eseguire,  »> Piene  di  grazia  sono  le  parole  di 
>^!rgilio  a  Dante ,  vaga  si  è  la  sentenza  che  in  esse  si  racchiu- 
de, e  chi  alla  prima  lettura  non  le  dà  grazioso  luogo  nel  cuore 
e  nella  mente,  ha  ben  da  dolersi  assai  della  natura.  Biàgioli.  ^hi 

81  JE poif  scendendo,  intendi,  per  quell'argine,  mi  fu  la 
bolgia  manifesta. 

8a  stipaj  mucchio,  moltitudine.  Vocab.  della  Cr.  Stipare j 
per  ammucchiare y  disse  nel  vii.  di  questa  cantica,  verso  ig. 
•-►Terribile  e  spaventosa  scena  si. è  questa  che  s'apre  adesso 
agli  occhi  del  lettore;  e  chiunque  non  abbia  di  triplicato  feiTO 
cinto  il  cuore»  non  potrà  non  raccapricciare  piii  d'una  volta. 
Si  puniscono  in  questa  bolgia  i  ladri .  Costretti  a  con^re  con- 
tinuamente in  mezzo  a  orribili  serpenti,  vedremo  i  miseri  spi- 
riti ,  attorti  e  legati  da  quelle  fiere,  ai  loro  feroci  morsi  avvam- 
par subitamente,  ridursi  in  cenere,  rinascei^,  trasmutarsi  iu 


520  INFERNO 

DI  serpenti,  e  di  si  diversa  mena , 
Che  la  iiiemoria  il  sangue  ancor  mi  scipa . 
Più  non  si  vanti  Libia  con  sua  rena  o5 

Chersi ,  chelidrì ,  iaculi  e  farce 
Pi oducer  ceucii  con  anfesibena  ; 


mille  modi,  l'uomo  in  serpente,  il  serpente  in  uomo;  e  tutte 
queste  cose  dipinte  con  sì  forti  colori,  che  più  non  farebbe 
il  vederle,  rincalzando  uu* immagine  .spa\entosa  con  altra  più 
terribile  «incora;  e  quando  T nomo  si  pensa  che  rimmagiuit- 
zif)iie  del  Poeta  sia  munta,  e  affatto  esausta,  lialzasi  con  maiir. 
^ior  impeto,  e  con  forza  tale,  che  ne  rimane  attonito  il  pen- 
siero. fi]AGIOLI.'«-« 

H.'^  mcnn^  sorte,  spezie.  Vedi  il  Vocabolario  della  Crusca. 

H4  /«  memoria  y  la  ricolti» nza ,  il  sangue  ancor  mi  scipa  ^ 
mi  guasta  il  sangue,  me  lo  fa  agghiacciar  di  spavento.  s-^Ef- 
fette)  della  rieoi'dazione  propoi'zionato  all' impression  forte  ri- 
cevuta già  dalTonibile  vista.  Biagioli.  ♦-• 

Hf)  Libia  ^  provincia  deirAtfrica  sommamente  arenosa  e  pie- 
na di  serpenti .  Volpi. 

86  87  Chersi y  chelidrì,  iaculi  e  faree  ^Producer  ceneri^ 
le»gjje  la  Nidob.:  ove  tutte  l'altre  ediz.,  Che  se  chelidrij  ia- 
culi^ o.  faree  ^ Produce^  e  ceneri.  Ma  come  nella  prefezioue 
ho  detto,  i  versi  del  libro  9.  della  Farsaglia  di  Lucano,  de- 
scriventi appunto  le  serpi  delle  libiche  arene ,  decidono  affatto 
in  favor  della  Nidobeatina  : 

Chersydrosy  tractique  via  fìtmanfe  chelydriy 
Et.  seinper  recto  lapsurus  limite  cenchrisi 
Imperocché  scorgesi  quindi  manifestamente  come^  dopo  scritto 
per  errore  Che  se  in  luogo  di  Chersi,,  si  passò,  per  aggiustamento 
della  sintassi,  ascrivere^ro^uc<?in  luogo  di  producer»  Chersv 
dros  (di  cui  per  apocope  forma  Dante  chersi)  setj^ens ,  dio» 
Roh.  Stefano  f  qui  tam  in  aquis ,  quant  in  terris  moratur»  Che- 
lydrus  serpens  non  multiun  aspectu  distansa  Chersjrdtr>  ser* 
pente ,  fumimi  quo  serpit  emittens,  laculus ,  setyentis  genus , 
qui  subii  arbores ,  e  quibus  se  w  maxima  vibrai ,  penelratque 
qnoflcumque  animai  obuium  fecerit  fortuna.  Phewias  (quidam 
/'\i(rtnfphareas)  serpens  est  sulcnm,  dum  yerpitj  cauda  in  ter- 
ra  jaciens ,  et  super  eiuìi  fereainbulans.  Ccnchrisj  genus  ser' 


CANTO  XXIV.  5ai 

Nò  tante  pestilenzie,  né  sì  ree  88 

Mostrò  giammai  con  tutta  T Etiopia, 
Ne  eoo  ciò  che  di  sopra  '1  mar  Rosso  ee. 


pentis  uenenosi —  Ceneri  y  non  centri  j  intese  pnre  scrìtto  il 
Landino»  il  quale,  nel  sao  comento  a  questo  passo ,  i  ceneri y  af- 
ferma, sono  serpi  punteggiate  di  punti  situili  al  granello 
del  miglio ,  dette  così  perchè  cencron  in  greco  significa  nu" 
glio  [a\.  Aphisbaena  vel  jéntphisibaena, sicgue  lo  Stefano, 
genus  scrpentis .  RuelL  in  P^'eterin.  dicit  eatn  i^ocariet  cacci" 
lianiy  nomenque  habere  a  caecitate  [i] .  »-#> Oltre  questi  argo- 
menti ed  crudizioni ,  vedi  in  principio  di  questo  volume  la  pre* 
fazione  del  P  L.,  ed  inoltre  la  posterìor  sua  difesa  dalla  Cen« 
sura  con  tenuta  nvìlh'nlogoj^potogetico  per  A  ppendice  della  Se- 
rie dogli  Aneddoti  Dioìfisinni  riporìBUì  nel  V.  volume  della 
pn'.sente  edizionr.  —  Pretende  il  Biagioli  che  la  lezione  di  Ni- 
dobeato  ajlievolisca  anzi  die  no  la  foga  delT impetuoso  parla- 
re*. Il  Poggiali  sulla  lezione  dal  Lombardi  difesa  non  fa  motto, 
e  TE.  R.  nella  i^.  edizione  segue  la  comune ,  mutando  però  il 
i\V?  del  i'.  88.  in  Non^  coirautorità  del  codice  Angelico.  Pensa 
cosi  cessata  ogni  oscurità,  pi*i*chè  formandosi  un  sol  concetto 
da  amendue  le  terzine,  ne  viene  bellissima  j  a  parer  suo,  e  /u- 
cidissintn  la  lezione. -Se  in  mezzo  a  siffatti  dispareri  un  no- 
stro sentimento  potesse  aver  luogo,  diremmo y  cne  la  lezione 
dal  nosti*o  P.  L.  difesa  con  tanta  bravura  e  calore,  è  foiose  la 
genuina  ;  ma  che  quella  della  H.  rom.  ediz. ,  per  la  parte  della 
semplicità  e  chiarezza,  non  dà  luogo  ad  altra  migliore  fra  tutte 
le  finora  conosciute.  4-«  ^ 

8c)  Mostrò y  intendi,  la  Libia.'» con  tutta  l* Etiopia yaììvtk 
pY>vincia  dell'Affrica,  confinante  colla  Libia  al  settentrione  [e]. 

t)o  CIÒ ,  che  di  sojyrn  7  mar  Rosso  ee ,  dee  intendere  l'Egit- 
to, posto  tra  la  Libia  e  il  mar  Rosso.  —  ee  ed  eiìe  invece  di 
è  sono  (dice  nel  Prospetto  dei  verbi  toscani  il  Pistoiesi  )  voci 
deo|i  antichi,  che  non  volevano  accenti  sul Tulume [</J . Di  que- 
sta ,  che  ben  può  dirsi,  paragoge ^  se  ne  vale  Dante  anche  fuor 
di  rima,  Inf.  xxx.  79.  »-»  lezione  delia  Crusca .^-^ 

\ny  Cosi  nciredlzione  veneta  1568.  [h]  Vedi  il  TesorolaLz  cuiscuna 
cl"llc  <ipict;ate  vuci.  [e]  Baudraud»  Lexic,  gc'ogr.[d]  Sotto  al  verbo 
JiSi  iCf  n.   3. 


5ai  INFERNO 

Tra  questa  cruda  e  iristissima  copia  91 

Correvan  genti  nude  e  spaventate , 
Senza  sperar  pertugio  o  elitropia . 

Con  serpi  le  man  dietro  avean  legate;  iji 

Quelle  fìccavan  per  li  rèo  la  coda 
E  '1  capo ,  ed  eran  dinanzi  aggroppate . 

Ed  ecco  ad  un,  ch'era  da  nostra  proda,  97 

S'avventò  un  serpente,  che  *1  iraiisse 
Là  dove  4  collo  alle  spalle  s'annoda . 

Nò  O  sì  tosto  mai,  né  /  si  scrisse,  100 

Com'ei  s'accese,  ed  arse,  e  cener  tutto 
Convenne  che  cascando  divenisse: 

9 1  copia ,  di  serpenti . 

g'i  m^  Senza  aspettar  y  legge  TAng.  E.  ì{, '^-m  pertugio  ^  dst 
nascondersi.  —  eliiropia^  pietra  preziosa,  che  ha  \irtù  contro 
i  veleni .  Forse  allude  qui  il  Poeta  all'opìnioue  favolosa ,  che 
è  corsa  insieme  con  tanti  altri  errori  popolari  nel  volgo,  aver 
tal  pietra  virtii  di  render  invisibile  chi  addosso  la  porti.  Vedi 
nel  Boccaccio  la  novella  di  Calandrino ,  che  con  tanto  suo  di- 
sagio per  lo  Mugnone  cercolla.  Ventubi. 

94  al  96  Con  serpi  ec.  Dice  Dante  in  questa  terzina  che  lene- 
vano  quei  sciaurati  legate  di  dietro  le  mani  da*  serpi  ;  e  che  per 
meglio  tenergliene  ivi  fisse  ed  immobili ,  le  serpi  medesime  an- 
nodanti le  mani,  per  le  reni  ficcandosi,  traforavano  col  capo 
e  con  la  coda  il  corpo  di  coloro ,  ed  alla  parte  dinanzi  col  me- 
desimo capo  e  coda  facevan  groppo,  m^  Immaginò  il  Poeta  si 
fatto  supplizio  pei  ladri,  a  dimostrare  l'astuzia  e  la  malizia  loro 
d'insinuarsi  nei  chiusi  luoghi,  e  i  gran  mali  che  dalla  loro  ra- 
pacità nascer  sogliono  ^  cose  tutte  che  nella  maligna  natura  dei 
sei*penti  riconoscono  i  savj  .  .  .L'immagine  è  terribile,  e  cor. 
vivi  e  forti  colori  ritratta.  Biagiou.  ^-m 

97  da  nostra  proda y  dalla  parte  vicina  alla  ripa  nostra. 

1 00  Ne  O  sì  tosto  ec. ,  cioè  non  formò  mai  alcuno  scrittori- 
una  delle  più  semplici  lettere  così  prestamente,  comeec.  »-#>Nuo- 
ve  e  proprie  di  Dante  sono  queste  similitudini ,  e  lascia  pur  dir 
chi  vuole  in  contrario.  Biaoioli.  «hi 


CANTO  XXIV.  5x3 

E  poi  che  fu  a  terra  sì  distratto ,  i  o3 

La  cener  si  raccolse ,  e  per  sé  stessa 
In  quel  niedesrao  ritornò  di  batto. 

Cosi  per  li  gran  savj  si  confessa,  io6 

Che  la  fenice  muore,  e  poi  rinasce, 
Quando  al  cinquecentesimo  anno  appressa  : 

Erba  né  biada  in  sua  vita  non  pasce,  109 

Ma  sol  d'iucenso  lagrime  e  d'amomo; 
E  nardo  e  mirra  son  T ultime  fasce. 


io4  9^La  poluerj  legge  l'Ang.  E.  R.  — e  il  Vat.  3i9q.4-c 

io5  di  butto  per  di  botto j  in  un  attimo j  dice  aule  Purg. 

r.  XVII.  4o*  per  antitesi  niente  più  licenziosa  di  quella  che  ado- 

prarono  i  Latini  dicendo  faciunduni  per  faciendumy  olii  per 

il  li  ec 

1 06  B-^  L^espressioneper  li  invece  dì  dai  è  an*elegantissinia 
sostituzione  presa  dai  Latini,  e  praticata  con  buon  successo 
<)a  tutti  i  più  colti  nostri  scrittori.  Poggiali. 4-«j^a(y,  sapienti. 
Rimprovera  il  Venturi  9  che  1  gran  sauj  j  che  dicono  questo 
farfallone  stempiato ,  si  riducono  a  pochi.  Ma  se  sono  più 
d'uno,  come  lo  sono,  lanto  basta;  che  del  fatto  poi  neppure 
il  Poeta  fassi  garante.  — si  confessa  vale  si  asserisce. 

1 09  110  Erba  né  biada  ec.  Non  mangia  erba  né  biada , 
ma  solo  lagrime  d*  incenso  e  d'amomo  •  •-»  Erba  né  biado , 
hanno  i  codd.  Ang.  E.  R.  —  e  il  Vat.  3  ipg.'Mi  È  onesta  vaghis- 
sima descrizione  presa  da  Ovidio  nel  xv.  delle  Metamorfosi  ^ 
♦'.  icft.  e  segg.: 

Una  est  ifuae  reparet^  seque  ipsa  reseminet  ales^ 
Assyrii  phoenica  l'ocantc  nec  frugc  ^ec  herbis^ 
Sed  thuris  lacrimisi  et  succo  viuit  amomi. 
Haee  uhi  quinque  suae  complevit  saecula  uitae 
Ilicis  in  ramis ,  tremulaeque  cacwnine  palmae  1 
Unguibus  et  duro  nidum  sibi  eonstruit  ore^ 
Quo  simul  ac  casias  ,  ac  nardi  lenis  aristasj 
Quassaque  cum  fulva  substran^it  cinnama  mjrrrha  , 
Se  saper  imponiti  ftnitque  in  odoribus  aeuum. 
1 1  ì  E  nardo  e  mirra  son  rultime  fasce ,  dice  Dante ,  in 
luogo  di  dire,  son  rultimo  nido.  s-^Il  nido  ai  pai^^oletti  de'vo- 


5^4  INFERNO 

£  quale  è  quel  che  cade ,  e  non  sa  comò ,      ni 
Per  forza  di  demon  eh' a  terra  il  lira 
O  d'altra  oppilazion  che  lega  Tuorno, 

Quando  sì  leva,  che  'ntoruo  si  mira,  1 15 

Tutto  smarrito  dalla  grande  angoscia , 
Ch'egli  ha  sofferta,  e  guardando  sospira; 

Tal  era  1  peccator  levato  poscia .  1 1 3 

O  giustizia  di  Dio  quanto  è  severa , 
Che  coiai  colpi  per  vendelta  croscia  ! 

Lo  Duca  il  dimandò  poi,  chi  egli  era;  m 

Perch'eì  rispose:  i' piovvi  di  Toscana, 

latilì  fa  Teffettoche  fanno  le  fasce  ai  pargoletti  della  specie  un»- 
na  ;  serve  loro  comedi  veste.  Opportunamente  dunque  Daute, 
e  con  graziosa  poetica  bizzarrìa,  chiama  ultirne  fasce  il  nidotnor' 
tuario  di  questo  moribondo  rimbambito  volatile.  Poooiill^-c 

1 1 2  corno  per  come  j  usato  dagli  anticlii  anche  fuor  di  ri- 
ma. Vedi  il  Vocab.  della  Gr.  »-»>Pare  manifestameute  derivato 
dal  quomodo  dei  Latini .  Poggi  ali.  <-« 

1 1 3  1 1 4  Per  forza  di  demon ,  -  O  d^ altra  oppilazion  ec^ 
quasi  dica,  per  oppilazione  (rìseiTamcnto  delle  vìe  degli  spi- 
riti vitali  )  o  cagionata  dal  demonio ,  come  negli  ossessi  ay- 
uiencj  o  naturalmente  come  in  quelli  che  patiscono  di  nud 
caduco  e  simili  mali* 

1 1 5  al  1 1 7  xt  le\fa ,  la  Nidob.  ;  si  lieva ,  Taltre  ediz.  a-^e  il 
Vat.  3199.  "angoscia  non  si  può  spiegar  meglio  che  per  o/^ 
pressione  9  dal  latino  angOy  che  vuol  dire  opprimere  sino  al 
soffogare.  Poggiali.  -Vigorosi  sono  questi  versi,  ove  tutto  è 
dipinto  con  venta  e  semplicità  mirabile.  Biagioli. -€/e//a,  in- 
vece di  dalla ,  al  i^.  1 16.,  legge  l'Ang.  E.  R.  e  il  VaL  3 199-<«-* 

I  ig m-^potenziaj  ]eggel*Aiig.E.R.,  ei^endettajilY^t.ìii}^- 
-  Il  termine  giustizia  è  preso  qui  come  per  un  attributo  per- 
sonalizzato^ e  però  è  senza  articolo .  Poggiali.  4-« 

120  croscia  -  Crosciare  è  propriamente  il  cadere  della  so- 
bita  e  grossa  pioggia  :  per  metafora  però  vale  scaricare  y  man' 
dar  giù  con  violenza.  Vedi  il  Vocab.  della  Crusca. 

1:12  piovvi  ^er caddi f  piombai* 


CAJVTO  XXIV.  5:^5 

Poco  tempo  è ,  ia  qaesta  gola  fera . 

Vita  bestiai  mi  piacque  e  non  umana,  i  a 4 

Si  come  a  mui  ch'io  fui:  son  Vanni  Pucci 
Bestia  9  e  Pistoia  mi  fu  degna  tana . 

£d  io  al  Duca  :  dilli  che  non  mucci ,  127 

E  dimanda  qual  colpa  quaggiù  '1  pinse, 
Gh'  io  '1  vidi  uom  già  di  sangue  e  di  corrucci . 

1  a3  II»  auesia  gola  fera  j  in  questa  stretta  ed  orrìbile  fossa. 
Fauces  y  ctie  è  lo  stesso  di  gola,  appellarono  simili  stretti  luo- 
ghi anche  i  Latini  [a]. 

1 20  I  !i6  «Si  come  a  mui  ch^io  ec.  Mulo  per  bastardo  di 
certo  messer  Fnccio  de*Lazzerì  j  nobile  Pistoiese,  spiega  il  Lan« 
dìuo  ed  altri.  Il  Vellutello  però  >  non  so  con  quale  ibndamentoy 
ciò  niega,  e  dice  appellarsi  mulo  solamente  per  l'ostinazione 
indomabile  ch'ebbe  nel  mal  oprare.  —  son  f^anni  Fucd-'Be^ 
stia^  pare  (massime  avendo  sik  dello  ulta  bestiai  mi  piacif uè) 
che  possa  essere  Bestia  un  vituperevole  sopi'annome  col  quale 
Dominato  fosse.  Ma  se  non  fu  bestia  anche  di  nomcy  almeno 
coltamente  lo  fu  di  fatti,  e  Gerissima  bestia  ^  imperocché  tradi 
]  ;imico  di  Vanni  della  Nona,  il  quale,  ad  unico  fine  di  occultar 
lui,  ricevuti  aveva  e  nascosti  in  propria  casa  i  preziosi  aiTedi 
rhe  Fucci  aveva  rubali  alla  sacristia  del  duomo  di  Pistoia:  ft-^ll 
Pc^still.  deirAng.  dice:  s*  lacobi  de  Pistorio.  E.  R.4-«  insi- 
nuando poi  esso  Fucci,  a  chi  per  mero  sospetto  di  cotal  furto 
era  detenuto  e  a  mal  partito,  che  facesse  dal  Podestà  cercare 
iu  casa  di  \'anni  della  Nona  ;  e  per  tale  corpo  di  delitto  trovato- 
celi, fu  esso  Vanni  della  Nona  impiccato  [&j.  — e  Pistoia  mi 
fu  degna  tana  :  morde  i  costumi  de'  Pistoiesi  di  que'  tempi  • 
I  aj  al  1*^9  che  non  mucci j  ec.A/ucciare  per  burlare ^  schi" 
^iire  e  fugs^ire ,  trovasi  dagli  anticbi  molto  adoperato  (  vedi  il 
V'ocab.  della  Cr.)  ;  e  può  qui  a  tutti  e  tre  i  significati  in  qual- 
lie  modo  adattarsi.  -<////i  clie  non  mucci j  cioè  dilli  che  non 
lurli,  o  non  ischifi,  o  fugga  la  intenzione  e  curiosità  nostra, 
Uìì  manife.stame  quello  solamente  ch'io  so  già  molto  bene,  sen» 
.-«  cir<*^li  il  dica ,  che  fu  uomo  di  i^ita  bestiale  e  non  umana , 
(•ffìta  di  sangue  e  di  corrucci  (uomo  iracondo  e  sanguinario). 

'■#    Vedi  il  Tesoro  Lai»  di  Roberto  Stefano.  [6]  Vedi  il  Laudino  cJ  ajtri. 


5iG  INFERNO 

E  1  peccator,  che  intese,  non  s^infiase,        ì'^o 
Ma  drizzò  verso  me  Taaiinu  e  'i  volto, 
E  di  trista  vergogna  si  dipinse; 

Poi  disse:  più  mi  duol  ciie  tu  m'iiai  colto    i3  > 
Nella  miseria ,  dove  tu  mi  vedi , 
Che  quand'io  fui  delF  altra  vita  loho. 

Io  non  posso  negar  quel  che  tu  chiedi  :  1 36 

In  giù  son  messo  tanto,  perch'io  fui 
Ladro  alla  sagrestia  de' belli  arredi; 

Ci  dica  il  delitto  per  cui  sta  quaggiù;  che  per  couto  di  qncll» 
ci  ha  detto  y  dovrebbe  essere  di  sopra  tra  i  violenti ,  e  non  qai 
tra  i  ladri.  »-^È  bella  maniera  assai  del  dire  poetico  onesta: 
uom  di  sangue  e  di  cortucci.  -Cosi  il  Biagioli,  al  anale  pero 
sembra  sfuggito  un  passo  della  Merope  del  suo  Aloeri ,  dote 
trovasi  questo  bel  modo  poetico  trapiantato: 

Oh! giovinetto  assmi 

Tu  se*y  per  uomo  di  corrucci  e  s€mgue  [a].  4-« 

1 35  Che  quand'io  ec,  che  quando  morii ,  piii  che  la  morir 
stessa:  e  ciò  pel  rossore d*essere scoperto  ladro  sacrìlego;e  molm 
più  per  la  persuasione  che  compiacessesi  Dante  di  tale  di  lui 
|[astigO}  perchè  Vanni  (riferiscono  i  Comentatori)  ei*a  stato  della 
parte  Nera,  contraria  alla  Bianca,  della  quale  era  Dante allor<i. 
m^  quando  fuiy  legge  TAng.  E.  R.  —  e  il  VaL  3ig9.4-« 

i38  m^alla  sagrestia  de* belli  arredi.  Due  sono  le  inter- 
pretazioni che  dagli  Spositori  si  danno  a  questo  passo:  la  prima, 
che  Vanni  fu  laaro  dei  belli  arredi  alla  sagrestia-^  e  la  se- 
conda, che  Vanni  fu  ladro  alla  sagrestia  detta  dei  belli  arredi. 
Quest'ultima  interpretazione  è  stata ,  non  ha  molto,  sostenuta  e 
difesa  dal  eh.  sig.  Ciampi ,  già  prof,  di  greche  lettere  in  Pisa,  ed 
ora  passato  alla  I.  Università  di  Vilna  ;  ed  eccone  iu  succinto  le 
sueragioiB.  i.^Che  unendo  il  genitivo  di  dipendenza  </e*6i?//<o^ 
redi  col  reggente  sagrestia^  la  sintassi  è  più  semplice,  più  facile. 
e  più  coniorme  allo  stile  di  Dante.  2.^ Che  il  Poeta  non  iiitex* 
di  parlare  di  un  furto  in  genere,  ma  propriamente  di  quello 
commesso  alla  sactnstia  di  s.  Iacopo  di  Pistoia ,  chiamata  il  /e* 

[a]  \tto  II.  Scena  IL 


CANTO   XKIV.  5i7 

£  falsa inen le  già  fu  apposto  altrui .  1 39 

Ma  perchè  di  tal  vista  tu  nou  godi, 
Se  mai  sarai  di  fuor  de' luoghi  bui, 

Apri  gli  orecchi  al  mio  annunzio,  ed  odi:    44^ 
Pistoia  in  pria  di  Neri  si  dimagra  ^ 

soro  ;  e  9  per  cagion  della  rimai  con  para(ì*asi  detta  da  Dante  la 
sagrestia de^belliarredLiPGtìeìnàiyiduò  cosi  quella  sacristia 
ad  oggetto  dì  rendere  il  furto  piìi  odioso.  4*^  ^^  ^^  siculi  do- 
cumenti risulta  che  Vanni  non  portò  via  porzione  veruna  dei 
belli  arredi,  ma  solamente  ne  tentò  il  furto;  percliè  scoperto 
coi  suoi  compagni  y  abbandonò  il  bottino  e  l' impresa ,  e  che 
perciò  l'attentato  non  fu  sufficiente  a  dichiararlo  ladro  de'betiì 
arredi  che  egli  non  portò  seco.  •  Forse  a  taluno  sembrar  po« 
iranno  questi  argomenti  non  abbastanza  forti  per  decidere  la 
quistione.  Comunque  sia,  si  ha  però  motivo  di  credei'e  che 
Dante  non  fosse  bene  informato  di  questo  avvenimento.  E  in- 
fatti,  sopra  ai  versi  127.  al  129.  fa  le  meraviglie  per  tro\aie 
fra  i  ]adÌi*i  questo^Fucci ,  ch'egli  slimava  dannato  nel  cerchio 
dei  violenti.  Una  prova  ulteriore  dell'ignoranza  del  Poeta  ri- 
guardo a  questo  fuito  ne  offerse  il  prelodato  sig.  Ciampi  nella 
/Uia  di  Af,  Cina  da  lui  pubblicata ,  riportando  in  essa  il  det- 
to fatto  assai  variato  colla  scorta  di  sicuri  ed  autentici  docu- 
menti. <4hì 

1 4o  al  14^  Ma  perchè  ec.  Ma  acciocché  tu,  se  mai  esci  di 
f|uesti  oscuri  luoghi,  non  te  ne  vadi  contento  daver  veduto 
me  in  questa  punizione  (pel  motivo  massime  della  sopraddeita 
contrarietà  di  partiti) , laccati  questo,  ch*io  ti  do,  disaggradevole 
annunzio,  m^ dì  fuor  da  i  luoghi,  legge  il  Vat.  3ii^.«^ 

1 4^  Pistoia  in  pria  di  Neri  (cosi  la  Nidob.  ;  e  Negri  i  alti  e 
ediz.  )  si  dimagra .  La  scissione  de'Bianchi  e  Neri  ebbe  in  Pistoia 
stessa  origine  per  disgusto  seguito  tra  due  rami  della  famiglia 
Cancellieri,  che  per  distinzione  erano  appellati  uno  de^Cancel- 
lieri  Bianchi ,  e  l'altro  de'Neiù  \a\  ;  e  di  Pistoia  erasi  trafusa  in 
Firenze.  Predice  adunque  Vanni  che  il  primo  avvenimento  saia 
ili  Pistoia  contrario  a' Neri,  e  che  essa  città  tlimagrerassi ,  per- 
d<*i*à  i  cittadini  suoi  di  parte  Nera .  Di  fatto  iieiranno  1 3o  1  (  un 
anno  dopo  quello  in  cui  finge  Dante  di  aver  fatto  questo  suo 

i^j  Memorie  per  la  viim  di  Dante  $.  io. 


528  INFERNO 

Poi  Firenze  rinnova  genti  e  modi. 
Tragge  Marte  vapor  di  Val  di  Magra,  i4*^ 

Ch'è  di  torbidi  nuvoli  involuto, 

E  con  tempesta  impetuosa  ed  agra 
Sopra  Gatiipo  Picen  ila  combattuto;  148 

Ond'ei  repente  spezzerà  la  nebbia, 

Sì  ch'ogni  Biauco  ne  sarà  feruto; 

viaggio)! Bianchi  di  Pistoia yCoU'aiuto de* Bianchi  di  Fii^enze. 
cacciarono  i  Neri  di  Pistoia  [a]  . 

1 44  ^^^  Firenze  ec.  In  seguito  poi  si  scambieran  le  carte .  e 
i  Bianchi  di  Firenze ,  che  hanno  aiutati  i  Pistoiesi  a  caccian*i 
Neri ,  saranno  essi  cacciali  dalla  propria  patria  dai  Neri  stessi  : 
e  rinnoverà  cosi  Firenze  genti ^  (ammetlendo  i  Neri,  prima 
esuli y  nel  luogo  de' Banchi)  e  modij  intendi ,  di  governare. 

1 45  al  1 5o  Tragge  Marte  uapor  ec.  »-^ Allude  forse  litteral- 
meute  a  un  fenomeno  che  apparve  in  cielo  dalla  parte  di  po- 
nente :  di  che  vedi  Giovanni  Villani  [b] .  4^  Questa  intendo 
dover  essei'e  la  costi*uzione:A£z/*^eyilDio  della  guerra,  o  il  pia- 
neta che  dà  influssi  guerrieri,  ^r<2^^6,  attira,  fa  innalzarsi  di  fnl 
di  Magra ,  valle  cosi  detta  dal  fiume  Magra,  che  scorre  per  es.sa. 
e  divide  la  Toscana  dal  Genovesato,  s/apore^  intendi  fulmineo. 
di  cui  cioè  (assi  il  fulmine,  c/ie,  il  qual  fulmineo  vapoi^e^  sopra 
Campo  Piceno,  luogo  vicino  a  Pistoia ,  involuto  fia  di  (per  da  ] 
torbidi  nuvoli ,  e  combattuto  con  tempesta  impetuosa  ed  agra^ 
con  impetuoso  e  fiero  contrasto  di  \enl\\  onde ,  per  la  qual  rosa. 
eiy  esso  vapore  fulmineo,  spezzerà  la  nebbia,  aprirassi  l'usci* 
ta  per  gì' invol venti  torbidi  nuvoli  [e],  e  scagliei^assi. 

Intendono  tutti  gli  Espositori  accennato  con  questa  alle^^ 
ria  l'uscire  che  nel  i3oi  (anno  immediatamente  posteriore  a 
quello  ìq  cui  finge  Dante  questo  suo  misterioso  viaggio  )  lece  di 
Val  di  Magra  il  Marchese  Marcello  Malaspina  a  porsi  alla  testa 
de'Neri  di  Pistoia ,  e  la  rotta  che  diede  ai  Bianchi  che  in  Campo 
Piceno  lo  attaccaix>no  :  rotta  che  fu  in  gran  pai*te  cagione  che 


[«1  Gio.  Villani  Cron.  lib.  8.  e.  41-  [^^  *^^or.  lib.  8.  cap.  47  [e]  A' '- 
hìa  per  nuvoli,  massime  tu  rima,  non  dee  |iatire  diflicollà,  perorch*' 
in  realtà  sono  la  stessa  cosa  :  lo  stesso  a^grr>^  ito  d'umide  esAlazioui  pf  .aio 
indilo  appellasi  nuvola;  situalo  viciuo  a  terra  dicesì  nebbia. 


CANTO  XXIV.  5:19 

E  detto  Tho  percbè  doler  ten  debbia. 

poco  tempo  dopo  anche  i  Bianchi  di  Firenze  fossero  dai  Neri 
cacciati,  e  che  lo  stesso  Poeta  nostro n' andasse ,  senza  più  tor- 
nare ,  in  esilio Che  di  torbidi  nuuoli ,  leggo  io  colla  Nidob. 

ed  altri  antichi  testi;  l'altre  edizioni  tutte  leggono,  Ch^è  di 
torbidi  nuvoli.  Forse  per  la  difierenza  di  tempo  che  questa 
lezione  induce  tra  T  involgersi  il  vapore  dai  torbidi  nuvoli  e 
Tessere  combattuto  j  è  parso  al  Vellutello  (Tunico,  a  quanto 
\^S^9  cb^  meglio  stendasi  ad  ogni  pej*te  della  prefata  allego- 
rìa) che  pei  torbidi  essi  nui^oli  in  voi  venti  il  i^^i^ore  debbausi 
intendere  i  Neri  militi  stessi  che  il  Marchese  Malaspina  ave- 
va intomo  ed  al  suo  comando,  e  che  1* epiteto  di  torbidi  cor- 
risponda alla  denominazione  di  Neri.  Mail  torbido  della  ini- 
micizia ed  ira,  eh* è  ciò  che  maggiormente  dcH*  qui  valutai*si , 
può  e  ai  Neri  e  ai  Bianchi  ugualmente  corapeiei'e:  e  se  i  tor^ 
bidi  nuuoli  sono  il  medesimo  che  la  dal  fulmine  spezzata  neb^ 
biay  come  di  necessità  esser  lo  debbono  (  se  non  vogliamo  che 
ammetta  Dante  uscirsene  T acceso  fulmineo  vapore  dalli  nu- 
voli senza  squarciarli,  e  dai  nuvoli  passar  a  ferire  una  mal 
supposta  nebbia  ),  solo  i  Bianchi,  nemici  del  Marcliese,  pos- 
sono intendersi  ^e  torbidi  nui^oli  che  il  tratto  da  Val  di  Ma- 
^ra  fulmineo  vapore  involgono.  «-^  ce  II  Lomt>ardi  per  airer  vo- 
»  luto  Ieggei*e,  contro  ogni  ragione,  dietro  la  Nidob.,  Che  di 


parere  pur  si  soscnve  i  L.  Iv.  nella  ó.  eaiz.  ina  in  que- 
sta sentenza  v*ha  per  certo  della  esagerazione  ;  né  8tai*emqui 
a  decidere  se  in  essa  più  la  verità  preponderi  o  T  acrimonia  . 
^ou  si  contrasta  però  alla  comune  lezione  la  preferenza  ;  e  noi 
l'abbiamo  anzi  seguita,  e  perchè  la  conforta  1* autorità  delle 
migliori  edizioni  e  del  Vat.  8199,  e  perchè  rende  uu  senti- 
mento piii  naturale  e  piti  chiaro. ^^ 

lót  ^  detto  l*ho  ec.  Rafferma  Vanni,  il  motivo  di  qucsU 
f<*i*ale  predizione  essei^  quello  di  contristare  a  Dante  il  godi- 
mento, di  cui  è  detto  al  w.  140.  e  s^gg.  •-»  ti  debbia^  l^gg^  '^ 
i*(mI.  Ang.  E.  R.  4Hi 


/  0/.  /.  34 


CANTO    XXV. 


ARGOMENTO 

Dopo  essersi  il  Facci  sdegnato  conerà  Iddio ,  se  ne 
fugge .  Poscia  Dante  vede  Caco  informa  di  Centau- 
ro con  infinita  copia  di  bisce  sulla  groppa  ^  ed  un 
dragone  alle  spalle.  Nel  fine  incontra  tre  spiriti 
fiorentini  j  due  de' quali  innanzi  a  lui  maraviglio' 
samente  si  trasformano. 


A 


I  fiae  delle  sue  parole  il  ladro  i 

Le  mani  alzò  con  ambedue  le  fiche, 
Gridando:  togli,  Dio,  eh' a  te  le  squadro. 

1  al  3  a-^  È  intendimento  del  Poeta  d'avvertir  il  lettore  cbe. 
siccome  la  rabbia  fa  che  le  bestie  sfoghino  il  dolore  che  sen- 
tono contro  la  pietra  o  il  ferro  da  cui  sono  ferite ,  cosi  la  pas- 
sione spinge  l'anima  nostra  a  disfogarla  contro  a  &l$i  ogf^et* 
ti,  se  non  trovi  come  esalarla  altrimenti ....  Tanta  è  lasfi^na- 
tezza  e  la  follia  dell' uomo  in  questa  parte  ,  che  spesso  con  or- 
ribile empietà  rivolgesi  contro  Dio  medesimo.  Cosi  fa  on  io 
aiTabbiato  ed  empio  spirito  coli 'atto  sconcio  e  vituperoso  cbe 
contro  Dio  rivolge.  BiAGioLi.4-«^//(ne  ec.  Dallo  aver  Vanai 
sfogata  come  poteva  l' ira  contro  di  Dante,  passa  a  sfogarsi  an* 
che  contro  Dio.  -^  fiche.  Atto  sconcio  che  si  fa  con  le  dita  in 
dispregio  altrui,  messo  il  dito  grosso  tra  l'indice  e  il  medio- 
Vedi  il  Varchi  nell'  Ercolano  a  carte  i  oo.  Ventubi  .  m-¥  Ntf- 
ra  il  Villani  (  lib.  vi.  cap.  5.  )  che  in  sulla  rocca  di  Carnùgoa- 
no  avea  una  torre  molto  alta,  e  avevavi  suso  due  braccia  di 
marmo,  che  facevan  con  le  mani  le  6che  a  Firenze.  I  Fior^n* 
tini  ebbono  e  fecero  disfare  la  detta  torre  nel  1238.  E.  F.«^ 
togli j  prendi.^- a  te  le  squadro.  U  verbo  sqtuidrare  ha  ira 


CANTO  XXV. 

Da  indi  in  qua  mi  fur  le  serpi  amiche, 
Perdi' una  gli  s'avvolse  allora  ai  collo, 
Come  dicesse:  non  vo'che  più  diche j 

Ed  uq' altra  alle  braccia,  e  rilegollo. 
Ribadendo  sé  stessa  si  dinanzi , 
Che  non  potea  con  esse  dare  un  crollo. 


53i 


gli  altri  significati  quello  di  aegiustar  colla  sifuadra  [a] ,  e 
consegnentemente  lo  stesso  che  quadrare  e  riquadrare ,  A 
te  adunque  le  squeidro  intenderei  io  detto  invece  di  a  te  le 
faccio^  per  riguardo  allo  quadrarsi  che  della  mano  si  fa  men- 
tre si  costrìnge  in  pugno  per  far  le  fiche;  come,  perchè  squa- 
drando il  rotondo  tronco  lassi  la  trave ,  ben  direbbe  il  fabbro 
al  padrone  per  cui  travaglia.*  a  te  squadro  la  trauef  invece 
di  dire  :  a  te  la  faccio  . 

Il  Vocabolario  della  Crusca,  seguito  dal  Volpi  e  dal  Ven- 
turi, reca  questo  passo  di  Dante  in  prova,  che  squadrare  per 
metafora  equivale  al  latino  exponercy  oslendere  ^  aperire  [6J. 
Questo  solo  esempio  però  non  pare  che  sia  decisivo;  tanto  più 
<  he  tra  V  aggiustar  colla  squadragli  primo  e  Ietterai  senso  che 
il  medesimo  Vocab.  assegna  al  \erbo  squadrare)  e  Vesporre^ 
mostrare  ec,  non  vedesi  quell'alcuna  proporzione  che  pur  la 
metafora  richiede.  Onde  per  tirar  esso  verbo  squadrare  a  co- 
tale equivalenza  del  latiuo  exponere  ec,  il  dii*ei  piuttosto  sin* 
cope  del  verbo  sqnadernaf^e,  »-^Ma  il  Biagioli  si  oppone  a  que-^ 
sta  interpretazione,  e  spiega:  le  squadro  j  cioè  le  indirizzo^ 
fé  aggiusto  jlefoate.'*^ 

4  s-^  Da  indi  in  qua  ec.  Dice  che  divenne  amico  alle  ser- 
pi t  che  sono  tanto  in  orrore  all'uomo,  a  dimostrare  quanto  fu 
1  piacer  suo  di  veder  si  punito  quell'empio  della  sua  orribile 
>estemmia.  Biaoiol?.  4^ 

6  non  1^0*,  la  Nidobeatina;  i*  non  uo*^  l'altre  edizioni,  •-►e 
^oirAng.  e  Vat.  8199  la  3.  rom.  edizione;  ed  il  Biagioli  pre- 
i^nde  cne  la  soppressione  del  nome  io  tolga  gran  foi*za  al  coià' 
etto.<4-« 

7  al  9  rilegollo  ,  lo  stesso  qui  che  legollo;  e  intendi  nelle 
traccia  •  —  JRibadendo  sé  stessa  sì  ec, ,  colla  coda  e  col  capo 


/ 


uj  Vetli  il  Vocab. (Iella  Cr.  \b\  Ivi,  {.  >. 


53:1  INFERNO 

Ahi  Pistoia,  Pistoia,  che  non  stanzi  io 

0' iiiceuerarti ,  sì  che  più  non  duri^ 
Poi  che  'n  mal  far  lo  seme  tuo  avanzi? 


forando  ed  alti*a versando  le  reni  (come  ha  detto  nel  precedente 
canto,  f,  94-  e  segg.) ,  e  dall'opposta  parte  capo  e  coda  aggn>p- 
pando  e  stringendo  in  modo»  che  non  poteva  con  esse,  brac- 
cia, dare  un  crollo  j  fare  alcun  movimento.  Ribadire  pro- 
priamente dicesi  del  chiodo ,  quando  nella  parte  opposta  della 
da  esso  traforata  tavola  si  ritorce  nella  punta ,  si  riconficca  o 
ribatte  fa]. 

10  ^hi^  la  Nidobeatina;  jih^  l'altre  edizioni.  -^  che  mfi 
vale  perchè  non,  in  corrispondenza  al  quid  ni  e  cor  non  dei 
Latini  ;  e  peraò  ho  segnato  in  fondo  del  periodo  il  punto  in- 
ten^ogativoy  come  in  tutte  l'edizioni  si  pone  al  t^.  i53  del  can- 
to xxxiri.  di  questa  cantica: 

Perchè  non  siete  voi  dal  mondo  spersi? 
^^^ stanzi  vale  stabilisci j  determini.  11  verbo  stanziare,  r 
senso  di  stabilire y  determinare  e  simili,  da  parecchi anticb 
scrittori  adoprato,  vedilo  nel  Vocabolario  della  Crusca;  ed'v 
vrebbe  essei*e  una  corruttela  dal  latino  statueiv. 

1 1  D" incenerarti y  di  abbruciarti  da  te  stessa  e  ridarti  ifi 
cenere .  Incenerare  per  incenerire  pure  da  molti  altri  osai), 
vedilo  nel  Vocabolario  della  Crusca .  -^  piti  non  duri  vale  f- 
non  continoi'i  ad  essere. 

12  Poi  che  *n  mal  far  lo  seme  tuo  avanzi?  quelli ,  ciot 
che  ti  fondarono,  i  quali  furon  seme,  di  che  tu  nascesti.  E  qu 
molti  espongono  che  i  primi  fondatori  di  Pistoia  fossero  i  st^ 
dati  rimasi  dopo  la  rotta  e  morte  di  Catilina,  i  qualit  come 
scrive  Sallustio ,  furon  pieni  di  sceleratezza ,  ed  empj  contro  h 
lor  patria.  Ma  non  può  procedere,  perchè  appar  chiari mentf 
che  Pistoia  fu  innanzi  alla  congiurazione  di  Catilina.  Onde  d»- 
ix*mo  semplicemente  il  tuo  seme ,  cioè  li  tuoi  antichi.  Ljjniuro. 
Anche  il  Venturi  spiega  istessamente .  Non  ci  dicendo  essi  pe* 
rò,  né  in  realtà  altra  ragione  trovandosi,  per  oui  possano  «:.• 
antichi  Pistoiesi  supporsi  cattivi ,  rispondo  io  e  dico ,  cbe  se  i 
soldati  di  Catilina  non  fondarono  Pistoia,  nell'agro  Pistole-^. 
jH*»*ó  cerlamenle  si  rifuggirono:  reliquos  Catilina  per  ngasUt  ^ 

[n]  V«iii  il  Vocabolario  della  ^riuca. 


CANTO  XXV.  ,533 

Per  tulli  i  cerchi  dello  'nferno  oscuri  i  3 

Spino  non  vidi  in  Dio  tanlo  superilo, 
Non  quel  che  cadde  a  Tebe  giù  de'  muri  « 

El  si  fuggì,  che  non  parlò  più  verbo;  i6 

asperos  nuignis  itineribus  in  agrum  pistoriensem  abducil  (lo 
attesta  Sallustio  [à\)n  e  che  per  tal  fatto  possono  benissimo  i. 
soldati  di  Catilina  computarsi  il  mal  seme  del  perverso  operare 
de' Pistoiesi*  »-►  Vedremo  confermata  questa  opinione  dall'au- 
t/)rità  dell'antichissimo  Postillatore  del  codice  Gassinese ,  illu- 
strato dal  P.  di  Costanzo .  <-«  Il  Daniello  intende  che  le  parole 
Poi  che  'n  mal  far  lo  seme  tuo  acanzi  valgano  quanto,  /?oi- 
rhè  avanzi ,  poiché  migliori ,  e  fai  maggiore  il  tuo  seme  in  mal 
fare<*  e  dello  stesso  intendimento  sembra  essere  anche  il  Vel- 
lutello.  Ma^  se  non  altro,  qui  pure  il  comparativo  vorrebbe  te- 
stimonianza del  supposto  assoluto.»-^ Il  Torelli  riporta  la  chio- 
SA  del  Daniello,  e  soggiunge  :  ce  non  vuol  dir  questo  :  Seme  qui 
»  signi 6ca  origine  y  come  Inf.  in.  io4.e8eg:  seme^Di lorse^ 
»  menza .  Intende  dunque  Dante  che  Pistoia  avanzava  nel  mal- 
»  fare  i  suoi  progenitori,  »♦-• 

i3  m-¥  scurii  I^^Rc  il  Y^i*  3iq(),  e  con  esso  la  3.  edizione 
rom.,  sembrando  all'È.  R*  che  il  verso  sia  più  grazioso >  sfug- 
L^endosi  il  concorso  dei  due  o .  4-« 

i4  ^^in  Dio  vuol  dire  contro  Dio,  latinismo  non  raroiu 
juesto  poema.  Poggiali  e  Torelli. <-« 

i5  Non  quel  ec.  Gapaneo,  che  nell'assedio  di  Tebe  salito 
iulle  mura  della  città,  mentre  sfidava  ed  insultava  Giove,  fu 
la  esso  fulminato  e  dalle  mura  precipitato,  come  Stazio  rac- 
*^nta  [6]  ;  o  ammazzato  e  precipitato  dai  Tebani  stossi ,  come 
Tede  Vegezìo,  che  pone  esso  Gapaneo  l'inventore  dello  sca- 
are  l'assediate  mura:  qui  scalis  nituntur  frequenter  pericu* 
Ulta  sujtinenti  exemplo  Capaneiy  a  quo  primum  haec  sca^ 
arum  oppugnatio  perhibetur  inventai  qui  tanta  ui  occisus 
st  a  Thehanis ,  ut  extinctus  fulmine  diceretur  [e] .  Di  Gap^i- 
co  si  è  detto  anche  nel  canto  xiv.  %».  4^.  e  segg.  «-^  giù  da' 
ìurij  il  cocL  Val.  Btgg.  4-« 
1 6  El  si  fuggì ,  che  ecM ,  cosi  la  Nìdobeatina  ;  ed  Ei  si  f'fgg'j 

r?  Bellum  Catilin,  [h]  Theb,  lib«  ici».  927.  e  segg.  [e]  De  ré  miiil, 
b.  4*  cap.  91. 


534  INFERNO 

Ed  io  vidi  UQ  Centauro  pien  di  rabbia 


r altre  edizioni.  El  ed  elio  sono  accorciamenti  di  quello^  o 
hanno  per  lo  meno  un  equivalente  significato,  come,  tra  gli 
altri  esempj ,  apparisce  dal  dire  dello  stesso  Dante  : 

Noi  erau£un  partiti  già  da  elio  [a] . 
Quel  Vanni  adunque  (vuole  il  Poeta  dire}  che,  stretto  nella 
gola  dal  serpente,  non  proferì  più  parola,  se  ne  fuggi.  P'erbo 
pttr  parola  trovasi  adoperato  da  molt' altri  buoni  scrittori  in 
verso  e  in  prosa.  Vedi  il  Vocabolario  della  Crusca. 

1 7  F'idi  un  Centauro  ec.  Era  costui ,  come  in  seguito  av- 
visa Dante  stesso,  il  famoso  Caco,  che  nel  romano  colle  Aven- 
tino, dopo  altri  molti  ladronecci  ed  assassinamenti,  rubò  final- 
mente quattro  tori  e  quattro  vacche  del  bellissimo  proquoio 
che  aveva  Ercole  tolto  a  Gerlone,  Re  di  Spagna,  e  per  lulia 
passando,  aveva  nelPA ventino  stesso  fermato  a  pascolare  ;  ed 
acciò  dalle  pedate  non  s'accorgesse  Ercole  dove  le  furate  be- 
stie passate  fossero ,  fecele  l'astuto  Caco  camminare  verso  la 
propria  spelonca  a  rovescio,  per  la  coda  strascinandole;  ma 
scopertosi  non  ostante  pel  muggire  delle  medesime  il  forte,  io 
Caco  da  Ercole  ammazzato. 

Per  la  forma  del  corpo  che  Virgilio  attribuisce  a  Cac^ 
di  semihominis  [i]  e  semiferi  [e],  lo  appella  Dante  Centau- 
ro .  Il  Venturi  però ,  intendendo  che  Virgilio  attribuisca  a  G* 
co  questi  epiteti,  non  perchè  Centauro^  ma  perchè  uomo  bt- 
sticdey  passa  a  conchiudere,  che  Dante  qui  fa  la  mitologia 
a  suo  modo . 

Ma,  a  dir  vero,  non  è  Dante  che  si  faccia  la  mitologia  a 
suo  modo ,  ma  il  Venturi  stesso ,  che  stortamente  capisce  ade 
perati  da  Virgilio  gli  epiteti  di  semihominis  e  semiferi  in  sen?^ 
metaforico ,  in  senso  d' uomo  bestiale ,  cioè  di  costumi  bestia!*- 
Semihomo  esemiferus  in  senso  metaforico  valgono,  (e  chin*'! 
vede  ?  )  la  metà  manco  che  non  valgano  inhumanus  e  f eros:  e  - 
me  adunque  Virgilio  a  quel  crudelissimo  Caco ,  nella  caveiì  * 
del  quale 

semperque  recenti 

Caede  tepebat  humus  y  foribusque  afjijca  stipeihii 
Ora  virum  tristi  pemisbant  pallida  tabo  [rfj, 

\n\  Inf.   e.  xxKii.  V.  194.  \hi\Àeneid.  viii.  194.  [e]  Ivi,  i^.  ^67.  [d'  \^^ 
lib.  viit*  i^'i.  e  .*-egg. 


CANTO  XXV.  535 

Venir  gridando:  ov'è,  ov'è  l'acerbo? 

Maremma  non  cred'io  che  tante  n'abbia,       19. 
Quante  bisce  egli  avea  su  per  la  groppa, 
lofino  ove  comincia  nostra  labbia . 

Sopra  le  spalle ,  dietro  dalla  coppa ,  ^2  2 

Con  l'ali  aperte  gli  giaceva  un  draco, 
E  quello  affuoca  qualunque  s' intoppa  • 

non  poteva  attribuire  ciò  che  significa  meno  del  fiero  e  del- 
V  inumano? 

Non  adunque  altrimenti  appellasi  Caco  da  Virgilio  ^emi- 
homo  e  semiferus ,  che  da  Ovidio  [a]  e  da  Lucano  [6]  semi» 
homines  e  semiferi  i  Centauri  stessi  della  Tessaglia .  E  bene 
perciò  Ruèo  al  Virgiliano  semihominis  Caci  ec.  chiosa:  me^ 
dia  parte  fera ,  mediaparte  homo  fuisse  dicitur;  e  nel  senso 
medesimo  intendendo  Virgilio  anche  il  De-la-Cerda,  soltanto 
avvisa:  sed  poeti  ce  ista^  nam  Livius  tantum  pastor  accola 
eius  loci,  nomine  Cacus  >,  ferox  viribus, 

18  acerbo  per  duro,  ostinato,  aspro;  »-»>0|  come  disse 
di  Capaneo,  che  non  può  il  supplizio  maturare, '^^  e  intendi 
cosi  appellato  Vanni  Fucci;  e  perseguisse  Caco  costui  per  pu- 
nirlo delle  fiche  fatte  a  Dio.  m^renir  chiamando^  legge  l'Ang. 
E.  R.  —  e  il  Vat.  3 1 99. 4-« 

19  Maremma,  cioè  i  luoghi  marittimi  di  Toscana,  perchèi 
essendo  volta  al  mezzodì ,  e  conseguentemente  molto  calda  par- 
te, vi  sono  copia  grandissima  di  bisce.  Vellvtei.lo. 

20  groppa,  qui  per  tutta  la  feiìgna  schiena. 

a  I  nostra  labbia  vale  nostra  umana  forma,  nostro  umano 
aspetto,  intendendo  per  aspetto  non  la  sola  faccia,  ma  tutto 
lesteriore  dell'uomo ,  come  più  sotto  v.  j6. ;  e  vuol  dire  che 
Caco  aveva  il  dorso  di  serpi  ricoperto  fin  là  dove  incominciava 
ad  essere  d'umana  forma.  »-»Così  anche  il  cav.  Mobti  [c].<-« 

23  coppa,  per  la  parte  di  dietro  del  capo^  monaca <^  lat. 
occiput.  Volpi. 

23  draco  per  drago ,  serpente  con  piedi  ed  ali.  Antitesi  dal 
latino  in  grazia  della  rima. 

o..\  E  quello  affuoca  ec.  Credo  voglia  Dante  accennare  che 

^/f  ]  Afei,  XII.  ??36.  [h]  Phars.  vi.  386.  [e]  Prop.  voi.  3.  P.  i.  fio.  3. 


536  INFERNO 

Lo  mio  Maestro  disse:  questi  è  Caco ,  i5 

Che  sotto  il  sasso  di  moute  Aveotino 
Di  sangue  fece  spesse  volte  laco . 

Non  va  co' suoi  fratei  per  uu  cammino,  a8 

Per  lo  furar  che  frodolente  ei  fece 
Dei  grande  armento,  ch'egli  ebbe  a  vicino: 

avesse  Caco  queWatros^Ore  ^omens  ignesj  che  gli  aurìbuì* 
ftce  Virgilio  [a],  dal  drago  che  portava  sulle  spalle;  quasi  di* 
ca  :  e  quel  drago  medesimo  è ,  che  i^omitando  fiamme  affuo^ 
coj  abbracia ,  qualunque  in  Cacos^intoppa^  s'imbatte.  e-^Nota 
questa  trasposizione:  E  qualunque  s'* intoppa ^  quello  affuoca. 

ToBELLl.  <-« 

25  questi y  laNidobeatina;  ^ueg'/i ,  Taltre  edizioni.  Ma  dopo 
il  quello  9  appena  pronunziato  nel  precedente  verso  y  sta  qui 
meglio  questi  che  quegli.  «-^Ma  il  Biagìoli ,  seguito  dalPE.  R., 
vuole  che  si  legga  quegli j  accennandosi  un  oggetto  già  lon- 
tano. 4Hi 

26  sotto  il  sasso  di  monte  Assentino  ^  quello  altissimo  chp 
ricopriva  la  cavei*na  di  Caco ,  e  che  Ercole  schiantò  e  gettò  nel 
sottoposto  Tevere.  Vedi  Virgilio  nel  citato  luogo. 

'Aj  lavo  per  lagOj  antitesi  presa  dal  latino  in  grazia  del1« 
rima  anche  dall'Ariosto  [&]. 

a8  Non  va  co^  suoi  fratei  per  un  cammino  vale  quanto , 
cammina  qui  egli  separatamente  dagli  altri  Centauri  y  mes* 
si  dal  Poeta  nel  settimo  cerchio  9  canto  xii.  tf.  5S.,  coi  violenti 
con  tra  il  prossimo. 

29  Per  lo  furar  che  frodolente  ei  fece  y  così  la  Nidobca- 
tina  con  miglior  metro  che  non  Taltre  edizioni,  Per  lo  furar 
frodolente  ch'ei  fece.  «-^Difende  il  Biagioli  questa  lesione,  sii^ 
stenendo  che  l'andamento  del  verso  è  negletto  ad  arte  y  e  con- 
forme air  idea  che  si  esprime.  Come  la  comune  legge  pure  il 
Vat.  3199. 4Hi  Furar  frodolente  y  cioè  con  firode,  e  non  coti 
aperta  violenza,  a  conto  della  quale,  non  qui  tra  i  fraudolenti, 
ma  nel  settimo  cerchio  insieme  coi  Centauri  sarebbe  Caco  statii 
p^)sto  • 

30  a  vicino ,  posto  avverbialmente ,  vale  in  vicinanza.  Ve<lì 

[a]  Aeneid.  vui.  198.  e  seg.  [h\  Fur.  xinu  1 1. 


CANTO  XXV.  537 

Onde  cessar  le  sue  opere  biece  3 1 

Sotto  la  mazza  d*  Ercole ,  che  forse 
Gliene  die' cento,  e  non  senti  le  diece. . 

Mentre  che  sì  parlava,  ed  ei  trascorse,  34 

£  tre  spiriti  venner  sotto  noi , 

il  Vocabolaiìo  della  Cr.  «-^E  formula  degna  di  estere  notata , 
e  di  bella  eleganza.  4hì 

i  1  biece  per  bieche  (antitesi  in  grazia  della  rìma) ,  vale  qui 
storte  ed  inique ,  ed  è  traslazione  dairocchio  alle  azioni. 

33  diece  per  dieci  y  adoperato  da' buoni  scrittori  anche  in 
prosa,  vedilo  nel  Vocabolario  della  Crusca.  Qui  però  si  diece 
che  cento  sopo  numeri  determinali  per  gV  ideterminati ,  e  non 
ad  altro  che  ad  esprimere  che  fini  prima  la  vita  in  Caco ,  che 
in  Ercole  il  furore  della  vendetta . 

34  35  Mentre  che  sìparlai^a^  ed  ei  trascorse^  -'E  tre  ec. 
»-^Qui  ed  non  è  congiunzione,  ma  avverbio,  e  vale  pure, 
parimenti.  Torelli.  «-«  Due  cose  intervennero  mentre  co&i 
Virgilio  parlava:  ed  ««,  cioè  Caco,  trascorse y  corse  oltit*  ap- 
presso a  Vanni  Fucci,  che,  come  dal  k  i8.  apparisce,  andava 
cercando ^  e  in  fondo  della  bolgia  sotto  della  ripa,  su  di  cui 
i  Poeti  stavano ,  vennero  tre  spiriti.  —  *  L  antico  Postili.  Cass« 
chiosa:  idest  D.  BosiuSf  Puccius  de  Florentia^  udgnellus  de 
Brunelleschis  de  Florentia,  Con  ciò  si  verifica  la  congettui^a 
del  bravo  P.  Lombardi  al  u.  68.  qui  appresso,  che  il  vero  no- 
me del  Brunelleschi  fu  di  jégnello  y  e  non  Angelo  o  Agno- 
lo y  come  spiegano  gli  allibi  Spositorì.  E.  R.  a-^Mail  nome  di 
Agnello y  dice  il  sig.  Poggiali,  non  è  stato  mai  molto  in  uso 
in  Toscana,  e  singolarmente  nella  (amiglia  Brunelleschi  il  pre- 
nome di  Angiolo  o  Agnolo  è  stato  sempre  gentilizio.  Per  la 

rìl  cosa,  dietro  anche  all'autorità  del  suo  codice  •  che  al  v^  68. 
segue  legge  Agnol ,  nella  spiegazione  di  questo  canto  sem- 
pre lo  annunzia  per  Angiolo .  —  Agnolo  lo  chiama  pure  il 
Boccaccio,  come  appare  dalla  seguente  chiosa:  aL*uno  fu  M. 
»  Guerruccio,  ovvero  Guercio  de' Cavalcanti  ;  il  secondo  fu 
m  M.  Agnolo  Brunelleschi,  il  terzo  M.  Puccio  Sciancalo  de'Ga- 
M  ligai  ;  e  gli  altri  due ,  V  uno  fu  M.  Buoso  de'  Donati ,  e  Tal- 
»  tro  M.  Cianfa,  ancora  de' Donati.  »  —  Pietro  di  Dante  dice, 
che  Buoso  fu  degli  Abati,  e  che  tutti  cinque  furono  di  Firen- 
ze ,  e  gran  rnbalori .  E.  F.  <-« 


538  INFERNO 

De'quai  uè  io,  né  il  Duca  mio  s'accorse, 
Se  Don  quando  gridar:  chi  siete  voi?  87 

Perchè  nostra  novella  si  ristette , 
Ed  intendemmo  pare  ad  essi  poi . 
Io  noUi  conoscea  ;  ma  ei  seguette  y  4^ 

Come  suol  seguitar  per  alcun  caso, 
Che  r  un  nomare  un  altro  convenette , 
Dicendo  :  Cianfa  dove  fia  rimaso?  à.\ 

38  not^ellaj  il  racconto  »-^che  faceva  a  Dante  Virgilio.  «-< 
.ti  ristette ,  fu  finita . 

39  Ed  intendemmo  ec.  Costruzione:  E  poi  intendemmo 
pure  ad  essi;  che  vale  quanto:  e  d*indi  in  poi  badammo  so- 
lamente a  costoro. 

40  4'  to  nolli  conoscea;  ma  ei seguetiCj  la  Nìdoh.;eàr 
nonli  conoscea;  mae^seguettOy  raltreediz.;»-»«qaesta  lezione, 
che  al  Biagioli  sembra  più  gentile  9  è  avvalorata  dair autorità 
del  YaU  3 199.  «-«  Ei  vi  sta  semplicemente  per  particella  riem- 
pitiva ,  ed  è  accorciamento  itegli .  —  seguette  (avvenne)  per 
seguì ,  in  rima  9  dice  il  Volpi  ;  ma  trovasi  adoperato  anche  fuor 
di  rima  da  ottimi  scrittori  (vedi  Mastrofini ,  Teoria  e  Prospetto 
de* verbi  italiani ,  sotto  il  verbo  Seguire  ^  n.  5.)y  e  dallo  stesso 
Dante,  Par.  ix.  24*  '^seguitar  per  seguire y  accadere. 

4^  Che  r  un  nomar  un  altro  ec,  così  la  Nidob.;  le  altitp 
ediz.,  Che  Pun  nomare  alPaltro  coni^enette:  intendi  9  conven- 
Yie  che  uno  nominasse  l'altro .  Convenette  per  convenne  j  di- 
cono il  Volpi  e  il  Venturi  adoperato  per  cagion  della  rima. 
Vedi  però  Topinione  del  Cinonio  j  riferita  nel  canto  it.  di  que- 
sta cantica  al  v,  4i* 

-  4'^  Cianfa.  Costui  dicono  essere  stato  della  famiglia  de*Do- 
nati  di  Firenze.  VeIìLutello.  Di  questo  e  degli  altri  illustri  Fio- 
rentini ,  che  prosieguo  Dante  a  nominare  o  accennare  nel  resto 
del  presente  canto  y  a  noi  non  pare  da  credere ,  dice  il  mede- 
simo Vellutello;  che  essendo  costoro  stati  nella  repubblica 
loro  di  grande  autorità ,  e  molto  reputati  (come  nel  seguente 
canto  dimostra  il  Poeta ,  e  tutti  gli  Espositori  della  presente 
opera  affermano)  j  che  essi  avessero  commesso  furti  portico' 
lari  nelle  private  coscy  come  soglion  comunemente  far  i  ladri 
di  vii  condizione y  astretti  molte  volte  da  necessità;  ma  che 


CANTO  XXV.  539 

Perch'io,  acciocché  '1  Duca  stesse  attento, 
Mi  posi  '1  dito  su  dal  mento  ai  naso . 
Se  tu  se' or,  Lettore,  a  creder  lento  4^ 

Ciò  ch'io'dirò,  non  sarà  maraviglia, 
Che  io ,  che  '1  vidi ,  appena  il  mi  consento  • 

attendo  nelle  mani  il  governo  della  repubblica  j  allesserò  le 
pubbliche  entrate  di  quella  convertite  nel  privato  lor  uso  ; 
come  par  che  per  transito  tocchi  in  quella  sua  digressione 
che  fa  nel  ti.  canto  del  Purg.  m.  l'i'i.  e segg.j  ove  parlando 
ad  essa  repubblica  dice  e 

Molti  rifiutan  lo  comune  incarco; 
Ma  7  popol  tuo  sollecito  risponde 
Senza  chiamare ,  e  grida  :  io  mi  sobbarco . 
dove  fia  rimaso?  Vuole  s'intenda  che  fosse  agli  occhi  di  quei 
tre  spirili  sparito  e  trasfonnato  nel  serpente  di  sei  piedi,  che 
ora  dirà  avviticchiarsi  ed  immedesimarsi  con  lignei  Brunelle* 
schi.  Aggiunti  cosi  ai  tre  spiriti  nella  propria  forma  veduti, 
V.  35.,  alti'i  due  sotto  forma  di  serpenti,  cioè  Cianfa  Donali  e 
Fi'ancesco  Guercio  Cavalcante  (  il  nero  serpentello ,  che  in  ap- 
pi*esso  verrà  a  trasformare  Buoso  degli  Abati),  si  hanno  i  cin- 
que Fiorentini  che  nel  v.  4*  ^^^  canto  seguente  dice  Dante  di 
aver  in  questa  bolgia  trovati. 

G)tale  trasformazione  nei  fraudolenti  ladri  dovrebbe  dal 
Poeta  volersi  corrispondentemente  a  quel  trasformarsi ,  ossia 
travestirsi  e  mascherarsi  che  fanno  essi  per  non  essere  cono- 
sciuti; e  di  trasformarli  in  serpenti  piti  che  in  altro,  dovrebbe 
aver  scelto  allusivamente  all'astuzia  che  i  medesimi  adoperano, 
ed  a  quella  astutezza  che  al  serpente  attribuisce  la  sacra  Gene- 
si ,  maggiore  sopra  gli  animali  tutti.  Gen.  3. 

45  Mi  vosi  7  dito  ec.  Quésto  è  cenno ,  pel  quale  dimostria- 
mo di  volere  che  si  faccia  silenzio,  perchè  tra  il  mento  ed  il 
naso  è  la  bocca,  la  quale  stringendosi  fa  silenzio.  Onde  Giu- 
venale  disse:  Digito  compesce labellum .  Laudino.  a-^E  bello 
questo  linguaggio  della  natura,  ed  opportuno  assai  in  questo 
luogo,  perchè  se  avesse  Dante  parlato,  quegli  spiriti ,  inteso  il 
parlar  toscano,  sarebbersi  dileguati.  Biagioli.4-« 

46  al  48  •-►Cosi  prepara  il  lettore  alla  meravigliosa  tra- 
sformazione che  è  per  dire:  appena  il  mi  consento  è  v.^go 
modo  del  dir  toscano.  Biagioli  .  <hi 


54o  INFERNO 

Come  io  tenea  levate  in  lor  le  ciglia ,  49 

£d  un  serpente  con  sei  pie  si  lancia 
Dinanzi  ali' uno ^  e  tutto  a  lai  s'appiglia. 

Coi  pie  di  mezzo  gli  avvinse  la  pancia,  5i 

£  con  gli  anterior  le  braccia  prese: 
Poi  gli  addentò  e  Y  una  e  V  altra  guancia . 

Gli  diretani  alle  cosce  distese,  55 

'    E  misegli  la  coda  tr'amendue, 
E  dietro  per  le  ren  su  la  ritese. 

Ellera  abbarbicata  mai  non  fue  58 

Ad  alber  sì ,  come  T  orribil  fiera 
Per  r altrui  membra  avviticchiò  le  sue: 

Poi  s'appiccar,  come  di  calda  cera  6i 

Fossero  stati ,  e  mischiar  lor  colore  ; 
Né  r  un ,  né  V  altro  già  parca  quel  eh'  era . 


49  5  0  Come  per  mentre  spiega ,  adducendo  questo  ed  altri 
esempi ,  il  Cinonio  y  Par  tic,  56.  9.  -  levate  in  lor  le  ciglia  vale 
spalancati  gli  occhi  verso  di  loro .  »-^Gosi  anche  il  Torelli.  «-« 
Ed  un  serpente .  Ed  ha  qui  forza  di  ecco.  V. Gin.  Pari.  1 00.  35. 

52  al  5y  •-►Vuole  il  Poeta  toccare  il  costume  ch'hamio  i 
ladri ,  e  se  ne  son  veduti  famosi  esempi  nel  mondo  9  di  darsi 
addosso  Tun  l'altro,  nonostante  l'alleanza  loro  nel  rubare.  Bi an- 
gioli, ^-«i  Gli  diretani y  intendi  piedi  j  i  due  piedi  di  dietro. 
m-¥  tra^  mendue  al  v*  56  legge  il  Vat.  3i99.-4-«i 

58  al  60  »-^Di  gran  forza  piena  si  è  questa  similitudine, 
e  acconcia  assai  al  suggctto.  Biagioli  ; *e  telicemente  la  trovia- 
mo noi  imitata  dalPÀriosto  nel  e.  vii.  st.  29.  del  Furioso: 
Non  così  strettamente  edera  preme 

Pianta,  ove  intorno  abbarbicata  scabbia .^^ 

6 1  s^appiccan le  membra  j  intendi ,  dell'uno  e  dell'ai tro  s'in- 
corporarono, si  penetrarono. -/4)3/?iccare,  al  senso  di  penetrare^ 
adoperalo  anche  il  Varchi  nella  traduzione  dei  Beneflzj  di  Sene- 
ca. Vedi  il  Vocab.  della  Cr.  sotto  il  verbo  Jlppiccarey  J.  5. 

62  63  mischiar  lor  colore,  effetto  della  compenetrazione  ed 


CANTO  XXV.  54i 

Come  procede  innanzi  dalF ardore,  64 

Per  lo  papiro  suso  un  color  bruno, 
Che  non  è  nero  ancora ,  e  'i  bianco  muore . 

incorporamento.  —  Ne  l*un ,  né  l'altro ,  intendi ,  colore  ;  che 
dello  sparimento  delle  figure  dirà  in  appresso. 

64  al  66  Come  procede  ec.  Costruzione:  Come  suso  per 
lo  papiro  innanzi  daW  ardore  procede  un  color  bruno ,  che 
il  bianco  muore ,  e  non  è  ancor  nero .  «-«  che  sta  qui  in  cam- 
bio di  perciocché  j  o  conciosiachò.'^  papiro.  Ilpapir  (scri- 
ve Pier  Crescenzio  )  .fi  dice  quasi  nutrimento  del  fuoco  ;  <m^ 
perocché  seccato  é  molto  acconcio  a  nutrimento  del  fuoco 
nelle  lucerne  e  nelle  lampane^  ed  è  un*  erba  y  la  quale  è 
dalla  parte  di  fuori  motto  piana ,  ed  ha  la  sua  midolla  mol" 
io  bianca y  spugnosa  e  porosa  »  la  quale  suga  molto  rumi" 
ditày  e  nasce  in  luoghi  acquosi  ^  e  dicesi  volgarmente  giun- 
co appo  noi.  Seccasi  e  scorticasi  in  modo 9  che  rimane  un 
poco  di  corteccia  daWun  latOy  acciocché  la  midolla  si  so- 
s tenga  ,•  e  quanto  ha  meno  della  corteccia  ,  tanto  arde  me^ 
fflioy  e  pili  chiaro  nella  lampana^  e  più  agevolmente  s^ac^ 
cende  [a\.  Pier  Crescenzio  visse  a  Dante  contemporaneo  [6J ; 
e  però,  parlando  di  cotal  papiro  come  di  materia  solita  ad  ai"- 
dersi  nelle  lucerne  e  lampade  invece  della  bambagia ,  come 
afferma  Landino  pure  che  una  volta  si  usasse,  non  può  meglio 
Dante  qui  intendersi  d'altro  papiro 9  che  del  medesimo;  e  ma** 
la  mente  il  Venturi  se  la  prende  contro  del  Landino  e  del  Vel- 
) niello ,  che  appunta  così  spiegano  ;  e  vuole  invece  intesa  la  car- 
ta, la  quale,  oltreché  non  avrebbe  altro  esempio  di  essere  da 
italiano  scrittore  appellata ^a^iro  (almen  certo  nel  Vocabolario 
della  Crusca  non  se  ne  reca  altro),  non  è  poi  essa  sempre  hìhikm 
ca,  come  qui  Dante  suppone  essere  il  papiix);  e  non  ardendo 
sotto  gli  occhi  di  tutti  cosi  comunemente ,  come  accenna  Cr«« 
scenzio  che  il  papiro  ardesse ,  verrebbe  a  far  scemare  di  pregio 
il  paragone  poco  meno  che  se  in  luogo  del  papiro  avesse  Dante 
posta  la  tela,  che  pure,  quando  è  bianca,  abbruciando  opera 
Io  stesso  cangiamento  di  colore.  —  Innanzi  dair ardore ^pro^ 
cede  un  color  bruno.  La  particella  dal  sta  qui  invece  di  al^ 

•  <i|  AgHcoU.  lib.  6.  cap.  fi*».  Jb]  Basta  por  m<*nte  6h*eg1i  dtdìca  la  sim 
Opera  a  Carlo  11.  Re  di  Sicilia,  e  che  mori  qursto  Re,  come,  tr;i  j^li 
altri ,  alTenna  Petavio  (  J(al,  (emp.  Iih.  y,  cap.  S.),  neiranuo  i3oy. 


54a  INFERNO 

Gii  altri  due  riguardavano^  e  ciascuuo  67 

Gridava:  o  me,  Agnel,  come  ti  muti! 
Vedi  che  già  non  se'  né  due  uè  uno . 

Già  eran  li  due  capi  un  divenuti,  70 

Quando  n'apparver  due  ligure  miste 

come  trovasi  da  adoperata  per  a  ;  vedi  il  Cinonio  [a]  ;  ed  è  il 
senso ,  che  le  parti  del  papiro  vicine  alla  fianuna ,  prìnui  di  an- 
ch'esse  accendersi  y  diventan  brune  di  mano  in  mano.  •-»-  Che 
non  è  uivo ,  al  v.  65. ,  legge  l'Ang.  E.  R.  —  Qualsivoglia  ita- 
liano che  legga  anche  per  la  ventesima  volta  queste  parole ,  lo 
vedi  far  maraviglie  nuove ,  e  piti  i  piii  dotti  ;  di  tanta  bellez- 
za e  novità  sparse  sono.  Biagioli.  *-m 

67  Gli  altri  due  riguardav^ano ,  ec.  Acciò  mai  non  sembri 
ad  alcuno  il  presente  verso  difettoso,  ricordisi  che  due  per  en- 
tro il  verso  suole  valutarsi  una  sola  sillaba,  e  che  può  riguar^ 
davano  pronunziarsi  con  ispezzatura,  com'è  detto,  Inf.vi.  i^-» 
della  parola  caninamente.  •-►Ma  bisogna  qui  convenircol  Bia- 
gioli, che  siffatta  spezzatura  sarebbe  difforme  e  non  necessaria , 
non  abbisognando  questo  verso  di  alcuna  singolare  armonia.  <«-« 

68  o  me  vai  quanto  oimè  :  vedi  il  Vocabolario  della  Cru- 
sca. —  Agnely  "per  Angelo  o  Agnolo  j  spiegano  detto  alcuni 
Sposi  tori ,  e  intendono  d'Angelo  Brunelleschi ,  cittadino  fiorenti- 
no. Ma  non  si  trovando  per  Angelo  detto  mai  Agnelo ,  ma  solo 
Agnolo ,  né  avendo  Agncl  fatto  di  Angelo  V  accento  snll'  ul- 
tima sillaba,  come  il  metro  qui  richiede,  io  temo  o  che  non 
parli  Dante  del  Brunelleschi,  ovvero  che  il  Brunelleschi  avesse 
nome  Agnello  [b] ,  e  non  Angelo .  •-►  Il  cod.  Ang.  legge  An- 
gelo ,  e  il  Postillatore  yiAggiunf^e  j  de  Brimalischis.  E.  R. -Ve- 
di la  nota  aggiunta  al  u.  iù.  di  questo  canto. 4hi 

69  né  due  né  uno 9  perocché  erano  un  misto  di  due,  come 
appresso  dichiara. 

70  Già  eran  ec.  Quasi  dica:  già,  per  continuare  del  pre- 
detto appiccamento,  ossia  penetrazione  scambievole,  ciano  i 
due  capi  del  serpente  e  dell*  uomo  divenuti  un  sol  capo. 

71  72  Quando  ec.  Costruzione.-  Quando  in  una  faccia , 

'a]  Parlic.  70.  3.  [b]  E  Agnello  il  oome  di  un  antico  santo  abate  Ki|k>- 
loiano  [  xfiiVì  il  JUartirologio  Romano,  1 4  dicembre  ),  e  molli  di  quel 
restio  a»i  ap|iclÌiioo con  tal  uoinc  anche  a' dì  nostri. 


CANTO  XXV.  543 

lu  una  faccia,  ov'eraa  due  ))erduti\ 
Fersi  le  braccia  due  dì  quattro  liste;  7I 

Le  cosce  con  le  gambe ,  il  ventre,  e  1  casso 

Divenner  membra  che  non  fur  mai  viste. 
Ogni  primaio  aspetto  ivi  era  casso:  7G 

Due  e  nessun  l'immagine  perversa 

Parca,  e  tal  sen  già  con  lento  passo . 
Come  il  ramarro,  sotto  la  gran  fersa  79 

Ne'  di  canicular,  cangiando  siepe, 

Folgore  par,  se  la  via  attraversa; 


OV0  (per  nella  quale)  eran  due  perduti  (yale  quanto  confu^ 
si)j  n^apparver  miste  due  figure  ^  cioè  d*uoino  e  di  sei'pente 
insieme . 

73  di  quattro  liste.  Lista  propriamente  significa  un  lungo  e 
stretto  pezzo  di  checchessia  (vedi  il  Vocabolario  della  Crusca); 
ma  qui  viene  trasferito  a  significare  le  due  braccia  dell'uomo 
e  i  due  piedi  anteriori  del  serpente.  •-►La  costruzione  di  que- 
sto verso ,  secondo  il  Biagioli  y  è  questa  :  Le  braccia ,  di  quat" 
tro  liste  che  eran  prima  ^  si  fecero  ^diventarono)  due  sole 
liste .  4-« 

74  casso  j  sustantivo.  Laparte  concava  del  corpo  circon" 
data  dalle  costole  y  lat.  capsum.  Arnob*  Cosi  il  Vocabolario 
della  Crusca. 

76  casso  y  aggettivo,  vale  cancellato  j  spento  . 

77  78  P immagine  perversa  j  pervertita ,  confusa .  — parca 
due  e  nessuni  si  assomigliava  un  poco  ali*  uomo  ed  al  serpen- 
te,  e  non  esprìmeva  bene  nessun  dei  due. 

79  airSi  •-►Stanca esser  debbe  l'immaginazione  del  lettore 
e  quella  del  Poeta  per  tante  maravigliose  descrizioni  v  ma  simi- 
gliante  ad  Anteo»  che  dalla  percossa  terra  nuova  foi'za riceve  j 
di  vigor  novello  rimbalza  l'inesauribile  immaginare  di  Dante, 
e ,  quando  credesi  che ,  da  troppo  lungo  e  troppo  alto  volo  af- 
faticato, sia  per  discendere  ten*a  terra,  s'alza  ad  un  tratto  ad 
altezza  tale  ,  che  seguirlo  puote  appena  il  pensiero .  Tale  si  di- 
mostra in  mille  luoghi;  ma  qui  forse  piii  che  altrove .  Sicgui 
attentamente  ogni  cosa ,  e  avrai  da  ammirarvi  ad  ogni  passo  e 


544  INFERNO 

Così  parea ,  venendo  verso  V  epe 

Degli  altri  due,  un  serpentello  acceso, 
Livido  e  nero  come  gran  di  pepe . 


vigor  di  stile y  e  purezza  di  lingua,  e  tratti  fòrti ,  e  modi  nuo- 
vi, e  9  dal  principio  al  fine,  un  dir  sì  conciso  e  si  chiaro,  ciie 
non  ti  parrà  possibile  potersi  altrettanto  nel  parlare  sciolto . 
Bugigli . •«-«  ramarro.  Il  Vellutello  spiega  il  ramarro  colla 
voce  stellio  dei  Latini  :  s' inganna  ;  lacertus  snridis  si  dice  in 
latino  il  ramarro .  Virg.  :  Nunc  virides  etiam  occultant  spi-- 
neta  tacer tos. Stellio  significa  quell'altro  animaletto  non  molto 
dissomigliante  nella  forma ,  cne  noi  chiamiamo  tarantola . 
Vehtubi.  ^  stella  (scrive  nella  sua  Cornucopia  anche  il  Pe- 
rotti  )  stellio  vocitatus  est  y  quem  medici  nostri  temporis  fna- 
ffno  errore  putant  lacertwn  esse....  stelliones  Romani  nunc 
tarantulas  vocant,  -  sotto  lo  gran  fersa  .•  fersa  per  ferza , 
«  intendi  solare.  ^Né^dl  canicular.*  giorni  sono  questi,  nei 
quali  la  costellazione  detta  Canicola  nasce  e  tramonta  insieme 
col  Sole;  giorni  per  solito  de' più  caldi  dell'anno,  e  nei  qmdi 
perciò  i  ramarri ,  le  Incerte  ed  animali  simili  sogliono  essere 
più  orgogliosi  e  vivaci.  m-^Dei  dì  ec,  al  i*.  80.,  con  buona  e 
l'orse  miglior  lezione  legge  l'Ang.  E.  R.  *  e  cosi  il  V at.  3 1 99.  ••-« 
cangiando  siepe j  -Folgore  ec.  Costruzione:  «Se,  cangiaìido 
siepe f  attrauersa  la  via  j  par  folgore ^  cioè,  se  per  passar 
da  una  siepe  all'altra  convengagli  attraversare  strada ,  in  coi 
vegga  gente ,  corre  per  la  paura  come  un  fulmine  ;  e  di  iatt» 
(è  intravvenuto  a  me  pure  di  vederlo)  è  velocissimo. 

8 a  83  m^ì  pareua ,  legge  il  cod.  Ang.  E.  R.  —  e  il  end. 
Vat.  3 1 99. 4-«i  venendo  verso  l'epe ,  le  pance ,  degli  altri  due 
spiriti  rimasti  nella  propria  forma,  un  serpentello  ;  simile  io- 
tendelo  al  ramarro,  cioè  con  quattro  gambe  esso  pure  (vedi 
al  V.  112.)'  acceso  y  intendi  ^Vra,  o,  come  spiega  il  Vocabo- 
lario della  Crusca ,  incollorito  ;  e  non  già  infuocato ,  che  mal 
combinerebbe  col  livido  e  nero  del  seguente  verso.  E  dice 
die  tal  serpentello  veniva  qual  folgore  verso  la  pancia  dì  quelle 
due  ombre,  o  perchè  slanciassesi  per  aria  per  colà  ferire,  o 
perchè  camminando  per  terra  portasse  la  testa  alta  e  diretta 
alla  loro  pancia.  Era  questo  serpènte ,  come  dair ultimo  versai 
del  pi^sente  canto  apparirà,  Francesco  Guercio  Cavalca utr. 
Vedi  quella  nota. 


CANTO  XXV.  545 

E  quella  parte,  d'onde  prima  è  preso  85 

Nostro  alimento,  all'un  di  lor  trafìsse ^ 
Poi  cadde  giuso  innanzi  lui  disteso . 

Lo  trafitto  il  mirò,  ma  nulla  disse;  88 

Anzi  co' pie  fermati  sbadigliava, 
Pur  come  sonno,  o  febbre  l'assalisse. 

Egli  il  serpente,  e  quei  lui  riguardava  ;  91 

L' un  per  la  piaga ,  e  Y  altro  per  la  bocca 
Fummavan  forte,  e  '1  fummo  s'incontrava. 

85  86  onde  di  prima  ^  la  Nidobeatina;  d*onde  prima  ^  l'ai- 
tix^  ediz.  j  m^  e  noi  coi  codd.  Ang.  e  Vat.  3 199  ;  e  con  la  3.  rem. 
edizione .  *-m  Per  cotal  parte  ^  onde  prendiamo  il  primo  alimen- 
to, intende  Dante  il  bellico  ^  onde  di  fatto,  per  sentimento  co - 
mane  degli  Anatomici ,  trae  il  bambino  nel  materno  utero  il  suo 
alimento.  Bene  però  la  medesima  prima  parte,  ond* ebbe  la  so- 
stanza ingresso,  fa  riaprirsi,  acciò  n'esca  fuori,  come  fa  che 
n'esca  di  fatto  a  guisa  di  fumo:  vedi  appresso.  <-*  alt* un  di 
lor y  a  Buoso  degli  Abati:  vedi  verso  i4o.  e  seg. 

89  co^pièy  la  Nidobeatina;  coi  pie,  l'altre  edizioni.  —  sba» 
digliai^a»u-*Gl\i  si  meravigliasse  deireifctto  che  produce  il  mor- 
so del  serpente  in  quello  spirito,  si  ricordi  che  il  morso  del- 
l'aspide, o  vipera  d'Egitto,  cagiona  un  profondo  sonno,  da  cui 
ti  passa  alla  morte  .Biagioli.  <-«  Questo  sbadiglio  dovrebbe  let- 
teralmente siguificai^e  T  indebolimento  cagionato  dalla  perdita 
della  propria  sostanza,  ed  allegoricamente  la  pigrizia  e  non  cu- 
ranza,  per  cui  il  vizio  volgesi  in  natura,  e  la  natura  in  vizio. 

64  Fummavan  forte y  fortemente.  Dai  versi  loi.  e  102. si 
raccoglie,  ch'esalassero  quell'uomo  e  quel  serpente,  e  si  cam^ 
biassero  l'un  coll'altro  le  proprie  forme  sostanziali  ;  quelle  che  y 
s(*condo  gli  Scolastici  dal  Poeta  nosti*o  seguiti ,  determinano  la 
materia  ad  essere  questo  0  quell'altro  corpo.  »-^  siscontrax^a  , 
It'jfge  il  Vat.  3 199.  4~m  e^l  fumino  s^ incontrava.  Ciò  di  neces- 
sita ;  conciossiaché  per  una  medesima  via  con  direzioni  opposte 
movendosi  i  due  fumi,  quello  del  serpente  entrava  nel  bellico 
dell'uomo,  equellodeiruomo  entrava  nella  bocca  del  serpente* 
—  *  Il  Postillatore  del  cod.  Caet.  dice:  iste  fumus  significai 
ohscuritateminquafnrantur<f  ut  celent  turpitudinem  wf  iV.E.ft 

rol.  /.  35 


546  INFERNO 

Taccia  Lucano  ornai ,  là  dove  tocca  g4 

Del  misero  Sabello  e  di  Nassidio, 
Ed  attenda  ad  udir  quei  ch'or  sì  scocca. 

Taccia  di  Cadmo  e  d'Aretusa  Ovidio:  9; 

Che ,  se  quello  in  serpente,  e  quella  in  fonte 
Converte  poetando,  Tnon  lo  'nvidio: 

Che  duo  nature  mai  a  fronte  a  fronte  100 

Non  trasmutò,  si  ch'amendue  le  forme 

94  95  Taccia  Lucano  ec.  Narra  Lucano  [a]  che  passando 
Catone  per  la  Libia  arenosa  con  T esercito,  un  soldato  detto 
JSabello  fu  punto  da  un  serpe,  chiamato  sepsy  in  una  gamba; 
ed  avendogli  tal  puntura  tutta  la  pelle  e  carne  lacerato,  in  poco 
spazio  di  tempo  tutto  si  distrusse,  e  cenei*e  divenne;  e  che  un 
altro  serpe,  chiamato /^roe^ter  (alcuni  dicono  aspide  sordo) 
punse  un  altro  soldato  detto  Nassidio ,  ed  in  guisa  gli  fece  gon- 
fìai*e  il  corpo,  che  gli  scoppiò  la  corazza,  né  gu  si  trovava 
membro  o  giuntura  alcuna,  tant'era  enfiato.  Dahiello. 

96  scocca.  Scoccare  ipet manifestare <,  palesare.  \ciLf\^k 
questo  e  si  mi  1  senso  hanno  pur  trasferito  scoccare  altri  celebrì 
scrittori.  Vedi  il  Vocabolario  della  Crusca. 

97  Cadmo  trasformato  in  serpente  [&J ,  Aretusa  convertita 
ih  fonte  [e] . 

98  m^  quello  in  serpente^  e  quella  ec.  Nota  quello  e  quel- 
laj  non  quello  e  questa ^  come  direbbesi  piii  comodamente. 

TOBELLl .  4-«  / 

99  inon  lo  *ni^idio.  No  y  perchè  ne  dice  delle  più  grosse ^ 
e  da  non  pigliarsi  nemmen^on  le  molle:  cosi  il  Venturi.  M.i 
la  sbagliò  esso  pure  se ,  cercando  il  quinto  evangelista,  spero 
di  rinvenirlo  in  Parnaso. 

100  a  fronte  a  fronte  vale  qviSLUlo  presenti  Tana  airai  tra. 
Ma  non  tanto  del  far  egli  scambiarsi  vicendevolmente  fra  di 
loro  due  nature  vuole  vantarsi ,  quanto  del  modo  con  cui  le  ia 
cambiai*e,  gradatamente,  e  per  quel  fumo,  che  non  Lspiegau 
bene  i  Comentatori,  e  che  mal  inteso  dal  Venturi,  passa  dc! 
M.  1 18.  a  deluderlo  d'altra  efficacia  j  che  la  pietra  filosofica, 

101  102  W  ch*aniendue  le  forme  ec,  sì  die  la  forma  dtl 

[a]  Pharsal.  lib.  9.  [b]  Ovid.  Mei.  lib.3.  [e]  Mct.  \\h.  5. 


CANTO  XXV.  547 

A  cambiar  lor  materie  fosser  pronte. 

Insieme  si  risposero  a  tai  norme,  io3 

Che  H  serpente  la  coda  in  forca  fesse, 
E  '1  feruto  ristrinse  insieme  Y  orme . 

Le  gambe  con  le  cosce  seco  stesse  1 06 

S'appiccar  sì,  che  in  poco  la  giuntura 
Non  facea  segno  alcun  che  si  paresse . 

Togliea  la  coda  fessa  la  figura,  109 

Che  si  perdeva  là ,  e  la  sua  pelle 
Si  facea  molle ,  e  quella  di  là  dura . 

serpente  pronta  fosse  ad  abbandonare  la  propria  materia ,  e  ad 
unirsi  alla  materia  dell' uman  corpo  9  e  la  foima  dell' uman 
corpo  fosse  vicendevolmente  pronta  a  distogliersi  dalla  propria 
materia,  e  ad  unirsi  alla  materia  del  serpente. 

io3  a  tai  norme  vale  quanto  talmente,  con!,  tal  metodo. 
io4  inforca  fesse  y  apri  la  coda  in  due,  feccia  biforcuta: 
e  intendi ,  per  formarsene  con  quc'duc  pezzi  le  umane  gambe. 
I  o5  7  feruto ,  il  ferito  ,  l'uomo.  —  ristrinse  insieme  for- 
me^ Vormefcr  piedi.  Nello  stesso  significato  usarono  di  dire 
i  poeti  latini  i^estigia .  Catullo  in  quella  elegia ,  dove  introduce 
a  parlaix*Ia  chioma  di  Berenice  ,  divenuta  una  delle  celesti  co- 
stellazioni ,  così  dice  : 

Sed  quamquam  me  noe  te  premunì  vestigia  diuum; 
e  fu  imitato  dal  Sannazzaro  nell'ecloga  5.  delV jércadia,  dove 
piange  la  morte  d'Androgeo: 
E  coi  vestigi  santi 
Calchi  le  stelle  erratiti,  —  Volpi. 
1 06  al  1 08  Le  gambe  ec,  Siegue  a  dire  dell'  uomo ,  come 
in  seguito  ad  aver  ristretti  insieme  i  piedi ,  s'appiccarsi  piedii 
gambe  e  cosce ,  che  in  poco  tempo  divennero  un  sol  membro, 
.senza  che  vi  apparirse  seguo  alcuno  di  giuntura,  dì  congiun- 
gimento, e  però  atto  a  formar  la  coda  del  serpente. 

1 09  al  I  r  I  Togliea  ec.  Parla  ora  del  serpente,  Togliea  vale 
c|ui  qiìSLUio  pigliai^a  j  prenilei*a ,  acquistava,  ^Che  si  perdeva 
là ,  neir uomo ,  cioè  la  figura  de' pi(Hli  umani ,^e  la  sua  pel- 
le si  facea  molle,  come  quella  d(.*ll'uomo.  —  e  quella  di  là, 
iieiruomo,  dura  come  quella  del  serpenle. 


548  INFERNO 

Io  vidi  entrar  le  braccia  per  l'ascelle,  112 

£  i  duo  pie  della  fièra,  ch'eran  corti, 
Tanto  allungar,  quanto  accorcia van  quelle. 

Poscia  li  pie  dirieiro  insieme  attorti  1 15 

Diventaron  lo  membro  che  Tuom  cela, 
E  '1  misero  del  suo  n'  avea  due  porti . 

Mentre  che  '1  fummo  l'uno  e  l'altro  vela       118 
Di  color  nuovo,  e  genera  1  pel  suso 
Per  l'una  parte,  e  dall'altra  il  dipela, 

L'un  si  levò,  e  l'altro  cadde  giuso,  i-n 

Non  torcendo  però  le  lucerne  empie, 
Sotto  le  quai  ciascun  cambiava  muso  • 

1 12  /o  uidi  entrar  le  braccia  per  l* ascelle.  Seguita  a  par- 
lar deir  uomo ,  e  a  dire  che  gli  entravano  le  braccia  per  Tascel- 
le,  e  in  cotal  modo  venivano  ad  accorciarsi  ed  a  farsi  come  le 
gambe  anteriori  del  ramarro ,  a  cui  ha  paragonato  nel  moto , 
e  suppone  simile  nella  figura  questo  serpente. 

1 1 3  E  i  duo  pie  della  fiera ,  del  serpente  :  intendi  i  due 
piedi  davanti. 

1 14  »-^ascortai/any  legge  TAng.  E.  R.4-«  quelle  j  cioè  le 
dette  braccia  dell'uomo. 

1 15  li  pie  dirietro  della  fiera,  del  serpente. 

1 1  j  del  suo  n''  avea  due  porti  j  del  suo  membro  ne  arca 
sporti  due,  per  formarsene  le  deretane  serpentine  gambe. 

1 18  al  121  Mentì  e  che  U  fummo  ec.  Fa  ora  il  Poeta  che 
venga  il  fumo  a  velar  entrambi  coloi*o,  a  formarne  il  vario  bi- 
sognevole colore,  e  a  togliei'c  il  pelo  dall'uomo  che  converti- 
vasi  in  serpente ,  e  produi*re  il  pelo  nel  serpente  che  diveniva 
uomo;  e  dice  che,  nel  mentre  cne  questo  facevasi,  il  serpente 
coir  acquistata  umana  forma  si  alzò,  e  l'uomo,  divenuto  ser» 
pente,  cadde  giuso j  sì  stese  per  ten*a ,  come  il  serpente  fa. 
»^ Dall'una  parte j  al  verso  120,  legge  il  codice  Angelico, 
E.  R.  4^ 

122  1:^3  lucerne  y  per  gli  occhi,  l'adoperano  anche  a  Uri  ita- 
liani scrìttoli  (vedi  il  Vocabolai*io  della  Crusca);  ed  abbiamo 
scritto  nel  Vangelo;  lucerna  corporis  Uii  c.\t  ovulus  tuus,  -cv/i- 


CANTO  XXV-  54d 

Quel  eh* era  dritto,  il  trasse  'o  ver  le  tempie,  i  ^^4 
E  di  troppa  materia,  che  'o  là  venne, 
Uscir  r orecchie  delie  gote  scempie: 

Ciò  che  non  corse  indietro  e  si  ritenne,        127 
Di  quel  soverchio  fé*  naso  alla  faccia , 
E  le  labbra  ingrossò  quanto  convenne: 

Quel,  che  giaceva,  il  muso  innanzi  caccia,    1 3o 
£  l'orecchie  ritira  per  la  testa, 

picy  maligne,  fraudolenti.  ^  Sotto  lequai  vale  quanto  ;  sotto 
la  guardatura  delle  quali •  —  muso  i^t  faccia. 

i2i4  Q'<^/  cK*era  dritto^  quello  cioè  elicerà  divenuto  uomo 
iu  tutto  il  corpo,  fuorché  nella  testa,  //  trasse  in  ver  le  lem-' 
picy  ritirò  il  muso  verso  le  terapie  per,  di  serpentino,  luugo 
ed  aguzzo  che  era,  accorciarlo  ed  appianarlo  alla  figui^a  di 
umano  volto. 

120  ia6  die  'n  là^  verso  le  tempie.  '^ uscir ^  schizzar  fuo- 
ri, ^rorecchic  dee  leggersi  necessariamente  colla  Nidobeatiua, 
V  uon  gli  orecchi y  come  l'altre  edizioui  leggono;  imperocché 
lo  scempie  in  (Ine  del  verso  non  può  accordar  hene  se  non  colle 
orecchie  stesse.  L'aggettivo  scempio  ha  tra  gli  altri  significati 
quello  di  separato  ,  diviso  (vedi il  Vocabolario  della Ci*usca) ; 
e  Dell'  uomo  appunto ,  al  contrario  del  serpente ,  sono  le  orec- 
chie dalle  gote  divise,  cioè  sporte  in  fuori.  •-♦Ma  il  Biagioli 
vuole  che  si  legga  colla  comune  gli  orecchiy  e  che  l'aggiunto 
scen^pie  s'abbia  a  riferire  alIe^o£e,  e  non  altrimenti .  Questa 
opinione  è  avvalorata  dcirautorità  del  Vat.  3199,  ^^  orecchi 
legge  qui  e  più  sotto  al  v,  1 3 1.  -«-«i 

127  128  Ciò  che  ec.  Costruzione.-  Ciò  che  di  quel sover» 
chio  si  ritenne ,  e  non  corse  indietro;  cioè  porzione  della  ma- 
teria del  lungo  serpentino  capo,  che  per  la  forma  dell' uman 
capo  troppa  essendo,  si  ritenne  dinanzi,  e  non  corse  indietro 
\erso  le  tempie,  come  l'altra  porzione  aveva  fatto.  — fé* naso 
alla  faccia j  fé' il  naso  dell'umana  faccia. 

1 3o  i3 1  Quelj  che  giaceva j  cioè  quello  che,  tutto  serpente, 
fuorché  nella  testa,  s'era  steso  per  terra.  —  il  muso  innanzi 
caccia ,  per  fare  il  serpentino  muso.  -  E  /*orecrAie  (legge ,  co- 
me di  sopra,  la  Nidobeatiua ;i?^/<orecc/i<,  l'altre  edizioui)  r<- 


55o  INFERNO 

Come  face  le  corna  la  lumaccìa  ; 

£  la  lingua,  che  aveva  unita  e  presta  i33 

Prima  a  parlar,  si  fende,  e  la  forcuta 
Nell'altro  si  richiude,  e  1  fummo  resta  . 

L' anima ,  eh' era  fiera  divenuta ,  1 36 

Si  fugge  sufolando  per  la  valle , 
E  l'altro  dietro  a  lui  parlando  sputa. 

Poscia  gli  volse  le  novelle  spalle ,  i  òij 

tira  per  la  testa  ,  le  sporte  caitilagini  delle  orecchie  ritne 
dentro  della  testa,  per  formarsi  orecchie  da  serpente. 

iSa  Come  face  le  corna  la  lumaccia;  ellissi,  iuTCce  dì 
dire  :  come  face ,  ritraendo  le  coma  la  lumaccia  ;  lumaca 
più  comunemente  appellata. 

i33  al  i35  E  la  lingua  ^  ec.  Credendosi  YDlgarmente  la 
lingua  de' serpenti  tale,  quale  all'occhio  per  la  ireloce  sua  \v- 
brazione apparisce ,  biforcuta,  e  per  biforcuta  ammettendola 
andie  i  poeti;  facendo,  ti*a  gli  altri  esempj,  Ovidio  da  Acho- 
loo ,  convertito  in  serpente ,  dirsi  : 

Cumque  fero  movi  linguam  stridore  bisulcani  [a]  ; 
sicgue  anche  il  Poeta  nostro  cotal  persuasione  e  modo  di  par* 
lare;  e  fa,  per  ultimo  atto  della  trasformazione  chenedescii- 
ve,  fendersi  all'uomo  convertito  in  serpente  la  lingua;  ed  al 
serpente  convertito  in  uomo  fa  all'opposto  i  membri  della  bi- 
foi'cuta  lingua  in  uno  richiudersi .  —  e  7  fummo  resta ,  la  n> 
ciproca  emissione  delle  sostanziali  forme  detta  al  (^.  gi. 

i36  i37  V anima  j  cK  era  fiera  divenuta.  Per  fiera  intende 
il  già  divisato  livido  e  nero  serpente;  ed  a  tale  intelligenza ac^ 
comoda  i  mascolini  pronomi  lui  e  gli  ne'segnenti  versi.  —  ju- 
folando^  fischiando,  come  li  serpi  fanno. 

i38  1 39  j^/'a/fro,  il  divenuto  nomo. "Sparlando  snuta. 
Comunemente  gl'Interpreti  chiosano,  che  unisca  Dante  9I  par- 
lare lo  sputare  per  indicar  craeste  come  due  proprietà  dtl- 
r  uomo .  Vegga  nondimeno  il  lettore  se  gli  piacesse  piv  d' in- 
tendere che  pai'lasse  costui  con  ira  e  con  la  bava  alla  bocca. 
m^  A  questa  interpretazione  fa  plauso  lo  stesso  BiagiolL^-«  no- 
velle spalle j  di  nuovo  fatte. 

[a]  MeU  llb.  9.  v.  65. 


CANTO  XXV.  55i 

E  disse  air  altro:  i'vo'che  Buoso  corra, 
(  ^ome  fec'  io ,  carpon  {)cr  questo  calle . 
Così  vid'io  la  settima  zavorra  i4^ 

Mutare  ^  e  trasmutare ,  e  qui  mi  scusi 

1 4o  all'altro  dei  tre  ^  che  non  erasi  tiusformato,  cioè  a  Puc- 
cio Sciancalo,  come  appresso  dirà  Dante  medesimo.  -  Buosoy 
quello  cioè  convertito  in  serpente,  che  gli  Espositori  dicono 
Buoso  degli  Abati,  nobile  fiorentino. 

i4i  Come  fecUoj  la  Kidobeatina;  Com'ho  fatCiOy  Taltre 
ediz. ,  •-►  e  l'Ang.  E.  R.  -  Il  Vat.  3 1 99  legge ,  Cotn  fo  io  ec.4-« 
carpone ,  avverbio ,  vale  cai-pando ,  cioè  camminando  colle  ma- 
ni per  terra.  Vedi  il  Vocabolario  drlla  Crusca. 

143  143  settima  zavorra  jiev  valle  di  terreno  ai'tinoso^ 
cornigera  la  settima  bolgia  deW Inferno»  Cosi  chiosa  il  Voljpi, 
ed  iu  somigliante  modo  anche  il  Venturi.  Ma  dove  primiera- 
mente trovan  essi  che  faccia  Dante  questa  bolgia  arenosa?Dìce 
e^^li  bensì  esistere  in  questa  piii  serpi  che  non  vanti  l'arenosa 
Libia  [a]  ;  ma  non  dice  però  che  qui  similmente  sia  della  rena. 
Poi ,  se  questa  sola  bolgia  era  arenosa ,  come  bene  alPappella- 
zione  di  zavorra  aggiungerebbesi  quella  di  settima?  Sarebb'egli 
forse  da  tollerarsi  se,  come  bulicame  appellò  Dante  la  prima 
delle  tre  fosse  de'  violenti  [6] ,  per  esser  piena  di  bollente  san- 
gue ,  avessela  appellata  primo  bulicame ,  quantunque  nell'altre 
due  fosse  non  ponesse  sangue ,  né  altro  bollente  fluido  ? 

Come  questi  due  moderni  Spositorì  convengono  tra  di 
loro  nella  riicrita  spiegazione,  cosi  i  vecchi,  Landino,  Vellu- 
tello  o  Daniello,  s'accordano  in  un'altra.  Chiama  settima  za-- 
yorra  (degli  alln  piii  chiaramente  e  pienamente  così  favella  il 
Vellute!  lo)  questa  settima  bolgia  yiu>ìfegnachè  zavorra  prò* 
priamente  sia  quella  rena ,  o  ghiara ,  che  si  mette  nella  sen- 
tina della  nave ,  acciò  che  per  lo  poco  peso  non  vada  va* 
cillando .  Intese  adunque  la  zavorra  per  sentina  y  la  quale , 
per  esser  setnpre  piena  di  fetore  e  puzza ,  assomiglia  a  que^ 
sta  bolgia  f  perchè  era  piena  d^abbominevole  vizio  •  E  dice 
auerla  ceduta  mutare ,  cioè  cAe  essa  zavorra  aveva  mutalo , 
intendendola  per  agente ,  e  non  per  paziente  j  eh''  ella  fosse- 
mutata  ^  ma  rispetto  a  Buoso  j  che  d^ umano  spirito  vide  mu^ 

[a]  Canto  precetl.  v,  8S.  e  scgg.  [b]  lof.  xii.  ir.i  a8. 


55i  INFERNO 

La  novità ,  se  fior  la  penna  abborra . 

tar  in  serpente  y  e  trasmutare  |  cioè  un* al  tra  volta  nuHarei 
rispetto  al  serpente ,  che  uiele  mutar  in  spirito ,  */  quale ,  per- 
che  dice  :  io  vo*  che  Buoso  corra  come  ho  fati'  io  intese  essere 
stato  un^ altra  scolta  mutato  di  spirito  in  serpente. 

Io  però,  diversamente  da  tutti,  direi  che  zavorra  appelli 
t)ante  per  isprezzo  non  la  bolgia  o  bolge  »  ma  la  gente  slessa 
delle  bolge,  per  occupar  questa,  a  guisa  appunto  di  fecciosa 
zavorra,  il  fondo  di  quelle;  come  cioè  se  detto  avesse:  la  ge- 
nìa o  feccia  denomini  posta  in  fondo  della  settima  bolgia^ 
»-►  E  così  pure  intende  e  spiega  il  Pog|^iali.4-«  In  questo  senso 
pel  mutare  e  trasmutare  non  sarebbe  piii  d*uopo  di  fare  agen^ 
te  la  bolgia,  perocché  sarcbbelo  la  gente  stessa. 

i44  ^^  fior  la  penna  abborra^  l^gg^  1^  Nidobeatina  (•-♦€ 
TAng.  E.  R.*-«  )  ;  ove  l'altre  edizioni  (  •-►e  il  Vat.  3  ig9«-«  ), 
se  -fior  la  lingua  ec.  Essendosi  Dante  manifestato  in  questo 
poema  non  quale  dicitore  ad  uditori,  ma  quale  scrittore  a  leg* 
gitorì ,  detto  avendo,  per  cagion  d'esempio,  nelllnf.  viii.  v,  94.: 
Pensa ,  Lettore ,  s^io  mi  sconfortai y  e  in  questo  canto  stesso, 
%**  4^-  •  *5^  ^"  ^^'  or.  Lettore ,  a  creder  lento ^  ho  perdo  pre- 
ferita la  lezione  Nidobeatina .  -  se  fior  la  penna  abborra.  Fior 
e  fiore y  avverbio,  vale  un  tantino; onde  lo  stesso  Dante ,  Inf 
e.  ixxiv.  a6.:  Pensa  oramai  per  te,  s'' hai  fior  d^  ingegno;  e 
Purg.  e.  111.  ]  35.:  Mentre  che  la  speranza  ha  fior  del  verde, 
jibborrarej  e  pel  contesto  qui,  e  per  quell'altro  passo,  InT. 
e.  XXXI.  V.  22.  e  segg.  : 

però  che  tu  trascorri. 

Per  le  tenebre  troppo  dalla  lungi  ^ 

Awien  che  poi  nel  macinare  aborri; 
e  per  quello  pure  di  Fazio  degli  liberti  ; 
Maraviglia  sarà  se,  riguardando 

La  mente  in  tante  cose,  non  abborrì  \a\i 
scorgesì  apertamente  significare  lo  stesso  che  traviare,  Io  stesso 
che  il  latino  aberrare^  e  dovere  perciò  dal  latino  medesimo 
essere  per  antitesi  fatto,  mutata  la  e  in  o.  »-►£  cosi  pare  U 
pensa  il  Torelli.  4-«  Adunque  se  fior  la  penna  abborra  vale 
rome  se  un  tantino  la  penna  travia  y  esce  cioè  (intend'io  )• 
eoi  troppo  minutamente  apaite  a  paitc  descriverne  queste  tra* 

[a]  Diitam,  3.  3i. 


CANTO  XXV.  553 

£d  avvegnaché  gli  occhi  miei  confusi  i45 

Fossero  alquanto,  e  T animo  smagato, 
Non  poter  quei  fuggirsi  tanto  chiusi , 

Ch'io  non  scorgessi  ben  Puccio  Sciancato,   i48 

sformazioni,  dairnsato  preciso  stile  di  descrivere.  Il  Landino 
e  il  Vellntello  intendono  invece  che  cerchi  Dante  scusa  del 
cattivo  ed  inelegante  stile.  Sarà  forse  difetto  del  corto  mio 
vedere;  ma  all'occhio  mio  questa  diversità  ed  ineleganza  di 
stile  non  apparisce.  •-►Il  sig.  Poggiali  pensa  invece  che  ab' 
barrare  significhi  qui  riempii^e  di  supei*fluità  ;  onde  abbia  ad 
intendersi  che  il  Poeta  implori  scusa  di  essersi  >  per  la  novità 
delle  immagini,  di  troppo  trattenuto  ad  esporre  le  minute 
particolarità  di  quelle  trasformazioni .  <-•  *Che  abborrare  poi , 
preso  in  senso  metaforico ,  significhi  metter  borra ,  aggìugne^ 
re  di  superfluo  y  vedine  esempj  nel  Vocabolario  della  Crusca. 
E.  R. 

145  m^a\>vegnachò  vuol  dire  sebbene.  Questo  è  il  princi- 
pale significato  di  questa  elegantissima  particella  congiuntiva. 
Poggiali.  —  Ed  awegnache  ecy  legge  il  Vat.  3i^,  lezione 
che  rende  il  verso  migliore.  4-« 

§46  smagato.  Sminare  e  dismagare  (  verbi  adoperati  dal 
Poeta  nostro  sovente  [a]  e  da  altri  scrittori  [6]  )  pare  che  in 
ogni  esempio  ove  s*  incontrano  9  significhino  lo  stesso  che  smar* 
r  ire,  far  perdere  f  o  simili.  Qui  ;  incominciando  »  animo  sma- 
gato non  pare  che  possa  significar  altro  che  animo  smarrito . 
Deirorìgine  del  \erho smagare  vedi,  lettore,  se  vuoi,  la  ter* 
za  annotazione  dell' ab.  Quadrio  al  Credo  del  Poeta  nostro. 
m^  Confermano  la  chiosa  del  nostro  P.  L.  gli  editori  della  E.  F., 
derivando  lo  smagato  dallo  spagnuolo  desmajrado^  che  vale 
confuso ,  smarrito .  ^-s 
§47  chiusi  vale  occulti. 

1 48  Puccio  Sciancato ,  altro  cittadino  fiorentino,  come  av- 
visa Dante  medesimo  nel  canto  seg.  »^.  4*  ^  ^*  "^  Il  cod.  Cass. 
ci  fa  conoscere  di  qual  famiglia  si  fosse  il  detto  Puccio ,  notan* 
dovi:  de  Galigariis de  Florentia.  Mail  Postili. deli* Ang. Io 
dice  invece  de  Lazaris.  E.  R. 

[à]  Pnrg.  e.  tu.  1 1.»  e.  x.  106.  «  e.  ziz«  so.  >  e.  zzvn*  io4«  Par.  e  hi.  96. 
[b\  Vedi  il  Vocab.  della  Crusca. 


554  INFERNO 

Ed  era  quei ,  che  sol  destre  compagni 
Che  venner  prima,  non  era  mutalo; 
L'altro  era  quel,  che  tu,  Ga ville,  piagni. 

1 49  destre  compagni^  cioè  Agnel  Bruaelleschi,  Buoso  Aba- 
ti »  ed  e$so  Faccio. 

i5i  V altro  j  cioè  colui  che  sotto  forma  di  serpente  feri 
Buoso  nel  bellico 9  e  trasmutatolo  in  serpente,  convertissi  egli 
in  uomo;  — era  quelj  che  tUy  Gopille  y  piagni  ;  cioè  messer 
Francesco  Guercio  Cavalcante  (pur  esso  cittadino  fiorentino), 
ucciso  dagli  uomini  di  una  terra  di  vai  d'Amo  dì  sopra,  detta 
Gauilley  che  per  cagione  di  costui  piangeva,  essendo  per  yevt^ 
detta  stati  morti  la  maggior  parte  degli  abitanti  di  essa.  Da- 
niello. Del  delitto  di  costui,  di  Puccio  e  dogli  altri  dopo  Vau- 
ni  Fucci  motivati ,  vedi  l'opinione  del  Vellutello,  rifeiìta  sotto 
il  !/•  43.  »-^Nota  che  rAnoiiimo  chiama  costui  Guelfo^  e  Pie- 
11*0  di  Dante  ed  il  Boccaccio  Guercio .  E.  F.  ♦-« 


CANTO    XXVL 


ARGOMENTO 

tengono  i  Poeti  all'ottava  bolgia ^  nella  quale  veg- 
giono  infinite  fiamme  di  fuoco:  ed  intende  Dante 
da  f^irgilio  ,  che  in  quelle  erano  puniti  l  fraudo^ 
lenti  consiglieri ,  e  che  ciascuna  conteneva  un  pecca* 
iore,  fuorché  una,  che  facendo  di  sé  due  corna  ^  ve 
ne  conteneva  due  ;  e  questi  erano  Diomede  ed  Ulisse. 

t^jrodi,  Firenze,  poi  che  se* sì  grande,  i 

Che  per  mare  e  per  terra  batti  V  ali , 
E  per  lo  'nferno  il  tuo  nome  si  spande . 

Tra  gli  ladron  trovai  cinque  cotali  4 

Tnoi  cittadini,  onde  mi  vien  vergogna, 

1  al  3  »-»  Fa  gran  colpo  il  principio  del  presente  canto  per 
qaest*apostrofe  di  fierissima  ironia  ripiena,  con  versi  di  mae- 
stà nuova,  e  d'eloquente  stile  ridondante.  Molto  poetico  è  que- 
sto dire  batti  rati  per  mare  e  per  terra  a  dimostrar  la  ce^ 
lebrità  di  Firenze,  per  le  discordie  e  le  iniquità  de* suoi  cit- 
tadini famosa  ;  è  grande  V  idea  delle  parole ,  E  per  lo  *nferno  il 
nome  tuo  si  spande ^  facendo  intendere  che,  in  ogni  cerchio 
dell' Inferno  incontrandosi  Fiorentini,  in  essa  città,  piii  ch'al- 
trove, commette  vansi  le  maggiori  scelleratezze.BiAGioLi.-/<'o- 
renzUf  leggono  i  codd.  Angelico  e  Gaetano,  E.  R.,  -  e  il  Va- 
ticano 3ig9.4-« 

4  5  cinque ,  già  nominati  nel  canto  precedente ,  cioèCianfa , 
Agnel  Brunelleschi,  Buoso  Donati,  Puccio  Sciancato  e  Fran- 
cesco Guercio  Cavalcante.  -  cotali^Tuoi  cittadini ^  onde  ecc 


556  INFERNO 

E  la  in  grande  onranza  non  ne  sali . 
Ma  se  presso  al  mattin  del  ver  si  sogna ,  7 

Tu  sentirai  di  qua  da  picciol  tempo ^ 
Di  quel  che  Prato,  non  ch'altri,  t'agogna; 

cittadini  tuoi  di  condizione  tale ,  ch'io  me  ne  vergevo.  Ad  nn 
modo  simile  adopera  cotale  anche  il  Boccaccio  :  O  mani  ini- 
quei  %^oi  ornatrici  della  mia  bellezza ,  foste  gran  cagione  di 
farmi  cotale ^  ch'io  fossi  desiderata  [aj.  E  certamente  Tes- 
sere Iadi*i  i  primarj  cittadini  i*eca  alla  città  maggior  disdoro; 
ed  a  quei  massime  che  nella  città  stessa  ebbero  ugual  grado , 
com'ebbelo  Dante. 

6  E  tu  in  grande  ec.  Ironica  maniera  di  parlare ,  che  vale 
quanto  y  e  tu  ne  riporti  grandissimo  disonore .  Così  noi  pure 
diciam  sovente  :  quest^ azione  non  fa  a  colui  troppo  onore  in* 
vece  di  dii'e  che  gli  fa  gran  disonore.  —  onranza  j  sincope  di 
onoranza.  Vedi  il  Vocab.  della  Crusca. 

7  se  presso  al  mattin  ec.  Accenna  d'essersi  delle  cose,  che 
è  per  dire ,  sognato  circa  il  nascere  dell'aurora  ;  nel  qnal  tempo^ 
secondo  l'antica  superstizione,  avevansi  i  sogni  per  veritieri. 
Namque  sub  aurora  (scrive Ovidio)  iam  dormitante  lucerna ^ 
"Tempore  quo  cerni  somnia  vera  solent  \b>].  Somnium post 
somnum  (  cn'è  appunto  presso  al  mattino  )  efjlcaa:  est ,  atque 
eueniety  sii^e  bonunisit^  sii*e  maluniy  scrive  anche  Suida  [e]. 
»-►  Ma  se  presso  al  mattino  il  uer  si  sogna ,  legge  1  ' Ang.  E.  R. 
—  Pretende  il  Biagioli  che  il  Poeta  non  sognasse  in  su  Tanrora 
le  cose  che  dirà,  e  che  qui  abbia  inteso  di  dire  che,  siccome 
I  sogni  del  mattino  mostrano  del  i/ero ,  così  il  guasto  e  di- 
sordinato uii^ere  della  città  faceva  antivedere  i  disastri  che 
erano  per  sopravvenire  alla  medesima.  Malgrado  ciò ,  noi  pie- 
feriamo  l'interpretazione  del  Lombardi ,  e  perchè  suonano  real- 
mente cosi  le  parole  del  testo ,  e  perchè  la  conforta  poi  anche 
l'unanime  consenso  di  tutti  gli  altri  antichi  e  moderni  Sposi- 
tori  da  noi  consultati .  4-« 

8  9  di  qua  da  ec*  Da  per  a,  vedine  altri  esempj  presso  il 
Cinonio  [rfj.-Z>i  quel  (intendi  danno)  che  Prato,  non  che 
a/fr/. Ellissi ,  e  come  se  detto  fosse: non  cAe,  non  solamenteff*J» 

[a]  Gìorn.  5.  Nov.  9.  \b]  Heroidum  Ep.  19.    [e]  Ari.  hsift»  [d\  Par- 
tic,  70.  a.  [e]  GÌQon.  Pariic.  184*  i* 


CANTO  XXVI.  557 

K  se  già  fosse ,  non  sarìa  per  tempo  :  1  o 

Così  foss'  ei ,  da  che  pur  esser  dee  ; 
Che  più  mi  graverà,  com'più  m' attempo. 

altri  popoli  y  ma  quelli  stessi  di  Prato  tuoi  ì^icini,  sudditi  j 
ed  in  gualche  modo  partecipi  de*  tuoi  danni.  •—  t^agognaj  ti 
desiderano  ardeatemente. 

Le  disgrazie  seguite  già  quando  il  Poeta  scriveva,  ma  col 
fingere  ad  esse  anteriormente  fatto  questo  suo  viaggio  rese  fu- 
ture, furono  :  la  rovina  del  ponte  alla  Carraia  mentre  era  pieno 
zeppo  di  popolo  concorsovi  a  godere  di  uno  spettacolo  che  si  fa- 
ceva in  Arno  nel  1 3o4;  l'incendio  pur  nello  stesso  anno  di  piii 
di  1700  case,  consumando  le  fiamme  un  tesoro  infinito;  e  le 
discordie  civili  tra  i  Bianchi  e  i  Neri.  Vedi  Gio.  Villani,  Cron. 
lib.  8.  cap.  yo.  e  7 1.  Ma  ciò  che  dice  Dante  in  seguito.  Che 
più  nti  grafferà  f  coni  più  m'attempo ,  accenna  principalmente 
il  danno  di  Firenze  nell'esilio  della  propria  e  di  moltissime 
altre  cospicue  famiglie  di  parte  Bianca ,  come  ora  dimostrei  ò . 

10  se  già  fosse  y  il  memorato  danno,  non  saria  per  tempo , 
non  saria  di  buon'ora,  non  saria  trappo  presto. 

11  12»-»  Così  foss* ei  ec.  ;  slancio  d'animo  altamente  sde- 
gnato, e  di  vendetta  avidissimo;  e  vuol  dire:  e  poiché  egli 
ilebbe  inevitabilmente  avvenire ^  vorrei  che  fosse  attenuto 
già.  BiAGioLi.  4-«  Delle  particelle  ^a  che  f  er  dappoiché  ^  e  pur 
per  certamente^  vedi  il  Cinonio  [a]. -^l'ii  mi  graverà  j  com^ 
più  ec.  Mostrasi  Vjéutore  desideroso  di  questo  male ,  non 
per  ruina  della  patria ,  la  guai  gli  era  carissima ,  ma  per 
punizion  dei  cattivi  cittadini  che  iniquamente  Vanuninistro' 
vafio^  e  però  desidera  che  sia  presto ,  acciocché  siano  pu^ 
nifi  quelli  che  hanno  errato.  Cosi  il  Landino.  Il  Vellutello 
4*hiosa  che  parli  Dante  a  questo  modo ,  perché  quanto  più 
ruonio  si  attempa  ed  invecchia  ^  tanto  più  s* accende  in  lui 
l'oinor  della  patria;  e  conseguentemente  tanto  più  gli gra^ 
i*a  e  pesa  se  ella  incorre  in  qualche  miseria.  Lo  stesso  pare 
che  voglia  dire  anche  il  Venturi  chiosando:  col  divenire  più 
attempato  y  diverrò  io  per  V  età  men  sofferente  di  questi 
guai ,  e  di  quei  disordini  di  cattivo  governo ,  che  tirano  ad-' 
dosso  alla  mia  patria  tali  calamità .  »-►  Cosi  anche  il  i*t){^gÌHlì 
r  la  E.  B.  —  11  Torelli  a  questo  lungo  chiosa. «  Cile  vuol  dire? 

[a^  Paritc,  73.  5.,  e  106.  3. 


558  INFERNO 

# 

Noi  ci  pariicnmo,  e  su  per  le  scalee  i3 

Che  n'avean  fatte  i  borai  a  scender  pria, 

1»  che  quanto  più  invecahio  j  tanto  più  mi  saranno  gravi  le 
9>  disgrazie  di  Firenze?  oppore:  che  guanto  più  im^ecduo, 
»  tanto  mi  graverà  più  che  cotali  disgrazie  non  accada- 
n  no?  ^  4-«  11  Daniello  trascorre  questo  luogo  senza  farvi  rìfles- 
«ioae  alcuna.  Quanto  però  al  Landino,  qual  cagione  ne  dica 
egli  9  per  cui  cotal  punizione  fosse  per  riuscire  al  Poeta  pia 
grave  quanto  piìx  si  attempasse ,  io  non  intendo;  ed  il  crescere 
colicela  l'amor  della  patria,  che  dice  il  Yellutello,  solo  mi 
pare  da  ammettem  quando  non  sia  la  patria  al  cittadino  in- 
giusta ed  ingrata,  come  sperimentata  aveva  già  Dante  la  sua 
patria  quando  queste  cose  scriveva. 

Direi  io  adunque  invece,  che  il  suo  esilio  e  degli  altri 
Bianchi  bramasse  egli  in  più  fresca  età ,  per  aver  seco  nella 
disgrazia  meno  figliuoli  [a] ,  e  per  non  essere  costretto  a  cer- 
carsi paese ,  casa  e  pane ,  mentre  incominciava  ad  aver  bisogno 
di  quiete  e  riposo.  »-►  L'Anonimo  spiega:  «  io  veggio  che  debbo 
»  essere  cacciato  di  Firenze.  Io  vorrei  ch'egli  fosse  ansi  oc:p 
»  che  domani ,  acciocché  io  anzi  giovine  che  vecchio  m*  ansassi 
M  a  sapere  come  sa  di  sale  lo  pane  altrui  ec.  »  *—  Ed  il  Beo 
caccio  :  cr  prega  l'Autore  che  questo  fia  tosto ,  s' egli  esser  dee  ; 
sj  a  simile  che  fa  chi  aspettasse  avere  una  pena,  e  fa  priepo , 
»  acciocché  egli  esca  di  quella  pena .  a  E.  F.  —  Ricavandosi  da 
molti  luoghi  del  presente  poema  quanto  bramoso  della  vendet- 
ta fosse  Dante,  e  quanto  in  ciò  l'animo  e  l'ingegno  adoperas- 
se, pensa  il  sig.  Biagioli,  per  ultimo,  che  il  Poeta  qui  veglia 
dire  piuttosto,  che  maggiore  sarà  la  pena  sua  della  ritof' 
data  vendetta ,  perchè  minore  sarà  ,  per  la  vecchiezza  sua^ 
il  tempo  che  potrà  godere  il  piacere  della  vendetta  mede' 
sima .  <-• 

i3  scalee  per  ordine  di  gradi  e  scale  y  adoperato  da  buo- 
ni scrittori  anche  in  prosa.  Vedi  il  Vocab.  della  Gmsca. 

i4  borni  appella  Dante  i  rocchi  prominenti  da  quell'erto 
scoglioso  argine;  pe' quali  rocchi  erano  i  due  Poeti  dal  mede- 
simo argine  discesi  per  avvicinarsi  al  fondo  di  qtiella  ottava  boi- 
fa]  L'autore  delle  Memorie  per  la  FUa  di  Dante, $'  4m  dicf  Ell't 
Daute  da  sua  moglie  Gemma  Domtti  piti  Jigliuoli ,Jra* quaii  Putto, 
Iacopo,  Gabriello ,  Aligero,  Eliseo  e  Beatrice, 


CANTO  XXVI.  559 

Rimontò  1  Duca  mio,  e  trasse  mee. 

E,  proseguendo  la  solinga  via  16 

Tra  le  scheggìe  e  tra* rocchi  dello  scoglio, 
Lo  pie  senza  la  man  non  si  spedìa . 

Allor  mi  dolsi,  ed  ora  mi  ridoglio,  iq 

Quando  drizzo  la  mente  a  ciò  cb'  io  vidi , 
E  più  lo  'ngegno  affreno  eh'  io  non  soglio  ; 

Perchè  non  corra,  che  virtù  noi  guidi;  22 

Sì  che,  se  stella  buona,  o  miglior  cosa      ^ 

già  [a].  Bomes  des  murailles  s'appellano  in  francese  quelle 
pietre  che  s'impiantano  vicine  a' muri  per  ripararli  dagli  uiti 
delle  ruote  de^ carri  e  carrozze:  e  spoi^eudo  da*  muri  la  gros- 
sezza di  questi  ripari  in  maniera  simile  a  quella  che  sporgono 
i  rocchi  fuor  di  una  ronchiosa  ripa ,  giudiziosamente  dona  a 
cotai  rocchi  Dante  il  fi*ancese  nome  di  bornia  e  furono  ccrla- 
mente  poco  avveduti  i  Compilatori  del  Vocab.  della  Crusca  pò* 
ncndo  questo  verso  in  prova  che  &or/iia  significhi  cieco.  »-^L'A- 
nonimo  legge,  Che  n*auean  fatte  i  borni  scender  pria ^  e 
spiega:  lÀ  borni  y  cioè  i  ladri  fecero  loro  prima  discendere 
dot^^elli  discesero  per  quella  i/oce  cK'elli  udia  ec.  Ma  la  co- 
mune  inteipi*etazione  è  da  preferirsi.  E.  F.  <-• 

1 5  wh^Jiimontò  7  mio  AÌaestro^  i  Ang.  E.  R.4-«  mee  inve- 
ce di  ine,  paragogc  a  cagion  della  rima,  come  al  bisogno  anche 
i  latini  poeti  scrissero  ao/nmaner,  dicierec.  perdominariy 
dici  ec. 

1 8  Lo  pie  senza  la  man  ec.  vuol  dire  che  conveuivagli  ado- 
perar piedi  e  mani  per  rimontare. 

19  ao  Quando  drizzo  la  mente  a  ciò  eh* io  vidi^  quando 
rifletto  alle  vedute  pene^  mi  ridoglio ,  mi  dolgo  di  nuovo. 

ai  22  /o  *ngegno  affreno  ec,  tengolo  in  freno  piii  che  mai 9 
acciò  non  s'allontani  dal  retto  operare.  »-►  Perciocché  qualun- 
que altissimo  ingegno,  se  non  ha  la  virtii  che  lo  guidi ,  con*e 
sfrenatamente  al  male.  Biagioli.^-s 

23  stella  buona  j  o  miglior  cosa  e  buona  naturale  influenza 
de' pianeti  y  o  speziai  dono  di  Dio. 

[n]  Inf.  zziv.  74*  e  segg. 


56o  INFERNO 

M'ha  dato  1  ben ,  ch'io  stesso  noi  m'invidi  « 
Quante  il  villan,  ch'ai  poggio  si  riposa,  :i5 

Nel  tempo  che  colui ,  che  '1  mondo  schiara , 

La  faccia  sua  a  noi  tien  meno  ascosa. 
Come  la  mosca  cede  alla  zanzara,  38 

Vede  lucciole  giù  per  la  vallea  , 

^4  '^  hcriy  buona  inclinazioiie  al  giusto  ed  onesto;  •-♦e, 
secondo  il  Biagìoli,  l'acutezza  e  sublimità  dell'ingegno,  che 
da  propizio  influsso  del  cielo  riconosceva  il  Poeta. 4-c  to  stesso 
noi  m* incidi  vale,  a  me  stesso  noi  tolga.*  metonimica  espres- 
sione,  in  cui  l'invidiare,  cagione  del  togliere  ad  altrui ,  ponesi 
per  lo  stesso  togliere,  m^non  m*ini^idij  il  Vat.  Sigq.^-* 

Quanto  veggo  9  tutti  gli  Espositori  intendono  cne  neMue 
scorsi  terzetti  parli  Dante  cosi  per  proemio  alla  punizione  che 
è  per  descrivere  d'altra  sorta  di  fraudolenti  ;  »-»>e  di  questo  pa- 
rere è  pur  anche  il  Biagioli .  4-m  Essendo  però  ciascun  uomo 
inclinato  ad  arricchire;  e  per  arricchire  con  frode,  cioè  senza 
comparir  ladro  j  ingegno  assai  ed  astuzia  richiedendosi ,  panni 
che  possano  i  due  stessi  terzetti  essere  una  conclusione  del  rac- 
conto precedente  :  come  a  dire ,  che  anch'egli ,  male  servendosi 
del  suo  ingegno,  avrebbe  saputo  nascostamente  appropriarsi 
l'altrui  pubblico  o  privato  avere.  »-^Il  Torelli  fa  osservare  il 
pleonasmo  del  che  ripetuto  in  questi  due  versi  aS.  e  24*  '^^ 

25  Quante  ili^illan  attacca  con  f^ede  lucciole  quattro  ver* 
si  sotto. 

26  27  Nel  tempo  che  .  • .  tien  ec,  nel  tempo  in  cui  si  fa  a 
noi  vedere  il  Sole  piii  lungamente ,  nell'estate  .  Supponendo 
Dante ,  colla  comune  de'  poeti ,  che  il  Sole  sia  Apolline  [a] , 
coU'accennar  egli  perciò  il  Sole  qui  e  Farad,  canto  xx.  Terso  1 . 
col  pronome  colui ,  non  viene ,  come  pare  che  il  Cinonio  in- 
tenda [ij ,  a  dare  eccezione  alla  regola ,  che  pronome  cotale 
diasi  a  persona  solamente. 

28  Come  (vale  quando)  la  mosca  cede  alla  zanzara.'  nella 
notte,  in  cui  la  mosca  ritirasi,  e  cede  luogo  al  molestissimo 
volare  della  zanzara. 

29  vallea ,  vallata.  Vocab.  ddla  Crusca. 

[a]  Vedi  Purg.  zz.  i3o.  e  sogg.  [b]  Pariic,  S3.  4* 


CANTO  XXVI.  5Cu 

Forse  colà  dove  vendemnoiia  ed  ara; 

Di  tante  fiamme  tutta  risplendea  3 1 

L' ottava  boJgia,  si  com'io  m'accorsi, 
Tosto  che  fui  là  've  '1  fondo  parea . 

E  qual  colui,  che  si  vengiò  con  gli  orsi,         34 
Vide  '1  carro  d'Elia  al  dipartire, 
Quando  i  cavalli  al  cielo  erti  levorsi , 

Che  noi  potea  sì  coli' occhio  seguire,  87 

3o  doye  vendemmia  ed  ara^  dove  }ia  le  sue  vigne  e  i  suoi 
campi. 

33  là\e^  «iaalefa,  invece  di  là  oi^e.^^parea^  appariva , 
vedevasi. 

34  qual  ha  qui  forza  d' avverbio  >  e  vale  in  quella  euisa 
che  [aj.  -  colui y  che  si  uengiò  con  gli  orsi.'  il  Profeta  Eliseo, 
il  quale,  essendo  beffeggiato  da  una  ciurma  di  fanciulli,  male- 
disscli  ;  ed  uscendo  dalla  vicina  macchia  due  orsi ,  sbranarono 
di  qiiegrinsolenti  al  numero  di  quarantadue  [&J.  F'engiare  per 
t^endicare  da  molti  scrittori  adoperato  vedilo  nel  Vocab.  della 
Crusca  • 

35  F^ide  ec.  &)6truzione:  j^l  dipartire  d^Elia,  al  parure 
che  fece  Elia  da  questo  mondo,  i^de  il  carro y  intendi ,  il  car- 
ro di  fuoco  fcj  che  portava  esso  Elia. 

36  Quando  i  cai/alli  ec.y  cioè  quando  esso  caiTo  fu  dagl'i u- 
fuocati  cavalli  tratto  assai  in  alto. -/evorji,  sincope  di  /ei^o- 
ronsi.  Questa  stessa  sinco'pe  adopera  Dante  anche  nel  e.  xxxiii. 
y-  60.  della  presente  cantica;  e  quanto  ali* intiero  levorono  in- 
vece di  levarono  y  veggasi  l'uso  che  dice  il  Ci  non  io  [//J  essere 
io  Firenze  di  cosi  terminare  le  terze  pei'sone  del  preterito  plu- 
rale di  simili  verbi. 

3j  coir  occhio  y  la  Nidob.  ;  con  gli  occhi  y  Taltre  edizioni; 
ma  la  prima  si  uniforma  meglio  a  quegli  altri  simili  passi  : 

Tanto  y  ch^a  pena  7  poeta  T occhio  torre  [e] . 

Che  l'occhio  noi  potea  menare  a  lunga  ec.  [f\. 
»>L'E.  R.,  coH'aulorità  dei  codd.  Vat.  3199,  Caet.  ed  Aug., 

[a]  Vedi  il  Vocab.  della  Cr.  $oUo  Quale  ,  J.  5.  \b]  iv.  Reg,  %,  [e]  Vi-ili 
il  citato  liliro  de'  [le,  ivi.  [d\  Tralt.  de  verbi,  e.  'j9.  [ej  luf.  e.  viii.  6. 
1/1  Iiif.  IX.  5. 

rat.   /.  36 


56a  INFERNO 

Che  vedesse  altro  che  la  fiamma  sola, 

Sì  come  Qu Toletta,  ìa  su  salire; 
Tal  si  movea  ciascuna  per  la  gola  4^ 

Del  fosso,  che  nessuna  mostra  il  furto, 

Ed  ogni  fiamma  un  peccatore  invola. 
Io  stava  sovra  '1  ponte  a  veder  surto  43 

Sì,  che,  s*io  non  avessi  un  ronchion  preso, 

ha  nella  3.  ediz.  resUtuita  la  lezioDe  occhi  y  trovando  inconclu* 
demti  al  caso  attuale  gli  esempj  qui  addotti  dal  LombardL«-« 

38  /a  ftamma  sola ,  cioè  non  più  Elia ,  ne  la  forma  del  carro 
e  dei  cavalli  di  fuoco,  ma  semplicemente  il  fuoco,  a  cagione 
della  lontananza ,  per  cui  la  figura  degli  obbietti  si  altera  e  con- 
fonde alFocchio  de'risguardanti.EIa  particolarità  di  qnesto  con- 
fondimento non  la  naira  il  sacro  testo,  ma  T immagina  e  fonda- 
tamente suppone  il  Poeta  stesso. 

39  Sì  come  nuifoletta  ec. ,  a  guisa  di  picciola  risplendente 
nuvola.  m-¥m  suo  salire ^  '^gg^  ^^^^S*  ^'  ^*  ^^ 

40  Taly  in  forza  d'avverbio  corrispondente  al  qualseì  versi 
sopra,  e  vale  in  coiai  guisa.  ^  ciascuna^  delle  tante  fiamme 
dette  nel  y.  3 1 .  —  gola  figuratamente  per  apertura  ;  nel  qual 
senso  dicesi  gola  del  cammino ,  del  pozzo  ec.  Vedi  il  Voca- 
bolario della  Crusca,  m^  Tal  si  muover  legge  l'Aiig.  E.  R.«-« 

4i  4^  ^^  Del  foco  j  legge  il  Vat.  3i99.4-«  che  nessuna  ec. 
Costruzione:  che  (vale  qui  perciocché)  ogni  fiamma  imbola ^ 
ruba,  si  piglia 9  ^n  peccatore,  e  nessuna  mostra  il  furto j  nes- 
suna lascia  vedere  l'involato  peccatore. 

43  surto ,  alzato  in  piedi ,  da  surgere  ;  cioè  non  più  carpo- 
ne, come  per  colà  salire  era  dovuto  andare,  giusta  Tav viso  di 
sopra,  e  18. 

44  Sì,  dee  valere  tanto  in  riva^  e  sporto  eolla  %fita  sopra 
della  nuoi^a  bolgia ,  per  ben  discemere  che  fossero  quelle  &ni- 
me,  e  perciò  in  pericolo  di  cadere,  se  non  fossesi  appigliati» 
ad  un  ronchionej  ad  un  prominente  pietrone .  Vedi  Inf.  xxit. 
verso  28.  •-^•iSi,  s'appicca  col  surto ^ surto  si^e  però  non  solo 
vuol  dire  legato  in  piedi ,  ma  su  la  pianta  dei  piedi  eretto,  e 
alquanto  verso  il  fosso  inclinato,  come  apertamente  più  giù, 
verso  69.,  dichiara,  e  come  il  resto  del  terzetto  egualmente  dì- 
mostra.  BlAOlOLI.  '«^ 


CANTO  XXVI.  56 J 

Caduto  sarei  giù  senza  esser  uno . 
E  '1  Duca,  che  mi  vide  tanto  atteso,  46 

Disse:  dentro  dai  fuochi  son  gli  spirti: 

Ciascun  si  fascia  di  quel  ch'egli  è  inceso. 
Maestro  mio,  risposi,  per  udirti  49 

Son  io  più  certo j  ma  già  m'era  avviso 

Che  così  fusse,  e  già  voleva  dirti: 
Chi  è  'n  quel  foco,  che  vien  sì  diviso  5i 

Di  sopra ,  che  par  surger  della  pira , 

Ov'Eteòcle  col  fratel  fu  miso? 

45  46  urtOy  sincope  à'urtaio.  m^  atteso  vale  attento  •^^^ 
47  4^  dentro  dai  j  la  Nidob. ;  </en/ro  da\  Talti^  edisìoni  ; 
e  vale  qui  dai  lo  stesso  che  nei .  —  si  fascia  per  si  copre,  -hIì 
quetj  intendi  j  fuoco .  —  inceso  j  d^L  incendere  j  vale  abbru" 
dato*  »-^  di  auel  che  gli  è  inceso ,  legge  al  i^.  4^.  TAng.  E.  R. 
—  ch^eglif  cioè  nel  quale  egli.  Torelli.  «-« 

Nasconde,  cred'io,  Dante  in  cotal  modo  i  fi*odoIentì  con* 
siglierì  nelle  fiamme,  e  per  movimento  delle  fiamme  stesse, 
come  or  ora  vedremo,  li  fa  parlare,  allusivamente  al  dirsi  da 
san  Giacomo  la  cattiva  lingua  infiammata  a  gehenna.  Ep. 
cath.  cap.  3.  ^^,  6. 

5o  9^m*era  aivisOj  cioè  ni  era  ax^yisto  ^  at^eduto»  Il  P. 
Aichich  francescano ,  leggendo  nel  Y at.  3 1 99  merok^iso ,  di» 
vide  questa  parola  cosi:  ni  era  i/isoj  e  spiega,  m*era  sembra^ 
tOj  dal  latino  nUhi  i/isum  eraij  come  appunto  nel  i^.  54^  sotto 
dice  il  Poeta,  misOj  dal  latino  misusy  e  piii  giù  audi%^i.  Nota 
riferita  dall' E.  R.  nella  3.  edizione,  ^t^ 

53  54  Di  sopra  ,  nella  cima ,  che  par  surger  della  pira 
(massa  di  legne  adunate  per  abbmciarvi  soprai  cadaveri), 
Osf*Eteòcle  col  fratel  fu  miso.  Dopo  che,  per  ambizion  di 
regnare  in  Tebe,  si  furono  con  vicendevoli  colpi  ammazzati  i 
due  rivali  fratelli  Eteocle  e  Polinice,  gettatosi  ad  ardere  il  col- 
po di  questo  nella  stessa  pira  ove  già  il  corpo  di  quello  aixle\a, 
....  tremuere  rogi  (dice  Stazio) ,  et  no%^us  adi^ena  busto 
Pellitury  exundant  diviso  vertice  fiaimtiae  [a]. 

[n]  Vheb*  in., 4^0.  e  srg. 


564  IJVFERNO 

Risposemi  :  là  entro  si  martira  55 

Ulisse  e  Diomede,  e  cosi  insieme 
Alla  vendetta  corron,  com' all' ira: 

E  dentro  dalla  lor  fiamma  si  geme  58 

L'agnato  del  cavai,  che  fé' la  porta, 
Ond'usci  de' Romani  '1  gentil  seme. 

Si  discacciarono  auchc  ì  morti  corpi,  e  si  diYisero  le  fiamme 
ad  abbruciare  separatameate  V  uao  dalFaltro.  —  miso  j  messo, 
posto  j  collocato  f  in  rirnuj  dice  il  Volpi  ;  ma  trovasi  antica- 
mente adoperato  anche  fuor  di  rima: 

Non  avea  miso  mente 

jàllo  viso  piacente  [a] . 
55  al  57  si  martìraj  si  tormenta. -  Ulisse  e  Diomede.  Ri- 
pone qui  il  Poeta  nella  stessa  bicorne  fiamma  questi  due  famosi 
Gi'eci,  perocché  commisero  insieme  ai  danni  di  Troia  le  firaudì 
che  in  seguito  accenna  ;  e  però  dice ,  che  come  insieme  nel  mon- 
do furono  mossi  dall'ira  contro  de' Troiani  ad  usai*firodi,  così 
laggiù  si  movono  nella  stessa  fiamma  a  subire  la  yeniielta ,  la 
punizione  delle  fraudolenti  loro  opere.  9-^  Corrono  ni  la  ven- 
detta che  si  fa  sopra  di  loro  9  non  già  ch*essi  fanno .  Tob£lli.4-c 
5«S  al  6o,E  dentro  dalla  per  nella.  —  si  geme  j  piangono 
quogl' infelici,— Z'a^tto^o  del  casual >,  la  frode  commessa  col 
gran  cavallo  di  legno,  ripieno  nella  sua  cavità  di  scelti  sol- 
dati del  greco  esercito,  che  scioccamente  da' Troiani  iutrodono 
in  Troia,  operarono  la  distruzione  di  essa.  E  fu  cotale  ^ cle- 
mente frode  e  tradimento,  e  non  militare  lecito  stratagemma; 
imperocché  fu  contro  ai  patti  della  già  stabilita  pace  [^J.  -cA<* 
fé'  la  porta 9  il  grande  squarcio,  intendi ,  che  i  Troiani  feceni 
nelle  mura  della  loro  città  per  introdurvi  quella  smìsurau 
.macchina:  Diuidimus  muros  (faVh*gilio  dire  ad  Enea),  et  mae- 
nia  pandinuis  urbis  [e] .  —  Ond^usci  ec,  vale  ,  per  cagione 
del  qucd  fatto  uscì j  fugglssene  da  Troia  Enea, 'che  fu  il  se- 
ffie,  il  propagatore  del  romanosangue.il  Landino  e  il  Vellu- 
tcllo  per  onde  uscì  ec.  intendono  che,  fuggendo  Enea  daTroia^ 
se  ne  uscisse  per  l'apertura  medesima  per  cui  erasi  il  cavallo 

[a]  Rim.  M.  Pier  dalle  F'igne*  Fireoze  i5i7,  pag.  i  la.  [b]  Vedi  Dille 
Crei en se  de  bello  Trai,  lib.  5.  [e]  Jen,  ii.  a  3  4- 


CANTO  XXVI.  565 

Piangevisi  entro  Farte,  perchè  morta  6i 

Deidamia  ancor  si  duol  d'Achille; 
E  del  Palladio  pena  vi  si  porta. 


introdotto:  malamente  però ,  e  senza  verun fondamento ^  ricla- 
mano giustamente  il  Daniello  e  il  Venturi.  »-^Avvertirem 
quindi  col  Biagioli  il  lettore  di  non  riferire  Tidea  àeìVonde 
asci  7  seme  ec,  all'idea  della  rottura  delle  mura,  per  Tincoe-^ 
reoza,  dell'una  coiralti*a.  —  Gli  Editori  della  E.  B.  spiegano: 
Chefe^la  porta ,  che  fu ,  cioè ,  principio  e  cagione  della  uè" 
naia  di  Enea  in  Italia ,  asserendo  che  porta  in  lu(»go  di  prin* 
cipio  fu  usata  dal  Poeta  altra  volta .  «-« 

6 1  6a  Piangeuasi  entro ,  intendi  sempre  nella  bicorne  fiam* 
msL,»  Parte y  il  fraudolente  parlar  con  Achille  che  fece  Ulisse 
per  distaccarlo  da   Deidamia  e  condurlo  seco  all'assedio  di 
Troia,  dicendogli  esser  predetto  dagli  oracoli ,  che  senza  di 
lui  non  sarebbesi  Troia  soggiogata;  e  tacendo  Taltra  predizio- 
ne pur  degli  oracoli ,  che  se  fosscsi  Achille  portato  ni  troiano 
assedio,  v'avrebbe  lasciate  l'ossa;  il  perchè  Teti  di  lui  ma- 
dre, acciò  non  fosse  stimolato  da  veruno  a  portarvisi,  vestito 
avevalo  da  femmina  e  fatto  entrare  in  casa  di  Licomcde  a  con- 
vivere con  le  di  lui  figlie,  delle  quali  una,  di  cui  s'innamorò 
e  sposoUa,  fu  la  sopraddetta  Deidamia,  che,  dice  Dante,  non 
solamente  pianse  Achille  viva,  ma  prosiegue  a  piangerlo  an- 
che morta.  Gli  altri  Spositori  per  quest'arca  intendono  l'astu- 
zia adoperata  da  Ulisse  per  discernere  tra  le  figlie  di  Licomcde 
Achille,  che  fu  di  fingersi  mercatante,  e  tra  i  molti  donneschi 
vaghi  arredi  presentati  a  quello  stuolo,  inserirvi  un  bellissimo 
militare  scudo  ed  un'asta;  certo  che  a  questi,  e  non  a  quelli, 
avrebbe  Achille  posto  mano ,  come  fece  di  fatto  ;  ed  in  tal  modo 
fu  da  Ulisse  riconosciuto.  A  me  però  non  sembra  questo  uno 
stratagemma  degno  di  riprensione  e  di  pena.  «-♦Ma  d'onde  na- 
sce che  Deidamia  ,  bencnè  morta  ,  duolsi  ancora  di  Achille  ? 
Inclina  i!  Biagioli  a  credere  che  il  Poeta  il  dicesse  o  per  di- 
mostrare il  dolor  grande  di  quella  sventurata  nel  vedersi  la- 
sciar cosi  gravida  dal  marito  che  piii  non  rivide  ;  o  per  farci  in- 
tendere che  dolgasi  Deidamia  per  cagione  dell'infedeltà  d'Achil- 
le ,  cui  il  novello  amore  di  Polissena  spinse  a  morte.  4-« 

63  Palladio  j  statua  di  Pallade,  che  credevasi  dai  Troiani 
scesa  dal  cielo  nel  tempio  a  quella  Dea  fiibbricato  nel  piii  alto 


566  INFERNO 

S'ei  posson  dentro  da  quelle  faville  64 

Parlar,  diss*io,  Maestro,  assai  tea  priego, 
E  ripriego  che  Ipriego  vaglia  mille, 

Che  non  mi  facci  deirattender  oiego,  G7 

Finché  la  fiamma  cornuta  qua  v^na: 


della  loro  fortezza .  L'oracolo  d' Apolline  disse  j  che  avrebbe 
Troia  sofferto  rovina  ogni  qual  volta  fessesi  quella  statua  poi^ 
tata  fuor  delle  mura  della  città.  Ulisse  però  e  Diomede,  eoo 
frode  offensiva  alla  elezione  fattasi  di  quel  luogo  dalla  Dea 
stessa,  penetrati  colà  per  vie  secretCì  ed  uccisi  i  custodi,  se 
la  portarono  ;  onde  Virgilio: 

•  •  . Irnpius  ex  quo 

Tydides  sed  enim^  scelerumque  indentar  Ulijres^ 
Fatale  aggressi  sacrato  avellere  tempio 
Piilladiumy  caesis  sumtnae  eustodibus  iu-eis^ 
Corripuere  sacrani  efftgìemf  manibusque  crueniis 
yirgineas  ausi  di\^ae  contingere  vitias  f aj  . 
64  faville  per  fiamme.  Anche  tra  i  Latini  Claudiano,  par- 
lando dei  m9struo5Ì  tori  che  custodivano  il  tesoro  del  Re  Ecu 
in  Coleo,  esprime  le  fiamme,  che  questi  dalle  narici  manda- 
van  fuori,  col  termine  stesso  di  faville i 

Et  iuga  taurorum  rapidis  amhusta  fa villis  [b^ . 
6  j  66  ten  priego ,  ^E  ripriego ,  che  ^Ipriego  ec. ,  scherso 
di  pirole  simile  a  quell'altro:  lo  cretto,  enei  credette  y  ch'io 
credesse  [e].-  del  quale  vedi  ivi  la  critica  e  Ta polenta.  —  ten 
priego,  la Nidob.,piixcoerentcmentedeiraltreedisioiu,  chequi 
scrivono  prego ,  ed  in  seguito  ripriego,  che  V  priego.  ^che  7 
priego ,  che  la  preghiera ,  uaglia  mille ,  vaglia  quanto  può  va- 
lere ,  abbia  tutta  la  forza  d' impetrare.  •-♦Più  naturalmente  va* 
glia  per  mille  preghi,  come  spiega  il  Poggiali ,  e  con  esso  la 
E.  B.  —  Non  è  questo,  al  dir  del  Biagioli,  uno  scheno  di  pa- 
role ,  ma  un'espi*essione  di  gran  desiderio,  effetto  di  nobile  co» 
riosità,  comune  nel  domestico  parlare,  e  di  grande  eloquenxa.«-« 
67  68  JFar  niego,  come  mettersi  al  niego ,  per  fare  odaie 
n^ativa,  asato  anche  dal  Boccaccio.  Vedi  il  Vocab.  della  Cr. 
alla  voce  Niego ,  ''deirattender  finche  la  fiamnui  ec.,  di  aspeir 

[a]  Jeneid.  ii.  i63.e  seg.  [b]  DeML  CeL  a4'  [e]  IqL  xiiu  aS* 


CANTO  XXVI.  567 

Vedi  y  che  del  disio  ver  lei  mi  piego . 

Ed  egli  a  me:  la  tua  preghiera  è  degna  70 

Di  molta  lode;  ed  io  però  l'accetto: 
Ma  fa'  che  la  tua  lingua  si  sostegna . 

Lascia  parlare  a  me  ;  cir  io  ho  concetto  7  3 

Ciò  che  tu  vuoi; eh' e' sarebbero  schivi, 
Perch'ei  fur  Greci,  forse  del  tuo  detto. 

tai*e  fin  che  ec." cornuta  appella  quella  fiamma,  pei'ocehè  co- 
me di  sopra  ha  detto,  nella  sua  cima  divideasi  in  due. 

69  ver  lei  mi  piego  y  mi  sporgo  colla  vita  fuor  dell*  estre- 
mità dei  ponte,  cosi  permeglio  vedere  piegandomi , cAe , xVo 
non  avessi  un  ronchion  preso ,  -  Caduto  sarei  giù ,  versi  44* 
e  4^.  ^  disio  f  la  Nidobeatina;  desio  Tal  tre  edizioni. 

70  al  y2  m^la  tua  preghiera  ec;  nobile  e  dignitosa  si  è 
questa  risposta. BiAGioLt.«Hix<  sostegna  j  sì  sostenga ,  si  astenga 
dal  parlare. 

73  al  75  ch'io  ho  concetto  j  ho  conceputo,  ho  capito .•-►cAV 
rho  concetto,  gentil  variante  del  cod.  Vat.  3 199,  che  porta  un 
pleonasmo  assai  naturale  a  chi  paria,  ed  usato  negli  scrìtti  di 
buoni  autori.  L*Ang.  legge,  che  io  concetto  -  Ciò  che  vuoi  dir. 
E.  R.  <-•  sarebbero  schivi ^  ^Percheifur  Greci  ec.  Non  per- 
chè per  esser  Greci  non  intenderebbono  la  lingua  toscana  ;  come 
per  altro  espongono  alcuni  Comentatori ,  giacche  Virgilio ,  par- 
lando toscano,  fu  da  loro  inteso  (»-^vedi  il  i^.  20.  del  canto  che 
segue  ^-«  )  ;  (  alla  poesia  già  si  passano  questi  miracoli  )  ma  per- 
ché ,  siccome  Greci  dotti  ed  altieri ,  avrebbero  forse  sdegnato  di 
rispondere  e  soddisfare  alle  interrogazioni  fatte  da  Dante,  uomo 
allora  né  per  letteratura,  né  per  altro  pregio  famoso.  Il  prìego 
che  fa  Vii^lio  a  costoro  aggiunge ,  se  ben  si  rifletta ,  probabi- 
lità a  questa  interpretazione.  Venturi.  9^  che  sarebbero  schi^ 
yiy  al  V.  74*9  'cgS^  TAng.  E.  R. ,  ed  anche  il  Vat.  3 199.  -<-« 

Diceitdo  però  Virgilio  costoro  solamente  Greci  y  e  non 
dotti,  pare  che  anche  il  merito,  che  in  seguito  dice  di  loro  fat- 
tosi co*suoi  idti  versi  y  collocare  si  debba  ,  non  nella  fama  di 
sua  letteratura,  ma  nello  avere  nella  Eneide  di  essi  e  delle  gre- 
che loro  cose  favellato  :  ciò  che  né  Dante ,  né  Italiano  veruno 
mai  fino  a  qne* tempi  aveva  fatto.  —  schivi  del  tuo  detto  j  sde- 
gnanti le  preghiere  tue. 


568  INFERNO 

Poiché  la  fiamma  fu  venata  quivi,  7^ 

Ove  parve  al  mìo  Duca  tempo  e  Joco, 
In  questa  forma  lui  parlare  audivi  : 

O  voi,  che  siete  due  dentro  ad  un  fuoco,       79 
S'io  meritai  di  voi,  mentre  ch'io  vissi, 
S' io  meritai  di  voi  assai  o  poco , 

Quando  nel  mondo  gli  alti  versi  scrissi,  81 

Non  vi  movete  j  ma  l' un  di  voi  dica 
Dove  per  lui  perduto  a  morir  gissi, 

77  »-♦  Oi^e parve  vuol  dire  allorché  parve.  O^-e,  come  alle 
volte  il  latino  ubiy  è  qui  adoperato  per  avverbio  di  tempo  1 
esprimente  quando  j  allorché^  tàstochè;  ed  in  questo  signi- 
ficato non  di  rado  trovasi  presso  i  più  culti  italiani  scrittori  sì 
in  prosa  che  in  verso.  Poggiali,  ^-m 

78  audii^i  latino  per  udii.  Vedi  la  nota  al  v.  65.  del  primo 
canto  di  questa  cantica.  »-^ccIl  Daniello:  alla  latina  per  la 
»  rima.  —  Non  è  vero 9  mentre  gli  antichi  dicevano  audire  per 
M  udire .  Dante  da  Maiano  1 4o.  Le  lodi  e  7  pregio ,  e  7  sett^ 
»  no  ^  e  la  \falenza ,  ^CK aggio  sovente  audito  nonUnare*^^ 
»  altri  esempi  nel  Vocab.  della  Crusca.»  Toeelli. «-• 

'^i^m^dentra  un  focoj  Jegge  il  Vat.  3 191). 4^ 
80  meritai  di  voi  vale  quanto  meritai  vostra  grazia . 
8 a  gli  alti  versi  scrissi»  Virgilio,  oltre  molte  operette,  le 
quali  compose  nella  prima  adolescenza,  scrisse  tre  volami,  la 
Buccolica  j  la  Georgica  e  V Eneide.  Di  questi  il  primo  in  basso 
stile ,  il  secondo  in  mediocre ,  il  terzo  in  alto  e  sublime.  Adun- 
que dicendo  gli  alti  versi  y  intese  della  Eneide.  Lahdiho. 

83  run  di  voiy  intende  il  viaggiatore  Ulisse ,  «-►perchè  que- 
sti solo  è  l'oggetto  della  curiosità  di  Dante.  BugioIiI.«-« 

84  per  lui  gissi  vale  quanto  egli  se  h*andò.  Così  nel  e.  1. 
V.  tao..-  Non  vuolj  che  in  sua  città  per  me  si  vegnaj  cioè 
che  io  venga  in  sua  città.  Volpi.  •-►  Vi  è  chi  dice,  che  dopo  la 
guerra  di  Troia  con  sommo  coraggio  impegnatosi  Ulisse  con 
altri  egualmente  audaci  compagni  nella  allora  creduta  insegui- 
bile  navigazione  deirOceano  di  là  dal  Freto  Gaditano  (oggi^ 
Stretto  di  Gibilterra) ,  dopo  aver  fondata  Lisbona,  detta  però 
dal  suo  nome  in  greco  ed  in  latino  UljssipOj  fatta  rotta  a  si- 


CANTO  XXVI.  569 

Lo  maggior  coroo  della  fiamma  antica  85 

Cominciò  a  crollarsi,  mormorando, 
Pur  come  quella ,  cui  vento  affatica . 

ludi  la  cima  qua  e  là  menando,  88 

Come  fosse  la  lingua  che  parlasse, 
Gittò  voce  di  fuori,  e  disse:  quando 

nistra  del  detto  Stretto,  e  scorso  un  buon  tratto  del  mare  Atlan- 
tico attorno  airAffrìca,  quivi  finalmente  perisse  pcn'una  tem- 
pesta .  Facendo  comodo  a  Dante  questa  opinione  circa  la  navi- 
gazione e  la  morte  di  Ulisse  j  che  ha  per  autori  Plinio  e  Solino, 
«uopone  come  certa  questa,  tuttoché  meno  ricevuta ,  istoria 
della  navigazione  di  Ulisse ,  ed  a  norma  di  essa  lo  fa  qui  par* 
lare.  Poggiali.  —  Dal  racconto  però  che  fa  in  seguito  Ulisse; 
si  vede  chiaramente  che  Dante  non  ha  in  tutto  seguita  l'opi- 
nione di  Plinio  e  di  Solino  ;  e  di  fatti  proponendo  iigreco  eroe 
a' suoi  compagni  di  dirigere  il  loro  viaggio  dietro  il  coi^o  del 
Sole  per  iscoprire  il  mondo  senza  gente  (i^.  1 17-) 9  sembra 
evidente  che  quel  capitano  non  avesse  in  pensiero  di  navi- 
gare intomo  air  Affrica,  la  cui  costa  occidentale  giace  tutta  al 
sud  dello  Stretto  di  Gibilterra;  inoltre  è  da  notare  che  il  viag- 
gio segui  appunto  nella  proposta  direzione  verso  ponente ,  pie- 
gando  però  al  mezzogiorno  (1^.  ia4*  al  i!i6.  ),  vale  a  dire  al 
sud-ovest  ;  e  che  Ulisse  dopo  cinque  mesi  di  navigazione  era 
pervenuto  alla  linea  equinoziale,  0  aveala  oltrepassata  (y,  1 27. 
al  I  ag.)  y  quando  scopri  un'altissima  montagna ,  e  peri  co'suoi 
compagni  naufragando. 4-« 

8j  Lo  maggior  cornai  dei  due  comi,  ne* quali  la  fiamma 
divideasi,  finge  maggiore  quello  in  cui  era  Ulisse,  per  essere 
Ulisse  personaggio  assai  piii  celebre  di  Diomede,  ch*era  nell'al- 
tix)  corno. -/tom/na  antica  j  per  rapporto  ai  moltissimi  secoli 
che  già  erano  scorsi  dopo  la  morte  di  Ulisse  e  Diomede. 

86  a  crollarsi ,  mormorando ,  a  scuotersi  ed  a  far  mormo- 
rio; e  tale  scuotimento  e  mormorio  era  cagionato  dall'avvia- 
mento che  prendevano  per  uscire  dalla  fiamma  le  parole  di 
Ulisse.  Vedi  il  i^.  i3.  e  scgg.  del  canto  seguente,  che  quel 
passo  dà  lume  a  questo,  e  questo  a  quello. 

87  quella^  intendi  ftanuna .  ^'  affatica^  agita. 

90  •-►Fa  bel  principio  alla  parlata  d'Ulisse  il  quando ,  spic- 
cato dal  resto  del  verso.  Biaoioli.  4-0 


570  INFERNO 

Mi  diparti'  da  Circe,  che  sottrasse  91 

Me  più  d*  un  aono  là  presso  a  Gaeta , 
Prima  che  si  Enea  la  nominasse; 

Ne  dolcezza  del  tìglio ,  né  la  pietà  g\ 

Del  vecchio  padre,  né  '1  debito  amore. 
Lo  qual  dovea  Penelope  far  lieta, 

91  9:1  Circe y  maga  famosa,  che  convertiva  gli  uomini  iu 
bestie .  Avendo  Ulisse  risaputo  che  riteneva  costei  presso  di  sé 
in  cotal  gttisa  trasformati  alcuni  de* suoi  esploratori,  premuni- 
tosi d'erbe  contro  gl'incantesimiy  portossi  ad  assalirla  nella  pro- 
pria magione .  Avvenne  però  9  che  dalle  minacce ,  colle  quali 
ottenne  la  restituzione  de' suoi  uomini,  passò  ad  invaghirsi  del- 
la Maga  ed  a  restarsene  con  lei  più  d'un  anno.  —  sottrasse 
-il/e,  quasi  furò  me  a  me  medesimo ,  chiosano  la  maggior  parte 
degli  Espositori;  a  me  però  sembra  meglio  d'intendere  col 
Volpi ,  che  sottrarre  vaglia  qui  quanto  nascondere  ;  essendo 
Ulisse  di  fatto,  per  quel  tempo  che  rimase  presso  di  Circe,  stato 
al  mondo  ed  alla  Caona  nascoso.  —  là  presso  a  Gaeta  y  cioè  a 
quel  luogo  che  è  tra  Gaeta  e  Capo  d'Anzio,  che  da  essa  Circe 
monte  Circeio  e  Circello  s*appella. 

93  Prima  ec»  Accenna  cosi  Ulisse  d'essergli  ciò  avvenuto 
prima  che  Enea  venisse  in  Italia;  essendosi  Gaeta  nomata  da 
Gaeta  nutrice  d'Enea 9  che  venuta  seco  lui  in  Italia,  ivi  mori 
e  fn  sepolta  [a]. 

94al  96  »^Notinsi  in  questa  terzina  le  vei*e  e  diverseespres- 
sioni  dei  santi  affetti  di  natura.  Biaoioli.  -Prima  al  figlio,  poi 
al  padre,  quindi  alla  moglie  siamo  per  amore  inclinati ,  secondo 
Virgilìo:^jcamfii?»,  patremquemeumy  coniugemque  Creusam. 
PiETao  Davtb.  e.  ^.'^^  dolcezza  del -figlio^  il  piacere  di  aver 
vicino  e  di  abbracciare  il  figlio  Telemaco .  -<^o/i?ez^a  del  figlio 
leggono  divisamente  dalla  Nidob.  l'altre  ediz.  »-^e  il  codice 
VaU  3  i99.4-«piefd  -  Del  i^ecchio  padre.  Pietà  può  qui  signi- 
ficare o  quel  medesimo  che  dice  Cicerone,  Pietas  est  uoluntas 
graia  in  parentes  [i] ,  o  anche  l'attristamento  del  vecchio  ge- 
nitore Laerte,  da  Ulisse  preveduto  se  risolvevasi  di  abbando- 
narlo per  viaggiare .  — •  né  7  debito  amore ,  coniugale .  ^do^a 

[a]  Atftteid.  vii,  ne*  primi  versi,  [b]  Pro  Plancia» 


CANTO  XXVI.  571 

Vincer  poterò  dentro  a  me  l'ardore,  97 

Ch'io  ebbi  a  divenir  del  mondo  esperio, 
E  degli  viz)  umani,  e  del  valore; 

Ma  misi  mi  per  Tallo  mare  aperto  tao 

Sol  con  un  legno,  e  con  quella  compagna 
Picciola ,  dalla  qual  non  fui  deserto . 

L'un  li  IO  e  T  altro  vidi  infin  la  Spagna,        io3 
Fin  nel  Marocco ,  e  Y  isola  de'  Sardi , 


Penelope  far  lieia  »  rendere  contenta ,  ansi  che  disgustarla  col- 
r  abbandono. 

97  F'incer  poterò  dentro  a  ntOy  cosi  la  Nidob.,  più  dolce- 
mente dell'  altre  edì  zioni  m^  e  del  codice  VaL  3 1 99  4-a  che  leg- 
gono y  F'incer  poter  dentro  da  me  ec»  —  V  ardore  ^  il  deside- 
rio grande. 

99  •-»  £*  degli  inzj  wnaniy  e  del  valore .  Valore  è  ansAi 
potenzia  di  natura ,  ovvero  bontà  da  quella  data.  (  Dante  Conv* 
fac.  195.)  E.  F.  4-« 

100  misimiy  la  Nidob.;  misi  me,  T altre  ediz.  •-►  e  il  eod. 
VaU  3 199. 4-«  mare  aperto^  intende  del  mar  Ionio,  il  q^ale  è 
ampio  e  spazioso.  0)sl  il  Landino,  eh* è  il  solo  tra  gli  Espc^ 
si^ori  a  riflettere  su  tale  efuteto.  Io  però  direi  piuttosto  che 
intenda  dell'Oceano,  di  quel  mare  in  cui  esso  il  primo  si  mi- 
se, e  vi  peri  ;  e  che  aperto  lo  dica  per  contrapposizione  a  Me* 
diterraneo,  che  significa  serralo  intorno  dalla  terra;  e  che  final- 
mente il  riaggio  che  premette  fatto  nel  Mediterraneo,  non  ad 
altro  fine  premetta ,  che  per  dire  il  come  giunse  al  detto  aperto 
mare-,  air  Oceano. 

101  loa  compagna,  compagnia.  Modo  usato  dagli  antichi 
di  levar  Vi  a  si  fatte  voci.  Vocab.  della  Gr. ,  che,  oltre  a  questo 
di  Dante,  ne  dà  altri  esempj  parecchi  in  verso  ed  in  prosa. 
^^  deserto,  abbandonato. 

io3  m^  insin  in  luogo  dUnfin  legge  TE.  R.  nella  3.  edizione 
col  Vat.  3199,  per  evitare  i  due  jtn  cosi  da  presso.  -^  in/tn 
la  Spagna  è  maniera  ellittica  famigliare  agli  antichi:  qui  vuol 
dire  infino  alta  Spagna.  Poooiali.4-« 

I  o4  Marocco ,  provincia  litlorale  ed  occidentale  deirAffri- 
ca .  '—  risola  de* Sardi,  la  Sardegna,  isola  del  Mediterraneo. 


57^1  INFERNO 

E  r altre,  che  quel  mare  ÌDiorno  bagna. 
Io  e  i  compagQÌ  eravam  vecchi  e  tardi,         io6 

Quando  venimnio  a  quella  foce  stretta , 

Ov' Ercole  s^nò  li  suoi  riguardi, 
Acciocché  Tuom  più  oltre  non  si  metta.       109 

Dalla  man  destra  mi  lasciai  Sibilia , 

Dall'altra  già  m'avea  lasciata  Setta. 
O  frati ,  dissi ,  che  per  centomilia  1 1 1 

106  107  eraifom  i^ecchi  e  tardi  j'^  Quando  svenimmo  ec. 
Accenna  cQ  aver  consumato  mollo  tempo  girando  pel  Mediter* 
raneo.  — foce,  imboccatura. -^fre^ta,  rapporto  alla  grandezza 
de*  mari,  tra  i  quali  ammette  comunicazione  9  ma  però  perse 
stessa  larga  miglia  piii  di  dieci .  Appellasi  oggi  Stretto  dì  Gì* 
bilterra . 

1 08  1 09  0%^*  Ercole  ec.  9  ove  si  dice  che  Ei^cole  segnò  li  suoi 
riguardi^  cioè  pTse  il  segno  a'  naviganti  9  per  lo  quale  essi  aves- 
sero riguardo  di  non  procedere  piii  oltre  navigando  ;  i  quali  ri- 
guardi furono  le  colonne  nomate  da  lui  y  che  sono  due  monti , 
uno  dalia  parte  d'Affrica 9  detto  AbUa^  e  Taltro  su  quella  di 
Europa,  Calpe  appellato,  pensando  esso  che  più  oltre  andar 
non  si  potesse.  Daniello.  •-►Non  usò  qui  Dante  una  strana 
metafora,  come  vogliono  alcuni  Chiosatori ,  né  una  6gura ,  sic- 
come crede  la  Crusca ,  ma  quel  solo  termine  proprio  che  ado- 
prano  i  Romagnuoli  a  nominare  i  termini  che  dividono  i  cam- 
pi, e  i  pali  e  le  colonne  che  difendono  le  vie,  perchè  queste 
e  quelli  essi  appellano  riguardi*  Pbbticari.  [aj.  <-■ 

1 1 0  Sibilia  j  o  Sii^iglia ,  nobile  città  nelle  ultime  parti  della 
Spagna ,  vicina  allo  Stretto.  Volpi  . 

Questa  navigazione  di  Ulisse  nelV Oceano,  con  tutto  il  dì 
più  che  se  le  aggiunge ,  se  non  tro volla  Dante  scritta  da  altri , 
potè  esso  idoneamente  fondarla  (  avverte  il  Venturi  saggiamen- 
te )  su  r opinione  di  Plinio  e  di  Solino ,  che  Ulisse  fu  fonda- 
tore di  Lisbona,  città  littorale  di  quel  mare. 

1 1 1  Setta  j  Septa  in  latino,  oggi  Ceuta^  città  dell'Affrica  so 
lo  Stretto  di  Gibilterra . 

1 1 'i  frati ,  Catelli .  — >  milia  per  mi7/e ,  dal  latino  mitlia ,  voce 

[a\  Prop.  voi.  'j.  P.  II.  fvc.  3dS. 


CANTO  XXVI.  573 

Perigli  siete  giunti  alF occidente, 
A  questa  tanto  piccola  vigilia 
De  vostri  sensi ,  eh'  è  del  rimanente ,  1 1 5 

Non  vogliate  negar  l'esperienza, 
Diretro  al  Sol,  del  mondo  senza  gente. 

che  si  ode  in  qualche  paese  d'Italia  aiich»a*dì  nostri.  -*  Apresi 
questa  allocuzione  nella  stessa  guisa  di  quella  che  Enea  fé* ai 
compagni  [a]  : 

O  Sociiy  ncque  enim  ignari  sumus  ante  malorum  y 
O  passi  grauiora ,  ec.  E.  R. 
m^  In  questa  breve  orazione  di  Ulisse  ai  compagni  sentesi  quel 
franco  e  maestoso  andar  virgiliano  che  al  verso  suo  sa  cosi 
bene  e  a  proposito  imprimere  l'Epico  latino.  Volle  il  Poeta  no- 
stro in  questo  luogo ,  imitando  il  maestro  suo  nell'orazione  che 
pone  in  bocca  ad  Enea ,  O  Sociiy  ec,  y  dimostrarsi  non  già  imi- 
tatore, ma  degno  suo  rivale  ed  emulo;  e  lo  vinse  senza  dub- 
bio, se  non  in  altro ,  nella  nobiltà  dei  sentimenti .  Biagioli.  4-« 

I  ]3  ali* occidente y  e  quanto  al  luogo,  perchè  in  occidente 
«;rano(  cioè  nella  occidentale  estremità  della  terra  deiremisfei*o 
nastro  ),  e  quanto  all'età  loro,  che  erano  già  vecchi ,  come  di 
sopi*a  disse .  Vbllutbjllo. 

1 1 4  al  w]  A  questa  ec*  Costruzione  «*  Non  tagliate  a  que^ 
sta  tanto  picciola  vigilia  (  tanto  corta  vita  )  de'^uostri  sensi  y 
eh* è  ilei  rimanente  (  che  vi  rimane:  corrisponde  alla  frase  la- 
tina qnae  dereliquo  est)y  negar  l*  esperienza  del  mondo  .re/i» 
za  gente  (  negar  la  soddisfazione  di  vedere  e  toccare  il  d'  uch 
mini  vuoto  terrestre  emisfero  ) ,  diretro  al  Soly  intendi,  ram- 
minando y  cioè  da  oriente  in  occidente.  Notisi  che  sebben Dante 
ignori  ciò ,  che  a' suoi  tempi  non  era  per  anche  reso  certo,  chò 
pure  nell'emisfero  opposto  al  nostro  vi  sono  uomini,  non  però 
prnsa,  com' hanno  altri  erroneamente  pensato,  che  neppure 
vi  possono  stare  ;  imperocché  dice  egli  di  esservi  stato ,  e  di  aver 
ivi  pure  trovato  monti ,  piante ,  fiumi  ec.  come  di  qua.  m^  del 
mondo  senza  gente y  cioè  di  quella  parte  che  è  sotto  di  noi, 
ove  non  ha  alcuna  gente .  Onde  s.  Agostino  nel  xvi.  de  Cit^i" 
tate  Dei  dice  :  nimis  absurdum  est  ut  dicatur  aliquos  ho* 
mines  ex  hac  illatn  parlem  y  Oceani  immensitale  traiectay 

[a]  Vtrg.  Jeneìd.  i.  v,  189.  e  scgg. 


574  INFERNO 

Considerate  la  vostra  semenza  :  1 1 8 

Fatti  non  foste  a  viver  come  bruti , 
Ma  per  seguir  virtute  e  conoscenza . 

Li  miei  compagni  fec4o  si  acuti,  121 

Con  questa  orazion  picciola,  al  cammino, 
Ch*  appena  poscia  gli  averci  tenuti  • 

£  volta  nostra  poppa  nel  mattino,  ia4 

De' remi  facemmo  ali  al  folle  volo, 

navigare  ac  pervenire  potuisse ,  Pibtbo  Dijrrfl*  Cosi  erede- 
vasi  allora.  E.  F.  — -  De* nostri  sensi  j  legge  TAnc.  E.  R.^  e 
eh*  è  di  rimanente  f  il  co(L  Vat.  8199  e  la  3.  rom.  edizione,  ^-a 

1 18  vostra  semenza j  vostra  umana  origine,  vostra  umana 
natura. 

lao  m^  Ma  per  seguir  wrtute  e  conoscenza.  Conosoenu 
presso  gli  antichi  vale  scienza  ^  a  cuij  come  dice  Dante  nel  prin- 
cipio del  Convito,  ciascuna  cosa  da  provvidenza  di  propria 
natura  incinta  è  inclinabile ,  e  però  tutti  naturalmente  al 
suo  desiderio  siamo  suggetti,  E.  F.  4-« 

121  122  Acuti  feci  al  cammino  i  miei  compagni  dice ,  in 
luogo  di  dire,  aguzzai y  eccitai,  la  voglia tie^miei  compagni 
al  divisato  eammino. 

123  tenuti y  la  Nidob.;  ritenuti ^  1* altre  edizioni,  »-»  il  cod. 
Vat.  3 1 99  e  la  3,  rom  ediz. ,  trovando  cosi  1*  E.  R.  maggiore 
armonia  nel  verso.  Ma,  0  egli  s' inganna  ^  o  il  nostro  orecchio 
non  è  un  buon  giudice. 4-« 

1 24  volta  nostra  poppa  nel  (  verso  [a]  )  mattino ,  vale  quan- 
to ,  voltata  la  prora  di  nostra  nave  verso  sera ,  verso  occi- 
dentCy  per  tener  dietro  al  Sole,  come  disse  al  i^.  117.  •-»  Ag- 

S lungi  alla  voce  mattino  un  altro  valore  non  osservato,  quello 
i  levante  f  cioè  verso  la  parte  dove  nasce  il  mattino .  Mov- 

».  ib].  « 

125  De^remi  facemmo  ali.  Questo  è  come  a  dire:  i  remi 
non  come  remi  movemmo j  ma  come  ali  velocemente.'^ volo 
per  corso  corrisponde  al  detto  de^  remi  facemmo  ali .  ''folle  f 
malavventurato:  accenna  il  cattivo  esito  di  quella  navigazione* 
che  è  per  dire  nel  fine . 

[m]  Vedi  il  Claon.  Pariic.  ^79.  11.  [b]  Prop.  voi.  3.  P.  1.  f«c  t  is. 


CANTO  XXVI.  575 

Sempre  acquistando  del  lato  niaociao . 
Tutte  le  stelle  già  dell* altro  polo  137 

Vedea  la  notte,  e  '1  nostro  tanto  basso, 

Che  non  surgea  di  fuor  del  raarin  suolo. 
Cinque  volte  racceso,  e  tante  casso  i3o 

Lo  lume  era  di  sotto  dalla  Luna, 

196  acquistando  del  lato  mancino y  verso  il  polo  antarti- 
co »  il  qaale,  a  chi  dal  Mediterraneo  esce  nell'Oceano  »  resta 
a  mano  mancina  y  cioè  alla  sinistra  mano,  m^  dal  latOj  legge 
l'Ang.  £•  R.  e  il  Val,  3 199.  4^ 

127  deltakro  poloy  antartico  • 

I  a8  Vedea  la  notte .  A  quanto  veggo  y  nissuno  degli  Espo* 
sltori  né  vecchi  né  moderni  prende  a  considerare  queste  parole , 
fnorchè  il  Daniello  :  dice  (  ecco  la  di  lui  chiosa  )  poeticamente 
che  la  notte  i^edea  le  stelle  y  come  anche  disse  il  Petrarca  t 
Nò  là  su  sopra  il  cerchio  della  Luna 
Vide  mai  tante  stelle  alcuna  notte  [a]. 
Potendo  però  l'articolo  luy  posto  avanti  a' nomi  di  tem« 
pò  y  valere  lo  atesso  che  di  o  nella y  come  lo  vale  in  quell'al- 
tro del  Petrarca  ; 

oggi  ha  sett*  anni  y 

Che  sospirando  vo  di  riva  in  riva 
La  notte  ^  e  7  giorno  [b]  i 
potremmo  ancora  intendere  che  vedea  la  notte  vaglia  quan- 
to vedeuio  di  notte  *^^  e  7  nostro  y  intendi  y  polo  y  il  polo 
artico. 

1 29  Che  non  surgea  di  fuor ,  la  Nidob.  ;  ctie  non  surgeva 
/bor,  l'altre  edizioni,  »-»ecoicodd.Ang.eVaL  3i99]a3.rom. 
edizione  ;  4-«  e  vuol  dire  che  osservava  la  stella  nostra  polare 
tempre  nell'orizzonte ,  a  fior  dell'acqua  marina. 

i3o  i3i  Cini/ue  volte  racceso  ec,:  cinque  volte  sieraillu* 
minato  y  ed  altrettante  volte  oscurato  l'emisfero  della  Luna  piii 
basso  y  che  è  quello  vólto  alla  terra ,  e  che  noi  dalla  terra  ve- 
diamo; eh' è  poi  in  sostanza  come  a  dire  eh'  erano  scorsi  già 
cinque  pleniluni,  cinque  mesi  y  da  che  erano  entrati  in  quel 
vasto  mare. 

[a]  Caas.  Ijé  i.  [b]  Caos.  7.  5. 


576  INFERNO 

Poich' entrati  eràvam  nell'alto  passo; 
Quando  n  apparve  una  montagna^  bruna      i33 
Per  la  distanza ,  e  parvemi  alta  tanto, 
Quanto  veduta  non  n'aveva  alcuna. 

102  neir  ulto  passo  f  neiralte  acque  deirOceaoo  •  m^altroj 
forse  anche  per  errore  di  copista,  legge  il  VaU  3  igq.  4-« 

1 33  1 34  montagna  j  bruna  -  Per  la  distanza  :  che  per  ca- 
gione della  distanza  appariva  bruna  j  oscura.  •-♦  Quanto  è  piii 
sublime  del  virgiliano  : 

Quarto  terra  die  primum  se  attollere  iandetn 
Visa  y  aperire  procul  montes  y  oc  voli^ere  fumum  • 
Veramente  dove  i  due  Poeti  s'incontrano,  quello  c^  da  Vir- 
gilio in  pili  lussureggianti  pennellate ,  dal  Poeta  nostro  oonmi 
sol  ti'atto  y  eh*  assai  piìi  adopera  j  si  ritrae.  Bugiou  •  —Mdti  de- 
gli antichi  geografa ,  sulle  tracce  di  Platone  e  di  altri  dotd 
Greci  9  hanno  conosciuta  una  terra  molto  a  iioi  occidentale , 
detta  Atlantide  y  perchè  nel  mare  Atlantico  .  Di  questa  tem 
può  esser  che  supponga  qui  Dante  che  fosse  parte  questa  mon- 
tagna ,  Poggiali*  <<-« 

Tra  i  sentimenti  varj  de'  teologi^  intomo  al  luogo  dove 
esistesse  il  terresti*e  Paradiso  y  riferisce  Pietro  Lonabardo  avere 
alcuni  opinato  esse  paradisutn  longo  interiacenle  spatio  vel 
maris  9  yet  terrae  regionibus  quas  ineolunt  homines  secre* 
tumy  et  in  alto  situni  «  usque  ad  iunaì*em  circulum  pertingen* 
tem  4  unde  nee  aquae  diluvii  illucpervenerunt  \a\ .  Pìacialo 
essendo  al  Poeta  nostro  il  pensiero,  ha  finto  in  mezzo  al  terre- 
stre emisfero  sotto  di  noi  un  monte  altissimo,  attorniato  d'<^ 
intorno  da  immenso  mare,  nel  quale ,  oltre  di  avervi  nella  cima 
coUpcalo,  a  tenore  della  pre£sita  opinione,  il  Paradiso  terrestrei 
vi  colloca  intorno  alle  falde  anche  il  Purgatorio.  EUl  è  questa 
la  moutagua  che  dice  qui  veduta  da  Ulisse,  e  su  della  quale 
salila  esso  Dante  nella  seconda  cantica .  »-»  Quantunque  tutti  i 
Comentatori  da  noi  cons  ulta  ti  concordino  nell'opinione  qui  emes- 
sa dalLombardi ,  ciònon  pertanto  il  sig,  Gingnenè  asserisce  es- 
sere questa  opinione  assai  mal  fondata,  non  trovandosi  in  alcun 
luogo  della  Divina  Commedia  chiara  indicazione  che  la  montagna 
scoperta  da  Ulisse  sia  precisamente  quella  del  Purgatorio.  «-• 

[a]  iVr/i/.  ViK  t.  di>t.  1 7, 


CANTO  XXVI.  577 

Noi  ci  allegrammo ,  e  tosto  tornò  in  pianto  ;  1 36 
Che  dalla  nuova  terra  un  turbo  nacque, 
E  percosse  del  legno  il  primo  canto. 

Tre  volte  il  fé' girar  con  tutte  Tacque;  i^Jg 

Alla  quarta  levar  la  poppa  in  suso , 
E  la  prora  ire  in  giù  coni'ahrui  piacque, 

Infin  che  '1  mar  fu  sopra  noi  richiuso  • 

1 36  ci  allegrammo ,  della  nuoYa  scoperta .  -  e  tosto  .*  ha  qui 
la  particella  e  la  (orza  stessa  dì  ma .  Vedine  altri  esempj  pi*esso 
i  1  Ciaonio  [a].  -*  tornò  InpìantOy  ellissi,  supplisci,  rallegro  zza. 

i3y  t38  modella  invece  di  dalla y  legge  il  Vat.  3199. 4-« 
un  turbo f  un  burrascoso  vento,  m-^ trombo jhB  TAng.,  e  forse 
sarà  parola  romanesca.  E.  R.4-«  il  printo  canto  del  legno y  la 
parte  anteriore,  la  prora ^  della  na\e. 

iSg  1/,  pronome,  vale  esso  legno.  —  con  tutte  P acquei  la 
voce  tutte  non  istà  qai  che  per  riempitiva  ;  come  in  quelle  pa- 
role del  Boccaccio  :  incontanente  il  letto  con  tutto  Messer  7b- 
rello  fu  tolto  via  \b\  \  e  vuole  dire,  che  il  prefato  turbine  creò 
in  quelFacque  un  vorticoso  moto  che  aggirò  tre  volte  la  nave 
seco,  imitando  quel  Virgiliano  [e]: 

ast  illam  terfluctus  ibidem 

Torquet  agens  circum ,  et  rapidus  vorat  aequore  vortex . 

1 4o  1 4 1  jilla  quarta  levar  ec.  Reggesi  questo  e  il  seguente 
>erso  dal  verbo  fendei  verso  precedente,  come  scritto  fosse  : 
alla  quarta  volta  fe^  levar  la  poppa  in  susoy  e  la  prora  ire 
in  giù .  -  com*altrui  piacque ,  a  Dio  :  ma  ne  tace  il  nome,  per- 
chè cosi  richiede  il  carattere  di  chi  parla .  Vbhtubi.  m^  Sem- 
bra agli  Editori  della  E.  B.,  che  queste  parole  sieno  mosse  da 
un  certo  sentimento  di  dolore  del  non  avere  egli ,  mentre  vis- 
se y  conosciuto  e  venerato  il  vero  Dio  ,  il  cui  nome  non  osa  pei^ 
ciò  di  proferire  in  questo  luogo .  ^-m 

[a]  Puriie,  loo.  i9.  [b]  Gioni.  10.  Nov.  g.  [e]  AeneìH.  i.  1 16.  e  S8g. 


/'o/.  /.  ó 


7 


CANTO   XXVII. 


<>c* 


ARGOMENTO 

Trattando  il  Poeta  nel  presente  canto  della  medesima 
pena^  segue,  che  si  volse  a  un  Mira  fiamma  y  nella 
quale  era  il  conte  Guido  da  Montefeltro,  il  quale 
gli  racconta  chi  egli  è,  e  perchè  a  quella  pena  è 
condannato  « 

ijrià  era  dritta  in  su  la  fiamma  e  quela,  i 

Per  Qon  dir  più,  e  già  da  noi  sea  già 
Con  la  licenza  del  dolce  Poeta  : 

Quando  un'altra,  che  dietro  a  lei  venia,  4 

Ne  fece  volger  gli  occhi  alla  sua  cima , 
Per  un  confuso  suon  che  fuor  n'uscia. 

Come  '1  bue  cicìlian ,  che  mugghiò  prima  y 

Col  pianto  di  colui,  e  ciò  fu  dritto, 

1  Già  era  dritta  in  su  j  e  queta ,  cioè  non  più  sì  piegava , 
né  si  moveva  y  come  fatto  aveva  mentre  Ulisse  parlava.  Vedi 
il  V.  88  del  passato  canto-  a^^in  su  la  fiamma  queta^  il  co* 
dice  Ang.  E.  R.  4-« 

2  m^  Per  non  dir  più ,  perchè  non  diceva,  non  parlava  pìii. 

BlAG10LI.4-« 

3  con  la  licenza  del  dolce  Poeta  j  di  Vii^ilio,  che  prima 
l'aveva  eccitato  a  parlare,  canto  preced.  v.  83.,  e  che  detto  ave- 
va a  quella  fiamma:  issa  ten  va^  più  non  t^adizzo ,  come  si 
suppone  qui  appresso,  i^.  ai, 

7  al  9  »-►  Sempre  sorprende  Dante  il  lettore  colla  novità  e 
pi*oprìetà  delle  similitudini ,  p'oduceodo  colle  piii  semplici  im« 


CANTO  XXVII.  579 

Che  Tavea  temperato  con  sua  lima, 
Mugghiava  con  la  voce  dell'afflitto  10 

Si,  che,  eoa  tutto  eh' e' fosse  di  rame, 

Pure  el  pareva  dal  dolor  trafitto  ; 
Cosi ,  per  non  aver  via  uè  forame  1 3 

Dal  priocìpio  nel  fuoco ,  in  suo  linguaggio 

Si  coQvertivan  le  parole  grame. 

mAgini  e  più  naturali  V  effetto  stesso  che  altri  per  le  più  straor- 
dinarie cercano  invano  di  produrre.  Biagioli.  4-«  7  bue  cici' 
lian  9  il  toro  di  bronzo  costruito  da  Perillo  ingegnere  Ateniese, 
e  regalato  a  Falaride  tiranno  di  Sicilia  (  detta  dagli  antichi  To- 
scani Cicilia  )  9  acciò  >  tra  i  varj  gusti  che  prende  vasi  costui  nel 
tormentare  gli  uomini ,  avesse  quello  pure  di  udire  quel  toro 
muggire  a  forza  di  strida  d'uomini  che  vi  facesse  dentro  vivi 
abbruciare .  Ma  mugghiò  prima  j  la  prima  volta ,  col  pianto  di 
Perillo  stesso,  cou  cui  volle  Falaride  fare  la  prima  esperienza. 
—  e  dò  fu  dritto  j  fu  giusta  ricompensa  a  si  perverso  inveii^ 
tore*  —  temperato  con  sua  lima  vale  quanto,  preparato  coll^ 
sue  mani  f  o  lavorato  co* suoi  ferri , 

■  4  i5  Dal  principio  nel  fuoco  jl^LÌiidoheaiìnA;  Dalprìn^ 
cipio  del  fuoco ,  l'altre  edizioni  :  ma  questa  seconda  lezione  ha 
sempre  intorbidata  la  costruzione  talmente,  che  o  hanno  gli 
Espositori  schivato  di  presentarcela  ,  o  vi  sono  riusciti  mala- 
mente ,  capendo  che  dal  principio  valesse  come  dalla  cagione , 
o  simil  cosa,  e  che  il  principio  stesso  del  fuoco  fosse  quello 
che  convertisse  in  suo  linguaggio  le  parole .  Mai  no .  Ciò  che 
il  Poeta  siegue  a  dire  :  Ma  poscia  àCeoher  ec.  y  dà  chiai*amente 
a  conoscere  che  dal  principio  vale  qui  lo  stesso  che  da  prima , 
da  principio  [al ,  ea  argomenta  la  necessità  di  leggersi  nelfuo-* 
co,  e  non  del  fuoco ,  e  di  farsene  la  costruzione  nel  seguente 
modo  :  Così  le  parole  grame  (  epiteto  traslato  dalla  persona  al- 
l'azione  )  dal  principio ,  per  non  aver  nel  fuoco  via  né  fo* 
rame  (  intendi  onde  uscirne  ) ,  si  convertivano  in  linguaggio 
suo  f  cioè  dello  stesso  fuoco  ;  non  distinguendosi  dal  mormorio 
che  fa  la  fiamma ,  cui  vento  affatica  •VeggAnsì  in  maggior  prova 
i  versi  83.  e  segg.  del  precedente  cauto,  e  58.  e  segg. del  pre« 

n    Dell'uguaglianza  delle  due  paflieelle  da  t  dai  vedi  ilCìnon.  cap.  7.  o.u 


58o  INFERNO 

Ma  poscia  eh'  ebber  colto  lor  viaggio  1 6 

Su  per  la  punta,  dandole  quel  guizzo, 
Che  dato  avea  la  lingua  in  lor  passaggio, 

Udimmo  dire:  o  tu,  a  cui  io  drizzo  ig 

La  voce ,  e  che  parlavi  mo  Lombardo , 
Dicendo:  issa  ten  va,  più  non  t'adizzoj 

sente.  •-►Ma  il  Biagioli  sostiene  che  si  debba  leggere  del  fuo- 
coj  e  spiega:  così  le  parole  grame  y  per  non  at^er  dal  princi- 
pio (non  avendo  da  principio  che  proferi vansi  dairanima  chiusa 
in  quel  fuoco)  via ,  né  forame  per  uscire  del  fuoco ,  si  com^er* 
listano  in  suo  linguaggio  <,  cioè  nel  linguaggio  del  fuoco,  che 
è  quel  mormorare  che  ra  la  fiamma  che  il  vento  affatica.  L*E.R. 
sta  qui  col  Biagioli.  L*  una  e  l'altra  lesione  j  a  pai-er  nostro, 
può  stare  e  sostenersi  del  pari.  Il  Vat*  3 199  legge  però  conia 
comune,  del  fuoco  .^^^ 

16  colto  lor  maggio  j  preso  il  loro  andamento. 

f7  punta  j  della  namma.  -^ guizzo  ^  vibrazione. 

1 8  in  lor  passaggio  j  nelF uscir  dalle  labbra  di  chi  dentro 
della  fiamma  parlava. 

r9  al  ai  o  tUf  a  cui  ec.  Bichiede  il  buon  ordine  di  parlans 
che  avanti  di  dire  a  cui  io  drizzo  la  voce ,  specificasse  questo 
nuovo  spirito  a  chi  la  dirigesse;  e  però  dee  essere  la  costm- 
EÌone:  o  tUj  cheparlaui  mo  Lombardo  y  dicendo  ec^  e  a  cui 
io  drizzo  la  uoce.  Ripete  questo  spirito  le  sole  ultime  parole 
dette  da  Virgilio  nel  licenziare  i  due  spiriti  precedenti ,  ni»u 
come  un  saggio  di  parlare  diverso  dal  primo  9  e  propriamente 
lombardo  y  nella  guisa  che  mostrano  d'intendei*e  il  Landino, 
il  Vellutello  ed  altri  fino  ai  piii  moderni,  ma  come  le  sole  pa- 
role da  esso  lui  intese,  perocché  sopraggiunto  allora  di  fresco, 
e  nell'atto  appunto  in  cui  licenziava  Vir^iogli  altri  due  spi* 
riti.  La  voce  issay  ch*è  la  sola  che  potrwbe  patire  dell' ecce- 
zione, dee,  come  disopra  [a]  si  èducorso,  riputarsi  voce  to- 
scana ;  e  Lombardo  a  que*  tempi ,  secondo  l' uso  francese ,  pr»- 
ticato  dal  Poeta  nostro  medesimo  [&]  e  dal  Boccaccio  [cj,  sigiiH 
fica  va  talvolta  ugualmente  che  Italiano ,  com*ò  qui  di  mestieri 

[à]  lof.  Kxiii.  7.  [h]  Parg.  xvf.  46.  e  196.  fc]  Veili  \  Deputati  alla  cci- 
reiione  del  Boccaccio,  num.  Sn.c  464* 


CANTO  XXVII.  58i 

Perch'io  sia  giunto  forse  alquanto  tardo,        21 
Non  t' incresca  ristare  a  parlar  meco: 
Vedi  elle  non  incresce  a  me ,  ed  ardo . 

Se  tu  pur  mó  in  questo  mondo  cieco  a5 

Caduto  se  di  quelb  dolce  terra 
Latina 9  onde  mia  colpa  tutta  reco; 

che  signi6chi.  —  issa^  come  altrove  [a]  Dante  medesimo  ne 
fa  capire ,  vale  lo  stesso  che  adesso ,  mo ,  e  simili  •  »-►  istroy 
legge  TAng.  E.  R.  e  il  Val.  3199.  •«-•  Cadizzo^  I<^ggc  J* 
Nidobeatina;  €  aizzo  ,  1*  altre  edizioni.  Il  verbo  però  adizza- 
re  j  ohre  d'essere  ugualmente  buono  che  aizzare  ^  ha  il  van- 
taggio di  avvicinarsi  più  ad  attizzare ^  che,  secondo  il  Vocab. 
della  Gr.y  dicesi  propriamente  del  fuoco.  »-^  Ma  aizzo  leg- 
gono pure  i  codd.  Ang.  e  Vat.  3199,  e  con  essi  la  3.  rom. 
edizione .  4-«  Quindi  issa  Zen  ^a^più  non  t"*  adi  zzo  vale  or 
trattene j più  non  ti  eccito,  non  ti  stimolo . 

ulÌ  Non  ti  rincresca  stare ,  la  Nidobeatina  ;  non  t'* incresca 
restare  j  1*  altre  edizioni:  ma  leggendosi  incresce  anche  nel  se- 
guente verso ,  serve  la  Nidobeatina  a  qualche  svario.  »^  JVon 
i*  incresca  ristare  legge  la  3.  rom.  edizione,  coli* autorità  dei 
codd .  Ang.  e  Vat  •  3 1 99  ;  sembrando  questa  ali*  E .  R .  bella  e 
propria  maniera  di  dire.  —  Preferiamo  noi  pure  questa  lezione 
alla  Nidob.  e  perchò  la  troviamo  piii  elegante  e  gentile,  e  per- 
chè la  ripetizione  del  verbo  increscere  ci  sembra  naturalissima 
e<l  ana  di  quelle  che  sono  tanto  comuni  al  Poeta  nostro .  ^-h» 
2^  ed  ardo:  la  particella  e  vale  qui  lo  stesso  che  e  pure  , 
come  r^^  appresso  i  Latini  vale  talvolta  lo  stesso  che  et  ta^ 
m^n  [6]  ;  e  dee  questa  significazione  aggiungersi  a  quell'altre 
molte  che  della  particella  medesima  ha  segnate  il  Cinonio  \c\. 
a5  pur  mOf  solamente  adesso.  —  cieco  buio ,  senza  luce , 
per  abusione  y  detta  grecamente  catacresi, 

a6  37  terra  -  Latina ,  la  parte ,  cioè  il  Lazio ,  •^  oggi  Cam- 
pagna di  Roma ,  4-a  per  Italia  tutta;  e  dolce,  cioè  cara  ,  Tap- 
pella,  perocché  sua  patria;  m^  o,  come  vuole  il  Biagioli,  pel 
c-onfronto  attuale  di  questo  col  soggiorno  della  terra  latina , 

ftf  1   Nel  precit.  canto  xxiti.  7.  della  presente  ciifitica.  [b]  Tursel.  Par- 
gtc^    Et  S9.  edic.  di  Padova  1715.  \c\  Partic,  cap.  100. 


584  INFERNO 

Sì,  che  Cervia  ricuopr^  co' suoi  vanni. 
La  terra ,  che  fe'già  la  lunga  prova,  4^ 

£  di  Franceschi  sanguinoso  mucchio  ^ 
Sotto  le  branche  verdi  si  ritrova: 

come  Io  è  pure  nella  edizione  di  Livorno  1807  del  sig.  Pog- 
giali f  e  nella  moderna  bolognese  del  Macchiavelli .  Scambian- 
dosi cosi  l'articolo /a  in  avverbio  di  luogo,  bisogna  intendere: 
làj  cioè  in  Ravenna,  sico\fa<,  si  sta  covando,  otien  suo  nido, 
laquila  da  Polenta,  Ma  la  comune  interpretazione  è  forse  da 
preferirsi .  ♦hi 

4 3  «Sì,  in  maniera,  che  Canna,  altra  città  dodici  sole  mi- 
glia da  Ravenna  discosta,  ricuopre  co* suoi  vanni ,  colle  sue 
ali,  ricuopre  y  tiene  essa  pure  sotto  di  sé .  ->  co*suoi  %^annij  legge 
la  Nidobeatina  ;  coi  suoi ,  Taltre  edizioni  :  Taccorciamento  pe- 
rò ,  di  cui  altrove  la  Nidobeatina  suol  essere  nemica,  serve  qui 
a  togliere  la  vicinanza  di  due  oi* 

^S  44  ^  terra j  intende  Forlì,  città  di  Romagna.  — -  che 
fé" già  la  lunga  prova  j  che  sostenne  il  lungo  assedio  dalPeser- 
cito  composto  la  maggior  parte  di  truppe  francesi,  sotto  il  co- 
mando di  M.  di  Pa  (ae  jipia  diconlo  altri),  mandato  da  Mar- 
tino IV.  contro  del  nominato  conte  Guido  di  Montefeltro,  che 
aveva  (juella  città  e  molti  altri  luoghi  di  Romagna  oocnpa- 
lo  \a\.^ E  di  Franceschi  sanguinoso  mucchio,  per  esser  in 
(]ueiresei*cito,  composto,  com'è  detto,  la  maggior  parte  di 
Francesi  (appellati  anticamente  anche  Franceschi) ,  rimaso , 
per  astuzia  e  valore  del  prefato  conte,  afiatto  sconfitto.  a-^U 
conte  G^ido  colle  sue  brave  milizie  soccorse  Forlì  nel  1281. 
Dui*ò  l'assedio  circa  un  anno.  Fu  presa  una  porta  della  città 
dai  Francesi,  per  cui  v'introdussero  parte  delle  loro  truppe. 
Ma  verso  la  metà  di  maggio  del  1282  il  valoroso  conte  Guido 
sorprese  gli  assedianti,  gl'impegno  ad  un  terribile  combatti- 
mento, in  cui  più  di  2000  Papalini  e  Francesi  vi  lasciarou  la 
vita,  e  Forlì  fu  liberata.  — Su  questo  fatto  vedi  Gio.  Villani, 
Stor.  libro  vii.  e.  80.  4-« 

45  Sotto  le  branche  verdi  dice  per  sineddoche ,  invece  di 
dire,  Sotto  il  leon  verde,  impresa  degli  OrdeJaffi,  padroni  al- 
lora^ di  Forlì .  «-►Tenne  il  dominio  di  questa  Piazza,  importante 
in  que' tempi,  la  Casa  di  Montefeltro  dal   12182  sino  alla  fine 

[a]  Ptolem   Ltic.  Annal.  au.  \%òi. 


CANTO  XXVII.  585 

E  1  mastio  vecchio  e  'i  nuovo  da  Verracchio ,  4(> 
Che  fecer  di  Moatagua  il  mal  governo, 
Là  j  dove  soglioo ,  fan  de'  denti  sncchio , 

La  città  di  Lamone  e  di  Santerao  49 

Conduce  il  leoncel  dal  nido  bianco, 
Che  mota  parte  dalla  state  al  verno: 

del  lagSy  epoca  dell' iaeresso  in  Religione  del  conte  Guido. 
Passò  quindi  in  potere  di  Scarpetta  degli  OrdelaiE ,  i  cui  di* 
scendenti  vi  dominarono  per  molto  tempo  dopo.  Questi  Oixle* 
laffi  erano  oriundi  della  nobilissima  patrizia  fiimiglia  Falieiti 
di  Venezia.  Poooiali.4-« 

4(>  E  V  fnastin  %fecchio  e  7  nuo^^oc  intende  pel  mastin  uec^ 
chio  e  nuo\fo  Malatesta  padre  e  Malatesta  suo  figlio ,  Signori 
di  Arimino,  chiamati  mastini  perchè  tiranneggiavano  e  dilania* 
vano  con  crudeltà  da  mastino  i  loro  sudditi,  ^^da  Verrucchio* 
Questo  è  un  castello  che  gli  ariminesi  donarono  al  primo  Ma« 
latesta  ;  onde,  benché  la  sua  origine  fosse  dalla  Penna  de  Bill!  » 
nondimeno  furono  denominati  da  Veirucchio.  Lahsuio. 

4/  Che  fecer  di  Montagna  ec.y  che  fecero  crudelmente  mo- 
rire Montagna,  cavaliere  Ariminese  a-Klella nobilissima  famiglia 
de*Parcisati,  e  capo  della  fazione  ghibellina ,  da  loro  odiata.^-* 
4^  Làj  dove  soglion  ^  fan  ec.  Far  de' denti  succhio  f  suc- 
chiello, trivello,  vale  forare  condenti.  Dice  adunque  Guido  die 
i  Malatcsti  (già  appellati  mastini)  proseguivano  co* canini  loro 
denti  a  lacerare  là  dove  erano  soliti,  cioè  nelle  teiTe  a  loro 
soggette  • 

49  al  5i  La  città  di  Lamone  ec.  Costruzione:  //  leoncel 
did  nido  bianco  (cioè  colui  che  ha  per  impresa  un  leone  in 
campo  bianco,  Mainai*do ,  o  come  scrivon  altri y MachinardoPa* 
gani  ) ,  che  dalla  stale  al  verno  nmta  parte  (che  spesso  muta 
casacca  ,  conforme  gli  toma  il  conto,  ora  alla  parie de'Csuel fi, 
ora  de* Ghibellini.  Vertubi  );  conduce j  regge,  la  città  diLa^ 
mone  (la  città,  presso  alia  quale  scorre  il  imme  Lamone,  cioè 
Faenza)  e  di  Santerno,  Imola,  situata  sul  fiume  Santemo. 
•-^  Dice  il  Boccaccio  che  questo  Mainardo  Pagani  fu  del  po- 
doiv  di  Snsinana,  che  è  nell'Alpi  ;  che  fu  savissimo ,  nemico  dét 
Pastori  di  Santa  Chiesa ,  ed  era  Guelfo  in  Toscana ,  e  Ghibellino 
in  Uomagna.  Concordano  col  Boccaccio  l'Anonimo  e  PieCiodi 


586  INFERNO 

£  quella ,  a  cui  il  Savio  bagna  il  fianco,  5a 

Cosi  com'ella  sie'tra  1  piano  e  'i  monte, 
Tra  tirannìa  si  vive  e  stato  franco. 

Ora  chi  se' ti  priego  che  ne  conte;  55 

Non  esser  duro  più  eh* altri  sia  stato. 
Se  il  nome  tuo  nel  mondo  tegna  fronte . 

Dante.  Vedi  ancora  Giovanni  Villani  Star,  libro  yiii.  c.  i^'i. 
—  Le  città j  con  un  cod.  della  Vaticana,  legge  TE.  R.  per  io-> 
gliere  ogni  anfibologia.-^oXjBL  il  leoncel  in  caso  retto. TosBiLt. 
«—  Notisi  che  dice  di  costni  il  leoncello  j  e  non  il  leone  jB.  di- 
mostrare che  il  tiranno ,  di  cui  si  parla ,  ha  ben  la  ferità  di  que- 
sto animale,  ma  non  le  forze,  e  che  però  muta  spesso  parte , 
mettendosi  col  più  forte  ;  circostanza  che  non  lascia  sfuggire  il 
Poeta  a  dimosti*are  V  orribile  disprezzo  di  questo  personaggio. 
BiAGioLi .  '^leoncel  non  è  qui  diminutivo  di  leone,  animai  noto, 
come  segna  la  Crusca ,  ma  figuratamente  detto  per  impresa  o 
stemma  di  Machinardo  Pagani,  tiranno  dimola  e  di  Faenza. 
MoHTi  [a].'<Hi 

52  al  55  £*  quella j  ec.  Cesena,  appresso  della  quale  scorre 
il  fiume  Savio,  e  la  qual  sola  in  que' tempi  viveva  in  libertà  « 
avvegnaché  alcuna  volta  da  qualche  suo  privato  cittadino  fosse 
oppressa  d'alcuna  tirannia  ;  onde  dice  che  cotn^ella  sié*  (sie* 
per  siede  ^  come  comunemente  usasi  ifce'per  diede),  com'è  il 
di  lei  sito  materiale ,  tra  7  piano  ^  7  monte ,  cioè  parte  jnana 
e  parte  montuosa ,  così  fosse  eziandio  la  sua  politica  situazioDe 
ti*a  libertà  e  tirannia  (  eh'  è  ciò  che  vuol  dire  stato  franco  )• 
th*'  Curiosa  è  la  lezione  del  cod.  Ang.,  in  stato  franco  ^  e  po- 
ti'ebb'essere  una  graziosa  ironia.  E-K.4^  Ora  chi  sé* ec.  Con- 
tinua a  parlar  Dante. 

56  »-►  durOf  cioè  inflessibile ,  non  pieghevole  alla  pr^hiera 
che  ti  fo,  ec.  ■«-a 

Sy  «Sei  |)articel]a  qui  deprecativa  come  il  sic  de^  Latini  (vedi 
Inf.  XVI.  64*  e  Purg.  xxti.  6i  .)  ;  onde  Se  il  nome  tuo  nel  mondo 
tegna  fronte  vale  quanto  se  fosse  detto ,  cosi  duri  nel  mondo 
il  nome  tuo.  -  tenga ,  faccia,  fronte  j  contrasto  all'obbliviooe. 
»-►  al  mondo ,  il  cod.  Ang.  E.  R.  4-c 

[a]  Prop,  voi.  3.  P.  I.  fac.  35.eseg. 


CANTO  XXVII.  587 

Poscia  che  1  fàoco  alquanto  ebbe  rugghiato    58 
Al  modo  suo,  Taguta  punta  mosse 
Di  qua^  di  là,  e  poi  die'  cotal  liato: 

S' io  credessi  che  mia  risposta  fosse  6 1 

A  persona ,  che  mai  tornasse  al  mondo , 
Questa  fiamma  staria  senza  più  scosse: 

Ma  perciocché  giammai  di  questo  fondo         64 
Non  tornò  vivo  alcun,  s'  V  odo  il  vero, 
Senza  tema  d'in£imia  ti  rispondo, 

58  al  60  rugghiato  -  jil  modo  suo^  fatto  il  solito  mormo- 
rio, detto  già  nel  preced.  canto,  verso  85.  e  segg.,  e  nel  pre* 
sente  canto,  verso  i4*  e  i5.  "Taguta  punta  mosse  ec,  pur 
come  ne' rammentati  luoghi  si  è  divisato.  »-» Quest'idea  è  pia* 
cinta  assai  al  Poeta,  poiché  per  la  tersa  volta  e  con  si  belle 
espressioni  la  riproduce.  Bugioli.^-s 

6 1  al  63  •-♦  E  grazioso  assai  (piesto  modo  di  accennar  le 
cose  per  uno  degli  accidenti  loro,  pel  quale  le  piìi  triviali  pi- 
glian  cert'arìa  di  novità  che  sorprende.  Ma  vuoisi  avere  perciò 
e  gran  giudicio  e  somma  perspicacità.  Biaoioli.4-« mai  tornasse ^ 
fosse  una  volta  per  tornare.  —  Questa  fiamma  ec*i  non  darei 
con  altre  parole  mossa  a  questa  fiamma ,  non  risponderei  alla 
tua  dimanda. 

65  Non  tornò  uiuo  alcun  ^  la  Nidobeatina;  Non  ritornò  mi» 
cuny  l'altre  edizioni  «-^e  il  Vat.  3f9Q.«-«  Tornar  piuo  signi* 
6ca  qui  lo  stesso  che  ritornare  al  mondo.  •-»  Non  piace  al  Bia- 
gioii  questa  variante  della  Nidob. ,  rimproverando  al  Lombardi 
di  aver  guastato  il  verso  per  non  essersi  accorto  della  ellissi 
della  frase  non  ritornò  alcun  y  che  è  la  stessa  che  quella  del 
%f.  62.,  the  mai  tornasse  al  mondo*  Anche  TE.  A.  nella  3.  edis., 
sull'autorità  de'codd.  Ang.  e  Vat.  3 199,  ha  restituita  l'antica 
e  comune  lezione,  Non  ritornò  idcun  ec.,  che  noi  noasegoiar 
mo,  non  trovando  necessario  il  cambiamento .  ^-s 

G^ Senza  tema d*inf amia. Comhinando  questo  col  i^.  5y*ySe 
il  nome  tuo  ec,  scoiasi  inteso  dal  Poeta  che  quanto  desidera* 
no  costoro  che  duri  nel  mondo  la  di  loro  fama ,  altrettanto  bra* 
mano  che  non  risappiasi  il  loro  gastigo,  come  quello  che  pre» 
elude  la  via  a  giustificare  quanto  essi  in  vita  operarono. 


588  INFERNO 

Ffui  uom  d'arme,  e  po' fai  cordigliero,         67 
Credendomi  sì  cinto  fare  ammenda  : 
£  certo  il  creder  mio  veniva  intero, 

Se  non  fosse  il  gran  Prete ,  a  cui  mal  prenda ,  70 
Che  mi  rimise  nelle  prime  colpe: 
E  come  e  qnare  voglio  che  m' intenda . 

Mentre  cfai'io  forma  fui  d'ossa  e  di  polpe,       73 
Che  la  madre  mi  die' ,  l' opere  mie 
Non  furon  leonine,  ma  di  volpe. 

67  rfui  uom  tTarmef  e  po' fui  ^  ^^gS^  ^^  Nidobeatina  ;  F 
fui  uom  d^arme  y  e  poi  fu* ,  l'altre  edizioni  m-^e  il  Yat.  3  1 99.«-a 
cordigliero  9  frate  francescano ,  così  in  Francia  addimamlato 
per  la  corda  che  cinge. 

68  •-»  Credendomi  ec.f  cioò  credendo  fai*  ammenda  delle 
mie  colpe  coli' andar  cinto  cosi.  Bugiom.  «-« 

69  yeniì^  intero  ^  ferain^emya^  oapyenuio  sarebbe ,  inle^ 
ramente,  »-^Bel  modo  del  dir  toscano  »  che  imitò  il  Boccaccio 
cosi:  e  certo  il  suo  desiderio  gli  veniva  intero*  fiiAoiou.^-a 

70  il  gran  Prete  ^  Papa  Bonifazio  Vili.  Di  questo  Papa  par- 
lasi male  anche  nelle  rime  attribuite  al  B.  lacopone  da  Todi, 
-a  cui  mal  prenda ,  a  cui  intra  vvegna  ogni  male  :  imprecazione. 
th^Se  non  fosse  ec.  Nota  fosse  per  fosse  stato ,  e  prendere 
per  allenire  y  incogliere  :  perchè  altro  è ,  che  mal  prenda  y  co- 
me disse  il  Ghiabrera:  che  inai  prenda  i  Cervieri ^  ed  altro, 
a  cui  mal  prenda y  come  qui.  Tobblli**«-« 

7 1  9h¥  Che  mi  rimise  ec.  Che  m'impegnò  di  nuOYO  in  quei 
politici  peccaminosi  raggiri ,  ai  quali  io  fui  dedito  da  secolare. 
Poggiali.  4-« 

73  •-♦  £*  come  ec.  Circa  al  come  e  al  perchè  di  questo  mìo 
richiamo  alle  pristine  frodi  desidero  che  tu  ben  m^intenda.  Pog* 
GijiLi.4-«  quare  y  Toce  latina  che  significa /^ercAèi  e  ch'è  tuttora 
tra  i  Toscani  in  uso.  VEirTUHi.  Vedi  però  anche  la  nota  del 
Volpi  al  canto  i.  p*  65.  della  presente  cantica. 

73  al  75  9h^  Questi  versi ,  con  tutto  il  rimanente  della  par- 
lata di  quest'anima  y  sono  stati  tradotti  da  Voltaire  in  modo  che 
non  poteva  meglio  quel  grand' ingegno  dimostrare  la  sua  poca 
dottrina  del  nostro  poetico  linguaggio  «Ma  Alfieri  9  miglior  giu« 


CANTO  XXVII.  58o 

Gli  accorgimeaii  e  le  coperte  vie  76 

Io  seppi  tutte,  e  si  menai  lor  arte, 
Ch'ai  fine  della  terra  il  suono  nscie. 

Quando  mi  vidi  giunto  in  quella  parte  79 

Di  mia  età,  dove  dascun  dovrebÌ3e 
Calar  le  vele ,  e  raccoglier  le  sarte , 

Ciò,  che  pria  mi  piaceva,  allor  mainerebbe;  8 a 
E  pentuto,  e  confesso  mi  rendei, 

dice  di  lui ,  ha  notato  di  onesto  passo  quasi  i  due  terzi  t  e  non 
è  stato  troppo  largo.  Qui  discuopre  cbi  na  ingegno  più  bellezze 
di  natura  e  d'arte  ch'altri  non  potrebbesi  immaginare,  le  quali  ' 
consistono  in  quella  squisitezza  del  dir  naturale»  in  quel  can* 
dorè  di  stile i  nelle  forme  e  modi  piii  eleganti,  nel  rivestir  i 
sentimenti  pili  umili  sotto  forme  si  pellegrine  e  sì  \aghe  ;  nella 
novità  delle  sentenze ,  e  ad  ora  ad  ora  in  quei  fervidi  ti*atti  che , 
quanto  meno  preveduti,  tanto  pìii^colpiscono,  e  fan  durevoli 
le  impressioni.  Ora  di  tuUi  questi  pregj  spogliato  ha  iltradut- 
toi*e  r originale 9  non  già  per  malizia,  com' altri  forse  potreb* 
besi  figurare ,  ma  per  ignoranza  della  lingua ,  e  per  quelta  folle 
vanità  di  voler  tutto  sapere .  Biagioli  .  4-«  Mentre  eh  io  anima , 
forma  fui  d*ossa  e  di  polpe  forma  fui  del  corpo,  animai  il 
corpo.  —  Che  la  madre  mi  die\*  accenna  che  i  genitori  non 
danno  altro  che  il  corpo ,  e  T  anima  la  dà  immediatamente  Iddio. 
»-»Quiper/a  madre  Biagioli  intende  la  natura.  «-«  Nonfuron 
leonine  ec:  non  adoprai  tanto  colla  forza,  quanto  coir  astuzia  e 
fi*ode .  Forse  allude  (dice  bene  il  Venturi  )  a  quel  detto  di  Cice- 
rone de  Off'.  Vis  leonis  videtur^  fraus  quasi  yulpeculae* 

76  m^  Crii  accorgimenti  vale  le  furberie,  le  coperte  »/ie, 
cioè  le  finzioni .  Poogiali  .  4-« 

77  menai  lor  arte^  esercitai.  Volpi. 

78  al  fine  della  terra  ec. ,  per  tutto  il  mondo ,  fino  alle  piii 
remote  parti,  la  fama  dell'astuto  mio  pensare  si  estese . 

79  air 81  Quando  mi  vidiec.  vale  quanto  se  detto  avesse: 
quando  fui  giunto  alla  vecchiaia ,  età  in  cui  V  uomo  dovrebbe 
non  pili  al  mondo  pensare,  ma  all' eternità;  e  bene,  come  il 
mondo  si  agguaglia  a  un  burrascoso  mare,  esprimesi  dal  Poeta 
l'abbandono  del  mondo  col  calare  delle  vele  e  raccogliere  le 
sarte  (  i  cordaggi  ) ,  che  fa  chi  vuole  dalla  navigazione  cessare. 


$9^  INFERNO 

Ahi  miser  lasso  !  e  giovato  sarebbe . 

Lo  Principe  de'  nuovi  Farisei ,  85 

Avendo  guerra  presso  a  Laterano, 
E  non  co'  Saracin ,  né  con  Giudei  ; 

Che  ciascun  suo  nimico  era  Cristiano,  88 

E  nessuno  era  stato  a  vincer  Acri, 
Né  mercatante  in  terra  di  Soldano; 

84  e  giocato  sarebbe  ^  avrebbemi  salvato  dall' Inferno. 

85  Lo  Principe  ec,  (  si  tace^  e  dee  intendersi  precedere  a 
queste  parole  UQ^efio/urÀè,  odaltra  simile  avversati  va  particella) 
fionifazio  Vili-*  Farisei  nuoui  cbiama  Dante  i  Prelati  viziosi 
de*suoi  tempi.  Volpi  .  Viziosi  essendo  i  Prelati  della  Santa  Chie- 
sa, bene  loro  sta  il  nome  di  nuoi^i  farisei  y  pei*occhè  appunto, 
secondo  Tav viso  di  Gesii  Cristo  :  super  cathedreun  Alojrsi  se 
derunt  scribae  etPharisaeiy  guaecunu/ue  dixerint  %H>bis  ser^ 
vate  et  facile  \  secundum  opera  uero  eorum  notile  facere[a]. 

86  presso  a  Laterano  y  con  i  Colonnesi ,  i  quali  abitavano 
io  Roma  appresso  a  s.  Giovanni  Laterano.  Landivo. 

87  E  non  co*  (cosi  la  Nidobeatina  ;  E  non  con,  l'altre  ediz.) 
Saracin  ec.y  contro  de' quali  altri  buoni  Papi  invece  si  ado- 
prarono. 

88  Che  vale  qui  perocché.  Sì  questo  che  i  due  seguenti 
versi  sono  una  interiezione. 

89  90  nessuno  ec. ,  nessuno  de*  suoi  nemici  era  dì  coloro 
che ,  rinegata  avendo  la  fede  cristiana,  eransi  uniti  ai  Saraceni 
ad  espugnar  ^m,  appellata  altrimenti  Toleniaide  jAose  piùdj 
settautaraila  Cristiani ,  tra  maschi  e  femmine ,  furono  uccisi  :  e 
nessuno  era  di  quegl'  iniqui  mercanti  cristiani  che  per  avidità 
di  danaro  avevano  recato  ai  Saraceni  medesimi  provvisioni  di 
ogni  sorta..— in  terra  di  Saldano y  negli  stati  del  Soldano. 
Vedi  Inf.  V.  ^.  60.  Della  particella  di  per  del  vedi  Cinon.  [AJ. 
>-^  Non  vedendo  il  Biagioli  perchè  il  Poeta  possa  aver  dett« 
di  Soldano  invece  del  Saldano ,  pensa  che  abbia  adoperato 
questo  vocabolo  Soldano  (  Signore  )  in  senso  generico  a  sig^i- 
beare  ogni  qua  luiique  paese  infedele,  i?  fd  m'inganno  y  die 'egli  « 
intendasi  come  gli  altri ,  cioè  negli  stati  del  Saldano  •  ♦-« 

>   [a]  Mait'i.  %\  3.  [b]  Partic  80.  7, 


CANTO  XXVII.  5iji 

Né  sommo  nficio,  né  ordiui  sacri  gì 

Guardò  in  sé,  né  io  me  quei  capestro, 
Che  solea  far  i  suoi  cinti  più  macri . 

Ma ,  come  Gostantin  chiese  Silvestro  q4 

Dentro  Siratti  a  guarir  delia  lebbre, 

91  al  93  Nò  sommo  u/leioj  ec.  Non  ebbe  riguardo  né  alla 
suprema  dignità  di  Pastore  e  di  sacerdote >  ch'era  in  esso  lui, 
né  all'istituto  da  me  professato,  inteso  pel  capestro y  cioè  pel 
francescano  cordone  .-Cfte  solea  far  i  (così  la  Nidobeatina, 
e  /i  l'altre  edizioni)  suoi  cinti  (  «-^cioò  i  frati,  i  quali  di  quel 
cordone  si  cingono.  E.  B.^-s  )  più  macri,  piii  magri ,  piii  este- 
nuati dalle  penitenze,  che  non  li  £1  di  presente,  essendosi  il 
rigore  della  penitenza  mitigato. 

94  Costantino  j  il  Magno. -iSi/t^e^tro,  san  Silvestro  Papa. 

95  Dentro  Siratti  y  nascosto  nelle  caverne  del  monte  Siratti 
per  cagione  della  persecuzione  de'Cristiani  che  fiicevasi .  Sora* 
ctes  appellasi  dai  Latini  esso  monte  i  ed  al  presente  denomi- 
nasi dal  vicino  luogo  Monte  sant*  Oreste  [a]  a-^una  giornata 
distante  da  Roma  verso  Loreto  «-v  della  lebbre  ^  così  la  Nido- 
beatina  con  tutte  l'altre  antiche  edizioni  ;  nò  altro  incomodo 
apporta  questa  lezione ,  se  non  d* intendere  che  la  rima  costrin- 
gesse Dante  a  valersi  dell'antitesi,  mutando  l'a  in  e,  come  al- 
trove ,  per  cagion  d'esempio ,  mutò  Ve  in  a ,  dicendo  orizzonta 
per  orizzonte  [6] .  Agli  Accademici  della  Crusca  è  nondimeno 
piaciuto  di  leggere  delle  lebbre ^  eccone  la  loro  ragione,  u^^ 
biamo  rimesso  delle  lebbre  solo  con  Vautorità  di  due  testi 
(tra  i  piii  di  novanta  che  confrontarono),  perciocché  si  sfor^ 
zava  il  Poeta  per  la  rima  a  fare  una  manifestissima  discor^ 
danza.  E  benché  Puso  oggi  in  un  uomo  solo  non  dicesse  gua- 
rir delle  lebbre,  Puso  di  quel  tempo,  non  pur  nel  i^erso^ma 
eziandio  nella  prosa  lo  confortò.  Fra  Simon  da  Cascia 
sopra  i  Vangeli  y  il  quale  scrisse  ne^  tempi  del  Poeta  y  dice 
così  e  sono  certo  y  ch*egli  stenderebbe  la  mano,  e  si  ci  toc^ 
cherebbe  dicendo  i  P^oglio  sie  mondato  y  e  le  nostre  lebbi*e 
subito  sarebbon  sanate,  modelle  lebbre y  come  laCr.,  legge 
il  Vat.  3199.4-C 

Se  però  gli  antichi  esempj  sono  tutti  di  questa  fatta  (sia 

[a]  Baudraud  ad  Lexic  geogr.  Ferrar ii»  [b]  Inf.  xi.  1  1 3. 


ign  INFERNO 

Cosi  mi  chiese  questi  per  maestro 
A  guarir  della  sua  superba  febbre .  97 

Domaadommi  consiglio,  ed  io  tacetti^ 
Perchè  le  sue  paróle  parver  ebbre. 

detto  con  tutto  il  rispetto) ,  non  provano  nulla.  Imperocché  noo 
parla  ivi  Fra  Simone  della  lebbra  d'un  nom  solo,  come  parla 
Dante»  ma  delle  lebbre  di  tutti  i  peccatori 9  che  son  molte  e  va- 
rie. He^jFìoretti  di  8.  Francesco ,  scritti  pure  del  medesimo 
tempo  f  ove  parlasi  di  un  solo  lebbroso  guarito  dal  Santo,  non 
mai  si  dice  né  le  lebbre ,  né  dMe  lebbre ,  ma  la  lebbra ,  dUUla 
lebbra  [a\.  •-»  Veggasi  quanto  sopra  di  questa  voce,  a  difesa 
della  lezione  e  chiosa  del  nostro  Lombardi,  ha  notato  egregia- 
mente il  cav.  Monti  [&].  4-« 

Circa  poi  alla  verità  del  fatto  che  Dante  suppone,  del  bat- 
tesimo cioè  e  guarigione  della  lebbra  da  Costantino  per  s.  Sil- 
vestro ottenuta ,  veggasi ,  tra  gli  altri,  Emanuel  Schelstrate[cJ; 
e  veggasi  che  non  tutti  gli  eruditi  consentono  a  riputarlo ,  co* 
me  spaccia  il  Venturi,  più  tosto  f angola .  »-►  Sebbene  aia  c^- 
gidi  certo  presso  tutti  gli  eruditi ,  che  Costantino  ricevesse  il 
battesimo  alla  fine  della  sua  vita  nel  33^  in  una  sua  villa  presso 
Nicomedia  per  mano  di  Eusebio,  di  essa  città  Vescovo,"  Dante 
ciò  non  per  tanto  ne  fa  qui  far  menzione  a  Guido ,  come  se 
detto  battesimo  fosse  stato,  conforme  Topinione  de' suoi  tem- 
pi ,  dato  a  Costantino  in  Roma  dal  Papa  s.  Silvestro  nel  ia4. 
Poggiali,  ^-m 

96  m^Così  questi  mi  ddese,  l^ge  l'Ang.  E.  R.4-« 

97  superba  febbre  dee  aver  detto  invece  di  superbo  sdc 
gno ,  forse  avuto  mira  a  quel  febris  nostra  iracundia  est  dì 
s.  Ambrogio  [d]  ;  o  forse  prendendo  febbre  per  male  in  ge- 
nere, dice  superba  febbre  invece  di  superbo  morbo*  m^su" 
perba  febbre  j  sublime  espressione  della  passion  di  queiranì- 
mo ,  da  desiderio  di  vendetta  e  da  superbia  egualmente  infiam- 
mato. BlAGlOLI.  4-« 

98  m-¥ed  io  tacetti.  Bello  è  questo  silenzio,  dalla  sorpresa 
di  sifiktta  domanda  e  da  giusto  ribrezzo  prodotto.  Biaoiou-«-« 

99  ebbre  appella  le  parole  di  Bonifazio ,  perocché  irragio- 
nevoli, come  appunto  sono  quelle  degli  ubbriachi. 

[a]  Vedi  il  cap.  ai.  [b]  Prop,  voi*  3*  P.  i.  fac.  s6.  e  seg.  [e]  AhUquè. 
las  itluòtrala ,  diss.  3.  cap.  6.  [d]  Lib.  4*  ù&  c'P*  4*  Lueac, 


CANTO   XXVII.  5yJ 

E  poi  mi  disse  :  tuo  cuor  dod  6os})euì  ;  i  oc 

Fiuor  t'assolvo,  e  tu  m'iosegua  fare 
Si  come  Pellestrino  iu  terra  getti  • 

Lo  Giel  poss'io  serrare,  e  disserrare^  io3 

Come  tu  sai;  però  son  due  le  chiavi, 
Che  1  mio  antecessor  non  ebbe  ciré. 

AUor  mi  pinser  gli  argomenti  gravi  1 06 

100  »^ ridisse  vale  come  ripigliò.  Cosi  colla  Nidob.  leg* 
geya  e  chiosava  il  Lombardi;  e  mi  disse ,  leggiamo  noi  col 
VaL  31999  colla  Crusca,  con  tutte  le  antiche  edizioni,  e  colle 
moderne  romana  e  bolognese .  E  siam  d  avviso  che  queste  sia 
la  vera  lezione ,  e  perchè  meglio  ed  a  prima  vista  s'intende 
chi  sia  la  persona  che  ripiglia  il  discorso ,  e  perchè  il  verbo  ri« 
direj  propriamente  parlando,  non  sij?nifica  ripigliare  il  di- 
scorso, ma  si  bene  ripeterne  uno  già  fatto. 4-« 

loi  mUnsegnafìa.  Nidobeatina;  mUnsegf^iy  Tal  tre  edizio- 
ni; •-►e  mHnsegnej  il  Vat.  3199. 4-« 

I  o^ Pellestrino ,  per  la  maggior  somiglianza  all'odierno  uo- 
me  di  Pulestrina ,  scelgo  di  leggere  colla  Nidobeatina ,  ove 
l'altre  ediz.  leggono  Penej^rmo  ,  »-^e  cosi  l'È.  R.  nella  3.  eoi 
codd.  Gaet.  e  Vat.  3 199;  -*  e  a  dir  vero  s'accorda  meglio  c(»l- 
l'antico  suo  nome  Praeneste  *  «-«  Pilestrìno  legge  Gio.  Vil- 
lani, Cron»  Hb.  8.  e.  20.;  e  Pinestrino  Paolino  Pieri,  Cron. 
an.  1298.  L'odierna  Palestrìna  però  non  ha  dell'antica  se  non 
il  nome  medesimo ,  essendo ,  dopo  la  distruzione  di  quella  , 
stata  questa  in  luogo  dal  primiero  diverso  fabbricata. 

Avendo  Bonitazio  scacciati  i  Ciolonnesi  da  Roma,  e  tolto 
loro  piii  luoghi  e  castella,  rimaneva  loro  solamente Preneste , 
terra  fortissima  (in  Campagna  di  Roma),  la  quale  non  avendo 
mai  Bonifazio  per  lungo  assedio  potuta  ottenere  ,  si  dispose 
averla  con  frode.  Dahibllo. 

I  o4  B^però  son  due  ec.  Forse  però  ha  qui  forza  di  peroc^ 
che.  ToBEUii.«-« 

io5  mio  antecessor y  s.  Pier  Celestino.  —  non  ebbe  care  , 
perciocché  rìnnnzioUe  [a] . 

106  107  argomenti  gradii  pravi  starebbe  meglio  detto;  e 

[a]  Vedi  ciò  ch*é  detto  al  canto  111.  v,  59. 

^o/.  /.  38 


594  INFERNO 

Là  Ve  '1  tacer  mi  fu  avviso  il  peggio, 
£  dissi:  Padre,  da  che  tu  mi  lavi 
Di  quel  peccato,  ov'io  mo  cader  degglo,       109 
Lunga  promessa  cou  F attender  corto 
Ti  farà  trionfar  nell'alto  seggio. 

chi  sa  che  da' copiatori  non  sia  stata  mutata  la^  in  g.  Gnwi^ 
(lice  il  Daniello ,  perchè  di  tanto  e  sìgraue  uomo.  Ma  se  Guido 
gli  ebbe  per  tali  veramente,  come  divcnn'egli  innanzi  a  Dio 
colpevole  nel  l' ubbidire  ?  Spiegando  questi  due  versi  il  Lan- 
dino e  il  Vellutello,  Le  argumentazioni ^  dicono,  di  Boni- 
fazio pinseroet  indussero  costui  a  dargli  il  fraudolenie  con- 
sigiio  t  temendo  altramente  di  far  peggio  f  perdiè  ai^ria  mo^ 
strato  dubitar  della  sua  autorità^  e  che  Volgesse  come  eretico 
potuto  punire*  Secondo  questa  interpretazione  potrd>beisi  da 
Guido  appellar  cotali  argomenti  gratti  per  le  gravi  coasegueih' 
zc  che  da  essi  traeva.  — mi pinser  là  W  7  (sinalefa  per  là 
oue  il)  tacer  mi  fu  as^viso  il  peggio.  Accenna,  così  parlando 
Guido  y  di  esser  fino  allora  stato  titubante  e  sospeso  tra  due 
pareri:  uno  de' quali  suggerisse  peggiore  il  parlare  che  il  ta- 
cere; l'altro,  all'opposto,  peggiore  il  tacere  che  il  parlare,  e 
che  per  gli  argomenti  graì^i  spinto  fosse  ad  abbracciare  que- 
st'ultimo. 

io8  da  che  tu  mi  lat^ij  giacché  tu  dici  di  Uwamdy  di  as- 
solvermi. 

109  I  IO  ov'ib,  la  Nidobeatina;  o^e,  1* altre  edizioni  m^t 
il  Vat.  3 199.<«-«  rno ,  ora ,  accorciamente  del  latino  modo^'^Ltm- 
ga protnessa ,  prometter  molto,  ^attender  corto^  mantenerpo- 
co  la  parola  data,  m^attener  corto ^  ^egge  il  cod.  Poggiali,  le- 
zione che  rende  piii  chiaro  e  naturale  il  sentimento  predetto. ♦« 

1 1 1  trionfar j  intendi  de^ Colonnesi .  Essendo,  comedi  so- 
ra  è  detto,  rimasta  a'Golonnesi  sola  Preneste  molto  forte  dttà, 
a  quale  avendo  Bonifazio  assediata ,  e  non  vedendo  forma  di 
poterla  avere  per  forza ,  mandò  per  quello  conte  Guido  già,  reso 
frate  Minore*  e  domandogli  sopra  di  ciò  consiglio.  Il  Conte 
gli  rispose,  che  promettesse  assai  e  attendesse  poco.  Onde  Bo- 
nifazio finse  di  moversi  a  pietà  ,  e  per  comuni  amici  fece  inten- 
dere a'Golonnesi,  che  venendosi  ad  umiliare,  sarebbe  lor  perdo- 
nato. E  cosi  venuti  a  lui  Iacopo  e  Piero  Cardinali  in  abito  ne- 
ro, umilissimamente  chiamandosi  peccatori  e  domandando  pei- 


i 


CANTO   XXVII.  5y5 

Francesco  venne  poi,  com'io  fui  morto,       i  1 1 
Per  me  ;  ma  un  de'  neri  Cherubini 
Gli  disse:  noi  portar ,  non  mi  far  torto. 

Venir  se  ne  dee  giù  tra  miei  meschini,  1 15 

Perchè  diede  '1  consiglio  frodolente , 
Dal  quale  in  qua  stalo  gli  sono  a' crini  j 

Ch'assolver  non  si  può  chi  non  si  pente,       1 18 
Né  peniere  e  volere  insieme  puossi, 

dono,  Bonifazio  promise  di  perdonar  loro  e  reintegrarli  di  luui 
i  beni;  ma  che  prima  voleva  Preneste.  La  anale  oUenuta,  la 
fece  disfalle y  e  poi  rifare  al  piano  j  e  domanaolla  la  città  del 
Papa  [a],  E  cosi  steron  le  cose  finattantochè  Sciarra  Colon- 
nese  fece  in  Alagna  Bonifazio  prigione,  e  che  poco  da  poi  si 
morì . Vbllutbllo. 

Conviene  con  Dante  a  raccontar  queste  medesime  cose  di 
Bonifazio  Vili,  e  di  Guido  di  Montefcltro  anche  l'antico,  e  a 
Dante  vicinissimo  scrittore,  Ferretto  Vicentino  nel  libro  2.  del- 
la sua  Storia,  sotto  Tanno  1294.  Vedila  U*a  g\ì  Scrittori  delle 
cose  d* Italia  del  Muratori ,  tom.  9 ,  e  vedi  nel  tempo  stesso  la 
critica  che  a  cotale  racconto  &  il  medesimo  Muratori  savia- 
mente* 

I  la  1 13  compio  fui^  la  Nidob.;com'r/li',  laltre  edizioni. 
^ iterine  per  me,  per  condm*mi  qual  suo  figlio  in  Paradiso. 
—  neri  Cherubini  per  neri  Angeli ,  appella  i  Demonj ,  al- 
lusivamente allo  stato  loro  primiero  avanti  che  da  Dio  si  ri- 
bellassero • 

1 15  meschini y  sei*vi,  schiavi.  Vedi  meschine  Inf.  ix.  4^- 

1 1 7  Dal  quale  in  qua ,  dal  qual  tempo  fino  ad  ora .  -^  stalo  gli 
sono  amorini  j  l'ho  sempre  tenuto  pe' capelli  ed  in  poter  mio. 

1 1 9  pentere  per  pentire ,  adoprato  da  altri  buoni  antichi 
scrittori ,  vedilo  nel  Vocabolario  della  Cinisca  ;  e  dovrebb'essere 
il  primo  italiano,  formato  per  sincope  dal  latino  poenitere. 
Vedi  Mastrofini,  Teoria  e  Prospetto  de' verbi  italiani  >,  pa- 
gina ^ìj.'^ pentere  e  yoleroy  pentirsi  del  peccato  e  volerlo. 

[a]  Cosi  riferisce  il  cootemporaneo  stoncoTolomei  «la  Luccaj  anno  1397* 
Conviene  però  credere  che  un  tal  uomo  non  preodesse  voga ,  ma  ritor- 
u.iMe  il  primiero. 


596  INFERNO 

Per  la  contraddizion  che  noi  consente . 

O  me  dolente  !  come  mi  riscossi  1 2 1 

Quando  mi  prese,  dicendomi:  forse 
Tu  non  pensavi  eh'  io  loico  fossi . 

A  Minos  mi  portò,  e  quegli  attorse  124 

Otto  volte  la  coda  al  dosso  duro; 
E,  poiché  per  gran  rabbia  la  si  morse, 

Disse:  questi  è  de' rei  del  fuoco  furo;  127 

Perch'io  là,  dove  vedi,  son  perduto, 
E  sì  vestito  andando  mi  raiicuro  : 

Quand'egli  ebbe  i  suo  dir  così  compiuto,     i3o 
La  iìamma  dolorando  si  pariio, 
Torcendo  e  dibattendo  il  corno  aguto. 

Noi  passammo  oltre ,  ed  io  e  1  Duca  mio ,  1 33 
Su  per  lo  scoglio  inGno  in  su  l'altr'arco, 
Che  cuopre  '1  fosso ,  in  che  si  pga  il  fio 

lai  mi  riscossi j  rimasi sopraffaUo  e  pieno  di  paura. 

122  123  Quando  y  abbandonandomi  s.  Francesco,  mi  prese 
quel  demonio  per  seco  condarmi.  —  Tu  non  pensaci  ch^ìo 
loico  fossi  e  credevi  tu  colla  coperta  di  quella  assoluzione  d'in- 
gannarmi • 

f  27  del  fuoco  furoj  del  fuoco. che  fura ,  che  nasconde  agli 
occhi  altrui  gli  spiriti  che  tormenta.  Vedi  canto  preced.  v.  4'* 
e  segg. 

128  là,  doue  j  detto  in  luogo  di  doi^e  ed  o^^e  semplioemeD- 
te,  vedi  il  Cinonio,  ParticcAjf,  i48.  i. 

1 29  si  ifcstito ,  sì  avvolto  da  questa  fiamma .  —  nù  rancu^ 
ro^  m'attristo,  mi  rammarico.  Verbo  provenzale  dicelo  il  Var- 
chi ,  citato  dal  Vocabolario  della  Crusca.  •-♦Questo  verbo  non 
ha  sinonimo,  esprimendo  lo  attristarsi  e  dolersi  per  cupo  e 

f profondo  dolore ,  che  non  si  può  con  pianti  né  con  parole  esa- 
are.  Biaoioli. -Da  questo  verbo  forse  deriva  il  moderno  vo- 
cabolo rancore .  Poggìau.  «-■ 

1 33  m-¥Ìl  Duca  mio  ed  io,  ha  TÀug.  E.  R.4-« 

l'i  5  si  paga  il  fio  per  si  dà  il  dovuto  gastigo.  a^Dal  pri- 


CANTO  XXVII.  597 

A  quei  che ,  scommettendo ,  acquistali  carco . 

miero  uso,  al  qaale  adoperata  fu  questa  maniera ,  aignificante 
pagare  il  debito  tributo  al  signor  del  feudo  y  si  ò  dedotta  al 
sentimento  generale  di  far  pagaie  o  sopportar  la  debita  pena 
del  commesso  delitto.  Biaoioli.  4-« 

1 36  scommettendo  »  acquistan  carco  :  disunendo ,  mettendo 
divisione,  e  seminando  discordie  tra  parenti  o  amici 9  o  per  al- 
tro titolo  tra  sé  congiunti,  si  caricano  con  ciò  la  coscienza  d'un 
gravissimo  peccato,  vbktuei.  A  me  però  sembra  inoltre  che  cii^ 
coscrìva  Dante  quest'altra  spezie  di  cattivi  con  si  fatti  termini 
per  formarcene  un  paradosso,  un  avvenimento  cioè  in  costoro 
affatto  particolare  e  contrario  a  quanto  intendiamo  accadere  in 
chianque  altro  acquisti  carico  di  qualsivoglia  genere,  acquistane 
dolo  anzi  questi  commettendo  ed  ammucchiando,  legno  esem- 
pigrazia a  legno ,  pietra  a  pietra ,  delitto  ec,  non  già  scommet- 
tendo e  separando. 


CANTO    XXYIII. 


ARGOMENTO 

Arrivano  i  Poeti  alla  nona  bolgia ,  dove  sono  puniti  i 
seminatori  degli  scandali ,  delle  scisme  e  delle  ere- 
sie; la  pena  de* quali  è  lo  aver  divise  lemembra^  E 
tra  quelli  trovano  Macometto,  Ber  tram  dal  Bor- 
nio ed  alcuni  altri  • 


G 


hi  poria  mai ,  pur  con  parole  sciolte , 
Dicer  del  sangue  e  delle  piaghe  appieno, 
Ch'i' ora  vidi,  per  narrar  più  volle? 


I  al  3  Chi  poria  mai^  ec.  »-*Congiuagi:  Chi  poria  .  • .  dire 
appieno  per  narrar  più  volte;  cioè ,  perchè  si  narrasse  più 
volte, Torelli  .^-c  Due  cose  facilitano  a  ben  rappresentare  con 
parole  alcun  fatto ,  cioè  il  raccontare  il  fatto  più  volte  (giovan- 
do ciò  a  correggere  ogni  mancanza  o  nella  enumerazione  delle 
circostanze,  ò  nella  espressione),  ed  il  raccontarlo  con  parlare 
sciolto  da  ogni  briga  di  metro  e  di  rima,  che  spesso  n* esclu- 
dono que' termini  che  sarebbero  i  piii  adatti.  Queste  due  cose 
tocca  il  Poeta  nostro  nella  presente  sinchisi ,  di  cui  eccone  U 
costruzione:  Chi  mai  per  narrar  più  volte  pur  (eziandio)  con 
parole  sciolte ^ poria  [^et potrebbe  [a])  dicer  (per  dire  [h]) 
appieno  del  sangue  e  delle  piaghe  ch'aio  vidi  ora?  Alla  signi- 
ficazione, a  cui  è  qui  adoprata  la  particella  orUj  ch*è  certa- 
mente la  stessa  che  della  qui ,  in  questo  luogo  (  nel  luogo  cioè 
appena  nel  fine  del  precedente  canto  commemorato),  nessuno 

[a]  Vedi  Mastro6nìy  Teoria  e  Prospetto  dé'verbi  Ualiami,  sotto  il  verbo 
Potere,  q.  19.  [^J  Vedi  il  Vocabulario  della  Grasca. 


CANTO   XXVIII.  599 

Ogni  lingua  per  certo  verria  meno,  4 

Per  lo  nostro  sermone  e  per  la  mente, 
Ch'hanno  a  tanto  comprender  poco  seno. 

Se  s' adunasse  ancor  tutta  la  gente ,  7 

Che  già  in  su  la  fortunata  terra 
i  Puglia  fu  del  suo  sangue  dolente 


degli  Espositori,  né  tampoco  de'Grammatici,  vi  ha  posto  mente. 
Dirò  ioadiitique  che ,  come  i  Latini  hamio  talvolta  adopratoP  AiV, 
avverbio  di  Inogo,  per  mine  [a],  così  alF opposto  adopera  aui 
Dante  ora  per  t/uiy  in  questo  luogo*  4-«  Ma  ora ,  per  ciò  che 
pensa  il  Biagioli  j  essendo  elemento  della  formula  my  ne/Za  ora , 
0  in  questa  ora^  vale  appunto  ciò  che  la  voce  suona;  e  il  rapi- 
dissimo passaggio  che  fa  il  Poeta  dal  precedente  scoglio  a  que- 
sto (  canto  preced.  ^.  1 33.  )  fa  scorgere  perchè  egli  abbia  detto 
ora  piutta^to  che  quìuiy  iv^i^  in  quel  luogo  y  ec.  4-c 

5  Per  lo  nostro  sermone ^  per  l'idioma,  pel  parlar  nosti'o. 

6  eh*  hanno  poco  senoj  poca  capacità ,  a  comprendere  tan^ 
Co  9  a  capire  ed  esprimere  tanto  stravaganti  ed  orrìbili  cose.  Seno 
propriamente  significa  cavità;  ma  qui ,  com'  è  detto  ,  dee  inten- 
dersi per  capacità,  m^  Qui  vuol  dire  il  Poeta,  che  la  debilità 
dell'intelletto  e  la  cortezza  del  parlar  nosti*o  sono  cagione  che 
non  si  possano  queste  cose  appieno  ritrane.  Biag]oli.«-« 

7  •-»  Il  lungo  giro  del  (  seguente  )  periodo  di  quindici  versi , 
le  varie  sue  parti  che  vanno  a  piiia  piii  rincalzando,  gì' inter- 
cisiti ,  la  foga ,  la  pienezza ,  l' armonia ,  tutto  adopera  alla  gran- 
dezza e  all'orridezza  delle  immagini  che  il  Poeta  è  per  spie- 
gare innanzi  agli  occhi  del  lettore.  S'ha  a  notare  in  questa 
tratta  di  pennello  non  meno  la  vivezza  e  la  forza  dei  colorì , 
che  le  immagini  per  essi  ritratte.  Biaoioli.  ^-s 

8  sfortunata  terra  ^Di  Puglia  >  Elsigono  le  circostanze  del 
discorso  che  fortunata  vaglia  qui  quanto  disgraziata  ;  al  qual 
senso  la  medesima  voce  stendersi,  vedi  il  Vocab.  della  Crusca. 
9-^  fortunata  y  dice  il  Biagioli,  qui  y  die  fortunosa  y  ovvero  for^ 
lunate ,  come  il  Boccaccio  :  e  altri  fortunati  avvenimenti  si  ve-^ 
dranno  ;  dove  fortunato  suona  quanto  soggetto  a  strane  vi'- 
eendee  rivolgimenti  di  fortuna*  «»  Anche  Matteo  Ronto  nella 

(a]  Vedi  il  TurseUioo,  Pariic.  Lai.  «dia.  di  Padova  1 744»  e.  77. 


6oo  INFERNO 

Per  li  Romani ,  e  per  la  lunga  guerra ,  i  o 

Che  delFanella  fé' sì  alte  spc^lie. 
Come  Livio  scrive ,  che  non  erra , 

sua  versione  latina  tmdnce  Jhtali  sorte  dicatam,  E.  F*  -i^or- 
tunata  per  disgraziata  è  un'antifirasi,  quale  adoprasi  anche 
oggidì  comanemente ,  dicendo  essere  il  mare  in  fortuna  quan- 
do è  in  burrasca.  Poggiali,  ^-m  fu  del  suo  sangue  dolente 9 
sì  dolse  delle  sue  ferite.  m-¥  Che  giace  in  su  la  fortunata  ter- 
ra  —  Di  Puglia  ^  e  fu  del  suo  sangue  dolente ,  bella  varian- 
te deirAng.  E.  R.  «Hi 

I  o  al  12  Per  li  Romani.  Cosi  leggesi  in  un  bellissimo ms. 
del  fu  march.  Capponi,  ora  della  Vaticana  [a],  cosi  nel  pali- 
mente  bellissimo  ms.  della  librerìa  Chigi,  segnato  L.  V.  167., 
e  cosi  attesta  il  Venturi  dì  essere  scritto  in  qualAe  edizione 
(  -  *  anche  il  cod.  Casa,  legge ,  Per  li  Romani  ) .  Malamente  legge 
la  comune  (  •-»  e  il  cod.  Vat.  3 1 99<-«)  Per  li  Troiani .  Nella  Pu- 
glia non  fecero  i  Troiani  mai  guerra ,  né  strage  verona  ;  e  pre- 
tendere 9  come  il  prefato  Venturi  pretende,  the  per  Troiani 
possono  intendersi  i  Romani y  perocché  da  loro  discendenti ,  la 
sarebbe  una  troppa  violenta  stiracchiatura.  Tanto  piii  che,  per 
attestazione  di  T.  Livio  [6],  le  prime  brighe  tra  i  Romani  e  i 
Pugliesi  furono  nel  consolato  di  C.  Petelio  e  L.  Papirio  negli 
anni  di  Roma  4''99  ^^  tempi  cioè  ti'oppo  dalla  troiana  oriràie 
discosti .  Per  li  Romani  adunque  sta  bene  scritto  ;  che  di  latto 
per  le  romane  armi  molta  gente  peri  nella  Puglia,  prima  ezian- 
dio della  guerra  asprissima  con  Annibale,  di  coi  il  Poeta  dice 
in  seguito.-  e  tra  gli  altri  fatti  vi  fu  l'uccisione  di  duemila  Po* 
gliesi ,  che  Livio  medesimo  racconta  fatta  dal  console  P.  De- 
cio  ftfj.  »-»  Questa  lezione  è  pure  approvata  e  seguita  dal  Bia- 
gioli .  4-«  e  per  la  lunga  guerra  y  ec  •*  la  seconda  guerra  «rarta- 
gìnese  contro  i  Romani,  che  durò  piii  di  tre  lustri;  nel  corso 
della  anale  soffrironoi  Romani  a  Canne  nella  Puglia  sconfitu 
tale^  cne  le  anella  tratte  dalle  dita  dei  morti  (  quantunque  non 
si  portasse  anello  che  dai  nobili  )  empirono  la  misura,  chi  dice 
di  un  moggio,  echi  fino  di  tre  moggia  e  mezzo:  tantusacer* 
l'US  fuit(^  sono  f  Savoie  di  Livio  )ut  metientibus^  dimidiumsu^ 
per  tres  modios  explesse  sint  quidoin  auctores.  Fama  te- 


[a]  Nuni.  06G  ,  codice ,  corno  lo  Messo  copiatore 
no  1368.  [^J  Lib.  8.  aS.  [e]  Lìb.  10.  1 S. 


a V  V  isa  »  scritto  neif  aa- 


CANTO  XXVm.  6or 

Con  quella ,  che  sentio  di  colpi  doglie ,  1 3 

Per  contrastare  a  Ruberto  Guiscardo, 

nnitj  quae propior  s^ero  est,  haud  plus  fuisse  modio  [a].  E 
però  male  il  Venturi ,  correggeado  Terrore  di  stampa  delle /;iiì 
di  tremila  moggia  e  mezzo  del  Daniello,  v'aggiunge  egli, 
che  non  furon  meno  di  tre  moggia  e  mezzo ,  come  riferisce 
Liuio.  Tale  contegno  di  Livio  nello  scrivere  dee  lodar  Dante 
con  dire  che  non  erra.  »>  Le  parole  che  non  erra  non  pos- 
sono rifeiìrsi  al  passo  di  Livio:  Fama  tenuità  -quae  propior 
'Vero  est,  ec.j  che  non  si  accorda,  come  osserva  il  Biagioli, 
con  ciò  che  credeva  Dante  stesso,  che  scrisse  nel  G)nvivio: 
quando ,  per  la  guerra  d* Annibale ,  avendo  perduti  tanti 
cittadini  j  che  tre  moggia  d*anella  in  Affrica  erano  portate* 
Adnnqne  è  sentimento  del  sullodato  Biagioli,  che  Dante  dica 
di  Livio  che  non  erra  perchè  s^attiene  a  queste  parole  dello 
Storico  :  dimidium  super  tres  modios.  —  Com*  Tito  Livio , 
legge  TAngelico.  — Siccome  Livio,  bella  variante  del  codice 
Poggiali,  e  dall' E.  R.  inti*odotta  nel  testo  della  a.  edizione, 
strano  parendogli  il  dover  legger  Livio  di  tre  sillabe.  Ma  noi 
crediamo  di  non  doverci  scostare  dalla  comune  e  perchè  rari 
non  sono  in  questo  poema  gli  esempj  di  simili  trissillabi,  e 
perchè  il  cambiamento  non  è  necessario,  e  perchè  la  testimo* 
ni.inza  di  un  solo  codice  non  basta  ad  autorizzarlo,  e  perchè 
infine  siamo  persuasi  che  Dante  abbia  scritto  originalmente 
come  sta  nel  nostro  testo.  Anche^il  Yat.  3199  legge  colla  co» 
mone,  Come  Livio  ec.  ^-m 

li  i4  Con  quella,  intendi ^ente,  che  sentio  di  colpi  de 
glie,  che  seutl  il  dolore  deiraspre  percosse.  '^Per  contrastare, 
legge  la  Nìdobcatina  ;  Per  contastare  ,  l'altre  edizioni.  ^aRu^ 
berto  Guiscartio,  fratello  di  Ricciardo  Duca  di  Normandia. 
Deesi  per  quell'i  gente  intendere  la  moltitudine  de' Saraceni 
che  Ruberto  battè  aspramente,  e  costrinse  ad  abbandonare  la 
Sicilia  e  la  Puglia ,  delle  quali  si  erano  resi  padroni  [&].  Gio. 
Villani  dice  che,  avendo  Alessio,  Imperatore  di  Costantinopoli, 
occupata  la  Sicilia  e  parte  della  Calabria,  fossene  da  Ruberto 
Guiscardo  dispossessato  [e].  »-►  L'Anonimo  citato  nella  E.  F. 
dice  che  Guiscardo  venne  in  Italia  circa  II  i  o4o,  che  acquistossi 

fai  Lib.  a3.  la.  [b]  PtoUmaei  Lucensis  AnnaL^a*  1071.  [e]  Lib.  4* 
cap.  1 7« 


Go2  INFERNO 

E  l'altra^  il  cui  ossame  ancor  s'accoglie 
A  Ceperan ,  là  dove  fu  bagiardo  16 

Ciascun  Pugliese ,  e  là  da  Tagliacozzo  ^ 
Ove  senz'arme  vinse  il  vecchio  Alardo; 

per  forza  d'arme  Sicilia  ^  Puglia  e  Calabria ,  e  che^  fatto  Redi 
Paglia,  sconfisse  iViniziani  e  T  Imperatore  dei  Greci.  Il  Villani 
dice  ch'egli  venne  in  Italia  nel  1070.  E.  F.  -Crede  il  sìg.  Pog- 
giali che  qui  debbasi  intendere  della  sconfitta  data  nel  io83  da 
Guiscardo  ai  Puf  liesì,  quando rìbellatasegli  la  città  di  Canne,  nel 
maggio  del  preaetto  anno  vi  mise  assedio  9  e  presala ,  quindi  un 
mese  e  mezzo  dopo  affatto  la  distrusse.  Il  fatto  è  raccontato  dai 
Cronisti  napoletani  contemporanei,  o  quasi  contemporanei. «-• 
1 5  al  1 8  £*  raltra ,  il  cui  ossame  ec.  L'altra  gente  morta 
nella  prima  battaglia  tra  Manfredi  Re  di  Puglia  e  Sicilia ,  e  Carlo 
Conte  d'Angiò,  a  Ceperano,  luogo  nei  confini  della  Campagna 
di  Roma  verso  Monte  Casino  ;  le  ossa  della  qual  gente  ancor 
trovano  gli  agricoltori  sparse  pe'campi;  e,  secondo  il  costume 
loro ,  quando  sanno  che  sono  di  cristiani ,  raccolgono  e  ripon- 
gono in  qualche  sacro  cimitcrìo.  -  là  dove  fu  bugiardo  -Cia- 
scun Pugliese i  mancò  della  promessa  icde  al  Re  Manfredi. 
Giovanni  Villani ,  che  citano  qui  il  Vellutello  e  il  Venturi ,  rac- 
conta la  cosa  in  modo,  come  se  a  Ceperano  cedesse  l'esercito 
di  Manfredi  a  quello  di  Carlo  senza  contrasto  ;  e  il  mancamento 
di  fede  de*Pugiiesì  al  loro  Re  Manfredi  riportalo  avvenuto  nella 
battaglia ,  in  cui  Manfredi  rimase  ucciso  sotto  Benevento  [a]. 
Dante  però  di  un  fatto  successo  neiranno  1 265  potè  esseme 
meglio  informato  che  il  Villani  ;  e  ben  perciò  il  Villani  stesso, 
della  sepoltura  diManfiredi  lungo  il  fiume  Verde  parlando,  s'at- 
tiene alla  testimonianza  di  Dante:  Z)i  dò ,  dice ,  ne  rende  tesii-- 
monianza  Dante  nel  Purgatorio  «  capitolo  terzo  [6^.  -e  là  da 
Tagliacozzo  i  (da  per  a  vedi  il  Cinonio  [c])-CA'e  senz'car- 
me ec.j  intendi  l'altra  gente  morta  a  Tagliacozzo  (castello  nello 
Abruzzo  Ulteriore,  poche  miglia  sopra  i  confini  della  Campa- 
gna di  Roma)  nel  fatto  d'armi  tra  il  detto  Carlo  d'Angiò,  di- 
venuto Re  di  Sicilia  e  diPuglia,  eCurradino,  nipote  deirestinto 
Re  Manfredi,  nel  qual  &tto  Alardo  di  Valleri,  cavalier  fran- 
cese dì  gran  senno  e  piiidenza ,  consigliò  in  modo  il  Re  Carlo 

[a]  Lib.  ^.  cap.  5.  e  9.  [b]  Ivi.  [e]  Pariic.  70.  3. 


CANTO  XXVIIL  6o3 

E  qiial  forato  suo  membro ,  e  qual  mozzo       1 9 
Mostrasse 9  d'agguagliar  sarebbe  uulla 
11  modo  della  nona  bolgia  sozzo . 

Già  veggia  per  mezzul  perdere  o  luUa ,  1  a 

Com*  io  vidi  UQ ,  così  nou  si  pertugia , 
Rotto  dal  mento  insin  dove  si  trulla . 

che,  dopo  di  aver  con  due  soli  terzi  di  sue  genti  combattuto 
e  perduto ,  finalmente  coli'  altro  terzo ,  riserbato  e  posto  in  agua- 
to 9  uscendo  improvvisamente  contro  del  nemico  esercito,  dispei^ 
80  qua  e  là  a  bottino,  cagionogli  colla  sola  presenza  la  totale 
costernazione  e  la  fuga  [a] .  m^  Pietro  di  Dante  racconta  che 
in  tal  battaglia  il  Conte  di  Caserta  e  Tommaso  Conte  di  Ger- 
ra  (  Acerra),  mariti  delle  sorelle  di  Manfiredi,  lo  abbandona- 
rono, dandosi  a  Carlo  d'Angiò  e  che  Manfiredi,  abbandonato 
ancora  da  altri  suoi  piii  fidi  e  consigliato  alla  fuga,  rispose: 
volerpiuttosto morire  Re, che  vivere  cattivo.  Fu  ucciso,  e  pres- 
so il  ponte  dì  s.  Germano  sepolto.  E.  F.^-« 

19  al  21  E  qual  ec,  e  ciascuno  della  gente  nelle  fin  qui 
dette  battaglie  malconcia  mostrasse  chi  le  membra  sue  forate, 
e  chi  mozze ,  sarebbe  nulla  iTagguagliar ,  per  ad  agguagliar 
(  della  particella  da  per  a,  o  ad^è  detto  nella  precedente  no- 
ta ),  in  niente  cioè  agguaglierebbe .  •->  da  equar^  legge  TAng. 
al  verso  20.  E.  R.  —  e  il  Vat.  3 1 99.  ^-«  //  modo  sozzo  della 
nona  bolgia-,  ellissi,  e  vale  quanto,  il  deforme  orrendo  modo, 
col  quale  punisce  i  rei  la  nona  bolgia,  a-»*  Al  modoj  l'Ang. 
E.  R.<H> 

a 2  al  24  ^'^  reggia ec>  Costruzione:  Già  così  nonsi per^ 
tugia  reggia  per  perdere  mezzul  o  lulla^  com*io  ^idi  un  rotto 
dalmentoinfin  doue  si  trulla.  Veggia  significa  botte;  e  uezsa 
appellasi  in  Bergamo  anche  oggidì.  Mezzule  è  la  di  mezzo  delle 
tixì  tavole  che  d'ordinario  entrano  a  comporre  il  fondo  della 
botte;  e  dall' essei*e  di  mezzo  all'altre  due,  dee  aver  sortito  il 
nome  di  mezzule,  Lulle  ^  come  il  Vocab.  della  Cr.  e  concorde- 
mente tutti  gli  Espositori  intendono,  sono  dette  l'altre  due  ta- 
vole di  qua  e  di  làdal  mczzulc  ;  e  credeix'i  di  nou  allontanarmi 
molto  dal  vero  se  le  giudicassi  appellate  con  tal  nome,  o  da 
luna  (  cangiata  la  n  in  due  /,  come  si  è  fatto  odia  di  cuna  ) 

[a]  Gio.  Villaoi  lib.  7.  cap.  a6.  e  37. 


6o4  INFERNO 

Tra  le  gambe  peudevan  le  minugia;  a 5 

La  corata  pareva,  e  '1  tristo  sacco, 
Che  merda  Ùl  di  quel  che  si  trangugia . 

Mentre  che  tutto  in  lui  veder  m'attacco,        nS 
Guardommi ,  e  con  le  man  s'aperse  il  petto. 
Dicendo:  or  vedi  com'io  mi  dilacco; 

o,  che  mi  par  meglio,  per  sincope  da  lunule j  ossia  lanette, 
per  essere  appunto  tale  la  loro  figura.  TruUare,  tirar  coreg- 
ge, spetezzare  [a].  E  perciò  deve  intendersi  ;  ^iVi  così  non  si 
f fin  de  una  botte  per  la  perdita  della  tat^ola  di  mezzo  del  suo 
fondo  o  delle  altre  due  laterali  ^  come  io  vidi  uno  spaccato 
in  mezzo  dal  mento  infino  alPano.  •->  Immagine  dantesca 
e  convenìcntissima  a  far  ritratto  delP  enorme  spaccata  di  quello 
spirito.  BiAOioLi.^^ 

25  minugia j  budella,  intestini:  né,  se  non  che  per  sined- 
doche, appellansi  oggi  in  Toscana  (testimonio  il  Vocab.  della 
Crusca  )  minuge  le  corde  di  liuto ,  di  violino  ec ,  per  essere  cioè 
le  medesime  composte  di  minugia:  in  quel  modo  che  canape 
appellasi  la  fune  perchè  fatta  da  canape  ;  e  legno  ogginud  la 
carrozza  si  appella;  perchè  fatta  di  legno. 

26  27  La  corata  parafa  y  la  coratella  appariva,  vede  vasi. 
—  e  7  tristo  sacco  ec,  il  lordo  ventricello,  che  converte,  in 
gran  parte  almeno,  ciò  che  si  trangugia ,  si  mangia  e  beve,  in 
escremento .  »->  Vista  orrenda  e  schifosa ,  ma  pur  quale  al  fedel 
ritratto  si  conviene.  Biagioli  .  4hì  Rapporto  però  a  questa  e  so- 
miglianti espressioni  del  Poeta  nostro,  sovvenga  al  pradente 
leggitore  che,  come  in  diversi  popoli,  cosi  in  diversi  tempi  > 
non  hanno  sempre  le  medesime  maniere  di  parlare  fatta  la  me- 
desima impressione  ;  e  che  poterono  al  tempo  del  Poeta  essere 
le  meno  volgari  quelle  espressioni  q  que*  termini  che  il  ccmtinuo 
uso  ha  poscia  renduti  volgarissimi. 

28  m^ attacco  j  m^afBgo ,  mi  fisso.  •->  Espression  forte  a  di- 
mostrar il  gran  desiderio  che  simil  vista  gli  dette.  Biagioll^^ 

io  mi  duacco.  Dilaccare  dovrebbe  propriamente  significare 
aprire,  spartire  le  lacche j  le  cosce:  qui  però  per  catacresi 
sta  semplicemente  per  aprire .  Al  medesimo  modo ,  Inf.  canto  v. 

[a]  Vedi  il  Vocab.  della  Crusca. 


CANTO  XX Vili.  6o5 

Vedi  come  storpiato  è  Maometto  :  3 1 

Dinanzi  a  me  sen  va  piangendo  Ali, 
Fesso  nel  volto  dal  mento  al  ciufFetto  : 

£  tutti  gli  altri ,  che  %u  vedi  qui ,  34 

Seminator  di  scandalo  e  di  scisma 
Fur  vivi  y  e  però  son  fessi  così . 

Un  diavolo  è  qua  dietro,  che  n  accisma  37 

(/.  a8.,  adopera  Dante  l'aggettivo  muto  j  che  8Ìgiìi6ca  /iriVo  di 
loquela  f  per  semplicemente  privo  ^ 

Io  venni  *n  luogo  d*ogni  luce  nuito. 

3 1  storpiato ,  guasto  nelle  membra.  —  è  Maometto  y  inten- 
di, che  son  io  quello.  Maometto,  TaposUU della  cristiana  re- 
ligione nel  principio  del  settimo  secolo,  impostore  e  fondatore 
della  setu  denominata  dal  suo  nome.  m^Macometto^  legge  il 
cod.  Vat.  3iQ9.4-« 

3  a  Ali ,  discepolo  e  seguace  dì  Maometto ,  ma  in  alcune 
cose  discordante  da  lui  ;  sicché  venne  a  formare  una  nuova 
sctu ,  seguita  infin'oggi  dalla  gente  soggetta  al  Sofì,  cioè  al  Re 
dì  Persia.  Voipi. 

33  duffettOy  ciocca  di  capegli  ch'è  sopra  la  fronte.  Votpi. 

35  Seminator  dice  per  cagion  del  metro  invece  di  semi- 
natori, 

36  Fur  vivij  ellissi,  vai  quanto,  fur  essendo  vivii  men- 
tre vi\^e\^ano. 

37  Un  diauolo  ec.  Movendosi  costoro  per  la  bolgia  in  giro 
(come  si  capisce  dal  \f.  Sa.),  stava  un  diavolo  in  un  dato  luo- 


queir 

tempo  a  fiir  doppio  il  duolo ,  la  cagione  che  a  ciò  li  mena.  Bi  a- 
oìoLì'^-m  accisma*  Acdsmarej  da  scisma  (quanto  se  detto  fosse 
ATJiJ/iMire,  come  esempigrazia  da  peste  dicesi  appestare  j  da 
luogo' allogare  ec.)  ,  spiegano  col  Buti  gU  Accademici  della  Cr. 
nel  Vocabolario  ;  e  dee  pei-ciò  significare  lo  stesso  che  fendere, 
squarciare.^*  lì  cod.  Cass.  legge  assisma,  ed  il  P.  di  Costanzo 


6o6  INFERNO 

Sì  crudelmetite ,  al  taglio  della  spada 
Rimettendo  ciascun  di  questa  risma , 

Quando  avem  volta  la  dolente  strada  ^  4^ 

Perocché  le  ferite  son  ifnchiuse 
Prima  ch'altri  dinanzi  gli  rivada. 

Ma  tu  chi  se  y  che  ^n  su  lo  scoglio  muse ,        43 

38  39  a/  taglio  della  spada  "Rimettendo  ee.  Come  dicesi 
metter  a  filo  di  spada  invece  di  ferir  colla  spada  ^  così  dice 
Dante  rimettere  al  taglio  (che  sigi^ifica  lo  stesso  che/f/o)  dt^fla 
spada  invece  di  ferir  nuoi^aniente  colla  spada .  —  risma  è 
propriamente  una  tal  determinata  moltitudine  di  fogli  di  car- 
ta; qui  però  poncsi  per  moltitudine  indetcrminata  di  anime. 

4o  ai^em  ^v  abbiamo  f  voce  usualissima  degli  antichi  \a\. 
-  uoltay  girata:  come  girare  adoperasi  alcuna  fiata  per  volge^ 
rcj  così  i»olgere  qui,  e  nel  i^.  9.  del  seguente  canto,  per  ^- 
rare.  —  dolente ^  dolorosa,  come  anche  nel  vi.  di  questa  me- 
desima cantica  disse  dolente  luogo  [ij. 

4^  Prima  ch^altri  ec.  Prima  ch'alcuno  di  noi  ritomi  innan- 
zi a  quel  demonio,  ./litri  per  alcuno  [e],  li  per  gli ,  a  quel- 
lo [dj .  m-¥  Ma  perchè  siasi  da  noi  messo  nel  testo  il  gli  in- 
vece di  li ,  vedi  la  nota  al  v.  ult.  del  i.  passato  canto.  <--m 

Con  questo  chiudersi  e  riaprirsi  delle  ferite  che  in  costoro 
si  va  alternativamente  facendo ,  dee  il  Poeta  voler  accennare 
ciò  che  in  materia  di  scismi  e  dissensioni  succede;  che  il  tem- 
po cioè  tira  a  sedare  e  compon*e  gli  animi ,  ma  che  costoro 
colla  loro  perversa  in  ogni  data  occasione  ripetuta  opera  rìsol- 
levanli  e  ridividonli. 

43  muse  per  musi  a  cagion  della  rima ,  da  musare.  Musare 
(dice  il  Vocab.  della  Cr.)  stare  oziosamente  a  guisa  di  stu* 
pido  ;  tratta  forse  la  metafora  daWatto  che  fanno  le  bestie 
quando  per  difetto  di  pasciona ,  o  per  istanchezza ,  o  per 
malsani  a  j  o  altra  cagione  si  stanno  stupidamente  col  muso 
Iettato.  Il  Venturi  vuole  che  musare  significhi  dar  di  nnsoy 
di  muso  y  ed  osservare .  Oltre  però  che  gli  antichi  esempi ,  che 

[a]   Vedi  Mastrofìiii,  Teoria  e  Prospetto  de^tterbi  italiani,  sorto  il 
vnrl>o  /4x'ere,  n.  4*  [6]  Verso  46.  [e]  Vedi  ilCinoii.  Partic,  aa  i.  [ti]  Lo 


CANTO   XXVIII.  607 

Forse  per  indugiar  d'ire  alla  pena, 
Ch'è  giudicata  iu  su  le  tue  accuse? 

Né  morte  '1  giunse  ancor ,  né  colpa  1  mena ,       46 
Rispose  '1  mio  Maestro ,  a  tormentarlo  ; 
Ma ,  per  dar  lui  esperienza  piena , 

A  me,  che  morto  son,  convien  menarlo         49 
Per  lo  'nferno  quaggiù  di  giro  in  giro  : 
E  quest'è  ver  così,  com'io  ti  parlo. 

Più  fur  di  cento,  che  quando  T udirò,  Si 

S'arrestaron  nel  fosso  a  riguardarmi , 
Per  maraviglia  obbliando  '1  martiro. 

Or  di'a  Fra  Dolcin  dunque,  che  s'armi,         55 
Tu,  che  forse  vedrai  il  Sole  in  breve, 

a  questo  di  Dante  rniisce  il  Vocabolario,  non  ammettono  che 
il  primiero  significato,  pare  ohe  nel  senso  preteso  dal  Venturi 
Avn^bbe  dovuto  Dante  dire  cAe  dallo  scoglio  muscy  piuttosto 
che  in  su  lo  scoglio,  m^ Musare  scende  dal  greco  muo^  fuL 
inusoy  laL  connisfere  ;  significa  combaciar  le  labbra  j  star  col 
muso  serrato ,  come  quando  uno  s'affissa  in  cosa  che  tii*i  a  so 
tutta  r  attenzione.  Il  fi[^ncese  s^amuser  scende  dalla  medesima 
sorgente.  Biagioli.^hì 

45  in  su  le  tue  accuse y  a  tenore  delle  colpe  da  te  accusate , 
confessate  a  Minos.  Vedi  Inf.  canto  ▼•  v.  7.  e  segg. 

46  •->  Né  morie  7  giunse  ancor»  Queste  parole  fanno  bel- 
la immagine,  e  ti  ricordano  quella  di  Orazio:  antecedentem 
scelestum^Deseruit  pede  poena  claudo.  Od.  11.  lib.  3.  Bu- 

GIOLI  •  ««Hi 

50  »>  Per  questo  Inferno  eiù^  legge  il  cod.  Ang.  E.  B.4-« 

5 1  è  i^er  così  compio  ti  parlo  e  ellissi ,  invece  di  dure:  è  ver 
cosìj  com'è  uero  ch^io  ti  parlo . 

55  jFra  Dolcin  y  romito  eretico ,  che  y  tra  gli  altri  errori ,  pre* 
dicava  la  comunanza  d'ogni  cosa,  eziandio  delle  mogli ,  essere 
a' Cristiani  lecita.  Forte  pel  seguito  di  piiidi  tremila  nomini, 
rubando  ed  ogni  iniquità  commettendo ,  per  due  anni  sosten- 
nesi|  finché  nel  i3o5 ,  ridottosi  ne* monti  del  Novai*ese  spro- 
\isto  di  viveri,  e  dalla  copia  della  caduta  neve  impedito,  fu 


6o8  INFERNO 

S'egli  non  vuol  qui  tosto  segaitarmi ^ 
Sì  di  vivanda ,  che  stretta  di  neve  58 

Non  rechi  la  vittoria  al  Noarese, 
Ch'altrimenti  acquistar  non  saria  leve. 

dai  Novaresi  preso  ed  arso  egli  con  Mai^èrìta  sua  compagDa 
e  con  più  altri [a].»->Attanagliato  ed  arso  vivo,  con  incredibile 
fortezza  d^animo  sostenne  sino  alFultimo  lo  strazio  più  crudele, 
né  mai  in  mezzo  ai  supplicj  si  vide  mutar  fiiccia,  né  far  il 
minimo  lamento;  predicando  anzi  di  continuo  ai  seguaci  che 
persistessero  ne* suoi  insegnamenti.  Margherita  sua  moglie  non 
fu  d'animo  minore;  la  quale^  bella  e  ricca  molto ,  volle  anzi 
sostenere  i  medesimi  supplicj ,  che  rinnegare  i  precetti  del  ma- 
rito. BiAGiOLi.- A  ciò  che  qui  è  detto  di  FraDolcino,  l'Ano- 
nimo ,  citato  nella  E.  F. ,  v'  aggiunge  :  E  io  scrittore  ne  vidi  dei 
suoi  ardere  in  Padova  in  numero  di  venti  due  a  una  volta,  gente 
di  vile  condizione,  idioti  e  villani.  -  Il  Boccaccio  dice  che  Fra 
Doloino  fu  del  contado  di  Novara,  d'un  castello  chiamato  Ro- 
mojpiano .  E.  F.  -  Ebbe  molti  seguaci  spezialmente  a  Yin^ia, 
Padova ,  Vicenza ,  Verona ,  Cremona ,  Parma ,  Piacenza ,  Lucca, 
Pisa  e  Genova.  In  un'antica  Cronica  leggesi.*  ce  Anno  Domi- 
»  ni  MGCGVII.  die  iovis  sancto  expugnatus  et  captus  fìiit  in 
»  montibus  novariensibus  frates  Dolcinus  de  No  varia  novonua 
3»  sacrorum  institutorhereticus  cummulùs  discipulisper  Inq[ui- 
u  sitores  hereticae  pravitatis  adiuvante  exercitu  cruce  signato- 
»  rum  •  PerieiTmt  frigore ,  fame ,  gladio  supra  quingentos  •  Ipse 
»  et  Margarita  uxor  minutati m  incisi,  postea  combusti  snnt  cum 
»  multis  complicibus.  Nec  tamen  suum  dogma  penitus  est  extin- 
»  ctum.  »  PoaTiBELLi .  4-«  sfarmi  connettesi  con  di  uii^anda  tre 
versi  sotto,  e  però  vale  quanto  si pro$/^egga e  catacresi. 

5y  Scegli  non  ^uol  ec,  se  non  vuole  presto  esser  morto, 
e  condannato  da  Minos  a  questa  medesima  pena  che  io  soffro . 

58  69  ^iuanda^  viveri.  — >  stretta  di  neucj  cerchiamento, 
serraqiento  di  neve .  —  al  Noarese ,  intendi  ,270/70/0 . 

60  Ch'altrimenti,  provvisti  cioè  essendo  Doicino  e'compagni 
di  viveri ,  -  acquistar ,  ottenere ,  intendi ,  la  vittoria ,  —  non 
saria  levOy  non  saria  facile. 

fa]  GioTannì  Villani,  lib.  8.  cap.  84.  »-»  Vedi  anche  Historia  t>ulcimi 
nel  Muratori  Script,  ren  italìc.  tom.  ix.  4-« 


CANTO  XXVIII.  609 

Poiché  FuQ  pie  per  girsene  sospese,  61 

Maometto  mi  disse  està  parola , 
Indi  a  partirsi  in  teiTa  lo  distese. 

Un  altro,  che  forata  avea  la  gola,  64 

E  tronco  *1  naso  infin  sotto  le  ciglia , 
E  non  avea  ma  eh'  un'  orecchia  sola , 

Restato  a  riguardar  per  maraviglia  67 

Con  gli  altri ,  innanzi  agli  altri  apri  la  canna , 
Ch'era  di  fuor  d'ogni  parte  vermiglia, 

E  disse:  o  tu,  cui  colpa  non. condanna ,  70 

E  cui  già  vidi  su  in  terra  Latina, 
Se  troppa  simiglianza  non  m'inganna, 

61  al  63  un  pie  ec.f  tielI*atto  che  alzava  già  nn  piede  per 
ricamminare ,  —  mi  disse  està  parola ,  singolare  pel  plurale , 
per  queste  parole . -^ a  partirsi  in  terra  lo  distese;  ponendo 
a  terra  il  sospeso  juede  compiè  l'incominciato  passo.  •-►In  tale 
atteggiamento  naturalissimo  lo  dipinge  Dante  »  e  cotale  Thai  a 
veder  tu,  e  ammirare  che  nuli*  atto  della  natura,  per  mìnimo 
che  sia,  sfuggir  puote  al  sottil  guardo  del  Poeta  nostro.  Bia- 

010L1.4HÌ 

66  ma  che^  più  che»  corrisponde  al  magis  quam  dei  La- 
tini, e  allo  spagnuolo  mas  quèj  come  altre  volte  è  detto. 
»^Gosi  il  Lombardi;  ma  vedine  1* interpretazione  del  eh.  Pei^ 
ticari,  da  noi  esposta  nella  nota  al  verso  a6«  del  iv.  passato 
canto.  4Hi 

68  innanzi  agli  altri ^  prima  degli  altri;  —  apri  la  canna 
per  aprì  le  labbra,  ch'essendo  come  il  turacciolo  della  can- 
na della  gola,  coU'aprirsi  di  esse  rimane  la  canna  della  gola 
aperta. 

69  di  fuor  d*ogni  parte  ì^ermiglia,  insanguinata  pel  san- 
gue grondante  dal  troncato  naso  «-^e  dalla  forata  gola.4-« 

yiah^Et  cui  i^idi  già  in  terra  Latina ,  legge  malamente  il 
VaU  3  ig^  4-«  terra  Latina ,  Italia ,  cosi  denominandola  dal  La- 
sic,  nna  delle  piii  celebri  parti  di  essa. 

y^  Se  troppa  simiglianza ^  ellissi,  intendi  fra  te  e  colui 
vhUntendo  che  tu  sii* 

FoL  l  39 


6io  INFERNO 

Rimembriti  di  Pier  da  Medici aa,  73 

Se  mai  torni  a  veder  lo  dolce  piano, 
Che  da  Vercelli  a  Marcabò  dichina. 

E  fa' saper  a'due  miglior  di  Fano,  76 

A  messer  Guido,  ed  anche  ad  Aogtolello, 
Che,  se  l'antiveder  qui  non  è  vano, 

Gittati  saran  fuor  di  lor  vasello,  79 

E  mazzerati  presso  alla  Cattolica , 

73  Pier  da  Medicina ,  luogo  del  contado  di  Bologna  «  temi' 
natoi*  di  discordie  tra  i  cittadini  di  quella  città ,  e  poi  tra  il 
conte  Guido  da  Polenta  e  Malatestino  da  Rimino.  Voiri. 

J^  lo  dolce  piano  ec.y  intendi  la  Lombai-dia  ,  nobilÌÀsiou 
provincia  d'Italia.  Volvi. 

75  F'ercelli^  la  Nidob.;  Vercello ,  l'altre  edidoni;  città,  oel 
distretto  della  quale  incomincia  il  gi*an  piano  della  LoinW 
dia,  e  pel  tratto  di  dugento  e  pù  miglia  diàiina^  si  va  colla 
cori*ente  del  Pò  abbassando  fino  a  Marcabò  y  castello  t  oggi  & 
strutto,  vicino  alla  foce  in  mare  del  Pò,  a  Porto  Prìmaro. 

76  Fano,  città  sul  lido  dell*  Adriatico,  al  di  sotto  di  Pesaro 
nove  miglia. 

77  Guido  del  Cassero,  onoratissimo  gentiluomo  di  Fano. 
/                           ^'^  Angiolello  da  Cagnano,  altro  gentiluomo  di  Fano  ugual- 

mente  onorato  «  Volpi- 

79  80  Gittati  saran  ec.  Malatestino  Signor  di  Arimino,  cru- 
delissimo e  vi  olentissimo  tiranno,  dal  Poeta  nel  precedente  canto 
detto  mastino ,  oixlinò  che  messer  Guido  del  Cassero  e  messer 
Angiolello  da  Cagnano,  cittadini  di  Fano,  città  posta  al  lìto 
del  mare ,  e  trenta  miglia  distante  da  Rimino  ,  venissero  alk 
Cattolica  un  destinato  di  a  desinar  con  lui,  fingendo  aiFcrei 
conferir  alcune  cose  d'importanza;  ed  a  quelli  che  li doveTaoo 
condurre  per  mare ,  impose  che ,  giunti  presso  alla  Cattolica, 
ove  fingeva  d'aspettarli,  li  sommergessero;  la  qual  cosa  segni 
appunto  come  da  lui  fu  ordinata.  Vsl|iUT^i,o.  Il  quale  però  ma* 
lamente  col  Landino  prima  di  lui ,  siccome  il  Venturi  diopo  tatti 
e  due  malamente  fer  gittati  saran  fuor  di  lor  vasello  iateiide 
qhe  si  separeranno  per  morte  l'anime  de*  due  Fanesi  da' loro 
corpi ,  i  quali ,  dicon  essi ,  sono  vaselli  e  rieett€$coli  di  quelle  i 


CANTO  XXVIIL  6ii 

Per  tradimento  di  un  tiranno  fello. 

Tra  risola  di  Cipri  e  di  Maiolica  82 

Non  vide  mai  si  gran  fallo  Nettuno, 
Non  da  pirati ,  non  da  gente  argolica . 

Quel  traditor,  cbe  vede  pur  con  Tuno,  85 

e  niente,  per  verità ,  meglio  spiega  il  Volpi  detto  i^Are/Zo /f^u- 
raiamente  per  città  j  patria.  F'aselloj  ci  avvisa  il  Vocabo- 
lario della  Crusca ,  dissero  gli  antichi  per  vascèllo ,  nave , 
fia^i^//o  ;  ed  oltra  gli  altri  esempj^  ne  aiTeca  quello  del  Poeta 
nostro  medesimo: 

•  quei  sen  venne  a  ri%^a 

Con  un  vasello  snelletto  e  leggiero 
Tanto  j  che  Pacqua  nulla  ne  'inghiottiva  [a] . 
Gittatij  adunque,  saranfuor  di  lor  vasello  vale  quanto,  git^ 
tati  saran  fuor  del  loro  naviglio .  -e  mazzerati ^  ed  affogati 
in  mare.  Mazzerarcj  chiosa  ilButi,  citato  nel  Vocab.  della 
Gr.,  è  gettar  Vuonio  in  mare  in  un  sacco  legato  con  una  pie'» 
tra  grande;  o  legato  le  mani  e  i  piedi ^  e  uno  grande  sasso 
al  collo  •  -  *  A  questa  ragionatissima  interpretazione  del  P.  L. 
si  accorda  il  Postillatore  Cass. ,  il  quale  spiega  :  videlicet  de 
ttoi^i  eum  qua  redibant  domum.  E.  R.  —  Cattolica  y  castello 
sai  lido  deir Adriatico  tra  Rimino  e  Pesaro. 

Sa  air84  «-^Gran  rincalzo  fa  questo  sentimento  ali* idea  di 
sopra  espressa,  ed  è  questa  la  vera  eloquenza.  Biaoiou*  <-•  d« 
prij  Cipro,  isola  del  Mediterraneo  la  piìi  orientale.  — Maio^ 
lica  ,  Maiorica ,  la  maggiore  dell'isole  Baleari,  clie  sono  le  piii 
occidentali  del  Mediterraneo.  Dicendo  adunque  tra  Cipri  e 
Maiolica  viene  il  Poeta  a  dire  lo  stesso  che  se  dicesse ,  in  tut" 
ta  la  lunga  estensione  del  Mediterraneo.  —  Nettuno  »  Dio 
del  mare.  »>  total  fallo ^  il  Yat.  3109.  <4-«  Non  da  pirati ^ 
non  ecj  non  mai  usata  da  pirati ^  cioè  da  corsali,  -non  dagen* 
tft  argolica j  non  da  greca  gente,  che  furono  sempre  grandb* 
simi  corsali .  Dahiblio.  •^  da  Pirrate ,  legge  il  Vat.  3  igg^-^-s 

85  Quel  traditore  il  prenominato  Malatestino,  (^ieco  d'un 
occhio.  Vbhtuei. «cAtf  vede  pur^  solamente,  con  CunOi  oc- 
eli  io:  così  il  Daniello  e.  cosi  tutti  gli  Espositori.  Io  però  du- 
bito che  il  Poeta  scherxosamente  non  dica  con  t*uno  ad  ugual 

'^n  "  Purg.  11.  4o*  S  S'gg* 


6ia  INFERNO 

E  tieii  la  terra ,  che  tal  è  qui  meco 
Vorrebbe  di  vederla  esser  digiuno, 

Farà  venirli  a  parlamento  seco  ;  88 

Poi  farà  sì ,  eh'  al  vento  di  Focara 
Non  fera  lor  mesder  volo  né  preco. 

Ed  io  a  lui:  dimostrarai  e  dichiara ,  gì 

f  enso  che  con  Passo  (ch*è  Puno  dei  dadi  e  delle  carte  da  gìao« 
co)  ;  termine  qol  quale  pure  a  que*  tempi  solevasi  alcuna  fiau 
deridere  la  difettosa  unita  :  e  però  fu  Dante  medesimo ,  per 
certo  fatto  che  nou  è  bene  di  qui  rifcm^e,  soprannomato  mts^ 
ser  Asso  [a\ , 

86  87  la  terra ,  il  Rimioese.  -"che  tal  è  (fui  meco  :  tacesi  per 
ellissi  un  altro  che  di  mezzo ,  do vendosi  ìnteudei*e  come  se  fosse 
detto:  che  tal  cVè  qui  meco»  Curio,  ossia  Gurione,  eraqne- 
sto  tale.  Vedi  il  %^.  102.  •-»  Chiosa  il  Torelli  a  questo  luogo: 
cf  Nota  sintassi  :  che  tal  è  qui  meco  vorrebbe ,  in  luogo  di  due  : 
»  che  tal  è  qui  meco  che  {correbbe •v^'^^  f^orrebbe  di  %^ederla 
esser  digiuno.  Catacresi ,  e  vale  quanto,  \>orrebbe essere  stato 
senjfa  vederla;  imperocché  per  aver  ivi  istigato  Cesare  a  vol- 
ger Tarmi  contro  la  patria,  erasi  meritato  rinfemo«  — ^i  ve* 
dercy  leggono  T  edizioni  diverse  dalla  Nidobeatina;  »-»e  col 
codice  Vat.  3 199  e  TAng.  la  3.  rom.  edizione,  sembrando  al* 
TE.  R.  che  dopo  il  che  del  verso  precedente  ìXla  di  vederla 
non  sia  che  un  deforme  pleonasmo.  <-€ 

89  90  Poi  farà  sì^  ec:  poi  opererà  di  modo,  che  al  Teuto 
di  Focara  non  farà  lor  mestieri  prego,  né  voto.  Focara  è  alto 
monte  presso  alla  Cattolica  sul  mare,  dal  quale  nascoa  venti 
molto  impetuosi ,  che  qualche  volta  mandano  a  traverso  e  som* 
mergono  le  navi  che. passano  1  ove  i  marinari  per  loro  scampo 
sogliono  far  voti,  ed  invocare  chi  uno  e  chi  un  altro  Santo, 
Ma  costoro ,  sp  per  opera  di  Malatestino  saranno  in  tal  forma 
morti ,  non  potendo  tornare  a  casa ,  non  fiu'à  lor  mestieri  fas 
roti  ne  preghi  per  cagion  di  questo  vento.  Y £Llutei.o.  m^A'on 
sarà  lor  mestier^  buona  variante  dell* Ang.,  per  cui  si  sfugc^* 
rincontro  di  due  farà  spiacevoli  airorecchio.  E.  R.^-s 

[a]  Vedi  le  Facezie  di  dWersi^  aggiunte  a  (quelle  del  Piovauo  ArloUdt 
Itatnpate  in  Firenve  nel  ■579- 


CANTO  XXVllL  6i3 

Se  vuoi  eh'  io  porti  sa  di  te  novella , 

Chi  è  colui  dalla  veduta  amara. 
AUor  pose  la  mano  alla  mascella  94 

D'un  suo  compagno,  e  la  bocca  gli  aperse 

Gridando:  questi  è  desso,  e  non  favella: 
Questi,  scacciato,  il  dubitar  sommerse  q7 

In  Cesare,  affermando  che  *1  fornito 

Sempre  con  danno  l'attender  sofferse. 
O  quanto  mi  pareva  sbigottito  1 00 

Con  la  lingua  tagliata  nella  strozza 

Curio,  ch'a  dicer  fu  così  ardito! 
Ed  un ,  eh'  a vea  l' una  e  l' altra  man  mozza ,      i  o3 

Levando  i  moncherin  per  V  aria  fosca , 

9  3  al  96  colui  ''daiia  veduta  amara  j  colui  al  quale  dicesti  che 
,  riesce  amara  la  veduta  eh'  egli  fece  di  Rimiuo  9  tal  che  von*ebbe 
,  esserne  digiuno .  —  e  non  faxfella ,  e  non  può  faTellare  per  aver 
,  la  lingua  tagliata  nella  strozza ,  come  dirà  nel  i/.  1  o  f . 

97  al  99  scacciato  9  esule  da  Roma .  — >  sommerse  in  Cesa* 
•  re  il  dubitare ,  fece  che  Cesare  superasse  quella  perplessità , 
nella  quale  9  ritornaudò  coli' esercito  vittorioso  dalle  Gallie  e 
giunto  al  fiume  Rubicone  vicino  a  Rimino ,  stette  alquanto,  se 
a  tenore  delle  leggi  deponesse  ivi  il  comando  delle  armi  9  0  ri- 
Folgessele  contro  la  stessa  patria  Roma  «  — *  affermando  che  7 
fornito  9  che  colui  che  ha  tutto  in  pronto  9  sempre  sofferse  con 
danno  Ta/^en^fere ,  sempre  risenti  danno  dall' indugiare  T  im- 
presa. Tolle  moras  (  cosi  Lucano  fa  che  parlasse  Cm*ione  a  Ce- 
sare in  quell'incontro)  nocuit  semper  differre  paratis  [a]. 
»-^  Allo  stesso  modo  chiosa  qui  pure  il  Torelli .  «-« 

I  oa  dicere  per  dire  fu  adoprato  dagli  antichi  Toscani  an« 
che  in  prosa .  Vedi  il  Vocabolario  della  Cinisca.  •-> Ma  dire^ 
alla  moderna 9  ha  l'antichissimo  cod.  Angelico.  E.  R.  <-• 

1  o4  moncherini^  braccia  senza  mano.  —  aria  9  legge  la  Ni' 
,  flobeatina;  aura 9  T altre  edizioni,  •->  ecolVat.  8199  la 3. ro- 
ma oa,  per  esser  aura  parola  più  poetica.  4-a 

[  AJ   i^hars.  lib.  i«  i^.  a8i. 


y 


6i4  INFERNO 

Si  che  '1  sangue  facea  la  faccia  sozza, 
Gridò:  ricorderà  ti  anche  del  Mosca,  loG 

Che  dissi,  lasso!  capo  ha  cosa  fatta, 
Che  fu  1  mal  seme  per  la  gente  tosca  : 

I  o5  «Si  che  V  sangue  ec.  :  il  sangoe  che  usciva  dalla  parte, 
ond'eran  troacate  le  mani,  cadeva  a  lordar  la  faccia. 

1  o6  ricorderali ,  ti  ricorderai .  Volpi  .  —  Mosca ,  Lamberti 
diccloerìpeteloGiovaani  Villaui[a]  edanche  Paolino  Pieri  [b\', 
degli  [/berti  dìcoulo  il  Landino ,  Daniello  e  Vellutello ,  e  d^*- 
gli  [/berti  0  de^  Lamberti  dubbiosamente  il  Venturi  ed  il  Vol- 
pi. —  ^11  Postili.  Cass.  dice  chiaramente:  iste  f uà  /).  Musca 
de  Lanibertis  de  Florentia.  E«  R.  •->  Cìol  Postillatore  cassinese 
concoixiano  e  Pietro  di  Dante  e  TAnonimo  ed  il  Boccaccio- 
E.  F.  —  Nota  il  sig.  Poggiali  che  Dante  colle  parole  ricorda 
rati  anche  del  /Mosca  non  può  alludere  ad  una  conoscenza 
personale  che  Dante  avesse  avuto  di  esso,  giacché  Tesposiu at- 
tentato accadde 9  secondo  tutti  gli  Storici,  nel  i2i5,  cioè  iio 
anni  prima  che  il  Poeta  nascesse.  Von*à  dunque  dh'e:  tudeÀ 
ricordarti  di  aver  sentito  raccontare  ec*  ♦-• 

1 07  Che  dissi ,  intendi  j  che  son  io  quello ,  e  che  dissi» 

—  lasso/  interiezione  di  dolore 9  come  ahi  misero!  e  simile. 

—  capo  ha  cosa  fatta .  Costui  in  un  consiglio  tenuto  traspa- 
renti e  amici  degli  Amidei  per  vendicare  il  loro  onore  offeso 
da  Buondelmonte  dc'Buondelmouti  (•-►che  promesso  aveva 
tor  per  moglie  una  della  loro  famiglia  9  e  pigliò  poi  una  de' Do- 
nati 4-«  )  (  famiglie  tutte  fiorentine  )  disse  :  cosa  fatta  capo 
fuiy  gergo  che  (riferendo  questo  fiitto  medesimo  spiega  Gio- 
vanni Villani)  significava  che  fosse  Buondelmonte morto\c\ 
come  fu  fatto  per  le  stesse  mani  del  Mosca  con  altri  compagni  : 
e  però  pone  qui  Dante  costui  a  quel  modo  colle  mani  mazze- 
Wh¥  cosa  fatta  capo  ha  significa ,  cosa  fatta  ha  poi  fine;  vale 
a  dire,  s* aggiusta  poi  y  non  vi  manca  riparo.  —  Così  col  Vi-'f 
pi  il  Biagioli .  4-« 

108  Che  fu  *l  mal  seme  ec,  che  fu  la  trista  cagiooe  c^ 
introdusse  in  Toscana  le  fazioni  de' Guelfi  e  Ghibellini,  comr 
il  prelodato  Villani  afferma  [d] .  —  *pcr  la  gente  y  invece  lii 

[a]  Lih.  5.  cap.  38.  ediz.  fiorenl.  dciranno  1  :\S»j,  [b]  CroM»  anno  iai>* 
[e]  Lib.  5.  cap.  38.  [d\  Lib.  5.  cap  33. 


CANTO  XXVIII.  6i5 

Ed  io  V  aggiunsi  :  e  morte  di  tua  schiatta  :        1 09 
Perch'egliy  accumulando  duol  con  duolo , 
Sen  gio  y  come  persona  trista  e  matta  • 

Ma  io  rimasi  a  riguardar  lo  stuolo,  1 1  a 

£  vidi  cosa,  ch'io  avrei  paura, 
Senza  più  pruova,  di  contarla  solo; 

Se  non  che  conscienzia  m'assicura ,  i  r5 

La  buona  compagnia  che  Tuom  francheggia 
Sotto  r  osbergo  del  sentirsi  pura . 

ilella  gente ,  leggono  assai  meglio  il  cod.  CaeU  e  quello  del  si** 
gnor  Poggiali ,  »-^  e  noi  coir  E.  £.  *^ 

I  og  £d  io  pi  aggiunsi  e  ec.  ;  ed  io  Dante  alle  parole  dette 
dal  Mosca  I  Che  fu  7  mal  seme  per  la  gente  tasca ,  \  'aggiunsi  9 
e  morte  di  tua  schiatta ,  e  cagione  della  distruzione  della  tua 
stirpe.  Accenna  che  nelle  risse  e  guerre  per  cotal  causa  ecci- 
tate  perisse  tutta  la  discendenza  di  quel  micidiario.  9^  Ed  io 
li  aggiunsi  f  legge  il  Vat.  3 199.  <^ 

110  111  accumulando  duol  con  duolo ,  il  dolore  dell'infer* 
nali  pene  col  dolore  del  distruggimento  di  sua  progenie ,  che 
Dante  ricordavagli.  »-►  Sentimento  bello  e  vero,  con  non  men 
bella  forma  espi'esso  ;  e  perchè  meglio  il  rimordimeuto  y  e  il  di- 
sperato e  rabbioso  duolo  di  quel  l'anima  si  compi^enda ,  soggiun- 
ge: sen  gtOj  come  persona  trista  e  matta.  Biagioli.^-* 

1 13  I  i4a^rei  salirai  temerei  d'essere  tacciato  d'impostura. 
-  di  contarla  solo ,  io  solamente,  io  il  primo  ed  unico  j-iSe/iza 
più  pruo^a^  senza  aggiungere  al  mio  detto  maggior  proya. 
•-►Torelli  spiega  :  ce  vuol  dire  :  e  \fidi  cosa  che  temerei  ai  sola* 
»  mente  ritccontartaj  non  adendone  altra  proi^a  che  la  mia 
3»  i^eduta»  »«-• 

1 15  al  wj  Se  non  che  ec; ma  la  mia  coscienza  mi  fa  de- 
porre ogni  paura.  -Za  buona  compagnia  ec.j  quella  (del  pro- 
nome la  per  quella  vedi  il  Cinonio  [oj)  buona  compagnia,  che 
sotto  rarmadura  di  sua  rettitudine  rende  Tuomo  franco.-oj6er- 
^'o,  o  (come  dalla  comune  scrivesi)  usbergo  j  è  armatura  del 
busto  y  detta  altrimenti ^razjea.  •-►Grande sentenza ,  esclama  il 

[a]  Partic.  996.  i. 


\ 


6i6  INFERNO 

Io  vidi  certo ,  ed  ancor  par  eh'  io  1  veggia ,        1 1 8 
Un  bus  lo  senza  capo  andar,  sì  come 
Anda van  gli  altri  della  trista  grigia . 

E  '1  capo  tronco  tenea  per  le  chiome  i  ti  t 

Pesol  con  roano,  a  guisa  di  lanterna; 
E  quel  mirava  noi,  e  dicea:  o  me! 

4}i  sé  faceva  a  sé  stesso  lucerna ,  1^4 

Ed  eran  due  in  nno,  e  uno  in  due: 
Gom' esser  può,  quei  sa,  che  sì  governa . 

Quando  diritto  appiè  del  ponte  fue,  1 17 

Levò  il  braccio  alto  con  tutta  la  testa , 

Bia  gioii ,  in  versi  maestosi  espressa ,  e  vera  quanto  la  verità  stessa; 

poiché  siccome  la  coscieDza  ci  empie  di  paura  e  di  sospetto* 

cosi  pare  di  sicurezza  e  di  confidenza.  Ovid.  Fast.  lib.  i.^ 
Conscia  mens  ut  cuigue  sua  est ,  ita  concipit  intra 
Peciora  prò  facto  spenu/ue  metumque  suo. 

E  Qi*azio  9  lib.  I .  epist.  i .  f^.  6 1  •  e  seg.  : 

Hic  murus  aheneus  està  y 

Nil  conscire  sihij  nulla  pallescere  culpa.  ^^^ 
1 1  g  120  si  come  -  jindat^an  gli  altri ^  cammioaYa  istcssa- 

mente  che  gli  altri  che  avevan  il  capo  sul  busto. 

122  Pcsoloj  lo  stesso  Aependolo  j sospeso, 

1 23  £  quel ,  la  Nidob.;  É  quei^  Taltie  edizioni , cioè  quei 
capo.  -*  o  me!  vale  quant' ozine/ 

124  a  jè  stesso  y  al  suo  corpo  medesimo. 

12Ò  Ed  eran  due  in  unoj  due  divisi  corpi,  capo  e  bvsto« 
in  un  solo  individuo,  in  un  uomo  solo,  animati  da  una  sola 
anima,  ^e  uno  in  due,  un  solo  individuo  in  due  divisi  corpi. 

1 26  Coni! esser  può  che  una  soPanima  informi  simultanea- 
mente due  corpi,  come  quivi  facevasì,  quei  sacche  si  govtr- 
na ,  sallo  colui  che  per  suo  giusto  governo  cosi  gastiga  pec- 
catori cotali .  S.  Agostino  nel  libro  De  quantitateanimac  pro- 
va l'abilità  dell'anima  ad  informare  corpi  separati coIP espe- 
rienza delle  sopravviventi  divise  parti  d'un  centogambe. 

128  tuttala  testa.  Tutta  è  qui  particella  riempitiva,  [a]. 

[a]  Vedi  il  Cioon.  Parlic.  af;.  ao. 


CANTO  XXVIII.  617 

Per  appre$sarne  le  parole  sue^ 

Che  furo:  or  vedi  la  peoa  molesta,  i3o 

Tu  che,  spirando,  vai  veggendo  i  morti: 
Vedi  s' alcuna  è  grande  come  questa. 

E  perchè  tu  di  me  novella  porti  :  1 33 

Sappi  eh'  i*  son  Bertram  dal  Bornio,  quelli 
Che  diedi  al  Re  Giovanni  i  ma* conforti. 

1^9  Per  appressarne  le  parole  y  per  così  fare  a  noi  più  tì« 
Cina  la  parlante  bocca. 

i3i  spirando y  essendo  ancor  irivo. 

i34  Bertram  dal  Bornio.  m^Bertran,  il  cod.  Ang.  E.  R« 
e  il  Vat.  3 199.  ^  Bertramo  o  Bertrando  dal  Bornio  ^  visconte 
del  castello  d*AItaforte  in  Guascogna ,  onde  piglia  suo  titolo  la 
nobile  famiglia  Hautefort  tuttavia  esistente  in  Francia ,  vis« 
snto  sul  fine  del  secolo  XII.,  fu  valente  trovatore  e  poeta  pro- 
venzale .  E  lodato  dal  Poeta  nostro  nel  suo  libro  De  vulgari 
eloauio  sive  idiomate.  Fu  prode  guerriero 9  ma  turbolento, 
furibondo  9  inquieto  9  e  per  seminar  scandali  e  discordie  valse 
Canl'oro.  Biagioli.  —  Molte  Serventesi  di  costui  si  conservano 
nei  mss.  della  Vaticana  e  della  Lauirenziana.  Amò  da  giovine 
la  duchessa  di  Sassonia,  figlia  di  Enrico  IL,  e  madre  di  Ot* 
t9De  IV.  Secondo  alcuni  si  rendè  in  ultimo  monaco  cistercien* 
se.  E.  F.4-«  quelli  "per  quegli  (pronome  di  maschio  nel  primo 
caso  del  minor  numero)  scrissero,  per  testimonianza  del  Ci* 
nonio  [a] ,  i  più  antichi  quasi  sempre  • 

1 35  ma'  per  malij  apocope.  —  conforti  per  consigli ^  esor* 
fazioni .  Volpi.  »-»  Mali  conforti  li  chiama  il  Poeta ,  perchè 
accompagnati  da  istigazione  edincoraggimento.  PoooiALwChe 
diedi  al  re  Giot^anni  mai  conforti  ^  legge  il  cod.  Vat*  3 199. 
— »  Dante  pone  Bertramo  in  siffatta  pena  per  aver  indotto  Gio^ 
yanni  detto  senza  terra  ^  figlio  minore  di  Enrico  II.  Re  d*In* 
ghilterra ,  a  ribellarsi  al  padìre ,  da  cui  era  teneramente  amato . 
-— >  Quattro  furono  i  figli  di  questo  Re  sventurato,  cioè  Enrico 
priniogenito,  detto  il  jRe  giouine^  perchè  incoronato  Re  d'In- 
ghilterra di  i5  anni,  Riccardo  o  Ricciardo,  Goffredo,  e  Oie- 
vahni  detto  il  Re  Giovanni  y  perchè  in  età  d'anni  ondici  ìnco* 

[^J  Panie.  314.  5. 


6i3  INFERNO 

ronato  Re  dell* Irlanda  conquistata  dal  padre.  Enrico,  il  Be 
giacine y  secondato  dal  fratello  Goffredo,  ribellossi  al  padre 
tre  volte  )  e  ribelle  mori .  Riccardo,  collegatosi  con  Filippo  Re 
di  Francia,  attaccò  il  padre,  che,  rotto  e  deserto  da'saoi,  fu 
pure  abbandonato  dal  ile  Giovanni  j  il  cpsle  nel  1 1 89  si  uni 
col  ribelle  Riccardo;  il  che  sentito  da  miei  Re  infelice,  fu  da 
tanto  dolore  soprappreso,  che  ne  morì  [aj» 

Parve  al  sig.  Gingaenè  che  il  Re  Gioifonni  non  possa  per 
questo  fatto  tacciarsi  di  ribellione  ^  e  propose  perciò  di  leg- 
gere gioitane  invece  di  Gioveuini;  rimproverando  poi  che /ler- 
sonne  en  Italie  n^ait  vù  jusqu*  à  presene  dans  ce  vers  ,  ou 
une  fante  grave  du  Poete ,  ou  une  altération  importante 
dans  le  texte,  —  A  propulsar  T  ingiustìzia  di  questo  rimpro- 
vero il  sig.  Biagìoli  risponde:  che  ildettodal  Poeta  bastar  do- 
vrebbe a  dimostrare  la  legittimità  del  &tto ,  sapendosi  da  ognu- 
no quanto  egli  sia  preciso  anche  nelle  minime  cose  :  che  Dante 
era  informato  di  quegli  avvenimenti,  siccome  noi  delli  pre- 
senti nostri  :  che  se  appellò  Virgilio  ribellante  alla  legge  di 
Dio  per  non  averlo  conosciuto ,  potè  con  piii  ragione  chiamare 
il  Re  Giovanni  ribelle  al  padre ,  guai  fu  veramente:  che  il  non 
averne  gl'Italiani  per  tanti  secou  avuto  neppur  il  minimo  so- 
spetto, è  argomento  di  autenticità  del  fatto  stesso:  che  il  mu- 
tamento proposto  ripugna  ad  ogni  orecchio  italiano ,  presen- 
tando un  accozzamento  di  parole,  che  non  èpiiinè  verso,  né 
prosa;  e  che  infine,  a  muovere  a  maggior  odio  chi  l^ge  con- 
tro Pesecrato  Bertramo,  l'aggravò  giudiziosamente  il  Poeta 
sotto  il  peso  del  maggior  suo  delitto,  cioè  di  aver  fatto  ribelle 
al  padre  quello  ancora  de*figli  suoi ,  che  più  degli  altri  era  da 
lui  amato  e  beneficato  .—•  Anche  prima  del  Biagioli  dissenti 
dal  parere  del  sig.  Ginguené  il  eh.  sig.  Ab.  Palamede  Carpani 
m  un'erudita  sua  dissertazione  inserita  nella  Biblioteca  ita^ 
liana  di  Milano.  Ai  due  sullodati  contradditori  si  oppose  il 
sig.  Raynouard.  Tutti  gl'Italiani  hanno  poi  ritenuta  la  lexiooe 
Giovanni  o  senza  indicar  la  quistione ,  o  citando  il  lodato 
Carpani. 

Noi ,  per  notizia  gentilmente  comunicataci  dal  eh.  sig.  Ab. 
Francesconi ,  Bibliotecario  di  questa  I.  R.  Università ,  e  da  lai 
letta  in  quest*Accademia  nel  Giugno  i8ai,  aggiungeremo  so- 
lamente che  nelle  Storie  di  Giovazmi  Villam  il  primogenito 

[a]  Vedi  Bened.  Ab.  di  Peterboroog.  De  vit.  et  gest.  Henr.  II.Ozon. 
1735,  in  8.%  e  Gugliel.  Little  De  reb.  Jngi.  Ozon.  1719,  in  •.* 


CANTO  XXVIII.  619 

rfeci  *1  padre  e  1  figlio  in  sé  ribelli:  i36 

Achitòfel  non  fé*  più  d'Absalooe 

£  di  David  co' malvagi  pungelli. 
Perch'io  partii  cosi  giunte  persone ,  iSg 

dì  Arrigo  n.  è  chiamato  assolutamente  Gioì^annij  e  in  modo 
da  non  potersi  dire  che  abbiano  erratogli  amanuensi.  Ora  se 
fu  in  inganno  un  Villani,  cronista  di  professione  e  contempo- 
raneo di  Dante,  qual  meraviglia  che  anche  il  Poeta  nostro ,  in« 
tendendo  di  parlare  del  primogenito,  lo  chiamasse  col  creduto 
nome  di  Giovanni?  4-« 

1 36 m  sé  ribelli.  Ribello  propriamente  dicesi  il  suddito  che 
ai  solleva  contro  del  principato.  Come  però  di  tale  sollevazione 
è  cagione  lo  scontento,  metonimicamente  diceDante  fatti  il  pa- 
dre e  il  figlio  in  se  ribelli  invece  di  dirli  fatti  un  delCaltra 
scontenti,  m^  Non  potendosi  infatti  chiamare  Arrigo  ribelle  al 
suo  figliuolo,  forza  è  il  supporre  qui  usata  dal  Poeta  una  tal 
voce  in  senso  figurato.  Gli  antichi  Espositori ,  da  noi  consultati , 
non  v'hanno  posta  riflessione  ;  ma  tutti  i  moderni  sono  appunto 
del  nostro  avviso.  Venturi  spiega:  n  ribelli j  cioè  al  loro  prò- 
»  prio  sangue,  alFamore  naturale  di  figliuolo  e  di  padre.» e  Bia- 
gioii/  «  ribelli  y  in  riguardo  all'  efietto  che  segue  la  ribellione*  » 
Ha  taluno  in  proposito  sottilmente  pensato  che  Dante  al 
verbo  ribellare  (  da  cui  ribelle  si  deriva  )  abbia  qui  inteso  di 
attribuire  il  significato  di  rinnovare  o  ripigliare  la  guerra  f 
corrispondente  al  lat.  iterum  bellum  gerere;  e  sebbene  non 
abbiasi,  per  quanto  sappiamo,  esempio  alcuno  in  appoggio  di 
questa  opinione ,  pure  non  si  può  negare  ch'ella  ingegnosa  non 
sia  .  —  Noi ,  col  Volpi  e  col  Poggiali,  opiniamo  che  ribelli  sia 
qui  detto  per  simili tudiuc  ed  al  senso  di  emoli ^  nemici  y  ai^ 
versarf  ec.f  trovandolo  in  tal  significato  anche  nel  Petrarca  in 
4|U(;1  verso  :  Rubella  di  mercè  y  che  pur  le  ^nvogUay  in  cui  ri/- 
bella  vale  quanto  nemica ,  contraria  ec.  ^hi 

f  37  al  1 09  Achitòfel  fu  colui  che  mise  discordia  tra  Absa- 
Ione  e  il  re  Davidde  suo  padre,  come  si  ha  nella  Scrittura 
sacra.  Volpi  .  -  non  fe^pià  d'Absalone  -  E  di  David:  »-►  iVlè 
di  Davida  il  Vat.  3 199.«-«  Dee  qui  la  prticella  di  valere  quan- 
to tra ,  o  con ,  due  delle  varie  particelle ,  alle  quali  la  </i'alcruiu 
fiata  equivale:  vedi  il  Cinonìo  (  Partic.  80.  3.  11.).  -^pungelli* 
Pungello  propria nieute  significa  pungolo  ;  qui  però  adojicrasi 


T 


620  INFERNO 

Partito  porto  il  mio  cerebro,  lasso! 
Dal  suo  principio,  ch*è  'n  questo  tronooue. 
Cosi  s'osserva  in  me  lo  contrappasso. 

figuratamente  per  incitamento^  istigazione.m^punzelli,  leg* 
gè  il  cod.  Ang.  E.  R.  e  il  VaL  3  igg.  4^  giunte  per  congiunte, 

1 4o  cerebro ,  parte ,  per  tatto  il  capo.  -—  lasso  !  interiezioDe 
di  dolore,  come  di  sopra  \f.  107.  •-►Noii  poteva  meglio  pro- 
porzionar la  pena  col  delitto.  Biagioli.4-« 

i4i  Dal  suo  principio y  dal  onore 9  il  quale  si  dice  essen* 
primiim  vivens ,  et  ultimum  moriens  ,  essendo  la  sede  e  la  fu- 
cina degli  spiriti,  che  ivi  lavorati  si  diffondono  poi,  e  sommi- 


preferibi 
seguente ,  che  noi  dobbiamo  alla  gentilezza  del  signor  Floriano 
Caldani ,  chiarissimo  Professore  di  Anatomia  in  questa  I.  R.  Uni- 
versità, a  Prassagora  (die' egli)  e  Plistonico,  al  dire  di  Galeno  , 
»  furono  di  parere  che  il  cervello  considerare  si  debba  quale 
»  appendice  della  midolla  spinale  ;  e  forse  a  questa  opinione , 
»  che  fu  pure  quella  di  Aristotile,  volle  qui  riferire  il  Poeta 
»  nel  dire  che  il  cervello  era  diviso  dal  suo  principio  y  cioè 
»  dalla  midolla  spinale,  eh' è  nel  tronco  delle  vertebre. »♦« 
142  lo  contrappasso.  Trovo  nel  Lexicon  iuridicum^  stam- 
pato in  Ginevra  nel  16 1 5 ,  sotto  l'articolo  TiUio ,  che  la  legge 
del  talione  i^idetur  Aristoteles  (lib.  de  morib.)  avrinreiroy^H 
vocare.  Significando  cotal  greco  vocabolo  letteralmante  vólto  in 
latino  contrapassusy  non  rimane  dubbio  che  per  contrappasso 
non  intenda  qui  Dante  la  legge  stessadel  talione;  ecbe  tale  Fap- 
pelli  per  rapporto  al  latino  equivalente  al  greco  Oi^rarerow^^q. 
Intenderen^  adunco  che  Così  s*  osserva  in  me  lo  conirappas-' 
so  vaglia  il  medesimo  che  in  cotal  modo  s* adempie  in  mela 
legge  del  talione ,  che  yuole  simile  il  gastigo  al  commesso 
delitto  i  onde  qui  porto  il  capo  diviso  diU  tronco  ^  come  in 
terra  staccai  il  figlio  dal  padre . 


CANTO  XXIX. 


ARGOMENTO 

Giunto  il  Poeta  nostro  sopra  il  ponte  che  soprastava 
alia  decima  bolgia,  sente  diversi  lamenti  de* tristi  e 
falsar j  alchimisti,  che  in  quella  erano  puniti;  ma 
per  lo  buio  dell'aere  non  avendo  potuto  vedere  alcu^ 
nOy  disceso  di  là  dal  ponte  lo  scoglio  ^  vide  che  es- 
si erano  cruciati  da  infinite  pestilenze  e  morbi. 
Tra  questi  introduce  a  parlare  un  certo  Griffbli* 
no  ed  un  certo  Capocchio* 

XJa  molta  gente  e  le  diverse  piaghe  i 

Avean  le  luci  mie  si  inebriate, 
Che  dello  stare  a  piangere  eran  vaghe  ; 

Ma  Virgilio  mi  disse:  che  pur  guate?  4 


B^  Le  bellezze  che  s'incontrano  in  questo  canto  non  sono 
di  sorte  che  ogni  lettore  possa  conoscerle ,  e  però  ammirarle , 
consistendo  quasi  tutte  nella  squisitezza  dei  modi  del  parlar 
poetico  9  nella  scelta  delle  parole  ^  nel  dir  chiaro  e  conciso  assai, 
quale  al  dialogo  si  conviene ,  e  nella  congruenza  delle  espres- 
sioni coi  concetti  che  per  esse  si  rappresentano ,  cose  tutte  che, 
a  gustarsi,  vogliono  gran  senno  e  giudizio.  Ho  voluto  preve* 
nirc  di  ciò  il  lettore ,  perchè  chi  da  tal  palle  ò  manchevole 
non  prorompa  in  temerario  giudicio.  Biaoioli.4-« 

a  Auean  le  luci  mie^  gli  occhi  miei,  sì  inebriate j  si,  per 
la  compassione,  di  lagrìmal  umore  ripieni. 

3  dello  stare  j  intendi  affissate  colaggiii.  '^  vaghe  ^  vo- 
gliose. 

4  che  pur  guate?  che  ancor  guardi?  Guate  per  guati  %  au* 


«M  INFERNO 

Perobè  la  vista  tua  pur  si  soffolge 
Laggiù  tra  l'ombre  triste  smozzicate? 

Tu  non  hai  fatto  si  alF altre  bolge:  7 

Pensa ,  se  tu  annoverar  le  credi , 
Che  miglia  ventidue  la  valle  volge; 

E  già  la  Luna  è  sotto  i  nostri  piedi:  io 

titesi  ia  gi*azia  della  rima .  m^  Ma  qui  guatai^ ,  secondo  il  Bia- 
gioliynon  significa  semplicemente^ttar^are,mabensiaflissarsi 
ad  un  oggeuo  con  animo  passionato  dalle  circostanze .  ♦-« 

5  6  si  soffolge.  Di  questo  verbo  soffblgere  non  reca  il  Vo- 
cabolario della  Crusca  che  due  esempj  di  Dante:  questo ,  e 
quell'altro,  Paradiso  xxiii.  i3o.  \a\'. 

Oh  quanta  è  ruberia  che  si  soffolce 
In  queir  arche  ricchissime  ^  ec. 
La  struttura  di  cotal  verbo,  simile  al  latino  suffulcire,  ed  il 
significato  del  latino  suffulcire  adattabile  ad  esso  verbo  ne'dne 
prodotti  esempj ,  pare  che  ne  persuadano  che  il  soffolgere  non 
sia  che  il  latino  stesso  ^ru^tt/cire,  italianamente  detto.  Poggiando 
in  certo  qual  modo  la  vista ,  ossia  visione,  neirobbietto  veduto, 

f>uò  ed  in  latino  dirsi ,  suffulcitur  visio  ab  obiecto ,-  ed  in  ita* 
iano,  la  yista  dagli  obbietti j  o  (eh* è  lo  stesso)  tra  gliob^ 
bietti  si  soffolge  f  si  sostiene.  »-»  Queste  parole  mostrano  qnel 
guardo  attonito  e  fisso  in  luogo,  in  modo  che,  essendo  l'anima 
da  forte  sentimento  assorta,  non  si  distinguono  quasi  più  le  for- 
me. BiAGioLi.4-«  smozzicate f  trinciate,  mutilate. 

9  volge f  gira,  come  nel  f>.  4o«  del  canto  precedente  volta 
per  girata. 

10  E  già  la  Luna  ec.  Avendo  il  Poeta,  nel  terminare  della 
prossima  passata  notte,  detto  che  nella  notte  precedente  a  quella 
fu  la  Luna  tonda  [A j ,  dicendo  ora  che  la  Luna  gli  era  sotto 
i  piedi,  viene  a  dinotare  eh* era  mezzogiorno  passato:  aic^come 

[a]  —  *  Due  esempi  dell'Ariosto  reca  il  diligentissiino  autore  della 
Teoria  e  Prospeiio  de* verbi  italiani ,  signor  Ab.  Mastrofioi ,  pìii  vol- 
te da  noi  ciuto.  Orlando  ziv.  sL  5o-,  e  xzvu.st.  84*  Per  verità  ooo 
sembra  che  1*  iusigoe  Accademia  della  Crusca  dovesse  tralasciarli  tm 
confermazione  degli  antichi  per  dimostrazione  delV  uso^  oper  quai* 
che  altra  occorrenza  E.  R.   [b]  Canto  zz.  v.  1 37. 


CANTO  XXIX,  6a3 

Lo  tempo  è  poco  ornai  che  q'c  concesso; 

Ed  altro  è  da  veder,  che  tu  noQ  vedi. 
Se  tu  avessi,  rispos'io  appresso,  i3 

Atteso  alla  cagion,  perch'io  guardava, 

Forse  m'avresti  ancor  lo  star  dimesso. 
Parte  sen  già,  ed  io  retro  gli  andava,  16 

airopposto ,  quando  due  notti  dopo  il  plenilunio  abbiamo  la 
Luna  sopra  il  capo  9  già  è  passata  la  mezzanotte* 

1 1  Lo  tempo  è  poco  ontaij  ec;  perocché  non  restava  loro 
altro  tempo,  che  da  quel  ptmto  fino  all'imbrunire  del  mede- 
simo giorno,  su  rimbrunire  del  quale,  pel  centro  della  terra 
passando»  se  n'escono  i  Poeti  d'Inferno.  Vedi  il  e.  xxziv.  y.  68. 

la  Ed  olirò  è  da  ^eder^  che  tu  non  i^edif  legge  la  Nido* 
beatina  ^-*  ed  i  codd.  Casa,  e  Caet.  E.  B.);  ove  raltrc  edizio- 
ni, E  altro  è  da  ueder^  che  tu  non  credi»  "ì^edif  in  luogo 
di  eredi y  hanno  pur  trovato  in  piti  di  trenta  mss.  gli  Accade- 
jnici  della  Crusca  ;  e  non  capisco  perchè  non  l'abbiano  ammesso 
nel  testo,  e  levato  credit  u  quale  ritenendosi,  sarebbe  questo 
r  unico  caso  in  cui  facesse  Dante  tire  rime  con  due  parole  di 
ugual  senso;  esempio  bensì  trovandosi,  che  facciale  con  una 
sola  [a],  ma  con  due  parole  non  mai.  Ed  altro  è  da  veder f 
che  tu  non  vedi:  altro  di  più  maraviglioso  e  spaventevole,  che 
qui  tu  non  vedi.  »♦  Anche  il  Biagioli,  scostandosi  dalla  Ci*u- 
sca  9  qui  segue  la  Nidob.,  che  s'accorda  anche  col  codice  Stuar* 
diano.  E  Alfieri ,  nel  suo  Estratto  delle  bellezze  di  Dante  pos- 
seduto dal  detto  Biagioli ,  notando  questo  verso,  secondo  la  le- 
zione degli  Accademici ,  scrive  :  e  certo  con  intenzione  di  cor* 
reggere y  che  tu  non  \edi.  ^uedij  legge  pure  ilVat.  3i99.4-« 

1 3  1 4  appresso f  in  seguito.iSe  avessi  atteso  alla  cagione  ec. 
dee  valere  lo  stesso  che,  se  annessi  atteso  ad  indagare  la  cagione. 

i5  ancor  lo  star^  lo  stare  ancora,  d'avvantaggio. -^imox- 
so ,  perdonato,  concesso.  •-♦£  tolto  evidentemente  dal  lat.  veiw 
ho  dimitto ,  che  presso  gli  scrittori  di  bassa  latinità  vuol  dir 
Anche  perdonare.  Poggiali. <<-• 

16  al  18  Parte  sen  già ,  ec;  sinchisi,  di  cui;la  costruzione  : 
Oid  lo  Duca  parte  sen  già ,  ed  io  gli  anda$/a  retro ,  facendo 

[a]  Par.  sii.  7  i.  e  segg.«  stv.  io4-  e  iegg. 


6a4  INFERNO 

Lo  Duca,  già  facendo  la  risposta, 
E  soggiungendo  :  dentro  a  quella  cava , 
Dov'  io  teneva  gli  occhi  si  a  posta ,  1 9 

Credo  eh'  un  spirto  del  mio  sangue  pianga 

la  risposta  f  cioè ,  già  Vii^lio  intanto  se  n'andava ,  ed  io  tene» 
▼agli  dietro 9  proseguendo  a  rispondere.  Cheravverbio  parte 
adoperassesi  a  significato  d* intanto ,  mentre  e  simili ,  è  certis- 
simo per  molti  esempj  che  il  Cinonio  [a]  ed  il  Yocab«  dellt 
Crusca  [6]  ne  arrecano.  In  qnelle  parole  (per  dime  uno)  dtì 
Boccaccio  :  Parte  che  lo  scolare  questo  diceva  j  la  misera  don^ 
napiangeì^a  continuo  [e]}  può  egli  porte  aver  altro  significato 
che  di  mentre?  Malamente  adunque  il  Vellutello,  Daniello  e 
Venturi  vanno  arsìgogolando  essere  il  senso ,  che  parte  ì^irp* 
Ho  andava^  e  parte  si  fermala  per  ascoltar  Dante  ^  La  me- 
desima Nidobeatina  leggendo  a  questo  stesso  senso ,  Purg.  xxi. 
|/.  x^y  parte  andana  forte  invece  dì  perchè  andiUe  forte  j  vien 
ivi  a  toglierne  un  grosso  sconcerto  •  Vedi  quel  verso  e  quella 
nota.  »-^Ma  il  Biagioli  ci  dice,  che  la  yoce parte ,  elementa 
di  da  una  parte ,  ovvero  da  sua  parte  ,  usasi  a  fiir  cenno  di 
due  diverse  azioni  fatte  da  una  o  niii  persone  a  un'ora  stessa, 
O  quasi  ad  un  tempo ,  e  che  in  tal  senso  T  usarono  Boccaccio 
e  Petrarca.  -Il  Torelli  spiega  qui  come  il  Lombardi ,  e  riporta 
lo  stesso  esempio  del  Boccaccio;  e  questa  sembra  a  noi  pure 
la  vera  ed  unica  interpretazione.  —Anche  il  Postili,  del  cod. 
Cass.  alla  voce  parte  nota  interim.  E.  R.  «-«  cava, hnc^,  fossa^ 

19  m-^Doy*  r  teneva  or  gli  occhi  y  legge  TAng.  E.  R.  —  e  il 
Vat.  3ig9.4-«  sì  a  posta  per  sì  appostati^  sì  affissi,  m^va 
»  posta  ò  formula  avverbiale,  modificante  Tazione  rispetto al- 
»  l'intensità  e  continuità  sua,  nò  può  significare  appostati'» 
m  affissi.  M  Cosi  il  Biagioli  sottilizzando  contro  il  Lombardi. <«^ 

20  m-^un  spirto  del  mio  sangue  ec.  Scrivendo  correttamente 
converrebbe  dire  uno  spirto.  Forse  Dante  scrisse  :  Cre'  ch'*uno 
spirto  ;  ovvero  :  Credo  uno  spirto .  Toeblli.  -Un  crodele  pre* 
giudizio  regnava  ai  tempi  di  Dante  »  cioè  che  le  ingiurie  per- 
sonali divenissero  aifari  di  famiglia  e  implicassero  in  nna  gu/eira 
comune  tutti  gì* individui  della  famiglia  offesa.  Questo  harbam 
e  falso  punto  a*Qnore  ebbe  origine  dai  Germani ,  presso  i  quali  « 

[a]  Partic.  194.  I.  e  3.  [h]  Ari.  Parte  avverb.  [e]  Giom.  6.  Vov.  *^ 


CANTO  XXIX.  6a5 

La  colpa  ^  che  laggiù  cotanto  costa . 
Alior  disse  '1  Maestro;  non  si  franga  22 

Lo  tuo  pensier  da  qui  innanzi  sovr*ello: 

Attendi  ad  altro  ;  ed  ei  là  si  rimanga  ; 
Ch'io  vidi  lui  a  pie  del  ponticello  ^5 

Mostrarti,  e  minacciar  forte  col  dito, 

Ed  udii  nominar  Gerì  dei  Bello . 

osserva  Tacito  ^  suscì  pere  tam  inimici tias ,  seu  patris ,  seu  prò  - 
pingui  j  quam  amici  tias  necesse  est  [a].  Dai  Germani  fa  por* 
tato  in  Italia,  e  quivi  mantenuto  e  divenuto  forse  piii  feroce  a 
eagione  delle  intestine  discordie  e  del  furore  delle  parti  che  la* 
ceravano  tutta  la  Penisola.  Le  fazioni  de* Guelfi  e  de' Ghibel- 
lini derivarono  pure  dalla  Germania  .^-a 

a  I  La  colpa  n  che  ec. ,  intendi  di  seminar  discordie .  '^eotan* 
to  costa  j  pagasi  con  tante  pene. 

a'*  28  non  si  franga.  Frangere  per  intóner/rji  spiegano  qui 
il  Volpi  e  il  Venturi  ;  ma  io  spiegherei  piuttosto  per  affannarsi 
e  stancarsi  f  ovvero,  più  letteralmente ,  per  far  parte  disèy  co- 
me se  detto  fosse:  non  faccia  il  tuo  pensiero  da  qui  innanzi 
di  sé  parte ^  non  estendasi.  -  soi^r^ello  y  sopra  lui.  m^  Ma  il 
Biagioli  chiosa.*  Non  si  franga  lo  tuopensierj  cioè  non  Inter* 
rompere  il  pensier  tuo  con  quello  di  questo  spirito  ;  e  però 
non  pensar  pia  a  lui.  —  Frangere  per  intenerirsi y  impieto* 
sirsi j  con  Volpi  e  Venturi,  contro  1  opinione  del  Lombardi, 
spiega  anche  ilcav.  Monti  [6J. 

ab  2^  Mostrarti  y  agli  altri  spiriti  <—  e  minacciar  forte  col 
dito ,  scuotendo  l'indice  stesso,  col  quale  agli  altri  spinti  ave- 
vaio  indicato:  il  quale  scuotimento  fatto  verso  d' alcuna  persona 
è  segno  minaccevole .  Non  avendo  Virgilio  osservato  in  alcuno 
di  quegli  spiriti  segno  che  conoscessero  Dante  se  non  in  costui, 
perciò  si  argomentò  di  sicuro  che  costui  medesimo  fosse  il  con* 
sanguineo  ai  Dante.  —  Ed  udìly  e  Tudii,  nominar  Geri del 
Bello .  Non  che  Virgilio  sapesse  che  uomo  di  tal  nome  fosse  pa* 
iTnte  di  Dante,  ma  acciò  conoscesse  Dante  sVgli  sapeva  ben 
coiighictturare.  Fu ,  dicono  tutti  i  Comentatorì ,  Gerì  del  Bello 
fratello  di  un  mcsser  Cione  Alighieri ,  consanguineo  di  Dante  ; 


[a]  De  morib.  Cerman.  [b]  Prop.  voi.  Sé  P.  i.  face.  iJq-  e  seg 

roi.  i.  4o 


s- 


626  INFERNO 

Tu  eri  allor  sì  del  tutto  impedito  18 

Sovra  colui,  che  già  tenne  Allaforte, 
Che  non  guardasti  in  là;  sì  fu  partilo. 

O  Duca  mio,  la  violenta  morte,  3i 

Che  non  gli  è  vendicata  ancor,  diss'io, 

e  fa  uomo  di  mala  vita 9  e  seminator  di  risse;  e  fu  ammazzato 
da  uno  de'Saccheui.  »-^Il  eh.  sig.  Ab.  Portìrelli  dice  che  que- 
sto Geri  era  figlio  (e  non  fidateli 0)  di  Cione  Alighieri  ;  che  fa 
uomo  sagacissimo  e  piacevole ,  ma  che  dilettossi  di  meUer  male 
tra  le  persone;  che  ripreso 9  per  lo  sconcio  suo  parlare,  da  uoo 
della  famiglia  de'Germii  di  Firenze  9  se  ne  vendicò  coirammai* 
zarlo  ;  e  che  fuggitosi ,  dopo  alcun  tempo  venne  esso  paiv  am- 
mazzato da  uno  dei  Germii  (e  non  de' Sacchetti).  Ma  non  ci 
dice  donde  abbia  egli  tratta  questa  notizia.  L'An  ti  co,  citato  nella 
E.  F.  9  s'accorda  coi  piii  nel  dire  che  Gerì  fu  morto  da  uoodn 
Sacchetti.  -  nUnacciar  forte  col  dito ,  e  ciò  per  grande  sdegni 
di  vedere  un  suo  parente  9  uno  di  quelli  che  pure  9  secondo  luì. 
avrebber  dovuto  vendicare  la  violenta  sua  morte .  Biagiou.^^ 
28  impedito i  occupato;  »♦  tutto  col  pensiero  in  lai  asso^ 

tO.  BlAG10U.4-« 

3g  Soi^ra  colui  j  che  già  tenne  Altaforte^  sopra  quel  Bel- 
tramo già  detto  \a\y  m^ì\  quale  fu  Signore  d'Altaforte,  ca- 
stello in  Guascogna ,  e  non  d' Inghilterra^  come  per  errore  dis- 
se pure  con  Landino  il  Lombardi .  <-• 

3  6  sì  fu  partito  f  sinché  fu  partito .  Di  si  in  luogo  di  sinché  ^ 
oltre  gli  esempj  moltissimi  recatici  dal  Vocabolario  della  Cni- 
sca,  è  da  vedersi  T  insegnamento  dei  Deputati  alla  correzione 
del  Boccaccio  [&].  »-»Il  Biagioli  spiega:  sì  (così)  egli  fu  par' 
titOy  quando  tu  guardasti  là.  —Il  Torelli ,  che  legge  eoa  la 
Cruscai  nota  invece  a  questo  luogo  così:  «Io  credo  che  debba 
»  ommettersi  la  virgola  innanzi  a  non ,  e  leggere  sì  per  cosi 
M  Ed  è  questo  il  sentimento  :  Tu  eri  allora  si  impedito  ^  da 
»  non  guardasti  in  là;  sì  (cioè  così^  onde)  egli  se  ne  an- 
M  tf/ò.  M  Sembrandoci  questa  la  interpretazione  migliore ,  ne 
abbiamo  perciò  seguita  anche  T  interpunzione  .^hi 

3 1  al  33  Che  non  gli  è  vendicata  ec.  Non  vendicata  per 
alcuno  della  nostra  famiglia ,  che  fu  a  parte  deiroltraggto  che 

[a]  Canto  preced.  p.  i34.  [b]  Niim.  55.  gSorn.  9.  nov.  a. 


CANTO  XXIX.  C>.7 

Per  alcun  che  dell'onta  sia  consorte, 
Fece  lui  disd^noso,  onde  sen  gìo  34 

Senza  parlarmi,  si  com'io  stimo; 
Ed  in  ciò  m'ha  el  fatto  a  sé  più  pio. 

esso  ricevè.  Dice  però  il  Landino 9  che  3o  anni  dopo  fu  fatta 
questa  vendetta  da  un  6gIiuolo  di  messer  Cione,  che  trucidò 
uu  Sacchetti  sulla  porta  della  sua  casa.  Vevtubi. 

34  »-^  ondaci  sen  glof  legge  il  Val.  3 199.  4-« 

35  compio  istùno  la  Nidob.;  compio  stimo,  l'altre  edizioni: 
secondo  però  le  quali  bisognerebbe  far  valere  per  due  sillabe 
la  particella  io  per  entro  il  verso;  che,  dopo  il  verso  1 1.  del 
canto  111.  deirinC,  sarebbe  forse  questo T altro  solo  esempio. 
»-»Cosi  il  Lonibai*di;  ma  noi  preferiamo  la  comune  lezione  sti" 
niOy  e  perchè  la  crediamo  la  vera  ed  originale ,  e  perchè  Via 
bissillabonon  fa  contrasto  airarmonia  del  verso,  e  perchè  in- 
fine questa  lezione  si  sostiene  coirautorità  de*  codici  Ang.  e 
Vat.  3 1 90,  e  di  tutte  le  piit  antiche  ed  accreditate  edizioni  .^hi 

iSni'ha  el  (e*  T  edizione  diverse  dalla  NidobcaUua)/a^o  a 
sé  più  pio^  mi  ha  mosso  più  a  pietà  per  quest*altra  pena  ac- 
ridentale,  che  ha  di  essere  invendicato  per  codai*dia  di  quei 
di  nostra  casa;  pietà  poco  lode vole,  anzi  degna  di  stare  in  una 
di  quelle  bolge.  Il  Landino  spiega:  piti  pietoso  verso  gli  ucci- 
sori di  Gerì  pel  dispetto  con  cui  T  aveva  fuggito  e  minaccia- 
to y  senza  degnarai  di  parlargli  ;  ma  non  vedo  come  a  tal  sen- 
timento si  possa  accordare  il  t(*stO)Cbe  chiarameuto  dice  pio  a 
sè^nonaì  suoi  uccisori. Così  il  Venturi  da  se  solo  criiica  Daute, 
ed  unito  al  Vellutello  crìtica  il  Landino.  Ma,  addimando  io,  e 
perchè  fa  Dante  che  Virgilio  distolgalo  dal  vedere  e  parlare  con 
Geri?Noo  polrebb'egli  voler  indicaijie  ch'era  quella  sua ^le/à 
lina  disordinala  passione,  e  ch'era  offizio  della  ragione,  intesa 
per  Virgilio,  d'allontanarlo  da  ciò  che  poteva  la  passione  ac- 
crescere ?  L'ira  certamente ,  rbc  per  comune  deiiuizione  est  inor- 
dìtuiius  appcfilus  vindictae^  puniscela  Daute  stesso,  Inf.  can- 
ti VII.  e  vili. ,  e  nel  xn.  puQÌsce  la  vendetta  presa  da  Guido  di 
IMonfortc  contro  un  cugino  delFuccisore  del  padre  suo.  •-♦Ma 
il  \ero  s(*ntimento  di  questo  verso,  secondo  il  Biagioli ,  è  il  se* 
^  nenie:  Ed  in  ciò  ,  vale  a  dire,  e  rispetto  a  ciò  (  al  disdegno 
MIO  di  non  vedersi  ancora  vendicalo  per  alcuno  dei  consorti 
u  ITonta)  egli  m'ha  fatto  più  pio  a  >è  (  m*ha  mosso  a  mag* 


6a8  INFERNO 

Così  parlammo  insino  al  luogo  primo,  3; 

Che  dello  scoglio  l'altra  valle  mostra , 
Se  più  lume  vi  fosse,  tutto  ad  imo. 

Quando  noi  fummo  in  su  l'ultima  chiostra     4^ 
Di  Malebolge,  si  che  i  suoi  conversi 


gìor  pietà  di  sé).  <-«*  Passando  ora  dalla  filologia  airarmonù, 
non  possiamo  dispensarci  dal  dire  che  il  sig.  Poggiali  lesse  nel 
suo  codice  questo  verso  un  po'nieglio ,  cioè  :  Ed  in  ciò  nChé 
fatto  egli  a  sé  più  pio.  E.  R. 

3^  al  Sg  Cosi  parlammo  insino  ec.  La  costmzioiie  dee  es- 
sere :  Così  parlammo  insino  al  luogo  dello  scoglio ,  che  primo 
mostra  (è  a  portata  di  mostrare)  ^i  se  rifosse  più  lume^  Coltra 
valle  tutto  ad  imo  y  la  seguente  valle  interamente  al  fondo  [«} 
•-^Gli  Editori  della  E.  B.  non  acconsentono  che  dello  scoglio 
si  abbia  a  prendere  per  secondo  caso,  ma  credono  che  dello 
ni  sia  in  luogo  di  dallo ,  modo  usitatissimo  nella  lingua;  quin- 
i  chiossnoz  così  parlammo  in/tno  a  quel  luogo  j  che  primie^ 
r amente  dallo  scoglio  mostra  ec,  cioè  donde  si  wnastra  [al- 
tra valle  ec.  4hì  Se  vi  fosse  più  lumi ,  leggono  Tedizioni  dalU 
Nidobeatina  diverse .  •-»  Come  la  Nidobeatina  legge  però  il 
Vat.  3199;  lezione  che  anche  il  Biagioli  reputa  preferibile 
alla  comune.  «-« 

4o  chiostra^  chiostro  (lat.  claustrumy  derivato  dal  verbo 
alando  )9per  sé  stesso  significa  generalmente  luogo  chiuso  ;mi 
per  costume  propriamente  non  dicesi  che  delle  case  religiov:. 
Qui  però  si  trasferisce  dal  Poeta  a  significar  vallone  o  bolgia 
d' Inferno ,  per  esser  questo  pur  luogo  chiuso .  Chiostra  per 
valle  disse  anche  il  Petrarca  : 

Per  questa  di  bei  colli  ombrosa  chiostra  [frj- 

4'  conversi.  Conversus  j  spiega  nella  sua  y/i7»a//ea  il  Laa- 
renti ,  quia  communi  hominum  consuetudine  ad  morutcalem 
vitam  abductus ,  cucullarem  vestitum  induit .  Con$^ersi  ados- 
quo,  sebben  oggi  dicansi  i  soli  Frati  laici,  dovettero  nna  volta 
appellarsi  i  claustrali  tutti  ;  ed  in  tale  generico  senso  dee  qui 
anche  Dante  appellar  conversi  gli  spiriti  di  quella  bolgia,  m 
eon*ispondenza  allo  aver  appellata  cAio^/ra  la  bolgia  medesima. 

[a]  Vedi  Tatto  avverh.  ocl  Yoc^b.  d^ila  Or.  [b]  Sod.  iS^. 


1 


CANTO  XXIX.  6a9 

Potean  parere  alla  veduta  nostra; 
Lamenti  saetiaron  me  diversi,  43 

Che  di  pietà  ferrati  avean  gli  strali  ; 

Ond'  io  gli  orecchi  con  le  man  copersi . 
Qual  dolor  fora,  se  degli  spedali  4^ 

Di  Valdichiana ,  tra  1  luglio  e  '1  settembre , 

£  di  Maremma ,  e  di  Sardigna  i  mali 

»-♦  conpersi  ,  per  ciò  che  pensano  gli  Editori  della  E.  B.,  si- 
gnifica congeniti  f  trasmutati i  e  cosi  li  chiamò  Dante ,  perchè 
questi  alchimisti  y  che  pretendevano  vanamente  qui  nel  mondo 
trasmutare  i  metalli,  sono  neirinfemo  essi  medesimi  trasmuta» 
ti  y  avendo  il  corpo  pieno  di  schianze,  e  pel  continuo  graffiarsi 
dìsmagliato  e  guasto. 4-«  *  Alla  parola  conversiW  Postili.  Cass. 
notò  sopra  :  scilicet  termini.  Si  osservi  la  nota  del  P.  Ah.  di 
Costanzo  al  u.  J^o.  di  questo  canto  nella  sua  Lettera  ec.  ;  pia- 
cendoci qui  di  aggiungere  j  che  anche  Iacopo  dalla  Lana  alla 
parola  conversi  nota  :  cioè  termini  •  E.  R. 

4^  parere j  manifestarsi. 

43  al  45  »-^  Bellissimi  d^espressione ,  da  gran  forza  vibrati 
sono  i  primi  due  versi,  e  quali  nel  solo  Dante  s'ammirano,  e 
che  già  preparano  il  lettoi'e  agl'infiniti  mali  che  s'appressano. 
BiAGioLi.  4-c  Lamenti  saettaron  ec.  Lamenti  dipersi  y  per  la 
diversità  delle  pene  e  moltiplicità  dell'ombre,  saettaron  me, 
mi  punsero  con  strali ,  che  di  pietà ,  invece  di  ferro ,  an^eyan 
le  punte.  Cosi  il  Petrarca: 

Una  saetta  di  pietade  ha  presa  ^ 
E  quinci  e  quindi  lor  punge  ed  asside  [a]  • 
•^Bel  modo  figurato,  a  farci  capire  l' impression  forte  da  loro 
prodotta y  onde  segue  l'atto  naturalissimo,  espresso  nel  verso 
che  segue.  Biaoioll4-«  coperai,  atturai,  per  non  sentire  cotai 
compassionevoli  lamenti. 

40  Dolore  per  lamento ,  come  per  lamento  disse  duolo  in 
quel  verso: 

Ma  negli  orecchi  mi  percosse  un  duolo  [£] . 

47  4^  F'aldichiana ,  campagne  tra  Arezso ,  Cortona ,  Chiusi 
e  Montepulciano,  ove  corre  la  Chiana,  fiume.  «—  Alaremma , 

{a\  Sos.  »o4.  [h]  In£  viii*  0S. 


63o  INFERNO 

1  ossero  in  una  fossa  tulli  inseinbre,  4o 

Tal  era  quivi ,  e  tal  puzzo  n'  usciva , 
Qual  suol  venir  daUe  marcite  membre . 

Noi  discendemuio  in  su  T  ultima  riva  5i 

Del  lungo  scoglio,  pur  da  man  sinistra, 


tratto  di  paese  tra  Pisa  e  Siena  lungo  la  marina.  "Sardìgna 
isola  vicina  all'Italia  nel  mar  Tirreno.  Luoghi  sono  tutti  que- 
sti d'aria  mal  sana ,  massimamente  ne'gi'andi  caldi  della  state 
(eiic  rippnnto  fanno,  come  il  Poeta  accenna,  ti*a  luglio  e  set- 
leinl>i*e,  cioè  ncH'agosto);  ed  hanno  perciò  in  cotale  stagione 
^li  sj)edali  ripieni  d'ammalati.  a-^I  progressi  deirartc  idrau- 
lica trovarono  il  modo  di  bonificar  questa  valle  (Valdichiana\ 
che  in  oggi  è  uno  de'piii  fertili  e  popolati  territor)  toscani.  Ìjc 
prime  vednte  si  devono  al  famoso  Torricelli  sotto  Ferdinan- 
do IL  Successivamente  altri  distinti  matematici  ne  dire$sen> 
le  operazioni ,  fintantoché  il  gran  Duca  Leopoldo  determinò  5^* 
viamente  una  necessaria  unità  nel  sistema  dei  lavori ,  creando 
una  soprtntt^ndenza  sul  piano  idi'ometrico  dal  eh.  cay.  Fossom- 
broni  esposto  nelle  sue  Memorie  idraulìche^storiche  sopra  la 
f'^aldichiana  ^  stampate  in  Firenze  nel  17^9-  E.  F.  ••-• 

49  insembre  per  insietne ,  adoperato  ancoi'a  da  altri  anticlii 
toscani  scrittori  •  Vedi  il  Vocabolario  della  Crusca.  Egli  ha 
molta  somiglianza  col  francese  ensemble;  e  della  /  in  simile 
posizione  fanno  gP  Italiani  r  anche  in  altre  voci,  dicendo ,  per 
cagion  di  esempio,  sembrare  ove  i  Francesi  dicono  semhler, 
11  signor  Rosa  Morando  nella  nota  ai  terzo  cauto  del  Pa- 
radiso dice  insembre  ùx\.o  òUnsieme  per  epentesi  5  ma  Tepe»- 
test  non  fa  altro  che  inserir  nella  voce  una  vocale  o  consonante 
di  più,  facendo,  esempigrazia,  d^alitum  alituum  ^  di  reiuiii 
reuulit  ec. 

ò  I  Qual  suol  i^enir  ,  la  Nidobeatina  e  la  Fulgìnate;  Qual 
suol  uscir  y  l'altre  edizioni,  m^mamdej  legge  il  codice  A u^;. 
E.  R.  —  membre  è  totalmente  suggerito  dalla  rima  per  ttt^n^ 
bra.  Poggiali.  4-« 

53  pur  da  man  sinistra ,  cioè  da  man  sinistra  istessamente , 
come  facemmo  ogn'altra  volta  che  dallo  scoglio  discendemmo 
in  su  le  anteriori  ripe.  Vedi ,  a  cagion  di  esempio,  al  verso  4'" 
del  cauto  xix.  a-^Con  molta  proprietà  chiama  lungo  questo  sco- 


CANTO  XXIX.  63i 

Ed  allor  fu  la  mia  vista  più  viva 
Giù  ver  lo  fondo,  dove  la  ministra  55 

Detrailo  Sire,  infallibil  giustizia, 

Punisce  i  falsator ,  che  qui  registra . 
Non  credo  eh' a  veder  maggior  tristizia  58 

Fosse  in  Egina  il  popol  tutto  infermo, 

{i;1io,  perchè  prolungato  fin  qua  da  principio  del  vasto  campo  Ma- 
ebolge  •  Poggiali  .  '^purea  man  sinistra ,  legge  l\Ang.  E.  R.4-« 

54  pia  ui^ay  più  cliiara,  attesa  cioè  la  maggior  vicinanza. 

55  •-> la  Ve  la  ministra,  TAng.  E.  R.  —  e  il  Vat.  ò  199.  ^-v 

56  alto  Sire  j  Iddio  •  —  infallibil  giustizia  y  che  non  erra  j  si 
nel  gastigare  chi  veramente  è  colpevole,  che  nel  pit^miarechi 
veramente  è  buono;  ove r  umanagiustizìaiallisccspessOi  «-♦Ver- 
so degno  della  grandezza  del  sentimento  in  lui  contenuto.  Bia- 

OIOLI.  «-■ 

57  falsator ,  che  a'danui  del  prossimo  falsificano  metalli  e 
monete.  «--  che  qui  registra.  Parlando  Dante  di  quella  infeinal 
bolgia  sette  versi  sopra,  disse:  Tal  era  quivi,,  in  quel  luogo. 
Adunque  qui  nel  presente  verso  non  quella  bolgia ,  ma  questo 
mondo  significa;  e  che  registri  qui  la  divina  giustizia  i  fai» 
satori  che  di  là  punisce y  vale  quanto  che  registri,  noti,  i 
peccati  de* falsatori  in  questo  mondo ,  per  poi  punirli  neir  altro; 
ed  è  maniera  di  parlare  figurata ,  corrispondente  a  quella  del 
sacro  rìtmo  Dies  irae: 

Liber  script us  proferetur , 
In  quo  tolum  con/inetur  y 
Unde  mundiis  iudìcetur  * 

58  59»^  Il  lungo  giro  del  (  seguente  )  periodo,  la  similitu- 
dine della  pestilenza  di  Egina,  con  le  cii'costanze  che  la  fauno 
più  spaventosa  ancora,  empiono  T anima  di  tanta  tristezza  e 
ribrezzo,  che  rifugge  quasi  dall'orrenda  vista  di  quegli  spiriti 
ammucchiati  e  langueati ,  come  con  si  forti  e  diversi  colori  da 
Dante  solo  si  poteva  ritran*e.  BiAoioLt.<4~«  iVò/i  cre^oec. Co- 
struzione, Non  credo  che  fosse  maggior  tristi  zia  y  compassio- 
ne, a  veder  in  Egina  infermo  tutto  il  popolo  •  Egina,  isolet- 
ta poco  lontana  del  Peloponneso ,  o  Morea ,  dove  a'tempi  d'Eaco, 
suo  Re,  per  una  fierissima  pestilenza  morirono  tutti  gli  uomiui 
V  gli  animali.  Volpi. 


63a  INFERNO 

Quando  fu  l'aere  sì  pien  di  malizia. 
Che  gli  animali,  intìno  al  picciol  vermo,        6i 
Cascaron  lutti;  e  poi  le  genti  antiche, 
Secondo  che  i  poeti  hanno  per  fermo, 
Si  ristorar  di  seme  di  formiche  •  04 

Ch'  era  a  veder  per  quella  oscura  valle 
Languir  gli  spirti  per  diverse  biche. 
Qual  sovra  1  ventre  e  qual  sovra  le  spalle       67 
L'un  deiraltro  giacca,  e  qual  carpone 

(>o  Quando  fu  ec.  Il  conlenulo  in  questo  e  ne'  seguenti  quat- 
tro versi  intendilo  dirsi  tutto  per  interiezione.  —  malizia  j^ 
qualità  nocwa.  Volpi. 

6r  vermo  per  verme  in  rima,  dice  il  Volpi;  ma  anche  fuor 
di  rima  adopralo  Dante  stesso  fa]  e  l'Ariosto  [A]- 

62  genti  antiche  -per  primiere  •  Antiquwn  per  primiero 
adopera  anche  Terenzio  in  quel  verso:  Eamdemillam  rotici 
nem  antiquam  obtine  [e] . 

63  Secondo  che  i  poeti  ec, ,  cioè ,  secondo  che  affermano  i 
poeti 9  intendendo  d'Ovidio  [d\.  Dawiello. 

64  65  Si  ristorar  j  si  riprodussero .  »-^  E  qui  chiaramente 
dedotto  dal  verbo  latino  restaurari,  del  quale  uno  de' princi- 
pali significati  èriprodm'si,  rinnovellarsi.PoGoiAi.i.*^rf«  jeme 
di  formiche  vale  conia  sostanza  delle  formiche^  mentre  Giove 
ai  preghi  d'Eaco  trasformò  le  formiche  in  uomini,  e  però  fu- 
ron  chiamati  Mirmidoni .  —  Ch^era  vale  A*  quello  che  era^t 
corrisponde  a  maggior  tristizia,  sette  versi  sopra. 

66  biche ,  mucchi  di  covoni  di  grano  ;  qui  per  mucchi  sem- 
plicemente . 

67  68  Qual  sovra  '/  ventre  ec.  Assegna  Dante  di  là  in  per* 
petuo  alli  rei  alchimisti  il  puzzore  y  laparalisia  (ossia  risoluzion 
di  nervi  ) ,  e  gli  altri  morbi  che  soglion  la  maggior  parte  degli 
alchimisti  a  cagion  di  lor  arte  soffrir  di  qua.  Il  celebre  Ra> 
mazzini  y  nella  sua  Diatriba  de  morbis  artifteum  y  in  compro- 
vazione dei  molti  mali,  e  ai  asserisce  soggetti  gli  alchimisti,  rac- 
conta il  seguente  esempio:  Carolwn  Lancillotum  chjrmicwn 

[a]  Inf.  ZJCXIT.  1 08.  [b]  Far.  xl v  i.  78.[c]  Adelph.  5. 3.  [d\  Melaat.  lib.  tu. 


CAJNTO  XXIX.  G33 

Si  trasmutava  per  lo  tristo  calle . 

Passo  passo  aodavam  senza  sermone,  70 

Guardando  ed  ascoltando  gli  ammalati , 
Che  non  potean  levar  le  lor  persone. 

Io  Vidi  duo  sedere  a  sé  poggiati ,  j3 


nostratem  satis  celebrem  ego  novi  tremulwn ,  Uppum,  eden^ 
tulum ,  anelosum  »  putidum ,  oc  solo  viso  medieameniis  suis  , 
cosmetìcis  praesertiìn ,  queie  uenditabat ,  nomen  et  famam 
detrahentem.  Anche  Avicenna,  parlando  dell'argento  vìvOt 
primario  capitale  degli  alchimisti,  eius  vapor y  dice,  facit 
uccidere  pandjrsim  [a] . 

Cristoforo  Landino,  che,  a  quanto  veggo,  è  l'unico  tra  gli 
Espositori  che  movesi  a  cercar  la  ragione  di  oiiestepene  degli 
alchimisti,  dà  in  allegorie  troppo  stiracchiate. Vedilo,  lettore, 
se  vuoi .  — -  carpone  - 1$/  trasmutarla ,  di  giacente  facevasi  car* 
pone  ;per  lo  tristo  calle  j  nel  penoso  suolo.  Della  particella 
per  a  senso  di  nel  vedi  Cinonio  [&] . 

73  levar  le  lor  persone  y  alzarsi  in  piedi .  •-♦Si  vedrà  la  con* 
gruenza  di  questo  supplizio  col  peccato,  considerando  che  l'ar- 
te di  questi  falsatori  fu  d'alterare  e  corrompere  la  natura  eie  co- 
se sue.  E  questo  supplizio  ricorda  a  un  tempo  ai  rei  la  cagione 
della  loro  miseria;  il  che  raddoppia  il  tormento.  Biaoiou.4-« 
j'i  asè  poggiati y  la  Nidobeatina  ;  a  sé  appoggiati y  l'altre 
edizioni.  »-> Questo  luogo  e  le  due  seguenti  similitudini ,  con 
altre  poche  voci ,  sono  cose  biasimate  dal  Bembo,  a  cui  dal  Bia- 
gioli  si  fii  opportuuissima  risposta  col  seguente  passo  di  lette- 
ra scritta  dal  Davanzatì  agli  Accademici  Alterati:  ce  Non  sono 
»  bassezze  le  proprietà  da*  nobili  e  dall'uso  approvate,  ma  forze 
a»  e  nervi  ;  né  Omero  e  Dante  le  schifano  ne  lor  poemi  altis- 
a»  simi,  ne'luoghi  ove  operano  gagliardamente.  A'iuoghi  adun- 
»  que  bisogna  aver  gli  occhi.  Così  ebbe  Donatello  nel  famoso 
»  Zuccone  del  nostro  campanile  del  Duomo  nel  fargli  gli  occhi 
»  che  di  lassii  paion  cavati  con  la  vanga  :  che  se  gli  scolpiva  di 
j»  terra  la  figura  parrebbe  cieca ,  perchè  la  lontananza  si  man- 
»  già  la  diligenza .  E  uua  sprezzatura  magnanima  avviva  il  con- 
»  celio  y  e  non  V  abbassa ,  ritraendo ,  per  esempio ,  una  grand'ii^ 

[a]    Lib.  a.  Iract.  ìì*  cap.  47*  W  P^riic.  19$.  i5. 


634  INFERNO 

Come  a  scaldar  s'appoggia  t^ghia  a  tegghia , 
Dal  capo  ai  pie  di  schianze  maculati  : 
E  non  vidi  giammai  meaare  streggbia  76 

Da  ragazzo  aspettato  dal  signorso, 

»  disonestà,  sedizione,  o  furia  con  parole  non  misurate,  ma 
»  versate.  Né  anche  la  rustichezza  de' bozzi  ne*  gran  paUgj 
»  scema ,  anzi  accresce  la  maestà .  »  —  Tra  le  diverse  posiziani 
dì  quelle  anime,  ne  scorge  due  appoggiate  Tona  alP altra,  in 
modo  che  il  lato  destro  o  sinistro  deir  una  s'appoggia  airalira; 
o  veramente  V  una  appoggiando  la  destra  mammella  sulla  spai- 
la  sinistra  dell* altra,  come  pur  si  mettono  tegghie,  piatii  e  si- 
mili. Alfieri  però  spiega:  appoggiati  a  tergo;  cosi  altri,  e 
forse  meglio  ai  me.  Biagioli.^-* 

^4  Come  a  scaldar  ec.  Non  potendo  quelle  ombre,  por 
la  gran  debolezza,  reggere  di  perse  sua  vita  alta  da  terra  né 
in  tutto  né  in  parte,  conveniva  che  anche,  per  tenersi  a  se- 
dere, si  facessero  contrasto  una  coU'altra  ,  appoggiando,  per 
cagion  d'esempio ,  schiena  a  schiena  ;  come,  se  non  che  per 
forza  di  contrasto  e  d'appoggio,  possono  sostenei'si  ritte  in 
piedi  tegghie  e  piatti  e  corpi  simili  •  Dante  però  invece  del  ge- 
nerale accenna  il  particolar  caso ,  quando  pougonsi  sul  focolare 
le  tegghie  a  riscaldarsi  per  mantener  vie  pìii  calde  le  vivan- 
de da  riporvisi.  m^si  poggia  ^  ha  il  Vat.  3 199 . 4-« 

76  schianze  vale  il  medesimo  checrosie  [a],  —  maculati 
deturpati . 

76  slregghiay  streglia,  strumento  da  ripulir  cavalli. 

77  Da  ragazzoni  laJ\idobealìna;-^rag"«zzo,  l*al tre  edizioni; 
ma  Da  ragazzo  accoixla  meglio  con  Né  da  colui  ^  che  leggono 
tutte  quante  l'edizioni  nel  verso  seg.  ^-^  j4  ragazzo  q  dal  sì' 
gnorsoj  legge  l'Ang.  E.  R.  e  il  Vat.  3 199.  11  Gaet.  però  ron- 
iermail  Da  ragazzo  ^  ma  ìe  frac  dal sign orso  (che  noi  segniamo 
colla  '^  rom.ediz.),  e  *'osi  sfugge  l'amàbologia  lasciando  il  pn*- 
gio  alla  variante  di  Nidobealo ,  e  convenendo ,  ove  più  importa. 
coi  codd.  Ang.  e  Vat.  3 199.  -llBiagioli  però  ci'ede  che  Dante 
abbia  sci'itlo^  ragazzo  ;  e  JVed  acolui  nel  verso  che  s«*gne.  *-• 
Ragazzo  i^ev mozzo  o  famiglio  di  stalla.  Vedi  il  Boccaccio  nella 

[a]  11  Vocab.   delta  Crusca  spiega  ugualmente,  e  fa  corrispoodere  il 
laitiuo  crusla  lauto  a  svhianza  che  a  crosta» 


CANTO  XXIX.  635 

Né  da  colui  che  mal  volentier  vegghia  ; 

Come  ciascun  menava  spesso  il  morso  79 

Deir  unghie  sovra  sé  per  la  gran  rabbia 
Del  pizzicor  che  non  ha  più  soccorso: 

£  si  traevan  giù  l'unghie  la  scabbia,  82 

Come  coitel  di  scardova  le  scaglie, 
O  d'altro  pesce  che  più  larghe  l'abbia . 

O  tu,  che  con  le  dita  ti  disraaglie,  85 

novella  del  Conte  d'^Anguersa.  Volpi.  Vedi  anche  il  Dufresne 
alle  voci  Aagatius  e  Ragazinus.  -  aspettato  dal  signorso  (si^ 
gnorso  vale  quanto  signor  suo  [a\)»  •-> Forma  triviale  9  dice 
il  Biagìoli ,  ma  adoperata  qui  convenevolmente  dal  Poeta  per 
doversi  rolla  bassezza  del  tutto  le  parti  tutte  confare.  —  Tro- 
vasi cosi  nel  Boccaccio  detto  signorto  per  signor  tuo ,  moglie^ 
ma  per  moglie  mia ,  fratelmo  ^v  frate!  mio .  ^^  Accenna  cosi 
il  Poeta  nostro  il  presto  menar  di  streglia  che  fa  il  ragazzo  » 
per  non  essere  cioè  dal  suo  padrone  più  lungamente  atteso. 

78  Ne  da  colui  ec;  altra  cagione,  per  cui  si  può  da  chi  ha 
cura  di  ripulir  cavalli  prestamente  sti*egghiare,  cioè  per  an- 
darsene a  dormire. 

79  80  il  morso  '^Deir unghie  y  quasi  1  denti  detP unghie  f 
cioè  Tacuta  e  trinciante  loro  punta. 

8 1  più  soccorso  j  maggior  soccorso ,  maggior  rimedio  9  in- 
tendi j  che  di  essere  a  quel  modo  graffiato. 

82  J?  ji  fraei^an  ec.  :  V  unghie  raschiavano  dalla  pelle  le  crc^ 
ste  della  scabbia ^  della  rogna. 

83  di  scardoi^a  le  scaglie ,  le  squame  della  scardola  f  pe- 
s€*e  di  larga  squama,  per  levar  la  quale  adoperasi  nelle  cucuie 
il  coltello. 

85  ti  dismaglie  per  dismagli  a  cagion  della  rima .  Maglie 
appcllansi  que*  cerchietti  o  piastrelle  di  ferro  9  o  d'altro  metallo, 
con  cui  formansi  corazze  in  tutte  le  sue  parti  pieghevoli  ;  e  co- 
me a  tal  uopo  dispongonsi  colali  cerchietti  o  piastrelle  in  ma- 
niera somigliante  all'adattamento  delle  squame  sul  dorso  del 
pesce;  perciò,  secondo  la  recente  accennata «imilitudiiie  tra  le 

fa]   lotorao  a  coni;iiinxiooi  simili  vedi  iltr&Uato  tl'ortograBa  aggiunto 
al  Buoiumattei,  cap.  <>. 


636  INFERNO 

Cominciò  1  Duca  mio  a  un  di  loro, 
E  che  fai  d'esse  talvolta  tanaglie; 

Dinne,  s alcun  Latino  è  tra  costoro  88 

Che  son  quinc* entro,  se  l'unghia  ti  basti 
Eternalmente  a  cotesto  lavoro. 

Latin  sem  noi,  che  tu  vedi  sì  guasti  gì 

Qui  amendue,  rispose  Tun  piaugendo: 
Ma  tu  chi  se  ,  che  di  noi  dimandasti  ? 

£  '1  Duca  disse  :  io  son  un  che  discendo  g4 

Con  questo  vivo  giù  di  balzo  in  balzo, 
E  di  mostrar  T Inferno  a  lui  intendo. 


croste  di  qae*  dannati  e  le  squame  del  pesce ,  aggiunge  al 
croste  medesime  Tidea  delle  maglie ,  e  passa  a  dire  .^/n^/ia 


tDe 

invece  di  scrostare. 

87  E  che  fai  ec,<,  e  che  colle  dita  stesse  ti  strappi  di  quan- 
do in  quando  la  pelle. 

88  Dinne ,  la  Nidobeatina  »-^ed  il  cod.  Poggiali  :  <^  Dimmi j 
Talti^e  edizioni  :  ma  meglio  la  Nidob.;  imperocché  Virgilio  nOD 
cercava  tanto  per  sé  quanto  pel  compagno.  9^ dimmi  però  1^- 
ge  anche  il  Vat.  Bigp.^-*  Latino.  Prendendo  il  Lazio,  parte 
celebre  d'Italia,  per  Italia  tutta,  dice  Latino  per  Italiano. 

89  90  se  l'aunghia  ec.  Vale  qui  il  se  quanto  lì  che  appreca- 
ti  vo  [a] ,  o  il  così ,  equivalente  al  sic  o  atinam  dei  Latini.  Vedi 
Inf.  XVI.  64  -ti  basti  —  Eternalmente ,  servati  eternamente , 
senza  spuntarsi  mai ,  — -  a  cotesto  lavoro ,  a  cotesto  graffiare . 
Non  potendo  que'dannati  sperare  altro  soccorso  all'  insoffiibile 
prurito ,  che  quello  dell'unghie ,  non  poteva  certamente  se  non 
grata  riuscir  loro  preghiera  cotale,  m^  Quest'augurio ,  per  sé 
stesso  officioso  e  grazioso ,  é  qui  riguardato  dal  sig.  Poggiali 
qual  lepido  motteggio,  e  molto  arguto  insulto. ^-^ 

91  92  Latin  sem  noi  ec.  Sinchisi,  di  cui  la  costruzione  : 
Latini  semo  [&]  amendue  noi  che  tu  qui  vedi  sì  guasti. 
96  intendo j  no  pensiero. 

[a]  Vedi  il  CiooD.  Partic.  44-  ^3.  [b]  Semo  per  siamot  come  averne 
per  abbiamo  l'usa  par  il  Petrarca,  son.  8. 


CANTO  XXIX.  6^^ 

Allor  si  ruppe  Io  comun  rincalzo,  97 

£  tremando  ciascuno  a  me  si  volse 
Con  altri  che  l'udiron  di  rimbalzo. 

Lo  buon  Maestro  a  me  tutto  s*accolse  1 00 

Dicendo  :  di'  a  lor  ciò  che  tu  vuoli . 
£d  io  incominciai,  poscia  ch'ei  volse  : 

Se  la  vostra  memoria  non  s'imboli  io3 

Nel  primo  mondo  dairumane  memi, 
Ma  s'ella  viva  sotto  molti  Soli, 

Ditemi  chi  voi  siete,  e  di  che  genti,  106 

97  ''  99  "^  Bello  si  è  quest'effetto  prodotto  da  insolita  ma- 
raviglia y  ed  è  dipinto  da  maestro .  Bi  aoiou  .  ♦-«  si  ruppe  lo  co- 
nuin  rincalzo ,  cessò  il  reciproco  appoggiarsi  che  facevano  V  uno 
all'altro,  dando  loro  la  maraviglia  per  un  momento  qualche  vi- 
gore .  Rincalzo  ysthi puntello  j  sostegno  •  '^che  l' udiron di  rim" 
balzo ,  cioè  non  di  voce  diretta  loro  da  Vii^lio,  ma  pervenuta 
loro  indirettamente  e  quasi  di  rimbalzo ,  cioè  di  ripercussione. 

100  tutto  s* accolse;  quasi  dica:  quello  che  prima  atten^ 
deua  parte  a  me  ,  e  parte  a  coloro  ai  quali  parlai^a ,  allora 
totalmente  si  accolse j  si  affissò,  attese  a  me. 

101  uuoli  per  t^uoi  ce  l'ha  tirato  a  forza  la  rima,  dice  il 
Venturi:  malamente  però,*  imperocché  si  rinviene  adoperato 
da  molt^ altri  buoni  antichi  scrittori  anche  in  prosa  [a]. 

to'i  al  io5  «Se.  Questa  particella ,  tanto  nei  primo  che  nel 
terzo  verso  della  terzina  presente,  è  apprecativa,  ed  equivale, 
come  nel  v.  89.  è  detto,  al  che  ocosì  apprecativo,  ed  al  latino 
sic  o  utinam .  m^  Ma  qnest'  augurio  non  è  irrisorio ,  né  insultante 
come  il  fatto  ad  uno  di  loro  da  Vii|[ilie  al  sopraccitato  v.  89. 
Poggi  ALI.  <4~«im^o/i.*  imbolare  ed  imbolare  trovasi  dagli  anti- 
chi, e  dallo  stesso  Dante  indiffei^ntemente  scritto  .**11  cod.Caet. 
legge  chiaramente  involi.  E.  R.  —  Nel  primo  mondo  j  dove  ha 
r  uomo  sua  prima  stanza .  -  sotto  molti  Soli ,  molte  annue  solari 
involuzioni ,  molti  anni.  »^I  Latini  usai*ono  Sole  per  giorno.' 

[a]   Vedi  Maslrofiai  »   Teoria  e  prof peiio  de^ verbi  italiani,  sotto  il 
verbo  dolere ,  n  .  i. 


64o  .    INFERNO 

Certo  non  la  francesca  sì  d'assai . 

Onde  l'altro  lebbroso,  che  m* intese,  1 24 

Rispose  al  detto  mio:  tranne  lo  St ricca, 
Che  seppe  far  le  temperate  spese; 

E  Niccolò,  che  la  costuma  ricca  127 

capire  che  per  gente  vana  intend*eglì  gente  leggiera  ^  di  poco 
senno  9  e  ne  confermano  i  fatti  che  Capocchio  v^aggiuugc. 

123  non  la  francesca  y  francese',  sì  d* assai  (accenna  ere- 
data  in  allora  la  francese  gente  vana),  m-^  Dà  qnesta  sfcrzau 
anche  ai  Fi^ancesi  y  certamente  pel  patrocinio  prestato  dai  Be 
di  Francia  ed  Angioini  di  Napoli  alla  fazione  Guelfa  m  'io- 
scana.  Poggiali. «hi  La  dì  avanti  assai  v*è  di  soverchio  e  per 
mera  grazia  di  lingua,  come  dicesi  di  molto  per  molto.  Aon 
adunque  sì  d'assai  vale  il  medesimo  che  non  cosi  molto. 

124  l* altro  lebbroso^  Capocchio,  alchimista  e  falsa  ter  di 
metalli  attempi  di  Dante.  Vedi  il  i/.  i36. 

I2D  tranne  lo  Stricca^  ec.  Ironia  è  questa  simile  affatto  a 

?  [nell'altra  del  passato  canto  xxi.  i/  4'm  (»'^9   di  Lucca  par- 
ando, dice: 

Ogni  uom  v'è  barattiere  fuor  che  Boniuro. 
Come  ivi  per  accennare  barattieri  peggiori  di  Bonturo  tutti  i 
Lucchesi,  eccettua  Bonturo,  notissimo  barattiere;  così  ecctft- 
tua  qui  lo  Stricca  e  gli  altri  conosciuti  vani ,  per  indicare  in- 
comparabilmente piìi  vani  tutti  gli  altri  Sanesi .  m-^  trammene 
Stricca f  cosi  il  cod.  Ang.  E.  R.  e  il  Vat.  3  i99.<«-s  *  Il  Patire 
di  Costanzo  argomenta  che  questo  Stricca  ^  di  cui  uolla  .^p  - 
cificano  gli  Spositori,  fosse  il  capo  della  famosa  campaguia  in- 
dicata nel  seg.  9.  i3o.,  dacché  il  Postili.  Cass.  lo  dice  A*»f'«o 
de  Curia ,  pàit  ordinator  Brigatae  Spendaritiae  senensis 
E.  R.  •-►Questa  brigata  spendereccia  non  pensava  se  non  in 

f godere  e  in  distruggere ,  e  in  far  cene  e  desinari,  e  in  be^it- 
ita.  E  disti*ussono  il  valere  di  più  di  dngento  migliaia  di  fio- 
rini d'oro  in  male  spese .  Boccaccio.  «-■ 

126  temperate  spese  :  e  questo  pure  dice  per  ironia,  volen- 
do dimostrare,  che  per  boria  e  vanità  fu  si  prodigo,  ciie  con- 
sumò tutte  le  sue  sostanze.  Lahdiso  • 

i**7  al  129  £*  Niccolò^  costui  dicono  che  fude'SalimlK  ni, 
la  cura  del  quale  era  di  porre  ogni  studio  in  trovar  uuov.i  U^- 


CANTO  XXIX.  64i 

Del  garofano  prima  discoperse 
Nell'orlo,  dove  tal  seme  s'appicca; 
£  tranne  la  brigata ,  in  che  disperse  1 3o 

Caccia  d'Asciano  la  vigna  e  la  fronda, 
£  l'Abbagliato  suo  senno  proferse: 


già  di  soavissime  è  delicatissime  vivande  ;  tra  le  quali  trovò 
a  metter  ne*  fagiani  ed  altri  arrosti  garofani  con  diverse  sorta 
di  speziane;  e  questa  chiamaron  la  costuma  (  l' usanza i  la  mo* 
da)  ricca.  Vbllutbllo.  —  *  Il  Postili.  Gass.  però^  d'accoi'do 
con  Benvenuto  da  Imola ,  lo  dice  de  Bonsignoribus  de  Se^ 
nis.  E.  R.  — -  NelVortOi  dove  ial  seme  s* appicca.  Appella 
seme  Tinvenzione  di  tale   usanza ,  e  corrispondentemente  ap- 

Eella  orto  Siena ,  dove  usanza  tale  s* appicca y  s'attacca  ed  ab* 
arbica.  m^oue  cotal  sente,  ha  l'Ang.  E.  R,<4-« 
f3o  i3i  E  tranne  la  brigata  j  in  che  ec.  Dicono  che  al 
tempo  di  Dante  fu  in  Siena  una  compagnia  di  ricchissimi  gio- 
vani ,  i  quali  y  messe  in  danari  quasi  tutte  le  sostanze  loro ,  ne 
ferono  un  cumolo  di  dugentomila  ducati  9  e  quelli  nel  termine 
di  venti  mesi|  sontuosissimamente  sempre  di  compagnia  viven» 
doy  e  quanto  piii  potevano  prodigamente  dissipando  9  gli  ebbe* 
ro  consumati;  onde  rimasero  tutti  poveri.  Vbllvtbllo.  Que- 
sta adunque  esser  dovrebbe  la  brigata^  in  che  Caccia  d^Ascia^ 
no  disperse  i  dissipò  la  i^igna  e  la  fronda  y  cioè  tutti  i  suoi  pò* 
deri  y  ^gne  e  boschi  ..L'altr'  edizioni  leggono,  Ciaccia  </'^jcian 
la  ìdgna  e  la  gran  fronda  •  •*►  Questaiezione  è  pur  quella  del- 
l'Ang.  e  del  Vau  8199,  ed  è  seguita  nella  3.  rom.  ediz.  ;  e,  a 
dir  veroy  comunica  al  verso  una  maggiore  armonìa.  4-s 

1 3a  £  r Abbagliato .  — -  *  Abbaglialo  con  maiuscola  (  •->  e 
come  il  Vat.  3199  ^-s  ),  perchè  meglio  s'intenda  esser  nome 
proprio»  abbiamo  sostituito  nel  testo  ad  oi^^^o^o  semplice» 
giacché  non  conveniamo  col  P.  L.  che  tal  voce  debba  prenderai 
per  un  aggettivo  d'attribuirsi  a  Caccia  d* Asciano.  Iacopo  dalla 
Lana  nel  suo  Cemento  dice,  rispetto  a  Caccia  d'Asciano  e  Ab- 
bagliato: Questi  furono  Senesi  y  uno  ricco  y  F altro  saputa 
persona  della  p/edicta  brigata.  Ed  il  Postili.  Cass*  vuole 
egualmente  che  Abbagliato  (osse  nomen  propriumdeSenis  •  lì 
P.  Lombardi  al  contrario,  persuaso  che  abbagliato  fosse  un  ag- 
gettivo ec. ,  ed  appoggiato  alla  .presente  lesione ,  in  cui  manca 

Fot.  l  4i 


64ti  INFERNO 

Ma,  perchè  sappi  chi  sì  ti  seconda  1 33 

CoDtra  i  Sanesi,  aguzza  ver  me  Ttn^chio, 
Sì  che  la  faccia  mia  bea  ti  risponda: 


r articolo  t7  a  suo  senno ,  interpretò:  ce  che  Caccia  tTjiscUmo 
n  con  tali  smoderate  sontuositadi  appalesò  la  cecità  di  sua 
»  mente .  »  Ma,  conservando  la  stessa  lezione  »  ci  piace  riflettere 
che  la  mancanza  dell'  artìcolo  il  non  pregiudica  al  senso ,  essen- 
do frequente  in  Dante  tale  soppressione  ;  p.  e,  Com^ occhio  #e- 
gue  suo  falcon  isolando ,  Par.  xvw»  ^o.,e altrove  ;  e  che  Va  mi- 
nnscola  in  abbagliato  è  concorde  all'  uso  deUa  Nidob. ,  ddla 
Fulginate  e  delle  antiche  edizioni  di  non  premettere  la  maiu- 
scola ai  nomi  propri  di  persona  nel  mezzo  dei  versi.  Quindi  in- 
tendiamo t  e  /'^6&z^/ia^o  viprofuse  Usuo  senno.  E.B.»-»A1 
Lombardi  qui  pure  si  oppone  il  eh.  sig.  Ab.  Portirelli,  e  per 
le  ragioni  qui  sopra  riferite  dall'E.R.,  e  perchè  lo  stesso  Cemen- 
tatore della  Nidob.  qui  prende  abbagliato  per  nome  proprio , 
chiosando  che  nella  brigata  spendereccia  chaccia  dasciano 
Senese  spese  il  suo  attere  y  e  leibagliato  suo  senno .  Questi  fu* 
rono Senesi j  luno  ricco  ylaltro  saputa personadellapredicta 
brigata .  — prof  erse ,  o  ironicamente  la  deriva  il  Poeta  dal  laL 
verbo  profero  >  metter  fuori  ^  o  la  disse  senza  ironia  'per  profu'- 
■se.  Così  il  Poggiali.  -  Nelle  Mime  antiche  j  o  scrittori  del  pri- 
mo secolo,  stampate  in  Firenze  nel  1816,  havvi  nel  voi.  a.  face 
17 1.  e  segg.  una  corona  di  sonetti  diretti  da  Folgore  di  s.  Gi- 
miniano  a  una  nobile  brigata  di  Sanesi.  Probabilmente  è  que- 
sta la  brigata  spendereccia ,  di  cui  parla  Dante,  tanto  piii  che 
vi  si  celebra  sopra  gli  altri  un  Nicolò*  dicendo  il  Poeta: 
In  questo  regno  Nicolò  corono  y 
Perch^ello  è  fior  della  città  sanese. 
Si  leggano  di  grazia  i  mentovati  sonetti.  — ^  prof  erse ,  cioè  ma- 
nifestò 9  entrando  e  stando  in  siffatta  brigata.  Cosi  spiegano  il 
Buti  ed  il  Vocabolario.  E.  F.«-« 

i33  chi  sì  ti  seconda.  Allude  a  ciò  che  disse  Dante  a  Vir- 
gilio: or  fu  giammai  -  Gente  sì  uana  come  la  sanese?  ec. 
verso  1 2 1 .  e  segg. 

i35  ben  ti  risponda y  ben  ti  si  appalesi,  m^  Anche  il  To- 
relli chiosa  qui  come  il  Lombardi,  e  pi*ecisamente  cosi:  ci  II 
»  Volpi  nel  suo  Ind.  I.  spiega:  cioè  ti  si  lasci  vedere •  Non 
»  già,  ma  ti  si  faccia  conoscere,  m^m 


CANTO   XXIX.  643 

Sì  vedrai  eh'  io  son  1  ombra  di  Capocchio ,       i  3G 
Che  falsai  li  metalli  eoo  alchimia; 
£  ten  dee  ricordar,  se  ben  t'adocchio, 

Cono'  io  fui  di  natura  buona  scimia . 


i36  al  189  Capocchio:  dicono  che  fu  Sanese,  e  che  studiò 
filosofia  naturale  con  Dante,  mediante  la  quale  si  diede  poi  a 
trovar  la  vera  alchimia  ;  ma,  non  riuscendogli,  si  esercita  nella 
sofistica  (cioè  neirarte  falsaria),  e  sottilissimamente  falsificò  i 
metalli:  onde  dice  che  fu  buona  scinua  di  natura ,  avendo 
ben  saputo  contrafiare  le  cose  naturali,  come  fa  la  scimia  gli 
atti  e  movimenti  umani.  YELL^TBito.  Circa  però  alla  di  costui 
patria  discordano  i  primi  Comentatori .  Benvenuto  da  Imola  di- 
cx*lo  Fiorentino  [a] ,  e  Iacopo  dalla  Lana,  seguito  dalla  comune 
di  tutti  i  più  recenti  Comeutatorì,  dicelo  di  Siena  [£J.  m^E  ti 
dee  ricordar^  '^^gg^  !*£•  R*  nella  3.  edizione,  colKau tori tà del 
codice  Vaticano  3 199;  ed  il  signor  Salvatore  Betti  trova  que- 
sta lezione  piii  naturale  e  preferibile.  Mail  Vat.3f  99  non  legge 
£l  tiy  ma  %\  bene  E  te;  e  dar  si  potrebbe  che  Tomissione  della 
n  fosse  errore  del  copista:  nel  qnal  caso  anche  questo  codice 
si  accorderebbe  colia  comune,  cnenoi  riputiamo  la  vera. 


\ti]  Vedi  V Excerpta  dal  di  lui  Comento  nel  tomo  1.  àtW* AntiquUalts 
italica^  del  Muratori.  [b\  Vedi  il  tns.  127.  della  Corsiui. 


CANTO   XXX. 


•(^•< 


ARGOMENTO 

Tratta  il  Poeta  in  questo  trentesimo  carato  di  tre  al^ 
tre  maniere  di  falsificatori .  Di  quegli  che  hanno 
finto  sé  essere  altri;  la  cui  pena  è  di  correre  y  e  di 
morder  colora)  che  hanno  falsificate  le  monete  ^  che 
sono  quelli  della  seconda  maniera;  ed  hanno  per 
pena  l'essere  idropici,  e  sempre  stimolati  da  sete. 
L'ultima  è  di  coloro  che  hanno  falsi ficato  il  parlar 
re;  e  questi ,  giacendo  l'uno  sopra  t altro  ,  sono  of- 
fesi d'ardentissima  febbre .  Infine  introduce  acon* 
tendere  insieme  certo  maestro  jidamo  e  Simone  da 
Troia, 


N 


el  tempo  che  Giunone  era  crucciata ,  i 

Per  Semelè ,  contra  1  sangue  tebauo , 

•->  M agniGco  fa  il  prìncipo  del  canto  questo  lungo  pe* 
riodo  e  il  seguente,  non  tanto  per  Tandamento  del  verso,  grave 
e  sostenuto ,  quanto  per  le  forti  immagiui  che  vi  si  ritraggono , 
tenendo  il  lettore  per  lungo  tratto  sospeso ,  attento  e  deside- 
roso; nei  quali  sentimenti  sii^o  al  fine  è  foi*zato  di  sostenersi 
con  diletto .  Biagioli  .  -«hi 

1  2  Giunone ,  moglie  di  Giove.  m^Giunon ,  il  VaU  3 1 99.  ♦-« 
era  crucciata  ^  ^Per  Semelè  j  amata  da  Giove,  e  resa  da  lui  gra- 
vida di  Bacco  \a\ .  —  contra  7  sangue  tebano  j  per  essere  Se- 
mele  figlia  di  Cadmo,  fondator  di  Tebe.  Segno  su  rnUima  e 
di  Semelè  l'accento ,  perchè  richiede  il  verso  che  pix>auiizisi 

[a]  Ovid.  Afet,  Kb.  ni,  a6o«  e  se^g. 


CANTO  XXX.  645 

Come  mostrò  già  una  ed  altra  fiata , 
Atamante  divenne  tanto  insano ,  4 

Che  y  veggendo  la  moglie  con  due  figli 

Andar  carcata  da  ciascuna  mano , 
Gridò:  tendiam  le  reti,  si  ch'io  pigli  7 

La  lionessa  e  i  lioncini  al  varco  ; 

E  poi  distese  i  dispietati  artigli, 
Prendendo  Tun ,  ch'avea  nome  Learco;  1  o 

E  rotoUo,  e  percosselo  ad  un  sasso; 

E  quella  s'annegò  con  l'altro  incarco . 

questo  nome  come  da' Greci  e  Latini  pronunziavasi ,  colla  sii* 
laba  di  mezzo  breve,  e  coli' ultima  lunga.»-» con  lo  sangue 
iebano  y  ha  l'Ang.  E.  R.  4-« 

3  Cóme  mostrò  già  una  ed  altra  fiata  j  laNidob.;  Come 
mostrò  una  e  altra  fiata ,  l' altre  ediz. ,  »->  il  V at*  3 1 99,  il  cod. 
Ang.,  e  con  essi  la  3.  rom«  edizione.  «-■  Intendi  :  come  d'esser 
tale 9  cioè  crucciata contra  il  tebano  sangue,  mostrò ^  fece  pa- 
lese,  non  una,  ma  piìi  fiate. 

4  al  I  a  Atanutnte  ec.  Una  delle  vendette  prese  da  Giunone 
contra  dei  Tebani  per  la  detta  cagione,  fu  quella  di  far  da  Te- 
sifone,  furia  infernale,  invadere  Atamante  Re  di  Tebe,  e  dive- 
nire in  guisa  furioso ,  che ,  veggendosi  venir  incontro  Ine  sua 
moglie ,  e  sorella  di  Semele ,  carcata  con  due  figli  (  m^  co* due 
/tgiif  il  VaU  iigg)  da  ciascuna  mano  f  portante  cioè  un  per 
braccio  i  due  di  lui  figliuolini  Leai*co  e  M elicerta ,  apprenden- 
dola per  una  leonessa  con  due  leoncini ,  gridò  :  tendiam  le  reti 
(  quelle  cioè  colle  quali  soglionsi  prendere  le  fiere  ),  si  eh* io 
pigli  ec.  :  ìndi  da  forsennato  una  cosa  proponendo  ed  altra  opran- 
do, strappato  dalle  materne  braccia  Learco^  ed  aggiratolo  a 
guisa  di  pietra  in  fionda,  lo  scagliò  contro  di  un  sasso,  e  lo 
uccise  :  fatto,  per  cui  la  madre  fu  si  dolente ,  che  disperatamen- 
te <^n  l'altro  bambino  rimasolc  nelle  braccia  gittossi  in  raa«« 
re  f/ij.  m^  F'enir  carcata ^  al  v.  6.,  legge  il  Vat.  3 199;  —  e 
coir  altro  carco  j  al  1^.  12.,  l'Ang.  E.  R.  e  il  Vat.  3 199.  4-« 

[n ]    OviJ.  3feL  lib.  iv.  5 1 3.  e  scgg. 


646  INFERNO 

E  quando  la  fortuna  vcJse  in  basso  1 3 

L'altezza  de  Troian ,  che  tolto  ardiva , 
Si  che  'nsieme  col  regno  il  Re  fu  casso, 

Ecuba  trisu,  misera  e  cattiva,  16 

Poscia  che  vide  Polisena  morta  y 
E  del  suo  Polidoro  in  su  la  riva 

Del  mar  si  fu  la  dolorosa  accorta,  ig 

Forsennata  latrò,  sì  come  cane; 
Tanto  il  dolor  le  fé' la  mente  torta . 

Ma  né  di  Tebe  furie,  né  troiane  12 

Si  vider  mai  in  alcun  tanio  crude. 
Non  punger  bestie,  non  che  membra  umane, 

1 3  al  ì5  E  quando  ec.  uolse  in  basso  ;  detto  allasivaiiiratr 
air  atto  che  alla  fortuna  affiagesi  di  volgere  continaaniientesaa 
mota ,  o ,  come  dice  Dante  j  sua  spera  [a j .  L^ altezza ,  la  gran- 
dezza del  potere.  —  che  tutto  ardii-'aj  fino  a  rapir  Elena  al  di 
lei  sposo  Menelao,  Re  di  Sparta.  — -/%<  casso  j  per /ic  estimo  e 
dìs  inulto . 

1 6  al  20  Ecuba  ec.  Distrutta  Troia ,  Ecuba  moglie  dell^estin* 
to  Priamo,  Re  troiano,  condotta  dai  Greci  in  cattività  insirnip 
con  sua  figliuola  Polisena,  vedendosi  priniieramemc  scannau 
la  figlia  in  sacrificio  sopra  la  tomba  d^Acliille,  ed  incontrai»- 
dusi  poscia  sui  tracj  lidi  nel  cadavero  delP  estinto  suo  figlio 
Polidoro,  latraifit  conata  loquiy  scrive  Ovidio  [6]. 

a  I  Tanto  il  dolor  le  fe'ec.y  legge  la  Nidob.,-  Ionio  dolor 
le  fe\  l'altre  edizioni.  —  torta  vale  stravolta. 

9.2  né  di  Tebe  furie  ^  né  troiane ,  cioè  né  furie  in  Tebaoi, 
né  furie  in  Troiani .  •-►  non  di  Tebe  ,  ha  l'Ang.  E.  A.  <-« 

a 3  ^^in  alcun  vale  dentro  d^ alcun,  annidtUe  in  alcun. 
01  tre  che  viene  questa  intelligenza  confermata  dalla  lesione  ..dif 
due  versi  sotto  ammette  la  Nidobeatina,  unitamcntea  moltissimi 
testi  veduti  dagli  Accad.  della  Crusca,  fa  anche  meglio  capìir 
la  condegnltà  della  pena  in  questi  contraflTattori  dell* altrui  per- 
sone; cioè,  che,  come  essi  operarono  sotto  altrui  forme,  coei 

[a]  Inf.  VII.  96.  [b]  Mei,  xiii.  5;o. 


CANTO  XXX.  647 

Qiiant'  io  vidi  in  due  ombre  snioite  e  nude ,       nS 
Che,  mordendo,  corre van  di  quel  modo, 
Cile  'i  porco ,  quando  del  porcil  si  schiude. 

L'una  giunse  a  Capocchio,  ed  in  sui  nodo      38 
Del  collo  l'assannò  si,  che,  tirando. 
Grattar  gli  fece  il  ventre  al  fondo  sodo. 

operino  le  furie  sotto  la  forma  loro  •  m^  Ma  il  Biagioli  pensa 
piuttosto  che  Dante  nasconda  le  furie  in  quegli  spiriti  a  ram* 
mentar  loro  la  qualità  del  delitto,  e  la  cagione  delPattuale  sup- 
plizio loro;  il  che  serve  a  far  doppio  il  dolore;  essendo  me* 
sto  sistema  uno  dc*suoì  misteri  9  come  lascia  talvolta  travedere 
all'attento  lettore. <-«  JVon  puntar  bestie.  La  particella  non  è 
qui ,  per  avviso  del  Volpi ,  sovrabbondante  ;  la  è  cioè  come  un 
ripigliamento  ad  abbondanza  fatto  delle  precedenti  negative  ; 
né  importa  altro  senso,  che  se,  mancando  essa,  scritto  fosse 
punger  bestie .  Pungere  adoperasi  per  ferire  e  straziare  la 
qualsivoglia  modo. 

25  piai  in  due  ombre  ^  la  Nidob.  e  moltissimi  testi  veduti 
dagli  Accad.  della  Cr.,  e  conìsponde  ad  in  alcun  due  versi 
«opra.  -  vidi  du* ombre y  leggono  le  altre  ediz.,  •-►€  coi  codici 
\'at.  H  igc)  ed  Ang.  la  '^,  rom.  ediz.,  giovandosi  della  costruzione 
che  di  questi  versi  ci  cifre  il  Biagioli,  cioè:  ccma  né  furie  te- 
M  bane  tanto  crude ,  né  furie  troiane  tanto  crude  si  videro  mai 
»  in  alcuno  ;  non  si  videro  tanto  crude  punger  bestie  ,  non  che 
»  membra  umane ,  quanto  crude  io  le  vidi  pungei*e  due  ombre 
»  smorte  e  nude.  »  '—  Dal  canto  nostro  ci  asterremo  da  cam- 
biamento, non  accordando  al  sig.  Biagioli  che  il  nostro  P.  L. 
abbia  mal  inteso  questo  luogo;  che  anzi  la  Nidob.  lezione  (se 
il  corto  veder  nostro  non  c'inganna)  ammette  una  costruzione 
più  semplice  e  piana ,  qual'è  la  sedente  :  ma  né  furie  tebane 
a  troiane  si  videro  mai  tanto  crude  in  alcuno ,  quanto  crude 
IO  le  vidi  in  due  ombre  smorte  ec.  <-• 

28  m^in  sul  nodo  ec,  e  lo  addentò  in  quell'osso  o  caitila- 
{Tf  ne  prominente  dalla  parlo  esteriore  della  gola  nei  maschi  della 
jtpecìe  umana,  che  il  volgo  chiama  il  ^omo  di  Adiamo.  Poo- 
c^I  ALI.  •«-• 

2()  Ho  nssannò  dice  invece  di  afferrò ,  per  istar  nella  me- 
ta fora  del  porco,  che  ha  le  saune:  e  dice  che  lo  assannò  in  tal 


648  INFERNO 

E  TAreiin,  che  rimase  tremando,  3i 

Mi  disse:  quel  folletto  è  Gianni  Schicchi , 
£  va  rabbioso  altrui  così  conciando. 

Oh,  diss'io  lui,  se  l'altro  non  ti  tìcchi  34 

Li  denti  addosso,  non  ti  sia  fatica 
A  dir  chi  è,  pria  che  di  qui  si  spìcchi. 

Ed  egli  a  me:  quell'è  Tanima  antica  07 

Di  Mirra  scelerata ,  che  divenne 

modoyche,  tirandolo  e  strascinandolo  per  terrai  fececfaeil/biub 
sodo  j  il  duro  pavimento  della  bolgia  y  gli  grattasse  lo  scabbioso 
ventre.  »-»•  Ma  il  Bìagioli  crede  usato  qui  dal  Poeta  il  veriio  as- 
sannare  non  già  per  istare  nella  metafora  del  porco,  ma  piut- 
tosto a  dimostrare  la  rabbia  e  la  forza  dell'arrabbiato  sj^rito.^^ 

3 1  l'*Aretin  j  Griffblino ,  detto  nel  prec.  canto,  v.  1 09.  •-♦ti- 
randa ,  invece  di  tremando ,  malamente  legge  il  Vat.  3  i99.«-i 

3-3  folletto ,  nome  degli  spiriti  che  si  credono  da  alcuni  nel- 
Paria;  ma  qui  per  ispirilo  infuriato.  *-  Gianni  Schicchi  «^di- 
cono fosse  de* Cavalcanti  di  Firenze),  famoso  per  contraffale 
l'altrui  persone.  Uua  delle  prove  JMÙ  segnalate  di  costai  fa  quel- 
la ,  che  pochi  versi  sotto  racconta  il  nostro  Poeta  stesso ,  cioc 
eh  essendo  morto  senza  aver  fatto  testamento  messer  Baoso  Do- 
nati ,  Gianni  (  indotto  dal  premio  promessogli  da  Simon  Doaad 
della  piìi  bella  tra  le  sue  cavalle)  facesse  levar  dì  letto  e  na- 
scondere il  cadavere  del  recente  defimto  ;  e  mettendosi  egli  nel 
medesimo  letto,  ingannasse  i  notaj  e  i  testimoni ,  facendosi  lc« 
credere  per  Buoso  Donati ,  e  facesse  testamento  tatto  in  favoni 
di  Simone.  «-►Pietro  Dante  afferma,  che  Buoso  Donati  fo&^e 
anche  soffogato  dallo  Schicchi  suddetto;  nel  che  rAnooimoed 
il  Boccaccio  concordano.  E.  F.  ^-c 

33  conciando  j  ironicamente  per  iVconciondo ,  guasianJo- 
maltrattando >  Vocab.  della  Crusca. 

34  sey  particella  qui  pure  apprccativa,  come  nel  passato 
canto,  u.  89.,  ed  altrove.  —  l" altro ^  intendi  folletto. 

35  36  »-►  Li  unghioni y  l^gg^  '1  Vat.  3i99.«-«  si  spicchi. 
si  scosd. 

37  al  4 1  antica ,  perocché  stata  al  mondo  molti  secoli  pri* 
ma  di  Gianni  suddetto.  -  Mirra,  figliuola  di  Ciniro,  Re  di  Ci- 
pro, che  innamoratasi  del  padre,  operò  si,  che  venne  a 


P*- 


CANTO  XXX.  649 

^Al  padre,  fuor  del  dritto  amore,  amica. 

Questa  a  peccar  con  esso  cosi  veune,  4^ 

Falsificando  sé  in  altrui  forma, 
Come  l'altro,  che  'n  là  sen  va ,  sostenne, 

Per  guadagnar  la  donna  della  torma,  4^ 

Falsificare  in  sé  Buoso  Donati, 
Testando ,  e  dando  al  testamento  norma . 

E  poi  che  i  due  rabbiosi  fur  passati ,  4^ 

Sovra  i  quali  io  a vea  l'occhio  tenuto , 
Rivolsilo  a  guardar  gli  altri^malnati .  ' 

r  vidi  un  fatto  a  guisa  di  liuto,  49 

Pur  eh'  egli  avesse  avuta  l'anguinaia 
Tronca  dal  lato  che  l'uomo  ha  forcuto . 

cersi  con  lui,  senza  eh' egli  la  conoscesse  per  quellache  era  [a], 
'^fuor  del  dritto  amore  f  contro  le  leggi  dell'onesto  amore  • 
rcUo .  •—  amica  vale  concubina  • 

4a  al  45  l'altro ,  il  detto  Gianni  Schicchi.  »-^  che  là  sen  ya , 
legge  l'Ang.  E.  R.  e  il  Vat.  3i99.4-«  sostenne  si  riferisce  a 
Ffdsificare  in  sé  del  i^.  44*9  ^  significa  s'impegnò  di  rappresene* 
tare.  —  la  donna  della  torma ^  cosi  dicono  i  Q>mentatori  che 
appellata  fosse  la  cavalla  ottenuta  da  Gianni  in  guiderdone  da 
Simon  Donati  per  la  suddetta  falsificazione  ;  e  vuol  dir  lo  stessa 
che  la  signora^  la  più  bella  della  mandra.  —  dando  al  te- 
stamento  norma^  cioè  dettandolo  a  norma  delle  leggi. 

47  »-^  Sovra  cu*  io  9  il  Vat.  3 199. 4-« 

48  m^  malnati  è  qui  nel  senso  di  nuU%^agi.  Mohti  [&] .  ^-m 

49  un  fatto  a  guisa  di  liuto ,  cioè  col  capo  e  collo  piccioli , 
e  col  ventre  grosso  assai ,  come  appunto  è  fatto  lo  strumento 
da  saono  appellato  liuto  i  e  ciò  per  esser  costui  idropico,  male 
che  cagiona  gran  sete ,  in  pena  della  mala  sete  di  approfittare 
col  falsar  monete. 

50  5 1  Pur  ch'egli  avesse  avuta  l^ anguinaia  (  quella  parte 
del  corpo  umano ,  che  è  tra  la  coscia  e  il  ventre  allato  alle  parti 
vergognose  )  tronca  dal  lato  che  Fuomo  ha  forcuto ,  separata 

[a]  Vedi  Ovili.  Metani,  x.  v.  398.  e  segg  [h\  Prop,  vvl.  3.  P.  i.  fac  91. 


65o  INFERNO 

La  grave  idropisia ,  che  sì  dispaia  5i 

Le  membra  con  f  umor  che  mal  converte, 
Che  1  viso  non  risponde  alla  ventraia , 

Faceva  a  lui  tener  le  labbra  aperte  y  55 

Come  Fetico  £à  ^  che  per  la  sete 
L'un  verso  1  mento ,  e  Taltro  in  su  riverte . 

O  voi,  che  senza  alcuna  pena  siete,  58 

E  non  so  io  perchè,  nel  mondo  gramo, 

dalla  parte  forcata yjcioò  dalle  cosce  e  gambe;  Tolendo  in  som- 
ma dire  lo  stesso  che  se  detto  avesse.*  Purché  r anguinaia 
fosse  stato  il  termine  del  di  lui  corpo  j  e  f ossesi  da  lui  tron^ 
cato  il  testo  deill' anguinaia  in  giuso  :  e  veramente  il  lìato 
ha  ventile  senza  gambe. 

Sa  al  5^m^Lja  grax^e  jrdropisi y  pronuziata  forse  col P ac- 
cento sull'ultima  i ,  legge  il  Vat.  3 199.  <-m  dispaia  ^ Le  mem- 
bra j  ingi*ossandone  alcune,  ed  altre  anzi  scarnandole ^  come 
dirà  nel  v.  69.  del  di  lui  volto.  —  con  V  umor^  la  Nidob.  ;  con 
romor,  Taltre  edi«. ,  •-►  e  il  Vat.  3 199.  4-«  che  mal  conuerte 
cioè  non  in  sostanze  conface  voli,  ma  dannose  al  temperamento. 
**  Che  V  s^iso  non  risponde  alla  i^entraia ,  che  rimane  la  fac- 
cia troppo  pìcciola  a  proporzione  della  pancia. 

5  5  Faceta  a  lui ,  la  Nfidob.;  Faceta  lui ,  Tal  tr*  edizioni  y  »-^  la 
terza  romana  e  il  Vat.  3 199 ,  ed  è  forse  la  vera  ed  originale  le- 
zione. <4-« 

56  67  »-►  Come  l* etico  ec.  Dipingono  queste  parole  ;  né  me- 
glio, né,  come  in  simigliami  cose  si  debbe  &re,  con  pi&  rat- 
tezza si  potevaritrarre.BiAoioLi.  4-«  l*  etico  fa ,  che  per  la  setec 
essendo  la  febbre  etica  definita  dai  medici  intemperies  calida 
et  sicca  totius  corporis  [a] .  -  riuerte ,  rivolta  :  voce  dantesca 
è,  dice  il  Venturi,  e  non  d'altri,  ch'io  sappia,  questo  rìi^er- 
tere.  Ma  se  non  trovasi  usato  da  altri  riyertere,  trovasi  nsato 
riverso  da  rii^ertere  f  Aj;  il  che  basta  per  capire  che  non  è  n- 
t^ertere  voce  affatto  dantesca.  •-►Il  Vat.  3 199  legge  ri nivrie, 
senza  bisogno  di  coniare  un  nuovo  verbo,  come  rimarca  TE.  R.*-a 

59  mimando  gramo  y  cioè  disgraziato  e  doloroso ,  è  detto 
l'Inferno,  come  lo  è.  L'adicttivo ^ramo  in  significato  di  tristo^ 

I^j  Castcll.  Lexic.  medie,  art.  Hcctica.  [b]  Vedi  il  Yocab.  della  Crusca. 


CANTO  XXX.  65i 

Diss'egli  a  noi  :  guardate  ed  attendete 
Alla  miseria  del  maestro  Adamo:  6i 

Io  ebbi  vivo  assai  di  quel  eh*  i'  volli  y 
Ed  ora,  lasso!  un  gocciol  d'acqua  bramo. 
Li  ruscelletti ,  che  de'  verdi  colli  64 

Del  Gasentin  discendon  giuso  in  Amo, 
Facendo  i  lor  canali  freddi  e  molli, 

addolorato  j  penante  ^  rabbiamo  veduto  fin  dal  verso  5.  del 
canto  I.  Poggiali.  4-« 

6i  maestro  j^damo  9  Bresciano»  il  quale  richiesto  da 'Conti 
di  Romena,  luogo  vicino  accolli  del  Giseutino,  feUsifieò  la  lega 
del  Batista  y  cioè  del  fiorino  d*oro,  che  ha  da  una  banda  san 
Giovanni  Battista,  e  dall'altra  il  giglio;  per  laqual  cosa  fu  preso 
e  abbruciato.  Volpi.-*  Si  osservi  di  grazia  al  v\  y^.  l'espres- 
sione del  Batista  y  che  Dante  usa  chiaramente  per  indicare  tal 
moneta  che  interpreta  il  Lombardi,  e  si  vedrà  quanto  è  giusta 
r  interpretazione  data  nelle  postille  del  cod.  Caet.  alla  stessa  pa- 
rola, i/i/.  1 43. 1 4^*  del  e.  XIII. ,  da  noi  riportata  a  suo  luogoec.  E.  R. 

63  un  gocciol  d'acqua  branco  :  non  ho  una  gocciola  d'acqua 
per  estinguere  l'ardente  sete.  ^^ Gocciolo y  di  genere  masco* 
h'no,  è  oggidì  vocabolo  popolare  in  Toscana,  ea  ha  forza  di 
diminutivo  piii  di  gocciola.  Poggiali.  4-« 

66  canali  freddi  e  molli y  cosi  la  Nidob.  non  solo  e  tutto 
l'altre  ediz.  antiche,  ma  tutti  anche  quasi  i  testi  veduti  dagli 
Accademici  della  Crusca.  Ai  detti  Accademici  però,  per  la  sola 
autorità  di  sedici  testi  contro  quella  di  più  di  settant'altri,  ò 
piaciuto  d'inserire  nella  edizione  loro  canali  e  freddi  e  molli. 
Ma  che  non  fosse  Dante  vago  di  usai'e  la  particella  e  di  sover- 
chio 9  ne  lo  dimostrano  abbastanza  que' versi,  tra  gli  altri: 
A  lagrimar  mi  fanno  tristo  e  pio  [a] . 
Caccia  d^ Asciano  la  vigna  e  la  fronda  [61. 
»-»Ma  il  sopprimere  la  particella  e,  secondo  il  Biagiou ,  toglie 
non  so  che  grazia  a  questo  vei'so;  oltre  di  che  la  congiuntiva 
adopera  qui  non  poco  a  rinforzo  del  sentimento,  coli 'affissar 
maggiormente  il  pensiem  in  sull'idea  degli  aggiunti  freddi  e 
molli y  ove  Tanima  di  chi  parla  è  tutta  iutesa.  «-• 

[a  ]    luf.  V.  1 1 7.  \h\  Inf.  XXIX.  1 3 1. 


65^  INFERNO 

Sempre  mi  stanno  innanzi ,  e  non  indarno  ;        67 
Che  l'immagine  ior  via  più  m'asciuga 
Che  1  male ,  ond'  io  nel  volto  mi  dìscarno . 

La  rigida  giustizia ,  che  mi  fruga ,  70 

Tragge  cagion  del  luogo,  ov'io  peccai, 
A  metter  più  gli  miei  sospiri  in  fuga . 

Ivi  è  Romena,  là  dov'io  falsai  73 

La  lega  suggellata  del  Batista, 
Perch'  io  il  corpo  suso  arso  lasciai . 

Ma  s' io  vedessi  qui  l'anima  trista  76 

Di  Guido,  o  d'Alessandro,  o  di  Ior  frate , 
Per  fonte  Branda  non  darei  la  vista . 

69  Che  7  male  er.,  1* idropisia. 

70  fruga  vale  qui  punge ,  gastiga.  »-^Èf  a  dir  vero  9  espres- 
sione alquanto  bassa  ed  abietta y  ma  è  da  perdonarsi  ad  un  sì 
grande  antico  scrittore.  Poggiali. •<-• 

71  72  Tragge  et*.  Da* bei  ruscelletti  delCasenùno,  dov^io 
peccai,  tragge  cagione  j  prende,  ricava,  moliyo  a  metter  più 
in  fuga  f  a  far  piìi  veementi ,  1  miei  sospiri,  •-►Ma  qui  il  Lom- 
bardi ,  per  ciò  che  pensa  il  Biagioli ,  s'inganna,  per  non  avere 
avvertito  che  l'espressione  del  testo,  che  non  si  può  per  altra 
traslatare,  intende  a  dimostrar  la  frequenza  deirazione,  eneo 
r intensità  sua.  4-« 

y'i  al  75  lui  è  Romena^  ec.  Vedi  ciò  ch*è  detto  al  u.  61. 
9h¥  La  lega  ec.  Qui  lega  propriamente  è  quella  piccola  dose 
di  rame,  o  altro  inferior  metallo,  o  mistura  minorale,  <:lie  si 
fonde  coU'oro ,  o  coll'ai^ento,  per  dare  alle  monete  una  nue- 

J[ior  consistenza.  Qui  maestro  Adamo  per  sineddoche  prende 
a  voce  lega  per  tutto  il  composto  del  detto  Borino;  cosi  che 
lega  suggellata  è  lo  stesso  che  oro  monetato.  Poggiai. i.  •*-« 

76  s^io  vedessi  quij  s'intende  a  ^e/uir  mecOf  per  essere  i 
medesimi  Conti,  com'è  per  dire ,  stati  a  lui  causa  motrice  del 
delitto. 

77  Di  Guido  j  o  d'Alessandro y  Conti  di  Romena.  — o  di 
lor  frate:  il  fratello  dicono  che  fu  Àghinolfo.  Veli.utei.i.o. 

78  Per  fonte  Branda  y  fonte  in  Siena  molto  abbondante  e 


CANTO  XXX.  653 

Dentro  ci  è  Tana  già,  se  l'arrabbiate  79 

Ombre,  che  vanno  intorno,  dicon  vero: 
Ma  che  mi  vai,  ch'ho  le  membra  legate? 

S' io  fossi  pur  di  tanto  ancor  leggiero ,  8a 

Ch'io  potessi  in  cent'anni  andare  un'oncia, 
Io  sarei  messo  già  per  lo  sentiero, 

Cercando  lui  tra  questa  gente  sconcia ,  85 

Con  tutto  ch'ella  volge  undici  miglia, 
£  men  d' un  mezzo  di  traverso  non  ci  ha .. 

limpida  9  non  darei  ^  non  rìnanzierei,  la  uista,  il  vedere  co- 
storo meco:  e  vaole  dire^  che  per  quanto  grande  fosse  in  lui 
la  sete ,  era  maggiore  il  desiderio  di  veder  seco  gastìgato  alcuno 
dei  detti  Conti.  »-^  Espressione  d'infinito  odio  e  vendetta,  la 
cui  soddisfazione  sarebbe  a  quell'ombra  piii  grata  che  il  mag- 
gior sollievo  che  possa  essere  al  suo  male.  Biaoioli.«-« 

79  80  Dentro  ci  è,  laNidob.;  e* è,  altre ediz. ,  ed  ee  quel- 
la degli  Accademici  della  Crusca ,  seguita  dalla  Cominiana  e 
dall'  altre  recenti  ediz.  Ma  con  buona  pace  di  chi  lo  ha  ammes- 
so, non  si  trova  ee  adoperato  dal  Poeta  nostro  se  non  in  ri- 
ma [ri],  ~-  unay  un'anima  delle  tre  mentovate.  »-^  Di  quelli 
Conti  era  già  morto  il  conte  Guido.  Cosi  T  Antico ^  citato  nella 
E.  F.  ♦-•  se  l*  arrabbiate  ^  Ombre  ec,  se  dicon  vero  l'ombre 
di  Gianni  Schicchi  e  di  Mirra,  che  sole  girano  per  la  bolgia,  e 
\«inno  altrui  mordendo.  •-♦Ma  non  si  creda,  avverte  il  Biagio- 
li  j  che  le  ombre  di  Gianni  e  Mirra  sieno  le  sole  che  vadano  in 
giro ,  mordendo  si  fattamente  ;  poiché  di  simili  falsatori  ve  ne 
sono  d'ogni  paese,  e  più  d'uno.  4-« 

8 1  eh*  ho  le  membra  legate ,  intendi  dalla  divina  giustizia 
in  modo,  che  non  potesse  muovere  neppur  un  passo. 

Hik  air  87  w^  Ultimo  tratto ,  e  però  piti  forte ,  di  quell'anima 
arrabbiata.  BiAoiou.  «-•  leggiero  per  agile y  mobile  ^  atto  a 
m€H^ersi.  —  sconcia  per  iseonciatay  resa  cioè  dalla  idropisia 
ne*  suoi  membri  sproporzionata .  »-♦  eh* ella  gira ,  legge  V  Ang. 
K.  R.  —«Avendo  questa  decima  bolgia  undici  miglia  di  giro. 
Vii  avendo  detto  di  sopra,  che  la  nona  aveane  ventidue  :  Che 

[a]   laf.  XXIV*  90.,  Purg.  xxxii.  io. ,  Par.  xzvm.  laS. 


664  INFERNO 

Io  8on  per  lor  tra  si  £itta  famiglia:  88 

£i  m'iadussero  a  battere  i  fiorini, 
Gti'avevan  tre  carati  di  moDdiglia. 

Ed  io  a  lai:  chi  son  li  due  tapini,  91 

Che  fuman  come  man  bagnata  il  verno, 

miglia  uentidue  la  inaile  volge  \a\;  se  tutte  si  suppongano 
ugualmente  l'una  dairaltra  distanti,  e  tali  che  il  giro  deireste- 
rìore  sia  doppio  dell'interiore  contìgua ,  si  potrà  facilmente  rac- 
cogliere la  misura  di  ciascuna  delle  dieci  bolge •  Torelli. «^f 
men  d*  un  mezzo  ec,  cosi  la  Nidobeatina  eia  Fulginate,  unì* 
tamente  a  una  trentina  di  testi  veduti  dagli  Accademici  delh 
Crucca.  E  stupisco  che  i  medesimi  abbiano  nonostante  voluto 
con  l'Aldina  ed  altre  ediz.  leggere»  E  più  d'un  mezzo;  noo 
accoi^endosi  che,  ad  esagei^are,  come  intende  mastro  Adamo, 
la  difficoltà  di  ritrovare  quelli  che  volentieri  vedati  avrebbe* 
siccome  conduce  la  molta  lunghezza ,  ossia  il  lungo  giro  della 
bolgia  y  cosi  anche  il  molto  trasverso  9  ossia  il  largo  ;  e  che  il  di* 
re  non  ci  ha  più  d^  un  mezzo  miglio  di  trat^erso  è  di  chi  vuole 
anzi  restrìngere .  m-¥  Cosi  anche  Torelli.  —  Il  Val.  3 199  I^ge 
come  la  Crusca;  ma  il  Biagioli  loda  qui  il  Lombardi,  e  dietro 
l'autorità  del  cod.  Stuardiano  segue  la  Nidob.  lezione,  da  cui 
chiarissimo  si  ricava  il  sentimento  9  mentre  In  comune  non  può 
stare  in  conto  alcuno .  4-« 

89  fiorini  j  moneta  d*oro,  cosi  appellata  dal  giglio  fiore  che 
vi  è  improntato,  e  per  la  stessa  ragione  appellansi  in  oggi  co- 
munemente gigliati. 

90  carati.  Carato  è  la  ventiquattresima  parte  dell'onciale 
dicesi  propriamente  dell'  oro .  Volpi  .  -^  mondiglia  vale  pro- 
priamente/eccia,  la  cattiva  parte  che  dalla  materia  separasi  nel 
purgarla  ;  ma  qui  ponesi  pel  rame  od  altro  metallo  che  all'oro 
si  mescoli.  Ch  avean  ben  tre  carati  di  mondiglia  j  dice  di 
avere  nel  ms.  creduto  di  Filippo  Villani  tra  le  cassature  scop<^ 
to  scritto  il  eh.  autore  degli  Aneddoti  ^  Verona  1 790 ,  pag.  i^ 

91»^  tapini ,  dal  greco  tapeinoi  j  umili ,  abbietti .  Biagioli.^ 

ga  Che  fuman  ec.  Lo  svaporamento  dell'acqua  che  open 

il  calore  della  mano  bagnata ,  essendo  nel   verno  dal  freddo 

condensato,  rendesi  un  fumo  agli  occhi  nostri  assai  piii  vi>i- 

[aj  Cauto  xxìx,  v.  9. 


CANTO   XXX.  655 

Giaceodo  stretti  a'  tuoi  destri  confioi  ? 
Qui  gli  trovai,  e  poi  volta  non  dieroo,  q4 

Rispose,  quand'io  piovvi  ia  questo  greppo , 

E  noD  credo  che  dieoo  iu  sempiterno. 
L*una  è  la  falsa  che  accusò  Giuseppo,  9^ 

L'altro  è  '1  falso  Sinon  Greco  da  Troia  : 

bile  che  nella  state.*  ragione  per  cui  anche  il  fiato  nostro  stes- 
so rendcsi  nell'inverno  pia  visibile. 

9^  a  tuoi  desiri  confini j  il  plurale  numero  pel  singolare, 
pt*l  tuo  destro  confine^  per  la  tua  destra  banda  j  destro  lato. 
94  9^  Q^^  g^^  troi^ai  f  ec.  Costruzione:  Rispose  ^  qui  li 
trottai  quand^  io  piot^fi  in  questo  greppo  f  e  poi  non  dierno 
^olta.  — pio^i^i  per  caddi.  —  gf^ppo  egreppa.  lat.  rupes 
praerupta^  agger^  ibtmetumc  cosi  il  Vocab.  della  Gioisca.  O 
adunque  per  greppo  intese  Dante  n^e  scoscesa  ,  e  adopraiw 
do  il  singolare  pel  plurale  disse  in  questo  greppo  invece  di'/» 
questi  greppi  j  ad  indicare  serrato  quel  fondo  tra  scoscese  ru- 
pi: ovvero  TfCT  greppo  non  intese  altroché  luogo  selvatico  ed 
orrido,  m^  Greppo  propriamente ,  secondo  il  fiiagioli  >  signifi- 
ca ciglio  o  ciglione  delle  fosse;  qui  per  similitudine  colle  rive 
di  quelle  infernali  fosse,  e  ponendo  la  parte  pel  tutto  chiama 
cosi  il  Poeta  quella  bolgia  •«-«  e  poi  volta  non  dierno  y  e  di- 
poi sempre  immobili  si  restaix)no. 

9G  dienoy  la  Nidob.  deano ,  Tal  tre  edts.  («-^e  iiyat.3ic)94-«) 
e  si  l'uuo  che  Tal  uro  vale  qui  quanto  che  sieno  per  dare, 

9j  la  falsa  che  accusò  Giuseppo  y  la  disonesta  e  calunuia- 
trìce  moglie  di  Putifare ,  che  irata  contro  del  casto  Giuseppe, 
;;r  aver  questi  ricusato  di  aderire  alle  impure  di  lei  brame, 
o  accusò  al  marito  dicendo,  che  l'aveva  voluta  sforzare.  Giu^ 
seppo  per  Giuseppe ^  antitesi  a  cagion  della  rima. 

98  V altro  è* l  falso  Sinon  Greco  da  Troia,  cioè  nominato 
da  Troia  pel  tradimento  fatto  a  Troia  con  ingannar  queVitta* 
dìni ,  e  far  loro  introdun*e  in  città  il  fatale  cavallo;  ovvero  per 
averlo  Priamo  accettato  nel  numero  de*  suoi  cittadini  ;  come  in 
]H*rsonadi  lui  ne  dimostra  Virgilio,  dicendo:  Quisquiscs,  amis^ 
SOS  lune  iam  obliviscere  Graios^^IVoster  cris  [aj.  Dahiello. 

[aj  jÌ4gti€id.  II.  148.  9  scg. 


r. 


656  INFERNO 

Per  febbre  acuta  giitan  tanto  leppo . 

E  l'uQ  di  lor,  che  si  recò  a  noia  loo 

Forse  d  esser  nomato  si  oscuro , 
Gol  pugno  gli  percosse  l' epa  croia . 

Quella  sonò)  come  fosse  un  tamburo:  io3 

E  mastro  Adamo  gli  percosse  1  volto 
Col  braccio  suo,  che  non  parve  meo  doro, 

QQ  100  Per  febbre  acuta.  Castiga  Dante  questi  bugiardi 
coli  acuta  febbre  y  credo  pel  vaniloquio  cbe  suoi  la  medesima 
febbre  apportare  ;  m^  ed  inoltre,  come  osserva  il  Biagioli ,  per 
raddoppiare  il  tormento  loro  con  la  ricordazione  continua  della 
qualità  e  maniera  del  loro  delitto.  «-•  leppo  j  fumo  puzzolente. 
'-'E  Tun  di lor ,  Sinone. 

I  oo  al  I  oa  »♦  Questo  dialogo  di  maestro  Adamo  ccm  Sinont 
è  stato  da  molti  a  torto  biasimato ,  per  quanto  pensa  il  Biagio- 
li .  Il  Poeta  y  die*  egli  y  ha  fatto  nascere  naturalmente  T occa- 
sione di  dare  al  lettore  una  nuova  lezione,  degna  d' caseine  ben 
accolta  da  ogni  anima  ben  nata ,  quella  cioè  che  contiensi  ap- 
punto nell'ultimo  verso  del  canto,  che  spiega  la  sentenza  di 
Virgilio,  ossia  la  lezione  che  si  propone  di  darci  il  Poeta.  Un'al- 
tra conseguenza  di  questo  dialogo,  indegno  agli  occbi  di  chi 
non  ne  sa  gustar  le  bellezze  di  lingua ,  e  altre  noa  poche,  ^i 
è  la  graziosa  similitudine  che  gli  vien  dietro.  <-m  oucuro ,  poslo 
avverbialmente  per  oscuramente j  disonorevolmente  .^^  T epa 
croia ,  la  pancia  dura .  Croio ,  duro ,  crudo ,  zotico ,  spiega  il  Y<>- 
cab.  della  Gioisca  ;  ma  io  credo  che  il  proprio  di  lui  si^ifìcaiosi^ 
quello  di  crudo  ^  e  che  T  altro  di  duro  sia  ti'aslato.  lu  JLonèbar- 
dia  certamente  il  ferro  crudo ,  che  facilmente  salta  in  pezzi,  s  ap 
pella  croi.  9^  Croio  è  voce  ancor  viva  in  alcun  luogo  di  Ko- 
magna,  ove  ha  foi*za  di  meschino ^ papero ,  infermo .  Cosi  il  eh. 
co.  Perticari  [a] ,  il  quale  opina  che  in  questo  luogo  rcpa  croia 
significhi  t^entre  in/ermo;  avendolo  il  Poeta  tolto  da  (|ue'Aonuh 
gnuoli  che  dicono  e' sta  a'oi  per  dii*e  ci  sta  malaticcio.  Va 
qual  voce  fu  poi  pcrmetafoi*ausataasignificare^o(^ero  eyile.^^ 

loò  »-^  che  non  paride  men  duro.  Qui  la  voce  duro  si  pan 
riferire  a  x^oho  ed  a  braccio.  ToaeLi.i.  ^^ 

[a]  Prop,   voi.  2.  P.  II.  fac.  127, 


CANTO   XXX.  65; 

Dicendo  a  lui:  ancor  che  mi  sia  tolio  iu6 

Lo  mover,  per  le  membra  che  son  gravi, 
Ho  io  il  braccio  a  tal  mestier  disciolto. 

Ond'ei  rispose:  quando  tu  andavi  109 

AI  fuoco,  non  l'avei  tu  così  presto; 
Ma  sì  e  più  Tavei  quando  coniavi. 

R  l'idropico:  tu  di' ver  di  questo;  1 1^ 

Ma  tu  non  fosti  sì  ver  testimonio. 
Là  Ve  del  ver  fosti  a  Troia  richiesto . 

S'io  dissi  falso,  e  tu  falsasti  '1  conio,  1 15 

Disse  Si  none,  e  son  qui  per  un  fallo, 
£  tu  per  più  ch'alcun  altro  dimonio. 

108  wh¥  mestier  non  è  qni  arte  né  professione  ^  come,  con 
questo  esempio,  nota  la  Crusca;  che  la  professione  di  maestro 
Aclamo  non  era  di  dar  pugni,  ma  di  falsare  i  fiorini:  dunque 
e  bisogno  y  il  bisogno  di  vendicarsi  y  restituendo  a  Siuone  il 
pugno  con  cui  questi  gli  avea  percossa  C epay  facendola  risuo^ 
iiai'e  Goroetin  tafnbnro.  Mokti  [aj.^^-c 

1 09  1 1  o  andtivi'^Al  fuoco  y  eri  da'mauigoldi  legato  e  stra- 
scinato al  supplìzio  del  fuoco,  y,  y5,^^così  presto y  intendi  il 
braccio ,  perocché  legato . 

I  1 1  Afa  sìy  ma  così,  istessamente  ;  e  piùy  intendi  che  di 
presente  non  rtiai,  —  Va^eiy  sincope,  per  aueyi . '^ {fuando 
coniavi  y  (nlse  monete ,  intendi . 

I  1 3  £  r idropico y  mastro  Adamo.  —  tu  di\  tu  dici.  —  di 
questo  vale  in  questo  che  dici.  Della  di  per  in  vedi  il  Ciao- 
nio  [Al. 

I  t^ Là\ey  sinalefii,  in  cambio  di  là  o%^e;  e  dee  essere  la 
costruz.  :  Là  a  Troia ,  ove  fosti  richiesto  del  vero ,  cioè  quan- 
do ti  disse  Priamo:  nUhique  haec  edissere  vera  roganti  f 
(^uo  molemhanc  immanis  equi  statuere?  quis  auctor?  ^Quit 
fl\*e  petunt  ec.  [e] . 

I  1 7  per  ma ,  per  un  numero  di  falli  maggiore.  Intende  ave- 
re mastro  Aoamo  commessi  tanti  falli  quante  monete  false  aveva 

[a ]  Prop*  voi.  3.  P.  i  fac.  i .  i  a4«[^J  Perite»  80.  ti.[c],^€neid.  11. 1 49*  •  <^gg* 
roL  I.  4a 


G58  INFERNO 

Ricordili,  spergiuro,  del  cavallo,  1 18 

Ri.s|30se  quei  ch'aveva  enfiata  Tepa, 
E  sieti  reo,  che  tutto  1  mondo  sallo. 

A  te  sia  rea  la  sete,  onde  ti  crepa,  121 

Disse  1  Greco ,  la  lingua ,  e  l' acqua  marcia 
Che  '1  ventre  innanzi  agli  occhi  sì  t'assiepa. 

Allora  il  mouetier:  così  si  squarcia  1  i4 

La  bocca  tua  a  parlar  mal,  come  suole; 
Che  5  io  ho  sete,  ed  umor  mi  rinfarcia, 


coniate  .•-►Ecco  un  alcuno  per  ninno  ,  a  confermare  clie  Dan- 
te usò  quelle  due  voci  promiscuamente.  Il  cod.  Ang.  però  leg- 
ge, che  nuir altro.  E.  R.  4-«  dimonio  jjer  dannato,  m^  E  tu 
ci  serper  pia  che  altro  dimonio  j  variante  del  cod.  Poggiali. ••-• 
1 1 8  del  cai^allo ,  che  colle  tue  menzogne  facesti  introdurne 
in  Troia . 

1 20  JB  sieti  reo ,  ec.  :  mal  ti  sia.  Volpi  .  E  confessati  per  reo, 
giacché  ormai  lo  sa  tutto  il  mondo .  Vehtubi  .  Io  intendo  che, 
come  nel  seguente  verso,  cosi  pure  nel  presente  abbia  reo  sen- 
so dì  amaro ,  cruccioso ,  e  che  sia  la  sentenza  :  siati  anuwo , 
siati  cruccioso ,  che  tutto  il  mondo  sa  il  tuo  enorme  delitto. 

121  al  123  A  te  sia  ec.  A  te,  disse  Sinone,  sia  rea  la  sete, 
per  cui  ti  crepa  d'arsura  hi  lingua;  e  sia  rea  l'acqua  marcia  « 
che,  il  ventre  ingrossando,  ti  fa  di  quello  siepe j  impedimento, 
innanzi  agli  occhi ,  sicché  mirar  non  puoi  altre  parti  del  corpi» 
sotto  di  quello.  »-►  Forse  va  letto  con  maggior  el^anza  i  E  ate 
sia  reo  la  sete ,  facendo  reo  sostantivo ,  come  nel  verso  ante- 
cedente .  ToREtLi .  <-m  innanzi  gli  occhi  ti  s^  assiepa ,  l^gono 
l'edizioni  diverse  dalla  Nidobeatina.  •-►  Pare  al  Biagioli  che  la 
lezione  Nidobeatina  faccia  un  po' di  .guasto,  volendo  dire  il 
Poeta  che  */  ventre  gli  (all'  idropico)  fa  siepe  (riparo)  innan" 
zi  agli  occhi  j  e  non  già  che  sì  a  te  fa  siepe  innanzi  agli 
occhi y  come  s'ha  ad  intendere  col  Lombardi.  La  3.  rom.  edi- 
zione legge  col  Vat.  3  ig^,  innanzi  gli  occhi  sì  t^ assiepa  •^^-m 

1^4  al  126  cosi  si  squarcia  (per  ira  e  disprezzo,  in  vere 
di  così  si  apre  )«•  La  bocca  tua  a  parlar  maly  come  suole.* 
In  bocca  tua  sempre  a  questo  modo  s^apre  a  parlar  male.  •-^ per 
su* mal  ha  il  Val,  3iyy,  ^^  e  per  tuo  ma/ T  Ang.  E  R.*-«  Ch*' 


CANTO  XXX.  6^9 

Tu  hai  l'arsura  y  e  il  capo  che  ti  duole;  1 27 

E  per  leccar  lo  specchio  di  Narcisso, 
NoQ  vorresti  a  invitar  molte  parole. 

Ad  ascoltarli  er  io  del  tutto  tisso,  l'io 

Quando  '1  Maestro  uii  disse:  or  pur  mira, 


s*i'o  ho  seie^  ec.  Rende  ragione  d*aver  delio  a  Sinone  che  parla 
al  solito  malamente;  e  adoprando  la  particella  che  al  senso  di 
perciocché  [aj ,  vuole  dire  :  se  io  ho  il  gastigo  della  sete  e  del- 
r acqua  marcia,  che  il  ventre  mi  rinfarcia^  mi  riempie  ed  iu- 
);i*nssa  (dal  latino  m/brcire),  tupure  ec.  L'edizioni  di  verse  dal- 
la Nidobeatina  leggono: 

La  bocca  tua  per  dir  mal  1  come  suole  ^ 
Chès^Vho  setCy  e  umor  mi  rinfarda* 
»^I1  Venturi  fu  d'avviso  che  la  botta  del  monetiei*e  finisca 
con  questo  verso ,  e  che  il  seguente  terzetto  sia  poi  la  risposta 
del  Greco .  Di  questo  parere  si  mostra  anche  il  Torelli  »  il  quale 
dice  che  il  mouetiei^ ,  contrapponendosi  al  Greco ,  mostra  il  suo 
stato  essere  migliore  di  quello  dell' alti-o,  dicendo  che  se  egli 
liA  sete  si  riempie  di  umore  ad  estinguerla  ;  ma  questo  non 
{MIO  il  Greco,  a  cui  manca  T umore  1  come  ad  etico.  —  Non  è 
d'uopo  di  estendersi  punto  per  mostrare  T erroneità  di  questa 
opinione 9  che  ognuno  può  di  leggieri  accoi*gcrsene  da  sé .  — -  A 
4:a  varne  pur  qualche  senso  il  Torcili  avverte  che  la  e  di  questo 
verso  non  ò  congiunzione  9  ma  avverbio  ^  e  vaie  parimenti  ^  alla 
lati  uà  et  per  etiam.  Virgilio:  Quorum  Iphittu  ae^o^Iamgra'* 
%'ior ,  Pelias  et  uulnere  tardus  Ulixi  :  \b\  4-« 

I  !i^  Tu  hai  V  arsura  ^  quella  per  cui  fumava  come  man 
ha  fonata  il  %^emoy  v.  ga.,  e  l  capo  che  ti  duole.,  per  la  soprad- 
detta/i?£Are  acuta^  V.  99. 

j  V.8  lo  specchio  di  Narcisso  ;  racqua,  nella  quale  lo  sciocco 
giovane  specchiandosi ,  tanto  di  sé  medesimo  s*invaghiy  che,  di- 
jaeiiticando  di  mangiaixs  e  bere,  se  ne  moii;  onde  leccar  lo 
specchio  di  Narcisso  vuol  dire  bere  delC acqua . 

1 29  Non  ìH^rresti  a  incitar  molte  parole:  non  brameresti 
un  limgo  invito;  alla  prima  parola  d'mvito  correresti. 

1 3 1   i3'j  or  pur  tnira^  -  Che  per  poco  è  ec.  :  espressione 


[a]  Yetli  Cìdouìu  »  ParUc.  44*  aC.  [h]  Aeneid,  lib.  ii.  v.  435*  «  seg. 


66o  INFERJNO 

Che  per  poco  è  che  teco  non  mi  risso. 

Quand'io  1  senti'  a  me  parlar  con  ira,  i33 

Volsimi  verso  lui  con  tal  vergogna, 
Ch  ancor  per  la  memoria  mi  si  gira  • 

E  quale  è  quei  che  suo  dannaggio  sogna ,      1 36 
Che  sognando  disidera  sognare, 
Sì  che  quel  eh' è,  come  non  fosse,  agc^a: 

Tal  mi  fec'io  non  potendo  parlare;  iSg 

Che  disiava  scusarmi ,  e  scusava 
Me  tuttavia,  e  non  mi  credea  fare. 

miuacciosa ,  e  come  se  deUo  avesse:  ancor  mo guarda j  pro-^ 
siegui  pur  a  mirare^  che  se  noi  saij  —  per  poco  è,  poco  ¥Ì 
mauca  y»  che  teco  non  mi  risso y  che  nou  faccia  rissa  con  le, 
che  non  mi  scappi  la  pazienza  ;  •-♦o,  come  spiega  il  Biagiolit 
poco  manca  eh  io  non  ti  riprendo  y  e  sgrido  aspramente, 
•*->  Che  è  per  poco  che  teco  non  più  risso ,  ha  il  Val.  3  i99.'«-a 

|33  Quand^io  7  senti* ,  apocope,  invece  di  sentii. 

i34  •-♦con  tal  vergogna j  cioè  con  la  fronte  si  carica  dì 
quel  rossore  che  fa  l'uomo  talvolta  degno  di  perdono.  Bia- 

OIOL1 .  '«Hi 

1 36  al  1 4 1  E  quale  è  quei  ec.  0)nsiste  la  similitudine  in 
questo  9  che  come  chi  sogna  suo  dannaggio  (lo  stesso  che  suo 
danno ,  cosa  a  sé  dannosa) ,  erra ,  credendo  di  non  sognare ,  e 
desidera  di  sognare  ;  cosi  Dante  in  quel  punto,  mentre  ,  non 
potendo  per  la  vergogna  e  confusione  pailare,  manifestava  neiU 
miglior  maniera  il  suo  ravvedimento,  eiTa«a,  desiderando  <ii 
potere  il  ravvedimento  suo  manifestar  con  parole.  »-►£  questo, 
dice  il  Biagioli,  uno  di  quei  luoghi,  ove  si  scorge  che  Dante 
ricava  le  più  volte  i  suoi  tesori  da  quelle  minuzie,  le  auali,per 
la  loro  leggerezza,  difficile  è  tanto  di  poter  discemere.  Ognuno 
può  aver  sognato  di  Uxivarsi  in  gi*an  periglio,  e  desiderato  in 
quel  sogno  di  sognare,  credendolo  realità,  e  così  desiderando 
che  fosse  quel  ch'era  di  fatto.  Con  questa  similitudine  spi^a 
Dante  il  suo  stato  attuale.  Pieno  di  vergogna  e  di  confusione 
desidera  parlare  e  scusarsi,  e  non  pud  parlare,  perchè  muto 
lo  fii  stare  la  vergogna;  ma,  contilo  il  creder  suo,  qurlla  con- 
fusione  e  vergogna  è  appunto  ciò  che  lo  scusa  appo  \  irgilio.  «-« 


CANTO   XXX.  66i 

Maggior  difetto  meo  vergogna  lava,  i4^ 

Disse  1  Maestro,  che  1  tuo  non  è  stato; 
Però  d'ogni  tristizia  ti  disgrava  : 

E  fa* ragion  ch'io  ti  sia  sempre  allato,  14.^ 

Se  pili  avvien  che  fortuna  t  accc^lia 
Dove  sien  genti  in  simigliante  piato } 

Che  voler  ciò  udire  è  bassa  voglia . 

14^  al  i44  Maggior  eC'  GMtmzione:  Men  i^rgogna  latHi 
maggior  difetto^  che  non  è  stato  il  tuo  ;  quasi  dica:  il  tao 
rossore  è  maggior  del  tao  fidlo .  -  d'ogni  tristizia  ti  disgrava  y 
ti  rasserena  • 

1 45  al  1 47  ^  fa'* ragion  ec.  Costruzione  :  E  se  pia  am^ien  9 
che  fortuna  Caccoglia  (t'accosti)  Jove  sien  genti  in  simi^ 
gliante  piato  (litigio,  chiassata),  fa* ragion  (fii'conto)  eAVo  ti 
sia  sempte  allato;  ed  è  ciò  come  a  dire:  vergognati  sempre 
rTiwi  trattenerti  • 

148  9^ Che  poler  ec*  Questo  si  è  T  insegnamento,  al  quale 
ci  ha  menati  per  la  via  che  gli  è  parsa  migliore ,  perchè  piii 
naturale  nella  presente  situazione;  insegnamento  utilissimo, 
e  che  però  espone  il  Poeta  in  un  verso  tale  che ,  chi  pur  una 
volta  lo  legge,  non  se  lo  sdimentica  piii,  per  ismemorato  che 
egli  sia.  BiAGioLi.  4-« 


CANTO  XXXI 


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ARGOMENTO 

Discendono  i  Poeti  nel  nono  cerchio  f  distìnto  in 
quattro  giri ,  dove  si  puniscono  quattro  specie  di 
traditori  ;  ma  in  questo  canto  Dante  dimostra  so- 
lamente che  trow  d'intorno  al  cerchio  alcuni  gi- 
ganti ,  tra'quali  ebbe  contezza  di  Nembrot ,  di  Fiat- 
te  e  di  jénieoj  da  cui  furono  ambi  calali,  e  posti 
già  neljondo  di  esso  cerchio* 

Una  medesina  liugua  pria  mi  morse,  i 

Sì  che  mi  tiase  Tana  e  l'altra  guaucia, 
E  poi  la  medicina  mi  riporse: 

Cosi  od'  io  che  soleva  la  lancia  4 

D'Achille  e  del  suo  padre  esser  cagione 
Prima  di  trista,  e  poi  di  buona  mancia. 

1  Una  medesma  lingua y  di  Virgilio.  — pria  nd  morse. 
metaforicamente  per  rimproverò  j  verso  1 3 1  •  e  s^.  del  pas- 
sato canto. 

a  mi  tinse  ec.^  mi  cagionò  rossore. 

3  la  medicina  mi  riporse  y  v.  i43.  e  segg. 

4  al  6  od^ioj  detto,  intendi,  dai  poeti.  —  e  del  suo  padre  ^ 
Pelco,  da  cui  era  cotal  lancia  passata  nelle  mani  d'Achille,  -fn* 
sta  e  buona  mancia  vale  qai  letteralmente  tristo  e  buon  re* 
gaio ,  ed  allegoricamente /^eriVa  e  rimedio;  onde  Achille  ste&><K 
parlando  di  Telefo  dalla  sua  lancia  ferito  prima»  e  poscia  guari* 
to:  opusque  (dice)  meae  bis  sensitTelephushastae\a\.m-^\^ìi^ 

[a]  Ovid.  àlet,  xii.  112. 


CANTO  XXXI.  6r)3 

Noi  demmo  '1  dosso  al  misero  vallone,  7 

Sa  per  la  ripa  che  *l  cinge  d'intorno, 
Aitraversando  senza  alcun  sermone. 

Quivi  era  men  che  notte,  e  men  che  giorno,      i o 
Si  che  '1  viso  n'andava  innanzi  poco: 
INIa  io  senti' sonare  un  alto  corno 

Tanto  ch'avrebbe  ogni  tuon  £itto  fioco,  i3 

scrìve  che  Telefo  guari  mediante  rapplicazioned*  un  empia* 
Siro  fatto  colla  ruggine  di  quella  lancia:  ^iia/n  (  hastam  )  ciim 
rasisseni  remediatus  est.  Fab.  101.  Poutibslli  •  4-s 

7  demmo  *l  dosso f  voltammo  la  schiena,  ci  partimmo. 

8  9  «Su  per  la  ripa  ec.j  camminando  attraverso  della  ripa 
che  cingeva  quella  bolgia  9  ed  avviandoci  verso  rinfenial  centro. 

I  o  m-¥  Qui  era  l'Ang.  E.  K.  ^-v  men  che  notte  ec.  Descrive 
iiuel  crepuscolo  della  sera ,  quando  anche  in  tutto  non  è  spento 
il  giorno 9  né  in  tutto  apparisce  la  notte.  Dahibllo. 

I I  7  uiso  n^anda$^af  fa  Nidob.;  il  viso  m* andava y  l'altre 
edizioni,  •-►  e  la  3.  romana  coi  codd.  Ang.  e  Vat.  3 199;  --e 
questa,  dice  ilfiiagioli,  è  la  vera  lezione,  perchè  è  Dante  che 
parla ,  e  dee  parlar  solo  del  viso  suo ,  cioè  della  sua  vista .  4-s 

1 51  1 3  senti* ,  apocope ,  invece  dì  sentii.  —  un  alto  corno  • 
O  per  un  alto  corno  vuole  intendersi  un  corno  posto  in  alto 
(  prixicchè  sonato  da  Nembrotto,  uno  de*  giganti  che  tanto  so- 
pra quella  ripa,  su  della  quale  camminavano  i  Poeti,  s'innal- 
zavano 9  che  Dante,  come  dirà,  credetteli  da  prima  torri  );  ed 
iu  tal  caso  il  tanto  che  segue,  varrà  di  per  sé  come  tanto  for- 
temente :  0  vuoisi  col  Daniello  fare  la  costruzione  :  un  corno 
tanto  alto  4  e  tanto  alto  varrà  come  tanto  altamente  y  tanfo 
fortemente .9^  Dì  questo  Nembrot,  al  cap.  10.  del  sacro  Gè* 
nesi  j  non  abbiamo  altra  notizia ,  se  non  eh'  ei  fu  figlio  di  Chus , 
nipote  di  Cham^  e  per  conseguenza  pronipote  di  Noè,  e  che 
col  tempo  divenne  un  bravo,  robusto  e  famoso  cacciatore;  e 
sebbene,  come  discendente  di  Cham,  vi  sia  tutto  il  fondamento 
di  crederlo  uno  de*prìmi  autori  dell'Idolatrìa  e  della  pazza  in- 
trapresa della  Torre  di  Babel,  narrata  al  cap.  zi.  del  detto  sa- 
cro Genesi  y  ciò  per  altro  non  è  punto  autorizzato  dalla  sacra 
Scrittura.  VooGiAU.^-m  fatto  fioco  ^er  fatto  sembrar  fioco  y  di 
|x>ca  voce,  di  poco  strepito. 


604  l  N  1  E  R  N  O 

Che,  coDtra  se  la  sua  via  seguitando, 
Dirizzò  gli  occhi  miei  tulli  ad  un  loco. 

Do|X)  la  dolorosa  rolla,  quando  i6 

Carlo  Magno  perde  la  santa  gesta, 
Non  sonò  si  terribilmente  Orlando. 

Poco  portai  in  là  volta  la  testa,  iq 

Che  mi  parve  veder  molte  alte  torri  ; 
Ond'io:  Maestro ^  di*,  che  terra  è  questa? 

Ed  egli  a  me:  però  che  tu  trascorri  22 

• 

1 4  1 5  Che ,  cantra  ec.  Costmzione  :  Che  gli  occhi  mieiy  xr- 
gnitanfio  (  vai  come  seguitanti  )  la  sua  t^ia  contro  xè  (  la  tù 
stessa  del  suono,  in  direzione  però  ad  esso  contraria,  venendo 
il  suono  da  Nembrotto  a  Dante,  e  andando  l'occhio,  ossia  la 
vista  di  Dante  a  Nembrotto  )  «//rizzò  tutti  ad  un  locOj  lotal- 
montc  al  solo  luogo,  onde  il  suono  veniva,  fé' diretti  ;  quelli 
c.ioè  che  prima  dì  quel  snono  aggira vansi  vaghi  qua  e  là  pnr 
iscoprire quella  nuova  porzione  d'Inferno.  »-►  Così  anche  il  To* 
relli,  indicando  di  mettere  tra  due  virgole  le  parole  contrasè 
la  sua  via  seguitando y  interpunzione  da  noi  seguita,  e  che  è 
pur  quella  dol  Vat.  3199.4-9 

1  ()  al  1 H  Dopo  la  ec.  Costruzione  Non  sonò  sì  tenibile 
ìnetìte  Orlando  dopo  la  dolorosa  rotta  {  di  Roncisvalle^  in- 
tendi ,  dove  per  tradimento  di  Gano  fu  dai  Saraceni  trucidato 
un  corpo  di  trentamila  soldati  ivi  lasciato  da  Carlo  Magno  )« 
quando  Carlo  Magno  perde  la  santa  gesta  <,  cioè  T  impresa 
di  cacciare  i  Mori  dalla  Spagna .  Venturi  .  Racconta  Tarpino 
che  il  suono  del  corno  d'Orlando  fosse  in  quella  occasione  da 
Carlo  Magno  inteso  in  distanza  d'otto  miglia  [a].  •-»  Orlando 
fuggi  sotto  d'un  monte,  dove  sonò  sì  forte  un  suo  conio,  die 
scoppiò  per  lo  ventre ,  e  morì .  PoBTtRSLLi .  <-m 

19  volta  la  testa  ^  la  Nidob.;  alta  la  testa  j  Taltre  fslisioni  ; 
Wh¥  e  vuole  il  Biagioli  che  questa  sia  la  vera  lezione,  dimostran- 
do il  Poeta  l'andar  suo  con  gli  òcchi  tutti  al Vidto  luogo  onde 
venne  il  suono .  Ma  come  la  Nidob.  legge  il  cod.  del  sig.  Pre- 
giai i,  e  pensa  questo  eh.  Comentatore  che  sia  una  tal  variante 

[a]   H istoria  de  vita  Caroli  M,  cap.  iS. 


CANTO  XXX.L  665 

Per  le  tenebre  troppo  dalla  lungi, 
Av vìen  che  poi  nel  raaginare  aborri  • 

Tu  vedrai  ben,  se  tu  là  ti  coagiungi,  a 5 

Quanto  '1  senso  s'inganna  di. lontano: 
Però  alquanto  più  te  stesso  pungi. 

Poi  caramente  mi  prese  per  mano,  a8 

£  disse:  pria  che  noi  siam.più  avanti, 

^  Acciocché  1  fatto  men  ti  paia  strano, 

Sappi  che  non  son  torri ,  ma  giganti ,  3 1 

£  soa  nel  pozzo  ìotorao  dalla  ripa 
Dall'ombelico  in  giuso  tutti  quanti. 

da  preferirsi ,  evitandosi  còsi  la  ripetizione  deirepiteto  aito  che 
ricorre  nel  verso  che  segue.  4-« 

a3.  ^4  <^'a  lungi  lo  stesso  che  dà  lungi.  —  maginare  per 
immaginare  j  aferesi  adoprata  da  altri  antichi  italiani  scritto- 
ri [aj.<— o&orri  fer  aberri ^  erri^  antitesi  usata  altrove  dal 
PoeU  nostro  e  da  altri  \b]. 

a3  al  a6  T\i  vedrai j  la  Nidob.;  X\i  vedra\  Taltre  edizioni. 
9^  Quanto  V  senso j  intendi  della  vista ,  perchè, riferendosi  a 
tutti  i  sensi ,  il  s*inganna  di  lontano  non  saiebbe  vero.  Bia- 

G10U.4-« 

217  te  stesso  pungi  j  cioè  stimola  a  correre  per  presto  veder 
tutto  da  vicino,  e  cosi  trarti  affatto  d'ogni  errore. 

a8  »-►  Con  quest^atto  di  prenderlo  Vii^ilio  caramente  per 
mano,  vuol  mostrare  il  Poeta  quale  esser  debbe  Tuomo  verso 
chi  errò,  e  lavò  poi  il  suo  difetto.  Se  non  è  questa  l'inlenzio- 
ne  del  Poeta,  cerchi  l'altra  chi  vuole,  poiché  certo  si  è  che  in 
ogni  minimo  atto  che  descrive ,  intende  ad  un  fine  ;  poiché 
nulla  pone  la  penna  sua  in  carta ,  che  non  scenda  da  mente 
sana  e  da  chiaro  intelletto.  Biaoicmli.  ^-c 

3a  intorno  dalla  ripas  dalla  per  alla  [e]. 

33  9^  da  lo  bellico  f  legge  TAng.,  ^^e  da  rumbilico  ,  il 
yat.3i99.4-« 

[/t]  Vedi  il  Vocab.  della  Cr.  [b]  Vedi  U  ooU  «1  passalo  caato  zxv. 
V.  i44*  [e]  Vedi  il  CÌDODÌO9  Partic,  70.  e  71. 


666  INFERNO 

Come,  quando  la  nebbia  sì  dissipa,  34 

Lo  sguardo  a  {k>co  a  poco  raffigura 
Ciò  che  cela  '1  vapor,  che  Faere  stipa; 

Così,  forando  laura  grossa  e  scura  37 

Più,  e  più  appressando  in  ver  la  sponda. 
Fuggi m mi  errore,  e  crescemmi  paura. 

f)4  al  36  »-►  Mirabile  per  la  naturalezza  e  la  semplicìtii ,  ma 
più  ancora  per  l'espressioni ,  si  è  questa  similitudine.  Bi  agioli.^-* 
li  vapor  j  che  Vaere  stipa.  Ne  fa  capire  non  esser  la  nebLìi 
altro  che  vapore  acqueo  costipato  dal  fireddo  aere .  »-»>Non  si  po- 
teva meglio  y  né  piii  filosoficamente  definir  la  nebbia  di  qneUo 
che  ha  fatto  qui  Dante  col  chiamarla  un  vapor  ^  àie  Vaere  stir- 
pa ^  cioè  che  dall'aria  è  condensato.  Infatti  non  è  altro  lane^ 
bia  se  non  che  un  vapore  acqueo  dal  freddo  aere  condensato 
sino  a  quel  grado  che  è  necessario  affinchè  le  particelle  acquea 
rimangano  sospese  per  aria  e  non  ridotte  in  pioggia.  Poggiali.«-c 

37  38  Così^  forando  ec.  Ho  tolto  la  virgola ,  che  tutte  le 
moderne  edizioni  collocano  in  fine  del  presente  verso,  dopo 
scura  ^  e  Tho  invece  posta  dopo  il  primo /^iiì  del  verso  seguen- 
te ,  ad  indicare  che  dee  essere  la  costruzione  :  Così  più  (  ulte- 
riormente) forando  (  trapassando)  PiUU'a  grossa  e  scuroy  e  pia 
appressando  inyer  la  sponda.  l!aer  grossa^  leggono  invece 
tutte  le  edizioni  dalla  Nidob.  diverse,  •-►  e  il  Vat.  \  11)4); «-• 
ma  aura  per  aria  adopera  Dante  anche  altrove  [aj  y  eà  aere 
fa  in  questo  poema  sempre  dì  genere  mascolino  [6 j.-^L'ediz. 
di  Fuligno  legge  anch'essa  Vaxtra.  E.  R. 

39  fugginmii  errore  y  e  crescemmi  paura  ^  così  la  Kidob^ 
meglio  par  certamente  delle  altre  ediz.9  che  invece  leggono  Fug- 
gemi  errore j  e  giugnèmi paura;  m^e  cosi  i  codici  Vat.  3 1 99 
ed  Angelico.  E.  fi.  —  Ma  il  Biagioli  pensa  che  le  forme  fug- 
gemi  e  giugnèmi  y  alterate  si  fattamente  dal  Poeta  o  da 'copisti, 
siano  le  stesse  che  fuggiami  (mi  fuggiva),  e  creseeami  (mi  cuv- 
sceva).  E  la  ragione,  da  cui  è  mosso  a  crederlo,  si  è  il  termine 
della  comparazione ,  col  quale  il  presente  si  confronta  ,  cioè  lo 
sguardo  a  poco  a  poco  raffgura .  A  rincalzo  di  questa  sua  opi* 

[a]  Inf.  IV.  37.»  Porg.  xiv.  ì^2^  [b]  Inf.  1 1.  i.,  zvi.  i3o.»  Porg.  mjlìx.  »3., 
Farad,  xxvii.  68. 


CANTO  XXXI.  667 

Perocché  come  in  su  la  cerchia  tonda  4^ 

MontereggioQ  di  torri  si  corona , 
Così  la  proda ,  che  1  pozzo  circonda , 

Torreggia  va  n  di  mezza  la  persona  4^^ 

Gli  orribili  giganti,  cui  minaccia 
Giove  del  Cielo  ancora  quando  tuona  • 

ninne  riferisce  che  il  codice  Stuard.  legge  Fuggiami  errore  , 
e  cresceanu  paura;  bella  lezione,  e  che  egli  giudica  origina- 
le. Così  la  terza  rom.  edizione  legge  Fuggèmi  errore^  e  ere-" 
scémi  paura .  —  Anche  Torelli  vuol  che  si  legga  Fuggèmi  e 
giungèmi  per  fuggiami  e  giungeami*^^  Cresce  in  luogo  di 
create  registralo  n  Prospetto  de* verbi  toscani  ^  come  scritto 
anche  da  altri  • 

4o  4  >  come  ec.  Costruzione  :  Come  Montereggion  (castello 
de*Sanesi  circondato  da  torri.  Volpi.)  si  corona  »  si  orna,  di 
torri  in  su  la  cerchia  tonda ,  in  su  le  rotonde  sue  mura.  »-^Ma 
il  Biagioli  dice  che  qui  il  Lombardi  la  sbaglia,  poiché  ^1  corona 
non  può  qui  valere  .ri  orna;  e  pei'ciò  spiegheremo  col  Poggia- 
li :  si  corona ,  cioè  è  tutto  guemito  di  torri  disposte  a  guisa 
di  corona.  -  Questo  castello,  dice  T Antico  citato  nella  E.  F., 
nel  circuito  delle  sue  mura  ae  quasi  ad  ogni  5o  braccia  una 
torre j  non  avendone  in  mezzo  per  lo  castello  alcuna.  4-9 

4'^  al  45  la  proda  ^  "pevriuay  sponda, '^  Torreggiai^an  y  fa- 
cevan  tuirita.  Bene  cotaì  verbo  adopera  Dante  allusivamente  al 
manifestato  errore  di  creder  torri  i  giganti ,  come  bene  chi ,  a 
cagion  d'esempio,  apprendesse  per  palizzata  una  compagnia  di 
nomini  veduta  di  lontano,  soggiungerebbe  :  ma  v^idi poscia  che 
il  terreno  era  palificato  d*  uomini^  e  non  di  pali. '^  di  mezza 
ia  persona.'  \ale  qui  la  particella  éji  lo  stesso  che  la  con;  ve* 
dine  altri  esempi  presso  il  Cinonio  [a],  »-^Ma  dice  il  Biagioli 
che  v'ha  ellissi  delle  parole  con  foltezza  j  e  che  il  Poeta  co- 
stringe cosi  chi  legge  ad  indagar  quello  che  per  brevità  tace  la 
lettera  •  *  Imitò  questo  luogo  il  Tasso  nei  seguenti  versi  > 
c(  Quindi  tra^merli  il  minaccioso  Argante 
a»  Torreggia,  e  discoperto  è  di  lofUano.  » 
Né  sa  vedere  il  Biagioli  perchè  siasi  criticato  il  Tasso  per  V  uso 

[a]  Parn'c.  80.  3. 


668  INFERNO 

Ed  io  scorgeva  già  d  alcun  la  faccia ,  46 

Le  spalle  e  1  petto,  e  del  ventre  gran  parte, 
E  per  le  coste  giù  ambo  le  braccia . 

Natura  certo,  quando  lasciò  larte  49 

Di  sì  fatti  animali,  assai  fé' bene. 
Per  tor  cotali  esecutori  a  Marte  • 

E  s'ella  d'elefanti  e  di  balene  5^ 

Non  si  pente,  chi  guarda  sottilmente, 
Più  giusta  e  più  discreta  la  ne  tiene  ; 

Che  dove  l'argomento  della  mente  55 

S'aggiunge  al  mal  volere  ed  alla  possa, 

di  questo  verbo  torreggiare j  che  dipinge  si  beiie.4-«  etti  mi" 
nacda  -^Gìoue  ec.  Allude  alla  favolosa  guerra  che  i  medesimi 
gìgaati  ebbero  con  Giove,  dal  quale  rimasero  fulminati  e  cac- 
ciati colaggiù  ;  ed  aggiunge  che  vengano  dal  medesimo  mi- 
nacciati quando  tuona.  •-►Tutto  è  perfetto  in  questi  versi,  e 
ognun  lo  vede  da  sè«  Biagioli.4-c 

48  E  perete  coste  ec.;  ed  ambo  le  braccia  stese  gìii  lungo 
le  coste 9  per  essere  cioè  in  quella  positura  legate.  Vedii^.  86. 
e  segg.  del  presente  canto  • 

5 1  Per  tor  totali  ec;  perocché  troppo  costoro  per  la  smi- 
surata loro  forza  avrebbero  in  guen*a  superati  gli  altri  uomi- 
ni. m-^Per  toller  tali  ec,  legge  FAng.  E.  R.*-« 

5  a  al  54  d'elefanti  e  di  balene  ^Non  si  pente;  proseguendo 
cioè  natura  di  questi  animali  a  produrne ,  e  non  piti  de'giganti . 
«-♦Torelli  invece  di  pente  amerebbe  che  si  leggesse  pente ,  e 
ne  la  tene  in  luogo  di  la  ne  tiene  y  spiegando  nelagitidicn.^^ 

55  argomento  della  mente  per  raziocinio.  •-♦  Abbraccia 
tutte  quelle  potenze  delPanima,  per  mezzo  delle  quali  essa  può 
con  più  agevolezza  condurre  un'azione  al  suo  fine.  Biaoiqli. 
— Argomento  ha  significazione  d'istrumento  e  di  macchina  da 
guerra:  qui  metaforicamente  vale  la  forza  deliamente»  deU* in- 
gegno .  E.  B.  -  Dice  Aristotile  nel  I.  della  Politica:  sicut  homo , 
si  sit  perfectus  uirtute^  est  optimus  animaliwn;  sicj  si  sii 
separatus  a  lege  et  iustitia^  est  pessimus  omnium  ^  ctmi  ha-- 
beat  arma  rationis  j  ec.  (Pieteo  Daute).  E.  F.^-v 


CANTO  XXXI.  669 

Nessun  riparo  vi  può  far  la  gente. 

La  faccia  sua  mi  parea  lunga  e  grossa ,  58 

Come  la  pina  di  san  Pietro  a  Roma , 
Ed  a  sua  proporzion  eran  laltr'ossa : 

Si  che  la  ripa,  ch'era  perizoma  61 

Dal  mezzo  in  giù,  ne  mostrava  ben  tanto 
Di  sopra,  che  di  giungere  alla  chioma 

Tre  Frison  s'averian  dato  mal  vanto;  64 

Perocch*io  ne  vedea  trenta  gran  palmi 

59  Come  la  pina  di  san  Pietro  a  Roma .  La  grossa  pina 
di  bronzo  vuota,  che  una  fiata  ornava  la  cima  delia  mole  Adria* 
iia;  —  *poi  dal  Pontefice  Simmaco  messa  nel  quadriportico 
innanzi  all'antica  Basilica  Vaticana  ;  quindi  nella  riedificazione 
dì  detta  Basilica  trasportata ,  comedice  il  eh.  E.  Q.  V  iscouti  [a] , 
dalla  piazza  di  S.  Pietro  presso  il  Giardino  e  il  Palazzetio  di 
Innocenzo  Vili  a  Belvedere;  ed  infine  nel  declinare  del  seco- 
lo XVII  collocata  sulla  scala  delFApside  di  Bramante,  dove 
tuttora  si  vede,  in  mezzo  a  due  pavoni  parimente  di  bronzo. 
I^a  sbaglia  il  Buti  [6],  che  dice  essere  stata  questa  pina  in  sul 
rampaniie  diS,  Pietro  in  sulla  cupola^,  epercossa  dalla  saetta 
ne  cadde  giuso  ec.  Le  opinioni  di  quelli  che  interpretano  al- 
ludere il  Poeta  nella  misura  di  tal  faccia  gigantesca  alla  cupola 
(li  S.  Pietro  [c]y  o  alla  palla  di  detta  cupola  [^J,  non  possono 
essere  ammesse  in  alcun  conto.  E.  R. 

61  al  6^  perizoma  y\occ  greca  Tff /^«,ota,  propriamente  ve- 
ste che  ricuopi^Ie  parti  vergognose  ;  ma  qui  per  similitudiue. 
\\)Lri.  Che  adunque  la  ripa  fosse  perizoma  ai  giganti  dal  mezzo 
in  giii,  vuol  dire  che  copri  vali  dal  mezzo  in  giìi.  —  Tre  Fri» 
son  j  intendi  soprapposti  Pun  all'altro.  Sceglie  per  questo  esem- 
pio i  Frisoni,  per  esser  nella  Frisia  gli  uomini  perla  maggior 
parte  d'alta  statura.  ^*  s^ayrian  dato  mal  yanto  ,  sarebbersi 
«ienza  successo  vantati.  9^  mal  vanto y  cioè  malamente,  av\er- 
bio,  non  nome.  Tobblli.^-* 


[a^  Descrìz.  del  Museo  Pio  Clementi oo,  tomo  vii.  Miscellanet»  |»g.  7^. 
[b\  riluto  nel  Vocab.  della Cr.  alla  voce  Pina,  [cj Sentimento  del  Vol- 
pi. [d\  Parere  del  Salviui  ril'erito  dal  Veiilnri. 


670  INFERNO 

Dal  luogo  in  giù, dov'uom  s affibbia'!  manto. 
Rapliel  mai  amech  zabi  altni,  67 

66  Dal  luogo  ec»  Costruzione:  Dal  luogo  dov* uom  s^aff 'f- 
bla  il  manto  (  dalla  gola,  eh' è  il  luogo  ove  ruomo  suole  afli*^ 
biare  il  manto .  Daitibllo  .  )  ingiù ,  venendo  in  giù  fino  allarìpi , 
che  dee  va  a  coloro  perizoma. 

67  Raphegi  mai  ainèch  izahi  ahni^  cosi  la  NìJuh.;  Rafcl 
mai  amech  zabi  almij  l'altre  ediz.  Ma  meglio  la  Nidob.  cer- 
tamente ;  imperocché  il  verso  ne  rimane  compito,  e  le  parole 
significano  sempre  lo  stesso  nulla  che  Dante  medesimo  intende 
che  significhino.  Vedi  piti  abbasso  i  iv.  80.  e  81.,  che  parlar^ 
com'ivi  dice,  a  nullo  notoj  è  lo  stesso  che  parlar  non  signi* 
ficante*  «-►Così  leggeva  e  chiosava  il  Lombaixli .  Noi  però aiU 
l'È.  R.  abbiamo  restituita  l'antica  e  più  comune  lezione,  sulla 
antorità  del  Bembo  j  e  de'  codiciUrbinate ,  Angel  ico ,  Barberino  , 
Corsini,  Casanatense,  e  di  altri  piii  celebrati  fiorentini,  e  del 
Vat.  3 199.  Questa  lezione  è  stata  puranche  diièsa  dal  <:h.  si- 
gnor Ab.  Lanci  [a] ,  sostenendo  che  qnesto  versò  sia  campaste 
di  voci  arabe  ;  che  debba  disgiungersi  nel  modo  seguente  :  Ha- 
phe  Imaiamec  hza  bialmi;  e  che  significhi.*  esalta  lo  splene- 
dor  mìo  neW abisso  y  siccome  rifolgorò  per  lo  mondo.  Si  può 
per  altro  vedere  un  articolo  inserito  nel  Giornale  arcadico, 
tomo  t2,  parte  11.  fac.  211,  nel  quale  non  si  conviene  totalmen- 
te col  eh.  Professore. 

Noi,  ad  oggetto  di  soddisfare,  per  quanto  il  possiamo, 
alla  curiosità  de' nostri  lettori  sull'argomento,  riferiremo  qui 
una  nuova  interpretazione  di  questo  verso  del  eh.  sig.  Ab.  Giu- 
seppe Venturi  Veronese,  e  quale  ci  venne  gentilmente  in  au- 
tografo comunicata  dal  sig.  Gio.  Milam  ingegnere  in  Verona. 

Ammette  il  lodato  sig.  Venturi  la  comune  lezione,  colla 
sola  aggiunta  dell'aspirazione  siriaca  all'omecA,  ed  araba  al- 
Vaimi  ,  e  la  vorrebbe  con  questa  interpunzione: 

Raphèl  Mai  [&]  Hamech? ...,  Zàbi Hàlmi  [cj. 

e  traduce.-  Raphèl  (  per  Dio  !  o  poter  di  Dio  !  )  Mai  (  perdiè  io  ) 
If amech?  (in  questo  profondo,  o  pozzo?)  Zabi  (toma  indie- 

fa\  Vedi  la  stia  Dissertazione  sui  versi  di  Nembroite e  di  Piato  n-lia 
diifin4i  Commtulia.  [b\  Maì^  che  è  il  caldaico  ^K*^»  si  può  legger  an* 
ciìe  Mài  \c]  L*  aspir^izioae  araba  cUe  si  sente  nel  ^  può  equivaltrrc  a 
Ufi  aiiru  *A ,  ed  A  verso  avrebbe  la  sua  mi&ura  diceadusi  *Aàinti. 


CANTO  XXXI.  6-1 


i 


Gònìinciò  a  gridar  la  fiera  bocca , 
Cui  non  si  convenien  più  dolci  salmi . 
£  '1  Duca  mio  ver  lui:  anima  sciocca,  70 

Tieuii  col  corno,  e  con  quel  ti  disfoga, 
Quand'irà  od  altra  passion  ti  tocca. 

uro)  Hàlmi^  (nasconditi).  Pretende  poi  cbe  il  linguaggio  non 
sia  un  80I09  ma  l'ebraico  (di  cui  è  la  prima  voce  )  ed  i  suoi 
dialetti,  che  si  vogliono  nati  nella  contusione  di  Babel.  Ora 
usandosi  cinmie  parole 9  ciascheduna  di  differente  linguaggio, 
ne  deriva  un  linguaggio  misto  a  nullo  noto  come  dice  Dante 
sfosso,  e  come  sarebbe  a  nullo  noto  il  verso  seguente,  che  è 
quasi  traduzione  di  quello  del  di\iuu  Poeta,  ed  è  tolto  dallo 
spagnuolo-latino*tedesco-francose«-italiano: 

Pardiez!  cur  ego  hier?  ua»t'-en  ,  f ascondi. 
L'essere  poi  quel  verso  composto  di  voci  tolte  dai  dialetti  ba- 
belici par  che  lo  dica  lo  stesso  Dante  più  sotto.- 

egli  stesso  s^ accusa  ; 

Questi  è  Nenibrotto ,  per  lo  cui  mal  coto 

Pure  un  linguaggio  nel  mondo  non  s^usà  [a]. 
In  carattere  ebraico,  che  può  servire  anche  agli  altri  Orieu- 
Cali,  si  scriverebbe  il  verso  suddetto,  secondo  il  citato  signor 
Venturi,  cosi: 

♦o^;;  ♦DD  poy  ♦«0  *7«an 

Ma  un  intelligente  di  ebraico  ci  fii  osservare  che  9  leggen- 
do col  Venturi  la  parola  zàbi  colla  z ,  dovrebbosi  usare  uel 
testo  ebreo,  invece  della  lettera  samech  7,  la  tzadi  V.  4^ 

69  convenien  per  con^^enii^ano  <,  come  ti*ovasi  ancelle  ^^enicno 
per  venivano  [b]*  9-^  com^enii^any  ha  il  cod.  Ang.  E.  K.  «-« 
salmi  per  accenti ^  parole* 

^o  al  72  anima  sciocca^  che  pensi  essere  intesQ  con  que- 
sto tuo  parlare,  "Tìenti  col  corno  f  prosiegui  a  intertenerti  a 
passartela,  come  or  facevi ,  col  tuo  corno,  e  lascia  le  non  intese 
parole  • -e  con  quel,  col  snono  di  quello  ti  disfoga  ec.  •-►lu 
questo  corno  dimostra  il  sig.  Ab.  Lanci  simboleggiata  la  foi*za  ; 
e  nella Vo^a  (che  egli  spiega  per  monile  o  catena  d'oro)  è  sim- 
boleggiata la  ricchezza,  per  la  quale  hanno  vita  i  regni.  E.F.  «-• 

fai  w.  76.  e  segg.  [h]  Vedi  Mastrofioit  Teoria  e  Prospetto  de"  verbi 
italiani  t  «1  verbo  F'enire,  n.  6. 


67^  INFERNO 

Cercati  al  collo,  e  troverai  la  soga  <;3 

Che  1  tien  legato ,  o  anima  confusa , 
E  vedi  lui  che  '1  gran  petto  ti  doga . 

Poi  disse  a  me:  egli  stesso  s* accusa;  ']Cì 

Questi  è  Nembrotto ,  per  lo  cui  mal  cato 

73  al  75  Cercati  ec.  Essendo  costui ,  come  poco  dopo  dirassi, 

2uel  Nembrotto  j  che  ia  peaa  della  torre  che  vpleva  innalzare 
no  al  cielo  >  fu  da  Dio  riem|àto  di  tanta  confusione  e  smemo- 
raggine, che  perfino  scordossi  del  proprio  linguaggio,  eh  «  quai»- 
to  a  dire  di  tutti  i  termini  delle  cose;  perciò  Virgilio,  sappi- 
nendolo,  per  cotale  durante  smemoraggine,  dimentico  anche 
del  luogo  dove  avea  riposto  il  pur  allora  suonato  corno,  parla 
lui  a  questo  modo:  —  Cercati  al  collo ^  attasta  colle  mani  ia- 
tomo  al  collo  ;  -  e  troverai  la  soga ,  la  coregga ,  Che  V  ùen 
legato^  che  '1  tiene  appeso:  e  intende  che,  trovau  la  soga , 
non  resti  a  far  altro,  per  trovare  il  corno,  se  non  di  scorrere 
colla  mano  luugo  la  soga  medesima,  m^zoga^  lezione  forse 
romanesca  del  cod.  Àng.  E.  R.4-c  E  i^ediluiy  il  corno ,  cAe  7 
gran  petto  ti  doga,  che  colla  sua  curvità  si  adatta  al  tuo  pet- 
to, come  a  botte  doga:  se  non  forse,  come  doga  adopi^si  per 
lista  [aj ,  adopera  qui  Dante  dogare  per  listare  ;  che  certa- 
mente doveva  quel  coiiio  pendente  avanti  il  petto  del  giganic- 
furgli  come  una  lista  di  color  diverso.  b-^I1  Postili,  dell' Ang. 
sopra  doga  ha  scritto:  signat.  E.  K.^-c 

76  egli  stesso  s^accusa,  col  non  mai  inteso  parlare,  e  forse 
anche  colla  confusione  e  smemoraggine  che  negli  atti  mostrava. 

77  mal  coto,  CotOy  e  quoto  (Par  iii.  26.)  ,  checche  altri  si 
dica  [&],  io  per  me  penso  che  non  sieno  tra  loro  piii  di&eit?ntt 
di  quello  sieno  core  e  quore  <,  cioè  antichi  e  ben  detti  amen- 
due;  e  che  non  derivino  altrimenti  da  cogitare^  o  coitare  [e], 
ma  piuttosto  da  quotare ,  che  significa ,  dice  il  Buti  \d\ ,  giudi- 
ccwe  in  quale  ordine  la  cosa  siaj  e  che  vagliano  coto  e  quoto 
quanto  varrebbe  il  quotare  stesso,  di  verbo  fatto  nome.Se<x)ndo 

[a]  Vedine  gli  esRinpj  nel  Vocab.  della  Cr.  alla  voce Z>aga.  [b]  Vedi  Rosa 
Morsiodo,Annnlaz,  at  Par.,c.  ni.  [e]  Così  Herivanda  i  Deputati  alla  c(.>r- 
rez.  del  Boccaccio,  n.  10.;  ina  non  si  trovando  usalo  inai  cotale  coiinrtr^ 
rimane  quindi  *1  colo  troppo  in  aria,  [dj  Gii.  nel  Vocab.  della  Cr.  al 
vei  bo  Quotare. 


CANTO  XXXI.  073 

Pure  un  linguaggio  qel  mondo  non  s' usa . 

Lasciamlo  slare,  e  non  parliamo  a  volo;        79 
Cbè  così  è  a  lui  ciascun  linguaggio, 
Come  '1  suo  ad  altrui,  eh' a  nullo  è  noto. 

Facemmo  adunque  più  lungo  viaggio,         .  8.1 
Volti  a  sinistra,  ed,  al  trar  d'un  balestro, 
Trovammo laltro assai  più  fiero  e  maggio. 

questa  iutelligeoza,  il  mal  colo  di  Nembrot  saia  la  di  luì  inala 
soiocehissima  esumazione  delPaltezza  de' cieli,  peusandu  dì  po- 
ter ergere  una  torre  che  a  quelli  arrivasse,  m-^mal  toiOy  {H»r- 
vcrso  pensiero 9  spiegali  Biagioli.  ^-  Il  sig.  Ab.  Lanci  Jict:  die 
questa  voce  coto  viene  dall'arabo  9  e  che  con*isponde  al  Ialino 
yisj  potenza;  cosi  mal  coto  vale  mala  potenza,  E.  F.4-« 

78  Pure  un  linguaggio  ec  G>struzioue:  i\o/»  s^usa  pure 
(ancora  y  tuUavia)  nel  mondo  un  linguaggio  y  intendi,  compera 
prima  deli  attentalo  di  Nembrotto,  che  erat  terra  labii  uniusy 
dice  il  sacro  testo  [a].  a-^Ma,  secondo  il  fiiagiolii  qui  pure 
non  vale  ancora  j  tuttavia  f  ma  bensì  solamente.  Il  Vat.  3  ly^ 
legge  Più  un  linguaggio  ec.^-a 

79  m^  Lasciamlo  andar  ec»j  legge  il  Val.  3 199;  ed  è  buona 
forma  di  dire  usata  da  varj  de' primi  nostri  scrittori .  E.  R.4-« 

80  8 1  Chò  così  ec.  Ch*egli  non  intende  il  parlai*  d'alcun  aU 
U'o  p  come  nissun  altro  intende  il  di  lui  •  m~^a  nullo  è  nolo , 
L'Ab.  Lanci  inlerpoeta  così  :  «quelle  voci  a  nullo  è  noto  dt*])- 
3»  bono  intenderai  I  a  nullo  di  noi  due  9  a  Vìi*giHo  e  a  Uaiite  ; 
»  benché  a  questo  come  vìsitalor  deirinrei-noy  e  non  come  su- 
o  blime  scritlor  della  Cantica.  »  E.  B.4-« 

8a  Facemmo  più  lungo  i^iaggio  »  andammo  innanzi.  •-►  Ma 
no  9  dice  il  Biagioli  »  che  vi  si  oppone  il  volti  a  sinistra  ;  e  però 
spi«^:  andammo  più  lungi f  girando  a  mancina,*^ 

8i  al  trar  d*an  balestro  vale  9  quanto  tira  lontano  un  ba-- 
lestroj  stnunento  noto. 

84  nuiggio  per  maggiore ,  apocope  non  solo  dal  Poeta  no- 
stro molte  fiate  adoperata  [6J5  ma  da  molti  altri  antichi,  iu 
verso  e  in  pix>sa  [cj. 

[à\  Gen.  i  •.  i».  i   ffr' Vedi  Farad,  ti.  i  ao  ,  iiv.  97   xxvi.  «9.  ec.  [e]  Vedi 
il  Vocab.  della  Crusca. 

roi.  /.  43 


674  INFERNO 

A  cinger  lui ,  qaal  che  fosse  il  maestro ,  85 

Non  so  io  dir  ;  ma  ei  tenea  succi  Qto 
Diuaazi  l'altro,  e  dietro  1  braccio  destro, 

D'una  catena ,  che  1  teneva  avvinto  88 

Dal  collo  in  giù,  si  che  'n  su  lo  scoperto 
Si  ravvolgeva  infino  al  giro  quinto. 

Questo  superbo  voli* essere  sperto  gì 

Di  sua  potenza  contra  1  sommo  Giove, 
Disse  'i  mio  Duca ,  ond'  egli  ha  cotal  merlo . 

Ftalte  ha  nomej  e  fece  le  gran  pruove,  g4 

Quando  i  giganti  fer  paura  ai  Dei: 
Le  braccia ,  eh' ei  menò,  giammai  non  muove . 

Ed  io  a  lui  :  s'esser  puote,  io  vorrei  97 

85  al  1*8  7  qual  che  fosse  il  maestro ,  -^JVon  so  ec^  maestro 
per  artefice  legatore  ;  e  vuol  accennare  la  difficoltà  cJie  do- 
vette Incontrare  colni  che  legò  siffatto  animaley  frase  del  Poeta 
medesimo,  v^  5o.  -«•  tenea  succinto  ec.}  sinchisi,  e  dee  essere 
la  costruzione*-  ei  tenea  succinto  dietro  il  braccio  destro ^  e 
dinanzi  PaltrOf  cioò  il  sinistro.  Succinto  vale  qui  sottocin- 
to y  cioè  sotto  la  catena,  che  si  aggirava  intorno  al  <x>rpo  del 
gigante,  rimanevano  cinte  e  strette  le  braccia. 

88  al  no  avvinto  —-Dal collo  in  giùy  intomo  alla  vita  fa- 
sciato dal  collo  in  giii.-^jri  che  ec,  costruzione:  sì  che  sirat^ 
volgala  (la  detta  catena)  in  su  lo  scoperto  (in  su  la  parte  del 
corpo  che  rimaneva  fuori  del  pozzo  scoperta)  infino  al  giro 
quinto  j  vale  lo  stesso  che  infino  a  cinque  i^olte,  o  a  cinque 
risoluzioni y  ed  appartiene  ciò  a  dinotarlo  fortemente  legato. 

gì  al  go  uolVessere  sperto  -'Di  sua  potenza  ec:  volle  far 
prova  del  suo  potere,  movendo  guerra  a  Giove ,  com'è  detto 
al  i/.  44'  "*  cotal  mertOy  d'essere  cosi  strettamente  nel  le  ardite 
braccia  legato,  -"fece  le  gran  pruove ,  ^  Quando  ec.  ItaocootA 
Igino,  che  Fialte  e  suo  fratello  Othos ,  in  occasione  della  pre* 
iata  guerra,  rnontem  Qssam  super  Pelion  posuerunt  [aj. 

[a]  fab.  cap.  i$. 


CANTO  XXXI.  675 

Che  dello  smisurato  Briareo 
Esperienza  avesser  gli  occhi  miei. 

Ond'ei  rispose;  tu  vedrai  Anteo  100 

Presso  di  qui,  che  parla  ed  è  disciolto, 
Che  ne  porrà  nel  fondo  d'ogni  reo. 

Quel,  che  tu  vuoi  veder,  più  là  è  molto,     io3 
Ed  è  legato,  e  fatto  come  questo, 
Salvo  che  più  feroce  par  nel  volto. 

Non  fa  tremuoto  già  tanto  rubesto  106 

Che  scotesse  una  torre  così  forte, 

98  99  Che  dello  smisurato  Briareo  ec*  Desidera  Dante  di 
\eder  questo  gigante 9  per  la  stupenda  descrizione  che  del  me< 
desìmo  ne  fa  Virgilio  nella  sua  Eneide: 

Aegaeon  qualis ,  centum  cui  brachia  dicuni , 

Centenasque  manusy  quinquaginta  oribus  igaem 

Pectoribusque  arsisse  m  lovis  quum  fulmina  centra 

Tot  paribus  streperei  cljrpeisj  tot  stringerei  enses  [aj. 

100  101  Anteo  j  altro  gigante  ammassato  da  Ercole .  —  ed 
è  disdoltoc  non  è  legato  come  Fialte  e  quegli  altri  che  soli 
mosser  gueira  a  Giove. 

ioa  Che  ne  porrà  j  colle  sue  mani  ci  depoiTa,  nel  fondo 
drogai  reo .  E  qui  reo  nome  sustantivo  >  significante  medesima- 
mente che  male  :  modo  in  cui  trovasi  adoprato  pm^e  da  altri 
scrittori.  Vedi  il  Vocab.  della  Crusca.  E  come  disse  di  sopra 
che  r  Inferno  U  mal  dell*  universo  tutto  insacca  [b]^  cosiap- 
pi'ÌÌA  qui  fondo  d* ogni  reo  y  d'ogni  male  y  il  fondo  dell' lufer* 
no  medesimo*  »-^Cosl  anche  il  Torelli.  «^ 

I  o3  pia  là  è  molto  j  è  molto  più  in  là . 

io4  legato  y  come  Fialte,  per  aver  esso  pure  (atta  guen^a 
con  Giove.  «>-  e  fatto  come  questo .  Viene  con  ciò  Virgilio  a 
disingannar  Dante,  che  pensava  di  veder  Briareo  tal  quale  iu 
da  esso  V  imlio  ne'  soprallegati  versi  deaeri  tto ,  non  istoricamente 
(*  secondo  la  verità,  ma  poeticamente  e  secondo  le  £ivole  :  cen* 
iun$  cui  brachia  dicunt^  ec, 

1 06  al  1 08  rubesto .  Per  V  applicazione  che  fa  Dante  di  quc- 

[4]  Lib.  z.  565.  e  Kgg-  [b]  InL  vu.  iS. 


6-Cy  INFERNO 

Come  Fialie  a  scuotersi  fu  presto. 
Allor  temetti  più  che  mai  la  morte,  109 

1B  non  v'era  mestier  più  chela  dotta, 

S'io  non  avessi  viste  le  ritorte. 
Noi  procedemmo  più  avanti  allotta,  in 

E  venimmo  ad  Anteo,  che  ben  cinqu'alle^ 

slo  addìettivo  qui  al  tremuotOy  e  nel  Purg.  ▼.  1  a5.  al  rigoo£ato 
Oume  Arcliiano,  pare  che  non  gli  si  possa  dare  miglior  signK» 
ficaio  che  ài  impetuoso  :  e  sembra  che  il  signiBcato  medesirao, 
o  letteralmente  preso  1  o  traslativamente,  adattare  ai  po&sa  a 
tutti  i  varj  esempj  che  dell'addiettivo  stesso  riferisconsi  nel  Vo- 
cabolario della  Crusca ,  —  Come  Fiake  a  scuotersi  ec*  Dello 
aver  aspettato  fin  qai  Fialte  a  scootersi  non  sembra  poter  es- 
sere altra  ragione  se  non  dall' ultime  parole  di  Virgilio:  che 
pia  feroce  pttr  nel  volto  ;  colle  quali  viene  a  tacciar  di  ferocia 
lo  stesso  Fialte .  »-^  Nel  primo  termine  della  comparazione  deL- 
besi  intendere  l*idea  che  nel  secondo  s'accenna;  e  in  questo, 
nella  che  si  esprime  nel  primo;  cioè  nei  trerauoto  la  forza  e 
a  prestezza,  siccome  in  l'ialte  la  prestezza  e  la  forza.  E  que- 
sto artificio  di  costrizione  merita  che  si  osservi .  Bi agiou  .  4-c 

I  ogtemett^iopiù ,  la  Nidob.  ;  b-^  variante  che,  al  dir  del  Bia- 
gìoli,  guasta  il  verso  ed  il  sentimento 4-c  tome/c/  pìù^  l'altre 
edizioni  ;  »-^  e  noi  col  Vat.  3  igg  e  colla  3.  romana,  convenendo 
coir  E.  A.,  che  questa  lezione  rende  il  verso  piii  grave  e  eoo 
meno  elisioni  di  sillabe.  4-s 

I I  o  dotta  y  coirò  largo  (chiosa  il  Vocab.  della  Crusca  ^  ila 
dottare.  Timore,  paura,  sospetto <,  dubbio.  Vedine  nel  me- 
desimo Vocabolario  esempj  anche  d'altri  autori  in  verso  e  in 
prosa.  m-¥  fuorché  la  dotta,  legge  TAng.  E.  B. ♦.« 

ria  allotta  per  allora,  detto  pure  in  prosa.  Vedi  il  Voi-a- 
bolario  della  Crusca . 

1 1 3  alle .  ^Ua  (  dice  il  Vocab.  della  Cr.  )  nome  JTuna  mi- 
surad*  Inghilterra,  eh* è  due  braccia  alla  fiorentina,  j^ule  ed 
aune  appellano  la  misura  stessa  i  Francesi  [a] .  Avendo  Dante . 
con  dire  questi  giganti  nel  pozzo  ^  DalV ombelico  ingitàsotmtu 
yiian£i[6j,  significata  in  tutti  loro  una  eguale  altezza,  con  vìcikt 

[a]  Vedi  i  Yocaholarj  Fraocesi.  [b]  Versi  3i.  e  33.  del  canto |>re»cntr 


?. 


CANTO  XXXI.  677 

Senza  la  testa,  uscia  fuor  della  grotta, 
O  tu 9  che  ueila  fortunata  valle,  1 15 

Che  fece  Scipion  di  gloria  reda , 
Quand'Annibal  co' suoi  diede  le  spalle, 


brotto  [a];  ed  essendo >  come  mi  si  dice,  il  bracao  fiorentino 
tre  palmi,  vengono  cinqu^alle  a  fare  appunto  trenta  palmi . 
•-^JtUa  ò  misura  di  Francia  e  d* Inghilterra,  ed  equivale  a  i 
piedi y  7  pollici  ed  8  lince  del  piede  reale  di  Parigi  (ossia  ad 
un  metro  e  19  centimetri  circa).  E.  F.  4-« 

1 14  Senza  la  testa  f  non  computata  la  testa.  — grotta  si- 
gnifica lo  stesso  che  cai^ema ,  e  perciò  bene  sta  detta  di  quel 
luogo* 

1 1 5  al  1 17  nella  fortunata  valle  ^  ^Che  ec.  Siegue  Dante  il 
parere,  o finzione  cne  sia,  di  Lucano,  il  quale,  diversamente 
da  ciò  che  asseriscono  Plinio  [b]^  Solino  [c\  ed  altri ,  in  vici- 
nanza del  luogo  dove  Scipione  vinse  Annibale,  dice  essere  stato 
il  regno  d^Anteo  [d]>  Pialle  lo  appella,  perocché  ne^camjn  , 
pe^quali  scorre  il  fiume  Bagrada:  ifua  se  (dice  Lucano)  Èa- 
grada  lentus  agit;  e  suole  m  vicinanza  ai  fiumi  essere  il  suolo 
basso  e  vallicoso.  '-^fortunata  per  rapporto  al  fortunato  Sci- 
pione appellata  essa  valle,  dicono  il  Landino  e  il  Daniello.  Alla 
impresa  però  di  Virgilio,  di  grattare  con  questa  parlata  gli  orec- 
rht  ad  Anteo  per  ottenerne  il  bramato  fiivore ,  pare  conduca 
meglio  che  fortunata  intendasi  o  per  essere  stata  condecorata 
Ja  Anteo  medesimo,  o  per  Tubertà  del  suolo.  •-♦MailBiagioli 
n  tende  che  fortunata  valga  qui  fortunosa ,  dove  ha  giocato 
a  sorte. ^^  reda^  che  legge  qrui  laNidobeatina,  eàereda ,  che 
!*ggono  Taltre  edizioni  (  »-♦  e  il  Vat.  3 199  4-«) ,  significano  am- 
ledae  lo  stesso  che  eroder  e  sono  voci  che  trovami  da  buoni 
critlorì  anche  in  prosa  adoperate  [e];  e  fece  Scipion  di glo^ 
in  reda  vale  quanto,  fece  a  Scipione  ereditare y  acquistai* 
ioria .  "quanao  Annibal  ec. ,  quando  Scipione  costrinse  An- 
tibaie ed  il  cartaginese  esercito  alla  fuga . 

w]  Versi  6S.  e  66.  del  medesimo,  [b]  Hist.  lib.  5.  cap.  i.  [c\  Polyhi* 
tor.  e.  27.  [d]  Phars.  690.  e  segg.  [e]  Vedi  il  Vocab.  della  Crosca. 


678  INFERNO 

Recasti  già  mille  lion  per  preda,  iiS 

£  che,  se  fossi  stato  all'alta  guerra 
De' tuoi  fratelli,  ancor  par  eh' e'  si  creda 

Ch'avrebber  vinto  i  figli  della  Terra;  1 2 1 

Mettine  giuso,  e  non  ten  venga  schifo. 
Dove  Cociio  la  freddura  serra. 

Non  ci  far  ire  a  Tizio,  né  a  Tifo:  1 24 

1 18  Recasti  pnr  preda  mille  leoni  j  iacestì  preda  dì  miìV 
leoni  :  mille  j  numero  determinato  per  l'indeterminatOy  per  ani* 
tissimi.  Ferunt  epulas  raptos  habuisse  leones ,  del  medesiao 
Anteo  scrive  Lucano  \a\ . 

1 19  al  I  a  I  i?  che^  ec,  È  questo  primo  che  una  rìpediioD'' 
del  pronome  che  adoprato  nel  i'.  1 15.:  O  tu  che  ec.^  ed  è  la 
costruzione  :  E  che  (  e  il  quale  )  pare  ancor  eh*  e*  si  creda 
(  pare  inoltre  ch'egli  si  creda),  che  se  fossi  stato  alt  alta  guef- 
ra  de^tuoi  fratelli  (alla  guerra  contro  Gio?e,  mossa  da*gigarii' 
fratelli  tuoi  ) ,  uinto  at^rebbero  i  figli  della  Terra  (non  avreh- 
ber  vinto  gli  Dei,  ma  i  giganti  medesimi,  figli»  €M>me  dìcou  • 
le  favole,  della  Terra).  s-^Dice  il  Biagioli  cne  questa  costru- 
zione del  Lombardi  £1  comparir  Dante scrìttor  barbaro;  e  nr 
àk  quest'altra  t  e,  o  tu,  per  cui  (se  tu  fossi  stato  all'alta  guern 
de'  tuoi  fi^telli  )  pare  ancor  che  si  creila  ec,  4^  Prende  il  Pot'jt 
nosti-o  questo  immaginario  vanto  d'Anteo  dal  prelodato  Loca- 
no, che  della  Terra  madre  de' giganti,  e  della  goena  dai  gi- 
ganti contro  del  Ciel  mossa,  dice: 

caeloque  peperdt 

Quod  non  Phlegraeis  Antaeum  sustulit  arvis  [&]. 

1 32  e  non  ti  vegna,  la  Nidob.  ;  e  non  ten  'venga ,  Talti^ 
ediz.,  (  m-¥e  noi  colVaL  3 199. 4-c  }  Non  ti*venga  a  schifo  jim^ 
isdegnare  •  I 

1 23  1 24  Dove  Oocito  j  fiume  infernale,  ^lafredàsiras 
il  freddo  costipa,  agghiaccia.  Vedi  nel  canto seg.  v.  28  e  st^ 
—  Non  ci  far  ec.  Sii  tu  il  cortese,  e  non  ci  far  andare  a  e 
car  la  grazia  ad  alcun  altro.  •Tizio  e  Tifoj  o  Tifèo,  due  de  ; 
ganti  che  mossero  guerra  a  Giove ,  e  che  suppone  Virgilio 
torno  al  medesimo  pozzo  esistenti . 

\a\  FluLTS^  tv.  6oa.  \h\  Ivi  9.  S69.  e  seg* 


CANTO  XXXI.  679 

Questi  può  dar  di  quel  che  qui  si  brama  : 
Però  ti  china,  e  quo  torcer  lo  grifo . 

Ancor  ti  può  nel  mondo  render  fama;         127 
Gh'ei  vive^  e  lunga  vita  ancor  aspetta, 
Se  innanzi  tempo  grazia  a  sé  noi  chiama. 

Ck>sì  disse  1  Maestro:  e  quegli  in  fretta        1 3o 
Le  man  distese,  e  prese  il  Duca  mio, 
Ond'  Ercole  senti  già  grande  stretta. 

Virgilio,  quando  prender  si  senti o,  i33 

Disse  a  me  :  fatti  'n  qua  sì ,  eh'  io  ti  prenda  : 
Poi  fece  sì,  eh' un  fascio  er'egli  ed  io. 

1  a5  Questi  j  cioè  Dante  •  -^  può  dar  di  quel  che  qui  si  bru" 
9naf  cioè  rinomanza  sa  nel  mondo;  cosa  dalla  superbia  vosU*a 
bramata.  •-»  Alle  parole:  di  quei  chequi  si  brama  ^  il  Torelli 
chiosa:  a  cioè  qualche  notizia  dello  stato  dei  viventi,  atteso  che 
»  ì  dannati,  secondo  Dante,  non  conoscono  il  presente.  Che 
»  Dante  non  intenda  della  fama ,  appare  da  ciò  che  se^e  :  ^n  - 
»  cor  ti  può  nel  mondo  render  fonia  ;  onde  verrebbe  a  dire 
j»  due  volte  lo  stesso.  » 4^ 

I  a6  grifo  per  muso  semplicemente .  Volpi  •  m-¥  Grifo  è  prò* 
prìamente  il  muso ,  o  grugno  del  porco ,  e  però  la  frase  è  bassa 
e  sprezzante;  ma  qui,  oltre  il  bisogno  della  rima,  la  locuzione 
non  è  afiatto  sconveniente ,  specialmente  in  rapporto  ad  nn  viso 
che  doveva  essere  molto  lurido  e  mostruoso.  Poggiali  •  4-« 

128  lag  e  lunga  ulta  ancor  aspetta f  per  esser  solamen* 
te ,  come  nel  bel  principio  del  poema  dice ,  Nel  mezzo  del  cam  - 
wnin  di  nostra  vita.  -^Se  innanzi  tempo  grazia  ec.  Appella 
grazia  il  morir  presto,  o  per  generalmente  riputarsi  la  tempo- 
ral  vita  inferiore  aireterna,  o  per  particolar  riguardo  all'an- 
gustie in  cui  Dante  trovavasi . 

1 3 1  1 3a  Ze  nuin  ee.  Costruzione.*  Distese  le  mani ,  onde , 
dalle  qpiali.  Ercole  senti  già  stretta  granile  (  quando  ebbe 
lotta  con  Anteo;  benché  Ercole  alfine  ammazzasse  Anteo), e 
prese  il  Duca  mio* 

i35  Poi  fece  Ji,  ec.  Poi  fece  in  modo,  che  fossimo  ambe-- 
due  abbracciati  da  Anteo  quasi  in  un  fascio. 


GSo  INFERNO 

Qual  pare  a  riguardar  la  Carlsenda  i36 

Sotto  '1  chinato,  quand'un  onvol  vada 
So vr' essa  sì,  ch'ella  in  coutrario  penda; 

Tal  parve  Anteo  a  me,  che  stava  a  bada       iSg 
Di  vederlo  chinare,  e  fu  tal  ora 
Ch'io  avrei  volut'ir  per  altra  strada. 

1 36  al  1 4 1  Carisenda ,  o ,  com*  altri  scrivono ,  Garisenda , 
torre  in  Bologna  assai  pendente  \a\  ,  cosi  dal  cognome  dì  citi 
r  ha  fatta  fabbricare  addimandata.  DeWj^gnelloj  dice  il  Yella- 
ti*Ilo  ,  che  si  appellasse  attempi  suoi;  in  oggi  però  viene  detu 
comunemente  la /orre mozza. -Parendo  che  quella  torre  sia  con- 
tinuamente per  rovinare ,  egli  è  facile  che,  trovandosi  persona 
inesperta,  colle  spalle  alla  torre  sotto  il  chinato ,  sotto  il  pen- 
dio di  essa,  mentre  vien  nuvolo  contro ,  apprenda  invece  che 
movasi  per  roviuai*e  la  torre  stessa .  Cotale  falsa  apprensione  do- 
vendo Dante  avere  inteso  avvenuta  in  parecchi,  pi*endela  io 
esempio  dell'apprensione  e  paura  ch'ebb'esso  mentre  vide  chi- 
narsi sopra  di  sé  lo  smisurato  corpo  d'Anteo,  credendo  die  so- 
pra gli  venisse ,  per  cadere  che  facesse ,  e  non  per  chinarsi  ;  tauto 
più  eh  essendo  il  resto  del  corpo  del  gigante  nascosto  dal  pozio, 
non  poteva  Dante  vederlo  reggere  le  gambe  ritte ,  come  reggplf 
chi  si  china  e  non  csiA.e»'^  stava  a  bada-^  Di  vederlo  chinare 
dee  significare  lo  stesso  che  staua  attento  a  vederlo  chinare, 
e  non  già ,  come  il  Venturi  chiosa ,  mi  trattenevaper  trastullo. 
e  perdendo  tempo  lo  rimirava  ^  senza  pensare  ad  altro. --e 
fu  tal  ora.  Tal  ora  scrivo  spartitamente ,  come  trovo  scrittoio 
due  mss.  delia  Corsini  [6j,  acciò  meglio  si  capisca  detto  qui 

[a]  Il  Ve  a  turi  »  la  volgar  c%imaoe  persuasione  seguendo  »  scrive  queUa 
torre  io  cotal  modo  iaclÌData  esser  opera  dell'arte,  il  Bìaocooì  pero 
(  favoriscemi  qui  pure  d'avviso  T eruditissimo  sìg.  Abate Gio.Cristofo> 
ro  Amaduzzi  ),  sulla  teslìmonianza  di  chi  essa  torre  esattamente  ha  vi- 
sitato ,  Bsserìsce  dimostrato  chti  il  terreno,  su  cui  ella  posa,  è  andate 
cedendo .  Antolog.  rom.  tom.  vi.  pag.  SSq.  Il  sig.  Bianconi  è  staso  no- 
mo di  quel  sublime  criterio,  che  tutto  il  mondo  sa:  ma  sembra  mol- 
to strano,  che  vedendo  i  Bolognesi  quella  torre  minacciare  roina,  la 
mezzo  alla  città  ed  iu  luo^u  abitatissimo»  volessero  aspettarne  la  cadu- 
ta, piuttosto  che  deruolirla  .  [b]  II  cod.  la^.  semplicemente  sparle  lei 
da  ora,  e  il  trasferito  dalla  biblioteca  Rossi ,  e  noo  ancor  numerato, 
Ic^ge  tale  ora. 


CANTO  XXXI.  68i 

Ma  lievemente  al  fondo,  che  divora  i4^ 

Lucifero  con  Giuda ,  ci  posò; 

Né  si  chinalo  lì  fece  dimora , 
£  come  albero  in  nave  si  levò. 

non  per  talvolta  od  idle  volte  j  come  TaTTerbio  talora  soli- 
tamente significa  y  ma  per  tal  tempo  ^  quel  tempo  .  »-►  Ma  al 
Lombardi  qni  si  oppone  il  Biagioli,  sostenendo  che  va  scritto 
talora^  e  non  talora  in  dne corpi,  l'intero  della  formula  es- 
sendo: e  ora  tale  fu  in  che  (nella  quale)  io  aurei  voluto  ire 
per  altra  strada  j  per  paura  che  non  mi  facesse  qualche  mal 

Ìpuoco.  Mase  il  Biagioli  abbia  torto  o  ragione 9  noi,  coU'E.  R., 
ascierem  giudicarlo  ai  profondi  conoscitori  di  Dante  e  della 
lingua  nostra.  —  La  E.  B.  legge  e  fu  talora ^  e  spiega:  e  tal-- 
volta  avvenne,  ^-m  Nel  verso  1 08.  cnella  in  contrario  penda , 
legge  la  Nidobeatina  ,  invece  di  che  eTella  incontro  penda  y 
come  l'altre  edizioni  leggono ,  s-^e  il  VaL  3  igg.  -  L*Ang.  por- 
ta :  Sotto  chinata  quando  nui^ol  vada  -^Sovressa  si ,  che  ella 
incontro  penda.  E.  R.  —  Riportata  dal  Torelli  questa  simili- 
tudine I  sotto  vi  nota  :  ce  Allora  pare  che  cada  la  toiTe  •  Noo 
»  però  sempre,  ma  solo  quando  la  mente  concepisce  il  nuvolo 
ai  come  fermo  ;  il  che  accade  talvolta  senza  volerlo.»  -Al  verso 
i38.  il  Vat.  3199  legge:  Sour^essa  sì,  ched  ella  incontro 
penda,  4-s 

i^ià  143  lievemente  ci  posò  ^  senza  farci  rilevare  percossa. 
<-  che  divora  Lucifero  con  Giuda.  Desume  il  termine  divora 
dairazione  che  fa  Lucifero  di  divorarsi  Giuda  [al;  quasi  dica; 
che  conte  Lucifero  si  divora  Giuda ,  cosi  esso  fondo  si  divo'* 
ra^  s*  ingoia  luno  e  r altro,  m^ci  sposò ^  al  v.  t43.,  le^ge  il 
Vat.  3199.  Sporre  per  por  giusoj  deporre  j  scaricare,  i  usò 
Dante  (secondo  la  lezione  della  Crusca)  anche  al  e.  zix,  v.  i3o. 
della  presente  cantica:  Quivi  soavemente  spose  il  carco. *-m 

1 45  E  vale  ma .  Vedine  altri  esempj  presso  il  Cinonio  [&]. 
»^  E  Ma  appunto  legge  qui  TAng.  E.  R.  4-c  come  albero  in 
nave  si  levò:  si  rizzò  con  quella  altezza  e  gravezza,  che  si 
rizza  albero  in  nave.  Laudiito. 

[«]  Vedi  fot  e.  zzziv.  v,  5!«.  e  segg.  [h\  Partic.  100.  ift. 


CANTO    XXXII. 


ARGOMENTO 

Tratta  il  Poeta  nostro  in  questo  canto  della  prima, 
ed  ih  parte  della  seconda  delle  quattro  sfere  ^  nelle 
quali  divide  questo  nono  ed  ultimo  cerchio  •  E  nella 
prima  y  detta  Caina^  contenente  coloro  che  hanno 
tradito  i  proprj  parenti ,  trova  Messer  Alberto  Cor 
micion  de* Pazzi,  il  quale  gli  dà  contezza  d'altri 
pecciUori  che  nella  medesima  erano  puniti.  Nella 
seconda  j  chiamata  Antenora,  in  cui  si  puniscono 
i  traditori  della  patria ,  trova  M.  Bocca  Abati  ^  il 
quale  gli  mostra  alcuni  altri . 


s 


io  avessi  le  rime  ed  aspre  e  chiocce, 
Come  si  converrebbe  al  tristo  buco, 
Sovra  '1  qual  pootan  tutte  laltre  rocce. 


1  chiocce i  roche,  ranche i  d'oscuro  snono;  »-^o  cheomen- 
damente  suonassero  •  E.  F.  —  le  rime  aspre  e  chiocce  colla 
Kidob.  legge  il  Lombardi;  ma  l'omissione  della  particella 
ed  dopo  rimej  rende  il  verso  di  cattivo  snono.  Noi  pertanto, 
dietro  l'esempio  dell' E.  R.,  ed  appoggiali  all'autorità  del  cod 
Vat.  3 199  e  delle  piii  pregiate  edizioni  y  abbiamo  nel  nostro 
testo  restituita  la  comune  lezione. 4^ 

2  tristo  buco  appella  il  pozzo ,  dentro  del  quale  era  appena 
entrato. 

3  Sovra  ^l qual  pontan  (s'appoggiano,  si  sostengono)  tutte 
r altre  rocce ^  tutte  le  altre  ripe  degl'infernali  cerchj.  Come 
ogni  ripa  inferiore  sosteneva  quelle  sopra  di  se ,  servendo  loro 
come  di  barbacane;  cosi  il  murOi  o  ripa  che  dir  si  voglia  ,  del 


CANTO  XXXII.  683 

lo  premerei  di  mio  concetto  il  saco  4 

Più  pienamente;  ma  perch'io  non  labbo, 
Non  senza  tema  a  dicer  mi  conduco  : 

Che  non  è  'mpresa  da  pigliare  a  gabbo  7 

Descriver  fondo  a  tutto  Tuni verso , 
Né  da  lingua  che  chiami  mamma  e  babbo . 

Ma  quelle  Donne  aiutin  il  mio  verso  ^ 

presente  pozzo,  essendo  a  tntte  l'altre  ripe  inferiore ,  serviva  a 
tulle  loro  di  appoggio.  Della  voce  roccia  vedi  Inf.  canto  vii. 
verso  6. 

4  Premere  il  suco  del  concetto  significa  lo  stesso  che  esprit- 
mere  il  concetto  •  m^delmio  concetto  y  ha  il  cod.  Poggiali.  4-« 

5  abbo  per  ho  adopralo  Dante  anche  fuor  di  rima,  Inf.  zv. 
V*  86.,  e  lo  hanno  anticamente  adoprato  altri  ancora.  Vedi  ciò 
ch'è  notato  al  sopraccennato  luogo. 

6  dicer  per  dire  adoprato  anticanente  anche  da  altri  buoni 
scrittori  [aj. 

n  i  da  pigliare  a  gabbo ^  da  prendersi  per  giuoco,  per 
iscnerzo.  — •  Descriver  fondo ,  omette  1*  articolo  il  per  cagion 
del  metro.  Per  universo  può  intendersi  o  tutto  il  globo  terre- 
stre, come  l'intese,  tra  gli  altri,  il  Boccaccio  pure  ove  disse  : 
rattissima  fama  del  miracoloso  sinno  di  Salamene  discor^ 
sa  per  Vuniverso  [&]  ;  ovvero  anele  tutta  la  macchina  mon- 
diale ;  perocché  essendo,  come  Daite  asserisce,  la  terra  cen^ 
tro  del  cielo  [e],  viene  il  fondo y  issia centro,  della  terra  ad 
essere  il  fondo  dell'universo.  La  difficolta  poi  di  descrìvere 
questo  fondo  onde  nasca,  abbastanza  ne  lo  accenna  Dante  col 
bramare  per  cotal  uopo  rime  del  solito  piii  aspre,  corrispon- 
denti cioè  a  quella,  che  intende  esser  ivi,  maggiore  orrìdiezza 
del  luogo,  de' personaggi  e  delle  pene. 

9  mamma  e  babbo ,  legge  la  Nidobeatina,  meglio  che  nuim- 
ma  o  babbo  che  leggono  Pflltr'edizioni  ;  imperoccnè  il  bambolo 
appella  e  mamma  la  madre*  e  babbo  il  padre,  m-^  Questa  le- 
zione è  approvata  e  seguita  anche  dal  Biagioli.^-s 

I  o  Ala  quelle  Donne ,  le  Muse . 

[a]  Vefli  Mastrofioì,  Teoria  e  Prospetto  de  verbi  italiani^  sotto  il  verbo 
Dire,  o.  I.  [b\  Giorn.  g.  Nov.  9.  [e]  Vedi  il  Convito,  tratt  3.  cap.  5. 


684  INFERNO 

Gh'aiutaro  Anfione  a  chiuder  Tebe , 
Sì  che  dal  fatto  il  dir  non  sia  diverso  • 

Oh  sovra  tutte  mal  creata  plebe ,  1 3 

Che  stai  nel  loco ,  onde  parlare  è  duro , 
Me' foste  state  qui  pecore ^  o  zebe! 

Come  noi  fummo  giù  nel  pozzo  scuro,   .        16 

1 1  CV aiutare  Anfione  a  chiuder  Tebe^  a  fonniir  le  mura 
di  Tebe .  La  fàvola  é  che  Anfioae  col  dolce  sqodo  di  sua  ce- 
tra facesse  discendere  le  pietre  dal  monte  Citerone,  e  formar 
con  ense  le  mnra  di  detta  città  ;  e  suppone  Dante  molto  conv^ 
nientemente  assistilo  in  ciò  ed  aiutato  Anfione  dalle  Muse. 

la  deU  fatto  il  dir  ec.f  dalla  verità  delle  cose  non  sia  di* 
versa  la  descrizione. 

1 3  Oh  sovra  tutte  ec.  Apostrofe  alle  sciagurate  anime  che 
stanno  colaggiii;  e  vale  come  se  invece  avesse  detto:  o  plebe  ^ 
o  ciurma  d'anime,  n%al  creata  j  sciagurata ,  sovra  tutte ^  in- 
'  tendi  Valtre  ciurme  ripartite  negli  altri  infernali  cerchj. 

i4  onde  vale  di  cui;  ael  qual  senso  adopralo  ancbe  il  Pe- 
trarca in  quel  verso.*  Di  quei  sospiri y  ondUo  nudriva  il  ca^ 
re  [a].  m^oi^Cf  ha  l'Ang.  E.  R.4hi  duroj  malagevole . 

1 5  ifslf  accorciamento  li  meglio^  molto  anche  da  altri  baoni 
scrittori  usato.  Vedi  il  Vccab.  della  Crusca.  Apocope  è  cotale 
accorciamento  da* grammatici  appellato,  ^^mei  però  legge  il 
cod.  Ang.  E.  R.4-C  Me* foste  state,  ellissi  insieme  e  sìntesi  :  el- 
lissi perocché  dicesi  me' foste  state  invece  di  me*sarebbe  che 
foste  state  ;  sintesi,  pel  numero  plorale  invece  del  singolare  « 
che  richicderebbesi  la  mal  creata  plebe.  —  quiy  intendi  nel 
moudo  nostro.  —  zebe  per  capre ^  vocabolo  adoprato  da  altri 
buoni  scrittori .  Vedi  il  Vocab.  della  Cr  —  *  Il  Postili.  Cass. 
alla  voce  zebe  chiosa  :  idest  capra ,  sic  dieta  a  zebello ,  zebel* 
laSf  quod  idem  est  quam  salto ,  saltai.  Quest'erudizione  ci 
riesce  affatto  nuova,  non  trovando  in  alcun  Classico  questo  ver- 
bo zebellarcy  e  neppure  nel  Glois.M.Ae.  di  Du-Cange.  E.  R. 
Pare  quest'augurio  allusivo  al  detto  di  Gesii  Cristo  del  tradi- 
tore discepolo  :  bonum  erat  ei  si  natus  non  fuisset  [&  j . 

16  Come  y aie  mentre.  »-^Ecco  giunto  il  Poeta  ueirultimo  dei 

[a]  Son.  I.  [b]  Malth.  a6.  e.  a4* 


CANTO  XXXIl.  685 

Sotto  i  pie  del  Gigante,  assai  più  bassi, 
Ed  io  mirava  ancora  all'alto  muro, 
Dicere  udimmi:  guarda  con9e  passi;  iq 

Fa'si  che  tu  non  calchi  con  le  piante 
Le  teste  de'  fratei  miseri  lassi , 


Cf'rchj  infernali  y  in  quello  ove  il  maggior  d'ogni  peccato >  cioA 
il  tradimento,  si  punisce.  Questua  si  è  la  condiaione  del  luogo. 
Figurisi  il  fondo  di  un  pozzo  y  il  cui  diametro  sia  due  miglia, 
e  il  giro  d*  intomo  sei  e  due  settimi,  nel  cui  centro  aprasi  un 
vano  pur  circolare,  verso  il  quale  il  fondo  che  lo  circonda  si 
vada  a  più  a  più  abbassando.  Quattro  spezie  di  tradimenti  vi 
si  puniscono.  E  però  è  diviso  il  fondo  in  quattro  spartimenti 
concentrici ,  i  quali  non  essendo  dal  Poeta  per  alcuna  distin* 
zione  notati ,  ma  solo  pel  diverso  modo  che  vi  stanno  i  pecca- 
tori,  saranno  accennati  a  suo  luogo.  Ha  imposto  a  queste  di- 
visioni quattro  diversi  nomi,  analoghi  alle  quattro  spezie  di 
ti-adimenti,  e  la  più  grave  di  mano  in  mano.  Adunque  chia- 
ma la  prima  Caina^  da  Caino  traditore  ed  uccisore  del  (hi- 
tello;  la  seconda  uintenora^  da  Antenore  Troiano,  traditore 
della  patria:  la  teraa 7b/ommea ,  da  Tolommeo,  re  d'Egitto ,  tra- 
ditore di  Pompeo  Magno;  la  quarta  Giudecca^  da  Giuda,  tra- 
ditore del  suo  divino  Maestro.  Biaoioi.i.«-« 

17  Sotto  i pie  ee»y  in  suolo  assai  jhù  basso  di  quello,  su 
del  quale  teneva  il  gigante  i  piedi. 

1 8  alto  muro ,  d' onde  erano  stati  da  Anteo  deposti .  m^guar-* 
daua^  '•^ggc  il  VaU  3199.  4-« 

19  Dicere  per  dìrcj  come  nel  verao  6.  wh¥  udimmo  yhtkonti 
lezione  dell'Ang.  E.  R.  4-«  guarda .  Dirigendo  costui  il  parlare 
a  Dantesolamente,  e  non  insieme  a  Virgilio ,  mostrasi  accorto, 
che  solo  esso  aveva  cocpo ,  e  che  col  peso  ed  urto  poteva  loro 
nuocere.»-^ Ma  il  Biagioli  pretende  che  l'ombra  cosi  parK  a 
Dante  per  essersi  accorta  del  mirare  dì  esso  all' alto  muro,  per 
cui,  movendo  inconsideratamente  il  primo  passo,  potè  va  il  Poeta 
calcar  quelle  teste .  —•  In  questo  primo  spartimento  si  punisco- 
no, come  si  è  detto,  i  ti*aditori  d(*^propr|  parenti.  «-« 

'À  I  de* fratei .  Fratelli  potè  costui  nominar  sé  e  tutti  quei 
dannati  rispetto  a  Dan  te,  per  essei-e  individui  delTuman  genere  ; 
ovvero  essendo  costui  che  parla  imo  dei  fratelli  Alberti,  che 


688  INFERNO 

E  come  a  gracidar  sì  sta  la  raaa  3 1 

Col  muso  fuor  dell' acqua ,  quaado  sogna 
Di  spigolar  sovente  la  villana, 

Livide,  infìa  là  dove  appar  vergogna,  3| 

Erau  l'ombre  dolenti  nella  ghiaccia  ; 

nella  riva,  si  sarebbe  inteso  questo  suono  cricchi z  è  da  notaio 
si ,  che  se  si  spezza  il  ghiaccio  ch'è  dentro  un  vase  y  gli  orli 
subito  si  distaccano  dalle  pareti, 

3 1  al  33  «-^Per  (pesta  perifrasi  circoscrìve  in  nuova  forma 
il  tempo  dalla  mietitura  nella  state  >  e  ci  ammaestra  ad  un  lem* 
pò  essere  i  sogni  sovente  un'apparizione  delle  idee  raccolte  e 
collegate  nella  vigilia .  Biagioli.  <-m  quando  sogna  ^Di  spigo^ 
lar  ec.  Costruzione  :  Quando  sovente  la  villana  sogna,  di  spi- 
golare y  di  raccoglieìre  spighe  dopo  la  mietitura  ri  mas  te  iiel 
campo .  Sognando  noi  spesso  nella  notte  ciò  che  nel  giorno  fac« 
ciamoy  pone  Dante  giudiziosamente  per  tale  silpposiaione  il 
tempo  in  cui  la  villana  sogna  di  spigolare  pel  tempo  stesso 
dello  spigolare,  ossia  della  mietitura  del  grano,  tempo  appunto 
in  cui  molto  gracidano  le  rane. 

34  35  Livide y  infin  ec. Costruzione:  Eran  Pomòre dolenti 
nella  ghiaccia  livide  y  dal  freddo ,  fin  là  dove  appar  vergo- 
gna y  cioè  fino  alla  faccia  dee  intendersi  ;  e  perchè  realmente 
nella  faccia  la  vergogna  pel  rossore  apparisce ,  e  perchè  co^i 
richiede  il  recato  paragone ,  come  a  gracidar  si  sta  la  rana 
-  Col  muso  fuor  dell* acqua.  »-^Il  Volpi  spiega  invece  :  livide 
fino  alle  parti  vergognose;  interpretazione  che,  per  quanto  ci 
è  noto,  non  è  stata  ammessa  dagli  Espositori  al  Volpi  poste- 
riori, non  escluso  il  Biagioli.  Orala  troviamo  revocata  in  luce 
dal  eh,  sig.  Paolo  Costa  in  una  sua  nota  aggiunta  nelle  Appen- 
dici airinf.  della  moderna  edizione  di  Bologna.  Esposta  1  opi- 
nione del  Venturi  e  del  Lombardi,  soggiunge:  «Se  il  Poeu 
>»  avesse  volato  significare  questo  concetto,  avrebbe  detto  dove 
»  appar y  e  non  sin  là  dove  appari  con  queste  parole  dà  a  di- 
ai  vedere,  che  la  lividura  si  distendeva  da  una  parte  del  corpo 
»  di  que' dolenti  spiriti  fino  ad  un  altra;  e  che,  sebbeoe  sola- 
»  mente  le  teste  loro  si  mostrassero  fuori  della  ghiaccia,  pun^ 
M  alcune  altre  delle  membra  non  erano  invisibui,  perciocihr 
i>  il  lago,  secondo  che  è  detto  al  v.  24*»  aveva  sembianza  di 
»  vetro.  E  la  medesima  cosa  si  con&rma  nel  cauto  xzzkv.  ì\  1  t 


CANTO   XXXIl.  '689 

Mettendo  i  denti  in  nota  di  cicogna . 
Ognuna  in  giù  tenea  volta  la  faccia:  37 

Da  bocca  il  freddo,  e  dagli  occhi  '1  cuor  tristo 
Tra  lor  testimonianza  si  procaccia . 

»  Etrasparean  come  festuca  in  uetro .  Siccome  poi  il  velo  so- 
M  prapposto  a  qaegli  spiriti  era  grosso  (  vedi  il  y,  25.  )  e  Toc- 
v>  cfaio  di  chi  mirava  là  entro  non  poteva  penetrare  molto  avan- 
»  ti|  cosi  la  lividm*a  delle  membra  immerse  si  vedoa  Gno  là 
»  dove  appar  vergogna.  Aggiungasi  che  sin  là  dove  a/jpar  i^e/*- 
19  gogna  non  può  significare  la  faccia,  che  quelle  ombre  te- 
M  nevano  in  giìi  volta,  e  che  perciò  non  poteva  esser  veduta 
M  da  Dante  :  vedi  ì\y.  i  o  i . ,  nel  quale  Bocca  dice  al  Poeta  :  Né 
a»  ii  dirò  eh* io  sia^  nò  nwstrerolti;  cioè,  non  alzerò  la  fac- 
»  eia,  acciò  tu  conosca  chi  io  mi  sia.  »  <4hì 

.36  Mettendo  i  denti  in  nota  di  cicogna  vale  impiegando 
i  denti  nel  far  la  musica  della  cicogna  y  nel  far  cioè  quel  suo- 
no che  la  cicogna  fa  battendo  fortemente  una  parte  del  becco 
coir  altra;  onde  Ovidio  [a]: 

Ipsa  sibi  pltuidat  crepitante  ciconia  rostro  > 
»-►  E  Boccaccio  nella  Novella  di  Rinaldo  d'Asti:  stando  la  don^ 
na  nel  bagno  senti  il  pianto  e  il  tremito  che  Rinaldo  faceva  , 
il  quale  pareva  diventato  una  cicogna.  Biagioli.  <-«  Esson- 
do questi  dannati  i  traditori,  quelli  ne* quali,  dice  Dante, 

queir  amor  s*  ooblia 

Che  fa  natura  f  e  quel  eh* è  poi  aggiunto  ^ 

Di  che  la  fede  speziai  si  cria  [by, 
bene  perciò,  in  pena  di  cotal  durezza  di  cuore  e  mancanza  di  . 
ogni  caldezza  di  amore,  raffreddali  qui  ed  indurali  nel  ghiaccio. 
•^7  '^  S^^  volta  la  faccia y  per  non  esser  conosciuta;  onde 
Rocca  degli  Abati  al  Poeta  ,  che  cercava  del  suo  nome  per  ren- 
derlo famoso  I  rispose  :  del  contrario  ho  io  brama ,  verso  94- 
S<li*guavano  cioè  quelle  ombre  d' esser  trovate  nel  luogo  dei 
traditori,  dandosi  a  credere  ogni  traditore  di  non  compara*  tale 
agli  occhi  degli  uomini . 

38  39  Da  oocca  ec.  Costruzione:  Si  procaccia  f  ottiene  ^ 
tra  lor  testimonianza ,  il  freddo  da  (  per  dalla  [e]  )  bocca ,  e 
si  cuor  tristo  dagli  occhi;  cioè  a  dire  :  manifestasi  il  loro  fi*eddo 

{tt]  3/elam.  vi  97.  [b]  luf.  zi.  Ci.  e  srgg.  [è]  Vedi  Ciò.  Partic,  70. 6. 

f'oL  L  44 


\ 


\ 


Ggo-  INFERNO 

Qiiand'io  ebbi  d'iotorno  alquanto  visto,        4^ 
Volsimi  appiedi,  e  vidi  due  sì  streui, 
Che  1  pel  del  capo  avieu  insieme  misio. 

Ditemi  voi,  che  sì  stringete  i  petti,  43 

Diss'io,  chi  siete;  e  quei  piegaro  i  colli; 
E  poi  ch'ebber  li  visi  a  me  eretti, 

Gli  occhi  lor,  ch'eran  pria  pur  dentro  molli ,     46 
Gocciar  su  per  le  labbra,  e  1  gielo  strinse 
Le  lagrime  tra  essi,  e  riserrolli: 

dal  detto  sbattimento  dei  denti,  e  la  tristezza  loro  dal  gonfia- 
mento «  e  vicino  pianto  degli  occhi;  di  cni  vedi  appresso. 

4'^  pel  del  capo ,  i  capegli .  -  ai'ten  insieme  misto ,  stando, 
si  dee  intendere,  la  faccia  dell'  nno  ristretta  alla  &ccìa  dell'al- 
tro ,  come  nel  seguente  versò  si  diranno  ristretti  i  petti.  •-♦Gli 
pone  il  Poeta  insieme,  cioè  gli  costringe  la  Giostizia  divina  ad 
esser  uniti  nell'odio,  siccome  esser  dovevano  nell'amore,  per 
far  doppio  il  tormento  loro,  ricordandogli  lo  star  cosi  il  santis- 
simo vincolo  dei  due  amorì  di  natura  e  del  sangue  dal  tradi- 
mento loro  spezzato,  avendo  l'uno  ucciso  l'altro.  Biagiou.  ♦-« 
alleano  in  luogo  di  M^ien  leggono  l'edizioni  diverse  dalla  >i- 
dobeatina,  •-♦e  la  3.  romana  e  l'Ang.  E.  R. ;  —  ma  il  Vat.  3 igo 
legete  iwè/io.'*-* 

^/^  piegaro  i  colli j  la  Nidobeatina; ^le^or  li  eolliy  Tahre 
ediz.  »-»  e  il  Vat.  3 1 99;  <«-«  e  vuol  dii^ ,  che  le  facoe ,  che  tene- 
vano strette  una  contro  dell'altra ,  distaccarono ,  e  jnegandoìl 
collo  voltaronle  entrambi  verso  Dante. 

46  pur  dentro  molli ,  umidi  solo  intcrìormcnte ,  gravidi  «li 
lagrìme  solamente ,  e  non  bagnati  esteriormente . 

47  4^  Gocciar  su  per  le  labbra  j  intendi  le  labbra  dri;Ìi 
stessi  occhi ,  cioè  delle  palpebre  ;  e  però  siegue  :  e  ^l gielo  strin^ 
se ''Le  lagrime  tra  essi(  cioè  tra  essi  occhi ,  dei  quali  le  pal- 
pebre sono  parti),  e  riserrolli-  »->Cosi  spiega  anche  il  Poggiali, 
avvertendo  di  guardai-si  bene  dal  pi-euderc  qui  labbra  per  làbbia 
della  bocca ,  che  sarebbe  un*  espressione  smentita  datuitoil  con- 
testo. -  Ma  Biagioli  spiega  igoccianti  su  per  le  labbra ,  e  m*^ 
stra  cosi  d'intendere  di  quelle  della  bocca  ,  e  non  altrimenti • 
—  giii  per  le  labbra ,  buona  lezione  dell'Ang.  E.  R.  «-« 


CANTO  XXXII.  6c)i 

.  Con  legno  legno  spranga  mai  non  cinse  4^ 

Forte  cosi:  ond'ei,  come  duo  becchi, 
Cozzaro  insieme,  tant'ira  gli  vinse. 

Ed  un,  cb'avea  perduti  ambo  gli  orecchi        5i 
Per  la  freddura,  pur  col  viso  in  giùe 
Disse:  perchè  cotanto  in  noi  ti  specchi? 

Se  vuoi  saper  chi  son  cotesti  due,  55 

La  valle,  onde  Bisenzio  sì  dichina, 
Del  padre  loro  Alberto  e  di  lor  fue. 

D'un  corpo  uscirò:  e  tutta  la  Caina  58 

49  spranga ,  defluisce  il  Vocab.  della  Crusca  ,  recandone 
in  esempio  questo  passo  di  Dante  y  legno  j  o  ferro  >  che  si  con" 
ficca  attraverso  «  per  tenere  insieme  e  unite  le  commessure, 
^lon  soleudosi  p(*rò  con  ispranghe  cotali  cingere  i  commessi 
corpi  y  pan*ebbemi  meglio  che  spranga  qui  per  fascia  di  ferro 
s' intendesse  . 

5a  53  Ed  un  (Camtcion  de* Pazzi  manifestasi  costui  da  sé 
medesimo  nel  i/.  ()H.  ),  eh* av^ea  perduti  ambo  gli  orecchi  '^Pt*r 
la  freddura  y  cui  il  gielo  aveva  diseccate  e  disli*utte  le  cani* 
lagìni  delle  oivcchie . 

atì  La  valle  y  onde  Bisenzio  si  dichina;  Faltrrona,  \alle 
di  Toscana,  per  la  quale  si  dichina y  scorre  in  giù  verso  Ar- 
ijOf  il  Gume  Bisenzio. 

57  j4lLertOy  degli  Alberti,  nobile  fiorentino. 

oK  n*un  corpo  uscirò.  Dicendo  nel  precedente  \evso  del  lor 
padre y  gli  accenna  figli  di  uno  stesso  padre;  ed  aggiungendo 
ora  d^un  corpo  uscirò ,  gli  accenna  anche  figli  d' una  medesi- 
ma madre  :  ed  appartiene  ciò  ad  aggravane  maggiormente  il  de- 
litto loro.  Appellavansi  questi  due  fralelli  Alessandro  e  Napo- 
l(H>ae  degli  Alberti.  Dopo  la  morte  del  padi*e  tiiaimeggiavano  i 

fiaesi  circonvicini;  e  finalmente  venuti  in  discordia  tra  di  loro, 
'  uno  uccise  Taltro .^Caina .  Divide  Dante  la  turba  de'traditori 
dentro  di  questo  fondo  in  quattro  classi ,  senza  però  verun  ar- 
dine di  mezzo,  ma  solo  colla  maggioix*  o  minor  distanza  dal 
cenU*o  e  modo  vario ,  col  quale  stanno  ì  traditori  fitti  nel  gliìuc- 
(*io;  e  la  presente  classe,  ch*è  la  più  rimota  dal  centro,  come 
ijiiolla  in  cui  pone  i  traditori  de'proprj  parenti,  vuole  denomi- 


69^  INFERNO 

Potrai  cercare,  e  non  troverai  ombra 
Degna  più  d'esser  fìtta  in  gelatina; 
NoQ  quelli  j  a  cui  fu  rotto  il  petto  e  lombra       6i 
Con  esso  uq  colpo  per  la  man  d'Artà  ; 

naia  Caina  dal  firatrìcida  Caino.  Delle  tre  altre  elassi  appel- 
late Anteìwra^  Tolommea  e  Giudecca  vedrai  in  questo  can* 
lo,  i'.  88.,  nel  seguente  canto,  •/.  I24-»  ^  ^^^  xxxit.  %^.  i  ij*. 

60  gelatina f  biXHlo  viscoso  e  rappreso  per  uso  di  vivande; 
qui  però  scherzosamente  si  trasferisce  a  significare  il  gelato  Co- 
cito .  »-^Ma  gli  Editori  della  E.  B.  sono  d*avviso  che  Dante  non 
abbia  presa  questa  parola  dalla^cncina,  poiché  qui  la  materia 
non  è  da  schei-zo,  e  spiegano  :  in  gelatina  y  cioè  neiracqna  coo- 
deasata  dal  freddo.  —  Il  eh.  cav.  Monti  ritiene  che  il  gelato 
lago  di  Cocito  sia  qui  detto  per  beffe  gelatina^  e  non  già  dal 
Poeta,  a  cui  simile  scherzo  in  luogo  si  doloroso  e  terribile  sa- 
rebbe stato  disconvenevole,  ma  si  bene  dal  traditore  Carni- 
eìone  de' Pazzi  [a].-*-* 

61  62  Non  quelli  ec.  Intende  del  perfido  Mordrec,  figlio 
d  Artù,  Re  della  Gran  Bretagna ,  il  quale  ribellatosi  dal  padie, 
e  postosi  iu  agguato  per  ucciderlo ,  fu  dal  padre  pix;  venuto  o^u 
un  colpo  di  lancia  in  mezzo  al  petto  tale  (  dice  la  storia  ) ,  che 
dietro  V apertura  della  lancia  passò  per  mezzo  la  piaga  un 
raggio  di  sole  sì  manifestamente,  che  Gir/let  /oi'/rfe[AJ.N\»u 
v'ha  adunque  dubbio  che  questo  passaggio  del  solare  ra^io  p^'l 
forato  petto  di  Mordrec  non  sia  ciò  cue  il  Poeta  intende  p*l 
rompimento  deirom&ra,  del  l'ombra  cioè  che  il  medesimo  petto 
faceva  sul  suolo,  rotta  pel  solare  raggio  passata  perla  feriu  : 
ed  è  questa  una  delle  piii  concise  e  torti  espressioni  del  nostn) 
Poeta.  Istessa mente  dice  nel  Purgatorio  rotto  il  Sole,  cioè  il 
lume  di  esso,  dall'ombra  del  proprio  corpo  [e].  E  troppo  so- 
verchiamente mostrasi  scrupoloso  il  Venturi  a  dubitare  di  tale 
senso ,  ed  a  lasciarsi  piacere  di  piii ,  che  per  Vomirà  s' intenda 
l'anima.  »-^Ma  del  parere  del  Venturi  si  mostra  anche  il  Bia- 
gioii,  asserendo  che  T interpretazione  del  Lombardi,  oltre  ki 
essere  favolosa,  è  ridicola;  ed  al  contrario  quella  del  Venturi 

[a]  Prop.  voi.  a.  P.  1.  fac.  173.  [b]  Vedi  il  libro  intitolato:  L'illustre  e 
Jamosa  istoria  diLanciUoilo  delLa^o,  lib.  3.  cap.  i6v.  [e]  Purg.  e  i;:. 
V.  1 6.  e  segj». 


CANTO  XXXII.  693 

Non  Focaccia  ;  non  questi  che  m'ingombra 
Gol  capo  si,  eh* io  non  veggio  olire  più  j         04 
£  fu  nomato  Sassol  Mascheroni  : 
Se  Tosco  se\  ben  sagomai  chi  fu. 

Terae  forte  a  dimostrare  e  la  possa  del  braccio  feritore ,  e  quanto 
fosse  terribile  il  colpo,  che  non  dette  tempo  di  respirare  al  fe- 
rito. -  Al  Venturi  s  accosta  pur  anche  il  eh.  sig.  Ab.  Portii*elli; 
ma  del  parere  del  Lombardi  troviamo  TAntico  e  Pietro  di  Dan- 
te, citati  neirE.  F.,  e  gli  Editori  della  E.  B.  ;  e  dovendo  noi 
dire  ciò  che  sentiamo  in  proposito ,  diremmo  che  lautorità  del 
surriferito  passo  delV  Istoria  di  Lancillotto  ilei  Lago  rende 
chiarissima  l'allusione  del  Poeta ,  e  decide  in  favore  del  Lom- 
bardi. •«-«  0071  esso  un  colpo  :  esso  sta  per  ripieno  ad  accrescere 
forza  e  grazia  al  parlare.  Vedi  il  Vocab.  della  Crusca. 

63  al  o5jFocacc/a  Cancellieri,  nobile  pistoiese,  il  quale  moz- 
zò una  mano  ad  un  suo  cugino  ,  ed  uccise  un  suo  zio  ;  d'onde 
nacquero  in  Pistoia  le  fazioni  de' Bianchi  e  Neri.  Vedi  il  Vii* 
laui  (Giovanni)  nel  lib.  8.  cap*  Sj.  38.  VaiiTuai.  »^  Pietro  di 
Dante  dice  che  Focaccia  uccise  invece  suo  padre.  E.  Y.^^^non 
questi  che  ni  ingombra  -^Col  capo  si ,  mi  sta  col  capo  innanzi 
a^li  occhi  talmente ,  chUo  non  i'cggio  (cosi  la  Nidobcatiua  ; 
vii*  i^  non  i^eggiy  l'altr'edizioni)  olire  più.  m^con  questi^  ha 
TAng.  E.  R.4-C  Con  aggiungere  che  pel  costui  capo  non  vegga 
pici  ulti*e  y  ne  fa  capire  che  i  prenominati  soggetti  vedesse! i  in 
i «bieco,  guardando  a  destra  ed  a  sinistra;  e  che,  per  dritto  mi- 
l'andò  y  altro  non  vedesse  che  quel  capo .  '^Sassol  Mascheroni j 
Fiorentino,  uccisore  d'un  suo  zio.  Volpi.  »-^Ma  l'Antico  citato 
nella  E.  F.  a  questo  luogo  chiosa:  «Questi  (Sassol  Alaschr^ 
M  roni)  essendo  tutore  dì  un  suo  nipote,  pei*  rimanerne  erede 
»  l'uccise;  onde  a  lui  fu  tagliata  la  tcsla  in  Fii*enze . » •«-• 

6ù  ben  sagomai  chi  fu  ,  la  Nidobeatina ,  meglio  che  ben  sai 
nmm  chi  e*fuy  che  l'altr* edizioni  leggono.  Sa* pt^r  sai  si  u^^a 
benissimo ,  dice  e  prova  cogli  esempj  l'autore  del  Prospetto 
de\erbi  toscani[a\^  ed  il  MaslroGui  ne'snoi  xfcrhi  italiani[b\; 
rna  alla  6n  fine  non  è  che  una  bella  sincope  spesse  volte  neces- 
saria alla  bellezza  del  verso,  come  qui  che  serve  a  togliere  la 
cacofonia  del  sai  ornai.  E  vuol  diie  che  bastava  essere  Toscano 

[a]  Sotto  il  verbo  Smpere^  o.  6.  [b]  Verbo  Sapere ,  n,  4» 


C()4  INFERNO 

E  j>erchè  non  mi  melti  in  più  sermoni ,         67 
Sa]>pi  ch'io  sono  il  Camicion  de' Pazzi, 
Ed  aspetto  Carliu  che  mi  scagioni. 

Poscia  vid'io  mille  visi  cagnazzi  7*1 

Fatii  per  freddo;  onde  mi  vieu  riprezzo, 
E  verrà  sempre,  de' gelali  guazzi. 

E  mentre  ch'andavamo  in  ver  lo  mezzo,        -i 

per  sapere  olii  fosse  Sassol  Mascheroni.  »->  hen  sai y   ]e«;g  «no 
1  c(k}J.  Ang.  E.  R.,  e  il  Vat.  3i99.<<hi 

67  68  h  perchè  non  mi  metti  ec.^  quasi  dica  :  tu  poi  vor- 
rai sapere  aucbe  di  me ,  ed  è  giusto  ;  acciocché  però  a  tale  ri- 
cerca non  ne  inserisca  tu  delle  altre,  e  prolunghi  a  me  il  p'- 
noso  parlare y  io  prevengo  la  tua  dimanda. -«Sop^icAVoxono, 
la  Nidob.;  cft  V  fid,  l'altre ediz.,  »-^e  coi  codd.  Ang.  e  Val.  ^  1 9*4 
in  3.  romana.  Wh¥  Camicion  de'' Pazzi  j  messer  Alberto  Caini- 
cione  de'Pazzi  di  Valdarno,  il  quale  a  tradimento  uccise  mes- 
ser Ubertino  suo  parente.  Lardiko. 

69  Carlin .  Messer  Carlino  pur  deTazzi ,  il  quale ,  essen<^l 
di  pain^c  Bianca,  diede  per  tradimento  a' Neri  norentiui  il  ca- 
stello di  Piano  di  Trevigue,  avendone  ricevuta  grossa  somma 
di  moneta .  Vellvtello.  -cAe  mi  scagioni ,  Scagionare  signi- 
iica  scasare^  scolpare.  Vuole  adunque  Camiciciue  dire  cL^ 
saranno  i  delitti  di  Carlino  tanto  maggiori  dei  proprj ,  che  \ena 
egli  in  paragone  di  lui  a  sembrare  innocente.  •-» Udito  qncstn. 
il  Poeta  s'avvia  verso  il  centro,  e  trovasi  già  nella  seconda  dì%i- 
sionc  detta  ^;i/e/iora,  ove  si  puniscono  i  tj^adìtori  della  patria-^-t 

7071  cagnazzi  -^Falti  per  freddo .  Il  Vocab.  della  Crusca 
intei*pretando  prima  cagnazzo  per  li%^idoy  ed  adducendone  in 

Ì>rova  questo  luogo  di  Dante,  passa  a  dirlo  anche  spezie  di  co- 
ore  perquellechiarissime  parole  di  Franco  Sacchetti  (Nov.pa.  ; 
puo^tu  eelestrino?  no;  vnogli  verde?  no^  ec.,*  iito^/i  cagnAi- 
zo?  no.  Pare  a  me  però  che  possano  benissimo  ambi  questi  au- 
tori convenire,  e  intendere  per  cagnazzo  un  colore  paooazz* 
o  morello;  il  colore  che  produce  nella  cute  nostra  ilgielo.-ri- 
prezzo^  ribrezzo^  per  orrore j  spavento* 

72  gelati  guazzi^  il  plni'ale  pel  singolare.  Ouazzo  ^a!i 
quanto  sfagno . 

yi  j4  f^^s^o  y  ^Al  quale  ogni  grandezza  ec* ,  il  centro  del!) 


CANTO  XXXH.  6y5 

ÀI  quale  ogni  gravezza  si  fauna, 
Cd  io  tremava  nell'eteroo  rezzo; 

Se  voler  fu  y  o  destiau ,  o  fortuna ,  7  6 

Non  so;  ina,  passeggiando  tra  le  teste, 
Forte  percossi  1  pie  nel  viso  ad  una . 

Piangendo  mi  sgridò:  perchè  mi  peste?  79 

Se  tu  non  vieni  a  crescer  la  vendetta 
Di  Mont'Aperti ,  perchè  mi  moleste? 

terra ,  al  quale  o  mediaUmente  o  immediatamente  tutti  i  gi*avi 
appoggiano . 

y5  tremaìfaj  di  freddo,  intendi.— yie//'elerno  rezzo j  neU 
r ombra  eterna ,  ovvero  in  quel  fondo  eternamente  ai  caldi  so- 
lari raggi  nascosto. 

76  77  5e  i^ler  fujO  destinto  o  fortuna^  "Non  jo.  Quel  se 
poler  fu  spiega  uno,  a  cui  non  voglio  far  qui  il  nome:  se  i^o* 
ter  fu  mio  ;  come  se  Dante  non  potesse  saper  di  certo  se  ave- 
va avuta  o  no  quella  volontà,  od' una  cosasiifatta  si  fosse  di- 
menticato. Intendi:  se  speziale  uoler  di  Dioj  o  disgrazia  di 
t/ueiio ,  o  fortunoso  accidente  casuale .  Cosi  il  Venturi  si  op- 
|ione  airaltrui ,  e  ne  propone  il  proprio  parere  •  Sia  pci*ò  (juello , 
ch'egli  non  vuol  nominare,  qualunque  si  voglia;  se  cosi  dicen- 
do egli  intese  che  potesse  Dante  riconoscere  avvenuto  quel  suo 
inciampo  non  solo  per  destino  del  Cielo,  0  per  fortuito  accideu* 
te,  ma  anche  per  una  non  preveduta  conseguenza  del  libero 
camminare  tra  quelle  teste  (  che  sai^ebbe  sempre  effetto  di  l'o- 
Itfre  ) ,  parrebbemi  assai  meglio ,  che  di  ascrivere  il  volere  ?l  Dio, 
e  il  dettino  alla  disgrazia  di  quello,  s-^  Il  Poggiali  prende 
questo  volere  per  quel I* inavvertenza  che  suole  imputarsi  di 
colpevole  volontà ,  quando  è  mancante  d'ogni  possibile  e  facile 
diligenza.  —  Ma  il  Biagioli  non  ammette  la  chiosa  d(*l  Lom- 
bardi, e  spiega  come  il  Venturi.  -~  E  cosi  pure  il  Torelli.  *-m 
y€)  peste  j  antitesi  a  cagion  della  rima,  per  pesti, 
So  61  Se  tu  non  vienile  Era  costui,  come  nel  verso   106 
far^illo  il  Poeta  stesso  nominare.  Bocca  degli  Aoati  Fioi*entino, 
per  tradimento  del  quale  furono  in  Mout*  Aperti ,  luogo  di  IV 
5(*ana,  tagliati  a  pezzi  quattromila  de* suoi  stessi  compartìlanti 
Guelfi.  »-»  Di  costui  parla  Gio.  Villani ,  Stor,  lib.  vi.  cap.  ;  6. 
e  ae«{.  <-■  Or  dunque  supponendosi  in  vendetta  di  Moni*j4perti 


696  INFERNO 

Ed  io  :  Maestro  mio,  or  qui  m  aspetta ,  82 

Si  ch'io  esca  d*un  dubbio  per  costui; 
Poi  mi  farai ,  quantunque  vorrai ,  fretta . 

Lo  Duca  stette;  ed  io  dissi  a  colui ,  85 

Che  bestemmiava  duramente  ancora: 
Qual  se' tu,  che  così  rampogni  altrui? 

Or  tu  chi  se' ,  che  vai  per  l' Antenora  86 

Percuoiendo,  rispose,  altrui  le  gote, 

(  cioè  in  gastigo  del  tradimento  da  lui  in  Mont' Aperti  operato  ) 
confinato  in  quell'eterno  gielo,  teme  che  non  sìa  Dante  pas- 
sato cplaggiii  ad  accrescergli  cotale  i^endetta^  cotale  gastigo. 
—  moleste  per  molesti y  come  disse  peste  -per  pesti. 

83  dubbio  per  V ìnU^o  Mont^^perti  cnirato  in  luì,  che  fos- 
se Bocca  degli  Abati  colui  che  così  gli  ebbe  parlato. 

84  »-►  Poi  mi  farai  ec.  Per  queste  parole  si  \ede  chiara- 
mente quanto  fosse  il  desidei'io  di  Dante  di  parlare  a  quel  tra- 
ditora,  per  coprirlo  d'eterna  infamia.  Biagioi.i  .  «-«  ^iian/ii^- 
que  lo  stesso  che  quanto  j  »-»  o  quanta  j  accordandosi  con  fret- 
ta .  Cosi  al  canto  v.  (^.  1 2.  di  questa  cantica  disse  quantunque 

per  quanti  -  ♦^ 

8b  bestemmiav^a  per  isbottoneggiaya .  s-^  duramente  espri- 
me con  gran  rabbia  e  fierezza.  Poggiali.  ♦-• 

8^  rampogni^  aspramente  riprendi. 

88  Antenora  intende  appellata  quella  sua  classe  de' tradi- 
tori delle  proprie  patrie  da  Antenore,  il  qiuile,  secondo  Ditii* 
Cretense  [a]  e  Darete  Frigio  [&],  tradì  Troia  sua  patria.  •-»  È 
stata  opinione  anche  dello  stesso  T.  Livio  [e],  che  Antenore  « 
mantenendo  una  segreta  intelligenza  co'  Greci ,  fosse  loro  molto 
favorevole  nel  corso  della  dccennal  guerra  ;  e  se  non  £icilito 
loro  r espugnazione ,  T incendio  e  la  distruzione  di  Troia,  che 
almeno  dal  cauto  suo  non  l'impedisse;  conseguenza  di  che  tu 
la  libertà  di  partire  illesi,  a  lui  e  ad  Enea  altro  lor  parziale. 
accoixiala  ;  laddove  neppur  uno  degli  altri  primari  Troiani  cam- 
pò dal  ferro  o  fuoco  de' Greci.  PooaiALi.  «-« 

[a]  De  beilo  Tr-oL  ]ib.  5.  [h]  De  excidio  Trciae.  [e]  Stor.  Rom.  Uh. 


\ 


CANTO  XXXII.  697 

Sì  che 9  se  fossi  vivo,  troppo  fora? 
Vivo  soQ  io,  e  caro  esser  ti  puote,  91 

Fu  mia  risposta,  se  dimandi  fama, 

Ch'io  metta  1  nome  tuo  tra  laltre  note. 
Ed  egli  a  me  :  del  contrario  ho  io  brama  : 

Levati  quinci ,  e  non  mi  dar  più  lagna  ; 

Che  mal  sai  lusingar  per  questa  lama. 
Allora  il  presi  per  la  cuticagna ,  g^j 

90  se  fossi  pwoy  troppo  fora.  Suppone  Bocca  degli  Abati 
falsamente  essere  Dante  l'ombra  di  un  morto ,  e  dal  dolore  che 
sente  grande  dalla  percossa  de' di  lui  piedi,  argomenta ,  che 
troppo  sarebbe  grande  j  quando  egli  fosse  %fivo ,  cioò  le  presenti 
e  dure  membra  nostre  avesse .  Fora  per  sarebbe ,  voce  del  ver- 
so [a]  ed  anche  della  prosa  in  ottimi  scrittori. 

91  al  93  flW  sono  io  ec.  Sinchisi,  e  dee  essere  la  costru- 
sìone  :  Fu  mia  risposta  ^  yii^o  son  io  ^ese  domandi  fama  »  se 
desideri  d'essere  lassii  rinomato 9  caro  esser  ti puote^  Mio 
metta  tra  r altre  notey  tra  le  altre  memorie  che  quaggiù  ho 
raccolte,  il  tuo  nomej  che  ti  ho  per  ciò  richiesto. 

94  m^del  contraro  aggio  brama  y  l'Ang.  E.  K.  ^-m 

95  lagna j  afflizione ,  molestia. 

96  Che  per  questa  lama.  Per  vai  quanto  in  \b];  e  lanuiy 
come  è  detto  Int.  xx.  79.9  significa  ^oj^iira,  cavità.^  mal  sai 
lusingar  j  esibendoti  a  recare  di  noi  nel  mondo  fama,  mentile  in 
questo  fondo  de'  traditori  bramasi  anzi  il  contrario . 

97  jiUora  il  presi y  la  Nidobeatina;  allor  lopresiy  Taltre 
ediz.,  »-^e  col  Vat.  3 199  la  3.  romana,  ^-m  cuticagna  per  1  co- 
pelli  della  cuticagna  y  cioè  della  parte  concava  dei*etana  del 
capo,  tra  il  collo  e  la  nuca ,  luogo  dove  la  stiratura  de* capelli 
reca  maggior  dolore  ;  né  vi  è  perciò  bisogno  che  intenda  il 
Poeta  per  cuticagna  piuttosto  la  suprema  parte  del  capo ,  co- 
me sembra  al  Venturi.  m-¥  Volendo  il  Poeta  accertarsi  s'egli  era 
veramente  chi  sospettava,  né  potendo  con  lusinghe  ottenerlo  da 
quel  malvagio  traditore,  giusto  é  che  a  sua  confusione  laggiù , 
e  ad  infamarlo  di  qua ,  lo  costringa  a  manifestarsi .  Bi aoioIiI  .  4-« 

fa]  Vedi  Masfrofini»  Teoria  0  Prospetto  de*  verbi  italiani,  ^\to  A  ver- 
bo Essere,  n.iS.  [b]  Vedi  Cìuon.Partic.   19S.  1. 


698  INFERNO 

E  dissi:  e' con  verrà  che  la  ti  nomi, 
O  die  capei  qui  su  non  ti  ri  magna  ; 

Oiid'egii  a  me:  perchè  tu  mi  dischiomi,       100 
Né  ti  dirò  eh'  io  sia ,  né  mostrerolti  ^ 
Se  mille  fiate  in  sul  capo  mi  tomi . 

lo  avea  già  i  capelli  in  mano  avvolti ,  1  o3 

E  tratti  glien  avea  più  d'una  ciocca, 
Latrando  lui  con  gli  occhi  in  giù  raccolti  ; 

Quando  un  altro  gridò  :  che  hai  tu ,  Bocca  ?      1  u  :  > 

g8  e* converrà  ec.\  e* per  egliy  riempitivo. 

99  O  che  capei  ec. ,  o  che  ri  manghi  senza  un  capello  in  te- 
sta .  ^^ rimagna j  metatesi ,  per  rimanga. 

ICQ  perchè  tu  mi  dischiomi j  per  cagione  di  strapparmi  ta 
i  cappelli. 

101  né  mostrerolti j  né  te  lo  farò  conoscere 9  intende,  con 
alzare  il  visoj  che  teneva  vólto  in  giù.  »-»  In  luogo  della  par- 
ticella Né  il  Biagioli  ha  posto  il  Non  in  principio  di  onesto 
vei*so,  persuaso  che  Dante  abbia  scritto  cosi,  e  che  il  Aè  sia 
un  guasto  de' copisti.  Dal  canto  nostro  non  sappiam  conoaoene 
la  necessità  di  questo  cambiamento.  <-« 

I  oa  Se  mille  /tate  in  sul  capo  mi  tomi  letteralmente  vuul 
dire  :  sebbene  mille  volte  mi  caschi  a  pie'  levati  sul  capo  [a] . 
*-  ^11  Vocab.  della  Cr.  spiega  questo  passo:  sebbene  mille  volte 
ritorni  a  pormi  le  mani  sul  capo  ;  ma  questa  è  una  spiegi- 
feione  a  senso 9  senza  darci  il  significato  di  tomi.  Sembra  pero 
piii  naturale  che  il  Poeta  abbia  qui  usato  il  verbo  tornare  nel 
senso  spagnuolo  e  provenzale ,  che  vuol  dire  prendere,  El.  R. 
m-^  Se  mille  fiate  sul  capo  ec. ,  sopprimendo  la  in ,  legge  il  cod. 
Vat.  3 199.  ^-m 

1  o4  ai  1 06  ciocca ,  mucchietto.  —  Latrando ,  gridando  eoa 
canina  voce .  -  lui  per  egli ,  contrariamente  alla  Ferola  del  G* 
nonio  [b].  m-¥  Per  questo  Latrando  lui  viene  il  Poeta  nostro 
ripreso  dal  Bembo,  ma  il  Biagioli  crede  di  averlodifeso  coll'as- 
serire  che  il  diretto  parlare  sia  questo:  mentre  io  udiiHi.  liti 


[à]  Dì  se  per  sebbene,  quantunque  ec,  vedi  il  Cinon.  Par  tic,  91 3. 9. 
[b]  Partì  e.  160.6. 


\ 


CANTO  XXXU.  699 

Nou  ti  basta  sonar  con  le  mascelle , 
Se  tu  Don  latri  ?  qual  diavol  ti  tocca  ? 

Ornai,  diss'io,  non  vo'che  tu  favelle,  109 

Malvagio  tradì tor;  ch'alia  tua  onta 
Io  porterò  di  te  vere  novelle . 

Va' via  y  rispose,  e  ciò  che  tu  vuoi  conta  ;      111 
Ma  non  tacer ,  se  tu  di  qua  entr'  eschi , 
Di  quel  eh*  ebbe  or  cosi  la  lingua  pronta  ; 

latrando  ;  della  quale  sentenza  farci  giudici  doq  vogliamo  • 
-  Ben  più  ci  persuade  il  parere  del  sig.  Poggiali ,  che  sia  cioè 
latrando  lui  un  ablativo  assoluto  y  e  che  non  possano  profit- 
tare per  conseguenza  dì  questo  passo  coloro  che  sostengono  prn 
tersi  usare  il  lui  in  caso  retto.  <-■  con  gli  occhi  in  giù  raccoU 
lij  per  rifuggiti  f  nascosti  ^  come  vi  teneva  anche  il  volto  {^er 
non  si  lasciar  conoscere.  — Bocca ^  degli  uibati:  vedi  v.  80. 

107  sonar  con  le  mascelle^  quel  che  nel  i^.  !ì().  disse /ixfr- 
ter  i  denti  in  nota  di  cicogna ,  cioè  sbattere  pel  freddo  i  denti. 
m^  Ingegnoso  si  è  Tartificio  di  far  discoprire  questo  ti*aditore 
in  questo  modo,  perchè  non  l'avrebbe  potuto  altrimenti ,  sen- 
za impegnarsi  in  una  lotta  ontosa.  Buoiou.^-* 

1 09  faifellej  antitesi ,  per  fondelli. 

I  I  o  alla  tua  onta ,  la  Nidobeatina  ;  alla  tu  onta ,  TaUrV^di- 
zioni  »-^e  il  Vat.  Sigp,^-*  al  tuo  marcio  dispetto. 

1 1 1  porterò  y  intendi ,  su  nel  mondo . 

I  la  m-¥ciò  che  tu  vuoiy  conta.  Quando  il  malvagio  tradi- 
tore è  scopeito,  s'indura  al  pubblico  biasimo,  e  non  adonta 

pili.  BlAGI0LI.4-« 

1 1 3  Ma  non  tacer ,  ec.  Volgesi  Bocca  così  a  quel  solatium 
miseris  sodos  habere  poenaium.  m^  Ma  il  Biagioli  dice  che 
Bocca  discuopre  prima  chi  Tha  fatto  riconoscere,  per  rabbiosa 
vendetta,  e  gli  altri  poi,  perciocché  sa  che  Tintensità  d*un 
reato  sminuisce  in  ragione  del  maggior  numero  de*rei  di  quel- 
lo. ^^  eschi  è  qui  sinonimo  di  escaj  due  diverse  inflessioni  le- 
cite del  pari  nella  nostra  lingua,  come  tu  tegghi  u  Icgga^  tu 
ponghi  o  ponga  ec.  Poggiali.  «-« 

I  i4  Di  quel  cVebbe  or^  la  Nidobeatina;  Di  (/He'ch'ebb'or^ 
r««lti-c  edizioni,  »-»e  il  Vat.  8199.  <-« 


700  INFERNO 

£i  piange  qui  largeato  de'FraDcesclii:  1 15 

lo  vidi,  potrai  dir,  quel  da  Duera 
L^  dove  i  peccatori  stanno  freschi . 

Se  fossi  dimandato,  altri  chi  v^era,  1 18 

Tu  hai  dallato  quel  di  Beccaria , 
Di  cui  segò  Fiorenza  la  gorgiera . 

1 15  r argento  de* Franceschi j  il  danaro  ricevuto  da*Fi-an- 
eesì,  per  cui  tradì  la  patria.  Franceschi  per  Francesi  ado- 
pi-ato  da  buoni  scrittori  anche  in  prosa  vedilo  nel  Vocabolai  ì<j 
della  Crusca. 

1 16  /o  vidi  j  eCn  Seguita  Bocca  degli  Abati  a  favellar  del 
medesimo  tradì  loi*e  cfa«  ave  vaio  a  Dante  scoperto;  e  non  con- 
tento di  averlo  già  accennato  con  dire  il  di  lui  delitto,  vnol<* 
espressamente  nomarlo  quel  da  Duera ,  cioè  Buoso  da  Doei-a 
Cremonese,  il  quale,  per  danaro  oifertogli  dal  generale  fran- 
cese conte  Guido  di  Monforle,  non  contrastò  al  francese  eser- 
cito il  passaggio  in  Puglia.  »-» Buoso  da  Duera  era  stato  posto 
dai  Ghibellini  di  Lombardia  e  dallo  sventurato  Manfi*edi,  al- 
lora Redi  Napoli,  nel  distretto  di  Parma  con  buone  milizie, 
ad  oggetto  di  opporsi  all'esercito  di  Carlo  di  Angiò .  Di  costui 
vedi  fra  gli  altri  Ricordano  Malaspiua  [aj.  ^-m 

1 17  freschi  per  gelati  y  agghiacciati . 

I  iSm>^ Esser  dimandato  per  essere  interrogato  è  eleganu* 
espressione  toscana,  famigliare  tra  gli  antiéhi  buoni  scrittori, 
^  specialmente  al  Boccaccio.  Poggiali. •«-• 

1 19  quel  di  Beccaria  ,  legge  la  Nidobeatina  con  TAldiiì;! 
ed  altre  edizioni ,  é  Beccaria  scrivono  pure  cotal  cognome  e;H 
scrittori  lombai*di  [6] ,  e  pronunziasi  in  Lombardia  anche  di 
presente:  né,  se  non  male,  hanno  gli  Accademici  della  Crn- 
sca,  per  Fautori ta  di  pochi  testi ,  voluto  invece  scritto  Becche- 
ria.  *^  Questi  fn  di  Pavia  (rfi  Parma  il  Landino),  ed  Abate 
di  Vallombrosa;  al  quale,  per  essersi  scoperto  certo  trattato, 
che  fece  contro  a' Guelfi  in  favore  de'Ghibellinì  in  Fiorenza, 
ove  era  stato  mandato  Legato  dal  Papa  ,  fu  tagliata  la  testa  . 
Dahibllo.  m^  Vedi  Gio.  Villani ,  Stor.  lib.  vi.  e.  65.  •<-« 
19.0  la  gorgiera  dice  pel  collo,  la  parte  pel  tutto. 

[a]  Cion,  cap.  178.  [h]  Vedi^  Ira  gli  altri,  Corto  Istor,  miUuu  P.  ii. 


CANTO  XXXII.  701 

Gicinnì  del  Soldanier  credo  che  sia  1  ii 

Più  là  con  Gaaellone,  e  Tebaldello 
Ch'aprì  Faenza  quando  si  dormia. 

Noi  eravam  partiti  già  da  elio,  11^ 

Ch'io  vidi  due  ghiacciati  in  una  buca 


1 2 1  Gianni  del  Soldanier,  Giovanni  Soldanieri ,  secondo 
fìiovanni  Villani  al  decimoterzo  del  settimo  libro,  essendo  in 
Firenze  di  grande  autorità ,  e  di  fazione  Ghibellino  y  volendo 
la  parte  sua  torre  il  governo  del  popolo  a' Guelfi,  tradendo  i 
suoi,  si  accostò  ad  essi  Guelfi,  e  fecesi  di  quel  governo  prin- 
cipe. Vellittello.  m^  Gianni  dè^Soldanier^  ha  il  Vat.  3u)C). 
—  Gianni  de* Soldanieri  di  Firenze ,  essendo  podestà  di  FacMi- 
za  ,  con  Taiutorìodi  Tribaldello  de*Zambrasi  della  detta  Tei*- 
ra,  contro  alla  loro  parte  Ghibellina,  alli  Bolognesi  di  notte- 
tempo diedero  Faenza.  —  Cosi  narra  il  fatto  T Antico,  citato 
dalla  E.  F.  -*  Pietro  di  Dante  dice  semplicemente  che  costui 
(radi  la  parte  di  M.  Farinata  degli  Uberti.  E.  F.  *-m 

122  Piti  làj  piii  verso  il  centro.  —  Ganellone  appella  il 
traditore  dell'esercito  di  Carlo  Magno,  che  Giovanni  Turpino 
appella  Ganalon  [/xj,  ed  altri  Gano.  Del  costui  tradimento  si 
è  fatta  menzione  nel  canto  precedente ,  «>.  i6.  —  *  Tebaldello^ 
Jrggc  il  cod.  Cass. ,  ed  il  suo  Postili,  soggiunge:  TcbaldellujS 
//f*  Cambraciis  de  Fa%»entia  prodiit  dictam  eius  ciuitafem 
fi  andò  eam  Bononiensibus  una  nocte.  Gli  altri  Comentatorì 
lo  chiamano  Tribaldello,  e  la  Nidobeatina  Thebaldello. Noi 
abbiamo  preferito  la  lezione  Cassinese ,  quantunque  il  Lombar- 
di ,  per  seguire  la  lezione  più  comune,  avesse  abbandonato  la 
Nidob,  e  posto  Tribaldello.  E  R.  •-►L'Ang.  legge  Tobaldel- 
ioyVé.  R.,  e  il  Vat.  3 199.  Tribaldello,  come  la  comune,  ^-m 

\vt/^  da  elio  per  da  lui^  o  da  quello,  cioè  da  quello  che  fino 
allora  aveva  parlato,  da  Bocca  degli  Abati.  »->  Ella^^li, 
^lle  ec.  pare  un^affcresi  di  quello,  quelli,  quelle  ec.  Si  usano 
<iiieste  inflessioni,  specialmente  in  po<;sia ,  anche  oggidì  [6J.4-« 

126  Che  por  quando  [r];  *-►  è  Biagioli  la  dice  elemento 
della  formula  allora  che.  <-« 

[a]    De  vita  Caroli  J^,  rap   31.    [b]   Vedi  il  Ci  non.  Pai/ ir.  101.  i6* 
£^J   Vedi  il  CinuD.  Panie.  44.  18. 


707  INFERNO 

Si  y  che  Tun  capo  all'altro  era  cappello: 
E  come  '1  pan  per  fame  si  maoduca,  117 

Così  '1  sovran  li  denti  all'altro  pose 
Là  've  '1  cervel  s'aggiunge  con  la  nuca . 
Non  altrimenti  Tideo  sì  rose  i  3o 

Le  tempie  a  Menalippo  per  disdegno , 
Che  quei  faceva  '1  teschio  e  1  altre  cose. 
O  tu,  che  mostri,  per  si  bestiai  segno,  1 3{ 

Odio  sovra  colui  che  tu  ti  mangi, 

1 26  era  cappello  vale  quanto  stanagli  sopra  y  copriualo, 
iij  si  manduca.  Manducare  per  mangiare ,  detto  Mnii- 
cameate  anche  in  prosa.  Vedi  il  Vocabolario  della  Crosca. 

1 28  7  sovran  vale  qui  quanto  il  soprastante  y  lo  stante  di 
sopra y  sovrano  cioè  di  luogo  semplicemente,  e  non  dì  diluii- 
tà.  —  pose  per  poneva  j  ficcava  ^  enallage.  m-^  Cosi  fan  jo- 
vra  r altro  i  denti  pose^  ^^gg^  >'  V*^  ^  ■99'  *^ 

1 29  Là  Ve ,  sinalefa ,  per  là  ove»  —  'V  cervello  per  la  som- 
mità del  cranio )  sotto  della  quale  ricopresi  il  cervello.  •-»  «/ 
giunge  j  legge  il  Vat.  3 199.  <-■  la  nuca  j  la  parte  deretana  dt  l 

capo . 

1 3 0  1 3 1  Tideo  »  figliuolo  d*  Eneo  9  Re  di  Calidonia ,  nell '  as- 
sedio di  Tebe ,  intrapreso  per  rimettervi  Polinice,  combatipif!'' 
con  Menalippo  Tebano ,  rimasero  entrambi  mortalmente  ferii r 
ma  premorendo  Menalippo,  fecesi  Tideo  recare  la  dì  lui  ivsu . 
e  per  gran  disdegno  si  mise  a  roderla  [aj . 

i32  teschio  f  cranio  [AJ.  —  e  t altre  cose ^  cotenna,  eap*-^- 
lì,  cervella  ec.  wh¥  Che  quel  faceva j  legge  il  codice  Au^tl.- 

co,  E.  R.  ♦^ 

i33  »-^  Colpito  il  Poeta  da  si  bestiai  modo ,  onde  Tuno  di 
quegli  spiriti  disfoga  l'odio  suo  contro  il  sottoposto,  e  cuiì(>- 
sissimo  d'intendere  la  condizion  loro,  Tinvita  con  lusìnglH*  ^ 
iarglisi  palese;  e  tanto  puote  Podio  e  la  sete  di  maggior  >t>ft- 
detta  in  quello  spirito,  che,  scordatosi  della  propria  iii(amÌA, 
si  fa  a  manifestare  al  Poeta  la  condizione  sua,  e  quella  di-ili 
spirito  che  rode .  Biagiou  .  «-• 

[fi  I  Vedi  Stazio  nella  Tebatde,  lib.  8.  uel  fine.  [h\  Vedi  il  Vocab.iK-il  i  <  i 


CANTO  xxxir.  703 

Dimmi  ì  perchè ,  dìss  k) ,  per  lai  convegno 
Che,  se  tu  a  ragion  di  lui  ti  piangi,  i36 

Sappiendo  chi  voi  siete,  e  la* sua  pecca, 
Nel  mondo  suso  ancor  io  te  ne  cangi  ^ 
Se  quella ,  con  eh'  io  parlo ,  non  si  secca . 

1 35  per  tal  condegno.  Con  in  luogo  di  per  hanno  trovato 
in  un  manoscritto  gli  Accademici  della  Cr.  ;  ma  senza  far  mu- 
tazione può  la  particella ^er  significare  lo  stesso  che  la  con  [a] . 
—  com^egno  ^  convenzione,  patto.  A  simil  senso  scrìssero  con^ 
vegna  altri  autori  [&] ,  e  convenium  i  Latino-barbari  [e]. 

i36  m^dilui  ii piangi y  cioò  ti  duoli j  in  francese  tepìai^ 
gnes.  E.  F.  ^-m 

l'iy  pecca  per  mancamento  [d]* 

1 38  te  ne  cangi ,  te  ne  cambi ,  per  te  ne  renda  il  cambio , 
favorisca  io  te  pure  9  lodando  te  »  ed  infamando  lui . 

1 39  «Se  quella  y  con  eh*  io  parlo }  la  lingua,  non  si  secca  j  non 
si  risolve  in  polvere,  eh' è  poi  quanto  a  dire,  se  non  muoio, 
m^  Tanto  basta  air  offeso  spirito ,  che  dispousi  tosto  al  lagri- 
me vole  i*acconto,  che  spiegasi  nel  seguente  canto,  ove  chi  non 
piange ,  fili  robur  et  aes  tripleX"  Circa  pectus .  Bugioli.  <<-■ 

[a]  Vedi  ilCinon.  Partic.  igS.  11.  [61  Veiii  il  Vocab.  della  Cr.  [ir]  Du* 
ÌVesiie  Oioss.  art.  Convenium,  [d]  Vedi  il  Vocab.  della  Crusca. 


CANTO    XXXTII. 


ARGOMENTO 

In  questo  canto  racconta  il  Poeta  la  crudel  morte  del 
Conte  Ugolino  e  de* figliuoli .  Tratta  poi  della  Ur- 
ia sfera,  detta  Tolommea ,  nella  quale  si  puniscono 
coloro  che  hanno  tradito  chi  di  loro  si  fidava  i  e  ira 
questi  trova  Frate  Alberigo . 

Xja  bocca  sollevò  dal  fiero  pasto  i 

Quel  peccator,  forbendola  a' capelli 
Del  capo  ch'egli  avea  diretro  guasto. 

Poi  cominciò:  tu  vuoi  cb'io  rinnovelli  4 

Disperato  dolor  che  '1  cuor  mi  preme , 
Già  pur  pensando y  pria  ch'io  ne  favelli. 

»-^Ecco  r orribile  e  spaventosa  scena,  cotanto  per  i^ni 
paese  e  per  ogni  lingua  famosa;  ecco  il  luogo,  ove  chi  non  e 
d*  ogni  naturai  senso  spogliato  sentirà  stringersi  il  onore  di  pie- 
tà tale  che 9  se  non  fosse  l'anima  da  si  grande  attrattivo  del 
pi*etto  dire,  del  leggiadro  stile,  e  dei  bei  colorì  rettorìci  al- 
quanto distratta ,  non  potrebbe  si  fatto  raccapriccio  sostenerp, 
e  rifuggirebbe  indietro  di  compassione  e  di  spavento.  Biagio- 
li  .  <-■ 

12*-^  La  bocca  si  leuò  ee. ,  il  Vat.  3 199,  forse  error  di  co- 
pista, che  doveva  scrivere  o vìcoli* accento,  o  su. '^^m  forben- 
dola ec,  per  potere  piii  chiaramente  e  speditamente  fiiTclIare. 

4  al  Sm^tu  i^uoi  ec.  Sente  quel  di  Virgilio:  Infandum, 
regina ,  iubes  renoi^are  dolorem .  Bi  agioli  .  ♦^  che  '/  cuor  mi 
preme ^^  Già  pur  pensando^  che  mi  opprìme  il  cuore  già  ila 
d'eira,  solamente  pensando  air  azione  da  costui  fattami. 


CANTO  XXXIII.  705 

Ma  se  le  mie  parole  esser  dea  seme ,  7 

Che  frutti  infamia  al  traditor  ch'io  rodo, 
Parlare  e  lagrimar  vedrai  insieme. 

Io  non  so  chi  tu  sie ,  uè  per  che  modo  1  o 

Venuto  se' quaggiù,  ma  Fiorentino 
Mi  sembri  veramente,  quand'io  t'odo. 

Tu  dei  saper  ch'io  fui  '1  Conte  Ugolino,  i3 

£  questi  l'Arcivescovo  Ruggieri  ; 

7  8  den  9  è  il  denno  troncato  dell*  ultima  sillaba .  -  #e  esser 
den  semcy  -*  Che  fruiti  infamia  ec.  vai  qoaato,  se  debbono 
influire  ad  infamare  costui  su  nel  mondo. 

9  Parlare  e  lagrimar  ì^drai.  Propriamente  il  vedrai  si  ri- 
ferisce a  lagrimar  f  e  per cataeresi  riparlare.  »-^  Con  questa 
evidente  espressione  viene  a  dire  che  molte  parole  di  quello 
sciaumto  sarebbero  nel  racconto  soffocate  e  mozze  per  Tango- 
scia  del  pianto;  onde  non  le  avrebbe  già  udite ^  ma  piuttosto 
vedute  f  meglio  argomentandole  dall'  atto  della  faccia  e  del  lab- 
bro» che  dai  rotto  suono  di  esse.  PuTiciai  [a].  4-« 

I  o  chi  tu  se*f  la  Nidob.  ;  chi  tu  sie^  T  altre  ediz.:  ma  il  chi 
tu  se"  accorda  meglio  col  venuto  se* ,  che  nel  seguente  verso 
leggono  poil'edizioni  tutte  d'accordo,  m-^  Cosi  il  Lombardi  ;  ma 
il  Biagioli  però  sostiene  doversi  leggere  chi  tu  sie  (  sii  o  sia) in 
congiuntivo  9  perchè  cade  l'ignoranza  sui  fattointero;  ed  all' op- 
posto venuto  ^ei  nel  verso  che  segue ,  perchèivi  l' ignoranza  cade 
iu  una  sola  circostanza  del  fatto  positivo  9  che  è  quello  d*  essere  ve- 
l'amante  venuto  quaggiii.  Queste  ragioni,  l'autorità  del  V  at.3 1 99, 
e  r  esempio  dell' E.  K.  ci  hanno  persuasi  a  rimettere  nel  nosU'o 
testo  il  sie  della  comune,  e  forse  originale,  lezione.  «-« 

i3  ì^  Tu  dei  saper  ch'io  fuiy  la  Midobeatina.*  Tude'sa^ 
per  ch^rfu*y  ralti*e  edizioni,  »-^e  il  Vat.  3  u)c),  che  legge  poi 
Conte  Ugolino  j  omettendo  l'articolo  ;  il  che  rende  il  verso  più 
grave.  4-«  '/  Conte  Ugolino ^  de'Gherardeschi  di  Pisa.  Dopo  di 
essersi  costui,  colFaiuto  di  Ruggieri  degli Ubaldini,  Arcivescovo 
di  Pisa ,  reso  padrone  di  Pisa,  spogliando ,  per  tradimento,  della 
p«icli*onanza  di  quella  il  giudice  Nino  di  Gallura  de'Visconti , 

[a]  Prop.  voi.  I.  P.  I.  f«c.  i5i. 

/w.  /.  45 


/ 


706 


INFERNO 


Or  ti  dirò  perch'i  soq  tal  vicino. 
Che ,  per  V  effetto  de'  suo*  ma'  })e»sierì ,  1 6 

Fidandomi  di  lui,  io  fossi  preso 


abbenchè  fosse  figlio  di  una  propria  figliuola;  Tenne  poi 
dito  dairAixi vescovo  medesimo,  il  quale,  facendo  crederei 
popolo  che  avesse  Ugolino  tradito  Pisa ,  e  rendale  le  loro  ca- 
stella ai  Fiorentini  e  Lucchesi ,  fece  si,  che  a  furor  di  popolo 
ne  venisse  il  Conte  con  due  figli  e  due  nipoti  rinchiuso  e  ulto 
morir  di  fame  in  una  torre  [a] .  m-^  E  questi  è  Carciì^sca^oee.y 
legge  l'Ang.  E.  R.  «-« 

1 6  Or  ti  dirò  ee.  »-^  Non  dice  in  seguito  il  perchè ,  ma  & 
intendere  che  egli  lo  strazia  cosi  per  isfogo  d'odio  e  di  vendetta 
del  tradimento  che  gli  fece.  Bi agioli .  *«-«  i  vale  qui  lo  stesso 
che  gli  a  luij  come  nel  preced.  canto  nii.  u.  yi^  Vedi  ciò  che 
ivi  si  è  detto.  —  tal  uicino  per  tormentatore. 

\iì  ma' j  apocope,  per  mali,  mahagi.  — pensieri  per  so- 
spetti, che  avesse  cioè  il  Conte  rendute,  o  disegnato  dì  rendere 
ai  Fiorentini  e  Lucchesi  le  castella ,  delle  quali  si  erano  i  Pi* 
sani  impadroniti .  Che  non  fosse  cotale  tradimento  se  non  in  so- 
spetto, pare  lo  indichino  i  versi  85.  e  86.: 

Che  se  7  Conte  Ugolino  aifeua  uoce 
D'auer  tradita  te  delle  castella . 
•-►Il  Biagiolì  invece  inclina  a  credere  Ugolino  innocente,  e 
tradito  dal rArci vescovo  per  mero  effetto  dMnvidia  e  di  gelo- 
sia. Ma  egli  s'inganna;  e  s'ingannò  fors' anche  il  Lombardi; 
dubitando  della  reità  del  Conte.  Imperocché  è  ben  da  credeir 
che  se  Dante  non  l'avesse  ritenuta  per  certissima,  posto  non 
avrebbe  Ugolino  nell*^n/enora .  È  dunque  nostro  parere  che 
il  Poeta  condannasse  il  Conte  e  l'Arcivescovo  al  luogo  dei  tra- 
ditori della  patria ,  o  perchè  forse  concorsero  entrambi  colFo- 
pera  a  spogliar  Nino  di  Gallura  delia  signoria  di  Pisa,  e  coinè 
è  detto  sopra  alla  nota  dei  versi  i3.  e  i4*  ;  o  veramente  vi  posr 
Ugolino  per  la  resa  effettuata ,  o  premeditata  almeno  ,  delle  eo- 
stella;  e  l'Arcivescovo  per  aver  denunziato  al  popolo  Ugolino 
(  che  di  Ini  si  -fidava  )  qual  reo  di  un  tradimento  da  lui  me- 
desimo  fors' anche  consigliato.  Ciò  posto,  chiaro  apparisce  il 
motivo  dell'ira  atroce  e  ìicrissima  del  Conte  vcreo  lo  sleale  che 
della  crudel  morte  di  lui  fu  cagione.  <-■ 

[a]  Glo.  VilLiQÌ  lib.  7.  cap.  lao*  e  la^. 


CANTO  XXXIll.  707 

E  poscia  morto,  dir  non  è  mestidri . 
Però  quel  che  non  puoi  avere  inteso ,  1 9 

Cioè  come  la  morte  mia  fu  cruda , 

Udirai ,  e  saprai  se  m' ha  offeso . 
Brieve  pertugio  dentro  dalla  muda ,  a  a 

La  qual  per  me  ha  il  titol  della  fame, 

£  *n  che  conviene  ancor  ch'altri  si  chiuda , 
M'avea  mostrato  per  lo  suo  forame  !)5 

Più  lune  già,  quand'io  feci  1  mal  sonno , 

aa  Briei^  pertugio ,  picciolo  finestrelle .  ^^muda  con  mólta 
conTenienxa  appella  Dante  quella  torre  y  ossia  la  prigione  in 


lario  dellaCnisca,  ma  l'innamoramento  ed  il  canto 9  d*una  in 
altra  stagione.  »-^  L'anonimo 9  citato  nella  E.  F.,  intende  che 
muda  fosse  il  nome  proprio  della  torre  ch'ebbe  poi  in  seguito 
quello  della  /isme.- L'autorevole  comentatore  Francesco  da 
Buti  dice  che  in  qualche  parte  di  questa  torre  i  Pisani  teneva» 
no  forse  le  aquile  del  Pubblico  ^  per  cui  muda  Tappellarono. 
-~  Il  comento  attribuito  al  Boccaccio  a  questo  luogo  nota  :  che 
et  in  questo  tempo  il  (Comune  di  Pisa  elesse  per  suo  Capitano 
»  e  Signore  il  Conte  Guido  da  Montefeltro;  e  l'Arcivescovo 
u  Ruggieri  delli  Ubaldini  consigliò  il  Conte  Guido  e  il  Co- 
»  muue  di  Pisa,  che  facessero  mettere  il  Conte  Ugolino  in  pri- 
a»  gione  nella  torre  della  Muda .  »  E  concorda  con  Gìo.  Villa- 
ni [a] .  E.  F.  <-« 

'jlW  ha  il  titol  della  fame  ,  perocché  d'allora  inrianzi  (  lo 
conferma  Gio.  Villani  pure)  fu  la  detta  torre  chiamata  la 
torre  della  fame  [A] . 

'j4  E^n  chej  in  cui  9  con\*iene  ec.c  questo  immagina  perle 
s|ìcssc  mutazioni  che  faceva  quella  città.  Lahdiho. 

^(ì  a-^ll  Lombai*diy  scostandosi  dalla  Nidob.,  legge  P/ù  /a- 
me ,  e  spiega  molto  lume ,  chiosando  .*  «e  Cosi  amo  di  leggere  con 
molte  antiche  edizioni 9  tra  le  quali  TAldina,  e  con  la  maggior 
p;ii  t(*  (le'ra.ss.  veduti  dagli  Accademici  della  Crusca ,  «  non  Pia 

[a]  Stor»  lib.  VII.  cap.  i^^.  [^J  Gap.  i'j6.  del  cit.  Ìib« 


7o8  INFERNO 

lune ,  come  la  Nidob.  e  i  detti  Accademici,  suiraatorita  (b  soli 
otto  fra  un  centinaio  di  testi.  Essendo  stato  il  conte  Ugolino  (ec- 
co la  ragione  che  recano  gli  Accademici  di  aver  cangiato  più  /u- 
me  in  più  lune) ,  come  racconta  Già*  F^illanij  dalTagosto  al 
marzo  in  prigione ,  i^olle  il  Poeta ,  secondo  noi ,  mostrar  la 
lunghezza  di  (fuella prigionia  con  le  parole  più  lune.  Hanno 
però  essi  Accademici  mancato  di  avvertire  che  il  tempo  della 
prigionia  del  Conte  Ugolino  doveva  essere  cosa  a  Dante  già  no- 
ta; e  che  non  vuole  il  Conte  dire  se  non  di  quello  che  Dante 
non  potè  ai^er  inteso  y  %^»  19-  Al  contrario  pia  lume  non  solo 
ha  nulla  d'incoei^nte  o  di  superfluo^  ma  serve  ottimamente  ad 
indicai^  la  cagione  per  cui  prestasse  egli  al  sogno  fede.  Impe* 
rocche  dicendo  che  pia  lumcj  cioè  lume  molto,  già  gli  si  era 
fatto  vedere  quando  sognò,  viene  a  dire,  ch*era  qaella  l'ora 

che  incomincia  i  tristi  Im 

La  rondinella  ............ 

E  che  la  mente  nostra  pellegrina  ^ 

Più  dalla  carne  j  e  men  da* pensier  presa  y 
j4lle  sue  vision  quasi  è  diuina  [a].* 
chWasi  in  sostanza  Taurora  già  ben  bene  spiegata,  e  che  per- 
ciò veritiero  doveva  essere  ilsogno. 

Né  perchè  poi  dica  Ugolino,  Quand^iofiti  desto  innanzi 
la  dimane  ec,  \b\ ,  vierie  perciò  questo  senso  a  turbarsi,  come 
oppone  il  Daniello.  Basta  che  distìnguasi  raurora  dalladinuDie. 
cioè  dal  giorno ,  che  incomincia  all'uscir  del  Sole  ;  ed  avvertasi 
che  l'aurora  in  mai^zo  (tempo  in  cui,  testimonio  il YiUani, se 
stenne  il  Conte  la  erudel  morte)  dura  un'ora  e  mezza,  efacil* 
mente  s' intenderà  oome  potesse  il  medesimo  Conte  ìqcodùd- 
ciare  il  mal  sogno  dopo  nata  l'aurora,  e  terminarlo  innanzi 
la  dinume y  cioè  durante  la  stessa  aurora,» -Il  Bia^oli  tro^a 
che  Tcspressione/'iu  lume  non  è  giusta  e  conveniente  po' in<&- 
care  l'aurora  j  e  s^atticne  alla  lezione  della  Crusca  ,  trovando  iu 
essa  proprio  e  naturale  ciò  che  il  Lombardi  %  i  scoile  d'incoerente 
o  superfluo .  -  La  lezione ^ii<  lune  trovasi  pur  difesa  dal  eh.  (jr 
sta  nella  E.  B.,  colla  chiosa  seguente:  «Abbiamo  seguitatala 
33  legione  del  Volpi  e  del  Venturi ,  indotti  dai  seguenti  motivi.  U 
»  Conte  Ugolino  fu  desio  innanzi  la  dimane  j  cioè  innanzi  al 
»  principio  del  giorno  ;  perciò  è ,  che  se  prima  di  quell'ora  egli 
»  aveva  sognato,  non  può  essere  che  più  lume  già  fosse  en- 
»  trato  per  lo  forame  della  torre.  E  quand'anche  esso  ConU 

[li]  Ping.  IX    i3.   e  scgg.  [/>J  Vei-$o  57. 


CANTO  XXXIIi:  709 

Che  del  futuro  mi  squarciò  il  velame . 
Questi  pareva  a  me  maestro  e  donno ,  38 

[  Cacciando  il  lupo  e  i  lupicini  al  monte, 

Per  che  i  Pisan  veder  Lucca  non  ponno. 

*>  avesse  sognato  dopo  T aurora,  era  cosa  naturale  che  egli  di-* 
»  cesse  che  più  luitie  gli  avevA  mosU-ato  la  toiTe  per  lo  suo  fo* 

^  »  rame  ?  Chi  sogna  dorme  ;  chi  dorme  non  vede .  Leggiamo  dun- 
»  quella  lune  j  e  interpretiamo  coi  sopraddetti  chiosatori  :  già 
»  erano  passati  più  mesi  dalla  mia  prigionia  (  cioè  dalVago-^ 

^  »  sto  ài  marzo,  secondo  che  nan*a  Gio.  Villani  )•  E  cosa  natu- 
»  rale  che  colui  che  sta  chiuso  e  solitario  in  carcere ,  discerna  e 
»  noti  ì  mesi  dal  risplendere  che  fa  la  Luna  d'intervallo  in  iu- 
»  tervallodi  tempo.  Si  noti  ancora  che  quando  Ugolino  parla 
n  del  secondo  giorno  dopo  il  sogno  dice  ;  Come  un  poco  di  rag- 
»  gio  si  fu  messo  -  JVel  doloroso  carcere  ec.  Se  il  raggio  era 
»  poco  nell'ora  che  il  Sole,  comesi  è  detto  nel  verso  anteceden- 
»  te,  era  uscito  nel  mondo,  manifesto  è  che  più  lume  non  po- 
is teva  essere  entrato  in  essa  torre  sul  far  dell'  alba.  »  Persuasi 
noi  pure  da  sì  belle  ed  evidenti  ragioni ,  abbiamo  restituita  nel 
testo  r antica  Nidobeatina  lezione  Pia  lune.  —  Anche  i  codd. 
Cass.  e  Caet.  hanno  lune;  ma  lume  legge  il  Vat.  3 199  e  le  ul*- 
tirate  due  romane  edizioni .  «-«  sonno  nel  medesimo  verso  dice 
per  sogno  i  antitesi  che  si  accosta  al  latino  somnium* 

27  del  futuro  mi  squarciò  il  velame  ^  mi  scopii  il  futuro  « 

28  Questi  parafa  ec,  ;  sinchisi  >  di  cui  la  costruzione  :  Que^ 
sii  y  costui  ch'io  rodo,  maestro  (m/o. intendi)  e  donno  j  si- 
gnore {  allusivamente ,  crederci ,  al  doctores  che  appella  i  Ve- 
scovi san  Paolo  f^J,  ed  al  titolo  di  monsignore  y  che  y ale  mio 
signore  j  attribuito  comunemente  ai  Vescovi  )  porcina  a  9ne , 
appari vami,  mi  si  faceva  in  sogno  vedere,  m^ maestro ^  nou 
sìa  colui  che  insegna  scienza  od  arte ,  come  con  questo  esem- 
pio  di  Dante  nota  la  Ci*usca,  ma  capoj  presidente  ^  prefetto 
de] la  città,  cioè  il  magister  urbis ^  fnagister  populi  dei  La- 
tini ;  e  a  maggior  conferma  Dante  vi  aggiunse  anche  il  donno , 
cioè  signoì'e.  Moim  [6].  Secondo  la  quale  interpretazione  il 
pieno  costrutto  del  verso  sarà  il  seguente  :  Questi ,  cioè  costui 
ch'io  rodo,  parafa  a  me,  mi  sembrava  che  fosse,  maestro  e  ^ 
rianno j  capo  e  signore  della  città.  <<-« 

rap  3o  Cacciando  j  in  atto  di  cacciare,  -«  il  lupo  e  i  lupi- 

[/t]    Ephei.  ^,9,  1 1.  [6]  Prop.  voi.  3.  P.  i.  fac  ;9. 


7IO  INFERNO 

Con  cagne  magre,  studiose,  e  come,  3i 

Gualandi ,  con  Sismondi ,  e  con  Lanfraachi , 
S'avea  messi  dinanzi  dalla  fronte. 

In  picciol  corso  mi  pareano  stanchi  34 

Lo  padre  e  i  figli,  e  con  T agate  sane 
Mi  parca  lor  veder  fender  li  fianchi . 

Qua  ad*  io  fui  desto  innanzi  la  dimane,  87 

Cini  :  sappone  che  il  sognare  di  cotali  famelici  animali  indichi 
patimento  di  fame,  -a/  manie ^  ^Per  che  (  Tale  qui  Per  che 
quanto  per  cui  [a])  i  Pisan  ec. ,  al  monte  S*  Giuliano ,  situato 
tra  Pisa  e  Lucca,  il  quale  se  non  fosse,  ciascuna  delle  dette 
due  città  vedrebbe  le  torri  dell'altra,  non  essendo  tra  loro  che 
dodici  miglia  d'intervallo. 

3 1  al  33  Con  cagne  ec*  Costruzione:  Si  ayea ,  T  Arci  vesco- 
vo, me<r.ri</ma7f  zi  £/a//a/ro7if  e,  cioè  mandava  innana  quasi 
vanguardia  della  caccia,  Gualandi ,  conSisniondiyeconLan* 
franchi,  nobili  famiglie  pisane,  unite  all'Arci  vescovo  ai  danni 
dei  Gherardeschi ,  con  cagne  magre ,  studiose ,  e  conte ,  con 
cagne  snelle,  sollecite,  ed  ammaestrate  a  simil  caccia  [&]. 

35  Lo  padre  e- i  figli,  il  lupo  e  i  lupiciui*  —  sane  ,\e^t 
la  Nidob.;  scane,  l'altre  ediz.  Non  si  trovando  però  di  scana 
o  scane  altro  esempio  che  questo  medesimo,  è  piìi  credibile 
che  usando  Dante  della  sincope  a  cagion  della  rima,  scrìf  esse 
sane  invece  di  snnne;  come  per  simile  bisogno  scrisse  Baco 
per  Bacco  [cj .  Sanne  appella  il  Poeta  i  denti  pure  del  Or- 
berò [d].  »-»  Scane  però  coi  codd.  Ang.,  CaeU  e  Val.  3 11)9 
legge  la  3.  romana  ediz.,  appoggiandosi  alla  seguente  chiosi 
dei  Buti  :  Scane  sono  li  denti  puntenti  del  cane ,  eh"  egli  hot 
da  ogni  lato,  co* quali  egli  afferra.  ♦*• 

3^  Quand^io  fui  desio ,  la  Nidob .  ;  Quando  fui  desto ,  Tal- 
tré  edizioni,  »^e  TAng.  E  R.  —  e  il  Vat.  3 199.  ^-m  innanzi 
la  dimane,  innanzi  il  mattino,  prima  che  il  Sole  uscisse.  Ap 
partien  questo  ad  indicare  succeduto  parimente  in  aurora,  t 
perciò  profetico  (  t^.  26.  ),  il  sogno  pure  di  fame,  che  conobbe 
facevano  anche  i  figliuoli. 

[a]  Vedi  il  Cìnoo.  Pari,  196.  io.  [b]  Così  spiega  t^eomte  il  Boti»  ci- 
Uto  nel  Vocab.  della  Cr.  alla  voce  Conio,  [e]  lai.  xz,  5^.  [d[  laC  vi-  tS- 


CANTO   XXXIIL  711 

Pianger  senti'  fra  '1  sonno  i  miei  figliuoli , 
Ch'erano  meco,  e  dimandar  del  pane. 

Ben  se'  crudel ,  se  tu  già  non  ti  duoli ,  40 

Pensando  ciò  eh  al  mio  cuor  s  annunzia  va  : 
E  se  non  piangi,  di  che  pianger  suoli? 

Già  eran  desti ,  e  Fora  s'appressava ,  43 

Che  'I  cibo  ne  soleva  essere  addotto, 
£  per  suo  sogno  ciascun  dubitava  ; 

E  io  senti'  chiavar  Tuscio  di  sotto  4^ 

39  Cìi  erano  mecoy  la  Nidob.;  CtCeran  con  mecoy  l'alU'e 
edizioni  »-^e  il  Val.  3i99.-«-«  e  dimandar  del  pane;  indizio 
clic  sognavano  dì  aver  fame ,  e  che  per  cotale  sognata  fame 
piangevano. 

4©  Ben  se'* crudele  ec-  Apostrofe  di  Ugolino  a  Dante. 

4i  s* annunziarla y  intende  di  dover  inerire  di  fame. 

43  44  ^'^  eran  desti  j  la  Nidob.;  Già  eram  desti j  l'altre 
ediz.  malamente,  avendo  già  detto  Ugolino ,  Quando  fui  desto 
innanzi  la  dimane y  v.  3j.,  né  restandogli  di  avvisare  che  il 
destamente  de* figliuoli.  «-^Gli  Accademici  della  Gr.  preferirò- 
UQ  la  lezione  erant ,  perchè  meglio  risponde  al  ne  soleva  del 
vei-so  che  segne ,  reputando  così  Veran ,  che  noi  leggiamo  j  er- 
roi*e  degli  amanuensi.  Cosi  il  Biagioli  ne  fa  gran  carico  al  Lom* 
bardi,  e  non  sappiamo  con  quanta  ragione.  Certo  è  che,  rìfiu* 
tando  la  lezione  della  Cruscai ,  difese  la  nostra ,  anche  prima 
del  P.Lombardi ,  l'acutissimo  Pei-azzini  [a^.^^addotto ,  recato. 

46  senti^chiauar  l'uscio  di  sotto .  Suppone  qnesto  parlai*e 
che  rimanesse  quell'oscio  sempre,  almen  di  giorno,  aperto;  ed 
accenna  avvenuto  in  quel  punto  ciò  che  gli  Storici  raccontano, 
che  facessero  cioè  i  Pisani  chiax^ar  la  porta  della  torre ^  e  la 
chioi^e  gittar  in  Aimo  \b\ .  »-♦  Ma  chiavare  ^  in  questo  luogo , 
dice  il  Biagioli,  significa  inchiodare ,  Chiamo  e  chiat^ello  di- 
cevasi  anticamente  quello  che  oggi  comunemente  chiamasi  chio^^ 
do.  Anche  il  Poggiali ,  prima  del  Biagioli,  chiosava:  /l<  del  tm^ 
to  chiusa  Ha  porta)  con  chiavi  ^  o  conficcata  con  grossi  ehiiy 
diz  (^che  Vano  e  Poltro  può  significare  la  voce  chiavare). 

[a]  Correa,  in  Dani,  Comoed.  [b]  Gio.  Tillani  iib.  7.  cap.  137. 


7IX  INFERNO 

All'orribile  torre  :  ond'  io  guardai 

Nel  viso  a*mie'iigliuoi  senza  far  motto. 

Jo  Doo  piangeva,  si  dentro  impietrai:  49 

Piange van  elli^  ed  Ansel  moccio  mio 
Disse:  tu  guardi  sì,  padre,  che  hai? 

Però  'non  lagrimai ,  né  risposto  5a 

Tutto  quel  giorno,  né  la  notte  appresso. 

Di  chiavare  al  senso  di  conficcare ,  inchiodare  j  non  mancano 
esempj  d'altri  Classici.  Franco  Sacchelti,  Op  diu.:  «Le  mani 
»  use  alle  cose  dilicate  di  vita  etema ,  chiovi  aspri  e  dori  eb- 
I»  bonoy  chiavandogliele  i  perfidi  Giudei.  »  E  Fra  Giordano , 
Predici  «Veggiamo  che  alla  croco  si  fa  tanta  riverenza,  per- 
»  che  Cristo  vi  stette  chiamalo  •  »  E  in  Fra  lacopone  si  trova 
i>  scritto;  vchiat^aio  in  questa  croce. a9  4-« 

4?  m^ond^  io  guardai  ec*  Questo  sguardo  d*  anima  quasi 
per  profondo  dolore  istupidita ,  e  questo  terribile  silenzio ,  è 
uno  di  quei  tratti  che  piii  adoperano  che  ogni  altro  parlare. 

48  a*nUe*figliuoij  la  Nidob.;  à*miei  fgliuoi^  l'altre  ediz. 
Il  troncamento  però  della  Nidobeatina  toglie  il  mal  suono  delle 

tutti  ci 

Biagioli ,  

figliuoli  dovrebbegli  chiamare.  Adunque  chiamagli  figlinoli  e 
pel  vincolo  del  sangue,  e  per  la  differenza  dell'età,  e  perchè 
poteva  amarli  come  figliuoli ,  e  perchè  in  quello  statQ  una 
vera  fraternità  formata  s'era  fra  i  suoi  figli  veri  e  i  nipoti,  e 
la  stessa  relazione  fra  lui  e  quelli.  <-« 

49  sì  dentro  impietrai ,  tutti  i  Comentatorì  convengono  a 
chiosare  che  vaglia  quanto,  si  dentro  per  la  foga  del  dolore 
indurai.  Ma  e  perchè  non  piuttosto  sì  restai  di  pietra^  si  7 
cuor  misi  gelò  dallo  spavento  nel  sentir  chiudere  quell'uscio .' 
»^Qui  il  Biagioli  non  ammette  che  la  comune  interprelazione.^-* 

50  Anseìmuccioj  uno  de*due  nipoti  [£]. 

fa]  Tedi  le  note  ai  versi  i3.  e  88.  [h]  Frammenio  ttisioria  pismms^ 
tra  gli  acriUi»ri  ita],  del  Muratori  j  loaa.  a4-  *oL  6S5. 


i 


CANTO  XXXIII.  713 

lufin  che  X  altro  Sol  nel  mondo  nscìo . 
Come  un  poco  di  raggio  si  fu  messo  55 

Nel  doloroso  carcere,  ed  io  scorsi 

Per  quattro  visi  il  mìo  aspetto  stesso, 
Ambo  le  mani  per  dolor  mi  morsi  ^  58 

E  quei,  pensando  ch'io  '1  fessi  per  voglia 

Di  manicar ,  di  subito  levorsi , 
E  disser:  padre,  assai  ci  fia  men  doglia  61 

Se  tu  mangi  di  noi  :  tu  ne  vestisti 

Queste  misere  carni,  e  tu  le  spoglia. 
Quetàmi  allor,  per  non  fargli  più  tristi  :         6 

Quel  dì  e  T altro  stemmo  tutti  muti. 

Ahi  dura  terra,  perchè  non  t'apristi? 

57  Per  quattro  visi  ec.  Non  fuor  di  tempo  fa  qui  Dante 
adUgolino  riflettere  aIIasomiglianza.di  viso  che  verisimilmente 
suppone  avessero  que*  figliuoli  con  esso  lui;  impeioccbè  appunto 
quando  l'oggetto  si  perde,  corre  la  riflessione  a  que' caratteri 
me  il  rendevano  più  amabile.  Ciò  ch'altri  aggiungono,  che 
mirasse  Ugolino  ne' figli  la  pallidezza  e  tristezza  ch'era  in 
lui y  oltre  l'altre  difficoltà,  na  quella  di  far  sembrare  che  pin 
si  rammaricasse  Ugolino  di  sé  stesso,  che  de' figliuoli •»-►  Il 
Biagìoliperò  è  di  parere  che  Ugolino  sui  quattro  visi  de' figliuoli 
vedesse,  non  già  la  sua  somiglianza  ,mar  atteggiamento,  ma 
il  dolore  che  gli  fa  stupidi,  ma  l'infinito  affanno  che  opprime 
e  assorbisce  tutta  l'anima  sua.  ^-m 

58  •->  jimbo  le  man  per  lo  dolor  mi  morsi  ^  legge  il  cod. 
Vat.  Sigg.^-* 

5g  fessi  per  facessi  ^  ad  ugual  modo  eh' è  detto  festi  per 
facesti ,  femmo  per  facemmo  ec. 

60  Manicare  per  mangiare ,  adoprato  da  scrittori  anche  in 
prosa  vedilo  nel  Vocab.  della  Gc.'^leuorsij  sincope  àìleuaronsi. 

61  al  64  di  noij  cioè  delle  nostre  carni.  —  Quetàmi y  sin- 
cope  di  quetaimiy  mi  quetai. 

65  m-^Lodìj  legge  il  Vat.  3199,*  Quel  giorno  ^  l'Ang.  E  R* 
Al  Torelli  piacerebbe  meglio  letto Lun  dì. 4^ 


7i4  INFERNO 

Posciachè  fumino  al  qaarto  dì  venuti ,  67 

Gaddo  mi  si  gittò  disteso  a'  piedi , 
Dicendo,  padre  mio,  che  non  m'aiuti? 

Quivi  morì}  e,  come  tu  mi  vedi,  70 

Vid'io  cascar  li  tre  ad  uno  ad  uno 
Tra  1  quinto  dì  e  1  sesto;  ond'io  mi  diedi 

Già  cieco  a  brancolar  sopra  ciascuno,  73 

£  due  dì  gli  chiamai  poiché  fur  morti: 

67  »-^  Essendosi  detto  dì  poco  sopra ,  forse  va  Ietto  :  al  quar' 
to  divenuti*  Divenire  per  arrivare  usa  Dante ,  Inf.  e.  xiv.  76., 
e.  xviii.  68.9  Pnrg.  e.  in.  46.9  Par.  e.  xni.  62.  Torelli. -«^ 

68  Gaddo  y  uno  de' due  figli  d'Ugolino  [aj.  —  disteso  a 
piedi  f  svenuto,  intendesi»  dalia  fiune. 

69  che  non ,  perchè  non .  _ 

70  7 1  »-^  Quivi  morì;  ec.  Quivi  y  cioè  in  quel  punto ,  come 
Purg.  V»  54«  Quivi  lume  del  del  ne  fece  accorti^  Tokklli.  «-c 
come  tu  mi  vedij  -  F'id*  io  cascar  li  tre  ec.  :  nella  guisa  che  tu 
ora  vedi  me»  cosi  vid'io  cascare  a  terra  morti  gli  altri  tre,  doé 
l'altro  figlio  e  i  due  nipoti* 

72  73  m-^  Tra  il  quarto  dì  e  il  quinto^  legge  TAng*  E.  R.  • 
ond^  io  mi  diedi  ec.  Non  essendo  fiÒL  rattenuta  quella  grand'ani» 
ma  dal  motivo  nel  v,  64«  espresso  ,  rompesi  ogni  freno  e  s'ab- 
bandona all'impeto  che  la  trasporta. Biàgioli.  m^Già  cieco y 
già  per  mancanza  d'alimento  intorbidata  essendosegli  la  vi- 
sta, m-^  Cosi  anche  Torelli.  4-«  DelVuonio  la  prima  parte  a 
morire  sono  sempre  gli  occhi  y  chiosa  il  Vellutello.  »-»  Ma  il 
Biàgioli,  e  meglio,  a  parer  nostro 9  qui  chiosa:  Già.  cieco y  già 
fatto  cieco  dal  mio  disperato  dolore  •  *-m  brancolar ,  cercar  ccule 
mani  tastando  [&]. 

74  •£  due  di  gli  chiamai  poiché  fur  morti  y  la  Nidobeatina 
»-^e  il  cod  Poggiali.  4-8£  tre  dì  gli  chiamiti  poich^e^  ^VAÌtxf 
ediz.  »-^e  il  Vat  3 199. 4^  Riferisce  il  Buti  (ms«  del  fu  Ab. 
Rossi ,  ora  della  Ck>rsini  ) ,  che  otto  giorni  dopo  che  furon  quei 
cinque  disgraziati  privi  di  alimento,  apertasi  la  torre,  furono 

[a]  Lo  stesso  Frammento  ciuio  «Ila  fac.  precedente  •  [b]  Gio.  Tillaoi 
lib.  7.  cap.  1 37. 


CANTO  XXXm.  7i5 

Poscia,  più  che  'I  dolor,  potè  1  digiuno. 
Quand'ebbe  detto  ciò,  con  gli  occhi  torti      76 

Riprese  1  teschio  misero  co' denti, 

Che  furo  alFosso,  come  d'un  can,  forti . 
Ahi  Pisa,  vituperio  delle  genti  79 

Del  bel  paese  là ,  dove  'i  si  suona  ; 


trovati  tutti  morti.  Se  adunque  Onirono  i  figli  di  inorìi*e  nel 
sesto  di,  come  Ugolino  attesta  (t^.  7 a.)  ^  non  sopravvisse  il  me- 
desimo affigli  che  due  giorni. 

76  Poscia  f  più  che  l  dolor ,  ec.  Vuole  il  Venturi  qui  con- 
trastare alla  comune  spiegazione  degl*  Interpreti,  che  il  mag- 
gior dolore  prolungasse  in  Ugolino  l'effetto  dell'inedia,  la  moi*^ 
te  :  perchè  (dice)  io  anzi  stimo  che ,  caeterìs  paribus ,  mori-' 
rebbe  più  presto  ehi  insieme  fosse  trafitto  dal  dolore  e  afii" 
zione  d^ animo  9  e  consumato  dalla  farncy  che  chi  annesse  a 
morire  di  sola  fame*  Se  lo  stimi  pur  egli:  a  noi  basterà  sa- 
per da  Galeno,  che  la  fame  nuoce  disseccando  \a]  ,  e  che  la 
tristezza  ritiene  e  concentra  gli  umori  \bi]  ;  chiara  essendone 

3uindi  la  conseguenza,  che  aee  la  tristezza  ritardare  Teffetto 
el l'inedia,  m-^n  Biagioli  però  piii  pianamente  e  meglio  degli 
altri,  a  parer  nostro,  spiega:  che  la  fame  potè  piii  cne  il  do- 
lore, poiché  quella  e  non  questo  l'uccise.  4-« 

76  ai  78  •-►Tutto  è  dipinto  con  fiere  tinte;  ma  la  fona  del 
terzo  verso  non  ha  espressione  eguale.  Bugioli.  ^-« 

79  80.  delle  genti  -«  del  bel  paese  là ,  doìfe  7  sì  suona. 
Tutti  concordemente  gli  Espositori  ìnìxxkàooodelle  genti  d*  Ita- 
lia ^  dove  per  affermare  diciamo  sì ,  a  differenza  de*  Francesi 
che  dicono  oui,  de'Tedeschi  che  dicono /a  ec.  Ma  non  essen- 
do più  Ugolino  che  parla,  ma  il  PoeU  stesso,  come,  della  sua 
lulia  panando,  può  dire  del  bel  paese  là?  Isa  j  avverte  il  Ci- 
nonio,  è  particella  che  si  dà  al  luogo  y  nel  quale  nò  chi  parla 
è,  né  M  ascolta  [e].  Di  questa  difficoltà  non  nù  pai*e  che 
tucire  si  possa  se  non  per  alcuna  di  queste  due  vie ,  cioè ,  o  che 
Dante,  mentre  questo  canto  scriveva,  trova  vasi  fuor  d*  Italia 

[a]  Commmt  a.  in  Jphorism.  Hippocr.  [b]  Nel  4*  tle  sanilale  luenda. 


7i6  INFERNO 

Poiché  i  vicini  a  te  punir  son  lenti, 
Muovansi  la  Capraia  e  la  Gorgona  ,  Si 

E  faccian  siepe  ad  Arno  in  su  la  foce. 
Si  eh* egli  annieghi  in  te  ogni  persona  « 
Che  se  T  Conte  Ugolino  aveva  voce  85 

(forse  in  Germania,  quando  portossi  ad  inchinare  il  nuovameii* 
te  eletto  Imperatore  Arrigo  di  Lucemburgo  [a]  nel  i3o8),  o 
non  r Italia  tutta,  ma  la  Toscana  intende  egli  pel  bel pae^e; 
e  pel  suonare  del  sì ,  non  il  proferimento  qualunque  della  pa- 
rola vuol  ^li  significare,  ma  un  qualche  sibilo,  con  cui  si  £h 
ce&se  ivi,  più  ch'altrove,  la  parola  stessa  rìsnonare.  •->  Anche 
il  Poggiali  difende  a  lungo  questa  opinione  del  Lombardi.  -Ma 
pel  paese  del  sì  ci  piace  d'Intendere  col  Biagìoli  T Italia  tui* 
ta,  come  il  comprovano  ad  evidenza  due  esempi  da  esso  lui 
citati ,  Tuno  di  Dante  nella  f^ita  nuova ,  l'altro  del  Varchi  nel- 
VErcolano;  e  come  ultimamente  ha  dimostrato  il  eh.  Peni* 
cari  nel  suo  Trattato  degli  autori  del  3oo,  e  nella  P.  ii.  della 
sua  Difesa  di  Dante.  «-Vedi  anche  il  capo  vin.  del  lib.  t .  de 
f^ulg,  Eloq.  di  Dante,  ove  si  esaminano  tre  grandi  divisiooi 
dcir idioma  dell'Europa  meridionale,  secondo  che  i  popoli  di 
questi  paesi  affermando  si  servono  delle  voci  oc,  oi ,  sì;  e  so- 
no, SpagnuoH,  Francesi  e  Italiani.  E.  F. <-« 

8i  f  *viciniy  popoli,  coi  quali  i  Pisani  avevano  a  qae' tempi 
frequenti  brighe . 

82  air84  Muoifansi  la  Capraia  e  la  Gorgona^  la  Nidob.; 
Afuoi'asi  ec.j  l'altre  ediz.,  a-^e  i  codd.  Ang.,  Cact.  e  Vai.  3 199, 
e  con  essi  la  3.  rom.  edizione .  4-«  Capraia  e  Gorgona  sono 
due  isolette  nel  mare  Tirreno,  poco  discoste  dalla  sboccatura 
d'Arno  in  quel  mare.  -^  siepe y  riparo,  argine.  —  Si  ch*egUi 
impedito ,  intendi ,  nel  suo  corso ,  rovesci  l'acque  sopra  Pisa . 
a-» Queste  parole  dimostrano  l'immenso  odio  del  Poeta  contro 
quella  nazione,  d'aver  sofferto  si  atroce  crudeltà  ;  e  non  credo 
cne  Dante  stesso  avesse  potuto  trovare  un'  immagine  più  forte 
e  più  spaventosa  insieme.  Biagìoli. ^-a 

85  86  auei^aifocej  era  vociferato,  tacciato,  — U*a%^r  tra' 
dita  ec.  Vedi  la  nota  al  %f.  1 3.  a^  Pietio  di  Dante  dice  però  9 
che  il  Conte  Ugolino  di  Donoratico  di  Pisa,  cioè  de'Conti  Ghe- 

[a]  Ver)  i  le  Bf  emori t  per  la  vita  di  DaìUe,  J.  ani. 


CANTO  XXXIII.  917 

D' aver  tradita  te  delle  castella , 
NoQ  dovei  tu  i  iìgliuoi  porre  a  tal  croce . 
Innocenti  facea  l'età  novella ,  88 

Novella  Tebe!  Uguccione  e  '1  Brigata, 
£  gli  altri  due  che  '1  canto  suso  appella. 

mrdeachi  »  consegnò  effettivamente  ai  Lacchesi  le  castella  di 
Ripafratta,  d'Asciano  e  della  Vena.  E.  F.  *-m 

bS  al  90  Innocenti  facea  eCé  JVòf^ella  Tebe!  è  vocativo  in- 
terposto, e  come  se  detto  fosse:  o  novella  Tebe!  e  tale  appella 
Pisa  per  la  somiglianza  nello  sparso  cittadinesco  sangue  a  Te- 
be ,  dove  i  primi  abitatori ,  nati  dai  denti  del  drago  da  Cadmo 
seminati ,  tra  di  loro  si  uccisero  :  Penteo  fu  dalla  madre  e  dalle 
sorelle  ammazzato;  Atamante  uccise  Learco  suo  figliuolo;  Eteo- 
cle  e  Polinice  fratelli  si  uccisero  per  cupidità  di  regnare  ec. 
Ecco  come  dee  essere  la  costruzione  :  Uetà  novella ,  cioè  la 
poca  età  {novella  Tebe!  o  Pisa,  Tebe  de'nostrì  tempi!)  /ocea 
innocenti^  esenti  da  colpa  y  Ueuccione  e  V  Brigata  (  Uguc- 
cione era  figlio  del  Conte  Ugolino ,  e  il  Brigata ,  cioè  Mino 
detto  Brigata  j  era  nipote  [a])y  ^-E  gli  altri  due  che  7  canto 
suso  appella  ,  che  questo  medesimo  canto  di  sopra  nomina  » 
cioè  Anselmuccio  j  v,  5o.y  e  Gaddo^  v,  68. 

Questa  novella  età  >  come  quella  onde  giustifica  Dante 
l'aspra  sua  invettiva:  j4hi  Pisa^  vituperio  ec,  viene  con  tutto 
lo  sforzo  contrastata  dal  pisano  cavalier  Flaminio  dal  Borgo 
nelle  tre  prime  dissertazioni  sopra  T istoria  di  Pisa /stampate 
ivi  nel  1761.  Egli  però  sembra  che  questo  dotto  cavaliei-e  piii 
si  meriti  lode  pel  buon  desiderio  di  giovare  al  nome  di  sua  pa- 
tria,  che  per  ottenimento  di  effetto. 

Tre  capi  di  ragione  troppo  grandi  assistono  il  nostro  Poeta. 

Primo.  Ch'egli  viveva  in  Firenze  sua  patria,  ed  aveva  già 
ventitré  anni,  quando  in  Pisa,  discosta  da  Firenze  sole  4^  mu- 
glia, fu  morto  il  Conte  Ugolino  [ij;  e  che,  sebbene  tardò  a 
scrivere  il  presente  suo  poema ,  scrisselo  nondimeno  viventi 
moltissimi  coetanei  suoi  e  maggiori,  ai  quali  non  si  poteva  im- 
pori'c  su  di  un  avvenimento  di  tanto  sti*epito. 

[a]  Cosà  il  precitato  Frammento  d'istoria  Pisana,  [b]  Successe  U  mor» 
le  del  Coale  Ugoliao  nel  1388  (vedi,  tra  gli  altri,  tiio.  ViIIìidì,  LU.  7. 
cap.  1^7*}»  e  Dante  uacque  nel  i'i65,  come  più  vulte  è  detto. 


718 


INFERNO 


Secòtìdo .  Che  tra  i  moltissimi  Storici  cantemporanei  al 
succcssOi  o  vicini,  nissono  ve  ne  ha  che  dica  qoe*figIi  e  nipoti 
di  Ugolino  d'adalta  età  ;  ma  o  niente  dicono  dell'età ,  o  dìconla 
novella.  Anzi  Giovanni  Villani,  parlando  in  maniera  a  onesta 
di  Dante  affatto  simile,  dice  che  per  tale  crudeltà  furorm 
I  Pisani  per  lo  uniiferso  mondo,  ove  si  seppe,  forte  biasi" 
matij  non  tanto  per  lo  Conte,  che  per  li  suoi  difetti  e 
tradimenti  era  per  avventura  degno  di  sì  fatta  morte  ^  ma 
per  li  figliuoli  e  nipoti,  tfC erano  giovani  garzoni  ed  inno' 
centi  [a  J. 

Terzo.  Che  Francesco  daButi  Pbano,  ednno  de^più  ce- 
lebri Comentatori  di  Dante,  destinato  in  Ksa  a  leggere  e  in* 
terpretare  il  medesimo  pubblicamente  circa  il  i385  [A]»  i 
formato  dell'avvenimento,  di  cui  trattiamo,  a  segno,  che 
contaci  egli  di  quegl'  infelici  delle  circostanze  che ,  a  qoanto 
Ycggo,  alU'i  non  raccontano  [e];  Francesco,  dico,  da  Boti  ri- 
sente bensì  e  fa  punto  sali* aspra  invettiva  contro  di  Fìsm  sua 
patria  [^J ,  ma  nondimeno  nulla  oppone  all'e<4  novella  ,  che 
n'è  r unico  fondamento. 

Oh,  dice  il  Cav.  Flaminio  [e],  contano  però  gristoiici, 
che  questi  figli  e  nipoti  del  Conte  maneggiassero  armi,  e  che 
anzi  un  di  loro  mettessesi  in  certo  incontro  alla  testa  di  tmp* 
pa  armata . 

la]  Libro  e  capo  citati .  [b]  Memorie  per  la  nrta  di  Dmmte,  pangr.  17. 
[e]  Francesco  da  Bali  a  qaelle  parole  del  presente  canto  ,  Tra  H  qmmr 
io  dì  e*l  sesto,  c^.  73.  »  cbiosa :  £  questo  finge  tjuiore,  perchè  dope 
gli  otto  dì  ne  furono  cavati ,  e  portati ,  inviluppati  neÙe  stuore^el 
luogo  de* Frati  Minori  a  S.  Francesco,  e  sotterrati  nel  monumento , 
che  è  allato  a  li  scalloni  (  forse  errore  invece  di  scaglioni  )  a  monta* 
re  in  chiesa  alla  parte  del  chiostro ,  co*i  ferri  a  gamba  :  li  quali  feni 
vid^  io  cavati  del  ditto  monimento.  Cosi  nel  ms.  del  fa  A.b.  Bossi  «ed 
ora  delia  Corsini .  [d]  Alle  parole  Muovansi  la  Capraia  e  ta  Gorgo- 
na  ec.y  v.  8a.,  V  Autore  (cbiosa  il  Butì  )  pare  contraddire  a  sé;  im- 
perocché per  ingiustizia  e  per  crudeltà  prega  egli  o  desidera  mag- 
giore crudeltà.  Imperocché  se  male  era  avere  ucciso  cosi crudelmea- 
te  quattro  figliuoli  del  Conte  Ugolino ,  perché  erano  innocenti  dA 
peccato  del  padre,  maggior  crudeltà  era  a  uccidere  et  annegare  tutti 
I  figliuoli  innocenti  de' Pisani,  Dopo  di  qaesto  però,  invece  di  mo- 
strar falso  il  fondamento  della  iuvelliva  ,  cioè  V  età  novella  di  qoei 
figli  e  nipoti  del  Conlé,  e  liberare  da  gravissima  calunnia  la  propria 
patria,  passa  anzi  a  giustificar  Dante  con  dire»  che  parla  esso  retto- 
ricamente  per  exuperatione ,  e  che  poi  anche  non  è  ingiusii  ìa  a  de- 
siderare che  sia  punita  la  università,  quando  la  università  ha  com- 
messo peccato,  [e]  Disscrt.  ^.  u.  aò. ,  ed  in  altri  luoghi  molti  per  euiiw 


CANTO  XXXIII.  719 

Rispondo  primieramenle  che  quegli  Storici  che  parlauo 
in  si  (atta  guisa  di  tutti  in  generale,  un  Taiolì  [a]  ed  un  Tran- 
ci [6]»  e,  se  vi  si  vuole  aggiungere,  anche  Gio.  Villani  [e],  i 
medesimi,  ciò  non  ostante,  diconli  di  età  novella;  e  che  non 
si  può  pretendere,  come  dal  Cavaliere  si  pretende  [d\ ,  eh  er* 
rassero  piuttosto  circa  la  età,  che  di*ca  al  dirli  tutti  armigeri. 
Tanto  più,  che  quegli  Storici  che  nulla  dicono  della  età  come 
il  frammento  d'istoria  Pisana  tantodal  Cavaliere  decantato  [ej, 
non  raccontano  per  armigera  che  uno  solo ,  e  quel  medesimo 
che  dicono  stato  alla  lesta  d'armata  gente  [f\;  al  che  però  se 
abbisognasse  onninamente  quella  età  eh' esso  Cavaliere  preten* 
de,  resterebbe  il  Poetanostra  guarentito  tuttavia  bastantemente 
dalla  ragione  della  maggior  parte,  cioè  dalla  novella  età  de* 
gli  altri  tre. 

Aggiungo  poi  che  il  maneggio  dell'armi  può  bensì  richie* 
dere  in  que' giovani  un*  età  non  affatto  ragazzesca  (  quale  anzi 
male  si  con  farebbe  con  quella  eroica  loro  esibizione  :  padre  ^ 
assai  ci  fia  men  doglia^ Se  tu  mangi  di  noi.*  ec.  [g^j  ma 
non  già  un'età*,  per  cui  (a  que' tempi  massime,  né  quali  piti 
uell*armi  si  ammaestravano  i  figliuoli,  che  nelle  lettera)  posi- 
sano  presumersi  mossi  da  sediziose  mire  contro  della  patria, 
piuttosto  che  da  impero  e  tema  del  genitore  o  nonno:  uomo 
tanto  impetuoso,  che  (riferisce  il  Troncl  [A])  passò  con  un 
pugnale  un  braccio  ad  un  nipote  suo  ;  ed  avrebbelo  anche  finito 
di  uccidere,  se  non  vi  si  fosse  intromessa  gente:  solo  perahè 
dal  nipote  esortato  a  provvedere  d'annona  la  città,  prese  om- 
bra che  aderisse  a' suoi  nemici. 

Maggior  età  arguirebbe  piuttosto  quell'altro  capo,  che 

a  lotte  e  tre  le  prime  dtssertasiont  [a]  Croniche  di  Pisa  mss.  citate  dal 
cavalier  FlaniÌQÌo,dìssert.  S.o.  io.  [b]  jtnnaii Piteni toiioVmnno  ia88. 
[e]  Parlo  così  >  perocché  ilcav.  Fla  mi  dìo  nella  dissert.  a.  n.  10.  cosi  vuol 
inleso  Gio.  Villani;  mentre  però  altro  non  dice  questo  Storico  se  non 
che  nella  presa  del  Conte  Ugoliuo/ii  morto  un  suojtgliuoio  bastar- 
do  f  et  un  suo  nipote,  Lib.  7.  cap.  1  ao.  [d]  Dissert  3.  n.  30.  [e]  DìsserL 
9.  n«  8.  [f\  Vedi  1*  eaudiìato  Frammento  nel  tomo  af*  degli  Scrittori 
à'  Italia  dei  Muratori ,  sotto  Tanno  1988.  [g]  Con  tai  versi  appunto: 
che  sono  il  61  •  e  segg. del  presente  canto,  crìtica  il  Cav.  Flaminio 
(  nella  dissert.  3.  n.  3.  )  l'età  novella  ,  creduta  da  lui  bambinesca;  e 
ricorda  perciò  1*  aTTertimento  di  Orasio  nella  Poetica^  v,  1 1 4*  e  segg.  i 
intererit  multum ,  Davusue  loquatur^  an  heros  : 
Maturusne  senex,  an  adkue  fiorente  iuventa 
Penfidus* 
[/i]   Annali  pisani  sotto  l'anno  1 387. 


-jw  INFERNO 

il  Cavaliere  oppone  [a],  che  uno  de'nipoli  del  G>iite  Ugolino 
avesse  moglie,  quando  si  provasse  essere  stato  questi  uno  dei 
prigioni.  Ma  il  Taioli  [b]  ed  il  Tronci  [e],  cbe  somministrano 
al  Cavaliere  questa  notizia,  altro  non  dicono  se  non,  die  il 
Conte  Ugolino  diede  per  moglie  a  un  suo  nipote  una  figlia 
di  Messer  Guido  da  Caprona^  senza  dircene  il  nome;  e  non 
essendosi  con  la  morte  di  que*  quattro  giovani  estinta  del  tatto 
la  gherardesca  schiatta  [d\ ,  deesi  questo  ammc^liato  nipote 
di  Ugolino  credere  un  altro  dei  quattro  che  insieme  con  lai 
perirono.  Anzi,  essendo  questo  marito  della  figlia  <li  Messer 
Guido  da  Caprona ,  il  medesimo  che  ho  detto  di  sopra  essere 
stato  ferito  dal  Conte  Ugolino  [e],  si  ha  da  credere  che,  se  al- 
cuno de' nipoti  fossesi  dal  nonno  allontanato,  e  rìmaso  fuor  di 
quella  briga,  dovesse  costui  esseme  uno. 

Né  finalmente  per  questo  medesimo  ammogliato  nipote 
puossi  di  certo  inferire  adulta  età  ne'zii  di  lui  e  figli  del  Con- 
te prigioni  ;  imperocché  non  v*ha  chi  non  sappia  accadere  spes- 
so che  sieno  i  zìi  di  minor  età  dei  nipoti . 

Queste  mi  sono  parse  le  opposizioni  piii  d^ne  di  rifles- 
sione nelle  prefate  dissertazioni  del  cavalier  Flaminio  dal 
Borgo. 

Erra  poi  egli  sicuramente  nel  pretendere  \f\  di  trar  &vo- 
rc  all'assunto  suo,  di  smentir  Dante  su  questo  ed  altri  pund 
storici,  da  que' versi  di  Francesco  Stabili,  nomato  volgarmente 
Cecco  d* Ascoli  <,  poeta  al  nostro  contemporaneo  : 
Qui  non  si  canta  al  modo  delle  rane , 
Qia  non  si  canta  iU  modo  del  Poeta 
Che  finge  immaginando  cose  strane, 
JVòn  ueggo  il  Conte  ^  che  per  ira  et  asta 
Ten  forte  r Arcivescovo  Ruggiero , 
Prendendo  del  suo  ceffo  el  fiero  pasto  ,- 
Non  veggo  qui  squadrare  a  Dio  le  fiche. 
Lasso  le  ciance^  e  tomo  su  nel  vero  e 
Le  favole  mi  son  sempre  nemidie  f^]. 
EiTa ,  dico,  il  Cavaliere;  imperocché  ciance  e  favate  ap- 
pella Cecco  non  le  cose  che  racconta  o  suppone  Dante  soc- 


[a]  Dissert.  3.  n.  ao.  [b]  Croniche  di  Pisa  mss.  cit.  dal  cav.  Flamioio 
dissert.  3.  d.  ao.  nelle  note,  [e]  annali  pisani  sotto  l' aooo  i»87.  [d]  Ve- 
di il  cav.  Flaminio»  diss.  3.  n.  i4*  [e]  Vedi  il  Tronci,  Annali  jHsami ^ 
•otto  detto  anno  1 387.  \J\  Nelle  note  alla  diss.  1.  n.  9.  [g]  jiceria,  lib. 
S.  cap.  la 


CANTO  XXXIIL  7^1 

Noi  passa mm' oltre ,  dove  la  gelata  gì 

Ruvidamente  un'altra  gente  fascia , 
Non  volta  in  giù,  ma  tutta  riversata. 

Lo  pianto  stesso  li  pianger  non  lascia  y  94 

£  '1  duol ,  che  traova  in  su  gli  occhi  rintopiK) , 
Si  volve  in  entro  a  far  crescer  l'ambascia  ; 

Che  le  lagrime  prime  &nno  groppo,  97 

eesse  nel  mondo ,  ma  queUe  che  finge  di  aver  trovate  nelPIn- 
temo* 

Prende  per  ultimo  anche  sbaglio  il  cavalier  Flaminio 
accusando  Dante  che  ponga  istoricamente  il  monte ^  -  Per  che 
i  Pisan  veder  Lucca  non  ponno ,  pel  luogo  ove  il  Conte  Ugo* 
lino  configli  e  nitfoti  fosse  preso  [oj,  facendonelo  cosi  discor« 
dare  daGio.  Villani  [6]  e  da  tutti  gì' Istorici  »  che  diconlo  ar- 
restato in  città  y  nel  palazzo  del  popolo.  Mainò;  siccome  le  ca^ 
gne^  il  lupo  e  1  lupicini^  cosi  ancora  esso  monte  sono  tutti 
obbietti  che  &  Dante  sognarsi  dal  Conte  a  significazione  d'al« 
tre  cose:  e  la  sarebbe  in  Tero  stata  bella ,  se  avesse  fatti  dalle 
carne  cacciare  e  raggiugnere  il  lupo  e  i  lupicini  nella  città  e 
nel  palazzo. 

91  doi^e  la  gelata^  lq[ge  la  Nidobeatina;  là'^ve  la  gelata , 
leggono  l'altre  edizioni  »^e  il  Vat.  3 190.  ♦-■ 

92  un* altra  gente.  È  questa  la  terza  dkille  quattro  classi  dei 
traditori  avvisate  nel  canto  precedente,  e.  58.)  la  classe  cioè  di 
quelli  che  hanno  tradito  chi  di  loro  si  fidava,  detta  perciò 7b- 
iommeaj  u.  ia4*  '-^  Jtmndamente  fascia ^  aspramente,  dura- 
mente serra. 

93  al  96  Non  uolta  ingiù ,  ec.  Essendo  a' traditori  di  grave 
pena  Tessere  scoperti ,  come  nel  canto  preccd. ,  t^.  94*  9  confessò 
Bocca  degli  Abati ,  perciò  costoro  che  tradirono  chi  di  essi  fida- 
vasi  ,  come  più  rei  de'precedenti ,  &  Dante  stare  col  viso  riversa* 
to  t  cioè  patente .  -£o  pianto  ec .pianger  non  lascia  .*  dirà  i  I  co- 
me nel  terzetto  seguente«-£7  auoly  ec.  Il  dolore  che  per  mez- 
zo delle  lagi-ime  vorrebbe  sfogare,  trovando  su  gli  occhi  rintop^ 
pò  t  impedimento  >  si  rivolge  al  di  dentro  ad  accrescere  afflizione. 

97  te  lagrime  prime ,  le  prime  eh'  escono .  —  fanno  grop-^ 

[a]  OÌMcrt.  I.  D.  6.  [b]  Dissert  a.  n.  io. 

Foi.  I.  46 


7aa  INFERNO 

Ey  SÌ  come  visiere  di  cristallo, 
Riempion  sotto  1  ciglio  tutto  1  coppo . 

Ed  avvegna  che,  sì  come  d'un  callo,  loo 

Per  la  freddura  ciascun  sentimeato 
Cessato  avesse  del  mio  viso  stallo, 

Già  mi  parea  sentire  alquanto  vento;  io3 

pò  ,  fanno  nodo  (  inviluppo),  perchè  agghiacciandosi  nd  con- 
cavo dell'occhio  pel  soverahio  freddo ,  vietano  alle  seconde  il 
poter  uscir  fuori .  Daitibllo  • 

98  Visiere  di  cristallo*  Visiera,  la  pturte  delV elmo  che 
cuopre  il  viso  9  spiega  il  Vocabolario  della  Crusca ,  e  ne  reca  tra 
gli  altri  esempi  questo  di  Dante. Colai  parte  d*elmo  però  cuo- 
pre solo  la  faccia ,  e  lascia  dei  fori  avanti  agli  occhi;  e  qui  9  tat- 
to al  contrario 9  cuopronoi  ghiacci  solamente  gli  occhi,  e  lascia- 
no scoperta  la  faccia.  Visiere  per  occhiali  spiegano  meglio  il 
Landino,  Vellutello  e  Daniello.  Visiera  appellano  i  Francesi 
nonla  parte  delVelmoche  cuopre  il  uisOyinsL  rapertondeirel- 
mo,  onde  resta  libero  il  vedere:  visière y  ouverture  d*un  co- 
sque  [a] .  I  cristalli  adunque ,  a  guisa  appunto  d'occhiali ,  inca- 
strati nei  fori  che  Telmo  lascia  avanti  agli  occhi  (come  ve  gric- 
castrano  i  Chimici  in  quella  specie  di  celata  con  cui  ricoprono 
il  capo  quando  maneggiano  materie  di  perniciosa  esalazione), 
debbon  essere  le  visiere  di  cristallo  ;  ed  ai  medesimi  dee  qui 
Dante  aver  paragonati  i  ghiacci  soprapposti  agli  occhi  di  quei 
dannati. 

99  al  I  oa  sotto  7  ciglio  tutto  7  coppo.  Coppo  è  propriamen- 
te un  vaso  ;  ma  qui  ponesi  per  cavità  :  e  sotto  il  ciglio  tutto 
il  coppo  vai  quanto  tutta  la  cavita  che  sta  sotto  il  ciglio , 
tutta  r occhiaia,  —  Ed  awegna  che  ec.  Cos trasione:  Ed 
awegna  che  per  la  freddura  j  pel  gran  freddo  eh*  era  colag- 
gi ù,  ciascun  sentimento  cessato  avesse  stallo,  abbandonato 
ik\es$e  stanza,  fuggito  se  ne  fosse,  del  (  per  dal )  mio  viso, 
dalla  mia  faccia,  ^ì  come  d*un  CiUloy  siccome  ogni  sentimen- 
to rimovesi  da  incallita  parte  del  corpo  nostro. 

I  o3  Già  mi  parca  sentire  ec.  :  già  nondi manco  parevami 
di  sentire  del  vento.  Vuole  accennare,  ch'era  quel  vento,  dal 

[a]  Antonini  Diciionn.  Frane, 


CANTO  XXXIIL  713 

Perch'io:  Maestro  mio,  questo  chi  muove? 
Non  è  qaaggiuso  ogni  vapore  s{>ento? 

Ond'egli  a  me:  avaccio  sarai  dove  106 

Di  ciò  ti  farà  V  occhio  la  risposta , 
Veggendo  la  cagion  che  '1  fiato  piove . 

Ed  un  de^  tristi  della  fredda  crosta  109 

Gridò  a  noi  :  o  anime  crudeli 
Tanto,  che  data  v'è  l'ultima  posta, 

Levatemi  dal  viso  i  duri  veli ,  112 

Sì  ch'io  sfoghi  '1  dolor  che  '1  cuor  m'impregna , 
Un  poco  pria  che'l  pianto  si  raggeli. 

muovere  delie  ali  di  Lucifero  cagionato  (  come  uel  principio 
del  seguente  canto  dirà  ),  tanto  impetuoso,  clie  rendevasi  sen- 
sibile agFistessi,  quantunque  già  intirizziti,  sensi . 

io5  iVbft  èquaggiuso  ec.  Intende  che  il  vento  sia  esalazione 
di  vapori  dal  Sole  cagionata,  e  che  a  quel  profondo  1* attività 
de*  solari  raggi  non  an-ivi.  »-»  quaggiù ,  legge  TAng.  E.  R.  4~« 

1 06  allaccio  per  prestamente  adopralo  da  antichi  scrittori 
parecchi  vedilo  nel  Vocab.  della  Cr.  Onde  intendi ,  presta  ìtcn- 
te  giungerai. 

1 08  ^lO^e,  catacresi ,  per  ma/i^a ,  dall' appellarsi  ^/Were  il 
mandar  acqua  che  fa  il  cielo.  — /tato  per  vento  adopralo  an- 
che nel  e.  V.  V.  4^'  deirinf.,  ed  è  pure  adopralo  dal  Peti*arca 
e  da  altri.  Vedi  il  Vocab.  della  Cnisca. 

109  delia  fredda  crosta y  del  ghiaccio,  che  crosta  appella 
per  similitudine  alla  crosta  del  pane;  perocché  come  la  cro- 
sta del  pane  cuopre  il  molle,  così  quel  ghiaccio  l'acqua  di 
Cocito. 

I  f  I  posta  per  posto ,  situazione ,  la  è  voce  adopi'ala  anche 
da  altn .  Vedi  il  Vocab.  della  Cr.  Argomenta  che  sia  loro  de- 
stinata l'ulti  ma  infernale  situazione  dal  sentire  che  verso  quel- 
la cammin  facevano;  ed  essendo  la  medesima  il  luogo  dei  più 
cmpj  traditori ,  perciò  non  dubita  di  chiamarli  anime  crudeli. 
f  I  a  »-»  Tjcvatemi  di  viso  ec. ,  legge  il  Vat.  3 1  f)9.  <•-• 
I  iS  1 14  impregna^  propriamente  imprcgnrirc  vale  ingra^ 
vidarcy  ma  qui  traslati  vameute  pi-r  aggravare  ^  angustiare 


7^4         -         INFERNO 

Perch'  io  a  luì  :  se  vuo'  eh'  i'  ti  sovvegna ,      1 1 5 
Di 01  mi  chi  se'}  e,  s'io  non  ti  disbrigo, 
Ài  fondo  della  ghiaccia  ir  mi  con  veglia. 

Rispose  adunque:  io  soa  frate  Alberigo:        1 18 

— -  Un  poco  ec.y  per  quel  pò*  di  tempo  che  le  sparse  lagrime 
rimarran  fluide. 

1 15  ii6  se  vuo^y  che  legge  la Nidob.,  preferisco  a  se  tnuU 
che  leggono  1*  altre  edizioni  »♦  e  il  Vat.  3 199,  ^-m  per  togliere 
l'oi  dal  vicino  ui.  Vuo^  per  vuoi  adopera  Dante  anche  nel 
canto  V.  V.  53.  deirinf.  —  dù  se\  la  Nidob.  e  la  Fulgin.,  ed 
accorda  colla  risposta  10  son  dae  versi  sotto.  -—  chi  fosti  y  l'al- 
tre edizioni  »-»  e  il  Vat.  3 199;  ed  il  Biagioli  la  sostiene  per  la 
vera  lezione ,  credendo  che  Dante  abbia  scritto  appunto  cosi 

Ser  evitare  il  mal  suono  del  chi  xe*  e  x*  <'•  4-«  disbrigo^  di* 
rigare  f  trar  d' impaccio  »  liberare. 
X  1 7  j!^l  fondo  della  ghiaccia  vale  quanto  al  mezzo  tra  i 
più  iniqui  traditori.  Ghiaccia  fer  ghiaccio  hanno  detto  andbe 
altri  antichi  scrittori .  Vedi  il  Vocab.  della  Cr.  -ir  mi  convegno. 
Con  questa  imprecazione  equivoca  gabbòDante  colai,  facendogli 
credere  che ,  non  attendendo  la  promessa ,  convenissegli  anhr 
in  quel  fondo  a  penare;  mentr'egli  s*  intendeva  di  andarvi  solo 
a  quel  fine  per  cui  sapeva  di  dovervi  andare ,  cioè  per  vedere. 
1 1 8  frate  Alberigo .  Costui  fu  dei  Manfredi  Signori  di  Faen- 
za,  e  nella  sua  ultima  età  diventò  Cavalier  Gaudente;  onde  Ììi 
detto  fiate  Alberigo.  E  poi  fu  tanto  crudele,  che,  essendo  in 
discordia  co'consorti ,  cupido  di  levarli  di  terra ,  finse  di  volere 
riconciliarsi  con  loro;  e,  dopo  la  pace  fatta,  gli  convitò  magni- 
ficamente, e  nella  fine  del  convito  comandò  che  venissero  le 
frutta,  le  quali  eran  segno  dato  a  quelli  che  avessero  ad  ucci- 
derli. Adunque  di  subito  saltarono  dentro,  ed  uccisero  tutti 
3uelli  che  Alberigo  voleva  che  morissero.  Làitdibo.  ->  *  Una  nota 
el  cod.  Cass.  ci  fa  sapere  che  gli  uccisi  a  ti^adimento  fiuìono 
i  due  fratelli  Manfredo  ed  jilberghetto ,  nipoti  di  detto  frale 
Alberigo.  E.  R.  »-»]Vfa  se  dobbiam  prestar  fede  al  Boccaccio, 
Alberghetto  non  fu  fratello,  ma  figlio  di  Manfredo.  Fanciullo 
com*  egli  era ,  assalito  che  vide  il  padre ,  corse  a  nascondersi  ira 
la  cappa  di  Alberigo,  sotto  la  quale  fu  ucciso.  -  Pietro  di  Dante 
coucoixla ,  e  chiama  Alberghetto  o  Alberighetto  questo  piccolo 
figliuolo  di  Manfredi.  E.  F.  «-«  Dell*  Istituto  decitati  Gaudenti 


CANTO  XXXIII.  7^5 

Io  soD  quel  dalle  fratta  del  mal  orto , 
Che  qui  ripreudo  dattero  per  figo. 

O,  dissi  luì,  or  se* tu  ancor  morto?  121 

Ed  egli  a  me  :  come  il  mio  cor[)0  stea 
Nel  mondo  su,  nulla  scienzìa  porto . 

Cotal  vantaggio  ha  questa  Tolommea,  1 14 

e  della  cagione  dì  cotal  soprannome  vedi  la  nota  al  y.  i  o3.  del 
passato  canto  zxiii. 

itg  Io  san  quel  dalle  frutta  ec.  Allegorìa  allusiva  al  detto 
tradimento  di  Alberigo:  e  furono  veramente  di  mal  orto  tali 
fimtta.  —  dalle  frutta  con  la  Nidob.  leggevano  l'Aldina  e,  a 
quanto  veggo  9  tutte  le  antiche  edìs.  Agli  Accad.  della  Cr.  è 
parso  <U  dover  seguire  la  lezione  di  pochi  testi,  delle  frutte 
(  •-►che  è  pur  quella  del  Vat.  3  iQQ'*-*  )  9  credendo  che  non  si 
trovi  frutta  nel  numero  del  più.  Vedi  però  9  lettore,  il  Vo- 
cab.  aella  Cr.,  che  sotto  la  voce  Frutto  ne  reca  gli  esempj. 

I  ao  riprendo ,  ricevo  9  dattero  per  figo  :  prosiegue  Tali  ego  • 
ria  9  e  vale  quanto  abbondante  contraccambio  9  per  essere  il 
dattero  un  frutto  pii  del  fico  pregiabile  •  figo  per  ftco  9  antitesi 
a  cagion*dellarima9  e  ad  imitazione  fors'ancne  di  alcuni  italiani 
dialetti  che  figo  pronunziano,  come  il  veneziano  e  il  lombardo. 

lai  ^tt  ancor f  tu  pure 9  intendi,  come  lo  sono  questi  altri* 
Fa  il  Poeta  questa  dimanda  9  perocché  crede  vaio  9  com'era  in- 
fatti 9  ancor  vivente.  a-^Per  dai*e  una  segnalata  idea  (osserva  il 
sig.  Poggiali)  del  particolar  rigore 9  col  quale  la  divina  giustizia 
vendica  questa  qualità  di  tradimenti  9  suppone  Dante  che  l'ani« 
ma  di  questi  traditori  sia  stata  precipitata  nell'lnrem09  com- 
messo appena  Patroce  misfatto  9  subentrando  nel  loro  corpo 
un  demonio  che  lo  anima  fino  al  termine  già  loro  prescrìtto 
di  vita.4-c 

I  aa  come  il  mio  corpo  stea  9  cioè  se  sia  vivo  o  morto,  ^stea 
e  dea  (t^.  ia6.)  invece  di  stia  e  dia  trovansi  da  buoni  antichi 
scrittorì  adoperati  anche  in  prosa;  ma  ora  sono  dimessi  [aj. 

1  a3  porto  •  Portare  per  attere  9  come  diciamo  comunemen- 
to  portare  opinione  in  luogo  di  attere  opinione . 

I  a4  Cotal  vantaggio  9  detto  ironicamente  invece  di  cotal 

fa]  'Vedi  Mastrofiut»  Teoria  e  Prospetto  de  verbi  italiani,  notio  il  ver- 
bo  Stare,  n.  i6. 


15- 


^^6  INFERNO 

Che  spesse  volte  TaDima  ci  cade, 
IrinaDzr  cli'AtrojK>s  mossa  le  dea . 

E ,  i)erchè  tu  più  voleniier  mi  rade 
Le  'nvetrìate  lagrime  dal  volto, 
Sappi,  che  tosto  che  l'aDima  trade, 

Come  fec'io,  il  corpo  suo  Tè  tolto  i3) 

Da  un  dimonio,  che  poscia  il  governa, 
Mentre  che  ì  tempo  suo  tutto  sia  volto. 

Ella  ruina  in  siffatta  cisterna:  i33 

di  sgrazia  ^  B^e  crudele  ironia  la  chiama  anche  il  Biagìoli. 
Ala  gli  Editori  bolognesi  non  sanno  scoi^ervi  questa  ironìa,  e 
spiegano  :  questa  Tolommea  ha  cotal  soprappià ,  adifferenza 
dalle  altre  sfere.-ln  egual  modo  chiosa  anche  il  P(^giali.«4 
(juesta  Tolommea  j  questa  porzione  d'Inferno  appellata  Tolom- 
tneoj  da  Tolorameo,  Re  d'Egitto,  traditore  dì  Pompeo  Magn< 
che  era  a  lui  ricorso  dopo  la  rotta  di  Farsaglia  ;  o  da  Tolom- 
meo,  genero  di  Simone  Maccabeo,  che  uccìse  per  tradimealj 
il  suocero  e  due  suoi  cognati  andati  da  lui  ad  alloggiare. 

126  ci  equivale  a  qui  {a\, 

1 26  Atropos ,  una  delle  tre  Parche ,  quella  che ,  reddenù  > 
il  vital  filo,  dà  la  morte  all'uomo;  nel  dar  la  quale  dà  mossa 
all'anima  verso  l'eterno  suo  destino. 

lay  al  i32  trade  per  tradisce ^  come  dicesi  comnnemeDtr 
appare  per  apparisce ,  —  Mentre  vale  fino  a  eh  e. -^  il  iemj- 
sitOj  il  tempo  che  doveva  star  con  l'anima.  »-►  Mii^bile  <k't- 
trina  si  nasconde  sotto  queste  parole,  essendo  intendimento  ic< 
Poeta  di  darci  una  lezione  di  grande  importanza  pel  riposo  del- 
le rnmiglie  e  di  tutta  la  società.  Questa  si  è  che  Taomo,  chr 
s*è  una  volta  insozzato  e  tinto  di  tradimento,  non  è  piii  nomo, 
e  perciò  pronto  ad  ogni  occasione  a  qualsivoglia  scelleratezza. 
s<!ntimento  verissimo,  perchè,  come  dice  Boezio,  chi  lascU 
la  probità  non  è  più  uomo .  E  chi  più  del  ti^aditorc  dalla  piv- 
bìtà  s'allontana?  6iagioli.<«-« 

l'.V.^  in  siffatta  cisterna  ^  in  questo  infemal  pozzo  j  cc-a 
appellato  nel  canto  xxxi.  v.  33. 

[a]  Vedi  il  CiuoD.  Parlic.  4^«  e  4* 


CANTO  XXXm.  7^7 

£  forse  pare  ancor  lo  corpo  suso 
Dell'ombra,  che  di  qua  dietro  lui  verna. 

Tu  '1  dei  saper,  se  tu  vien  pur  mo  giuso:     i36 
Egli  è  ser  Branca  d'Oria^  e  son  più  anni 
Poscia  passati  ch*el  fu  sì  racchiuso. 

Io  credo,  diss'io  lui,  che  tu  m'inganni;        iSq 
Che  Branca  d'Oria  non  morì  unquanche, 
E  mangia,  e  bee,  e  dorme,  e  veste  panni. 

Nel  fosso  su,  diss'ei,  di  Malebranche,  i43 

Là  dove  bolle  la  tenace  pece. 
Non  era  giunto  ancora  Michel  Zanche, 

Che  questi  lasciò  un  diavol  in  sua  vece         ìJ\5 

i34  lìojorsej  Don  avendo  scienza  neppur  del  proprio  cor- 
po (f^.  ia3.)  e  molto  meno  dell*  altrui , -^  pare  per  vedesi  ^ 
—  suso,  nel  mondo.  —  DelVombra^  di  quest'anima,  —  che 
di  qua  dietro  mi  verna  j  che  sta  nel  verno,  nel  ghiaccio,  di 
qua  dietro  a  me. 

1 36  pur  mo ,  ora  solamente.  —  giuso ,  dal  mondo . 

i37  i38  ser  Branca  d^Oria^  Genovese,  il  quale  uccise  a 
tradimento  Michel  Zanche,  suo  suocero,  per  torgli  il  Giudi- 
cato di  Logodoroin  Sardegna.  Volpi.  ■-♦Di  costui  si  è  parlato 
sopra  alla  nota  del  e.  xxii.  u.  88.4-v  e  son  ec,  e  più  anni  sono 
passati  dopo  che  fu  egli  si  raccJiiuso ,  così  serrato  e  stretto, 
corneo,  in  questo  ghiaccio. 

i4o  unauanche^  mai. 

143  \^i  fosso  di  Malebranche j^-doi^e  ec,  luogo  d'Infer- 
no, dove  punisce  Dante  i  barattieri;  e  tale  lo  appella  dal  no- 
me di  Malebranche  che  dà  ai  demonj  che  a  quello  presieg- 
gono.  Vedi  Inf.  canto  xxi.  3^.,  e  xzii.  100. 

i44  ^chel  Zanche ,  V  ucciso  proditoriamente  da  ser  Bran- 
ca d'Oria,  messo  egli  pure  dal  Poeta  nell* Inferno  tra  i  barat- 
tieri. Vedi  canto  zzii.  88. 

■  4^  questi f  Branca  d'Oria,  lasciò  un  dias^oly  la  Nidob.; 
lasciò  7  dia%H>loj  l'altre  edizioni,  ■-►e  l'Ang.  E.  R.  e  il  cod. 
Vat.  3 199;4-«  ma  la  Nidob.  accorda  meglio  col  detto  di  sopra, 
il  corpo  suo  rè  tolto  '^Da  un  dimenio^  %nf.  i3o.  e  i3i. 


7x8  INFERNO 

Nel  corpo  suo,  a  d'un  suo  prossimaoo, 

Che  'J  tradimeato  insieme  con  lui  fece  • 
Ma  distendi  oramai  in  qua  la  mano ,  1 48 

Aprimi  gli  occhi,  ed  io  non  gliele  aj^ersi, 

E  cortesia  fu  lui  esser  villano . 
Ahi  Genovesi,  uomini  diversi  i5i 

D'ogni  costume,  e  pien  d'ogni  magagna! 

Perchè  non  siete  voi  del  mondo  spersi  ? 
Che  col  peggiore  spirto  di  Romagna  i54 

Trovai  un  tal  di  voi ,  che ,  [)er  sua  opra , 

In  anima  in  Cocito  già  si  bagna , 
Ed  in  corpo  par  vivo  ancor  di  sopra. 


1^6 prossimanoj  congiunto ,  parente:  dicono  essere  state 
un  suo  nipote  che  l'aiutò  all'atto  proditorio.  Vivrumi. 

1 49  1 5  o  gliele  lo  stesso  theglieiL  Vedi  Cinon.  Panie.  1 1^  i . 
«-►11  Vaticano  3 199  legge,  non  li  Capersi. ^^ '-cortesia  fct 
azione  giusta ^  dottata,  sì  per  riguardo  alla  divina  ginstiiiif 
che  per  riguardo  al  di  lui  merito  j  non  si  meritando  fede  diì 
la  fede  tradisce,  m^fua  luij  l^ge  l*Ang.  E.  R.4hì 

i54  peggiore  spirto  di  Romagna ^  firate  Alberigo,  pcn)c- 
che,  com*è  detto,  fu  di  Faenza,  città  di  Romagna. 

1 55  Troifai  per  intesi  trottarsi  j  -  un  tal  di  vai^  aer  Bran* 
ca  d'Oria,  "^per  sua  opra^  per  gastigo  dell'iniquo  ano  ope- 
rare. 

i56  loy  In  anima  ed  in  corpo  vale  fl  medesimo  ohe  eoa 

Inanima  e  col  corpo  ,*  come ,  per  cagion  d'esempio,  dicesi  /mit- 

lare  in  aria  brusca  invece  di  parlare  con  aria  brusca,  -^i 

to ,  nome  di  quell'agghiacciato  infemal  finme.  Vedi  In£  e 

ia3.  — di  sopra  f  nel  mondo. 


CANTO  XXXIV. 


ARGOMENTO 

In  questo  ultimo  canto  si  tratta  della  quarta  ed  ul- 
tima sfera  del  nono  ed  ultimo  cerchio  appellato 
Giudeccuy  dove  si  puniscono  coloro  che  hanno  fatto 
tradimento  a*  lor  benefattori  i  e  sono  tutti  coperti 
diU ghiaccio:  e  nel  mezzo  di  essa  v^è  posto  Lucifero , 
per  lo  dosso  del  quale  descrive  Dante  commessi  pas- 
sarono  il  centro  della  terra,  ed  indi  salirono  a  ri- 
veder le  stelle. 

i^exilla  Regis  prodeunt  Inferni  i 

Verso  di  noi  ;  però  dinanzi  mira , 

1  a  Vexilla  Regis  prodeunt  è  il  primo  verso  del  sacro  inno 
che  dalla  Quesa  si  canta  al  vessillo  di  G.C. ,  cioè  alla  croce; 
e  lo  incastra  qui  Dante  a  scherno,  dee  credersi,  del  superbo 
attentato  di  Lucifero  d' uguagliarsi  a  Dio,  e  per  far  maggior- 
mente risaltare  il  di  lui  avvilimento,  e  non  già  per  mancanza 
di  rispetto  alle  sacre  parole,  come  scrupoleggia  il  Venturi.  — 
prodeunt  f/erifo  di  noi  ^  si  sporgono  ver  noi.  Intende  per  questi 
vessilli  le  grand'  ali  di  Lucifero  •  ■-»  Quelli  a  cui  non  piacessero 
le  parole  latine,  che  qui  ed  altrove  Dante  usa  nel  suo  poema, 
leggano  ciò  che  ne  scrisse  il  fiero  crìtico  anche  de'piii  celebra- 
ti autori,  Giuseppe  Baretti,  nella  sua  Dissertazione  inglese  in- 
tomo l'italiana  poesia  contro  il  Saggio  di  Voltaire  su  i  poeti 
epici:  «  E  d'uopo  por  mente  (die' egli  nella  versione  che  di 
»  questo  passo  ne  lece  il  eh.  sig.  Ab.  Portirelli  )  ad  un'altra 
M  delle  particolari  bellezze  sue  (  parla  di  Dante  ),  la  quale  ò 
M  d*aver  egli  sparse  nel  suo  poema  parecchie  parole  e  frasi ,  ed 
»>  anche  iutiei'e  linee  e  terzine  in  puro  latino.  La  qual  cosa, 


N 


73o  INFERNO 

Disse  '1  Maestro  mio,  se  tu  1  discerni. 

Come,  quando  una  grossa  nebbia  spira,  4 

O  quando  Temisperio  nostro  annotta. 
Par  da  lungi  un  mulin  che  'I  vento  gira , 

Veder  mi  parve  un  tal  difìcio  allotta:  7 

Poi,  per  lo  vento,  mi  ristrinsi  retro 
Al  Duca  mio;  che  non  v'era  altra  grotta. 

n  da  lui  fatta  con  infinita  grazia  e  convenevolezza  y  sembrp- 
»  rebbe  forse  ridicola  in  ogni  altra  lingua  vivente;  ma  nel- 
»  r italiana  y  e  particolarmente  nel  poema  di  Dante,  produce 
»  un  vago  effetto  9  e  aggiugne  molta  forza  e  dignità  al  suo  sti- 
»  le,  non  solo  perchè  Dante  seppe  benissimo  scegliere  quelle 
»  parole  e  frasi  latine  che  hanno  una  somiglianza  di  suono 
»  colle  toscane  y  ma  ancora  perchè  niun' altra  vivente  lingua 
»  ha  tanla  affinità  colla  latina,  quanta  ne  ha  la  nostra.  Di  più 
»  è  da  notare ,  che  tutto  il  latino  eh'  egli  seminò  qua  e  là  nel 
»  suo  poema,  è  tutto  preso  dai  sacri  libri,  nello  stile  de* quali 
»  ha  procurato  sempre  di  scrivere.  »^-m 

3  se  tu  7  discernì ,  se  tu  vedi  lui ,  cioè  il  Re  infernale ,  Lu- 
cifero • 

Sgrossa  nebbia  spira,  O  dice  spira  in  luogo  di  esala y 
intendendo  essere  la  nebbia,  come  la  è  di  fatto,  una  esala- 
zione di  vapori  dalla  terra  e  dall'acqua ,  ovvero  appropria  lo 
spirare  che  è  dell'  aria  alla  nebbia ,  perciocché  è  daìr  aria  por> 
tata  e  mossa . 

6  7  jPor,  comparisce,  -*  Un  mulin  che  7  v^ento  gira^  un 
mulino  a  vento,  che  ha  ali  grandissime •  —  dificio  per  edifi- 
cio y  o  per  uso  o  per  aferesi ,  detto  anche  in  prosa  vedilo  nel 
y  ocab.  della  Gr.  —  allotta  per  allora  pur  anche  in  prosa  det- 
to vedi  nello  stesso  Vocabolario. 

8  Qper  lo  vento ,  intendi ,  per  mettersi  al  coperto  del  ven- 
to. -—  mi  ristrinsi  retro  ~Al  Duca  mio  ,  mi  misi  dietro  alla 
schiena  di  Virgilio.  —  che  \n\ii poiché,  —  non  v  era  altra 
grotta.  Grotta  per  ripa  adopera  Dante  altrove  [a]  ;  qui  per 
riparo  contro  del  vento,  t^^chc  non  lì  er* altra  grotta  j  1^- 
gè  il  cod.  Vat.  3 199. 4-« 

[a]  Inf.  zìi.  110.  Piirg.  xtii.  45. 


CANTO  XXXIV.  73i 

Già  era  ,  e  con  paura  il  metto  in  metro,         io 
Là  dove  T ombre  tutte  erau  coverte, 
E  traspareau  come  festuca  in  vetro . 

Altre  son  a  giacere,  altre  stanno  erte,  i3 

Quella  col  capo,  e  quella  con  le  piante. 
Altra ,  com'  arco ,  il  volto  a'  piedi  inverte . 

Quando  noi  fummo  fatti  tanto  avante,  i6 

Ch'ai  mio  Maestro  piacque  di  mostrarmi 
La  creatura  ch'ebbe  il  bel  sembiante, 

Dinanzi  mi  si  tolse,  e  fé' restarmi;  ig 

1 1  tutte  eran  coverte.  Vale  tutte  quanto  totalmente ^  senza 
avere  veruna  parte  del  corpo  fuor  del  ghiaccio  ;  come  l'avevano 
ciascuna  delle  tre  sopraddescrìtte  classi  de' traditori.  •-» Queste 
aoinie  sono  rinchiuse  affatto  nel  ghiaccio  a  differenza  di  tutte 
le  altre;  e  ciò  per  adeguare  col  maggior  peccato  il  tormento 
maggiore .  E  qui  s'ammiri  ancora  V arte  del  Poeta  d*aver  sapu- 
to nel  luogo  stesso,  e  con  un  sol  mezzo,  diversificare ,  giusta  il 
più  e  il  meno,  i  dolorosi  effetti  di  quel  supplizio.  Biagioli  •  4-c 

I  a  come  festuca  in  vetro ,  come  talvolta  nel  corpo  del  ve- 
tro vedesi  racchiuso  qualche  fuscellino  di  legno ,  di  paglia,  o 
d'altra  simil  cosa. 

i3  son  a  giacere  ^  la  Nidobeatina  »-^e  il  Vat.  3i99;4-c 
stanno  a  giacere  ^  T  altre  edizioni  m-^  e  l'Ang.  E.  R.  4-c 

1 4  Quella  col  capo ,  intendi  sta  erta  •  —  e  quella  con  le 
piante y  parimenti  intendi  sta  erta^  cioè  sta  coi  piedi  in  alto. 
•-►  Qual  va  col  corpo  y  guai  va  con  le  piante  j  variante  del 
cod.  Ang.  E.  R.  4-« 

1 5  inverte ,  rivolta . 

i6  w^  parve  j  invece  à\  piacque  y  legge  il  cod.  Poggiali  «  4-c 
i8  La  creatura  eh*  ebbe  il  bel  sembiante ^  Lucifero,  pe- 
rocché fu  Angelo,  e  tale  che,  dice  il  Maestro  delle  sentenze, 


siarmij  pei*occhè  andavano. 
[a]  Lib   a,  dist.  6. 


73i  INFERNO 

Ecco  Dite ,  dicendo ,  ed  ecco  il  loco , 

Ove  convien  che  di  fortezza  t'armi . 
Gom'io  divenni  allor  gelato  e  fioco,  22 

Noi  dimandar ,  Lettor ,  eh'  i'  non  lo  scrivo , 

Però  eh'  ogni  parlar  sarebbe  poco . 
Io  non  mori',  e  non  rimasi  vivo:  ^5 

Pensa  oramai  per  te,  s'hai  fior  d'ingc^o, 

Qual  io  divenni,  d'uno  e  d altro  privo. 
Lo  'mperador  del  doloroso  regno  28 

Da  mezzo  'I  petto  ascia  fuor  della  ghiaccia  ; 

£  più  con  un  gigante  i*mi  convegno. 
Che  i  giganti  non  fan  con  le  sue  braccia  :        3 1 

Vedi  oggi  mai  quant' esser  dee  quel  tutto 

Gh'  a  cosi  fatta  parte  si  conj&ccia . 

20  Dite  appella  Lucifero ,  riconoscendo  in  esso  il  Pimene , 
Re  deirinfemoy  da* Gentili  appellato  anche  Dite  [aj. 

24  9^  Però  ec.  Perciocché,  siccome  dice  nel  suo  Canvi- 
uioj  la  lingua  non  è  di  quello,  che  lo  'ntelletto  vede^  convin- 
tamente seguace.  Biagioli.4-c 

26  Pensa  ornai  tu  per  te,  la  Nidobeatina;  Pensa  aramai 
per  re,  l'altre  edizioiii,  »-^enoi  coi  codd.  VaL  819^,  Ang.  e 
Caet.,  e  colla  3.  romana  edizione,  ad  oggetto  di  evitai^  quel 
disgustoso  tu  per  te.  «-e/for,  avverbio,  vale  un  tantino.  Vedi 
Int  e.  XXV.  i44*  s-^MaU  Biagioli  lo  vuole  un  sostantivo,  die 
significa  una  minima  particella  del  tutto  onde  si  parla,  e  quasi 
un  suo  elemento.  4-v 

27  iTuno  e  ìT altro  priuo;  di  morte  e  di  vita.  Privo  di 
morte ,  perchè  coli'  anima  non  ancora  disgiunta  dal  corpo  ;  pri- 
vo di  vita,  perchè  rimaso  senza  Puso  de  sentimenti .  Veittubi. 

28  al  33  •-►  Lucifero  sta  in  un  pozzo,  il  cui  centro  è  quello 
deir  uni  verso.  La  circolar  parte  intema  d'esso  pozzo  è  smoal 
centro  d*  un  sol  masso  di  ghiaccio,  dal  quale  Lucifero  è  cinto 
intorno  intorno  ;  l'altra  metà  è  tutta  di  pietra.  Da  mezzo  il  petto 

[a]  Vedi  tuUi  i  Mitologi . 


CANTO  XXXIV.  733 

S'ei  fu  sì  bel,  com'egli  è  ora  brutto,  34 

£  coQtra  '1  suo  Fattore  alzò  le  ciglia , 
Ben  dee  da  lui  procedere  ogni  lutto. 

in  SQ,  che  è  la  quarta  parte  superiore  di  quell'enorme  corpo  , 
avanza  Lucifero  fuori  dall'orlo  del  pozzo  9  nel  nostro  emispe- 
rio  ;  e  dalle  ginocchia  alle  piante  y  che  è  il  quarto  della  parte 
inferiore  del  corpo  stesso ,  avanza  fuori  del  pozzo  9  neiraltro 
eniisperio.  Lucifero  è  alto  braccia  3ooo;  adunque  la  parte  del 
corpo  suo,  che  sta  nascosta  nel  pozzo >  sono  i  due  quarti  di 
mezzo  del  tutto  9  ossia  braccia  i5oo;  e  tanta  è  pure  1  altezza 
del  pozzo.  Il  centro  del  corpo  di  Lucifero,  determinato  dal 
Poeta  ai  »^.  76.  e  77.,  sta  appunto  nel  centro  del  pozzo ,  ossia 
dell'  universo  1  e  però  ivi  è  quello  smisurato  corpo  sospeso  . 
BiAGiOLi.  —  L* altezza  di  statura  sopra  assegnata  dal  sig.  Bia- 
gìoli  a  Lucifero }  ci  sembra  esagerata,  e  desunta  da  calcoli  me* 
raiaente  ipotetici  ed  arbitrar).  Egli  è  vero  però  che  dal  poe- 
ma non  SI  hanno  i  dati  necessari  per  fissarla  con  esattezza.  Il 
Manetti  trovò  corrispondere  quella  diNembrot  a  braccia  fioren- 
tine 44  »  eda  essa  quella  di  Luciferone  desunse  di  braccia  aooo. 

—  Il  Posali  non  assegnò  a  Nembrot  che  braccia  a6  di  altez- 
za ;  per  cui  y  seguendo  i  computi  del  Manetti ,  Luci&ro  non  sa- 
rebbe alto  che  braccia  1 182.  Queste  differenze  fanno  pertanlo 
conoscere  la  difficoltà  di  poter  soddis£u«  con  precisione  a  sif- 
fatta ricerca.  Da  ciò  che  è  detto  ai  tv.  58.  al  6b.j  e  1 13.  e  seg. 
del  passato  e.  xxzi» ,  ed  ai  i^t^.  3o  e  3 1 .  del  presente ,  ci  sembra 
che  non  si  possa  determinare  (  e  ciò  anche  in  via  di  semplice 
approssimazione  )  che  il  limile  in  più  dell'  altezza  di  Nembrat , 
ed  il  limite  in  meno  di  quella  di  Lucifero:  l'uno  cosi  trovia- 
mo risultare  di  braccia  3o  ed  un  terzo,  e  l' altro  di  simili  1 000 
circa  :  calcolo  che  anche  il  lettore  mediocremente  in  arìmme- 
tica  esercitato  potrà  da  sé  istituire  e  verificare  •  <-■  E  più  ec. 
Più  io  m'accosto  alla  gi*andezza  di  un  gigante  y  che  non  s'ac- 
costino i  giganti  alla  grandezza  delle  sole  di  lui  braccia.  «-►  Che 
giganti  j  senza  V  articolo,  legge  il  cod.  Vat.  3 1 99. 4-a  ogginuù 
lo  stesso  che  oramai  [a].  —  guel  tutto ^  quel  corpo  intero. 

—  Ch*a  così  fatta  parte ^  a  cosi  grande  braccio,  —  «  co/i- 
f accia  I  corrisponda  • 

34  al  36  S*  ei  fu  si  bel  ec.  La  particella  se  dee  qui  valere 

[a]  Vedi  Oinonio  Parti  e»  iS3.  3. 


734  INFERNO 

O  quanto  parve  a  me  gran  meraviglia  ,  3; 

Quando  vidi  tre  facce  alla  sua  testa! 

L'una  dinanzi ,  e  quella  era  vermiglia  : 
L'altre  eran  due  che  s'aggiungien  a  questa      4*' 

Sovresso  '1  mezzo  di  ciascuna  spalla. 


{ìoichè  j  perciocché  j  o  simile  \a\  ,  e  dee  qaesto  ristretto  ed  el- 
ìttico  parlare  intendersi  come  se  più  in  lai^o  detto  fosse:  ben 
si  capisce  come  sia  in  colui  tanta  nequizia,  che  traboccando 
cagionasse  ogni  lutto,  ogni  miseria  e  negli  Angeli  e  nc^  uo- 
mini ,  per  prava  di  lui  instigazione  caduti  in  peccato  edin  pe- 
na ;  perciocché  essendo  egli  stato  da  Dio  adornato  di  altrettanta 
bellezza,  ouanta  ha  ora  deformità,  invece  di  essere  grato  a 
Dio  di  si  alto  favore,  alzò  le  ciglia  ec,  rivoltossi  superba- 
mente contro  del  medesimo .  »-^  Questa  spiegazione  non  è  ade- 
guata all'intendimento  del  Poeta,  per  quanto  sembra  al  Bìa- 
gioii,  e  ne  dà  questa:  «  se  liucifero  fu  già  si  bello,  com'egli 
Vi  è  ora  brutto,  e  s'egli  fu  già  sì  beato,  com'egli  fu  bello,  gio- 
»  sto  è  ch'egli  sia  ora  brutto ,  quanto  è  di  fatto  >  e  che  la  sua 
»  miseria  sìa  proporzionata  alla  sua  bruttezza  ,o  —  Il  sig.  Sal- 
vatore Betti  nella  3.  rom.  edizione  ha  spiegato  questo  passo  co- 
me segue  s^eglij  essendo  sì  bello  come  ora  è  sì  brut  io ,  ttrf- 
tauia  si  ribellò  al  suo  Fattore ,  com^iene  ben  dire  di' egli 
sia  veramente  la  fonte  d^ ogni  nequizia  e  drogai  danno. 
—  Una  consimile  spiegazione  troviamo  nella  E.  B. ,  —  e  fra  le 
sopraesposte  ci  send>ra  al  certo  da  preferirsi .  4hi 

Sj  0  quanto  ec-  Costruzione:  O  quanto  gran  mera^glia 
(per  cosa  maravigllosa ) ^a/ve  a  me,  m'apparve,  mi  si  pre- 
sentò . 

37  Vana  dinanzi,  al  solito  sito  sopra  il  mezzo  del  petto. 

40  4*  s^aggiungien  a  questa ^Soìtcsso  V  mezzo,  la  Ni- 
dobcatina;  s'* aggiungono  a  questa  ^Sovr*  esso  ec. ,  Taltr*  edi- 
zioni, m-¥c  coi  codd.  Vat.  3199  e  Caet.  la  3.  rom.  edizione:  e 
s^aggiungeano  j  leg^e  l'Ang.  E.  R.  4-«  Sot^resso  non  vai  più 
che  sottra  o  sopra  [6]  ;  e  che  le  due  facce  aggiunte  alla  dinan- 
zi, situate  fosseix)  sopra  il  mezzo  di  ciascuna  spalla,  Tonle 

[a\  Vedine  altri  esempj  presso  il  CìnontQ,  Pai  tic,  a*i3.  i5.  [Ir]  Vedi  U 
slesso  Ci  nonio,  Parli  e,  a3i.  i3. 


CANTO  XXXIV.  735 

E  si  giungieno  al  luogo  della  cresta; 
E  la  destra  parea  tra  bianca  e  gialla  :  43 

La  sinistra  a  vedere  era  tal,  quali 
Vengon  di  là  ove  *1  Nilo  s'avvalla. 

dire  che  stasse  il  loro  mezzo  dove  stanno  in  noi  le  orecchie . 
»-^  Ma  dovendo  stare  a  ciò  che  suonano  le  parole  del  testo , 
secondo  T interpunzione  del  Lombardi,  da  noi  e  dai  piit  se- 
guita, ci  sembra  doversi  intendere  piuttosto,  che  sul  mezzo  di 
ciascuna  spalla  cadesse ,  non  già  il  mezzo  di  queste  due  Iacee, 
ma  sibbene  la  congiunzione  loro  coiranteriore.  4-c 

4 3  si  giungieno  f  la  Nidob.;  si  giungono  f  T a Itr* edizioni, 
•-♦e  col  Vat.  a  199  la  3.  romana .^-v  al  luogo  della  eresia;  o 
vuol  dire  il  medesimo  che  alle  tempia ,  luogo  dove  i  crestuti 
animali  hanno  la  cresta ,  ovvero  suppone  che  realmente  Luci- 
fero, come  Re  deirinfemo,  coronato  fosse  di  cresta  a  guisa  di 
gallo,  e  che  una  sola  rotonda  cresta  circondasse  e  terminasse 
tutte  e  tre  quelle  facce  [a]  •  «-  ^  Non  è  da  tralasciarsi  la  va- 
riante del  cod.  Gaet.  che  legge,  al  colmo  della  cresta.  E.  R. 

43  al  4^  ti  la  destra  parea  ec.  Pei  colorì  varj  di  queste 
tre  facce  chiosano  gì' Intei-preti  vaij  vizj,  indicati  dallappai-i- 
scenza  nella  cute  di  quelli  umori  che  ciascuna  viziosa  inclina- 
zione suole  avere  compagni.  Pel  colore  {vermiglio  Vm  ;  pel  tra 
bianco  e  giallo  Tavarizia  ;  pel  nero  (colore  di  quelle  fiicce  che 
F^engon  di  là  oi^e  7  Nilo  s^aut'allay  dall'Etiopia  cioè,  dove 
dal  mont4f  della  Luna  cade  nella  sottoposta  valle  il  Nilo  [b]  ) 
l'accidia.  Lahdiiio.  U  Vellntello  e  il  Daniello  pel  colore  tra 
òianco  e  giallo  non  ravarizìa,  ma  la  invidia  vogliono  intesa. 
Quanto  a  me,  parrebbe  assai  meglio  che  per  quelle  tre  facce  e 
colorì  s' intendessero  le  tre  parti  del  mondo ,  che  al  tempo  del 
Poeta  sole  erano  cognite,  cioè  Europa,  Asia  ed  Affrìca;  ad  in- 
dicare che  trae  Liucifeix)  sudditi  da  tutte  parti  dell'universo. 
(  m^  E  a  quest'interpretazione  s'accosta  ^mv  il  Biagioli.  4-a  ) 
La  faccia  di  vermiglio  colore  poti^ebb*  esprimete  gli  Europei , 
pei  vermiglio  che  hanno  in  faccia  la  maggior  parte  di  essi. 
Quella  di  color  gialliccio  gli  asiatici  popoli,  per  essere  ap- 
punto il  gvan  numero  di  essi  di  tal  colore.  E  finalmente  la  faccia 

[a]  Vedi  il  Veilulello  e  il  Daniello,  [b]  Ferrar.  Lexic,  geogr.  ail  Lu- 
tine mons. 


736  INFERNO 

Sotto  ciascuaa  uscivan  dae  grand' ali,  46 

Quanto  si  con  veni  va  a  tant'accello: 
Vele  di  mar  qoq  vid'  io  mai  colali  • 

Non  avean  penne,  ma  di  vipistrello  49 

Era  lor  modo  ;  e  quelle  svolazzava 


nera  gli  Affrìcani  y  per  la  moltìtadiae  dei  neri  che  rAflSrici 
tiene.  Vi  acconsentirebbe  altresì  la  posizione  stessa  delle  tre 
facce,  cioò  della  vermiglia  inmessO)  della jeialliccia  a  destra^ 
e  della  nera  a  sinistra:  ecco  in  qual  modo* onpponendosiscoi 
i  Poeti  neir Inferno  dall'Europa,  ed  avendo  nell*atto  stesso 
dell' obbliqno  scendere  al  fondo  compiuto  un  giro  intorno  aUs 
falda  del  medesimo  Inferno  [a] ,  consiegne  cbe  il  presente  luo- 
go j  onde  miravano  Ludfero,  fosse  dalla  parte  medesima  del 
Ittf^,  onde  incominciato  avevano  la  discesa,  dalla  parte  doè 
dell'  Europa»  Essendo  adunque  Lucifero,  come  dai  discorso 
apparisce,  vòlto  ver  loro,  veniva  ad  essere  vólto  verso  IXa- 
ropa  ;  ed, essendo  dal  centro,  in  cui  stava,  vòlto  verso  Europ» 
doveva  necessariamente  avere  l'Asia  a  destra,  e  l'Affiìcaa 
sinistra.  Perciocché,  come  nel  mappamondo  apparisce,  piii 
dell'  Europa  stendesi  V  Asia  verso  oriente ,  e  pia  verso  po- 
nente l'Affrica . 

47  a  tant* uccello ,  a  si  grande  uccello.  Appella  uccello  Lu- 
cifero per  essere  alato.  —  *  Il  cod.  Cass.  l^ge,  al  tristo  ac- 
cello;  ed  il  Postili,  alla  parola  due  grandmali  aggiunge:  H 
sic  habebat  sex  alas<t  ut  ostendat  eum  iam  passe  de  ordir- 
ne Seraphinorum;  riflessicme,  come  rileva  l'Ab.  di  Cosiamo» 
trascurata  dagli  altri  Espositori.  E.  R. 

49  5  o  Non  atfean^  la  Nidobeatina;  JVòn  ayen^  le  altr'edii. 
'—  vipistrello ,  colla  Nidobeatina  e  con  due  codici  della  biblio* 
teca  Corsini  [£] ,  leggono  il  Landino,  Vdlutello  e  Daniello,  in- 
vece di  queiraspro  ìdspistrello ,  che  hanno  scelto  di  l^^exe^ 
Accademici  della Grusca.i'i/9tVlre//o  è  voce  ammessa  oomuae- 
mente ;  e  dello  scambio  tra  la  i/  consonante  e  la  /?  n'abbiano 
esempj  in  san^ere  per  sapere ,  caiknriolo  per  capriolo  ec*  m^vilr 
pistrello  ha  il  Vat.  3 1 99  ed  anche  il  Caet^$  i^ispistrello  però  si 
avvicina  più  al  latino  {vespertilio.^  A.  «hs  di  vipistrello  -  Era 
lor  modo  vuol  dire  ch'erano  l'ali  di  Lucifero  fatte  di  cartili- 

[a]  Vedi  Inf.  e.  ziv.  137.  e  quella  nota,  [h]  Seguati  610.  e  tai?. 


CANTO  XXXIV.  737 

Sì,  che  tre  venti  si  uioveaa  da  elio. 

Quindi  Gocito  tulio  s'aggelava:  5i 

Con  sei  occhi  piangeva ,  e  per  tre  memi 
Gocciava  il  pianto  e  sanguinosa  bava. 

Da  ogni  bocca  di rompea  Co' denti  55 


gini,  al  modo  di  quelle  del  vìpistiiello.  -*  si^olazza^Uj  dibat- 
teva,  dimenava. 

5i  al  54  Sfy  che  tre  venti  si  mov^ean  (niouèn^  altre  «tdiz. 
diverse  dalla  Nidob.  ■-►«  il  Vat.  Sigg*-»).  Come  da  sci  ale  si 
pi'odaccssero  /re  i'en/iy  per  capirlo  bisogna  supporre  cbe  ciascun 
paro  d'ali  producesse  un  vento  j  e  che ,  come  ciascun  paro  era  in 
situazione  diversa,  venissero  perciò  anche  i  venti  a  distinguersi. 
•^per  tre  menti  gocciava  ec-  abbondavano  sì  le  lagrime  in  cia- 
scuna faccia,  che  pervenivano  a  bagnare  anche  il  mento,  ed  a 
cader  indi  mischiate  a  quella  sanguinosa  bava  ch*usciva  dalle  Ut; 
bocche,  divoranti  ciascuna,  come  ora  dirà,  un  peccatore,  s-^ll 
Toralli  al  i^.  04*  (a  osservare  la  licenza  del  Poeta  nella  omissio» 
ne  di*irarticolo  la  innanzi  sanguinosa,  -Un  codice  del  4oo,che 
appartenne  allVgregiosig.  Paolo  Bulla  veneziano,  e  che  in  adesso 
fa  parte  della  rarissima  collezione  di  codici  del  sig.  march.  Tri- 
\  ulzio,  nobilissi  ino  letterato ,  legge  :  e  perire  menti  -*Gocciai^a 
al  petto  sanguinosa  bav^a.  Questa  variante  fu  notata  dal  co.Pei^ 
ticari,  e  la  difese  in  una  sua  lettei*a  scritta  al  eh.  signor  Paolo 
Crosta.  Airamicizia  del  sullodato sig. Bulla  andiam debitori  della 
ropìa  autentica  di  tal  lettera,  della  quale  or  qui  ne  offriamo 
^estratto  ai  nostri  lettori  .=:I^a  comime  lezione ^lafilo  è  quasi 
ripetizione  àc\piange%^a;  ed  è  poi  duro  Ta ver  posto  quell'af- 
fisso al  piantoci  e  l'averlo  tolto  alla  bai'a;  il  che  par  fatto  per 
servigio  del  metro,  dovendosi  dire  naturalmente:  gocciava  il 
pianto  e  la  sanguinosa  bava.  Ora  la  nuova  lezione  toglie  que- 
sto neo ,  e  sembra  dipingere  ancora  con  piii  di  evidenza  la  cosa. 
E  certo  per  quella  bava  che  scende  per  lo  petto ,  e  per  quel 
petto  solo  posto  sotto  quei  tre  menti  s'accostano  questi  versi 
maggiormente  al  fare  dantesco.  Di  vane  cose  Dante  non  pone 
mai ,  e  mai  nulla  concede  alla  prepotente  signoria  del  numero, 
t? y  come  egli  dice  nel  Convito,  del  legame  miisaico,=Kj\  sem- 
bra però  che  ad  ammettere  questa  lezione  faccia  qualche  dif* 
fjcoltà  ciò  che  è  detto  sopra  ai  vv.  ^o.  e  4>*  Pcrciocdiè,  sia 

/  o/.  /.  47 


738  INFERNO 

Uq  peccatore,  a  guisa  di  maciulla. 

Sì  che  tre  ne  facea  cosi  dolenti  « 
A  quel  dinanzi  il  mordere  era  nulla  58 

'  Verso  1  graffiar,  che  talvolta  la  schiena 

Rimanea  della  pelle  tutta  brulla. 
Queir  anima  lassù  ch'ha  maggior  pena,  6i 

Disse  '1  Maestro,  è  Giuda  Scariotto, 

Che  1  capo  ha  dentro,  e  fuor  le  gambe  mena . 
Degli  altri  due,  ch'hanno  1  capo  di  sotto,     64 

Quel,  che  pende  dal  nero  ceffo,  ò  Bruto: 

Vedi  come  si  storce,  e  non  fa  motto ^ 

che  il  mezzo  di  queste  due  facce  precisamente  risponda  a  quei* 
lo  delle  spalle ,  come  vuole  il  Lombardi  ;  sia  die  pieghino  piut- 
tosto al  dorso  j  come  alla  nota  da  noi  aggiunta  ai  sopracccitati 
versi  abbiamo  avvertito;  nell'un  caso  e  neiraltro  la  bava  da  esse 
cadente ,  piii  che  al  petto ,  gocciar  dovrebbe  o  sulle  spalle  e  sai 
fianchi 9  o  sulle  parti  deretane  del  corpo.  ^-« 

^6  maciulla ,  strumento  di  due  legni ,  l'uno  de*  anali  ha  un 
canale,  in  cui  entra  l'altro ,  e  con  esso  si  dirompe  il  lino ,  o  b 
canapa,  per  nettarla  dalla  materia  legnosa.  Vedi  il  Vocab.  della 
Crusca. 

58  ^  quel  dinanzi y  cioè  a  quello  ch'era  in  bocca  alla  &> 
eia  dinanzi.  Vedi  il  f^.  Sg. 

5g  Verso  U  graffiar  ^  a  paragone  del  graffiare. 

60  brulla  vale  spogliata^  Vedi  questa  voce,  al  medesimo 
senso  adoperata  da  altri,  nel  Vocabolario  della  Gr^scra. 

61  eh* ha  maggior  pena;  che,  oltre  d'essere  morsa  ,  è  aiK 
che  graffiata. 

ga  Giuda  Scariotto  j  il  discepolo  traditore  di  Gesù  Cristo. 

64  6j  hanno  *l  capo  di  sotto ,  pendono  a  capo  in  già.  "Bn^ 
tOf  che  pone  nella  sinistra  bocca  di  Lucifero,  e  Cassio ,  che 
nella  destra,  furono  i  due  principali  de' congiurati  alla  moite 
di  Giulio  Cesare.  Quanta  fosse  la  costoro  slealtà  ed  ingratitu- 
dine in  cotal  fatto,  apparisce  dallo  scrivere  di  Lncio  Fl<»o, 
che ,  dopo  ucciso  Giidio  Cesare,  nepublici  doloris  ocuiosfer* 
rentf  in  pros^incias  ab  ilio  ipsoj  quem  ocdderantj  Coesore 


CANTO   XXXIV.  .     739 

£  1* altro  è  Cassio ,  che  par  sì  membruto  i      ^67 
Ma  la  notte  risurge,  ed  oramai 
È  da  partir,  che  tutto  avèm  veduto. 

Com'a  lui  piacque,  il  collo  gli  avvinghiai}      70 
Ed  ei  prese  di  tempo  e  luogo  poste: 
E  quando  l'ali  furo  aperte  assai, 

Appigliò  sé  alle  vellute  coste:  7 3 

Di  vello  in  vello  giù  discese  poscia 
Tra  1  folto  pelo  e  le  gelate  croste. 

datas  Syriam^  et  Macedonianii  eoncesserunt  [a].  Aveva 
inoltre  Bruto  particolarineiite  ricevuto  da  Cesare  il  gran  favore 
d* essere  dal  itaedesimo  adottato  per  figliuolo  [^J» 

67  par  vale  qui  i^edesi.  —  si  membruto  y  perchè  dicono  es- 
sere stato  molto  complesso  e  gi*ande  di  statura.  VBLiiVTBi.to . 

68  Ma  la  notte  risurge.  Accenna  il  sorgere  che  faceva  la 
notte  quando  entrò  neirinferno,  come  avvisò  nel  principio  del 
canto  II.  dicendo  :  Lo  giorno  se  n*anda%*a  ec.,*  e  per  questi 
due  passi y  e  per  quelli  altri  intermedi ,  vii.  98. »  xi.  1 13  ^  xx» 
1^4'  e  '^gK'9  x^i*  I  la.  e  segg.y  xxix.  lo.^  xxxi.  10.,  rilevansi 
impiegate  dal  Poeta  nella  visita  dell*  Inferno  ore  ventiquattro  « 
una  notte  ed  un  giorno. 

70  Cornea  lui  piacque  j\B\e  sfacendo  allora  (fuant*  egli  mi 
comandò^  -«-  il  eolio  gli  at^ifihghiai j  abbracciai  Virgilio  nel 
collo.  «^  Come  a  lor  piacque j  legge  il  Vat.  3199.4^ 

7 1  di  tempo  e  luogo  poste  j  oppoitunità  di  tempo  e  di  luo* 

So.  •-►  del  tempo  loco  e  poste  j  legge  TAng.  £4  R.  -^  Qui  vuol 
ire  che  Virgilio  prese  bene  colla  mente  le  sue  mistti«  per  co^ 
gliere  il  tempo  dell' aprìmento  delle  ali  di  Lucifero.  <-« 

73  quando  Cali  furo  aperte  assai  ^  si  che  potemmo  arri* 
vare  al  busto  di  Lucifero  prima  che  col  chiudere  delle  ali  ci 
venisse  a  percuotere . 

73  74  vellute  j  vellose,  pelose  ;  e  dice  jdppigliò  sé  alle  vel" 
Iute  coste  invece  di  dire  jippigliò  sé  ai  peli  delle  coste  ,  o 
sopra  le  coste;  e  però  sieguet  di  vello  in  vello  ec. 

75  Tra  7  folto  pelo  e  le  gelate  croste  •  Invece  di  dire  tra 

[a]  Ber.  Rem,  lib»  4*  e*  7*  [^j  ^veL  lui,  Cae$é 


74o  INFERNO 

Quando  noi  fummo  là,  dove  la  coscia  r6 

Si  volge  appunto  in  sul  grosso  deiranche, 
Lo  Duca ,  con  fatica  e  con  angoscia , 

Volse  la  testa  ov'egli  avea  le  zanche,  «jq 

Ed  aggrappossi  al  pel,  com'uom  che  sale, 


Lucifero  e  V  pozzo  ^  che  a  guisa  di  perizoma  cerchiava  Luci* 
fei*o  a  mezzo  il  corpo ,  dice  tra  il  pelo  di  Lucifero  e  le  gelate 
croste^  r incrostatura  cioè  del  ghiaccio  che  vestiva  T interiore 
cavità  di  quel  pozzo.  Giusta  riflessione  del  dottissimo  altre  6ate 
lodato  signor  Ennio  Quirino  Visconti. 

^6  77  Quartdo  noi  ec.  Costruzione:  Quando  noi  fummo 
in  su  7  grosso  deW  anche  (  sulla  prominenza  che  fanno  Tid- 
che,  ossia  tra  li  fianchi  e  le  cosce)  j  là  appunto  dcn^  la  coscia 
si  t^olgCj  si  piega* 

78  con  fatica  ec,  perchè  incominciava  ad  allontanarsi  dal 
già  passato  centro  della  ten:a,  che  suppone  Dante  occupa  teda 
Lucifero  col  punto  medio  di  sua  altezza.  »-♦  Descrivendo  Dan- 
te, dal  %f,  74«  all' 87.  di  questo,  il  suo  passaggio  pel  centro 
della  terra,  suppone,  secondo  la  fisica  de*  suoi  tempi ,  che  nel 
centro  predetto  risieda  tutta  la  forza  attrattiva ,  e  che  la  di  lei 
azione  sui  corpi  non  venga  accresciuta ,  né  diminnita  col  va- 
riare delle  distanze,  ma  sia  invece  molto  piii  attiva  nel  puat:> 
in  cui  essa  risiede.  Però  Virgilio  con  poca  fatica  discende  lon- 
ghesso  il  coi*po  di  Lucifero;  giunto  al  centro  della  terra,  con 
fatica  e  con  angoscia  sì  capovolge;  ed  impi^[ando  magcrW 
forza  che  non  fu  necessaria  nella  discesa,  si  arrampica  sn  fn 
la  coscia  di  Lucifero  stesso  sino  all' estremità  del  pozzo.  Le 
vere  leggi  dell'  attrazione  sono  ora  note  ad  ognuno  ;  e  perciò 
il  lettore  potrà  da  sé  rilevare  gli  errori  nei  quali  è  incorso  il 
Poeta  nostro,  tanto  qui  che  altrove,  in  tutto  ciò  che  rigoaria 
il  modo  di  agire  di  questa  meravigliosa  proprietà  della  mate- 
ria .  4-« 

79  f^olse  latestaecj  per  risalire  dall'altra  parte •- con- 
cAe^  gambe.  »->  «  ZancAe sono  propriamente  quelle  aste,  sopn 
le  quali  vanno  gli  spiritelli ,  per  san  Giovanni  ;  e  perché  allura 
e' l'usano  per  gambe.  Dante,  volendo  significare ^am^,dÌ5v 
zanche .  »  Questo  passo  del  Dialogo  sopra  il  nome  della  ling^tia 
volgare nell' £'/'co/^no  del  Varchi,  è  riportato  dal  Biagioli. «-« 


CANTO  XXXIV.  74i 

Si  cbe  'n  Inferno  io  credea  tornar  anche* 
Àttienti  ben,  che  per  colali  scale,  81 

Disse  1  Maestro  ansando  coni'  noni  lasso , 

Conviensi  dipartir  da  tanto  male. 
Poi  usci  fuor  per  lo  foro  d' un  siisso  ^  85 

£  pose  me^in  su  Y  orlo  a  sedere  : 

Appresso  porse  a  me  T accorto  passo, 
lo  levai  gli  occhi ,  e  credetti  vedere  88 

Lucifero  com'io  Tavea  lasciato, 

E  vidigli  le  gambe  in  su  tenere . 

8  a  air84  AttieiUi  betiy  che  ec.  Aljiide  Dante  ài  detto  di 
Virgilio; 

«  •  •  » .4  facilis  deseensus  Averno  * 

Noctes  atque  dies patet  atri  ianua  D itisi 
Sed  revocare  gradum^  sUpetasque  e%^adere  ad  autùs  § 
Hoc  opus ^  hic  labor  est  \a\.  ^^^ per  cotali  scale*.  II 
end.  Gaet.  legge  per  siffatte  scale  ^  che,  oltre  di  piacer  pìl 
airorecchio,  sembra  più  proprio  dell* Autore.  E*  R. 

85  airSy  Poi  uscì  ec*  Aggrappandosi  ai  peli  di  Liicj^t))  6 
salendo  verTaltro  emisfero,  oltrepassò  il  cavo  sasso  «  che^  co^ 
m*è  detto  i  a  guisa  di  perizoma  cerchiava  Lucifero  a  meaao  il 
corpo;  e  prima  di  staccarsi  Virgilio  dai  peli  del  demoniof 
fece  che  Dante  si  staccasse  dal  di  lui  dorso,  e  si  ponesse  a  se^ 
dcre  su  Torlo  del  medesimo  sasso;  poi  porse  raccotto passo 
a  Dante ,  cioè  9  con  accortezza  e  cautela  di  non  ricadere  in  quel 
pozzo,  stese  indietro  verso  Torlo  medesimo  anch^egli  il  passo ^ 
e  su  di  quello  in  compagnia  di  Dante  si  rimise  4 

88  al  90  7b  iettai  gli  occhi  y  ec.  Avendo  Dante  in  quella  ^« 
ra  volta  9  che  Virgilio  fece ,  creduto  di  risalire  pel  busto  di  £u* 
ri  fero  9  e  di  ritornar  tieir  Inferno  $  immaginava  di  riveder  Lu<* 
cifero  come  prima  lo  aveva  veduto,  cioè  fuor  del  posao  col  ba« 
sto  e  colla  testa,  e  videlo  invece  fuor  del  po^zo  colle  gambe* 
Intendendo  il  chiaro  autor  degli  Aneddoti  f  recentemente 
in  Verona  dati  alle  stampe,  che  l'orlo  di  quel  pozaso,  stt  del 
quale  fu  Dante  posto  a  sedere  ^  fosse  più  in  altOf  eda^taii  cli# 

[t]  Jt*tfcU.  VI.  i«6.  «ACgg. 


r,^2  INFERNO 

E  s  io  diveoDi  allora  travagliato ,  91 

La  gente  grossa  il  pensi,  che  non  vede 
Qual  è  quel  punto  ch'io  avea passato. 

Levati  sUy  disse  '1  Maestro,  in  piede:  94 

La  via  è  lunga,  e  1  cammino  è  malvagio, 
E  già  il  Sole  a  mezza  terza  riede . 

Non  era  camminata  di  palagio  9^ 

Là  V  eravam,  ma  naturai  burella, 

non  fossero  le  piante  de' piedi  di  Lucifero,  vorrebbe  perciò 
che  invece  di  le\fai  gli  occhi  si  leggesse  chinai  gli  occhi  ^  co- 
me dice  egli  di  avere  trovato  scritto  in  alcuni  antichi  testi  [al. 
g'i  Qual  è  quel  punto  y  legge  la  Nidobeatina ,  m^lio  dell'al- 
tre edizioni  cne  leggono  Qual  era  il  punto;  che  quel  punto  è 
anche  di  presente  il  medesimo.  »-» sembrando  all'£.  B.  de- 
bole questa  ragione,  nella  3.  ediz.  ha  restituita  la  comune  le- 
sione Qual  era  ec,  che  è  confortata  dairautorità  del  CaeL  e 
del  Vat.  3i9g.4-« 

96  a  mezza  terza.  Dividendosi  il  giorno  in  quattro  parti 
uguali,  terza,  sesta,  nona  e  vespro,  rienR mezza  terza  9A  es- 
sere l'ottava  parte  del  giorno.  Come  poi  avvegna,  che  avendo 
Vii^ilio  detto  poc'anzi  che  risui^va  la  notte  (i^.  68.)  ,  dica 
adesso  che  fosse  già  il  Sole  a  mezza  terza ,  spiegherit  in  pro- 
gresso Virgilio  medesimo  avvenir  ciò  per  esser  eglino  passad 
di  là  dal  centro  della  terra;  motivo,  cioè,  pel  quale  rìsguar- 
davano  essi  il  giorno  e  la  notte  non  più  nell'emisferìo  nostro 
di  qua ,  ma  in  quell'  altro  di  là ,  ove  appunto  nasce  il  Sole 
quando  airemìsferio  nostro  tramonta . 

97  camminata  di  palagio^  cioè  laminosa  e  piana,  comenelle 
sale  e  corritoi  de' palagi,  w^da palagio y  legge  l'Ang.  E.  R.4-« 

98  naturai  burella.  Burella^  \foce  antica  (spiega  il  Voca- 
bolario  della  Crusca),  spezie  di  prigione ,  e  forse  quella  che 
oggi  diciam  segreta.  Intendesi  di  qui  perchè,  a  differenza 
dello  artificialmente  dagli  uomini  si  fatto  luogo,  appelli  que- 
sta, dalla  natura  scavata  oscura  caveiiia ,  naturai  burella .  An- 
che da  buroj  anticamente  (testimonio  il  Vocabolario  medesi- 

[a]  Serie  d* Aneddoti  a.  v.  pag.  «)• 


CANTO  XXXlV.  743 

Ch*avèa  mal  suolo,  e  di  lume  disagio. 

Prima  ch'io  deli* abisso  mi  divella,  loo 

Maestro  mio,  diss'io  quando  fui  dritto, 
A  trarmi  d' erro  uu  poco  uii  favella  : 

Ov'è  la  ghiaccia?  e  questi  com'è  iitto  io3 

Si  sottosopra?  e  come  ia  sì  poc'ora 
Da  sera  a  mane  ha  fatto  il  Sol  tragitto? 

Ed  egli  a  me:  tu  immagini  ancora  106 

D'esser  di  là  dal  centro,  ov'io  mi  presi 
Al  pel  del  vermo  reo  che  1  mondo  fora  « 

Di  là  fosti  cotanto,  quant'io  scesi:  109 

Quando  mi  volsi,  tu  passasti  il  punio. 
Al  qual  si  iraggon  d'ogni  parte  i  pesi; 

mo  )  adoppio  per  buio ,  èi  capisce  perchè  addimandata  fosse 
burella  Toscura  prigione. 

99  al  101  disagio  vale  qui  truuicanza  j  carestia.  •  quando 
fui  dritto  y  la  K ìdobealina  ;  quando  fu  dritto  j  Taltr 'edizioni . 

102  erro  per  errore  ^  apocope  adoprata  pur  da  altri .  Vedi 
il  Vocabolario  della  Crusca. 

io3  al  io5  Ove  la  ghiaccia?  in  cui  aveva  poc'anzi  veduti 
fitti  i  traditori  :  e  sì  questa  cbe  le  due  altre  difficoltà  nascono 
dair ignorare  di  aver  passato  il  centro  della  teiTa,  e  dalTesser 
persuaso  che,  per  la  detta  giravolta  fatta  da  Virgilio,  tornato 
fosse  indietro . 

108  vermo.  »^ Anche  Fra  Guittone  in  un  sonetto  disse: 

Spezzar  la  fronte  al  fero  vermo  e  reo  y 
cioè  al  Demonio.  E.  F.«-«  Quanto  alla  sproporzione  che  il 
Bulgarini  oppone  (e  non  disapprova  il  Venturi)  all' applica- 
zione di  cotal  voce  a  simili  mostri ,  vedi  ciò  ch'è  detto  laf.  vi. 
2 a.  —  che  '/  mondo  fora  (il  mondo  dice  invece  della  terra)  ^ 
che  fa  l'interno  della  terra  esser  forato  1  esser  bucato.  Vedi 
pili  sotto  ft^.  1 2 1 .  e  segg. 

109  al  III  cotanto  vai  tanto  tempo  [a].  — punto ^  —  u4l 
qual  ecy  vuol  dire  il  centro  della  terra 9  il  centro  de* gravi. 

[a]  Vedi  Ciuooìoy  Partic,  67.  a. 


744  INFERNO 

£  se' or  sotto  remisperio  giunto,  t  ti 

Ch*  è  opposito  a  quel ,  che  la  gran  secca 
Coverchia,  e  sotto  1  cui  colmo  consunto 

Fu  l'uom  che  nacque  e  visse  senza  pecca.     1 15 
Tu  hai  li  piedi  in  su  picciola  spera. 
Che  l'altra  faccia  fa  della  Giudecca. 

Qui  è  da  man,  quando  di  là  è  sera:  1 18 

£  questi ,  che  ne  fé'  scala  coi  pelo , 
Fitto  è  ancora  si  come  prima  era . 

Da  questa  parte  cadde  giù  dal  cielo:  m 

1 13  al  1 15  Ch*è  apposito^  la  Nidob.;  Ched  è  opposto ^  TJ- 
tr'edizioni  (  •-►e  il  Val.  3  igg. 4-«  )  '-*Ch'è  contrapposto ,  i  co- 
dici CaeU  e  Poggiali.  E*  R.  •-¥  Clied  è  opposto  a  quel^  che 
là  *n  secca  -Coy^erchia ,  ec,  legge  il  Vat.  3 1 99.  <-m  a  quel,  che 
la  gran  secca-- Coverchia  j  a  queir  altro  emisperio  ,  a  quel- 
l'altra metà  della  celeste  sfera  che  copre  la  gran  secca  ^  la 
gran  Terra.  Secca  appella  la  Terra ,  allusi  vameute  airappella* 
zione  datale  da  Dio  nella  Genesi  :  Et  t^ocavitaridamterram  [a]j 
e  grande  appella  la  terra  sotto  remisfcrio  nostro  per  rapporto 
alla  picciolezza  di  quella  sottoposta  airemisferio  di  là,  la  qoale^ 
secondo  il  sistema  di  Dante ,  restrìngesi  tutta  nel  solo  monte  del 
Purgatorio  ,  e  d*  intomo  non  ha  che  mare  [b]  •  —  sotto  il  ad 
colmo j  sotto  il  cui  più  alto  punto,  sotto  il  cui  mezzo,  -cofi* 
stinto  (per  crocifisso j  ucciso)  "Fu  fuom  che  ec,  Gesù  Cri- 
sto ;  e  ben  dice  consunto  -/^u  Vuom ,  ad  indicare  morto  Gesii 
Cristo  solamente  come  uomo*  Intendendo  poi  il  Poeta  che  il 
monte  del  Pm^atorio,  sotto  del  quale  allora  trova  vasi,  fosse  aiH 
tipodo  a  Gerusalemme  [c\ ,  veniva  certamente  il  punto  di  qae« 
sto  emisfero  nostro,  che  a  Gerusalenlmc  sovrasta ,  ad  essere, 
per  rapporto  a  lui  colaggiii,  il  colmo ^  il  piii  alto  punto. 

1 16  117  Tu  hai  li  piedi f  la  Nidobeatina;  Tu  haii piedi ^ 
l'altre  ediz.  (  •-♦e  il  Vat.  3  igg.'^-»  )  -  su  picciola  spera ^^^Che 
Valtra  faccia  fa  della  Giudecca ,  Giudccca ,  da  Giuda  Sca- 
riotto ,  il  traditore  di  G.  C,  denomina  la  circolar  porzione  del* 

[a]  Cap.  I.  V,  10.  [&]  Vedi ,  taf.  xxvi.  1 33.,  ciò  eli 'è  detto  in  quelli  noia. 
[e]  Purg.  e.  n.  V,  i.e  segg. 


CANTO  XXXIV.  745 

E  la  terra,  che  pria  di  qua  si  sporse, 
Per  paura  di  lui  fé' del  raar  velo/ 
£  venne  airemisperìo  nostro;  e  forse,  i  24 

Per  fuggir  lui,  lasciò  qui  il  luogo  vólo 
Quella  chiappar  di  qua^  e  su  ricorse. 


Pagghiacciato  G)cito  tra  la  Tolommea,  detta  nel  passato  can* 
to,  vej'so  i?.4*9  ^  il  pozzo  di  Lucifero;  porzione)  in  cui  l'om- 
bre di  quelli  che  hanno  tradito  i  pn)prj  benefattori  tulle  eran 
coperte  y  -/?  trasparenti  come  festuca  in  vetro  (1^.  1 1.  e  la- 
del  presente  canto).  Come  poi  un  rotondo  pezzo  di  tavola  ha 
due  circolari  facciate  ;  cosi  intende  Dante  che  il  circolar  suolo 
della  Giudecca,  oltre  la  facciata  dalla  paiate  de* dannati,  altra 
uguale  facciata  avesse  al  di  là  del  centro  della  terra  ^  e  che  tale 
altra  facciata  formassela  appunto  il  circolar  suolo  »  su  del  quale 
stava  egli  allora  •  Picciula  essendo  la  Giudecca  rispetto  alle  al- 
tre infernali  bolge 9  picciola  perciò  appella  anche  questa  spe^ 
ra  y  "Che  Paltra  faccia  fa  della  Giudecca» 

I  '2Vt  che  pria  di  qua  si  sporse  i  che  prima  che  costui  cades- 
se, sporgevasi  di  qua,  alta  essendo  più  del  mare, 

1 33  1 24  fendei  mar  vetof  fuggi  sott*acqua.  "^Evenne  al^ 
Femisperio  nostro .  Intende  che  dapprima  non  fosse  terra  che 
di  là y  e  che  di  qua  non  fosse  altro  che  mare;  e  vuole,  credo, 
con  ciò  indicare  il  soverchiamento  che  il  peccato  di  Lucifero 
ha  veramente  al  mondo  cagionato. «-^Questa  immagine  bella  e 
gi*ande  della  terra  che,  spaventata  dall'orrenda  vista  di  quel 
mostro,  fassi  velo  delle  acque,  è  ben  degna  di  Dante,  e  so- 
pra ogni  lode.  Bugioli.4-« 

120  I  a6  lasciò  qui  il  luogo  ec.  Costruzione  :  Quella  ch*ap^ 
par  di  qua  (quella  terra,  che  sotto  quest'altro  emisfero  appa- 
risce, si  sporge  fuor  del  mare,  la  montagna  cioè  del  Purgato- 
rio) per  fuggir  lui  lasciò  qui  il  luogo  vóto  (  quel  luogo,  in 
cui  si  trovavano  i  Poeti  attualmente  al  di  là  dal  centro,  e  per 
cui ,  come  appresso  dirà,  ascesero  a  riveder  le  stelle  )j  e  su 
ricorse^  cioè,  dopo  ch'ebbe  corso  in  giii  verso  il  centro,  ca- 
d(*ndo  dal  cielo  Lucifero  e  giungendo  colà,  ricorse  in  su,  e 
formò  la  montagna  del  Purgatorio. 

Il  Daniello  e  il  Vfjituri  voiTehbero  che  si  leggesse  Quella 
cliappar  di  là.  Ma  la  di  //?,  rispetto  al  luogo  in  cui  è  Virgi- 


746  INFERNO 

Luogo  è  laggiù  da  Belzebù  ri  moto  ti^ 

Tanto ^  quanto  la  tomba  si  distende, 
Glie  non  per  vista,  ma  per  suono  è  noto 

D'un  ruscelletto,  che  quivi  discende  ilo 

Per  la  buca  d' un  sasso  eh'  egli  ha  roso 
Col  corso,  ch'egli  avvolge,  e  poco  pende. 

Lo  Duca  ed  io  per  quel  cammino  ascoso      1 33 
Entrammo,  per  tornar  nel  chiaro  mondo; 

lio  che  parla ,  sarebbe  airemisfero  nostro  ;  e  ricorrendo  la  teira 
airemisfero  nostro  j  ricorrerebbe ,  rispetto  a  Virgilio  medesiiiiOf 
giùp  e  non,  come  dice,  su.  m-*in  su,  legge  TAng.  E«  R.«-« 

1 27  al  1 3a  Luogo  è  laggiù  ec.  Di  sopra  ha  parlato  Virgi^ 
lio  eoa  Dante)  ora  parla  Dante  con  noi  :  e  concisamente  descri- 
vendoci la  caverna ,  per  la  qaale  risalì  alla  superficie  della  terra 
ili  queir  altro  emisfero ,  dice  «sservi  colaggiiif  al  di  sotto  del 
ten*estit?  centro  5  un  luogOy  uu  vóto  f  tanto  da  Belzebù  rimoto* 
tanto  al  di  là  da  Lucifero  [12J  steso  9  quanto  si  distende  ,  quanto 
è  alta  al  di  qua,  la  tomòa,  la  sepoltura  d'esso  Belsebù,  cioè 
il  descritto  Inferno:  ed  aggiunge  non  essere  cotale  caverna  • 
per  la  sua  oscurità ,  nota  airocctiio ,  ma  solo  all'orecchio,  pel 
rumore  di  un  ruscello  9  <Jie  nella  superficie  deUa  terra  apertosi 
la  via  per  un  sasso 9  scoire  in  già  intomo  al  lato  della  caver* 
Ila  tortuosamente  9  e  con  poca  pei^densa  ;  a  guisa  cioè  di  agiata 
scala  a  lumaca,  sicché  (intendesi)  agiato  fo^e  il  risalire  su 
per  la  sponda  del  medesimo  ruscello.  #-^11  tortuoso  e  lento  gi- 
rare di  quel  ruscelletto  ò  meravigliosamente  espresso  dairin-* 
treccio  di  questo  periodo ,  che  par  proprio  che  si  vada  aggirane 
do  e  serpeggiando  dal  principio  al  fine.  BiàotoLi.  <«-• 

1 33  1 34  per  quel  cammino  ascoso  ;  su  la  sponda ,  cioè9  canH 
minando,  del  detto  ruscello,  -^per  tornar^  la  Nidob.  ;  a  ri^ 
tornar  j  raltr*edizioni;  »-^e  coi  codd.Caet. ,  Ang.  e  VaU  3 199 
la  3.  rom.  edizione,  avvisandosi  TE.  R.  di  conservare  al  testo 
una  grazia  di  lingua,  e  sfuggire  quei  due  per  cosi  da  presso. 
-  Dalr  ingresso  in  Inferno  all'uscita  nell'isola  di  là,  consuma* 
rono  i  Poeti  4^  ore:  24  ^^  spesero  dall'entrata  neir  Inferno  al 
dipartirsi  dalla  Giudecca  9  e  tre  nella  scesa  da  mezzo  il  petto  di 

[a]  Belzebù  così  Lucifero  appellasi  ael  Vaogelo»  Malt.  la.  p*  a4* 


CANTO  XXXIV.  747 

E,  senza  cura  aver  d*alcuQ  riposo, 
Salitnoio  su,  ei  primo  ed  io  secoado,  i36 

Taaio  ch'io  vidi  delle  cose  belle, 
Che  porta  1  ciel,  per  un  pertugio  tondo: 
E  quindi  uscimmo  a  riveder  le  stelle. 

l^ucifero  al  centro  ;  quindi  impiegait)no  ore  a  1  nella  salita  dal 
centro  terrestre  all'  isola  del  Purgatorio.  Dante  non  ci  dicen-» 
do  niuna  delle  cose  che  parlarono  i  Poeti  per  tutto  quel  trat- 
to, s*ha  a  credere  che  Virgilio  gli  lasciasse  quel  tempo  per 
riandar  col  pensiero  le  cose  vedute  ;  e  cosi  volle  forse  darci  ad 
intendere  cnCi  dopo  aver  considerati  i  partlcolaiì  dei  di  velasi 
vizj»  deve  il  pensiero  trascorrere  di  nuovo  il  tutto  insieme,  per 
meglio  riconoscerne r orridezza.  Biagioli.  4-« 

i36  al  189  Salimmo  suj  ec.  Costituzione  :  Ei  primo  ed  io 
secondo  tanto  salimmo  f  che  per  un  pertugio  tondo  (  posto» 
intendi,  in  cima  a  quella  rotonda  caverna)  io  yidi delle  cose 
belle  j  che  porta  il  ciel;  alcuna,  cioè,  delle  belle  cose,  de'bei 
corpi  che  il  cielo  porta  seco  in  giro.  —  a  risieder  le  stelle ^ 
all'aperto  cielo.  »^  Questi  ultimi  versi  cominciano  a  spirare 
una  certa  soavità,  che  si  sente  nell'anima ,  e  la  prepara  a  quella 
dolcezza,  della  quale,  siccome  sin  qui  di  tristezza,  sarà  dal 
primo  air  ultimo  verso  della  seguente  canzone  inebbriata,  Bu-* 

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Fine  del  Volume  Pribio 


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