Skip to main content

Full text of "Gazzetta chimica Italiana"

See other formats




Google 


This is a digital copy of a book that was preserved for generations on library shelves before it was carefully scanned by Google as part of a project 
to make the world’s books discoverable online. 


It has survived long enough for the copyright to expire and the book to enter the public domain. A public domain book is one that was never subject 
to copyright or whose legal copyright term has expired. Whether a book is in the public domain may vary country to country. Public domain books 
are our gateways to the past, representing a wealth of history, culture and knowledge that’s often difficult to discover. 


Marks, notations and other marginalia present in the original volume will appear in this file - a reminder of this book’s long journey from the 
publisher to a library and finally to you. 


Usage guidelines 


Google is proud to partner with libraries to digitize public domain materials and make them widely accessible. Public domain books belong to the 
public and we are merely their custodians. Nevertheless, this work is expensive, so in order to keep providing this resource, we have taken steps to 
prevent abuse by commercial parties, including placing technical restrictions on automated querying. 


We also ask that you: 


+ Make non-commercial use of the files We designed Google Book Search for use by individuals, and we request that you use these files for 
personal, non-commercial purposes. 


+ Refrain from automated querying Do not send automated queries of any sort to Google’s system: If you are conducting research on machine 
translation, optical character recognition or other areas where access to a large amount of text is helpful, please contact us. We encourage the 
use of public domain materials for these purposes and may be able to help. 


+ Maintain attribution The Google “watermark” you see on each file is essential for informing people about this project and helping them find 
additional materials through Google Book Search. Please do not remove 1t. 


+ Keep it legal Whatever your use, remember that you are responsible for ensuring that what you are doing is legal. Do not assume that just 
because we believe a book is in the public domain for users in the United States, that the work is also in the public domain for users in other 
countries. Whether a book is still in copyright varies from country to country, and we can’t offer guidance on whether any specific use of 
any specific book is allowed. Please do not assume that a book’s appearance in Google Book Search means it can be used in any manner 
anywhere in the world. Copyright infringement liability can be quite severe. 


About Google Book Search 


Google’s mission is to organize the world’s information and to make it universally accessible and useful. Google Book Search helps readers 
discover the world’s books while helping authors and publishers reach new audiences. You can search through the full text of this book on the web 


ahttp://books;dooglea..fomn/ 





Google 


Informazioni su questo libro 


Si tratta della copia digitale di un libro che per generazioni é stato conservata negli scaffali di una biblioteca prima di essere digitalizzato da Google 
nell’ambito del progetto volto a rendere disponibili online 1 libri di tutto il mondo. 


Ha sopravvissuto abbastanza per non essere più protetto dai diritti di copyright e diventare di pubblico dominio. Un libro di pubblico dominio è 
un libro che non è mai stato protetto dal copyright o i cui termini legali di copyright sono scaduti. La classificazione di un libro come di pubblico 
dominio può variare da paese a paese. I libri di pubblico dominio sono l’anello di congiunzione con il passato, rappresentano un patrimonio storico, 
culturale e di conoscenza spesso difficile da scoprire. 


Commenti, note e altre annotazioni a margine presenti nel volume originale compariranno in questo file, come testimonianza del lungo viaggio 
percorso dal libro, dall'editore originale alla biblioteca, per giungere fino a te. 


Linee guide per l’utilizzo 


Google è orgoglioso di essere il partner delle biblioteche per digitalizzare 1 materiali di pubblico dominio e renderli universalmente disponibili. 
I libri di pubblico dominio appartengono al pubblico e noi ne siamo solamente 1 custodi. Tuttavia questo lavoro è oneroso, pertanto, per poter 
continuare ad offrire questo servizio abbiamo preso alcune iniziative per impedire l'utilizzo illecito da parte di soggetti commerciali, compresa 
l’imposizione di restrizioni sull’invio di query automatizzate. 


Inoltre ti chiediamo di: 


+ Non fare un uso commerciale di questi file Abbiamo concepito Google Ricerca Libri per l’uso da parte dei singoli utenti privati e ti chiediamo 
di utilizzare questi file per uso personale e non a fini commerciali. 


+ Non inviare query automatizzate Non inviare a Google query automatizzate di alcun tipo. Se stai effettuando delle ricerche nel campo della 
traduzione automatica, del riconoscimento ottico dei caratteri (OCR) o in altri campi dove necessiti di utilizzare grandi quantità di testo, ti 
invitiamo a contattarci. Incoraggiamo l’uso dei materiali di pubblico dominio per questi scopi e potremmo esserti di aiuto. 


+ Conserva la filigrana La "filigrana" (watermark) di Google che compare in ciascun file è essenziale per informare gli utenti su questo progetto 
e alutarli a trovare materiali aggiuntivi tramite Google Ricerca Libri. Non rimuoverla. 


+ Fanne un uso legale Indipendentemente dall’utilizzo che ne farai, ricordati che è tua responsabilità accertati di farne un uso legale. Non 
dare per scontato che, poiché un libro è di pubblico dominio per gli utenti degli Stati Uniti, sia di pubblico dominio anche per gli utenti di 
altri paesi. I criteri che stabiliscono se un libro è protetto da copyright variano da Paese a Paese e non possiamo offrire indicazioni se un 
determinato uso del libro è consentito. Non dare per scontato che poiché un libro compare in Google Ricerca Libri ciò significhi che può 
essere utilizzato in qualsiasi modo e in qualsiasi Paese del mondo. Le sanzioni per le violazioni del copyright possono essere molto severe. 


Informazioni su Google Ricerca Libri 


La missione di Google è organizzare le informazioni a livello mondiale e renderle universalmente accessibili e fruibili. Google Ricerca Libri aiuta 
1 lettori a scoprire 1 libri di tutto il mondo e consente ad autori ed editori di raggiungere un pubblico più ampio. Puoi effettuare una ricerca sul Web 


nell’ intero testo di questo libro dalhttp://books.google.com 


Stantord University Libraries 


| | | | I | | | If | | | | | | | | | | | i | i 
Il | | WT Wen Wl | 
| elt | HI II Lt Il || WE || || Ni 


3 b105 004 L4b 31? 





IBRERIA LORBSCHER e C° 
[W. REOBNBERG) 
OMA.307 CORSO UMB. 1: 


Bio.5 
(S22: 








GAZZETTA CHIMICA 


ITALIANA 











LA 


GAZZETTA CHIMICA 


ITALIANA 





ANNO XIII, VOL. XII—1883 





PALERMO 


Tipografia di Michele Amenta . 
Palazzo Colonna Via V. Em, 435. 


1883 


INDICE DEL VOLUME XIII. 


FASCICOLO I. 


(Pubblicato il 26 gennaro 1883) 


E. Paterndé —!) Laboratorio chimico della R. Università di Paler- 
mo nell’ ultimo decennio . . . . 
F. Coppola —Nuove ricerche sulla genesi delle ptomaine 

c. L. Clamician ed M. Dennstedt - Studi sui composti della se- 
rie del pirrol 

A. Barteli e G. Papasogli- -Sull elettrolisi delle soluzioni di acido 
fiuoridricu e di antimoniato potassico con elettrodi di carbonio. 

A. Barteli—Sulla costituzione degli elettroliti 

fa. Barteli e G. Papasegti-- Sull’elettrolisi dell’acqua e delle solu- 
zioni di acido borico ‘. 

A. Bartoli e G. Papasogii — Ricerche sulla elettrolisi con “elet- 
trodi di carbone delle soluzioni dei composti binarii e di varii al- 
tri composti acidi e salini. 


FASCICOLO Il. 


(Pubblicato il 25 febbraro 83) 


A. Piecimi-Ossidazione dell’acido titanico . 

L. Baibiano —Distillazione secca del bibromoanisato sodico . . 

25. Napolitane — Sopra alcuni derivati dell’ acido paracresolgli- 
colico . . © n . . 

B. Perro—Ricerche analitiche sui petrolii italiani . © ee 

A. Longi—loduro d’argento ammonico. . 

A. Losgi—Studio intorno a varii coefficienti di solubilità di alcuni 
sali di argento, e metodo per la ricerca degli acidi cianidrico, 
cloridrico, bromidrico, jodidrico, clorico, bromico, jodico, ferro- 
cianidrico e ferricianidrico . . - . 

U. Sehsm@—Acido protocatannico ed anidridi di ossiacidi aromatici, 


Pag 


90 





VI 
O. Luxardo — Ricerche sulla esistenza di sostanze alcaloidee nei 


semi di mais . . . . Pag. 94 
M. Abelli—Sui cloruri di orto e metanitrobenzile . . - . 97 
P. Maissem—Sui prodotti di addizione di alcuni terpeni . . 99 
Ciamician e Dennstedt — Azione del cloruro di cianogeno sul 

composto potassico del pirrol . . . . 102 
A. Hantsch—Sulla sintesi dei composti piridici per mezzo dell’ e- 
tere diacetico e dell'ammonaldeide . . . . . . . 105 


FASCICOLO III. 


(Pubblicato il 31 marzo 83) 


U. Schimf—Intorno alla metaamidobenzamide . . . «+ 113 

IR. Nasini—Studi sul potere rotatorio dispersivo delle sostanze or- 
ganiche . . . . . - 120 

Rivista dei lavori di Chimica pubblicati in Italia «00000. 171 


FASCICOLO IV e V. 
(Pubblicato il 10 maggio 33) 


B. Schiffl-Sui volumi molecolari delle sostanze liquide . . . 177 
G. A. Barbaglia—Sugli alcaloidi del Buxzus sempervirens. . 249 
C. Schiaparelli ed M. Abelli—Sui nitroderivati della resorcina. 257 
IL. Ricciardi — Sulla diffusione del vanadio nel regno minerale e 


vegetale . . . . . - 259 
V, Oliveri — Ricerche sulla costituzione del florol . +. + 263 
G. Mazzara —Sopra un nuovo composto della chinina col cloralio. 269 
fi. Sardo—Sintesi dell’acido fenilmelilotico . . . . . 273 
V. Oliveri—Tentativo di sintesi dell'acido fluoretico per mezzo del- 

l’anisilmetilchetone . . è» . ~ .275 
Rivista dei lavori di chimica pubblicati. in Italia . ~ «© «© 277 


FASCICOLO VI. 
(Pubblicato il 14 maggio 83) 
A. Bartoli e G. Papasogli—Elettrolisi delle soluzioni di ammo- 


moniaca e dei sali ammoniacali con elettrodi di carbone *. . 251 
A. Bartoli e G. Papasogii — Elettrolisi della glicerina con elet- 


trodi di carbone . . . 287 
A. Vigma — Fermentazione della glicerina c coi bacteri del tartrato 

ammonico . . . . . + 293 
Rm. Nasimi—Sulla refrazione atomica dello zolfo. . . . » 296 
G. Spica ed O. Magnanimi—Sopra un ossibromotoluochinone . 312 
L. Pratesi—Sull’etere metilendietilico . . . . . 313 


E. Poliacci — Ricerca dell’ acido solforico libero nei vini e negli 
aceti . - . «0.» . . . . °°. . 315 


VII 


0. Bernheimer ed R. Nasini — Sulle relazioni esistenti fra il 
potere refrangente e la costituzione chimica delle sostanze or- 


ganiche . . Pag. 317 
G. L. Ciamician e P. Silber—Ricerche sulla pirocolla. . . 320 
Rivista dei lavori di chimica pubblicati in Italia. . ‘ . . 323 
FASCICOLO VII. 
(Pubblicato il 15 luglio 83) 
A. Piutti—Sull’acido ftalamidobenzoigo (1,3) . . . 329 
©. Bernbeimer--Intorno ad alcuni derivati della berberina . . 342 


G. Trottarelli-Ricerche sopra talune rocce del territorio di Terni. 347 
G. Koerner e A. Menozzi—Intorno all’azione del joduro di me- 


tile sulla leucina ed altre sostanze analoghe. . . - +. 350 
BM. Fileti—Sintesi dello scatol . 358 
Keerner e Bébringer — Intorno agli alcaloidi della corteccia di. 
Angusture . . . 365 
G. Hassara — Sopra la azione e di alcune aldeidi aromatiche ‘sulla 
chinina . . . . 367 
P. Maissen--Studio ‘chimico della meteorite di Alfianello + 369 
IL. Margary — Azione decolorante dei composti ferrici sull’indaco. 374 
Mm. Nasini—Sul potere rotatorio dell’acido fotosantonico . . + 375 
Mi. Fileti — Trasformazione dello scatol in indol e preparazione 
dell’indol . 2 . 378 


G. Bizio—Sulla decomposizione dell acido ossalico sciolto nell acqua. 381 
FASCICOLO VIII. 
(Pubblicato il 16 agosto 83) 


Ss. Cannizzaro -- Sui prodotti di decomposizione dell'acido santonoso. 385 
Ciamician e Dennatedt—Azione dell'idrogeno nascente sul pir- 


rolo . . . . 395 
Cliamician e Siiber—Studi_ sul composti della pirocolla . - 403 
€. E. Zay—Sul cloroaurato di trimetilammina . . . . . 420 
G Srrera—Azione del cloro sul cimene bollente . . . 421 
C, Sehiaparelti-Sulla saponina dalla Saponaria officinalis . . 422 
F. Marino-Zuco — Sulle così dette ptomaine in relazione alle ri- 

cerche tossicologiche. . . 431 
A. Funaro e L. Busatti — Studi chimico-mineralogici sopra mi- — 

nerali italiani . . . . . . . . . 433 
L. Pratesi—Sull' esametilenammina . . . . 437 
i Margary—Derivati bromurati del @- ‘naftolazobenzol . . , 438 


FASCICOLO IX. 
(Pubblicato I'11 ottobre 83) 


FP. Harine-Euce--Sulle ptomaine del Selmi . . . . . 441 
€. Bernheimer—Studi sulla sparteina . . . . . 4501 


VIII 
A. Cavaxzi—Sull’uso del solfato ferrico nell’ assaggio degli joduri 





mescolati con cloruri e bromuri alcalini . . Pag. 454 
G. L, Ciamician ed M. Dennstedt — LL’ acetilpirrolo ed il pseu- 
doacetilpirrolo . . » 455 


A. Longi—Il solfato di paratoluidina qual reattivo dell'acido nitrico. 465 
A. Lengi—Ricerca dell’ acido nitrico in presenza di altri acidi che 


possono mascherare le sue reazioni. . . . . 468. 
A. Lomgi — Determinazione degli ‘acidi nitroso’ e nitrico ‘soli o in 
mescolanza . . . - . 469 


A. Longi—Determinazione dei gas disciolti nei liquidi acquosi . 479 
A. Longi—Metodo di determinazione volumetrica dell'acido nitrico. 482 
D. Macaluno—Sull'ossidazione spontanea del mercurio . . . 485 
D. Bissarri e G. Campani — Tentativi per ottenere l' acido tar- 
tronico dalla glicerina e l'acido tartrico dall’eritrite mediante 08- 
sidazione elettrolitica . . . . . . » 490 
Rivista dei lavori di chimica pubblicati in italia. MI . 492 


FASCICOLO X. 


(Pubblicato il 29 dicombre 83) 


G. Pellizzari —Eteri benzilici delle diossibenzine . . . - 501 
U. Schifffl-Nuove ricerche sull'srbutina . ° . . . . 50% 
F. Cansoneri—Studi sulla resina di fthapsia . . . - 914 
F. Coppola — Trasformazione degli acidi fluobenzoici nell’ organi- 
smo animale . . . . 521 


G. Massara—Monoclorotefdicloroacetato di chinina . . - 525 
G. Mazsara--Sull’azione dell’aldeide benzoica e dell'acido solforico 


sopra un miscuglio di anilina e nitrobenzina . ». 527 
G. Massara e G. Possetti — Sull’ azione del cloruro di benzile 

sulla chinina . . . . 529 
E. Paternò e V. Oltveri—Fluorobenzina € e fluorotoluene . »- 533 


E. Paternò—Sul cimene dall’acido omocuminico . . . - 335 
I. Quareschi ed A. Moaso — Lettera al prof. Paternò riguardo 
alle ricerche sulle ptomaine . . . 538 
F. fiestimi— Risposta alla « Reclamation des M. M. Camille Vincent 
e Delechanali è propòs d'un procédé de preparation du solfocar- 
bonate etc.» . . . . 538 
A. e D. Gibertini — Sullo stato dell’ acido solforico nel vino o 
nelle soluzioni di cremortartaro, quando vi venga versato nella 


quantità necessaria alla totale decomposizione di quest’ ultimo 


o in una quantità minore. . . . . 5390 
A. Piate’i—Azione dell’anidride ftalica Sulle | monoamine secondarie. 542 
G. L. Ciamician e'P. Silber-—Sintesi della pirocolla . . . 563 


G. Sourati-Mansoni.— Dell’azionezdel solfito“alluminico sull’idros- 
sido manganico’. . . . . 00 - . 567 





GAZZETTA CHIMICA ITALIANA 





fl Laboraterieo di Chimica della R. Università di Palermo 
nell’ultimo decennio (1873-1889) 


relazione di E. PATERNO” 


Il desiderio di veder migliorato lo Stabilimento scientifico che 
dirigo dal dicembre 1872, mi spinge a presentare al pubblico com- 
petente , racchiusa in poche pagine, la storia del Laboratorio Chi- 
ruico dell’ Università di Palermo in questi ultimi dieci anni. E ciò 
perchè ciascuno possa farsi da un lato un concetto del modo come 
ho adempiuto al mio ufficio, e dall’altro lato, considerando i risul- 
tati ottenuti in rapporto ai mezzi di cui ho disposto, giudichi se io 
abbia delle ragioni fondate per sperare in un efficace incoraggia- 
mento. 

Inoltre io credo che chi ha la grave responsabilità della direzione 
di un Laboratorio scientifico sia nel dovere, di quando in quando, 
di dar conto al pubblico dell’ opera sua, affinchè senza che sia me- 
nomata quella indipendenza necessaria ai cultori della scienza, il 
paese sappia come s’ impiega il denaro, l’utile che se ne ricava ed 
abbia gli elementi necessari per giudicare |’ andamento di uno dei 
più importanti fattori della civiltà nazionale, qual’ è senza dubbio 
il progresso scientifico. ‘ 


4. DESCRIZIONE DEI LOCALI 


Il Laboratorio Chimico dell’ Università di Palermo è collocato al 
2° piano dello edificio universitario, il quale sorge nella via Macqueda 
in prossimità ai quattro cantoni di Città, e precisamente di rimpetto 
sl Palazzo municipale, cioè nel centro più popoloso e di maggior 
traffico. Esso occupa un terzo circa di questo secondo piano. 

Si accede al Laboratorio, come si vede dalla pianta, per due 


4 


2 
scale diverse, delle quali una S porta all'anfiteatro, l’altra S, al La- 
boratorio veramente detto. 

Prendendo la mossa da quest’ultima si presenta pel primo un lungo 
corridoio (largo m.3,70 e lungo m. 27) che ho utilizzato per magazzino 
della vetreria, distribuita negli armadj segnati nella pianta. Ai due 
lati di questo corridojo sono diverse stanze: cominciando dalla destra 
viene per prima una stanza ad uso di libreria, ne segue un'altra 
un poco più spaziosa, nella quale trovasi la macchina pneumatica e 
alcuni armadj e che per mancanza di mezzi non mi è finora riu- 
scito di adottare per stanza di lavoro; e finalmente una terza, 
nella quale trovasi un banco da lavoro, un armadio ed una cappa. 
In questa stanza dalle dimensioni di 4 m. sopra 6,20 lavorano 
ordinariamente per le loro ricerche due preparatori. 

A sinistra del corridoio si trovano 4 stanze, la prima più ampia 
con banchi, armadj e cappa è la stanza di lavoro del Direttore, la 
seconda serve per le bilance, la terza per conservare i pochi strumenti 
di misura che il Laboratorio possiede, la quarta infine per magazzino di 
prodotti; queste ultime tre stanze hanno in media la superficie di 
mq. 50 AI termine del corridoio trovasi una grande stanza, la più 
ampia del Laboratorio che è a 'attata (se è pur permesso usare que- 
sta parola) per uso degli studenti di analisi chimica e di chimica 
docimastica; contiene due lunghi banchi nel mezzo, ciascuno con 
42 posti, ed un banco al muro con altri due posti corrispondenti 
alle due finestre. E fornita di tre cappe. 

Dalla sala di esercitazioni si passa in una stanza quasi oscura, 
nella quale sono alcuni fornelli, e che serve per i lavori grossolani; 
a sinistra di essa trovasi un’altra stanzetta dove sono allogati gli 
alambicchi; finalmente viene una stanzetta bislunga che serve alla 
preparazione delle lezioni, e l’anfiteatro. 

Questo è tutto lo spazio di cui posso disporre. 

Come si vede, stanze adatte al lavoro (e Dio sa come) nel La- 
boratorio, non ve ne sono che due, quelle D ed E e pure nel Labora- 
torio hanno sempre lavorato oltre a me, cinque assistenti, e per lo 
meno altri cinque studenti interni, sovente in maggior numero. Ciò 
Serva a provare in quali angustie di spazio ci siamo trovati e ci 
troviamo continuamente. 

Un altro gravissimo inconveniente nasce dalla disposizione del- 
la sala di esercitazioni, la quale, trovandosi nel centro del Labo- 
ratorio, nei giorni degli esercizi è sorgente di puzzo e rende diffi- 
cile la circolazione. 

Altri gravi inconvenienti sono, la mancanza di una adequata 


distribuzione del gas e dell’acqua e quella, in generale, di tutte le como- 
dita che rendono meno disaggradevole e nocivo il soggiorno con- 
tinuo in un Laboratorio chimico, agevolando il lavoro scientifico. 


9. MATERIALE SCIENTIPICO. 


Passerò brevemente in rassegna gli strumenti, gli utensili prin- 
cipali, la vetreria, i prodotti, i libri che possiede il Laboratorio, per- 
chè ciascuno possa farsi un concetto del modo come esso è fornito. 

Strumenti. Di strumenti nel senso della parola il Laboratorio 
possiede i seguenti: 

1. Un’apparecchio per la liquefazione dell’ anidride carbonica 
sistema Natterer. 

2. Una macchina pneumatica Bianchi, in stato assai deplorevole. 

8. Uu buon microscopio Hartnack. 

4. Un saccarimetro Soleil. 

5. Uno spettroscopio ad un prisma, piccolo modello. 

6. Un catetometro Perreaux. 

7. Un barometro Fortin. 

8. Un calorimetro di Favre e Silbermann. 

9. Un grande rocchetto Rumkorff. 

40. Eudiometro Doyer completo. 

11. Eudiometro Regnault. 

42. 4 Bilance di precisione. 

48. Apparecchi Bunsen per l’analisi de’ gas. 

Tutti questi apparecchi furono acquistati dal prof. Cannizzaro 
nell’epoca dell'impianto del Laboratorio, e molti, oltre a non essere 
di perfetta costruzione, sono deteriorati pel continuo uso, o sono 
fatti inutili dal progresso della scienza. 

Utensili. Se vi fosse da far paragoni direi che per questa parte 
il Laboratorio può dirsi meno fornito. Non dirò che non mi è stato 
mai possibile di acquistar gli apparecchi di Hofmann per le esperienze 
di corso, perchè sarebbe cosa di lusso, ma mi limito soltanto ad ac- 
cenpare che a cominciar dalle lampade, sostegni, bagni maria, stufe 
e venendo giù giù sino alle lime, si è sempre sofferto una penuria 
da non credersi, e tale da portare spesso uno spreco di tempo gran- 
dissimo, dovendo aspettare sovente per poter fare una operazione 
che l’utensile necessario sia lasciatu libero da altri che l’utilizzava per 
altro lavoro. 

Vetreria, oggetti di porcellana ecc. In un Laboratorio in cui 
ordinariamente lavorano un professore, cinque preparatori, per lo 





4 
meno altri cinque allievi interni e per tutto l’anno scolastico fanno 
delle esercitazioni in media 80 studenti, il consumo della vetreria, 
e degli oggetti di porcellana deve essere considerevole ed io credo 
di non esagerare dicendo che richiede una spesa di almeno due 
mila lire annue. Ora, non essendo possibile disporre d’ una tale 
somma, nasce che il magazzino è sempre sfornito; e se un giorno 
per effetto di una recente commissione vi sono abbastanza palloni 
o storte, mancheranno i cristallizzatori e le capsule o viceversa; in 
modo da dover sempre e continuamente lottare con le più grandi 
strettezze. 

Prodotti. Nè certo migliori sono le condizioni del Laboratorio 
per ciò che spetta ai prodotti. 

Dirò in una parola che manca affatto una collezione, perchè, 
rappresentando le collezioni, sebbene in sé stesse utilissime, un 
capitale morto, non mi è stato mai possibile disporne. 

Ma ciò è nulla; la cosa più grave si è che nel meglio di una 
ricerca capita sovente di dovere fermarsi, sia perchè non vi è più 
biossido di manganese per preparare il cloro, sia perchè è esaurito 
il carbonato di bario, sia perchè son venuti meno i solventi ecc ecc; 
e si osservi che questi inconvenienti, gravi da per tutto, sono a 
Palermo gravissimi per le conseguenze, non presentando il mer- 
cato mezzo di pronto rimedio, anche quando si trovi il danaro 
pronto. 

Libri. Convinto che in un Laboratorio di ricerche una delle 
cose più necessarie per dare un buon indirizzo sia una libreria ben 
corredata, tanto più in una città come Palerino che non dispone di 
una pubblica Biblioteca convenientemente fornita di libri e periodici 
scientifici, ho posto una particolare cura a completare mano mano 
la libreria del Laboratorio. Ancora sono lungi dal poter dire di pos- 
sedere un buon corredo di libri, ma certo relativamente a tutto il 
rimanente la libreria è la cosa meglio fornita. 

Oltre a possedere i migliori manuali di Chimica generale ed 
applicata francesi, inglesi e tedeschi, abbiamo .i Dizionarj del Wurtz, 
del Watts e del Fehling, l’Enciclopedia del Selmi, ed i più impor- 
tanti periodici; però di collezioni complete non abbiamo che il Jahres- 
bericht di Berzelius , continuato sino ai giorni nostri (meno due 
annate), il Journal fuer pracktische Chemie; il Bulletin de la Societè 
chimique de Paris; lo Zeitschrift fuer analytische Chemie; i Comptes 
Rendus cominciano dal 1863, gli Annalen der Chemie dal 1862, de- 
gli Annales de Chimie et de Physique abbiamo pochissime annate, 
del Journal of the Chemical Society le ultime tre soltanto ecc. 


5 


Sentiamo notevolmente la mancanza delle prime 80 annate de- 
gli Annali di Liebig (che costano circa lire tre mila) e dei due pit 
importanti trattati di Chimica, cioé del Graham-Otto e dello Gmelin. 


8. RICERCHE COMPIUTE NEL DECENNIO 


Per questo riguardo credo sufficiente dare lo elenco per ordine 
cronologico delle pubblicazioni fatte durante il tempo ch’io diriggo 
il Laboratorio. Eccole: 

. Sintesi dell’acido fenilpropiolico (Paternò). 

. Ricerche sul fenolbenzilato (Paternò e Fileti). 

. Nuove ricerche sul fenolbenzilato (Paternò e Fileti). 

. Notizia sull’acetale monoclorurato (Paternò e Mazzara). 

. Sulla distillazione secca del formiato calcico (Lieben e Pa- 


CR mm 00 tO > 


ternò). 

6. Studj sul cloral (Paternò ed Oglialoro). 

7. Ricerche sopra il cimene (Paternò). 

8. Determinazione del peso specifico del cimene di diverse pro- 
venienze, del cumene e della benzina (Paternò e Pisati). 

9. Sui reattivi del fenolo (G. Tasca-Lanza). 

40. Sulla identità del cimene dalla canfora e dalla essenza di 
terebentina (Paternò). 

44. Misura dell’indice di rifrazione del cimene , della benzina 
e di taluni derivati del timol naturale e del sintetico (Paternò e 
Pisati). 

42. Ricerche sopra alcuni derivati del timol naturale e di quello 
sintetico (Paternò). 

48. Sul nitrile paratoluico ed alcuni suoi derivati (Paternò e 
Spica). 

t4. Sopra un glucosato di rame (Fileti). 

15. Esperienze per ottenere un acido cimencarbonico (Paternò 
e Fileti). 

46. Sopra alcuni derivati alfatoluici (Colombo e P. Spica). 

47. Nuovo modo di formazione del fenolbenzilato (Paternò e 
Fileti). 

48. Sopra i due isomeri acidi amidocuminici (Paternò e Fileti). 

49. Azione della luce sull’acido nitrocuminico (Paternò e Fileti). 

20. Sopra i derivati benzilici dell’urea e della solfurea (Paternò 
e P. Spica). 

24. Sul cianuro di acetile (Fileti). 

23. Sull'amide paratoluica (P. Spica). 





6 


28. Azione del cloruro di cianogeno gassoso e dei solido sul- 
l'alcool cuminico (P. Spica). 

24. Azione del joduro di allile e dello zinco sull’ etere ossalico 
(Paternò e Spica). 

25. Sintesi della propilisopropilbenzina (Paternò e Spica). 

26. Ricerche sopra l' acido usnico e sopra due nuovi principj 
estratti dalla Zeora sordida (Paternò). 

27. Sull'esperidina (Paternò e Brios:) 

28. Notizia sopra i nitroderivati dell’aldeide salicilica (Mazzara). 

29. Ricerche sulla picrotossina (Paternò ed Oglialoro). 

80. Ricerche sul cumofenol (Paternò e P. Spica). 

84. Sulla propilbenzina normale e sui propilfenoli (Paternò e 
Spica). 

82. Sopra un nuovo gruppo di composti « le seleniouree » e 
sopra un metodo per determinare il selenio in tali composti (P. Spica). 

33. Sopra un nuovo acido estratto dalla Lecanora atra (Paternò 
ed Oglialoro). 

84. Nuove ricerche sulla picrotossina (Paternò ed Oglialoro). 

85. Nota sulla sordidina (Paternò). 

56. Sopra un nitroderivato dell’aldeide paraossibenzoica (Maz- 
zara). 

85. Sulla propilisopropilbenzina e sugli acidi propilbenzoico ed 
omotereftalico, prodotti della sua ossidazione (Paternò e Spica). 

36. Sopra taluni derivati del cimene (Paternò e Colombo). 

87. Una esperienza sulla betulina (Paternò e P. Spica). 

38. Sopra alcuni reattivi del glucosio (Mazzara). 

39. Sopra alcuni derivati dell’etere tetraclorurato (Paternò). 

40. Sulla identità degli acidi usnico e carbousnico (Paternò). 

44. Sulla preparazione dell’ossicloruro di carbonio (Paternò). 

42. Sulla costituzione dei composti cuminici e del cimene (Pa- 


48. Sul cresol benzilato (Paternò e Mazzara). 

44. Sopra l'acido cumofenolcarbonico (Paternò e Mazzara). 

45. Sopra due propilfenoli e sopra altri derivati della propil- 
benzina (P. Spica). 

46. Sintesi dell'acido fenilcinnamico (Oglialoro). 

47. Studj sul Teucrium fruticans (Oglialoro). 

48. Sopra alcuni derivati del canfotimol (Paternò e Canzoneri). 

49. Sulla costituzione del cimene dell’alcool cuminico e sui ti- 
moli (Paternò e P. Spica). 

50, Sull’acido propilbenzoico (Paternò). 


54. Sul cimene benzilato (Mazzara). 

52. Nuovi studj sulla picrotossina (Paternò ed Oglialoro). 

68. Sulla supposta identità della colombina con la limonina 
(Paternò ed Oglialoro). 

54. Analisi chimica dell’ acqua minerale di Termini-Imerese 
(Paternò e Mazzara). 

85. Studj sulla Satureja luliana (P. Spica). 

86. Sul cimene dall'alcool cuminico (Paternò e Spica). 

57. Breve notizia sull’acido cimencarbonico (Paternò e Spica). 

58. Sul fenoltolilato (Mazzara). 

59. Sulla ossiazobenzina e la parametilossiazobenzina (Mazzara). 

60. Sull'acido metamidocinnamico (Mazzara). 

641. Sintesi della fenilcumarina (Oglialoro). 

62. Sui solfacidi del cumene e sopra un nuovo cumofenel (P. 
Spica). 

68. Ricerche sui prodotti di ossidazione dei derivati alcoolici 
del timol naturale e del sintetico (Paternò e Canzoneri). 

64. Sull’acido paraossimetilfenilcinnamico e sull'ossimetilstilbene 
(Ogl'aloro). 

65. Sulle ammine corrispondenti all’alcool « toluico (P. Spica). 

66. Sopra un processo facile e rapido per determinare ad un 
tempo l'azoto, il solfo ed il cloro nelle sostanze organiche (P. Spica). 

67. Ricerche sopra alcuni derivati del timol naturale e del sin- 
tetico (Paternò e Canzoneri). 

68. Nota sull’ossidazione dell’etere metilico del paraxileno! (Can- 
zoneri). 

67. Contribuzione all’analisi di gaz (Fileti). 

710. Sulle due modificazioni dell’acido amidocuminico e sull’acido 
acetilamidocumisico (Fileti). 

74. Distillazione della cinconina sullo zinco (Fileti). 

72. Ricerche e considerazioni sulla natura chimica della picro- 
tossina (Paternò ed Oglialoro). 

78. Sulla sintesi delle aldeidi aromatiche per mezzo del cloruro 
di cromile (Paternò e Scichilone). 

74. Sopra taluni composti organici fluorurati (Paternò). 

75. Ricerche dirette alla sintesi del timol (Paternò e Canzoneri). 

76. Derivati del timo! benzilato (Mazzara). 

77. Sugli acidi benziossifenil- e parametilossifenilacetico (Maz- 


78. Azione della cloridrina solforica sul nitrocimene (T. Leone). 
79. Sugli acidi timolattici (Scichilone). 








8 


80. Ricerche sulla genesi delle ptomaine (Paternò e P. Spica). 

81. Ricerche sui tre acidi fluobenzoici isomeri e sugli acidi 
fluotoluico e fluoanisico (Paternò ed Oliveri). 

82. Sulla ossiazobenzina (Scichilone). 

88. Nuove ricerche sull’acido usnico e sopra altri derivati che 
si estraggono dai licheni (Paternò). 

84. Ricerche sull’acido lapacico (Paternò). 

85. Sull’orcendiazotoluidina (Scichilone). 

86. Sopra un polimero del toluochinone (G. Spica). 

87. Sul dixilene ed i suoi prodotti di ossidazione (V. Oliveri). 

88. Studio sul paraxileno! (V. Oliveri). 

89. Sull'amilnaftalina sintetica (T. Leone). 

90. Ricerche sul Tarchonantus canphoratus (F. Canzoneri e G. 


94. Sopra un nuovo acido estratto dal Psoroma crassum (G. 


92. Sulla bibromonaftalina « ? (F. Canzoneri). 

93. Sugli acidi allilossibenzoici (Scichilone) 

94. Distillazione della stricnina sullo zinco (Scichilone). 

95. Sulla mannitina, nuovo alcaloide ottenuto dalla mannite 
(Scichilone). 

96. Sui derivati bromurati del toluochinone(Canzoneri e G. Spica). 

97. Ricerche sulla genesi delle ptomaine (F. Coppola). 


A. DEI MEZZI DEL LABORATORIO. CONCLUSIONE 


Da quanto ho superiormente esposto risulta assai chiaramente 
che il Laboratorio Chimico della Università di Palermo dispone di un 
locale molto più ristretto di quello che sarebbe indispensabile, il quale 
è inoltre in istato deplorevole, mal distribuito e peggio adattato. Ri- 
sulta pure che il Laboratorio manca di utensili, strumenti, prodotti, 
che in poche parole esso è tutt'altro che uno Stabilimento scien- 
tifico corrispondente allo stato attuale della scienza chimica ed ai 
bisogni di una grande Università. Purtuttavia si sono compiuti in 
questo Laboratorio un numero non ispregevole di ricerche scienti- 
fiche, e nello spazio di un decennio si sono formati valenti profes- 
sori che occupano degnamente delle cattedre nelle primarie Univer- 
sità del Regno. Bisogna quindi riconoscere lealmente che si deve un 
pochino di lode, per il lavoro scientifico e per la liberalità con 
la quale lo stabilimento è stato aperto indistintamente a tutti co- 
loro che hanno mostrato desiderio e volontà d’istruirsi. Ma lasciamo 
questa disgressione e veniamo invece ad esaminare i mezzi di cui 


9 


il Laboratorio ha potuto fin ora disporre. Quando io fui nominato, 
cioè nel dicembre del 1872, la dotazione era di L. 4000, annue; fu 
accresciuta nel 1875 e fu portata a L. 6000; però fino all'ultimo 
anno pesava su di essa una deduzione del 6,50 ‘. Oltre alla do- 
lazione ho avuto, specialmente negli ultimi anni, degli assegni 
straordinari per incoraggiamento delle ricerche scientifiche, che però 
non hanno mai superato in un anno L. 8000; complessivamente ecco 
le somme precise di cui ho potuto disporre: 


1878... L. 5798,28 
A874 . » 4788,78 
1775. > 6640,07 
1876 . » 5610,69 
4877 . » 5606,34 
1878 . » 7600,04 
4879 . » 8612,90 * 
1880 . » 8609,58 
4884. » 9000,00 
1882 » 6000,00 (4) 


Questo per la parte degli introiti. Potrei ora avvalendomi dei 
resoconti mostrare come ciò sia stato speso, ma Ja credo opera inu- 
tile ed oziosa. Mi limiterò invece ad alcune osservazioni d’ indole 
generale, Comincerò dall’accennare, per chi lo ignori, che il gaz a 
Palermo si paga a L. 0,48 il metro cubo, la qual cosa importa una 
spesa annua di L. 1200 circa ; per lo meno altre L. 1000, secondo 
le ricerche che sono in corso, si spendono nel Laboratorio pei sol- 
venti ordinarj (alcool , etere , benzina , cloroformio); una somma 
egualmente considerevole costano gli acidi grezzi (cloridrico, nitrico 
e solforico) ; si aggiungano a queste le spese per la vetreria , i 
reattivi, i prodotti, i libri, mettendo tutto in relazione alle ricer- 
che compite e delle quali ho dato lo elenco ed alle persone che 
ordinariamente lavorano in Laboratorio, c sarà facile giudicare, per 
chi ha la più lontana cognizione di un Laboratorio, quali e quante 
debbano essere le angustie in cui ho dovuto e debbo trovarmi. Sarò 
pure appieno giustificato se in 10 anni non mi è stato possibile di 
prelevare una cifra per comperare uno strumento o un utensile un 
poco costoso, se non ho potuto adattare convenientemnte i locali e se 
a cagion di esempio abbiamo dovuto sino a pochi giorni addietro avva- 
lerci in tutto il Laboratorio di un solo fornello a combugtione, di 


(1) Non ho però perduto la speranza di ottenere anche pel 1832 un 
assegno straordinario come per gli altri anni. 


2 














40 


vecchio modello, quando nel Laboratorio si fanno in media più di 
250 combustioni in un anno. La via che mi si presentò sino dal 
primo giorno che ebbi la Direzione del Laboratorio era doppia : 
avrei potuto propormi di metter su, come è stato fatto da altri, 
un Laboratorio ben corredato ed elegante, fornito di buoni strumenti, 
e utensiti varj, ma allora non avrei dovuto lavorare ne far la- 
vorare ; o pure lavorando e spingendo altri al lavoro avrei dovuto 
impiegare tutti i mezzi a questo scopo e trascurare il rimanente. 
Ho creduto mio dovere scegliere la seconda strada , ma nemmeno 
questa ho potuto battere con franchezza e libertà d’ azione perché 
ad ogni passo ho trovato un intoppo, una nuova difficoltà da su- 
perare. E queste difficoltà sono andate crescendo col tempo come 
era facile prevedere ed è più facile comprendere; e se ho potuto fin 
ora alla meno peggio trovare 1 mezzi per il lavoro , nell’ avvenire 
forse non lo potrò più perchè il Laboratorio ha ora esaurito tutte 
le risorse; e quindi se non si provvederà altrimenti mi sarà giuoco 
forza nell’avvenire restringere la cerchia della mia azione, e non te- 
nendo più i} Laboratorio aperto a tutti coloro che sì presentano con spe- 
ranza di buona riuscita, impiegar l'opera degli assistenti soltanto per 
il servizio del pubblico , facendo in altri termini quello che si è 
fatto in qualche altro luogo; solo in tal modo la dotazione po- 
trà essere sufficiente e potrò uscire dalle angustie continue, a cui 
il concetto, fosse troppo elevato del mio dovere come insegnante e 
cittadino, mi ha tenuto e mi tiene. E pure non è mancato e forse 
non manca tuttora chi in buona fede creda che il Laboraterio chi- 
mico sia il migliore ed il prediletto fra gli stabilimenti scientifici 
dell’Università di Palermo, ch’esso assorba e consumi oltre misura ! 
Causa prima di questa opinione, abbastanza sparsa in Palermo e 
fuori, sono stato in gran parte io stesso, perchè poco inclinato alle in- 
cessanti ed insistenti richieste e molto meno adatto a far risplendere 
l'opera mia, mi sono ristretto nella modesta cerchia di ciò che ho 
creduto mio dovere, lavorando indefessamente. E se oggi mi decido a 
rompere il silenzio e a mettere a nudo lo stato vero delle cose lo faccio 
a malincuore e solo perchè lo stato del Laboratorio è tale, le condizioni 
sue così misere, che senza un provvedimento efficace e pronto dovrei 
far sospendere ogni ricerca e limitarmi nell’avvenire al solo adem- 
pimento della parte ufficiale dello insegnamento, con grave mio 
rammarico e forse con danno dalla gioventù studiosa. 
Francamente parlando io credo che dopo i risultati ottenuti nei 
dieci anni che diriggo questo Laboratorio, ho il diritto di sperare di es- 
sere collocato in condizione di continuare nell’opera alla quale ho con- 


44 
sacrato buona parte della mia gioventù. lo non attribuisco molta impor- 
tanza ai lavori pubblicati, né credo che essi siano cosa da poter lusin- 
gare l'amor proprio di un cultore di scienza, ma non posso dall’altra 
parte considerarli come scarsi nè affatto privi di valore, quando con 
una sola frazione di essi Filcti, Oglialoro, Spica, Mazzara sono stati giu- 
dicati degni di essere nominati, per titoli, i primi due professori ordi- 
nari nelle Università di Torind e Napoli, il terzo a Padova e l’ulti- 
mo alla R. Scuola superiore di Medicina veterinaria di Torino. Non 
è inoltre dubbio che senza la grande penuria di mezzi si sarebbe 
fatto molto dippiù. 

Una cosa dirò terminando ed è che sarcbbe una grande in- 
giustizia quella di voler giudicare alla stessa stregua due uomini 
di scienza che esercitano il loro ufficio uno a Palermo, l’altro a 
Vienna, Berlino o Parigi; il frutto del lavoro di uno di questi deve pre- 
sumersi che sia tutto quanto l'ingegno, l'indole, il carattere, le atti- 
tudini di esso permettono che produca; se esso coltiva un argomento 
piuttosto che un altro vuol dire che questo argomento volle preferire. 
Io Palermo invece è possibile (non dirò che siasi avverato) che un 
professore avendo in animo di fare una data ricerca, a suo giudizio 
importantissima, gettando uno sguardo sul materiale del Laboratorio 
e sulle somme disponibili, finisca per farne un’altra ch’egli stesso 
giudica ovvia e di mediocre importanza; e ciò ammesso il caso che 
nell'animo di quest'uomo non entri mai la stanchezza e lo scon- 
forto, che sia sempre eguale a sè stesso, sempre animato della stessa 
attività ed energia in questa lotta quotidiana. E questo dal lato 
puramente ideale della scienza! 


Sulla geneni delle ptomaine; 


muove ricerche di FRANCESCO COPPOLA. 


Conchiudevo una prima memoria sullo stesso argomento, met- 
tendo avanti l'ipotesi, che, indipendentemente dalla putrefazione, lo 
stesso processo d’estrazione potesse decomporre gli albuminoidi ge- 
nerando delle basi organiche (4). 


(1) Gazz. chim. ital, t. XII, p. 511. 


12 


Tale ipotesi, quantunque fondata sulle proprieta chimiche delle 
sostanze proteiche, e avvalorata dai risultati delle mie esperienze 
fisiologiche, non poteva al certo venire accettata come un fatto, prima 
che avesse ricevuto una rigorosa conferma sperimentale. 

La dimostrazione più ovvia, a mio parere, sarebbe stata di ri- 
petere lo stesso processo di estrazione sopra un albuminoide qua- 
lunque chimicamente puro , e verificare sopra gli estratti da esso 
ottenuti le reazioni delle ptomaine. Però, siccome a me interessava 
egualmente di definire, se nell'organismo animale si trovino in cir- 
colazione delle basi tossiche , ho preferito un’ altra dimostrazione , 
che, senza essere meno concludente, è molto più semplice da una 
parte, e offre, dall’ altra, il vantaggio di risolvere le due quistioni 
nello stesso tempo. 

Il processo del Dragendorff e quello di Stas-Otto, quasi sempre 
adottati in questo genere di ricerche, prescindendo dalle opera- 
zioni secondarie,consistono essenzialmente nell’acidificare dapprima, 
alcalizzare in seguito le sostanze da analizzare , e spossare in fine 
coi diversi solventi il liquido alcalino. Si fondano , cioè , sul fatto, 
che Vetere, il cloroformio, la benzina e gli altri solventi estraggono 
dalle soluzioni acquose gli alcaloidi , quando questi vi si trovano 
allo stato libero, e non combinati cogli acidi. 

Or bene , il sangue preso in massa e il sangue arterioso in 
ispecie presentano reazione alcalina ; il che importa , che, se nelle 
condizioni fisiologiche vi si contengono degli alcaloidi, questi, almeno 
parzialmente, vi si debbono trovare allo stato libero, perchè tutte le 
basi inorganiche spostano dai loro sali le basi organiche. Ma uno 
dei componenti normali del sangue è la soda: e la presenza di que- 
sta potente base esclude la possibilità , che le ptomaine vi si con- 
tengano anche in minima parte allo stato di sale. 

Ciò vuol dire, che senza procedere previamente a nessuna ope- 
razione chimica , sì può direttamente venire allo spossamento del 
sangue coi diversi solventi, sicuri per le esperienze precedenti ch'esso 
dovrà cedere loro tutti gli alcaloidi che possa contenere. 

Importandomi anche questa volta, che il sangue non avesse subito 
alcuna alterazione, ho eseguito le presenli ricerche sopra circa 500 gr. 
di sangue, cavato ad un cane per la carolide secondo il processo 
descritto nella mia memoria precedente (4), e raccolto direttamente 
nella benzina. 

Dopo avere ben bene dibattuto i due liquidi, ho filtrato per 


(1) Gazz. chim. ital. loc. cil. 


48 


separare il coagulo, che fu lavato perfettamente con benzina. Per im- 
boto a chiavetta ho separato la benzina dal plasma sanguigno, il 
quale , finito di spossare colla benzina, ho in seguito dibattuto col 
eloroformio. 

In tal modo ho ottenuto un estratto benzinico e un estratto 
eloroformico perfettamente corrispondenti agli estratti alcalino benzi- 
pico e alcalino cloroformico, ottenuti dai professori E. Paternò e 
P. Spica nelle loro esperienze sul sangue fresco (1), e da me in 
quelle sul sangue vivo. Avrei potuto analogamente preparare anche 
l'estratto amilico; ma non lho fatto, perchè ritengo, che l'alcool ami- 
lico non si presti per nulla a questo genere di ricerche: per altro 
un terzo estratto sarebbe stato del tutto superfluo al mio scopo. 


Estratto benzinico 


Svaporata la benzina a blanda temperatura rimase uno scarso 
residuo solid», brunastro, di odore benzinico, la cui soluzione acquosa 
era indifferente alle carte reattive. Questo residuo fu ripreso con 
equa solforica , e si ottenne così un estratto corrispondente alla 
porzione 8 dell’estratto alcalino benzinico dell’ esperienze sopra ri- 
cordate. 

I saggi furon fatti coll'acido fosfomolibdico, coll’ ioduro mercu- 
rico-potassico, col cloruro platinico, col cloruro d’oro, coll’ acido pi- 
erico, col cianuro potassico, col ferrocianuro potassico , col cloruro 
mercurico, coll'ioduro potassico-iodurato e col cianuro argenticc-potas- 
sico; e con tutti si ebbero risultati perfettamente negativi. 


Estratto cloroformico 


Svaporato il cloroformio rimase un residuo oleoso , brunastro , 
di odore sgradevole, a reazione neutra. Fu ripreso con poche gocce 
d’acqua acidulata con acido cloridrico ; e anche con esso si otten- 
pero reazioni assolutamente negative. 


Con ciò mi pare che resti dimostrato: 1. che nel sangue nor- 
male arterioso non si trovano sostanze di natura alcaloidea; 2. che 
per la decomposizione, che gli albuminoidi subiscono durante il pro- 
cesso di estrazione del Dragendorff, si formano principî tossici, che 
presentano le reazioni degli ‘alcaloidi. 


(1) Ibidem t. XII, p. 63, 








14 

Queste conclusioni vengono pertanto a scalzare nelle loro basi 
quasi tutte le esperienze fin oggi fatte sulla genesi delle piomaine ; 
perchè per la loro estrazione, sia da sostanze cadaveriche, sia da so- 
stanze putrefatte , sia da liquidi patologici, sia da liquidi fisiologici, 
furono sempre impiegati il processo del Dragendorff , quello di 
Stas-Otto o altri chimicamente equivalenti. 

Parimente non si può dire fino a qual punto la putrefazione, 
cadaverica o comune, influisca sulla produziune di tali principî : anzi 
non ostante le conclusioni di A. Etard e A. Gautier (1) è fin permesso 
di dubitare , che la putrefazione, come non è necessaria, cosî non 
sia nemmeno sufficiente per sé sola a generare le ptomaine. 

Io mi riserbo intanto di studiare il meccanismo e i prodotti 
della decomposizione , che i diversi albuminoidi soffrono sottoposti 
singolarmente a tale processo d’estrazione; nella speranza, che tali ri- 
cerche possano spargere qualche luce sulla natura chimica delle so- 
stanze proteiche , e, spiegando la genesi delle ptomaine, facilitino 
la soluzione della quistione tossicologica. 

Laboratorio di chimica della R. Università di Palermo, nov. 1882. 


Studi sui composti della serie del pirrolo; 


tersa memoria di G. L. CIAMICIAN e M. DENNSTEDT. 


4. AZIONE DELL’ETERE CLOROCARBONICO SUL COMPOSTO POTASSICO 
DEL PIRROLO. 


In una Nota preliminare presentata alla R. Accademia dei Lincei 
nello scorso gennaio abbiamo accennato alla possibilità d’ introdurre il 
gruppo «CO—OC,H, » al posto del potassio nel gruppo imidico del 
pirrolo, e d’ottenere poi una urea corrispondente. Ora vogliamo es- 
porre più estesamente questa reazione e descrivere dettagliatamente 
i nuovi composti che da essa provengono. 

L’azione dell’etere clorocarbonico sul composto potassico del pir- 
rolo è troppo violenta se il reattivo non è diluito con etere anidro. 
Noi abbiamo trattato il composto pirrolpotassico colla quantita cal- 


(1) Comptes rendus t. 94. p. 1598. 





15 
colata di clorocarbonato etilico diluito col doppio volume di etere 
anidro. La reazione incomincia subito spontaneamente manifestan- 
dosi coll'ebollizione del liquido, ma cessa dopo pochi minuti; bisogna 
riscaldare a b. m. ancora per due ore per rendere completa la doppia 
scomposizione. 

Finita la reazione si depone in fondo al pallone un liquido pe- 
sante assieme al cloruro potassico e ad un poco di rosso di pirrolo. 
Si distilla l’etere ed il clorocarbonato d’etile a b. m. e si tratta il 
residuo con acqua. L'olio, colorato in bruno e più pesante dell’acqua, 
viene separato da questa mediante un imbuto a robinetto, seccato 
con cloruro di calcio e distillato. Incomincia a bollire a 120° ma il 
termometro sale continuamente e rapidamente fino a 181°, mante- 
nendosi costante intorno a 180°. 

È molto facile di separare dopo due o tre distillazioni una fra- 
zione che passa costantemente fra 479 e 181°. Il punto d’ebollizione 
del nuovo corpo è 480° ad una pressione di 770 mm. È un liquido 
oleoso quasi insolubile nell'acqua, più pesante di questa, alla quale 
comunica il suo odore, che è aggradevole e ricorda quello degli eteri 
composti. Esso è rifrangente, perfettamente incoloro, e si mantiene 
tale all’aria ed alla luce; dopo qualche tempo però prende un colora- 
mento giallo bruno. L’acido cloridrico lo resinifica e gli alcali bol- 
lenti lo scompongono. 

Questo nuovo composto è come apparisce dall’equazione seguente: 
una | 
« Tetroluretana » 


chiamando « Tetrolo » il residuo « C,H, ». 

Ciò è dimostrato dall'analisi seguente, e dal suo comportamento 
verso la potassa o la barite bollenti. 

gr. 0,2538 di materia dettero gr. 0,5594 di CO, e gr. 0,1548 


di OH,. 
In 400 parti: 
trovato calcolato per C,H,NO, 
C 60,28 60,43 
H 6,65 6,47 


Bollendo la sostanza descritta con una soluzione di potassa o 
di barite, si ottiene alcool etilico, carbonato potassico o baritico e pir- 
rolo: 


co<-0 oe g, + 2KOH = K,C0, + C,H,0+C,H,N 











16 


Questa reazione serve a distinguere la tetroluretana dal suo 
isomero, l'etere etilico dell’acido carbopirrolico. 

Oltre alla tetroluretana non si formano altri composti per l’a- 
zione dell’etere cloro-carbonico sul composte potassico del pirrolo. La 
parte dell'olio che distilla sotto ai 180° è piccolissima e soltanto in- 
torno ai 140° si è potuto raccogliere una piccola quantità d’un li- 
quido che si è visto essere dell'etere carbonico che era contenuto 
nel clorocarbonato etilico da noi impiegato. 

Da 25 gr. di composto pirrolpotassico abbiamo ottenuto 6 gr. 
di tetroluretana purissima. | 


2. AZIONE DELL’AMMONIACA SULLA TETROLURRTANA. 


La costituzione della tetroluretana viene pure confermata dal 
suo comportamento verso l'ammoniaca. Si ottiene come era da pre- 
vedersi 

. « La tetrolurea » 
cocN tg, + NH = COcNa M4 + ono 
tetroluretana tetrolurea 

Difatti, riscaldando la tetroluretana in tubi chiusi con ammoniaca 
per 4 ore a 110° avviene la reazione indicata dall’equazione. 

L’olio si scioglie completamente nell'ammoniaca e svaporando 
il liquido contenuto nei tubi a b. m. si ottengono dei cristalli in- 
colori della tetrolurea. Per purificare il nuovo composto, si scioglie 
in acqua bollente nella quale è facilmente solubile, e per raffredda- 
mente si ottengono delle pagliette incolori fondenti a 167°-168°. Si 
possono facilmente ottenere dei cristalli più grossi svaporando lenta- 
mento una soluzione alcoolica. La tetrolurea è volatile e sublima- 
bile. — Essa è isomera alla carbopirrolamide che fonde a 172°. 

L'analisi diede i seguenti risultati: 

I. gr. 0,2245 di sostanza dettero gr.0,4897 di CO, e gr. 0,1102 
di OH, 

II. gr. 0,1444 di materia svolsero 84 cc. d’azoto misurati a 12° 
e 768,75 mm. 

In 400 parti: 


trovato 
I II calcolato per C,H,N,O 
C 5444 — 54,54 
H 5,52 — 5,45 


N — 25,59 28,45 








47 
Riscaldando la tetroluretana con ammoniaca in tubi chiusi fino 
a 180° non si ottiene più la tetrolurea ma bensì urea, pirrolo ed 
alcool. 


cong, + 9 NH, = CO(NH,), +-C,H,0 + C,H,N 
3. AZIONE DEL BROMURO ALLILICO SUL COMPOSTO POTASSICO DEL PIRROLO. 


Nel nostro intendimento di dare un quadro possibilmente com- 
nleto dei derivati del pirrolo, abbiamo voluto esperimentare l’azione 
dei radicali organici alogenati non saturi sul composto pirrolpotas- 
sico, ed a tal uopo abbiamo scelto il bromuro allilico. 

Questa sostanza non agisce a temperatura ordinaria che molto 
lentamente sul composto polassico del pirrolo, ma basta riscaldare 
lievemente a b. m. perchè incominci una vivissima reazione accom- 
pagnata da forte sviluppo di calore, in modo che il nuovo corpo che 
si va formando viene subito distrutto. 

Per evitare tutto ciò si fa agire la quantità teorica di bromuro 
d'allile sul composto pirrolpotassico diluendo il primo con un volume 
eguale di etere anidro. La reazione non avviene che a b. m. e si 
compie dopo due o tre ore di ebollizione. 

Distillando l'etere e trattando il residuo con acqua si ottiene 
un olio, che viene scacciato col vapor acqueo e seccato con cloruro 
di calcio. 

Non si può distillare il nuovo corpo a pressione ordinaria per- 
chè si scompone quasi totalniente; esso distilla però senza alterarsi 
a pressione ridotta. A 48mm passa quasi tolalmente a 105°. 

Il nuovo corpo è realmente l’allilpirrolo, come lo dimostra la 
seguente analisi, nel quale naturalmente il gruppo allilico deve essere 
attaccato all'azoto: 

« C,H, = N —GC,H;, » 

gr. 0,8056 di materia dettero gr. 0,8784 di CO, e gr. 0,2427 

di OH,. 


trovato calcolato per C,H,N 
C 78,38 78,50 
H 8,78 8,44 


L'allilpirrolo è un olio incoloro o colorato lievemente in giallo, 
che si altera facilmente all’aria e diventa bruno resinificandosi parzial- 
mente. 


Esso ha un odore speciale che ricorda quelle dei derivati allilici. 
8 


le. 


18 

Non ha proprietà alcaline distinte. È quasi insolubile nell'acqua, ma 
dà come il pirrolo un precipitato bianco colla soluzione acquosa di 
cloruro mercurico. Si scioglie nell’acido cloridrico con coloramento 
rosso, senza resinificazione, ma però diluendo la soluzione con acqua 
si ottiene un precipitato fioccoso simile al rosso di pirrolo. La solu- 
zione nell’acido cloridrico dà col cloruro di platino un precipitato 
amorfo, giallo, che si annerisce dopo poco tempo. 


A. AZIONK DEL JODIO SUL COMPOSTO POTASSICO DEL PIRROLO. 


Circa due anni or sono (4), l'uno di noi accennò che pel trat- 
tamento del composto pirrolpotassico col bromo sciolto nell'etere si 
ottiene un composto bromurato cristallizzato in aghi. Volendo ora 
riprendere queste ricerche non ci è stato possibile di procurarci 
quantità sufficienti di questa sostanza per la grande difficoltà di 
trovare un solvente per bromo che non abbia azione anche sul com- 
posto potassico del pirrolo (2). L’etere viene intaccato troppo forte- 
mente dal bromo ed i prodotti che si formano agendo sul composto 
potassico del pìrrolo lo resinificano. 

Facendo agire i vapori di bromo a temperatura ordinaria diret- 
tamente sul composto potassico del pirrolo, si sviluppa acido bromi- 
drico, ma non si ottiene che una massa verde nerastra quasi total- 
mente carbonizzata. 

Ci siamo risolti perciò di studiare l’azione del jodio sul com- 
posto pirrolpotassico, potendo in questo caso impunemente impiegare 
l'etere come solvente dell’alogeno. 

Le nostre esperienze ci hanno dato buoni risultati e noi credia- 
mo che il nuovo composto ottenuto non sia privo d’ interesse per 
la chimica del pirrolo. 

Per preparare questa sostanza si opera nel seguente modo: si 
pone la combinazione del pirrolo col potassio ridotta in finissima 
polvere in una serie di palloni in porzioni di 40 gr. per uno (è 
vantaggioso di non prenderne di più), assieme a circa 100cc. di 
etere anidro, e si aggiunge a poco a poco una soluzione di jodio 
nell’etere. La soluzione si scolora subito in principio, verso la fine 
dell'operazione bisogna aspettare qualche minuto acciocchè avvenga 
la scolorazione. È da notarsi che bisogna evitare di aggiungere un 


(1) Monatshefte fir Chemie, Vienna, I, 629. 
(2) Anche il solfuro di carbonio agisce sul composto pirrolpotassico; 
è nostra intenzione di studiarne l’azione. 


49 


forte eccesso di jodio , anche potendolo correggere con nuove quan- 
tita di composto pirrolpotassico; questa precauzione ha una grande 
influenza sulla purezza del prodotto, perchè l’eccesso di jodio resini- 
fica subito il pirrolo che si repristina nella reazione. 

Si continua ad aggiungere jodio fino che il colore della solu- 
zione anche aspettando circa 10 minuti indica la presenza di un 
piccolo eccesso del medesimo. Ad operazione terminata tutto il com- 
posto potassico del pirrolo si è trasformato in joduro di potassio e 
la soluzione eterea, che contiene il nuovo corpo, ha un colore giallo 
bruno che è però ben distinto da quello della soluzione eterea del 
jodio, in modo che è abbastanza facile di trovare il punto che segna 
la fine dell'operazione. 

Non è necessario nè vantaggioso di filtrare la soluzione eterea 
dal joduro potassico, si distilla l'etere a b. m. e si tratta il residuo 
che è formato di joduro potassico, pirrolo e della nuova sostanza, 
con alcool bollente e carbone animale. Il liquido filtrato è giallo bruno 
e viene versato in molt'acqua. Si ottiene un precipitato giallognolo 
o bruno, fioccoso col quale si ripete questo trattamento fino che 
perde la tintura giallastra e diventa quasi bianco. Sciogliendolo nel- 
l'akool bollente, dopo averlo disseccato fra carta, si ottengono per 
raffreddamento piccoli prismetti, appiattiti, aggruppati, d’un colore 
giallo-bruno, che si fanno cristallizzare ripetutamente dall’alcool bol- 
lente per renderli perfettamente puri. 

È da notarsi che questa sostanza è abbastanza stabile allo stato 
di massima purezza, non ostante che il prodotto greggio si scom- 
ponga molto facilmente. Svaporando la sua soluzione alcoolica a sec- 
chezza a b. m. esso si scompone violentemente emettendo vapori 
di jodio e trasformandosi in una massa carbonosa. Ciò segue pure 
talvolta seccando il composto greggio nel vuoto sull’acido solforico. 

Il nuovo corpo ha la formola 


« LUN » 


come si rileva dalle seguenti analisi: 

I. gr. 0,4269 di materia dettero gr.0,1290 di CO, e gr.0,0100 
di OH,. 

II. gr. 0,8211 di materia dettero gr. 0,2500 di CO, e gr.0,0167 
di OH,. 

III. ge. 0,1680 di sostanza dettero gr. 0,2764 di Agi. 

IV. gr. 0,2280 di sostanza diedero gr. 0,3752 di Agl. 








20 
In 100 parti: 


trovato calcolato per C,1,HN 
I II II IV 
C 824 8,80 — — 8,40 
H 0,24 028 $— — 0,17 
I — — 88,81 88,93 88,96 


deve riguardarsi come un 
« Tetrajodopirrolo. » 


che si formerebbe dal composto potassico del pirrolo secondo la se- 
guente equazione: 


La quantità di jodio impiegata corrisponde sufficientemente 
a quella richiesta dall’equazione. In quanto al rendimento, da gr. 100 
di composto pirrolpotassico si ottennero gr. 35 di jodopirrolo quasi 
puro. 

L’azione del jodio sul composto pirrolpotassico è simile, come 
si vede, a quella del jodio in presenza di acido jodico, ed in questo 
caso una parte del composto potassico fa le veci dell'acido jodico, cioè 
di distruggere l'acido jodidrico mettendo il pirrolo in libertà. 

Il Tetrajodopirrolo ha anche dopo numerosissime cristallizzazioni 
un colore giallo bruno e si ottiene dall'alcool in forma di bellissimi 
prismi splendenti, appiattiti, aggruppati, lunghi parecchi millimetri. 
Esso è quasi insolubile nell’alcool freddo, ma vi si scioglie facilmente 
a caldo, è pure molto solubile nell’etere e nell’acido acetico glaciale, 
ma è affatto insolubile nell'acqua e negli acidi. — Non si può deter- 
minare il suo punto di fusione perchè si scompone parzialnente pri- 
ma di fondere verso i 140°-150°. Riscaldato bruscamente sulla lamina 
di platino fonde ma nel tempo stesso si scompone con una leggera 
deflagrazione, emettendo vapori di jodio e lasciando un’aureola di 
carbone. Esso è un pò volatile ed il suo vapore come pure la sua 
soluzione alcoolica bollente hanno un odore particolare. 

Il jodopirrolo perfettamente puro può venire bollito con acqua 
senza scomposizione. Bollendolo con acido cloridrico s'annerisce, 
l’acido prende un coloramento giallo e poi verde, e si sviluppa jodio. 

La sua soluzione alcoolica dà con quella del nitrato argentico 
un precipitato bianco che s’annerisce istantaneamente; colla soluzione 
alcoolica di cloruro mercurico non si ottiene un precipitato ma sola- 
mente una colorazione verde. 

Lasciando svaporare lentamente la soluzione alcoolica che depose 


21 

per raffreddamento i cristalli già descritti, si ottengono talvolta delle 
squamette o lamine quadrate pure d'un colore giallo bruno. Queste 
squamette hanno però lo stesso comportamento dei prismi già de- 
scritti e sono probabilmente la stessa sostanza. Ciò venne pure con- 
fermato dall’analisi: 

I. gr. 0,8764 di materia dettero gr.0,1246 di CO, e gr.0,0183 
di OH, 

Il. gr. 0,0804 di sostanza diedero gr. 0,1305 di Agi. 

In 100 parti: 


trovato calcolato per C,J,HN 
I II 
C 8,84 — 8,40 
H 0,39 — 0,17 
I — 88,05 88,96 


Per dimostrare la presenza di un atomo d’idrogeno nel tetrajodo- 
pirrolo non basta naturalmente solo l’analisi, perchè la quantità di 
acqua che si forma nella combustione entra già nei limiti degli errori. 

Noi abbiamo da prima tentato di ottenere un composto acetilico 
del tetrajodopirrolo, ma bollendo quest’ultimo con anidride acetica 
ed acetato sodico, o solo con anidride acetica, si sviluppa jodio e si 
forma probabilmente l’acetilenmposto d'un monojodopirrolo, come lo 
accenna l’-nalisi seguente. Ì 

gr. 0,2300 di sostanza dettero gr. 01756 di CO, e gr. 0,0890 


di 0H,. 
In 400 parti: 
trovato calcolato per C,1H,N.C,H,0 
C 29,52 80,64 
H 1,88 9,55 


Facendo agire il potassio od il sodio metallico sul tetrajodopir- 
rolo in soluzione di toluene, non si ottiene un composto col metallo 
perchè questi distruggono il jodopirrolo. 

Si può però ottenere facilmente un composto potassico o sodico 
del tetrajodopirrolo, sciogliendo quest’ultimo in alcoolato potassico o 
sodico oppure in potassa o soda alcoolica. — ll tetrajodopirrolo che 
è insolubile nella potassa acquosa si scioglie facilmente a freddo in 
potassa alcoolica, e da questa soluzione l’acqua non precipita più il 
jodupirrolo, come lo fa dalla soluzione alcoolica ordinaria. 

Svaporando l'alcool, si ottiene un residuo bianco e cristallino 
che si scioglie completamente nell'acqua. Traltando questa soluzione 








22 


con un acido, oppure facendovi passare una corrente di anidride 
carbonica si riottiene il tetrajodopirrolo inalterato come lo dimostra 
la seguente analisi. Anzi questa reazione pud servire come modo di 
purificazione del jodopirrolo. 

gr. 0,4940 di materia deltero gr. 0,1546 di CO, e gr. 0,0264 
di OH,. - 


trovato calcolato per C,HI,N 
C 8,58 8,40 
H 0,59 0,17 


Il composto che si ottiene per azione del jodio sulla combina- 
zione potassica del pirrolo è dunque molto probabilmente un tetra- 
jodopirrolo della formola: 

« C,1,.NH » 
ed il jodio entrando nel nucleo del pirrolo dà all’idrogeno del resi- 
duo imidico proprietà debolmente acide. Il tetrajodopirrolo ha per- 
duto completamente le proprietà leggermente alcaline del pirrolo, 
acquistando invece un carattere simile a quello dei fenoli. 

Noi continueremo lo studio di questo corpo facendovi agire l’ani- 
dride nitrosa. 

Roma. Istituto Chimico. 


Sull’elettrolisi delle soluzioni di acido fiuoridrico 
e di antimoniato potassico, con elettredi 
di carbone 3 


di A. BARTOLI e G. PAPASOGLI. 


Avendo proseguito (4) i nostri studii sulla elettrolisi con elet- 
trodi di carbone di diverse specie sulla maggior parte delle soluzioui 
acide, alcaline, saline, ecc. ecc. abbiamo trovato degni di particolar 
menzione i resultati ottenuli nella elettrolisi dell’ acido fluoridrico 
e dell’antimoniato potassico , e perciò li pubblichiamo separata- 
mente, in questa breve nota. 


I. Elettrolisi delle soluzioni di acido fluoridriso. 


® 


Il carbone di legna o di storta purificato al cloro, impiegati 


(1) Vedi i nostri precedenti lavori sulla elettrolisi. Nuovo Cimento 
anni 1880, 1881, 1882 6 Gazz. chim., anni 1881, 1882. 


28 
come elettrodo positivo nelle soluzioni concentrate di acido fluori- SEA DI 
drico si disgrega in parte, ma non in grande quantita; pid che sn 
altro si rigonfia un poco nella parte immersa (sotto |’ azione della 
corrent2) e diviene così fragile che dopo un certo tempo si spezza 
sotto il proprio peso in frammenti assai grossi , mentre lo stesso 
carbone impiegato come elettrodo negativo non si altera affatto. Du- 
rante il passaggio della corrente (fornita da una pila di 204 ele- 
menti Bunsen) si ha vivo svolgimento d’ idrogeno dall’elettrodo ne- 
gativo, e debole ma pur visibile svolgimento gazoso anche dall’elet- 
trodo positivo. 

I cambiamenti che presenta il carbone di storta o di legna im- 
piegato come elettrodo positivo nelle soluzioni di acido fluoridrico 
diversificano molto da quelli che si osservano impiegando qnalun- | 
que altro elettrolite. | i 

Il carbone che avea per qualche tempo (varie ore) servito da i 
elettrodo positivo nelle soluzioni di acido fluoridrico fumante venne 
prima ripetutamente lavato con acqua finché questa non fosse più 
acida, poscia seccato a bagno maria (a 100°) e ridotto in polvere 
impalpabile Ja quale fu a lungo bollita con acido cloridrico varie volte 
e poscia con acqua finchè le acque di lavacro non dessero più in- 
dizio di acidità : la. polvere nera così ottenuta ha i seguenti ca- 
ratteri : Ì 

4. Si scioglie in parte nell’acido solforico concentrato al quale 
comunica colorazione rosso scura. 

2. É attaccata a caldo dall’ipoclorito sodico con formazione di 
fluoruro sodico, di acido mellico, e dei suoi soliti derivati. 

8. Essa contiene oltre il carbonio, I’ idrogeno e l'ossigeno an- 
che il fluoro in copia ragguardevole. Infatti un grammo di sostanza 
bruciata intieramente nel nitro fuso insieme con carbonato sodico, 
dà fluoruro in copia, che si dosò allo stato di fluoruro baritico. 

La presenza del fluoro non può attribuirsi all'azione dell’ elet- 
trolite sulla parte minerale del carbone , perchè il carbone da noi 
impiegato era statu lungamente sottoposto all’ azione del cloro- ad 
elevata temperatura, ecc. ecc. e non dava cenere, e perchè il fluoro 
si conteneva nella proporzione di circa il 8 per cento del peso della 
parte disgregata. 

Impiegando per elettrodo positivo la grafite nell’acido fluoridrico 
(soluzione concentrata) questa si rigonfia considerevolmenle nella 
parte immersa, prendendo la consistenza di una pappa, e si disgrega 
dopo brevissimo tempo. Con una pila di soli due elementi Bunsen 
sì possono disgregare centinaja di grammi di buona grafite di Cey- 


lan, in cinque o sei ore. 








24 


Il disfacimento della grafite è qui più rapido che con qualun- 
que altro elettrolite da noi studiato. 

La parte disgregata dall’eletirodo si lava ripetutamente con ac- 
qua , fino ad esuurimento di acidità: si bolle poscia per dei giorni 
nell’acido cloridrico, si lava di nuovo e poi si secca a 100°, Si ot- 
tiene così una polvere nera, che rigonfia fortissimamente qnando 
è riscaldata; che è insolubile in tutti i solventi, e che contiene car- 
bone, ossigeno, idrogeno e fluoro. 

“La presenza del fluoro si dimostra bruciando le sostanze nel 
nitro fuso insieme a carbonato sodico: esso si trova in quantità as- 
sai forti per dovere escludere il dubbio che dipendesse dall’ azione 
dell'acido sulla parte minerale della grafite. 

Infatti la grafite da noi purificata non dava che quantità piccolis- 
sime di cenere. 

È probabile pertanto che i composti ottenuti dalla elettrolisi 
dell'acido fluoridrico (1) con elettrodi di carbone di storta o di gra- 
fite siano prodolti derivati rispettivamente dal Mellogeno e dell'acido 
grafitico. La formazione di tali composti ossigenati, analoghi al mel- 
logeno e all’acido grafitico nonchè il modo di comportarsi delle so- 
luzioni concentrate di acido fluoridrico, differente da quello delle so- 
luzioni del cloridrico, bromidrico, iodidrico si spiega bene osservando 
che l’eleltrolisi, delle soluzioni acquose di acido fluoridrico con e- 
lettrodi di platino svolge (come è noto) ozono. Si capisce quindi 
che questo ossigeno libero possa entrare in combinazione col car- 
bonio dell’ elettrodo positivo. Questi studii saranno da noi conti- 
nuati. 


Il. Eletirolisi delle soluzioni di antinwniato potassico 


L'antimoniato potassico si otteneva, scaldando |’ antimoniato 
acido potassico in grande eccesso , con una soluzione di idrato po- 


(1) E giusto osservare che il sig. Gore (Philosophical, 5 serie V. 37, 
p. 470, anno 1869) in un suo rimarchevole lavoro sull’acido idrofluorico 
anidro, aveva osservato che il carbon di storta, il carbon di legno di 
vite impiegato come elettrodo positivo nell’acido fluoridrico anidro si 
disgrega rapidamente. Egli però non ha sperimentato nè su carbone 
di storta o di legno purificato al cloro, e nemmeno su la grafite, col- 
I’ acido fluoridrico acquoso ; e niun cenno fa dei prodotti della disgre— 
gazione, nè dice se contengono si o no il fluoro. Compara anche Watt's 
Dictionary of Chemistry, vol. VI, p. 617. 


25 
tassico: si fillrava ed il filtrato si sottoponeva alla elettrolisi, impie- 
gandone varî litri. e 

La pila impiegata era composta di circa 8 elementi Bunsen rin- 
novati ogni tre giorni: la corrente passò per un mese circa. 

impiegando del carbone di legna o di storta come elettrodo 
positivo si ottenne debolissimo svolgimento gazoso dal polo positivo, 
mentre da quello negativo lo svolgimento gazoso era vivissimo. Il 
carbone elettrodo positivo si consumò fortemente, mentre l’elettro- 
lite si colorava intensamente in nero (nero caldo) ed al fondo del 
voltametro si depositava un sedimento nero 9, solubile in gran 
parte nell'acqua. 

Fu filtrato il liquido primitivo cd al filtrato si aggiunsero le 
acque di lavacro del sedimento 9 che erano fortemente colorate in 
nero : si concentrò il liquido a bagno maria e poscia si aggiunse 
acido cloridrico in eccesso il quale produsse un'abbondante precipi- 
tato B che lavato ripetutamente e bollito per molti giorni con acqua 
cloridrica e poscia raccolto di nuovo su filtro e lavato sinchè le a- 
que di lavacro non conlengono più traccie di sali di antimonio, 
gode delle seguenti proprietà: 

4. Seccato a 100° contiene carbonio, idrogeno, ossigeno ed an- 
timonio. 

2. È solubile nell'acqua e negli idrati alcalini , che colora in- 
tensamente in nero, e da queste soluzioni precipita completamente 
coll'aggiunta di un acido minerale. 

8. Si discioglie con sviluppo di calore nelle soluzioni di ipo- 
clorito potassico formando acido mellico ed altri acidi benzocarbo- 
nici ed antimoniato (1). 

Questa sostanza analoga al mellogeno pel modo di formazione 
e per le sue proprietà è stata da noi chiamata Stibiomellogeno: la 
sua composizione verrà data in un prossimo lavoro. 

Impiegando la grafite come elettrodo positivo , nelle soluzioni 
di antimoniato potassico, sì ottiene vivo svolgimento gazoso dal polo 
negativo mentre lo svolgimento è debolissimo dal polo positivo. A 
fine di esperienza la grafite si è fortemente disgregata ; si ha un 
abbondante deposito nero © al fondo dal voltametro, a cui sovrasta 


(1) Il liquido che coll’acido cloridrico dette il precipitato B, contiene 
solo piccolissime quantità di acido mellico e di altri acidi benzocarbonici. 


4 


26 
un liquido quasi incoloro, che contiene solo piccole quantità di acidi 
benzocarbonici cioè mellico e suoi derivati (1). 

Ii deposito N si lava ripetutamente e si bolle per varii giorni 
in acido cloridrico, si raccoglie su filtro e si lava di nuovo con 
acqua cloridrica finchè le acque di lavacro non contengono più 
traccia alcuna di antimonio. 

L'analisi e le proprietà del deposito Q dimostrano che esso è 
formato da una mescolanza di grafite e di un nuovo compostu con- 
tenente carbonio, idrogeno, ossigeno ed antimonio. ll modo di for- 
mazione e le proprietà ci hanno indotto a denominarlo ossido sti- 
bingrafitico. 

Non disperiamo potere in seguito assegnare la composizione 
di questo composto, quantunque la sua preparazione allo stato di 
purezza presenti difficoltà. 

Riassumeremo gui come conclusione che nella elettrolisi degli 
acidi e dei sali dell’azotico, fusforico, arsenico, antimonico, quelli 
del primo e del terzo diano mellogeno esente da azoto e da arse- 
nico con gli elettrodi di carbone di storta o di legna e di acido 
grafitico (esente da azoto e da arsenico) con elettrodi di carbone 
di grafite, mentre, quelli del 2° e del 4° danno rispettivamente fo- 
sfomellogeno e stibiomellogeno con gli elettrodi di carbone di storta 
e di legna; e acido fosfografitico e stibiografitico con gli elettrodi di 
carbonio di grafite (2). 

Ritorneremo in seguito sulle proprietà e la composizione dei 
nuovi composti da noi ottenuti. 

Dal gabinetto di fisica dell’Istituto Tecnico di Firenze, 1882. 


(1) La formazione di una piccola quantità di questi acidi si spiega 
per l’alcalinità dell’elettrolite. Vedi la nostra memoria sull’elettrolisi della 
grafite nella soluzione alcalina. 

(2) La soluzione acquosa di mellogeno precipita in fiocchi neri con 
l'aggiunta di antimoniato potassico. Il precipitato lavato a lungo con 
acqua cloridrica calda non contiene più traccia alcuna di antimonio. Pa- 
rimente la soluzione acquosa di mellogeno precipita coll’ addizione dt 
acido fosforico; il precipitato lavato con acqua cloridrica non contiene 
più traccia di fosforo. Parimente l’ossidografitico scaldato con soluzione 
di antimoniato potassico od acido fosforico e poscia bollito con acqua 
cloridrica, non contiene più affatto traccia di antimonio o di fosforo. 





27 


Malia costituzione degli elettroliti; 


del prof. ADOLFO BARTOLI. 


È noto da molto tempo che per la legge di Faraday e per la 
leoria meccanica del calore, non si potrebbe con elettrodi inattac- 
cabili decomporre l’acqua con una pila di forza elettromotrice infe- 
riore ad 1,48 Daniell, circa. É pur noto da lungo tempo che si ot- 
tiene deviazione al galvanometro e polarizzazione degli elettrodi im- 
piegando un solo elemento Daniell od una forza elettromotrice as- 
sai più piccola con un voltametro ad acqua con elettrodi di platino 
o di oro chimicamente puri , inserito nello stesso circuito. In tal 
caso la deviazione del galvanometro prova il passaggio di una cor- 
rente: questa corrente decompone o no l'elettrolite? 

Le mie esperienze (1) che datano da varii anni hanno pro- 
vato incontrastabilmente che si ha decomposizinne dell’ elettrolite , 
quantunque sia teoricamente insufficiente la forza elettromotrice im- 
piegata. 

Ricorderò qui brevemente una delle mie esperienze: facevan 
parte dello stesso circuito un voltametro ad acqua soprariscaldata 
con due sottili fili di platino per elettrodi ed una serie di volta- 
metri a nitrato d'argento, a solfato di rame, a ioduro di potassio ec. 
(tutti con elettrodi di platino) ed un elemento Daniell od anche un 
elemento assai più debole, dopo chiuso il circuito si osservava viva 


(1) A. Bartoli, Apparecchio per lo studio della polarizzazione galva- 
nica, Nuovo Cimento 3* serie, T. I, p. 133. Pisa 1877 — Su la decompo- 
sizione dell’ acqua con una forza elettromotrice inferiore alla Daniell, 
Rivista scient. ind. Maggio 1878—Su le polarità galvaniche sulla decom- 
posizione dell’acqua ecc. N. Cimento, 3* serie T. V. p. 203; Pisa 1879 — 
Una nuova esperienza sull’ elettrolisi con deboli elettromotori, Nuovo 
Cimento 3* serie, T. V, 1879 — Le leggi delle polarità galvaniche, Atti 
della R. Accademia dei Lincei, T. VIII, p. 79, anno 1880—Sulle polarità 
galvaniche ecc. Nuovo Cimento 3* serie T. X, p. 216—Vedi anche l’elet- 
tricista e la Natura, anni 1877 a 1881 — Beiblatter, Bd I s. 423; Bd II s. 
396, s. 612; Bd III, s. 516; Bd IV, s. 140, s. 794 e Naturforscher dove pure 
son comparsi i sunti di quei lavori. 





28 


ebullizione dai due fili oppur da uno dei fili di platino, e negli al- 
tri voltametri si poteva riconoscere con mezzi squisitamente sensi- 
bili la decomposizione avvenuta. In un’altra serie di esperienze , 
impiegando una forza elettromotrice inferiore a quella che può teo- 
ricamente decomporre l’acqua, potei verificare la legge di Faraday, 
comparando il numero ed il diametro delle bollicine d’idrogeno che 
si svolgevano dall’elettrodo negativo del voltametro ad acqua, con 
la qualità d’ argento nello stesso tempo depositata su di un filino 
elettrodo negativo di un voltametro a nitrato d'argento, inserito nello 
stesso circuito. Per brevità tralascio di accennare le molte altre e- 
sperienze da me eseguite a tal proposito ; tanto più che le conse- 
guenze ne sono state, io credo, accettate da tutti. 

Come dunque spiegare questa contradizione fra la teoria e l'e- 
sperienza? E si osservi inoltre , che I’ elettrolisi con troppo deboli 
elettromotori non è limitata ai primi istanti dopo la chiusura del cir- 
cuito: essa dura indefinitamente come ho potuto provare con mezzi 
squisitamente sensibili, per quanto essa decresca rapidamente dap- 
principio, tendendo dipoi a diventare costante. In altri termini an- 
che più deboli elettromotori possono indefinitamente mantenere una 
corrente, che col tempo tende a divenire costante; corrente che io 
chiamerò nel corso del presente lavoro, corrente residua. Varii ed 
importanti lavori sono stati fatti allo scopo di spiegare tale discor- 
danza fra la teoris e |’ esperienza : io accennerò fra breve ai due 
principali, e poscia formulerò la mia nuova ipotesi la quale spiega 
assai bene l’elettrolisi coi deboli elettromotori non solo, ma anche 
tutti i fatti riguardanti la corrente residua ed inoltre è assai bene 
in armonia con le vedute della moderna fisica , sulla costituzione 
dei corpi. 

Intanto esporrò i fatti che sono alla mia ipotesi di valido ap- 
poggio; e che mi hanno condotto a formularla (1). 


II. 


Fin dalle prime mie ricerche sulla decomposizione dell’ acqua 
(Nuovo Cimento, Maggio 1879) io aveva trovato che « la corrente 
della pila che traversa il vollametro dopo lunghissimo tempo (cor- 
rente residua) è tanto più piccola per quanto più debole è la forza 
elettromotrice della pila, e per quanto più piccola è la superficie dei 


(1) Bartoli, Su la corrente residua data dai deboli elettromotori, 
Nuovo Cimento, 3* serie, T. XI, maggio 1882. 


29 
due elettrodi (di oro o di platino) supposti uguali : cresce invece ra- 
pidamente col crescere della temperatura del voltametro » Ulteriori 
ricerche eseguite su voltametri con elettrodi di oro e di platino ; 
con acqua stillata o con acqua leggermente acidulata o con acido sol- 
forico purissimo per elettrolite, mi hanno condotto ai seguenti re- 
sultati: 

4. Contando i tempi dall'istante della chiusura del circuito, la 
corrente residun diminuisce in principio tanto più rapidamente per 
quanto più piccola è la resistenza totale del circuito: se questa è la 
più piccola possibile, la corrente residua rimane dopo non molte 
ore sensibilmente costante. Così con una forza elettromotrice uguale 
alla Daniel e con una resistenza totale di 20 Siemens circa, la cor- 
rente residua era inténsa come 530 dopo un primo, come 200 do- 
po 15 minuti; come 451 dopo un'ora; come 440 dopo 5 ore: come 
92 dopo 10 ore; come 94 dopo 45 ore. come 90 dopo 48 ore ecc. 

2. Dopo che la corrente residua , per lunga chiusura del cir- 
cuito è divenuta costante, si può introdurre nel circuito una resi- 
stenza reostatica grande quanto si vuole senza che |’ intensità della 
corrente residua varii: bisogna però che la resistenza introdotta non 
superi quella che è costituita nello stesso circuito al voltamentro da 
una corrente stabile di intensità uguale alla precedente: si può enu- 
merare brevemente questo resultato dicendo che la corrente residua 
è indipendente (caeteris paribus) dalla resistenza totale del circuito. 

3. Impiegando elettrodi dello stesso metallo (oro o platino) lo 
stesso elettrolite nel voltametro, la stessa pila, ecc. ecc. la intensità 
della corrente residua dopo che è divenuta costante, è sensibilmente 
proporzionale alla superficie degli elettrodi. 

A. L'intensità della corrente residua (caeteris paribus) cresce 
rapidamente col crescere della forza elettromotrice della pila. Per 
l’acqua leggermente acidulata con acido solforico , alla temperatura 
ordinaria, si può ritenere in via approssimativa che l’intensità della 
corrente residua , sia proporzionale alla quarta potenza della forza 
elottromotrice della pila: dimodoché detta J l'intensità ed E la forza 
elettromotrice ed indicando con a una costante si ha 


I = ak 


5. L'intensità della corrente residua , tutte le altre condizioni 
rimanendo immulate, cresce rapidamente col crescere della tempe- 
ratura dello elettrolite : per l'acqua un aumento di temperatura di 
+ 90° può esser sufficiente a renderla trenta volte maggiore. 

6. L'aggiunta di una piccola quantità (1, per 100) di un os- 





30 


sidante energico come l’acido azotico, ecc. all’elettrolite non accre- 
sce sensibilmente l’intensità della corrente residua. 


III. 


° Accennerò qui hrevemente a due delle ipotesi fatte per ispie- 
gare il passaggio della corrente con troppo deboli elettromotori (4). 
L’Helmholtz ammette che anche nei voltametri ad acqua dove lun- 
gamente si è praticato il miglior vuoto con pompe a mercurio, ri- 
mangano nel liquido e negli elettrodi, dei gas sciolti, aderenti, od 
assorbiti per occlusione , ed in quantità sufficiente per potere dar 
luogo al passaggio della corrente; in principio : questa poi si man- 
terrebhe con una certa intensità a causa della convezione eletiro- 
litica a causa cioè del gasse che la corrente, una volta passata ha 
depositato sull'altro elettrodo , gaz che divenuto libero può diffon- 
dersi nel liquido, o nei moti di questo venir trasportato all’ altro 
elettrodo (2). 

Il Clausius osserva giustamente (3) che se le molecole par- 
ziali di un elettrolite fosser combinate in un modo stabile in mo- 
lecole totali non si dovrebbe aver corrente finchè la forza elettro- 
motrice è inferiore ad un certo valore; ma quando essa ha rag- 
giunto questo valore , la corrente dovrebbe prodursi tulto ad un 
tratto ed intensa: ma questa conclusione è affatto in contradizione 
coll’esperienza : perciò egli ammette il liquido costituito da molecole 
totali e da un piccolo numero di molecole parziali ovvero intiera- 
mente dissociate, le quali renderebbero possibile il passaggio delle 
correnti coi più deboli elettromotori. 

Vedremo fra poco come queste due ipotesi non sono sufficienti 
a spiegare i fatti della corrente residua precedentemente esposti. 

Darò ora la mia nuova ipotesi dalla quale quei fatti discendono 
come naturale conseguenza 


(1) Non posso qui che dare un cenno delle ipotesi di Helmholtz, e 
di Clausius: un sunto dei lavori di questi due illustri fisici si trova nella 
mia memoria « Su la corrente residua ec. ec. Nuovo Cimento, 3* s. T. XI 
maggio 1882. 

(2) H. Helmholtz, Ueber galvanische Palarisation in gasfreien FIù- 
ssigkeiten, Pogg. Ann 1873 T. CL p. 483. 

(3) Clausius, Pogg. Ann. T. CI, pag. 338. 


IV. 
Ipotesi sulla costituzione degli elettroliti 


In questa ipotesi io ammetto che un liquido elettrolite la cui 
molecola teoricamente richiederebbe per decomporsi una quantità 
di calore Q, e perciò una forza elettromotrice « Q Daniell (2), con- 
tiene un certo numero di molecole le quali richiedono per decom- 
porsi una quantità di calore inferiore a Q, variabile per le varie 
molecole da Q fino allo zero, e quindi anche una forza elettromo- 
trice variabile da a Q fino a zero: il numero relativo di queste 
molecole che chiamerò parzialmente. dissociate cresce rapidamente 
col crescere della temperatura e ad una data temperatura e ad un 
dato istante dipende in parte dalla storia precedente del liquido. 

Se si ammette questa ipotesi, allora chiamato N il numero di 
molecole contenute nell’unità di massa del liquido, questo numero 
si comporrà a un dato istante di nq, molecole che per esser de- 
composte richiedono una quantita di calore compresa fra Q e (Q—s), 
[essendo s una quantità costante tale che Q=ps, dove p è un nu- 
mero intero] di nq, molecole che per esser decomposte richiedono 
una quantita di calore compresa fra (Q—s) e (Q—23); di ng, mo- 
lecole che ne richiedono una quantità compresa fra (Q — 2s) e 
(Q—83); infine di nqp molecole che richiedono una quantità di 
calore compresa fra Q—(p—4)s e zero, e sarà 

N= nq,+ng,+ngst..... + nqp 
e se indichiamo con 9(q) una quantità che moltiplicata per l’ele- 
mento $q dà il numero delle molecole che per esser decomposte 
abbisognano di una quantità di calore compresa fra q e (q + &q) 
sarà anche 


Na: foe 


Se due elettrodi di superficie uguale, piani e paralleli sono im- 
mersi nel liquido, verrà in contatto con gli elettrodi nell'unità di 
tempo un numero di molecole M = mq, + mq, + mqg.+-...+- mqp 
ovvero indicata con f(q) una quantità che moltiplicata per l'elemento 
8q dà il numero di molecole parzialmente dissociate, la cui decom- 


(2) Essendo « una costante. 


32 


posizione richiede una quantità di calore compresa fra q e (q + 8q), 
le quali nell’unità di tempo vengono in contatto con gli elettrodi, sarà 


M= fra 


È chiaro allora che (caeteris paribus) l'intensità I della cor- 
rente residua con una pila di forza elettromotrice E sufficiente a 
decomporre le molecole che per decomporsi abbisognano di una 
quantità di calore K sarà 


K 
I=a ffaag 


Se si ammette che f(q) non sia variata col mettere gli elettro- 
di in comunicazione con la pila, né con la polarizzazione di que- 
sti ec. (4) è facile prevedere che 

4° « L'intensità I non variare col tempo. 

2° « Non dipendere dalla resistenza reostatica , purchè questa 
non sorpassi un dato valore che è quello ec. ». 

8° « Sarà sensibilmente proporzionale alla superficie degli elet- 
trodi ». 

4° « Crescerà col crescere della forza elettromotrice E e col cre- 
scere della temperatura dello elettrolite. 

Come appunto ho trovato per la corrente residua. 

Le quantità mq,, mq,, mqs, ecc. ed anche f(q) che si suppone 
una funsione di q finita continua sempre positiva, che si annulla 
per q == 0 devono crescere rapidamente col crescere di Q. Ora I’ e- 
sperienza avendomi dimostrato che I = A q® dove n è un esponente 
che in molti casi è circa 4, ed A è tina costante; dovrà aversi, 
approssimativamenté f(q) = c q*, essendo c un’altra costante. 

Segue dunque che ammessa la mia ipotesi il numero relativo 
delle molecole parzialmente dissociate che nell'unità di tempo ven- 
gono in contatto coi due elettrodi, richiedono per esser decomposte 
una quantità di calore compresa fra q e (gd — s) (dove s è una 
quantità piccolissima che non varia col variare di g) sarebbe in 


(1) Ciò significa in altri termini che in questa ipotesi, nella spiega» 
zione della corrente residua la legge di Ohm non sarebbe valevole per 
la corrente residua: questa corrente sarebbe la misura del numero di 
molecole decomponibili dall’elettromotore le quali nella unità di tempo 
vengono in contatto con gli elettrodi. 





33 


regione inversa della quantità di calore g elevata ad una potenza 
assai elevata, e in qualche caso vicina alla terza: per cui mentre 
sarebbero pochissime quelle intieramente dissociate, sarebbe invece 
assai grande il numero di quelle che lo sono parzialmente e tanto 
maggiore per quanto q è più vicino a Q. 

Questa mia ipotesi spiegherebbe dunque assai bene i fatti tro- 
vati con l’esperienza: mentre con quella di Helmholtz si troverebhe 
assai difficile render ragione del perchè la corrente residua dipenda 
dalla forza elettromotrice della pila. 

Così pure nell'ipotesi di Clausius, tale quale egli l'ha enunciata, 
le molecole parziali che nell'unità di tempo vengono in contalto 
coi due elettrodi, rendono possibile ugualmente bene il passaggio 
della corrente qualunque sia la forza elettromotrice, il che è contra- 
rio all'esperienza. 

Se l'ipotesi da me enunciata è vera, ne seguono delle impor- 
tanti conseguenze. Non sarà più tanto facile prevedere in tutti i 
casi, fondandosi sui dati calorimetrici, la possibilità o no di talune 
reszioni, come fa il Berthelot, (1) il quale suppone implicitamente, 
che la decomposizione di ciascheduna molecola di un composto ri- 
chieda la stessa quantità di calore: le altre molecole (che chiama 
perzialmente dissociate) le quali richiedono quantità di calore mano 
in mano più piccole e di cui il numero decresce rapidissimamente 
col crescere della loro parziale dissociazione, potranno esser causa 
di altre reazioni secondarie fin qui non prevedute nè considerate 
nella termochimica (2). 

Segue anche che la costituzione di nn eleltrolite dipenderebbe 
molto della sua temperatura e ad una data temperatura dipende- 
rebbe dalla sua storia precedente, dal modo cioè con cui è stato ot- 
tenuto e condotto allo stato in cui si trova. Se tale ipotesi è vera, 
è probabile che oltre l’elettrolizzabilità, alcune altre proprietà fisiche, 
debbano risentire un poco della storia precedente del liquido e po- 
trebbe forse sperarsi di dimostrare ciò in qualche caso con mezzo 
squisitamente sensibile. Non per certo il peso specifico, nè la dila- 
tabilità pel calore, ecc. ma forse il calorico specifico o meglio il coef- 
ficiente di variazione del calorico specifico è quello che potrà pro- 
babifmente svelarci questa dipendenza. 


(1) Berthelot, Mécanique chimique, Paris 1879. 

(2) Si eccettui un lavoro del sig. Chaperon sulla applicazione ‘del 
principio di Carnot alle azioni elettrochimiche, Comptes Rendus, Apri- 
le 1881. 


5 





84 
Chiamata Q la quantità di calore occorrente a scaldare da 0 
a t gradi l'unità di peso di un liquido e 
Q=At+B@01+Ct9+ElU48+Tec. 
il calorico specifico vero Ct alla temperatura # è dato dà 
Ce=A+2Bt+3CH+4E 13+ T ec. 
e il coefficiente di variabilità del calorico specifico da 


dt? 2 
aio =2B+6Ct+ 12 Et? + Tec. 


ed invero per questo coefficiente sperimentatori d’incontestabile 

valentia (4) hanno trovato valori diversissimi così per l’acqua come 

per la maggior parte dei liquidi. E per certo tale argomento merita 

che ci si rivolga attentamente lo studio degli sperimentatori (2). 
Gabinetto di Fisica dell’Istituto Tecnico di Firenza 1882. 


- (1) Compara Rammelsberg, Handbuch der Krystallographisch Phy- 
sikalischen Chemie, I Abtheilunz, Leipzig 1882 e Van t’Hoff, Ansichten 
ueber die organische Chemie, Braunschweig 1881, nonché i trattati del 
calore — Per l’acqua, oltre i lavori del Regnault, del Bosscha, del Pfa- 
undler e Platter dell'Hirn, del Jamin, dell’Henrichsen, del Baumgartner, 
del Willner, della signora Stamo, abbiamo degli interessanti studii fatti 
recentemente dal Dott. G. Gerosa. L'illustre professor G. Cantoni ha 
recentemente proposto (Atti della R. Accademia dei Lincei, Marzo 1882) 
di assumere il mercurio, invece dell’acqua, come corpo calorimetrico 
e come base della caloria. Per quanto poco possa valere la mia voce 
io mi associo qui pubblicamente, alla proposta dell’illustre professore di 
Pavia. 

(2) Poco dopo avere scritta questa nota che comparve più estesamente 
e sotto forma diversa nel fascicolo di Maggio 1882 del Nuovo Cimento, 
ho letto nel Journal de Physique, fascicolo di Agosto 1882, una nota del 
Berthelot (Recherches sur l’absorption des gaz par le platine » Egli trova 
che la spugna di platino, il platino ridotto dall’acido formico e il nero 
di platino, assorbendo l'idrogeno sviluppano calore (da + 14 fino a + 17 
calorie per 1 grammo d’idrogeno assorbito) e che anche l'ossigeno è as- 
sorbito ma in piccolissima quantità con un certo sviluppo di calore, e 
partendo da questi fatti cerca spiegare l’elettrolisi dell’acqua coi deboli 
elettromotori. 

A me non pare buona la spiegazione dell’illustre scienziato, per le 
seguenti ragioni: 

1° Perchè l’elettrolisi con deboli elettromotori si osserva anche con 
elettrolidi che non svolgono affatto idrogeno, come soluzioni concentrate 
di nitrato d'argento, solfato di rame ec. o che non svolgano ossigeno come 
joduro di potassio, ec. 

2° Perché si ottiene corrente e simultanea polarizzazione ed elettro- 
lisi, anche con elettrodi di oro chimicamente puro. 

3° Perchè con gli elettrodi di oro e di platino si ottiene corrente 
ed insieme polarizzazione ed elettrolisi con le più deboli forze elettro- 











85 


Sull’elettrolizi dell’acqua e delle soluzioni 
di acido borico; 


nota di A. BARTOLI e G. PAPASOGLI: 


Avendo noi studiata l’elettrolisi di un grandissimo numero di 
soluzioni acide, saline, alcaline, alcooliche ec. con elettrodi di carbone, 
provammo anche quella di acido borico ed osservammo che essa 
si elettrolizzava assai bene. Bastavano sctte od otto Bunsen a man- 
lenere per lunghissimo tempo assai ben visibile elettrolisi in una 
soluzione satura (alla temperatura di + 90 centigradi) di acido 
borico puro nell’acqua stillata (4). 

Questa osservazione ci condusse a studiare con maggiore atten- 
zione la conducibilità delle soluzioni di acido borico, in quanto che 
il sig. Bourgoin affermava (che non è molto tempo) che esse non 
conducono (Ann. de Chimie et de Physique, 4% s. T. XV pag. 56, 
anno 1868). | 

Fu preparato dell'acido borico purissimo e la sua soluzione fatta 
a caldo si fece dieci volte cristallizzare prima in alcool e poscia nel- 
l’acqua stillata , entro cassula di platino. Impiegammo questo a- 
cido per le soluzioni da studiarsi : la soluzione si faceva in un 
grande crogiodo di platino servendosi di elettrodi di platino. La 
resistenza fu misurata coi soliti metodi. La soluzione di acido borico 
satura a freddo conduce assai meglio dell’acqua stillata che servi 
a preparare la soluzione. La soluzione satura a -+ 80° centigradi 
conduce tanto meglio dell’acqua che si può avere indefinitamente 


motrici; mentre con la spiegazione del Berthelot non si farebbe che ab- 
bassare il valore della forza elettromotrice (limite cioè della più piccola 
forza che può decomporre l’acqua); ma il valore di questa forza elettro- 
motrice limite sarebbe ancora assai considerevole e ben superiore a zero, 
nella più parte dei casi. 

Per tali ragioni mi sembra che sia da rigettarsi la spiegazione del 
Berthelot. 

(1) Bartoli e Papasogli, Sull’Elettrolisi dei composti binarii e di varii 
altri composti acidi e salini con elettrodi di carbone; Nuovo Cimento, 3* 
Serie T. XI, Maggio 1882 e Gazzetta chimica, Anno 1882. 


36 


eletfrolisi ben visibile con pochi elementi Bunsen. Dopo tali espe- 
rienze non si sa capire davvero come il Bourgoin negasse la con- 
ducibilità elettrolitica alla soluzione di acido borico. Vero è che Egli 
ammetteva ancora che l’acqua non è un elettrolite: ma le esperienze 
di uno di noi che datano dal 1878 hanno provato che si può de- 
comporre l’acqua stillata anche con un solo elemento Daniell (1). Per 
quanto grande sia la resistenza dell’acqua pure è sempre possibile 
con sensibili reometri provare il passaggio della corrente dei più 
deboli elettromotori e la conseguente polarizzazione galvanica degli 
elettrodi. Esiste a questo riguardo una grande differenza fra l'acqua 
ed i liquidi veramente coibenti. Così il solfuro di carbonio, il ben- 
zolo ec. ec. non lasciano affatto passare Ja corrente, anche quando 
sì adoperi una potentissima pila ed un reometro della più squisita 
sensibilità. 

Così uno di noi impiegando una pila di quattrocento elementi 
zinco-carbone nell’acido cromico ed un galvanometro Du-Bois Rey- 
inond perfettemente astatico, costrutto dal Ruhmkorff, e dotato di 
tale squisita sensibilità che innestativi ai due serrafili un filo di 
rame ed un altro di ottone e presi i capi dei due fili con le muni 
asciutte il galvanometro deviava di + 90 gradi definitivi, non ha 
ottenuto la più piccola deviazione col benzolo, col solfuro di carbonio, ec. 
nei quali erano immersi per un centimetro due fili di platino 
grossi un millimetro e ben lontani dalle pareti (2) ec. niuna devi- 
‘azione fu osservata con gli stessi liquidi scaldati fino alla ebollizione. 

Si è insistilo assai in questa nota sulla conducibilità elettro- 
litica dell’acqua e delle soluzioni di acido borico e sulle differenze 
fra questi ed i liquidi che sono veramente coibbenti. Ma tale insi- 
stenza apparirà giustificata quando si osservi che in libri di Chimica 
autorevoli e recenti si trova affermato che l'acqua non è un elettro- 
lite (3) mentre poche pagine dopo si trova nelle stesse opere spie- 


(1) Bartoli, Sulla decomposizione dell’acqua con una pila di forza 
elettromotrice più piccola di quella dello elemento Daniell; Rivista scient. 
ind. Firenze 1878 e Nuovo Cimento, Anno 1879. 

(2) L’uso di due lamine come elettrodi, avrebbe potuto indurre in 
errore venendo a costituire un condensatore di una certa capacità; onde 
‘il galvanometro avrebbe potuto accusare una corrente al caricarsi del 
condensatore. 

(3) È singolare la ragione che il Bourgoin adduce per ispiegare per- 
chè (secondo le di lui esperienze) l’acqua e l’acido borico non sarebbero 
elettrolizzati. 

« Un remarquera, Egli dice, que l’eau et l’acide borique sont des corps 
analogues , car ils jouent, indifféremment le role d’acide et de base ». 
Ann. de Chimie et de Physique 4° S. T. XV, pag. 56. 


37 


gata l'elettrolisi delle soluzioni di ammoniaca in azoto ed idrogeno, 
col dire che -in tal caso è l'acqua della soluzione che è elettrolizzata 
e l'azoto che si svolge dal polo positivo non è che un prodotto se- 
condario della elettrolisi. 


Dal Gabinetto di Fisica dell'Istituto Tecnico di Firenze 2 Settem- 
bre 1882. 


Ricerche sulla elettrolisi con elettrodi di carbone delle 
seluzioni dei composti binarii e di vari altri composti 
acidi e salini. 


di ADOLFO BARTOLI e GIUSEPPE PAPASOGLI. 


Nei lavori precedenti da noi pubblicati sull’elcttrolisi ec. abbia- 
mo studiate le soluzioni acquose degli idrati, carbonati e bicarbonati 
alcalini; degli acidi solforico, nitrico, cloridrico (questo diluito), 0s- 
salico, acetico, formico ec. e così pure dell’ acqua pura, dell’alcool, 
della glicerina, del fenolo ec. (1). 

Seguitando le nostre ricerche, abbiamo ora studiata |’ elettro- 
lisi con elettrodi di carbone, delle soluzioni dei composti binarii, € 
così pure quelle di un grandissimo numero di acidi e di sali mi- 
nperali ed organici. 

I carboni da noi adoperati in queste esperienze furono prima 
ridotti in sottili bacchette , poscia tenuti a lungo in contatto col- 
l’acido nitrico; lavati a lungo con acqua, e poi con acido cloridrico 
bollente; da ultimo riscaldati per varii giorni a color rosso bianco 
entro canne ci grés con una corrente di gas cloro secco. I resultati da 
noi ottenuti ci sembrano meritevoli di esser pubblicati ed interes- 
sano in ugual modo il cliimico come il fisico. 

Divideremo la presente memoria in tre parti: nella prima par- 
leremo dell’elettrolisi delle soluzioni dei composti binarii; nella se- 
conda dell'elettrolisi di moltissime soluzioni acide e saline, conve- 
nientemente scelte (ossidanti e riducenti) : nella terza parte infine 


(1) Vedi Nuovo Cimento anni 1879, 1880, 1881, 1882; Gazz. Ch. an- 
ni 1881, 1882. Un sunto dei precedenti lavori fu da noi pubblicato nei 
Comptes Rendus, 15 maggio 1882 e nella Bibliothéque Universelle de 
Genève, fascicolo di aprile 1882 , pag. 409. Vedi anche Naturforscher , 
anni 1881, 1882, ec. ec. 


38 


aggiungeremo altre analisi e proprieta dei composti organici otte- 
nuti così per via elettrica, 


PARTE PRIMA 
ELETTROLISI DEI COMPOSTI BINARII 


I. Elettrolisi delle soluzioni di acido cloridrico. Con le solu- 
zioni diluite di acido cloridrico, contenenti per esempio i! 2 a 8 per 
cento di HCh, impiegando il carbone, sia di legna , o di storta, o 
sia di grafite, come elettrodo posilivo, si ottiene debole sviluppo dal 
carbone positivo, mentre lo svolgimento d’idrogeno è vivissimo dal- 
l’ettrodo negativo, e il volume di questo gaz è corrispondente a quello 
che si svolge in un voltametro normale inserito nello stesso cir- 
cuito (41); il carbone positivo si disgrega rapidamente e si forma al 
fondo del voltametro un deposito nero q: il liquido filtrato ed eva- 
porato in capsula di platino non lascia affatto residuo: onde assenza 
di acidi benzocarbonici nell’ elettrolite. Il deposito n è una mesco- 
lanza di carbone e di mellogeno , se |’ elettrodo era di carbone di 
storta o di legna ; è invece una mescolanza di grafite o di acido 
grafitico se l'elettrodo era di grafite. 

Il mellogeno si può separare dal carbone ricorrendo alla pro- 
prietà che esso ha di sciogliersi nelle soluzioi di idrato sodico puro, 
ed anche nell’acqua; da cui si precipita puro coll’addizione di acido 
cloridrico : che il composto ottenuto fosse veramente mellogeno fu 
provato dalle analisi (che riferiremo in seguito) dalla sostanza pu- 
rificata seccata a 150-160°; e dalle sue proprietà tutte, ed in par- 
ticolare da quella di trasformarsi rapidamente sotto I’ azione degli 
ossidanti deboli (soluzioni non molto concentrate di ipoclorito so- 
dico) in acido mellico, piromellico ecc. 

L’acido grafitico non si può separare che incompletamente dalla 
grafite, essendo ambedue insolubili in tutti i liquidi, acidi, neutri, 
alcalini: si poteva però separare parzialmente coi lavacri, nell’acqua 
agitala, perchè i pezzetti di grafite cadono più presto al fondo. L’os- 
sido grafilico si riconosce principalmente dalla sua proprietà di tra- 
sformarsi a non molta elevata temperatura in ossido pirografitico , 
rigonfiandosi fortemente. Se la soluzione di acido cloridrico, era di- 


(1) È indifferer:te che l'alettrodo negativo sia di carbone, oppure di 
platino, 


39 
scretamente concentrata il consumo del carbone elettrodo positivo 
diveniva appena visibile: con soluzioni concentratissime non si ha 
nessun disgregamento apprezzabile: si svolge allora come è noto dal 
carbone positivo il cloro, in volume uguale, a quello dell’ idrogeno, 
se con qualche artifizio si impedisce il mescolarsi dei liquidi che 
bagnano i due elettrodi; e se si lascia prima saturare di cloro il li- 
quido in contatto con l'elettrodo positivo. Però anche in tale espe- 
rienza il carbone che ha servito alla elettrolisi per molto tempo , 
diventa fragile e si rompe sotto leggera pressione: e se l’elettrolisi 
ha durato molti giorni può esservi ancora disgregamento sensibile 
e trovarsi spezzato il carbone positivo. 

I fatti precedenti si spiegano facilmente, quando si osservi, che 
nelle soluzioni diluite di acido cloridrico, si svolge ossigeno dal polo 
positivo; mentre invece nelle soluzioni concentrate si svolge il cloro; 
e tanto più il cloro sarà esente da ossigeno per quanto più la so- 
luzione cloridrica è concentrata. È notevole il fatto seguente da noi 
ripetutamente osservato : se si clettrolizza una soluzione cloridrica 
(o di un cloruro) piuttosto concentrata, con elettrodi di carbone 
verticali, che peschino in un voltametro formato da un vaso cilin- 
drico di vetro aperto in alto, il carbone elettrodo positivo, mentre 
non si consuma che pochissimo nella parte immersa, è invece ra- 
pidamente consumato (tanto che presto si spezza) nel punto dove 
la superficie del liquido separa questo dall’ aria: l’aria in tal caso 
agisce probabilmente rendendo possibile lo sviluppo di ossigeno in- 
vece del cloro: se invece l'elettrodo positivo è intieramente immerso 
nel liquido come nei voltametri di Hoffmann (4) allora il carbone po- 
sitivo si disgrega ugualmente, in tutti i punti, con la stessa solu- 
zione cloridrica. 

Il. Elettrolisi dei cloruri. Con le soluzioni dei cloruri di sodio, 
di potassio, di calcio impiegate come elettroliti, con elettrodi di car- 
bone, si osservano gli stessi fenomeni che con le soluzioni di acido 
cloridrico: 

Cioè con le soluzioni deboli, si ha consumo del carbone posi- 
tivo, e si ottiene mellogeno se il carbone è di legna o di storta: 
scido grafitico se il carbone è grafite: in ambedue i cusi l’elettrolite 
non contiene quantità sensibili di acidi mellici. 

A misura che cresce la concentrazione della soluzione del clo- 


(1) Hoffmann, /ntroduzione alla Chimica moderna, lezione III, pa- 
gina 72, Brunswich, 1869, Schùtzenberg, Traité de Chimie Générale, Pa- 
Figi 1880, t. 2, pag. 37. 





40 


ruro, diminuisce il consumo del carbone: così con le soluzioni sa- 
ture di cloruro di sodio, di potassio ecc. si ha appena segno di di- 
sgregamento dopo vari giorni di passaggio della corrente. 

Pel cloruro di calcio specialmante bisogna avvertire di adope- 
rarlo purissimo (esente da ossicloruro): si può impiegare quello pre- 
parato come si richiede per il dosamento dell’acqua nelle anilisi or- 
ganiche (4) altrimenti si può avere visibile consumo dell’ elettrodo 
positivo, anche con soluzioni concentratissime. È bene che la solu- 
zione del cloruro che deve essere elettrolizzata sia leggermente aci- 
dulata con qualche goccia di acido cloridrico. 

III. Elettrolisi delle soluzioni di acido bromidrico. Le soluzioni 
di acido bromidrico impiegato erano purissime, e preparate per l’a- 
zione del bromo sul fosforo in presenza dell’acqua (2) erano affatto 
incolore. 

Con le soluzioni molto diluite (2 a 5 per cento di HBr) il car- 
bone sia di storta o di legna oppur grafite si disgrega piuttosto ra- 
pidamente : dopo un certo tempo (qualche giorno) si ha al fondo del 
voltametro un sedimento A costituito da carbone e mellogeno ; se 
l'elettrodo positivo era di carbone di legna o di storta ; da acido 
grafitico e grafite in pezzetti minutissimi, se l'elettrodo era di gra- 
fite; in ambedue i casi I’ elettrolite non contiene disciolte quantità 
apprezzabili. di acidi benzocarbonici. 

L'esistenza del mellogeno o dell'acido grafitico fu provato al so- 
lito, e si provò pure che essi non contenevano bromo. 

Impiegando come elettrolite soluzioni di acido bromidrico sem- 
pre più concentrato scema il disgregamento del carbone elettrodo 
positivo. Con una soluzione densa 1,483 (alla temp. + 41°) non si 
ottenne il più piccolo disgregamento di sottili carboni, nemmeno 
dopo 4 giorni di passaggio della corrente formata da 3 grandi ele- 
menti Bunsen; il voltametro essendo continuamente mantenuto freddo 
a bagno maria. 

Con le soluzioni concentrate di acido bromidrico, si svolge idro- 
geno dal polo negativo, e bromo dal polo positivo: questo si vedeva 
discendere lungo la superficie del carbone elettrodo positivo, e stac- 
carsi poi prendendo forma di un filo liquido colorato che si diffon - 


(1) Vedi Piria, Lezioni di chimica organica, Torino 1865 pag. 119. 

(2) Era di quello stesso campione che servi due anni or sono ad 
uno di noi per lo studio delle polarità galvaniche. Cosi in questa come 
in tutte le elettrolisi seguenti l’elettrolite s'impiegò sempre in quantità 
mai inferiori a 300 gr. qualche volta fino a 2 o 3 chilogrammi. 


44 


deva poi al fendo del recipiente; mentre neppure una bolla gazosa 
si staccava dallo stesso elettrodo : dopo qualche ora di passaggio 
della corrente, l'elettrolite era colorato del colore del bromo ed ab- 
biamo osservato anche noi che lo sviluppo d’idrogeno dal polo ne- 
gativo diventava più debole (sebbene la corrente serbasse la stessa 
intensità) ricombinandosi questo in gran parte col’ bromo disciolto 
per formare nuovo acido bromidrico (4). 

IV. Elettrolisi delle soluzioni di bromuro potassico. || bromuro 
adoperato era purissimo: alle soluzioni si aggiungeva una goccia di 
acido bromidrico; trovammo gli stessi resultati ottenuti con le so- 
luzioni bromidriche: 

Cioè il disgregamento del carbone elettrodo positivo diminuiva 
col crescere la proporzione del sale disciolto: nella soluzione satura 
non fu avvertito il più piccolo disgregamento dopo varii giorni di 
passaggio della corrente di 2 Bunsen, per voltametro mantenuto 
freddo a bagnomaria. 

I fatti precedenti si spiegano molto bene, osservando che nelle 
soluzioni concentrate di acido bromidrico o di bromuri è solamente 
il bromo che si svolge dall’elettrodo positivo ; invece con soluzioni 
più diluite si svolge anche ossigeno e questo è in proporzione tanto 
maggiore per quanto maggiore è la diluizione 

V. Elettrolisi delle soluzioni di acido iodidrico. Le soluzioni 
di acido iodidrico erano purissime . appena colorate; |’ acido fu ot- 
tenuto per la reazione dell’iodio sul fosforo, in presenza dell’acqua. 

Con ie soluzioni assai diluite di questo acido , il carbone di 
storta o di legna o la grafite si disgrega e dopo un certo tempo si 
ha al fondo del voltametro un deposito q costituito da carbone 
e mellogeno se il carbone era di legna o di storta ; da grafite ed 
acido grafitico se l'elettrodo era di grafite: in tutti i casi l’elottrolite, 
filtrato per amianto , non contiene acidi benzocarbonici in quantità 
apprezzabile. 

Invece con le soluzioni concentrate il consumo del carbone elet- 
trodo positivo diminuisce con la concentrazione : con la soluzione 
di densità 1,92 (a + 12°) non si ottenne verun disgregamento del 
carbone elettrodo positivo nemmeno dopo varii giorni di passaggio 
della corrente formata da 8 Bunsen (grandi). L’elettrolite era nella 


(1) Questo fatto di ricombinarsi cioè una parte” dell’ idrogeno elet- 
trolitico col bromo disciolto nell’ elettrolito è già noto da molto tempo: 
Compara De la Riva, Traité d’électricité, t. 2, p. 361, Widemann, Gal- 
vanismus ecc. Bd. I, s. 538. ° 


6 


49 


quantità di 800 grammi circa e si manteneva freddo a bagnomaria. 

Anche in questo caso è naturale la spiegazione dei fatti oeser- 
vati; con soluzioni molto dense di acido iodid“ico, è solamente lio- 
dio che si svolge all’elettrodo positivo: con soluzioni deboli si svolge 
anche ossigeno , la cui proporzione relativa è stato maggiore per 
quanto più diluita è la soluzione. 

Ed infatti con le soluzioni concentrate si osserva dall’elettrodo 
positivo , un filo liquido fortemente colorato di soluzione di indio 
discendere più al fondo del voltametro dove si diffondeva mentre 
non si svolgeva dal polo stesso nessuna bolla di gas. 

Osservammo anche che mentre lo sviluppo di idrogeno era co- 
pioso in principio, divenne poi più debole e dopo qualche giorno 
appena visibile, sebbene la corrente serbasse ancora la stessa inten- 
sità: fatto dovuto al ricombinarsi dell’idrogeno elettrolitico con l’iodio 
disciolto (1). 

VI. Elettrolisi delle soluzioni di ioduro potassico. L’ induro 
era purissimo c la soluzione veniva acidulata con qualche goccia di 
acido iodidrico: Osservammo gli stessi fatti che con le soluzioni di 
acido jodidrico : cioè con le soluzioni diluite di ioduro si aveva 
disgregamento del carbone elettrodo positivo con formazione di mel- 
logeno se il carbone era di legna o di storta, con formazione di a- 
cido grafitico se l'elettrodo positivo era di grafite. Con le soluzioni 
molto concentrate niun disgregamento e il carbone positivo non per- 
deva di peso. 

VII. Elettrolisi delle soluziani di cianuro potassico. (mpiegam- 
mo soluzioni di cianuro potassico a cui si aggiungeva poche gocce 
di acido cloridrico. Ottenemmo sempre disgregamento (qualunque 
fosse la concentrazione) dal carbone elettrodo positivo, con forma- 
zione di mellogeno o di acido grafitico (secondo che l’elettrodo era 
di carbone di storta oppure di grafite) Dall’ elettrodo negativo si 
osserva fortissimo sviluppo gazoso (2) mentre non si aveva nessun 
sviluppo dal carbone polo positivo. 

Il liquido si colorava intensamente poco dopo l’attacco della cor- 
renie, in rosso scuro. 

Dopo varii giorni di elettrolisi, filtrato l’elettrolite, e poscia ag- 
giunto acido cloridrico in eccesso, si ottenevano de fiocchi scuri, in 


(1) Compara De La Rive, Traité d’électricité, t. 2, pag. 361. 

(2) Gay-Lussac elettrolizzando l’acido cianidrico trovò sviluppo nor= 
male di H al polo negativo mentre al polo positivo il cianogeno si di- 
scioglieva. Wurtz, Diz. di Chimica, articolo Elettricità, t. I, p. 1219, 


48 
piecola quantita ed il filtrato rimaneva ancora colorato; ma non si 
trovd quantità apprezzabile di acidi benzocarbonici. Queste espe- 
rienze sulla elettrolisi dei cianuri si continuano ora da noi. 

VIII. Soluzioni di solfuro sodico e di solfuro ammonico. Non 
si osserva svolgimento gazoso dell’elettrodo negativo; invece dall’e- 
lettrodo positivo vi ha lento sviluppo di bolle gazose che ingrandi- 
scono e poi si staccano, producendo insieme un intorbidamento for- 
mato da una sostanza color bianco-citrino (zolfo). 

Il carbone di qualunque specie sia , si disgrega rapidamente : 
la parte disgregata contiene mellogeno oppure acido grafitico secondo 
che il carbone era di storta ovvero era grafite. 


PARTE SECONDA 


IX. Elettrolisi delle soluzioni di acido solforico. Ritorniamo 
qui sulla elettrolisi dell'acido solforico, della quale parlammo già in 
altri nostri precedenti lavori (4). . 

Il carbone sia di storta o di legna o di grafite impiegato come 
elettrodo positivo, si disgrega prontamente, lasciando il liquido in- 
coloro, e svolgendo in piccola quantità i gaz O, CO, CO, (in quan- 
ula tanto più piccola per quanto più piccola è la densità della cor- 
rente cioè l’intensità divisa per la superficie dell’elettrodo positivo). 
A fondo del voltametro si ha un deposito ch’ è costituito da una 
mescolanza di mellogeno e di carbone disgregato se l'elettrodo po- 
silivo era di storta o di legna ; di acido grafitico o di grafite (più 
un'altro composto che è forse |’ ossido idrografitico) se |’ elettrodo 
positivo è di grafite. L’elettrolite non contiene a fine d'esperienza 
che traccie di acidi benzocarbonici. 

Il mellogeno si può separare perfettamente dal carbone disgre- 
gato, adoperando come solvente soluzioni diluitissime d’ idrato 80- 
dico puro, e precipitarlo quindi con l’acidulare la soluzione con a- 
cido cloridrico. 

Più difficile è la separazione completa dell’acido grafitico dalla 
grafite: in questo caso bisogna ricorrere a lavacri in acqua agitata 
o corrente, cadendo le scaglie di grafite più presto al fondo. 

[ depositi ottenuti sono assai ricchi di mellogeno o di acido 


(1) Nuovo Cimento 3* s. vol. VIII, novembre 1880 e vol. X, settem- 
bre 1881, Gazz. Chim. t. XI, p. 468, 1881, e t. XII, 1882. Compara anche 
Comp. Rendus 15 maggio 1882. Bartoli e Papasogli, Synthése de plu- 
sieurs composés organisques per le moyen de l’electroyse de l’eau ecc. 





44 


grafitico: se la densità della corrente fu debole i depositi possono 
contenere fino al 40 o più per cento di quei prodotti (4). 

Questo metodo potrà diventare industriale (servendosi di una 
macchina Gramme come elettromotore) quando l’acido grafitico o i 
derivati del mellogeno (acido mellico, piromellico , idromellico ecc.) 
avranno ricevuto (como potrebbe accadere tra non molto) un'appli- 
cazione. 

Per ora possiamo dire con certezza che nei laboratori si do- 
vrà ricorrere unicamente al metodo da noi scoperto, per procurarsi 
economicamente quantità notevoli di acido mellico ecc. e di acido 
grafitico (2). 

X. Elettrolisi delle soluzioni dei solfati, dei nitrati ecc. Si ot- 
tenevano gli stessi fenomi che nella elettrolisi delle soluzioni di 
acido solforico: si ottengono gli stessi prodotti. 

XI. Elettrolisi delle soluzioni di ocido nitrico (8). Si osservano 
gli stessi fenomeni e si ottengono gli stessi composti, come impie- 
gando le soluzioni di acido solforico. 

Così impiegando per elettrolite una soluzione formata da due 
litri di acqua e 400 gr. acido nitrico, con l'elettrodo positivo di car- 
bon di storta e con una pila di 4 elementi Bunsen rinnovati due 
volte, si ottenne dopo cinque giorni un deposito nero che lavato 
e seccato a 150° pesa gr. 350 e che trattato con I ipoclorito per- 
dette di peso gr. 140 vale a dire che il deposito nero ottenuto con- 
teneva il 40 per 100 di mellogeno. 

Il mellogeno così ottenuto non contiene azoto. 

Se l'elettrodo “positivo era di grafite, il deposito conteneva acido 
grafitico che rigonfiava fortemente pel calore, e che non conteneva 
azoto. 


(1) La ricchezza di mellogeno del deposito può stimarsi facilmente, 
facendo agire a caldo l’ipoclorito sodico , che discioglie intieramente il 
mellogeno e lascia intatto il carbone. 

(2) Si noti che la preparazione dell’acido grafitico col metodo di Bro- 
die è costosa e lunga; e non senza pericolo quando si vogliono prepa- 
rarne grandi quantità. L'acido mellico, piromellico ecc. si ottengono uni- 
camente dalla mellite, minerale assai raro e di un costo molto elevato. 
L’acido mellico fu ottenuto è vero per altra via dallo Schultz (come già 
dicemmo nella prima nostra nota) ma con quel metodo non si ottengono 
che piccolissime quantità di prodotto. . 

(3) Vedi anche le nostre memorie precedenti, Nuovo Cimento, an- 
ni 1880, 1881 e Gazzetta chimica, anni 1881, 1882. 


45 


XII. Elettrolisi delle soluzioni di acido arsenico (41). Abbia- 
mo adoperate soluzioni di acido arsenico purissimo procurato dalla - 
casa Merck di Darmstad. 

Con soluzioni anche molto concentrate di questo acido nell’ a- 
qua, abbiamo sempre ottenuto un rapido disgregamento sul carbone 
di storta o di legna o di grafite. 

In ogni caso si aveva fortissimo sviluppo gazoso dall’elettrodo 
negativo e debolissimo da quello positivo. 

Impiegando carboni di storta o di legna come elettrodi posi- 
tivi si ottenne dopo varii giorni di passaggio della corrente fornita 
da tre grandi elementi Bunsen, un forte consumo del carbone, av- 
renulo con regolare assottigliamento: al fondo del voltametro si aveva 
un deposito © assai alto (circa 50 gr.) di una sostanza nera; il li- 
quido sovrastante era un po’ colorato : aggiunto al liquido sovra- 
slante un po’ di acido nitrico si ottenne filtrando un liquido inco- 
loro che non conteneva sostanze organiche: il deposito 0 fu l&vato 
ripetutamente con acqua leggermente cloridrica e poscia con acqua 
para , finché le acque di lavacro non contenessero più traccia di 
arsenico. Il sedimento Q così lavato aveva le seguenti proprietà: si 
scioglie nell'acqua pura, e meglio nelle soluzioni di soda, colorando 
intensamente il liquido in nero: la soluzione così ottenuta, dà col- 
l'aggiunta di acido cloridrico un precipitato che è intieramente co- 
stituito da mellogeno. Il mellogeno così ottenuto è affatto esente da 
arsenico: infatti bruciatine varii grammi nel nitro fuso addizionato 
di carbonato sodico, e ridisciolta la massa freddata in acqua ec. ec. 
non si ottiene la reazione dell’arsenico nè coll’aggiunta di nitrato 
d'argento nè con l'apparecchio di Marsh ecc. Si ottiene dunque in 
tal caso puro mellogeno, affatto esente da arsenico. 

Impiegando nelle stesse soluzioni la grafite come elettrodo po- 
sitivo , si ottiene dopo un certo tempo un’ abbondante deposito Q 
al fondo del voltametro , mentre il liquido sovrastante resta inco- 
loro e non contiene traccie di sostanze organiche. Il deposito Ka così 


(2) L’elettrolisi delle soluzioni di acido fosforico, con elottrodi di car- 
bone di storta o di grafite fu da noi già precedentemente studiata (Vedi 
Nuovo Cimento 3* s. vol. X, dicembre 1881 e Gazzelta chimica anno 
1882, fascicolo di marzo). Ottenemmo dei nuovi composti contenenti fo- 
sforo, che chiamammo rispettivamente fosfomellogeno ed ossido fosfo- 
grafitico: così per l'elettrolisi dell’antimoniato potassico ci ha dato dei 
Nuovi composti contenenti antimonio, da noi chiamati Stibiomellogeno, 
ed ossido stibiografitico. (Vedi Gazzetta chimica, e Nuovo Cimento fasci- 
colo di giugno 1882.) 


46 


ottenuto ben Javato con acqua e poi con acqua cloridrica non con- 
‘tiene tracce di arsenico: scaldato rigonfia fortemente: coi soliti me- 
todi si può provare che 9 è costituito da grafite e acido grafitico. 

XII. Elettrolisi delle soluzioni di acido borico. Le soluzioni 
acquose e fredde di ‘acido borico, purissimo, fatto cristallizzare dieci 
volte e più in vasi di platino conducono assai meglio dell'acqua stil- 
lata: e meglio conducono le soluzioni acquose di acido borico, sature 
alla ebullizione (1). 

Adoperammo sempre soluzioni di acido borico purissimo sature 
a caldo: il voltametro contenente circa due litri di soluzione veniva 
giorno e notte mantenuto alla temperatura di circa 70°-90°. La pila 
era composta di 6 a 10 elementi Bunsen. 

Osservammo sempre bon visibile sviluppo gazoso dall’elettrodo 
negativo e debole sviluppo dal carbone positivo; questo elettrodo si 
consumò col tempo disgregandosi fortemente, qualunque fosse la 
specie del carbone impiegato; ed in tutti i casi l'elettrolite non con- 
teneva a fine di esperienza che quantità piccolissime di acidi benzocar- 
bonici. 

Se il carbone impiegato come elettrodo positivo era di storta 
o di legna il liquido si colorava intensamente in nero per il Mello- 
geno disciolto (2) e si aveva a fine di esperienza un’abbondante 
sedimento g composto di Mellogeno e di carbone disgregato. Filtrato 
l’elettrolite ed aggiuutevi le acque di lavacro del deposito Q (dopo 
filtrate a caldo) si ottiene un liquido nerissimo che sì concentra a 
bagnomaria e da cui si precipita il mellogeno coll’aggiunta di acido 
cloridrico. Si raccoglie su filtro il precipitato e poscia si lava ripe- 
tutamente con acqua cloridrica. 

Il mellogeno così ottenuto è purissimo e non contiene la più 
piccola quantità di boro. Questo metodo è eccellente e relativamente 
economico per otienere mellogeno puro. 

XIV. Elettrolisi delle soluzioni degli ipocloriti, permanganati, 
bicromati, clorati alcalini. Con soluzioni rieche di sale, (5) si ha 


(1) L'acqua fredda come è noto scioglie solo il 3 0/, di acido borico; 
mentre l'acqua bollente scioglie il 29 0, dello stesso acido borico. 

(2) Già nella nostra memoria sul Mellogeno ecc. (Nuovo Cimento, 
3* s, fasciscolo di Dicembre 1881 e Gazzetta Chimica t. XII, Febbrajo 
1882), dicemmo che l’acido borico non precipitava affatto le soluzioni 
acquose di Mellogeno. 

(3) Quelle di clorato e di permanganato erano mantenute sature 
durante l’elettrolisi per mezzo di cristalli tenuti a mezza altezza del li- 
quido. 


AT 
debole sviluppo gazoso dall’elettrodo negativo e debole ancora da 
quello positivo: l’elettrodo di carbone si disgrega rapidamente. Se 
l'elettrodo positivo è di grafite, si ottiene al fondo del voltametro 
un deposito nero che contiene, ossido grafitico; se l'elettrodo era di 
carbone di storta o di legna, il deposito è intieramente costituito 
da carbone e mellogeno. Con gli ipocloriti molto alcalini si trova 
nell’elettrolite acido mellico e varii altri acidi benzocarbonici. L’elet- 
trolite essendo in tal caso un’ossidante energico, il mellogeno viene 
trasformato in acidi benzocarbonici a misura che si forma. 

XV. Elettrolisi delle soluzioni di acido cromico. Con soluzioni 
assai ricche di acido, si ha appena sviluppo gazoso dallo elettrodo 
negativo: il carbone si consuma rapidamente, e se é di storta o di 
legna con regolare assottigliamento. Se s’impiega grafite, questa si 
rigonfia nella parte immersa e dopo poche ore si disfà completa- 
mente. Nel primo caso si ottiene mellogeno e nel secondo ossido 
grafitico: nel liquido non si trovano che tracce di acido mellico (4). 

XVI. Elettrolist delle soluzioni di acido mellico. L'acido mel- 
lico da noi impiegato era purissimo. Era ottenuto dalla decom- 
posizione della mellite, (Honigstcin) oppure da noi preparato per 
sintesi diretta dalla elettrolisi degli idrati alcalini con elettrodi di 
carbone. 

La sua soluzione conduce discretamente: con 8 Bunsen e si ha 
una elettrolisi sufficiente. 

Impiegando con questo elettrolite il carbone di storta o di legna 
come elettrodo positivo, esso si disgrega prontamente, il liquido si 
colora intensamente in nero pel mellogeno disciolto mentre cresce 
la conducibilità del liquido (2): ed al fondo del voltametro si ha un 
sedimento abbondante costituito da mellogeno e carbone disgregato. 
Al liquido primitivo filtrato si aggiungono le acque di lavacro del 
sedimento, debitamente filtrato, si concentra il liquido a bagnomaria 
@ poi si precipita il mellogeno coll’addizione di acido cloridrico ecc. 
come nella elettrolisi dell'acido borico: si ottiene così del mellogeno 
purissimo; ed anche questo metodo è relativamente economico per 
ottenere del mellogono puro. Nel liquido da cui l'acido cloridrico 


(1) L’elettrodo negativo di carbone, impiegato nella elettrolisi del- 
l'acido cromico, si trovò rivestito da una guaina di cromo metallico, . 
tenacissimo, splendidissimo, inalterabile all’aria e dall’acqua: derivante 
dalla decomposizione del cromato di cromo formatosi nell’elettrolite. 

(2) L'acido mellico non precipita le soluzioni acquose di mellogeno, 
come dicemmo nella memoria sul mellogeno ecc. (Nuovo Cimento e 
Gazzetta Chimica loco citato). 


48 


precipitò il mellogeno, si è trovato acido mellico in copia, cd alcuni 
altri acidi benzocarbonici. 

XVII. Elettrolisi delle soluzioni degli ossalati, formiati aceta- 
ti ecc. Gli stessi fenomeni e gli stessi prodotti che si ottengono nella 
elettrolisi dei solfati ecc. Se Ja soluzione è diluita il carbone elettendo 
positivo si consuma sensibilmente: con soluzioni concentrate il car- 
hone appena si consuma anche dopo molti giorni di passaggio della 
corrente: l'ossigeno che si forma al polo positivo ossida di preferenza 
il radicale elettronegativo dell’elettrolite. (Compara Bourgoin, Ann. 
de Chimie et de Physique, 4° s. t. 14, pag. 157). 

XVIII. Soluzioni di bisolfito sodico. Le soluzioni erano sature, 
di fresco preparate, ben pure ed esenti da solfati. L’elettrolite era 
in grande quantità; dall'etettrodo negativo, vivo svolgimento gazoso: 
più debole da quello positivo ed insieme si precipitava solfo: il car- 
bone sia di storta sia di grafite non si disgrega nemmeno dopo 
varii giorni di passaggio della corrente: a fine di esperienza si ha 
nell’elettrolite una grande quantità di solfo, e dei bei cristalli che 
trovammo intieramente costituiti da solfato sodico, il quale essendo 
meno solubile del bisolfito, cristallizza il primo. Non è dubbio, che 
a causa appunto del solfato che si forma, se la massa dell’elettrolite 
fosse stata poca, o se la corrente avesse durato lungamento, il car- 
bone positivo avrebbe col tempo incominciato a consumarsi. 

XIX. Soluzioni di pirogallolo nella soda. L'elettrolisi precedente 
poteva far supporre che nell’acido pirogallico, in soluzione alcalina, 
il quale così rapidamente assorbe ossigeno, il carbone elettrodo posi - 
tivo non si sarebbe disgregato. Osservammo invece un rapido con- 
sumo del carbone vuoi di storta vuci di grafite: i prodotti di questa 
elettrolisi non sono ancora da hoi studiati. Questo fatto non è senza 
importanza, perchè ci mostra che in tali condizioni l'ossigeno elet- 


trolitico entra di preferenza in una combinazione dove entra anche . 


il carbone elettrodo positivo, quantunque l’elettrolite sia così attivo 
per combinarsi con l'ossigeno, dove invece nella elettrolisi del bisol- 
fito potassico l’ossigeno elettrolitico serve a trasformarlo in solfato, 
mentre il carbone elettrodo positivo rimane inalterato. 


PARTE TERZA. 


Riferiamo ora le analisi dei composti ottenuti in queste elettro- 
lisi. Una parte dei risultati analitici fu già pubblicata nei nostri 
lavori precedenti: qui ne aggiungeremo altri che non poterono essere 
pubblicati in quei lavori. Ricordiamo prima che dopo le nostre prece- 


49 
denti ricerche (vedi N. Cimento e Gazzetta Chimica e Natura, anni 
1881, 1882) il mellogeno seccato sotto campana con acido solforico, 
contiene acqua e la sua composizione può essere rappresentata dal- 
la formola 2 (C,,H,0,) + 8H,0 seccato; a 100° perde gli elementi 
dell’acqua (ma non tutta) e la sua composizione può essere rap- 
presentata così 2(C,;H,0,) + H,O; seccato a 140°-160° perde tutta 
l'acqua e la sua composizione può essere rappresentata da C,,H,0, 
oda un multiplo di questa: a temperature più elevate di 160° esso 
si decompone lentamente. 

XX. Composizione del mellogeno ottenuto nella elettrolisi del- 
Facido solforico. Il carbone impiegato in tale elettrolisi come elet- 
trodo positivo era di storta: l'acido solforico era purissimo: il mel- 
logeno si ottenne dal sedimento depositato a fondo del voltametro: 
sedimento che fu prima ed a lungo lavato con acqua bollente fino 
ad esaurimento di acidità, poscia con acqua leggermente alcalina 
per idrato sodico: questo disciolse il mellogeno colorandosi in nero 
inteso; l'aggiunta di acido cloridrico lo precipitò, lo si raccolse su 
filtro, lo si lavò ecc. infine fu seccato a + 150° finchè non perdesse 
più di peso: ci assicuranimo che non conteneva solfo, bruciandolo 
nel nitro puro insieme a carbonato sodico. Esso non conteneva af- 
fatto azoto quantunque il carbone di storta adoperato come elettrodo 
positivo fosse impuro e contenesse lieve quantità di azoto. Ne fu 
poscia fatta l’analisi elementare. 

4. Gr. 0,8015 di mellogeno seccato a 150° dettero gr. 0,7856 
di anidride carbonica e gr. 0,0277 di acqua onde: 


C % = 66,54 HY% = 1,024 
I! composto C,,H,O, contiene:° 


CY = 66,667 HY = 1,010 


XXI. Analisi del mellogeno ottenuto nella elettrolisi delle solu- 
zioni di acido mellico. Il mellogeno fu ottenuto puro nel modo in- 
dicato nella parte seconda di questa memoria. Riferiremo qui i re- 
sultati delle analisi: 

2. Gr. 0,2340 di sostanza seccata a 155° dettero gr. 0,752 di 
anidride carbonica e gr. 0,0230 di acqua onde si deduce per la sua 
composizione centesimale: 


C% = 66,67 H%= 1,092 
8. Gr. 0,1800 di sostanza seccata a 150° dettero gr. 0,4395 
7 





50 
di anidride carbanica e gr. 0,0168 di acqua; onde si deduce per 
la composizione centesimale: 
CY = 69,59 H % == 1,04 
4. Gr. 0,2110 di sostanza seccata a 150° dettero gr. 0,5155 di 
anidride carbonica e gr. 0,0195 di acqua: onde si deduce per la 
sua composizione centesimale: 
C'% = 66,63 H% = 1,027 
Queste analizi corrispundono perfettamente al mellogeno che 
seccato a 140°-160° ha per formola C,,H,O, e contiene perciò: 
“C%= 66,667 H°, = 4,040 
XXII. Analisi del mellegno ottenuto nella elettrolisi delle solu- 
zioni di acido borico. Il mellogeno fu ettenuto nel modo indicato 
nella parte seconda di questa memoria: ecco i resultati dell'analisi. 
5. Gr. 0,3530 di mellogeno seccato sotto campana in presenza 
di acido solforico, alla temperatura di + 10° dettero gr. 0,7615 di 
anidride carbonica e gr. 0,0700 di acqua: onde si deduce: 
C‘, = 58,88 H% = 2,204 | 
Il mellogeno seccato alla temperatura ordinaria ha per formula 
2(C,,H,0,) + 85,0 a cui corrispondono. 
C% = 58,67 H%, == 2,22 
6. Gr. 0,2190 di mellogono seccato a 100° dettero gr. 0,5445 
di anidride carbonica e gr. 0,0300 di acqua, onde: 
C%= 63,70 H% = 1,52 
Il mellogeno seccato a 100 ha per formula 2(C,,H,O,) + H0; 
alla quale corrispondono: 
C% = 68,77 HY = 1,59 


(Vedi la nostra memoria Sul mellogeno, Gazzetta Chimica 1882) 
7. Gr. 0,2020 di mellogeno seccato a 140°-160° dettero gr.0,4927 
di anidride carbonica e gr. 0,0197 di acqua: onde 


C%, = 66,52 =H%=14,084 
8. Gr. 0,2610 di mellogeno seccato a 140°160° dettero gr.0,6860 
. di anidride carbonica, e gr. 0,0260 di acqua, onde 


C% = 66,46 H% = 1107 





51 


Il mellogeno seccato a 140°-460° ha per formula C,,H,O, .e 
contiene 


C*, = 66,67 H% = 41,010 


XXIII. Analisi degli acidi derivanti dalla ossidazione del mel- 
logeno. Dicemmo già che il mellogeno sotto l’azione di ossidanti 
anche deboli (ossigeno dell’aria, soluzioni anche diluite di ipoclo- 
riti ecc.) si decompone dando luogo alla formazione di varii acidi 
benzocarbonici. La stessa trasformazione ha luogo anche per l’azione 
dell'ossigeno elettrolitico sul mellogeno sciolto negli elettroliti alca- 
lini (soluzioni di idrato sodico, carbonato sodico, ecc.) 

La formazione degli stessi acidi ha pur luogo’ed in un modo 
ancora oscuro, e che cerchiamo ora di spiegare anche nella elettro- 
lisi delle soluzioni alcaline con elettrodi di grafite (1). 

Gli acidi benzocarbonici potuti separare nella elettrolisi del- 
l'acqua e delle soluzioni alcaline son quattro: mellico, piromellico 
idromellico ed un altro che è molto probabilmente idropiromellico 
oppure un acido di uguale composizione. Per l'azione degli ipocloriti 
alcalini sul mellogeno, ci è stato possibile preparare in copia gli 
stessi acidi. 

Le analisi del mellico e dei suoi sali d’argento, di piombo e di 
calcio furono dati nelle nostre memorie precedenti; diamo qui qual- 
cheduna delle analisi degli altri tre acidi. 

XXIV. Analisi del piromellico ottenuto dalle elettrolisi del- 
Pidrato- potasstco, con elettrodi di carbone (2). 


{1) Diamo qui sotto riserva la seguente spiegazione: l’ossido grafitico 
che si forma dalla grafite, sotto l’azione della corrente, in parte trasforman- 
dosi in idrografitico dà sotto l’azione dell’ossigeno elettrolitico nelle solu- 
zioni alcaline gli stessi acidi benzocarbonici. L’ossido grafitico preparato 
secondo Brodie, non dà reazione alcuna quando è trattato a caldo con 
gli ipocloriti: invece l’ossido grafitico da noi ottenuto per elettrolisi, è in 
parte trasformato dagli ipocloriti in acido mellico ecc. Questo fatto è in 
favore della nostra ipotesi: sembra dunque che l’ossido grafitico da noi 
ottenuto coll’elettrolisi contenga pure altra sogtanza (forse idrografitico) 
trasformabile in mellico per l’azione degli ossidanti. Si noterà d'altra 
parte l'analogia fra la formula del mellogeno e quella dell’acido grafitico 
di Brodie. Ulteriori esperienze decideranno. Non dubitiamo punto però 
di riuscire con una serie di convenienti trasformazioni ad ottenere il 
mellico dall’ossido grafitico di Brodie. 

(2) La separazione di questi quattro acidi si otteneva nel modo se- 
guente. La soluzione che conteneva i quattro acidi liberi si precipitava 
cos idrato baritico in leggero eccesso: o se si aveva la mescolanza dei 








52 


4. Gr. 0,2445 di sal d'argento seccato a 120° dettero gr. 0,1335 
d'argento: onde 


2. Gr. 0,8170 di sal d’argento seccato a 120° dettero gr. 0,2005 
di argento. 
Ag%, = 68,25 


Il piromellato d’argento C,,H,Ag,O, contiene il 68,34%, di ar- 
gento. 
8. Gr. 0,2070 di sale di piombo seccato a 200° dettero gr. 0,1350 
di PbO; onde 
Pb%, = 60,50 


Il piromellato di piombo seccato a 200° ha per formula. 
C,)H,Pb,O, + H,O 


e contiene Ph % == 60,70 (Compara Gmelin, Organisce Chemie, Sup- 
plement Band, II Abt. s. 745-746) 

A. Gr. 0,2070 di sal di piombo seccato a 200° dettero gr. 0,1320 
di anidride carbonica e gr. 0,0110 di acqua: onde 


C% = 17,39 HY = 0,597 
Il piromellato di piombo seccato a 200° contiene. 
CY, = 47,59 H% = 0,586 


5. Gr.0,2600 di acido libero seccato sotto campana in presenza 
di acido solforico a + 12° dettero gr. 0,3920 di anidride carbonica e 
gr. 0,075 di acqua; onde: 


CY =4M12 HY = 8,206 


sali sodici si precipitava con leggero eccesso di nitrato baritico; e poi si 
filtrava: l’idropiromellato baritico essendo un pò solubile si trovava nel 
filtrato. Il precipitato raccolto in filtro si riduceva a sali sodici che si 
acidulavano con acido acetico e poscia si aggiungeva nitrato calcico che 
dopo 48 ore precipitava completamente il mellico (se la soluzione non 
era troppo diluita) Il filtrato conteneva i sali degli acidi piromellico € 
idromellico; si riducevano questi a sali di piombo e poscia coll'idrogeno 
solforato ei otteneva la soluzione degli acidi liberi: neutralizzata questa 
con ammoniaca e poi lasciato spontaneamente evaporare sotto campana 
con acido solforico, cristallizzava ben presto in bellissimi aghi il piromel- 
lato ammonico, il quale poteva così separarsi e rimaneva la soluzione di 
idromeliato ammonico non cristallizzabile. Separati così i quattro acid, 
si sottoponevano a nuove purificazione, prima di sottoporli all’ analisi. 


58 


L'acido piromellico seccato alla temperatura ordinaria ha per 
formula C,,H,O, + 2H,O e contiene perciò. 


C% = 41,38 H%=—8As 


(Compara Gmelin, Dizionario di Chimica, loco citato). 
6. Gr. 0,1447 di acido libero seccato a 120° dettero gr. 0,1920 
di CO, e gr. 0,0250 di H,O onde: 


CY = 47,18 HY = 32,50 


7. Gr. 0,4915 di acido libero seccato a 120° dettero gr. 0,9820 
di CO, e gr. 0,0480 di H,O onde: 
UU = 47,28 H% = 2,49 
L'acido piromellico seccato a 120° ha per formula C,,H,0, e con- 
lese, 
C% = 47,24 HY = 2,86 
L'acido libero che fu analizzato era cristallino: solubile in acqua 
ed in aleoo! fondeva verso + 288°: erano ben cristallini i suoi sali 
ikslini: il suo sale sodico non precipitava nè col solfato di man- 
nese nè col solfato ferroso (4). Il suo sale d'argento scaldato con 
doro d'etile in tubo chiuso a + 100°, formò un composto insolubile 
ia equa, solubile in alcool dal quale cristallizzò in aghi incolori, 
hsibili sotto 400° (etere piromellico) 
XXV. Apaalisi dell'idromellico. 1. Gr.0,4017 di sal d’argento 
seceati a 100° dettero gr. 0,0665 di argento; onde Ag% = 65,89 
2. Gr. 0,2855 di sal d’argento seccati a 100° dettero gr. 0,1550 
di CO, e gr. 0,0150 di H,O; onde: 


C% = 14,80 H*, = 0,584 
L’idromellato d’argento C,,H,Ag,0,, contiene. 
Ag%>,= 65,45 C%=1454 H%=0,60 


8. Gr. 0,8695 di sal di piombo seccato a 100° dettero gr. 0,2865 
di PhO onde Pb” = 64,44. . 

4. Gr. 0,8100 di sal di piombo seccato a 100° dettero gr. 0,2155 
di PbO onde Pb®, = 64,83. 

5. Gr. 0,5480 di sal di piombo seccato a 100° dettero gr. 0,295 
di CO, e gr. 0,026 di acqua; onde. 


CY,=1468 HY, =0,88 


(1) Compara i Dizionarii di Chimica, all’articolo, Piromellico (acido). 





54 


6. Gr. 0,8470 di sal di piombo seccato a 100° dettero gr. 0,1890 
di CO, e gr. 0,0210 di acqua: onde. 


C*,=44,88 H*, = 0,678 


7. Gr. 0,8950 di sal di piombo seccato a 100° dettero gr. 0,2160 
di CO, e gr.0,0280 di acqua, onde. 


C°,=414,90 HY, = 0,647 
L’idromellato di piombo di C,,H,Pb,0,, contiene. 
C°,=414,94 H,=—0628 Pb, — 64,49 


L’acido libero era gommoso, fusibile, non cristallino; nè cristal 
lizzabili erano i suoi sali alcalini: essi non precipitavano i sali di 
calcio nelle soluzioni acide d'acido acetico; precipitavano invece 
intieramente coi sali di bario. 

XXVI. Analisi dell’idropiromellico. 

4. Gr. 0,4680 di sal di piombo seccato a 150° dànno gr. 0,3400 
di PbO, onde. 

Pb °/, = 62,15 

L'idropiromellato di piombo C,,H,Pb,0, contiene il 64,97 % di 
piombo. 

2. Gr. 0,1800 di sal di bario seccato a 100° danno gr. 0,1880 
di carbonato baritico onde: Ba®/ = 54,88. 

L’idropiromellato di bario C,H,Ba,0, contiene il 54,89%, di 
bario. 

8. Gr. 0.5000 di sal d'argento seccata a 100° danno gr. 0,8180 
di argento; gr. 0,8410 di CO, e gr. 0,08985 di acqua; onde si deduce. 


C°%/ = 16,964 H °/, 0,878 Ag% = 62,600 
L'idropiromellato d'argento C,,Ag,H,O, contiene. 
C% = 17,49 H®, = 0,875 Ag, = 62,97 
Abbiamo qui per brevità dovuto omettere un gran numero di 
altre analisi di mellogeno, di acidi liberi, di sali d'argento di piombo, 


di calcio, di bario ecc. quelle riferite ci sembrano però sufficienti 
per ora. 


Termineremo qui col riassumere in alcune proposizioni generali 
i resultati ai quali siamo giunti in questo lavoro. 


CONCLUSIONI 


1, In generale in tutti quei liquidi nei quali l’elettrolisi non 
svolge ossigeno all’anodo, il carbone di storta o di legna o la grafite 





35 


impiegato come elettrodo positivo non si disgregano ‘né provano 
perdita di peso sensibile (1). 

2. Per il contrario nei liquidi nei quali l’elettrolisi porta ossigeno 
libero sull’anodo: I 

Il carbone di storta o di legna o la grafite impiegati come elet- 
trodo positivo si consumano, disgregandosi in parte e si formano 
anidride carbonica ed ossido di carbonio (la cui proporzione relativa 
dipende dalla intensità della corrente e dalla grandezza della super- 
ficie del carbone positivo) nonchè degli altri prodotti che differiscono 
secondo la natura del carbone. 

3. La grafite impiegata come elettrodo positivo in questi liquidi, 
non produce mai colorazione dell’elettrolite, mentre invece il carbon 
di storta o di legna purificati per l’azione del cloro ad alta tem- 
peratura, producono intensissima colorazione nera nell'acqua, nelle 
soluzioni alcaline ed in quelle di taluni acidi o di taluni sali degli 
stessi acidi. 

4. Il carbone di storta o di legna impiegato come elettrodo 
positivo nelle soluzioni acide o di sali neutri la cui elettrolisi fa 
svolgere ossigeno sull’anodo, forma principalmente, anzi quasi intiera- 
mente (oltre ai gaz CO e CO,) una sostanza nera , solida, che fu 
da noi chiamata mellogeno, la cui composizione è rappresentata 
dalla formula C,,H,O, o da un multiplo di questa e solamente traccie 
di acidi benzocarbonici: e nelle soluzioni di acido fosforico o di acido 
fluoridrico o di antimoniato potassico una sostanza analoga al mel- 
logeno per le sue proprietà, ma contenente fosforo, o fluoro o anti- 
monio, a seconda dell’elettrolite impiegato. 

Invece la grafite impiegata come elettrodo positivo negli stessi 
liquidi produce oltre i gaz CO e CO, dell'acido grafitico C,,H,O, 
principalmente od un composto analogo ma contenente fosforo o fluo- 
ro od antimonio, se l’elettrolite era una soluzione di acido fosforico 
o di fluoridrico o di antimoniato potassico. 

5. Così il carbone di storta o di legna come la grafite, impie- 
gati come elettrodo positivo negli elettroliti alcalini dànno acido 
mellico C,,H,0,s, acido piromellico C,H,0x, acido idromellico 
C,,H,,0,, ed un altro acido che è l’idropiromellico C,,H,,0, 9 che 
ha almeno la stessa composizione ‘centesimale di questo acido. 

Dal Gabinetto di Fisica dello Istituto Tecnico; Firenze 1882. 

(1) Si eccettui l'acido fluoridrico anidro, nel quale il carbone di storta 


elettrodo positivo si disgrega rapidamente. Nelle soluzioni acqnose di acido 
fluoridrico, si svolge ossigeno al polo positivo, come 6 già noto. 


GAZZETTA CHIMICA [TALIANA 


BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 








Journal of the Chemical Society, fascicoli da agosto a dicem- 
bre 1882. 

Russel: Studio spettroscopico della clorofilla.—E I. Millse Barr: 
Precipitazione dell'allume col carbonato sodico.— W ar ington:Sulladeter- 
minazione dell’ac. nitrico allo stato di ossido nitrico per mezzo della sua rea- 
zione coi sali ferrosi.—Id.: Sulla determinazione dell’ac. nitrico.—S akurai: 
Composti metallici contenenti radicali idrocarbonici bivalenti. — W. H. 
Perkin: Alcune osservazioni sulla combustione luminosa ed incompleta 
dell'etere e di altri corpi organici. - Hummele A G. Perkin: So- 
pra alcuni nuovi composti di emateina e brasileina. — Thomsone 
Popplewell Bloxam: Sulla cristallizzazione dalle soluzioni sopra- 
samre di alcuni sali—Forster Morley: Sulla ossipropiltoluidina.— 
Plimpton: Sopra alcuni composti alogenici dello acetilene.--V iller: 
Sugli acidi diidrobenzoico e jodosalicilico, - Watson Smith e G. W. 
Days: Nuova prova per mezzo dell’analisi della molecola della chinolina, 
che questa base appartiene alla serie aromatica delle sostanze organi- 
che.-Idem Idem: Composti molecolari cristallini della naftalina e della 
terpina col tricloruro di antimonio. Neville e Wiuther: Sull’ or- 
cinol e su alcuni altri diidrossitolueni. 

Journal fiir praktische Chemie, 1882, dal N. 12 al 20. 

Nencki e Sieber: Ricerche sulle ossidazioni fisiologiche.—Idem 

Idem: Sulla presenza dell’ acido lattico nelle urine degli ammalati. — 
Nencki: La storia di una ptomaina —Rusinski: Prodotti di conden- 
sazione dei fenoli e dell'acido acetico e metodo semplice di preparazione- 
degli eteri acidi dei fenoli.--Witten berg: Sulla resocianina e l’azione 
dell'etere acetico sui fenoli in presenza di mezzi disidratanti.—-M ùller 
W. Determinazione dello zucchero d’uva.—Otto: Determinazione dello 
zucchero d’uva e sua titolazione col liquido di Knapp-Menschutkin: 
Determinazione dell’isomeria degli alcooli e degli acidi. — Weber: Sul 
nitrato di zinco.—C urti us: Sopra alcuni acidi amidici sintetici di costitu- 
zione analoga all'ac. ippurico.-Menschutkin:Sulla formazione e scom- 
posizione dell’acetanilide.—B em m ele n: L’idrato dell'ossido di berillo.— 
Schertel: Sul peso specifico dell'acido solforico monoidrato. - Kelbe: 
Proprietà antisettiche dell'acido carbonico.—G erdes: Sulle basi plati- 
arhe che si ottengono per la elettrolisi dei carbaminati e carbonati am- 
monici.—Drechsel: Sui composti ammonplatindiammonici.—O bach: 
Comportameoto del solfaro di carbonio col permanganato potassico. — 
Ko} be: Giudizio su Adolfo Baeyer-Salomon: Composizione dell'ac. di 
riso-NenckieSieber: Sulla uroroseina.—E. M ayer: Sulla cianitina e 
basi da essa derivate. —F Pr 6 u n d: Sul trimetilene.—J am 6s: Sul clorobro- 
mauro e sul clorosolfocianuro di etilene alluminati di bario. Beckman: 
Ritthausen: Sul comportamento detla conglutina dai semi di lupino 
colle soluzioni saline —Idem: Weddige: Sull'etere nitrofenilico dell’ac. 
amesinico tribasico.—K le pl: Etere metilico dell’acido clorocarbonico. 


Il 


Bulletin de la Société Chimique de Paris, T. XXXVIII, dal 
fasc.3.° al fasc. 12.° l 

Berthelol: Sui limiti dell’elettrolisi p. 100.—I. Riban: Sulla de- 
composizione dei formiati metallici in presenza dell’acqua — Produzione 
di qualche specie minerale cristallazzata p. 108. — Th. Chandelon- 
Azione degli ipocloriti alcalini sul feno! p. 116.—Ed. Grim aux: Azione 
del bromo sulla chinoleina e sulla piridina p. 124. — L. I. Eriksson: 
Azione dell'acido solforico sulla tialdina p. 129.—P. T. Cléve: Sull’acido 
coloidanico p. 131. — W. Alexéew: Sulle soluzioni reciproche dei li- 
quidip.145.-D.Tommasi:Sull'idrogeno nascente p. 148.—Id.: Ricerche su- 
gli idrati ferrici p. 152.—P. Sabatier: Sui composti solforati del sili— 
cio p.158.—C. F ah] ber g:Preparazione del solfato d’alluminioesente di ferro 
per tnezzo della barite p. 154. — 1. Ri ban: Sulla decomposizione di taluni 
acetati metallici in presenza dell'acqua. Produzione di specie minerali cri- 
stallizzate p. 155. G. Meunier: Azione del carbonato di potassio sul cloruro 
di benzile e sul cloruro di benzile p. 159.- H.Koechin ed A.Pabst:Sul- 
l’indofeno! ed il violetto solido p. 160.—E. Dreyfus: Dosamento della potassa 
nei letami.—D. Tommasi: Sulla decomposizione dell’acetato ramico in 
presenza dell’acqua p. 257.-Berthelot: Sui sali doppi formati coi sali 
aloidi di mercurio, p. 369.—Idem: Doppia decomposizione dei sali aloidi 
di mercurio p. 481.—A. Remont: Dosamento dell'acido silicico nel latte 
e nel burro p. 547.—- Verneuil: Sul seleniuro di azoto p. 548. 

Comptes rendus de l'Académie des Sciencern, 2° sem. 1882, 
t. XCV, dal fasc. 5° al fasc. ultimo. 

P. Troustchoff: Sul calore di dissociazione di taluni miscugli 
p. 221.—E. I. Maumené: Sull'azione dell’ ammoniaca e dell’ ossido di 
rame p. 223.--A. Girard: Sulla composizione dei vini di feccia p. 227.— 
G. Rousseau: Sugli eteri del glicol CogH,,O9 p. 232.-A.Haller e 
A. Held: Preparazione dell’ etere acetilcianoacetico e di qualcuno dei 
suoi derivati metallici p. 235.— A. Rosentiehl ed M. Gerber:Sulle 
condizioni di formazione della rosanilina p. 238.—Fr. Goppelsroeder: 
Sopra un nuovo impiego dell’elettrolisi nella tintura e nella stampa p. 239. 
N. Mentschutkin: Sulla formazione e la decomposizione dell’ ace- 
toanilide p. 241.—A. Renard: Sui prodotti della distillazione-del colo- 
fene p. 245. — G. Le Bon: Sulle proprietà degli antisettici e dei pro- 
dotti volatili della putrefazione p. 259.—A. W urtz: Ricerche sull'azione 
della cloridrina etilenica sulle basi piridiche e sulla chinoleina p. 263.— 
E. H. Amagat: Sull’ elasticità dei gas rarefatti p. 281. — L.Troost: 
Sugli equivalenti dei joduri di fosforo p. 293.—loannis: Calore di for- 
mazione dei principali composti palladiosi p. 295. — O. de Coninck: 
Sulle basi piridiche derivate dalla brucina p. 299. — A. Pictet: Ricer- 
che sulla chinoleina e sulla lutidina p.300.-Boussingault: Sull’ap- 
parizione del manganese alla superficie delle rocce p. 318.—S. Wroble w- 
ski: Sulla tensione superficiale di qualche liquido in contatto dell’acido 
carbonico p. 342. — E. Filhol e Senderens: Su taluni arseniati 
neutri al tornasole p. 343.-Bossingault: Sull’apparizione del man- 
ganese alla superficie delle rocce p. 368. — D. Van Monkhoven: 
Sull’allargamento dei raggi spettrali dell'idrogeno p. 378.—L. Ricciadi: 
Composizione chimica dei banani a differenti gradi di maturità p. 393.— 





III 

E. Viard: Un saggio di nuova nomenclatura chimica p, 398.—P. T h e- 
nard: A proposito del fosforo nero p. 409. — Locoq de Boisbau-, 
dra n: Separazione del gallio p. 410. — V. Richards: Efficacità del 
permanganato potassico contro il veleno dei serpenti p. 413. — E. Du- 
villier: Sopra talune combinazioni appartenenti al gruppo delle crea- 
line. Locoq de Boisbaudran: Separazione del gallio p. 503.— D. 
van Monckhoven: Dell’ influenza della temperatura sugli spettri dei 
metalloidi p. 520.—S. Modeleine Brés: Analisi del latte delle donne 
Galibis del Giardino di acclimazione di Parigi p.567.- E Louise: Azione 
del cloruro d'alluminio anidro sull’acetone p. 602. -A. Ditte: Su qual- 
che combinazione di bisolfuro e di bicloruro di stagno p. 641.—Gayon 
e Dupetit: Sulla fermentazione dei nitrati, p. 644.—Baubigny:Sulla 
trasformazione delle amidi in amine p. 646.—N. Menschutkin: Sulla 
decomposizione dell’acetato di amile terziario col calore p. 648.— M a u- 
mené: Sulla produzione del fosforo nero p. 653.—D. Tommasi: Sul- 
l’elettrolisi dell'acido cloridrico p. 589.— P. Guyot: Sulla ricchezza in- 
dustriale dell’alunite cruda in polvere p. 693 —Caillot de Poncy e 
Ch. Livon: Sull’ avelenamento cianico con l'antimonio p. 699.—L ecog 
de Boisbaudran: Separazione del gallio p. 703.—L. F. Nilson:Sul 
torio metallico p. 727. —Idem: Determinazione dell’equivalente del torio 
p. 729 —A. Etard: Sulla benzilene ortotoluidina e la metilfenantridina 
p. 730. — Debérein e Maquenne: Della riduzione dei nitrati nella 
terra arabile p. 732-—A. K é mont: Studi chimici sulla barbabietola bianca 
di Silesia p. 760.-Klein: Sopra una modificazione da apportare all’ e- 
aunciazione della legge dell’isomorfismo p. 781.-L. F. Nilson: Ricer- 
che sulla Torite di Arendal p. 784.-A. Rémont: Processo rapido per 
la determinazione dell’acido silicico nei legni p. 786.—I. Maurson ed 
F.Schlagdendhaffen: Nuove ricerche chimiche e fisiologiche su 
taluni liquidi organici p. 791. — F. Parmentier: Sopra un idrato di 
acido molibdico MoO,HO p. 839.—P. Morg nerite-Delacharlomy: 
Sulla trasformazione a freddo del sangue degli animali in ingrasso so- 
lido ed inodoro, a mezzo d'un nuovo solfato ferrico p. 841.-A.E tard ed 
L. Oliver: Sulla riduzione dei solfati per gli esseri viventi p. 846.—L. 
Henry: Sull’alcool allilico monoclorato «CHi=:CCI-CH,(0H) e suoi de- 
rivati p. 849.—H. Leplay: Studii chimici sulle barbabietole di Silesia 
p. 861.-Dehérain e Maquenne: Sulla riduzione dei nitrati nella 
terra arabile p. 854.-V. Marcano: Fermentazione diretta della fecula. 
Meccanismo di questa metamorfosi p. 856.—H. De bray: Sulla riprodu- 
lione degli osmiuri d'Iridio p. 878.—H. Leplay: Studi chimici sulle bar- 
babietole di Silesia p. 893. H. Grandeau: Sulla decomposizione dei 
festati ad alta temperatura pel solfato potassico p. 921.-H. Courtonne: 
Punto di solidificazione di diversi miscugli di naftalina e di acido stea- 
rico p. 922. E. I. Maumené: Sull’enocianina p. 924.-A. Béchamp: 
Sulla causa dello sviluppo dell'ossigeno dall’acqua ossigenata con la fi- 
brina—influenza dell’ acido cianidrico sull’ attività della fibrina p. 925.— 
Berthelot: Ricerche sull'joduro di piombo p. 952.— Idem: Sulla 
decomposizione del cianogeno p. 955.— H. Leplay: Studii chimici 
sulle barbabietole di Silesia p. 963. — A. Ditta: Produzione per via 
secca di qualche uranato cristallizzato p. 988.— Ad. Fauconnier: 





Iv 

Sulla secon4a anidride della mannite p. 991. - E. Reboul: Azione 
della trietilammina sulla tricloridrina simmetrica e sopra i due glicidi 
dicloridrici isomeri p. 993.—Dieulafait: La litina, la stronziana, 8 
l'acido borico nelle acque minerali di Contrexeville e di Schiuznach 
(Svizzera) p. 999.-P. Guyot: Esperiente sulla calcinazione dell’ al- 
lunite in polvere destinata a ia fabbricazione dell’ allume e del solfato 
d’allumina p. 1001. — F. M. Rao ult: Legge generale di congelazione 
dei solventi p. 1030.-H. Leplay: Studii chimici sul mais a differenti 
epoche di maturità p. 1033.— A ug. Houzeau: Sulla modificazione 
di talune processi d’ analisi usati nei laboratorii di stazioni agrarie ed 
osservatorii di meteorologia chimica p. 1064.—Boussingault: Ri- 
cerche sulla presenza di acido nitrico e di ammoniaca nelle acque e 
nella neve delle ghiacciaje delle Alpi p. 1121.-H. Lepla y: Studii chi- 
michi sul mais a differente epoche della sua vegetazione p. 1133. — I. 
Riban: Sopra un metodo di trasformazione del fosfato tricalcico in 
composto clorato del fosforo p. 1160.-E. Luise: Sopra un nuovo idro- 
carburo p. 1163. — Lecoq de Boisbaudran: Separazione del 
gallio p. 1192.—N. Ioly: Nuovi studii tendenti a stabilire la vera na- 
tura della glarina o baregina ed il modo di formazione di questa so- 
stanza nelle acque termali o solforose dei Pirinei p. 1194.— P. T. C1] & 
ne: Sul peso atomico dell'ittrio p 1225—H.Lepluy: Sul mais a dif- 
ferenti epoche della sua vegetazione p. 1262.—D. ,Gernez: Ricerche 
sulla durata della solidificazione dei corpi p. 1278.—A. Ditte: Sulla 
cristallizazione dell’ idrato di cloro p. 1288— D. Konovaloff: Sul 
cloruro di pirosulfurile p. 1284. —- A. Renard: Sui prodotti della di- 
stillazione del colofane p. 1286.-Lecoq de Boisbaudran: Se- 
parazione del gallio p. 1332. —- H. Leplay: Studii chimici sul mais a 
differenti epoche della sua vegetazione p. 1335. - Malland e Le- 
Chatelih: Sulle pressioni istantanee prodotte durante la combu- 
stione dei miscugli gassosi. p. 1352. —Isambert:Sul bisolfidrato di 
ammoniaca p. 1355.—P. Cazevenue: Sopra uncaso di isomeria fi- 
sica della canfora monoclorata p. 1358.-Plauchud: Sulla riduzione 
dei solfati nelle solforiere e sulla formazione dei solfuri metallici natu- 
rali p. 1363.— U. Gayon e G. Depetit: Sulla trasformazione dei 
nitrati in nitriti p. 1365. — G. Depetit: Sui principii tossici dei luci- 
gnoli commestibili p. 1367. 


@Gssidaziene dell'acido titanico: 


di A. PICCINI (I). 


In una nota preliminare (2) ho già accennato che il biossido 
di bario dà colle soluzioni solforiche di acido titanico un liquigo 
giallo- rosso, dal quale sia l’ammoniaca in eccesso, che la potassa in di- 
fetto precipitano dai fiocchi giallognoli, che, essiccati all’aria , con- 
tengono ancora molta acqua e 4 p. di ossigeno aggiunto per 100 p. 
di acido titanico. Quantunque un tal rapporto si mantenesse co- 
stante in questi composti ottenuti in circostanze diverse mi riser- 
bava di decidere se esso non fosse dovuto alla scomposizione di pro- 
dotti più ossigenati, c gli esperimenti che ho eseguiti, e che sono 
per descrivere, sembrano confermare una tale ipotesi. 

Ho preparato l'acido titanico con due metodi diversi. Ho fuso 
il rutilo con bisolfato potassico, ho ripreso con acqua fredda la massa 
polverizzata e precipitato all’ebollizione I’ acido titanico in corrente 
d'idrogeno solforato ; ho fuso nuovamente il prodotto ottenuto con 
bisolfato di potassa e ho ripetuto lo stesso trattamento per separare 
le piccolissime quantità di ferro, che ancora conteneva ed ho avuto 
così un prodotto bianchissimo, che rimaneva tale anche dopo la cal- 
cinazione. All’analisi non ha dato tracce di ferro o di altri metalli 
precipitabili dagli alcali : conteneva 99,75 °% di TiO,. Altro mate- 
riale purissimo ho avuto decomponendo con acqua fredda il tetra- 
eloruro di titanio (purificato per distillazione frazionata, e bollente 
tra 185,5-186° sotto la pressione di mm.765) e precipitando la so- 
lazione con leggerissimo eccesso di ammoniaca. L'acido titanico così 


(1) Il sig. Wellen di Darmstadt con una nota arrivata il primo di 
novembre 188% alla Società Chimica di Berlino (Berl. Ber. XV, 2599) 
annunzia di aver ottenuto, per azione dell’ acqua ossigenata sull’ acido 
titanico, un perossido a cui dà la formola probabile Ti0O;. Tengo a far 
sapere che la presente mia memoria stata presentata fino dal 25 giu- 
gno 1882 all'accademia dei Lincei è già da qualche mese stampata per ‘ 

i Atti. » 
e (2) R. Accademia do’ Lincei, serie 3°. Transunti, seduta del 5 mar- 
zo 1882. 


8 


58 


ottenuto era pure bianchissimo, anche dopo la culcinazione, e dava 
99,82 di TiQ,. 

L’acido titanico veniva sempre sciolto nell'acido solforico a freddo 
od a caldo, secondo il metodo di preparazione con cui era stato ot- 
tenuto, e la soluzione veniva digerita a freddo con biossido di bario, 
ottenuto secondo la indicazione del Brodie (1) e perfettamente bianco 
e cristallino, finchè col reattivo di Barreswill mostrasse di contenere 
acqua ossigenata. Il liquido divenuto fortemente colorato in rosso 
lasciava deporre il solfatto di bario, che si poteva completamente 
separare alla prima filtrazione , e precipitato incompletamente con 
soluzione (4 : 10) di potassa all’alcool dava dei fiocchi giallognoli (A), 
che, lavati ed essiccati si mostravano di un colore giallo d'uovo. Se- 
parati questi col filtro si poteva, aggiungendo nuova potassa, otte- 
nere dalla soluzione primitiva rimasta ancora molto colorata un al- 
tro precipitato (B) pure fioccoso che dopo l’ essiccamento costituiva 
una polvere di un colore giallo chiaro con una punta di verdognolo. 
Questi due precipitati si possono distinguere facilmente ad occhio 
e l’analisi quantitativa rivela in loro una differente composizione : 
però tanto essi quanto quelli che saranno descritti fra breve pre- 
sentano le stesse reazioni. Contengono acqua, acido titanico con ec- 
cesso di ossigeno e piccole quantità di sali che erano sciolti nel li- 
quido in cui si sono formati e che i lavaggi tolgono difficilmente. 

Scaldati si decolorano, perdono acqua ed ossigeno e si trasformano 
in acido titanico; bolliti lungamente con acqua sviluppano ossigeno 
e lasciano una polvere bianca. Si sciolgono nell'acido solforico e ni- 
trico dando soluzioni che ricordano quelle del bicromato potassico; 
si sciolgono pure nell’acido cloridrico, sviluppando cloro. L’acido fluo- 
ridrico invece da un liquido scolorato, nel quale si può dimostrare 
la presenza dell’acqua ossigenata. Le soluzioni solforiche si possono 
concentrare per lento svaporamento , ma a un certo punto comin- 
cia a svolgersi ossigeno e il colore va a mano e mano diminuendo 
finchè dopo qualche mese rimane una massa gelatinosa bianca. Danno 
col fluoridrato potassico un precipitato bianco, cristallino, di fluoti- 
tanato potassico normale e il liquido filtrato contiene acqua ossige- 
nata. Col fosfato disodico quando non sieno troppo acide, danno un 
precipitato voluminoso di color giallognolo, che, lavrto e sciolto in 
acido nitrico dà la reazione dell’ acido fosforico. Decompongono gli 
ioduri alcalini, liberando l’iodio, ossidano i sali ferrosi e decolorano 
il permanganato potassico con sviluppo di ossigeno. 


(1) Ann. Chem. Pharm. HI, Suppl. Band. 204. 





59 


Nello studio di queste sostanze ho aynto specialmente in mira. 


la determinazione del rapporto tra l'ossigeno aggiunto e l'acido ti- 
tanico : e d'altra la loro facile alterabilità non permetteva spesso di 
fare l’analisi in condizioni tali da poter tener conto dell'acqua. Sec- 
cale all’aria ne ritengono ancora una quantità grandissima; nel vuoto 
perdono acqua ed alcune anche ossigeno e, almeno in certi casi, sem- 
bra che la decomposizione si arresti ad un limite fisso. Tre sono 
stati i metodi da me impiegati per determinare il detto rapporto. fl 
primo consiste nel far la soluzione solforica del prodotto da studiarsi, 
decoloraria col permanganato potassico, diluire in seguito il liquido 
e sottoporlo all’ebollizione per precipitare l'acido titanico; il secondo 
nel decolorare la soluzione solforica con una quantità nota di sol- 
fsto ferroso-ammonico, determinare col permanganato |’ ossido fer- 
roso rimasto e precipitare l'acido titanico all’ ebollizione dal liquido 
diluito al quale si aggiunge ogni tanto dell’ acido solforoso (1) in 
in modo che se ne senta sempre e marcatamente l’odore: se in que- 
sta prima operazione l'acido titanico non viene perfettamente bianco 
si scioglie nel bisolfato potassico fuso; si riprende con acqua fredda 
la massa raffreddata ed aggiungendo ancora acido solforoso si -fa 
bollire il liquido e si precipita così un'altra volta. È inutile il dire, 
che i liquidi dai quali si era separato l'acido titanico venivano di- 
luiti molto con acqua c sottoposti di nuovo all’ ebollizione per ac- 
certarsi che la precipitazione era stata completa. Il terzo metodo che 
è il più elegante c il più diretto si pratica collocando una navicella 
contenente la sostanza pesata in un tubo infusibile connesso colla 
pompa di Sprengel; si fa il vuoto, si scalda forte e si raccoglie in 
una campanella graduata l'ossigeno, che viene poi assorbito col pi- 
rogallato potassico; nella navicella rimane |’ acido che si calcina e 
si pesa. Questi tre metodi si sono mostrati, come vedremo più avanti, 
coneordantissimi tra di loro. 

Il precipitato A lavato, ancora umido, venne sciolto in acido 
solforico diluito e freddo e la soluzione decolorata con permanga- 

.._ N 

nato potassico 90° 

Questo reattivo si comporta con tali sostanze come con l’acqua 
ossigenata, e quindi l'ossigeno che egli cede è precisamente eguale 
a quello che si è aggiunto all’acido titanico. 


(1) Aggiungendo acido solforoso si riproduce un color giallo simile 
a quello che ha la soluzione primitiva diluita e dovuto al solfito ferrico; 
Feccesso del reattivo e il calore lo fa scomparire. 





60 
Permanganato RI cc. 7,69 (O0=0,0818) per gr. 0,0721 di TiO, 
trovato calcolato per 4TiOs|0O (1) 
Per 100 p. di Ti0, 0=5,12 5,00 
Lo stesso precipitato dopo completa essiccazione dette risultati 
diversi : 


I. Permanganato N cc. 29,5 (O=0,01180) per gr. 0,2909 di TiO, 


20 
Il. » » 18,5 (0=0,00740) » » 0,1818 >» 
HI. ; » »17,0(0=0,0068) » »0,1708 » 
trovato calcolato per 5TiO,+O 
I . Il III media 
Per 100 p. di Ti0, O=4,08 4,08 3,99 4,04 4,00 


Il precipitato B appena seccato tra carta dette i seguenti ri- 
sultati : 

Permanganato RI cc. 48 (O0=0,0886) per gr. 0,8862 

trovato calcolato per 2Ti0,+0 

Per 100 p. di TiO, O-=9,99 10 

Se invece di decomporre parzialmente la soluzione giallo-rosso 
primitivo si aggiunge subito la quantità voluta di potassa si ottiene 
un precipitato C che dopo il lavaggio e l’essiccazione somiglia molto 
a B. La I analisi è stata fatta sul precipitato lavato ma ancora u- 
mido, la II appena compiuta l’essiccazione all'aria. 


I. Permanganato N cc. 46,8 (O=0,01872) per gr.0,1840 di TiO, 


20 
IL » >» » 98,4(0=0,03936) » »04190 >» 
trovato . calcolato per 2Ti0s +O 
I II media 
Per 100 p. di TiO,O=10,38 9,4 9,88 40 


I. Gr. 4,4470 di questo composto perfettamente scccato all’a- 
ria perdettero nel vuoto in 6 giorni gr. 0,9368 vale a dire il 
241,05 %,; il peso rimase poi costante. La polvere era sempre gialla 
ed apparentemente sembrava inalterata. All’analisi però dette resul- 
tati differenti. 

Gr. 0,7525 di sostanza sciolti in acido solforico decolorarono di 


(1) Adotto provvisoriamente il numero 48 per peso atomico del tita- 
nio. Però variando esso, secondo i vari autori, da 48 a 56 mi sono pro- 
posto di determinarlo di nuovo servendomi di metodi diversi da quelli 
fin qui impiegati ; e fra questi anche dell’ analisi del fluotitanato potas- 
sico normale. 


64 
permanganato = cc. 81,6 (O=0,03264) « dettero gr. 0,4978 di TiO,. 


Il. Una quantità non pesata di questa stessa sostanza sviluppò 
ec. 26,4 di ossigeno a 17°,6 e a una pressione di mm.662—137mm., 
lasciando gr. 0,4468 di TiO, perfettamente bianco. 


trovato calcolato per 3TiO,+O 
Il media 
Per 100 p. TiO, 0=6,58 6,30 6,44 6,64 


Calcolando la prima analisi si trova un perfetto accordo colla for- 
mula 3Ti0,+-0+6H,0. 


calcolato trovato 
STiO, 240 65,93 66,15 
O 16 4,59 . 4,34 


6H,0 108 29,68 
864 100,00 

Se per precipitare completamente la soluzione giallo-rossa pri- 
mitiva si adopera ammoniaca invece di potassa si ottiene un pre- 
cipitato che somiglia a C. Analizzato ancora umido, ma perfetta- 
mente lavato, ha dato i seguenti risultati : 

Permanganato = cc. 86,15 (0=0,01546) per gr. 0,1434 di TiO, 

trovato calcolato per 2TiOst-0 

Per 100 p. di TiO, ossigeno = 10,08 10 

Seccato e conservato per un mese tra carta ha perduto la metà 
del suo ossigeno : 

Permanganato 7 cc 27 (O=0,0216) per gr. 0,4220 di TiO, 

trovato calcolato per 4TiO,+O 

Per 100 p. di TiO, ossigeno= 5,41 5,00 

Ho fatto un'altra preparazione impiegando un fortissimo eccesso 
di ammoniaca e par che la decomposizione in questo modo si acce- 
leri. Sciolsi nell’acido solforico una parte del precipitato dopo averlo 
lavato completamente: della soluzione feci due parti eguali, nell’una 
delle quali determinai l'ossigeno aggiungendo solfato ferroso e nel- 
l'altra nel solito modo. © 

I. Gr. 0,7392 di solfato ferrosoammonico decolorano la solu- 


La per gr. 0,1930 di TiO,. 


II. Permanganato 2700-2583 (O=0,01012) per gr.0,1945 di TiO,. 


zione e 12,6 cc. di permauganato 


62 


trovato calcolato per 4Ti0,+0 
I II media 
Per 100 p. di TiO, O==5,22 — 5,28 5,25 5,00 


Questo stesso composto seccato fra carta dette i resultati seguenti: 


I, Permanganato si ce. 26,6 (0 =0,01064) per gr. 0,2607 di Ti0,. 


Il, » » » 60,5 (O=0,0242) » 0,5949 >» 
tovato calcolato per 5Ti0s+0 
I II ‘media — 
Per 100 p, di TiO. 0=4,08 406 4,07 4,00 


Volli tentare di aggiungere ancora più ossigeno all’ acido tita- 
nico e perciò provai a traltare un’altra volta con biossido di bario 
la soluzione solforica di C, ma lo riottenni inalterato , per cui do- 
velti concludere che con tal modo non si può giungere a fissare in 
un composto solido più di 10 p. di ossigeno per 100 p. di acido 
litanico, Restava a vedere se in soluzione le cose procedessero di- 
versamente. Mi preparai perciò l’acqua ossigenata purissima secondo 
le indicazioni del Thomsen (4) e la feci sgocciolare in una solu- 
zione solforica di acido titanico ; comparve subito il noto colore e 
presto si fece così intenso che non si poteva avvertire alcun cam- 
biamento prodotto dall’aggiunta del reattivo. Prendeva allora di tanto 
in tanto con un tubo affilato una goccia del liquido, la distendeva 
sopra un piattino di porcellana e la toccava con una becchettina ba- 
gnata di soluzione diluita di bicromato potassico. Quando sulla goccia 
appariva una nubecola azzurrognola, molto fuggevole, cessava d’ag- 
giungere acqua ossigenata. Questa titolazione riesce sulle prime al- 
quanto difficile, ma presto si acquista la necessaria sicurezza e l’oc- 
chio si abitna a vedere il fenomeno della colorazione anche quando 
non vi è che piccolissima quantità. d' acqua ossigenata nel liquido. 
Del resto non sarebbe facile il sostituire un altro indicatore perchè 
queste soluzioni rosse si comportano cogli ioduri, coi sali tallosi ecc. 
precisamente come l’acqua ossigenata. 

ll'esperienze furono fatte con acqua ossigenata di diverse con- 
centrazioni; il titolo di questa era preso col permanganato potassico 
prima e dopo l'operazione, e si adottava la media dei numeri otte- 
nuti, che in verità non differiva dai singoli se non per i consucti 
errori d'analisi. La soluzione d’ acido titanico adoperata in tulte le 
esprerienze conteneva gr. 0,2359 di TiO, per litro. 

In queste operazioni l’acqua ossigenata avea per ogni ce. gr.0,00119 
di ossigeno cedibile: 


(1) Berl. Ber. VII—-74. 





68 

I. CC. 15 di soluzione (TiO, =gr.0,35385) vollero cc. 59,5 di H,0, 
(0=0,070805). | 

IT. CC. 15 di soluz. (TiO, = gr.0,35385) vollero cc. 60,1 di H,O, 
(0=0.,071549). 

In questaltre esperienze l’acqua ossigenata aveva per ogni ce. 
gr. 0,0008 di ossigeno cedibile. 

HI. CC. di soluz. (TiO, = gr.0,25949) vollero di H,O, cc. 65,8 
(0=0,052640) 

IV. CC. di soluz. (TiO, = gr.0,25949) vollero di H,0, cc. 65,5 
(0=0,05240). 

trovato calcolato per TiO,+0 
] Il II IV media 
Per 100 p. TiO, O = 20,0 20,23 20,28 20,19 20,47 20,00 

Nelle prime esperienze fatte per provare il metodo aveva otte- 
nuto 24,8; 21,5: 20,9, numeri, che, sebbene poco esatti, mostravano 
già la direzione del fenomeno. 

E a questo termine fisso non solo si giunge colle soluzioni sol- 
foriche di acido titanico, ma anche con quelle dei precipitati gialli 
sopra descritti. Cito ad esempio la determinazigne fatta col preci- 
pilato che dette il rapporto 3Ti0,+0. Una porzione di esso sciolta 
in acido solforico volle cc. 36,1 d’acqua ossigenata (contenente 
gr. 0,002 di ossigeno disponibile per cc.) per dare la reazione col 
bicromato potassico; il liquido rosso, diluito scolorato con acido sol. 
foroso e sottoposto all’ebollizione fece precipitare gr. 0,5207 di acido 
titanico. 

Sapendo che per 100 p. di questo la soluzione primitiva con- 
teneva 6,64 (calcolato per 8Ti0,+0) di ossigeno aggiunto si può fa- 
cilmente calcolare che |’ acqua ossigenata allora soltanto si è resa 
visibile quando per 100 p. di acido titanico furon aggiunti 20,46 di 
ossigeno, mentre la teoria per TiO,+0O vorrebbe 20,0. 

Resta adunque stabilito che il termine della reazione è fisso, 
e se il bicromato ci rivela sempre l’acqua ossigenata libera (il che 
non è contradetto da alcun fatto) si deve ritenere che prima di que- 
sto termine essa si trova nel liquido in qualche modo unita all’acido 
titanico, che ne nasconde alcune proprietà. Non è facile indovinare 
la natura di tale unione, nè il decidere se si tratti qui d'addizione 
o d’ossidazione vera e propria; basti l'aver messo in chiaro che c'è 
una fermata costante. Se, come modo di scrittura vogliamo rappre- 
sentare la reazione cas} : 


H,O,+-Ti0,=Ti0,+H,0 














64 . 
potremo, astrazion fatta dall'acqua, dare ai composti sopra accea- 
nati le formole seguenti: 

ATIO,.TiO,=Ti;0u 
3TiO,.TiO,=Ti,0g 
2Ti0,.TiO, =Ti,O, 
TiO, TiO, ==Ti,O, 
nelle quali comparisce sempre il Tio, che potremo chiamare acido 
pertitanico come si chiama acido pereromico quello segnalato ‘dal 
Barreswill. 1) colore dei nostri liquidi che ricorda quello dell’ acido 
cromico e dei bicromani, le relazioni che passano tra il sesquiossido 
di titanio cristallizzato e quello di cromo e fra il colore delle loro. so- 
luzioni non sono forse del tutto casuali. Del resto non ci sono nep- 
pure prove sufficienti per riguardare queste azioni chimiche come sem- 
plici addizioni; si sa, è vero , che l’acqua ossigenata tende a som- 
marsi con alcuni acidi ed a ciò anzi si crede dovuta la sua mag- 
giore stabilità in soluzione acida , ma si sa ancora che in questi 
casi l'aggiunta di alcali serve a liberarla di nuovo e renderle la sua 
facile alterabilità: nel caso nostro invece si è potuto separare cogli 
alcali l'acido ossigenato in diversi gradi , alcuni dei quali relativa- 
mente stabili (5TiO,+-0; 8TiO,+0) con colore e proprietà diverse. 
Nè si creda che il comportamento col permanganato potassico parli 
assolutamente in favore dell’ addizione , giacchè anche le soluzioni 
acide di biossido di bario anidro (ottenuto a una temperatura alla 
quale si decompongono alcuni protossidi) si comportano come l’acqua 
ossigenata, la quale, in questo caso , deve ritenersi evidentemente 
come un prodotto e non come un edotto. Ci troviamo quindi in pre- 
senza di fenomeni intermedî, che sfuggono pur troppo a una com- 
pleta investigazione. 

Comunque sia resta dimostrato: 

che l'acqua ossigenata non si può riconoscere col bicromato po- 
tassico nelle soluzioni d’acido titanico se non dopo averne impiegata 
la quantità voluta da Ti0,+-H,0,; 

che da questa soluzione si possono , aggiuogendo più o meno 
alcali, ottenere delle sostanze solide colorate, nelle quali, per quanto 
si lascino studiare cun difficoltà, è stata dimostrata la presenza di 
una maggiore o minore quantità di ossigeno aggiunto o in qualsiasi 
modo combinato all’acido titanico. 

È questo il primo caso, (se si ecceltuano gli esperimenti poco 
concordanti sul cerio) in cui si è tentato di ottenere dagli elementi 
del gruppo IV del sistema di Mendelejeff ossidi superiori alla for- 
ma RO,. Che questi dovessero essere instabili e che il più alto di 








65 


loro, il TiO, (quando ne sia accertata l’esistenza), debba possedere 
proprietà molto diverse dagli acidi della forma RO, poteva preve- 
dersi dalla posizione che il titanio cccupa nella serie 8° del sistema 
periodico : 7 
seeevesonerens Ti, V, Cr 

vale a dire che per arrivare al cromo si deve passare per il vana- 
dio la cui forma superiore d’ossidazione fin qui conosciuta è capace 
di dar sali è V,0,. È noto che i vanadati si colorano in rosso an- 
che essi coll’acqua ossigenata ; lo studio di questa reazione rivelerà 
forso l° esistenza dei perossidi più stabili di quelli di titanio e si 
avrà così il passaggio da questo al cromo. 


Distillazione secca del bibromoanisato sodico: 


di L. BALRIANO. 


Dall’acido anisico si possono ottenere quattro acidi bibromurati 
isomeri derivanti dalle diverse posizioni dei due atomi di bromo 
nella molecola, e di questi quattro isomeri finora ne è conosciuto 
uno solo, preparato da Reinecke (1) bromurando direttamente l’acido 
anisico. i 

L’anno passato facevo intraprendere dal Dottor. Crespi (2) lo 
studio di quest’acido, modificandone un pò il metodo di preparazione, 
nell'intento di osservare se nell'azione del bromo si produceva un 
solo acido bibromurato, ovvero una mescolanza di un qualche altro 
isomero. I fatti osservati dal Crespi lc condussero ad accertare la 
formazione di un solo acido bibromoanisico idenlico a quello di Rei- 
necke e ne descrisse alcuni sali e l’etere etilico. 

Al fine di indagare la costituzione di quest’acido intrapresi lo 
studio della reazione che succede, quando si porti a temperatura 
elevata una mescolanza intima di bibromoanisato sodico e di ossido 
calcico. Questa reazione pirogenica, come si sa, in molti casi dà 
luogo alla decomposizione del gruppo carbossile e svolgendone l’ani- 
dride carbonica, lascia l'idrogeno attaccato al nucleo della benzina 
generando dei fenoli. Però in acidi bromurati la reazione è molto 
più complessa, non producendosi, che in pochi casi, dei fenoli bro- 


, (1) Zeitscherif. fur chem. 1866, 
(2) Gazz. chim. Ital. 1881. 


66 
murati, e questo modo regolare di decomposizione si effettua special- 
mente quando l’ossidrile fenico ed il carbossile occupano la posizione 
orto (1.2). | | 

L’acido anisico è un paraderivato, quindi a priori si può dubi- 
tare dell'andamento regolare della decomposizione, tanto più che 
già Salkowski (1) non potè ottenere dall’acido monobromoanisico 
il corrispondente bromoanisol in quantità tale da studiarlo. Speravo 
tuttavia di avere fra i prodotti di decomposizione, composti che mi 
permettessero di fare qualche supposizione sulla posizione dei due 
atomi di bromo, ed è per questa ragione che mi occupaî di detta 
reazione pirogenica. 

L'acido bibromoanisico adoperato venne preparato nel modo 
descritto dal Crespi, e separato mediante il sale sodico, dal composto 
monobromurato. Mi assicurai della purezza di questo sale determi- 
nandone il sodio in due posizioni limiti. 

I primi cristalli depositati nel frazionamento contenevano 7,04%, 
di sodio. Teoria 6,92. 

Gli ultimi cristalli aghiformi, ottenuti prima di una forte con- 
centrazione delle acque madri contenenti il monobromoanisato, die- 
dero Na % 7,02. 

La distillazione secca si compie nel modo seguente. 

In piccole stortine di vetro s’introduce, a porzioni di 40 gr. 
una mescolanza ben intima di 5 gr. di sale sodico ben disseccato 
e di 5 gr. calce anidra dal marmo, indi si connette la stortina ad 
una lunga canna di vetro a pareti sottili che termina in una boccia 
mantenuta fredda con ghiaccio. 

La stortina si riscalda lentamente in un bagno di rena o meglio 
di limatura di ferro. Portata la mescolanza ad un certo grado di 
temperatura, la reazione avviene violenta; la massa si fa incande- 
scente carbonizzandosi, si svolgono dei densi fumi bianchi e distil- 
lano poche goccie di un liquido un pò giallo, che si condensa subito 
nel collo delle stortina e nella canna annessa. Anche regolando la 
fiamma della lampada in modo da avere un riscaldamento lentissimo 
la reazione si compie violenta coll’incandescenza della mescolanza. 

Ottenni così una sostauza leggermente gialloguola, confusamente 
cristallizzata e di un’aspetto butirroso per un pò di sostanza liquida 
mescolata. La rendita di questa sostanza non è molto soddisfacente; 
in diverse operazioni fatte in condizioni di temperatura un pò dif- 
ferenti (e nelle quali non notai gran divergenza nella quantità di 


had 


(1) Berich. deutsch. chem. Gesell. 7. 


67 


prodotto) oscillò fra il 10 o 42 per cento del bibromoanisato ado- 
perato. 

La sostanza cristallina viene sciolta nell’etere e la soluzione 
eterea agitata ripetutamente con una soluzione acquosa non troppo 
concentrata di idrato sodico. Separato l'etere con un’imbuto a chia- 
vetta e distillato a secco , il residuo si cristallizza dall’alcole fra- 
zionandolo in diverse porizioni che presentano tutte lo stesso punto 
di fusione (91°-92°) e lo stesso aspetto fisico. Riunite queste frazioni 
si cristallizzano ancora una volta dall’alcole ed i cristalli ottenuti 
si asciugano fra carta e si disseccano nel vuoto sull’acido solforico. 

Le ultime acyue madri alcooliche riunite, trattate con acqua, 
depositano una sostanza liquida un po’ giallastra, che si raccoglie 
al fondo del recipiente. La quantità di questo prodotto greggio è 
così piccola che rende impossibile un’ulteriore purificazione. 

Il composto cristallino è un prodotto bromurato e dà all’awalisi 
i seguenti risultati. 

I. gr.0,6523 di sostanza diedero gr.0,7972 di CO, e gr.0,4494 
di H,0. 

II. gr.0,2842 di sostanza diedero gr.0,39493 di CO, e gr.0,0782 
di H,O. 

III. gr.0,201 di sostanza bruciata con calce richiese cc. 12,6 
di soluzione normale d'argento. 

IV. gr.0,1356 di sostanza bruciata con calce richiese cc. 8,5 di 
soluzione normale d’argento. 

Da questi dati si calcola su 400 parti: 


I II HI IV 
C 33,92 = 33,49 
H 2,52 2,86 
Br 80,44 B0,14 


La formola più semplice che si può dedurre da questi risultati 
analitici è C,H,Br,0, che richiede in 100 parti: 


C = 38,33 
H= 246 
Br= 49,38 


Questa sostanza cristallizza dall’alcole in piccoli aghetti bianchi 
splendenti, insolubili nell'acqua tanto a freddo come a caldo; nel- 
l'acqua bollente fonde e si raccoglie in fondo del tubetto in cui si 
fa \’esperienza; si scioglie bene nell’alcool caldo e nell’etere. Le solu- 
zioni acquose degli idrati alcalini a freddo non la sciolgono, con 
lunga cbollizione si ha soluzione e col raffreddamento non si depone 
più alcuna sostanza. Fonde alla temperatura corretta di 91°,5-92°. 


68 

Il fatto di sciogliersi a caldo nelle soluzioni di idrato sodico o po- 
tassico, ed il punto di fusione poco elevato, mi fece nascere il dubbio 
d'avere fra le mani l'etere di un’acido bromurato; tanto più che la 
sua composizione concorda con quella dell'etere metilico d’un acido 
bibromoanisico rappresentato appunto dalla formola bruta C,H,Br,O, 
prima dedotta. 

Per dimostrarlo saponifico la sostanza facendola bollire a ricadere 
con una soluzione alcoolica di idrato potassico. Sospendo l'ebollizione 
quando una piccola quantità di liquido non s’intorbida più coll’ag- 
giunta di acqua ciò che succede dopo un 40 o 48 minuti di bollitura. 
Evaporo l’alcool a bagno maria ed il residuo secco ripiglio con acqua 
e nella soluzione limpida precipito con acido cloridrico diluito l'acido 
libero che estraggo con etere. Il residuo cristallino della distillazione 
dell’etere ricristallizzo dall’alcole bollente, ed ottengo col raffredda- 
mento del sciogliente l'acido ben cristallizzato, in piccoli aghi splen- 
denti insolubili nell'acqua , che asciugato fra carta e disseccato nel 
‘vuoto sull’acido solforico, contiene la quantità di Lromo richiesta 
dall’acido bibromoanisico. 

Difatti. 

gr.0,1648 di sostanza bruciata con calce, richiesero ce. 10,58 di 
soluzione normale di argento. 


trovato calcolato per C,H,Br,0, 
Br % 51.85 54,61 


Il punto di fusione di quest’acido è situato alla temperatura 
corretta di 248°-244° concordante con quello trovato dal Crespi, per 
l’acido bibromoanisico. “ . 

Per meglio cristallizzarlo ne preparo il sale baritico, sciogliendo, 
l'acido nell’ammoniaca e trattando poscia la soluzione con cloruro 
baritico precipito- il hibromoanisato di bario, che lavato con acqua 
fredda fino a completa eliminazione di cloruri, sciolgo nell'acqua 
bollente. Col raffreddamento si depone il sale ben cristallizzato in 
begli aghi bianchi che asciugati fra carta vengono disseccati a 180°-140° 
per determinare l’acqua di cristallizzazione. 

gr.0,5965 di sale cristallizzato perdono gr.0,0593 di H,O a 140°. 

gr.0,5222 di sale secco danno gr.0,1635 di BaSO,. 

Ossia in 100 parti: 

trovato — calcolato per (Cy,H;Br,0,), Ba 4 4, H,O 
H,O 9,9 . 9,68 . 
Ba 18,88 ? per (C,H,Br,0,),Ba 18,14. 
Questo sale haritico contiene anche 44 molecole di acqua di | 


69 
cristallizzazione come quello dell’acido bibromoanisico di Reinecke 
e Crespi. 

La sostanza quindi, ottenuta nella distillazione secca del bibromo- 
anisato sodico con calce è nient'altro che Vetere metilico dell’acido 
bibromoanisico ordinario. 

-L’acqua alcalina che ha servito a lavare la soluzione eterea 
della sostanza greggia viene decomposta con acido cloridrico e la 
soluzioue divenuta lattiginosa agitata diverse volte con etere. Distil- 
lato l’etere, rimane un piccolo residuo catramoso di forte odore 
fenico, dal quale non ho potuto estrarre nulla di definito. 


Acido bibromoparaossibenzoico. 


Il residuo carbonioso rimasto nelle stortine viene lisciviato 
con una gran quantità di acqua bollente la soluzione evaporata a 
piccolo volume e trattata con acido cloridrico. 

L'aggiunta dell'acido fa precipitare una sostanza fioccosa che 
viene estratta con etere e ricristallizzata dall’alcole a 60%, Si ottiene 
una sostanza contenente bromo, cristallizzata in begli aghi legger- 
mente colorati in giallognolo, che vengono ancora ricristallizzati 
una volta dall’alcole acquoso, quindi asciugati fra carta e disseccati 
nel vuoto sull’acido solforico. 

Allanalisi diede il seguente risultato. 

gr.0,8885 di sostanza diedero gr.0,3997 di CO, e gr.0,0571 
di H,0. 

gr.0,2284 di sostanza bruciati con Ca O richiesero CC. 15,2 di 
soluzione normale d'argento ossia in 100 parti. 


C= 23,49 -H=41,60 Br = 58,23. 
Un composto rappresentato dalla formola C,H,Br,O, richiede 
C = 28,57 H = 1,68 Br "34,05. 


La composizione di questa sostanza e la sua funzione acida, mi 
fecero supporre non fosse altro che un’acido bibromossibenzoico e 
per comprovarlo lo sottoposi all’idrogenazione. 

L'operazione viene condotta a questo modo. 

Sciolto l'acido bromurato nell’alcole tepido si acidula la soluzione 
con piccola quantità d'acido cloridrico fumante e poco alla volta si 
aggiunge dell’amalgama di sodio all’ 4 °/,, mantenendo sempre acido 
il liquido e riscaldando leggermente. Si sospende l’azione dell’idro- 
geno, quando una porzione del liquido non s’intorbida più coll’ag- 
giunta di acqua, onde evitare un'azione più profonda dell'idrogeno, 





70 


Si tratta l’intera massa del liquido con egual volume d’acqua e si 
distilla l’alcool; il residuo acquoso si agita diverse volte con etere. 

Distillato l’etere rimane un residuo solido cristallino colorato in 
bruno da sostanze resinose. Si ridiscioglie a freddo con soluzione 
diluita di carbonato sodico, e la soluzione filtrata dalla materia resi- 
nosa si agita con etere fino a tanto che l'etere sia affatto scolorito; 
indi si decompone con acido cloridrico e si estrae l’acido libero con 
etere. Si ottiene così cristallizzato in aghi però non completamente 
bianchi. 

Quest’acido si scioglie poco nell'acqua fredda, assai più nella 
calda e la soluzione acquosa dà col cloruro ferrico un precipitato 
giallo rossastro, carattere dell’acido paraossihenzoico. Fonde alla tem- 
peratura corretta di 214°-243° ed è solubile nell’alcool e nell'etere. 
Il punto di fusione dell’acido paraossibenico è situato a 208°-210° 
(non corretto). 

Ne preparai il sale baritico sciogliendolo nell’idrato di bario a 
freddo e precipitando il leggero eccesso di barite con anidride car- 
bonica a caldo. La soluzione del sale convenientemente concentrata 
lo lascia depositare col raffreddamento in fini aghi lucenti, molto 
solubili nell'acqua, anche a freddo. 

Di questo sale ne determinai l’acqua di cristallizzazione e la 
quantità di bario. 

gr.0,582 di sale asciugato fra carta perdono a 180° gr.0,028 
di H,O. < 

gr.0,554 di sale secco danno gr.0,3182 di Ba SO,. 

Ossia in 100 parti. 


trovato calcolato per (C,H;O,), Ba, H,O 
H,O 4,81 : 4,49 
calcolato per (C,H,0,), Ba 
Ba 38,75 , 83,33 


Secondo Barth e Hlasiwetz il paraossibenzoato baritico quando 
cristallizza in aghi contiene una molecola sola di acqua di cristal- 
lizzazione. 

Ho così stabilito che l'acido bromurato è veramente l’acido bi- 
bromoparaossibenzoico. 

Quesl'acido cristallizza dall'alcole acquoso in begli aghi bianchi, 
splendenti della lunghezza di 5 a 6 millimetri, quasi insolubili nel- 
l'acqua bollente, solubili nell’etere, nell'alcole tanto concentrato che 
diluito. La soluzione nell’alcool diluito dà col cloruro ferrico un preci- 
pitato giallo rossastro Ionde alla temperatura di 266°-268° decom- 
ponendosi, sublima però a temperatura inferiore. 


74 

La quantità di acido bibromoparossibenzoico ottenuta ammonta 
appena al 4 o 5%, del bibromoanisato impiegato. _ | 

Questo è il primo degli acidi bibromoparossibenzoici preparato, 
non essendosi finora potuto avere questi derivati per bromurazione 
diretta dell'acido parossibenzoico; in detta reazione si forma il tri- 
bromofenolo. 

Sale calcico 


C,H,B 00,27 Ca+-8H,0. 


Si ottiene sciogliendo l'acido in un leggero eccesso di acqua di 
calce, favorendo la soluzione con leggero riscaldamento, indi preci- 
pitando l’eccesso di calce con CO, a caldo. La soluzioue concentrata 
deposita il sale sotto forma di piccole tavole solubilissime nell’acqua 
fredda, e quasi insolubili nell’alcole. 

All'analisi dà il risultato seguente: 

gr.0,434 di sale asciugato fra carta perdono a 440° gr.0,0581 
di R,0. 

gr.0,8759 di sale secco danno gr.0,1556 di CaSO,. 

Ossia in 100 parti. 


trovato calcolato per GHBri<<C0 > Ca,8H,0 
HO 418,88 43,94 
calcolato per CyH.Br <9, > Ca 
Ca 42,15 14,97 


Nelle ultime acque madri alcooliche dell'acido bibromoparossi- 
benzoico rimane una piccolissima quantità di una sostanza acida che 
si deposita, coll’evaporazione del sciogliente, sotto forma di una pol- 
vere bianca microcristallina, che rrcristallizzata dall’etere si può 
ottenere in piccoli aghi i quali alia temperature di 235° anneriscono 
e a 259° fondono decomponendosi. La soluzione nell’alcole acquoso 
a caldo non dà nè colorazione nè precipitato col cloruro ferrico. La 
piccola quantità di prodotto m’impedì un’ulteriore studio. 

La distillazione secca del bibromoanisato sodico con calce dà 
dunque origine all’ctere metilico dell'acido bibromoanisico e ad un 
acido bibromoparossibenzoico, reazione che rappresento coll’equazione 
seguente: 

2 CHBrac< Gof = CetlaBra <p chy, t+ GH Bre py 

Un primo fatto che posso dedurre dalle esperienze descritte è 
che in questa reazione pirogenica i due atomi di bromo ed i due 


= 





12 
gruppi OCH, e CO,H contenuti nella molecola dell’acido hibromo- 
anisica non subiscono alcuna trasposizione, perché il bibromoanisato 
metilico risultante dà colla sapouificazione lo stesso acido hibromo- 
anisico dal quale sono partito, e |’ acido bibromurato nuovo corri- 
sponde all’acido parossibenzoico. 

In un lavoro recente G. Goldschmiedt e 1. Herzig (4) nell'intento 
di provare se nella distillazione secca dei sali calcici degli acidi 
ossibenzoici isomeri, si forma il diossibenzofenone si occupano pure 
della distillazione sccca dell’anisato calcico ed ottengono fra i prodotti 
di decomposizione pirogenica di quest’ultimo, fenolo, anisolo, anisato 
metilico, acido salicilico e l’acido « ossisoftalico. 

Paragonando i prodotti oltenuti nelle due reazioni, si può ar- 
guire, che quando la molecola dell'acido anisico non contiene due 
di bromo la trasposizione dei due gruppi OCH, e CO,H ha luogo, 
férmandosi l'acido salicilico; mentre che questa trasposizione non ha 
più luogo quando contiene bromo. Quest’impedimento di trasposi- 
zione può forse dipendere dalla posizione dei due atomi di bromo 
nella molecola, che si trovino cioè in posizione orto rispetto ai gruppi 
OCH, c COOH, ed allora l’acido bibromoanisico potrebbe essere rap- 
presentato da una delle due formole seguenti: 

OCH; | OCH, 


/ 
XxX TZ 


CO,H CO,H 

Se il materiale del mio laboratorio me lo permette vorrei ottenere 
in quantità sufficciente per studiarlo, il prodotto liquido sopra ac- 
cennato che forse può essere un bibromoanisol e nel caso passare 
ad un bibromofenol e successivamente ad una tribromobenzina ed 
in tal modo stabilire la costituzione di questi derivati bromurati. 
Potrei pure seguire un’altra via per risolvere il problema; passando 
per binitroderivati dell'acido bibromoanisico e tentando la sostituzione 
dell'idrogeno al bromo ottenere un’acido dinitroanisico. 

Non avendo mezzi abbandono il lavoro. 

Non posso terminare senza ringraziare i miei amici Prof. Porro 
e Prof. Fino, che accordandomi gentilmente di lavorare nel loro la- 
boratorio della scuola chimica Cavour, mi somministrarono i mezzi 
di compiere queste ricerche. 

Torino. Laboratorio chimico della scuola Cavour, ottobre 1882. 


Br Br 





Br 








(1) Monatshef. fur chem. t. 3 fossil. 


718 


Sepra alcuni derivati dell’acido paracresolglicolico; 


nota di M. NAPOLITANO. 


Il prof. Oglialoro ha fatto la. sintesi dell’ acido paracresolineta- 
nitrocinnammico, scaldando anidride acetico, aldeide metanitroben- 
zyica ed acido paracresolglicolico. Ora avendomi in questa occasione 
incaricato di preparare quest’ultimo acido, ho creduto utile studiarne 
e descriverne alcuni derivati. 

L'acido cresolglicolico , come è noto , è stato ottenuto da Ga- 
briel (1) mettendo a reagire acido monocloroacetico, paracresol e 
soluzione di soda. lo l’ho preparato in modo analogo, seguendo però 
le indicazioni date dal Giacosa per la preparazione dell’acido fenol- 
glicolico (2). 

Gr. 98 di paracresol furono mescolati con gr 84 di acido mo- 
nocloracetico, ed alla miscela scaldata a b. m., si aggiunsero, a va- 
rie riprese ed agitando continuamente 400 gr. circa di soluzione di 
soda della densità 1,3. | 

Il prodotto della reazione , dopo il raffreddamento , aveva |’ a- 
spetto di una massa solida cristallina , che ho ricristallizzato , fra- 
zionando dall'acqua calda. Si ottennero così varie porzioni di para- 
cresolglicolato sodico, le quali ho ridisciolte separatamente nella quan- 
tita strettamente necessaria di acqua bollente ed acidificato con acido 
cloridrico. 

Ciascuna porzione di acido precipitatasi venne raccolta sopra un 
filtro, lavata e ridisciolta nell’acqua calda, dalla quale, a misura che 
la soluzione si raffreddava, si depositava l’acido in magnifici prismi 
incolori e trasparenti. 

Fu costatato che le singole porzioni di acido si fondevano tutte 
alla temperatura di 185-186, che è quella dell’ acido paracresolgli- 
colico. 

L'analisi di una delle cennate porzioni mi ha dato i seguenti 
risultati: 


(1) Berichte 14, 923. 
(2) Gazz. Chim. Ital. vol. IX, p. 471. 


10 


14 
Gr. 0,201 di sostanza fornirono gr. 0,480 di anidride carbonica 
e gr. 0,420 di acqua. 
Cioè per % 
C= 65,12 
H= 6,68 
Per la formola C,H,,0; si calcola: 
C = 65,06 
H= 6,02 


Ho creduto fare i sopra menzionati saggi, perchè come vedremo 
in seguito uno stesso sale dell'acido paracresolglicolico. può cristal- 
lizzare sotto aspetti diversi, per la qual cosa mi era venuto il so- 
spetto , che I’ esperienza non ha confermato , che assieme all'acido 
paracresolglicolico avessi potuto avere per le mani qualche suo iso- 
mero. 

Paracresdlglicolato sodico: Cyt,0,Na+H,0 e CH, O, Na+! H, 0. 
Questo sale , che si ottiene direttamente nella preparazione sopra 
cennata, è poco solubile nell'acqua fredda, ma si discioglie discreta- 
mente nella calda, dalla quale per raffreddamento cristallizza in pic- 
cole laminette micacee od in prismi lunghi e sottili. Questo diverso 
modo di presentarsi, pare dipenda .dalla differente quantità di acqua 
colla quale il sale può cristallizzare: infatti le analisi di porzioni di- 
verse hanno dato i seguenti risultati: 

I. Gr. 0,284 del sale cristallizzato in laminette trattali con acido 
solforico hanno dato gr. 0,078 di solfato di sodio. 

It. Gr. 9,369 dello stesso sale riscaldati per tre ore a 140° 
hanno diminuito di peso gr. 6,032. 

Ill. Gr. 0,836 del precedente sale già disscccato trattati con 
acido solforico lasciarono un residuo di gr. 0,126 di solfato di sodio. 

IV. Gr. 0,494 di sale cristallizzato in prismi trattati con acido 
solforico hanno fornito gr. 0,068 di solfato di sodio. 

V. Gr. 0,585 dello stesso sale scaldati a 440° per tre ore hanno 
perduto di peso gr. 0,029. 

D'onde calcolando per % parti si ha: 

Sale cristallizzato in laminette. 


I. Sale idrato , . | . Sodio 14,07 pe % 
II. Acqua di cristallizzazione . ; » 86 » » 
III. Sale anidru . | . | Sodio 12,144 » » 

Sale cristallino in prismi. 

IV. Sale idrato . . . . Sodio 11,52 » » 


V. Acqua di cristallizzazione . » 49 » » 


15 


Ammettendo che il sale cristallizzato in laminette contenga una 
molecola di acqua si ha: 


Sale idrato . . . . | Sodio 14,46 » » ~ 
Acqua di cristallizzazione . » 8,7 » » 
Sale anidro . . . . | Sodio 12,28 » » 


e se si considera che il sale cristallizzato in prismi contenga solo 
mezza molecola di acqua, allora si ha 


Sale idrato . NT . Sodio 11,67 » » 
Acqua di cristallizzazione . . » 435 >» » 


Come si vede adunque il sale di sodio dell'acido paracresolgli- 
colico , può cristallizzare con una e con mezza molecola di acqua; 
dalle sue soluzioni fatte a caldo è quello contenente una molecola 
di acqua che si deposita per il primo. 

Paracresolglicolato baritico: 2(C,H,0,)Ba +2H,0. Il sale baritico 
dell'acido paracresolglicolico fu ottenuto trattando I’ acido puro con 
soluzione d’idrato baritico. 

Eliminato l’eccesso di quest’ultimo, il cresolglicolato baritico for- 
matosi, che è poco solubile nell'acqua fredda, si cristallizzò dall'acqua 
bollente. Anch'esso può cristallizzare in laminette micacee ed in pri- 
smi. Dalle soluzioni sature a caldo le prime che si depositano sono 
le laminette micacee, in seguito e man mano che la temperatura si 
va abbassando si ottiene un nuovo deposito, che risulta dalla me- 
scolanza di laminette e prismi, ed infine le acque madri forniscono 
dei lunghi prismi setacei. 

Però a differenza del sale di sodio , tanto il sale cristallizzato 
sotto forma di laminette , tanto quello cristallizzato sotto forma di 
prismi, contiene sempre la stessa quantità di acqua dì cristallizza- 
zione. 

I. Gr. 0,828 di sale cristallizzato in laminette scaldati in una 
corrente di aria secca per quattro ore alla temperatura di 140° hanno 
perduto di peso gr. 0,060. 

II. Gr. 0,0927 del precedente sale disseccato trattati con acido 
solforico hanno fornito gr. 0,0464 di solfato baritico. 

III Gr. 1,229 di sale cristallizzato in prismi scaldati per tre ore 
a 450 hanno diminuito di peso gr. 0,089. - 

IV. Gr. 0,264 del sale precedente già disseccato trattati con 
acido solforico lasciarono gr. 0,184 di solfato baritico. 

V. Gr. 0,208 dello stesso sale calcinati in presenza dell” acido 
solforico diedero gr. 0,102 di solfato baritico. 


16 
E quindi per %: 
Sale cristallizzato in laminette 


I. Acqua di cristallizzazione . 1,24 per % 
Il. Sale anidro . . . Bario 29,42 » » 
Sale cristallizzato in prismi. 
III. Acqua di cristallizzazione . . 7,24 » » 
IV. Sale anidro . . | | Bario 298 >» » 
V. Idem . » 29,5 >» » 
Per la formola 2(0, H,0,)Ba+2H, O si calcola 
Acqua di cristallizzazione . . . 71415 » » 
Bario nel sale anidro . . 29,88 » >» 


Paracresolglicolato di piombo: 2(C,H, O,)Pb+H,0.Tlsale di piombo 
fu ottenuto da quello di bario trattandolo al solito prima con acido 
solforico diluito e poi con carbonato piombico puro. 

Il paracresolglicolato piombico è discretamente solubile nell'acqua, 
anche a freddo e cristallizza con una certa difficottà, quantunque 
possa ottenersi cristallizzato in laminette. Scaldato in soluzione con- 
centrata già subisce un principio di decomposizione: scaldato solido 
perde l’acqua di cristallizzazione, a più alta temperatura si fonde e 
poi si decompone. 

I. Gr. 0,294 di sale scaldati per tre ore vicino a 150° hanno 
perduto di peso gr. 0,009. 

II. Gr. 0,294 del sale disseccato trattati con acido solforico for- 
nirono gr. 0,158 di solfato di piombo, e quindi per %: 


I. Acqua di cristallizzazione 7,06 » » 
II. Sale anidro . . Piombo 86,70 » » 
Per Ja formola 2(C,H, 0.)Pb-++H, O si calcola: 

Acqua di cristallizzazione sel 8,24 » » 
Piombo sale anidro ; . . . 87,29 » » 


Ho tentato di preparare il derivato acetilico dell’acido paracre- 
solglicolico, trattando questo con un'eccesso di cloruro d’acetilo, ma 
non ci sono fin'ora riuscito, probabilmente perchè il cennato deri- 
vato acetilico, si decompone colla più grande facilità in acido acetico 
ed in acido paracresolglicolico. 

Continuerò lo studio dei derivati dell’acido paracresolglicolico. 

Istituto chimico della R. Università di Napoli, agosto 1882. 








17 


Sai petrolii italiani: 


ricerche analitiche del Dr. BENEDETTO PORRO. 





Fra i minerali che trovansi nella nostra penisola noi dobbiamo 
annoverare pure del petrolio. 

Non si hanno ancora dati precisi per quanto io mi sappia, sul- 
l' importanza di questo giacimento, e per ora la produzione indu- 
striale di essi è assai limitata. 

Mi parve fosse cosa degna d’ interesse lo studio alquanto det- 
lagliato di alcuni di questi petroli (1) ed ho intrapreso delle ricer- 
che in proposito su quei campioni che mi son potuto procurare 
dalla cortesia dei proprietarii delle miniere ai quali mi reco a dovere 
porgere pubblicamente i miei più sentiti ringraziamenti. 

Il lavoro presente, e qualche altro che vi farà seguito sono fatti 
sotto un punto di vista industriale; mi riserbo però di completare 
col prof. Balbiano queste ricerche determinando per quel che sara 
possibile la composizione mediata di essi. 


Petralio Montanaro presso Piacenza. 


Debbo questo petrolio alla cortesia del sig. Conte Lodovico Ma- 
razzani proprietario di quelle sorgenti. 

Il campione quale mi venue inviato in cassa di.latta al 45 feb- 
braro 1882 si presenta limpido leggermente fluorescente colorato in 
giallo pallido; agitato con acqua distillata e saggiata Ja medesima alle 
carte reattive non dà alguna reazione, colla carta di piombo non dà 
indizio della presenza di acido solfidrico. 

Alla temperatura di otto gradi sotto lo zero emette vapori che 
si accendono all'approssimarsi di un corpo acceso, e che continuano 
ad ardere seriza l'intervento del lucignolo. 

La sua densità rispetto all'acqua è 0,7849 alla temperat. di 15° 


(1) I petroli di cui si tratta vennero già analizzati per quanto ri- 
guarda al loro rendimento in prodotti commerciali ma non ho potuto 
procurarmi di queste analisi che pochi dati, 


18 
e di 0,7589 alla temperatura di 50°, il suo coefficiente di dilatazione 
è 0,00095. 

Quest’olio è quindi meno denso dei petroli d'America che oscil- 
lano fra 0,79 e 0,88 ed è pure meno denso del petrolio dell’Egitto 
(Moniteur Scientifique, 1877 pag. 295) e di quelli del Caucaso. 

Distillai in caldaja di rame circa dodici Klg. di petrolio greggio 
e raccolsi frazionataincente le varie porzioni, dopo questa prima fra- 
zionatura grossolana si esegui una seconda distillazione in apparec- 
chi di vetro e servendomi di un rettificatore Henniger e Le Bel a 
tre bolle 

Nella seguente tabella sono riportati in composizione millesi- 
male in peso ed in volume i dati ottenuti da una tale frazionatura. 

Noterò immediatamente che durante tutto il corso della distil- 
lazione non si svolge la minima quantità di gas incondensabile. 

Una piccola quantità del residuo non distillato portato in un 
. crogiuolo ad elevata temperatura si volatilizza completamente senza 
lasciare residuo terroso. 

Il grado di accensibilità venne determinato riscaldandolo in un 
doppio bagno ad olio, ed agitando il petrolio contenuto in un pic- 
colo bicchiere con un termometro ; avvicinando di tratto in tratto 
alla superficie una esile fiamma a gas, si coglie molto bene il grado 
di temperatura in cui dal petrolio si sollevano vapori che accen- 
dendosi danno luogo ad un lieve scoppio. 

Questo metodo è raccomandabile per la sufficiente esattezza dei 
risultati e per la semplicità dell’apparato. 





19 
















TE, 
lot2| Temperature | Composizione | Densità 2 è = a 
7 _ |riferita 1000 a 8) «= 
limiti di D is | | He 5 5 55 | Osservazioni 
di | temperatura d s| sl 
| greggio di S' = 35 e note 
- i | ga 
— Volume | 15 een HO rent, = 3 
sotto 78° | 25,64] 28,62/0,70%1| — |0,0041 |seu-25°] incoloro 
78°-83 16,33] 17,69/0,7249] — ]|0,0012 a idem 
°-R8° | 6,59) 7,04)0,7572) — |0,0012 idem 
°_91° | 12,46) 43,16/0,74%%| — |0,0D105| --.23° idem 
94°-95° | 8,19) 8,61/0,7476) — |U,00IL | — \dem 
95°-97° | 40,69| 11,15|0,7524/0,7239|0,00409 idem 
97°-99° | 7,55) 7,86|0,7544/0,7257|0,00t08 10° idem 
y°- 103°! 63,62) 56,40/0,7456) — -- per la massima 


parte Ul -.03° 








103°-107°|142,28|147,43[/0,7377|0,7293|0,00107 ‘coloro 
107°-113 | 63,26] 63,29|0,7625) — |[0,00106, iden 
{43°-421 | 70,24) 74,73/0,7697) — |0,00102 idem 
jwae[=827 | 24,14]. 24,09]0,7752] —  |0,U0008 jdom 
427°434 | 74,59) 75,18|/0,7788]0,7525/0,00097 idem 
134°-140°| 52,35 39] 0,78 41 10,7585) 11,0009 (danni 
140°-150°| 58,36) 57,06/0,7910/0,7667]0,0008 idem 
4530°-155%| 25,04 ay, 29 0, 7059 0, THO8 10 0! 109 “em 

Il 155 -465 | 641,16) 59,87/0, 502} 0, 7769 0, 0004 ident 


ee 
=] 
ta 
[ES 
LE 


35, soli 9, "3233 0, 7960 0, "0009 Leggera colora- 
zione gialla 
colorazione gialla 
idem 
idem 


| 20 [495 -195 


21 |195 -203 | 22,59 
i 22 [203 -215| 17,52 
23 [eis -223 | 20,42] 
Il 26 [223 -247 | 36,82| 
|| 25 |247 in pia} 6,51 


94.38] 10,8378 0,8040]0,0008 
16,99/0,8380/0,8440/0, 0008 
IR ‘95| u, Khoo 0, 8301 i, HWS 
4364 0,8: 04 0, 83.40 |(,00080 104° 

5,92/0,8687]0 8457 /0,00078 +-1418"\di cattivn odore 





26 | residui | 36,60) 32,54)0,8820 0,8580|0,00077 -430°| coloratn in rosso 
non rubino per tra- 
| i distillati sparenza | 
i 27 \ 24,27| 24,30|0,80445(0,8718|0,00073 +137°|fortemente colorata 





Dalla tavola suesposta si rileva come le prime porzioni di que- 
sto petrolio incominciano a bollire poco al disotto di 78° e come 
queste porzioni sieno ancora imfiammabili a — 25 gradi centigradi; 
è poi piccolissima la porzione bollente al disopra di 247 gradi. 

Nella porzione che passa fra 78 cd 83 si potè costatare quali- 
tativamente la presenza del benzol. 

Per quanto riguarda direttamente la parte industriale farò os- 
servare come da mille parti in peso di petrolio greggio colla di- 
stillazione si può ricavare: 

i. Parti 447 di olii leggieri od eteri del petrolio aventi una 





80 


densità di 0,754 ed infiammabili alla temperatura di 15° sotto lo 
zero che possono servire come solvente di grassi, resine, per smac- 
chiare ecc. 

2. Parti 198 di fotogene che distilla tra 127° e 150° della 
‘densità di 0,787 accensibile a + 5 che può servire all’illuminazione 
nelle lampade ordinarie a benzina. 

8. Parti 220 di petrolio comune che distilla tra 150° e 208° 
della densità 0,812 accensibile a + 40° e quindi prossimamente 
eguale al petrolio che ci viene dell'America. 

4. Parti 144 di.un olio che distilla al di sopra di 208° della 
densità di 0,862 che può essere adoperato come olio lubrificativo 
in sostituzione degli olii vegetali. - . 


Petrolio proveniente da Rivanazzuno presso Voghera 


A poca distanza da Rivanazzuno e precisamente sulla collina 
che fiancheggia la riva destra del torrente Staffora havvi una loca- 
lità detta Valle dell'Olio. 

Il sig. Defendente Molo ha ivi le sue concessioni minerarie e 
con apposite pompe a vapore si estrae un’ acqua salso-jodica-pe- 
trolifera. 

Pubblicherò in apposita memoria un' analisi completa di que- 
ste acque jodurate e per ora mi limito a descrivere il petrolio che 
viene a galeggiare su di esse che io ebbi dalla cortesia del conces- 
sionario di quelle sorgenti, al quale rendo i mie ringraziamenti. 

Questo petrolio è di colore scuro fluorescente, è dieroico e vi- 
schioso; col medesimo alla sorgente gorgoglia una grande quantità 
di gas che analizzerò in seguito e che mi pare da alcuni saggi co- 
stituito in gran parte da metani. 

Questo petrolio ha la densità di 0,9182 a + 15° ed è quindi 
più denso dei petroli d' America e del Caucaso e meno denso del 
petrolio dell’Egitto. 

Il suo coefficiente di dilatazione è 0,0007, non si accende che 
alla temperatura di 92 gradi, agitato con acqua questa non presenta 
reazione alle carte tornasole; e le carte di piombo sospese per qual- 
che tempo al turacciolo di una bottiglia contenente due litri circa 
di petrolio greggio c’ indicano la presenza di traccie di idrogeno 
solforato. 

Due chilg. circa di petrolio greggio vennero trattati col 5 per 
cento in peso di acido solforico a 66°, agitai fortemente quindi la- 


84 
vai il petrolio decantato, con acqua , e poscia feci subire ad esso 
un trattamento con 8 per cento di idrato sodico al 15 Baumé. 

Il petrolio che ha subito questo trattamento diventa giallo man- 
tenendo però la sua fluorescenza , decantato e lavato nuovamente 
con acqua venne raccolto e pesato; si trovò che col trattamento con 
acido e soda si ha una perdita del 19 per mille. 

Il petrolio così depurato si accende a 95°, esso venne sottopo- 
sio alla distillazione frazionata servendomi del rettificatore di Hen- 
ninger e Le Bel a tre bolle. 

Nella seguente tabella sono notati i risultati ottenuti dalle fra- 
zionature. 


Temperatere {Composizione Densità 


riferita a 1000 Osservazioni 


e note 


sotto 220° 0,8747/0,8510/0,1008 |-+- 65°| odore di HyS lim 


pido 
220°-230° 0,8796/0,853110,0008 75°| limpido incoloro 
230 -240 2 |0,8878/0,8632|0,0008 85° idem 
240 -250 0,8932/0,87f4|0,00076 98° idem 
230°-260 0,9046|0,8774|0,00077|-4-108° idem 
260 -270 0,94191|0,8842/0,00077|-+114°| giallognolo 
270°-280° 0,9113/0,8958/0,00034|-|-117°| giallo ranciato 
280 -310 0,9341|0,9090/0,00083/--143° idem 

340 in 0,943310,9212|0,00087|--156°| giallo scuro 

su 0,9487/0,9279/0,00064|--175°| vischioso 
residuo 0,974 {0,941 |0,0009 |-{-200°| vischioso 


3 
3 
4 
8 
6 
7 
8 
9 
0 
| 


Sta o> 





In altra esperienza operai su litri otto di petrolio greggio e lo 
trattai successivamente con acido solforico e soda nelle proporzioni 
suindicate e poscia sottoposi il medesimo alla distillazione frazio- 
nata e ricavai per mille parti in peso. | 

4. Parti 220 di petrolio a leggiera fluorescenza che distilla sotto 

i 280° che ha la densità di 0,8848 alla temperatura di 18° ed è 
accensibile alla temperatura di 86°. 

2. Parti 880 di petrolio colorato in giallo fluorescente che di- 
stilla tra i 235° e 270, della densità di 0,9047 alla temperatura di 15° 
accensibile a 110°. 

8. Parti 871 di olio colorato in giallo carico fluorescente che 
distilla tra 270° e 880°, della densità di 0,9802, accensibile a 140°. 


11 


82 

i, Un residuo non distillato di parti 77 della densità di 0,958 
fluorescente e dicroico (verde per riflessione, rosso per trasparenza) 
accensibile a 190° e vischioso. 


Petrolio di Tacco Casanria 


Ebbi un campione di questo petrolio ‘dalle cortesia del signor 
Giuseppe Laschi che lo spediva dalla stazione di Torre dei Passeri. 

Il predetto petrolio è nerastro-bituminoso, di odore fetidissimo, 
la sua densità è 0,954 alla temperatura di 15°. 

Alla temperatura ordinaria non è accensibile e riscaldato alla 
temperatura di 86° i vapori emessi si accendono in contatto di una 
fiammella a gas. 

Soltoposto a distillazione incomincia a bollire verso i 440°, in 
principio l'ebollizione si fa a sussulti a causa dell’acqua interposta, 
questi sussulti cessano verso i 140° e l'ebollizione procede regolar- 
mente. 

L'acqua che si separa nella proporzione del 8 per cento del 
petrolio greggio ha una reazione acida e per saturare 10 ce. 
occorsero cc. 4,8 di soda normale. 

Il residuo che rimane nella storta ha varia consistenza a se- 
conda della quantità di olii che per distillazione si ricavano; spin- 
gendo però ls distillazione all’ estremo limite rimane del coke per 
residuo. 

_ Ho distillato due terzi circa del prodotto greggio introdotto nella 
storta ed ho ottenuto un catrame che alla temporatura di 25° 
si scioglie quasi completamente negli olii leggieri, provenienti dalla 
distillazione del carbon fossile, contenenti molta benzina (benzina 
rreggia) e sotto questa forma (1 parte di catrame e 8 di ben- 
zina) può essere utilmente impiegato come un eccellente vernice 
nera molto brillante e resistente agli acidi. 

Gli olii che si ottengono dalla distillazione vennero trattati in 
seguito e di essi terrò parola più avanti. 

Nella distillazione si svolge un abbondante quantità di gas di 
odore fetidissimo e contenente molto acido solfidrico assorbibile da 
una soluzione di acetato piombico. 

I gas che non vennero assorbiti dalla soluzione di piombo si 
raffreddarono a — 15° e se ne ottenne condensata una parte sotto 
forma di un liquido incoloro mobilissimo che sono dietro a stu- 
diare col prof. Balbiano. 


83 


I gas non condensati hanno odore sgradevole : ne determinai 
la densità coll’apparecchio di Bunsen.. 

Per rendere più spedite le determinazioni che facevo durante 
i varii periodi della distillazione modificai l’apparato nel modo che 
descriverò in apposita nota : questa modificazione ebbe anche per 
iscopo di rendere lo strumento più pratico. 

Questi gas hanno rispetto all’ aria la densità di 0,833 (Il gas 
illuminante del laboratorio tra una densità di 0,860). ° 

Si provò a fare ardere i gas in un becco comune a ventaglio 
sotto una pressione variabile da cent. 0,5 a 15 di acqua, ma sem- 
pre, come era da prevedersi, danno una fiamma fuliginosa ma for- 
temente illuminante. 

Si mescolarono allora con due volumi di idrogeno puro e la mi- 
scela che ha la densità di 0,828 rispetto all'aria accesa nelle con- 
dizioni ordinarie è ancora illuminante senza che la fiamma sia fu- 
liginosa. | 

Questo gas potrebbe essere usato industrialmente. 

Ecco la composizione immediata del petrolio greggio. 


Su 1000 parti in peso 


Olii ottenuti dalla distillazione 685,7 

Acqua acida separata 29,0 

Asfalto residuo 322,4 

Gas e perdite (41) 412,9 . 
10000 


Presi Kigr. 2 di olii ottenuti dalla prima distillazione, e 1 
soltoposi ad una purificazione col solito trattamento con acido sol- 
forico e soda. 

Un trattamento. con un solo di questi reagenti non basta as- 
solotamente alla purificazione ; un trattameuto con sola soda ci dà 
a parità di punti di ebollizione, petroli di maggior peso specifico 
e più colorati. 

I! trattamento con acido e soda assorbì grammi 69,5 di olii 
e quindi si ha nella purificazione una perdita del 84,7 per mille. 

Sottoposi quest’olio purificato alla distillazione frazionata e nella 


(1) Nella distillazione di Kig. 2,035 di petrolio greggio si raccolsero 
titri 35 di gas. 


84 


seguente tavola sono riportati i risultati ottenuti dalla frazionatura 
riferiti a 1000 parti di petrolio di prima distillazione. 


E Temperature Composi-| — Densità Tempera- 

È miti di | frit. | alla |tura di ac-| Osservazioni 

o limiti di ferita a ‘h;ti 
. 1000 p. | ‘mperatura censibilita 

i - ebollizione in peso di 15 dei vapori 

i | sotto 180° | 83,8 0,7830 32° limpido incoloro 

2 480°-200° 79,5 0,7900 55 idem 

3 | 200°-210° | 404,0 0,7997 65 idem 

& | 210°-220° | 62,0 0,8078 80 idem 
5 | 220°-230° 78,0 0,8187 84 leggermente colorato in 

giallo 

6 | 230°-240° | 47,0 0,8127 95 idem 

7| 240°-250° 72,5 0,8318 104 idem 

8 | 250°-260° 63,0 0,8423 106 colorato in giallo 

9 | 260°-270° 62,0 0,8523 149 idem 

10 | 270°-300° | 98,5 0,8646 434 idem 

4i | sopra 300° 98,0 0,8747 441 colorato in giallo scare 
12 idem 53,0 0,8935 {60 idem 


43 | non distillato! 88,0 — si solidifica col raffr. 





Petrolio di San Giovanni Incarico 


Ebbi questo petrolio dalla cortesia del sig. Francesco Compa- 
gnoni proprietario di quelle miniere. 

Il petrolio greggio è nerastro-bituminoso, di fetido odore, ha una 
densità di 0,974 alla temp. di 16° del termometro centigrado, esso 
è quindi il più denso di tutti i petroli fin qui studiati e di quelli 
di America, del Caucaso e d'Egitto. 

Ne distillai in caldaia di rame Klgr. 44,689 e ricavai dalla di- 
stillazione Kigr. 8,111 di olii ed un residuo di Kigr. 8,800 di ca- 
trame. | . 

Durante la distillazione si svolge un abbondante quantita di gas 
combustibili contenenti molto idrogeno solforato. 

Questi gas hanno una densità di 0,7 rispetto all'aria e danno 
alla combustione una fiamma fuliginosa. 


In 1000 parti di petrolio 


Olii distillati 696 
Catrame 283 
Gas svolto (per differenza) 21 


4000 


85 

Il catrame residuo è di ottima qualità e può venire impiegato 
utilmente. 

Gli olii derivanti dalla semplice distillazione non sono suffi- 
cientemente puri per poter essere impiegati agli usi ordinarii, essi 
sono di colore oscuro e di odore fetido. 

Ne presi grammi 1615 e li trattai successivamente con acido e 
soda: il prodotto ottenuto seccato sul cloruro di calcio pesava gram- 
mi 4890 con una perdita per assorbimento di 188 parti su mille 
di petrolio greggio che si sottopone alla depurazione. 

L'olio così depurato ha una densità di 0,9240 alla temp. 44° 
e si accende a 85°. ù 

Da mille parti in peso di olio così depurato colla distillazione 
frazionata si ricava: 

4. Parti 187 di un olio limpido incoloro che distilla fra 112° 
e 240° della densità di 0,8208 a 21° e che si accende a 25°. 

2. Parti 298 di olio leggermente colorato in giallo che bolle 
fra 240° e 860°, della densità 0,8844 a 24° e che si accende a 100 
gradi. : | 
8. Parti 194 di olio che distilla al disopra di 360°, colorato in 
giallo, di densità 0,9260 a 19° ed accensibile a 136°. 

4. Parti 440 di olii colorati in giallo di densità 0,9510 a 49° 
e che si accendono a 476 ed il di cui punto d'ebollizione è sopra 
i 860°. 

5. Un residuo vischioso di densità 0,998 a + 19 e che si ac- 
cende solo se viene scaldato al di sopra di 200°. 

Mi occupo ora, a fare delle esperienze sull’utilizzazione dei vari 
prodotti ricavati dalla frazionatura dei petroli sopra descritti, special- 
mente pel loro impiego come sostanza illuminante, quindi rispetto 
alla loro gassificazione, al loro potere calorifico ed alla lubrificazione. In 
altra nota renderò conto dei risultati ottenuti da tale ricerche. 

Torino, 28 novembre 1882. 





86 
Joduro di argento-ammonie: 
di ANTONIO LONGI, 





Il Rammelsberg (4) trovò che l’ioduro di argento secco assor- 
bendo ammoniaca si trasforma in una sostanza bianca, facilmente 
decomponibile, della formola 2AgI+NH,. 

lo ho trovato che Vioduro di argento per digestione nella so- 
luzione di ammoniaca (6.0,96) si trasforma in un altro composto 
bianco, che pure facilmente si scompone all’aria e nell'acqua e che 
è l’ioduro di argento-ammonio NH,Agl. 

Per analizzate questo composto ne presi una certa quantità, lo 
lavai molto velocemente con acqua, indi lo trattai con acido clori- 
drico. Separai l’ioduro d'argento ripristinato e lo pesai, e nel liquido 
determinai la quantità di cloruro ammonico. 


(NH,Ch gr. 0,546 = NH, 0,17849 = 7,286 % 
LMAgI oo»... . 0. 220786 =... . 92,718 % 


fo 3 38085 
NH,Ch gr. 0,1964— NH, 0,04006 = 8,960 % 
(jAgl » . . .. .0,A0666—. . . . 94,080 % 
“04679 














(NH, Ch gr. 0,85 = NH, 0,27000 = 7,037 % 
III.{Agl one 56686 =. . . 92,962 % 
| 3.83686 
NH,Ch gr, 0,5465=> NH, 0.16442 = 6.862 % 
IV. jAgl >» . . . . . 229786 em. . . 93,187 % 
2,39148° 
(NH, Ch er. 0,441 = NH, 0,14051 = 8,315 “ 
VAI Pa 54686 =. . . 91,674 % 
| 1,68680_ 
(! (H,Ch gr. 0,45 = NH,0, 0,14297 = 6,449 % 
VI. Agl È i .. 12 01 886 =. . . 98,550 % 
( 2,21688 
media NH, = 7,486 % 
» Agi = , ‘ é è 92,551 % 
Calcolando come Agl4+-NH, 


Agi = 98,252 % 
NH, = 6,748 >» 


(1) Ueber die Verbindungen der Iodmetalle mit Ammoniak Pogg. 
Ann. t. 48, p. 151. 








87 


Studie intorno a vari coefficienti di solubilità di alcuni sali 
di argento e metodo sistematico per ia ricerca degli a- 
etdi cianidrico, cloridrico, bromidrico, iodidrico, clorico, 
bremaice, iodico, ferrocianidrico e ferricianidrico. 


del Dr. ANTONIO LONGI 





Nel decorso anno pubblicai in questa Gazzetta (4) i risultati 
di alcuni miei studi di Chimica analitica. Per ragioni di ufficio do- 
vetti occuparmi in quest’ anno di fissare un metodo per la ricerca 
di quelli acidi che vengono precipitati dal nitrato di argento. 

Dopo vari tentativi mi parve che si potesse idearne uno ba- 
sendosi specialmente sulla solubilità differente dei diversi sali di ar- 
gento nelle soluzioni di ammoniaca. 

1 coefficienti di solubilità per alcuni di questi sali non erano 
ancora stati determinati, per altri lo erano da esperimentatori di- 
versi e con metodi ed in condizioni differenti ; mi sembrò quindi 
necessario che tali determinazioni venissero fatte da uno stesso spe- 
rimentatore e con metodi ed in condizioni analoghe. Io perciò mi 
accinsi a tali ricerche i risultati delle quali riassumo nel seguente 


quadro. 












































































È Sale | Centimetri cubici | Gr. di solvente 
E . di soluzione nei quali 
Solvente 3 di nei quali si discioglie 
| argento è contenuto 4 gr. 1 grammo 
B 8 di sale i sale 
| 
42° | cianuro 433,17 434,73 
I 43 | cloruro 430,20 - 428,64 
i Ammoniaca al 0,50/, | 42 | bromuro 8808, 58 8779,37 
(3.0,998) 25 | ioduro @ @ 
? 28 | bromuro 28,49 28,44 
| 28 | iodato 42,73 42,39 
| 18 cianuro 192,52 164,50 
. 18 | cloruro 13,46 12,76 
h Ammoniaca al 10 % \ 143 | bromuro 300,33 288,46 
(3.0,96) 42 | ioduro 27420,35 20327,54 
25 | bromato 2,254 2,162 
25 | iodato 2,383 2,202 
| Acqua ; 23 bromato 597,73 2770000 
. iu iodato 27824,88 , 
f Acido nitrico al 35% bromato 262,83 320,36 
| (3.1,24) iodato 859,81 1044,33 
Î 


(1) Anno XI. p. 506. 





88 

Basandomi specialmente su questi dati ho immaginato il se- 
guente metodo il quale, csperimentato su mescolanze svariate , mi 
ha dato costantemente risultati soddisfacenti. 

Se la sostanza da analizzare è solubile nell’ acqua se ne fa la 
soluzione acquosa e si rende acida con acido acetico. 

Se la sostanza è insolubile nell' acqua , si disaggrega con car- 
bonato sodico all’ebollizione ed il liquido filtrato si rende acido con 
acido acetico (1). 

In entrambi 1 casi si riscalda la soluzione acida per scacciare 
l'idrogeno solforato, quando se ne riconosca la preseriza, e quindi 
si tratta in prima con un leggero eccesso di nitrato di argento e 
dopo con un poco di acido nitrico. 

Il precipitato che si produce sarà bianco o giallo chiaro od an- 
che rosso mattone e potrà essere formato da cianuro. cloruro, bro- 
muro, ioduro, bromato , iodato , ferrocianuro e ferricianuro di ar- 
gento. In soluzione possono rimanere il clorato ed una parte del 
bromato di argento ed anche il cianuro di mercurio. 

Si separa il liquido A » dal precipitato B ». 

A » Si pone in questo liquido dello zinco in lastroline , vi si 
aggiunge un poco di acido solforico e si lascia a se. 

L’idrogeno nascente riduce in prima il clorato ed il bromato 
di argento a cloruro e bromuro e quindi quest'ultimi , come pure 
il cianuro di mercurio, ad argento e mercurio metallico, formando 
acido cianidrico, cloridrico e bromidrico. Terminate queste riduzioni 
si filtra e si divide il liquido in tre parti. 

Nella prima si ricerca l’acido cianidrico con sale ferroso-ferrico. 

Nella seconda si versa nitrato di argento il quale precipita l’a- 
cido cianidrico, cloridrico e bromidrico; si lava il precipitato e quindi 
si fa digerire con ammoniaca al.0,5 % (0.0,998), si filtra e se il 
liquido filtrato , reso acido con acido nitrico, dà un precipitato 
bianco insolubile nell’acido nitrico concentrato e bollente , è segno 
che nella sostanza era contenuto acido clorico. . 

Nella terza parte si ricerca il bromo col solfuro di carbonio, e 
trovandolo, indica, che nella sostanza era contenuto acido bromico. 

B » Il precipitato complessivo di cianuro , cloruro, bromuro , 
ioduro, bromato , iodato , ferrocianuro e ferricianuro di argento si 
lava accuratamente , indi si fa digerire con ammoniaca al 0,5 %. 


(1) Sia nell’un caso che nell’altro, se per l'aggiunta di acido acetico 
si forma un precipitato, si separa e si mette a parte per servirsene dopo, 
nel caso che sia necessario come in ultimo verrà detto. 








89 


I cianuro, il cloruro, il bromato, |’ iodato ed il ferricianuro si di- 
sciolgono; non il bromuro, l’ioduro ed il ferricianuro (4). è 

{l residuo formato dà bromuro , ioduro , e ferrocianuro dopo 
averlo ben lavato si tratta con soluzione d’idrogeno solforato a cui 
si è aggiunto un poco di acido cloridrico, si riscalda per scacciare 
la massima parte dell’idrogeno solforato eccedente e quindi si filtra. 

Nel filtrato si ricerca l’acido ferrocianidrico con sale ferroso- 
ferrico, si separa il ferrocianuro ferrico-ferroso formatosi e sul li- 
quido si ricerca il bromo e l'iodio col solfuro di carbonio. 

Nel liquido ammoniacale contenente cianuro, cloruro, bromato, 
iodato e ferricianuro si versa un eccesso di anidride solforosa. Il 
cianoro ed il cloruro precipitano; il bromato, l’iodato ed il ferricia- 
nuro vengono ridotti a bromuro, ioduro e ferrocianuro i quali pure 
precipitano. Si fa raccogliere il precipitato in fondo al tubo, si lava 
bene per decantazione e quindi si fa digerire con ammoniaca al 0,5%. 

If cianuro ed il cloruro si ridisciolgono; non il bromuro, l’io- 
dure ed il ferrocianuro. Si filtra. 

Nella parte indisciolta si ricerca il bromo, l’iodio e l'acido fer- 
rocianidrico col metodo che sopra fu detto, e ritrovandoli indica che 
nella sostanza erano acido bromico, todico e ferricianidrico. 

Nel liquido si versa acido nitrico il quale fa di nuovo precipi- 
tare il cianuro ed il cloruro. ll precipitato si divide in due parti. 

Una parte si agita con un poco di acido cloridrico diluito , si 
filtra e nel liquido si ricerca l'acido cianidrico con sale ferroso-fer- 
rico (2). 

L'altra parte si fa bollire con acido nitrico concentrato il quale 
decompone il cianuro trasformandolo in nitrato , e lascia indecom- 
posto il cloruro » (8). | 

Pisa, Laboratorio di Chimica generale, agosto 1882. 


(1) La quantità di ammoniaca necessaria è sempre relativamente 
grande, ed è indispensabile continuare a lavare i corpi insolubili fin- 
tantoché ci siamo accertati che |’ ammoniaca non è più capace di di- 
sciogliere ulteriori quantità di materia. 

(2) Nel caso che sia ritrovato l'acido cianidrico e siano mancati uno 
od alcuno degli acidi in questo metodo contemplati, per essere asso- 
lutamente certi della loro assenza è utile disaggregare di nuovo, con 
carbonato sodico, il precipitato che si è prodotto per l’aggiunta di Acido 
acetico nella soluzione primitiva e ricercare quelli acidi nel prodotto 
della disaggregazione. 

(3) L'autore fa seguire a questa esposizione tutti i documenti ana- 
litici relativi al quadro pubblicato; la Direzione però per ristrettezza di 
spazio 6 obbligata a rimandarne in seguito la pubblicazione.-La Redazione 


12 


90 


Acide pretocattannice ed anidridi di essiacidi aromatici: 


di UGO SCHIFF. 


In seguito ai miei studii antecedenti sulle relazioni che passano 
fra l'acido tannico ed il gallico e sul modo di agire dell’ ossicloruro 
di fosforo sugli ossiacidi aromatici, ho studiato l’azione di esso sul- 
l'acido protocatechieo , mentre in questo laboratorio si istituivano 
diversi sperimenti sul modo di comportarsi dell’ossicloruro di fosforo 
cogli ossiacidi aromatici. 

G. Puliti ha studiato un’anidride dell’ acido paraossibenzoico , 
che io avevo già da lungo tempo accennato (4) : la tetraparaossi- 
benzoide, la quale si forma allorchè nella reazione non si oltrepassa 
la temperatura di 50°: 

CysH gO, =4C,H,0,—3H,0 

È una polvere bianca, insolubile in quasi tutti i solventi, ri- 
scaldata fortemente si scompone senza fondere e dà con potassa 
acido paraossibenzoico. 

G. Pellizzari ottenne dall'acido metaossibenzoico, operando tra 
40°-50°, due sostanze separabili coll'alcole. L’una solubile nell’alcool 
bollente se ne depone in cristalli microscopici che costituiscono la 
dimetaossibenzoide 

C,,H,.0,=2C,H,0,—H,0 

Rammollisce sopra 100° e fonde da 130°. 485°. L'altra sostanza 

quasi insolubile nell’alcool bollente é la ottometaossibenzoide: 
C,,H;,0,,=8C,H,0,—7H,O 

che si presenta come una polvere bianca, amorfa, solubilissima nel 

cloroformio, fondente da 160°-165° solidificantesi col raffreddamento 

in un vetro appena colorato. 

Questi prodotti di condensazione degli acidi para e metaossi- 
benzoico non hanno reazione acida, non si colorano col cloruro fer- 
rico e da essi non si può ottenere nessun derivato acetilico stabile. 
Riscaldati con ammoniaca alcoolica o con anilina, danno le amidi 
e le anilidi corrispondenti ai due acidi, le quali furono ottenute ben 
cristallizzate e corrisposero perfettamente per l’analisi e per il punto 
di fusione. 


(1) Ann. Chem. Pharm. 172, 360. 


94 


A. Piutti si era incaricato di studiare le anidridi dell’acido cre- 
solico. Ma due preparati della fabbrica Von Heyden , che avevano 
presso a poco il punto di fusione dell’acido cresotico , si dimostra- 
rono perl’ analisi di porzioni frazionate e per quella dei sali ba- 
ritici da queste ricavati, non esser altro che acido salicilico del com- 
mercio, il di cui punto di fusione veniva abbassato d'8°-10° da una 
sostanza solubile nell'acqua mescolatavi in piccola quantità. Questa 
sostanza poteva con successive cristallizzazioni venir concentrata in 
una piccola quantità di acido salicilico, cosicchè il punto di fusione 
di questo scendeva a poco per volta fino alla temperatura di 125°. 

{I prodotti dell’azione dell’ossicloruro di fosforo su questo acido 
analizzati dal Piufti, non erano naturalmente nient'altro che le co- 
nosciute polisalicilidi, ma per maggior sicurezza, egli ha dimostrato 
Noa potersi da esse ricavar altro che acido salicilico quando si de- 
compongono con potassa bollente. . 

Dei molti ossiacidi aromatici che io ho studiato da questo punto 
di vista nel corso di 14 anni, l'acido protocatechico è il solo che 
si comporta crll’ ossicloruro di fosforo e coll’ acido arsenico , nello 
stesso modo dell'acido gallico formando un vero acido tannico. 

Se una soluzione acquosa di acido protecatechico dopo aver 
bollito per parecchie ore con acido arsenico, si agita con etere al- 
lora si formano tre strati, di cui il mediano, più colorato, contiene 
l'acido tannico di nuova formazione. 

in questo modo, senza impiegare acido solfidrico, esso può ve- 
nire purificato. Si colora facilmente all’ aria in bruno; secco costi- 
tuisce una sostanza igroscopica e di aspetto vetroso la di cui ana- 
lisi corrisponde alla formola di un acido diprotocatechico: 


2C,H,0,—H,0 =€,,H,.0, 


Riscaldato con acidi minerali ripristina facilmente l’acido pro- 
tocatechico. Si scioglie in grande quantità nell’acqua e nell’alcool e 
la soluzione possiede tutte le reazioni generali e caratteristiche del 
tannino, e in tel modo che si potrebbe confondere coll’ acido tan- 
nico ordinario, se l'acido protocattannico non dasse una intnesa co- 
lorazione verde col cloruro ferrico. 

Facendo agire l’ossicloruro di fosforo sull’ acido protocatechico 
(anche in soluzione eterea) si forma una sostanza colorata debol- 
mente in giallo, l’acido tetraprotocattannico che all’aria non si co- 
lors. nell'acqua si scioglie più difficilmente dell’ acido diprotocate- 
chico, abbondantemente però se prima si inumidisce con alcool nel 
quale esso è assai solubile. La soluzione è alquanto fluorescente e 


92 


dà tutte le reazioni generali caratteristiche del tannino. Col cloruro 
ferrico si colora in verde, colla potassa in rosso chiaro. 

Quando si adopera l'ossicloruro in soluzione eterea allungata , 
allora la reazione si fa con maggior lentezza e il prodotto è meno 
colorato. In questo caso esso rinchiude ancora altre due anidridi 
più condensate delle già descritte. L’ una di esse è insolubile nel- 
l'acqua, l’altra lo è anche nell’ alcool cosicchè tutte queste anidridi 
sì possono nettamente separare. 

Come è noto, già prima di 80 anni fa, si distingueva gli acidi 
tannici, in acidi che anneriscono ed in acidi che inverdiscono col 
cloruro ferrico , distinzione che più tardi veniva abbandonata. Il 
portamento dell'acido protocatechico sembra adatto a dare di nuovo 
a questa distinzione un significato scientifico. Gli acidi tannici che 
anneriscono col cloruro ferrico sembra corrispondano alle anidridi 
dell'acido gallico o dei suoi derivati , mentre invece gli acidi tan- 
nici che inverdiscono corrispondono alle anidridi dell’ acido proto- 
catechico o dei suoi derivati. L'acido digallico e l' acido diprotoca- 
techico sarebbero i prototipi più semplici delle due già distinte spe- 
cie di acidi tannici. 

Dalle mie ricerche sembrami inoltre di poter dedure che gli 
ossiacidi aromatici devono almeno contenere due idrossidi per poter 
dare anidridi con carattere tannico. Questo però non si verifica per 
cli ossisolfoacidi, poichè già 10 anni fa, nelle ricerche sui solfoacidi 
del pirogallol, della floroglucina, e del fenol, io dimostrava che l’'a- 
nidride dell'acido fenolsolforico è un vero acido tannico. 

Anche in altre reazioni |’ acido protocatechico si comporta co- 
me Vacido gallico. 

Se lo si mescola intimamente con acido arsenico secco e si ri- 
scalda per alcune ore a 160°, mentre quest’ ultimo si trasforma in 
acido arsenico, si forma un acido catellagico , corrispondente all’a- 
cido ellagico. L'analisi del composto seccato a 140° corrisponde alla 
formola : 

C, H,,0,=2C,H,0,—(H,0 + Hy) 


Si ottiene lo stesso acido se si riscalda debolmente per un 
certo tempo la soluzione dell’acido protocatechico nel carbonato so- 
dico acquoso e se poi lo si lascia gradatamente ossidare all’aria. 

Quest’ultima reazione ha luogo meno elegantemente e con più 
difficoltà della corrispondente reazione dell’etere gallico. L’acido ca- 
tellagico è molto simile nelle sue proprietà all’acido ellagico. Si scio- 
glie nell'acido nitrico con color rosso aranciato, ma coll’aggiunta di 








98 


acqua non dala magnifica colorazione rossa che nelle stesse con- 
dizioni vien data dall’acido ellagico. 

Avevo però ottenuto il rufigallol dell’acido protocatechico e per 
combinazione ero appunto occupato a filtrarlo quando mi venne 
portata ja dispenza del Bulletin che conteneva la descrizione di que- 
sto composto ottenuto da Nòlting e Bourcart (1). Non ne feci |’ a- 
nalisi. 

Come è noto, si dubitava che nella reazione dell'ossicloruro di 
fosforo e dell'acido arsenico sull’acido gallico, vengono concatenate 
solo due molecole di questo ultimo, e che l’acido tannico che si forma 
sia veramente nient'altro che acido digallico. Le presenti ricerche, 
ed altre di cui ora non tratto, furono appunto fatte allo scopo di 
dimostrare che l’ossicloruro di fosforo agisce sugli acidi aromatici 
in generale sottraendo acqua e incatenando parecchie molecole di 
acido. Non vi è ragione dunque di negare che nella identica rea- 
zione dell’ acido gallico, nascano prodotti risultanti dalla semplice 
concatenazione di più mblecole di acido gallico. 

Del resto per viemeglio dimostrare dispongo ancora di osser- 
vazioni di altro genere. 

Tutte le anidridi degli ossiacidi aromatici ottenute per l’azione 
dell'ossicloruro di fosforo, coll’ammoniaca o coll'anilina a caldo danno 
le amidi e le anilidi dei corrispondenti ossiacidi. Questo venne di- 
mostrato per le anidridi dei tre acidi ossibenzoici ed io ho con- 
stato lo stesso comportamento coll’acido tetraprotocatechico—compor- 
tamento che è d’altronde una reazione caratteristica e generale delle 
anidridi. 

E. Pons si era incaricato di dimostrare che |’ acido digallico 
per l’azione dell'ammoniaca si trasforma in gallamide e che questa 
trasformazione in amide e gallato ammonico avviene secondo la 
reazione: 

C,,Hy.0.4+-2NH; = C,H,0,.NH,+C,H,(NH,)0, 

In ricerche fatte allo scopo di impedire la formazione di so- 
stanze amorfe e fortemente colorate per l’ulteriore ossidazione degli 
acidi tannico e gallico, Pons trovava, che nelle antiche ricerche di 
A. W. Knop (4852-1854) l'acido solforoso del solfito ammonico da essi - 
adoperato , agiva appunto nel modo ora accennato. Ciò che altra- 
volta si chiamava acido tanningenamico e talora gallamide e che 
si riteneva poi più generalmente come acido amidogallico non è al- 
tro che gallamide normale. Con un metodo di preparazione alquanto 


(1) Bull. Soc. chim. 37, 396, 


94 


modificato , Pons ha ottenuto questo composto in guessi cristalli , 
quasi incolori di cui l’analisi, corrispondente con quella di Kuop, 
conduce alla formola: 

C,H,NO,-+-4 4 H,0 

Questo composlo non forma sali alcalini, non si unisce agli 
acidi, non dà col furfurol la caratteristica colorazione rossa — fuso 
con urea non dà l'acido uramidico, tutte reazioni che sarebbero da 
aspettarsi da un acido amidato aromatico. D' altra parte per il ri- 
scaldamento con una soluzione discretamente concentrata dì potassa 
dà ammoniaca ed acido gallico. Coll’ anidride acetica si forma un 
derivato acetilico che non dà più reazione col cloruro ferrico. 

Pons ha dimostrato che il prodotto principale che si forma ac- 
canto alla gallamide è acido gallico il quale alcune volte cristallizza 
difficilmente nella sua forma caratteristica. 

L’acido digallico si scioglie facilmente nell’anilina calda. Se la 
soluzione viene riscaldata per qualche tempo fino all’ebollizione, col 
raffreddamento si raccoglie in una massa di cristalli fortemente co- 
lorati che si comportano come gallanilide, ma che fino ad ora non 
ho potuto ottenere incolori. 

Mi riservo di esporre più -dettagliatamente e svolgendo la parte 
analitica, queste ricerche che per ora non intendeva che delineare 
a grandi tratti. 

Firenze. Laboratorio di Chimica. 


Ricerche sulla esistenza di sostanze alcaloidee 
nei semi di main; 


di OTTORINO LUXABDO. 





Si spossarono a freddo tre chilogrammi di farina sana di mais, 
con 800 grammi d’una soluzione d’acido solforico puro, 20 %; di- 
luita in conveniente quantità d’ acqua. L’ estratto liberato per de- 
cantazione, dall’ amido , dai grassi e dagli albuminoidi insolubili , 
venne chiarificato e privato dell’eccesso d’acido , coll’acetato basico. 
di piombo. Dopo filtrazione ed evaporazione lenta a b. m, si depurò 
l’estratto "residuo trattandolo ripetutamente coll’ alcool assoluto , e 
quindi filtrato lo si separò dall’alcool colla distillazione (4). 


(1) Nei solventi, re \ttivi e filtri, preparati o depurati, si constatò quel 
grado di purezza richiesta dall'indagine. 


. 98 

Le prime porzioni dell’ alcool distillato, scaldate con potassa , 
svilupparono basi volatili. 

L'estratto acqueo-acido di mais, fu metodicamente spossato :.con 
petrolio leggero; (d = 650) 
con benzolo: 
con cloroformio. . 

Alcalinizzato poscia con ammoniaca , fu nuovamente trattato 
cogli indicati solventi e coll’alcool amilico. 

L'estratto alcalino residuo essicato completamente al vuoto, allu 
temperatura dell'ambiente , venne esaurito col cloroformio. Così si 
ottennero : estratti acidi ed alcalini, corrispondenti ai solventi no- 
minati ed un estratto cloroformico finale. 

Tutti gli estratti furono lavati coll’acqua e si notò che il lava- 
mento completo richiese molti lavaggi parziali, durante i quali sepa- 
ravasi una materia bianca, solida , coi caratteri generali assegnati 
agli albuminoidi (2). 

Gli estratti lavati e, meno l’amilico, condotti a siccità a b. m, 
si spossarono con acido cloridrico puro, diluito. Per lenta evapora- 
zione del liquido acido, e consecutiva soluzione acquea e concentra- 
zione al vuoto in presenza di calce, si aftennero specialmente dagli 
estratti alcalini : dei cloridrati cristallini incolori , ed alquanta so- 
stanza amorfa, bruna o gialla; il tutto solubile o quasi nell’acqua. 

Nelle soluzioni acquee dei cloridrati, concentrate e filtrate , si 
fecero agire metodicamente, i seguenti reattivi : acido solforico con- 
centrato, acido solforico e bicromato potassico, acido picrico, ioduro 
potassico-iodurato, ioduro mercurico-potassico , acido fosfomolibdico, 
acido metatungstico, cloruro di platino , cloruro d’ oro-, idrato po- 
tassico. 

I reattivi indicati, meno l’acido solforico ed il bicromato potas- 
sico, manifestarono reazioni analoghe a quelle gerferalmente credute 
caratteristiche per gli alcaloidi : specialmente colle soluzioni dei clo- 
ridrati provenienti dagli estratti alcalini e dall’estratto cloroformico 
finale. Le reazioni più notevoli e pronte si ebbero dall’estratto ami- 
lico alcalino. 

ll reattivo di Brouardel e Boutmy rispose istantaneamente con 
tutti gli estratti. Però, specialmente dopo il lavoro del prof. Spica, 
non si può accordare un_valore scientifico a tali risultati (3). 


(2) Glutine-fibrina, Ritthausen; Zeina, B. Bizio. 
(3) P. Spica; Gaz. Chim. anno XI, pag. 486. 








96 
CONCLUSIONI 


Tralasciando ogni indagine sulla natura delle sostanze che i sol- 
venti isolarono dall’estratto di mais, e fissando l’attenzione sopra i 
soli derivati cloridrici : è mestieri affermare che diedero coi reat- 
tivi generali degli alcaloidi dei precipitati cristallini e amorfi, spesso 
notevoli per la forma e l’origine. È pure rimarchevole lo sviluppo, 
di corpi basici volatili, per il trattamento dei cloridrati con idrato 
potassico a caldo. 

Questi fatti conducono ad ammettere, nella farina di mais sano: 
sostanze azotati che hanno analogia di comportamento chimico cogli 
alcaloidi e colle plomaine. 

Sembra però probabile che i metodi, in uso per la ricerca de- 
gli alcaloidi, basati sullo spostamento della base organica, per opera 
d’un acido minerale diluito (solforico , cloridrico) ovvero organico 
(tartarico, acetico), non presentino se usati come mezzo generale 
di ricerca, sufficiente garanzia di risultati; quando per essi non si 
giunga ad isolare la base organica , in modo da poterla integrare 
esattamente (4). 

Nel caso di semi vegetali, nei quali eAistonia alcune sostanze 
albuminoidi, solubili nell’alcool e nei mezzi acidi ed alcalini, il tra- 
sporto di queste sostanze negli estratti e nei cloridrati è temibile. 
Di questa possibilità è necessario tenere conto , anche se non si 
voglia accordare suverchia importanza alla più profonda azione che 
gli acidi diluiti possono esercitare sugli albuminoidi, specialmente a 
caldo; perchè. l’azione può limitarsi, evaporando gli estratti al vuoto 
alla temperatura ordinaria, dopo avere neutralizzato in massima parte 
l’acido libero. 

Manca quindi una prova indubbia della preesistenza di basi 
organiche , analoghe o identiche agli alcaloidi, nel seme di mais 
sano. 


(1) I risultati ai quali pervennero varii Autori studiando il seme di 
mais guasto, non sono concordanti : Il Monselise agendo col método 
Stas-Otto, sopra 300 grammi di farina di mais parzialmente alterata 
non ottenne reazioni proprie agli alcaloidi. 

Però il metodo Stas-Otto non può considerarsi esente da inconve- 
nienti, proprii al trattamento acido della sostanza primitiva. Prof. G. Mon- 
selise ; Ricerche chimico tossicologiche sopra alcuni campioni di Mais. 
Mantova, tip. Mondovi 1831.—F. Selmi; Ptomaine od alcaloidi Cadaverici, 
Bologna, Zanichelli 1881, pag. 138-140. 








Da queste censiderazioni deriva, che i risultati delle indagini 
sui semi vegetali, fatte allo scopo di ricercare basi organiche in ge- 
nere . sono direttamente influenzati dal metodo prescelto nelle ri- I 
cerche. I metodi Draghendorff e Stas-Otto, specialmente nella parte SEIN 


che riguarda il trattamento preliminare della sostanza e lo spossa- LOT 
mento acido degli estratti parziali : non possono considerarsi come ee 
metodi generali. ° | SÙ. 
Mantova, Laboratorio dell’Istituto Tetnico. COSE 
Sui cloruri di orto-e metanitrobenzile (4); ot 


del Dr. MODESTO ABELLI. 


@ 

Beilstein e Geitner per l'azione dell’acido nitrico fumante sul 
cloruro di henzile (2), ottennero insieme al cloruro di paranitro- _ 
benzile fusibile a 71°, un olio che all’ ossidazione con |’ acido cro- nr 
mico forniva principalmente dell’acido nitrodracilico, e Grimaux (8) 
tornando sullo stesso argomento fece rilevare che in quest’ olio si 
trova disciolta una buona quantità del cloruro suddetto il quale può 
separarsi col raffreddamento. Più tardi Wachendorff (4) ottenne il 
cloruro di paranitrobenzile facendo agire il cloro sul paranitrotoluene 
a caldo, mentre adoperando l’'orto—è il metaderivato non potè avere 
i corrispondenti cloruri. Nell’azione dell'acido nitrico sul cloruro di 
benzile |’ olio si forma sempre in quantità maggiore del prodotto a 
solido , anche adoperando le precauzioni date dallo Strakosch (3) 
per avere un rendimento maggiore nel paraderivato, cioè raffred- 
dando l’acido nitrico a—45°. 

Io mi son proposto di studiare la parte liquida che si ha da 
questa reazione , ed all’ uopo la ho preparata facendo gocciolare il 
cloruro di benzile su 5 volte il suo peso di acido nitrico a 4°, 50 
raffreddato con acqua; si precipita con acqua, si raccoglie la sostanza 


(1) Estratto dalla tesi di laurea. 
(2) Annalen der Chemie 139, 337. 
(3) Comptes Rendus t. 65 p. 211. 
(4) Annalen der Chemie 185, 271. 
(5) Berliner Berichte VI, 1056. 


13 





. 98 


solida che si separa e la si spreme sopra un imbuto alla pompa 
Bunsen, e poscia per mezzo del raffreddamento in un miscuglio fri- 
gorifero si toglie dalla parte liquida ancora una discreta quantità 
del cloruro’ di paranitrobenzile. 

Il prodotto oleoso che si ha in questo modo non si può distil- 
lare alla pressione ordinaria o a pressione ridotta poichè si decom- 
pone ; lavato ripetutamente con acqua , asciugato nel vuoto sopra 
acido solforico ed analizzato .diede risultati poco sodisfacenti , però 
alla distillazione col vapor d’acqua passò un liquido il quale asciu- 
gato nel vuoto su acido solforico ed analizzato diede dei risultati 
che conducono alla composizione del cloruro di nitrobenzile. 

gr. 0,4693 di sostanza diedero gr. 0,8415 di CO? e gr. 0,1537. 
di H,0. 

gr.0,4540 di sostanza diedero cc. 29,980 di N a 0° e 760 mm. 

gr. 0,2800 di sostanza diedero gr. 0,2205 di Agtl, cioè in cento 
parti : 

trovato calcolato per GCH,NO,CH?CI 


C 48,90 * 48.98 
H 8,62 8,49 
N 8,29 8,16 
Cl 49,72 20,09 


Il liquido così ottenuto è più pesante dell’acqua , appena gial- 
lognolo quando è di fresco preparato, ma diventa bruno col tempo 
si decompone alla distillazione , anche a pressione ridotta, agisce 
sulla pelle fortemente da caustico e producendo delle bollicine. 

Fu ossidato con permanganato potassico ’, ed allo scopo se ne 
fecero bollire gr. 25 in apparecchi a ricadere con gr. 28 del sale 
sciolti in un litro di acqua; quando tutto il permanganato era de- 
composto se ne aggiunsero ancora gr. 32 scio'ti pure in un litro 
d’acqua. 

Dalla soluzione acquosa, operando nel modo suggerito da Mon- 
net, Reverdin e Nélting (1) per la separazione degli acidi nitro- 
benzoici e mediante una serie numerosissima di cristallizzazioni 
frazionate degli acidi liberi o dei sali di bario , furono separati gli 
acidi-para-, orto-, e metanitrobenzoico che furono caratterizzati per 
mezzo dei punti di fusione trovati rispettivamente a 289°, a 144°, 5 
e a 189° e per mezzo di tutte le altre proprietà fisiche di essi e dei 
loro sali di bario; in riguardo alla solubilità fu trovato per esem- 


(1) Berliner Berichte XII, 443. 


99 
pio ; pel meta acido 0,268 % a 415° e per I’ orto 0,668 % a 45°, 
mentre secondo Beilstein e Kuhlberg (4) è rispettivamente 0, 285 
e 0,614 %. H paraacido come si sa è appena solubile nell’ acqua 
alla temperatara ordinaria. i 

Il liquido dunque che si forma per l’azione dell’ acido nitrico 
sol cloruro di benzile, e dopo rettificazione per distillazione in una 
corrente di vapor d’ acqua, è costituito dai cloruri di meta e orto- 
nitrobenzile e contiene in soluzione una certa quantità di parade- 
rivato. 

Torino. Laboratorio di Chimica Generale, Dicembre 1882. 


° 
Sai prodotti di addizione di alcuni terpenis 


di PIETRO MAISSEN. 


Secondo i lavori di Ténnies (2) tutti gl’idrocarburi non saturi 
danno facilmente dei prodotti d'addizione unendosi all’anidride ni- 
trosa. Anche il cloruro di nitrosile in moltissimi casi gode della 
stessa proprietà. W. A. Tilden (8) fece vedere come quasi tutti i 
terpeni diano di questi prodotti d’addizione col cloruro di nitrosile, 
i quali facilmente potrebbero servire a distinguere tra loro i sin- 
goli terpeni, (spesso tgnto simili l’uno all'altro), secondo la natura 
del composto ottenuto, e propose di classificare tutti i terpeni in 
alcuni gruppi , ravvicinando tra loro quelli che combinandosi col 
cloruro di nitrosile forniscono identici prodotti. 

In una serie di ricerche sopra terpeni di diversa provenienza 
ho potuto rinvenire alcuni prodotti d’addizione che, oltre al gruppo 
del terpene, contengono gli elementi di una molecola di cloruro di 
nitrosile e di una molecola di acido nitrico. 

Giacchè le proprietà chimiche dei composti ottenuti, per quanto 
questi siano hianchissimi e ben cristallizzati, sono tali che non ho 
potuto in alcuna maniera indagarne la costituzione, io mi astengo 
dal fare veruna ipotesi sulla concatenazione intramolecolare di que- 


(1) Annalen der Chemie 163, 134. 
(2) Berichte XJ, p. 1511. 
(3) Chem. Society Maggio 1877. 


400 


ste sostanze e mi limito a riferirne la preparazione e le principali 
proprieta. 

Le esperienze furono fatte coll’essenza di carvene, coll’essenza 
di limoni e coll’essenza di arancio, dalle quali venne isoloto il ter- 
pene puro e con punto d’ebollizione costante. I prodotti che si, ot- 
tennero da questi tre terpeni si mostrarono assolutamente identici 
tra loro ed essendo anche il modo di preparazione identico nei di- 
versi casi, io mi limito a descriverlo per il solo carvene, dando per 
gli altri composti i soli risultati delle analisi. 

Per preparare il derivato del carvene, si satura questo (gr.50) 
con acido cloridrico gazzoso e seccd, e si mescola a 80 gr. di acido 
acetico glaciale, a questo miscuglio se ne aggiunge un'altro compo- 
sto di 70 gr. di nitrito di amile e di 35 gr. di acido nitrice a 1,40° 
Il tutto forma un liquido omogeneo bleu-verdastro che dopo qual- 
che tempo, con debole riscaldamento spontaneo , deposita una so- 
slanza bianca cristallina, della quale la quantità aumenta per ag- 
giunta di alcool. È bene di tenere raffreddati fortemente i liquidi 
durante la reazione. 

La nuova sostanza è insolubile nell’alcool , è solubilissima nel 
cloroformio. Per purificarla si scioglie in quest’ultimo e si precipita 
con alcool. Essa si presenta in piccoli cristallini duri che fondono 
a 414°-115° decomponendosi e sviluppando dei vapori nitrosi. 

L'analisi le assegna la formola: 


-NOCI 
Ciotlig<: ~NO,H 


4. Analisi del derivato del carvene. ° 
gr. 0,2587 di sostanza fornirono gr. 0,4293 di CO, 
gr. 0,1535 » H,O 


gr. 0,3208 » > gr. 0.5312 » CO, 

. gr. 0,4892 » H,0 
gr. 0,8126 >, > gr. 0,1723 » AgCl 
gr. 0,2204 » ’ 20 cm? di azoto t=16° 

B= 756,7 
calcolato trovato 
per C,,H,,N,ClO, I II 
C% 45,36 45,25 45,22 
H >» 6,42 - 6,59 6,55 
Ci » 13,42 13,60 
N >. 10,57 10,53 


2. Analisi del derivato dell’essenza d’arancio. 


{04 


gr. 0.4954 di sostanza fornirono gr. 0,3257 di CO, 
gr. 0,4479 » H,0 


gr. 0,1910 » » Br. 0,3182 » CO, 
gr. 0,1343 » H,O 
gr. 0,3275 “ » gr. 0,5464 » CO, 
gr. 0,1974 » H,O 
gr. 0,2612 " » gr. 0,1428 » AgCl 
gr. 0,1439 " “ 12.8 cm3 di azoto t=19° 
B=765 
gr. 0,2458 > ‘ 22,2 cm® di azoto t=47° 
B=759 
calcolato trovato 
per C,,H,,N,CI0O, [ II III 
CU‘ 45,36 45,52 45,43 45,29 
H » 6,42 6,71 6,33 6,69 
CI » 13,42 13,52 A 
N» 10,57 10,24 40,49 


3. Analisi del derivato dell'essenza di limoni. 
gr. 0,3194 di sostanza fornirono gr. 0,5316 di CO, 
gr. 0,1935 » H, 0 


gr. 0,1785 » ’ gr. 0,0976 » AgCl 
gr. 0,3368 » » 31 cm? di azoto 1=48° 
B=759 
gr. 0,2096 > »  «A9 em* di azoto t—18° 
B=759,5 
gr. 0,1748 . » 45,9 cm3 di azoto t=19° 
B=760 
Calcolato trovato 
per C,,H,,N,ClO, I II III 
U% 45,36 45,39 
H » 6,42 6,72 
Cl » 13,42 13,51 
N» 10,57 10,51 40,44 10,45 


Come lo mostrano i risultati delle analisi e le proprietà dei 


composti, 


le tre sostanze sono identiche; sottomesse all’ azione dei 


diversi reagenti si decompongono colla massima facilità, dando dei 
prodotti resinosi e scuri dei quali non ho potuto ottenere alcuno 
in istato analizzabile. | 

Modena. Laboratorio del prof. R. Schiff. Dicembre 1882, 





102 


Suli’ asione del cloruro di cianogeno 
sul composto peotassico del Pirrolo; 


nota di CIAMICIAN e DENNSTEDT. 


Per fare agire il cloruro di cianogeno gassoso sul composto 
potassico del pirrolo si fece passare mediante una tromba aspirante 
il gas ben disseccato, in un pallone attraverso a dell’ etere anidro 
nel quale era sospeso il composto pirrolpotassico ridotto in finissima 
polvere, avendo cura di agitare di tanto in tanto il pallone per evi- 
tare che il composto polverizzato si depositasse al fondo. 

Il liquido si riscalda, e per impedire l’ebollizione dell'etere bi- 
Sogna raffreddare esternamente il pallone. Si continua a far passare 
il gas fino che l’etere acquista |’ odore penetrante e caratteristico 
del cloruro di cianogeno. Ad operazione terminata si filtra il liquido 
colorato in giallo-bruno dal cloruro potassico che si è formato e si 
distilla l'etere a b. m. 

Il residuo della distillazione è un liquido colorato in bruno, di 
un odore particolare, che fu sottoposto alla distillazione frazionata. 
— Il liquido incominciò a bollire, dopo che cerano passate le ultime 
tracce d’etere, intorno ai 130°, e la temperatura continuò a salire 
costantemente durante la distillazione fino a circa 210°. Noi abbia- 
mo raccolto separatamente le frazioni che passavano alle diverse 
temperature, ma anche dopo un’ accurata distillazione sistematica 
delle singole frazioni, non ci è stato possibile d’ottenere in nessun 
modo un punto d’ebollizione costante. Distillando le singole frazioni 
si avvertì, che il piccolo residuo che rimaneva nel palloncino si tra- 
sformava costantemente, raffreddandosi, in una massa solida e cri- 
stallina. 

Già dal risultato della distillazione frazionata era prevedibile , 
che analizzando le singole frazioni, non era da sperare dq’ ottenere 
numeri cai quali fosse possibile di ricavare una formola. Non pcr- 
tanto le analisi sono state fatte ed i risultati delle medesime dimo- 
strarono che le sostanze contenute nel liquido in questione non era- 
no separabili col mezzo della distillazione frazionata. ; 

Le porzioni che pi:ssavano intorno ai 180° contenevano in gran 
parte del pirrolo rigenerato nella reazione dal composto  potassico ; 


108 
tutte quante però si coloravano in giallo bruno stando esposte alla 
aria ed alla luce. 

Trattando questi liquidi con nitrato d’argento in soluzione ac- 
quosa od alcoolica si ottennero dei precipitati cristallini, i quali però 
anche dopo averli fatti cristallizzare dall’ alcool s’annerivano  facil- 
mente , anche avendo la più grande cura di tenerli riparati dalla 
lace.—Le analisi di questi composti diedero, anch'esse, numeri che 
non soddisfacevano e nessuna formola. 

Non potendo riescire a riconoscere le sostanze contenute nei 
liquidi descritti, questi furono posti da parte, senonchè riprendendo 
il lavoro dopo le vacanze estive (circa dopo 4 mesi) si trovarono 
tutte le frazioni in gran parte solidificate. Si separarono perciò, in 
ogni singola porzione, i cristalli dal liquido mediante filtrazione con 
una tromba aspirante e si lavarono con alcool freddo nel quale sono 
quasi insolubili. 

In questo modo si ottenne una serie di frazioni corrispondenti 
alle diverse porzioni del liquido raccolte separatamente nella distil- 
lazione già descritta. Le sostanze solide così ottenute avevano lo 
aspetto di aghi sottili, lunghi, bianchissimi, e ben presto si mani- 
festarono essere tulte identiche fra di loro, avendo tutte quante lo 
stesso punto di fusione. 

Le singole frazioni furono perciò tutte riunite e cristallizzate 
ripetutamente dall'alcool bollente. Per raffreddamento si deposero bel- 
lissimi aghi bianchi, sottilissimi che vennero separati dall’ alcool e 
seccati nel vuoto. Essi fondono a 210°. 

Le analisi diedero numeri che corrispondono alla formula : 


C,H,N—CN, 


cioè a quella d'un cianopirrolo o tetrolcianamide. 

I. gr. 0,2973 di sostanza ‘diedero gr. 0;7099 di CO,e gr.0,1262 
di OH,. 

Il. gr. 0,1197 di sostanza svolsero 82,5 cc. d’ azoto misurati 
a 49° e 746,5 mm. di pressione. . 


I 100 parti : ° 
trovato calcolato per C,H,N, 
I Il 
C 6542 — 65,22 
H 4,72 — 4,95 
N — 30,62 80,42 
100,46 ‘99,99 





404 


Se si tiene conto però del modo in cui fu ottenuta la sostanza 
descritta, e del suo punto di fusione elevato, sembra molto proba- 
bile che essa sia un polimero di « C,H,N, ». Noi crediamo di ap- 
porci al vero supponendo che essa abbia la tripla formola « 3{C,H,N,}» 
e riguardandola dunque come una éefrolcianuramide o tritetrolme- 
lamina. 

La determinazione della densità di vapore non diede nessun 
risultato perehè la sostanza, abbenchè sublimabile, non si volati- 
lizza senza scomporsi in parte. 

La tetrolcinamide, perchè così la chiameremo più brevemente, 
è insolubile nell'acqua, quasi insolubile nell’ alcool freddo, e poco 
solubile nell’alcool bollente. Ottenuta per cristallizzazione da questo 
solvente essa forma degli aghi così sottili che in massa hanno l’a- 
spetto del vetro filato o del cotone, e difficilmente si riesce a pol- 
verizzarla. 

Essa si volatilizza scomponendosi sopra i 800°. 

L'acido cloridrico e l’acido nitrico diluito non servono a scio- 
glierla, essa resta inalterata anche bollendo la sua soluzione aleoo- 
lica coll’acido .cloridrico. Si scioglie nell’ acido nitrico concentrato. 
Trattata coll’acido solforico concentrato prende un colore rosso bruno 
che diviene nero col riscaldamento. La potassa acquosa non l'altera 
nè la scioglie; bollita con potassa alcoolica si ottiene pirrolo e pro- 
babilmente acido cianurico, secondo l'equazione: 

8(CH,N,)+3H,0 =30,H,N-+-38(CNHO) 

Se si riscalda con potassa alcoolica concentratissima o con po- 
tassa solida si ottiene pirrolo, acido carbonico ed ammoniaca. 

Riscaldandola in tubi chiusi con acido cloridrico a 200° si re- 
sinifica completamente. 

La sua soluzione alcoolica non dà un composto insolubile col 
nitrato d’argento, mentre invece, come fu detto avanti, si è potuto 
ottenere un tale composto dai liquidi dai quali fu ricavata. 

La tetrolcianamide ha un comportamento che somiglia moltis- 
simo a quello della difenilcianamide, alla quale sostanza essa cor- 


‘ risponde perfettamente: praga 
(CN)—N=C,H, (CN)—N-=(C,H;), 
Tetrolcianamide Difenilcianamide 


Difatti quest’ ultima ottenuta da Weith (4) in modo analogo, 
cioè trattando la difenilamina col cloruro di cianogeno gassoso , è 
anch'essa un polimero del composto « C,,H,.N, » fonde a 292° e re- 


(1) Berl. Ber. VII, 843. 


105 
siste all'azione dell'acido cloridrico bollente , scomponendosi invece 
colla potassa fondente in acido carbonico , ammoniaca e difenila- 
mina. 

È molto probabile dopo qnanto si è detto , che il liquido che 
si ottiene per l’azione del cloruro di cianogeno sul composto potassico 
del pirrolo, contenga il composto semplice della formola: «C,H,N,», 
il quale poi lentamente si trasforma nella sostanza polimerizzata 
che abbiamo descritta. Probabilmente la reazione non avverrà 80l- 
tanto secondo l’equazione: 


C,H,NK+-CNCI=C,H,N—(NC)+KCI, 


ma si formeranno inoltre , per processi secondarii , altre sostanze 
che mescolate alla vera tetrolcianamide rendono oltremodo difficile 
lo studio della medesima. 

Roma. Istituto Chimico. 


Sulla sintesi di composti piridici 
per mezzo dell’etere diacetico e dell’'ammonaldeide; 


di ARTURO HANTZSCH. 


(Estratto della Redazione) 


Come è noto quei prodotti organici notevolissimi conosciuti col 
nome di basi piridiche furono scoperti, fra i prodotti della distillazione 
secca delle sostanze animali, da Anderson nel 1854. Egli isolò nu- 
merosi omologhi della formola generale CoHsn_sN, fra i guali sono 
più importanti i primi quattro termini: 


Piridina C,H,N 
Picolina Cy4H,N 
Lutidina C,H,N 
Collidina C,H,,N 
La determinazione della composizione razionale di queste so- 


stanze ha prescntato una grande difficoltà, non ostante che talune 
di queste basi siano state ottenute per sintesi. Baeyer pel primo (i) 


(1) Annalen 155, 281. | 
14 


106 


ottenne la collidina riscaldando l'ammonalideide; in seguito 1’ otten- 
nero Kramer (1) per l’azione dell’ ammoniaca sul cloruro di etili- 
dene e Wurtz (2) dell’ aldolammoniaca. Baeyer fu anche il primo 
a mostrare che la formazione della collidina era preceduta da quella 
di un prodotto intermedio, la crotonalammoniaca , che per lo scal- 
damento si scinde in acqua e collidina ed ottenne in modo analogo 
la picolina dall’acroleinammoniaca (8) mostrando che le basi piri- 
diche si formavano per condensazione dei derivati ammonici delle 
aldeidi. Egli ottenne inoltre dal tribromoallile un isomero della pi- 


colina che rappresentò con la formola cH 7°. Finalmente la pi- 


ridina stessa fu ottenuta da Chapman e Smith disidratando il ni- 
trato di amile (4) e da Ramsay (5) per la combinazione dell’ acido 
cianidrico con l’acetilene. Quest'ultimo nel 1878 annunziava anche 
l'ipotesi che la piridina doveva considerarsi come benzina nella quale 
un gruppo trivalente CH!” era sostituito da un atomo trivalente di 
azoto. Koerner estese questo modo di considerazione alla chinolina, la 
quale sta alla piridina nelle stesse relazioni che la naftalina alla benzi- 
na, opinione confermata dalla sintesi della chinolina fatta da Baeyer (6) 
dai derivati dell’acido ortoamidofenilpropionico. E poichè questa base dà 
acido piridindicarbonico, come la naftalina acido ftalico , e da esso 
può ottenersi la piridina, restava anche confermato il modo di ve- 
dere sulla piridina. Inoltre il comportamento all’ ossidazione degli 
omologhi della piridina, e della chinolina, ha mostrato che essi de- 
rivano da quelle per sostituzione all'idrogeno di radicali alcoolici, co- 
me gli omologhi della benzina derivati dalla benzina. Così la picolina 
fu riconosciuta come un miscuglio di due metilpiridine isomere, la lu- 
tidina dall’olio animale come dimetilpiridina, quella dalla cinconina 
come etilpiridina e la collidina come trimetilpiridina. 

È perg da considerare che il solo processo sintetico nel quale 
si ottengono basi piridiche in certa quantità, la condensazione cioè 
delle aldeidiammoniache , è assai oscuro, e non ostante che em- 


(1) Berichte 2, 399. 

(2) Idem 8, 1199. 

(3) 1. 0. 

(4) Annalen, Sopp. 5, 329. 
(5) Jahresbericht 1877, 436: 
(6) Berichte 12, 1820. 





. 407 
pirieemente possa p. es. così formularsi la formazione della colli- 


dina: 

C,H,ON = NH,-+C,H,0 
2C,H,O == H g0+-C,H,0 
2C,H,0-+-NH, =—H,0+C,H,,0ON 

. OH ,,ON = H,0+-C,8,,N 
però è difficile interpretarlo razionalmente. 

L'autore espone in questa importante memorie un processo di 
sintesi dei composti della serie piridica fondato sulle seguenti rea- 
sioni. Riscaldando etere diacetico con aldeidato ammonico si forma 
per la seguente reazione : 


2CgH003-+-C+H,0N = 8H,0+-C, 4H,,0,N 


in composto C,,H,,0,N (etere idrocollidindicarbonico) il quale mo- 
deratamente ossidato perde H, e si trasforma in etere collidindi- 
carbonico; quest'ultimo saponificato fornisce il sale potassico di un 
scido collidindicarbonico C,oH,j0,N che per la distillazione secca dà 
la collidina. Inoltre quest'acido collidindicarbonico, che contiene tre 
metili, all’ ossidazione fornisce per successiva ossidazione di questi 
metili tre muovi acidi : lutidintricarbonico, picollidintetracarbonico e 
piridinpentacarbonico , dai quali per distillazione secca possono ot- 
tenersi lutidina, picolina e piridina. 

i. Preparazione e proprietà dell'etere idrocollidindicarbonico. 
Si prepara scaldando in un bicchiere a fondo sottile 52 gr. (2 mol.) 
di etere diacetico e 13,5 gr (1 mol.) di aldeidato ammonico ; que- 
sto sì scioglie in principio dando un liquido chiaro, che s’intorbida 
continuando lo scaldamento per separazione di acqua, mentre la 
reazione si fa spontaneamente più energica; la reazione si compie in 
5 minuti: si aggiunge allora al prodotto ancor caldo circa un egual vo- 
lume di acido cloridrico. diluito, con che si rapprende in una massa 
dura quasi bianca. Purificato per cristallizzazione dall'alcool, l’etere 
idrocollidindicarbonico si presenta in tavole dure, è fusibile a 181° e 
bollente a 315°. 

2. Derivati alogenici dell'etere idrocollidindicarbonico. Questo 
composto si combina con estrema facilità col bromo ed il cloro 
dando composti caratteristici che sono ora prodotti di sostituzione 
ora di addizione. 

L'autore descrive : 

Il dibromuro dell'etere dibromo-idrocollidindicarbonico: C,H,Br, 
(COOC,H;,),N.H, Br. 

Il dibromuro del? etere dibromo-collidindicarbonico: C,H,Br, 





408 
(COOC,H,)N.Br, che si forma ossidando con acido nitrico fumante 
il composto precedente. 

Il dicloruro dell’ etere pentacloro-collidindicarbonico: C,H,Cl; 
(COOC,H;),N.Ci,. 

8. Prodotti di ossidazione dell’ etere idrocollidindicarbonico e 
suoi derivati. 

L’ossidazione per la produzione dell’ efere collidindicarbonico : 


+ x §(CH,), Bays _ 
CNECOdG,H,), avviene nettamente e quantitativamente adoperan 


do nitrito etilico. Si scioglie I’ etere in un egual volume di alcool 
e vi si fa passare una corrente di acido nitroso sino a che non 
intorbida più per l'aggiunta di HCI diluito ; quindi si distiHa I’ al- 
cool. a b. m. si tratta con una soluzione diluita di carbonato sodico, 
si pesa l’olio pesante e si distilla. Bolle a 308-810° ed ha il p. sp. 
di 1,087 a 15°. 

Quest’etere ha i caratteri di una base debole e l'autore ne de- 
scrive il cloridrato, it cloroplatinato, il nitrato, il jodidrato, un tri- 
joduro C,,H,,0,N.HI,I, ed il prodotto di addizione col joduro metilico. 

Questo etere è saponificato per leggiero scaldamento con po- 
tassa alcoolica e fornisce'il sale potassico dell’acido collidindicarbo- 
nico, che cristallizza in gran parte, e che è quasi completamente 
precipitato per aggiunta di etere alla soluzione alcoolica : dal sale 
potassico si ha il sale piombico per precipitazione col nitrato piom- 
bico, e da esso l’acido libero per l’azione di HyS. 

L’acido collidindicarbonico si scioglie poco nell’ acqua fredda , 
lentamente, ma in considerevole quantità, in quella bollente e cri- 
stallizza in aghetti, che ad altissima temperatura si decompongono 
senza fondersi. 

L’a. ne prepara e descrive i sali di potassio, calcio, bario, ma- 
gnesio, argento, rame, non che il cloridrato ed il cloroplatinato, es- 
sendo esso come l’acido piridincarbonico dotato della facoltà di com- 
binarsi agli ‘acidi minerali energici. 

Finalmente l’acido collidindicarbonico, distillato a secco con calce 
sotto forma di sale potassico, fornisce una collidina (trimetilpiridina) che 
l'autore indica con f per distinguerla dalla collidina fin ora cono- 
sciuta con la quale non è identica. 

La 6 collidina bolle a 171-172°, ha a 45° il p. sp. di 0,917, e 
si distingue pure dalla collidina ordinaria (« collidina) per i carat- 
teri dei suoi sali. L'autore ne prepara il cloroplatinato, il jodidrato, 
il cloroaurato, il bicromato, ed il composto con il joduro metilico. 

4, Azione dell’acido cloridrico sulPetere idrocollidindicarbonico. 











109 


Per I’ azione dell’ acido cloridrico secco sopra una soluzione ete- 
rea diluita di etere idrocollidindicarbonico si forma dell’ etere col- 
lidindicarbonico, ma |’ autore non è riuscito ad isolare il prodotto 
complementare della reazione. Se invece si fa agire l'acido cloridrico 
acquoso (al 25 °/,) scaldando a 100°, allora si produce cloruro di 
etile, CO, e si forma l'etere dell’ acido diidrocollidinmonocarbonico 


CH, if OCH, N, liquido incoloro, di odore aggradevole e di pro- 


prietà debolmente hasiche: contemporaneamente si ottiene una so- 
stanza di carattere simile alle ossialdine , ed una piccola quantita 
di un composto privo di azoto, bollente a 257-260° e della compo- 
sizione C,,H,.0,. 

L'etere diidrocollidinmonocarbonico , ossidato con l'acido nitroso 
in soluzione alcoolica, perde 2 at. d’idrogeno e si trasforma in eteffe 
idrocollidinmonocarbonico. 

Finalmente riscaldando I’ etero idrocollidindicarbonico con HCl 
diluito a 120-180° si eliminano ambedue i carbossili e gli etili e si 
ottiene dell’idrocollidina C,H,,N. 

E questo un liquido incoloro , di reazione fortemente alcalina, 
bollente fra 175 e 180°; un poco solubile nell’acqua calda. 

Oltre a questa base si ottiene pure nella reazione cennata, un 
polimero di essa: la fefraidrodicollidina CxHygN,, bollente a 255-260, 
ed un composto privo di azoto della composizione C,H,,0 , che si 
combina al solfito sodico e che l’autore considera come un chetone 
(CH,),.C,H, CO.CH,. 

5. Prodotti dell’ossidazione dell'acido collidindicarbonico. Come 
fu accennato in principio si ottengono acidi lutidintricarbonico, pi- 
colintetracarbonico, piridinpentacarbonico, 


L'acido lutidintricarbonico ON CODE) si ottiene ossidando 
3 


gr. 28,8 del sale potassico dell’acido collidindicarbonico, con gr. 84,6 
di permanganato sciolto in un poco più di un litro d' acqua. Cri- 
stallizza dall'acqua con 2H,0, a 120° diventa anidro e fonde da 200° 
242° perdendo CO,. L'autore ne descrive i sali di bario, calcio, ma- 
gnesio, argento, ed il sale monopotassico , ed accenna che si com- 
bina all'acido cloridrico concentrato. 

Distillando il suo sale potassico con calce , si ottiene un olio, 
dal quale per distillazione frazionata può separarsi una porzione 
bollente a 154-155, di proprietà hasiche, il cui cloroplatinato, ha la 
composizione di quello della Juéidina. 


. L'acido picolintetracarbonico CNYedou), si prepara come il 


110 


precedente impiegando la quantità doppia di permanganato. Cristal- 
lizza con 2H,0, solubilissimo nell’acqua, meno nell’alcool, poco nek 
l'etere, si fonde a 199° decomponendosi. L'autore ne ha studiato i 
sali bi e tri potassico , quello di calcio e quello di magnesio. Da 
esso fu ottenuta la picolina sotto forma di un liquido bollente a 185°, 
ma in cosi..piceota quantità da non poter risolvere con quale delle 
tre picoline conoscinte sia identica. 

L’acido piridinpentacarbonico si forma ossidando 12 gr. di sale 
potassico dell'acido collidindicarbonico con gr. 88 di permanganato. 
Cristallizza anch’esso con 2H,0, è estremamente solubile nell’acqua, 
nell’etere è quasi insolubile; ha reazione e sapore fortemente acidi, 
a 120° perde l'acqua di cristallizzazione e si decompcne completa- 
mente da 200 a 220° senza fondersi. 

I sali studiati sono quelli di potassio (penta, tetra e tri) quello 
di bario neutro, quello bdicalcico, il tetracalcico monoammonico, ed 
un sale doppio ottenuto con quello monopotassico e l’ossalato acido 
di potassio. 

Quest'acido fornisce, in modo analogo ai precedenti , della pi- 
ridina per la distillazione secca; l’autore ne ha ottenuto in piccola 
quantità, ma pur sufficiente per identificarla. 

6. Considerazioni generali. Dalle considerazioni generali che 
l'autore fa seguire alle esperienze precedenti-toglieremo soltanto 
ciò che concerne la struttura dell'etere idrocollidindicarbonico e della 
B collidina. 

In quanto al primo |’ autore ne interpreta nel modo seguente 
la formazione : 


n 
Co 
/ 
COUC,H,CH.H CH,.C00.C,H; i OH, 
= HOH 
CH,CH.OH CO.CH, OH, 
NH, , 
CH, 
È 
VA 


N 
| 

CH,—CH C—CH, 
NI 








444 
D' onde nasce che la £ collidina deve essere trimetilpiridina 
beatae 
CH, 
G 


oY 
ca, Con, 
¥ 








Intorno alla metaamidobenxamide; 


per UGO SCHIFF. 


Acidi nitrobenzoici mescolati furono trasformati in sali baritici, 
allo scopo di separarli secondo il metodo di Griess. L' acido meta 
fa trattato con una quantità equivalente di pentacloruro di fosforo 
ed il prodotto liquido fu gradatamente scaldato sino a 140°, per li- 
berarlo dalla maggior parte di ossicloruro di fosforo. Il residuo ve- 
niva versato a poco per volla ed agitando in un eccesso di ammo- 
niaca acquosa abbastanza concentrata e raffreddata, e poche ore dopo 
si separava per filtrazione la nitrobenzamide formata. Lavata col- 
l'acqua fredda c cristallizzata dalla bollente, la nitrobenzamide fu 
trasformata in amidobenzamide mediante il solfidrato ammonico 
incoloro. Tutte queste operazioni si compiono con facilità e danno 
delle quantità quasi teoriche di prodotto di facile purificazione, quando 
si adopera dell'acido benzoico puro. 

Acido benzoico industriale preparato dal toluene e contenente 
dei composti clorurati condusse a perdite notevoli per via della for- 
mazione di materie resinose, che rendono oltre a ciò la purifi- 
cazione assai difficile. 

It metodo di preparazione sopracitato è da preferirsi anche a 
quello della trasformazione dell'etere nitrobenzoico. È vero che que- 
st'ultimo corpo conduce di primo colpo ad un preparato molto bello 
ma a freddo la reazione esige molto tempo ed a caldo si subisce 
una grande perdita per la formazione di sale ammonico. 

La purificazione dell'etere nitrobenzoico mediante distillazione 
nel vuoto sarebb@ la più semplice ma essa conviene soltanto per 
piccola quanlità. n 

Con quantità maggiore si ha dei sussulti che rendono l’opera- 
zione quasi impossibile, anche quando si adoperano 1 soliti rimedj. 

Le amidobenzamidi 

NH,---C,H,—CO--NH, 
rinchiudono due gruppi NH, essenzialmente differenti nelle loro fun- 
15 


444 


zioni chimiche, e tale differenza si mostra in modo pronunziato di 
fronte a dei $ruppi aldeidici. Questi ultimi agiscono con facilità 
sul gruppo NH, ammesso nel nucleo della benzina, mentre che 
la carboamide (-- CO -- NH,) non viene Attaccata che con diffi- 
coltà. Le aldeidi solubili nell’ acqua agiscono già a freddo sulla 
soluzione acquosa dell’ amidobenzamide. In questo modo Je aldeidi 
acelica , butirica e valerica danno subito, o dopo pochi minuti 
dei composti bianchi, che si separano in forma di polveri fine e che 
si colorano all’aria in giallo e poi anche in rosso più o meno in- 
tenso. La reazione si fa con eliminazione di acqua già in soluzione 
acquosa molto allungata e si esaurisce quasi completamente per le 
quantità messe in azione. L’aldeide acetica p. es. agisce dietro l'e- 
quazione : 
20,H (NH3);0 + C,H,0=H,0+CxH,gN,0, 
A quest’ultima formola corrispondono bene le analisi seguenti: 


Sostanza CO, . H,0 

I. 0,2390 0,5630 0,1295 

II. 0,2562 0,6040 0,1384 

III. 0,2400 0,5661 0,1365 

e da queste si calcola in valori centesimali: 

I II II formola 

C 64,25 64,36 64,82 64,43 

H 6,05 6 04 6,30 6,04 


Il preparato HI era colorato in rosso scarlato, dopo essere stato 
due volte purificato dall’alcool. 

I derivati amidobenzamidici delle tre aldeidi testé nominate sono 
assai poco solubili nell'acqua, ma solubili in ogni proporzione nel- 
l’alcool. Nella ossidazione con acido nitrico contenente piccola quan- 
tità di acido cromico si osserva una colorazione violetta assai fu- 
gace. L’amidobenzamide trattata colla soluzione di furfurol dà uno 
di quei derivati di magnifico colore rosso, cremesino, come io l'ho 
descritto per gli acidi amidati aromatici, ma tale colorazione non si 
ha più coi derivati aldeidici, ai quali d’altronde mancano anche le 
proprietà basiche. Alla etilidenamidobenzamide Cisti, N 0; spetta 
perciò la formola di struttura: 

NH.C,H,.CO.NH 
CHs--GHSNH.CoH,.CO.NH, 

Se si scaldano questi composti in tubi chiusi con eccesso di 
aldeide a 100-120°, allora si osserva una ulteriore eliminazione di 
acqua ed allora i residui aldeidici entrano anche nel gruppo car- 
boamidico. Adoprando le aldeidi nominate non ho potuto ottenere 


443 


dei prodotti che offrono tutte le guarentigie di sostanza pura e non 
me ne sono ulleriormente occupato, dopo avere trovato che le al- 
deidi aromatiche conducono molto più facilmente a prodotti bene 
caratlerizza ‘i. 

Mescolandosi una soluzione acquosa , e satura a freddo di al- 
dzide salicilica con una soluzione acquosa ed allungata di metaami- 
dobenzamide, alloro fra non molto si separano degli aghi giallastri 
risplendenti, molto solubili nell’ alcool e nell’ acqua calda. La solu- 
zione acquosa calda rinchiude il composto in parte dissociato e me- 
diante continuata ebolizione di questa soluzione si può riuscire a 
sdoppiare la maggiore parte del composto nei suoi due componenti. 
Si può anche ottenere delle soluzioni dissociate, che danno un de- 
posito del composto tanto coll’ aggiunta di un eccesso di aldeidi, 
quanto con uno di amidobenzamide; sono appunto queste soluzioni, 
depositano alle volte dei magnifici aghi appiattiti, colore d’ oro del 
nuoro composto. Esso corrisponde alla formola di una amidobenza- 
mide ortossibenzilenica : 


I I Il 
_N==CH--C,H,-- OH 
Celico --NH, | 
HI 
calcolato 


0,2342 davano 0,5929 CO, = 69,94 % C 70,0 
0,1084 HO = 5,06 » H ~~ 5,0 


Cristallizzato dall'acqua e disseccato sull’acido solforico, il com- 
posto fonde a 186°; dall’ alcool cristallizza di aspetto meno bello e 
fonde poi parecchi gradi più basso. Altri residui aldeidici possono 
esservi introdotti, se le aldeidi agiscono a temperatura più elevata. 
Quando si fa bollire a ricadere coll’ aldeide benzoica , allora si os- 
serra una copiosa eliminazione di acqua e dopo un’ora all incirca 
la soluzione si rappiglia in una massa gialla, dura e indistintamente 
cristallina. Essendo questa quasi insolubile in acqua, alcool, etere, 
toluene, cloroformio e solfuro di carbonio, egli è facile liberarla dal- 
l'eccesso di aldeide benzoica. Per questo composto benzilato non ho 
trovato che un solo buon solvente, il fenol; ma esso lo scioglie con 
facilità tale, ché anche le soluzioni assai concentrate non depositano 
cristalli. Adoperando invece una miscela di 2 volumi di fenol ed 
4 vol. di alcool assoluto, si riesce a piccole scagliette giallastre, che 
poi si lavano coll’ alcool. Questo ‘composto è assai più stabile 
di quello salicilico dal quale esso si forma e carbonizza ad alta tem- 


116 
peratura senza fondere. La composizione non è, come si potrebhe 
supporre quella di un derivato benzilenico 

~ ty .-NH--CO---C,H ,---N=:=(CH--C,H,---O8 

Cree N HCC Hc Nox CHC’ 08) = OssHogN 0, 
ma esso rinchiude una molecola di acqua di meno e l'analisi con- 
duce invece alla formola C,,H,.N,O,. Di fatti due preparati differenti 
condussero ai valori seguenti : 


Sostanza . CO, 11,0 
l, 0,2490 0,6953 0,1091 
Il. 0,2364 0,6585 0,1040 
ed in valori centesimali : 
I Il Cs5HagN 0g CssHggN 0, 
C 76.16 76,40 76,36 18,94 
H 4,86 4,88 4,73 4,93 


Vista |’ insolubilità del composto egli non può in via diretta 
provarsi, che l'ulteriore eliminazione di acqua si faccia a spese dei 
due ossidrili fenici. In favore di una tale ammissione parla del re- 
sto il fatto, che l'anidride acetica non vi agisce semplicemente so- 
stituendo, ma vi si addizziona direttamente. La reazione si fa len- 
tamente ed il composto si scioglie a poco a poco nell'anidride, quando 
durante un giorno si fa bollire con un forte eccesso di anidride. 
Col raffreddamento non si depone nulla, neppure dopo avere elimi- 
nata una gran parte dell’ anidride. Il composto acetico si depone 
dalll’alcol bollente in forma di una polvere cristallina gialla e più 
tardi anche in aghetti. Due composti acetici oltenuti dai due pre- 
parati del composto benzilenico, davano coll'analisi: 


Sostanza CO, H,0 
I, 0,2741 ,0,7165 0,1233 
II, 0,2410 0,6354 0,1054 
da cui si calcola in parti centesimali : 
] Ì II Ca; tHogN ,03,C41,0; 
C 71,8 71,9 
Il 5,0 4,9 4,9 


Il composto sciolto a dolce calore in poco acido solforico con- 
centrato e bollito poi con poche goccie di alcool e di acqua , dà 
dell'etere acelico. Verso 220° il composto si decompone gonfiando e 
fondendo parzialmente. i 1 | 

Da questo composto acetico credevo di potere ottenere il sum- 
menzionato composto Cy;H,gN,0,, decomponendo il primo coll’ am- 
moniaca acquosa allungata e tiepida, ma non ottenni altro del com- 





417 
posto con 76 0/, di carbonio, senza che si formassero altri prodotti 
in quantità notevole. 

Gr. 1,937 del composto acetico devano 1,544 del composto ori- 
ginale, mentre che se ne avrebbe dovuto ricavare gr. 1,634. 

Quando viene distillato l'alcool che ha servito per separare il 
composto acetico dalla sua soluzione acetica, allora si depone prima 
un'altro poco del composto acetico medesimo. 

L'alcool rinchiude allora ancora un altro composto assai solu- 
bile, che si precipita coll’ acqua e che si cristallizza più volte dal- 
l'alcool allungato. Differenti frazioni provenienti dalle due operazioni 
sopracitate, davano i seguenti valori analitici : 


Sostanza CO, H,0 

I, 0,2414 0,6234 0,1100 

II. 0,2540 0,6520 0,1180 

II. 0,2600 0,6728 0,1158 

IV. 0,2430 0,6277 0,1152 

ossia in centesimi : 

I Il III IV 
C 10,52 70,84 70,52 70,40 
H 5,07 5,29 4,95 5,20 


Questi valori stanno assai vicini alla composizione della sali- 
cilamidobenzamide con 70 °/, C e 5 0/, H, ma i due composti dif- 
feriscono essenzialmente nelle loro proprietà. 11 composto analizzato 
non è solubile nell’acqua, non dà aldeide salicilica nell’ebollizione nè 
coll'acqua nè coll’acido cloridrico allungato, ma in quest'ultimo caso 
si forma un poco di aldeide benzoica. Con acido solforico ed alcool 
non si forma etere acetico, ma dopo ossidazione con poco miscuglio 
cromico si può coll’ alcool ottenere dell'etere benzoico. Finalmente 
il composto fonde già a 115-118°. Le piccole quantità che si tro- 
vavano alla mia disposizione non mi permettevano altre indagini, ma 
non sembra improbabile, che questo composto si sia formato dalla 
combinazione benzilata, mediante semplice eliminazione del residuo 
salicilico. In questo caso gli spetterebbe la formola: 

C.H,< e NH --CO--C,H,--NH, 

6 -NH--CO--C,H,--NH, 
la quale richiede 70 °/, C e 5,5 %, H, valori questi ancora prossi- 
mi a quelli trovati, massime quando si pone mente alla probabilità, 
che il composto , a seconda del suo modo di preparazione , potere 
facilmente rinchiudere un poco di un composto più ricco in carbo- 
nio. Il composto non si combina cogli acidi e non dà la reazione 
rossa col furfurol. Questi due fatti parlerebbero piultosto in favore 


[Nea 


118 


dell'ammissione che il residuo della benzaldeide concateni gli altri 
due gruppi NH,, ma allora si dovrebbe nello stesso tempo ammettere 
una migrazione nella molecola e per concedere questa si vorreb- 
bero studj più estesi di quelli che io poteva istituire con questo 
prodotto secondario. 

Si può facilmente ottenere un glucoside della salicilamidoben- 
zamide mediante una parte di amidobenzamide e due parti gluco- 
salicilaldeide (elicina) sciolte in dieci parti di acqua calda. Col raf- 
freddamento si ottiene una massa cristallina, che si cristallizza più 
volte dall'acqua. Si riesce in questo modo a degli aggregati. sferici 
di squame incolore o leggiermente giallastre di una combinazione 
di composizione abbastanza complessa, cioè: 

cHe “CONE, O + 2H,0. 
glucosalicilamidobenzamide. 

Gr. 0,7435 disseccati all'aria perdono sino a 110° 

‘0,0615 di acqua = 8,27 0/ 
2H,0 richiedono 8,22 > 

Sopra l'acido solforico non se ne va che la metà dell'acqua. In 
tale modo disseccato : 

4,5595 perdono sino a 440°: 

0,0658 di acqua = 4,23 °/ 
H,0 richiede 4,28 » 
0,2460 disseccati sull’acido solforico davano : 
0,5156 CO, = 57,15 0/, C calcolato 57,14 C 
0,1276 H,0= 5,76 » H 5,72 H 

La sostanza in questa maniera disseccata e poi esposta all’ a- 
ria umida, si combina di nuovo con una molecola di acqua : 

1,8680 di sostanza aumentavano di 0,0575 trovato 4,20 % 
calcolato 4,28 9/, di acqua. 

Il composto anidro fonde a 112°,5-143° in una massa vetrosa 
gialla, che subito si fa opaca quando la si bagna di acqua, che poi 
la scioglie di nuovo a caldo e la depone in cristalli col raffredda- 
mento. Scaldato con acido cloridrico allungato dà dei vapori conte- 
nenti aldeide salicilica e la soluzione rinchiude glucosio e cloridrato 
di amidobenzamide. 

L’amidobenzamide sciolta nell’ alcool e bollita a ricadere con 
una soluzione alcoolica di isatinay vi si combina con eliminazione 
di acqua. Se il composto si separa lentamente dalla soluzione alcoo- 
lica, allora forma dei cristalli più grandi di colore arancio, ma più 
facilmente il composto si precipita rapidamente ed allora assume 


149 
la forma di una polvere cristallina gialla pesante, poco solubile nel- 
l'acqua e nell’alcool. La composizione della isafamidobenzamide è 
NH,--CO---C,H,—N =(C,H,NO) 
| calcolato 
0,1580 davano 0,8807 CO, = 67,86 0/, C 67,92 C 
0,0609 H,0 = 4,44 » H 445 H 

Comincia a fondere a 280°, colorandosi in bruno, subito dopo 
si decompone gonfiando fortemente. Si scioglie difficilmente nell’al- 
deide benzoica bollente con eliminazione di acqua. La soluzione raf- 
freddandosi si rappiglia in una massa solida, che viene lavata col- 
l'aequa. Il residuo viene sciolto nell’ acido acetico glaciale e sopra 
la soluzione si mette con precauzione il doppio volume di alcool, in 
modo che i due strati ci mescolano lentamente per diffusione. Se- 
parasi in questa maniera una sostanza gialla cristallina , la quale, 
bollita coll’acido cloridrico, sviluppa dei vapori di aldeide ben%oica. . 

Questo composto, formato per concatenazione di due molecole 
di isatamidobenzamide mediante un residuo della benzaldeide , do- 
vrebbe avere la formola: 

C7Hg(C,5H,N303)s 
In una sola analisi ottenni un forte eccesso di idrogeno : 
6,2545 davano 0,6718 CO, = 74,98 °/, C calcolato 71,8 C 
0,1080 H,O = 4,70 » H 4,2 H 

Questo composto si comporta del resto in un modo del tutto . 
indifferente e non essendo riuscito ad ottenerlo puro e bene cri- 
stallizzato, non me ne sono ulteriormente occupato. 

I composti che si formano della metaamidobenzamide mediante 
le aldeidi acetica salicilica e gtucosalicilica vengono facilmente de- 
composti nel riscaldamento coll’anilina. Quest’ ultima si unisce col 
residuo aldeidico, mentrechè viene ripristinata |’ amidobenzamide , 
a seconda della equazione generale: 


tt nym 3 i 
CIZTO NA, + NH,C,H, = CHO NA, + CopmssN-- C,H, 


La metaamidobenzamide non viene attaccata dall’anilina nè di- 
rettamente, nè in istato nascente. La stessa reazione si ha anche 
coll’isatamidobenzamide, soltanto ch’essa si compie meno facilmente: 

In un modo del tutto simile si decompone coll’anilina anche la 
fRalamidobenzamide: 

-00.. 


NH,CO---C,H,--Ne <CO- 30,8, 
facendo nascere della feniftalimide. 


420 , 

La ftalamidobenzamide fu preparata fondendo insieme 6 parti 
di amidobenzamide con 7 parti di anidride ftalica e cristallizzando 
il prodotto da una grande quantità di alcool bollente. È quasi in- 
solubile nell'acqua , ma cristallizza dall’ alcool in aggregati di aghi 
fini incolori: 

calcolato 
0,2234 davano 0,5529 CO, = 67,60 9/, C 67,67 
0,0763 H,0= 38,80 » H 8,76 

fonde a 240-244° e si rappiglia in cristalli col raffreddamento, che 
fondono di nuovo alla medesima temperatura. Questo composto è 
l'amide dell'acido ftalamidobenzoico, già descritto da Gabriel (Beri- 
chte XI, p. 2262) Per questo acido ho osservato il punto di fu- 
sione 282-284° mentre che Gabriel indica 276°. Ma sarà nondi- 
meno lo stesso acido, che forse avrà contenuto un poco di una so- 
stanza estranea, come p. es. la fenilftalimide, la quale facilmente ab- 
bassa il punto di fusione dell’ acido ftalamidobenzoico anche di 20 
a 25 gradi. L'azione dell’anilina e di alcune amidi sull’ acido ftala- 
midobenzoico è stata studiata nel mio laboratorio da A. Piutti 

Egli ha osservato alcune decomposizioni di un certo interesse, 
delle quali fra poco tratterà in particolare memoria. 


Stadi sul potere rotatorio dispersivo 
delle sostanze organiche; 


memoria del dott. RAFFAELE NASINI. 


Sul potere rotatorio dispersivo delle sostanze attive non esistono 
. che pochi lavori e questi assai incompleti. E veramente lasciando 
da parte le sostanze che possiedono il potere rotatorio soltanto 
quando sono cristallizzate, molte delle quali sono state studiate sotto 
ogni aspetto, e venendo a quelle sostanze organiche che sono attive 
allo stato amorfo, noi non troviamo nella letteratura altri lavori com- 
pleti che quelli sull’acido tartarico, il quale acido dopo le ricerche 
di Biot, di Gernez, di Krecke, di Arndsten si può ritenere come 
perfettamente studiato. — E non è a dirsi che il soggetto mancasse 
di interesse. Prima di tutto era da provarsi rigorosamente se per 
le sostanze organiche si mantenevano tra i poteri rotatori speci- 


424 

fici e le respettive lunghezze d'onda dei diversi raggi quelle rela- 
zioni che erano state stabilite pel quarzo, date come probabili per 
altre poche sostanze per le queli si era osservato un modo di di- 
spersione approssimativamente analogo. Dal lato chimico poi era da 
vedersi se il potere rotatorio dispersivo variava con la concentra- 
zione delle soluzioni e, nel caso, in che modo variava: quale in- 
fluenza esercitava il solvente, vale a dire se, trattandosi di un solvente 
che induceva variazioni nel petere rotatorio specifico, veniva anche 
a variare il potere dispersivo , ovvero se si manteneva questo co- 
stante in modo da potersi prendere questo a preferenza di quello 
come distintivo caratteristico del corpo indipendentemente e dalla con- 
centrazione delle soluzioni e dalla natura del solvente medesimo. 
Ed altra importante questione è quella di vedere se i composti 
organici dotati di analogie chimiche hanno potere dispersivo uguale: 
giacchè se per una data serie di sostanze isomere od omologhe per 
es. il potere dispersivo non si mantiene costante è quasi inutile 
volere stabilire, come più volte si è tentato, delle relazioni fra il 
potere rotatorio molecolare e la costituzione dei composti del car- 
bonio. Altre questioni pure vi sarebbero: la influenza della tem- 
peratura, la influenza dello stato fisico del corpo ecc. Alcune di 
queste questioni furono studiate ma, ripeto, soltanto per l’acido 
tartarico il quale, per le anomalie che offre, si è ritenuto e si ri- 
tiene tuttora come una eccezione. 

Scopo del mio lavoro è appunto di dare un contributo per 
colmare questa lacuna. Io mi sono proposto di studiare il potere 
rotatorio dispersivo di alcuni dei numerosi derivati santonici per 
indagare: 1° se per queste sostanze fra il potere rotatorio speci- 
fce e la lunghezza d’onda dei diversi raggi esistono le stesse rela- 
zioni che sono state stabilite pel quarzo e per altri composti cri- 
stallizzati (jodato e perjodato di sodio ecc.); 2° se Ja natura del 
solvente e la concentrazione delle soluzioni fanno variare il potere 
rolatorio dispersivo nel modo stesso che fanno variare il potere 
rotatorio specifico; 8° se le santonine isomere, gli eteri dell’acido 
parasantonico e santonico hanno lo stesso potere dispersivo. Alcune 
relazioni tra i poteri rotatorî molecolari di questi corpi, determinati 
rispetto alla riga D, già sono state stabilite da Carnelutti e da me (1); 
4° se gli eteri allilico e propilico sia dell’ acido santonico che 


(1) Studi sul potere rotatorio dei derivati della Santonina di G. 
Carnelutti e R. Nasini. — Gazzetta chimica italiana t. X, pag. 236.— Atti 
della r. Acc. dei Lincei, vol. V, serie 3.* 


16 


.» 








499 

parasantonico hanno lo stesso potere rotatorio molecolare. Car- 
nelutti ed io trovammo che presso a poco il potere rotatorio mole- 
colare è uguale, ma però sempre un pò inferiore quello del com- 
posto allilico. La differenza però è così piccola che può benissimo 
essere attribuita ad errori di osservazione. Esperimentando con 
raggi di una refrangibilità maggiore del giallo è chiaro che, se una 
differenza esiste, essa deve rendersi più palese e quindi la questione 
può esser decisa. _ 

Non credo inutile di accennare, più brevemente che mi sarà 
possibile, a qual punto sieno attualmente’ le questioni che riguar- 
dano il potere rotatorio dispersivo. 

Arago nel 4844 trovò che il quarzo deviava il piano della luce 
polarizzata e che la deviazione non è la stessa per tutti i raggi. 
Due anni più tardi Biot scoprì lo stesso fatto e notò anche che, 
pel quarzo, le deviazioni sono con grande approssimazione inversa- 
mente proporzionali al quadrato della lunghezza d’onda del raggio. 
Quando poi Biot trovò che la proprietà di deviare il piano della 
luce polarizzata era posseduta anche da molte sostanze organiche, 
trovò anche che la maggior parte ubbidiva a questa medesima 
legge rispetto ai raggi di diverso colore (1). Una sostanza peraltro 
gli si presentò subito la quale veniva a costituire un’eccezione 
notevolissima, voglio dire l’acido tartarico. Questo acido sciolto nel- 
l’acqua offre anomalie grandi nel modo di dispersione, perchè Ie 
soluzioni secondo che sono più o meno concentrate danno un mas- 
simo di deviazione o nel bleu o nel verde o nel giallo od anche, 
per soluzioni molto concentrate, nel rosso. Per soluzioni molto con- 
cetrate poi, quando il massimo di deviazione si ha nel rosso, la de- 
viazione pel bleu si effettua a sinistra invece che a destra. La legge 
dell’inversa del quadrato della lunghezza d’onda evidentemente non 
bastava più ad esprimere il fenomeno. Fu allora che Biot richie- 
se Cauchy di studiare il problema per trarre dal calcolo la spie- 
gazione e leggi del fenomeno (2). Le conclusioni della memoria di 
Cauchy furono queste ; che in qualche caso sussisterà la.legge di 
Biot, cioè si avrà la deviazione proporzionale all' inverra del qua- ‘ 
drato della lunghezza d’onda ossia: 


| 


A 
pe 


(1) Ann. de Physique et de Chimie, 3¢, pag. 175. 
(2) Comptes rendus de l’'Académie des sciences, t. XV, p. 910. 


Li 


128 
ma in molli altri casi, nel caso più generale , questa legge non è 
che una prima approsssimazione e le variazioni di [«] saranno e- 
spresse da 


A B,C 
| a hoatatyt 





serie di cui saranno necessari due o più termini a seconda dei casi. 
Cauchy fece anche i calcoli relativi all’ acido tartarico e trovò che 
uoa formola con due costanti arbitrarie, di cui una negativa, espri- 
me benissimo il fenomeno. Ho insistito su questo punto perchè in- 
teressa assai la storia della chimica fisica: in tutti i trattati ed in molte 
memorie si attribuisce a Cauchy una formola 


[e - A+ 


identica a quella da lui proposta per rappresentare i fenomeni della 
dispersione piana e si dimostra, come diremo, che tale formula non 
si accorda coi risultati delle esperienze. Ora Cauchy non ha pro- 
posto mai questa formula sibbene |’ altra scrittà di sopra e che le 
atime ricerche hanno confermato come giusta. Cito le parole di 
Cauchy « se si moltiplicano gli indici di rotazione relativi ai di- 
‘ versi colori per i quadrati delle lunghezze d’onda corrispondenti, le 
: differenze fra i prodotti così ottenuti saranno prossimamente tra ‘ 
«loro come le differenze tra i quadrati dei numeri reciprocamente 
« proporzionali alle lunghezze d’onda » (1). Avremo cioè la seguente 


relazione 
i bh Me | 5 hi di dini 
i_i 
e 
la quale non può susssistere se non quando si abbia: 
A. B 
| a Ì = x + Ù + ceceno 


Ad ogni modo pare che della formula di Cauchy si occupassero po- 
chi giachè nessuno si curò di vedere se la formula da lui propo- 
sta soddisfaceva o no e invece si seguitò a discutere sulla antica 


(1) Comptes Rendus, t. XV, p. 1476. 





424 


formula di Biot. La qual formula si dimostrò che non serviva nem- 
meno a rappresentare la dispersione del quarzo ove si fossero fatte 
misure molto esatte. G. Wiedemann poi trovò che per l'olio di tre- 
mentina e di cedro non era affatto applicabile, la dispersione essendo 
molto più rapida (1). Arndsten dal canto suo giunse alle medesime 
conclusioni rispetto allo zucchero di canna (2). Nel 1868 V. v. Lang 
attribuendo falsamente a Cauchy la formula 


[a], -24+È 


cercò se questa poteva rappresentare bene i fenomeni della disper- 
sione nel quarzo. Calcolò i risultati col metodo dei minimi quadrati 
e trovò che l'accordo fra il calcolo e l'-esperienza era soddisfacente 
per i raggi di media refrangibilità ma per le righe B e G si ave- 
vano differenze un po’ troppo forti e tali che non permettevano di 
ritenere il fenomeno come esattamente espresso da quella formula (3). 
Boltzmann nel 1874 (4), fondandosi sulla ipotesi che per un rag- 
gio di lunghezza d’ onda infinita la rotazione del piano della luce 
polarizzata dovrebbe essere nulla, propose nuovamente la formola 
di Cauchy 


la h = A + B +... 

L 

e, limitandosi al quarzo, calcolò i resultati delle esperienze col me- 
todo dei minimi quadrati. e trovò che questa formula si accorda in 
modo mirabile colla esperienza. Egli esperimentò rispetto alle righe 
BCDEF G He trovò che la differenza tra i resultati calcolati 
ed i trovati now eccedeva mai 0,05 colla formula da lui adottata , 
mentre saliva sino a 0,4 adoprando |’ altra formola che contiene 
pure ugualmente due costanti arbitrarie. Le ricerche di Soret e 
Sarasin (5), che studiarono il potere rotatorio del quarzo anche per 
le righe & H, L M N per mezzo dell’oculare fluorescente inventato 
da Soret, dimostrarono che la formola di Cauchy-Boltzmann espri- 
meva esattamente il fenomeno anche per la parte più oscura dello 


(1) Poggendorffs Annalen, 82, 215. 

(2) Ann. de Physique etc. 3°, 54, 403. 

(3) Pogg. Ann. 119, 74. — Vedi anche Stefan ( Wien. Ber. L, 88) il 
quale applicò la formula di.v. Lang anche allo zucchero di canna di 
cui determinò nuovamente la dispersione. 

(4) Pogg. Ann. Iubelband. 

(5) Archives des sciences physiques etc. Nouvelle période, 54, 253. 


| 125 
spettro. Pel quarzo quindi non vi ha dubbio che questa formola 
con due costanti arbitrarie rappresenta con sufficiente esattezza la 
dispersione. Servirà ugualmente bene per le altre sostanze organi- 
ché ? Certamente per alcune , le uniche studiate un po’ meglio le 
quali hanno un potere dispersivo o identico o poco differente da 
quello del quarzo , sembra quasi inutile di fare i calcoli: così per 
lo zucchero di canna, l’olio di trementina, l'acido colalico: ma per 
altre sostanze dotate di un potere dispersivo molto energico, come 
la canfora ad esempio, incompletamente studiata da Arndsten, o di 
un potere dispersivo anomalo come l’acido tartarico e forse l’acido 
malico e alcuni malati (1), una conferma esperimentale di quella 
formula non mi è sembrata inutile , non fosse altro allo scopo di 
vedere se, pure servendo la formola di Cauchy ad esprimere il fe- 
nomeno, bastano per sostanze dotate di grande potere dispersivo , 
come i due isomeri della santonina la santonide e la parasantonide, 
due sole costanti arbitrarie oppure ne sono necessarie di più. 

Per quel che riguarda lo studio del potere rotatorio dispersivo 
di una sostanza sciolta in varî solventi e in un medesimo solvente 
in varia proporzione non vi è si può dire nulla di fatto se si ec- 
cettua al solito l'acido tartarico. Si è trovato per questo acido, co- 
me ho detto, una dispersione normale per soluzioni diluite (acqua 
90, acido 10), anormale per soluzioni di concentrazione più forte : 
per soluzioni al 50 °/, il massimo di deviazione è per la riga F; 
per soluzioni al 70 0/, il massimo è per la riga D e si ha devia- 
zione a sinistra per la linea e (2); per una soluzione concentratis- 
sima (90 °/,) si ha un massimo di potere rotatorio positivo nel rosso, 
si ha poi diminuzione progressiva andando verso il violetto sino 
a che la deviazione passa a sinistra per la linea F e cresce poi 
sempre a sinistra per Ja linea e. Arndsten, a cui si debbono que- 
ste esperienze, trovò anche che, in soluzione alcoolica (alcool asso- 
luto) l'acido tartarico si comporta come nelle soluzioni acquose con- 
centratissime, ossia come se l’acqua non ci fosse (8). E finalmente 
Biot trovò che |’ acido tartarico fuso e lasciato raffreddare si com- 


(1) Quanto al potere dispersivo dell’ acido malico non vi è che una 
esperienza di Arndsten, la quale veramente ha poco valore. Egli espe- 
rimentò soltanto sopra una soluzione concentratissima (cosiché le de- 
viazioni si avevano tutte a destra) e fortemente colorata in giallo. Io ho 
già intrapreso delle esperienze in proposito e spero di poterle presto 
pubblicare. 

(2) La riga e è situata tra la F e la G, molto vicino alla G, 

(3) Arndsten, loco citato. 





126 


porta appunto in quel modo che l' andamento del fenomeno nelle 
soluzioni acquose faceva prevedere ove , nelle formule che lo rap- 
presentano , si fosse supposta la quantità di acqua = 0 (4). Ed è 
questa cosa assai notevole giacchè cade di per sé l'ipotesi data da 
molti trattati che le anomalie nella dispersione sieno causate da com- 
binazioni dell’ acido tartarico coll’ acqua : cosa notevole poi perchè 
l'acido tartarico fondendosi si trasforma in un isomero, l’acido me- 
tatartarico. Krecke (2), studiando l'influenza della temperatura sulle 
soluzioni di acido tartarico, trovò che a 100° per una soluzione al 
40 9/ si ha rotazione uguale per tutti i raggi ossia non si ha disper- 
sione. Di tutti questi fatti ancora non si è riusciti a dare una spie- 
gazione. Una sola cosa si può dire ed è che l’acido tartarico si com- 
porta in tutto e per tutto come la mescolanza di due sostanze at- 
tive, una destrogira, una levogira aventi potere dispersivo differente. 
Artificialmente Biot riuscì ad ottenere dei mezzi che presentavano 
tutte le anomalie delle soluzioni d’ acido tartrico : massimo di de- 
viazione per un determinato raggio , invertimento di segno pure 
per un dato raggio e anche nessuna dispersione (3). Eccettuato l'a- 
cido tartarico non conosco altre sostanze per le quali si sia studiato 
l'influenza del solvente e della concentrazione delle soluzioni sul po- 
tere dispersivo. Esistono soltanto le ricerche di Arndsten sulla can- 
fora (4). Egli studiò delle soluzioni alcooliche la cui concentrazione 
variava dal 5 al 50 0/,. Trovò che per ciascun raggio il potere ro- 
tatorio specifico variava colla concentrazione delle soluzioni e che 
le variazioni potevano esprimersi per- mezzo di una linea retta. 
Quanto al potere rotatorio dispersivo notò soltanto che per le so- 
luzioni alcooliche di canfora il rapporto fra le deviazioni osservate 
pei raggi estremi è molto maggiore di quello che non sia per le 
soluzioni acquose di zucchero di canna. Ci sono poi le ricerche di 
Lindenmeyer sulla colesterina che trovò avere lo stesso potere ro- 
tatorio per i diversi raggi sia che fosse sciolta nel cloroformio 0 
nell’etere o nel petrolio (5): di Hoppe-Seyler che studiò l'acido gli- 
cocolico, l'acido colalico, i colalati di sodio e di potassio e il colalato 
di etile (6). Le determinazioni il più spesso non furono fatte che 


(1) Annales de Physique etc. 3-, 28. 351. 
(2) Arch. Neerland. 7, 97. 

(3) Annales de Physique etc. 3°, 36, 224. 
(4) Loco citato. 

(5) J. f. prak. Chem. [1], 90, 323. 

(6) J. f. prakt. Chem. [4], 89, 257. 





497 
per un solo solvente e per una sola concentrazione : e in queste 
condizioni sembra che queste sostanze abbiano un potere disper- 
siro non molto differente da quello del quarzo. Finalmente non è 
stato fatto sin qui nessuno studio per indagare se i derivati di una 
stessa sostanza sciolti nello stesso solvente ecc. abbiano un uguale 
potere dispersivo. 


MODO DI ESPRRIMENTARE 


Il processo che ho seguito nelle mie ricerche è quello stesso sta- 
bilito da Broch (1) e contemporaneamente da Fizeau e Foucault (2) 
e adottato poi da altri esperimentatori come Wiedemann, Hoppe-Seyler, 
Arndsten. Come sorgente luminosa mi ha sempre servito la luce 
solare che per mezzo di un oliostato faceva riflettere in una ca- 
mera oscura a traverso di un’apertura circolare abbastanza grande. 
Uo sistema di lenti mi permetteva di concentrare tutta la luce in 
un fascio parallelo che andava a cadere sopra un nicol fisso, il ni- 
col fisso di un apparecchio di Mitscherlich. L’altro. nicol mobile che, 
tome si sa, è unito a un indice che scorre sopra un cerchio gra- 
duato poteva anche farsi girare, mediante una vite, indipendente- 
mente dall’ indice (3). Di contro al secondo nicol stava la fessura 
di uno spettroscopio costruito da Duboscq col quale si può vedere 
doppia la riga del sodio. Nel cannocchiale dello spettrascopio in luogo 
dei fili incrociati feci porre due fili verticali paralleli , disposizione 
questa molto più adatta per queste esperienze corhe più sotto dirò. 
Quando sul passaggio della luce polarizzata non vi è nessuna so- 
stanza attiva, guardando nello spettroscopio si yede al solito lo spet- 
tro con le righe di Fraunhofer. Ma se si interpone una sostanza .at- 
liva si vedono comparire nello spettro una o più bande oscure più 
o meno ben definite , le quali si spostano collo spostarsi del nicol 
analizzatore. Questa apparenza è dovuta al fatto che il nicol analizzatore 
girando estingue appunto quelraggio il cui piano di polarizzazione è 
perpendicolare al suo. Ne viene per conseguenza che se si fissa una detta 
riga di Fraunhofer facendo in modo che occupi il mezzo del reti- 
colo e si fa poi in modo, girando l’analizzatore, che la banda nera 


(1) Dove’s Repertorium d. Physik, 7, 113. 

(2) Comptes rendus etc. t. XXI, 1155. 

(3) Nell'apparecchio che ha servito per le mie ricerche l'indice non 
può fare che il giro di mezzo cerchio: ho dovuto quindi far sempre le 
letture in un solo quadrante. 





428 


venga pure ad occupare il centro del reticolo, la deviazione notata, 
supponendo che siasi presa come posizione iniziale quella in cui i 
due nicol erano incrociati, in cui si aveva oscurità , la deviazione 
notata corrisponderà appunto alla deviazione della sostanza rispetto 
a quella data riga. Ho detto che talora si vedono più bande: in 
generale il numero delle bande è in relazione coll’ arco di disper- 
sione; si vedranno tante bande quante semicirconferenze sono nel- 
l'arco di dispersione. Anche in questo caso le misure si effettuano 
nello stesso modo né vi è alcuna incertezza giacchè sopra una data 
riga di Fraunhofer non si può far coincidere che una sola deter- 
minata banda. Ho detto poi che le bande si vedono più o meno'di- 
stinte, talora anche non si vede che un’ombra che occupa quasi tutto 
lo spettro. Ciò può dipendere da varie ragioni. Principalissima è la 
‘piccola deviazione: è difficile fare misure csatte quando la devia- 
zione per la riga B non è almeno 40° o a destra o a sinistra : si 
può rimediare a questo inconveniente interponendo una sostanza 
attiva che dia una forte deviazione; per differenza si potrà così co- 
noscere la deviazione propria della sostanza. Altre ragioni che, in- 
dipendentemente dalla grandezza della deviazione, possono far pa- 
rere mal definita la banda sono la poca luce , il non essere il fa- 
scio Juminoso, l'apparecchio a polarizzazione e l'apparecchio spettrale 
esattamente in una stessa direzione, la poca limpidezza delle solu- 
zioni ecc. Per. stabilire lo zero dello istrumento , cioè la posizione 
in cui le sezioni principali dei due nicol sono incrociate, si può os- 
servare direttamente, per mezzo del cannocchiale unito all’ analiz- 
zatore, quando si ha oscurità completa o almeno la maggiore uscu- 
rita. Io però ho trgvato più esatto e più comodo, per non dovere 
sempre spostare l’insieme degli apparecchi , di osservare la imma- 
gine, che passa a traverso del nicol analizzatore, sopra la superfi-. 
cie nera in cui è praticata la fessura dello spettroscopio. Quando i 
due nicol non sono incrociati si ha una immagine luminosa : se in- 
vece i due nicol sono incrociati non si ha più nessuna immagine. 
Questa ‘posizione l'ho sempre determinata con dieci letture. Lo stru- 
mento permette di fare letture coll’ approssimazione di 0°,03. Dé 
qui i risultati ottenuti osservando direttamerite il massimo di oscu- 
rità ed operando nel modo sopra descritto. 

I. 5,1--5,05---4,95--5.2—5,1---4,95---b-.-5,2--5,5—b. Media 5,07. 

Errore medio = 0,11. 
II. 5,2--5,2—5,25--5,2---5,2b---5,2--5,2--5,2-.-5,2--5,2 Media 5,24. 
Errore medio = 0,02, 
Stabilito lo zero dello istrumento, invece di fare molte letture (20 


429 

a 80 come si usa) per determinare la deviazione della sostanza ri- 
spetto alle diverse righe io ho creduto più utile di non fare che 
cinque letture per ogni dala riga, ma di far però tre serie di espe- 
rienze spostando cioè, mediante la vite indipendente dall’indice, l’a- 
nalizzatore, determinando l’altra posizione dell'indice in cui i nicol 
sono incrociati e fare nuovamente cinque letture per ogni riga. Que- 
sto sistema ha un vantaggio assai grande: è spesso illusorio di fare 
venti o trenta letture di seguito: l'occhio si abitua ad una data ap- 
parenza, la banda non occupa forse il mezzo del reticolo, ma l’oc- 
chio che sbagliò la prima volta, la seconda seguita a sbagliare: si hanno 
letture concordanti e non esatte. Invece facendo nel modo sopra in- 
dicato l'occhio non torna alle stesse apparenze che dopo un inter- 
vallo abbastanza lungo, l'osservatore ignora nel momento che fa le 
letture se esse sono o no concordanti con quelle fatte precedente- 
mente e le cause d’errore personali vengono in gran parte elimi- 
nate prendendo la media di tutte le osservazioni. Le righe ri- 
spetto alle quali io ho fatto le determinazioni sono le seguenti : B 
C DE by F 2383 Aggog- La riga agg È una riga ben visibile nello 
spetiro situata tra la F e la G vicino a quella dell'idrogeno. Ho sta- 
bilito Ja sua identità osservando: 4. che non era quella dell’idrogeno; 
2. misurando colla scala micrometrica la distanza fra la riga G e 
quella dell'idrogeno e quindi fra quella dell’idrogeno e l'altra da me 
considerata. E poichè , trattandosi di un piccolissimo tratto dello 
spettro, si può ritenere che vi sia proporzionalità fra la differenza 
tra le lunghezze d’onda e la distanza micrometrica, così ho potuto 
tecvare la lunghezza d'onda della riga da me considerata, alla quale 
lunghezza d'onda mi sono assicurato che corrisponde realmente una 
delle righe più visibili. Quanto alla riga Ayoog ‘i sono assicurato 
della sua posizione vedendo che realmente coincideva colla riga vio- 
letta del calcio. Queste due righe le designo sempre col simbolo 4 
accompagnato dal numero che esprime in diecimilionesimi di mil- 
limetro la rispettiva lunghezza d'onda. Quanto alla riga D che, co- 
me ho detto , si vede doppia io ho sempre fissato le due righe prese 
insieme, ossia una riga che si supponesse stare in mezzo alle due. 

I tubi che ho adoperato per le soluzioni sono stati misurati esat- 
tamente sino ai centesimi di millimetro. Questi tubi erano tenuti a 
temperatura costante, sempre alla temperatura di 20°, mediante ac- 
qua convenientemente riscaldata -o raffreddata che vi sì faceva cir- 
colare attorno. 

Le soluzioni ordinariamente le ho fatte introducendo in un 
picnometro a collo strettissimo una certa quantità di sostanza che 


17. 


430 

ho pesato dentro al picnometro stesso. Quindi ho aggiunto il sol- 
vente in modo però da non riempire esattamente il picnometro che 
poneva in una gran vasca d’acqua riscaldata a 20°, insieme colla 
pissetta che conteneva il solvente. Dopo 20 minuti o più a seconda 
della capacità del picnometro finiva di riempire sino al segno pro- 
curando di non fare uscise dalla vasca tenuta a 20°, nè il picno- 
metre nè la pissetta. E poichè facendo in questo modo, malgrado 
tutte le precauzioni è facile passare il segno tracciato sul collo del 
picnometro, così io ho falto diversi segni vicinissimi uno all' altro 
sul collo dei picnometri che adoperavo e, sapendo il volume corri- 
spondente a ciascun segno , qualunque causa di errore veniva ad 
essere eliminata. 


CALCOLO DEI RISULTATI 


Per la determinazione delle deviazioni ho seguito il metodo che 
Sopra ho esposto, cioè per ogni soluzione ho determinato tre volte 
lo zero dello istrumento con dieci letture : stabilito lo zero ho mi- 
surato la deviazione per ciascuna riga con cinque letture ed ho poi 
presa la media. Il metodo però non comporta una grande esattezza, 
quella esattezza che si può avere, rispetto alla riga D, con i pola- 
ristrobometri di Wild , di Laurent , di Cornu. Le letture si fanno 
assai bene e sono assai esatte per Ic righe D E 9, F: per le righe 
B e C, sopratutto per la B, le incertezze sono maggiori e per le 
righe A,3g9 © Moog l'errore che si commette in una lettura può arri- 
vare anche a 2°. Dò qui una serie di osservazioni fatte per una 
soluzione di parasantonide. 


B 
Deviazioni 30,5 —30,5 —30,75 —30,75—30,75 
Errore medio = 0,14 
D 
Deviazioni 48, 4—48,4—48 5—43 55—48,55 


Errore medio = 0,08 


44383 
Deviazioni 39—38,6—39—389,2—39,5 
Errore medio = 0,83 


I seguenti numeri mostrano quale concordanza vi sia fra le tre 
serie di letture che ho fatto per ciascuna riga. Le osservazioni si 


434 


riferiscono pure ad una soluzione cloroformica di parasantonide, per 
la quale sostanza le osservazioni si fanno molto bene. 


1* serie (media) 2° serie (media) 3° serie (media) Media Errore medio 


B 93,39 88,57 93,68 33,33 0,15 
P 95,84 95,15 93,53 95,35 0,19 
oe 148,48 444,01 142.84 14534 0,6 


Né questi errori debbono sembrare esagerati perchè è il me- 
lodo che non comporta una precisione maggiore. Si prendano ad 
esempio le misure di V. v. Lang sul quarzo (4), eseguito pure col 
processo di Broch ma non colla luce solare. 

Riga del sodio (T20°—20°,1).— Deviazioni : 71,53—70,29—74,90 
Riga del tallio (T20°—20°,1).—Deviazioni : 70,20—69,28— 68,73 

Come si vede gli errori sono assai maggiori che nelle mie e- 
sperienze. 

Le lunghezze dei vari tu»i da me adoperati sono state misu- 
rale csattamente sino al centesimo di millimetro: è noto che è suf- 
fciente l’approssimazione sino al decimo di millimetro e quindi l’er- 
fore è assolutamente trascurabile. Per una stessa soluzione ho fatto 
&perienze con tubi di diversa lunghezza ogni qualvolta si trattava 
di deviazioni forlissime , nei quali casi può cadere dubbio tra due 
aogoli differenti tra loro di una o più mezze circonferenze. Del re- 
sto il senso della deviazione, per tutte le sostanze che ho studiato, 
pa era stato stabilito da Carnelutti e da me. 

Ho già detto come effettuava il riempimento del picnometro. 
Conoscendo il peso della sostanza attiva , il peso del solvente e la 
densità della soluzione si può facilmente calcolare il °/, di sostanza 
attiva e la concentrazione, cioè la quantità di sostanza atliva con- 
lenota in 100 c.c. di soluzione: la quale concentrazione non è altro 
che il prodotto del °/, per la densità della soluzione. Nella margior 
parle dei casi però la concentrazione lho determinata direttamente 
conoscendo il volume del picnometro nel quale faceva la soluzione; 
€ questo volume lo calcolavo sapendo il peso dell’ acqua contenuto 
in esso alla temperatura di 20°. Per il calcolo del °/, e della con- 
centrazione ho sempre ridotto al vuoto le pesate servendomi della 
formula 


P =p + p 0,0012 (4 — 6,42 ) (2) 


(1) Pogg. Ann. 156, 422. 
(2) Kohlrausch, Lertfaden d. praktischen Physile. 








182 
dove 
P =peso della sostanza nel vuoto 
p = peso della sostanza nell’aria 
d = densità della sostanza . 
0,0012 = densità media dell’aria 
0,12 =4 diviso per il peso specifico dell’ottone. 
Le densità delle soluzioni l’ho determinato a 20° rispetto al- 
l’acqua a 4° e per il calcolo , riduzione al vuoto ecc. mi sono ser- 
vito della formula 


d= (Q— 3) +31) 
dove 
_ F = peso della soluzione a 20° 
W = peso dell’acqua a 20° 
Q = densità dell'acqua 20° 
$ = densità media dell’aria = 0,00119 

Secondo l'illustre prof. Landolt, a cui si debbono i più impor- 
tanti studî sul potere rolatorio delle sostanze organiche, il peso spe- 
cifico delle soluzioni si può determinare con esattezza sino alla quarta 
decimale. Si può ammetlere come errore massimo, quando nella mi- 
sura della temperatura si sbagli di 1°, un errore di 9,004. Quanto 
al °/, secondo il prof. Landolt si può ammettere in media un errore 
di 0,02, considerando anche i casi in cui le soluzioni debbono  fil- 
trarsi e le pesate non sieno ridotte al vuoto. Nel caso nostro in cui 
non vi è mai stato bisogno di filtrazione e Je pesate sono state ri- 
dotte al vuoto l’errore certamente è assai minore. Quanto poi alla 
concentrazione il prof. Landolt crede che |’ errore possa elevarsi a 
0,04; egli però suppone questo errore massimo nel caso in cui si 
debba filtrare la soluzione e in cui si faccia uso di un palloncino 
a collo relativamente molto largo (8 mm. di diametro) (2). Io in- 
vece ho sempre fatto la soluzione in picnometri a collo strettissimo: 
di più ho quasi sempre adoperato picnometri assai grandi, della 
capacità di 100 ec di 50 c. c, cosicchè Il’ errore deve essere molto 
più piccolo e non credo che possa mai superare 0,005. 

Per Ja determinazione dei poteri rotatorî specifici ho fatto uso 
delle formule | 

[a] => iola = 10.0 
lpd le 


(3) Kohlrausch loc citato. 
(1) Landolt, Das optische Drehungsoermògen, p. 141. 


438 
per le sostanze solide, e pei liquidi 


[a] = ou a 





dove 
i [a] = potere rotatorio specifico 

a = angolo di deviazione 

} = lunghezza del tubo in millimetri 

p= °/ di sostanza attiva nella soluzione 

c= quantita di sostanza attiva contenuta in 400 cc. 

d= densità della soluzione e del liquido 
Per le sostanze solide ho fatto uso della 4° formula, che esige 
la conoscenza di p e @ e per conseguenza una pesata di più, sol- 
tanto in quei casi in cui ricercava se la concentrazione delle solu- 
zioni aveva influenza sul potere rotatorio specifico. Nel caso che vi 
sieno variazioni e queste si debbano esprimere per mezzo di una 
curva, è molto meglio esprimerle in funzione di g che in funzione 
di ¢ (1). 

Quanto all’esatlezza dei poteri rotatorî specifici noterò: che or- 
dinariamente la deviazione si può ritenere esalta sino agli interi, 
ossia possiamo far conto quasi sempre di due cifre esatte, qualche 
volta, per le sostanze molto attive anche di tre e per soluzioni con- 
centrate di parasantonide -e santonide e per la riga F anche di 
quattro : che quanto alle lunghezze dei tubi possiamo contare su 
quattro cifre esatte, c su tre o quattro cifre esatte quanto alla con- 
cetrazione o al prodolto pd. Nel prodotto Je può dunque nella mag- 
gior parte dei casi ritenersi che tre cifre sono esatte, Per conse- 


> ARE Rn os 
guenza il quoziente To può dire che avrà sempre almeno due 


cifre esatte e solamente nei casi in cui si hanno sostanze con pic- 
colo potere rotatyrio non potremo rispondere che della prima ciffu: 
questo è appunto il caso dell’ acido santonico. Però nel caso dellu 
parasantonide, santonide, santonina si può rispondere assolutamente 
di due o anche di tre cifre, le variazioni nella terza non superando 
mai due o tre unità , salvo per le righe X,3gg € Ayoog Per le quali . 
causa la difficoltà delle osservazioni, non si può rispondere al solil 
che di due cifre.--Seguendo |’ uso da tutti adottato , come misura 
del potere rotatorio dispersivo ho dato i quozienti dei poteri rota- 
tori specifici rispetto ai diversi raggi per il potere rotatorio speci- 
fico rispetto al raggio B: però non essendo molto esatte le misure 


(!) Landolt, loco citato, p. 56, 


134 


rispetto alla riga B, ho considerato anche i coefficienti di disper- 
sione rispetto alla riga D, per la quale riga le misure si fanno con 
molta esattezza: ho fatto questo soprattutto quando mi premeva di 
dimostrare |’ uguaglianza di dispersione tra due diversi composti. 
Dalle considerazioni sopra esposte è facile vedere che per quel che 
riguarda questi quozienti , che chiamerò coefficienti di dispersione, 
non potremo contare che sulla esattezza di una cifra, ossia degli in- 
teri, o al più su due cioè anche sui decimi. E, come resulta dai 
numeri che dò nelle tavole, ordinariamente due cifre sono esatte : 
qualche volta anche tre per una stessa sostanza. Ma, trattandosi di 
sostanze diverse, credo che si debbano ritenere come dotate di uguale 
potere dispersivo quelle soluzioni i cui coefficienti di dispersione 
concordino sino ai decimi, od anche, concordando soltanto negli in- 
teri, differiscono soltanto di due o tre unità nei decimi. 

Per stabilire le relazioni esistenti fra Je lunghezze d'onda delle 
diverse righe e i poteri rotatori specifici mi sono servito del me- 
todo dei minimi quadrati: per il calcolo ho fatto uso delle esperienze 
relative alle righe B D E F %,j3g3 4006 , Ovvero scltanto alle righe 
BD E F. I valori da me adottati per le lunghezze d’onda sono 
quelli di Thalén (4) per le righe B C DEO, F, c di Angstrém (2) 
per le righe %j3g3 Moog: eSSI valori sono dati nella seguente tavola e 
sono espressi in millimetri: Ù 


B 0,0006867 
C — 6562 
D 5892 
E 5269 
F 4861 
4383 4383 
4096 4996 


Conformandomi all’uso di Boltzmann ho calcolato il valore delle co- 
stanti arbitrarie come se la 1° cifra del numero che rappresenta la 
lunghezza d’onda esprimesse decimi di millimetro invece che dieci- 


.(1) Mémoires sur la détermination des longueurs d’ondes des raies 
métalliques. (Ann. Phys. Chim. (4), XVIII, 202. 

(2) Recherches sur le spectre salaire—Spectre normal du soleil. Upsal 
Berlin Dùmmler, 1869, 











185 
millesimi, o, in altri termini, per il calcolo ho fatto uso della for- 
mula 

E 1 A | BY Cc 
Ja 1082 101224 © 10186 0 0" 
E inutile il dire che quando duc soluzioni avevano lo stesso potere 
dispersivo non ho calcolato che per una sola le costanti della for- 
mula di Boltzmann: una formula collo stesso numero di costanti, ma di- 
verse, servirà naturalmente anche oer l’altra soluzione. 

Del metodo dei minimi quadrali mi sono anche servito per 
stabilire le equazioni delle curve che esprimono le variazioni del 
potere rotatorio specifico per le soluzioni cloroformiche di santonina. 

Come misura dell’ errore commesso nella determinazione dei 
poteri rotatorii specifici ho dato il quoziente dell’ errore medio per 
il potere rotatorio specifico, ossia l'errore °/). 


MATERIALE DELLE OSSERVAZIONI 


Come solventi non ho adoprato che alcool e cloroformio. L’al- 
cool è alcool quasi assoluto, da me rettificato sull’ossido di bario: la 
sua densità a 20° rispetto all'acqua a 4° è = 0,7968. Il cloroformio 
è stato da me purificato, seccato e distillato più volte; la sua den- 
sità a 29° rispetto all'acqua a 4° è = 1,49089. Le sostanze attive 
impiegate sono tutte sostanze purissime già analizzate o dal prof. Can- 
nizzaro o da Carnelutti e da me: di queste sostanze ho sempre ve- 
rificato il punto dl fusione. Ho creduto utile per ogni sostanza di 
dire brevemente della sua preparazione e delle relazioni che ha co- 
gli altri derivati santonici, giacchè si tratta di composti non descritti 
nei trattati ordinari. 


OSSERVAZIONI 


Le sostanze che ho studiato in questo lavoro sono le seguenti: 
quattro isomeri della santonina, cioè la santonina, la parasontonide, 
la santonide e la metasantonina (p. di f. 186°); tre eteri dell’ acido 
parasantonico, cioè i parasantonati etilico , propilico normale e al- 
lilico; l'acido santonico e il santonato propilico normale. 


Santonina (C,;H,30;) 


Ho purificato mediante ripetute cristallizzazioni dall’etere anidro 
della buona santonina del commercio. La introduzione della sostanza 





486 

nel picnometro , le pesate si sono sempre fatte a una luce debolis- 
sima per evitare le alterazioni che la santonina subisce alla luce e 
che ne fanno variare grandemente il polere rotatorio. Una volta però 
che siasi effettuata la soluzione, la luce non ha più nessnna influenza :. 
di questo mi sono assicurato mantenendo per molti giorni al sole 
una soluzione cloroformica e non ho osservato nè ingiallimento nella 
soluzione medesima né alterazione nel potere rotatorio; quanto alle 
soluzioni alcooliche poi mi sono accertato che almeno per la durata 
di una esperienza il sole non fa variare affatto il potere rotatorio. 
La santonina è abbastanza solubile nel cloroformio: poco nell’alcool 
assoluto, cosicchè non ho potuto fare esperienza con soluzioni con- 
centrate. Non mi è riuscito fare osservazioni per la riga Agog giac- 
chè le soluzioni di santonina assorbono molto i raggi violetti e an- 
che le determinazioni rispetto alla riga %,ggg sono difficilissime. 


137 


‘oh 8 Bnbow |e 0nadsti 0% 4 oUOIZNIOS 8|[9p gususp =") ‘OUOIZN[OS.V][OU B}JUGA[OS Ip 9/9 = d :ouoiznjos Bijou BAI} 
-78 BzuBISOS Ip 9/7 =d :00°001 ‘wu Ip odosseds o7 ued #18[00[89 OUOIZBIAOp = 1% :ejUOWIBIIEIIP BIBAIOSSO QUOIZBIA 
-Op==9 :11)}@WI[[iWU Ul OGn} [op BzzeysuNn|=—7 :9U01281)U89U09I = 9 :0[0A8) MuanSes eljeu eyo wisenb UI OJUBL (1) 





[88 heb eL‘eL-t- coes—| , —|6x'ee— 85°€9— ss] |ssm_ 
8FLFI=] |, L¥°901- | es'88— 1638] —, G3°e9— 09°85— | 5099] |, 
reset 6o‘6e— i 2°) den 8349 — 809+ 79‘ez-+ e698 
6v'so—| .__|so%69-| . — |ees- osss--} 88°08 — ayte—| (8B 8s] , 
9L°63— 93°8e-+ Lo'ye-+ £9°6e-+ 8L'68— 60°69— 66°19— 
ross]. {eror-| .  lazee— 1oee— rove—| feast} SOF] 
L¥‘ee+ £3‘88-- L0‘8L— FeOL— 7A Tcen .|az‘08— 92°96 — 
ss] .__[0g%6e=| , [octee— v6'18— tg]. lists]. LOE] 
Le‘est+ c3°L8— 63'°eL— ero Leest— ee‘0r— 96°88— 
cea]. [ertse—] | Fete go] [stes]. o'er] . |[2r98-| , 
70°so-+ ores — L6‘OL— ¥0'°89— TIE 69‘9e— Fa‘se— 
.._ ||. [asti a] [veti ose —| ss fer’ —] [sco 
es6I—| OL FF se'st— 18'FF— L68 —| 10% — 9 —| _ 
16°9— 60°8— 16°98— esce 86:6F— CHEF 89°cr— 


(1) 00% = L ‘0U1U07uDE rp syaiussofosozo 1U012N{09 9} 49d 20120049880) 








03001 
005007 
c9°61% 


00‘00} 
99‘618 


00°00} 
C9°613 


00/005 
G9°61E 


00‘007 
SIGH 


03‘007 
00°00 
99°65 


88s'°kE 


“TA 





ce 
= 


488 







£°609— 
0's0?— 
L°909— 
F6e— 


e‘ Fse— 


sei] 


a[z] 


iEns— 
o°LYE— 
0‘L98— 
L°oys— 
c'H8—- 


e‘oce— 





19(»] 


s'108— 
L°9e8— 
g°yes— 
F'9es— 
c‘168— 


0‘L838— 


a[z] 


¥6LI— 
yOLE— 
6°RLF— 
£°OLF— 
0*FLI— 


0O°SLI— 





a[»] 


EE a ED 


o) 


6‘535— 
0‘13:— 
0°38:— 
0'FEI— 
60S I— 


1085 





u[] 


BNERE 
Ook es 
1R0°St 
982°C} 
LLe‘eh 


918% 





pd= 9 


006 = L 10604 184901p 1 sod 





2Y/2UL0f040]9 1012108 ur DU 
140}: $ DuzuozuDs nop oofwede o : 
) 1 140JDJO.L 9.19) Od 


“IA 


"A 


"AT 


‘NI 


199 


Come si vede dalla tavola il potere rotatorio specifico della santo- 
nina sciolta nel cloroformio varia un poco, assai poco del resto, colla 
concentrazione. Tanto Hesse (1) che Carnelutti ed io (2) avevamo 
detto che il potere rotatorio specifico della santonina in soluzione 
cloroformica può dirsi indipendente dalla concentrazione delle solu- 
zioni: ed infatti nei limiti esperimentati (c=10 a c=2)e per la 
riga D ie differenze sono così piccole che si possono attribuire ad 
errori di osservazione. Il potere rotatorio specifico aumenta col ore- 
scere della concentrazione e le variazioni possono esprimersi per 
ciascuna riga mediante una linea retta di cui dò qui le equazioni 
in funzione di g cioè del °/, di solvente contenuto nella soluzione; 


[e]p =440,1 — 0,2088 g 
[alc =449,8 — 0.1388 q 
[e]o  =207,7 — 0,8086 g 
[ele = =285,6 — 0,382 g 

[alo,  =802,88 — 0,6557 g 
[x]p = =365,55 — 0,8284 g 
[a]h,sss =534,98 — 1,524 g 


La seguente tavola mostra sino a qual punto vi sia concordanza tra 
i resultati del calcolo e quelli della esperienza: 


(2) Liebig’s Ann, 176, 125. 
(2) Gazzetta chimica italiana, T. X, p. 256. 





ezuasayi( 





@°L19/8'089/ 9S 


£°609/8‘L09| 3° 


€09] 6‘96e| R°c 


L“¥0%|8‘96¢| 6'€ 


&°FGE/9°9KE| L's 


e‘rse| eselz‘e 


meee. [| Gee | eee | Oe 


eZUAIITII 


1Foe |e‘ oe 


£°868| 1962 


£‘#63|c‘068 


£'56513°067 


9‘L83/£°067 


6‘183/9°c8% 





O}BADIL 
0}B]O9|e9 





EzUeJOy Iq 


r'acale‘eczi 8°O] SFVE 





vel SO) ¥'GLE/9 GLE! ‘ol 6 LET |L‘LEF| eo] O'SEEIS FSFI 88S RE 


9°L93\4 Lee} SO] 9 968/8'9e8! FO] FOLEISOZE| S°O] SSCEC OCF 9°01.0°SEF/9 SEEI ONE es 


O'LE ir L'ilg'vezistacai Sl o°eziiz‘aziz) 9°0| 8°RERS SEE z'ol O'FSE/S FEE) FSO SF 


L°998|6°sHz) &'E| F9ES|S' SES! OF! COLL PLE] BO! FSEFIS SET! SOLO RSEIE ESE] 989 CT 


9°198/8°S9s| eri o'resizizezi zo] vzilz'azii tO] Feels Ser SO] e'oztli‘ FEE) LLE CF 


£‘9es| Fees] 92 


7] 
=) Sa 
s |S 
S|E 





Leslv'ozeio‘ol  eLrlo‘azil Olever|S VEE] GO) 3°03r|2‘033| OFS 





OJPAOT], 








| 
| 











[e] ij [ue "| —_ ‘=, 
si a |B = | & 7) 5 
= ets S |a o = 
- = se | & Di è =, _ ne 2. 
a = è = =") pur | Pe jae] - | oe [=] 
[ma — ae] — = — — ho! — # 
5 = S ay c =) = S d 
= © 3 
: È : 
- Go Bi fa ; " 
x | GO} x | O| 2 | |x| 





“HII 


141 
L'accordo è abbastanza soddisfacente ove si consideri che si tratta 
di numeri molto grandi e che le misure sono assai difficili a farsi 
cominciando dalla riga E. 
Quanto al potere dispersivo si può dire che esso si mantiene 
costante : i coefficienti di dispersione non differiscono che nei de- 
omi, come si rileva dalla tavola seguente, 


Coefficienti di dispersione per le soluzioni cloroformiche di santonina, 






ji.) 13,526 | 1] 4,12 1,46 1,95 
w.| 43,638 | a] 1,12 1,43 1,94 
v.| 23,156 | 1] 4,11 1,45 1,94 
vi. | 35,258 | 4] 4,10 144 1,93 


ll potere dispersivo della santonina sciolta nel cloroformio non 
è molto grande e non differisce molto da quello di altre sostanze 
siudiate p. es. 
B C D E F G 
Quarzo zucchero 1 444 1,40 4,77 2,40 2,72 
Colesterina (4) 1 1,24 1,53 1,93 2,36 8,02 
Olio di cetro (2) 1 4,44 1,43 1,86 2,28 3,12 
Ho cercato se la formula di Boltzmann con due costanti arbi- 
lrarie bastava ad csprimere il fenomeno. Il calcolo l' ho fatto per 
una sola soluzione perchè naturalmente, essendo sempre costante il 
potere dispersivo, se una equazione con due costanti basta a rap- 
presentare le variazioni per una soluzione, basterà anche per le al- 
tre. Per il calcolo ho preso la soluzione n° V e le determinazioni 
rispetto alle righe B D F X,3g3. La formola a cui son giunto è la se- 
guente : Ì 
[,] _ 40,853 , 7,1824 
[a 1062 * 10124 
(1) Lindenmeyer, Journ. f. prakt. Chem. 90, 323. 
(2) Wiedemann, Pogg. Ann. 82, 222. 


142 


Calcolando con questa formula i valori di [x] si hanno numeri 


che si accordano molto bene con quelli dati dall'esperienza , come 
sì può vedere dalla seguente tavola: 


[als (eJe (eo [ole  (alo [Je [aos 
Caleolato 118,9 133,6 477,3 2408 251,6 301,5 4074 
Trovato 121,9 135,8 176,4 236,7 2476 298,3 40938 
Differenza 3,0 2,2 0,9 3,6 4,0 3,2 1,9 


xrA°—57,46 c u=3,39 


I seguenti numeri sono il quoziente delle differenze tra il valore cal. 
colato e il valore trovato per il rispettivo valore calcolato : 


B C D E b, F Lil 
0,26 046 0,05 045 04158 0,44 0,08 











143 





89'9--- 6r'9— r8e‘ga— 
99° set - Lo‘e— Let | 
oL‘or-| s0'6 — ves 91'9— 
In pa] lo x Ip v lo 











Tr SEE C= 


006 = L 'Duito] une Ip 21/99)000jD yuoIenjor 9) dad itt0120As4088) 


|88‘091 





00‘00F 


co'GTs 








{44 


Polere rotatorio specifico della santonina in soluzioni alcooliche 
per i diversi raggi. T = 20° . 







(“Jn | [ele | (elo | (ale | [abi 


EE 
—o ——r+——.|| sor | cee | cee RQqpe©Ò©Ò(!(“eee@eeoW\ [ cee | oe 









—110,4 |—418,8 | —161 [—222,6 |—237,1 |—261,7] —380 


La santonina in soluzione alcoolica è slata studiata da Hesse (4) 
per la riga D: egli trovò che il potere rotatorio specifico diminui- 
sce col crescere della concentrazione dell’alcool : per una soluzione 
di concentrazione c=2 nell’alcool a 97 0/, egli trovò [a]o =—174. 
Jo ho ottenuto un numero un po’ più piccolo e questo può dipen- 
dere dall'avere io adoperato come solvente alcool assoluto. 

La santonina è pochissimo solubile nell’alcool assoluto: quindi 
non mi è stato possibile di fare esperienze con soluzioni più con- 
centrate. Aveva preparato una soluzione più concentrata, ma co- 
minciò a cristallizzare nel tubo: nondimeno ho tenuto conto delle ‘ 
deviazioni date da questa soluzione per il potere dispersivo. — I 
coefficienti di dispersione pet le soluzioni alcooliche sono i seguenti: ‘ 

B C D E db, F d 1983 
Soluzione I 4 408 41,46 . 2,02 2415 2,87 344 
Soluzione satura 4 41,10 4,45 4,91 207 2,34 3,33 
Dai quali numeri si ricava che il potere dispersivo della santonina 
“si mantiene lo stesso tanto che sia sciolta nel cloroformio quanto 
nell'alcool assoluto. 

Sino a qui la santonina in soluzione alcoolica era ritenuta co- 
me la sostanza dotata della più grande dispersione. Buignet (2) 
aveva trovato che le-soluzioni alcooliche di santonina hanno un 
gran potere dispersivo: egli si era limitato a calcolare il rapporto 


ee dove a, è la deviazione rispetto al così detto giallo medio, a cui 
D 

corrisponde presso a poco la lunghezza d'onda 0,00055. Ora vera- 
mente non sembra che questo rapporto debba essere molto diffe- 


rente da quello delle altre sostanze : abbiamo infatti prendendo il 


(4) Liebig’s Ann. 176, 125. 
(1) J. Pharm. et de Chimie [3], 40, 252. 


445 
rapporto Haat dove i] valore di [a]; si è calcolato colla formola di 
Boltzmann e si è trovato = 213,6. 
Santonina, Quarzo, Zucchero, Canfora (alcool) Olio di trement. 


[eli _ 1,82 4,43 4,18 1,20 1,24 
Lele si può dire che sia lo stesso per la 


[a] 


santonina, la canfora e l’olio di trementina. 


Come si vede il rapporto 


Parasantonide (G,;H,03) 


La parasantonide è un isomero della santonina che fu ottenuta 
da Cannizzaro e Valente (4) per l’azione dell’ acido acetico glaciale 
sull'acido santonico (v. più sotto per |’ acido santonico). Si tratta 
l'acido santonico coll’acido acetico glaciale, si distilla quest’ultimo e 
si spinge il riscaldamento sino a 260°. Si separa mediante il car- 
bonato sodico l'acido santonico rimasto inalterato e per ripètute cri- 
stallizzazioni dall’etere si può avere pura la parasantonide. È una 
sostanza bianca, che cristallizza in bellissimi cristalli appartenenti al 
sistema trimetrico. Fonde a 110°, e la sua densità a 20° è 41,2015, 
Fra le sostanze che sono attive allo stato amorfo è quella che ha 
maggiore potere rotatorio di tutte: il suo potere rotatorio specifico 
è di poco inferiore a quello del qnarzo. Il modo stesso di prepara- 
zione dice che una temperatura elevata non ha nessuna influenza 
sul suo potere rotatorio: la quale proprietà è comune a molti deri- 
vati della santonina (santonina, acido santonoso). È solubilissima 
nel cloroformio e anche nell’anidride acetica; meno assai nell’alcool. - 
Il suo potere rotatorio specifico per la riga D è indipendente dalla 
concentrazione per le soluzioni cloroformiche : diminuisce col cre- 
scere della concentrazione, per le soluzioni alcooliche. Il suo potere 
dispersivo fu determinato da me, ma solamente rispetto alle luci 
del sodio e del litio; trovai: 

[«]p 

(alu = 4,42 
feci perd notare che dovevano farsi esperienze pid esatte giacché 
le osservazioni colla luce del litio sono difficilissime a farsi (2). 


(1) Cannizzaro e Valente, R. Acc. dei Lincei, Vol. II, Serie 3. 

(2) Per tutto quello che riguarda il potere rotatorio della parasan- 
tonide, V. Carnelutti e Nasini, Gazz. chim. it. 'T. X, pag. 256; R. Acc. 
dei Lincei. Serie 3, Vol. Transunti.—R. Nasini. Acc. dei Lincei, ser. 3, V.IX. 


19 










ost + Lys, — L689 + 2e9h — Se" Lv— mez t+|33°0c1 
90°2981+ ¥s‘6ge-+ 18°699-+ 61°S89t- 88yrt <y'828+ EL‘162+ 00°001 {9920S ‘AI 











-196°8 + <0'6s — 80°6F — yess — 60°68 + yo‘0c—* 91°29] 03°001 
A Can so‘0prt v6 168+ cp'ect 301234 Eg'cs1+ L'iut 8e°101t 00‘00L 
96N°21 IIIT 
96°094- 97599 + sL'eL — c3'18 — sss — LL — Volt oz'art-|99'618 
90 + shes — pens + oror — Ls‘¢e — 6902 — <9'08+ 09‘02-+-|03°001 
pa*09e+- 9e'908+ L9*803+ | so‘eort get 3L'801+ ¢0'08 + es'o + 00%001 |t6r31 |"I1 
8L‘8£+ 188 — ce‘98+ Iwa — L5‘03 — LULS + Los — 1L'¥8—]S9°613 
- Tsk + L698 + 8088 + 1888 + 9y'L1 + Lest + 00°001 
6193 |'I 
_ ee'is + 9¢‘8e-+ qs'est-{09'613 
lo ” Ly % by ” lo x 
98shy a 9 gq 1 9 toN 





“03 = L ‘opiuoqunsnsnd wp syoiwsofosoj9 wuorznjos 9] sad 10120049880) 











co6zt | orse+ 


147 


—_ Fest 


CRIzt 


s6ye-+ 


CHazt 









99954- | scert- | sozit-| z‘roest | 9‘cco0t 





g‘oss-+ | |] tuoxea lop erper 














osgrt-| seert 








yocr-+ | e°r684- | e‘ccot| 3‘0854 | goz'oc | FzecF | Lecco 












6991+ | seer 





cost | z'o6st | 9°csot- | stezst | conce | yet | Sz6'ze 









6909r+| zeert+ | oosit+ | s'est | otocot | o6‘szst+ | rer‘et | sorti 9c0°76 





seor+ | csert | rosit+ | e‘ces+ |] s‘osot+ | s‘ess+ | oro | eset | yes‘se 








[e] | ©] x] 












‘008 = L ‘10004 16420p 1 40d 


9Y23U:LOfOs0]9 2U012n]08 ur 0piuojunsvind 11199 023f129d8 014010]04 942)0d 





“Tu 





“Il 





148 
B C D. E b, F 
Errore medio=1,9 46 0,68 2 2 5,9 
Quoziente dell'errore medio per [a] 
=0,0033 0,0024 0,0007 0,0016 0,0015 0,0035 0,0049 0,0028 


Asses = d298 
195 84 


Viene così confermato per tutti i raggi quello che era stato stabi- 
lito pel raggio D, cioè chè il potere rotatorio specifico della para- 
santonide in soluzione cloroformica è affatto indipendente dalla con- 
centrazione delle soluzioni. I coefficienti di dispersione sono -ì se- 
guenti : l i 

B li D E b, F 4383 d296 

4 4,13 41,54 2,18 2,3 287 4,32 5,10 


È notevole il modo di dispersione di questa sostanza: mentre 
per la parte più luminosa dello spettro i coefficienti di dispersione 
sono di poco superiori ai corrispondenti dello zucchero, del quarzo 
e della santonina, divengono poi quasi il doppio più grandi per i 
raggi più refrangibili. 

Ho cercato se Ja formula di Boltzmann con due sole costanti 
arbitrarie basta a rappresentare il fenomeno, almeno sino alla riga F. 
Calcolando col metodo dei minimi quadrati e servendomi delle espe- 
rienze relative alle righe B D E F sono giunto alla formola: 


14, 4500 5,88602 
[= Jie toar + to 


Questa formola non è sufficiente: abbiamo infatti: 





Righe Calcolato Trovato Differenza 
B 568,5 580,5 — 12 
G 649,9 655,6 — 5,7 
D 8999 894,7 + 8,2 
E 4277 4964 + 48 
b, 1846 1334 + 12 
I 1656 1666 — 10 


Le differenze, come si vede, sono troppo forti anche per que- 
sta parte dello spettro, dove pure la sostanza non ha grande di- 
spersione, 

Ho calcolato tre costanti per la formula di Boltzmann serven- 
domi al solito del metodo dei minimi quadrati e delle sperienze 
relative alle righe B D E F X,jggg Agoog- La formola a cui son giunto 
è la seguente : 

[ « | 268,0219 20,987 , 12,046 
x 40848 401228 T 101826 


149 
Questa formola si accorda abbastanza bene colle esperienze : 


Righe Calcolato Trovato Differenza 


. B 5888 5805 +83 
C 660 655,6 = +44 
D 886 8947 — 8/7 
E 4953 4264 —49 
b, 4898 41884 —6 
F 4670 4666 14 


diseg 2522 2540 + 12 


2A°== 478,74; u=9,8 


I quozionti delle differenze per i respcttivi valori [«] calcolati sono 
i seguenti : 


B G D E b, F ages 4226 
044 0,07 0,06 0,07 0,08 0,02 0,08 0,08. 


Si ha presso a poco la stessa approssimazione che la santonina. 
Santonide (G,;H,g0;) 


La santonide è pure un isomero della santonina. Fu ottenuta 
da Cannizzaro e Valente (1) in modo analogo alla parasontonide , 
cioè facendo bollire per più ore una soluzione di acido santonico 
nell'acido acetico glaciale, distillando poi l’acido acetico e spingendo 
il riscaldamento sino a 180°, invece che sino a 260°, come per la 
parasantonide. Si purifica poi la sostanza nel modo stesso che ho 
accennato per la parasantonide. È una sostanza bianca, che cristal- 
l'zza nel sistema trimetrico. Fonde a 127°,5. È destrogira come la 
parasantonide e, dopo questa, è la sostanza organica che ha il po- 
tere rotatorio più elevato. È assai solubile nel cloroformio; meno as- 
sai nell'alconl. 


(1) Atti della R. Acc. dei Lincei. T. II, Serie 3, 


29 + 

900 + 
‘LIT 

ge 1st 


1908 + 


450 


Sv'ISIt 


LL'L9 + 


68°L8— 





19 + 


— 
resi 


ER Om RT 


o1se-+ 


#8°ISt| 


19°08— 


La‘se-+- 





28 + 


12'98 + 





3638+ 


b+ 


ve'LI— 


83NLt+ 


93'182+ 


® 
6r°691+ 


oz'1S + 


6983 + 


I ‘2pruopuos ip 21/NwWLOfOLO]I WO12N]O8 aj 


ni + 


‘is — 


6819 + 


89499 + 


1e‘891+ 


59°201+ 


1926 + 


nz + 


6 00 È Con 


6582+ 


vest 


96'L8-+ 


83‘28+ 


Eg‘p1+ 


£3‘06 + 


gc‘ee + 


<6VI + 


sad 1U0L2V24988() 


uf I Cc 03001 
00001 


9¢eb-+] 330s 
00°00 


3'81+-|99‘61% 
es‘est/03"001 
00°001 
<o‘v:+|99'61% 


00°00! 


035‘08 


612°81 


306'9 


101°€ 


“Al 





"III 





ABI 


0598+ 


shy [n] 









ross | 999Ft svrit+] ssorti st | ‘6984 #89+ | [>] roe rp erper 




















953gt+ | ocvr-+ | 9‘ocFr+) 9'osort) z'cezt- | 9°59st 983+ | ose‘oe | ozyir | ena sz 








ores | eerrt | e'svrrt) e‘czort) s'ogzt- | e‘810+ 589+ | erz'sr | orsi g90°%8 











26534 | senrt | zfover+| 8°?zor—] O'6yz-+ | 2°6994 | c'osst | tosto | peek | sFe‘se 








ceret | pyprt | efreret| y'oeor+) o‘zezt | s'iest | ‘rest | porte | esr's | o76‘ze 





Seo] | #0) [olo] | 3) | Sh) | Om) | sfx] | 0 | otp | d 








008 = IL ‘10004 384901p 1 40d 


OYDIUAOfOsOJo IUOISNIOS Us 9p}uo;uos v;}9p 003f100d8 01400304 049J07 











459 . 
B C D È b, FOO sg dass 
Errore medio 2,7 2,9 4,6 10,25 7,8 8,6 44,21 24 


Quoziente dell'errore medio per [a] 
0,0056 0,0058 0,0064 0,0094 0,0068 0,0059 0,0065 0,0092 


Anche per la santonide si può ammettere, al pari che per la 
parasantonide, che il potere rotatorio specifico si mantiene costante 
nelle soluzioni cloroformiche indipendentemente dalla concentra- 
zione. In generale |’ errore è un po’ più grande che per le solu- 
zioni di parasantonide, e questo è in gran parte dovuta al falto che 
le soluzioni cloroformiche di santonide hanno un potere assorbente 
assai grande per i raggi di media refrangibilità. 

I coefficienti di dispersione sono i seguenti : 


4 448 4,55 2,25 2,87 2,98 4,53 ~ 5,83 


Il potere dispersivo delle soluzioni cloroformiche di santonide è un 
poco piò elevato di quelle di parasantonide, Anche prendendo i coef- 
ficienli di dispersione rispetto alla riga D si giunge alle medesime 
conclusioni : 
D E & F dg dos 
Parasantonide 1 1,42 4,49 1,86 284 8,82 
Santonide 4 144 1,52 41,914 2,92 383,46 


Per la santonide ho calcolato le tre costanti della equazione di Bol- 
zman servendomi non del metodo dei minimi quadrati, ma sem- 
plicemente delle esperienze relative alle righe B D Agggg: la for- 
mula a cui sono giunto 'è la seguente : 
184.5554  3,28899 8,1644 
[ « | emer tor + Forget 108820" 
Calcolando i valori [a] con questa formula si hanno risultati assai 


concordanti con quelli trovati : 
Righe Calcolato Trovato Differenza 


B 484 484 0 
C 548,6 549 —0,4 
D 184 734 0 


E 4089 41088 +1 
b, 4454 4448 +6 
F 4458 1444 +44 
diggs 2201 = 2204 0 
raf—233; u=7,63 


; 458 
I quozienti delle differenze per i respettivi valori calcolati [«] sono 
i seguenti ; 


E b, F 
0,01 0,05 0,09 


Gli errori, come si vede, sono sempre dello stesso ordine. 

La santonide é pochissimo solubile nell’alcool, meno assai della 
parasantonide: non ho potuto fare che soluzioni di concentrazione 
molto debole: il potere rotatorio specifico sembra che aumenti colla 
concentrazione delle soluzioni: 


20 





sc + tyotoet __ }as'1-+-[03"001 


1106 + 


a 
grat + 





455 
Potere rotatorio specifico della santonide in soluzioni atcooliche 
per î diversi raggi. T = 20°. | 








N° | 6 |[«s]{[a]c] [elo] (Je | [a], (alr | 


Eee, | Gee | ces A eg | ere | ee | eee | eee 


1. | 4,831| +378] +462] +668] -+069/-+-1028|-+-1298] +-t966 | 2339 





n. | 4,066) +442] 4504] +693] -+991/--1033/4-1323 





2011 | +2384 jf 





I coefficienti di dispersione sono i seguenti : 
Soluzioni B CGC D E di FO Ugg dass 


I 4 1,92 4,76 2,56 2,72 3,42 590 6,47 
4 445 154 194 295 8.80 
Il 1 445 4,87 2,24 988 299 455 588 


4 1,48 1,52 1,91 2,90 3,57 
Sembrerebbe che la dispersione, rispetto alla riga B, fosse maggiore 
per le soluzioni diluite: ma oltre che le differenze sono piccole bi» 
sogna anche notare che le misure rispetto alla riga B sono molto — 
incerte, specialmente per le soluzioni diluite: esaminando i coeffi- 
cienti di dispersione rispetto alla riga D si vede che le due solu- 
sioni hanno lo stesso potere dispersivo non solo, ma che il potere 
dispersivo della santonide si mantiene costante sia che sia sciolta 
nel cloroformio sia che sia sciolta nell'alcool. 
Metasantonina (C,,H,,0,) (p. di f. 186°) 

Questo altro isomero della santonina fu ottenuta da Cannigzaro 
e Carnelutti (4) per l'azione dell'acido jodidrico e fosforo rosso sul» 
l'acido santonico e per l’azione degli acidi jodidrico o solforico con- 
centrato sulla parasantonide. Si forma sempre contemporaneamente 
a un suo isomero che fonde a 160,5: questi due isomeri che sono 
ben cristallizzati e iA forme molto differenti, si separano meccani- 
camente scegliendo i cristalli. Tanto Cannizzaro che Carnelutti ed 
io abbiamo trovato che i due isomeri hanno un potere rotatorio 
identico rispetto alla riga D. Era mia intensione di vedere se la 
identità si mantiene per tutte le righe, ma non avendo avuto a mia 
disposizione una quantità sufficiente dell’altra metasantonina debbo 
rimettere ad altro tempo queste ricerche. 


(1) R. Acc. dei Igncei, Vol. II, Serie 3. 





156 














cost | ist | est | 2014 | srt | yott+| set | 903% 


La 
Ae ro 


8€(2]| 42) |!o2] | 3(0] | [2] | fe] | Sfx] 9 | 























‘0061 ‘20604 124901 1 40d 
‘worusofosoj9 9uo:rn:o8 us (9g; ‘f 1p ‘d) vUlUO]UDEDIAL DIP 097/199d8 01403304 34930 


63‘s-+ £0°s-+ 00'00F 


y0‘s+ LY'et+ | gocors 


‘00% = L “Dummojunspjow ap varusofo10ja auoiznjos D) tad 1U0120AL9ISSA 


9038's 





157 
I coefficienti di dispersione sono i seguenti : 


B C D E b, F Moss 
{ 442 434 481 497 235 979 
1 4,34 446 4,74 2,07 


» 
Il potere dispersivo è quasi identico a quello della santonina 
e della maggior parte delle altre sostanze organiche studiate. 


Parasantonato etilico (C,;Hjg0,.C5Hx). 


Questo etere dell'acido parasantonico, acido di cui la parasan- 
lonide è l'anidride , fu preparato da Cannizzaro e Valente (1) per 
azione dell'acido cloridrico gassoso sopra una soluzione di acido pa- 
rasantonico nell’aleool etilico assoluto. É una sostanza bianca: cri- 
stallizzata nel sistema trimetrico, Fonde esattamente a 173°. È le- 
vogiro. 


(4) R. Acc, dei Lincei, Vol. II, Serie 3. 


pere e9s— | ost—| wwi-| LeI— 








96% C88 Vf 0} JI [>] 1Q[»] a [®] a [2] (2 | dg [»] 





B6‘LE- oL‘es— 160‘SF— 














‘006 = L ‘091/179 opnucjunsnsnd ip VIMUIOSOLOI FUN {08 DI 494 21U020ALIN.O 





459 
Carnelutti ed io avevamo trovato (x]p ——99,9 per c = 4,977. 
Il potere dispersivo di questa soluzione è rappresentato dai nu- 
meri seguenti : 


By “Db E di FO da de 
4 4,98 1,72 2,89 3,54 845 474 5,58 
4 4,39 446 ASS 278 8,0 


Come si vede il potere rotatorio dispersivo del parasantonato eti- 
lico in soluzione cloroformica non è molto differente da quello della 


santonide e parasantonide: il valore Le Pess veramente sarebbe as- 


[2]n o 


ai più elevato, ma non bisogna tenerne molto conto per la diffi- 
coltà delle misure e la piccolezza della deviazione. Si può pertanto 
ammettere che la formula di Boltzmann con tre costanti arbitrarie 
esprimerà con abbastanza esattezza anche per questa sostanza il fe- 
nomeno della dispersione. 


Parasantonato propilico normale (C,.H,,0.,C,H,). 


Il parasantonato propilico normale fu preparato da Carnelutti 

e da me per azione dell'acido cloridrico gassoso sopra una soluzione 

di acido parasantonico nell’alcool propilico normale. È bianco, ben 

cristallizzato e fonde esattamente a 148°. È levogiro. Il suo potere 

‘ rotatorio fu già determinato e fu trovato che il suo potere rotatorio 

molecolare in seluzione cloroformica è uguale a quello del parasan- 
tonato allilico (4). 


({) Gazzetta chimica italiana, T. X, pag. 256. 





sas— | zor— | ser- | szi—-| te— 














S88hyfm] | 3] |>] | 3[2) | 2) 





‘00821 ‘10004 184901p 1 49d 
DINULSOfOLO]I GUOILNIOS UI 9JDULLOU 09112d04d OJOUCJUDSD.LOd fap 097/1998 01407104 949204 


Le‘ge— 10‘85— s8‘s— 00'00% 
eLo‘er! “I 
£2°93—| 896 FS 





“0OZ=.L opunsou ooyrdord ojpuqnuvsosnd wp VAULIOSOLO1I auUoIenjos Di 490 20603%00.4988() 


| 104 
Per una soluzione cloroformica della concentrazione 5.222 Car- 
nelutti ed io avevano trovato: 


[|p = —91,3 
I coefficienti di dispersione sono i seguenti : 


B C D È b, F 4383 
4 448 4,59 2,22 2,34 991 438 
* 4 440 447 483 2,76 


Il potere dispersivo è identico a quellu del parasantonato etilico. 
Parasantonato allilico (C,-H,,0,.C,H;). - 


Questo etere e stato preparato da Carnelutti e da me per l'a- 
zione dell'acido cloridrico gassoso sopra una soluzione di acido pa- 
rasantonico nell’alcool allilico, soluzione che si tiene raffreddata. Si 
distilla a pressione ridotta l'alcool allilico e si purifica l'etere per ri- 
petute cristallizzazioni. E bianco, bene cristallizzato , fonde a 149°, 
È levogiro (1). 


(1) R. Ace. dai Lincei, Vol. V, Serie 3, Transunti. 
2 





#08 —| ses —| 99% —| ver —| zar —| 36 — 





0061 ‘10004 18490p 1 sad 


DIIULOSOLO]I BUOIZNIOS U2 0911]}D UU UOEVAVA 19p 099f10008 0140}0}04 94NO] 





0000} 








67‘LS- *LY- 99°EF- GE'OF-|89 6S 











162 


‘061 "094120 0)0uo;unsovivd Ip nousofos0]9 AUOIZNIOS VD] sad 1u0120AL988() 


463 
Carnelutti ed io avevamo trovato [«]n =—94,8, per c=7,573. 

Come ho detto parlando del parasantonato propilico normale 
era stato trovato che il potere rotatorio molecolare rispetto alla riga 
D degli eteri allilico e propilico, sia dell’ acido santonico che para- 
santonico sono uguali. Però avevamo notato che il potere rotatorio 
molecolare del composto allilico è sempre un po' inferiore a quello 
del corrispondente propilico: ma le differenze essendo assai piccole 
non potemmo stabilire se fossero o no dovute ad errori di osser- 
vazioni. Le esperienze da me fatte risolvono la questione nel senso 
che realmente il potere rotatorio molecolare del composto allilico è 
inferiore a quello del corrispondente propilico; paragonando infatti 
fra loro i poteri rotatorii molecolari dei due eteri dell’ acido para- 
santonico e limitandoci alla parte media dello spettro, dove le mi- 
sure si fanno con assai esattezza , noi troviamo , chiamando M il 
peso molecolare respettivo: 

Melo Mlzle M[o)i M[ale 
400 100 100 100 
Parasantonato propilico: 279 394 412 512 
. allilico - 278,5 886 408 504 
Mentre per la riga Di due poteri rotatorî molecolari si debbono 
ritenere uguali, per le righe di maggiore refrangibilità le differenze 
si fanno più grandi, divengono tali che non si possono attribuire 
ad errori di osservazione. Anche per la riga B il potere rotatorio 
molecolare dell’etere allilico è minore di quello del propilico: il con- 
trario avviene per la riga C: ma per la incertezza che vi è nelle 
osservazioni rispetto a queste due righe, potendosi sbagliare anche 
di due unità nel potere rotatorio specifico , qualunque conclusione 
sarebbe infondata. 

1 coefficienti di dispersione del parasantonato allilico in solu- 

zione cloroformica sono i seguenti: 
B_G D E d, F dg dose 
4 4,43 4,69 234 247 806 4,58 5,55 
1 41,89 446 1,80 2,71 8,26 
Il potere rotatorio dispersivo è identico a quello degli altri due eteri 
dell'acido parasantonico. 
Acido santonico (C,;Hx50,). 

Si ottiene il sale baritico dell’acido santonico bollendo per molte 
ore una soluzione di santonina con un grande eccesso di barite 
caustica. Si precipita l’eccesso di barite con acido carbonico e dalla 
soluzione filtrata si precipita con acido cloridrico |’ acido santonico 
che si depura per cristallizzazioni dall’etere. Si presenta in bellisimi 
cristalli del sistema trimetrico. Fonde a 168°. È levogiro, 








Ta 
i 











0€8— | L6F— | LEI 


fr ES 


| 92% [Sr n]| 4[»] 















too] | 32} | oe) | ct) 











‘,06= 1 10004 181901p 3 4ad 09:U10f0L0]9 auolZNjOs UL 091U0ZUOE OpLID yap 09319008 004070204 9490d 








so‘es— RHLET ee'oe— s3‘83- 92 ‘08- Ea°SF- 13 CI- 00°00} 


361'L2 
6089+ e8‘s9-+ 82‘58— ¥9°99— 86‘29- Ly'3%- pe 89'6S-|89 GIS 


{64 


‘50€ = | *OouojuDs opion ip vaiusofosoja duciznjos nj) 490 140120049880) 


165 
I coefficienti di dispersione sono i seguenti : 


B C D E b, FOO Asgg dose 
{ 146 484 213 295 976 399 4,65 
1 444 450 4,88 265 3,44 


ll potere dispersivo dell'acido sautonico può quindi dirsi interme- 
dio fra il potere dispersivo della santonina e quello della parasan- 
lonide ecc. La dispersione, come si vede, è mollo meno rapida per 
le righe più refrangibili. 


Santonato propilico normale (C,;H,30,.C3H,). 


Il santonato propilico normale fu preparato da Carnelutti e da 
me (4) per l’azione dell'acido cloridrico gassoso sopra una soluzione 
di acido santonico nell’ alcool propilico normale. Al contrario degli 
altri eteri dell'acido santonico, che sono tutti cristallizzali , questo 
celere è un liquido sciropposo, incoloro, che bolle a 220° alla pressione 
di 3mm. La sua densità è d29=4,125. È levogiro. Il suo potere rotatorio 
specifico ricavato dalle soluzioni cloroformiche coincide con quello 
direttamente determinato. [o falto esperienze sopra |’ etere liquido 
e sopra una soluzione cloroformica, 


iù 


(1) Gazzetta chimica italiana, T. X, p. 256, 








€hI— | 42 — | 19 — | 09 — | or— | ¥'se—] s°e—-| “L08‘Z 








Shv[2]] 402] | ao] | 30] | 2°] | 90] | S[n] | 9 














“0C™= ‘00004 wsaaip 1 sad 


“‘NOIWLOfOL0{9 9WOIZNIOS vi O9IIdO4d ORDUOJUDS Jap 009f19008 004030304 3.1910d 








00°00} 
L03*L 


70's— | £9‘653 


166 


“06 = J, ‘eajidoud o7puojuns ip vIusofos0]9 auolznjos Dj Jad 1U0IZDALI8S(] 


167 
È per il potere dispersivo abbiamo : 
B CG D E b, F 4383 
4 4,02 4,24 1,87 41,92 2,42 3,56 
4 4,50 41,52 1,93 2,33 
Ho cercato anche di fare misure direttamente sull’etere liquido, ma 
ho incontrato grandi difficoltà a cagione del forte potere assorbente 
che possiede. Do qui soltanto i resultati pel potere dispersivo, i quali 
coincidono con quelli di sopra : 
E b, F 
4. 4,50 1,60 2,04 
È notevole il modo di dispersione di questo etere: prendendo i coef- 
ficienti di dispersione rispetto alla riga B essi sono di poco supe- 
riori a quelli della santonina, cosicchè per quel che abbiamo detto 
in principio si può concludere sull'identità del potere dispersivo : al 
contrario i coefficienti di dispersione rispetto alla riga D coincidono 
con quelli della parasantonide. Il valore trovato per {a]p è un po’ 
troppo piccolo. Carnelutti ed io con metodi esatti trovammo [e]p = 
—42. Basterebbe usare di questo numero perchè la dispersione ri- 
spetto alla riga D fosse identica a quella dell’acido santonico e della 
santonina. Ho voluto portare questo esempio per dimostrare come 
sia facile cadere in errore e come falsamente si potrebbe concludere 
se non si tenesse conto della influenza degli errori di osservazione. 


CONCLUSIONI 


Per quel che riguarda le relazioni esistenti fra le lunghezze 
d'onda dei vari raggi e le deviazioni o i poteri rotatori specifici re- 
spettivi delle sostanze attive io credo si possa concludere che la for- 
mula di Cauchy-Boltzmann esprime sempre esattamente il fenomeno, 
sia che si tratti di sostanze dotate di piccola dispersione , sia che 
si tratti di sostanze le più fortemente dispersive, come la parasan- 
tonide e la santonide, e anche di sostanze che offrono anomalie nel 
potere dispersivo come l’ acido tartarico. Nel 1° caso una formula 
con due costanti arbitrarie, ambedue positive, sarà sufficiente; nel 
2° ne saranno necessarie tre, di cui |’ una negativa od anche tutte 
e tre positive; nel 8° (il solo caso noto è l’acido tartrico) basteranno 
pure due costanti arbitrarie, una delle quali negativa. Prendo come 
esempio una qualunque delle soluzioni di acido tartrico che offrono 
anomalie : è una soluzione al 60 °/ che dà un massimo di devia- 
zione pel giallo e pel verde: 

C D E b, F 
+-6,58 +7,16 +7,16 -+-6,83 +-5,99 


168 
Or bene la seguente forimola: 
4,6306 0,7516 
[ x he 408,2 40.198" 
esprime con la più grande esattezza il fenomeno: infatti abbiamo 
Righe Calcolato Trovato Differenza 


C 6,70 6,88 + 0,17 


D 7410 746 — 0,06 
E 694 1,46 — 0,22 
b, 6,82 6,88 — 0,04 
F 648 5,99 — 044 


Come si vede l'accordo non potrebbe essere più perfetto. 

Il solvente non sembra che abbia in generale una grande in- 
fluenza sul potere dispersivo. Infatti abbiamo visto che la santonina 
e la santonide, sebbene abbiano un potere rotatorio specifico assai 
diverso nel cloreformio e nell’alcool, hanno sempre nn identico po- 
tere dispersivo. Per potere in modo assoluto decidere su questa que- 
stione sarebbe necessario di fare esperienze con sostanze le quali 
hanno poteri rotatorî specifici molto diversi secondo che sono sciolte 
in un solvente piuttosto che in un altro, per es. la cinconidina che 
sciolta nell’alcool ha un potere rotatorio specifico metà di quello che 
possiede quando è sciolto nell’ acqua. Lo stesso è a dirsi riguardo 
all’influenza della concentrazione delle soluzioni: anche in quei casi 
in cui la concentrazione fa variare il potere rotatorio specifico il po- 
tere dispersivo si mantiene costante, così per es. per la santonina 
in soluzione cloroformica e la santonide in soluzione alcoolica. An- 
che su questo punto però mi astengo dal concludere in mcdo as- 
soluto perchè a far ciò sarebbe necessario esaminare sostanze come 
la nicotina in soluzione acquosa il cui potere rotatorio specifico per 
le soluzioni concentrate è doppio che per le soluzioni diluite. 

La questione se i due eteri allilico e propilico dell’ acido san- 
tonico e parasantonico hanno lo stesso potere rotatorio molecolare, 
ovvero, come Carnelutti ed io avevamo sospettato, il composto allilico 
anche per la riga D ha realmente un potere rotatorio molecolare . 
minore, è risoluta in quest'ultimo senso dietro i miei studî sui due 
eteri dell'acido parasantonico. Comparando i poteri rotatorî moleco- 
lari dei due eteri rispetto alle righe E d, F si vede che quello del 
composto allilico diventa sempre minore di quello del propilico men- 
tre per la riga D le differenze erano tanto piccole che si potevano 
attribuire ad errori di osservazione. 

La grandezza della dispersione non sembra stare in relazione, 


oe 
. 169 - 

come si potrebbe credere, colla grandezza della deviazione.. Perchè 
se da un lato noi abbiamo il fatto che la parasuntonide e la san- 
tonide , avendo i) più gran potere rotatorio specifico hanno anche 
la più grande dispersione, dall’ altro abbiamo anche il fatto che la 
santonina ha un potere dispersivo assai minore del parasantonato 
allilico, il quale ha un potere rotatorio specifico che è circa la metà 
di quello della santonina: analoga considerazione è da farsi per la 
santonina stessa rispetto al santonato propilico , che ha un potere 
rotatorio specifico quattro volte più piccolo. 

I corpi che ho studiato sono tutti derivati di una medesima 
sostanza, la santonina, ma non può dirsi che abbiano tutti lo stesso 
potere dispersivo. La parasantonide, la santonide, e i composti para- 
santonici specialmente per le righe F, Agggs © Agoog hanno coefficienti 
di dispersione molto più grandi della santonina e della metasanto- 
nina ed anche, sebbene in minor grado, dell'acido santonico e del 
santonato propilico. E così un’altra difficoltà si aggiunge alle tante 
che già ci sono quando si cerchi di stabilire delle relazioni fra il 
‘potere rotatorio e la costituzione dei composti del carbonio. I valori 
[a] e per conseguenza [a]M sono valori dipendenti da tante circo- 
stanze che difficilmente rappresentano delle vere costanti fisiche , 
sulle quali unicamente si possono basare delle teorie. Ed infatti, sup- 
ponendo anche eliminata l'influenza della temperatura, solamente le 
sostanze attive liquide, che sono pochissime, si presterebbere ad uno 
studio comparativo , ove prima si fosse ben constatato che quelle 
prese in esame hanno un identico potere disptrsivo. Quanto alle so- 
stanze solide, oltre che la influenza della temperatura, vi è poi sem- 
pre o quasi sempre la influenza della concentrazione delle soluzioni 
e sempre si può dire la influenza della concentrazione delle solu- 
zioni e sempre si può dire la influenza del solvente. Il metodo pro- 
posto dal prof. Landolt di sciogliere la sostanza in diversi solventi 
e in varia proporzione per ciascun solvonte , di costruire per cia- 
scan solvente la curva che esprime le variazioni del potere rotato- 


rio specifico in funzione del °/, di solvente e quando nelle equazioni 
che si ottengono: 


[a] => A+Bg+C@2+...... 

i valori di A coincidono, prendere questi valori e compararli è un 
metodo certamente ottimo , ma che per lo studio comparativo dei 
poteri rotatorii molecolari riesce disgraziatamente di poca utilità per- 
chè poche sono le sostanze organiche attive solubili in molti sol- 
venti e molto solubili in ciascuno, condizioni queste essenziali per- 
chè si possa avere confidenza nei valori A. Ed anche nella ipotesi 


22 





è. 
470 

più favorevole resta sempre la difficoltà del potere dispersivo. Qua- 
lunque relazione si stabilisca fra i poteri rotatori molecolari di due 
O più composti rispetto ad una data riga, la D, ad esempio, pren- 
dendo pure i valori A invece che [a], potrà non più sussistere 01 
esssere anche completamente invertita per un’altra riga quando le 
sostanze studiate non abbiano lo stesso potere dispersivo. Se hanno 
al contrario lo stesso potere dispersivo le relazioni trovate si man- 
terranno o inalterate del tutto o varieranno, ma sempre in modo 
che per ciascuna riga tra le diverse sostanze si manterrà lo stesso 
genere di relazioni: così ad esempio se si tratta di rapporti, questi 
si manterranno inalterati, se si tratta invece di una differenza co- 
stante varierà la grandezza di questa costante , ma infine la rela- 
zione trovata sussisterà sempre. Altra difficoltà, quando si vogliano 
stabilire relazioni fra i poteri rotatorî molecolari e si voglia anche 
tener conto del potere dispersivo, è quella delle incertezze delle mi- 
sure, la quale fa sì che spesso si debba restare in dubbio se si tratti 
di una vera e propria particolarità inerente alla sostanza o alla so- 
luzione o di un errore di osservazione. Questo è appunto il caso 
del santonato propilico, quanto ai coefficienti di dispersione , e del 
potere rotatorio molecolare del parasantonato allilico rispetto alla 
riga GC. Si hanno delle anomalie, ma non si può affermare se sieno 
o no colpa degli errori di osservazione. Venendo in modo partico- 
lare ai composti santonici per i quali da Carnelutti e da me erano 
state notate alcune variazioni regolari nei poteri rotatorî molecolari, 
e precisamente che per gli eteri dell’ acido santonico e parasanto- 
nico l'aumento di Cli, produce una diminuzione costante nel petere 
rotatorio molecolare , «i resultati dei miei studi non contraddicono 
alle conclusioni che noi traemmo dalle nostre esperienze eseguite 
rispetto alla riga D.-Per tutti gli eteri dell’acido parasantonico che 
ho studiato i coefficienti di dispersione non potrebbero essere più 
concordanti, quindi la differenza costante trovata per la riga D tra 
i parasantonati metilico, etilico e propilico si manterrà pure costante 
per le altre righe e soltanto il suo valore sarà diverso. E quindi 
credo che si possa in modo assoluto dire che l'aggiunta di un CH, 
nella molecola per gli eteri dell’acido parasantonico e santonico pro- 
duce un abbassamento graduale e presso a poco costante del potere 
rotatorio molecolare. In altri casi invece sembra che produca un au- 
mento costante: questo è il caso degli eteri metilico , etilico e pro- 
pilico dell’ucido tartarico. Nè questo deve far meraviglia giacchè in 
fondo è conforme alla spiegazione che del potere rotatorio delle so- 
stanze organiche dà la teoria di Le Bel e di Van’t Hoff. 





474 


Le determinazioni fisiche relative a questo Javoro sono state 
eseguite nell'Istituto fisico della R. Uni¥ersita di Roma: la prepara- 
zione e purificazione delle sostanze nell’ Istituto chimico di questa 
medesima Università. 


RIVISTA DEI LAVORI DI CHIMICA 


PUBBLICATI IN ITALIA 


—Db—_ 


Stefano Capranica. Contribuzione alla chimica del sudore. (Bullet- 
tino della R. Acc. medica di Roma. Anno VIII n. 6, 1882). 

Per meglio affermare l'analogia che passa tra i reni e le glandole 
sudoripare, l’autore ha provato se nel sudore si trova la creatinina, che 
come si sa, è uno dei coinponenti normali dell’urina. Egli ha sperimen- 
tato sopra circa 450 cc. di sudore, che svaporò nel vuoto fino a 1/; del 
suo volume; precipitò in seguito con alcool assoluto, filtrò e sul residuo 
ottenuto dall’ evaporazione del filtrato ottenne col processo del Will la 
reazione della creatinina. D’ altra parte l’ autore non crede che ci sia 
relazione di sorta tra l’acido urico e l’acido sudorico , ma ritiene piut- 
tosto, che questo sia un prodotto ossidato dall’ac. glutamico 2(C;HyNO,)-+- 
O;=CioHigNe013+Hs0, e probabilmente identico all’ acido criptofanico 
CsHgNO; trovato da Thudicum nell’urina. 

P. Giacosa. Sugli albuminoidi del vitreo nell'occhio umano; (Gior- 
nale della R. Acc. di medicina di Torino). 

De! vitreo umano non si conosceva nella scienza che l'analisi data 
del Lhomeyer. L'A. ha ripreso l'argomento, e a meglio definire le so- 
stanze che lo costituiscono ha cominciato dallo studiarne i prodotti della 
putrefazione. Però le ricerche fatte allo scopo di identificarli riuscirono 
infruttuose, perchè si ottennero sempre quantità non sufficienti nem- 
meuo per stabilire una reazione, 

Nel vitreo normale invece ha potuto costatarela presenza della mucina, 
di una globulina, come anche di una sostanza albuminosa analoga all’al- 
bumina del siero. Infine l’A. considerando la debole proporzione di al- 
buminoidi che si contiene nel vitreo, ritiene che la viscidità di questo 
umore sia dovuta all'eccesso dei sali sugli albuminoidi. 

P. Giacosa. Sulla composizione chimica dell'uovo e dei suoi invilup- 
pi preeso la rana comune; (Archivio per le scienze mediche v. VI, n. 19.) 

I. Sull’inviluppo mucoso dell'uovo. Per isolare l'inviluppo l' autore 
tiene immerse per alcune ore le uova nell’acqua di calce: l’inviluppo vi 
si discioglie mentre i tuorli si depositano al fondo. Trattando la solu- 
zione filtrata con acido acetico al 10 0/, ottenne un precipitato fioccoso, 
che, lavato ripetutamente con acqua acetica e con acqua pura, diede al- 
l'analisi C=52,7 H=7,1 N=9,33 S==1,32, ceneri =0,62, pei quali l’autore 
conchiude che si tratta di una mucina, Essa si mostra refrattaria alla 
putrefazione, non riduce i sali di rame che in seguito ad ebollizione con 
acido solforico diluito. L'autore si propone di studiare i prodotti di que- 


472 


sto sdoppiamento; pertanto non avendo potuto nell’inviluppo costatare 
altre sostanze, conchiude che™’inviluppo dell’ uovo della rana si com- 
‘ ponedi mucina pura. Anche dall’ovidutto della rana egli riusci ad estrarre 
una mucina che quantunque differisca dalla precedente per la compo- 
sizione centesimale, ha con essa comuni tutti gli altri caratteri. 

Vincenzo Cervello. Sull'azione fisiologica della paraldeide e con- 
tributo allo studio del cloralio idrato. (Archivio per le scienze me- 
diche, vol. VI n. 12.) 

L’a. studia pel primo l’azione fisiologica della paraldeide, trova che 
essa 6 ipnotica e agisce in modo simile al cloralio, però non abbassa 
la pressione sanguigna anche a dosi elevate. Il sonno paraldeico è cal- 
mo, non accompagnato nè seguito da disturbi, è affatto simile al fisio- 
logico. La paraldeide è assorbita, per la via dello stomaco pel retto e pel 
tessuto sottocutaneo. L’a. ammette che essa agisca sugli emisferi cere- 
brali e poi sul midollo allungato e sul midollo spinale; la raccomanda 
per la terapia come un ecellente surrogato del cloralio al quale deve 
preferirsi. 

Eugenio Di Mattei. Sulla pretesa azione tossica delle soluzioni a- 
Cquose degli organi animali freschi; (Arch. per le Sc. med. v. VI, n. 15). 

L’a. mostra con numerose esperienze che i fenomeni di avvelena- 
mento consecutivi alle iniezioni delle soluzioni acquose di organi freschi 
(sotto la cute, nelle vene, nel cavo peritoneale) non sono dovuti a un 
quid tossico che si contiene in detti organi, per come si crederebbe dalle 
esperienze di Pellecani , ma provengono da una azione puramente in- 
fettiva determinata dalla azione e decomposizione dei materiali insolu- 
bili, disfatti e alterabili che si trovane in sospensione nei liquidi iniettati(1). 

Infatti spogliando il succo torbido dai materiali solidi, sia per filtra- 
zione, sia per evaporazione per inezzo del calore e iniettando la parte 
liquida, la morte non sopravviene. L’a. sperimenta anche in altro modo: 
inietta sotto la cute di un animale il succo fresco di un organo ridotto 
in poltiglia e non filtrato e dopo un tempo più che sufficiente perché 
tutta la parte liquida sia assorbita, incide largamenta la pelle nel punto 
di iniezione e lava con acqua fenata in modo da togliere i materiali so- 
lidi che restano sotto la cute. Ebbene operando così non si ebbe la morte 
e non si osservarono che gli effetti dovuti al tracuna. 

S. Pagliani. Sulla determinazione del peso specifico dei corpi 
solidi e liquidi col metodo della boccetta. (Rivista scientifico idustriale 
e Giornale del Naturalista. Anno XV, fasc. 2). 

L'autore fa notare una causa d’errore nella quale si può incorrere 
usando le boccette di vetro sottile a fondo piano, nella determinazione 
dei pesi specifici dei solidi e dei liquidi. 

Egli ha potuto constatare che siffatte boccette (comunissime in com- 
mercio) piene di liquido, subiscono delle variazioni sensibilissime di livello, 
comprimendo pur leggermente il fondo; e, volendo determinare di una di 


(1) Questo concetto fu già da me annunziato in maggio 1881 in seno 
alla R. Commissione per l'accertamento pei reati di veneficio, e trovasi 
inserito nei relativi verbali. E. PATERNÒ. 


478 


queste boccette , la capacità a 0°, ha osservato che il livello a 0° era 
al di sopra di quello alla temperatura ordinaria. 

Raccomanda quindi per i liqnidi, di preferirsi invece le boccette de- 
scritte da Regnault (Ann, Chem. Phys. (3) 9, 438); nel caso poi chè si sia 
costretti di adoperare, come per i corpi solidi, le boccette ordinarie, rac- 
comanda di costatare prima se esse presentano l'accennato inconveniente, 


Atti del R. Istituto Veneto 
t. VIII, 1882—Dispensa 9 e 10. 


In queste due dispense, che completano I’ annata 1882, di Chimica 
non sono contenute che due memorie del Prof. P, Spica già pubblicate 
in questa Gazzetta, 


Rendiconto del R. Istituto Lombardo. 


. t. XV, 1882, fasc. XVII a XX. 





In questi fascicoli che completano Il’ annata 1882 è contenuta una 
sola memoria di Chimica: (sui derivati dell’olivile) dei prof. Koerner e 
Carnelutti, che sarà riprodotta per intero in questa Gazzetta. 


Rendiconti della R. Accademia delle Scienze di Napoli 
Anno XXI, 1882, fasc. 9 a 12 


Ricerche sulle sostanze grasse delle castagne comuni; di P. Ma- 
lerba, p. 183-184. 

L'autore conchiude che le castagne secche contengono almeno il3 0/ di 
sostanze grasse, in gran parte liquide, dell’aspetto dell'olio ed in inno 
parte solide, e che a quanto sembra nella farina di castagne, con l’in- 
vecchiare aumenti la quantità di grasso e si formino degli acidi grassi 
liberi. 

Sintesi degli acidi acetilfenilparacumarico e fenilparacumarico; 
di A. Oglialoro, p 184-185. 

Si forma il primo di questi acidi scaldando aldeide paraossibenzoica 
con anidride acetica ed alfatoluato sodico, ed il secondo da esso per ebol- 
lizione con acqua di barite. 

L'acido acetilfenilparacumarico si fonde a 170°, il fenilparacumarico 
a 219°, 

Sopra alcuni derivati dell'acido paracresolglicolico ; di M. Na- 
politano, p. 185-188. V. Gazz. Chim. t. XIII, p 73. 





174 
Accademia delle Scienze di Bologna. 


T. Ill, 1882, fase, 1° e 2. 





Determinazione del bromo in presonza di forti quantita di clo- 
ruri; di Alfredo Cavazzi, p. 181-192. 

In una precedente nota l’autore aveva già accennato al processo, 
ch'è oggetto della presente, e che consiste nell'impiego dell’acqua ossi- 
genata (da una soluzione di BaO» nell’ ac. solforico diluito) per mettere 
in libertà il bromo da un miscuglio di bromuri e cloruri alcalini in cui 
abbundino questi ultimi. 

I fatti su cui è fondato il metodo proposto dall'A. sono i seguenti : 

4. Un miscuglio formato di cloruro potassico (gran quantità) bios- 
sido di bario e acido solforico diluito, ha la facoltà a 100° di scacciare 
tutto il bromo, senza spostare il cloro o .spostandone delle piccole 
quantità. _ 

2. | vapori di bromo trasportati da una corrente di aria sono assor- 
biti in modo rapido e completo da una soluzione cloridrica di acido ar- 
senioso. ° 

Per la riuscita dell’operazione sono inoltre necessari i seguenti reat- 
tivi: 

a) Del biossido di bario anidro e contenente dal 63 al 64 %, di Ba0,. 

6) Una soluzione di acido solforico fatta con 2 volumi di acqua per 
un volume di acido solforico monoidrato. 

c) Del cloruro e del bromuro potassico perfettamente puri e secchi. 

d) Una soluzione cloridrica di anidride arseniosa precedentemente su- 
blimata e tale che in ogni 20 cc. di soluzione sia contenuta gr. 0,10 di Ass0y. 

c) Una soluzione di permanganato potassico contenente gr. 3,55 di 
permanganato disseccato a 100° per ogni litro di acqua distillata. 

Anzi tutto si determina la forza ossidante della soluzione di perman- 
ganato, trovando quanti cc. di esso sono necessarii per ossidare 20 cc. 
del liquido arsenicale diluito e bollente. 

L’ autore ha trovato che sono necessari sempre cc. 18,20 di solu- 
zione di permanganato per manifestare una tinta rosea o gialla perma- 
nente nei ‘0 cc. di soluzione arsenicale 

Posto ciò mediante semplici calcoli si deduce che tcc. della mede- 
sima soluzione di permanganato corrispondea 0,00888 di Br. 

L'apparecchio di cui si serve l’autore nei suoi dosamenti è sem- 
plicissimo. 

È costituito di un pallone della capacità di 350 cc. contenente un 
turacciolo con 2 fori, attraverso uno dei quali passa un tubo che va fino 
in fondo, nell’altro s'impegna un tubo piegato due volte a gomito che 
comunica con un tubo ad U vuoto e che alla sua volta comunica con 
un altro ad U, ove si pongono i 20 cc. della soluzione arsenicale. A 
quest’ultimo 6 attaccato un aspiratore. 

Il palloncino riceve il miscuglio ossidante e il tubo che rimane vuoto 
e serve a scomporre i vapori di acqua ossigenata che si sviluppano dal 
palloncino.A tal uopo, al momento dell'esperienza, tanto il pallone quanto il 


| 175 
il tubo ad U vuoto vengono immersi in un bagno di acqua bollente e 
viene regolata la corrente del gas convenientementg 

Facendo l’esperienze senza bromuro e con gr. 2 di cloruro sodico, 
l’autore ha trovato che dopo 20 minuti di scaldamento del pallone, per 
ottenere il coloramento roseo della soluzione arsenicale, occorrono co- 
stantemente non più cc. (8,20, ma solo 18 cc. 

Ha in seguito istituito varie esperienze facendo variare la quantità 
di bromuro da gr. 0,05 a gr. 0,20 ed ha trovato sempre una perfetta 
coincidenza tra i dati teorici e i risultati sperimentali, tenendo conto 
della correzione dei cc. 0,20, costante per piccole quantità di bromuro, — 
e che diventa incalcolabile per quantità di bromuro superiori ai gr.0,04. 

Siccome il caso più frequente è quello di dover cercare piccole 
quantità di bromo in presenza di quantità più o meno grandi di cloruri, 
così l'A. consiglia, prima di ricorrere a] metodo testè descritto, d’impren- 
dere sul miscuglio una operazione preliminare, detta di concentrazione 
del bromo, la quale può anche servire come determinazione approssi- 
mata di essa. 

Il metodo proposto dall’autore è del Figuier, ed è fondato sulla pro- 
prietà che ha l’acqua di cloro di spostare, mediante l’ebollizione, tutto il 
bromo dai bromuri aloalini. 

Dal volume dell’acqua di cloro impiegato si deduce il peso del bromo. 
Il bromo si raccoglie in palloni contenenti ammoniaca e si può in se- 
guito determinare più esattamente. 

Nel caso si abbiano pure dei joduri mescolati ai cloruri e ai bro- 
muri bisogna separare prima il jodio mediante la soluzione acetica di 
biossido di bario e il solfuro di carbonio , come l’ A. ha esposto in una 
nota precedente. 

La soluzione contenente cloruro e bromuro si stempera con calce 
pura e polverosa fino a reazione alcalina, si svapora quindi a secco 
e si calcina per trasformare gli acetati di bario e calcio in carbonati. Si 
riprende con acqua bollente, si filtra e nella soluzione sicerca il bromo 
col metodo sopra descritto. 





Rivista di Chimica Medica e Farmaceutica 
Vol. I, 1883. 


(Fase, 1°,gennaro 1883). Appunti di Chimica fisiologica del prof. 
A. Herzen, p. 1. 

Solubilità della stricnina e preparazione di alcuni suoi sali; di 
P. Crespi, p. 8. 

L'a. ha determinato la soluzione della stricnina alle temperature: 
ordinaria, 56° (vap. d’acetone), 78° (vapor d’ alcool assoluto e 98°,5 (va- 
por d’acqua) in vari solventi cioè: alcoli metilico, etilico ( assoluto e di 
varia concentrazione) propilico, isobutilico, amilico, benzina, toluene, xi- 
lene, mesitilene, cimene, etere del petrolio, idruro di amile e di essile, 
acqua, etere, cloroformio, tetracloruro di carbonio, solfuro di carbonio. 
Egli ha trovato che l’acqua scioglie a 14°,5 p. 0,025 dell’ alcaloide, che 


196 
l'alcool assoluto ne scioglie da 0,302 a 0,325 a 8°,25 e 10,5, 0,975 a 56° 
e 1,846 a 78°; che Z'alcool amilico, uno dei migliori solventi, ne scioglie 
0,525 9/) a 119,75 e 4,262 a 98°, 5; che nell’alcool diluito la solubilità cre- 
sce col crescere dell’acqua sino a 85° dell’areometro Gay-Lussac e torna 
a diminuire per una diluizione maggiore ecc. ecc. 

In quanto ai sali, l'autore prepara e descrive i seguenti: succinato 
neutro: C4yHg0,Srs{-6 !/,H20; malato neutro: CsHgOsSre+3 1/ H20; pirotar- 
trato neutro CgHgO,Sr,+3 1/5H30 e ftalato, che non fu analizzato. 

Localizzazione dell’arsenico nell'organismo ia un caso di avve- 
‘ lenamento; di J. Guareschi, p. 17. 

Dalle esperienze di Scolosuboff (Bulletin, t* XXIV, p. 124, 1875) ri- 
sulterebbe che l’arsenico si accumula principalmente nel sistema ner- 
voso, mentre che secondo Johnson e Chittenden (Ann. Chem. Journ. t. H, 
p. 332, 1880) va a localizzarsi nei reni e nel fegato, e secopdo quelle di 
Ludwig (Sehmidt’s Jahrbùcher, 1881, p. 189) si localizza principalmente 
nel fegato e si rinviene pure nelle ossa. 

‘L'autore avendo esaminato accuratamente i visceri di un individuo 
morto per avvelenamento arsenicale, ha trovato che per 100 p. lo sto- 
maco conteneva 0,0165 di arsenico, il fegato 0,00105, l'intestino crasso 
0,00133, i polmoni ed il cuore 8,0006, i muscoli 0,00011 ed il cervello tracce 
soltanto, onde risulta che l’arsenico tende ad accumularsi principalmente 
nel fegato, e che si trova anche in quantità notevole nei polmoni e reni. 

(Fasc. II, febbraro 1883). Sopra i germi contenuti nell'aria a 
grandi altezze; di P. Giacosa, p. 41. 

Queste esperienze furono eseguite sulla vetta del monte Marzo(2756m. 
sul livello del mare) ed ai piedi dello stesso monte (2300 m. sul livello 
del mare); eccone i risultati : 

Gli schizomeceti esistono in minore quantità nell’ altezza maggiore. 

In qualche periodo dell'esperienza (primi tre giorni d' agosto) l’aria 
sulla vetta del monte conteneva germi di lieviti ed anche ai piedi, l’aria 
mostrò, in qualche caso, contenere delle cellule del lievito. 

I germi delle muffe più comuni sono ugualmente abbondanti nelle 
due altezze. 

Non si rinvennero mai forme che si potessero classificare con cer- 
tezza come appartenenti ad organismi animali. 

Sul potere ipnotico della paraldeide; di P. Albertoni p. 44. 

Le ptomaine. Ricerche chimiche, fisiologiche e medico-legali ; 
di I. Guareschi ed A. Mosso, p. 54. 

Questa memoria sarà pubblicata per intero nella Gazzetta Chimica, 





Sui velumi molecolari delle sostanze liquide; 


memoria di ROBERTO SCHIFF. 


Le numerose ricerche falte in quest’ ultimi anni per scoprire 
le leggi che regolano la dipendenza delle proprietà fisico-chimiche 
dei corpi dalla loro costituzione molecolare , si sono rivolte princi- 
palmente al vasto campo delle combinazioni del carbonio . Solo ll 
possiamo riunire serie abbastanza numerose di osservazioni , rife- 
rentisi a sostanze contenenti gli stessi elementi, che tra loro diffe- 
riscano di quantità costanti o che abbiano delle diversità di conca- 
tenazione ben note e tra loro confrontabili. Nella Chimica minerale 
non troviamo che relativamente pochi composti, costituiti dagli stessi 
elementi, i casi di isomeria sono rarissimi e spesso le proprietà dei 
composti inorganici mal si prestano alle investigazioni fisico-chimi- 
che. Ben inteso ch'io faccio qui'astrazione dei gaz che, come tutti 
sanno, hanno fornito il materiale per la creazione della teoria ci- 
netica , la quale in oggi compendia tutte le nostre conoscenze di 
meccanica molecolare. 

Dagli studi di Linnemann (4), Schroeder, Landolt, Schreiner, 
Henry ed altri molti, si è potuto rilevare una serie di leggi,-o se 
vogliamo dire, di regolarità che mostrano come il punto di ebolli- 
zione di un liquido sia una funzione, non solamente del suo peso 


melecolare ma anche della concatenazione degli atomi nel corpo della. 


molecola. A risultati simili conducono le considerazioni di A. Bae- 
yer, Jungfleisch, ed altri sui punti di fusione delle sostanze solide. 

Gli studi sulle proprietà ottiche delle sostanze organiche di Ber- 
thelot, Landolt, Gladstone e specialmente di Brilh] , ci hanno fatto 
conoscere le strette relazioni che passano tra la concatenazione ato- 
mica di una sostanza e la sua facoltà di trasmettere la luce. Sarebbe 
troppo lungo se io volessi dare qui un ragguaglio, anche sommario, 
dei tanti lavori eseguiti in tutti i rami della disciplina fisico-chimica, 
mi limiterò solo nel corso di questa memoria, ad accennare quelle 


(1) Tutte le note bibliografiche si troveranno riunite alla fine della 
memoria, ° 


23 


478 
tre le molteplici ricerche fatte, che abbiano fornito dei risultati che 
stiano in qualche rapporto con quelli che sto per esporre. 

Da quando H. Kopp pubblicò i suoi classici lavori sui volumi 
molecolari ed atomici, solo pochissimi sperimentatori si sono occu- 
pati di questo argomento. Se vogliamo eccettuare le belle conside- ‘ 
razioni fatte in proposito da Lothar Meyer, quasi nessun tentativo 
è stato fatto, per ottenere da questi studî risultati di pratica im- 
portanza per lo studio della concatenazione atomica che pure in oggi 
costituisce uno degli scopi più elevati della chimica teorica. Secondo 
le ricerche di H. Kopp, gli spazi occupati da quantità proporzionali 
ai pesi molecolari, di sostanze organiche liquide, saranno confron- 
tabili allorquando questi spazi stessi saranno misurati a temperature 
alle quali Je tensioni di vapore di tutti questi liquidi, saranno uguali. 
Fino ad ora si è sempre prescelta quella temperatura alla quale la 
tensione fa equilibrio alla pressione atmosferica, ossia si sono con- 
frontati gli spazi occupati dai pesi molecolari dei liquidi al loro punto 
di ebollizione. Per fare questo bastava determinare il peso specifico 
di un dato liquido al suo punto di efollizione, relativamente all’ a- 
cqua a 4 gradi, e dividere il suo peso molecolare per la densità 
trovata: il quoziente esprimerà il volume molecolare cercato. 

Peso molecolare 
Peso specifico 

É ben naturale che i valori così ottenuti non saranno una mi- 
sura assoluta del volume reale della molecola allo stato liquido. Essi 
non sono che valori relativi o proporzionali, dei quali per ora non 
sappiamo neppure se si riferiscono alle vere dimensioni delle mo- 
lecole e dei loro componenti, oppure, come appare assai più proba- 
bile, al più piccolo spazio richiesto da questi corpuscoli nelle condi- 
zioni date. 

Ma ciò non ostante essi meritano tutta la nostra attenzione , 
specialmente dacchè Loschmidt, L. Meyer e Oscar Emil Meyer hanno 
fatto vedere l'intimo rapporto che esiste tra i valori così ottenuti e 
le deduzioni dalla teoria cinetica e specialmente dallo studio del- 
l'attrito interno dei gaz. 

Mediante il metodo accennato, H. Kopp ha determinato i volumi 
molecolari di un grande numero di liquidi organici e confrontando 
tra loro i risultati ottenuti, ha creduto di potere dedurre i volumi 
atomici dei singoli elementi. Egli calcolò così: 

C= 41 CI=228 O= 78 oppure 12,2 
H= 55 Br=27,8 S = 23 oppure 28,6 
Mentre ammette variabile il volume atomico dell’ ossigeno e dello 


= Volume molecolare. 


479 


solfo seconde la posizione di questi atomi nelle molecole, credo in- 
rece che il carbonio, l'idrogeno, il bromo ed il cloro siano di vo- 
lume invariabile. 

Partendo dal concetto cle il volume molecolare non sia altro 
che la somma dei volumi atomici dei composti, egli determina a priori 
il volume molecolare delle sostanze per semplice addizione dei sin- 
goli volumi atomici. In alcuni casi, i volumi così calcolati coincidono 
abbastanza bene coi valori trovati sperimentalmente, ma Il più delle 
volte la differenza tra il volume trovato e quello calcolato mediante 
la regola di Kopp, è assai grande ed il distacco ‘oltrepassa di molto 
i limiti di errore assegnabili ai diversi sperimentatori. 

Condotti da queste considerazioni più volte si è tentato di in- 
dagare se realmente questo rapporto tra la composizione di una so- 
stanza ed il suo volume, sia tanto semplice quanto lo farebbe parere 
la regola di Kopp. Finora però sono stati infruttuosi i tentativi fatti 
in questo senso. 

Riferisco in poche parole le conclusioni dedotte da Kopp dalle 
sue ricerche: 

4. I volumi molecolari delle sostanze omologhe , per ogni uu- 
mento di CH, aumentano in media 22 unità. 

2. La sostituzione di H, a C in una combinazione non ne al- 
tera il volume molecolare. 

3. I volumi molecolari di isomeri (appartenenti ad uno stesso 
tipo), sono identici. 

4. La sostituzione di H, a O non pare che alteri molto i vOo- 
lume molecolare. 

Gli sperimentatori che oltre a Kopp, principalmente si sono 
oceupati della determinazione di volumi molecolari furono Pierre, 
Buff e Thorpe i quali tutti adopcrarono il metodo cosidetto dilato- 
metrico e i risultati dei quali combinano generalmente assai: bene. 
Buff fu il primo ad attaccare il concetto dell’invariabilità del volume 
atomico e specialmente concentrava Ja sua attenzione sui cosidetti 
legami doppi tra carbonio e carbonio , dei quali egli era persuaso 
che dovessero aumentare il volume molecolare. Ma il suo materiale 
sperimentale era insufficiente ed il metodo d’investigazione seguìto, 
disadatto per potere riuscire nel suo intento. Il suo modo di vedere 
era del resto confortato dal fatto che Kopp aveva trovato per un 
atomo d'ossigeno legato colle sue due valenze a due altri atomi, un 
valore medio assai minore (7,8) che non per uno che avesse legato 
le sue due valenze ad uno stesso atomo p. es. di carbonio (C=0). 
‘Il suo volume medio diventava così 12,2. È qui forse l’esistenza di 





180 


questo doppio legame che accresce il volume atomico? Del resto sa- 
rebbe forse più esatto di esprimere questo fatto dicendo che per 
esempio il gruppo C—O— ha il volume 18,8=14 + 7,8 ed il gruppo 
C=0 il volume 28,2==414 + 42,2. Lo stesso si potrebbe dire per le 
due forme di combinazione dello zolfo e per l'azoto che, stando ad 
alcune determinazioni di Ramsay, può, secondo la natura del gruppo 
che lo contiene, portare contributi variabili al volume intero mo- 
lecolare. Jungfleisch , studiando i prodotti di sostituzione clorurati 
nella benzina fece vedere che il primo, terzo e quinto atomo di cloro, 
producono un aumento maggiore che non il secondo, quarto e se- 
sto. Anche Vollmar per i prodotti di clorosostituzione dell’ etane 
fece osservazioni simili. Thorpe nei suoi bellissimi lavori sui coef- 
ficienti di dilatazione dei liquidi, fece osservare delle variazioni nei 
volumi molecolari di idrocarburi isomeri, venendo così ad infirmare 
una delle conclusioni di H. Kopp. Anche F. D. Brown e Schroeder 
pubblicarono delle considerazioni ed esperimenti analoghi. 

Era questo all' incirca lo stato di sviluppo delle nostre cono- 
scenze sui rapporti tra i volumi molecolari e la costituzione delle 
sostanze da un lato, ed il possibile variare dei volumi atomici dal- 
l’altro, quando I. W. Brithl, pubblicò le sue importanti ricerche sulla 
relazione che passa tra la costituzione delle sostanze organiche ed 
il loro potere di trasmettere la luce. 

Si può riassumere sommariamente i risultati di queste ricer- 
che nelle proposizioni seguenti: 

4. In sostanze isomere il punto di ebollizione, la densità e l'in- 
dice di rifrazione hanno un andamento analogo Queste costanti di- 
ventano tanto più piccole, quanto più |’ architettura della molecola 
devia dalla direzione normale e si ramifica, ed acquistano il valore 
maggiore in quell’isomero che è formato da una calena normale, in- 
terrotta di atomi di carbonio. 

2. Tutte le costanti ottiche dei composti organici, (rifrazione 
atomica del carbonio, rifrazione molecolare ecc.) sono aumentate di 
un valore costante per ogni cosidetto legame doppio che si trovi 
nella molecola. 

8. Le proprietà ottiche delle sostanze trovano un riscontro 
esatto nelle proprietà termiche delle sostanze stesse. I valori espri- 
menti i calorici di ccmbustione variano sempre parallelamente, ¢ 
nello stesso senso, col variare delle costanti ottiche. E sia notato 
che ciò avviene principalmente anche per le sostanze contenenti 
dei legami doppi, le quali mostrano degli incrementi nelle costanti 
ottiche come anche nei calorici di combustione. 


184 


Vedendo questo intimo legame che esiste fra tutte le manife- 
slazioni delle proprietà fisiche finora studiate , era ben naturale il 
pensiero che questo parallelismo non potesse fermarsi lì, ma che 
con ulteriori studi si avrebbe potuto costatare nuovi nessi tra le 
costanti fisiche di sostanze analoghe. 

I capitoli che, tra gli altri, reclamavano |’ operosità degli stu- 
diosi erano i volumi molecolari e la tenacità dei liquidi, misurabile 
dal tempo che mettono dati pesi di essi a percorrere un tubo ca- 
pillare in date condizioni costanti. Queste ultime ricerche sono state 
intraprese dai sigoori- Pribram e Handl, i quali ne ottennero già 
dei risultati degni di grande interesse, 

Nell’altre campo di studio . quello cioè dei volumi molecolari, 
vi erano già alcuni indizi molto vaghi sul rapporto tra la costitu- 
zione ed il volume , giacchè come sopra dissi, Buff aveva emesso 
l'opinione che le sostanze non sature dovessero mostrare un in- 
cremento nel volume, ina non gli fu possibile di dare veruna 
prova concludente della sua asserzione. Più tardi Thorpe, basandosi, 
sopra i suoi esattissimi ma non abbastanza numerosi studi , fece 
vedere che tra gli idrocarburi isomeri e saturi della serie grassa, quello 
normale possedeva probabilmente un volume molecolare maggiore, 
di quello a catena ramificata. Anche H. Schroder fece delle osserva- 
zioni in questo senso, senza però poterle appoggiare mediante un 
materiale sperimentale. 

Spinto da queste considerazioni mi proposi di radunare quante 
osservazioni mi sarebbe stato possibile, nella speranza di potere 
collo studio di queste, portare un piccolo contributo al compimento 
della vasta opera intrapresa dai chimici e che promette di dare alla 
scienza un metodo di investigazione fisica, non inferiore a quello 
chimico per riconoscere ciò che chiamiamo la costituzione dei corpi. 

Il metodo fin qui seguito per la determinazione del peso spe- 
cifico dei liquidi al loro punto di ebollizione riferito all'acqua a zero 
o a quattro gradi, è stato quello dilatometrico. Esso consiste nel de- 
terminare l’aumento che subisce un dato volume di liquido a zero, 
preso per unità, riscaldandosi da zero fino al punto di ebollizione. 
Si studiava questo accrescimento per un certo numero di lempera- 
ture comprese tra zero ed il punto di ebollizione e partendo da que- 
sti dati, si calcolava il volume alla temperatura estrema voluta. 
Questo metodo è esaltissimo alla condizione che le osservazioni siano 
fatte a un numero sufficiente di temperature diverse e che siano 
spinte possibilmente fino a poco distanza dai punti di ebollizione. 
Senza questa avvertenza il risultato potrebbe riescire erroneo, giac- 


182 
i coefficienti di dilatazione dei corpi spesso subiscono una notevole 
alterazione in prossimità delle temperature alle quali avviene ua 
cambiamento di stato di aggregazione. _ 

Questo metodo dilatometrico richiede degli apparecchi speciali 
assai costosi e oltre ai lunghissimi calcoli necessari per ogni spe- 
rimento, il tempo che consuma è tale, che molti giorni bastano ap- 
pena per lo studio esatto di una sola sostanza. Se dunque si avesse 
voluto radunare un grande materiale sperimentale, seguendo la strada 
indicata, sarebbe certo trascorso qualche anno, prima che il numero 
dei risultati raccolti fosse stato tale, da permettere di tirarne qual- 
che conclusione di generale importanza. 

Per queste ragioni io mi adoperai a cercare un metodo per la 
determinazione diretta dei pesi specifici dei liquidi al loro punto di 
ebollizione, che pure essendo di facile e brevissima esecuzione, non 
fosse però per nulla meno esatto del metodo antico. L’ apparecchio 
immaginato per questo scopo ha la forma di un piccolo dilatometro, 
esso, come anche il modo di adoperarlo furono già descritti in que- 
sto Giornale (1) di modo che posso passare oltre senza ripeterne la 
descrizione. Solo vorrei aggiungere che dopo avere eseguito con que- 
stu metodo assai più di 200 determinazioni, posso assicurare che 
la precisione della quale si è mostrato suscettibile , ha oltrepassato 
tutte le mie aspettazioni. Ho determinato il volume molecolare di 
moltissime sostanze che erano già state studiate da Kopp o da Pierre 
o da Thorpe e sempre i miei risultati combinano esattamente con 
quelli di quei scienziati. Accanto ai miei risultati porrò sempre co- 
me termine di confronto , i risultati ottenuti da questi o da altri 
sperimentatori, dimostrando così che, essendo confrontabili i loro ed 
i miei numeri, potrò, con piena sicurezza, fare uso anche delle de - 
terminazioni loro, partendo sopra sostanze da me non studiate, 
quando, in ultimo , per la via dei confronti cercherò di rinvenire 
le relazioni che passano tra i volumi specifici e la costituzione mo- 
lecolare. . 

Per ottenere dei risultati esatti, era naturalmente di prima im- 
portanza di possedere tutte le sostanze in istato di perfetta purezza. 
‘Ho dunque adoperato la massima cura nella loro purificazione , e 
nella grande maggioranza dei casi, credo di essere riescito ad avere 
degli esemplari inappuntabili. Siccome è a così dire impossibile di 
conseguire una separazione netta di due o più sostanze liquide me- 
diante la distillazione frazionata, ho evitato assolutamente di ser- 


(1) Gassetta Chimica XI, 1881, p. 517. 


188 


virmene e Javorando per sintesi ho cercato di mettermi sempre in 
condizioni tali, chr oltre alla sostanza desiderata non se ne potesse 
formare nessun'altra, che si fosse dovuta eliminare per distillazione. 

Ho fatto però un eccezione per l'etere il quale spesso fu ado- 
perato come solvente per liquidi, purchè questi non bollissero a una 
temperatura inferiore a 150-160 gradi, dimodochè risultava facile 
una completa separazione. € | 

Quel che ho detto si riferisce specialmente agli idrocarburi i 
quali tutti, salvo due o tre eccezioni, mi sono preparato da me. Non 
pochi prodotti mi furono spediti in istato di assoluta purezza dalla 
rinomata fabbrica Kahlbaum di Berlino. ll direttore di questa ebbe 
la grande cortesia di fare ridistillare ner me tutti i prodotti deside- 
rati e di non mandarmi che campioni di un punto di ebollizione 
assai costante. Molte sostanze purissime mi furono inviate dal Si- 
goor I. W. Briihl, professore a Lemberg, il quale con squisita 
gentilezza, mise a mia disposizione il grande materiale, raccolto 
per i suoi studi sulle proprietà ottiche delle combinazioni del car- 
bonio. A questi dunque come anche al signor O. Jacobsen, profes- 
sore a Rostock, che gentilmente volle favorirmi alcuni campioni di 
xileni, io esprimo la mia viva riconoscenza. 

Per assicurarmi della purezza delle mie sostanze ho creduto 
di dovermi attenere al metodo seguito dal Thorpe, il quale pre- 
ferisce di determinare la densità del vapore dei suoi composti, piut- 
tosto che sottoporli alla analisi organica. Se questo procedere era 
indicato per Thorpe, lo era certamente molto di più ancora per me, 
giacchè lavorando io molto con idrocarburi, upa combustione non 
mi avrebbe fornito nessun criterio della purezza delle mie sostanze. 
Infatti un dato idrocarburo potrebbe essere mescolato con più del 
20 o del 30 per cento di un suo omologo inferiore o superiore senza 
che questo influisse sensibilmente sui risultati dell’analisi. 

La densità del vapore invece è un criterio finissimo per scoprire 
anche quantità relativamente piccole di prodotti estranei misti a 
quello principale. 

Il metodo usato per queste determinazioni è stato quello como- 
dissimo di V. Meyer, per spostamento di aria. I liquidi usati per, 
il riscaldamento dell'apparecchio erano, secondo i casi, acqua, xilene, 
cumol grezzo, bollente tra 160-166°, e benzoato d’etile. 

I punti di ebollizione indicati in questa memoria sono tutti, 
senza eccezione, determinati immergendo tutta la colonna del mer- 
curio nei vapori delle sostanze. A questo scopo mi sono servito di 


184 
una serie di 4 termometri esattissimi calibrati, tre dei quali sono 
divisi in quinti di grado, ogni quinto lungo 2 millimetri, dimodo- 
chè era facile apprezzare il decimo e anche il ventesimo di grado. 
I 4 termometri erano frazionati come segue : 

4) 0°—50° 2) 50°—100° 3) 100°—150° 4) 100°—250° diviso in!/, gradi. 

Ripetutamente furono verificati i punti fissi di questi istrumenti 
e sempre trovati sufficientemente esattigalmeno non si osservarono 
variazioni che potessero essere superiori a un quarantesimo o tut- 
t'alpiù a un trentesimo di grado. Le indicazioni barometriche s’ in- 
tendono tutte ridotte a zero. Non. ho corretti i punti di ebollizione 
per la differenza tra |’ altezza barometrica osservata e quella nor- 
male essendo assai piccola l’influenza di queste variazioni sul risul- 
tato finale: si vedrà che in generale i miei punti di ebollizione coin- 
cidono assai bene con quelli osservati da Kopp, Regnault, Thorpe 
‘ ed altri. Non così con quelli di Pierre, il quale in moltissimi casi 
trova dei punti di ebollizione troppo elevati di parecchi gradi e con- 
seguentemente dalle sue osservazioni risulta un volume molecolare 
un poco troppo grande. La causa di questo fatto, già osservato da 
Thorpe, è che Pierre determinava i suoi punti di ebollizione , im- 
mergendo il bulbo del termometro nel liquido bollente stesso e non 
nei vapori di questo. Circostanza che, anche secondo la natura del 
recipiente, può alterare assai l'indicazione termometrica. 

In questi casi di divergenza di punti di ebollizione e di vo- 
lume molecolare, basta spesso di calcolare colla formola dei volumi 
data da Pierre , quale sarebbo la densità del liquido al punto di 
ebollizione corretto per trovare dei risultati concordanti con quelli 
degli altri sperimentatori. 

Per gli idrocarburi ho aggiunto alle altre indicazioni quella del 
coefficiente medio di dilatazione cubica per ogni grado, tra la tem- 
peratura dell'ambiente (temperatura dell'acqua nel condotto del la- 
boratorio), ed il punto di ebollizione. La formola adoperata per il 
calcolo è la seguente: 


‘ d— d' 
o! =O 
d'(t’—t) 
d = peso specifico alla temperatura dell'ambiente; d' = peso speci- 


cifico al punto d’ebollizione; ¢ = temperatura dell'ambiente; l' = tem- 
peratura dell’ebollizione. 

Nel riferire le singole determinazioni darò i valori intermedt 
più importanti del calcolo che possono servire a ricalcare il risul- 
tato finale. A questi valori assegnerò i simboli seguenti: 

e | 


485 

V, = Volume reale (ridotto a 4 gradi) occupato dal peso P di liquido 
alla temperatura di ebollizione #°. Lo stesso simbolo indica 
pure il peso in grammi di un egual volume d’acqua a 4 gradi. 

P= Peso del liquido nella boccetta , correlto per il peso dell’ aria 
spostata. 

D‘,=Peso specifico del liquido al suo punto di ebollizione #° riferito 
all'acqua a 4 gradi. 


= 


n Volume molecolare ossia il peso molecolare del liquido, diviso 


per il suo peso specifico al proprio punto di ebollizione. 
È indispensabile di impiegare i pesi atomici esatti di Stass 
U= 44,97 CI = 35,37 0 = 15,96 S= 31,98 N=44,04 
per computare i pesi molecolari delle sostanze, giacchè nel maggior 
numero dei casi le differenze portate dall’ uso dei pesi atomici or- 
dinari salgono a più di 2 unità della prima decimale del volume mo- 
lecolare. I risultati qui citati di altri sperimentatori che impiegavano 
altri pesi atomici sono ccrretti e ridotti ai pesi atomici di Stass. 


MATERIALE SPERIMENTALE 


4) Acqua. p. eboll. 100,3° B,=763.4 mm. 
I. Il. 

V, = 7,6986cm. 17,6306 cm. 

P = 17,3744 gr. 17,6460 gr 

D,!1903= 0,9587 0,9588 

M 

pr $3.78 18.78 
Dalle tavole di Rossetti si rileva : 
D,100—0,95865 


2) Pentane secondario: C,H,,.— Estratto dall’ amilene del com- 
mercio, polimerizzando tutto |’ amilene prima con acido solforico a 
metà acqua, indi trattando il residuo più volte coll’ acido, concen- 
trato, finchè questo non si colorava più. Il residuo lavato bollente 
tra 30-32 gradi fu riscaldato in un tubo chiuso a 480 circa con un 
grande eccesso di sodio metallico. Punto d’ ebollizione 30,5°-84 5°. 
B,=860,3 


I. II. 
V, = 71,6485 7,6476 
P = 46885 4.6900 


D305 = 0,6182 0,6452 
= AAT AT 41717 


94 


186 
Densità di vapore: S=0,0653 V=21,5 cm. #=13,3 B, 757,7 


trovato calcolato 
d = 2,50 2,48 
Peso specifico a 13,7° gradi: D!8.’=-0,6282 
A 350,001.41 4 


3) Esane normale: C,H,,. — Ottenuto per l'azione del sodio 
metallico sul bromuro propilico normale purissimo. 500 grammi ne 
diedero 110 gr. bollenti ‘tra 68-68,8. Inchiusi in tubi con sodio me- 
tallico e riscaldati a 150 circa per più ore, si trova 

punto d’ ebollizione 68,6-68,7 B,=757,16 


I II 
V, = 17,6682 71,6444 
P = 4,7065 4.6959 
D$8.6 om 0,6142 0,6143 
= = 189,72 139,70 
Densità di vapora: S=0,0814, V=8,4 c.m., £=14,3° B,=755,3 
trovato calcolato 
da 3,06 2,99 


Peso specifico a 10,8° gradi: DI0.8 =0,6681. 


4) Octane secondario —Diisobutile: C,H,,.— Da 400 gr. di bro- 
muro isobutilico purissimo col sodio metallico si ottennero 75 gr. 
di prodotto bollente tra meno di 8 gradf. Riscaldati come sopra in 
tubi chiusi con sodio se ne ottenne 60 grammi bollenti 107,8-107,9° 
B,=751,4. 


I. Il. 
V, = 7,6779  7,6779 
P = 47848" 47858 
DI°#= 0,6166 0,6167 
M = 48449 184,46 


D 
Kopp trova 184,50. Thorpe 184,83. 
‘Densità di vapore: S=0,0858 V=7,5 cm. ¢=12 B,=753,9 
trovato calcolato 
' d= 3,94 8,94 
Peso specifico a 12,4 gradi: DI?! —0,7004 
A 153,87 0,0014160 


{87 
5) Decane sccondario—Diisoamile: C,)Hss.— Dall’alcool amilico 
bollente a 128-130° puro si preparò il bromuro d'amile e da questo 
col sodio l'idrocarburo. Purificato come sopra, bolle tra ‘159,4-159,6 
B,=754,9. Rendita quasi teorica. 


I, II, 
V, = 7,6844 7,6794 
P <= 4,7079 4,7040 
D1594 0,6126 0,6126 
: — 281,31 234,34 
Densità di vapore* S=0,0336 V=5,6 c.m. /=12,0 B,= 755,9 
trovato calcolato 
d = 4,93 4,908 


Peso specifico a 9,8° gradi: D®8 =0,7358 


6) Amilene: C.H,, = Questo prodotto contiene sempre del pen- 
tane secondario in piccola quantità. Ho fatto il possibile per libe- 
rarlo quanto ho potuto da questa mescolanza, operando sopra 4 K'lo 
di prodotto purissimo di Kahlbaum alla volta, ed impiegando dei de- 
flemmatori di circa mezzo metro di altezza. Credo di essere riuscito 
a ottenere un prodotto unico ma non potrei asserirlo con perfetta 
sicurezza. Circa 600 gr. bollivano tra 35,2-36,6 B,=749,0 


Prima porziom : circa 400 gr. 36°-36,6, 


I. II, 
V, = 17,6774 7,6685 
P = 48738 4,8750 
DÎ = 0,6356 0,6357 
= = 409,89 109,88 


Seconda porzione circa gr. 200, 85,2-36° 


lil 
V, = 17,6593 
P = 4,8570 
p>§= 0,6340 
M 


3 = 110,04. 


188 
Essendo piccole le differente credo di potere prendere come va- 
lore definitivo, la media dei due trovati 


Do 109,95 
Densità di vapore: S=0,0594. V=19,8 {=413,4 B,=757,8 
trovato calcolato 
d= 2,47 2,42 


Peso specifico a 9,9 gradi: D?® = 0,6617 
1) Caprilene: CxH,g.= Avuto da Kahlbaum. Bolliva costante tra 
122,5-428,9 , dopo trattato con calce viva arroventata di fresco e 


con sodio bolle costante tra 123,8-123,5, B,=749, 8. 


I. Il 
V, = 17,6474 7,6493 . 
P = 4,8227 4.8287 
DI?34= 0,6306 0,6306 
ni = 177,22 177,22 
Densità di vapore: S=0,0415 V=9,1 ¢=18,2 B,= 758,2 
trovato calcolato 
d= 3,87 3.87, 
Peso specifico a 9,9 gradi. D?® —0,7294 | 
A%8 = 0,001980 © 


8) Diamilene: C.,Ha.— Dall’amilene, puro trattandolo a freddo 
con acido solforico a metà acqua. Lavatd, seccato e trattato con so- 
dio in tubi chiusi bolle ve tra aj 186, 3 B= 151 4 


V, = 1,888 1, 6998 7,7470 
P = 5,0900 5,0910 5,1050 
Dis — 0,6614 0,6644 0,6643 
. = 944,34 941,34 244,18 


L'ultima determinazione si riferisce ad un’altra preparazione 
che diede un prodotto bollente tra 155,5-155,7 B,=753,6 credo più 
puro il primo che aveva anche in quantità molto maggiore. 

Densità di vapore del primo: S=0,0383 V=6,5 cm. i=43,4 
B,=757,8 
calcolato 


4.84 


trovato 


d= 4.86 





189 
Peza specifico a 10 gradi : Di? =0,7789 
A19, =0,00124 
9) Diallile: C,H, 9.— Dall’ioduro di allile, (esente di ioduro di 
isopropile) con sodio metallico. Rendita a così dire teorica. Riscal- 


dato per una notte a 180° con eccesso di sodio in tubi chiusi, bolle 
costantemente a 59,3° Poe 8. 


Il. 
Vj, == 17 Prà 7,6398 
P = 4,9715 4,9685 
Dî*® = 0,6508 0,6508 
nd = 428,82 123,82 
Densità di vapore; S=0.0855 V=40,8 cm. ¢=41,8 B,= 753,9. 
trovato | calcolato 
d = 284 2.84 


Peso specifico a 141,9 gradi: Di!) —0,6983 
Rui 9 =0,001557 


10) Benzina: C,H,. Benzina cristallizzabile venne ripurificata per 
2 cristallizzazioni successive e bollita a lungo sul sodio metallico. 
Panto di eboll. 80,1° ee 5. 


H. 
Y= Li 7,6608 
P_= 6,1978 6,2140 
pi 0,8141 0,8411 A 
M 
pi = 95,94 95,94 
Kopp .... trova 95,94 Pisati e Paternò trovano 95,94 


Longuinine » 95,98 Andrieenz.... >» 95,90 
Densità di vapore: S=0,0438 V=48,1 cm. ¢=13,0 B,=752,9 
trovato calcolato 
d= 2,74 2,70 
Peso specifico a 14,2 gradi; Di‘? —0,8889 
per :=0,00136. 

11) Toluene: C,H,. Toluol purissimo di Kahlbaum fu bollito a 

‘ungo sul sodio. Quasi ove la massa passò a 109,2° B,=763,1. 


II III. 
Vi = 16314 16678 1,678 
P = 59818 = 59659 5,970 
pi™2— 0.7781 = 0.77807 0,7780 
M = 147,96 14797 417,98 








190 
Densità di vapore: S=0,0424 V=14,0 cm. =13,2 By=753,2 


trovato calcolato 
d= 8,20 8,19 
Peso specifico a 48,4 gradi: DI3! —0,8708 
Ala =0,001242. 


12) Xileni: C,H,). a) Metaxilene 4,8, purissimo preparato ed 
analizzato dal professore Jacobsen di Rostock, trattato con sodio 
bolle costante a 189,2 B,=759,2. 

I 


V, = 7,7057 7,6822 7.6534 
P = 5,8355 §,8474 5,7945 
pis? 0,7572 0,7572 0,7574 
cd = 189,67 139,67 189,69: 
Densità di vapore: S=0,0449 V=10,1 cm. ¢=12,6 B,753,2 
trovato calcolato 
a= 8,68 3,67 
Peso apecifico a 12,3 gradi: DI?3 —0,8745 
Age, =0,001189 


b) Campione di Xilene (4 kilo) bollente quasi tutto tra 189-140, 
perciò quasi tutto Metaxilene. 500 gr. ne bollivano tra 4189-1394 
B,=753,0. 
= 7,6724 
= 5,8060 
= 0,7567 


= 439,76 


c) Campione di Xilene (4 kilo) hollente tutto tra 144-148° quasi 
tutta la massa tra 144-1441,4°.B,=742,8 È dunque quasi tulto orto- 
xilene: 





P = 5,8085 
pi! = 0,7559 
È = 189.94 


13) Etilbenzina: CH. Dalla bromobenzina con ioduro d'etile, 
etere assoluto e sodio. Distillato sul sodio bolle costantemente tra 


135,7-135,9 B,=758,5 


494 
I. II. 

Vi = 7,6686 7,6653 

P <= 5,8378 5,8355 

Dis8— 0,7641 0,7612 

= = 438,95 138,93 
Densità di vapore: S=0,0439 V=9,9 ¢=12,8 B,:=755,9 

trovato calcolato 
d = 3,65 3,66 


Peso specifico a 9,9 gradi: D°° =0,8760 


14) Stirol—Etilenbenzina: CH, —CH=.=CH,.—Secondo Fittig, dal- 
l'acido idroiodocinnamico. Rendita buonissima ed il prodotto è su- 
bito puro. Bolle costante tra 143-144° B,=757,2. 

Ma ad ogni distillazione una piccola parle si polimerizza. Lo 
stesso avviene durante la determinazione del peso specifico al punto 
di ebollizione. Il risultato ottenuto è dunque solo approssima tiro e 
lo do come tale. 


P = 61190 
pi? = 0,7926 
M | 

5 = 130,94 


15) Propilbenzina normale: C,H,—C,H,.—Dalla bromobenzina, 
bromuro propilico, sodio ed etere dnidro. Rendita eccellente. L'idro- 
carburo bollito sul sodio e poi inchiuso in tubi come sopra, bolle 
circa tutto a 158,5° By=754 È 


II, 

V, = 7.66848 7;7494 
P_s= §,6715 5,7345 
D158, — 0,7399 0,7399 
M . 

5 = 161,82 161,82 

Densità di vapore: S=0,0434 V=8,6 cm. #=11,8 Bj =755,9 
trovato calcolato 
d= 444 4,44 


Peso specifico a 9,8 gradi: D?* =0,8702 
AU 5 =0,001184 











192 


16) Paraetiltoluene: Cage 1,4. Dal parabromotoluene, io- 
duro etilico e sodio. Bollito a lungo sul sodio metallico bolle quasi 


lutto tra 164,9-162,4 B)—756,3 


I. Il 
V, = 7,7220 1,7252 
P “= 5.7090 5,7425 
Dis — 0,7393 0,7394 
2 = 164,95 164.93 
Densità di vapore: S=0,0449 V=9 cm. ¢=12,8 B,=755,8 
trovato calcolato 
d= 4,t4 444 


Peso specifico a 44,3 gradi: DI!3 —0,8694 
i AT =0,001165 
17) Mesitilene: C,H,(CH,),.—Preparato da Kahlbaum dall’acetone 
con acido solforico. Dopo ebollizione sul sodio bolle quasi tutto a 
164,5° Bo =759,2. 


I. Il. 

V, = 7,6857 7,6644 

P = 5,6664 5,6508 

DI45— 0,7872 07872 

4 = 162,44 162,44 
Densità di vapore: S=0,0439 V=8,7 cm. ¢=41,5 B,=756,3 

trovato ° calcolato 
d= AAA 444 

Peso specifico a 9,8 gradi: D?§ =0,8694 


Atk,s= 0001159 
18) Cimene: CHa 1,4.— Dalla canfora, bollito a lungo sul 


H 
gli, 
sodio metallico a più riprese. Passa quasi tutta la quantità tra 175,4- 
175,5 B,= 749,5. ® 
I. IL 

V, = 17,6944 71,6906 

P = 5,5769 5.5747 

DI7542= 0,7248 0,7248 

M = 184,46 184,46 


D 


498 
Pisati e Paternò trovano = 184,388 
Kopp trova........ = 188,5 
Densità di vapore: S=0,0425 Y=7,5 cm. ¢=41,5 B,=756,8 


trovato calcolato 
d= 4,68 4,65 


Peso specifico a 9,8 gradi: D°% =0,864 


19) Terpene di trementina: C,oH,g.—Olio etereo di trementina 
distillato più volte sul sodio, bolle costantemente a 156,1° B,=766,8 


J II° 


V, = 7,673? 71,6744 
P = 58,6943 56989 
DISSI = 0,742 0,7422 
N = 189,83 189,83 


Densità di vapore: S=0,0424 V=7,5 cm. {=12,3 B,=755,8. 


trovato talcolato 
d= 4,66 4,70 
20) Carvene C, H,..—Dallolio di Carum Carvi estratto prima 
con solfoidrato. ammonico alcoolico, per eliminare tutto il carvol, indi 
con acido solforico diluito. Dopo lavato colla soda, disseccato e di- 


stillato più volte sul sodio metallico, quasi tutta la massa bolle a 
176,5° B,= 758,7. 


I. . Il. Itt. 

V, = 17,8947 71,7184 71,6746 

P = 5,4864 5,5057 5,4700 

pis— 0,7182  . 0;7183 0,7427 

5 = 190,26 190,24 190,40 

Densità di vapore: S=0,0894 V=6,9 cm. ¢—12,2 B,=735,8. 
trovato calcoolato 
d= 4,70 4,70 


Peso specifico a 9,8 gradi: DÎ8 =0,8580 
A 36,5 0.00148 
21) Cloroformio CHCI,.. Ottenuto per decomposizione del clo- 
ralio. Disseccato bolle costantemente a 60,9 B,=754,3. 
25 


494 


I. Il. 
V, = 7,7288 7,6460 
P = 40,8762 10.7676 
D$09 — 4,4084 1,4084 
> = 84,56 84,56 


Thorpe trova 84,52 
Pierre » 84,68 
Densità di vapore: S=0,0784 V=44,7 cm. ¢=41,6 B,— 764.3 


trovato calcolato 
d= 4,12 4,12 
Peso specifico a 11,8 gradi: DI!8—=1,5039 
Aig=0,00138 


22) Tetracloruro di carbonio CCI, —Ottenuto da Kahlbaum. Dopo 
disseccata, quasi tutta la quantità passa tra 75,6-75.7° B,=758,7 
V, = 17,6866 
P =41,3763 
Dj°6= 1,4802 





M 
y= 103,66 


Thorpe trova 108,68 
Pierre » 408,68 
Densità di vapore: S=0,0746 V=41,6 cm. ¢=41,9 B,=755,2 
trovato calcolato. 
d = 5,29 5,34 
Peso specifico a 9,5° gradi: DÌ —=4,6084 
Are, = 0001310 


28) Cloruro di etilene CH,CI—CH,C!.—Di Kahlbaum. dopo dissec- 
camento bolle costante a 83,3° B,=749,0 
V, = 1,6552 
P = 8,8620 
DP = 41,1576 
n = 85,24 
Thorpe trova 85,34 
Pierre » 85,45 
Densità di vapore: S=0,0587 V=44,2 cm. ¢=42,5 B,=752,9 
trovato calcolato 


d= 3,42 8.42 





19 
Peso specifico a 9,8 gradi: D?* —4,2656 
As =0,001269 


24) Cloruro di etilidene CH}—CHCI,.—Ho avuto due campioni 
preparati da Kahibaum per l’azione del pentacloruro di fosforo sulla 
paraldeide. Bollivano tutti due circa alla stessa temperatura. Il primo 
che credo fosse il più puro bolle a 56,7-56,9 B,= 7494 


I. I. 
V, = 7,6823 7,6666 
P = 85596 8,5430 
po? = 4,1442 1,1448 
M 
DO = 88,86 88,55 


meutre Thorpe trova il punto di ebollizione 59,9 ed il volume mo- 
lecolare 88,956. È questo il maggior distacco tra i nostri risultati. 

Il secondo campione bolle meno costante del primo ma all’ in- 
circa alla stessa temperatura cioè 56,5-57° 


I. II. 
V, = 7,6880 71,6494 
P= 83780 8.5938 
DI65 — 4 4154 44157 
n = 88,46 88,44 


| risultati seguenti si riferiscono alla prima porzione. 
Densità di vapore: S=0,0504 V=12,2 cm. ¢=12,5 By= 753,9 


trovato calcolato 
d= 83,42 __ 8,42 
Peso specifico a 9,8 gradi: D93 =4,1895 
Thorpe a 10,05 gradi trova =1,1597 
Ate; = 0,001438 


28) Tricloroetane asiminetrico CH,C!I—CHCI,. — Preparato da 
Kahlbaum. Sccco bolle circa tutto tra 113,5- 414° "By =788,2 


I. Il INI. 
Vj, = 7 6864 17,6659 7,6626 
P = 9. 9483 9,9245 9,9225 
DIB = A, 9943 41,2916 41,2947 
= 402,79 102,77 402 ,16 
Densità di vapore: S=0,0710 V=42,5 #=11,5 B,= 756,8 
trovato calcolato 


d= 466 | 460 


196 
Peso specifico a 9,4° gradì . D94=— 44577 
: Aîi,s=0,00124 


LÀ / 

26) Percloroetilene : CC!,—CC},.—Di Kalhbaum, ma sebbene ne 
possedessi una quantità relativamente grande tion vi potci osservare 
un punto di ebollizione perfettamente fisso. 

Bolle tra 120-124° A,=759,7. 


I, Il 
V, = 7,6925 7,6925 
P = 14,4490 44,1464 
pi — 41,4484 1,4489 
; = 414,9 144.16 


Tenendo questa sostanza a bollire per un certo tempo ho os- 
servato che aumenta continuamente di peso. Forse assorbe ossi- 
geno. | 

Densità di vapore: S=0,0864 V=12,5 {=12,2 B,=755, 2. 

trovato calcolato 
d= 5,70 5,72 
Peso specifico a 9,4 gradi: pi‘ =1,6312 
A’ =0,001447 
27) Cloruro di propile: C,H,Cl.= Porzione studiata ed analiz- 


zata dal sighor Bruhl. Ridisti'lata passa completamente a 46 gradi 
B,=753,4. 


I. II 

V, — 7,6780 7,6780 

P = 6,5785 6.5780 

Die = 0.8561 0,8564 

È = 94,48 94,43 

28) Cloruro di allile: C,H;Cl.—-Porzione analizzata dal signor 
Briihl 
Passa completamente tra 44,8-45° B, =756,2 

I. II 

V, = 17,6474 71,6587 

P «= 6,6471 6.6537 

Dit® > 0,9055 0,9058 


M 
DO 9424 84,24 





197 


29) Clorobenzina: CxH;C1.--Porzione analizzata dal signor Briihl. 
Punto di ebollizione 192-132,1 B,=762,8 


I. Il 

V, = 7,7034 71,6999 

P = 17,5625 7.5600 

Diz = 0.9817 0,9818 

n = 114,28 114,27 
CH 


30) Clorotoluene: CH, (j° 4 ,4.—Miscuglio di poco orto- con mol- 


lissimo para-prodotto. di da Kahlbaum. Bolle a 159,8-160,5 
B,=760,8 


I. Il, 
V, = 7,6803 7,7047 
P_= 7,1820 1,2021 
DI59*= 0,9851 0,9851 
i = 134,94 134,91 
Densità di vapore: S=0,0672 V=40,0 /=12,0 B,=755,9 
trovato calcolato 
d= 4,89 4.36 


81) Epicloridrina: C,H,OCI.—Preparata in grande quantità se- 
condo il meto lo di Berthelot modificato da Reboul, Tratticne e scio- 
glie acqua con grande tenacità. Dono una serie di trattamenti colla 
calce e col cloruro di calcio bolliva costante tra 115,8-115,9 B,=758,0 


I. II. 
V, = 7,7388 7,7809 
P = 82044 84856 
DI!58= 1.0898 4,0588 
M 
n = 87,08 87,41 


Thorpe trova invece 87,29 
Densità di vapore: S=0.0805 V=20,6 ¢=15,5 B,=722,3 


trovato calcolato 
d= 3,21 3,19 
32) Cloruro di benzile : C,H,CH,CI .— Ottenuto per distillazione 
di 4 kilo di prodotto puro del commeroio. I due terzi passarono tra 
175-175,2 B)=769,3. Era perciò purissimo, 





198 


I. I, 
V, = 7,7828 71,1339 
P = 7,310 53099 
DIS — 0,9488 0,9452 
a = 433,43 183,47 


33) Alcool metilico: CH,OH.—Avverto che alcuni degli alcooli 
ed eteri che seguono non sono stati analizzati nè determinata la 
densità di vapore. Tutti questi prodotti li debbo alla gentilezza del 
signor A. Bannow, Direttore della fabbrica di Kahlbaum. e sono di 
una purezza così perfetta come non saremmo mai capaci di consc- 
guirla lavorando in laboratorio su quantità ristrette. 

L'alcool metilico già puro venne trattato con bisollito sodico per 
climinare tutto l'acetone che vi potesse essere, lavato e disseccato 
poi colla calce viva di fresco arroventata. Nell’apparecchio distillato- 
rio finale gli fu aggiunto un pezzettino di sodio metallico e distil- 
lalo subito. Bolle perfettamente costante a 64,8° B,=768 


I. II. 
V, = 7,6530 7,6520 
P = 5,7845 8.7320 
Dé.8 — 0,7475 © 0,7477 
M 
yO 42,74 49,70 


Kopp trova 42,1. Pierre: 42,37, Ma credo probabile che i loro 
preparati dovessero contenere acetone, del quale in allora male si 
sapeva liberart l’alcool. 

34) Alcool etilico: C,H;0H.—Fornito da Kahlbanm al 99,3/,9/, 
e lu reso perfettamente anidro distillandolo sopra un pezzetto di so- 
(din, come sopra. Punto di ebollizione costante 78,2 B,=762,7 


I II 
V, = 7,6796 7,6786 
P = 53,6686 5,6685 
D782 = 0,7881 0,7882 
È = 62,18 62,17 


Un altro campione che mi ero preparato dall'alcool comune me- 
diante la calce, bolliva a 78,8 B,=756,9. Lo credo meno perfetto del 
primo, 








199 
I. Il. 
V, = 7,6608 1,6534 
P = 5,6705 5,6675 
Des = 0,7402 0,7405 
n = 62,00 61,98 
Kopp...... trova 62,00 
Pierre. ..... » 64,57 


35) Alcool propilico normale : C,H,0H.-- Fornito da Kahlbaum 
allo stato purissimo. Ne ebbi 4 kilo bollente tra 97-97.8. Quasi tutto 
però a 97,4° B,=754-4. (Era stato traltato con sodio metallico). 


I Il. HI 


Ì V, = 7,679 71,6784 = 76762 
P_=5,6555 = 5,6545 5 6556 
pi! = 0,7365 0,7366 0,7867 
M 
mr = 81,29 84,28 84,27 


Pierre trova: 84,34 © 


36) Alcool isopropilico: CLH,0H.—Di Kahibaum. Trattato prima 
colla calce viva poi col sodio. Bolle a 84,3° B,=763,3 


: I. Il. 
V, = 1,674 7,6724 
P = 8,6875 56890 
D813 — 0,7443 0,7444 
= 80,76 80,78 


87) Alcool butilico normale: C,H,JOH.—Porzione preparata dal” 
signor A. Fitz ed analizzata dal signor Brith}. Bolle a 116,7-116.8° 
B,=747,8 | 


L. Il, 
V, = 17,1199 71,7805 
P -= 56415 86208 
pi's7— 0,7269 0,7270 
M | 
5 = 104,58 104,57 


88) Alcool isobutilico: C,H,0H.—Un kilo fornito da Kahlbaum 
passava tutto tra 106,4 e 107,2. Trattata prima con calce poi con 
sodio quasi tutto si raccolse tra 106,6-106,8° B,=768,2 











200 


V, = 17,6917 
P = 3.5884 
Di%s— 0,7265 
M 

ry = 101,68 


Il. 
7,6947 
5,5880 
0,7265 


101.63 


Pierre trova: 101,99 


39) Alcool allilico : C,H,0H.—Di Kahlbaum. Fu trattato 4 volte 
colla calce arroventata di fresco per levare ogni traccia di acqua. 


Bolle a 96.4-96.3° B,=758,8 


V, = 7,6790 
P = 5,9972 


M 
D 


2 = 74,10 


Thorpe trova 74.49 


Tollens 


dal signor Brihl.. 


Bolle costante a 130.5-131 B,=759.2. 


I. 
V, = 17,6742 
P = 5,4904 
Di05= 0,7154 
ni 


| CH;\, . 
41) Dimetiletilcarbinol: Call, COH—Preparato da Kahlbaum, 
Uns, 


trattato con sodio metallico bolle a 101.6-102 B, 762.2. 


I 
V, = 17,6738 


P = 5,5870 
Dis 0,724 
> = 124,96 


42) Alcool caprilico, metilessilcarbinol: C,H,,0.—Porzione stu- 
diata dal signor Brith!. Si tratta con sodio metallico, dopo di che 


bolle a 179-179,2 B,=762.0. 


713.9 
40) Alcool amilico: C;H,,OH.—Porzione studiata ed analizzata 


122,74 


II 
7,6729 
8.b561 
0,724 


424,26 


904 
LL tl. 
V, = 17,6796 7,698 
P = 5,2078 5.2470 
pi? = 0,678 0,6788 
M = 194.99 194,27 


D 


43) Metilessilchetone: CH,—CO—C,H,,.—Porzione studiata ed 
analizzata da Brith). Bolle 172,8-172,6 B,=754,8 


. I. IL 
V, = 17,7189 7,6998 
P = 5,2826 5,2705 
pi: 0,6848 = 0,6844 
M = 486,64 = 186,61 


D 


44) Acetone; CH,—CO—CH,.—Acetone puro, venne trasforthato 
nel composto col bisolfito sodico, questo lavato con etere, decompo- 
sto ed il prodotto lavato e seccato. Distilla tutta la quantità (circa 
800 gr.) a 56 gradi esattamente B,=752,2 


V, = 7,6584 
P = 5,7480 
p> = 0,7506 
M . 

Kopp trova 77,09 
Thorpe » 16,78 


45) Furfurol: C,H,0,.—Porzione analizzata dal signor Brihl. 
Bolle con grande costanza a 4165.5-160.7 B,=742 


I. IL 
V, = 7,7049 1,6686 
P = 7,7245 1,6885 
DI9F= 41,0028 4,0026 
aa = 95,58 95,52 


46) Paraldeide:—300 gr. di prodotto purissimo di Kahlbaum 
fu ricristallizzato e trattato con cloruro di calcio. Distilla la mag- 
gior parte tra 124.3-124.4 B,=751.9. 

26 


202 


te Il, 
V, = 7,6784 17,6784 
P = 6,7080  6,7405 
D,j1243 = 0,8737 0,8739 
M 
n= 150,74 150,70 
Densità di vapore: S=0,0560 V=18,3 ¢=—18,3° B,—753,2 
trovato o calcolato 
d= 4,58 4,55 


47) Dimetilacetal: CH,—CH(OCH,),.— Di Kahlbaum. Seccalo 
sulla calce viva. Bolle assai costantemente 62.7-63.3 B,=754.6 


I II 

Vi = 17,6706 7,6695 

P = 6,1471 6,1463 

D,52,7 = 0,8013 0,8013 

= = 410,81 110,84 

Densità di vapore: S=0,0522 V=14,3 ¢=418,2 B,=753,2 
trovato calcolato 

d= 840° AA 


48) Dietilacetal: CH,—CH(OC,U,),.—Di Kahlbaum. Bolle quasi 
tutto a 103.2 B,= 754,9 


I. Il. 
V, = 7,6657 7,6817 
P= 5,6445 5,6583 
D132 0,7363 0,7365 
Si = 459,90 159,86 


Densità di vapore: ho tentato più volte di determinarla ma 
sempre mi si è dissociata la sostanza. 

49) Acido bulirrico normale: C,Hy0,.—Porzione analizzata da 
Brith]. Bolle a 161.5-162.3 B,=742,6 


V, = 77M 
P = 6.3020 
pj? = 0,8441 
~ = 407,85 


Pierre trova 107,7 


50) Acido isobutirrico.—Porzione analizzata dal signor Brilhl. 
Bolle a 153-153,5 B,=743,7 


—_—— 


————————— Le] =WàÀAWnm.=.--»«-nnhnNHNhh,,, _..- De 


203 


P = 6,1960 
pis = 0,8087 
M 


Pierre trova 106,5, ma per ragioni che si vedranno più tardi 
credo più esatto il mio risultato. 

51) Anisol: CH; 0CH,. — Bolle costantemente tra 155-156,5 
B,=762,3 


I, Il. 
Vj, = 7,7148 7,6945 
P = 6,6405 6,6238 
pi = 0,8607 0,8608 
rl = 128,18 125,47 
Densità di vapore: S=0,0434 V=7,87 cm. #=11,8 B,=755,8 
trovato calcolato 
d= 3,79 3,73 


52) Fenelol: GH;-0G,H;.—Tutta la quantità disponibile bol- 
liva tra 171,5-172,5 B,=762,4. Fu divisa in due porzioni. 
174,5-172° 172-1720,5 


V, = 17,6541 7,6352 
P = 6,2705 6,3009 
DI715= 0.8196 0,8198 
ca = 148,52 148,47 


Densità di vapore della prima porzione: S=0,0371 V=8,8 
‘=17 B,=756 
trovato calcolato 
a= 497 4,21 
53) Formiato metilico: C,H,O,.—Di Kahlbaum. Trattato con la 
ealce viva bolle a 32,3-33,5 B)=754.2. Durante la distillazione pare 
che avvenga una dismociasione parziale 


Vi == 7,6787 
P_= 17,3440 
pî*s— 0,9566 


M la 
D a= 62,57 


Kopp trova: 63,2 


204 
54) Formiato etilico: C,H,0,.—Di Kahlbaum : trattato come so- 
pra. Bolle tutto a 53.4-58.6 B,=754.5 
I. II 
V, = 7,6522 71,1087 
P «= 6,6810 6,7805 
D4 > 0,8780 0,8781 


- = 84,37 84,56 


Kopp trova 84,7 
Pierre » 85,45 
55) Formiato butilico C;H,,0,.—Di Kahlbaum. Trattato come 
sopra. Bolle 98-99° By=789,8 


I. II. 
V, = 17,1076 7,6785 
P = 6,0000 5.9788 
pe = 0,7784 0,7784 
4 = 480,74 480,74 


Pierre trova: 130,64 
56) Formiato amilico: CgH 303. - — Di Kahlbaum , come sopra, 
Bolle a 123.5-124,3° By=159.9 
I. II° 


V, = 17,7885 7,6802 
P = 5,8425 8,8020 
DI25—= 0,7554 0,7554 
5 = 158,24 153,94 


57) Acetato metilico: C,H,0..—Di Kahlbaum, come sopra. Bolle 
a 55-55.1 B,=754,4 


I. II. 
V, = 7,71197 7,6458 
P = 6,8180 6,7484 
DSS = 0,8825 0,8826 
È = 88,66 88,65 


Kopp trova 83,5 


58) Acetato etilico: C,H,0,.—Kahlbaum prepara questa sostanza 
in grandissima quantità e mi mandò 500 gr. del prodotto purissimo 
esente di alcool e senza azione sul sodio metallico. La quantità detta 
passò quasi tutta, o almeno i due terzi, tra 74,5-76,5 By=745.5. 
Fu divisa in due porzioni. 








205 
78,5-76° = ‘76-76,5° 
V, = 7,6674 7,6590 


P = 6,8690 6,3880 
D355 = 0,8806 0,8294 
= = 408,70 108,86 


Kopp trovò: punto d’eboll. 74° D,#=0.8194 = 407.2 


Ma non è probabile che Kopo lo abbia potuto avere esente di al- 
cool, che naturalmente abbassa la densità e innalza il volume mo- 
lecolare. Del resto anche il Dr. A. Bannow Direttore della fabbrica 
Kahlbaum mi diede 76-77° come il vero punto di ebollizione di questa 
sostanza. In generale, come già lo notò Brilhl, gli eteri organici 
hanno raramente un punto di ebollizione assolutamente costante. Il 
delto signore attribuisce questo fatto ad una parziale dissociazione. 


59) Etere cloroacetico: C,H,CIO,.—Di Kahibaum. Trattato colla 
calee viva, tutta la quantità bolle tra 144,5-144,9 B,=754,2. 


I. II. 
V, = 17,7106 71,7406 
P = 7.6835 71,6334 
Di45— 0,9925 0,9925 
i = 428.09. 128,09 
Densità di vapore: S=0,0576 V=414,1 cm. t=4,9 By=7186,4 
trovato calcolato 
d= 4,24 4,28 


60) Etere dicloroacetico: C,H,Cl,0..—Di Kahlbaum. Come so- 
pra. Bolle quasi tutto a 157.7° By=754.6 


LI 


I. . IM. 
V, = 7,6956 1,7406 
P = 8.8979 84465 
D!5°7= 41,0913 4 09415 
x = 14844 . 148,44 
Densità di vapore: S=0,0618. V=9,4 ¢=41,0° By==756,4 
trovato calcolato 
d= 8,88 5,42 


64) Etere tricloroacetico: C,H,Cl,0,—Di Kahlbaum. Come so- 
pra. Tutta la quantita bolle tra 166.7-167.4. I due terzi passano a 
167.1° B,== 754.8 | 


206 





I. II 
V, = 17,7161 7,7142 
P = 8,9885 8.9883 
DI91= 41,1650 44654 
5 = 168,87 169,85 
Densità di vapore: S=0,0700 V=8,7 #=41,2 B,=656,3 
trovato calcolato 
d= 6.59 6.64 


62) Acetato propilico: C,H,,0,—Campione analizzato da Briihl, 
bolle quasi tutto tra 101.8-402.2 B,=758.9 


I. II, 
V, = 1,6778 71,6788 
P = 6,0770 6,0805 
DI"8— 0,7916 0,7918 
= 128,56 128,54 


63) Acetato allilico: C,Hy0.—1) Campione analizzato da Brith, | 
bollente a 108-104 B,=753.3 | 
2) Campione avuto da Kahlbaum che trattato colla calce viva 
arroventata di fresco distillò quasi tutto tra 103-103.5 By,=753.3. 


I. II, 
V, = 7,6860 = 7,6731 
P_= 63180 63080 | 
pi"? = 0,8220 = 0,8220 | 
py = 184,87 124,87 


64) Acetato butilico: C,H,.0..—Di Kahlbaum, trattato con la 
calce viva a due riprese, bolle in massima parte tra 412,7-113 
By= 758.8 


P = 5,8020 
pi!27— 0,7589 
= = 152,54 


65) Acefato amilico: C.H,,0,.- Di Kahlbaum, trattato come so- 
pra bolle tutto a 138 5-139 B,=758.6, 





——r 


I. 
7,7080 

= 5,7230 
127— 0,7429 


= 174,59 


DIE 


- II 
T,T044 
5.7245 
0,7480 


474,56 


Kopp aveva trovato 178,0 


66) Propionato metilico: C,H,0,.—Di Kahlbaum, trattato come 


gli altri eteri bolle tra 78,5-79.5 B,=756.8 


I. 
V, = 7,6945 
P = 6,4803 
D785= 0,8422 


M 
pm 10424 


67) Propionato etilico: C,H,,0,.—Di Kahlbaum, trattato come 


II 
7,6944 
6.4790 
0,8428 


404,28 


sopra bolle costantemente a 98,8-99 B,=756.9 


I. 
V, = 71,6689 


.P = 6,1010 
ps = 0,7961 
M 
5 = 127,88 


68) Propionato amilico: C,H,,0,.—Come sopra. Bolle in grande 


parte tra 160-464 B,=762.8 


I. 
V, = 7,6804 
P = 5,6080 
Di = 0,7295 
M 


5 = 196,95 


69) Propionato propilico: CxH,,0,.—Come sopra, bolle tutto tra 


121-122 By =760.2. 


Il. 
71,6794 
36020 
0,7298 


196,95 


I. 
V, = 17,7085 
P = 5,9180 
Ditt — 0,7680 
M = 160,70 


II, 


7,7028 
5,9475 
0,7688 


180,69 


207 


208 
10) Butirrato etilico: C,H,,0,.—Trattato colla calce come sopra 
Bolle tutto a 119.5-120 B,=757.4. 


I OAL, 
V, = 17,1082 71,6952 
P «= 56,9380 5,9208 
Di!98= 0,7708 0,7705 
ss = 150,25 450,24 
Densità di vapore: S=0,0881 V=7,8 {=10,5 B,==756,5 
trovaro calcolato 
d = 8,99 4,00 
74) Isobutirrato etilico: C,H,.0,,— Trattato come sopra. Bolle 
con perfetta costanza a 410,1 By=757.3 
i I. If, 
V, = 17,7002 17,6994 
P = 5§,9150 59442 
DI!%!— 0.7684 0,7684 
= 150,68 150,68 
Densità di vapore: S=0,0450 V=9,2 {=40,4 By=756,5 
trovato calcolato 
d= 3,99 4.00 
Pierre trova per il butirrato etilico 450,34 
» » isobutirrato etilico 154,7 


Sarà utile ora di discutere approssimativamente quali possano 
essere gli errori inerenti ad ognuno di questi risultati, ammettendo 
di poter fare astrazione da errori introdotti da piccole impurità delle 
sostanze. 

Gli errori che potrebbero commettersi sarebbero da cercarsi 

4) Nella determinazione dei punti di ebollizione; 
2) Nella lettura del volume del liquido; 
3) Nelle pesate; 

Ammesso che l'indicazione della temperatura sia erronea di 1 
grado intero, questo porterebbe nella riduzione del volume a £# a vo- 
lume a 4°, una variazione media di circa 2 unità della quarta de- 
cimale, che tutto al più potrebbe produrre una variazione di 0,0002-3 
nel peso specifico e di 0,04 nel volume molecolare. 

Ammesso, il che del resto non credo possibile per la capillarità 
del collo della boccetta, che si sia sbagliato di quattro divisioni, cor- 
rispondenti a 0,003 cm. nel leggere il volume del liquido nella boc- 
cetta, Questo errore produrrebbe in media uno sbaglio di 0,0008-4 








209 
nel peso specifico ossia un cambiamento di 0,06-7 unità nel volume 
molecolare. 

Ammesso che si sia sbagliato di 8 milligrammi nel pesare la 
boccetta; che è un errore molto esagerato. Questo cagionerebbe una 
variazione di 9,0003 nel peso specifico e di circa 0,06-7 unità del 
volume molecolare. 

Facciamo ora l’ ipotesi pochissimo verosimile, che tutti questi 
errori si siano verificati in tutta l'estensione qui ammessa, e sup- 
poniamo di più che agiscano tutti quanti nello stesso senso. In que- 
sto caso il volume molecolare subirebbe una variazione di 0,06-+- 
+0,06+0,04=0,46 unità, differenza che non ho mai potuto riscon- 
trare in due determinazioni diverse fatte con una stessa sostanza. 

Nello studio dei risultati qui esposti io dovrò naturalmente fare 
uso anche delle determinazioni di Kopp, Pierre e Thorpe, dove que- 
ste sì riferiscono a sostanze ch’io non ho potuto studiare. Posso sen- 
z'altro confrontare i risultati di questi fisici coi miei, giacchè come 
si è visto fin qui i valori ottenuti per le stesse sostanze da me e 
da quei sperimentatori, sono quasi sempre a così dire identici. Tuttte 
le esservazioni che io sarò per citare saranno accompagnate dalla 
iniziale dél nome dell'autore, ma sarebbe troppo lungo se volessi 
dare per ogni cifra l'indicazione bibliografica complela. Per questo 
io he riunite tutte le citazioni occorrenti nell’ullima pagina. 


Sull'atomo di carbonio saturo. 


Se confrontassimo i volumi molecolari trovati sperimentalmente 
con quelli che si calcolano mediante le costanti date da Kopp, tro- 
veremmo che tra tutte queste osservazioni ve nc sono appena 7 o 
8, nelle quali le differenze tra il trovato e il calcolato, siano uguali 
o minori di una unità di volume molecolare. Spesse volte invece 
le differenze s’innalzano a 8, 10, 45 unità e più. L'origine di que- 
sta discrepanza la troviamo nella consideraziane seguente. Al tempo 
quando furono fatti quasi tutti i lavori che possediamo sui volumi 
molecolari, non erano conosciuti e studiati che pochissimi casi d’iso- 
merie e non si sapeva rendersi conto alcuno delle diversità di con- 
catenazione che corrispondono a queste isomerie. 

Il concetto che ora esprimiamo con un legame doppio tra car- 
bonio e carbonio, non era ancora chiarito, dimodochè non si poteva 
tener conto di un simile legame nello studio delle proprietà di un 
un composto. Kopp partendo dal concetto della costanza dei volumi 
specifici del carbonio, cloro, idrogeno, dedusse i loro valori, confron- 

27 


240 
tando tra loro risultati ottenuti nello studio di un vasto materiale 
sperimentale. Egli ottenne così nn valore medio per il volume dei 
diversi elementi, ma siccome il suo materiale includeva indistinta - 
mente delle sostanze che ora chiameremiao normali, primarie. se- 
- condarie c terziarie. sature e non sature,—é evidente che, se i vo- 
lumi atomici in tutte queste diverse concatenazioni sono soggetti a 
variazioni, i valori di lì dedotti non possono rappresentare altro 
che delle medie, l’uso delle quali non può che mascherare delle va- 
riazioni, se realmente ve ne sono. Di più i volumi molecolari cal- 
colati con queste medie stesse, dovevano necessariamente combinare 
con molti volumi molecolari trovati, in limiti assai larghi, con po- 
chissimi però esattamente. Difatti fu questo il caso, e per poter stu- 
diare l’influenza che possono esercitare sul volume di un elemento 
(p, es. il carbonio) le variazioni di concatenazione dei componenti 
della molecola, dobbiamo fare assoluta astrazione dai valori medi di 
Kopp e ridurci unicamente a confrontare i volumi di sostanze con- 
frontabili. 

Prima di procedere ai confronti stessi sarà dunque utile di di- 
scutere, quando due sostanze si possano ritenere confrontabili. 

Quando si tratti di confrontare tra loro i diversi termini di 
una stessa serie omologa (p, es. di idrocarburi), possiamo dire a 
priori cho saranno “confrontabili i composti normali coi normali, ì 
primari coi primari, i secondari coi secondari e così di seguito, av- 
vicinando tra loro i composti a costituzione analoga. Ma se si trat- 
tasse di confrontare un idrocarburo della serie grassa con un altro 
della. serie aromatica, ‘per vedere quale differenza di volume corri- 
sponda ad una data differenza nei pesi molecolari, non potremmo 
più applicare gli stessi criteri. Se per esempio si volesse confron- 
tare il diisobutile C,H,, con un composto C,H,, della serie aroma- 
tica ci si apre la quistione se come termine di confronto si debba 
prendere uno doi tre xileni isomeri, oppure l'etilbenzina. 

Il quadro seguente aiuterà a definire questa quistione: Prima 
però mi sia permessa una breve osservazione sulla nomenclatura 
adoperata. Negli idrocarburi della serie grassa userò i nomi « nof- 
male », « secondario » ecc., come ciò si fa generalmente, ma nella 
serie aromatica chiamerò « normali », quegli idrocarburi che hanno 
una sola catena laterale nel nucleo della benzina ; chiamerò secon- 
dari quelli, nei quali il gruppo della benzina porta più di un solo 
gruppo laterale. 

Chiamerò normali: Chiamerò secondari : 
Benzina Xileni 





244 


Toluene Pseudocumol 
Etilbenzina Mesitilene 
Propil e Isopropilbenzina. - Etiltoluene. 


Idrocarburi della serie grassa 


I. Il. III IV. 

PE Socio bp te 68.6° 0.6442 139,7 S 
secondario... 60.8 0.6499 138.7 R Ramsay 

Eplane normale. . ... 98.4 0.6438 162.56 T 

secondario ... 90.38 0.6460 461,98 T 





Ociene normale,.... 425.5 0.6407 486.26 T 
secondario ... 4167.8 0.6166 184.49 § 
I,=Punto di ebollizione ; II.= Densità al punto di ebollizione: 
HI.= Volume molecolare; 1V.—Autori. 


[Idrocarburi della serie aromatica 


I. Il Ill, IV. 

CH norm. Etilbenzina. . 185.8° 0,7611 488.95 S 
810 ? second. Metaxilene . 189.2 0,7571, 189.69 S 
Cs norm. Propilbenzina 158.5 0.7399 4161.82 S 
( Etiltoluene. 162 0.7393 461.95 S 

( Mesililene . 164.5 0.7872 4162.44 S 

Osservando questo specchietto di coppie di isomeri noteremo il 
fatto segnente : 

Nella serie grassa: 

L'idrocarburo normale, al suo punto di ebollizione più elevato, 
mostra una densità minore ed un volume maggiore. 

L’idrocarburo secondario, al suo punto di ebollizione più basso, 
mostra una densità maggiore ed un volume minore. 

Nella serie aromatica : 

L'idrocarburo normale, al suo punto di ebollizione più basso, 
mostra una densità maggiore ed un volume minore. 

L'idrocarburo secondario , al suo punto di ebollizione più elc- 
vato, mostra una densità minore ed un volume maggiore. 

Questa divergenza così netta tra queste due serie, mi pare ci 
indichi che un idrocarburo normale della serie grassa, debba essere 
canfrontabile (in quanto ai volumi) con quello secondario della serie 
aromatica e viceversa. Seguendo questa regola, in molti casi trove- 
remo verificata una regolarità annunziata da Kopp ed espressa così: 


(second. 


9412 
Due sostanze delle quali la prima contenga due atomi di carbonio 
di meno che la seconda, e la seconda quattro atomi d'idrugeno di 
più della prima, hanno lo stesso volume molecolare. Ossia con altre 
parole: Vol. C,=Vol. H,. 


Volumi Autori 





Esane norm. . ... CH, 489.72 S 
Metaxilene. . ... . C,H, 439.69 S 
Esane second. ... CH, 438.7 R 
Etilbenzina..... gHio 188.95 S 
Eptane norm. ... C.Hy 162.56 T 
Mesitilene. ..... C,H, 4162.44 S 
Eptane second. H,Hg 164.98 S 
Etiltoluene ..... gHis 164.95 S 
Eptane second ... C,Hg 164.98 S 
Propilbenzina. . C,H, 4161.82 S 
Diisobutile...,.. CgHj 184.49 S° 
Cimene. ...,... C,H, 18446 S 
Alcodî amilico. ... C,H,O 122.74 S 
Alcool benzilico. .. C,H,O 122.7 K 
Aldeide valerica .. C,H,0 448.84 P 
Aldeide benzoica . . C.HO 148.30 K 


Non sempre però ed in tutti i casi questa regola trova così 
perfetta soddisfazione e specialmente se volessimo confrontare delle 
combinazioni normali della serie grassa con altre, pure normali, 
della serie aromatica. In questo caso l'uguaglianza dei volumi spari- 
rebbe completamente. Ma anche comparando sostanze che secondo 
la regola sopradetta sarebbero confrontabili, spesso troviamo delle 
differenze che non credo dovute a errori di osservazione. 


Faccio osservare che la propil e la isopropilbenzina avendo ?' iso- 
meria solo nel gruppo laterale grasso, mostrano tra loro i rapporti appar- 
tenenti agli isomeri della serie grassa. Ossia quello normale ha il volume 
maggiore. 

I. I. II. IV. 
Propilbenzina. ... 158.5° 0.7399 161.82 S 
Isopropilbenzina. . 152° 0.7424 161.27 Paternò e Pisati. 





248 


. Volumi Autori 
Pentane second... C,H, 414747 S 
Toluene....... C,H, 117.97 S 
Eptane norm. ... C,Hg 462.56 T 
Etiltoluene . .... C,H, 161.95 S 
Octane norm. ... CHg 486.26 T 
Cimene....... C,oH,, 418449 S 


Da quello che precede io non saprei rilevare come regola generale 
Vol. Cs=Vol H,. É ben vero ehe cpnfrontando certe sostanze jche 
ho chiamate confrontabili, essa si verifica benissimo, ma sparisce in- 
vece l'uguaglianza invertendo l'ordine di confronto. Da questo fatto 
e da quello aceennato primà, dei diversi volumi appartenenti alle 
sostanze isomere, credo di dovere concludere che non sempre ed in 
tutte le disposizioni il volume corrispondente agli atomi di carbonio 
è invariabilmente lo stesso, ma che deve essere piuttosto soggetto 
a variazioni che per ora non possiamo definire con sicurezza. 

Se fosse generalmente vera la regola Vol. C,=Vol. H, se ne 
potrebbe dedurre anche 

Vol. C=sVol. H, e Vol. CH,=Vol. CH, 
Ossia, in parole, che l'incremento di omologia CH, debba sempre 
portar seco un aumento costante di volume, il che non mi pare una 
deduzione’ conciliabile collo esperimento. Darò alcuni esempi di so- 
stanze omologhe : 
Volumi Autori Differenze 














Eptane norm. . ... CH, 16256 T 99 84 
Esane norm. .... C,H, 439.72 § 
Eptane second... . CH, 497.98. T 93 98 
(‘)Esane second... .. C,H, 438.7 R 
Octane norm. .... CsHis 186.26 T 28.70 
Eptane norm. .... C,H, 162.56 T 
Decane second... .. C,oHos 234.34 S A 
Octane second. ... CyHjg 184.49 § 2>< 28.44 
Toluene. ..... Le C,H 417.97 S 
Benzina... ..... C,H, 95.94 S 22.08 
Xilene ........ CsHio 139.67 5S 24.70 
Toluene........ C,H, 447.97 § 





(!) R=Ramsay. 





244 


Volumi Autori Differenze 














Etilbenzina. ,... C,H io 188,95 8 20,98 
Toluene........ C,H, 447.97 S ’ 
Mesitilene...... . CH 162.40 S 9% AS 
Etilbenzina...... CsHio 488.95 S 
Propilbenzina. . ... CoH i. 464.82 S, 99.18 
Xilene ..... se CH . 139.67 S ; 
(‘)Isopropilbenzina.. . CyHjs 161.27 P.P 24.60 
Xilene ......... CgHy - 189.67 S 
Cimene........ Ciodu 484.46 S 93 49 
Isopropilbenzina. . . CyHis . 161,27 P.P 
Alcool metilico. ... CH,O 4271 S 19.47 
» ‘etilico..... C,H,O 6218 § 19.09 
»  propilico ... C,H,O 81.27 § 90.34 
» butilico. CH,0 4101.58 § = 
Alcool isopropilico .. €,H,0 80.76 S 20.87 
»  isobutilico. .. C,Hp0 401.68 S 2441 
» isoamilico... C,H,,0 122.74 S | 
Acido formico .... CH,0, 44.0 K 99 9 
» acetico. .... CH 0, 63.2 K 99 6 
» propionico... C,H0, 85.8 K 99.0 
» butirrico... CHO, 407.8 S 99 3 
» valerico.... CsH,,0, 1804 K 


Da tutti questi esempi ché facilmente potrei raddoppiare di nu- 
mero, risulta che l’incremento di volume, portato da un gruppo CH,, 
‘oscilla tra i limiti piuttosto larghi 19,09-23,7, ossia di circa 4,5 uni- 
tà. Non mi pare che queste oscillazioni possano attribuirsi a errori 
di osservazione, giacchè non ho mài potuto osservare delle differenze 
tanto forti tra de‘erminazioni di volumi fatti da operatori diversis- 
simi e con sostanze di diversa provenienza, Inoltre le sostanze qui 
citate sono quasi tutte di purificazione relativamente facile, il che 
dovrebbe diminuire assai le inesattezze del-risultato. Io credo dun- 
que che la variabilità del valore dell’incremento CH, sia dovuta ad 
una imperfetta costanza del volume specifico del carbonio o se vo- 


(1) PP.=Pisati e Paternò. 


245 


gliamo dire del gruppo CH,, ma come é ben naturale prima di po- 
tere accettare questa conclusione, come un fatto stabilito bisognerà 
potere fornire nuove evidenze. Cercherò di darne quanto prima, ma 
intanto vorrei fare osservare un esempio singolare dal quale risulta 
come il volume molecolare di una sostanza non sia semplicemente 
la somma dei volumi atomici dei componenti. 
Per il diamile C,6Hs, si è trovato il volume =231,34 

Questa cifra è regolare .ed entra benissimo nella tavola ante- 
cedente che fa vedere il variare dell’ incremento CH, degli idrocar- 
buri intogno a 22 o 23 unità circa. 


Volumi Differenze 


Decane sec. C,0Hss 284.84 
Octane sec. C,H,, 18449 


Deeane sec. C,oHss 281.84 


— 


46.82 =—=2><23 41 corrispondente 2 CH, 


Eptane sec. C-H, 464.98 69.33 =3><23.14 > 8 CH, 
Decane sec. C,0Hss 234,34 _ 
Pentane sec. C.H,, 117.47 114.14—5><22,82 ; 5 CH, 





Ma se noi volessimo fare il calcolo seguente : 

Decane C,oHss=231.81 

Pentane C,H), =117.47. . 

Vol CoHss==2 (Vol. CsH,s) — Vol. H, mettendo, per ragioni che 
dirò più tardi, Vol. H,=44.2, che è un valore certamente molto vi- 
cino al vero, avremmo, 

2><417,17—41.2=234,84—411.2=223.44 per il volume di Cross 
mentre lo sperimento dà. . ..... 281.34 

Si vede perciò evidentemente che i 5 CH? aggiunti al Pentane 
per farne il Decane non possono occupare lo stesso volume che oc- 
cupano i 5 CH, primitivi che costituiscono il Pentane stesso, in- 
sieme a due atomi d'idrogeno. 

Se consideriamo tutto quanto si è esposto fin qui, e special- 
mente il regolare variare del volume molecolare delle sostanze iso- 
mere, saremo costretti ad ammettere come cosa molto probabile, 
che il contributo portato da ogni atomo di carbonio al volume to- 
tale della molecola non è costante, ma varia secondo la natura ed 
Il modo di concatenazione dei componenti della molecola stessa. 

Se tentiamo di riassumere in una sola espressione tutto qnanto 
emerge dai fatti fin qui citati. saremo condotti alla regola seguente: 


246 

Fra sostanze isomere , costituite di carbonio, idrogeno oppure 
anche ossigeno,*quella a punto di ebollizione più elevato, avrà ge- 
neralmente la densità minore ed il volume molecolare maggiore e 
viceversa. 





M 
e DÎ DU Autori 
Esane norm. .... 68.6 0,6142 439.72 S 


» second. ... 60.8 0,6199 438.7 R 


Eptane norm. ... 98.4 0,6138 162.56 T 
» second... 90.3 06460 416498 ®T° 


Octane norm... . . 125.5 0,6107 186.26 T 
» second.... 107.8 0,6166 484.49 S 
S 

















Xilene. ..... 2. 189.2 0,7572 4139.69 | 

Etilbenzina ..... 185.8 0,7644 138.95 S 
Mesitilene...... 164.5 0,7372 16240 § 
Propilbenzina. ... 188.5 0,7899 161.80 § 
Mesitilene. ..... 164.5 0,7372 162.40 § 
Etiltoluene...... 162.0 037393 161.95 S 
Propilbenzina . . . . 158.5 0,7399 161.80 S 
Isopropilbenzina. . . 152. 0, 7424 461.27 P.P 





Alcool propilico. . . 97.0 0,7366 841.28 S 
»  isopropilico . 81.3 0,7443 80.76 S 





Acetone....... 56.0 0,7506 77.08 S 
Aldeide propilica .. 46. 0,7730 74.86 P 
EE 
Carvene....... 476.5 0.7127 190.40 S 
Trementina..... 156.4 0,7424 482.85 S 

Alcool amilico. . . . 130.5 0,7154 422.74 
Dimetiletilcarbinol . 104.6 0,7244 491.26 S 





Acido acetico .... 117.8 0,9463 63.2 K 
Formiato metilico. . 82.8-38.5 0,9566 62.57 S 


Acido propionico . . 144.6 0,8644 85.8 K 
S 





Formiato etilico. .. 538.5 0,8780 84.57 





” 


S 
Acido butirrico. . . 161.5-162 0,84144 407.85 
Acetato etilico. ... 76. 0,8324 105.70 6S 


Acido valerianico. . 175.8 0.7819 480.45 K 
Acetato propilico . . 101.8 0,7916 428.56 § 


247. 

Potrei accrescere questa serie di esempi portando un grande nu- 
mero di eteri isomeri in appoggio di quanto dico. Tralascio, perchè, 
sebbene tutti quanti questi corpi , ad eccezione di due casi dubbi, 
per una piccola differenza nei punti di ebollizione, si conformino 
alla regola, pure ho esperimentato troppo, come anche altri chimici, 
l’incostanza dei punti di ebollizione di questi eteri e non vorrei per- 
ciò basarvi sopra alcuna conclusione.. 

Non ho potuto trovare che una sola eccezione ben constatata 
che non si uniformi a &uesta regola. Questa eccezione ci è fornita 
dagli acidi butirrici isomeri coi loro derivati. Ne trascrivo i numeri: 


M 
t DÎ D Autori 


Acido butirrico . . . 161.5-162 0,8141 407.88 S 
>» isobutirrico.. 453-168,5 0,8087 108.57 


S 
Butirrato etilico. . . 449.5-420 0,7708 450.25 S 
Isobutirrato etilico . 410.4 . 0.7684 450.68 S 
S 
S 


Alcool butilico . .. 116.8 0.7269 101.58 
»  isobutilico. . 106.8 | 0.7265 101.63 


Non so dare ragione di questo comportamento speciale del gruppo 
butirrico, ma cid non ostante, credo che non si potra esimersi dal- 
l’accettare la regola sopra esposta, come raccogliendo in sé i risul- 
tati della grandissima maggioranza delle osservazioni fatte sopra com- 
posti contenenti carbonio, idrogeno ed anche ossigeno. 

Ho già fatto notare che le serie omologhe tanto degli idrocar- 
buri, che degli acidi e degli alcool mostrano tra i loro singoli ter- 
mini delle differenze di volume oscillanti tra limiti non larghis- 
simi cioè tra 19 e 23,6 all’incirca. La stessa osservazione potremo 
fare considerando le serie omologhe formate dagli eteri degli acidi 
organici coi diversi radicali alcoolici. 

Gli acidi: formico, acetico, propionico, butirrico, valerico. Cogli 
alcool: metilico, etilico, propilico, isobutirrico, amilico, possono for- 
mare 25 eteri diversi; tra loro isomeri a cinque a cinque. Mediante 
gli studi di Pierre, Kopp ed i miei sono conosciuti i volumi mo- 
lecolari di tutte queste sostanze. 

Tutti questi corpi si possono ordinare in due grandi serie, for- 
mate ognuna di 5 piccole serie omologhe a 5 termini, secondoché 
si ordini per omologia del gruppo acido o per omologia del gruppo 
alcoolico. 


28 





248 


Per esempio : 
formiato metilico oppure formiato metilico 


acetato » > etilico 
propionato >» > propilico 
ecc. ecc. > butilico 
» amilico 
formiato etilico acetato metilico 
acetato » » etilico 
propionato » » ©  propilico 


Per non allungare di troppo questa esposizione non istarò a 
trascrivere tutti questi dati, non mostrando essi niente di nuovo. 
Basta che dica che l'incremento di volume dovuto all’aggiunta di CH, 
in queste serie omologhe, oscilla anche esso irregolarmente tra 20 
e 25 unità. Le osservazioni sono, eome si rileva da quanto ho detto, 
in numero di cinquanta. 

H. Kopp crede che i volumi molecolari di sostanze isomere, ap- 
partenenti ad una stessa famiglia, siano uguali. Thorpe ha già messo 
in dubbio questa asserzione ed i risultati finora esposti sopra so- 
stanze isomere, accennano pure ad una variabilità di volume in 
simili sostanze. 

Il confronto dei diversi eteri isomeri fornisce dei dati che sono 
una conferma assai chiara di quanto si è potuto rilevare ora su 
questa quistione. 

Riferirò alcuni dati sperimentali ordinandoli a gruppi di iso- 
meri. , 
Volumi Autori 


Formiato etilico. . CHO, —C,H, 84.57 

Acetato metilico. . C,H,0,—CH, 83.66 
Formiato propilico. CHO, —C,H, 106.68 
C,H,O, {Acetato etilico. .. C,H,O,—C,H, 405.70 
Propionato metilico CyH;0,—CH, 104.24 
Formiato butilico . CHO, —C,Hy 130.74 
Acetato propilico. . C,H,0,--C,H, 128.56 
Propionato etilico . C3H;0s—C,H; 127.83 
Butirrato metilico. C,H,0,—CH, 426.00 
Formiato amilico . CHO, —C;Hy 153.25 
Acetato butilico .* C,H,0,—C,H, 152.54 
C,H,,0. ‘ Propionato propilico C,H,O,—C,H, 150.70 
Butirrato etilico. . C,H,O.—C,H; 150.25 
Valerianato melilico C,H,O,—CH, 449,58 


C,H;0, 


. C;H,50, 


UNMNANNTMUANDNANAMAM 





Volumi Autori 


Acetato amilico .. C,H,O,—C,H,, 174.56 S 

CoH,.0 Propionato butilico C,H;0,.—C,H, 174.56 P 
1? ) Butirrato propilico. C,H,0,—C,H, 47440 P 
Valerianato etilico. C,H,O.—C,H; * 4178.48 K 

Si osserverà che in ognuno di questi cinque gruppi disposti a- 
nalogamente in quanto alla costituzione delle sostanze, il volume de- 
gli isomeri diminuisce regolarmente a partire dal primo. Avviene 
questo in un modo troppo costante per potere essere attribuito al 
caso. 

Credo di potere riassumere il significato di questa tavola di- 
cendo : 

I volumi molecolari degli eteri isomeri ed analogamente costi- 
tuiti sono tanto più elevati, quanto più è piccolo il numero dei car- 
boni nel gruppo acido e maggiore quello nel gruppo alcoolico. 

Questa regola, se così si può chiamarla , ne richiama un'altra 
quasi identica stabilita da Linnemann nei suoi esattissimi studi sui 
puoti di ebollizione degli eteri isomeri : 

« Per i gruppi di eteri isomeri il punto di ebollizione è tanto 
più elevato, quanto più è piccolo il numero di carboni nel gruppo 
acido e maggiore quello nel gruppo alcoolico. » 

Questa regola di Linnemann unita alla mia di suono quasi i- 
dentico, costituisce la più bella conferma, di quanto ho dedotto come 
risultato principale del presente capitolo. Cioè : fra sostanze isomere 
costituite di carbonio e idrogeno, oppure di carbonio, idrogeno e 08- 
sigeno, quella a punto di ebollizione più elevato, ha il volume mo- 
lecolare maggiore. Oppure con altre parole: 

I cosidetti volumi atomici dei componenti non possono essere 
valori invariabili e ciò si applica principalmente all’ atomo di car- 
bonio, il quale è solo a variare di concatenazione nelle sostanze ac- 
cennate. 

Sugli atomi di carbonio non saturi. 


Come già dissi, Buff, basandosi sopra alcuni risultati di incerta 
interpretazione, sostenne l'opinione che il volume molecolare delle 
sostanze dovesse aumentare per la presenza di un cosidetto legame 
doppio tra carbonio e carbonio, ma i suoi risultati sperimentali non 
erano abbastanza numerosi, nè il suo metodo di discussione ed in- 
lerpretazione adattato a provare il suo asserto. Limitandosi a con- 
frontare i volumi trovati con quelli calcolati colle medio indicate da 








220 


Kopp, gli mancava un termine di confronto sicuro e i risultati dei 
confronti non potevano palesare l’esistenza di una legge che pure si 
può ovunque verificare esattamente, ponendosi in condizioni di con- 
fronto più adatte (1). 

Vi son due modi diversi per raggiungere questo scopo, cioè pet 
calcolare, se vi sia, e quale sia, l'aumento dovuto ad uno o più co- 
siddetti legami doppi. Seguendo le due strade si giunge a risultati 

. assolutamente identici, il che mi pare la prova più convincente del- 
l'esattezza del mio modo di procedere. 

Il primo metodo Consiste nel paragonare due sostanze sature ed 
una non satura; che tutte tre contengano lo stesso numero di atomi 
di carbonio e numeri diversi di atomi d’idrogeno. Questo però in 
modo tale, che il numero degli atomi d’idrogeno della sostanza non 
satura, sia compreso tra i numeri di atomi d’idrogeno delle due so- 
stanze sature. Oppure più brevemente : che il primo sia in un modo 
qualunque intermedio fra gli altri due. Per far vedere l'andamento 
del calcolo cercherò quale dovrebbe essere il volume molecolare del 
caprilene C,H,,, se il legame doppio, che contiene, non influisse su 
questo valore. La differenza del volume trovato sperimentalmente e 
quello così calcolato, sarà la variazione dovuta alla presenza di que- 
sta doppio legame. 

I. Confronterò dunque 

4) Diisobutile C,H,,.—Vol=184.5 
2) Caprilene C,H,,—Vol=177.22 
8) Etilbenzina C,H,).—Vol=41388.95 
La differenza tra il primo ed il secondo è uguale 2H 
La differenza tra il secondo ed il terzo è uguale 6H 
La differenza totale tra il primo ed il terzo è uguale 8H 
ai quali corrisponde una differenzaa di volumi lra il primo ed il 
terzo, uguale 184.5—138.95 —45.55 

Per ottenere dunque il valore normale che dovrebbe avere il 
volume di C,H,,, bisognerà aggiungere al valore trovato per C,H, 
6/3==8/, della differenza totale dei volumi, 45,55 che èé=84,17. 

li valore normale di CyH,g sarebbe così: 

Vol. C,H,)=138.95-4-34.47 = 178,12 
ma per un caprilene C,H,, si trovò. . . 4177.2. 


(1) Anche Bruhl e Thorpe hanno espresse delle opinioni simili a 
quelle di Buff, ammettendo, e con ragione, una certa proporzionalità tra 
l’innalzamento del volume molecolare e della rifrazione molecolare. 





224 
Dunque 477.2—4178.12=4.08 sarà l'aumento di volume dovuto 
all'unico legame doppio nella molecola del caprilene. 
II. Se facciamo lo stesso calcolo confrontando 
4) Esane norm. C,H,, — Vol == 489.7 
3) Diallile. C,H,, —Vol = 425.82 
3) Benzina C,H, —Vol—95.94 


avremo : 
Diflerenza tra il primo ed il secondo è di: 4H 
» » secondo ed il terzo è di: 4H° 
Differenza tra il primo ed il terzo è di: 8H 


ai quali corrisponde una differenza di volumi tra il primo e il terzo 
uguale a 189.7—95,94==48.76 

Per ottenere il valore normale*che dovrebbe avere il volume di 
CH bisognerà aggiungere al valore trovato per C,Hg, 4/,='/, della 
differenza totale 43.76 =24.88. 

Il valore normale del diallile CHio sarà così: 

Vol. CHg=95.94+ 21.88 = 4147.82. 
Ma per il diallile ne] quale ammettiamo due legami doppi, l'espe- — 
rienza dà 125.82. 

Dunque 425.82—117.82=8.00 sarà l'aumento di volume do- 
vuto ai due legami doppi nel diallile, e 4.00 sarà l'aumento doypto 
ad ognuno di essi. sa 

Come si vede, questi risultati combinano perfettamente e se vo- 
gliamo rappresentare in un modo più generale questo metodo di con- 
fronto, avremo: 

Siano CaHa, CaHo, CnHe, tre idrocarburi come sopra si è detto, 

A, B, C, i loro rispettivi volumi molecolari. 

Sia di più: 
a> b, b> cA> B, B>C 

e che solo C,H» sia una sostanza non satura a uno o più cosidetti 
legami doppi. Chiamiamo x l’aumento dovuto a questi legami doppi 
e che è qui l’incognita. 

Il valore normale che povrebbe avere C,H, sara 


b—c 
c+(= (A—c)} 
ed il valore di x sara 
a—c 


In questi calcoli ho fatto uso di idrocarburi aromatici e dei loro 
volumi molecolari, considerandoli come sostanze sature, analoghe a 





222 


quelle della serie grassa, In seguito giustificherò questo modo di 
procedere. 

È evidente che il metodo di calcolo finora adoperato, non pre- 
suppone.altro, che una certa costanza del volume atomico dell’idro- 
geno, quando questo si trovi in combinazioni analoghe e confron- 
tabili, senza però che si sia fatta alcuna supposizione sul valore reale 
di questo volume atomico. 

Questa costanza del volume specifico dell'idrogeno, elemento tipo 
per i monovalenti, mi pare resa anche più accettabile dalle consi- 
derazioni seguenti: 

Risulta dai lavori di Briihl e dai miei una notevole analogia 
nelle proprietà ottiche, termiche e volumetriche (1) delle sostanze 
liquide. . . 

Brihl ha dimostrata la costanza della rifrazione atomica degli 
elementi monovaleuti, mentre la rifrazione degli elementi polivalenti, 
specialmente del carbonio, secondo la funzione dell'atomo nella mo- 
lecola, è soggetta ad importanti variazioni. Similmente io tendo a 
credere costante il volume atomico dell'idrogeno, mentre lo stesso, 
come feci vedere, non lo possiamo ammettere per il carbonio. 

Questo primo metodo per calcolare il valore numerico dell’ au- 
mento di volume, dovuto ad uno o più cosidetti legami doppi, per 
quanto mi sembri preferibile a qualunque altro, pure non sarà che 
rarissimamente applicabile, perchè è difficile di potere raccogliere 
tre sostanze che abbiano tra loro le relazioni richieste e più sopra 
esposte. Converrà dunque cercare un altro metodo di più facile e 
generale applicazione. 

Se confrontiamo due sostanze, che contengano lo stesso numero 
di atomi di carbonio, ma delle quali una, satura, contenga due a- 
tomi d’idrogeno di più dell'altra, non satura ,—potremo dalla diffe- 
renza dei volumi delle due sostanze, calcolare l'aumento dovuto al 
legame doppio di una di esse. Per questo però è necessario che sap- 
piamo quale sia il volume atomico dell'atomo d'idrogeno. 

Conoscendo questo, potremo calcolare quale dovrebbe essere, 
partendo dalla sostanza satura, il volume molecolare della sostanza 
non satura. La differenza tra il volume calcolato e quello trovato, 
ci darà la misura dell'aumento dovuto al cosidetto legame doppio. 

Per potere adoperare questo metodo abbiamo dunque bisogno 


(1) Mi sia concesso di adoperare questo termine per indicare com- 
plessivamente, tutto ciò che si riferisce allo studio dei volumi moleco- 
lari ed atomici delle sostanze liquide.. 


228 


di conoscere il volume atomico degll’idrogeno nelle sostanze sature, 
che potremmo dedurre confrontando tra loro una serie di sostanze 
sature che differiscano solo nel numero degli atomi d’idrogeno con- 
tenuii nella molecola. 

E evidente che otterremo così solo un valore approssimativo per 
il volume atomico dell'idrogeno, perchè non essendo costante il vo- 
lume atomico del carbonio, le differenze tra due sostanze, contenenti 
differenti numeri di atomi d’idrogeno, non sarà dovuta unicamente 
al valore degli idrogeni mancanti, ma sarà influenzata pure dalle 
possibili variazioni nel volume dei carboni, variazioni di cui lo 
ammontare si riversa così tutt'intero sui risultati che noi conside- 
reremo come dovuti agli idrogeni soli, Prendendo però la media dei 
valori così trovati ci approssimeremo certo assai al valore vero del- 
l'idrogeno, 

Volumi Differenze 


Esane norm. CH, 439.7 
Benzina. .. . CH 95.9 


Eptane sec. . C,Hj 161.8 
Toluene. .. . C,H, 417.9 


Eptane norm. C,H,, 162.5 
Toluene. . ... C,H, 117,9 


Diisobutile . . C,H, 184.5 
Etilbenzina. . @Hy 188.9 


Octane norm. C,H), 186.2 
Metaxilene ..C,H,, 489.6 


43.8=8H H=5.45 


44.0=8H H=5.5 





44.6=8H H=5.57 





48.6=8H H=5.70 





46.6--8H H=5.82 





Potrei aumentare questi esempi senza alterare sensibilmente la 
loro media che troviamo di 5.6. Io non credo menomamente che 
questa cifra sia assolutamente esatta ma dall'altra parte non credo 
che contenga un errore che possa giungere fino ad una unità nella 
prima decimale. Prenderemo dunque come volume atomico appros- 
simativo e probabile : 

Vol. H=5.6 Vol. H,=14,2 
Se ora confrontiamo per esempio : | 
III. Diisobutile C3Hg= Vol. trov. 184.49 
Caprilene C,H,,=Vol. trov. 177.22 
Il volume normale saturo del caprilene C,H,, 
sarà= Vol. CHg— Vol H, 
Ossia 184.49 -—41.2=173.29 


924 
Ma per il caprilene si è trovato il volume 177.22 
Dunque: 4177.22—173.29=3.93 che sarà l'aumento dovuto al 
legame doppio e che non si discosta sensibilmente dai valori. 
4.07 e 4.00 
che avevamo trovati impiegando |’ altro metodo. La differenza tra 
questi numeri è meno del 2 °/, del valore. 
IV. Confrontando: 
Pentane secondario C,H,,= Vol. 41747 
Amilene secondario C.H,,= Vol.—109.95 
Il volume normale saturo di C;H,, sarà uguale: 
Vol. CsHi,—Vol. H, ossia 117.47—414,2==405.97 
Ma per l’amilene si è trovato il volume 109.95, dunque 109.95 — 
— 105.97 = 3.98 che sarà |’ aumento dovuto al legame doppio del- 
lamilene. = 


V. Confrontando: 
Pentane secondario C;H,,=>417.47 
Valerilene..... .C;H, =4108,0 (Buff). 


Siccome nel valerilene si ammettono due legami doppi e che la 
differenza dal pentane è di 4 atomi d’idrogeno, il volume normale 
saturo di O,H, sarà: 

Vol. C;Hy= Vol. C;H,,—2 Vol. H, oppure 
=11747—2X14,2=94.77 

Ma per il valerilene si è trovato il volume 108.0 dunque 108.0— 
— 94.77 = 8.23 aumento dovuto ai due legami doppi e 4.4 aumento do- 
vuto ad ognuno di essi. Considerando l’enorfie difficoltà di prepa- 
rare il valerilene puro ed in quantità sufficiente, questo è un ri- 
sultato di sorprendente esattezza e che non si discosta che del 2.5 °/, 
dal valore medio 4.00 trovato finora. 

Se vogliamo abbreviare i calcoli e dare un’espressione generale 
a questo processo di confronto, avremo” 

Sia CnHa una sostanza satura, A il suo volume trovato 





» CnHa-s la sostanza non satura, B > 
> 5.6 il volume atomico dell’idrogeno. 
e x significhi Paumento di volume cercato e do- 


vuto al legame doppio. Allora 
A=2(5.6)=—B—z 
x=B+2(5.6)—A 
Con questa formola calcoleremo ora facilmente il valore di x per 
i casi seguenti: 
VI. Alcool propilico normale C,H,0=Vol 84.28 
Alcool allilico. ...... C,H,O=Vol 74,10 


995 

Dunque: B + 2(5.6) — A 

14:10 + 11.2 — 81.28=4.02 aumento dovuto al le- 
game doppio dell'alcool allilico. — 
VII. Acetato propilico. . . . CsH,,0,=Vol 428.56 
Acetato allil'co. ..,. C;H0, =Vol 121.37 
B__+ 25,6) — A 
124.37 + 11.2 — 128.566=4.04 aumento dovuto al legame doppio. 
VIII. Cloruro di propile. . . . C,H.Cl—Vol=91.48 
Cloruro di allile. . ... C3H;CI—Vol=84.24 
B + 2(5.6)—A 
84.24 + 11,2 —91.48=4.01, aumento dovuto al legame doppio. 

A questi esempi potrei ancora aggiungere il confronto tra l’etil- 
benzina e l’etilenbenzina (stirol) ma come già accennai a suo tempo, 
questo risultato non poteva ‘riuscire soddisfacente, perchè dopo pochi 
istanti di riscaldamento lo stirol subisce un principio di polimeriz- 
zazione che progredisce rapidamente. In queste condizioni sfavore- 
voli mi sono meravigliato della grande approssimazione del risul- 
tato, cho però naturalmente non può dare alcuna regola. 

Etilbenzina GsHi,— Vol=138.8 a 
Etilenbenzina  C,', —Vol=130.9 OUNQUE 
B + 2(5.6) — A | 
139.0 + 41.2 — 4138,9=3,2, come aumento dovuto al legame 
doppio. Ì 

Aoche sopra una nuova strada alquanto simile possiamo giun- 
-gere a risultati analoghi 

Abbiamo visto che in molti casi: 


Vol G.= Vol H, oppure Vol C=Vol Hy. 


Se anche non lo sarà sempre ed esattamente, potremo però a- 
doperare questa uguaglianza per ottenere risultati approssimativi. 
Ho già detto che considero i derivati aromatici come saturi, ammis- 
sione del resto che è già stata confermata implicitamente dalla con- 
cordanza dei risultali esposti. Ritornerò sopra questo argomento. 

Dunque confrontando 

IX. Fenol..... C;H;OH — Vol 103.6 (Kopp) 
Alcool allilico C,H;0H — Vol 74.10 
Sopra ho aminesso Vol C=Vol H, dunque Vol 8C Vol 6H 


ossia Vol, 8C=811.2=93.6 


Dunque partendo dal C,H,OH il valore del C,H,OH considerato 
non saluro sarà: 
7440+$3,6=107.70, ma sperimentalmente si trova 103.6. 


29 














996 

Dunque : 
407.7—108,6—4,1 valore del legame doppio nell’alcool allilico. 

Abbiamo dunque ottenuto i risultati seguenti : 
I. Nel caprilene. . . . 4.07 aumento per 4 legame doppia 
II. Nel diallile..... 8.00 » 2 legami doppi 
III. Nel caprilene.... 3.93 » 4 legame doppio 
IV. Nell'amilene.... 3.98 » 
V. Nel valerilene... 8.28 > 
VI. Nell'alcool allilico . 4.02 > 

3 


1 > 
2 legami doppi 
4 legame doppio 
VII. Nell’acetato allilico. 4.04 4 
VIII. Nel cloruro allilico. 4.04 1 


IX. Nell’alcoolallilico. 4.10 4 > 
Risultati che secondo il mio parere decidono definitivamente la 


quistione se sia influenzato il volume molecolare dalla presenza di 
un cosidetto legame doppio. 

Lo sperimento ci mostra che ad ognuno di questi legami doppi 
corrisponde un aumento di circa 4 unità nel volume molecolare, a 
— due legami doppi un aumento di 8 unità. 

° Una osservazione interessante può trovare qui il suo posto. Al- 
l'’amilene noi assegniamo un legame doppio ed ammettiamo che nella 
polimerizzazione dell’amilene, i legami doppi di due molecole vicine 
si aprano e si saldino tra loro, formando un nucleo chiuso. 

HG CH HC—CH 


N44 = | | 
X—HG CH—X X—HC—CH—X 

Questa supposizione viene confermata dalla esperienza. 

Nella formazione del diamilene da due molecole di amilene deb- 
bono sparire due legami doppi. il valore di ognuno di questi in quanto 
al volume è di circa 4, di due dunque di circa 8 unità. Se dunque 
il nostro concetto di polimerizzazione è giusto, il diamilene dovrà 
mostrare un volume di circa 8 unità inferiore alla somma di due 
volumi molecolari dell'amilene semplice. Difatti Vol C,H,,—109.95 

dunque 2.109.98=219.90 
Volume trovato per il diamilene C,0Hso= 211.81 


——r——— 


Differenza= 8.59 
che corrisponde alla sparizione di due legami doppi ognuno dei quali 
avrebbe il valore 4.29 unità, che si avvicina al valore medio di 4. 
La differenza di 0,25 ossia del 5-6 °/ del valore non ci può sor- 
prendere, perchè le sostanze che abbiamo confrontate non sono lo- 
gicamente confrontabili. Deduciamo il volume di un nucleo chiuso 
dal doppio volume di una catena aperta, dunque oltre alle variazioni 


927. 


dovute allo sparire dei doppi legami, forse saranno pure avvenute 
delle variazioni di volume dovute alla diversa forma di concatena- 
zione nella quale sono entrati i carboni e queste variazioni si de- 
vono naturalmente riversare sulla differenza che abbiamo conside- 
rata come dovuta interamente al valore dei due doppi legami. 

Seguendo una nuova strada diversa dalla prima si può provare 
ancora che il diamilene è un prodotto di polimerizzazione del C,H, 
e che è paragonabile alle sostanze sature in quanto all’impiego della 
valenza. . 

Se il prodotto CH» è saturo il suo volume molecolare deve 
essere uguale a due volte il volume del pentane C,H,, meno 4 volte 
il volume atomico dell’ifrogeno, 5.6. 

Vol. C,H,9>=417.17 
Vol. H, = 22.4 

2(417.17) —22.4=214 94 

Per il volume del diamilene si trova=241.34 
Differenza— 63 in meno per il vo- 
lume del prodotto polimerizzato. Questa mancanza di 0.63 unità trova 
un riscontro esatto nella mancanza di 0 59 unità, trovata ora per 
lo stesso diamilene ma con un metodo diverso. Pare dunque che 
realmente in questa polimerizzazione oltre alle 8 unità dovute ai. 
due legami doppi, spariscano ancora 0.6 unità di volume circa, per 
i cambiamenti avvenuli nella concatenazione degli atomi di carbonio 
saluri. 


dunque : 


Sulla costituzione della benzina 


Riconosciuta la dipendenza del volume molecolare dal numero 
dei cosiddetti legami doppi contenuti in una molecola, non sarà privo 
d'interesse d’ applicare i nuovi fatti trovati, allo studio del nucleo 
della serie aromatica; nella speranza di poter portare un piccolo con- 
tributo alla soluzione di una quistione che da più anni è stata stu- 
diata e discussa più di qualunque altra. Alla ben nota formola esa- 
gona della benzina a tre legami doppi di Kekulé, si sono contrap- 
posti diversi altri simboli, specialmente per rappresentare in un modo 
più evidente, che queste non apparisca dalla formola di Kekulé, la 
provuta equivalenza dei sei atomi d’idrogeno della benzina. La di- 
versità dei simboli contrapposti sta principalmente nella esclusione 
dei legami doppi, distribuendo le valenze in modi diversi. 

Se la benzina e gli idrocarburi da essa derivanti, posseggono 
realmente dei legami doppi, quali li ammettiamo nell’ amilene, nel 
caprilene, nell’alcool allilico ccc., confrontando. il volume molecolare 


228 


di un idrocarburo aromatico col volume di un idrocarburo saluro 
della serie grassa, contenente lo stesso numero di atomi di carbonio 
—dopo dedotto dal volume dell'idrocarburo della serie grassa, il vo- 
lume di 8 atomi d'idrogeno, differenza di composizione di idrocarburi 
a ugual numero di carboni, appartenenti a queste due serie (C,H,— 
—C,H,,,C,H,—C,H,, ecc. ecc.),— dovremmo trovare una cifra che sia 
minore del volume trovato per l'igrocarburo aromatico, di circa 12 
unità. Siccome ad ogni legame doppio corrisponde un aumento di 
circa 4 unità, ai tre legami polivalenti ammessi nella benzina do- 
vrebbe corrispondere una differenza di circa 12 unità. 
Lo sperimento contradice nettameute queste deduzioni. 
Abbiamo determinato il Vol. specifico dell’atomo d’idrogeno u- 
guale a 5,6, otto atomi corrisponderanno a circa 44,8 unità. 
Eseguiamo ora il calcolo sopra esposto per trovare la differenza 
dovuta ai- legami doppi nella. benzina, scppure ve ne sono. 
Diisobutile C,H,.—Vol.= 184,49 
Xilene. . , CgHyo= Vol. 189,67 
184,49—44 8 —189,69 
Se prendiamo 
Eptane . . C.H,.—Vol.=162,56 (Thorpe) 
Toluene. . CH} — Vol.=417,97 
avremo 
162,56—44,8 = 117,76 
Possiamo anche confrontare invece che con idrocarburi saturi, 
con quelli non saturi della serie grassa, levando al loro volume mo- 
lecolare tante volte 4 unità quanti sono i legami doppi clic conten- 
gono, In questa maniera otterremo un valore corrispondente ad un 
idrocarburo saturo della slessa formola ; 
Caprilene CgH,¢—Vol mol.=477,22 
Xilene.. CHo- »  =439,67 
avremo 176,22=4=173,22=CgH saturo 
da questo si deduce Vol. H,=33,6 
173,22—83,6 = 189,62. 
Possiamo anche qui fare uso della regola spesso esatta che 
Vol. C,=Vol. Hy, per ottenere risultati almeno approssimativi. 
Confrontiamo il diallile a due legami doppi col toluene e con 
la benzina. 


LI 


Diallile CgHyo. . . . Vol.=125,82 
Toluene C,H,. ... Vol.=417,97 
Benzina O,H,... . Vol.= 93,94 


229 

Il diallile non saturo ha due legami doppi, dnnque. 

125,82--2><4=147,82=C,H,, saturo 
ammettendo come dissi Vol. C,= Vol. H, sarà anche Vol. C=Vol Hy. 
Perciò : 2 

Vol. CsHi saturo=Vol. C,H, toluene 

Abbiamo visto che Vol. €,H,, saturo . .... , . =117,82 

ed il volume del toluene è trovalo........... :=147,97 
D'altra parte Vol. CsHy saturo =417,82 
— Vol. 4H = 22,4 
Sarà il volume di CgHg. ....... 95,42. 
che combina a 0,5 per cento vicino, col valore 95,9 trovato per la 
benzina. 

Che vi possano essere delle piccole differenze si intende facil- 
mente, giacchè abbiamo usato qui una regola non esatta; in oltre 
il valore impiegato per il volume atomico dell'idrogeno è un valore 
medio, il quale se contenesse un errore di solo 0,4 unità, avendolo 
doruto, in alcuni casi, moltiplicare per 8 porterebbe già una ine- 
sattezza di 0,8 unità nel risultato. Però una tale differenza non la 
abbiamo riscontrata, perciò credo giustificato qnel che ho espresso più 
sopra circa il valore medio dell'idrogeno, cioè che esso non includerà 
un errore maggiore di una unità nella primia decimale, il che cor- 
risponderebbe ad una inesattezza del 4,8 9/, del valore totale. 

Vediamo dunque che partendo da idrocarburi saturi della serie 
grassa e facendo l'operazione sopra discussa, invece di ottenere per 
gli idrocarburi aromatici dei valori che siano di circa 12 unità troppo 
piccoli, otteniamo invece scinpre assai nettamente il valore stesso che 
l'esperienza ci ha fornito per il volume molecolare dei diversi idro- 
carburi benzinici. Essi non mostrano nessun aumento di volume che 
possa indicare l’esistenza di qualche legame doppio e non vi è, in 
quanto alla relazione dei volumi, nessuna differenza cepitale tra la 
serie grassa e la serie aromatica. Le sostanze di queste due serie 
sono perfettamente paragonabili in quanto all'impiego della valenza 
e dal punto di visla acquistato mediante gli studi sul volume mo- 
lerolare, si può negare l’esistenza dei legami doppi nel nucleo della 
benzina. 

Mi si potrebbe fare osservare che quel che precede è quasi u- 
Nicamente basato sul valore del volume atomico dell’idrogeno e che 
questo valore stesso, come si vede dalla tavola pag. 223, è stato de- 
t rminalo appunto, coufrontando fra loro idrocarburi saturi della 
serie grassa ed idrocarburi aromatici; e che é perciò naturale, anche 
86 il volume atomico dell'idrogeno fosse falso , ch' io possa trasfor» 


330 
mare i volumi molecolari di idrocarburi grassi in quelli di idrocar- 
buri aromatici, che, insomma, io non faccia che ripetere, sotto un’al- 
tra forma, quel che avevo cspresso colla tavola a pag. 228. 

Questa obiezione però è di nessuna importanza. 

E vero che tutte le ultime deduzioni riposano sul volume ato- 
mico dell’idrogeno, è vero altresì che questo valore fu determinato 
come ora si è detto —ma d’altra parte è anche vero che questo vo- 
lume atomico non è solo giusto per le relazioni tra idrocarburi grassi 
ed idrocarburi aromatici, ma la sua validità è stata dimostrata per 
classi diversissime di sostanze. 

Difatti, l'incremento di volume di 4 unità per ogni cosiddetto 
legame doppio è stato dedotto identicamente secondo due processi 
diversi. L'uno assolutamente indipendente dal volume atomico del- 
l'idrogeno, l’altro dipendente da questo. 

Se, dunque, per questo scopo abbiamo potuto paragonare : idro- 
carburi grassi con idrocarburi aromatici, cloruri alcoolici con cloruri 
alcoolici, eteri della serie grassa con eteri della stessa serie, alcooli 
grassi con alcooli grassi, idrocarburi aromatici tra loro, alcool della 
serie aromatica con quelli della serie grassa, idrocarburi della serie 
grassa con altri della sfessa serie —e sempre, impiegando lo stesso 
valore pel volume atomico dell’idrogeno, abbiamo ottenuto invaria- 
bilmente, come incremento dovuto al legame doppio, to stesso nu- 
mero, dedotto anche mediante l’altro processo indipendente da que- 
sto volume atomico dell’idrogeno;—dobbiamo necessariamente con- 
cludere che per tutte queste serie di corpi è ‘valido il volume ato- 
mico dell’ idrogeno, dedotto dal solo confronto di idrocarburi saturi 
della serie grassa, con idrocarburi aromatici. 

Questo fatto per sè solo mi pare che porti in sé la migliore di- 
mostrazione della perfetta confrontabilità di queste due serie, ri- 
spetto all'impiego della valenza. 

Non è la prima volta che, basandosi sullo studio delle proprietà 
fisico-chimiche della benzina, si sia tentato di disculerne la costitu- 
zione molecolare che fino a poco tempo fa era basata sulle sole pro- 
prietà chimiche di questa sostanza. 

È però un fatto singolare che i tre tentativi falti in questo senso 
non si accordano nei loro risultati. Due di essi rigettano 1’ ammis- 
sibilità di cosiddetti legami doppi ed il terzo li ammette, anzi con- 
sidera come dimostrata la loro esistenza. Brith! nelle sue ricerche im- 
portanti sulle proprietà ottiche delle sostanze, fece vedere che la ri- 
frazione molecolare delle sostanze liquide aumenta di un incremento 
costante per ogni legame doppio che si trovi nella molecola. Di più, 


281 
determinando la rifrazione molecolare della benzina e dei suoi de- 
rivati e confrontando i valori trovati con quelli che si calcolereb- 
bero dalla formola molecolare, trova per tutti i derivati aromatici un 
aumento di potere rifrangente uguale a tre volte |!’ incremento at- 
tribuito ad ogni legame doppio. Il signor Brith] conclude perciò che 
la formola per la benzina di Kekulé, con tre legami doppi, rende 
conto, tanto delle proprietà chimiche che fisiche di questo idrocar- 
buro. 

{1 signor Thomsen basandosi sulla determinazione dei calori di 
combustione di una serie di idrocarburi (Metane, Etane, Etilene, A- 
eetilene, Dipropargile, Benzina) e sui rapporti tra i calorici di com- 
bustione di carboni a legami doppi e di altri a legami semplici, ar- 
riva alla conclusione che la benzina debba contenere non già tre 
legami doppi, ma invece soli legami semplici, come ciò è indicato 
nella. formola : 


DK 


Finalmente come ho fatto vedere in queste ‘pagine, i risultati 
ottenuti nello studio dei volumi molecolari, portano alla conclusione, 
che non vi sia alcuna differenza quantitativa nell’impiego della va- 
lenza tra sostanze aromatiche e sostanze della serie grassa, che esse 
sono perfettamente confrontabili e che non si possa ammettere per- 
ciò una formola, per rappresentare la benzina, che contenga dei co- 
siddetti doppi legami. Anche quegte conclusioni trovano facilmente 
la loro espressione nel simbolo di sopra. 

Dimodochè i risultati di Thomsen ed i miei conducono alla stessa 
conclusione. 

Mi astengo dal fare alcuna ipotesi sull’origine di questa mani- 
festa discrepanza tra i risultati di Brùhl e quelli miei, sperando 
che dei fatti sperimentali, un giorno permetteranno a questo va- 
lente indagatore di darne la spiegazione. 


Dell’ Ossigeno. 
La variabilità del volume atomico di questo elemento o, per dir 


meglio, la variabilità del contributo che porta l'ossigeno al volume 
totale di una molecola, nella quale entri in certe date condizioni, è 








932 
già stata indicata da Kopp. Come media delle sue determinazioni egli 
ammise il valore di 7,8 per un atomo d'ossigeno legato contempo- 
raneamente a due atomi diversi (—O—), e il numero 12,2 quando 
le due valenze fossero saturate da un solo atomo polivalente (O=) (‘). 

Le deduzioni che dovrò fare dall’esteso materiale finora acqui- 
stato, sono assai varie e meno semplici di quelle di H. Kopp. 

Premetterò che il valore dell’ ossigeno è una funzione molto 
complessa del peso e della costituzione molecolare, ma ciò non o- 
stante è possibile di riscontrare delle regolarità , che stanno in in- 
tima relazione colle proprietà chimiche delle sostanze. 

Per acquistare dei valori per l'ossigeno alcoolico possiamo, per 

esempio, confrontare i volumi molecolari degli aleooli, dei fenoli o 
degli eteri, cogl'idrocarburi corrispondenti. 


Volumi Diff. Autori 


Fenol oe 0 © @ «© 0 è C,H;,—OH 103.6 7 7 K 
Benzina ...... C,H, 95.9 ° § 
Anisol e 0 © © 0 0 0 CH, OCH, 425.9 y| 9 S 
Toluene e 000 @ 6 C,H,—CH, 447.9 ; S 
Fenetol. ...... CH;—-00,H; 1485 ge S 
Etilbenzina. . ... C,H; —C,H; 138.9 S 
Epicloridrina. ... C3H;0C1 87.2 7.0 S 
(?)Cloruro d’allile (sat.) C,H,Cl 80.2 ~ § 
Alcool amilico. .. C;H,0H, 122.7 5.6 S 
Pentane ....,. CH 117.1 SS 
octets OH . 
Etere metilsalicilico CcHicgocn, 156.4 12 K 
Etere benzoico. . . C,H,---COOCH, 149.2 K 
Alcool benzilico .. C,H,—CH,OH 123.5 8.6 K 
Toluene. ...... CH;—CH, 117.9 .  $ 


Potremo anche dedurre i volumi delle aldeidi dai volumi degli 
acidi rispettivi, per avere nuovi valori dell'ossigeno alcoolico. 


(1) Chiamerò per brevità: 
Ossigeno alcoolico quello segnato —O— 
Ossigeno aldeidico quello segnato O= 
(2) Deducendo-dal volume trovato nel cloruro d’allile le quattro unità 
corrispondenti al legame doppio, si avrà il volume di CgyH;Cl saturo, 


938 
Volumi Diff. Autori 


Acido acetico. . . . CH,—COOH 63.2 K 
Aldeide acetica. . . CH,—Cy 56.7 65 K 
Acido propionico . C,H;—COOH 85 8 K 
Aldeide propionica. C,H, — cu 74.8 110 P 
Acido butirrico . . C,H,—COOH 108.6 S 
Aldeide butirrica . Cy1l,—C0 960 126 p 
Acido valerianico . C,H,—COOH 130.2 K 
Aldeide valerica . . C,Hy—CO 118.9 19 K 
Acido benzoico. . . C,H,—COOH 126.7 K 
Aldeide henzoica . C,H;—C0 1183 384 K 


Sappiamo che due alomi d'idrogeno portano un aumento di vo- 
lume di 11.2 unità. Deducendo questa cifra dal volume trovato per 
l'acqua, avremo un nuovo valore per l'ossigeno alcoolico. 

Vol. H,0=18.7—11.2=7.5 

I valori così trovati per l'ossigeno alcoolico mostrano grandi o- 
scillazioni e sono lontanissimi dall’offrire una regolarità qualunqne. 

Dovremo dunque concludere che non è possibile di stabilire per 
l'ossigeno legato colle sue due valenze a due altri atomi distinti, un 
valore fisso. 

Abbiamo veduto nelle pagine antecedenti, che un cosidetto le- 
game doppio tra due atomi di carbonio, accresce invariabilmente il 
volume molecolare di 4 unità. 

Anche il legame doppio tra carbonio e ossigeno ha la proprietà 
di accrescere potentemente il volume della melecola, ma, come su- 
bito si vedrà, l'aumento non mostra un valure ben costante. 

Conosciamo il volume inerente a due atomi d'idrogeno (41.2), 
se dunque dal volume di un alcool, leviamo la costante 4141.2, la 
differenza del prodotto ottenuto e del volume dell’aldeide corrispon- 
dente, ci deve dire quale sia la differenza tra l'ossigeno aldeidico e 
l'ossigeno alcoolico. Vedremo, come lo disse già H. Kopp, che il vo- 
lume dell'ossigeno aldeidico è sempre superiore al volume dell’ossi- 
geno alcoolico, purchè le sostanze confrontate siano nel resto della 
molecola, costituite analogamente. 


80 





234 

La tavola seguente ci dà dunque sotto il nome di « Differenze » 
l'indicazione diretta di quanto sia aumentato il volume dell'ossigeno, 
passando dalla forma alcoolica a quella aldeidica. 


Volumi Diff. Autori 








Aldeide acetica . . . CH, 265 = 56.7 K 
5.7 

Alcool etilico .... CH, Lo} = 62.18—11.2Xx51.09 K 

Aldeide propilica es O,H,—Cy = 74.86 P 
4.76 

Alcool propilico . o» C,H;—COR = 81.3 ~-41.2 70.1 S 

Aldeide isobutilica . CH,—-CG = 96.08 P 
5.60 

Alcool isobutilico . . C3H;—COf =101.63—11.2 90.48 © S 

Aldeide isoamilica . GHy—Cy => 1886 P 
84 

Alcool isoamilico . . C,H;— Ch? =122.7—11.2.411.5 S 

Acetone.......(CH,,=CO = 71.08 9 g9 S 

Alcool isopropilico . (CH3)2=Copy = 80.76—11.2 68.56 S 

Metilessitchetone .. .CHssco — 186.64 § 
Celts 6.55 


Alcool caprilico . -. . cal >C0n =491.29—14.2 180.09 S 


= — 


Aldeide benzoica. . CH,—C0 = = 118.3 K 
pee 6.0 


Alcool benzilico. . . CgHs— Cor =423.5 —14.2 112.3 K 


Si ammette che la paraldeide si formi da tre molecole di al- 
deide acetica per concatenazione degli atomi d'ossigeno, che da al- 
deidici che erano, diventano, come li ho chiamati, alcoolici. 

Se questo è vero, i volumi di queste due sostanze (') debbono 
mostrare una differenza di tre volte la differenza che passa tra un 
atomo d'ossigeno aldeidico ed un alcoolico. Come vediamo dall’ ul- 


(1) Per rendere confrontabili i due valori bisogna naturalmente mol- 
tiplicare per 3 il volume dell’aldeide semplice. 





235 


tima tabella questo valore oscilla intorno a 6 unità ma tra limiti 


assai larghi. 
Volumi Differenze 


Aldeide e 0000 0. C,H,0 56.73 = 470.4 49.4 
Para-aldeide. . C,H,,0, oo .....- 150,7 7° 
19.4 
> = 6.46 


Questo falto può servire da conferma alla formola di Erlenme- 
yer, confermata anche dalle ricerche ottiche di Briihl. 

Vediamo dunque chiaramente che quando in una molecola un 
ossigeno alcoolico viene sostituito da un altro che sia legato con 
doppia valenza col carbonio, il volume molecolare è accresciuto for- 
temente. 

_L’ accrescimento però, prodotto da questa sostituzione, non si 
lascia esprimere da una costante e le variazioni che vi si verificano 
sono, secondo il mio parere, troppo grandi per potersi attribuire a 
errori di osservazione. Anzi io credo che il valore dell’ossigeno, che 
ho chiamato aldeidico, non sia coslante e che le variazioni che si 
osservano, siano intimamente legate colla natura della sostanza. Ci- 
ferd alcuni fatti che parlano in favore di quanto dico. 

Se da un alcool primario, passiamo all'acido corrispondente, la- 
sciamo intatta Ja costituzione della molecola e sostituiamo solo un 
atomo di ossigeno a due alomi di idrogeno, se dunque compariamo 
i volumi di un acido e dell’alcool rispettivo, la differenza dei vo- 
lumi sarà anche la differenza tra il valore dell’ ossigeno introdotto 
e del volume dei due atomi d’idrogeno eliminati (!). A queste dif- 
ferenze poi, basta aggiungere il valore di due atomi d'idrogeno (44.2), 
per ottenere il valore corrispondente al solo atomo 4d’ ossigeno al- 


deidico. 
Volumi Differenze Autori 


Acido formico . . . CHon Ad: K 
447 
Alcool metilico ... Cf 42.70 S 
Acido acetico... . CH;—C0? 68.2 K 
1.02 
Alcool etilico .... CHy—CHh 62 18 


(1) Sarebbe forse più esatto di dire: « la differeuza dei volumi, sarà 
anche la differenza tra il valore del gruppo C=O ed il valore del grup- 
po CHa.» 





236 


Volumi Differenze Autori 





Acido propionico. . CoH; — Con 85.8 i K 
Alcool propilico .. C,H;— Ch? 818 TR sg 
Acido butirrico.. CsH,—CQ,, 1078 i A 
Alcool bulilico. .. C,H, — CHX 101.6 oe S 
Acide isobutirrico. C,H7— Og 1086 S 
Alcool isobutilico . C,H;— CO 1016 Lied” 

"o aAeldo:valerianieo - CH — Og 4302 K 
Alcool amilico. .. CHy—CHf 422.7 ii” 


Questo specchietto mostra che nel primo termine il volume del- 
l'ossigeno cldeidico è minore di quello dei due atomi d'idrogeno che 
nveva sostituiti, nel secondo formine già è maggiore e da questo 
cresce rapidamente col salire nella serie omologa. 

Se ora vogliamo calcolare i volumi stessi, corrispondenti al nuovo 
alomo di ossigeno, —secondo quello che già dissi, avremo: 

Nell’acido formico. ... 41.2—4.7= 9.5 
> acetico.... 11.24-1.0=12.2 
> propionico . . 44.2+4.5=15.7 { Valori dell’ ossi- 
« butirrico. .. 41.2-+6.2=417.4( geno aldeidico 
, isobutirrico. . 44.24--7.0=48.2 
> valerianico. . 44.2+7.5=187 

Siecome è principalmente la vicinanza dell’ossigeno aldeidico nel 
carhossile che dà all’ossidride di questo le proprietà acide, era da 
aspettarsi che variando la natura di questo atomo d'ossigeno, va- 
rinssero anche le proprietà generali della molecola. 

Salendo nella serie omologa di questi acidi, aumenta il volume 
dell'ossigeno aldeidico, decrescono le velocità iniziali di eterificazione, 
decrescono i calorici di neutralizzazione. 

Più tardi quando avrò trattato più estesamente del vero signi- 
ficato del cosiddetto legame doppio, farò rilevare l'intimo legame che 
esiste fra queste tre manifestazioni della diversità di natura degli 
acidi omologhi. 

Prima di chiudere questo capitolo credo dover esporre ancora 


237 


una relazione assai spiccata e netta che csiste tra la somma dei 
volumi di un acido ed un alcool da un lato, ed il volume dell’etere 
che da questi due si può formare. 

Un etere si forma nella combinazione di un acido con un al- 
alcool, mentre si elimina nna molecola d’acqua. Si dovrebbero dun- 
que trovare delle differenze costanti tra il volume dell’etere e la 
somma dei volumi dell'acido e dell’alcool, che l'hanno generato. Di 
più questa differenza costante dovrebbe essere eguale al volume mo- 
lecolare dell'acqua (48,7). 

L'esperienza contradice nettamente queste induzioni. 

Per brevità scrivo tutto in formole e tralascio tutte le indica- 
zioni non strettamente necessarie. 


Volumi Differenze Autori 


Vol [1—COOH + Vol CH,OH 83.7 


43 

Vol H—COOCH, 62.87 1! S 

Vol H—C}0H+VolC,H,0H 10348 jo, 
Vol HCOOC,H, 84.57 ° § 

Vol UCOOH+Vol €,H,0H 122.27 559 
Vol H--C00C,H. 106.68 P 

Vol HCOOH+Vol C,H,OH 142.63 11.80 
Vol H—COOC,H, 430.74 a S 

Vol HCOOH-+ Vol C;H,,OH 163.7 10.5 

Vol HCOOC,H,, 153.2 S 

Vol CH;—COOH+ Vol CH,OW 103.9 97.94 
Vol CH,—COOCH, 83.66 n S 

Vol CH;—COO0H+ Vol CI; 001 125.88 970 
Vel CH,—COOC,H, 105.68 S 

Vol CH,—COOH+ Vo IC,H,OH 44447, gy 
Vol CH,--COOC,H, 128.56 S 

Vol CH;=COOH+-Vol C,H0H 46483 399 





238 


Vol C,H,;COOH+-Vol CH,OH 
Vol C,H,COOH + Vol C,H;0H 


Vol C,H,—COOH-+ Vol C,H,0H . 


Vol C,H;—COO0C,H, 


Vol C,H, —COOH + Vol C,H,0H 


Vol C,H,—COOC,H, 


Volumi 
498.5 
404.25 


147.98 
427.83 


167.07 
150.70 


187.38 
174 57 


Vol C,H,—COOH+ Vol C;H,,OH 208.5 


Vol C,H,COOCH, 
Vol C,H,COOH +-Vol C,H,0H 
Vol C,H,CONC,H, 
Vol C,H,COOH+-Vol C,H,OH 
Vol C,H,COOC,H, 
Vol C,H,COOH+C,H,OH 
Vot C,H,COOC,H, 


Vol CyH,C00H+-Vol C,H, ,0H 


Vol C,H,C00H+-Vol CH,0H 
Vol C,H,COOCH, 


Vol C,H,COOH+-Vol C,H,0H 
Vol C,H;C00C,H, 

Vol C,H,COOH-+-Vol C,H.0H 
Vol C,H,C00C,H, 

Vol C,H,COOH+-Vol C,H,0H 
Vol C,H,COOC,H, 


Vol C,H,COOH+-Vol C,H, 0H 
Vol C,H,COOHC,H,, 


196.96 


150.56 
126 00 


170 03 
150.25 


189.42 
174.10 


209.43 
199.5 


280.55 
224.08 


172.86 
149.53 


192.33 
173.13 


241.42 
198.18 


231.73 
218.9 


252.85 


° 244.00 


Diflerenze 


24.26 | 
20.15 
16.37 
12 81 


15.54 


24.56 
13.78 


15.32 


9.93 < 


9.52 


23.83 
19.20 
13.24 
12.83 


8.85 


Autori 


239 

Risulta da questo specchietto, che le diflerenze, tra gli eteri da 
un lato e la somma dell’acido e dell'alcool corrispondente, dall’altro, 
diminuiscono rapidissimamente man mano si sale nella serie o- 
mologa. 

Oppure possiamo esprimere il significato di questa tabella di- 
cendo: che il volume corrispondente alla molecola di acqua che si 
elimina nell’atto dell’eterificazione è tanto più piccolo, quanto mag- 
giore è il peso molecolare dell’ alcool. 

In queste tavole però abbiamo preso come la costanle di ognuno 
dei cinque gruppi l'acido, e come variabile i diversi alcooli, ot- 
tenendo così dei valori decrescenti coll'aumentare del peso mole- 
colare. Se invece prendiamo per costante l'alcool e per variabile 
l'acido, ossia se ordiniamo tutte queste sostanze in cinque gruppi, 
dei quali ognuno contenga gli eteri di tutti cinque gli acidi collo 
stesso alcool, i risultati saranno molto diversi. 

Non credo necessario di riscrivere sotto questa nuova forma 
tutte le tabelle relative. 

Farò osservare che tutti gli eteri metilici si trovano i primi 
di ognuno dei cinque gruppi, tutti gli eteri etilici i secondi, i pro- 
pilici i terzi ecc. ecc. Potremo dunque scrivere direttamente le dif- 
ferenze per gruppi, senza dover riscrivere tutte le formole. 

Gruppo metilico 24.13 22.24 2426 24.56 28.33 
> etilico 18.64 19.70 20.15 19.78 19.20 
> propilico 15.59 415.91 15.44 15.32 43.24 
» butilico 44.89 12.32 41284 9.98 12.83 
» amilico 105 11.34 414.54 952 8.85 

Queste differenze non sono costantissime per ogni gruppo, ma 
certo si avvicinano sensibilmente a dei valori fissi. Non discuto per 
Ora a cosa si debbano attribuire le oscillazioni, ma il fatto che le 
maggiori deviazioni si verificano negli eteri alti del butile e del- 
l'amile che furono studiati da Pierre, e dei quali ho ragione a cre- 
dere che abbiamo forniti risultati alquanto erronei, mi fa sospettare 
che queste oscillazioni siano dovute a valori inesatti per alcuni eteri. 
D'altra parte invece non è ammissibile un errore maggiore di 4 o 5 
unità della prima decimale, al massimo, per la somma degli alcooli 
coi rispettivi acidi. — 

La conclusiune che ci suggerisce la vista dello specchietto sur- 
riferito è secondo il mio parere la seguente: Il restringimento di 
volume nell’atto dell’eterificazione di un dato alcool con qualunque 
siasi acido della serie omologa CnHsyn0, è circa costante, il che 
farebbe supporre che nella condensazione, oppure, nella eterifica- 


240 


zione è l'alcool che perde l'ossidrile c non l'acido. Questo ossidrile 
è il costituente della molecola d'acqua di condensazione, che per 
ogni alcool ha un valore speciale indipendente dalla natura del- 
l'acido. Credo che per ora non si sia abordata ancora la quistione 
se sia l'acido o Valcool che nell'atto della cterificazione fornisce 
l'ossigeno eliminato. Cercherò in seguito di discutere questo speri- 
mentalmente. 


CONCLUSIONI GENERALI 


In una sua ultima Memoria I. W. Brilhl (1) dopo avere stu- 
diato estesamente lc proprietà rinfrangenti delle sostanze liquide 
e dopo di avere confrontati i risultati di questi studi con quelli di 
Berthelot (2), Favre, Silbermann (8), Longinine ed altri, sui calorici 
di combustione di queste stesse sostanze, arriva alle seguenti im- 
portanti conclusioni: 

Il legame doppio tra carbonio e carbonio aumenta tanto il 
potere rifrangente dei corpi, quanto anche il loro calorico di com- 
bustione. Le stesse propricla gode auche il legame doppio tra car- 
honio c ossigeno, ma non nello stesso grado. Come si vede questi 
risultati sono perfettamente paralclli a quelli esposti nella presente 
memoria. La presenza di un legame doppio accresce fortemente il 
volume molecolare delle sostanze, come ne innalza il calorico di com- 
bustione e la potenza rifrangente per la luce. Queste tre diverse 
manifestazioni fisiche, della natura intima delle sostanze sono dun- 
que in pieno accordo o lo debbono essere necessariamente come 
emanazioni visibili di uta unica causa, per noi ancora quasi ignota, 
ma alla quale, partendo dal concetto della valenza costante, abbiamo 
dato il nome di legame doppio. 

Questa costanza della valenza però, è inammissibile, come re- 
gola generale. Le numerose sostanze inorganiche come CO, NO, ed 
altre molte, meno semplici, provano ehe le legge che presiede alla 
congiunzigne degli atomi, non è tanto semplice quanto cc lo siamo 
figurati finora. Molti chimici e fisici consideravano già come assai 
probabile questo fatto, ma solo il Brith! ha potuto enunciarlo, ba- 
sandosi sopra una serie di fatti sperimentali e sopra argomentazioni 
che secondo il mio parere sono inconfutabili. 


(1) Annalen 211 p. 121. 
(2) Essai de mécanique chimique. 
(3) Jahresbericht 1852 p. 21, 


244 

Cercherò di riassumere brevemente le sue considerazioni in 
proposito. 

Abbiamo visto che in quei composti nei quali fino ad oggi si 
ammettevano uno o più. legami doppi, si accresce il calorico di com- 
bustione, la potenza rifrangente per la luce ed il volume molecolare 
in confronto al valore che hanno queste costanti fisiche in compo- 
sli isomeri ai primi, ma saturi. 

L'energia di un composto risulta : 

4° dal calore impiegato per |’ innalzamento di temperatura, 
ossia per l'aumento della forza viva delle sue particelle mosse. 

2° dal calore impiegato, per vincere l'attrazione mutua delle 
singole particelle, per operare insomma quel che chiamiamo la dis- 
gregazione. 

Secondo Clausius (Memoria 6 p. 270) la forza viva degli atomi 
è dipendente solo dalla temperalura e non dall'ordinamento delle 
particelle nella molecola. Ma la forza viva di sostanze isomere, a 
temperature uguali deve essere sempre la stessa, contenendo, queste 
sostanze, nelle loro molecole lo stesso numero di atomi della stessa spe- 
cie. La causa dunque del variabile valore del calorico dell’energia di so- 
stanze isomere, come questo si palesa nel diverso loro calorico di com- 
bustione, dovrà cercarsi unicamente nella diversa disgregazione ope- 
rata nelle loro molecole e ad una energia maggiore corrisponderà 
una disgregazione più avanzata, un maggior indeboliment» dei le- 
gami tra atomo ed atomo. 

Ma siccome si è provato che le sostanze a cosidetti legami doppi, 
hanno un calorico di combustione e perciò una energia maggiore 
che non i loro isomeri, ai quali fanno difetto i Jegami doppi, ne se- 
gue che la disgregazione delle prime sarà più avanzata e i legami tra 
i loro atomi più indeboliti. 

Il cosidetto legame doppio corrisponde perciò, non già ad una 
attrazione più intima, ma bensì ad una attrazione diminuita tra gli 
atomi. L’ammettere legami doppi è in contradizione coi fatti c le 
sostanze nelle quali questi. legami si ammettevano, sono sostanze 
non sature. E la loro affinità, non solamente è impiegata in tutta 
la sua estensione, ma invece tra gli atomi non saturi ha luogo una 
attrazione anche più debole di quel che non corrisponda ad uno dei 
nostri legami semplici. 

I risultali esposti nella presente memoria vengono a confermare 
chiarissimamente queste conclusioni, giacchè solo ammettendo questi 
legami più deboli, mi sia concesso di chiamarli « lacune », sono in- 
telligibili i risultati ottenuti dallo studio dei volumi molecolari. 

- 34 


242 


I lavori di Kopp (!), dimostrano che il volume atomico dell’os- 
sigeno , dello zolfo e dell’azoto si accrescono quando con legami mul- 
tipli sono legati ad altri atomi, ed io ho provato lo stesso per il 
carbonio. 

Sarebbe poco agevole di capire come due atomi che si attrag- 
gano più fortemente che questo non avvenga con un solo legame, 
occupino ciò non ostante degli spazi maggiori, mentre accettando le 
deduzioni sopra esposte, ammettendo dunque delle lacune, un di- 
stanziamento maggiore invece dei legami più intimi, i risultati ot- 
tenuti nello studio dei volumi molecolari non solo diventano intel- 
ligibili ma diventano inevitabili. 

Tutte le reazioni delle sostanze non sature vengono a confor- 
tare il modo di vedere fin qui esposto. Dovunque si metta in con- 
tatto con un gruppo che d’ora innanzi chiamerò « a lacuna », 0 
certi elementi liberi come bromo e cloro o certe combinazioni come 
acido cloridrico o iodidrico ecc-, essi vengono istantaneamente as- 
sorbiti. Se la lacuna esiste fra carbonio e ossigeno, se dunque si 
tratti di aldeidi, acetoni, ossidi di alchileni, tutte le sostanze accen- 
nate ed anche altre molte, come ammoniaca, bisolfiti, idrogeno, os- 
sigeno ecc. si addizionano energicamente , prova della insufficiente 
saturazione dei composti. Sappiamo che le sostanze a catena di car- 
boni interrotti da una lacuna, all’ ossidszione si scindono precisa- 
mente al punto dove finora si segnava il Jegame doppio, prova che 
questo deve presentare il punto di minore resistenza. Anche il fatlo 
che gli acetoni, sotto l’influenza di agenti ossidanti si spezzino sem- 
pre vicino al carbonio che porta l’ossigeno, deve essere in relazione 
colla lacuna esistente tra questo elemento ed il carbonio. 

Vorrei ancora far notare alcune considerazioni circa la costitu- 
zione del nucleo aromatico. Brith! avendo trovato per il potere ri- 
frangente delle sostanze di questa serie un incremento corrispon- 
dente a 8 volte quello prodotto da una lacuna ordinaria come sa- 
rebbe p. es. quella del gruppo allilico ,—vorrebhbe ammettere nella 
. benzina 3 lacune simmetricamente disposte. E sebbane queste deb- 
bano grandemente diminuire la stabilità del nucleo egli ammette ciò 
monostante la loro esistenza, facendo osservare che ad onta della 
loro presenza debilitante, l'essere i sei atomi di carbonio ordinati a 
nucleo chiuso, potrebbe aumentare di tanto l'attrazione tra i diversi 
carboni, da produrre un edifizio di grande resistenza. 


(1) Faccio osservare che anche Brihl adduce i lavori di Kopp e an- 
che quelli ancora poco concludenti di Buff, in conferma delle deduzioni 
generali. 


243 

Senza volere discutere o criticare questo concetto, mi sia per- 
messo di fare osservare che sparisce la necessità di qualuaque ipo- 
lesi, considerando la quistione dal punto di vista acquistato mediante 
i miei studi sui volumi molecolari, che sono d’accordo, come sopra 
dissi coi risultati di I. Thomsen. Risulta dai miei sperimenti la per- 
fetta confrontabilità delle sostanze aromatiche con quelle della serie 
grassa, ¢ la necessità di non ammettervi delle lacune. Accettando, 
per esempio, come espressione della costituzione del nucleo della 
benzina, il simbolo : 


x 
ZN 


la stabilità della sostanza non è più in contradizione colla forma 
del simbolo. Oppure per ispiegarmi meglio: secondo le mie osser- 
vazioni, non essendovi nella benzina dei legami doppi, che ora do- 
vrebbero sostituirsi con lacune: — nulla osta all’acccettazione della 
proposta di sostituire al concetto del legame doppio il concetto della 
lacuna. 

Il nuovo concetto acquistato sul significato del cosidetto legame 
doppio, che, accrescendo il volume molecolare, non corrisponde che 
ad una disgregazione più avanzata, ad un distaccamento maggiore 
tra gli alomi nella molecola, ci consiglia di abbandonare |’ espres- 
sione « volume atomico di un elemento. » 

Difatti il contributo portato da un atomo al volume totale di una 
molecola, non può risiedere nel volume di questo atomo, ma risiede 
nel volume della sfera d’azione a lui propria ossia nella distanza 
.che lo separa dagli altri atomi nella molecola. 

Variando questa distanza, varierà il volume totale della mole- 
cola e sarà tanto maggiore quanto più sarà avanzata la disgrega- 
zione tra gli atomi che la compongono. 

Forse sarebbe più esatto di sostituire alla parola « volume a- 
tomico » di un elemento l’espressione: « sfera atomica » o « sfera 
molecolare, » di questo elemento. Ne 

Il signor Brihl ha proposto di esprimere nelle nostre formole, 
il nuovo concetto che deve sostituire quello del doppio legame, po- 
nendo a maggior distanza relativa gli atomi che prima si univano 
con due affinità, ma che ora dobbiamo considerare come non saturi 
e come più distanziati tra loro. 


944 
L’aldeide, l’acido acetico, l'etilene diverrebbero : 


CH, CH, 

| 0 | 0 CH,———CH, - 
| VA e 

CH C—OH 


indicando col tratto allungato un‘attrazione anche minore di quella 
che lega i due atomi d'idrogeno nella molecola dell’idrogeno e che 
per ora si considera come la minima manifestazione o come unità 
della misura di valenza. 

Questa proposta accettabilissima, non mi pare che basti più, 
quando occorra il caso di dovere esprimere che in una serie di so- 
stanze analogamente costituite, due atomi non saturi, si attraggono 
tra loro con una forza variabile, secondo il termine della serie o- 
mologa nel quale si trovano. Senza però che questa attrazione siunga 
mai al valore di una valenza normale. 

Se non m'inganno credo di potere addurre un tale caso. 

Abbiamo visto a pag. 236 che nella seric omologa degli acidi 
grassi, il volume dell'atomo di ossigeno non saturo, o aldeidico, au- 
menta rapidamente col salire nella serie. Se |’ aumento di volume, 
come si è visto, corrisponde ad un distanziamento maggiore degli 
atomi, dobbiamo ammettere che questo atomo di ossigeno non sa- 
turo sì trovi a distanze sempre maggiori dal carhonio, man mano 
cresce il peso della molecola. Giacché l’acidità dell'ossidrile negli a- 
cidi è dovuta alla vicinanza dell'atomo d'ossigeno, cosidetto aldeidico, 
più questo sarà vicino, più saranno pronunziate le proprietà a- 
cide del carbossile, più sarà lontano, meno sarà sensibile la sua in- 
fluenza, e diminuirà l’energia dell'acido. Nel nostro caso percid, l'a- 
cido formico deve essere l'acido più energico, perchè in esso il vo- 
lume dell’ossigeno aldeidico è il più piccolo, cioè quest’atomo si trova 
in grande prossimità dell’ossidrile; l’acido valerianico invece sarà il . 
più debole tra questi acidi perchè all’ ossigeno aldeidico vi corri- 
sponde un valore altissimo, che significa una lontananza assai grande 
di questo ossigeno e perciò una influenza acidificante molto minore. 

Con queste conclusioni sono in bella armonia gli studi di Lon- 
guinine sui calorici di neutralizzazione degli acidi mediante la potassa 
disciolta, e le ricerche di Menschutkin, sulla celcrità iniziale di ate- 
rificazione degli acidi. 

I. I calorici di neutralizzazione sono calcolati per 41 grammo di 
sostanza : 

Acido formico H—COOH —-2898 cal. 
« acetico CH,—COOH —2238 » 


245 
Acido butirrico © C,H,—COOH—1628 cal. 
» isobutirrico C;4,—COOH—1628 » 
» valerianico C,H,—COOH—1424 » 
II. Celerità iniziale di eterificazione (sistema isobutilico). 


Acido formico — 61.69 
» acetico — 44.86 
» propionico — 414,18 
»  butirrico — 33.25 acido isobutirrico 29.08 
»  caprilico — 33.08 
» octilico -- §0.86 


Questi due ordini di fatti confermano la conclusione tirata dai 
diversi valori del volume, attribuibili all’ossigeno aldeidico negli a- 
cidi della serie grassa, e sono percid anche una conferma indiretta 
di quanto si è esposto sulla vera natura del cosidetto legame doppio. 

Credo che i risultati più importanti della presente ricerca si 
possano esprimere come segue: 

4) I volumi specifici del carbonio e dell'ossigeno sono varia- 
bili. Essi variano col variare della concatenazione atomica. 

2) La presenza di un cosiddetto legame doppio aumenta in- 
variabilmente il volume molecolare. Per ognuno di questi legami tra 
carbonio e carbonio, l'aumento è di quattro unità. 

8) Il nucleo della benzina non può contenere legami doppi, 
ma soli legami semplici 

4) I cosiddetti legami doppi non esistono; dove finora si am- 
mettevano, bisogna sostituirvi delle lacune, degli atomi novo saturi, 
a legami meno intimi di quel che lo siano i legami semplici comu- 
uemente ammessi. 


Risultati sperimentali. 
K=Kopp. P=Pierre. T=Thorpe. P.P=Pisati e Paternò. B=Buff. 


Volumi 
moleeolari Risultati di altri 


1 Acqua..... H,0 18.73 18.78 K. Rossetti 
2. Pentane secon- 
dario. .... C;H,g 447.47 
3 Esane normale. C,H,, 139.72 
4 Diisobutile. . . C,H,, 484.49 184.5 K. 184.83 T 


5 Diiscumile . . . CyHy, 231.81 


246 


Risultati di altri 


425.82 126.42 B 


95.94 K. 95.94 P.P. 


184.38 P.P. 483.5 K | 


84.83 T. 84.63 P. 0 


108.68 T. 103.98 P. 


85.34 T. 85.45 P 
88.96 T 
91.35 P 


87 29 T. 


42.4 K. 42.37 P. 
62.0 K. 61.57 P. 
81.34 P. 


401.99 P. 


714 19 T. 73.9 Tollens 


122.74 122.7 P. 128.5 K. 


Volumi 
molecolari 
6 Amilene.. . . CyHyo 109.95 
7 Caprilene. . . . Gly, 477.22 
8 Diamilene . . . Cy Hoo 241.84 
9 Diallile..... CeHio 
40 Benzina. . ... C,H, 95.94 
44 Toluene..... -C,H;—CH, 417.97 
42 Metaxilene. . . C,H,(CHs). 139.67 
48 Etilbenzina. . . Cgi,—CH; 138.95 
44 Stirol..,... CoHy—C,H; 130.94 
45 Propilbenzina 
normale. . . C,H,—C,H, 161.82 
46 Mesitilene . . . C,H,(CH,), 162.40 
47 Etiltoluene. . , C,H,(CH,)(C,H;) 164.95 
48 Cimene..... C.H,(CH,)(C,H,) 184.46 
49 Trementina , . Cy Hy, 182.85 
20 Carvene ... . Cioe 190.40 
94 Cloroformio . . CHCl, 84.56 
92 Tetracloruro di 
carbonio. . . CCl, 103.66 
28 Cloruro d'etileneCH,Cl—CH,Cl 85 24 
24 Id. d’etilidene. CHCI,—CH, 88.56 
25 Tricloroetane . CH,CI—CHCI, 102.79 
26 Percloroetilene. CCI, —CCI, 414.24 
27 Cloruro di prop. C,H,Cl 94.43 
28 Id. di allile . . O,H,Cl 84.22 
29 Epicloridrina. . C,H;Oul 87.44 
80 Clorohenzina. . C,H,Cl 144.28 
84 Clorotoluene. . C,H,(CH,)C! 134.91 
82 Cloruro di ben- 
zile...... C,H,—CH,Cl 133.47 
88 Alcool metilico. CH,OH 42,74 
34 Id. etilico . . . C,H,OH 62,18 
85 Id. propilico . . C,H,OH 81.28 
36 Id. isopropilico. Cy,H,0H 80.76 
87 Id. butilico. . . C,H,OH — 401.58 
88 Id. isobutilico . C,H,OH 101.63 
89 Id. allilico . ., C,H,OH 71410 
40 Id. amilico. . . C,H,,OH 


947 

Volumi 

e molecolari Risultati di altri 

44 Dimetiletilcar- 

binol..... (CH,),C(C,H; (OH) 191.26 
42 Alcool caprilico. C,H,,OH © 191.29 
48 Metilexilchetone C,H,,0 186.64 

4A Acetone ..., C,H,0 717.08 77.09 K. 76.78 T. 
45 Furfurol.... C;H,0, 95.53 
46 Paraldeide. . . C,H,,.0, 459.74 
47 Dimetilacetal. . C,H, 0, 440,81 
48 Dietilacetal, . . O,f{,,0, © 459.90 


49 Acido butirrico C,H,0, 
50 ld. isobuticrico C,H,0, 
51 Anisol..... C,H;— OCH? 
52 Fenetol. . . : . ©,H,—OC,H, 
53 Formiato metil. C,H,0, 
54 Id. etilico . . . C,H,0, 
55 Id. butilico. . . C.H,,0, 
56 Id. amilico. . . C,H,.0, 
57 Acetato metilico C,H,0, 
58 Id efilico. . . . C,H,0, 
59 Etere cloracetico C,H,CIO, 
60 Id. dicloracetico C,H,CI,0, 
64 Id. tricloracetico C,H,;Cl,0, 
62 Acetato propilico C-H,0, 
63 Id. allilico. . . CHO, 
64 Id. butilico. . . C,H,,0, 
65. Id. amilico. . . C,H,,0, 
66 Propionato me- 

tilico..... C,H,0, 
67 Id. etilico .. . C,H,,0, 
68 Id. propilico. . C,H,,0, 
69 Id. amilico. . . C,H,,0, 
70 Butirrato etilico C,H,.0, 
74 Isobutirrato eti- 

lico. . ... . C,H,.0, 


407.88 107.7 P. 
108.57 106.6 K. 
425.18 
448.50 
62.57 68.2K. 
84.87 84.7 K, 
180.74 480.64 P. 
153.24 
88.66 83.5 K. 
108.70 107.2 K. 
423.09 
148.44 
163.88 
128.86 128.82 P. 
194.87 
132.54 
474.59 


104.24 
427.88 128.40 P. 
150.64 1541.68 P. 
196.95 


150.25 150.34 P. 449 K. 


180.68 484.7 P. 449.8 K. 


LETTERATURA DELL’AR@OMENTO 


E. Linnemann, Annalen 1872. Vol. 162 p. 39. A 
H. Schroeder, libretto separato 1844. § 57 (Punti di ebollizione). 
H. Landolt, Annalen Supplement VI 129. 
N » Poggendorffs Annalen 1864. Vol 123 p. 603. 
L. Schreiner, Annalen 1879. Vol 197 p 1. 
Jungfleisch, Comptes rendus 4867. T. 66 p. SII. 
A. Baeyer, Berichte di Berlino 1877, p. 1286. 
H. Kopp, Annalen 41, p. 79 e 169. 50,71. 92,1. 96,153,303. 
» » Poggendorff 56,371. 63,311. 69,506. 
» =» Journal fur praktische Chemie 34,30. 
H. Schroeder, Sui volumi molecolari 1843: libretto staccato. 
" > Berichte di Berlino XIII 1560 XIV 15. 2516. 
H. L. Buff, Annalen 1866 Suppl. 4. 143. Berichte 1871. 647. anche suo 
Trattato di chimica teorica Erlangen 1866, p. 162. 
E, Thorpe, Journ. Chemical Society 1880. Aprile, Maggio, Giugno. 
B. Tollens, Annalen 1871. 158,104. 
Brown F. D., Proced. Royal Society 1877. Vol. 26 p. 238-247. 
W. Ramsay, Journ. Chemical Society 1879 p. 463. 
G. Vollmar. Moderne Theorien d. Chemie di Lothar Meyer p. 289. 
I, W. Bruhl, Annalen 200,139. 203,1. 203,255. 211,121. 
I. Pierre, Annales de Chimie et de Phisique 3me Serie. 


Vol. 15 p. 325. 1847. 
» 19 » 193. » 
20 » 5. 1848. 
21 » 336, » 
31 » 418. 1851. 
33 » 199. » 


I. Pierre e Puchot, Comptes rendus 1870 1° sem. p. 240, 1871 1° sem. 
379, 2° sem. 832. 1872 2° sem. 1440. 1872 2° sem. 

Gladstone, Berichte 1870 p. 247,369. 

Lothar Meyer, Sui volumi molecolari Annalen 1867 Suppl. 5 p. 129. 

Loschmidt, Resoconto dell’Accademia di Vienna 1865. Vol. 52 2* parte 
). avo. 
i: O. E. Meyer, Teoria cinetica dei gaz Breslavia 1877 p. 217. 

Menschutkin, Berichte XII 2168. 

Louguinine, Comptes rendus 80 p. 568 

I. Thomsen, Berichte XIII 2166 XIV 1302 XV 328. 

Erlenmeyer, Suo Trattato 1868 p. 307. 


949 
Sugli alcaloidi del Buxus Sempervirens L.; 


di G. A. BARBAGLIA (1). 


Abbenché il Dr. Paolo Emilio Alessandri professore di Chi- 
mica nel R. Collegio Cicognini di Prato, abbia in una Nota sui 
principj attivi del Buxus sempervirens L. (2) pubblicato i risul- 
tati delle sue spefienze sul Bossolo, stimo prezzo dell’ opera, e 
nell'interesse di lui, e nella speranza di non essere frainteso 
una seconda volta, di rendere di pubblica ragione anche i miei 
che risguardano l’istesso argomento. 

Duplice è lo scopo del presente lavaro: 

4. Di segnalare ancora una volta i due alcaloidi già noti sotto 
i nomi di Bussina e Parabussina siccome corpi bianchi, amorfi 
e solubili nell’ctere. 

2. Di far conoscere un terzo alcaloide bene caratterizzato e dif- 
ferente dai due precedenti al quale abbiamo dato nome Bussini- 
dina. Venne estratto da me per la prima volta dal Bossolo e 
doveva (nell’ adunanza del dì 9 gennaio 1881 della Società To- 
scana di Scienze naturali, sedente in Pisa ) formare soggetto di 
una lettura , e se questa non ebbe luogo , lo si deve alla sgra- 
ziata circostanza che venni colto da una fierissima cardiopatia 
che mi ridusse in fil di vita, malattia, la quale é ancora tanto 
ostinata (continuando ancora a travagliarmi), che temo non mi 
permetterà tanto presto di riprendere le mie sperienze. 

Nel 1879 pubblicava un breve lavoro sulla bussina (8) col 
quale faceva conoscere come il trattamento del precipitato che si 
ottiene versando carbonato di sodio nel decotto solforico delle fo- 
glie e dei ramoscelli verdi del Bossolo, col latte di calce (opera- 
zione che , per maggiore brevità e chiarezza, convenzionalmente 


(1) Questa memoria venne letta alla Società Toscana di Scienze 
Naturali nell'adunanza del di 14 m. c. Nei processi verbali però se ne 
trova riportato solo un sunto ristrettissimo. 

(2) Gazzetta Chimica ital. t. XII, (1882), 96.—Codesta nota mi è ve- 
nuta sott'occhio or fa un mese all’incirca appena ritornato a Pisa dopo 
un'assenza di 20 mesi, mentre stava ordinando i libri che mi erano ar- 
rivati in questa città durante quel frattempo. 


(3) Atti della Società Toscana di Scienze Naturali sedente in Pisa, 
Vol. IV, fasc. I, pag. 67. 


32 


f 





950 
abbiamo chiamato saponificazione) conducesse a risultati migliori 
“ in quanto la separazione del pigmento dalla massa alcaloidea rie- 
sce più facile e spicciativa. 

* Ora quella saponificazione pare mi abbia fruttato anche la 
scoperta della Bussinidina; dico pare, perchè fino ad ora non mi 
fu dato di riscontrarla nel precipitato non saponificato che in quan- 
tità relativamente piccola e tale che, molto probabilmente, non mi 
avrebbe dato nell’ occhio così facilmente come mi avvenne invece 
di riscontrare nel precipitato saponificato. 

Il fatto si è che la massa alcaloidea estratta da codesto ul- 
timo precipitato ed ottenuta nei modi descritti nel precitato la- 
voro, sciolta nella minore quantità possibile di alcoole, quindi 
neutralizzata con una soluzione alcoolica di acido ossalico, dà un 
precipitato bianco e pesante, che risulta da un aggregato confuso di 
piccoli cristalli.—L’acido solforico, rispetto all’istesso soluto alcoo- 
lico, si comporta presso a poco come l’acido ossalico. 

Il precipitato conseguito in entrambi i casi, separato dalla 
parte liquida colla filtrazione, lavato con alcoole a più riprese, 
asciugato spontaneamente all’aria, indi ritrattato con acqua distil- 
lata, vi si scioglie parzialmente. La parte insolubile viene pel mo- 
mento messa da parte per ulteriori ricerche; quella invece che sta 
sciolta nell’acqua si versa in separatore di vetro e, previa l’aggiunta 
di etere, resa alcalina con carbonato di sodio, poscia agitata forte- 
mente, abbandona, come residuo insolubile sia nell'acqua che nell’e- 
tere, un corpo il quale, estratto dai due liquidi, indi lavato ripetu- 
tamente con etere, quindi lasciato seccare all’aria , è amorfo, di 
bianchezza nivea e friabilissimo. 

Prima di proseguire nello studio di questo corpo dirò che la 
parte insolubile nell’ acqua semplice , diviene solubilissima nella 
medesima se si aggiunge ad essa qualche cristallino di acido ossalico 
e che il soluto che ne risulta, agitato coll’etere e col carbonato di 
sodio fornisce risultati presso a poco identici. 

Il corpo insolubile sia nell'acqua che nell’etere è azotato; fuso, 
cioè, con un pezzettino di sodio in tubo d’assaggio, ripreso poscia 
con acqua distillata e la soluzione risultante filtrata e trattata con 
sale ferroso-ferrico, quindi per ultimo resa acida con acido clo- 
ridrico fornisce un abbondante precipitato di azzurro di Berlino. 
(Reazione Lassaigne). 

Scaldato sulla lamina di platino fonde facilmente; operando 
a temperatura più elevata ed in contatto coll’aria brucia con fiam- 
ma molto fuligginosa, senza lasciare residuo veruno. 


254 


Bollito coll’acqua non visi fonde, suddividendosi invece in mi- 
nutissime particelle. L'acqua non assume nulla del corpo in que- . 
stione edo argomentiamo da ciò che conservasi affatto neutra ai 
reattivi colorati ed evaporata sulla lamina di platino non lascia 
alcun residuo. | 

Oltr’ essere insolubile nell'acqua e nell’etere è anche pressochè 
insolubile nell'alcoole; gli è forse per quest’ultima ragione che di 
codesto corpo nella soluzione alcoolica del precipitato non sapo- 
nificato se ne trova solo una piccola quantità. 

L’acqua acidificata sia con acido solforico che cogli acidi clo- 
ridrico ed acetico, scioglie il medesimo corpo completamente e con 
facilità; le soluzioni risultanti sono affatto incolore e, se l’acido usato 
non è in eccesso, si mostrano perfettamente neutre ai reattivi colo- 
rati. 

La soluzione ossalica coll’ammoniaca fornisce un precipitato 
bianco gelatinoso solubile nell’etere. Facendo la prova col versare 
soluzione ed etere in separatore, aggiungendo poscia |’ ammo- 
niaca, quindi agitando il tutto con violenza il precipitato leggero, 
semitrasparente e come rigonfiato d’aria, che si forma da princi- 
pio, scompare pressochè completamente. Ora se noi evaporiamo a 
b. m. la soluzione eterea (che è di reazione fortemente alcalina) ab- 
bandona un corpo bianco, amorfo e solubilissimo nell’ alcoole. 
La soluzione alcoolica arrossa intensamente la cartolina reattiva 
di curcuma e dà un precipitato bianco, pesante e cristallino quando 
venga accuratamente neutralizzato con soluzione alcoolica di acido 
ossalico. 

Se facciamo l’ istessa prova, usando però invece il carbonato 
di sodio in luogo dell’ammoniaca, il precipitato che si forma, par- 
rebbe di natura ben differente, dacché opaco, di colore bianco deciso, 
polveroso ed affatto insolubile nell’etere. 

Codesto precipitato, che è quasi insolubile nell’ alcoole, vi si 
scioglie prontamente quando ad esso si aggiunga un po’ di solu- 
zione alcoolica di potassa caustica. Locché ci farebbe supporre 
che il precipitato, originatosi col carbonato di sodio sia il car- 
bonato dell’alcaloide che si precipita coll’ammoniaca e, fino ad un 
certo punto, darebbe spiegazione del trovarsi, il novello corpo, in 
quantità maggiore nel Soluto alcoolico proveniente dalla liscivia- 
zione del precipitato saponificato che non in quello del precipi- 
tato non saponificato , siccome più sopra abbiamo già fatto os- 
servare. 

Comunque sia, la funzione basica del nuovo corpo parmi 


° 


252 


dimostrata all’evidenza e che si tratti poi di un novello alcaloide 
differente dalla bussina e dalla parabussina crediamo già fin d'ora 
di poterlo affermare. Gli è a codesto corpo che abbiamo dato il no- 
.me di Bussinidina. 

La soluzione eterea del separatore (da cui, come s'è detto più 
sopra, abbiamo estratto la bussinidina) viene distillata per averne 
la quasi totalità del solvente, indi evaporata a secco a b. m. Il 
residuo è di aspetto vitreo, trasparente e debolmente colorito in 
giallo. 

Anch'esso è corpo azotato. Scaldato su lamina di platino in 
contatto coll’aria dapprima fonde e poscia s’accende e bru*ia con 
fiamma assai fuligginosa senza lasciare traccia di residuo fisso. 

Bollito con acqua distillata non vi si fonde e l’acqua di bol- 
litura arrossa la cartolina reattiva di curcuma, col raffreddamento 
s'intorbida alquanto ed evaporata a b. m. a siccità lascia un resi- 
duo tenue anzichè no, bianco ed amorfo. Onde diremo che il 
corpo è solubile nell'acqua discretamente ed assai più nella bol- 
lente che nella fredda. 

Nonché nell’acqua e nell’etere è solubile anche nell’alcoole e 
il grado di solubilità in quest'ultimo liquido è incomparabilmente 
maggiore che non nei primi due. La soluzione alcoolica anche con- 
. centrata non è gran fatto colorata, arrossa intensamente (come 
quella di bussinidina precipitata coll’ammoniaca) la cartolina reat- 
tiva di curcuma e precipita abbondantemente in biamco con una 
soluzione del pari alcoolica di acido ossalico purchè venga aggiunta 
con precauzione evitandone l’ eccesso, in caso contrario il preci- 
pitato che si forma da principio si ridiscioglie. L’ acido solforico 
induce similmente nella medesima soluzione un precipato bian- 
co, pesante e cristallino del pari solubile in un eccesso di li- 
quido precipitante. 

È solubilissimo nell'acqua acidificata sia con acido ossalico 
che cogli acidi solforico e cloridrico; il soluto è debolmente co- 
lorato in giallo e dà col carbonato di sodio un precipitato bianco 
molto voluminoso, che colla ebollizione va man mano aggregandosi 
in coaguli bianco-giallastri amorfi ; il colore giallastro dichiaro 
non essere loro peculiare, perchè, ripetendo due o tre volte di 
seguito la soluzione del precipitato nell’acido ossalico e la conse- 
cutiva precipitazione frazionata dell’ alcaloide vuoi coll’ ammo- 
niaca vuoi colla soluzione di carbonato di sodio, lo si riduce per- 
fettamente bianco. Questo corpo (e conseguentemente anche quello 
di cui s'è parlato più sopra rimasto nella capsula di vetro in se- 
guito alla evaporazione dell’etere), è la parabussina. 


388 


La soluzione alcoolica, separata colla filtrazione dal precipitato 
bianco cristallino, che abbiamo visto essere un misto di ossalato 
di bussinidina, e di parabussina, viene sottoposta alla distillazione; 
arrivati ad un certo punto il liquido s'intorbida siffattamente e da 
sussulti tanto violenti da doverla sospendere e filtrare quest'ultimo 
prima di andare innanzi. Condotto a siccità a b. m. lascia un 
residuo giallognolo il quale, ripreso con acqua distillata, vi si scioglie 
completamente e con facilità. Il soluto acquoso risultante dà col 
carbonato di sodio un precipitato fioccoso bianco il quale però, se- 
parato dal liquido, compresso fra ‘carta bibula ed-abbandonato a 
sé all’ aria ad asciugare spontaneamente, assume un colore giallo 
pagliarino sbiadito, colore il quale non gli è peculiare pel moti- 
vo che sottoponendo il corpo tre o quattro volte di seguito agli stessi 
trattamenti, in altre parole operando su di esso come s'è fatto per la 
parabussina, perde ogni colore o, per meglio esprimermi, diviene 
bianco come i suoi due confratelli. 

Questo terzo corpo è del pari azotato, combustibilissimo e su- 
scettibile di bruciare con fiamma fuligginosa senza lasciare. il ben- 
chè menomo residuo fisso; neutralizza inoltre gli acidi forti come: 
il solforico, il cloridrico e l’ossalico, per dare origine a sali diffi- 
cilissimamente cristallizzabili. 

Scaldato con acqua distillata, ‘quando siamo vicini alla tem- | 
peratura della sua ebollizione, si fonde e si appiecica siffattamente 
alle pareti del tubo di assaggio che si può capovolgere quest’ultimo 
senza tema di versarnelo in uno coll’acqua. L'acqua di bollitura 
poifarrossa anzichè no la cartolina reattiva di curcuma 

A ciò si aggiunga che è solubilissimo nell’etere e meglio assai 
nell'alcool e che i due soluti arrossano intensamente la curcuma. 
Il soluto alcoolico poi, a differenza di quello dei due precedenti al- 
caloidi, non dà precipitato veruno quando venga neutralizzato con 
soluzione alcoolica di acido cssalico. Codesto terzo alcaloide è cono- 
sciuto sotto il nome di dussina. 

‘Dal fin quì detto risulta evidentissimo: 

4. Che 1’ acido ossalico conviensi assai bene per separare la 
bussina, che con esso non precipita, dalla parabussina e dalla bus- 
sinidina che, per lo contrario, quando sieno in soluzione alcoolica 
concentratissima, precipitano completamente. 

2. Che l'etere serve poscia opportunamente per separare la 
parabassina, che vi è solubilissima, dalla bussinidina che, quando 
è precipitata col carbonato di sodio, vi è affatto insolubile. 

In altre parole; 


254 


4. Che l’alcoole, non isciogliendo i due ossalati di parabussina 
e di bussinidina, serve assai’ bene a separare questi due alcaloidi 
dalla bussina, il cui ossalato vi è solubilissimo. 

2. Che l’etere alla sua volta, non isciogliendo affatto la bus- 
sinidina (precipitata, come s’ é detto, col carbonato di sodio) 
s’addice benissimo alla sua separazione dalla parabussina, la quale, 
quand’anche precipitata coll’istesso carbonato alcalino, vi è sempre 
solubilissima. 

Laonde gli acidi solforico ed ossalico da un lato, l’alcoole e 
l’etere dall’altro lato, preziosi agenti di separazione dei tre alcaloidi, 
ponno eziandio essere considerati come reattivi differenziali degli 
alcaloidi stessi. 

Per debito d’imparzialità e di giustizia mi corre l’obbligo di 
dichiarare come le reazioni degli acidi solforico ed ossalico appar- 
tengano esclusivamente e per intero al sig. Baldassare Pavia va- 
lente farmacista e benemerito industriale di Locate Triulzi (4); 
reazioni mercè delle quali felicemente egli pervenne alla impor- 
tantissima scoperta della parabussina, cui estrasse da quel molti- 
forme miscuglio nerastro soinmamente impuro che era conosciuto 
sotto l’ improprio appellativo di Bussina del Fauré (2). 

Ciò premesso riesce facilissimo di comprendere come a me non 
rimarrebbe che il merito quasî insignificante di avere scoperto ed 
isolato dalla parabussina del Pavia la Bussinidina, alcaloide nuovo, 
e di avere ad un tempo tracciata una via facile e sicura, onde 
si perviene alla separazione completa dei tre alcaloidi coesistenti 
e nelle foglie e nei ramoscelli verdi del Bossolo. 

La scoperta dalla parabussina ho detto importantissima e lo 
confermo, perchè, mentre da un lato arricchì-la scienza di un 
alcaloide nuovo che, come la bussina, promette presto di diventare 
farmaco prezioso contro le febbri da malaria, dimostrando in pari 
tempo non esser vero quello che si ammetteva prima del 4868, 
cioè a dire, che nel bossolo esistesse un solo ed unico alcaloide, 
la bussina, valse dall'altro lato a mettere in luce quanto fossero 
caduti in abbaglio e il dott. Bley, (3) e G. F. Walz (4), nelle loro 
ricerche sulle foglie del bossolo e sull’ alcaloide che ne hanno e- 


(1) Bollettino farmaceutico VIII, (1868), 60 e X, (1871), 114. 

(2) Examen chimique de l’écorce du buis; Buxus sempercirens L. 
Journal de Pharmacie XVI (1830), 428. Tromsdorff. Neues Journa] XXIII 
219. Berzelius Jahresbericht XI (1832), 345. 

(3) Tromsdorff, N. Journal der Pharmacie XXV Stiick 2. s. 54 u. 8.10. 

(4) Neues Iahrbuch fir Pharmacie XII (1859), 302. undXIV (1860), 15. 


’ 


255 


stratto. Nè basta; se quel dotto farmacologo vivente che si chiama 
il Prof. Dott. F. A. Fliickiger (1) avesse tenuto in maggior conto 
la scoperta del nostro Pavia non avrebbe equivocato al punto da 
scrivere essere la Bussina alcaloide identico alla Bibirina del Ro- 
die (4884) e del Maclagan e Tilley (1841-43), alla Pelosina del Wig- 
gers (1888) ed alla Paricina del Winckler (1845). 

La manchevolezza dei lavori del Walz e delle considerazioni 
del Flickiger risalta in oggi maggiormente dopo la scoperta della 
Bussinidina e conseguentemente del fatto che .ne segue della coe- 
sistenza nel bossolo di tre alcaloidi distinti. 

Quanto alla nota del Dott. Alessandri, già più sopra citata , 
devo dire francamente che la lettura di essa mi ha lasciato una 
impressione molesta, sia per la incertezza che vi domina, sia an- 
cora, e precipuamente, perchè |’ autore avrebbe dimostrato di 
ignorare i lavori del compianto nostro Pavia e quelli altri eziandio 
che trattano dell’istesso tema. 

Mi creda il Dott. Alessandri, la parabussina non è di colore 
rosso-porpora e quanto meno insolubile nell’etere, sibbene corpo 
amorfo, bianco e nell’ etere solubilissimo. È inoltre d’ aspetto 
cereo ed ontuosa al tatto quando è umida, mentre, se secca, è pol- 
verizzabile, ha tutto l'aspetto e, fino ad un certo punto, anche la 
consistenza della gomma dragante; 1’ ha detto per la prima volta 
il suo scopritore, |’ ha confermato pienamente il Prof. Angelo 
Pavesi (2) che ne ha preparati alcuni sali, cui sottopose in se- 
guito all’ analisi elementare per determinarne la composizione 
chimica, e per ultimo ne farebbero chiara testimonianza e gli 
esemplari regalatimi dallo stesso Pavia e quelli eziandio che ven- 
nero preparati da me, i quali, dopo di avere figurato all’esposizione 
medica del 1878 di Pisa, furono insigniti del diploma di secondo 
grado, esemplari tutti che conservo per coloro che amassero di 
convincersene co’ proprj occhi. 

Al Dott. Alessandri faccio poi le mie riserve. 4. Sul suo acido 
parabussinico che precipita coll’ammoniaca. 2. Sui suoi alcaloidi 
stupendamente cristallizzati, che nè io nè altri ha saputo fin qui 
ottenere. 3. Sui suoi processi razionali di preparazione della sua 
vera e pura Bussina e della parabussina. 4. Sulla sua distinzione 


(1) Zur Geschichte des Buxius. N. Jahrbuch fir Pharmacie, (1869), 
257. (Mai u. Juni). . 

(2) Relazione dei lavori eseguiti nel Laboratorio chimico della sta- 
zione di Prova presso la R. Scuola Superiore d’Agricoltura in Milano 
1874. pag. 40. 


956 


degli alcaloidi in quelli che si contengono nelle foglie ed in quelli 
nella corteccia. 5. Sul principio glucosidico a cui ha accennato 
e che fino ad ora non é riuscito di svelare. 6. Infine sull’ ipotesi 
che avrebbe formulato intorno alla graduale trasformazione del- 
. la Busseina, nell'economia vegetale vivente, in Bussina ed in Pa- 
rabussina perchè parmi troppo azzardata e non corroborata da suf- 
. ficente dimostrazione sperimentale. 

Forse io non comprenderò la logica del Dott. Alessandri, ma 
mi pare ch'egli si. contraddica in più luoghi. Verbigrazia, mea- 
tre si dichiara scopritore di un alcaloide nuovo la Busseina che 
si è occupato di identificare cimentandolo con molti reattivi, a 
pag. 108 (4) scrive: « Fra questo alcaloide e la Bussina piccola 
è lu differenza e forse gli studj ulteriori proveranno » (se non 
l'hanno di già provato) « che sono un unico ed identico corpo. » 
E di subito continua « La parabussina è distinta per caratteri 
fisici e chimici « che ammetto anch'io, ma che non sarebbero quelli 
assegnati da lui. Ciò premesso, a pag. 107, (2), dopo di avere di- 
chiarato « che la presunta resina non esiste» prosegue scrivendo: 
<o per dir meglio altro none che un nuovo principio distinto, ben 
separabile con Vetere e che io ho chiamato parabussina, salvo a 
modificare în seguito il mio concetto ove potessi provare che essa 
agisce come acido che in tal caso chiamerei parabussinico. « Mi 
auguro che il Dott. Alessandri non riesca a fare’ sì importante 
scoperta , altrimenti tutto I!’ edifizio della Chimica dei prin- 
cipj attivi del Buxus sempervirens L. costruito da lui crollerebbe, 
vale a dire si ridurrebbe semplicemente ad un parabdussinato di 
bussina. 

D'altra parte a lui che a pag. 107 (3) scrive che « nessuno » 
(da me in fuori già s’ intende) « ottenne la bussina pura, cri- 
stallizzata ben definita, ma semplicemente un misto alcaloideo con 
il principio glucosidico delle foglie per giunta. » vorrei domandare 
per favore quali sarebbero i criterj su cui si fonda per asseverare 
pura la sua bussina, quella bussina, voglio dire, che ha preparato 
col suo razionale processo? Io da parte mia intanto mi sento di 
dovergli dichiarare che non ho mai asserito puri gli alcaloidi e- 
stratti da me, già s'intende, nel senso di corpo risultante da una 
sola sostanza, da una sola ed unica specie chimica. Se ho scritto che 


(1) Vedi Nota già recata. 
(2) Vedi stessa Nota. 
(3) Nota citata. 


251 


mi sono occupato della purificazione dell’alcaloide greggio, per non es- 
sere frainteso da nessuno, ho poi aggiunto allo scopo di averlo bianco 
(affatto scevro, cioè, di resina o d’altro pigmento). Egli è chiaro 
quindi che nel vocabolo purificazione sta incluso il significato 
puro e semplice di processo capace di fornire un corpo bianco, 
un alcalvide, od una massa alcaloidea affalto scevra della materia 
colorante che la inquina. 

Del resto il Dott. Alessandri è giovine d’ ingegno e lo ha di- 
mostrato coll’avere sostituito l'acido ossalico al solforico nella con- 
fezione del macerato e del decotto del bossolo; anzi io ho la con- 
vinzione che, se ha pubblicato degli errori ud inesattezze, lo si debba 
attribuire, non già ad imperizia, sibbene ed unicamente a troppa 
fretta nel fare la sua pubblicazione, senza pensare che lo studio 
chimico delle specie botaniche è cosa sommamente ardua e quindi 
altrettanto difficile. 


Laboratorio di Chimic@ applicata della R. Università. Pisa 30 gen- 
najo 1883: 


Sai nitroderivati della resercina; 
di C.SCHIAPARELLI e M. ABELLI. 





Nel fascicolo 4° dei Berichte di Berlino (p. 554) si truva una 
memoria di Typke riguardante l’azione dell'acido nitrico sulla dia- 
cetilresorcina; siccome noi da qualche tempo lavoriamo nello stesso 
senso, riassumiamo in questa nota preliminare i risultati sin’ ora 
avuti. 

Per preparare i nitroderivati della resorcina noi ci siamo ser- 
viii della dibenzoil- e de!la diacetilresorcina. 


Facendo agire sopra un miscuglio di acido solforico e di acido 
nitrico commerciali la dibenzoilresorcina (p. di f. 117°) e riscaldando 
a b. m. si separa una massa pastosa; decantando |’ acido sopra- 
stante, lavando con acqua e cristallizzando dall: alcool e poi dall’e- 
tere, si ottiene una sostanza cristallizzata in aghi aggruppati a stella, 
fusibile a 107°,e che analizzata diede risultati che conducono alla 
formola di una mononitrodibenzoilresorcina: 


Trovato Calcoleto 
0 per CgHy(NO,)0(COCH5), 
C% 66,23 > 66,11 
H 3,98 3,58 
N 8,86 3,87 8,87 


33 


958 
Questo nitroderivato saponificato dà acido benzoico e mononi- 
troresorcina fusibile a 415°. 


Sciogliendo a freddo la dibenzoilresorcina in acido nitrico con- 
centrato (1,50) ed aggiungendo acqua si separa una sostanza solida 
leggermente giallastra, che cristallizzata dall'alcool metilico si fonde 
a 128°. Essa è una trinitrodibenzoilresorcina ed all’ analisi diede 
9,10 0/, di azoto mentre la teoria richiede 9,27. 

Saponificata con potassa alcoolica dà acido metanitrobenzoico 
e mononitroresorcina fusibile a 115°; contemporaneamente si forma 
dell'etere metanitrobenzoico fusibile a 43°. La separazione dell’acido 
metanitrobenzoico dalla nitroresorcina ci è riuscita soltanto com- 
pleta fondandoci sulla diversa solubilità dei sali di rame. 


Sciogliendo la diacetilresorcina nell’ acido nitrico a 4,45 forte- 
mente raffreddato, e aggiungendo acqua, si separa una sostanza 
bianca, o leggermente giallognola, che è costituita da un miscuglio 
di dinitroresorcina ed acido stifnico fusibile a 175°. Typke opera la 
separazione di questi due corpi sciogliendo la massa in molta acqua 
bollente e dice che questo è |’ nnico mezzo onde avere la dinitro- 
resorcina completamente esente di acido stifnico; noi in verità ab- 
biamo operata la separazione sudetta mediante cristallizzazione fra- 
zionata dall'alcool, e la dinitroresorcina così ottenuta si fonde a 214°,5 
(collo stesso termometro il benzoato d’etile bolle a 215° fatta la cor- 
rezione della colonna sporgente, alla pressione di 734 mm.) ed all'a- 
nalisi diede 1 seguenti risultati : 

gr. -0,2483 di sostanza fornirono gr. 0,3277 di CO, e gr.0,0528 
di H,0. 

gr. 0.2009 di sostanza fornirono cc. 24,6 di azoto alla pres- 
sione di 748 mm. c temperatura di 14°; cioè per cento: 


Trovato Calcolato per C,H,(NO,),0,H, 
C 35,99 . 36 
H 2,35 2 
N 14,25 - 14 


Conveniamo però che col metodo di Typke , cioè per mezzo 
della cristallizzazione dall’acqua, la separazione è più pronta e l’unico 
inconveniente è quello di dover adoperare una gran quantità del 
solvente. 

Noi lasciamo completamente lo studio della dinitroresorcina a 
Typke il quale ne ha già esaminato i sali ed alcuni derivati e ci 


259 
riserbiamo invece quello del mononitroderivato sul quale a suo tempo 
daremo maggiori ragguagli. 

Università di Torino—Laboratorio di Chimica Generale—marzo 1883. 


Sulla diffusione del vanadio nel regne mincrale e vegetale 


Ricerche di L. RICCÎARDI. 


Il vanadio fu intraveduto da Del Rio nel 4804 nel piombo bruno 
di Zimapan e lo indicò come un nuovo metallo chiamandolo eritro- 
nium, a causa del color rosso che prendevano i suoi sali sotto l’in- 
fluenza degli acidi. 

In seguito le ricerche di Sefstròn, Berzelius, Wéhler e Rose 
fecero conoscere il metallo vanadio, allora creduto raro: ma dalle ul- 
teriori ricerche risullò che esso è molto diffuso. Infatti Schubin con- 
statò la presenza del vanadio, in alcuni minerali di ferro e di rame. 
Wohler stesso lo trovò in molte altre sostanze minerali e nei mi- 
nerali di Zimapan portati da Humboldt (1). H. Saint Claire Deville (2) 
ne determinò la quantità contenuta nella criolite (0.00018), nel ru- 
tile (0,823), nella cerite di Batuas, nella bauxite delle Calabrie ed 
in altre rocce. Beouvallet (3) e Terrcil trovarono il vanadio, il primo 
nelle argille dei dintorni di Parigi (Gentilly) ed il secondo nelle 
argille refrattarie di Forges-les-Eau. 

Elie de Béaumont, dopo- ls comunicazioni fatte all’ Accademia 
di Francia da Beougallet, richiamò |’ attenzione dei geologi su tale 
proposito sembrandogli essere di molta importanza la presenza del 
vanadio, tanto nei minerali di ferro del mezzogiorno della Francia 
che nelle argille di Gentilly, le quali appartengono all’epoca terziaria. 

Roscoe (4) ricavò il vanadio che trovavasi associato con altri 
metalli in certi sedimenti ramiferi di Alderby, di Mattram, Saint 
Andrews e del Cheshire. In Italia, se non erro, fu il prof. E. Be- 
chi che intravide la presenza del vanadio nella lava eruttata dal- 


(1) Annalen der Chemie und Pharmacie, t. XLI, p. 345. 

(2) Annales de Chimie et de Physique, S. III, t. LXI, p. 309. 

(3) Comptes rendus, t. XLIX, p. 301. 

(4) Annalen der Chemie und Pharm. supplemento, t. VI, p. 77; t. VII, 
p. 70, t. VIII, p. 95. 


260 


Etna nel 1863. Eugelbach (4) trovò nel basalto di Amerod una 
quantità di acido vanadico corrispondente a grammi 0,042 per cento. 

Dieulafait (2) con la ‘sua pubblicazione tentò di dimostrare la 
diffusione del vanadio e del titanio nelle rocce primitive, deducendo 
l'origine acquosa della bauxite (mescolanza di idrato di allumina e 
sesquiossido di fèrro) e delle argille da quelle. Secondo l'autore, que- 
sta legge generale spiegherebbe ugualmente la presenza del vana- 
dio nei minerali di ferro*ed alluminosi. 

È vero che Deville constatò il vanadio nella bauxite delle Ca- 
labrie, ma questo fatto isolato non può formare una legge, tanto più 
che dalle mie ricerche sulle rocce cristalline (granite e gneiss) delle 
Calabrie e dei dintorni di Messina risulla che non contengono la 
più piccola quantità di vanadio, quindi da ciò io deduco che la ge- 
nesi della bauxite, almeno quella delle Calabrie, non debba altri- 
buirsi alla disgregazione delle rocce primitive come fu ideato da Dieu- 
lafait. o ° 

Jorissen (8) trovò il vanadio nella Delvauxite, Betlendorf, von 
Lasaulx ed altri rinvennero detto metallo nelle Ardennite di Salm- 
Chateau, ed in altre rocce provenienti da differenti località. 

Infine recentemente Witz e Osmond (4) prepararono alcuni sali 
di vanadio dalle loppe di raffinamento delle officine di Creusot. 

Dopo aver preso cognizione di quanto ho riportato succinta- 
mente, mi misi a cercare e determinare la quantità di sosquiossido 
di vanadio nelle rocce vulcaniche italiane, limitando le mie ricerche 
per ora, sulle rocce e lave della Sicilia e sulle lave vesuviane, e ri- 
mandando ad altro tempo di ricercarlo nelle altre rocce delle con- 
trade vulcaniche che finora non mi è riuscito di procurare. 


Metodo seguito 


Prendevo da 80 a 100 grammi della sostanza in cui volevo cer- 
care il vanadio e li mettevo in un crogiuolo di ferro, poi scioglievo 
da 40 a 60 grammi di idrato sodico e due grammi circa di nitrato 
sodico in tanta acqua da preparare una soluzione satura e questa a 
poco a poco veniva gettata nel crogiuolo contenente il minerale fi- 
namente polverizzato , agitando continuamente can una bacchetta di 


(1) Liebig’s, Annalen, t. 135, f. 1,—1865. 

(2) Comptes rendus, t. XCIII, p. 804. 

(3) Annales de la Societé Géologique de Belgique, t. VI, p. 41—1878-79 
(4) Comptes rendus, t. XCV, p. 42—1882. 











264 


vetro per ottenere una massa piuttosto omogenea. Allora esponevo 
il crogiuolo all’azione di moderato calore per fare svaporare l'acqua, 
riscaldandolo in seguito sino a perfetta secchezza e poi lo mettevo 
in un forno a riverbero animato da carbone di legua per riscal- 
darlo al color rosso bruno. Dopo circa tre ore che tenevo il crogiu- 
olo nelle condizioni testè indicate, lo toglievo dal fornello e lo facevo 
raffreddare. 

Fo notare che tutte le volte che ho operato con lave vulcani- 
che, basalti e argille, la massa si rapprendeva in una sostanza po- 
rosa di color giallo terra di Siena, la quale si distaccava difficilmente 
dal crogiuolr, mentre che operando nelle identiche condizioni con 
rocce cristalline (graniti e gneiss) ottenevo un vetro di color ver- 
dastro. ° 

Staccavo dal crogiuolo la massa, con cura la polverizzavo e poi 
la trattavo con acqua distillata bollente e gettavo il tutto sul filtro, 
lavandola finché il liquido filtrato non accusava più reazione alca- 
lina. Allora concentravo il liquido e poscia vi facevo gorgogliare del- 
Vacido solfidrico. Quando nella soluzione v'era disciolto il vanadio 
essa si vedeva colorare in rosso scuro per la formazione del solfo 
vanadato sodico, 

Se l’acido solfidrico non determinava precipitato, aggiungevo alla 
soluzione acido cloridrico il quale produceva, dapprima, qualche volta, 
effervescenza, e poscia si determinava un precipitato bruno mesco- 
lato spesso con solfo. Quando cun l'acido solfidrico si otteneva un 
precipitato che constava di silice, di allumina, di ferro ecc., lo rac- 
coglievo sul filtro e lo lavavo finchè il liquido che passava non era 
perfettamente incoloro ; allora nel filtrato aggiungevo acido clori- 
drico. 

Sc la soluzione conteneva manganese, come ne contenevano tutte 
le sostanze da me cimentate, precipitavo questo metallo aggiungendo 
alla soluzione solfidrica dell’ alcool etilico e lasciavo il tutto in ri- 
poso per alcune ore e poi filtravo. 

Eliminate tutte le sostanze sopra indicate il liquido leggermente 
acidificato con acido cloridrico veniva riscaldato a moderato calore 
Goché non rimaneva chiaro e s’era sviluppato tutto l'acido solfidrico. 
Raccoglievo il so'furo di vanadio scpra un piccolo filtro di carta 
Berzelius che in seguito , previa essiccazione , bruciavo in un’ at- 
mosfera ossidante per trasformare il solfuro in sosquiossido di va- 
nadio. 

Per assicurarmi che il sosquiossido pesato, in crogiuolo di por- 
cellana, era di vanadio, ne prendevo una porzione e facevo le rea- 


262 


zioni suggerite da Bunsen con la perla di borace, mentre l’altra por- 
zione lasciata nel crogiuolo veniva umeltata con acido cloridrico; Ja 
massa si colorava allora in rosso e dopo poco a contatto dell’ aria 
prendeva un colore verde. 

Con il metodo or ora citato determinai la quantità di sosquios- 
sido di vanadio nelle seguenti rocce : 


Lava del vesuvio del 1868 gr. 0,0063 °/, 
> 4874 » 0,0075 

> 1872 » 0,018 
Ceneri del Vesuvio del 1872 » 0,0105 
Lava del Vesuvio del 1881 » 0,0084 
Lava dell'Etna del 1669 » 0,0102 
> 4879 » 0,0034 

Basalte di Pachino » 0,006 
Basalte dell'isola dei Ciclopi » 0,0084 


wv vu UU x “U es VU w 


Il prof. Bechi (4) oltre di aver rinvenuto il vanadio nei cal- 
carei argillosi, negli schisti ga'estrini e nelle arenarie, constatò la 
sua presenza nelle piante cresciute specialmente nei terreni argil- 
losi. Io pure ho cercato il vanadio nelle ceneri di alcune gramina- 
cee che crescono sulla lava etnea del 1669 e ve lo rinvenni, ma in 
quantità non determinabile, cimentando circa un chilogramma di ce- 
neri. Da quanto ho esposto risulta che il vanadio è diffuso tanto 
nelle rocce che nel regno vegetale, e l'averlo rinvenuto nelle ceneri 
delle piante non deve far sorpresa dal momento che l’acido vanadico 
è isomorfo col fosforico, e quest’ ultimo, oltre di essere diffuso nel 
regno minerale e vegetale, vi abbonda paragonato al vanadico. 

Avendo rinvenuto il vanadio nelle lave vesuviane eruttate in 
questi ultimi anni, opino che debba rinvenirsi pure nelle lave an- 
tiche; questa opinione viene avvalorata dalla costante composizione 
delle lave vesuviane e dall'aver intraveduto detto corpo !' illustre 
prof. A. Scacchi nelle incrostazioni della lava del 1681 (2). Mi ri- 
servo di cercare in seguito il vanadio nelle sostanze animali. 


(1) Nuove ricerche del boro e del vanadio. Atti della R. Accademia 
dei Lincei. Anno CCLXXVI, Serie III, vol. 3, p. 403. Roma 1878-79. 

(2) Rendiconti della R. Accademia delle Scienze di Napoli, anno XIX, 
1880. p. 40, 41. 


268 


+ 


Ricerche sulla natura chimica del fiero] 


di V. OLIVERI. 


Hlasiwetz (Ann. ¢. CII, p. 166), distillando a fuoco nudo il flo- 
retato di bario con calce e polvere di vetro , otteneva un liquido 
bollente fra 190-200°, che costatò essere un derivato omologo superiore 
re del fenol, cioè un etilfenol, al quale diede il nome di florol. Per le 
esperienze, sull’acido floretico, fatte da Barth, (Ann. Chem. Pharm. 
CLI, 96); e da Koerner e Corbetta (Gaz. Chim. ital. t. 8 p. 4); oggi 
si può con certezza ritenere l’acido floretico come un derivato bisostituito 
della benzina della serie (1,4). Di conseguenza il florol che da esso 
prende origine, per sola eliminazione di anidride carbonica, si è ri- 
tenuto da molti chimici essere paraetilfenol. 

Fittig e Kiesow, (Zeilschr. Chem. 1869, 333) e poi Beilstein e 
Kulberg (ibid. p. 461) fondendo l’etilbenzensolfato potassico (preparato 
per soluzione della etilbenzina nell’acido solforico fumante) con tre 
volte il suo peso di potassa caustica, ottenevano due etilfenoli iso- 
meri, uno solido fusibile a 46° e bollente a 214°-245°, e l’altro li- 
guido bollente a 242°, non solidificabile a — 48°. I carboacidi di 
ambo Je modificazioni, preparati col metodo di Kolbe, fondevano ri- 
spettivamente , cioè : quello avuto dalla modificazione solida, (« 
etilfenol) a 118-120° e I’ altro dalla modilicazione liquida (6 etilfe- 
nol) a 115-417°. Tanto l'uno che I’ altro di questi carboacidi in so- 
luzione acquosa davano col cloruro ferrico una intensa colorazione 
violetta. 

Posteriormente a queste esperienze Chrustschoff (Deut. Chem. 
Gesellschaft t. VI. p. 1165), costatò che sciogliendo l’etilbenzina nel- 
l'acido solforico fumante si ottengono , due solfacidi, probabilmente 
! orto ed il paraderivato; ragion per cui Ja fusione con potassa 
di questo solfacido, riconosciuto un miscuglio di due isomeri, dava 
luogo alla formazione dei due etilfenoli sopra indicati. 

Finalmente W. Suida e S. Plhon (Monatsheft fiir Chemie 1880 
p. 475), prepararono-l’ orto etilfenol sintetico , ossidando con acido 
nitroso l’orto-etilanilina di Beilstein e Kulberg. Lo descrissero come 
un olio incoloro, di odore fenolico, bollente a 210°,78 che non so- 
lidificava a — 18° e coi sali ferrici dava leggiera colorazione verde, 
che dall’ acido nitrico, dal miscuglio cromico e dal perossido di man- 


264 
ganese con acido solforico non veniva ossidato punto, e che fuso con po- 
tassa forniva acido salicilico. Questo orto-etilfenol trattato con bromo dava 
un composto bibromosostituito, in cui i due atomi di bromo sostitui- 
vano due atomi d’idrogeno, uno nel nucleo benzinico e l’altro nella 
catena grassa : questo bibromoetilfenol distillato svolgeva BrH per 
dar luogo alla formazione di un monobromoossistirol, li quido bol- 
lente a 265°. i 

Come etilfenoli sono stati ancora descritti; un liquido bollente 
a 220°, ottenuto da Ciamician (Gaz. Chim. ital. 1879, p. 313) dai 
prodotti della distillazione della gomma ammoniaca sulla polvere di 
zinco. Ed altro liquido bollente a 224-225° ricavato da O. Siegel 
(Ann. t. 170 p. 345) dall'olio d’arnica montana. 

Or confrontando il punto di ebollizione di questi etilfenoli sin- 
tetici , cioè : i due ottenuti dalla fusione con potassa dell’ etilben- 
zensolfato potassico , che bollono rispettivamente a 214-215° cd a 
242° ed il terzo preparato per |’ ossidazione dell’ orto etilbenzina 
che’ bolle a 210,78°, con il punto di ebollizione del florol otte- 
nuto dalla distillazione secca del floretato di bario, indicato da 
Hlasiwetz fra 190-200° , e volendo anche ritenere che l' acido flo- 
retico, omologo superiore dell’acido paraossibenzoico si comporti al 
calore come il suo omologo che secondo I’ esperienze di H. Kup- 
ferberg (J. pr. Chem. 1877, p. 424) si trasforma in acido salicilico; 
nasce il dubbio se col riscaldare il floretato di bario con calce, non 
ayvenga pure una trasposizione. molecolare dell’acido floretico, e se 
oltre di compiersi la reazione secondo l'equazione seguente : 


(C,H,0,),Ba-+Ca0,H, =CO,Ba-+CO,Ca + 2(C,H,,0) 


parte dell’acido floretico non perda l’intera catena propilica o iso- 
propilica, per dar luogo alla formazione del fenol ordinario. Avve- 
randosi questi due casi, il florol fin ora descritto, altro non potea es- 
sere che dell’orto-etilfenol misto a feno] ordinario, invece di para-. 
etilfenol puro come è stato ritenuto. 

Colle esperienze che sono a descrivere mi proposi di studiare e 
risolvere tale questione. 


Florol OHG;H,.C,H;. 


Preparai l'acido floretico dalla florizina della fabbrica di Kahl- 
baum, seguendo il metodo indicato da U. Schiff (Gaz. Chim. Ital. 
v. 4° p. 187) come quello di più facile esecuzione e che dà prodotti 
più puri. Così da seicento grammi di florizina, ottenni grammi cento 
di acido floretico puro fondente a 129° 





265 


Di quest’acido fattene il sale di bario e mescolato questo a pic- 
cole porzioni con calce viva e polvere di vetro, distillai a fuoco nudo ia 
stortine di vetro. 

Da 25 operazioni ritrassi grammi quarantotto di liquido, rac- 
colto in tre porzioni, la prima bollente fra i 175-190°, la seconda 
fia i 4190-2083°, la terza fra i 205-220°. 

Constatai che la porzione bollente fra 175-190° era del fenol or- 
dinario, infatti una combustione fatta con l’ossido di rame mi diede 
i seguenti risultali: 

Gr. 0,1205 di si stanza fornirono gr.0,8620 di CO, e gr.0,0785 di 
acqua. Che rapportati alla" composizione centesimale danno: 

Carbonio 76,22 
Idrogeno 6,72 
La teoria per il fenol C,H,.0H vuole per cento : 
Carbonio 76,57 
Idrogeno 6,98 

L'ho traltato pure con acqua di bromo che mr diede un pre- 
cipitato bianco giallastro di tribromofenol, che lavato e cristalliz- 
zato dall'alcool fuse a 95°. 

La seconda porzione bollente fra i 190-2035’ era un miscuglio 
di fenol ed etilfenol che non potei separare, ma che identificai per 
l'azione dell’acqua di bromo. 

La terza era esclusivamente formata di florol clre purificato per 
distillazione frazionata passava costantemente fra 210-212°. 

Bruciato con ossido di rame fornì i seguenti risultati : 

I. Gr. 0,2928 sostanza fornirono gr. 0,8385 di CO, e gr. 0,2280 
di acqua. 

II. Gr. 0,8297 sostanza fornirono gr. 0,9504 di CO, ce gra. 0,2484 
di acqua. Cioè per cento. 

l. Il. 
Carbonio 78,14 18,59 
[drogeno 8,64 8,40 
La teoria pel florol OH.C,H,C,I], vuole per cento: 
Carbonio 78,68 
Idrogeno 8,20 

Questo fenol trattato con acqua di bromo dava un precipitato 
oleoso, probabilmente identico al bibromo sostituito ottenuto da Suida 
e Pihon dall'orto-etilfenol sintetico, ed anche esso per l’ azione del 
calore sviluppava acido bromidrico , convertendosi in un olio bol- 
lente al disopra di 260° che conteneva del bromo. 

Il florol è un liquido incoloro che rifrange fortemente-la luce, 


84 


266 
dell'odore caratteristico dei fenoli, bolle, come dissi, a 210-212° non 
corretto. È solubile nell’alcool e nell’etere, poco nell'acqua. La solu- 
zione acquosa coi sali ferrici colurasi leggermente in verde. Il sale po- 
tassico viene facilmente decomposto dall’anidride carbonica. 


Etere metilico del florol CH, 0.C,H,.C,H;. 


Per preparare quest’etere ho stemperato florol e idrato potas- 
gico in quantità molecolari nell'alcool metilico anidro : la soluzione 
metilica s'introduce in un piccolo pallone, munito di un turacciolo 
a due fori, ove s'innestano un imbuto a: chiavetta ed un largo re- 
frigerante a riflusso, che all'estremità superiore va connesso con ua 
tubo verticale il quale si fa pescare per 40 cm. in un cilindro pieno 
di mercurio. Così disposto l'apparecchio per l’imbuto a chiavetta si 
versa nel pallone a poco a poco, ed agitando spesso, il doppio della 
quantità teoretica di ioduro di metile, la reazione avviene lenta- 
mente ed a freddo, si compie facendo in seguito bollire lievemente 
per un paio d’ore e sotto pressione. A completo raffreddamento si 
fillra per togliervi il ioduro di potassio formatosi , il filtrato si di- 
stilla a b. m, per rimuovere l’alcool ed il ioduro di metile eccedenti: 
il residuo trattato con soluzione di soda, che toglie il florol inalte- 
rato, viene ripetutamente lavato con acqua distillata, disseccato sul 
cloruro di calcio 6 quindi distillato. 

E un olio pesante che rifrange fortemente la luce, di un grato 
odore etereo. Bolle a 185°. Il permanganato potassico ed il miscuglio 
cromico non ossidano quest’ etere, (scopo per cui fu preparato) ma lo 
si riottiene così inalterato. La sostanza bruciata col metodo di Piria ha 
dato i seguenti risultati: 

I. Gr. 0,2160 di sostanza fornirono gr. 0,6350 di CO, e 
gr. 0,4728 di acqua. 

II. Gr. 0,3100 di sostanza fornirono gr. 0,9012 di CO, e 
gr. 0,2538 di acqua. 

Che portati alla composizione centesimale danno : 


I. II, 
Carbonio 80,09 79,30 
Idrogeno 8,80 9,16 


Mentre il composto della formola CH,.0.C,t1,.C,.H, richiede per 
cento : 
Carbonio 79,44 
Idrogeno 8,83 


| 267 
Acido florolcarbolico 0H.CyH,.C,H;.COOH. 





Quest’acido venne preparato col noto metodo di Kolbe, facendo agire 
cioè per alquante ore sul florol, bollente a 240-242°, il sodio e l’a- 
nidride carbonica. Il prodotto stemperato nell’acqua e filtrato fu pre- 
cipitato con acido cloridrico e poscia neutralizzato con carbonato am- 
monico e ripreso con etere per togliervi il florol inalterato. La so- 
luzione acquosa separata dall’ eterea con un imbuto a- robinetto fu ‘ DUI 
precipitata nuovamente con acido cloridrico. Il precipitato raccolto e’ Ro 
lavato, venne purificato, per trattamento con carbone animale e ri- i 
petute cristallizzazioni dall'acqua bollente. Quest’ acido è in sottili 
aghi sctosi, incolori, poco solubili nell'acqua fredda, solubilissimi nel- 
l'alcool e nell’etere. La soluzione acquosa col cloruro ferrico si co- ai 
lora in violetto, fonde invariabilmente a 112°, anco precipitato dalle i 
sue: combinazioni saline: 
All'analisi ha dato i seguenti risultati: 
Gr. 0,1772 di sostanza fornirono gr. 0,4230 di CO; e gr.0,0982 
di acqua. 
Che rapportati alla composizione centesimale danno : 
Carbonio 63,06 
Idrogeno 6,15 i 
Questi risultati portano alla formola CyHy0,, che richiede per 
cento : 
Carbonio 65,06 
{Idrogeno 6,02 
Di quest’acido venne preparato il sale baritico, sciogliendolo in 
una soluzione di barite e precipitando l'eccesso della base con ani- 
dride carbonica, la soluzione filtrata ed evaporata lascia depositare 
dei cristalli a forma di piccole squamette, del sale di bario. Una de- 
terminazione di acqua ed un’altra di bario nel sale secco mi hanno 
dato i seguenti risultati : 
I. Gr.1 ,3540 di sostanza scaldati a 135° perdettero gr.0,0488 di 
acqua. 
II. Gr. 0,1820 di sale secco diede gr. 0,0905 di solfato di barite,° 
cioè per cento: 
Acqua 3,60 
Bario (nel sale secco) 29, AB 
che conducono alla formola (0H.C,H;.C;Hy.C0,),Ba+-H,0. La teoria, 
per un sale di tal formola, .richiede in 400 parti: 
Acqua 3,74 
Bario (nel sale secco) 29,35 





268 
Azione della potassa fondente sul florol. 


Grammi 40 di florol bollente fra 210-212° si fuse con cinque 
volte il suo peso di potassa caustica, addiz:onando poche gocce di 
acqua. La reazione fu eseguita in capsule di argento ad un discreto 
calore ed agitando continuamente. Tostochè no 1 si svilupparono più 
gas e la massa fusa prese un colorito bigio uniforme, si sospese 
il riscaldamento, ed il prodotto raffreddato venne sciolto nell’ acqua, 
dal liquido filtrato ed acidificato con acido solforico diluito, precipitò 
una sostanza che raccolta sul filtro, lavata e disseccata, fu purificata 
per cristallizzazioni frazionate dall'acqua bollente. Ricavai due acidi: 
il primp, che era la massima parte del pro lotto, fus hile a 156-158° 
e la cui scluzione acquosa dava coi sali ferrici la colorazione violetta: 
(acido salicilico); il secondo fusibile a 190-195°, la cui suluzione ac- 
quosa non dava colorazione alcuna coi sali ferrici, ma riscaldata colo- 
ravasi. in rosso sangue : (acido metaossihenzoico). 


Azione del calore sul floretato sodico. 


In una stortina introdussi gr. 15 di floretalo sodico seceo e ri- 
scaldai per cinque ore villa temperatura di 285-299°: distillò del fe- 
nol. Quindi la massa salina fu disciolta nell'acqua e la soluzione fi'- 
trata venne precipitata con acido solforico diluito; il precipitato, eri- 
stallizzato ripetutamente dall'acqua calda, venne ripreso con cloro- 
formio bollente, che ne sciolse una parte, che abbandonò*per spon- 
lanea evaporazione, e una parte lasciò indisciolta. La parte sulubile nel 
cloroformio si costatò fondere a 120°, e la sua soluzione acquosa 
prendeva col cloruro ferrico una colorazione violetto-acquosa. La se- 
conda porzione che non disciolse il cloroformio fundeve dai 126°-4 28 
e la soluzione acquosa coi sali ferrici dava una debole colorazione, 
tendente al verde. 

Non ne ho potuto fare l'analisi nè prepararne dci sali, onde para- 
gonarli, per insufficienza di materiale. 


CONCLUSIONI 


Risulta dalle esperienze descritte in questa nota. 

4. Che nella distillazione a fuoco nudo del floretato bariticu con 
calce e polvere di vetro, non solo viene eliminato il carbossile per dar 
luogo alla formazione dell’etil fenolo; ma sopra una parte di acido flore- 
tico l’azione del calore è più profonda, distaccando per intero la catena 


269 


grassa con formazione di fenol ordinario; fatto, sin ora non studiato, 
che spiega la ragione per cui al florol è stato assegnalo il punto di e- 
bollizione fra i 190-200°, non risultando il prodotto della distillazione 
secca dall’acido floretico che da un miscuglio di fenol ordinario © 
di etil-fenol. 

2. Che l’acìdo floretico allo stato di sale sodico, scaldato a 285-290°, 
pare subisca la stessa modificazione dell’ acido paraossibenzoico , a- 
zione studiata da H. Kupferberg. Difatti l’acido ricavato dopo il ri- 
scaldamento del floretato sodico, invece di fondere a 129° fondeva a 120° 
ed in luogo di dare la sua soluzione acquosa coi sali ferrici una lieve 
colorazione verde, si osservò una colorazione azzurra violetta. Fatti 
che fanno con molta probabilità supporre essersi formato un orto deri- 
vato, cioè l'acido orto-ossifenilisopropionico hon conosciuto. 

8. Finalmente che il florol da me esaminato bollente fra 240-212° 
lungi di essere il para-ctilfenol si mostra identico all’ orto-etilfenol 
preparato da Suida e Plhon ed alla modificazione liquida di Beilstein 
e Kulberg, ottenuta per fusione con potassa dell’ etilbenzensolfato po- 
tassico, infatti ne ha con essi quasi comune il punto di ebollizione, 
eguale il comportamento con la potassa fondente e con l'acqua di 
bromo, ed il carboacido da me preparato è anch’ esso paragonabile 
a quello ottenuto da Kulberg e Beilstein dal f-etilfenol. 

Abbenché nel provolto della fusione del florol con potassa si ebbe 
a constatare oltre a dell'acido salicilico piccole tracce di acido meta- 
ossibenzoico, ciò non dimostra altro che la distillazione secca dell’a- 
cido floretico dando origine all’ etilfenol, formasi in massima parte 
l’orto-etilfenol ed una piccola porzione dei suoi isomeri meta- e forse 
para-etilfenol, dovuti alla trasposizione della catena grassa per la tem- 
peratura elevata alla quale si operava. 

Palermo, Istituto Chimico, gennaro 1883. 


Sepra un nuevo composto della chinina col cleralio; 


Nota del Dott. G. MAZZARA. 


Ai composti che si oltengono per l’azione del cloralio sull'acqua, 
sull’idrogeno solforato, sugli alcoli grassi, sui mercaptani, sull’ ani- 
dride e sull’acido acetico, sul cloruro di acetile, sugli acidi solforico, 
cianidrico, cianico etc. devo aggiungere un nuovo composto di clo- 


270 


ralio con chinina, che forma I’ oggetto della presente nota. Questo 
composto, credo, che per diversi riguardi sarà degno dell’attenzione 
dei chimici, sia perchè può essere considerato come il tipo di una 
nuova ed importante serie di cumposti di cloralio con alcaloidi ve- 
getali, sia perchè spero, che interesserà la medicina per le applica- 
zioni di cui esso può essere l’oggetto. 

Se ad una soluzione cloroformica di chinina, disseccata a 120°, 
Sì aggiunge la quantità equimolecolare di cloralio (10 gr. di chinina so- 
pra 5,5 gr. di cloralio anidro), si produce un'innalzamento di tempera- 
tura. Versando il miscuglio in una capsola e facendolo spontaneamen- 
te evaporare in un'atmosfera secca, si ottiene un residuo gialla- 
stro, trasparente, di consistenza gelatinosa. Detto residuo si scio- 
glie a freddo nell’etere, ma sottoponendo a leggiero riscaldamento la 
soluzione eterea, non tarda lantosto a separarsi una sostanza bianca 
di struttura cristallina-mammellonare , la quale invade subito tutto 
il liquido, trasformandolo in una poltiglia. 

Questo fenomeno si manifesta pure operando col seguente me- 
todo, il quale fornisce in modo più breve e più facile il nuovo com- 
posto : Si scioglie della chinina anidra nel cloroformio, si diluisce 
la soluzione con etere anidro, si addiziona della quantità equimole- 
colare (147,5 di CCl,.COH per $24 di C,,H,,N,O,) di cloralio e si 
riscalda. Tosto si vedono sulle pareti del pallone apparire dei pic- 
coli cristalli mammellonari, i quali aumentano man mano tanto da 
costituire una poltiglia, allora si filtra, si lava il precipitato con e- 
tere e lo si dissecca sopra l'acido solforico. La sostanza , così otte- 
nuta, si presenta sotto forma di una massa apparentemente amorfa, 
perfettamente bianca, molto leggiera, di gusto dapprima insipido, 
poscia leggermente amarognolo. Fonde, annerendosi a 149° (temp. 
non corr.) all'aria secca non si altera menomamente. All'analisi ha 
dato i seguenti risultati: 

Gr. 0,8660 di sostanza diedero gr. 0,8305 di cloruro d'argento; 
Gr. 0,8159 di sostanza riscaldata con ossido di rame in presenza di 
rame e di argento diedero gr. 0,6508 di anidride carbonica e gram- 
mi 0,1732 di acqua. | 

Vale a dire in rapporto centesimale: 


Cloro . ..... 22,34 — 
Carbonio .... 56,40 
Idrogeno .... 6.00 


La teoria per la formola ; 


274 
richiederebbe nello stesso rapporto: 
Gloro ...... 22,58 
Carbonio .... 55,99 
Idrogeno .... 5.80 

La sostanza è insolubile nella benzina, difficilmente solubile nel- 
l'alcool a freddo, ma vi sì scioglie a caldo, e collo svaporamento si 
deposita gelatinosa. La soluzione alcoolica della sostanza trattata con 
acqua, fornisce un precipitato bianco, il quale separato per filtra- 
zione ed asciugato, fonde a 75-105° ed all'analisi ha dato il 13 0/, 
di cloro. Il punto di fusione, non che la quantità trovata di cloro, 
indicano che il precipitato è un miscuglio di chiniua e di cloral- 
chinina. A 
La cloralchinina si scioglie nell'acqua debolmente acidulata con 
acido solforico, nitrico, acetico etc. e dà alle soldzioni la fluorescenza 
propria delle soluzioni dei sali di chinina. Le soluzioni della cloralchini- 
na nell’acqua acidulata sì comportano coll’acqua di cloro e col ferricia- 
nuro potassico nello stesso modo di quelle dei sali di chinina. 

Finalmente la cloralchinina, sciolta nell'acqua debolmente aci- 
dulata con acido acetico e trattata con una soluzione di bicarbonato 
sodico, fornisce un precipitato quasi esente di cloro. Da queste rea- 
zioni dobbiamo dedurre che |’ acqua, parzialmente, e gli acidi, com- 
pletamente, decompongono la sostanza. 

Lo sono attualmente occupato a preparare i derivati della cloral- 
chinina, come pure di estendere questa reazione agli altri alcaloidi 
vegetali. 

L’ azione dell’ aldeide negli alcaloidi vegetali solidi è stata stu- 
diata dal prof. Ugo Schiff (!), dal punto di vista dei prodotti di ad- 
dizione con eliminazione di acqua, ed ha dato risultati negativi. 
Io mi propongo di vedere se si possono ottenere prodotti di addi- 
zione simili al precedente. 


Come risulta dalla letteratura chimica i fenoli non si addizio- 
nano col clorale: in presenza di sostanze disidratanti dànno dei pro- 
dotti con eliminazione di acqua; così il fenol ed il timol, dànno col 
cloralio il diossifeniltricloretano e il ditimiltricloretano. Ora io sono 
riuscito ad ottenere per l’azione del clorale sul paracresolo e sul ti- 
molo, senza l’intervento di acido solforico, due prodotti di addizione 
cioè il paracresol-clorale ed il timol-clorale. 

Mi limito per ora a dare di questi composti solamente un cenno 


(!) Gazz. Chim. Ital. Tom. VIII, pag. 189. a 





272 
tanto per pigliarne nota, riservandomi fra breve a pubblicarne det- 
* taglialamente il metodo di preparazione e le proprietà. 
Il paracresolelorale è stato oltenuto ia piccoli aghetti fusibili 
da 52° a 56° e all'analisi ha dato i seguenti risultati: 
I. Gr, 0,3700 di sostanza diedero gr. 0,6000 di ClAg. 
Il. Gr. 0,3268 di sostanza riscaldata con ossido di rame fornirono 
gr. 0,5050 di CO, e gr. 0,1254 di H,O. 
Vale a dire %, 
Cloro. ..... 44,09 
Carbonio .... 44,88 
Idrogeno .... 8,63 
La teoria per la formola:, 


Ol <p OC CON 


richiede nello slesso rapporto: 
Clora: sua 41,68 
Carbonio .... 42,27 
Idrogeno .... 8,52 
Il timolelorale fonde da 180° a 484° e all'analisi ha dato i se- 
guenti risultati : 
}r, 0,3576 di sostanza diedero gr. 0,5444 di AgCl 
Gr. 0,2370 di sostanza diedero gr. 0,4128 di CO, e gr: 0,4275 
di H,O. . 
Vale a dire per 9/ 
Gloro 2.4 1645 $5.57 
Carbonio .... 47,47 
Idrogeno .... 5,58 
La teoria per la formola: 


C,H, 
C,H,---OH.CCI,.COH 
~=CH, 
richiederebbe nelle stesso rapporto: a 
Carbonio .... 48,85 
Idrogeno .... 5,04 
Cloro ...... 35,77 
Sebbene la scarsezza dei mezzi di questo Laboratorio, il quale 
ha per dotazione annua la somma di L. 200, non mi permetta di 
lavorare con quella celerità ed estensione .che tali lavori richiede- 
rebbero, tultavia farò il possibile di por termine in breve a tutti que- 
sti lavori ora intrapresi. 
Dal Laboratorio di chimica della R. Scuola di Medicina Veterinaria. 
Torino 20 marzo 1883. 


273 
Sintesi dell'acido fenilmelilotico; 


di 8. SARDO. 





In una memoria pubblicata nella Gazzetta Chimica Italiana, t. IX, 
pag. 428 e che ha per titolo: Sintesi della fenilcumarina, il Pro- 
fessore Oglialoro ha falto osservare che per |’ azione dell'amalgama 
di sodio sulla fenilcumarina sciolta in una miscela a volumi eguali 
di acqua c di alcool, si formava probabilmente il nuovo acido fenil- 
melilotico, fusibile a 120° c. 

Potendo disporre di una buona quantità di fenilcumarina, che 
fu prepardta col metodo indicato nell’ annunziata memoria, ho vo- 
luto riprendere lo studio dell’azione dell'idrogeno nascente sulla fe- 
nilcumarina st:ssa e conseguentemente del nuovo prodotto che ne 
risulta. | 

A questo fine la fenilcumarina pura, sciolta nell’ acqua alcoliz- 
zata, fu trattata con un eccesso di amalgama di sodio al 8 0/,. La 
soluzione alcalina così ottenuta, e separata per decantazione dal mer- 
curio, fu prima filtrata e poi acidificata con acido cloridrico. Que- 
st'ultimo mette in libertà una sostanza vischiosa, che, essendo so- 
lubile nell’etere, facilmente può separarsi, eseguendo un metodico 
trattamento col cennato solvente. Lo estratto etereo si presenta co- 
lorato e molle, ma dallo stesso, sia per successivi trattamenti con 
acqua bollente, sia, e meglio. con acqua un po’ alcoolizzata, si riesce 
ad ottenere una sostanza solida, cristallizzata e quasi bianca. Una 
seconda cristallizzazione è sufficiente perchè la sostanza presenti una 
discreta purezza. Questa seconda cristallizzazione fu fatta frazionando, 
cosicchè ho avuto varie porzioni, delle quali le più bianche e me- 
glio eristallizzate si fondono alla temperatura di 120°c, mentre qual- 
cuna ha un punto di fusione di 2 a 8 gradi più basso. 

Le analisi di due porzioni distinte hanno dato i seguenti ri- 
risultati. 

I. Gr. 0,1925 di sostanza fornirono gr. 0,528 di anidride car- 
bonica e gr. 0,107 di acqua. 

II. Gr. 0,279 di sostanza hanno prodotto gr. 0,7515 di ani- 
dride carbonica ec gr. 0,1485 di acqua. 

E quindi per cento: 


I II 
Carbonio. .... 74,80 73,45 
idrogeno. .... 6,42 5,94 
35 
& 








874 
La teoria per ja formola Cis ,0, dell'acido fenilmelilotico ri- 
chiede: 
Carbonio .... 74,88 
Idrogeno .... 5,78 
Il nuovo acido venne trasformato in sale di argento al solito 
preparando prima la soluzione di sale ammonico e poi trattando 
questa con nitrato di argento. Il sale argentico è una sostanza bianca 
poco solubile nell'acqua fredda; nell'acqua calda si scioglie un po’ me- 
glio e può anche aversi cristallizzato; la luce lo altera. 
All’analisi ha dato i seguenti risultati: 
I. Gr. 0,1855 di sale, dopo calcinazione, lasciarono gr. 0,044 
di argento. 
II, Gr. 0,283 di un’altra preparazione del sale fornirono gram- 
mi 0,0875 di argento. 
IIIf. Gr. 0,269 dello stesso sale bruciati con ossido di rame, 
hanno dato gr. 0,522 di CO, e gr. 0,0895 di acqua. 
E quindì per cento: 


I II III 

Argento 80,25 80,94 — 
Carbonio — — 52,95 
» Idrogeno — — 8,69 


La teoria per la formola C,;H,,0,Ag vuole: 
Argento .... 830,94 
Carbonio. ... 52,48 
Idrogeno. . .. $69 

I risultati analitici, il punto di fusione, ed il modo come I’ ab- 
biamo preparato non lasciano alcun dubbio che la nuova sostanza 
sia l’acido fenilmelilotico. 

Esso è poco solubile nell'acqua fredda, si scioglie meglio nell’ac- 
qua bollente, nell’etere, nell'alcocl, nella benzina, e nel cloroformio, 
dai quali solventi si ottiene sempre cristallizzato in piccoli prismetti. 

Trattato col percloruro di ferro nou dà alcuna reazione. 

Ne continuerò lo studio; specialmente dei derivati. 

istituto Chimico della R. Università di Napoli, febbraro 1883. 


375 


Tentative di nintesi dell'acido fioretico per mezzo 
dellanisiimetilchetone; 


nota preliminare di V. OLIVERI. 





Le esperienze di Barth (4) e di Kérner e Corbetta, (2) sull’acido 
floretico, hanno dimostrato quasi all'evidenza che questo corpo sia acido 
paraossifenilisopropionico, cioè che sia costituito secondo la formola di 


1 I 
struttura OH—C,H,—CH— COOH. 
| 
Con tali velute volendo realizzare la sintesi di questo composto, tra 
le vie possibili a seguirsi, misembrò più facile quella di partire da un ace- 


I Iv 
tone OH—C,H,—CO—CH, , farne la corrisponcente cianidrina 


OH OH 
| | 
OH—C,H,--C--CH, e saponificandola venire all’acOH—C,H,—C —CH, 
| 
CH, COOH 


il cui ossidrile alcoolico, avrebbe potuto facilmente essere eliminato con 
la sostituzione di Br, per mezzo dell'acido bromidrico concentrato, (rea- 
zione comune a molti acidi con ossidrili alcoolici) e la successiva ri- 
duzione del prodotto bromurato con idrogeno nascente. 

All’intento di effettuire tale sintesi ho cominciato dal prepa- 
rare l'etere metilico dell’indicato fenol-chctone, partendo dall’aldeide 
anisica. 

Anisilmetilchetone OCH,—C,H,—COCH, 

Ottenni questo composto con un metodo , che ritengo vantag- 
gioso e adatto alla preparazione di altri acetoni cioè: per l’azione 
di un ioduro alcoolico sopra il composto sodico di un’ aldeide. La 
reazione si compie secondo |’ equazione R.CONa + IR! = R.CO. 
R' + Nal. Operai nel modo seguente. 

In un pallone con apparecchio a ricadere ho versato dell'etere 
anidro ed una quantità conoscinta di sodio metallico ; curai eli- 
minar l’aria dall’apparecchio con una corrente di azoto secco e quin- 
di feci cadere nel pallone, per un imbuto a chiavetta, |’ aldeide 
anisica in quantità teoretica per formare anisilaldeidato sodico. La 


x 


(1) Annalen vol. 152 p. 96. 
(2) Gazz. Chem, Italiana vol. 5 p. 1. 


276 


reazione avvenne a freddo con svolgimento di gas e si agevolò infine 
riscaldando leggermente. Terminata la reazione, si osservava den- 
tro il pallone, una massa amorfa , bianca , insolubile nell’ etere, 
ch’era il composto sodico della aldeide; su questo prodotto, senza 
modificare l'apparecchio, ho fatto agire il ioduro di metile, versan- 
dolo per lo stesso imbuto a chiavetta, nella quantità un poco più della 
teoretica. Riscaldai quindi a bagno maria per otto ore, avendo curato 
d’innestare alla estremità aperta del refrigerante, un tubo verticale, 
che pescava per 50 centimetri in una provetta piena di mercurio. Fi- 
nita la reazione, dopo raffreddamento, si filtrò il prodotto, ed il liquido 
filtrato venne distillato a bagno-maria, per scacciare l'etere e l’ec- 
cesso di ioduro di metile. L'olio bruno rimasto fu trattato con bi- 
solfito alcalino, onde essere liberato dall’aldeide che non prese parte 
alla reazione, e ripetutamente lavato con acqua distillata e seccato 
sul cloruro di calcio. Dopo parecchie distillazioni ottenni un olio di 
odore aromatico, incoloro, più pesante dell’acqua, non cristallizza- 
bile sino a — 15°, molto refrangente la luce, e bollente fra 220°-222° 
(non corretto). 

All'analisi ha fornito i seguenti risultati: 

Combustione coll’ossido di rame 

4. gr. 0,3244 di sostanza diedero gr. 0,8513 di CO, e gr. 0,2090 
di acqua. 

II. gr. 0,2646 di sostanza diedero gr.0,7203 di anidride carbo- 
nica e gr. 0,1643 di acqua; che rapportati alla composizione centesi- 
male danno : 


I. If. 
Carbonio 74,58 74,72 
Idrogeno 7,18 6,90 


La teoria pella formola CH,0.C,H,COCH, vuole 0/; 
Carbonio 72— 
Idrogeno 6,67 . 
Determinazione di densità di vapore col metodo di Meyer. 
I. sostanza gr. 0,1355, gas raccolto c.c. 22 a t. 14,4° e B 765 
II. sostanza gr. 0,1648, gas raccolto c.c. 27 a t..14,5° e B 764 
Densità trovata Calcolata per 
4° 5,01 C,H ,,0. 
9° 5,02 5,18 
Cianidrina dell’anisilmetilchetone 
L'ho preparata disponendo sul fondo di un palloncino raffred- 
dato con sale e neve, il cianuro di potassio e |’ anisilmetilchetone 
in quantità equimolecolari, umettandoli con acqua e facendovi goc- 


277 
eiolare dell’acido cloridrico fumante, anch'esso raffreddato. Il prodotto 
fatto gocciolare dalla massa salina rimanente l'ho distillato col vapor 
di acqua e lasciato per parecchi giorni a disseccare nel vuoto. 

Si presenta come un liquido lievemente giallastro in cui ho 
constatato qualitativamente l’esistenza dell'azoto. 

Questa cianidrina saponificata sia con acido cloridrico fumante 
sia con soluzione concentrata di potassa, ha fornito dell'acido ani- 
sico, riconosciuto pel suo punto di fusione e pei risultati sommini- 
strati dall'analisi, e dell’acido acetico, caratterizzato pel suo odore. 

In questa reazione pare che l’atomo centrale di carbonio della 
catena laterale venga ossidato, contemporaneamente al gruppo CAz, 
per formare acido anisico ed acido acetico. 

È da osservare che nella saponificazione con acido cloridrico, 
la massima parte della cianidrina si resinificava, mentre colla po- 
tassa la reazione andava più netta sino a ricapitarsi |’ acetone clre 
non si era trasformato in cianidrina. 

Per mancanza di materiale ho dovuto sospendere queste ricer- 
che, ma son determinato, a prima occasione, proseguirle, onde tro- 
vare un metodo per saponificare tale cianidrina senza decomporla 
e così pervenire all'acido della formola OCH—CH,— CH—C00H 

CH; 
che con molta probabilità deve essere l’acido metilfloretico di Koer- 
ner e Corbetta. 
Palermo, Istituto Chimico; aprile 1883. 


RIVISTA DEI BAVORI DI CHIMICA 


PUBBLICATI IN ITALIA 


—2-@DÒ)@roa—. 


Atti della R. Accademia delle ficienze di Torino. 
V. XVIII, disp. 1° (Novembre-Dicembre 82) 





Sulla rodonite di Viù; di Vincenzo Fino, p. 39. 

La rodonite di questa provenienza è di color roseo e si trova fram- 
mista con costanza nera, difficilmente separabile; questa sostanza nera 
è un prodotto d'alterazione della rodonite. 

I caratteri principali di questa rodonite sono : 

Peso specifico 3,65 ; durezza 5,5-6 ; contrariamente alle rodonite di 
altre provenienze, non vi si nota indizio di pleocroismo ; è fusibile al 


215 
cannello. La perla col borace è bruna; col sal di fosforo è opaca § a freddo, 
di color roseo alla fiamma ridugente. 

I risultati di due analisi sono: 


Silice 44,31 44,24 
Ossido manganoso 48,77 48,64 
Ossido ferroso 1,53 1,48 
Ossido calcico 4,44 4,57 
Perdita per calcinazione 1,25 1,23 


100,30 100,16 
Le analisi dimostrano che questa rodonite si avvicina a quella di 
S. Marcel della quale Ebelmen ha dato i seguenti dati analitici. 





Silice 46,37 
Ossido manganoso 47,38 
Ossido calcico 5,48 

99,23 


Sull’assorbimento del gas ammoniaco negli alcooli; di. Pagliani 
ed A. Emo, p. 67. 

Il prof. Naccari ed uno degli autori, precedentemente (Atti della R. 
Acc. di Se. di Torino vol. XVI, anno 1879) hanno fatto conoscere che 
l'’ammoniaca, contrariamente alla maggior parte degli altri gas, è più so- 
lubile nell'acqua che nell’ alcoole. Gli autori hanno ripreso queste spe- 
rienze estendendole anche agli alcooli propilico primario ed isobutilico, 
dalle quali hanno potuto conchiudere : 

i. L'ammoniaca è molto più solubile nell'acqua che negli alcooli ac- 
delli ati, 

2. L’ ammoniaca, nei limiti di pressione nei quali hanno operato 
(mm.417 a mm.734) non segue nel suo assorbimento negli alcooli la legge 
di Henry.I valori di & da non si mantengono costanti, ma tendono, ad . 
uguali temperature, a diminuire clchescare della pressione: ed in ciò si 
comporta come con l’acqua. 

3, Come in generale, -per tutti gli alta gas, a parità di pressione, il 
coe aes di solubilità aumenta col diminuire della temperatura. 

4. A parità di temperatura e pressione il coefficiente di solubilità 
Saciatlae. almeno per questi tre alcooli) col crescere del peso mole- 
colare dell’alcoole. 

Sulla bruoite di Cogne (Valle d'Aosta); di Friedel, p. 75. 

L'analisi di un minerale della Valle d’Aosta (Cogne ) ha mostrato 
che questo minerale è identico con le bruciti di altre località e parti- 
colarmente can quella di Hoboken, 

I dati analitici sono : 


Magnesia i 67,06 
Protossido di ferro 1,13 
Acqua 29,48 
Silice e parte insolubile 2,13 





279 
E deducendo la silice e la parte insolubile : 
Magnesia 68,53 
Protossido di ferro 1,15 
Acqua 30,13 
99,31 


La formofa Mg.0H;0 o Mg(0H), richiede MgO = 68,97, acqua 31,03. 

Questa brucite è accompagnata, come tutte Je altre, dalla serpentina. 

Comunicazione preventiva sulla produzione dello scatol; M. Fi- 
leti, p. 77. 

Il prof. Fileti, nella preparazione della cumidina, distillando |’ amido- 
cuminato di bario con barite , ha ottenuto come prodotto secondario, 
dello scatol. Ha inoltre constatato che non se ne forma quando l’ acido 
amidocuminico impiegato è completamente esente di acido nitro-cu- 
minico. Darà a suo tempo i risultati di queste esperienze delle quali 
trovasi occupato. 

Azione dell'elettrolisi sulle soluzioni di acido pirogallico ; di E. 
Rotondi, p. 78. 

Elettrolizzando soluzioni di acido pirogallico , acidificato con acido 
solforico, l’autore ha ottennto, al polo positivo mista ad altri prodotti, 
una sostanza cristallina che, sublimata, ha tutti i caratteri della por- 
poragallina. Le ricerche elettrolitiche sinora fatte dall’autore gli fanno du- 
bitare che la porporogallina non sia un prodotto d’ ossidazione diretta 
del pirogallolo, ma ehe derivi da un composto intermedio nel quale si 
trasformerebbe dapprima il pirogallolo. 

Sulla decomposizione del cloruro sodico mediante l’elettrolisi e 
sue applicazioni industriali; di E. Rotondi, p. 80. 

Si sa che, elettrolizzando una soluzione di cloruro sodico , il sodio 
si porta al polo negativo, sotto forma di idrato, ed il cloro al polo po- 
sitivo sia allo stato libero, sia sotto forma di acido cloridrico 0 compo- 
sti ossigenati diversi. 

L’ A. dopo di aver passato in rassegna le varie esperienze che si 
sono fatte sulla elettrolisi del cloruro sodico applicabile come metodo 
di preparazione dell’idrato sodico, cloro ecc. espone il suo metodo ed i 
risultati delle sue esperienze. 

Le esperienze furono fatte nelle condizioni seguenti : 

Un vase di vetro, con fondo di carta pergamena, si immerse in un 
altro vase pure di vetro; i due vasi contenevano soluzioni sature di clo- 
ruro sodico. Applicata la corrente osservavasi svolgimento di cloro al 
polo positivo (vaso esterno) e di idrogeno al negativo (vase interno) ove 
si accumulava l’idrato sodico che veniva trasformato in carbonato per 
mezzo di una corrente di acido carbonico. 

In altre esperienze il vase interno era sostituito da un vase poroso; 
ed in altre ancora era sostituito da un vase di legno di pioppo. Con 
questo metodo ha ottenuto soluzioni di carbonato sodico di concentra- 
zione equivalente a quella Ottenuta col metodo di Leblanc. 

In tutte queste esperienze però, dopo un certo tempo si osservava 
nel liquido del vase interno la presenza di cloro attivo proveniente da 
una alterazione a cui andava soggetto il diaframma. 


280 

Per evitare questi inconvenienti, l'autore fece altre esperienze mo- 
dificando le condizioni. Ha riempito il vase interno con acqua distillata e 
l'esterno con una soluzione,contenente un eccesso di cloruro sodico, in modo 
da mantenersi sempre satura. Con questa disposizione, oltre che ad evi- 
tarsi l’alterabilità del diaframma si evita anche Ja formazione di com- 
posti clorurati, giacchè il cloro essendo quasi insolubile nelle soluzioni, 
sature di cloruro sodico, si svolge quasi completamente.® 

Dalle sue esperienze l'autore conchiude: che usando per diaframma 
un vaso formato di una mescolanza di argilla e sabbia silicica o meglio 
di legno opportunamente scelto si possono avere soluzioni di soda più 
concentrate e-più pure di quelle che si hanno dalla lisciviazione delle 
sode greggie ottenute col metodo di Leblanc. 

Sarebbe possibile quindi la preparazione industriale della soda dal 
cloruro sodico mediante I’ elettrolisi qualora si potesse disporre di una 
corrente galvanica convenientemente forte e di costo molto minore. 

L'impiego dell’elettrolisi del cloruro sodico può trovare facile appli- 
cazione in alcune industrie come ad esempio nella fabbricazione della 
carta, nell’ imbiancamento delle fibre vegetali, nella stampa, dei tes- 
suti ecc, poichè mediante un piccolo lavoro meccanico, l'industriale può 
avere a propria disposizio1e un energico agente ossidante, decolorante e 
dell’alcali caustico 0 carbonato. 

Comunicazione sulla diffusione del didimio; di A. Cossa, p. 174. 

Il prof. Cossa presenta una breve comunicazione sulla diffusione 
del didimio. Questo metallo, oltrechè nelle apatiti, nella scheelite ed in 
varie specie di calcare fu pure da lui trovato in quantità più grandi 
nello sfeno della sienite del Biellese e del calcifero di Collegno. La ripe- 
tuta associazione dei composti di didimiò a quelli di calcio in minerali 
omogenei e perfettamente cristallizzati confermano il Cossa nell’opinio- 
ne che il didimio potrebbe essere considerato, almeno nelle combina- 
zioni in cui è attaccato al calcio, come un radicale metallico bivalente. 


Elettrolini delle soluzioni di ammoniaca 
e dei sali ammoniacali, con elettrodi di carbone: 


per i Prof. A. BARTOLI e G. PAPASOGLI. 


I. Fin nelle prime nostre memorie sulla elettrolisi con elettrodi 
di carbone osservammo che il carbone di storta o di legna e la gra- 
fite si disgregavano e si consumavano lentamente quando facevano 
da elettrodo positivo nelle soluzioni acquose di ammoniaca (4). 

In questa nota comunichiamo i resultati delle nostre ultime 
ricerche falte sopra questo soggetto. 

Dividiamo la presente nota in due parti. Nella prima parleremo 
della elettrolisi dell'ammoniaca ce delle soluzioni dei sali ammoniacali 
con elettrodi di carbon di storta; nella seconda delle stesse elettro- 
lisi ripetute con elettrodi di grafite. 


I. Elettrolisi con elettrodi di carbon di storta o di legna, purificati 
per l'azione del cloro ad altissima temperatura. 


Il. Soluzioni di gas ammoniaco. Impiegando come elettralite una 
soluzione di gas ammoniaco puro nell’acqua stillata non si ottiene 
elettrolisi visibile se non impiegando una pila potente composta di 
molte diecine di elementi Bunsen (2). Se invece alla soluzione ac- 
quosa di gas ammoniaco si aggiunge del cloruro sodico o qualche 
altro sale alcalino, il liquido conduce tanto da potere avere visibile 
svolgimento gazoso dai due elettrodi anche con pochi elementi Bunsen. 

Noi di preferenza abbiamo impiegato come elettrolite una solu- 


(1) Bartoli e Papasogli. Sintesi di varii acidi organici per mezzo della 
elettrolisi con elettrodi di carbone; nuovo Cimento, 3* serie, Vol. vu p. 279, 
280. Pisa 1840. 

(2) Vedi Bartoli, Le polarità galvaniche ecc. Atti dell’Acc. dei Lin- 
cei, Roma 1880, Vol. VIII, serie 3°. 

Ci fa molta meraviglia invero che il sig. Millot possa dire di avere 
ottenuto elettrolisi sensibile della pura soluzione di ammoniaca con una 
pila termoelettrica di forza elettromotrice equivalente a 2 Daniell. 

Vedi. Millot: Sintesi delle materie ulmiche, Comptes Rendus, 1881. 


36 


989 


zione acquosa satura a freddo di gas ammoniaco addizionata di metà 
del suo volume di una soluzione di cloruro sodico puro- 

‘ La pila impiegata si componeva da 4 a 6 elementi Bunsen rin- 
novati ogni tre o quattro giorni. La corrente durò a passare da 
una settimana fino a due mesi. 

In ogni caso osservammo vivo sviluppo di idrogeno dal car- 
bone elettrodo negativo e debole, ma pure visibile sviluppo gassoso, 
dal carbone elettrodo positivo. A fine di esperienza si trovava il 
carbone di storta elettrodo positivo visibilmente consumato, e a fondo 
del voltametro si aveva un deposito formato da una polvere nera, 
alta varii millimetri, mentre il liquido sovrastante era quasi incoloro. 

Si raccolse su filtro il deposito nero: il liquido filtrato, acidu- 
lato con acido cloridrico dava fortissima effervescenza di anidride 
‘ carbonica, che svolta dal carbone elettrodo positivo si fissava sul- 
l’alcale volatile. Durante l'esperienza era tolto ogni accesso all'aria 
nel voltametro. 

Al liquido così neutralizzato con HCl si aggiungeva una solu- 
zione di cloruro di bario che produceva un’abbondante precipitato, 
che ridotto a sali sodici (dopo lunga ebullizione con carbonato sodico) 
e acidulato con acido acetico, dava coll’aggiunta di cloruro calcico 
un precipitato cristallino F, che riconoscemmo per mellato calcico: 
il liquido acetico filtrato e addizionato di ammoniaca in eccesso dava 
un precipitato 9 che ridotto a sale ammonico era cristallino e le 
cui reazioni ci fanno credere essere piromellico; ed infine l'addizione 
di cloruro di bario produceva un terzo precipitato K che ritenemmo 
idromellato; parimente il liquido primitivo in cui il cloruro di ba- 
rio avea precipitato i tre acidi precedenti, acidulato con acido ace- 
tico e addizionato a freddo di cloruro ferrico, dava un precipitato 
roseo (idropiromellato). 

Si vede dunque che anche coll'ammoniaca si ottengono nel 
liquido sciolto i sali degli stessi acidi da noi precedentemente stu- 
diati nel caso delle soluzioni degli alcali fissi. 

Il sedimento nero raccolto su filtro fu lavato ripetutamente con 
acqua senza che vi si disciogliesse e finchè le acque di lavacro non 
contenessero più traccia alcuna di ammoniaca: di poi fu bollito a 
lungo con una soluzione di idrato sodico nel quale era in parte solu- 
bile; poscia si filtrò la soluzione nerissima, la sì precipitò coll’ad- 
dizione di acido cloridrico in eccesso, si ottenne un precipitato che 
indicheremo con la prima lettera dell’alfabeto maiuscolo A: questa 
sostanza nera seccata fra carte emporetiche e poscia riscaldata con 
potassio, dimostrò contenere in gran copia nitrogeno. 


288 


Non è dubbio che la sostanza A da noi ottenuta non sia iden- 
lica a quella descritta da qualche tempo dal siguor Millot (1) e 
che egli ha creduto a torto fosse sostanza ulmica. 

Noi abbiamo trovato per A le proprietà seguenti: 

E insolubile in acqua e negli acidi, solubile nelle soluzioni de- 
gli idrati alcalini, dalle quali precipita per l’addizione di un acido 
minerale in eccesso. É nera, non cristallizzabile, non fonde nè vola- 
tilizza, contiene carbonio, idrogeno, ossigeno ed azoto. 

Una differenza caratteristica tra questa sostanza A e le sostanze 
ulmiche è questa, che cioè A per I’ azione degli ossidanti si tra- 
sforma in acido mellico e probabilmente negli stessi acidi benzocar- 
bonici ai quali dà luogo l’ossidazione di quel composto singolare 


.da noi ottenuto e che abbiamo denominato Mellogeno, mentre le 


sostanze ulmiche cioè l’ulmina. l’acido ulmico, umina , acido umi- 
co ecc. trattate con gli ipocloriti danno acido ossalico mentre non danno 
affatto acido mellico. 

È chiaro dunque che la sostanza A si connelte strettamente 
col Mellogeno da cui differisce in quanto essa contiene azoto mentre 
il Mellogeno non ne contiene affatto. ‘ 

III. Soluzioni di solfato ammonico, di nitrato ammonico ecc. Con 
tali soluzioni si ha forte sviluppo gassoso-dall’elettrodo negativo e 
assai debole dal carbone elettrodo positivo; il gas che si svolge da 
questo elettrodo contiene CO, e CO. Il carbone, elettrodo positivo, 
si consuma assai disgregandosi: la parte disgregata contiene molto 
Mellogeno esente affatto da azoto. 

L’elettrolite filtrato è incolore e non contiene sciolti nè Mel- 
logeno nè acidi benzocarbonici in quantità apprezzabile. 


II. Elettrolisi con elettrodi di grafite. 


IV. Soluzioni di ammoniaca. La soluzione acquosa di ammoniaca 
pura (anche concentrata) conduce pochissimo, come fu già da uno 
di noi osservato (2) in altra occasione; occorrono parecchie diecine 
di elementi Bunsen per ottenere una visibile decomposizione degli 
elettrodi. Con una pila di 60 elementi Bunsen si ottiene solo dopo 
varii giorni un debole disgregamento dalla grafite elettrodo positivo. 

Se invece alla soluzione di ammoniaca ‘si aggiunge un poco di 


(1) Millot. Sintesi delle sostanze ulmiche, Comptes Rendus, 1881. 
(2) Bartoli. Sulle polarità galvaniche ecc. N. Cimento, 3 serie. Vol, 
VII. Pisa 1880, 


284 


soluzione di cloruro sodico o di un’altro sale alcalino, il liquido 
conduce così bene, che si può con soli due elementi Bunsen ottenere 
visibile sviluppo gassoso dai due elettrodi. 

Noi abbiamo di preferenza impiegata una soluzione satura di . 
cloruro sodico purissimo addizionata di due volumi di soluzione ac- 
quosa concentrala di ammoniaca, la stessa soluzione cioè che è 
consigliata dall’Hoffmann (4) per mostrare la composizione dell’am- 
moniaca. Una tale soluzione elettrolizzata con elettrodi di platino 
dà tre volumi d’idrogeno al polo negativo per uno di azoto svolto 
al polo positivo. 

Impiegammo con tale elettrolite degli elettrodi di grafite d Cey- 
lan convenientemente purificata ecc. ed una pila composta da 3 a 6 
elementi Bunsen, rinnovati ogni quattro giorni per lo spazio di un . 
mese. 

Osservammo dai due elettrodi sviluppo gassoso molto -poco vi- 
sibile però dal polo positivo; la grafite elettrodo positivo si consu- 
mava lentamente e disgregandosi in minulissime particelle che for- 
mavano un deposito nero al fondo del voltametro, mentre |’elettro- 
lite rimaneva affatto incolore. A fine di esperienza si filtrò il liquido; 
il filtrato che era limpido ed iacoloro si acidulò con acido cloridrico, 
che ci dette una fortissima effervescenza di anidride carbonica, prova 
questa che dal carbone posilivo si formava durante l’eletteolisi ani- 
dride carbonica, la quale veniva assorbita dal liquido animoniacale (2). 

Il liquido acidulato si neutralizzava con soda, si aggiungeva clo- 
ruro baritico che produceva un piccolo precipitato bianchissimo che 
scaldato carbonizzava; questo precipitato bollito a lungo con carbo- 
nato sodico, dava i sali sodici di tre acidi F, 9, K, di cui il primo 
precipitava in soluzione acida per acido acetico coll’addizione di un 
sale di calcio, l’altro, 9, precipitava con sale calcico, ma solamente 
in soluzione ammoniacale, e il terzo, K, precipitava dalla soluzione 
ammoniacale, ma solamente coll’addizione di cloruro di Dario. Infine 
il liquido primitivo che fu trattato col cloruro di bario dava coll’ad- 
dizione di cloruro ferrico un precipitato L color cece, insolubile nel- 
l'acido acetico. Riconoscenmo con certezza che l'acido F era l'acido 


(1) Compara Hoffmann. Introduzione alla Chimica moderna, lezione 
III, pag 72 Brunswich. 1869 e Schutzemberger; Traité de Chimie generale. 
Parigi 1880. T. 2°. 

(2) Il voltametro era assai bene difeso dall'azione dell’aria, e l’am- 
moniaca introdotta in principio, pura, per cui l’effervescenza di gas car- 
bonico non poteva ripetersi che dall’ossidazione dell’elettrodo positivo di 
carbone. 


285 


mellico C,,H,0,s e che gli altri per le loro proprietà ecc. erano con 
grande probabilità costituiti: p da piromellico, K da idromellico ed L 
da idropiromellico. 

Il sedimento nero ottenuto al fondo del voltametro fu raccolto 
in filtro, lavato e seccato a 100°: tingeva come la grafite e ne avea 
tutto l'aspetto; scaldato non rigonfiava affatto (assenza di acido gra- 
fitico) ci assicurammo insomma che era pura grafite disgregata. Varii 
saggi fatti insistentemente per trovarvi l'azoto provarono che non 
ne conteneva. 

Si vede danque che l’elettrolisi dell'ammoniaca con elettrodi di 
grafite, dà gli stessi prodolti (quantunque molto più scarsi e con 
molta maggiore spesa di elettricità) da noi ottenuti impiegando per 
elettrolite la soluzione di un altro alcali qualunque. | 

V. Soluzione di solfato, di nitrato ammonico ecc. --La grafite 
Ceylan impiegata come elettrodo positivo vi si disgrega lentamente, 
dopo 15 giorni di passaggio di una forte corrente l’elettrolite è in- 
colore e non contiene traccia di acidi benzocarbonici nè di attri com- 
posti organici: al fondo del voltametro si ha un sedimento costi- 
tuito da una mescolanza di grafite disgregata e di ossido grafitico 
che rigonfia fortemente col riscaldamento, e che non contiene af- 
fatto azoto, come fu provato riscaldandolo col potassio erc. Oltre 
a questo acido grafitico si formò un altro composto analogo all'ossido 
grafitico (ma che potrebbe essere l'ossido grafitico stesso) un po’ so- 
lubile nell'’ammoniaca e negli alcali. le cui soluzioni sono color giallo 
scuro e che precipitano in fiocchi rossi scuri per Il’ addizione di 
un acido minerale. 

In un'altra nota riparicremo delle proprietà di questo com- 
posto. 

RIASSUNTO 


Riassumeremo quì brevevemente i fatti da noi esposti in que- 
sta memoria. 

41° Nell’elettrolisi delle soluzioni acquose di solfato, nitrato ecc. 
ammonici, con elettrodi di carbon di storta o di legna, il carbone 
elettrodo positivo si disgrega; si svolgono i gas CO, e CO e si forma 
in copia Mellogeno esente di azoto: l'elettrolisi degli stessi sali con 
elettrodi di grafite Ceylan dà luogo alla formazione di ossido gra- 
fitico che rigonfia pel calore e che non contiene affatto azoto. Nei due casi 
l'elettrolite non contiene sciolti acidi od altre combinazioni organiche. 

2° La grafite di Ceylan, di Bocmia ecc., impiegata come elet- 
trodo positivo nelle soluzioni acquose di ammoniaca, oppure nelle 


286 


soluzioni acquose di ammoniaca rese condultrici coll'aggiunta di un 
sale alcalino (cloruro di sodio) si consuma disgregandosi : la parte 
disgregata è costituita da pura grafite; tra i prodotti di ossidazione 
prevalgono l’anidride carbonica, l’acido mellico ed i soliti acidi benzo 
ed idrobenzocarbonici, precisamente come avviene elettrolizzando con 
elettrodi di grafite le soluzioni di alcali fissi. 

8° Il carbone di storta ed il carbone ordinario, purificati al 
cloro ecc., impiegati come elettrodi positivo nelle soluzioni acquose 
di ammoniaca, o nelle stesse soluzioni rese conduttrici da un sale alcali- 
no; dànno principalmente anidride carbonica, acido mellico ed i soliti 
acidi benzocarbonici od idrobenzocarbonici come nella elettrolisi delle 
soluzioni degli alcali fissi con gli stessi carboni. Si ottiene di più una 
| sostanza nera, insolubile in acqua e negli acidi, solubile negli alceli, da 
cui precipita per l’addizione di un acido minerale, composto di idrogeno, 
ossigeno, carbonio e nitrogeno in quantità. Questa sostanza nera 
differisce essenzialmente dalle sostanze ulmiche inquantoché ossidata 
eoll’ipoclorito sodico o potassico dà luogo alla formazione di acido 
mellico è dei soliti acidi congeneri, mentre le sostanze ulmiche per 
l’azione degli ossidanti e degli ipocloriti in particolare non danno 
affatto mellico. 

La sostanza nera da noi ottenuta, ha grandi relazioni così per 
la sua maniera di formazione, come per il suo modo di comportarsi con 
gli ossidanti, con quel singolare composto da noi scoperto e da noi 
chiamato Mellogeno. 

‘In un’altra memoria saranno meglio dimostrate le relazioni tra 


questa sostanza ed il Mellogeno (1). 
Dal Gabinetto di Fisica dell’Istituto Tecnico di Firenze, marzo 1883. 


(I) Ci piace qui di ricordare che tutte le numerose ricerche da noi 
fatte sulla elettrolisi con elettrodi di carbone, dal 1879 sino ad ora, sono 
state interamente eseguite nel Laboratorio elettro-chimico, di cui è stato 
arricchito in questi ultimi quattro anni il Gabinetto di Fisica di questo 
Istituto. Questo Laboratorio é provveduto di un numero di elementi Bun- 
sen e Daniel ragguardevolissimo , nonchè di una pila di 400 elementi 
zinco-carbone nell’acido cromico, e di un'altra di più piccole dimensioni 
composta di 800 elementi. ll Laboratorio è pure fonito di una discreta col- 
lezione di prodotti purissimi, nella quale sono ampiamente rappresentati 
la seria degli alcooli, degli acidi grassi, degli acidi della serie aromatica, 
dei fenoli, degli idrocarburi ecc., nonché di tutti i materiali in vetro e in 
porcellana e in platino occorrenti per tali ricerche. Esso possiede an- 
cora tre bilance di precisione, due apparecchi a combustione per le a- 
nalisi organiche, l’uno di Germania, l’altro costruito dal signor Turchini 
di Firenze: e questi due apparecchi non sono di troppo, visto che in 
queste ricerche è accaduto sovente di dover fare più analisi organiche 


287 


Eletérolisi della glicerina con elettrodi di carbone 
e di platino: 


per A. BARTOLI e G. PAPASOGLI. 





In una memoria da noi pubblicata già da molto tempo (1) ac- 
cennammo ai resultati ottenuti nella elettrolisi della glicerina. Ri- 
torniamo ora sopra questo argomento più diffusamente, quantunque 
il Sigr. Rènard in un suo pregevole lavoro sulla ossidazione degli 
alcoli per mezzo della elettrolisi abbia già sottoposto all’azione del- 
la corrente elettrica, impiegando soltanto elettrodi di platino, molti 
liquidi alcoolici, come alcool metilico, etilico, glicol glicerina, mannite, 
glucosio (2) proseguimmo in questo nostro studio, già da noi intra- 
preso avanti che avessimo cognizione del lavoro del Rénard, perchè 
la differenza fra la natura degli elettrodi usati da noi (carbon di 
storia e grafite) e quella degli elettrodi adoperati dal Rénard (pla- 
tino) ce lo fecero ritenere nuovo ed interessa nte. 


I. Elettrodi di carbone di storta. 


Elettrolizzammo della glicerina diluita con- ugual volume di ac- 
qua acidulata al 20 °/, di acido solforico; l'elettrodo negativo era 
di platino, il positivo di carbone di storta che pesava grammi 828,10: 


nello stesso giorno. Il Laboratorio possiede ancora una non molto nume- 
rosa ma bene scelta biblioteca chimica nella quale si trovano tutti i di- 
zionari di chimica antichi e moderni, dal Macquer e dal Klaproth fino 
al Wurtz, al Watt's, al Gmelin ed al Selmi, nonché tutti i più impur- 
tanti libri di chimica, Kolbe, Kekulé, Graham Otto ecc., nonchè varii 
dei più importanti periodici di tale scienza. I prodotti di consumo e le 
vetrerie furono in gran parte acquistati coi fondi mensili di cui dispone 
il gabinetto; la collezione dei prodotti puri e la biblioteca, coi danari che 
uno di noi ricevé come premio dalla R. Accademia dei Lincei, alcuni 
anni or sono. Diremo ancora che tutta la parte sperimentale è stata da 
noi eseguita insieme, e così pure le relative analisi organiche, per cui ci 
dichiariamo perfettamente solidali ed ugualmente responsabili o merite- 
voli per tutto quello che di meno buono o di buono potrà trovare il cri- 
tico in questi nostri studi. | 

Le spese fatte di nostro conto sono state pero assai rilevanti; e du- 
bitiamo di poter proseguire queste ricerche, senza dei sussidi straor- 
dinarii. 

(1) N. Cimento, 3* S. Vol. X, (Sett. 1881) e Gazzetta Chimica T. XI, 
1881; La Natura T. V. 1881; Beiblatter zu der Annalen der Physik und 
Chemie Bd VI. Naturforscher Bd XV, S. 51. Bibliotheque universelle de 
Genéve, 1882; Comptes Rendus T. 94 N° 20 pag. 1339. 

(2) Ann, de Chim. et de Physique, S. 5* T. XVII, anno 1879. 


288 
“la pila era formata da 6 coppie Bunsen che si rinnuovarono ogni cinque 
giorni: la glicerina era purissima, distillata nel vuoto, non riduceva 
il liquor di Feheling, nè imbruniva, se riscaldata con soluzioni di 
alcali, ec. ec. 

Durante il passaggio della corrente osservanmo un'abbondante 
sviluppo d’idrogeno dal polo negativo mentre scarso molto era il 
gas che si svolgeva dal positivo: il liquido si colorò lentamente, 
tanto che in ullimo era assai scuro, e mantenne durante l’elettro- 
lisi un odore intenso, soffocante di acroleina. Il carbone che fun- 
zionava da elettrodo positivo si disgregava rapidamente, tanto che 
al termine della esperienza, che durò un mese, era ridutto a soli 
grammi 406,8, ed al fondo del voltametro si era deposto un abbon- 
dante deposito nero. 

Separato l’elettrolite dal deposito carbonoso, fu neutralizzato con 
carbonato baritico, si ottenne così un liquido quasi incoloro che 
distillammo sino a ridurlo ad un terzo del primitivo suo volume. 

La parte distillata, che avea un odore disgustoso, soffocante, che 
irritava gli occhi ed eccitava la tosse, era una soluzione di triossi- 
metilene, come già aveva osservato il Rènard. Infatti questa solu- 
zione evaporata sopra H,SO, abbandonò una sostanza cristallina, 
solida, bianca, semitrasparente (il suo aspetto ricorda molto la cera 
bianca), che riscaldata leggermente manda un odore che irrita le 
vie respiratorie, pochissimo solubile nell'acqua, insolubile nell’alcool. 
Sebbene poco solubile nell'acqua pur nondimeno non si separa se 
questa non è tutta evaporata. Fonde verso 155° ec. 

La sua soluzione riduce il liquor di Feheling: riduce a caldo 
il nitrato d’argento, deponendo il metallo allo stato di polvere, in- 
vece la soluzione ammoniacate del sale d’argento è ridotta a caldo 
ed a freddo metallizzando le pareti del tubo di prova, non decolora 
l’'indaco, nè riduce i sali ferrici in ferrosi. Facendo passare del gas 
solfidrico nella sua soluzione tenuta alla temperatura di 60° C. si 
ottiene un precipitato bianco ceroso, con odore agliaceo molto mar- 
cato, che fonde a 80° C. è insolubile nell'alcool e pochissimo nel- 
l'acqua, ha le proprietà dell’ossisolfuro di metilene (C,H,S,O).H,0. 

Un'altra proprietà che stabilisce la presenza del triossimetilene 
nel liquido distillato è la seguente: evaporando a b. m. il liquido © 
distillato, mantenendolo costantamente ammoniacale si ottiene per 
residuo una sostauza cristallina, bianca, con reazione alcalina, che 
sublima tra 120°125° C. senza fondere. È solubilissima nell'acqua 
e nell’alcool assoluto, la sua soluzione acquosa dà un precipitato 
bianco col nitrato d’argento inalterabile alla luce ed al calore, il com- 





289 
posto argentico è solubile negli acidi e nell’ammoniaca, la soluzione 
ammoniacale non è ridotta dal calore. Questi caratteri sono propri 
alla esametilenamina del Butlerow C,[],,Az,. 

Tolto il triossimetilene dal liquido glicerico, ponemmo quest’ul- 
timo a cristallizzare: però non essendosi formato nessun cristallo 
nel corso di varii giorni, lo trattammo con circa quattro volte il suo 
volume di alcool assoluto, si ottenne così un precipitato non molto 
‘ abbondante, che lavato ripetfitamente con alcool, fu sciolto in acqua. 
Questa soluzione che non conteneva quantità apprezzabili di acetato 
e formiato baritico fu trattata con l'acetato neutro di piombo, non 
ottenemmo precipitato, ma si formò con l'aggiunta di poca ammoniaca. 

Decomposto il sale piombico con l'idrogeno solforato, sì ottenne 
un liquido giallino, acido, che si colora in bruno quando si evapora 
a b. m.; concentrato sopra acido volforico prende la consistenza 
sciropposa, senza cristallizzare, e solubile nell'alcool, ha reazione forte- 
mente acida, sposta l’acido carbonico dai carbonati alcalini ed al- 
calino terrosi, la sua soluzione non riduce il nitrato d'argento, ma 
questo sale è ridotto quando si renda la soluzione ammoniacale, 
la riduzione è polverulenta: riduce il liquor di Feheling, converte 
i sali ferrici in ferrosi. Esso non contiene affatto zolfo. 

La sua soluzione trattata con carbonato calcico e quindi evé- 
porata lentamente sopra H,SO, abbandona un sale cristallizzato in 
aghetti; se questa soluzione si evapora a b. m. incupisce ed il sale 
calcico non cristallizza più, ma si ottiene invece una massa solida 
gommosa deliquescente. 

li suo sale di piombo è discretamente solubile nell’acqua dalla 
quale si può precipitare nell’ammoniaca; l’analisi di questo sale ba- 
sico di piombo ha dato per 100 p. di sale. 

C 10,07 H 1,27 Pb 73,88 
il glicerato basico dj piombo (C,H,0,),Pb+-PbO richiede. 
C9/, 10,63 H°/, 41,27 Pb°/, 78,40 


Il liquido alcoolico fu distillato per separarlo dall’alcool, e trat- 
tato con acetato di piombo ammoniacale dette un precipitato che de- 
composto con l’idrogeno solforato, riconoscemmo per nuovo acido 
glicerico, misto però a piccola quantità di una sostanza zuccherina, 
che riduceva l’indaco, dava una colorazione intensa rossa , quando 
alcalinizzato si faceva bollire con una goccia d’acido picrico ecc. 

In questa elettrolisi rimase molta glicerina indecomposta; ed i 
prodotti ottenuti furono assai scarsi: si ottgnne invece abbondante 
deposito al fondo del voltametro che era costituito da carbone dis- 


37 


390 


gregato e da molto mellogeno. L'ossigeno elettrolitico dunque ossi- 
dava a preferenza l'elettrodo di carbone che l'elettrolite. 


II. Eletirolisi della glicerina con elettrodi di grafite. 


Cento grammi di glicerina diluita con 400 grammi di acqua 
acidulata col 20 °/, di acido solforico, furon tenuti per un mese 
sotto l’azione di una corrente elettrica® sviluppata da 4 Bunsen. Lo 
elettrodo positivo era costituito da un grosso cilindro di grafite di 
Ceylan, il negativo da una larga lamina di platino. La pila era rin- 
novata ogni tre giorni, Durante l’azione elettrica osservammo al 
polo negativo un abbogdante sviluppo d’idrogeno, al polg positivo 
lo sviluppo non era molto. Il liquido sentiva fortemente d’acroleina 
mista a triossimetilene come nel primo caso, ma però a differenza 
di quello il liquido rimase ircoloro, e l’elettrodo di grafite fu appena 
disgregato (1): la parte disgregata era una mescolanza di grafite e 
di ossido grafitico, scaldato infatti rigonfiava fortissimamente ecc. 

ll liquido dopo essere stato neutralizzato con carbonato bari- 
tico fu distillato e nel liquido distillato trovammo triossimetilene. Il 
residuo della distillazione, lasciato in quiete, lasciò al fondo del re- 
cipiente un'abbondante cristallizzazione di formiato baritico : i cri- 
stalli purificati per varie cristallizzazioni ed analizzati seccati a 400° 
hanno dato il 60,69/ di bario (la teoria richiede il 60,4). 

Tolto il formiato dall'acqua madre, questa, che era molto densa, 
simile a pura glicerina, fu trattata con alcool, si ebbe un tenue pre- 
cipitato salino, formato da una mescolanza di acetato, formiato e gli- 
cerato baritico. Separato l’alcool dal liquido glicerico aggiungemmo a 
questo dell’acetato di piombo ammoniacale che determinò un preci- 
pitato bianco insolubile nell’acqua. 

Questo prodotto sospeso nell'acqua e decomposto con l’idrogeno 
solforato, lasciò sciolta una sostanza che ha le seguenti proprietà: 
E semiliquido, ma stando per lungo tempo sn H,SO, si solidifica; è 
incristallizzabile; solubile nell’alcool, trasparente di colore ambraceo, 
di sapore dolce, neutra, sebbene sulle carte avesse una leggera rea- 
zione acida: nellevaporare la sua soluzione si avverte l’odore di ca- 
ramel: è deliquescente, riduce fortemente il liquor di Feheling, de- 
colora l’indaco, riduce il nitrato d’argento ammoniacale. Alcaliniz- 
zata e bollita con acido picrico produce un’intensa colorazione ros- 


(1) Esso dopo un mese aveva perduto soli tre grammi o quattro del 
suo peso. 


291 


so-sangue : riduce la mescolanza di acetato di piombo e di rame, 
(liquido proposto dal prof. Campani) riduce i sali ferrici in ferrosi. 
Questa sostanza ha tutti i caratteri di un glucosio, ma la sua solu- 
zione non pare suscettibile di fermentazione, 


III. Elettrolisi della glicerina con elettrolidi di platino. 


Cento grammi di glicerina diluita con 100 grammi di acqua a- 
cidulata con acido solforico al 20 °/, fu tenuta per un mese sotto 
l'azione di una corrente fornita da $ elementi Bunsen cambiati ogni 
tre giorni. | 

Il liquido si mantenne sino al termine dell'esperienza incoloro, 
aveva il solito odore di acroleina; dagli elettrodi si svolgeva abbon- 
dante quantità di gaz. Terminata |’ esperienza , si saturò il liquido 
con carbonato baritico e separato dal solfato e carbonato (4) fu con- 
centrato e lasciato a sé per qualche giorno, Ottenemmo così un'ab- 
bondante quantità di bei cristalli trasparenti di sale baritico, di forma 
prismatica non’ molto solubile nell'acqua; la soluzione ha tutti i ca- 
ratteri di una soluzione di formiato baritico, da questa trattata con 
acido solforico in quantità esatte per decomporre il sale baritico, 
abbiamo ottenuto per distillazione una sufficiente quantità di acido 
formico, dal quale in parte ueutralizzandolo con soda ne ottenemmo 
il formiato cristallizzato tabuliforme, deliquescente che fondeva verso 
200° c. avendo subìto prima la fusiene acquea. Calcinato rigonfia 
molto. La soluzione del sale precipita e riduce il nitrato d'argento, 
riduce il cloruro di mercurio in calomelano, colora in rosso i sali 
ferrici, i cristalli del sale sodico trattati con acido solforico con- 
centrato sviluppano decomponendosi ossido di carbonio. Determina- 
tane la soda abbiamo trovato che contiene il 83,74 9/, di Na; il for- 
miato sodico CHO. ONa contiene il 38,80 °/, di Na. 

Analizzato anche il sale baritico, seccato a 100°, abbiamo tro- 
valo il 60,66 di Ba per 100, il formiato baritico (CHO) ,Ba contiene 
60,35 di Ba 0/. 

Separato il formiato dall’acqua madre, questa dopo qualche altro 
giorno formò un'altra abbondante cristallizzazione ben differente dalla 
prima, il sale era bianco opaco c ben cristallizzato a mammelloni: 
calcinato rigonfia straordinariamente. Decomposto con acido solforico 


(1) Abbiamo ricercato, se mescolato al solfato e carbonato vi fosse 
qualche acido organico il cui sale di bario fosse insolubile, ma non ab» 
biamo trovato quantità apprezzabili di prodotti organici. 


292 


il sale baritico abbiamo ottenuto un acido gommoso incristallizzabile, 
che tenuto lungamente sopra H,SO, giunge ad essere solido. È so- 
lubile nell’alcool, è fortemente acido, sposta l'acido carbonico dai car- 
bonati alcalini e terrosi alcalini, riduce il nitrato d'argento ammo- 
niacale, riduce il liquor di Feheling in fiocchi rosso scuri, la solu- 
zione evaporata a b.m. si colora in rossastro, questa colorazione au- 
menta tenendo l'acido alla temperatura di 100° per qualche ora. Il 
sale baritico seccato a 100° c. contiene 39,57 °/, di bario; il glice- 
rato baritico (C4H;0,)Ba contiene il 89,48 0/, di bario. 

L’acido glicerico tenuto per varie ore alla temperatura di 405- 
410° diviene bruno e perde una molecola d’acqua frasformandosi nel 
composto CH, 0,. 

‘L’acido libero da noi ottenuto lasciato per varie ore alla tem- 
peratura di +4100° ha dato all’analisi : 


C9/, = 89,66 H% = 4,84 


che corrisponde approssimativamente alla formola C,H,Qs. 

Il liquido dal quale furono tolti i sali baritici dell’acido formico 
| @ glicerico, conteneva in piccolissima quantità una sostanza che a- 
veva molte proprietà del glucosio; separata dal liquido con l'acetato 
basico di piombo e decomposto il suo prodotto piumbico per mezzo 
dell'idrogeno solforato, l'abbiamo ottenuto dopo evaporato il liquido 
nel quale stava sciolta, ullo stato solido, come una gomma traspa- 
rente, di colore ambraceo tendente al rosso, deliquescente, solubile 
in alcool, la quale riduceva molto il liquore di Feheling, decolarava 
l’indaco, riduceva il nitrato d'argento ammoniacale. 


RIASSUNTO 


Da quanto si è detto concludiamo : 

1° Che i principali prodotti che, nelle condizioni in cui abbiamo 
sperimentato noi, si formano nella elettrolisi della glicerina, sono: 
l’acroleina, il triossimetilene, l’acido formico ed il glicerico affatto e- 
sente da zolfo ed una sostanza (in tenue quantità questa) che hu i 
caratteri del glucosio e che potrebbe essere la metilenitana del But- 
lerow. 

2° Che la diversa natura degli elettrodi di carbone di storta o 
di legna, di grafite e di platino, non influisce sulla qualità dei pro- 
dotti che si formano per |’ ossidazione dell’ elettrolite, ma sì sulla 
quantità di questi prodotti. Anche il tempo e la forza della corrente 
influiscono : potranno perciò mancare alcuni dei prodotti a seconda 


293 


dell’intensita della corrente e forse anco della sua intensità e den- 
sità (1). 

3° Che con l'elettrodo positivo di carbone di storta i prodotti 
Sono più scarsi che quando si usa per elettrodo positivo la grafite 
od il platino: perchè nel primo caso l’ossigeno elettrolitico si com- 
bina di preferenza col carbone per formare mellogeno , mentre in- 
vece se l'elettrodo positivo è di grafite, questo viene pochissimo 08- 
sidato, trasformandosi in ossido grafitico, e la maggior parte dell’os- 
sidazione, si compie sul radicale elettronegativo dell’ elettrolite (2) 
dando luogo agli stessi prodotti che si ottengono nella elettrolisi con 
elettrodi di platino. 

Dal Gabinetto di Fisica dell'Istituto Tecnico di Firenze. 


Fermentazione della glicerina coi Bacteri 
del tartrato ammonico- 


del Dr. AGOSTINO VIGNA. 





La fermentazione della glicerina fu già oggetto di studio di pa- 
recchi scienziati. Così il Redtenbacher (Annalen der Chemie und 
Pharm. LVII, 174) trovò che la glicerina fermentando con acqua e 
lievito di birra a 25-30° forma dell'acido propionico con un po’ di 
acido acetico e d'acido carbonico. Dopo lui Berthellot riconobbe (An- 
nales des Chemie et de Physique LI, 846) che se la glicerina fer- 
menta a 40° con creta e formagio bianco si ottengono degli alcool 


(1) Secondo il Renard, (loco citato) quando la corrente passasse per 
molti giorni per la glicerina, si otterrebbe per principale prodotto l’acido* 
ossalico (ciò che noi non abbiamo trovato, quantunque le nostre espe- 
rienze abbiano durato un mese o più) e continuando ancora, tutta la 
glicerina si trasformerebbe in anidride carbonica ed ossido di carbonio. 

(2) Si paragoni questo risultato con gli altri già da noi fatti cono- 
ecere nella nostra inemoria Sulla elettrolisi dei composti binari ecc. (fa- 
scicolo precedente della Gazzetta Chimica). In quella memoria noi ab- 
biamo studiato l’elettrolisi con elettrodi di carbone delle soluzioni di bisol- 
fito sodico nel quale il carbone di storta rimaneva. intatto, mentre il bi- 
solfito si convertiva in solfato; l’elettrolisi delle soluzioni alcaline di pi- 
rogallolo delle soluzioni di solfurj alcalini, nelle quali il carbone di storta 
elettrodo positivo veniva rapidamente ossidato. Ritorneremo tra breve 
sopra questo argomento importante, della scelta, cioè, nella ossidazione, 
dell'ossigeno elettrolitico. Vedasi anche la nostra memoria inserita nel 
Nuovo Cimento, novembre 1882. 


294 


diversi, il cui complesso non supera mai il decimo della quantita di 
glicerina usata. Ma solo Alb. Fitz (Ber. d. D. Ch. Gesell XIV, 867) 
nella scorsa primavera giunse a risultati praticamente utili. Egli 
produsse la fermentazione della glicerina con fermento del fieno, 
(Spaltpilze), e ne ricavò 18,4 9/, d'alcool butilico normale con quantita 
insignificanti d’alcool etilico e propilico normale; inoltre ottenne il 
47,49/, d'acido butirrico con tracce d’acido acetico e capronico, l'1,7%, 
d’acido lattico, e il 8,49/, del glicole trimetilenico. Infine anche Freund 
(A. Monatshefte fuer Chemie t. 2, p. 636-642) producendo lg fermen- 
tazione butirrica della glicerina cogli schizomiceti ottenne, come re- 
siduo della distillazione degli alcali, non più glicerina ma glicole 
trimotilenico bollente a 246-246,5) sotto la pressione di 786 mm. 

Siccome poi la glicerina forma uno dei componenti normali del 
vino e non di rado lo si vede impiegata per correggerne la ruvi- 
dezza, così |’ influenza di questo corpo e dei suoi derivati per fer- 
mentazione sulla qualità del vino fu oggetto eziandio di lunghe di- 
scussioni su alcuni giornali di enologia. 

Ed ora io credetti opportuno di cercare a quali prodotti possa 
dar origine la glicerina quando fermenti coi bacteri che sì otten- 
gono colla più grande facilità aggiungendo ad una soluzione di tar- 
trato ammonico piccole quantità dei sali necessari alla nutrizione di 
questi semplicissimi organismi. Mescolai perciò della glicerina pura 
(gr. 2200) con una soluzione diluita di fosfato potassico (gr. 22) e 
di tartrato ammonico (gr. 44). 

Il miscuglio al quale si aggiunse tosto un poco del.liquido con- 
tenente i bacteri del tartrato ammonico, fu ridotto a 40 litri con 
acqua comune; indi si mantenne a .20-25°, per due mesi, aggiun- 
gendo a poco a poco del carbonato calcare per saturare gli acidi 
.grassi man mano che andavano formandosi. Durante tutto il tempo 
della fermentazione si osservò uno sviluppo di gas, che raccolto so- 
pra una soluzione di potassa caustica per assorbire tutto l'acido car- 
bonico si riconobbe essere idrogeno puro. E qui piacemi notare che 
Berthellot pel primo, 80 anni or sono, constatava Jo sviluppo di gas 
idrogeno con un eccesso di acido carbonico per la fermentazione 
della glicerina, della mannite ecc. con lievito di birra e carbonato 
di calce. Si può spiegare questa formazione d'idrogeno libero am- 
mettendo la parziale condensazione e successiva decomposizione di 


295 


più molecole di glicerina che darebbero infine dei derivati della 
serie butirrica normale. 


CH,OH CH, 
21 cH OH=CH+200+4H;, 
CH,0H CO,H 
come pure 


CH,OH CH, 
CH 
CH,OH CH,0H 


Terminato lo sviluppo di gas si distillò la metà del liquido con 
un eccesso di corbonato calcare badando che specialmente’ da prin- 
‘cipio fa molta schiuma. ll primo liquido alcoolico distillato si mo- 
strava ricco di goccette oleose che tosto si sciolsero nell'acqua ecce- 
dente. Con Successive distillazioni e rettificazioni del liquido distil- 
lato, previa essiccaziorie su calce viva e finalmente su carbonato po- 
tassico, si ottennero in complesso 270 gr. di alcoli secchi, che rap- . 
presentano il 42,4 °/, del peso della glicerina impiegata. 

Allora procedetti alla distillazione frazionata di questi alcoli e 
risultarono infine ben distinti due soli alcoli, cioè gr. 196 d'un al- 
cool bollente a 4146,5-417°, che per tutti i suoi caratteri fisici e chi- 
mici si riconobbe essere alcool butilico normale e gr. 72 d’ alcool 
etilico con quantità insignificanti (un gr. circa) di alcoli superiori. 
Se ora si riferiscono questi numeri al per °/, di glicerina usata si 
‘trova che la quantità di alcool butilico normale giunge al 9 °/, della 
glicerina, proporzione veramente grande avuto riguardo alla sem- 
plicità del metodo di preparazione, con che si oltrepassa perfino la 
quantità dello stesso alcool ottenuta dall’Alb. Fitz coi bacteri del 
fieno diligentemente purificati. 

Quanto prima, permettendomelo le mie altre occupazioni, in que- 
sta R. Stazione Sperimentale, darò anche la quantità approssimata 
dei varii acidi ottenuti con questa fermentazione, e subitu dopo stu- 
dierò l'azione di questo importante bacterio nelle soluzioni dell’ a- 
cido citrico, dello zuccaro , della mannite, del cremortartaro , della 
gomma ecc. 

Per ora mi basta di constatare «he l’alcool butilico normale da 
me ottenuto lasciando fermentare la glicerina coi bacteri del tar- 


296 
trato ammonico è superiore per facilità di preparazione, per vistosa 
rendita ad ogni altro metodo finora conosciuto, tanto partendo dalla 
glicerina, quanto dall’acido butirrico. 
Dalla R. Stazione Enologica Sperimentale d'Asti. 


Sulla refrazione atomica dello zolfo. 


Memoria di R. NASINI. 


I bei lavori di Brith! sull’indice di refrazione delle sostanze or- 
ganiche dimostrarono che uno stesso elemento può avere una re- 
frazione atomica diversa a seconda del suo modo di unione cogli 
altri elementi. Cosi fu da Briihl stabilito che la refrazione atomica 
del carbonio ha un determinato valore quando esso è impegnato 
per le sue quattro valenze con quattro gruppi atomici o atomi di- 
stinti; ha poi un altro valore alquanto più grande quando esso per 
due valenze è impegnato con un altro atomo di carbonio. Per l'os- 
sigeno pure fu da Brihl constatato che il valore della sua refra- 
zione atomica in quei casi in cui esso per le sue due valenze è u- 
nito al carbonio (aldeidi, acetoni. ecc.) è più grande che in quelli 
in cui esso è impegnato con due gruppi qualsiasi monovalenti. Sino 
ad ora non si sono fatti studi estesi sopra Ja refrazione atomica di 
altri elementi polivalenti e quindi proprietà di questo genere non 
sono state constatate che pel carbonio e l'ossigeno. Per consiglio 
dell’illustre Prof. H. Landolt io mi rivolsi a studiare la refrazione 
atomica dello zolfo per indagare le sue variazioni nei varii casi. E 
qui son lieto di potere esternare al Prof. Landolt i sensi della mia 
profonda gratitudine per i consigli di cui mi fu largo e per la li- 
beralità nel fornirmi i prodotti e tutto quello che era necessario per 
condurre a fine questo lavoro da me eseguito nel laboratorio chi- 
mico della scuola superiore d’agricoltura in Berlino. 

Le sostanze sia organiche che inorganiche contenenti zolfo può 
dirsi che sino a qui non erano state studiate dal punto di vista de- 
gli indici di refrazione. Esistono numerose osservazioni sul solfuro 
di carbonio (4), una osservazione di Haagen sul cloruro di zolfo (2); 


(1) WulIner. Pogg. Ann. 133, 1. — Haagen. Pogg. Ann. 131, 117, 
(2) Pogg. Ann. 131, 117. 








297 
inoltre alcune osservazioni di E. Wiedemann (1) sopra alcuni de- 
rivati dell’ acido santogenico e solfocarbonico, una osservazione di 
Gladstone sul solfuro di fenile (2). Ma pur troppo di tali osserva- 
zioni, eccettuate quelle pel solfuro di carbonio, non si può tenere 
molto conto, giacchè quanto al cloruro di zolfo Hagen non potè, 
per le difficoltà esperimentali, fare le determinazioni che rispetto alla 
riga « dell'idrogeno, e quanto ai composti studiati da Wiedemann 
mancano le determinazioni dei pesi specifici fatte alla stessa tem- 
peratura a cui furono determinati gl’indici di refrazione, ed è quindi 
impossibile di potere ricavare con esattezza il valore della refrazione 
atomica dello zolfo. Notò peraltro Wiedemann che tra due isomeri 
della specie 


CSO e COS 


C,H 
COS eH o OS<SCH 


I’ îindice di refrazione è maggiore in quel composto in cui lo zolfo 
è unito per le sue due valenze con lo stesso atomo di carbonio. 
Quanto alla determinazione di Gladstone non è detto rispetto a quale 
unità fu determinato il peso specifico della sostanza, nè vien detto 
se questa era perfettamente pura (8). Esistono poi delle misure fatte 
direttamente sullo zolfo solido di Wollaston, su quello liquido di Glad- 
stone, su quello gassoso da Le Roux (4): e finalmente sono da ri- 
cordarsi le determinazioni di Biot, Dulong e Arago sull’idrogeno sol- 
forato e sull’anidride solforosa gassosa (5), quelle di CrouNebois (6) 
pure sul gas idrogeno solforato, quelle di Ketteler sull’anidride sol- 
forosa liquida rispetto alle righe del Li, Na, Th (7). 


(1) Journ. fir prakt. Chem. [2], 6, 433. 

(2) 3. Chem. Soc. [2], &, 147. 

(3) Approssimativamente dalla esperienza di Gladstone si deduce il 
valore 43 per la refrazione atomica dello zolfo rispetto alla costante A. 

(4) Wollaston, Ann. Phys. Chim. 46, 45. — Gladstone, J. Chem. So- 
ciety (2), 8, 101. — Le Roux, Ann. Ch. Phys. 3, 61, 385. Da queste mi- 
sure è impossibile dedurre esattamente il valore della refrazione ato- 
mica dello zolfo rispetto alla costante A. Nondimeno si hanno numeri 
che sono compresi tra 13 e 15 e che si accordano quindi con quelli da 
me trovati. 

(5) Ann. Chim. Phys. 31, 154.— Esperienze fatte colla lute bianca. 

(6) Ann. Chim. Phys. [4], 20, 136. Dalle esperienze di Croultebois si 
deduce 13,4 per la refrazione atomica dello zolfo rispetto ad A. 

(7) Pogg. Ann, {5], 4, 404. ©) 


38 


398 


Le questioni che mi sono proposto sono le seguenti: studiare 
quei composti in cui lo zolfo bivalente è unito con due gruppi mo- 
novalenti, come nei mercaptani e nei solfuri organici, onde ricavare 
il valore della refrazione atomica dello zolfo corrispondente all’ossi- 
geno alcoolico; studiare gli altri, pur troppo poco numerosi, almeno 
quelli allo stato liquido, in cui lo zolfo, per le sue due atomicità è 
unito allo stesso atomo di carbonio; finalmente studiare gli altri com- 
posti per la maggior parte inorganici o derivati di acidi organici, in 
cui lo zolfo si ritiene tetra o esavalente c nei quali in generale 
questo elemento non è più unito col carbonio, per indagare se la 
variazione di valenza o la sua unione con altri elementi diversi dal 
carbonio influiscano sulla sua refrazione atomica. 


Modo di esperimentare. 


Le mie esperienze le ho sempre fatte sopra composti liquidi 
giacchè non è ancora bene stabilito se possa con sicurezza dedursi 
da una soluzione il potere refrangente della sostanza disciolta. 
Come potere refrangente ho preso due diverse espressioni. Ho 
A - a: 
7 che i lavori di 
Landolt e Brith! hanno dimostrato adattarsi ottimamente alle espe- 
rienze ed essere pochissimo sensibile alle variazioni di temperatura. 
In questi ultimi tempi però i due fisici H. A. Lorentz (4) in 0- 
landa e L. Lorenz in Kopenhagen, fondandosi sopra basi teoriche e 
partendo da punti di vista diversi giunsero al risultato concordante 
che una relazione : 


continuato a valermi della formola empirica n 





n?—i A 

GEP3) Pila . 

è la vera espressione del potere refrangente di un corpo. Le esperienze . 
di Lorenz, di Prytz, di Damiens hanno dimostrato che la nuova for- 
mula dà ottimi risultati, migliori dell'altra in quei casi in cui si com- 
parano i poteri refrangenti di una medesima sostanza in istati fi- 
sici differenti. Il Prof. Londolt ha calcolato colla nuova formola i ri- 
sultati delle numerose esperienze sue e di Brithi ed ha dato le re- 
frazioni atomiche degli elementi in funzione della nuova formula. 
Dei risultati che dà il Prof. Landolt io mi servo appunto in questo 
lovoro per calcolare i risultati delle esperienze da me fatte. Questi 


(1) Wiedemann’s, Ann. @, 64. Wiedemann's, Annalen 11, 70. 


299 
valori sono dati dalla seguente tavola dove r, e "A rappresentano 


le refrazioni atomiche degli elementi rispetto alla riga « dello spettro 
dell'idrogeno c rispetto alla costante A della formula di Cauchy in fun- 
zione dell’ antica formula : e La r' A gli stessi valori in funzione 


della nuova formula (1). 














Carbonio | C| 5,0 
Idrogeno H| 4,8 
Ossigeno alcoolico O' | 2,8 


Ossigeno aldeidico 0” | 3,4 
Cloro Ci | 9,8 


Aumento per ogni doppio le- | 
game 


Gli indici di refrazione li ho determinati quasi sempre alla tem- 
peratura di 20°; qualche volta ho dovuto determinarli a temperature 
un poco superiori essendo più alta di 20° la temperatura dell’am- 
biente. Le determinazioni le ho fatte con un ottimo spettrometro di 
Bartels e Diedericlis in Gottinga rispelto alle righe a, f, y dello spet- 
tro dell'idrogeno e alla riga D del sodio. Il metodo era quello delle 
deviazioni minime. Mi sono servito della formula di Cauchy pren- 
dendo il più spesso due, qualche volta tre termini dello sviluppo 


B, GC 
KoA T Stat 


per il calcolo della costante A, ossia del valore indipendente dalla 

lunghezza d’onda. Ordinariamente per il calcolo di questa costante 

mi sono servito delle esperienze relative alle righe a e 4. Se cal- 
(1) Liebig's, Annalen. 218, 75. 





colando per mezzo delle esperienze rispetto alle righe « e D otte- 
neva per A dei valori concordanti sino alla terza cifra decimale pren- 


‘ deva la media dei due valori per il calcolo della refrazione moleco- 


lare, in caso diverso prendeva |’ equazione di Cauchy con tre co- 
stanti arbitrarie. Come lunghezza d'onda ho adottato i seguenti va- 
lori che rappresentano la media di quelli trovati sin qui dai diversi 
esperimentatori. 


i 
Riga rossa dell’idrogeno H, = C = 6,567 
» gialla del sodio Na = D = 5,898 
». verde dell'idrogeno Ho = F — 4,862 
» violettta » H, = >» 4,348 


e nei casi in-cui ho dovuto calcolare le esperienze di Wiedemann 
e di Ketteler. 


LI 
Li = 6,708 
Th = 5,346 
I} peso specifico dei corpi l'ho determinato in generale alla tem- 
peratura di 20°, rispetto all’acqua a 4°, riducendo al vuoto ecc, per 
mezzo della formula : 


di, -—(2—2) +) 


dove m è il peso della sostanza alla temperatura #, w quello dell’ac- 
qua alla stessa temperatura, @ la densità dell'acqua alla temperatura £, 
e X la densità media dell’aria. Naturalmente quando gli indici di refra- 
zione furono determinati a temperature diverse da 20° anche i pesi 
specifici furono determinati alla stessa temperatura. Ordinariamente 
le determinazioni furono fatte con picnometri Spengel. 

I termometri da me usati sia per le determinazioni dei pesi 
specifici e dei punti di ebollizione, sia per misurare la temperatura 
nell'interno del piccolo prisma erano divisi in quinti o in decimi 
di grado e furono da me verificati con ogni cura. 

I preparati provengono, nella massima parte, dalla fabbrica di 
C. F. Kahlbaum in Berlino: furono sempre da me purificati, e le 
esperienze non furono fatte che sopra esemplari purissimi. Le al- 
tezze barometriche furono ridotte a 0°. 


OSSERVAZIONI 


Come già dissi, io deduco i valori di A e B della formula di 
Cauchy dalle osservazioni rispetto alle righe « e y, e calcolo poi 1 


$0t 
valori di Py € be. I numeri che si trovano sotto gli indici di re- 
frazione relativi a queste due righe rappresentano appunto le cifre 
decimali differenti nei valori calcolati. 
Solfidrato d'etile C,H;.S.H. 


Di Kahibaum. Fu seccato su cloruro di calcio e frazionato. 
Bolle tra 86,2°-36,8° (corr.) alla pressione di 761 mm. 


s0 A—1 At—4 


0,83907 1,42769 1,43055 1,48788 41,4445 30,89 18,62 
45 
Solfuro detile (C,H;,),.S. 


Di Kahlbaum. fu seccato su cloruro di calcio e frazionato. 
Punto di ebo'lizione 93,2-98° (corr.) a 754 mm. 


% PL At— 1 
dd e Hy Ig tt, PPT 
0,88676 1,4896 4,44988 1,44999 145522 48.93 27,64 


53 61 
Bisolfuro di elile (C,H,),.S,. 


Preparato da Kahlbaum. Fu seccato e frazionato. 
Punto di ebollizione 152,8-458,4° (corr.) a 759 mm. 


A—i A?— { 
20 ———n==«<«@=>r eS 
dK ty #g ty pa Pura 
59,75 85,80 


0,99267 1,80806 1,50688 1,51604 4,52407 
©‘ 98 50 


Solfidrato W isobutile C,Hy.S.H. 


Preparato da Kahlbaum. Seccato e frazionato. 


Bolle tra 86,6-87,8° (corr) alla pressione di 754 mm. 
A--1 At— 4 


p —______ 


20 


0,88578.4,48575 4,48859 1,44547 44541 45,65 27,47 
68 59 


.802 
Etere etilico dell’ acido monotiocarbonico OC(OC,H;\S.C,H,). 


Gli indici di refrazione di questo corpo furono determinati da 
E. Wiedemann alla temperatara di 18,2° per le righe del litio, so- 
dio e tallio. La densità fu determinata da Salomon alla temperatura 
di 18°, cosicchè si può calcolare con molta approssimazione il potere 
refrangente di questa sostanza. Pur troppo però Salomon non ac- 
cenna se la densità fu determinata rispetto all'acqua a 4°. 


| A--4 At—4 
q's Mri Na rh P——- PERTINI 
1,0285 1,4479 14513 41,4544 56,86 34,09 


12 | 
Solfidrato @ isoamile CyH,;.S.H. 


Preparato da Kahibaum. Fu seccato su cloruro di calcio e fra- 
zionato. 


Bolle tra 116,6°-148° (corr.) alla pressione di 768 mm. 
A—-1 A?—14 


20 rie — —_———& 

ap ta ef O A PT Para» 

0,88475 1 48824 1,4441418 14,44784 1,45808 58,12 81,94 
08 15 


Solfuro @ isoamile (C,H,;),S. 


Analogamente al precedente. 
- Bolle tra 214,2°-215° (corr.) alla pressione di 754 mm. 


A-1 A?-ei 
20 ae 
di Fa "p "8 Ry Pa (Aî+3)d 
0,84844 1,44966 4,48988 445889 1,46447 90,450 54,20 
480 98 


Carbonilditioetile OC(S.C,H;),. 


Anche di questa combinazione furono determinati da E Wic- 
demann gli indici di refrazione rispetto alle righe del litio, sodio e 
tallio alla temperatura di 18,2°. Il peso specifico fu determinato da 





308 
Salomon alla temperatura di 49°. Pud ripetersi quello che fu detto 
per l’etere etitico dell’acido monotiocarbonico. 


A—1 A?— 4 


d* Fu Fa Fino oor Pasi 
4,088 41,8468 41,8987 1,5287 68,22 40,24 
ber. 801 


Solfuro di carbonio CS,. 


Questa sostanza fu purificata traltandola con nitrato di piombo 
e con soluzione diluita di potassa caustica; quindi seccata e distillata. 
Bolle a 47,5° (corr.) alla pressione di 764 mm. 


° A--1 At?— 4 
20 _ __—— 
4,2684 4,61847 1,62087 1.65268 1,67515 85,27 20,20 
. 4 * 


I miei risultati concordano perfettamente con quell di Wallner (41) | 


e di Hagen (2) il quale trovò a 20° 
Pa Fg Ky 
1,61786 41,65284 41,67488 
Combinazione CS(0C,4;,),. 
Gli indici di refrazione furono determinati da E. Wiedemann 
alla temperatura di 18,2° rispetto alle righe del litio. sodio, tallio: 


il peso specifico da Salomon alla temperatura di 19°. Vale cid che 
dissi per le altre due sostanze studiate da E. Wiedemann. 


A—i At—4 
a rs Os yd d Pi At+-2)d 
4.084 44568 41,4601 4,4682 57,60 $4.54 
ber. 598 


(1) Pogg. Ann. 133, 1. 
(2) Pogg. Ann. 181, 117. 





A 
¥ 


4 
to 


“ 
Pi 


è 


b 
ba 
dI 
~_ 


» ‘ee - 
R i ILA 
pi cei Da, 


304 
Etere etilico dell’ acido etilsolforico C,H,.SO0,.0.C,H;. 


Questo composto fu da me preparato secondo il processo di Kur- 
batow (41) cioé facendo bollire per alcune ore solfito d’argento, jo- 
duro di etile ed etere anidro. 

Bolle tra 248-248,5° (corr.) alla pressione di 761 mm. 

Le osservazioni furono fatte alla temperatura di 22°. Le osser- 
vazioni rispetto alla riga y essendo-un po’ incerte, io mi sono ser- 
vito di quelle rispetto alle righe « e f per il calcolo della costante A. 

A—1 A°-1 


4,1451417 4,41738 1,1195909 1,42420 142684 49,28 29,79 
84 804 ° 
Anidride solforosa SO,: 

Gli indici di refrazione dell'anidride solforosa liquida furono de- 
terminati da Ketteler alla temperetura di 24,1° rispetto alle righe 
del litio, sodio e tallio. Il peso specifico l’ho calcolato colla formola 
di Andreeff (2). 

S = 1 ,483298 — 0,00276894. t—0,00000027084. t* 
o A-1 A?—4 
0” PL; Pa È Th P d PIATTA) 


1,8667 1,83574 1,88835 1,8414108 15,32 9,49 
85 
Acido solforico H,SO, 


Ho adoperato l'acido solforico concentratissimo che si ottiene 
per distillazione e che contiene circa 4 1/, %/, dì acqua, Nei calcoli 
non ho tenuto conto di questa piccola quantità d’acqua, perchè la 
sua influenza sulla refrazione molecolare è piccolissima, Le osser- 
vazioni furono fatte alla temperatura di 28°. 

| A--1 A?— 14 


4 82780: 1.42659 142922 1,4333583 1,48745 2243 13,52 
868 52 


(1) Ann. Chem. Pharm. 173, 7. 
(2) Pogg. Ann. 110, 10. — Dall’anidride solfordsa gassosa s si ricava un 


valore pochissimo diverso per il potere refrangente molecalare. 


305 
Anidride solforica SO;. 


Ho preparato l'anidride solforica seguendo il difficile processo 
di Weber (1). L’ho ottenuta assai pura; perfettamente incolora. Le 
determinazioni sono state fatte impedendo il più che è stato possi- 
bile, il contatto dell’aria e si sono ripetute diverse volle e presa la 
media. Nondimeno non posso nascondere che con gli usuali appa- 
recchi le difficoltà esperimentali sono assai grandi, ed è quasi im- 
possibile d’impedire una parziale idratazione della sostanza. Quindi 
le misure non offrono quella sicurezza che si ha per altri composti. 


A—1 A?—4 


20 n 
di ba By Me P I. P (APP DA 
14,9865 41,4077 1,40965 4,4148%4 16,50 40,00 
° 84 
RISULTATI 


Nelle seguenti tavole sono riuniti i risultati delle esperienze mie, 
di Wiedemann e di Ketteler sulle sostanze solforate. 

La tavola I contiene i pesi specifici e gli indici di refrazione di 
tutte le sostanze da me studiate, e di più le costanti A, B, C della 
formula di Cauchy. Soltanto per il solfidrato d’etile e per il solfuro 
di carbonio ho creduto necessario di usare tre costanti. Nei casi in 
cui gli iudici di refrazione e i pesi specifici sono stati determinati 
a temperatura diversa da 20°, ciò viene indicato con d', posto so- 
pra il numero che rappresenta il peso specifico. 

Similmente la tavola II contiene i pesi specifici, gli indici di 
refrazione e le costanti A e B delle sostanze studiate da Wiede- 
mann e dell’anidride solforosa studiata da Kettelcr. 

Finalmente la tavola III contiene i poteri refrangenti e mole- 


sous . . n—i 
colari di tutte le sostanze nominate in base alle due formole —,-— 


d 
n-1.. . | o 
e (FIA sia rispetto alla riga « dello idrogeno, sia rispetto allu co- 
stante A della formola di Cauchy. r, © r A rappresentano le refra- 
zioni atomiche dello zolfo rispetto ad x e ad A in base all’antica formola: 
"i e n A le stesse quantità in base alla nuova formola. Per l’acido 


solforico, l’etilsolfito d'etile ecc. non ho dato il valore corrispondente 
della refrazione atomica dello zolfo per le ragioni che tra poco e- 
Sporrò. 


(1) Pogg. Ann. 159, 313. 
39 


806 


979966 


L¥ES‘S 





{yz69¢'0 


s0z9e0 


96888'0 


86095°5 
979630 
7.630 
993F9°0 
revoz'o 
E9eeo‘o 


6.690 





BEGGE'E 
98859"; 


99059°; 


39845 
€1809%E 
1.939} 
E8EEI"] 
OL989'F 
OPLEYF 


QO8 FT‘ F 





V 


QVLEV'T 


687" 


QIQL9'| 
LYyOV'T 
SOERT I 

FEQY'F 
LOVER" E 
SEQN 


QUT TF 


#8319°F 
CQeer'F 


08933‘ 


89699; 
68823°} 
VELIOI 
LE9VV°} 
70959°} 
686997 


88LE9'3 








29609‘ F 
EE689‘} 


69659°F 


L06891 
SEENTT 
SEEY?'F 
698£9%} 
8E90S°F 


EEEIV'1 


GLOLVF) 





d, 


I VIOAVI 


LLO3'% 
69989‘} 


CELTY'F 


LYStOF 
99639°F 
PE8EVI 
QLREYV'I 
v0£09°E 

96E9'F 


COLSY'F 





Pal 


oP 
LESYEF 


Lp 
893°} 


21€38°0 
QL¥E8'0 
£2968'0 
L9866°0 
9L9€8°0 


Loces‘o 





0zP 


WLI 


707 


06 


Sot 


06 


&9 


ED 
91800 


=2[0w 
090d 


Sos 


Yos*H 


Sos.gto 


€s9 
Sag hd) 
stlysg 
Sd | 4) 
BOI phy 
dha) 


S9H%9 





9jow04 





* * * *BOLIOJ[OS OpUpIUy 


* ** * *09LI0;]os Oploy 


o 0 6 è » 09110J[08]1} 
~0 Opioe,]19p 09118 01077 


* * "OJUOQUEO Ip 0IMIIOS 
* * * @grureosi,p omnsjos 
* * OITIGOSI,P_03BIPY[OS 
* *epnqost,p oyespyjos 
"°° * @Mmo,p ommjosg 
"+ + * eIpo,p omnyjos 


“© * * Olna,p OyIpyy Os 


AZNVLISOS ATTIC ANON 


807 


TAVOLA II. 












NOME 
DELLE SOSTANZE 





CT I Be —....: 


Etere etilico del- 
l’acido mono- 


tiocarbonico 1,4544 [1,4963/0,b461 





Carbonilditioetile |C;H,9S,0 3237 |1,5287 |1,4935]1,0470 






Combinazione 


CS(OC2Hs )e 


Anidride solforosa] SOs 


1,4632 |1,4442/0,5420 






64 11,3667] 4,33574| 433853] 1,34108] £,3264]0,4195 











000% L694 ‘0 
69‘6 8883F40 
ES'EH | R6LEFO 
C8‘68 0£918‘0 
9°C | rezez'o 
0803 822930 
180? | L089z‘0 
60‘5€ 057783‘0 
0359 | estre‘o 
#645€ | oFz0e‘o 
LYLE Lz20e'0 
oe‘se | re6ss‘o 
v9 LE | FELOE'O 
29 SI Z£00€‘0 
3 
Lx pe rev) 
vo| | 
Xx lt 








FELE'O 


OL'Ck 6£08F°0 


3e‘0£ L648 ‘0 
£3‘0z SPLLE‘0 
rice ERSTE 0 
eL'se ZOFFE O 
t1°83 OLETE‘O 
ee‘oz 282680 
288s FLEFL‘O 
00‘6F £79080 
ia =) 

aoe es 

x x 








— | 09°9k 
— | 89° 
— | e¢'zs 
— | 8£‘63 
60°9} 

8645F| 09°£S 
08'87 Le‘sr 
£c‘ek 

SL‘et| &8°89 
SISEF] 989s 
Ly'eR| S¥‘06 
reer] SEES 
reek] 89°S¥ 
0L'81 cL'69 
E9'ET| L6's¥ 
erer| 68‘0£ 





0390840] — 
ceeez‘o| — 


6883360] — 
L8L8c'0 


€8635‘0 
FFVOY'O| FORE 
TF 


852540] — 
Fees? 0] — 


€86FS°0/03‘77F 
ELOFS‘O100'FF 


£22080] 86'e} 
6LOSY‘O| Fe TE 


Z80FS‘0|88 ‘FF 
£2869 'Ol08‘Ck 





II VIOAVI 


83°95 








£2053°0] 08 


86 
Stk 


STE 0 
Z379C°0 


ve} 
£L689'0} 9L 


— {OSE 
— | TER 
Feees‘o 


5.6 
00838‘0 


$0} 
073380 


(=) 
D 


LL908°0 
GERZS‘O 
3L608'0| 39 


61 


DS 
oe 





9J€[090[OUI 


0S9d 


fos 
ens 


*os"H 
fos HYD 


<0s0HS9 
&s9 


0%5°lyS9 |a[neonipituoqueg 
Sqg0lyS5] 001u0greson 


$36 01g 
g8lyS9 


Sol yhy 


ss0lgro 
Ss Le) 


$9129 [e[na,p 0}eIpgros 





9[OW10,] 








BOI 
-03[08 apuipiuy 
SOI 
-0J[08 apjipiuy 
09110J]08 Oprov 
09110] 
-108]N9 Opioe,| 
-10p 091119 9097 


&( 51299 )s9 
auoizeaiqmo;) 
o1u0q 
IGO [Pp 01u3[os | 






_—— —— ———— 


—OUOWI OPIN®,| 
-10P 0911199 93197 
<« © 030J]0S 
ouuwe 
-081,p 03EIPYIOS 
ging 
“OSI, Pp OFBIPY TOS 
«  olnjjosia 
« — 0303]0S 


nee 





AZNVLSOS TTTAA 





NON 


809 


Dalle tavole qui annesse è facile vedere come lo zolfo abbia, a 
somiglianza dell’ossigeno, duc valori diversi per la refrazione ato- 
mica, secondo che esso è unito per le sue due valenze a due gruppi 
diversi, come nei mercaptani ecc. oppure è impegnato per le sue due 
valenze con uno stesso atomo di carbonio, come nel solfuro di car- 
bonio e nel composto studiato da Wiedemann. Pur troppo dei com- 
posti di questa ultima specie non figurano in questo lavoro che due, 
ma le osservazioni sul solfuro di carbonio offrono una tale certezza 
che bastano senza dubbio a stabilire la differenza. Possiamo quindi 
intanto stabilire che lo zolfo ha due valori per la refrazione atomica, 
i quali valori sono dati dal seguente quadro: 








n2-A 
d (n24+2)d 

T, r, r! a Ì r! A 

Solfo con legame semplice | 14,40 | 43,53 1,87 7,65 

Solfo con legame doppio 45,64 | 45,09 9,02 8.84 


È facile vedere dalla tavola HII come i valori r, e 0, sieno assai 


concordati fra di loro per i composti contenenti solfo con legami 
seinplici : le differenze sono presso a poco uguali a quelle che pas- 
sano tra i valori r A r! A Ciò dimostra che per questa classe di 


composti la dispersione è quasi la stessa per tutti. 

Quanto agli altri composti ossigenati dello zolfo prendendo i va- 
lori noti Cella refrazione atomica dell’ idrogeno, il quale elemento 
sembra avere un solo valore, e per la refrazione atomica dell ossi- 
geno prendendo i due valori sin qui conosciuti 0' e 0”, si trova che 
in qualunque modo si faccia il calcolo, o, per dir meglio, qualun- 
que sia l’ ipotesi che si faccia sulla costituzione, si trovano per la 
refrazione atomica dello zolfo valori molto differenti da quelli pre- 
cedentemente trovati, ma però abbastanza concordanti fra di loro. 
Non per voler dare delle formole di costituzione, ma soltanto per 
mostrare nel modo il più semplice a quali risultati si giunge quando 
si voglia calcolare il valore della refrazione atomica dello zolfo pren- 
dendo i valori noti per H, 0', 0”, do in questo quadro i risultati 
delle diverse ipotesi, 


310 











Refrazione atomica 
dello zolfo 


a gr —— 
A—1 A2—1 
“a «| (aed 





C,H,---S--O--0---O--C,H; 
HO--S-.-0--0--0H. 

70 

(1) S bivalente SC | 


No 


0-.-S---0 
NY 


894 | 5,25 
9,01 | 3,24 


8,40 6,37 


8,87 | 3,32 
0 


0 
4 
Val 


(2) S tetravalente ; 


. £90 
(3) S esavalente | HO--S==0 . 
NOH 


344 


Se volessimo spiegare chimicamente il fatto della variabilita nella 
refrazione atomica dello zolfo noi non potremmo ricorrere che a due 
ipotesi. O si vuol tener conto della valenza, e allora è chiaro che in 
questi composti in cui lo zolfo ha una refrazione atomica così mi- 
nore esso figura o può figurare come tetra o esavalente e quindi si 
potrebbe attribuire la diversità nella refrazione atomica a tale di- 
versità nella capacità di saturazione. Oppure, senza tener conto della 
valenza, si può supporre che lo zolfo non essendo più unito al car- 
bonio, ma all’ossigeno, o, per lo meno anche all’ossigeno, la sua re- 
frazione atomica siasi modificata. Questa ipotesi non avrebbe nulla 
d'assurdo, bene inteso che in tal caso anche la refrazione atomica 
dell'ossigeno si sarà modificata A risolvere questa quistione ho in- 
tanto intrapreso lo studio dell’etilsolfito d’etile, isomero coll’etilsolfo- 
nato d’etile, e nel quale per conseguenza è contenuto ossigeno e che 
si ammette differire dall'altro soltanto per la valenza dello zolfo. Farò 
intanto osservare che in alcuni casì è stato constatato che un ele- 
mento conserva la sua refrazione atomica indipendentemente dalla 
qualità degli atomi a lui uniti: così p. e. la refrazione atomica del- 
l'ossigeno è la stessa sia nell’acqua, sia in tutte le combinazioni del 
carbonio, così pure la refrazione atomica dello zolfo è presso a poco 
la stessa nei mercaptani, nel cloruro di zolfo, nell’idrogeno solforato. 
Quanto a decidere la quistione della valenza sarebbe necessario di 
poter fare ossorvazioni sopra sostanze liquide in cui lo zolfo sia 
unito al carbonio e figuri come tetravalente in modo indiscutibile; 
ma pur troppo di tali sostanze non esiste, credo, che l'ossidrato di 
trimetilsolfina, composto non facilmente purificabile. La quistione 
per ora ha bisogno di nuove esperienze per essere risoluta. Io ho 
già pronto altro materiale per le osservazioni, etilsolfito d’etile, clo- 
ruro di solforile, di pirosolforile ecc. ecc. , è spero presto di poter 
pubblicare le osservazioni. Rimane intanto accertato che la refrazio- 
ne atomica di un elemento può variare non solo, come si credeva 
sifio a qui, secondo che esso è più o meno legato con altri elementi, 
ma che anche altre ragioni come la qualità degli atomi ad esso uniti 
o la sua differente capacità di saturazione possono influire grande- 
mente sul valore di quella costante. Ricerche analoghe sopra altri 
elementi polivalenti come, ad esempio, il fosforo, l’azoto e l’arsenico 
potrebbero ancor meglio delucidare tale importantissima e nuova 
quistione. | 


$42 


Sopra un ossibromoteluocchinone;: 


di G. SPICA ed O. MAGNANINMI. 





L'anno scorso uno di noi insieme al Dr. Fr. Canzoneri pub- 
blicò una memoria « sopra alcuni derivati bromurati del toluochi- 
none, » (1) che aveva per iscopo la preparazione dell’ ossitoluochi- 
none fin ora sconosciuto. Le esperienze di allora però non condus- 
sero al fine desiderato ed invece si fu portati allo studio dei pro- 
dotti bromurati cel toluochinone solamente. In quella memoria si 
disse come il tribromotoluochinone, per l'azione della potassy, non 
forniva che una sostanza bruna resinosa dalla quale nulla potè 
ottenersi di analizzabile, Ora persuasi noi che forse cambiando le 
condizioni dell'esperienza, la potassa avrebbe potuto dare qualche 
ossibromochinone capace poi di poterci condurre all’ossitoluochinone, 
abbiamo fatto altri tentativi. 

Partimmo quindi dal tribromotoluochinone preparato e pu- 
rificato secondo il processo indicato nella memoria succennata e 
su di esso fecimo dei saggi adoperando delle soluzioni di potassa 
a vari gradi di concentrazione ed a freddo per evitare il più pos- 
sibile la resinificazione. Abbiamo dopo ciò potuto constatare che 
fra tutte, la soluzione al 5 °/, era quella che dava migliori risul- 
tati ; infatti essa, dopo d’avere sciolto il tribromotoluochinone , 
e dopo poco riposo, acidificata con acido cloridrico precipitava 
una sostanza fioccosa , color rosso di terra, d'una discreta ap- 
parenza. Nondimeno la purificazione di questo corpo è assai difficile 
e solo potè aversi esente di sostanze resinose per ripetuti trat- 
tamenti con benzina a freddo, che leva la maggior parte delle 
impurezze lasciando indisciolto un residuo bianco rossastro. Que- 
sto, sottoposto a replicate cristallizzazioni dall’alcool acquoso, fornì 
dei bei cristallini tabulari, che si purificarono completamente scio- 
gliendoli più volte in alcool assoluto e riottenendoli per l'cvapora- 
zione del solvente. Si presenta allora in cristalli piccoli e splen- 
denti, bianco-rosei, che fondono alla temperatura di 196°-97°. 

E da dire intanto che il rendimento di esso è assai meschino; par- 
timmo da più di 20 gr. di tribromotoluochinone e non arrivammo che 
ad avere un grammo circa del nuovo composto. Di esso abbiamo fatto 
una determinazione di bromo ed una ‘combustione che ci hanno 
dato i seguenti risultati: | 


(1) V. Gazz. Chim. Ital. t. XII, 1&82 p. 269. 


318 


I. gr. 0,2858 di sostanza fornirono gr. 0,2998 di AgBr. 

II. gr. 0,2776 di sostanza fornirono gr. 0,2856 di CQ, e gr.0,0482 
di H,0. ° 

Cioè per %,: 

Br = 54,14; C = 28,05 ed H = 1,92: 

Un ossibibromotoluochinone (C,CH,0,.Br.0H) , richiede: di Br 
il 84,05 %, di C il 28,05 94, e d'H 174,68 9, ; non v’ha quindi dub- 
bio che la potassa à solamente eliminato un atomo di bromo per 
sostituirlo coll’ossidrile. Questo ossibibromotoluochinone, come ognuno 
può bene prevedere, per la riduzione dovrebbe fornire un ossi- 
toluochinone. Abbiamo tentato tale riduzione sopra un’altra porzione 
di sostanza che ci preparammg successivamente, per l’azione del- 
l’amalgama di sodio in presenza di acqua, ma non venimmo che 
ad ottenere del cresol. 

La riduzione dunque fu assai energica e tanto da eliminare 
anche i due atomi di ossigeno chinonici. Questo risultato potrebbe 
condurci a determinare il posto occupato dall’ossidrile, nel corpo 
che noi abbiamo preparato, e ciò solo determinando se il cresol 
che prende origine è orto, para o meta; ma per ora mancandoci 
la sostanza non possiamo continuare le nostre ricerche; d’altra parte 
siamo persuasi che cercando di moderare la riduzione si potrà ot- 
tenere l’ossimonobromo- e quindi l’ossitoluochinone corrispondenti, 
e di tutto ci occuperemo appena saremo al caso di continuare le 
nostre ricerche. 

Palermo. Laboratorio chimico della Regia Università, aprile 1883. 


Suil’etere metilendietilico 3 


per LEONARDO PRATESI. 


Nella serie degli acetali non si conosce l’acetale, etere metilen- 
dietilico 
OC,H, 
OC,H, 


a meno di mettere in dubbio la formola di costituzione del « metil- 
acetalc » di Wurtz (1). 


cH 





0.CH,, 
(1) Annales de Chimie et de Physique, 3* serie, vol XLVIII, p. 373. 
40 


344 
poichè il metodo usato da Wurtz per ottenere questo corpo, cioè 
facendo agire il biossido di manganese e l’acido solforico su di un 
«miscuglio di alcool etilico e di alcool inetilico, può egualmente dare 
il primo o il secondo di questi corpi o tutti e due. 

Avendo distillato del triossimetilene o paraformaldeide C,H,O,, 
con un eccesso d’alcool etilico, in presenza d’un pò d'acido solforico 
concentrato, continuando la distillazione fino a tanto che il liquido 
distillato si intorbidava coll’acqua, e trattata tutta la porzione distil- 
lata con acqua e cloruro di calcio, ebbi la separazione di un li- 
quido più leggiero che feci hollire a ricadere con potassa caustica 
e quindi riscaldai con altra potassa in tubi chiusi a 100°; lavai poscia 
con acqua e seccai su cloruro di calcio. 

Il liquido così ottenuto bolliva quasi totalmente fra 87 e 88° 
e diede all'analisi i seguenti risultati, che. concordano colla formola: 

0G,H; 
CH, 0 qs 
dell’etere metilendietilico. 

I. gr. 0,8972 di sostanza, bollente fra 87° e 87°,5, diedero 
gr. 0,4123 d'acqua e gr. 0,8384 d’anidride carbonica. 

II. gr. 0,4192 di sostanza, bollente fra 87°,5 e 88°, diedero 
gr. 0,4396 d’acqua e gr. 0,8878 d’anidride carbonica. 

III. gr. 0,4283 di sostanza, bollente fra 87°, e 88°, d’altra pre- 
parazione, diedero gr. 0,4508 d'acqua e gr. 0,8896 d’anidride car- 
bonica. 

Donde si calcola per la composizione centesimale 


I Il II{ Teoria per C;H,,0, 
Carbonio 57,57 57,75 57,384 57,69 
Idrogeno 11,53 11,65 11,83 14,53 
Ossigeno — — — 30,78 
100,00 


La densità di questo corpo è stata trovata di 0,8504 a 0°, co- 
me risulta dalla media di tre determinazioni sulle frazioni sopra 
indicate: 

I. 0,8502 
_ IL. 0,8505 
III. 0,8506 

È meno solubile a caldo che a freddo; 

A 18°, un volume di sostanza si scioglie in circa 11 volumi d'acqua; 

A 80°, un volume in 15. 


315 


La solubilità è stata determinata mescolando un volume di so- 
stanza con un volume d’acqua maggiore di quello necessario per 
avere la soluzione salura e poi riscaldando e determinando il punto 
in cui il liquido cominciava a intorbidarsi. 

* La densità di vapore, determinata col metodo di Meyer, mi 
diede 8,52, ciò che corrisponde al peso molecolare 102, mentre il 
peso molecolare di C,H,,0, è 104. 

Il punto di ebollizione e la solubilità del corpo, ottenuto per 
azione del triossimetilene sull’alcool etilico, in preserza d’acido sol- 
forico, dimostrano, insieme alla sua composizione, che è isomero 
col metilacetale di Wurtz e siccome, pel metode di preparazione, 
non può essere che l'etere metilendietilico, non può più esser messa 
in dubbio la formola di costilgzione data da Wurtz al corpo chia- 
mato da lui metilacetale. 

Napoli, maggio 1883. 


Ricerca dell'acido solforico libero nei vini e negli acetis 


nota di E. POLLACCI. 


È questa una delle ricerche più delicate. Per affermare, con le 
attuali cognizioni che ad un vino è stato aggiunto dell’acido solforico, 
è necessario secondo noi, non solo d’isolarlo, ma di essere altresì certi che 
l'acido libero ottenuto non sia il prodotto delle operazioni, alle quali 
venne sottoposto. Il metodo di Nessler, quelli fondati sulle reazioni 
che presentano il carbone e la cenere dei vini, quello di Lessaigne 
e tutti gli altri fin ora suggeriti non permettevano di raggiungere lo 
scopo. Un metodo invece che dà soddisfacenti risultati è il seguente: 

Ponesi il vino in un bicchiere ordinario di vetro , e vi 8i 
immergono delle listerelle fatte con carta da filtrare di buona 
qualità, ben purificata con acido cloridrico e lavata, appoggiandole 
alla parete interna del bicchiere, cui esse facilmente: aderendo, ri- 
mangeno benissimo in posto conservando la posizione verticale. La 
estremità inferiore della cartolina, ossia quella che pesca nel liquido, 
potrà farsi scendere fin presso al fondo del bicchiere, mentre l'al- 
tra estremità, ossia quella che guarda in alto, dovrà clevarsi di 
un centimetro circa al disopra del fondo del bicchiere medesimo. La 


316 


larghezza delle cartoline potrà essere anch'essa di circa un centi- 
metro, ed il numero di 6, 7, 8 e più ancora, tante insomma quante 
se ne richiedono a rivestire la massima parte della parete in- 
terna del bicchiere. Il semplice apparecchio, così montato, lasciasi 
per 24, 80 o 36 ore in ambiente non troppo freddo, in cui Varia 
si rinnuovi, e difeso naturalmente il meglio possibile dalla polvere. 
Nello spazio di soli 4 o 5 minuti, il liquido suol raggiungere la e- 
stremità' superiore delle cartoline, dove la evaporazione comincia 
subito attiva, e dove si accamula la sostanza di cui si va in cerca. 

Scorso il detto periodo di tempo, staccasi la estremità superiore 
delle cartoline, si divide e suddivide ben bene, indi riuniti tutti 
ì frammenti in un piccolo mortaio di cristallo, si triturano forte- 
mente e ripetutamente con poco etere a fine di asportarne il me- 
glio possibile l’acido che si cerca, poi si decanta, avvertendo di ri- 
petere anche un paio di volte il trattamento con etere (4). Dopo 
ciò non rimane più che evaporaré il liquido decaniato, riprendere 
il residuo con acqua stillata, filtrare, acidulare il liquido filtrato con 
acido cloridrico e trattarlo al solito con cloruro di bario. 

Questo metodo ha non piccoli vantaggi sull’altro, tra cui quello 
pure di evitare le reazioni derivanti dalla concentrazione del liquido. 
Però, nè con l’uno nè con l’altro dei due metodi si può separar 
tutto l'acido solforico libero dal vino, pure, quando il viao ne con- 
tiene, si riesce a separarne, acquistando così la piena sicurezza 
della di lui presenza nel vino saggiato, dappoichè l’etere, lo ripetiamo, 
ha il gran vantaggio di non asportare che l'acido libero. 

Il metodo descritto è ugualmente applicabile al saggio degli 
aceti. 

Pavia, 6 maggio 1883. 


(1) I trattamenti eterei potranno pure esser fatti dopo avere accu- 
mulati i frammenti di più operazioni, eseguite sulla medesima porzione, 
o su dorzioni diverse, dello stesso vino. 


817 


Sulle relazioni esistenti tra il potere rifrangente 
e la costituzioae chimica delle combinazioni organiche: 


Nota preliminare dei sigg. 0. BERNHEIMER e R. NASINI. 


Le esperienze di Landolt, Haagen, Gladstone, sopra un numero 
grandissimo di derivati saturi della serie grassa dimostrarono , 
come per questi la rifrazione molecolare è sempre la somma delle rifra- 
zioni atomiche degli elementi, rifrazioni atomiche calcolate basandosi 
sulle combinazioni medesime, o determinate direttamente dall’elemen- 
to. Per questi studi come per gli altri successivi si è sempre presa 





e . e n e e e 
come costante la espressione empirica che l'esperienza dimo- 


d 
strò pochissimo sensibile alle variazioni di temperatura. Si vide però 
subito che non tutti i composti soddisfano alla regola. Gladstone e 
poi altri trovarono, che in generale le combinazioni aromatiche 
hanno una rifrazione molecolare molto maggiore di quella che si 
può calcolare sommando le rifrazioni atomiche degli elementi. Si in- 
dagò in quali casi ciò accade e si cercò di spiegare con la diversa 
costituzione chimica il diverso modo di comportarsi rispetto alla luee. 
Su questo soggetto vanno annoverati i lavori di Brihl e di Glad- 
stone. Brùhl con una serie di lavori sperimentali dimostrò : che i 
composti con un legame oleffinico hanno una refrazione molecolare 
maggiore di 2 di quella normale contrariamente a ciò che aveva 
trovato Gladstone; che i composti con due legami oleffinici e i de- 
rivati del benzolo hanno una rifrazione molecolare maggiore di 4 
e rispettivamente di 6 di quella normale. Da ciò Briihl si credette 
autorizzato ad ammettere: unica causa dell'aumento nella rifrazione 
molecolare essere i doppî legami e precisamente ogni doppio legame 
aumentare di 2 tale rifrazione (rispetto alla costante A della formola 
di Cauchy): nel benzolo essere contenuti tre legami doppî; il riunirsi 
degli atomi di carbonio in catena chiusa non avere nessuna influenza 
sulla rifrazione molecolare, quando nou vi sieno anche doppi legami. 
Gladstone dall'altra parte calcolando le sue antiche esperienze, non 
troppo esatte, come egli stesso accenna, ed eseguite spesso non 
sopra sostanze liquide ma sopra soluzioni, giunge alla conclusione 
che il carbonio ha almeno tre rifrazioni atomiche: 5 (rispetto alla 
riga A dello spettro solare) nei composti della serie grassa saturi, 


3418 


ossia quando il carbonio è saturato soltanto per una o due atomi- 
cità da altro carbonio : 6 nei composti in cui per tre atomicità è 
saturato da altro carbonio; 8 quando è saturato per tutte e quattro 
le atomicilà da altro carbonio. Quanto alla spiegazione di Gladstone 
Si può dire subito che non si accorda colle vedute che noi abbiamo 
sulla costituzione chimica: secondo questo scienziato il trimetilcar- 
binol , ad esempio , dovrebbe avere una rifrazione maggiore della 
normale, ora invece dalle esperienze di Brilhl si rileva che tale ri- 
frazione è perfettamente normale. Inoltre |’ anetolo, in cui pure la 
rifrazione atomica del carbonio sarebbe 8, secondo una antica espe- 
rienza di Gladstone, è un corpo di costituzione nota e non contiene 
nessun atomo di carbonio unito per quattro atomicità ad altro cam- 
po di costiluzione nota e non contiene nessun atomo di carbonio 
unito per quattro atomicità ad altro carbonio. Resta l'ipotesi di Briihl, 
attraente per la sua semplicità, c che sino a qui non era stata smen- 
tita da nessun fatto ben provato. Noi appunto ci siamo proposti di 
verificare, se tale ipotesi sia generalmente applicabile e se proprio 
per ispiegare l'aumento delle rifrazioni molecolari basti ricorrere ai 
così detti doppî legami. A questo fine abbiamo istituito esperienze 
Sopra diversi composti e precisamente sopra alcuni derivati della 
naftalina e sopra combinazioni che, oltre il gruppo della benzina, con- 
tengono una catena laterale con un doppio legame, come lo stiralo, 
Vanetolo, l'alcool cinnamico ecc. ecc. Lo studio di questi composti e 
le conclusioni che se ne possono trarre costituiscono il soggetto della 
Memoria che sottoporremo quanto prima al giudizio dell’Accademia. 
Intanto possiamo con certezza asserire, che la regola di Brùhl non 
si mantiene affatto per quasi tutti i composti da noi studiati. Pren- 
dendo per base delle nostre comparazioni l’indice di refrazione per 
una lunghezza d’onda infinita; ossia la costante A della formola di 
Cauchy , e le due espressioni n—! o SL 
i d (n?+-2 
quali è dedotta teoricamente noi giungiamo alle conclusioni che per 
i derivati della naftalina, bromonaftalina, dimetilnaftalina, etere me- 
tilico dell’a naftol, la rifrazione molecolare trovata cccede di circa 14 
quella calcolata. Ora secondo la regola di Brith] I’ eccesso non do- 
vrebbe essere che di 10. Questo per |’ antica formula empirica. U- 
sando della nuova formula si giunge a conclusioni analoghe, soltanto 
l'eccesso è molto più piccolo. Del resto non sempre le due formule 
conducono a risultati identici, come mostreremo nélla memoria per 
i derivati del propargile e per alcuni terpeni. Similmente per I’ a- 
netolo si ha una rifrazione molecolare maggiore di circa 4 unità 


, la seconda delle 


$19 

di quella che la regola di Brith! farebbe supporre. E, cosa assai 
strana, per lo stirolo invece la regola di Brith! è applicabile : cosa 
strana ci sembra per |’ analogia di costituzione esistente fra i due 
corpi. Da tutto questo possiamo intanto concludere , che così come 
è stata enunciata , la ipotesi di Briùhl non basta a spiegare tutti i 
fatti conosciuti e che ad altre cause debbonsi attribuire le variazioni 
nella rifrazione molecolare delle combinazioni organiche. 

Le sostanze da noi adoperate erano purissime e non si sono 
mai fatte osservazioni se non dopo esserci assicurati mediante ana- 
lisi della purezza della sostanza da esaminare. 

Il metodo da noi tenuto è quello delle minime deviazioni. Le 
esperienze le abbiamo fatte mediante un magnifico spettrometro di 
Starke, che il prof. Blaserna ebbe la bontà di mettere a nostra di- 
sposizione e di mostrarcene l’uso. Con questo istrumento si possono 
fare osservazioni con l'esattezza di due o tre secondi. Delle tempe- 
rature fu tenuto conto sino ai decimi di grado. Le osservazioni fu- 
rono fatte rispetto alle righe «, 6, y dello Spettro dell’ idrogeno e 
alla riga D del sodio. 

Le sostanze, che sino a qui abbiamo studiato , hanno un po- 
tere dispersivo enorme , non inferiore a quello del solfuro di car- 
bonio. La formola di Cauchy con due costanti non dà quindi risul- 
tati troppo soddisfacenti: i valori delle costanti A differiscono tra 
loro anche di tre o quattro unità nella terza cifra decimale secondo 
che si deducono dalle osservazioni rispetto ad « e y o da quello ri- 
spetto ad « c D. Era quindi necessario vedere se un’altra formula 
avesse dato risultati più esatti. Noi abbiamo trovato che la formula 
di Lommel pure con due costanti : 


dove n=|/1+a ha lo stesso significato della costante A della for- 
mola di Cauchy, dà risultati assai più esatti dell’altra, cosicchè cre- 
diamo debba sempre preferirsi come dimostreremo con molti esem- 
pii nella memoria. Pur troppo però nel caso nostro si tratta di so- 
atanze talmente dispersive che una formula con due costanti non 
può assolutamente bastare. Ci occupiamo ora di verificare quale delle 
formole a tre costanti dia risultati migliori, per poterla poi con si- 
curezza applicare nel ricavare il valore esatto della costante A o di 
una costante corrispondente. Però possiamo già dire che 1 risultati 
finali varieranno di poco giacchè già abbiamo visto in quali limiti 


820 
variano i valori di A ed abbiamo trovato che dentro questi limiti 
si mantengono sempre le stesse relazioni ; cioè la differenza tra le 
rifrazioni molecolari trovate e le calcolate, dimostra sempre inesatta 
per queste sostanze la regola Brihl. 

Abbiamo cercato anche di risolvere la questione, se realmente 
il riunirsi del carbonio in catena chiusa non alteri la rifrazione mo - 
lecolare. Sino a qui abbiamo studiato il diamilene , gentilmente fa- 
vorito dal prof. R. Schiff. Il dinmilene si comporta perfettamente co- 
me l’amilene già studiato da Brithl, ossia la sua rifrazione moleco- 
lare eccede di 2 la rifrazione normale: ossia si deve ammettere un 
doppio legame secondo Brihl. È noto che il prof. Schiff nel suo la- 
voro sui volumi molecolari giungeva alla conclusione, che nel dia- 
milene non vi è doppio legame, ma invece una catena chiusa. Stia- 
mo anche studiando alcuni prodotti di addizione della naftalina; pur 
troppo però la purificazione di tali sostanze offre grandissime dif- 
ficoltà. 

Uno speciale apparecchio, del quale daremo a suo tempo la 
descrizione, ci permetfe altresì di potere esperimentare con sostanze 
a punto di fusione elevato, come la naftalina , il naftolo ed il fe- 
nantrene. 


Bicercho sulla pirecolias 


di G, L. CIAMICIAN e P. SILBER. 





In una memoria presentata alla R. Accademia dei Lincei nell’anno 
scorso da uno di noi assieme al dott. Danesi furono descritte tre nuove 
sostanze che si ottengono dalla Pirocolla per azione del pentaclo- 
ruro di fosforo a temperatura elevata. Fra queste attirò già allora 
specialmente la nostra attenzione il composto che ha per espressione 
più semplice la formola 

C,Cl,NO, 
avendo esso la singolare proprieta di svolgere ammoniaca se viene 
bollito con potassa caustica. 

Noi abbiamo ripreso lo studio di questi corpi, sui quali pubbli- 
cheremo fra breve una memoria più estesa, ed ora ci limitiamo a 
descrivere la scomposizione che subisce l'anzidetto corpo C;CI,NÒ per 
l’azione dell’acqua a temperatura elevata. 


334 
Riscaldando questa sostanza con acqua in tubi chiusi ad una 
temperatura di circa 130°, essa si scompone in ammoniaca , acido 
carbonico e cloridrico, ec in una materia che non contiene più azoto, 
la quale è 


L'acido « bicloroacrilico. 


ottenuto da Bennet e Hill (4) dall’acido mucoclorico. 

Riscaldando 4 gr. del corpo C,CI,NO con circa 20 gr. di OH, 
per 6 o 7 ore in tubi chiusi a 180° si ottiene una soluzione per- 
fettamente scolorata. Nell’aprire i tubi si svolge un gas, che fu ben 
tosto riconosciulo per acido carbonico. Il liquido trattato ripetuta- 
mente con elere cede a questo l'acido « bicloroacrilico mentre la so- 
luzione acquosa contiene ancora acido cloridrico libero, cloruro am- 
monico ed alcune tracce di materia organica che abbiamo trascurate. 

L’ acido che si ottiene per svaporamento dell’ estratto etereo e 
che si-fa cristallizzare una o due volte dall’ acqua, ha la composi- 
zione e tutte le proprietà dell’ acido « bicloroacrilico descritto da 
Bennett e Hill. Esso forma dei piccoli prismi che sono facilmente 
solubili nell'acqua, nell’etere e nell’alcool mentre-si sciolgono più dif- 
ficilmente nel benzolo e nel solfuro di carbonio freddi. Esso fonde, 
conformemente a ciò che scrissero gli autori già citati, a 85-86°. 

I. 0,3345 gr. di materia diedero 0.3160 gr. di CO, e 0,0490 gr. 

di OHg. 
Il. 0,4565 gr. di materia diedero 0,3170 gr. di Ag CI. 
In 100 parti: | 


trovato calcolato per la formola C3HgClsOg 
I Il 

G 25,77 — - 6 « . +. 25,58 

H 1464 °=— - 2 e 2 6 1,42 

CI — 50,09 . . . .. 50,37 


Anche i sali baritico ed argentico dell'acido da noi ottenuto 
hanno precisamente le proprietà descritte dai due autori inglesi. 

Il sale baritico cristallizza in scagliette con una molecola d’ac- 
qua che perde sotto i 100°. 

gr. 0.8760 di materia disseccata sull’acido solforico perdettero 
a 100° 0,0450 gr. di acqua. » 


(1) Berl. Ber. XII, 655. 
44 


829 | 
In 400 parti: 


trovato calcolato per (CgHClsOs)sBa-+Hs0 
H,0 $99... ..... 414 
gr. 0,3555 di sale baritico deacquificato a 100° dettero gr. 0,1995 
di BaSO,. 
In 100 parti: 
trovato calcolato per (C3;HCl.0,)Ba 
Ba 52,99 . . . . 2...) 82,85 


Il sale argentico si oltiene facilmente, precipitando la soluzione 
acquosa dell'acido col nitrato d’argento, in forma di lunghi aghi fi- 
nissimi, che si possono far cristallizzare dall'acqua bollente senza che 
subiscano alterazione alcuna. 

0,4150 gr. di sostanza diedero 0,2885 gr. di Ag Cl. 
In 400 parti: | 
trovato calcolato per C3HClsO,Ag 
Ag 43.22 .. .... +. +» 48,55 


e La trasformazione delle sostanze C,Cl,NO in acido « bicloroa- 
crilico per azione dell’acqua. può essere rappresentata dalla seguente 


equazione : 


Noi per ora vogliamo astenerci dal discutere in che modo debba 
essere interpretata questa singolare reazione, e quali sieno le con- 
seguenze che da essa si possono trarre, riguardo alla costituzione 
del corpo C;CI.NO ed alla struttura chimica della pirocolla e del pir- 
rolo. Ci sembra però degno di speciale menzione il fatto che l'acido 
a bicloroacrilioo si forma anche dall’ acido mucoclorico per azione 
della barite, il quale a sua volta si ottiene dall'acido piromucico trat- 
tandolo con un eccesso di cloro. 

.Noi speriamo di poter risolvere la quistione studiando i pro- 
dotti di scomposizione del corpo C,CI,NO che si formano, bollendolo 
con acido acetico diluito e con acido acetico e zinco. 


$28 


RIVISTA DEI LAVORI DI CHIMICA 


PUBBLICATI IN ITALIA 


—=.rD)jb@—— 
Sallanalisi protistologica delle acque potabilis 
di LEOPOLDO MAGGI. 


Per la ricerca dei così detti mzicrobj contenuti nelle acque potabili, 
Certes (Comptes Rendus 81) ha adottato l’uso dell'acido osmico poichè 
quest’acido, avendo la proprietà di uccidere gli organismi senza sfurmarli, 
fa si che questi si depositino nel fondo in quantità apprezzabile e pos- 
sano essere sottoposti all'esame microscopico. 

La soluzione d’acido osmico usata dal Certes è ad 1,5 per 100. Se- 
condo le sue esperienze 1 c.c. di questa soluzione basta per 30 o 40 c.c. 
di acqua. 

L’A., occupandosi dell'esame microscopico dell’acqua del Lago Mag- 
giore, si è valso del metodo di Certes, per mezzo del quale potè scoprire 
in quelle acque, delle forme analoghe alle bacteriche, particolarmente 
desmobacteriche. Ma riflettendo che i microrganismi, invisibili senza re- 
agenti, si resero visibili coll’acido osmico e che l'acido osmico è un 
mezzo d'indurimento del protoplasma, pensò che altri reagenti, capaci 
di produrre l’indurimento dei microrganismi, rendendoli così opachi a 
quindi visibili al microscopio, avrebbero potuto servire allo scopo. 

E per primo si valse di una soluzione, ad 1 per 800, di cloruro di 
palladio. Con questo trattamento, fatto nelle stesse condizioni dell'acido 
osmico, ottenne un precipitato colorato che, esaminato al microscopio, 
inostrava delle forme bacteriche analoghe a quelle osservate pel trat- 
tamento con l’acido osmico e di più delle masse di natura protoplasina- 
tica tinte in giallo d’oro. | 

Con altri mezzi di indurimento, come ematossilina, metilvioletto, ma- 
genta, bleu di Lione, si manifestarono i medesimi microrganismi e le 
medesime masse protoplasmatiche, ognuna delle quali era tinta del colore 
del proprio reagente. | microrganismi però non prendevano colorazione 
di sorta. Ha dimostrato infine .che questi microrganismi sono innocui, 
poichè l’ha riscontrato, con le stesse particolarità, in acque ritenute dal 
criterio empirico come le migliori potabili (Le Stazioni sperimentali a- 
grarie italiane Vol. XI. pag. 28, Fasc. 1°, 1882.) 


Sulla ricerca dell'’acetone nelle urine: 
di D. VITALE. 





Uno dei criterii per decidere della presenza dell’acetone nelle urine 
è quello fondato sulla formazione dell’iodoformio per mezzo dell’ ioduro 
potassico iodurato; questo metodo presenta degli inconvenienti, dappoi- 


224 


ché la forma caratteristica cristallina del jodoformio non sempre viene 
con nettezza a svelarsi, non solo, ma anche molte altre sostanze conte- 
nute nelle urine possono produrre jodoformio con la soluzione jodica. In 
quanto alla prima parte l’autore propone un metodo per mezzo del quale 
possono scoprirsi anche piccole quantità di jodoformio. 

Scaldando in un tubettino di vetro tracce di iodoformio con un gra- 
nellino di potassa ed una piccola quantità di timolo producesi, attorno 
al timolo fondente, una colorazione violacea. L’alcoole discioglie questa 
materia colorante tingendosi in rosso violaceo. Se poi al prodotto della 
‘reazione si aggiunge acido solforico concentrato si ha una colorazione 
rosso scarlatto. 

Il cloroformio dà anche simile reazione, però a freddo. 

In quanto poi che oltre all’acetone altre sostanze contenute nelle u- 
rine come aldeide ed alcool possono produrre del jodoformio con joduro 
potassico jodurato l’a. fa osservare che la formazione del jodoformio dal- 
l’acetone è istantanea, mentre dall'alcool avviene dopo molte ore e solo 
da una quantità relativamente grande di alcoole. La distinzione però del- 
l'acetone dall’aldeide è molto più difficile, dappoiché tutti e due presen- 
tano, con la soluzione jodica, identiche reazioni. In tal caso egli propone 
la seguente reazione, negativa per l’aldeide, positiva per l’alcoole e l’a- 
cetone: aggiungendo ad un liquido contenente piccola quantità di al- 
coole od acetone, un po’ di potassa caustica e solfuro di carbonio, per 
agitazione il liquido assume una lieve colorazione gialla, se in allora si 
versa una goccia di una soluzione di molibdato neutro d’ammonio e tanto 
acido solforico diluito da rendere debolmente acido ii miscuglio.si osserva 
subito una colorazione rosso-violacea dovuta alla formazione di xantato 
di molibdeno. Tale colorazione non osservasi coll’aldeide, la quale invece 
‘fa assumere al liquido una tinta verde azzurra dovuta alla riduzione del- 
l'acido molibdico. (Giornale di Farmacia e Chimica, t. XXX, p. 145, 1883) 


Studio sopra alcune reaxioni dell'idrogeno fosforato gassonot 


di A. GAVAZZI. 


1° Da questo studio risulta che: dall'azione di un forte eccesso di 
idrogeno fosforato gassoso su d'una soluzione acquosa e neutra di tetra- 
cloruro di platino si ottiene un precipitato di PtPHp». 

La reazione avverrebbe secondo le seguenti equazioni : 
PtCL+PHs=PtCls+2HCI+-PsH, 
PtCls-+-PsH,=PtPsHs+2HCI 

ll fosfuro PtPHs è d’un colorito giallo d’ocra, insolubile in acqua ed 
in acido cloridrico; all’ aria s' infiamma fra i 100 ed i 110°, s' infiamma 
ancora in contatto dell'acido nitrico fumante. 

2° Dall’azione dell'idrogeno fosforato gassoso su una soluzione di a- 
nidride arseniosa in acido cloridrico si forma l’arseniuro di fosforo AsP. 

3° A bassa temperatura il permanganato potassico in soluzione ac- 


325 
quosa assorbirebbe l’idrogeno fosforato secondo le seguenti equazioni : 
PHs+2KMn0,=KsHP03+I[30+2Mn0; 

PH3+2K M nO,=K,H PO,-+H,0-+M n203 
(Letta nella seduta del 14 giugno 1882 alla Accademia di Bologna) 


Sulla non esistenza di una proprietà tossica 
della saliva umana; 


di G. CAGLIO ed E. DIMATTEI. 





Gli' A. mostrano come la saliva umana per sé non possegga alcuna 
azione tossica , e che la velenosità ad essa attribuita dal Pasteur, dal 
Vulpian e da altri sia dovuta ad un principio di infezione che si sviluppa 
nella bocca per la decomposizione della saliva (Archivio per le Scienze 
mediche, Vol. VI, n. 6). 


Nuovi stadi sulle ptomaine: 
di A. SOLDAINI. 





L'A. per ovviare alle difficoltà che s’ incontrano nell’ estrazione e 
nella purificazione delle ptomaine, segui il seguente processo. Fece di- 
gerire con alcool acidificato con acido ossalico i visceri putrefatti e di- 
stillato l'alcool ripigliò con acqua distillata; dibatté in seguito il liquido 
acido con solfuro di carbonio e con etere, alcalizzò con calce e spostò 
con etere, cloroformio ecc. Per purificare i diversi estratti distillò fra- 
zionatamente in corrente d' idrogeno. Dalle esperienze fatte con questo 
metodo l'A. conclude , che le ptomaine sono liquidi incolori, alterabili 
alla luce e all'aria, solubili alcune in etere, altri in cloroformio ecc. tutte 
più o meno nell’acqua. Di odore gradevole se pure presentano reazione 
tanto più fortemente alcalina quanto è più elevato il loro punto di ebol- 
lizione. Ritiene finalmente che ancora non si hanno nella scienza degli 
stud! sufficienti per dire se sono delle ammidi, delle ammine o dei veri 
alcaloidi, (Atti della R. Accademia dei fisioerttici di Siena). . 


Rivista di Chimica medica e farmaceutica 
Vol. 1° 1883 





Fasc. III (marzo). Catoina e paracatoina; di P. Albertoni, p. 81. 

Sul potere ipnotico della paraldeide; di P. Albertoni, p. 86. 

Le ptomaine. Ricerche chimiche , fisiologiche e medicolgali ; 
di I. Guareschi e A. Mosso, p. 92. 

Come abbiamo detto questa memoria sarà inserita per intero in uno 
dei prossimi fascicoli della Gazzetta. 

Fasc. IV (aprile). Le ptomaine. Ricerche chimiche , fisiologiche 
e medico-legali; di /. Guareschi ed A. Mosso, p. 122, 


326 


Su tre casi di avvelenamento per funghi; di P. Giacosa, p. 136. 

Sulla formazione dell'acido ossalico nell'organismo animale; di G. 
Gaglio, p. 137. 

L’acido ossalico, allo stato di ossalato di calcio, non esiste nelle urine 
delle rane normali; se però queste vengono, per parecchi giorni, immo- 
bilizzate con mezzi sia meccanici che fisiologici viene allora provocata 
l’ossaluria. 

L’ossalato di calcio constatato dal Vulpian nella rana curarizzata, non 
è che un fatto particolare dell'immobilizzazione e nog una anomalia spe- 
ciale dovuta al curaro. 

Se ad una rana si estirpano i reni o si distrugge il cervello ed il 
midollo spinale o si estirpa il fegato e si immobilizza per parecchi giorni 
si rinviene sempre in essa l’ossalato nelle urine; l'acido ossalico adun- 
que non si forma nella vescica, ma proviene dal sangue e la sua for- 
mazione è indipendonte dall'influenza dei centri nervosi e dal glucosio 
| che si elabora nel fegato. | 

Facendo diminuire la funzione della respirazione estirpando i pol- 
moni alle rane o tenendole nel vuoto od in un ambiente d’aria confinata 
o facendole morire asfissiate non si è mai osservato acido ossalico né 
nelle urine nè nel sangue. Pare adunque che la produzione dell'acido 
ossalico sia in più diretto rapporto con il rallentamento della circolazione 
del sangue che si produce nell’immobilizzazione, anzichè coll'affievoli- 
mento dei processi di combustione respiratoria, deduzione confermata 
dal fatto che nelle rane immobilizzate in ambiente di puro ossigeno si 
rinviene l’ossalato nella vescica. 


Atti della B. Accademia dei Lincei 
Transunti--Vol. VII, Fasc. 1°-10°, anno 1882-1883. 


Sulla presenza dell'Ittrio nello sfeno delia sienite del Biellese; 
pag. 34 

Il prof. Cossa ha trovato nello sfeno della sienite del Biellese le 
terre dell’ittrio e della cerite in una quantità che raggiunge il 2,30 per 
cento circa. Egli fa notare |’ importanza che può avere il fatto osser- 
vato, perchè contribuisce ad accrescere i caratteri di analogia gia os- 
servati tra la composizione della sienite del Biellese e quelle di Plan- 
ceuschengrund e di Svezia. Inoltre il rintracciamento nelle rocce delle 
Alpi di sostanze che per molto tempo si credevano esclusive di alcune 
limitate località del nord d’ Europa, dimostra la diffusione dei metalli 
rari, e mette in maggiore evidenza la loro associazione con composti 
di calcio, associazione che può avere qualche importanza nello sta- 
bilire il loro grado di valenza. La descrizione dettagliata delle ricerche 
eseguite formerà argomento di una memoria che sarà fra breve presen- 
tata all'Accademia. 

Sull'azione del cloruro di cianogeno sul composto potassico del 
Pirrolo ; di Ciamician e Dennstedt, p. 40 V. Gazz. Chim. Ital. Vol XIII, 
pag. 102. 


727 

Sulle polveri meteoriche e l'analisi chimica delle terre del Sa- 
hara; del prof. Tacchini. p. 134. 

Dallo studio intorno all’origine delle piogge di sabbia o polvere me- 
teorica raccolta in Italia e specialmente in Sicilia, risulta che questa 
sabbia proviene dall’Africa in occasione di quei cicloni che portano di 
conseguenza correnti forti da sud-est a sud-ovest sulla Sicilia e conti- 
nente italiano. 

Il prof. Tacchini, assieme al compianto prof. Macagno il quale si 
occupò della parte chimica, ha avuto agio di fare un confronto tra que- 
ste polveri e quelle del deserto di Sahara, dal quale confronto viene con- 
fermata la provenienza dall'Africa di queste polveri meteoriche. 

Ricsrche sulla picocolla; di Ciamician e Silber, p. 440. V. Gazz. Ch. 
t. XLII, p. 320. 


Memorie dell’Accademia delle scienze dell'Istituto 
di Bologna. 


Serie IV, Tomo 3°, Fasc. 3° e 4°. 





Sull'uso del solfato ferrico nell’assaggio degli joduri mesoolati 
con cloruri e bromuri alcalini; di A. Gaovazzi, p. 589. 

L’a. ha voluto constatare se il processo del Duflos per Ia determi- 
nazione del jodio sia applicabile nel caso che il joduro si trovi mesco- 
lato con cloruri e bromuri alcalini. 

Il processo del Duflos consiste nel far bollire una soluzione di joduro 
con cloruro ferrico e nel ricevere i vapori di jodio in una soluzione con- 
centrata di joduro potassico. 

L’a. prova che tale processo non è attuabile adoperando cloruro fer- 
rico, dappoichè, sebbene il cloro rimanga nel pallone distillatorio, pure 
assieme all’jodio viene trasportato anche il bromo. ° 

L'a. però sostituendo il solfato ferrico al cloruro prova che l’incon- 
veniente viene ad evitarsi, poichè, in tal caso, da un miscuglio di clo- 
ruro, bromuro ed ioduro soltanto l’jodio viene trasportato. Per facilitare 
la solubilità del solfato ferrico, l'a. aggiunge, secondo le indicazioni di 
Barreswil, una piccola quantità di solfato ferroso. 

Per ricercare poi il cloro nei joduri commerciali l’a, propone di iso- 
lare l’jodio dal cloro per mezzo del solfato ferrico, dappoiché tutto il cloro 
resta nel pallone senza tracce di jodio. L’ istesso: metodo stima conve- 
niente nel ricercare tracce di joduri mescolate a quantità forti di bro-. 
muri e cloruri; con il qual metodo egli è riuscito a svelare un diecimil- 
ligrammo di joduro potassico mescolato con grammi 10 di cloruro so- 
dico a grammi 10 di bromuro. Conchiude infine che il solfato ferrico è 
un mezzo, semplice e spedito per avere il jodio purissimo e che potrebbe 
servire anche per l’estrazione industriale. 


$28 
Rendiconti del R. Istituto lembarde di Scienze e Lettere. 


t. XVI, 1883, fasc. I a IX. 





Intorno all'azione del joduro metilico sulla leucina ed altre sp- 
stanze analoghe; di Kòrner e Menoszi, p. 34. 

Intorno agli alcaloidi della corteccia di Angustura; dijKorner e 
Bohringer, p. 320. 

Glie ed Acque potabili; di L.. Maggi, p. 421. 

L’a. ha sperimentato che il cloruro di palladio da lui trovato molto 
adatto nella fissazione degli afaneri contenuti nelle acque potabili (Gaz- 
zetta Chim. Ital. t. XIII, p. 320) si presta molto bene nella fissazione 
delle glie. 

Il cloruro di palladio, precipitando tutta la glia contenuia in un dato 
volume d’acqua, potrebbe riuscire un reagente adatto anche per la de- 
terminazione quantitativa. 


Bendiconto dell’Accademia delle sqenze di Napoli. 
Anno XXII, Fasc. 1° a 4°, 1883. 





Brevi osservazioni sopra una recente comunicazione di I. Riban; 
del socio Ag. Oglialoro, p. 15. 

Il Riban, in una nota « sopra un metodo di trasformazione del fo- 
sfato tricalcico nei composti clorurati del fosforo » ricorda che il fosfato 
tricalcico non è riducibile dal solo carbone, ma che lo stesso sale, me- 
scolato a carbone, viene attaccato al rosso dal cloro, generandosi, se- 
condo le condizioni, prodotti diversi. 

Il Riban ha osservato che tale trasformazione non ha più luogo a 
temperatura anche di poco inferiore al rosso nascente, ma che facendo 
passare ossido di carbonio con cloro in un miscuglio di fosfato trical- 
cico è intieramente trasformato anche a bassa temperatura secondo la 
, equazione : 

Cag P.0.+2CO-+4Cl=CaP,05+-2C05+-2CaCle 
Ca3P205+-4C0+-8CI=2POCI)+4C0o+CaCl., 


Il Riban crede che la riduzione sia dovuta all’ ossido di carbonio e 
che il carbonio non faccia altro che condensare CO e CI rendendoli cosi 
più attivi. 

Ora l’a. fa osservare che fin dal 1878 il prof. Paternò ha dimostrato 
(Gazz. Chim. Ital. t. VIII, p. 233) che facendo passare cloro ed ossido di 
carbonio sul carbone animale si forma ossicloruro di carbonio. L’a. quindi 
crede probabile che la superiore riduzione del fosfato tricalcico si debba 
all’azione dell’ossicloruro di carbonio formatosi. 


Sull'acido ftalamidobensoico (1,3); 


di ABNALDO PIUTTI. 


Questo lavoro si collega con quelli del prof. Ugo Schiff sui de- 
rivati aldeidici dell’ acido amidobenzoico c della amidobenzamide 
(Gazz. chim. XI, 454 e XIII, 418) c con uno mio proprio sulle ureidi 
ftaliche (Gazz. Chim. XII, 169). 

Come l’urea, anche l’ acido amidohenzoico agisce sull’ anidride 
flalica, nia in questo caso con eliminazione d'acqua, formandosi l’a- 
cido ftalamidobenzoico secondo l'equazione : 


-CO 
«NH CO, Nx nn ,0,H 
Ceccognt Cobasigg-70 = CoH <” col” 0 44+-H,0 


Questo acido, che si ottiene facilmente fondendo quantità equi- 
molecolari di acido metamidobenzoico e di anidride ftalica e cristal- 
lizzando il prodotto dall’alcool, venne già descritto da Gabriel (Beri- 
chte XI, 2262) col punto di fusione 276°, probabilmente non corretto. 

I preparati che mi servirono in questo lavoro e che formavano 
aggregati mammellonari di piumette bianchissime, fondevano dai 284° 
ai 288°. Questo punto di fusione viene notevelmente abbassato da 
piccole quantità di altre sostanze (1). 

Nell’acido ftalamidobenzoico il ftalile è legato all’ azoto dell'acido 
amidobenzoico coi due carbonili. Tale legame è assai stabile, poichè, 
per l’azione del calore, il composto si sdoppia in fenilftalimide: 


-CO.. 
CoH <ieg-eN C,H, 


ed in anidride carbonica. 

Mi lusingavo perciò che derivati di questo acido, in cui |’ OH 
del carbossile fosse sostituito , si decomponessero in tale manicra 
che il carbonile ed il gruppo sostituente del composto originale po- 
tessero legarsi alle sostanze in presenza delle quali la reazione av- 
veniva. 


(1) P. es. una mescolanza di 2 p. di acido e 1 p. di fenilftalamide 
fonde verso 250°; parti eguali di queste due sostanze fondono da 235° a 240°. 


42 


380 

Mi rivolsi perciò da principio a preparare |' anilide ftalamido- 
benzoica per l’azione dell’anilina sull'acido ftalamidobenzoico. 

È chiaro che se questa anilide dà fenilftalimide, come I" acido 
corrispondente, rimane libero il gruppo CO.N.C,H, che è reaziona- 
bile e può in diverse maniere agire sull’anilina medesima. 

Ma fin dalle prime prove incontrai grandi difficoltà, ottenendo 
per l'azione più o meno prolungata dell'anilina sull’ acido flalamido- 
benzoico , ora sostanze facilmente cristallizzabili e fusibili dai 490° 
ai 240°, ora sostanze amorfe fortemente colorate e fusibili a tem- 
peratura più bassa. In tutti quei casi però in cui l'azione non era 
di molto protratta, poleva separare quantità rilevanti di fenilftalimide 
(dal 50 al 75 per 9/ dell'acido impiegato) e accanto a questa tro- 
vava sempre quantita variabili di acido ftalamidobenzoico , anche 
quando lanilina era in grande cccesso. 

Ho principiato lo studio della rcazione cercando di spiegare la 
provenienza della fenilMalimide. 

Questa sostanza si può formare in due maniere: 

O dall’ acido ftalamidobenzoico per eliminazione di anidride 
carbonica: 
| CoH 922N.CoH, (C00 |B 

~COQ- elly 


come appunto si decompone al calore l'acido secco. 
O per una mulua doppia decomposizione fra anilina e acido 
ftalamido! enzoico: 


cxH,<<£0=>N. [c,11,000A 


C,H;.|NH, 

La questione si può facilmente decidere facendo agire sull’acido 
Nalamidobenzoico una delle monamine primarie omologhe coll’ ani- 
lina e scelsi la paratoluidina. E vero che fenilftalimide e tolilftali- 
mide differiscono di poco nella loro composizione centesimale , ma 
si possono poi facilmente distinguere per altri caratteri. 

Se la fenilftalimide si formasse per eliminazione di anidride 
carbonica dall’ acido ftalamidobenzoico , essa si sarebbe dovuta for- 
mare anche colla paratoluidina, mentre se la reazione avvenisse nella 
scconda maniera, i prodotti dovrebbero essere folilftalimide e acido 
amidobenzoico a seconda delle formole : . 


CM << CO 7A. [CH COOH 


CH,.C,H,|NH, 


$31 
Azione della paratoluidina sull'acido flalamidobenzoico 


Gr. 5 di acido ftalamidobenzvico vennero disciolti in pochi centi- 
metri cubici di paratoluidina (fus. 45°) quasi bollente. Col raffred- 
damento si ebbe una massa cristallina bruna che fondeva al calore 
della mano. Questa massa venne sbaltuta a più riprese con acqua 
calda, nel quale trattamento diventa cristallina c dura. Esaurita con 
acido cloridrico diluito si scioglie nell’alcool bollente, da cui, col raf- 
freddamento, cristallizzano lunghi aghi splendenti di paratolilftalimide 
col punto di fusione 204°-202° (Gabriel da il p. di. f. 200°). Fon- 
dendo questa imide con polassa, distilla paratoluidina, che in breve 
si solidifica in lamine aventi il punto di fusione di questa sostanza. 

Nelle acque madri della tolilftalimide si trova anche in questo 
caso una piccola quantità di ucido flalainidobenzoico, che difficilmente 
si separa dalla imide, ma che finalmente si ottiene con tutte le suc 
proprietà caratteristiche dopo ripetute cristallizzazioni dall'alcool. 

La soluzione acquosa oltenuta nel primo trattamento del pro- 
dotto della reazione viene evaporata a b. m. Si ottiene così un re- 
siduo solido in croste alquanto colorate, che si scioglie di nuovo 
nell'acqua calda e si decolora con carbone animale. Col raffredda- 
mento si depongono piccoli mammelloni bianchi , fusibili dai 173° 
ai 475° e che presentano i caratteri dell'acido metamidobenzoico. Nel 
cloridrato di questo acido, costituito da piccoli aghi splendenti, venne 
determinato il cloro col metodo di Volhard. 


l II 
Sostanza gr. 0,150 0,210 
Soluzione norm. di Ag. impiegala cc. 8,54 412,04 
Cloro corrispondente gr. 0,080317 0,04274 
Cloro in 100 parti 20,21 20,85 


Per Ctheecnoga si calcola cloro in 190=20,46 


I prodotti della reazione fra la paratoluidina c l'acido flalami- 
dobenzoico sono dunque paratolilftalimide c acido amidobenzoico, sc- 
condo l'equazione: 


CHO =>N 01, COOIT + CH ec NHe 


“Ch, . 
so CO.. v «NH 
= CHL oN Coll. CH; + Ge Zog8y 


Seguendo lo stesso processo lio potuto ritrovare e separare l'a- 


882 


cido amidobenzoico anche nella reazione dell’anilina sull'acido ftala- 
midobenzoico , ma in quantità che variavano a secondo del tempo 
per il quale le sostanze avevano fra di loro reagito. Quando l'acido 
ftalamidobenzoico si discioglie in poca anilina e la temperatura non 
raggiunge ancora il punto di ebollizione di questa sostanza, si ot- 
tiene da una parte acido amidobenzoico e dall'altea la corrispondente 
quantità di fenilftalimide , mentre nelle acque madri di questa ri- 
mane tuttora dell'acido ftalamidobenzoico. 

La separazione di queste due ultime sostanze offre però sempre 
qualche difficoltà dipendente dalla loro eg .ale solubilità nell’alcool. Con 
cristallizzazioni frazionate da liquidi alcoolici, nou si riesce a togliere 
tutta la fenilftalimide dall’acido ftalamidobenzoico e le porzioni meno 
solubili vanno solo a poco a poco aumentando il loro punto di fu- 
sione.. La separazione riesce assai bene, sz invece si adopera come 
solvente la benzina, nella quale la fenilftutimide è solubile, mentre 
l'acido ftalamidobenzoico lo è assai poco. Dopo questo trattamento 
basta cristallizzare il residuo un paio di volte dall’ alcool per avere 
l'acido ftalamidobenzoico assai puro e col punto di fus. 281° 283°. 

Abbiamo dunque come primo risultato che l'anilina e le basi 
omologhe agiscono sull’acido ftalamidobenzoico formando la fMalimide 
sostituita corrispondente e ripristinando l’acido amidobenzoico. Pos- 
siamo quindi dare com2 espressione di questa reazione la seguente 
equazione generale : 


CO. 
Nexen CH, 
cHe 0-7 
“COOH + CoIle.NH, = 


<=» NH, 

Rimaneva però ancora da studiare a questo riguardo il caso 
più semplice, l’azione cioè dell’ ammoniaca sull’ acido ftalamidoben- 
zoico. 

‘Gerhardt trattando la fenilftalimide con ammoniaca, ottenne la- 
cido fenilftalamico : 


-C0.NH.C;H; 
CH coon” 
per assimilazione di una molecola di acqua. 
Essendo l'acido ftalamidobenzoico una fenilftalimide carbossilata, 
si poteva sperare che l’ammoniaca la trasformasse, in modo analogo, 











833 


in un acido fenilftalamico carbossilato, cioè. nell’acido ossiftalilmeta- 
midobenzoico : 
+ ty ..-CO.NH.C,H,.COQO H 
CH COOH * 
isomero coll’ac. ossiftalilparamidobenzoico di Michacl(Berichte X, 576) 
L’azione dell’ammoniaca sull’acido ftalamidobenzoico aveva dun- 
que un interesse da parecchi punti di vista. 


Azione dell’ ammoniaca sullacido ftalamidobenzoico. 


L'acido ftalamidobenzoico si scioglie bene nell’ammoniaca alcoo- 
lica o acquosa. Se’ questa si impiega diluita e fredda, si forma il sale 
ammonico , da cui |’ acido può venire liberato completamente o in 
parte da uno più forte. Ma se |’ ammoniaca è assai concentrata 0 
l'azione si prolunga e si riscalda, allora coll’aggiunta di un acido 
minerale, l'acido organico non precipita più. 

Gr.'5 di acido ftalamidobenzoico vennero disciolti in una me- 
scolanza di ammoniaca acquosa e alcoolica c la soluzione venne ri- 
scaldata per qualche tempo. Lasciai una metà della soluzione nel 
vuoto sull’acido solforico, all'altra metà aggiunsi nitrato di argento. 
Quest'ultimo liquido dopo qualche momento, si rappiglia in una massa 
di lunghi e sottili aghi intrecciati di un composto argentico che, dopo 
- essere stato raccolto, lavato e seccato all'aria, perde, mantenuto a 
105°, il 6 per cento all'incirca di ammoniaca. 

Gr. 0,3285 del sale che più non perde di peso a 105°, lasciò 
nella calcinazione un residuo di gr. 0,444 di argento, cioè il 42,9 
per cenlo. Durante questa operazione si forma un abbondante su- 
blimato di ftalimide. 

Gr. 0,480, nella combustione diedero : Argento gr. 0,208 , acqua 
gr. 0,080, CO, gr. 0,664, ossia in centesimi: 


Ag = 49,3 
H = 14,85 
C = 87,56 

Per la ftalimide argentica CH epg ro NAg si calcola: 
Ag= 42,52 | 
H = 4,57 
C = 87,79 


L' argentammonioftalimide CH,<{C0=>N.AgNH, dovrebbe rinchiu- 
dere 6,26 per cento di ammoniaca. 








$34 


Nella porzione lasciata nel vuoto si depone pure ftalimide che 
cristallizza dall’acqua bollente in lunghi aghi fusib. a 229°, mentre dalle 
acque madri saturate con acido nitrico si ricava una piccola quan- 
tità di acido ftalamidobenzoico e poscia nitrato amidobenzoico e ni- 
trato ammonico. 

I prodotti principali della reazione sono dunque ftalimide ed a- 
cido amidobenzoico a seconda della equazione : 


0,H,<:00>>N.0,4,.C00H+NH,= 


= Ceo ->NH + cea 
la quale è perciò un caso particolare della equazione generale altrove 
rappresentala. 

In principio di questa memoria io accennai al fatto che quando 
sì fa bollire per molto tempo l'acido ftalamidobenzoico con anilina, 
accanto a quantità più piccole delle ricordate sostanze si formano 
materie resinose , assai colorate e di difficile purificazione. Anche 
decolorate con acetato di piombo e idrogeno solforato, non poteva ri- 
durle in condizioni analizzabili. Davano tulte con furfuroi una in- 
tensa colorazione rossa e fondevano a bassa temperatura. Dai pro- 
dotti di una reazione non molto protratta riusciva però ad isolare, 
mediante l’acido acetico, una sostanza fusibile verso 128°, assai so- 
lubile nell’alcool e nell’etere e che dava pure con furfurol una rea- 
zione di un bel rosso-scarlatto, indizio della presenza di un gruppo 
amidogeno nel nucleo. 

Oltre a ciò restava da spiegare la costante presenza dell’ acido 
flalamidobenzoico nei prodotti delle varie reazioni. 

Per veder dunque chiaro l’andamento di questa reazione piut- 
‘ tosto complessa, mi parve necessario di studiare: 

1° Se i prodotti della decomposizione dell’ acido ftalamidoben- 
zoico coll’anilina potessero di nuovo fra di loro reagire ed in quale 
maniera, 

2° Come agisce l’anilina sopra ognuno di essi separatamente. 


Azione della fenilftalimide sull’acido amidobenzoico. 


Gr. 20 di fenilftalimide e gr. 12 di acido amidobenzoico inti- 
mamente mescolati, vengono sealdati in un bagno di acido solforico. 
La massa fonde dai 180° ai 140°. Feci lentamente salire la tempe- 
ratnra fino ai 480°, avvertendo a questo punto l'odore caratteristico 


$85 


dell’anilina. Mantenendo per qualche tempo costante la temperatura 
si condensano sul collo del palloncino gocciolette di questa sostanza, 
mentre la massa a poco a poco si solidifica. Quando è fredda si pol- 
verizza e si lava con alcool che toglie anilina, acido amidobenzoico 
e materia colorante. Si fa bollire allora con una più grande quan- 
tità di alcool a ricadere, e col raffreddamento si separa così una pri- 
ma porzione di fenilftalimide che non entrava in reazione. Il liquido 
alcoolico viene distillato ed evaporato a b.m. ed il residuo sottoposto 
a ripetuti trattamenti con benzina per togliere tutta la fenilftali- 
mide. Rimase così una porzione insolubile in questo veicolo e che 
pesava circa 7 gr. 

Dal punto di fusione (275°-276°) e dall’ aspetto mi accorsi con 
sorpresa, di aver da fare coll’ acido ftalamidobenzoico. Difatti dopo 
una cristallizzazione dall'alcool il punto di fusione salì a 281° e la 
analisi diede i risultati seguenti : 


I II 
Sostanza gr. 0,2548 0,250 
Acqua gr. 0,076 0,078 
CO, gr. 0,6815 =‘ 0,622 
Ossia in centesimi: 
ne FO H 
- GOT ~6"4 
I II Calcolato per CA nog 
H 3,32 3,46 8,37. 
C 67,57 67,84 67,47 


Se poi questo medesimo acido si tratta con anilina 0 con ammo- 
niaca esso dà luogo alle ricordate decomposizioni. 


Azione della ftalimide sull’acido amidobenzoico. 


Nella stessa maniera agisce la ftalimide sull’acido amido-benzoico. 
Le due sostanze fondono verso 140°-150°, ed a 480° comincia lo 
sviluppo di ammoniaca. Si mantiene la massa per qualche tempo a 
200°, alla quale temperatura si osserva anche eliminazione di acqua. 

In questo caso si ricava l’acido ftalamidobenzoico con più dif- 
ficoltà che non nella corrispondente reazione della fenilftalimide, es- 
sendo esso accompagnato da una sostanza che non gli permette di 
cristallizzare bene. Nè si può in questo caso far uso della: benzina 
come mezzo di separazione, essendo la ftalimide e l’acido ftalimido- 
benzoico egualmente solubili in questo veicolo. Si riesce nondimeno 





836 
dopo lavaggi con etere e ripetute cristallizzazioni dall’ alcool ad un 
acido fusibile verso 270°, che all’analisi dà le quantita centesimali di 
C ed H dell'acido ftalamidobenzoico, e che ne mostra la reazione col- 
l’ammoniaca (1) e coll'anilina. 

L'eliminazione dell’acqua in questa reazione, stà in rapporto con 
la formazione di anidridi sulle quali ritornerò nel seguito di questa 
memoria. ; 

Dalle esperienze fatte sono dungue autorizzato a concludere che 
i prodotti della decomposizione dell’acido ftalamidobenzoico coll’ani- 
lina e coll'ammoniaca, cioé fenilftalimide, ftalimide ed acido amido- 
benzoico, possono reagire fra di loro dando nuovamente acido ftala- 
midobenzoico e rispettivamente anilina cd ammoniaca. 

La equazione generale altrove data è dunque una equazione 
reversibile, vale a dire la si può leggere anche in senso contrario: 


CO. NH 
Cico 2.0 H" + Gli<"coòn= 


=C® H™ NH, + Cll <2¢po2N.CyH,.COOH 


Questa risoluzione del primo quesito che mi era proposto, 
permette dunque di stabilire che la costante presenza dell’acido fla- 
lamidobenzoico nei prodotti dell'azione delle amine su questo acido 
è dovuta in parte ad una ricomposizione di esso dai prodotti della 
sua stessa decomposizione. Qui, senza dubbio, si stabilisce un equi- 
librio fra questi prodotti di decomposizione e l'acido stesso, e non 
sarebbe senza interesse lo studio quantitativo della questione, per- 
tendo dai differenti composti che nei modi anzidetti possono con- 
durre all’acido ftalamidobenzoico. 

Mi rivolgo ora a risolvere il secondo quesito propostomi, a de- 
terminare cioè, in quale maniera agisca l'anilina sui prodotti di de- 
composizione dell’acido ftalamidobenzoico. 


(1) La decomposizione di questo acido con ammoniaca può servire 
come reazione caratteristica per il caso. Se una quantità assai piccola 
dell’acido ftalamidobenzoico si bagna con una goccia di ammoniaca e que- 
sta si scaccia coll’evaporazione, dopo acidulato con acido acetico, il fur- 
furol dà la bella colorazione rosso-cremesina caratteristica degli acidi 
amidati aromatici. L'acido ftalamidobenzoico per sè solo non dà questa 
reazione. 


$37 


Azione dell’anilina sull’acido amidobenzotco. 


Per questo studio il prof. Ugo Schiff mi rimetteva un cloridrato 
da lui ottenuto gia due anni fa, separando con acido cloridrico 1 pro- 
dotti della reazione fra acido amidobenzoico e anilina, reazione fatta 
nell’intento di arrivare all’ amidobenzanilide o anche all’ aniloben- 
zanilide. 

Dopo aver cristallizzato questo cloridrato dall’ acqua cloridrica 
bollente, lo decomposi parzialmente con ammoniaca in modo che le 
prime porzioni della base che si depongono, trascinassero seco 
la materia colorante. Il liquido chiaro sovrastante viene allora de- 
cantato. addizionato di alcool, portato all’ ebollizione e saturato con 
ammoniaca. Si ottengono così, col raffreddamento, lamine fondenti 
verso 129°, aventi uno splendore argentico, solubili nell’alcool e nel- 
l'etere, poco solubili in acqua e che all’analisi diedero i seguenti ri- 
sultati ; 


I II 
Sostanza bruciata 0,270 0,259 
Acqua 0,1453 0,184 
CO, 0,7275 0,696 
ossia in centesimi : 
H 5,98 5.74 
C 13,8 73,29 


Il cloridrato era perciò quello dell’amidobenzanilide 


NH 
Geco NH.C,H, 


per la quale si calcola H=5,66; C=73,58. 

La metamidobenzanilide venne ottenuta da Engler e Volkhau- 
sen (Berichte VIII, 35) per riduzione della m-nitrobenzanilide con 
stagno ed acido cloridrico. Essi la descrivono come un corpo abba- 
stanza solubile nell'acqua bollente, solubile nell’ alcool e nell’ etere, 
cristallizzabile in lunghi e bianchi aghi fusibili a 144°. 

Per prepararmi una certa quantità di questa anilide, feci agire 
su 20 gr. di acido amidobenzoico, 30 c.c. di anilina. L’ acido vi si 
scioglie bene a caldo, ma col raffreddamento cristallizza per la mag- 
gior parte inalterato. Perchè la reazione sia completa bisogna quindi 
far bollire a lungo, ma in questo caso si formano materie coloranti 
le quali non si possono separare che nel modo indicato, e una so- 

48 


338 
stanza amorfa di un rosso-bruno, insolubile nell’acido cloridrico, che 
non ho ulteriormente studiata. 

L’acqua della reazione si elimina a puco a poco, ma non si forma 
neppure una traccia di ammoniaca. Distillata una parte dell’anilina il re- 
Siduo viene trattato coll’acido cloridrico e i cloridrati così ottenuti si cri- 
stallizzano dall'acqua cloridrica bollente. Il cloridrato dell’anilide è il 
meno solubile. Dopo una parziale precipitazione con ammoniaca, che 
lo libera dalla materia colorante viene cristallizzato e si oltiene in 
belli aghi splendenti, nei quali venne determinato il cloro col metodo 


di Volhard. | 
I Il Hl VI 


Sostanza gr 0,300 0,250 0,230 0,4248  Calcolato 
‘ce. di soluzione per 
norm. di Ag. » 12 9,92 7,9 CoH, NHe.HCI 
Cloro corrisp. » 0,0426 0,0352 0,0280 0,01773 “6°! “CONHCgHsy 
Cloro in 100 p. 214,20 14,08 14,0 14,20 14,28 


Dal cloridrato ricavai poi facilmente l’anilide nel modo gia indicato. 

Con questo modo di agire dell’anilina sull’acido amidobenzoico 
si spiega la formazione della sostanza fusibile verso 128° che si forma 
uccanto alla fenilftalimide nell’azione prolungata dell’anilina sull’ a- 
cido ftalamidobenzoico. Infatti questa sostanza dà un cloridrato iden-. 
tico al cloridrato dell’amidobenzanilide, come dimostrai mediante de- 
terminazione del cloro. 


Flalamidobenzanilide. 


Avnta così ? amidobenzanilide, abbiamo finalmente il mezzo di 
passare all’anilide dell'acido ftalamidobenzoico, in una maniera ana- 
loga a quella con cui si perviene a questo acido, fondendo cioè l'a- 
midobenzanilide coll’anidride ftalica. Il rendimento è teorico. Le due 
sostanze intimamente mescolate fondono già a 110°, ed a 180° la rea- 
zione è completa. Se ne riconosce la fine dal solidificarsi della massa 
e dal non svolgersi più acqua. Si fa bollire con alcool a ricadere e 
si lascia cristallizzare. L' anilide si depone in mammelloni incolori, 
formati dalla riunione di piccoli prismi e fonde dai 207° ai 209°. 

Gr. 0,256 di sostanza bruciata diedero acqua gr. 0,098, CO, 
gr. 0,692, ossia in centesimi: 

_-CO,., 
/Nco 70H, 
Trovato Calcolato per CH c0.NH.C,H; 
C = 73,7 73,68 
H= 4,08 4,09 





889 


Quest’ anilide si decompone col calore in fenilftalimide e com- 
posti di odore di mandorle amare. L'ammoniaca tante acquosa che 
alconlica, non vi agisce nelle condizioni ordinarie. In tubo chiuso la 
decomposizione è profonda, formandosi sostanze diverse dalle pre- 
vedute, di cui non ho continuato lo studio. L’anilina agisce pure difficil- 
mente sopra questa anilide. Facendola bollire a ricadere con questa 
sostanza, anche per molto tempo, rimane in gran parte inalterata, 
e soltanto una piccola porzione si trasforma in fenilftalimide e a- 
midobenzanilide in modo analogo al già osservato per |’ acido ftal- 
amidobenzoico. 

Sembra quindi che la sostituzione del resto anilico all’ossidrile 
del carbossile renda più stabile il composto e perciò meno reaziona- 
bile. Questa stessa diversità di comportamento fra l’acido e l'anilide 
corrispondente si verifica in moltissimi casi e così anche si ripete 
per l'anilide amidobenzoica, poichè questa sostanza, fusa con fenil- 
Malimide, si trasforma soltanto in parte in ftalimidobenzanilide per 
una reazione inversa alla precedente, mentre abbiamo veduto che 
fenilftalimide e acido amidohenzoico reagiscono facilmente fra di loro. 


Anidridi amidobenzoiche. 


Facendo bollire, anche lungamente, l'amidobenzanilide, o il suo 
cloridrato, con anilina, non si riesce all'anilobenzanilide : 


/NH.C,H 
CHI RA won ds 
64 CO.NH.C,H; 


nia, cosa inaspettata, l'amidobenzanilide può perdere gli elementi del- 
l’anilina quando venga fusa con poca anilina e mantenuta per qual- 
che tempo al disupra di 200°. 

Rimane nel palloncino una massa che indurisce rapidamente col 
raffreddamento. Polverizzata e fatta bollire a ricadere con alcool ri- 
mane in gran parte insolubile. Questa porzione è pure insolubile 
negli ordinarî solventi, ma si scioglie anche a freddo nell’acido sol- 
furico concentrato e dalla soluzione l’acqua la precipita sotto forma 
di coaguli gelatinosi bianchi. 

Tanto la sostanza esaurita con al‘ool, quanto quella precipitata 
dalla soluzione solforica sono infusibili e dànno all’analisi gli stessi 
risultati. 


840 


I II (1) 
Sostanza gr. 0,254 0,230 
Acqua gr. 0,099 0,0904 
CO, gr, 0,650 0,593 
ossia in centesimi : 
H 4,38 4,35 
C 70,62 70,2 


Dalla soluzione alcoolica che serviva a purificare il precedente 
composto si separa colla concentrazione una polvere confusamente cri- 
stallina la quale dà all'analisi gli stessi risultati della precedente, ma 
ne differisce per essere fusibile ed alquanto solubile nella benzina, 
nel cloroformio e nell'elere. Con una serie di cristallizzazioni dall'al- 
cool ho potuto separare una porzione fondente verso 225°, che cri- 
stallizza in piccoli mammelloni e conduce per la combustione ai se- 
guenti valori : 

Sostanza gr. 0,265 


Acqua gr. 0,108 
CO, gr. 0,686 
ossia in centesimi : 
H = 4,52 
C = 70,60 


Entrambe queste sostanze corrispondono ad un’anidride interna a- 
midobenzoica, cioè alla formola più semplice di una 
amidobenzoide CHC CÒ > corrispond. alle ossibenzoidi CH, co 
Per l'amidobenzoide si calcola : 

H = 4.20 

C = 70,59 
ma senza dubbio le sostanze da me ottenute sono condensazioni mul- 
tiple e diverse di questo termine. La reazione a cui dà luogo l’ami- 
- dobenzanilide si può esprimere colla equazione : 


/NH _ /N8X.\n | 
n( CH Cone ogH,) = (CA 007)? + a CHS NH, 


Sulla grandezza molecolare di queste anidridi nulla possiamo 
per ora concludere, ma probabilmente il composto che non fonde 
corrisponde ad un grado di condensazione maggiore del composto 


(1) Sostanza ottenuta dalla soluzione solforica. L'analisi venne ese- 
guita da C. Parenti. 





344 


fusibile a 225°, ma gid questo stesso deve rispondere almeno alla 
formola di una diamidobenzoide 
on NE-00N cu, 
corrispondente alla. dimetaossibenzoide CHK Coro DoH 
. N 

La diamidobenzoide si può perciò considerare come |’ anidride 
di un composto già ottenuto da Harbordt (Ann. Chem. und Ph. 
CXXIII, 287) nell'azione dell’acido cloridrico secco sull’acido amido- 
benzoico scaldato a 200°, al quale corrisponde anche per i caratteri 
generali. 

Il composto analizzato da Harbordt rinchiude gli elementi di 
due molecole di acido amidobenzoico meno una molecola di acqua, 
probabilmente concatenati nella seguente maniera : 


Da questo composto per eliminazione di una molecola di acqua 
si dovrebbe ottenere una delle anidridi da me descritte. 

Queste sostanze però non sono reazionabili. Da esse non si può 
più ritornare all'amidobenzanilide siccome coll’anilina e coll'ammoniaca 
anche per una lunga ebollizione, non si alterano. Il composto fusi- 
bile a 225°, dal quale mi lusingavo di poter avere l’amidobenzumide, 
nel trattamento con ammoniaca, resiste all’azione di questa sostanza, 
anche in tubo chiuso e ad alta temperatura. 

La potassa trasforma queste anidridi in amidobenzoato potassico. 

Per completare il quadro di questa reazione ho fatto pure agire 
l’anilina e l'ammoniaca sulla fenilftalimide e sulla ftalimide nell’in- 
tento di pervenire ad una catena chiusa: 

“()C.C,H,.C0*- 
HNC 06.C,4,.co 7 Cells 
ma fino ad ora tanto per la fusione di ftalimide e fenilftalimide, 
quanto per l’azione dell'ammoniaca secca sulla fenilftalimide fusa o 
per distillazione della medesima con un eccesso di cloruro ammo- 
nico, non ottenni il risultato cercato. 

L’anilina non agisce più sulla fenilftalimide, ma trasforma com- 
pletamente la ftalimide in fenilftalimide con climinazione di ammo- 
niaca. 

Continuando lo studio dell’azione di anidridi di acidi bibasici 
sopra gruppi NH, variamente legati, hu fatto pure agire l'anidride 


342 
ftalica su altri acidi amidati e su alcune monamine secondarie. 

Fino ad ora ho risultati coll'acido aspartico, coll’asparagina, e 
tra parecchie amine secondarie anche colla coniina. 

In un’ altra memoria esporrò i risultati che ho raggiunti me- 
diante questi compostì. 

Firenze, Istituto di Studî Superiori. 


Intorno ad alcuni derivati della berberina; 


nota di 0. BEBNHEIMER. 


La reazione che nello studio degli alcaloidi vegetali ossigenati 
ha dato il risultato più importante è la distillazione secca con po- 
tassa. Hlasivetz e Gilm (4) hanno studiato i prodotti che si otten- 
gono fondendo berberina con potassa. Hanno ottenuto due acidi aro- 
matici della formola C,H,0, e C,H,O; ed accennano anche alla pro- 
duzione d’ una sostanza volatile di cui notarono soltanto V odore , 
somigliante alla chinolina. 

Per studiare più da vicino la natura di questa sostanza vola- 
tile, ho fatto la fusione in una storta di ferro munita di un appa- 
recchio condensatore. Distillando berberina con cinque volte il suo 
peso di potassa, la massa si fonde , annerisce , schiumeggia forte- 
mente: si ha sviluppo d’idrogeno e d’ammoniaca e distilla una pic- 
cola quantità d’un liquido colorato, con odore che ricorda uuello dei 
fenoli. 

Trattando questo liquido con un forte eccesso di potassa e di- 
stillando in una corrente di vapore passa gran quantità d’ ammo- 
niaca e si osservano nel distillato alcune gocrie d'un olio più pe- 
sunte dell'acqua. 

Estraendo il disstillato con etere e scacciando questo a blando 
calore ho ottenuto una piccola quantità d'un liquido fortemente ba- 
sico, che distilla a temperatura piuttosto elevata. 

La base così ottenuta fu trasformata nel cloroplatinato, il quale 
è giallo, cristallino, poco solubile nell’acqua. 

Per il suo modo di comportarsi coi solventi , il suo punto di 


(1) Jahresberichte d. Chemie 1864 pag. 407, 








343 


fusione e per la quantità di platino che contiene fu conosciuto iden- 
tico al cloroplatinato della chinolina. 

Infatti il punto di fusione fu trovato a 226°. Hoogewerff e Dorp (4) 
danno 225°. La determinazione di platino ha dato il seguente ri- 
sultato . 

gr. 0,3878 di sostanza seccati a 100° dettero gr. 0,0974 di Pt. 

{n cento parti : 


trovato calcolato per (CgH7NHC])sPiCI., 
Pt =29,04 — 29,43 


Il ligquido alcalino rimasto nel pallone da cui ho scacciata la 
chinolina, fu trattato nello stesso modo col quale Hlasiwetz e Gilm 
operarono. Ho potuto così isolare due acidi che con cloruro ferrico 
danno la stessa colorazione di quelli studiati da Hlasivetz, ai quali so- 
migliano anche per l'aspetto. 

Mi riserbo di ritornare fra breve su questo argomento onde 
stabilire questa identità con certezza e studiare la costituzione dei 
due acidi. Collegandosi la produzione di chinolina colla formazione d’un 
acido piridintricarbonico ottenuto da Weidel (2) per ossidazione 
della berberina con acido nitrico si può supporre in questa la pree- 
sistenza d'un gruppo chinolinico. 

È noto che la berberina addiziona quattro atomi d’idrogeno tra- 
sformandosi in idroberberina, ottenuta da Hlasivetz e Gilm (8). Te- 
nendo d’occhio ciò che accade per la-chinolina sì poteva supporre 
che quattro atomi d’idrogeno si fissassero al lato piridico del gruppo 
chinolinico. Studiando però l’azione dell’ioduro di metile sull’ idro- 
berberina mi sono accorto che ciò non ha luogo. 

Trattando idroberberina purissima con un eccesso di ioduro di 
metile in tubo chiuso per alcune ore a bagno maria, questa sì rap- 
prende in una massa leggermente colorata in giallo; la quale libe- 
rata per distillazione dall’ ioduro di metile e ricristallizzata parec- 
chie volte dall'alcool metilico bollente si separa per raffreddamento 
in mammelloni e piccole tavole lucenti studiate dall'ing. G. La Valle, 
il quale ha avuta la gentilezza di comunicarmi quanto segue : 


(1) Recueil des travaux de chimie des Pays-Bas I, p. 11. 
(2) Weidel, Berichte d. d. chem. Gesellschaft 12 pag. 410. 
(3) Hlasivetz e Gilm Ann. Supl. 2 pag. 492. 


$44 
Sistema: Trimetrico 
Costanti =a:b:c=1,10332:1:41,78880 
Forme osser- 
servate =(001),(144), (118) (Fig.1). 
Combinazioni =(001)(1411)Y(113)(Fig. 2). 


| Angoli Misurati | Calcolati | (1) 





001: 111 67° 30' X 8 
111: 111 86° 24! x 1 
001 : 113 38° 45! 38° 49 30 4 





113 : 111 un 28° 40’ 30 | — | 





Sfaldatura perfetta (001). 

Colore (bianco roseo); all’aria diviene 
bianco latteo opaco. 

Le osservazioni ottiche non è stato possibile poterle effettuare 
per la istantanea alterabilità che subiscono all'aria. 

In tre cristalli misurati si è notato che delle otto facce della 
piramide (113) ne esistono solo quattro disposte in modo da pre- 
sentare l’emiedria a facce parallele. Però siccome’ tale emiedria è 
stata solo una volta osservata, non avendo potuto istituire osser- 
vazioni più precise per la mancanza di materiale conveniente mi 
limito ad accennare tal fatto, riserbandomi di costatarlo qualora 
possa ottenere dei cristalli perfetti. 

Questi cristalli sono difficilmente solubili a freddo nell'acqua e 
nell’alcool ma facilmente a caldo. Ricristallizzati parecchie volte dal- 
l'alcool metilico bollente diedero all’analisi i seguenti numeri. 

I. gr. 0,8303 di sostanza diedero gr. 0,6879 di CO, e gr.0,1875 
di H,0. | 

Il. gr. 0,3081 di sostanza diedero gr. 0,5989 di CO, e gr. 0,1484 
di H,0. 

II. gr. 0,4179 di sostanza diedero gr. 0,2064 di Agl. 

In 100 parti. 

trovato It calcolato per CopH2;NO,4.CHs.1 


C= 52,67 52,57 — 52,89 
H= 599 B47 — 4,98 
I= — — 26,68 26,40 


(1) Numero degli angoli misurati. 





345 | 


Sospendendo questi cristalli in molt’ acqua ed aggiungendovi 
idrato d’argento si ottiene l’ammonio corrispondente; il quale dalle 
soluzioni acquose concentrate si depone in crosle cristalline. Ha rea- 
zione fortemente basica e scaccia l'ammoniaca dal cloruro d'ammo- 
nio. Si scioglie nell’acqua e nell’alcool già a freddo ed è insolubile 
nell’etere. Trattando una soluzione acquosa con acido cloridrico ne 
precipita il cloruro in forma d'una polvere cristallina; la quale sciolta 
nell‘alcool a caldo e trattata con cloruro di platino forma il cloro- 
platinato in bellissime nagliette lucenti, solubili nell’alcol bollente. 

La base ammonio cristallizzata parecchie volte dall’acqua e dis- 
seccata nel vuoto su acido solforico diede all’analisi i seguenti nu- 
meri : | 

gr. 0,3246 di sostanza diedero gr. 0,7668 di CO, e gr. 0,2036 


di H,0. 
In 100 parti: 
trovato calcolato per CsoHs,NO,CHsHO+Hs0 
C = 64,42 64,78 
H= 6,96 6,94 


-Non è stato possibile d’ eseguire una diretta determinazione 
d'acqua di cristallizzazione scomponcndosi la sostanza già lentamente 
a 100°. 

Questa base riscaldata in pn tubicino verso 450° abbandona 
alcool metilico; che fu identificato per la sua trasformazione in io- 
doformio! | 

Da tutto questo risulta che l'idroberberina è una base terzia- 
ria come lo è anche la berberina; della quale ho ottenuto il iodo- 
metilcomposto sciogliendolo nell’alcool metilico e riscaldando con io- 
duro di metile a bagno maria. 

Esso si scioglie in alcool metilico bollente e si depone per raf- 
freddamento in finissimi aghi aggruppati a stelle. 

L'analisi dette il seguente risultato: _ 

gr. 0,2491 di sostanza diedero gr. 0,4792 di CO, e gr. 0,0994 
di H,0. 


trovato calcolato per CsoHi7NO,CHsyl 
C =52,47 02,83 
Ha 4,43 4,49 


Con idrato d’argento ho pure ottenuto |’ ammonio corrispon- 
dente di colore giallo e con caratteri simili a quelli già descritti 
per il composto analogo dell’idroberberina. 

Il suo cloroplatinato si precipita in polvere gialla trattando la 
soluzione alcoolica del cloruro con cloruro di platino. 

44 


° 346 

Fleitmann (1) accenna nella sua menioria sulla berberina alta for- 
mazione del cloridrato d’una base contenente solfo. 

L'autore trattò una soluzione acquosa dell’ idroclorato di her- 
berina con solfuro d’ammonio giallo ; separò per filtrazione il pre- 
cipitato rosso formatosi e lo sciolse in acqua calda. Aggiungendo a 
questa soluzione alcune goccie d'acido cloridrico ottenne dopo qual- 
che tempo dci cristalli gialli; i quali dovrebbero essere secondo Fleit- 
mann il cloridrato della nuova base. Operando nel modo descritto 
ho potuto convincermi che la soluzione della base rossa , trattata 
con acido cloridrico, svolge idrogeno solforato e che i cristalli gialli 
non contengono solfo e sottoposti all’ analisi diedero numeri che 
corrispondono abbastanza bene a quelli richiesti dalla formola del- 
l’idroclorato di berberina: i 

gr.0,8637 di sostanza diedero gr. 0,7848 di CO, e gr. 0,1774 
di H,0. 


trovato calcolato per C.9H,7N0,HCl+2H30 
C =58,53 58,89 
H= 8,42 5,39 


Non ho potuto ottenere la buse rossa in istato abbastanza puro 
per farne l'analisi; ma dal suo comportamento coll’ acido cloridrico 
risulta come molto probabile la formola d' un polisolfuro di ber- 
berina. 


Azione del iodin sull’idroberberina + 


Non essendo nota l’azione del iodio sull’idroberberina, l’ho stu- 
diata mescolando a freddo le soluzioni cloroformiche d’ una parte 
d'idroberberina e di quattro di. iodio. 

La soluzione di iodio mano mano che si aggiunge si scolora e 
infine si ottiene un liquido giallo da cui si separa tosto un preci- 
pitato brunastro, che dopo ripetute cristallizzazioni dall’alcvol diluito 
presenta tutti i cacatteri e la composizione del iodidrato di ber- 
berina. 

L’analisi diede il seguente risultato : 

gr. 0,3626 di sostanza dettero gr. 0,6889 di CO, e gr. 0,1387 


di H,0. 
In 100 parti : 
trovato calcolato per CyH;;NO,HI x 
C=51,81 51,83 
H= 4,25 3,88 


(1) Fleitmann, Annalen d. Chem. 59, pag. 176. 


347 
La reazione è quantilativa, avendo ottenulo da quallro grammi 
d'idroberberina, circa cinque grammi di iodidrato: di berberina. 
Roma, Istituto chimico. 


Ricerche chimiche sopra alcune rocce del territorio 
di Terni; 


di GIACOMO TROTTARELLI 





Il territorio di Terni si distende intorno alla città per un pic- 
colo tratto in bella e vaga pianura: poi è cinto da colli e più lon- 
tano, verso tramontana, levante e mezzodì, da monti di stratificazione 
calcarea di varia inclinazione. 

Allest della città, alla distanza di circa sei chilometri, vi è la 
famosa cascata delle Marmore. Il Velino, fiume violento , restando 
senza fondo e senza ripa, si precipita sopra la Nera da una altezza 
verticale di metri 237,50. 

A pochi passi di distanza della cascala vi è una grotta che può 
riguardarsi quasi una meraviglia. Si entra in essa per una fenditura 
naturale: concrezioni di carbonato calcareo compongono la sua volta 
con elegante vaghezza: nella parete, formata da stalattiti, si osser- 
vano slalagmiti cangianti in mille modi bizzarri, e molte di esse 
sono diafane e pellucide. Le differenti figure di quelle concrezioni 
presentarfo alla immaginazione corpi di forme varie e fantastiche. 

L'analisi quantitativa della concrezione ha dato: 

Umidità (disseccata a 100°) . 1 00000 


Silice . ; 0,65882 
Materia organica . | | 0;16361 
Ferro . . . | 0,07520 
Allumina . . | . . 4,09978 
Manganese . ; . . 0,09919 
Calce . . . . . 52,58613 
Magnesia . . . ° . 0,65710 
Potassa . . . . 1,92550 
Soda ed acido cloridrico; . tracce 
Acido solforico . . | | 0,79422 
Acido fosforico . . 0,06798 
Anidride carbonica . . . 40,80844 


Perdite . . . . . 0,06406 


Totale 100,00000 


348 

Nei lati della via che porta alla cascata, vi sono monti di stra- 
tificazione calcarea. ll calcare ceroide , con vene più o meno po- 
tenti di spato calcare, appartenente al periodo Liossico medio, per 
la massima parte costituisce i monti del nostro Appennino e la sua 
composizione centisimale è la seguente : 


Umidità (seccata a 100°) . . 0,1411000 
Sabbia silicea . . . . 418,52940 
Silice . ; | . ..  6,98460 
Materia organica . . , 1,51300 
Rame . ; wo. | 0,05890 
Ferro . ; | . . 0,06434 
Allumina . . . . ; 0,77229 
Calce ; ; | .  43,126414 
Magnesia . . . . . 0,88072 
Potassa . . ; . .  0,02400 
Acido solforico . . . . 0,20193 


Acido fosforico . . . ‘ 0,08345 
Acido cloridrico, soda e manganese: tracce 

Anidride carbonica . . . §8,44156 
Perdite . . . .  .  .0,06800 


Totale 100,00000 


Non contiene fluoruri. La silice solubile negli alcali ammonta a 
gr. 0,358 per cento, e cede all'acqua, quando vi si lasci in contatto 
per diversi giorni, una quantità di materie eguali a 0,28 per °%). 

La pirite e la calcopirite contenuta in piccola quantità nel cal- 
care, non sono solubili interamente nell’acido cloridrico. 
| AI colle dell'Ovo, distante ottocento metri da Terni, verso Nord, 
abbonda un roccia di aggregazione calcare del periodo post-pliocene; 
ed una certa estensione vi prende un banco di lignite di forma- 

zione pliocenica, nera, a frattura lamellosa , ineguale del peso spe- 





349 


cifico di 1,264 e che brucia con fiamma chiara, spandendo odore 
bituminoso. Abbandonando la lignite a disseccazione spontanea, scre- 
pola, e fra alcuni strati si osserva disseminata in strati sottilissimi 
la pirite di ferro FeS,. 

L'analisi quantitativa della roccia di aggregazione ha dato : 


Umidità (disseccata a 100°) . 4,25000 


Silice . . . | 8,77500 
Materia organica . . | 4,09204 
Ferro: ‘n . . 0,2841007 
Allumina . . . .  .  2,54600 
Calce | . ; .  45,08998 
Magnesia . . . . 0,1412641 
Potassa . . . . ; 0,09070 
Acido fosforico. . . . 0,42794 
Coro... 808878 
Acido solforico | . . 0,2141456 
Anidride carbonica . . . 32,39889 . 
Perdite . | . | . 0,04764 


Totale 100,00000 


La lignite si sottopose ad esame per conoscere : 

4. Il potere calorifico. 

2. La quantità dell’acqua. 

8. La quantità centesimale delle ceneri e la loro composizione 
qualitativa e quantitativa. 

L'effetto calorifico assoluto della lignite venne determinato col 
metodo del Berthier. Svolge bruciando 2556,08 calorie. 

L’acqua, disseccando a 120°, ammonta al 44,0252 per cento ; la 
cenere al 9,8605, e conseguentemente , la materia combustibile al 
46,4160 per cento. 

La cenere, di color rossigno, che non fonde e non si rapprende 
in massa, in modo da avvolgere delle particelle carboniche , è so- 
lubile in parte nell'acqua, la quale pel carbonato di potassio nella 


850 


cenere contenuto, assume reazione alcalina. La composizione cen- 
tesimale é la seguente : 


Silice . : . . .- . 88,000 


Ossido ferrico , . «. . 416,984 
Allumina . . . . . 26,934 
Calce. . . ...° 4,904 
Magnesia. . | . | 0,924 
Potassa . ‘a. . . 1,320. 
Cloro . . ; ; ; | 0,229 
Acido solforico . Ln . 44,858 
Anidride carbonica | | . 0,789 
Soda e perdite . | | . 0,704 


Totale 100,000 


Si continuerà la studio delle rocce per ricercarvi spettroscopi- 
camente gli elementi rari. 


Terni—maggio 1883. Laboratorio dell'Istituto Tecnico. 


Intorno all’azione del joduro metilico sulla leucina 
ed altre sostanze analoghe: 


nota del Prof. G. KéRNER e del Dr. A. MENOZZI. 


Nella nostra nota letta nell'Istituto Lombardo il 29 luglio 1880 (1) 
ci riservammo di applicare la reazione che dall’acido aspartico ci con- 
dusse al fumarico, ad altre sostanze analoghe, fra cui la tirosina, la leu- 
cina, Je alanine e l’acido glutammico, onde passare ai corrispondenti 
composti non saturi e privi di azoto. 

Il trattamento della tirosina con joduro metilico fornì già il ri- 
sultato previsto, inquantochè riuscimmo facilmente ad eliminare l’a- 
zoto sotto forma di trimetilammina e ad ottenere I’ acido metilpa - 
racumarico, come fu già esposto nell’altra nota del 4 agosto 41881. 

Ora avendo sottoposto all’identico trattamento parecchi di que- 
gli acidi amidati , siamo giunti in possesso di alcuni fatti di na- 
tura generale, che crediamo dover nostro far conoscere, come quelli 


(1) V. Gazz. Chim. t. XI, p. 258. 


854 
che gettano qualche luce soll andamento della reazione e mettono 
sulla via di interpretare la medesima. 

Nel primo nostro lavoro intorno all'eliminazione dell’azoto de- 
gli amido-acidi indicammo di ritenere come probabile che gli acidi 
non saturi provenissero dalla scissione di alcaloidi da prima for- 
mati; e dal trattamento della tirosina con joduro metilico in pre- 
senza di potassa, oltenemmo infatti come-primo prodotto il jodyro 
d’una base, avente i caratteri delle betaine, colla differenza però che 
conteneva potassio come componente integrante. Questo joduro, ol- 
tre ad avere quindi tre gruppi metilici all’azoto, è anche sale po- 
tassico , e la sua composizione può essere espressa dalla formola : 
C,3H,;,NO,KI. AI fatto singolare, di essere questo prodotto un sale 
potassico, non poteinmo allora allegare un'importanza speciale, perchè 
esso era del tutto isolato , e noi non possedevamo un sufficiente 
numero di osservazioni che ci autorizzassero a ritenerlo di natura 
generale od invece puramente eccezionale. 

Ma ora, dopo avere sottoposto all’ esperimento non pochi altri 
acidi amidati, siamo in grado di potere asserire che questo fatto è 
di carattere piuttosto generale, e che come primi prodotti dell'azione 
del joduro metilico sugli acidi amidati disciolti in potassa si for- 
mano normalmente i joduri degli acidi trimetilati che sono nello 
stesso tempo sali potassici , i quali composti però in alcuni casi, di 
cui in appresso, si scindono nella reazione stessa, dando trimetilam- 
mina (che a sua volta si trasforma in joduro di tetrametilammonio) 
e il sale potassico. dell'acido più povero d’idrogeno. 

Un tale risultato Jo abbiamo ottenuto con tutti gli acidi am- 
midati da noi studiati finora in questo senso. 

Ed infatto trattando la leucina (preparata dalla caseina), sciolta 
in potassa, con joduro metilico, abbiamo ottenuto come primo pro- 
dotto il joduro della leucina trimetilata, sotto forma di sale potas- 
sico, al qual composto, secondo le nostre analisi ed in base ai pro- 
dotti di trasformazione, spetta la formola: C,H,.NO,KI. Un prodotto 
analogo, pure sotto forma di sale potassico , ci ha dato la leucina 
sintetica preparata dall’aldeide isovalerianica (1). 

E parimenti la glicocolla dà il joduro del sale potassico della 
trimetilglicocolla, composto che cristallizza dall’alcool sotto forma di 
grandi prismi splemdenti ben sviluppati, e dall’ acqua, ove è solu- 


(1) Essendo i derivati ottenuti colla leucina sintetica, diversi da quelli 
della leucina naturale, ne viene essere erronea l’opinione di molti, che le 
duè indicate sostanze sieno identiche, 


852 
bilissimo, in cristalli di dimensioni straordinarie. Csjstallizzato dal- 
l'alcool contiene 2 molecole di acqua di cristallizzazione ; riscaldato 
al tubetto si liquefà a 188°-139°, sciogliendosi nell'acqua di cristal- 
lizzazione, perduta la quale ridiventa solido per fondere con iscom- 
posizione a 226°. Esso possiede la formola : C,H,,NO,KI + 2H,0. 

Anche la a-alanina fornisce allo stato di sale potassico il jo- 
duro dell’alanina trimetilata. 

Per la B-alanina all’iocontro , il sale potassico del joduro del- 
l’alcaloide dapprima evidentemente formatosi si scinde per la mas- 
sima parte nella reazione stessa in trimetilammina (che col joduro 
metilico si trasforma nel joduro di tetrametilammonio) dando per- 
ciò senz'altro il sale potassico dell’acido privo di azoto; rimanendo 
inalterata soltanto una piccola parte di prodotto. 

Sotto questo rapporto la f-alanina si comporta quindi come l’a- 
cido aspartico e l’asparagina, i quali a fianco di joduro di tetrame- 
tilammonio danno rispettivamente il sale potassico dell'acido fuma- 
rico ed il sale potassico dell’acido C,H;NO; (ottenuto come è noto per 
la prima volta dal Griess), acido che secondo ogni probabilità non 
è altro che acido fumarammico, perchè riscaldato con soluzione di 
potassa svolge ammoniaca e dà acido fumarico , coll’ acido nitroso 
fornisce quantitativamente acido fumarico , mentre |’ amalgama di 
sodio lo trasforma in acido succinico. 

I fatti esposti paiono trovarsi in aperta contraddizione coi ri- 
sultati ottenuti dal Griess, il quale, come è noto, precisamente per 
l’azione del joduro metilico sugli acidi ammidati disciolti in potassa 
prepara i joduri delle betaine mentre noi con quel procedimento 
abbiamo ottenuto i sali potassici dei medesimi joduri. Non ci parve diffi- 
cile di conciliare questi diversi risultati, inquantoché il Griess non 
ha separato i prodotti immediati della reazione con opportuni sol- 
venti, ma è senz'altro ricorso ad agenti chimici che, secondo il no- 
stro modo di vedere, dovettero necessariamente trasformare quei 
primi prodotti, togliendone il potassio. 

Ed infatti avendo sottoposto i nostri sali potassici puri allo 
stesso trattamento impiegato dal Griess per la separazione dei jo- 
duri delle basi, cioè con una soluzione di jodio in acido jodidrico , 
siano giunti ad eliminare il potassio , ottenendo i perjoduri delle 
betaine, e da essi, mediante l’acido solfidrico , gli stessi joduri ot- 
tenuti dal Griess, confermando così sperimentalmente le nostre pre - 
visioni. 

1 surriferiti prodotti immediati della reazione, cioè i joduri delle 
betaine allo stato di sali potassici, non possono considerarsi in al- 


358 


cun modo come composti molecolari delle betaine con joduro potas- 
sico, poichè essi sono assai stabili, inalterabili con ripetute cristal- 
lizzazioni, e possono cambiare il jodio con cloro, conservando il po- 
tassio, il quale oltrecché col processo indicato , può eliminarsi da 
questi cloruti trasformandoli nei cloroaurati corrispondenti. 


[.—LRUCINA NATURALE (DALLA CASEINA) 


Conformemente: al nostro programma di studi, abbiamo appli- 
cato alla leucina la nostra reazione, e ciò non solo allo scopo di 
generalizzare la reazione stessa e giungere alla conoscenza di -s0- 
stanze novelle, quanto nell'intento di stabilire la costituzione della 
leucina medesima. 

La leucina fu ottenuta dalla caseina col metodo di Hlasivetz e 
Habermann leggermente modificato; essa era perfettamente priva di 
tirosina, fondeva a 170° con sublimazione. Era completamente priva 
di ceneri. . 

Si sottopose al trattamento con joduro metilico, in presenza di 
potassa, impiegando in tutto 3 mol. di KOH e 3 di CH,I, per ogni 
molecola di leucina. La reazione si manifesta con produzione di 
calore, ed infine ottiensi un liquido neutro e leggermente colorato. 
Questo liquido fu tirato a completa secchezza, e il residuo estratto 
con alcool assoluto. 

L’ alcool esporta il joduro della base formatasi, allo stato di sale 
potassico assieme a piccole quantità di joduro potassico. Duc o tre 
cristallizzazioni dall'alcool assoluto bastano per ottenere il prodotto 
puro, privo di joduro potassico. Esso è molto solubile nell’alcool bol- 
lente, discretamente poco nell'alcool freddo, solubilissimo nell’acqua, 
ed eminentemente igroscopico. Cristallizza dall'alcool in finissimi aghi 
bianchi riuniti a fiocchi. Presenta le reazioni generali alcaloidiche, 
come le ordinarie betaine, da cui si distingue solo perchè contiene 
potassio. È anidro, riscaldato al tubetto si altera sopra 250°, svol- 
gendo trimetilammina. Secondo le analisi, ed in base ai prodotti di 
trasformazione , possiede la formola : C,H, )NO,KI , ossia 


N(CH.)l 
C.Hicoon” 
Esso è quindi il sale potassico del joduro della trimetilleucina. 
Da questo prodotto siamo passati al joduro della vera betaina 
della leucina, ossia al prodotto privo di potassio, mediante tratta- 


mento con jodio sciolto nell’acido jodidrico. Quando il prodotto della 
metilazione della leucina, in soluzione acquosa mediocremente diluita, 


45 


984 


si tratta con una soluzione di jodio in acido jodidrico, precipita un 
olio pesante, che dopo qualche tempo si rapprende in cristalli ben 
sviluppati, di splendore verde metallico, costituiti dal perioduro della 
leucina. Raccolto e lavato questo perioduro , sospeso nell’ acqua ¢ 
scomposto con acido solfidrico, dà un liquido scolorato , che filtrato 
dal solfo, evaporato a secchezza, e ripreso con alcool, fornisce il jo- 
duro della betaina della leucina, in prismi riuniti a stelle, solubili 
in alcool bollente, poco in alcool freddo, solubilissimi nell’acqua. Il 
prodotto così ottenuto dà le reazioni generali alcaloidiche, sulla la- 
mina si fonde e scompone svolgendo trimetilammina; al tubetto fonde 
a 194° con iscomposizione. Esso ha la formola : C,H,)NO,I. 

Da questo joduro abbiamo preparato il cloruro, per doppia 
scomposizione con cloruro d’argento, che pure cristallizza, e da esso 
abbiamo ottenuto i sali di oro e di platino. 

Il cloruro della betaina della leucina , si ottiene trattando il 
cloruro della betaina stessa con cloruro d'oro. È cristallizzabile, di 
color giallo intenso, pochissimo solubile nell'acqua fredda, fonde a 163°. 
essiccato su acido solforico, è anidro ed ha la formola: 

C,H, ,0..N(CH,),.Cl. AuCl,. 

Il cloroplatinato, ottenuto con cloruro platinico e cloruro della 
hetaiua, è un sale ben cristallizzabile, di color giallo aranciato, fa- 
cilmente solubile nell'acqua calda, poco nella fredda. Contiene una 
mol. di acqua di cristallizzazione , che perde a 100° e secondo le 
analisi fatte ha la formola (C,H,,0,.N(CH, ),.C1],.PtCl,. 

Conosciuto così l'andamento della reazione e la natura di que- 
ste sostanze, Siamo passati alla scomposizione del prodotto della me- 
tilazione della leucina, onde riescire all'eliminazione dell'azoto. 

Il joduro e sale potassico della betaina della leucina é una 
sostanza molto stabile. Fatto bollire con potassa non si altera, e solo 
svolge trimetilammina a grande concentrazione, quando cioè avviene 
profonda alterazione della sostanza. 

Perciò abbiamo preferito di eliminare dapprima il jodio con 08- 
sido ‘idrato d’argento, e indi decomporre l’idrato risultante. 

Trattando il prodotto in questione con piccolo eccesso di os- 
sido idrato d’argento e separando il joduro d’argento, si dttiene un 
liquido a reazione fortemente alcalina, che spande un debole odore 
di trimetilammina. 

Distillando entro pallone la massima parte dell’ acqua a fuoco 
nudo, e indi scaldando a bagno d'olio, verso i 120-180° si verifica 
un copioso svolgimento di trimetilammina, che abbiamo potuto ca- 
ratterizzare con certezza raccogliendola in acido cloridrico e facen- 
done il sale di platino. 





355 


Cessato lo svolgimento di trimetilammina , si riprese il conte- 
nulo con acqua e si acidulò con acido solforico. Ben tosto si separa 
alla superficie un olio con odore pungente caratteristico. Distillando 
con vapore, le prime porzioni di distillato contengono sospese goc- 
cie oleose, possiedono l'accennato odore, hanno reazione fortemente 
acida, e scompongono i carbonati con effervescenza. Saturando il 
distillato con carbonato sodico, concentrando a piccolo volume, a ag- 
giungendo acido solforico, si raccoglie alla superficie un olio, con 
odore pungente, il quale separato e lavato con soluzione di solfato 
sodico, fu distillato a pressione diminuita. 

Esso distilla alle seguenti condizioni: 

Pressione m.m. 26.—Temperatura del vapore 124-127°.—Tem- 
peratura del bagno d’olio 170. 

Ridistillato ed analizzato, dimostra avere la composizione CxH,00s. 
Epperciò in seguito ell’eliminazione dell'azoto, ne è risultato un a- 
cido volatile non saturo a 6 atomi di carbonio. 

L’acido così ottenuto presenta molti punti di contatto coll’idro- 
sorbinico, quantunque non possa col medesimo identificarsi, ed è 
affatto diverso dal piroterebinico. 

I sali di calcio di bario e di zinco sono molto solubili nell’a- 
qua, e difficilmente cristallizzabili. Quello di calcio è più solubile a 
freddo che a caldo. 

Il sale d'argento, ottenuto coll'aggiungere nitrato d’argento al 
sale sodico dell'acido, è un precipitato. bianco amorfo , solubile in 
acqua bollente, sensibilissimo alla luce. É anidro. | 

ll sale più caratteristico di questo acido è quello di cadmio, che 
può ottenersi facendo bollire l’acido con carb8nato di cadmio. Cri- 
stallizza per raffreddamento in magnifici prismi schiacciati e lunghi, 


uniti a stelle. 
Abbiamo potuto riconoscere che questo acido si unisce all’acido 


bromidrico saturato a 0° ; e ci riserviamo di esperimentare la fu- 
sione con potassa, onde stabilire il posto della doppia legatura, co- 
me pure di passare, mediante i prodotti di addizione con acido 
bromidrico e con bromo , da una parte all’ acido saturo a 6 atomi 
di carbonio che secondo le osservazioni che possediamo finora do- 
vrehbe essere il capronico normale, e per l’altra, trattando il prodotto bi- 
bromurato con potassa , giungere ad un acido C;Hy0,, isomero od 
identico all’acido sorbinico. 

L’acido or ora descritto non è, dopo la trimetilammina, il solo 
prodotto della scomposizione della leucina trimetilata. Il liquido da 
cui fu separato l’acido surriferito mediante distillazione con vapore, 
cede all'etere piccole quantità di un acido non volatile, che in se- 


356 


guito all’evaporazione dell'etere rimane come denso sciroppo. Si ri- 
conosce tosto trattarsi d’un ossiacido, per essere non volatile, e pei 
caratteri del sale di zinco, pochissimo solubile e ben cristallizzabile. 
Dell’analisi del sale di zinco si deduce infatti che l'acido ha la formola: 
C6H90s. 

A priori , tutto induce a ritenere che debba essere acido leu- 
cinico. Ma avendo studiato il sale di zinco, trovammo che esso con- 
tiene 2 mol. di acqua di cristallizzazione, mentre pel sale di zinco 
dell'acido leucinico è indicato che contiene 4 mol. H,O di cristal- 
lizzazione. Per risolvere la quistione abbiamo preparato acido leu- 
cinico, mediante la stessa leucina impiegata nella reazione, trattan- 
dola con acido nitroso. Ne abbiamo preparato il sale di zinco e lo 
abbiamo purificato per cristallizzazione dell'acqua bollente. 

Questo sale presenta tutti i caratteri di quello dell'ossiacido ot- 
tenuto mediante scomposizione della base della Jeucina , tanto per 
aspetto che per solubilità, e la determinazione dell'acqua di cristal- 
lizzazione ha dimostrato che pur esso contiene 2 mol. di acqua di 
cristallizzazione. Cristallizzando il sale stesso dall'alcool assoluto, al- 
lora contiene 4 mol. di acqua di cristallizzazione. I dati degli au- 
tori si riferiscono dunque al sale cristallizzato dall’ alcool, mentre 
dall’ acqua il sale di zinco dell’ acido leucinico contiene 2 mol. di 
acqua di cristallizzazione. 

Ora per confermare l’identità del nostro ossiacido col leucinico 
siamo passati dal sale di zinco all’acido libero, mediante l’acido sol- 
frido, e il liquido risultante lo abbiamo concentrato a dolce calore 
fino a consistenza sciropposa. Abbandonando questo sciroppo sotto 
un essiccatore, si rapprese in una massa cristallina , che fu spre- 
muta e ricristallizzata. Essiccato questo prodotto sull’acido solforico, 
ed esperimentato al tubetto , fuse a 72°. (L’ acido leucinico fonde 
a 78°). 

L’ossiacido adunque , ottenuto dalla scomposizione della basc , 
assieme all’acido volatile, è acido leucinico. 

La genesi di questo acido è pur facile a comprendersi. 

Quando si tratta il prodotto della metilazione della leucina: 


CsHiofcOOR™ 


con ossido idrato d'argento, si ottiene l’idrato : 


N(CH,);0H 
cdi 


857 
che si scompone principalmente così : 


‘1 (N(CH,),0H 
CH nfcd0 = N(CH;),+-H,0 + C,H,0,K 

dando quindi il sale potassico dell’acido non saturo. 
Però una piccola parte si scompone a norma dell’equazione : 


N(CH 
C;Hio | C Ogee = N(CH,);-+C;H,05K 


dando il sale polassico dell’ossiacido. 
Il. —LEUCINA SINTETICA (DALL’ALDEIDE ISOVALERIANICA). 


A tutti questi trattamenti, che ci hanno coadotto all’ elimina- 
zione dell’azoto della leucina naturale, abbiamo sottoposto anche la 
leucina sintetica, preparata dall’aldeide isovalerianica. Non vogliamo 
a quest'occasione diffonderci nella descrizione dei prodotti ottenuti, 
ma non possiamo omettere di accennare ai principali risultati. 

Con joduro metilico in presenza di potassa abbiamo ottenuto 
dalla leucina sintetica il joduro della betaina corrispondente , sotto 
forma di sale potassico; da questo siamo passati al joduro della be- 
taina priva di potassio , da cui al cloruro ed al cloroaurato e cloro- 
platinato. Tutti questi prodotti sono rassomigliantissimi a quelli cor- 
rispondenti della leucina naturale, ima non identici. 

E dalla scomposizione della base della leucina sintetica, abbia- 
mo pure ottenuto due acidi, uno volatile non saturo CgH,00», ed un 
ossiacido C,H,.0,, sui quali torneremo ad altra occasione. Ma è in- 
teressante notare fin d’ora, che l'acido volatile, il quale ha neces- 
sariamente la costituzione : 


(CH,),.CH.CH=:=CH.C0.0H 
essendo quella della lencina sintetica: 
(CH,),.CH.CH,.CH(NH,).C0.0H 


non è acido piroterebinico, perchè dà un sale di calcio ben cristal- 
lizzabile, ma più solubile a freddo che a caldo, al contrario di quello 
dell'acido piroterebinico. Ciò che dimostra essere esatta |’ opinione, 
ultimamente espressa dal Fittig, che l'acido piroterebinico abbia una 
struttura diversa da quella espressa dalla prima formola, come già 
prima era stato ammesso in base ai lavori del Williams. 

Ci riserviamo di applicare questa stessa reazione anche alle ley- 


358 


cina sintetica preparata dall’aldeide valerianica normale, onde pas- 
sare ai corrispondenti derivati , collo studio dei quali in confronto 
con quelli della leucina naturale e della leucina ottenuta dall’aldeide 
isovalerianica, giungeremo a stabilire definitivamente la costituzione 
della leucina naturale. Così pure vogliamo indagare se le leuci- 
ne provenienti dalla scomposizione delle diverse materie albumi- 
noidi abbiano tutte I’ identica costituzione o siano invece soltanto 
.isomere. 

D'altra parte intendiamo estendere il campo di ricerche col- 
Yaggiungere al nostro programma lo studio della scissione della be- 
taina proveniente dalla glicocolla, tanto pel prodotto contenente pa- 
tassio, quanto per quello privo; il comportamento colla stessa rea- 
zione dell’ acido fenil-ammido-acetico ; della serina e possibilmente 
della cistina, come pure dell'acido ammido-malonico. 


Sintesi dello scatol ; 


di M. FILETI. 





Nel 1880 in una nota preliminare sul cumofenol dissi che nella 
preparazione della cumidina per distillazione dell’amidocuminato di 
bario con barite si formava una piccola quantità di una sostanza 
soliffà, fusibile a 88-89°, dotata di odore caratteristico e spiacevole ; 
ne ebbi però quantità troppo piccola e potei farne soltanto una de- 
terminazione di azoto. 

Più tardi ripresi lo studio di questa sostanza, che ottenni in 
istato più puro e fusibile a temperatura più elevata, constatai ch’essa 
si forma dall’acido nitrocuminico contenuto nell’ amidoacido grezzo 
da me adoperato, e, stabilita la sua identità collo scatol, comunicai 
alla R. Accademia delle Scienze di Torino la sua formazione nella 
distillazione secca del nitrocuminato di bario. 

Ecco ora i risultati della continuazione di queste ricerche. 

Se si distilla nitrocuminato di bario, preparato da acido nitro- 
cuminico purissimo con eccesso di: barite, e tanto più se si aggiunge 
una sostanza capace di togliere ossigeno, come polvere di zinco o 
limatura di ferro, si ottiene un liquido nero , di odore spiacevole, 
che contiene principalmente dello scatol e della cumidina insieme 
ad una sostanza resinosa. 

In una prima esperienza trasformai gr. 100 di acido nitrocu- 


$59 
minico in sale di bario, aggiunsi $ p. di idrato baritico secco e 4 
di polvere di zinco ; il rendimento in scalol è piccolo, poichè ebbi 
soltanto gr. 8 di picrato grezzo. 

Migliori risultati ebbi adoperando come riducente il ferro : di- 
stillai difatti il sale baritico derivante da gr. 100 di acido nitrocu- 
minico con 8 p. di idrato baritico secco e 3 p. di ferro in polvere; 
la distillazione fu fatta per porzioni di 50 gr. in storta di rame, 
scaldando moderatamente in principio, poichè la reazione è piutto- 
sto energica e quindi buona parte dei vapori scappa facilmente senza 
condensarsi, cagionando delle perdite. Da gr. 100 di acido nitrocu- 
minico ottenni gr. 10 di picrato grezzo. 

Un rendimento ancora migliore si ha operando come segue. 
Gr. 40 di acido nitrocuminico si riducono in amidoacido scioglien- 
doli in eccesso di ammoniaca e sottoponendoli per lungo tempo al- 
l'azione dell’ idrogeno solforato ; si decompone il solfuro ammonico 
per mezzo del calore e si precipita con acido acetico; l'acido amido- 
cuminico così ottenuto si mescola con gr. 60 del nitroacido, si tratta . 
il miscuglio con eccesso (gr. 100) di idrato baritico cristallizzato, per 
trasformare gli acidi in sali di bario, si dissecca a 120°, si mescola 
col doppio peso di idrato haritico secco e si distilla in storta metal- 
lica per porzioni di 50 grammi. 

La reazione procede più regolarmente che nel caso precedente? 
ma anche qui si deve riscaldare con precauzione onde evitare delle 
perdite. 

Il liquido distillato si tratta con acido cloridrico diluito e dalla 
soluzione acida si separa, per mezzo di idrato sodico, una base 
(gr. 20) che bolle verso 220° e che probabilmente è cumidina. 

La parte insolubile nell’acido si distilla col vapor d’acqua, con 
che resta una resina nera e passa in notevole quantità dello sca- 
tol in laminette bianchissime &he si formano già nel tubo del re- 
frigerante; il distillato si tratta con acido cloridrico diluito, si pre- 
cipita con acido picrico , si asciuga il picrato per esposizione all’a- 
ria o riscaldandolo verso 80°, si cristallizza dalla benzina e si di- 
stilla con ammoniaca. Lo scatol così ottenuto si fonde a 88°, ed in 
alcuni casi |’ ho avuto direttamente fusibile a 90° ; si purifica per 
cristallizzazione dall'acqua o dall’ acqua alcoolica , con che il punto 
di fusione sì eleva sino a 94°. 

Da gr. 100 di acido nitrocuminico ottenni sino a 44 gr. di pi- 
crato grezzo. 

Gr. 0,2433 di sostanza diedero gr. 0,6437 di anidride carbo- 
nica e gr. 0,1395 di acqua. 


$60 
Gr. 0,0745 di sostanza diedero gr. 0,0075 di azoto. 
Cioè in 400 parti: 


Trovato Calcolato per C,H,N 
C 82,80 82,44 
H 7,26 6,89 
N 10,48 (1) 10,67 


Nella reazione oltre allo scatol si formano tracce d’indol mentre 
non ho riscontrato la più piccola quantità di metilchetol, ma la quan- 
tità d’indo! è così piccola che soltanto dopo una serie di trattamenti 
potei ottenere la reazione rossa con acido nitrico. Invero filtrando 
il prodotto avuto nella distillazione con ammoniaca del picrato cri- 
stallizzato dalla benzina , la sostanza in fogliette bianchissime che 
resta sul filtro, che si fonde verso 90° c che è scatol quasi puro, 
dà colorazione rossa con legno di conifere, ma con acido nitroso non 
dà la reazione dell’indol ; e così anche il liquido filtrato dà la rea- 
zione col legno, ma nello stato di diluizione nel quale si trova non 
dà reazione rossa con acido nitroso. Per constatare in esso la pre- 
senza dell’indol ho operato in questo modo: ho neutralizzato con a- 
cido cloridrico diluito la quasi totalità di ammoniaca che si trova 
nel liquido , ho agitato con etere , ho distillato il solvente ed ho 
sciolto in tanta acqua che è necessaria ad ottenere una soluzione 
satura a freddo la sostanza solida bianco giallastra che |’ etere ha 
trasportato. Dal liquido acquoso neutro una soluzione satura a freddo 
di acido picrico precipita un picrato rosso, che distillato con ammo- 
niaca fornisce dello scatol: le acque della distillazione danno la rea- 
zione colorata col legno di conifere, ma non quella dell’indol coll’a- 
cido nitroso. Aggiungendo però acido cloridrico diluito alle acque 
madri del picrato, precipita ancora dell’ altro picrato dal quale per 
distillazicne con ammoniaca si ottiene scatol , ed il liquido dà con 
acido cloridrico e nitrito potassico manifesta reazione dell’indol. 

Lo scatol che io ho avuto per le mani mi ha sempre dato la 
colorazione rossa col legno di conifere umettato con acido cloridri- 
co (2); Baeyer (8) assicura che lo scatol non presenta questa rea- 


(1) Questa determinazione di azoto fu fatta nel 1880 sopra un cam- 
pione allora preparato. 

(2) Per fare questa reazione io mi servo abitualmente di /arice rosso 
nostrale; l’abete o altra conifera corrisponderebbe egualmente allo scopo. 
‘Tengo per qualche momento il pezzettino di legno in acido cloridrico 
concentrato e poi lo introduco nel liquido ( neutro o acido) che voglio 
saggiare: la reazione si suol manifestare tosto, e ancora più prontamente 
se si immerge nuovamente il legno nell’acido cloridrico. 

(3) Berliner Berichte XIII, 2340, 


= 


861 
zione, mentre io malgrado tutte le purificazioni alle quali I’ abbia 
assoggettato, ho ottenuto sempre la cennata colorazione. 

Nencki (1) dice che la separazione dello scatol dall’ indol si può 
fare per cristallizzazione dall'acqua profittando della minore solubi- 
lità del primo; Brieger (2) la effettua sciogliendo la sostanza nell’al- 
cool e precipitando con acqua; Baeyer (I. c.) distillando il miscuglio 
dei picrati con soluzione di soda discretamente concentrata decom- 
pone l'indol ed ottiene soltanto lo scatol. Io presi un campione di 
scato! una volta cristallizzato , fusibile a 91°, che non dava la rea- 
zione d'indol con acido nitroso ma colurava in rosso il legno di co- 
nifere umettato con acido cloridrico; sciolto nell’ alcool e riprecipi- 
tato con acqua si fonde a 92%,5 e da la reazione col legno; ripetendo 
la stessa operazione si fonde a 93°,5 e dà sempre la reazione di 
sopra; distillato in seguito con una soluzione concentrata di idrato 
sodico (4 p. di soda e 2 di acqua) conserva la reazione; cristallizza 
poscia dall'acqua alcoolica si fonde a 94°, e dà tuttavia la colorazione 
rossa. Cristallizzato finalmente ancora una volta dall'acqua mantiene 
costante il suo punto di fusione a 94° ma non ha perduto la pro- 
prietà di colorare in rosso il legno di conifere, umettato con acido 
cloridrico. 

Un'altra esperienza ho ancora fatto per indagare se questa pro- 
prietà del mio scatol è dovuta a tracce d’ indol , ho cioè ricercato 
questo corpo nelle acque madri che mi servirono a cristallizzare tutto 
lo scatol da me ottenuto dalla distillazione con ammoniaca del pi- 
crato purificato dalla benzina; ho detto difatti precedentemente che 
in questa porzione di scatol si ha la colorazione del legno, ma non 
la reazione rossa con acido nitroso, mentre che nelle acque insieme 
ad esso distillate, col processo della precipitazione frazionata con a- 
cido picrico potei arrivare a scoprire con certezza tracce d’ indol. 
Ora dunque applicai questo metodo di precipitazione frazionata alle 
acque madri della cristallizzazione dello scatol. Esse, che hanno rea- 
zione neutra, furono trattate con eccesso di acido picrico ed il pre- 
cipitato raccolto e lavato; le acaue madri del picrato addizionate di 
acido cloridrico diluito ed il picrato separatosi raccolto anch'esso e 
lavato: distillando con ammoniaca queste ultime acque madri e le 
due porzioni di picrato, si ottennero in tutti e tre i casi distillati 
contenenti scatol, che coloravano in rosso il legno di conifere, ma 
in nessun caso si ebbe la reazione rossa con acido cloridrico e ni- 





(1) Journ. pr. Chem. 17, 101. 
(2) Zeitschr. physiol. Chem. 4, 414, 


46 








362 


trito potassico. È a credere pertanto che se quantità anche piccole 
d’indol fossero state nello scatol sottoposta alla cristallizzazione, esso 
si sarebbe accumulato nella seconda porzione di picrato, in quella 
cioè precipitata dall’acido cloridrico, o almeno nelle ultime acque ma- 
dri, tanto da rendersi palese per mezzo dell'acido nitroso. 

Io riesaminerò questa questione; per ora, in conseguenza delle 
esperienze descritte , inclino a credere che lo scatol ubbia per se 
stesso la proprietà di colorare in rosso il legno di conifere umet- 
tato con acido cloridrico (4). 

Lo scatol da me ottenuto non è affatto privo di odore, quando 
è grezzo ha odore fecale , ma il carattere fecale di questo odore si 
perde per la purificazione e viene sostituito da un odore caralteri- 
stico non molto intenso , che rammenta la naftilamina. Quando e’ 
“invece trasportato dai vapori d’ acqua odora solamente pungente 
tanto da irritare in modo insopportabile la Mucosa del naso. 


Da questo modo di formazione dello scatol si può dedurre una 
formola di costituzione molto probabile per questa sostanza ; difatti 
siccome l’acido cuminico contiene certamente |’ isopropile e l’ acido 
nitrocuminico ha il nitrogruppo al! posto orto relativamente all’ iso- 
propile stesso , così la formola che meglio corrisponde al modo di 
formazione dello scatol è la seguente : 


lo credo invero molto più probabile che lo scatol contenga il 
gruppo imidico come l’indol ed il metilchetol che |’ azoto terziario 
come la chinolina ; ciò del resto mi propongo di dimostrare per 
mezzo del derivato acetilico, come mi propongo inoltre di mettere 
in evidenza la presenza del metile, cosa alla quale si deve forse ar- 
rivare per mezzo dei prodotti di ossidazione. 


(1) Debbo alla cortesia del prof. Giacosa un campione di scatol pre- 
parato dal cervello nel laboratorio del prof. Nencki; si comporta preci- 
samente come il mio verso il legno delle conifere. 


863 
In conformità dunque a questo modo di vedere lo. scatol va 


considerato come metilindol, nello stesso modo che come metilindol 
deve riguadarsi, in seguito alla nuova furmola di Iackson, il metil- 
chetol di Baeyer e Jackson. | 

Torino. Laboratorio di Chimica della R. Università, 12 giugno. 


Intorno agli alcaloidi. della corteccia di Angustura; 


Nota preliminare del prof. KOEBNER e C. BiHRINGER. 


Nell'intendimento di studiare le cesidette false corteccie di Chine, 
avendo fatta ricerca della corteccia detta di Payta, oggi riconosciuta 
come proveniente da un’Aspidosperma, siamo giunti in possesso di 
una corteccia della Columbia, indicata come febbrifuga, la quale an- 
che a primo aspetto sembrava del tutto diffesente da quelle delle 
Chine. Essendo a noi in allora ignota la natura di tale corteccia , 
ci siamo rivolti ai professori Fliickiger di Strasburgo e Hara di 
Monaco onde sapere da quel vegetale provenga. Ambedue questi 
scienziati riconobbero la corleccia per quella della vera Angustura 
(Angustura Cuspare, Cusparia febrifuga, Galipea Cuspare, Bonplan- 
dia trifoliata). È noto, che questa corteccia venne portata in Europa 
dai Gesuiti fin 1785, come potente febbrifugo, e secondo le notizie 
che si hanno, il Mutis la adoperavano come tale fin da 1759; d’al- 
tra parte dai lavori fatti in allora e sino alla fine del secolo, risulta 
che l’azione febbrifuga di tale corteccia nelle febbri terzane supera 
anche quella delle migliori corteccie di Chine. Se non che, in se- 
guito a parecchi casi di avvelenamento verificatisi dal 1804 al 1845 
fu vietato da vari governi |’ uso di questa corteccia come medica- 
mento, essendosi constatato che la corteccia in allora in commercio, 
era spesse volte mescolata con altra simile, ma dotata di proprietà 
tossiche, e proveniente, come si sa in oggi, da una Stricnacea. Ciò 
ebbe per conseguenza, che tale corteccia fu posta in dimenticanza, 
né più la si usò come farmaco. . 

La conoscenza di questi fatti c’indusse a intraprendere lo stu- 
dio di questa corteccia, e siccome i primi risultati che abbiamo ot- 
tenuti, benchè incompleti. ci sembrano abbastanza interessanti, cre- 
diamo di doverli brevemente comunicare fin da questo momento. 


364 


La corteccia in quistione contiene delle sostanze aromatiche e 
parecchi alcaloidi che variano in quantità, a seconda dellorigine 
della corteccia stessa, quantità che sta tra I’ otto ed il diciotto per 
mille. Gli alcaloidi vi si trovano per la maggior parte allo stata li- 
bero e possono perciò estrarsi direttamente mediante trattamento 
con etere. Dalla soluzione etereo , dopo averla lavata con potassa 
diluita, aggiungendo acido ossalico od acido soiforico diluito, si se- 
parano lossalato acido o il solfato neutro di uno degli alcaloidi sotto 
forma di precipitato giallo cristallino. Questi precipitati sono abba- 
stanza solubili nell’alcool bollente, e da queste soluzioni si ottengono 
dei cristalli costituiti da fini aghi di un magnifico color giallo verde 
molto stabile, che non diminuisce nè in seguito a ripetute cristal- 
lizzazioni, nè mediante trattamento con nero animale. 

Dai sali accennati se ne possono ottenere diversi altri (clori- 
drato, iodidrato, nitrato, ecc.), mediante doppia scomposizione, tutti 
presentanti lo stesso carattere di un intenso color giallo permanente. 

Se da questi sali si mette il libertà l’alcaloide, e lo si cristal- 
lizza parecchie volte dalla ligroina, e se indi si ripreparano i sali , 
non si ottengono più i composti colorati in giallo ma sibbene delle 
sostanze incolore. Non ostante molti tentativi fatti onde conoscere 
la causa di questo fenomeno, non siamo ancor in grado di stabilire 
se esso sia dovulo ad una sostanza colorante gialla presente nei 
sali primitivi, o se dipenda dalla trasformazione in sostanze isomere, 
o se infine avvenga una alterazione più profonda. L’alcaloide sepa- 
rata da questi sali cristallizza assai bene dalla ligroina sotto forma 
di lunghi aghi riuniti a guisa di mammelloni, mediocremente so- 
lubili nell’etere, e più facilmente nell'alcool. Questa base (separata 
dai sali incolori), alla quale diamo il nome di Cusparina . fonde a 
92°, A temperatura più elevata si scompone sfolgendo un forte odore 
aromatico. Le analisi eseguite sulla sostanza essiccata nel vuoto hanno 
dato i seguenti risultati: 

I. gr. 0,3302 di sostanza diedero gr.0,8984 di CO, ¢ gr. 0,1661 
di H,0. 

II. gr. 0,2861 di sostonza diedero gr. 0,7802 di CO, e gr.0,1486 
di H,0. 

IIT. gr. 0,2838 di sostanza diedero gr.0,7720 di CO, e gr.0,4460 
di H,0. . | 

IV. gr.0,3007 di sostanza diedero gr.0,8165 di CO, ce gr. 0,1506 
di H,0. 

_ V. gr. 0,8055 di sostanza diedero c.c. 12,3 di azoto alla tem- 
peratura di 14° c. e sotto la pressione di 744 mm. 











365 
VI. gr. 0,2894 di sostanza, dicdero c.c. 11,6 di azoto alla tem- 
peratura di 13°,5 c. e sotto la pressione di 746 mm. 
Il che dà per 100: 


I II IT! IV V V 
Carbonio 74,20 74,36 74,25 74,05 — — 
Idrogeno 5,58 5,57 5,56 5,56 — — 
Azoto — — — — 4,64 4,68 


Questi risuritati conducono alla formola : 


C,gH,;NO, 
che richiede per 100: 
Carbonio. 74,26 
Idrogeno 5,54 
Azoto 4,56 
Ossigeno 15,64 


Ciò che è confermato anche dall’analisi dei sali. 

Il solfato, il cloridrato e l’ossalato sono poco solubili nell’acqua 
fredda, l’acetato è molto più solubile e si compone dietro aggiunta 
di acqua , Il tartrato é pure facilmente solubile. Il cloroplatinato è 
un precipitato cristallino, di color giallo aranciato. Diede 47,89 ‘in- 
vece di 417,90 per °/, di platino. Quest’alcaloide può scindersi sotto 
l'azione della potassa, dando a fianco di un composto avente i ca- 
ratteri generali di un acido aromatico , ben cristallizzabite e poco. 
solubile, un nuovo alcaloide, il qualle dall'alcool bollente, ove è po- 
chissimo solubile, cristallizza in piccoli aghi schiacciati bianchissimi, 
e dotati di un straordinario splendore. Si scompone senza fondersi 
verso 250°. Un tentativo alto per scindere in modo analogo la Cu- 
sparina a mezzo dall’acido cloridrico, non diede il risultato aspetteto, 
in quanto che già a 400 si verifica separazione di carbone. 

Nelle acque-madri dell’ossalato o del solfato separatisi dapprima, 
resta il sale più solubile di un altro degli alcaloidi della corteccia , 
al quale venne dato il nome di Galipeina. Questa base separata dai 
suoi sali cristallizza dalla ligroina in aghi bianchi schiacciati, fusi- 
bili a 415,5. Dall’etere e dall'alcool si ottengono dei prismi ben svi- 
luppati e trasparenti. Tutti i sali di questo alcaloide sono più s0- 
lubili di quelli della Cusparina. Molti possiedono un maguifico co- 
lore giallo verde, simile a quello dei sali d’uranio, tutti però richie- 
dono per la loro preparazione opportune cautele. 

L'alcaloide, ricristallizzato dall’etere ed essiccato nel vuoto, ha 
dato all'analisi i seguenti risultati : 


366 

I. gr. 0,2717 di sostanza diedero gr. 0,7385 di CO, e gr. 0,1619 
di H,Q. 

II. ge. 0,2884 di sostanza diedero gr.0,7840 di CO, e gr.0,1719 
di H,0. 

III. gr. 0,3428 dl sostanza, diedero c.c. 12,0 di azoto alla tem- 
peratura di 13° c. e sotto la pressione di 748 mm. 

IV. gr. 0,8149 di sostanza, diedero c.c. 12,0 di azoto alla tem- 
peratura di 18° c. e sotto la pressione di 749 mm. 

V. gr. 0,8094 di sostanza, diedero cc. 11,9 di azoto alla tem- 
peratura di 14° c. e sotto la pressione di 753 mm. 
il che corrisponde : 


Per cento 
STLVTT—— — _ sw T__ 
; I II HI IV V 
Carbonio 72,12 74,44 — — _ 
Idrogeno 6,62 6,58 — — _ 
Azoto — — 4,54 AAT 4,48 
Da questi numeri si deduce la formola : 
Gy, NO; 


che richiede per 400. 
° Carbonio 74,80 

Idrogeno 6,50 

Azoto 4,33 

Ossigeno 44,87 

formola che viene confermata anche dall'analisi dei rispettivi sali. 

Tra questi è principalmente caratteristico il solfato neutro, il 
quale cristallizza dall’acqua in grandi prismi giallo verdi, contenenti 
7 mol. di acqua di cristallizzazione , che perdono parzialmente già 
ad ordinaria temperature. 

Esso fonde verso 50° C, e già a 100° subisce una profonda scom- 
posizione , trasformandosi nel solfato di un nuovo alcaloide ed in 
un prodotto pure azotato, ben cristallizzato e fondente a 196°. 

II cloridrato di Galipeina è meno solubile nell’ acqua del sol- 
fato, e cristallizza in prismi a base triangolare. 

I! cloroplatinato si presenta sotto forma di un precipitato mi- 
erocristallino giallo cupo, il quale all'analisi diede il 18,42 %, di pla- 
tino, mentre la teoria ne richiederebbe 18,46 0/. 

I surriferiti alcaloidi non sono i soli che possono estrarsi dalla 
corteccia di Angustura, inquantochè abbiamo potuto riconoscere la 
presenza di un altro alcaloide cristallizzabile fusibile al disopra di 
180°, e pochissimo aolubile nell’etere. Cristallizza facilmente dall’al- 











$67 

ccool in piccoli rghi e fornisce dei sali, le cui soluzioni possiedono 
una fluorescenza azzurra. 

Il carattere principale di questi alcaloidi, come risulta da quanto 
‘ procede, è quello, di trasformarsi, in varie condizioni, in nuovi al- 
caloidi ed in altri prodotti , fra i quali degli acidi organici. E an- 
che facendo astrazione dall'interesss farmacologico di queste sostanze, 
che se dobbiamo credere alla storia, può essere non lieve, il com- 
portamento chimico è talmente singolare, che lo studio loro si pre- 
senta del più alto interesse, e tale da poter getiare non poca luce 
sulla costituzione degli alcaloidi vegetali in generale. 


Sopra l’azione di alcune aldeidi aromatiche sulla chinina; 


nota del Dr. G. MAZZARA., 





In una nota sull’azione del cloralio sulla chinina (4), pubblicata in 
questa Gazzetta t. XIII, p. 269 accennai che le aldeidi aromatiche, come 
il cloralio potevano fare dei prodotti di addizione colla sopradetta base. 

Dalle ulteriori ricerche che ho già fatte e che formano l’oggetto 
di questa memoria, mi risulta che |’ aldeide nitrobenzoica si com- 
bina colla chinina fornendo un prodotto relativamente stabile, 
mentre la paraldeide e le aldeidi benzoica ed anisica danno dei de- 
rivati che lasciano molto a dubitare sulla loro natura. 


(1) A questo proposito debbo osservare che nel fasc, XII (anno VI) 
del Farmacista italiano, diretto dal prof. Nestore Prota Giurleo , il sig, 
G. Tarozzi descrisse un composto bianco cristallino, solubile nell’ acqua 
da iui ottenuto per I’ azione del solfato di chinino sopra |’ idrato di clo- 
ralio e lo denominò; solfocloraliato di chinina. 

Sciogliendo nell’ acqua o nell’ alcool bollente il solfato di chinino e 
l’idrato di cloralio, nella proporzione indicata dal sullodato autore, per 
la composizione del solfocloraliato di chinina (65 di solfato di chinina 
per 75 di idrato di cloralio), dopo il raffreddamento della soluzione si ot- 
tiene una sostanza bianca cristallina, di composizione variabile, la quale 
ricristallizzata successivamente perde dell’idrato di cloralio, trasforman- 
dosi in solfato di chinino quasi puro. 

Questa esperienza mi fa credere che il sopradescritto solfocloraliato 
non sia un vero composto chimico, ma un miscuglio di solfato di chi- 
nina con idrato di clorale. Anche nel 1877 il sig. C. Pavesi di Mantova 
descrisse un composto da lui chiamato solfo-tartrocloraliato di chinina, 
il quale evidentemente risulta di un miscuglio di acido tartrico, solfato 
di chinina ed idrato di cloralio. 


368 


Se ad una soluzione cloroformica di chinina si aggiunge la quan- 
tità equimolecolare di aldeide nitrobenzoica e si fa bollire il tatto 
per un certo tempo, si otliene coll'aggiunta di etere un precipitato 
giallo, di aspetto gelatinoso simile a quello dell’ idrato di allumina, © 
il quale asciugato dapprima fra carta ed indi nel vuoto si presenta 
sotto forma di una polvere gialla, la quale fonde a 143°-448°. 

Questa sostanza trattata cogli acidi diluiti si decompone in al- 
deide nitrobenzoica ed in sali di chinina. Sciolta nel cloroformio e 
riprecipitata con etere perde parte della sua aldeide, e fonde a tem- 
peratura più elevata. 

All’analisi ha dato i seguenti risultati : 

Gr. 0,3595 di sostanza bruciati con ossido di rame in presenza 
di rame diedero gr. 0,2252 di acqua e gr. 0,9188 di anidride car- 
bonica. 

Vale a dire in rapporti centesimali: 


Carbonio 69,77 
Idrogeno 6,33 


La teoria per la formola. 
richiede per cento. 


Carbonio 70,81 
Idrogeno 6,10 


La sostanza è solubilissima nell’alcool e nel cloroformio; da que- 
ste soluzioni collo svaporamento spontaneo si deposita amorfa. 

Facendo agire la paraldeide e le aldeidi benzoica ed anisica sulla 
chinina sciolta nel cloroformio, coll’aggiunta di etere si ottengono dei 
precipitati che si decompongono ed analizzati danno dci risultati molto 
vicini alla composizione della chinina. 

Ho cercato ancora di potere preparare quésti composti di ad- 
dizione escludendo l'intervento dell’etere. A tal’uopo i prodotti del- 
l’azione dell’aldeide sulla soluzione cloroformica di chinina sono stati 
svaporati spontaneamente, e nel caso dell’aldeide nitrobenzoica si è 
ottenuto un residuo vischioso, giallastro, il quale all’ aria imbruni- 
sce e coi prodotti dell’ altre aldeidi sono rimaste sostanze pastose , 
decomponibili facilmente all'aria. 

Avendo infine Rhouscospoulos, ottenuto per l’azione del clora- 
lio sulla chinolina un prodotto di addizione simile a quello da me ot- 
tenuto colla chiniha, ho provato se |’ aldeide nitrobenzoica si com- 
bini colla chinolina ed ho ottenuto dei risultati negativi. Questo 








$69 


comportamento come anche quello delle aldeidi benzoica ed anisica 
mi fanno vedere che il sopradescritto composto di aldeide nitroben- 
zoica con chinina per la sua poco stabilità, come anche per la sua 
difficile purificazione merita ancora di essere confermato. 
Laboratorio chimico della R. Scuola veterinaria. Torino giugno 1883. 


La meteorite di Alffanello; 


studio chimico di PIETRO MAISSEN. 
_—— 


Dal sig. Dr. Ferruccio Rizzatti, a nome dell’ Ill.mo sig. Comm. 
Prof. Bombici di Bologna , mi furono consegnati alcuni frammenti 
della meteorite caduta ad Alfianello (provincia di Brescia) il 16 feb- 
braio 1888 . allo scopo che ne eseguissi l'analisi chimica. Di buon 
grado accettai l’incarico, non trascurando di fare del mio meglio on- 
de avere risultati precisi. 

I frammenti consegnatimi si presentano sotto forma di scaglie 
più o meno grosse, di color grigio biancastro, sparse di molti punti 
lucenti, di varia grosssezza. I pezzetti sono molto fragili e si lasciano 
facilmente polverizzare in un mortaio di agata. I granelli metallici, 
essendo malleabili, non permetterebbero di polverizzare molto fina- 
mente la sostanza, per cui è necessario levarli col mezzo della ca- 
lamita , e così si può ridurre in polvere impalpabile la parte non 
attratta dalla calamita. In tal modo polverizzata convenientemente 
questa ultima parte l'ho unita alla parte più grossolana attratta dalla 
calamita, ed ho fatta mescolanza esatta quanto più mi fu possibile. 
Ho seguito questo modo di rimescolamento, perchè non mi sembrò 
troppo conveniente prendere per i diversi saggi quantità proporzio- 
nali in peso delle due porzioni, avuto riguardo all’aspetto della me- 
teorite stessa , in cui si vedono raggruppati quà e là granelli me- 
tallici più o meno grossi, di modo che si è certi che tutta la massa 
non ha certamente una composizione omogenea. Per le ragioni e- 
sposte ho creduto più conveniente abbandonarmi alla composizione 
offertami dal caso. Di questa polvere ho determinato il peso speci- 
fico, che trovai = 3,54 a 48°. 

Una dose qualunque della stessa polvere impiegai per l’analisi 
qualitativa, dalla quale ottenni le reazioni che mi valsero a scoprire 

47 


$70 
la presenza dei seguenti corpi, cioè: ferro, nichelio, cobalto, calce, 
magnesia, allumina , cromo, manganese, anidride silicica , solfo , 
fosforo, potassio, sodio e cromite. 


Analisi quantitativa. 


Come si usa per solito, trattai la polvere di meteorite con di- 
versi solventi e la divisi nelle seguenti parti; 4. parte solubile nel 
bicloruro di rame, metalli nativi, 2. parte solubile nell’ acido clori- 
drico diluito e bollente; 3. parte attaccabile dai carbonati alcalini o 
dall’acido fluoridrico; 4. parte non attaccabile dagli anzidetti solventi. 
Qui appresso verrò sommariamente esponendo i metodi impiegati 
ed i risultati ottenuti per ciascun trattamento in particolare. 


‘ Determinazione quantitativa dei metalli nativi. 


Per questa determinazione presi una quantità di gr. 4,4044 di 
polvere di meteorite seccata a 100°, la trattai col bicloruro di rame, 
seguendo il processo e tutte le norme indicate da Berzelius colle 
modificazioni dei sig. Pearse c Creath. 

Per tale trattamento ottenni una soluzione in cui trovai: 
Ossido ferrico gr.0,3612 corrispondente a Fe gr.0,2528 p. °/, gr.5,7408 


»  dinichelio »0,0620 > Ni: »0,0487 » gr.4,4875 
Cobalto metallico »0,0086 > » gr.0,0817 


Totale per °/, di meteorite in metalli nativi  gr.6,9600 


Determinazione quantitativa dei componenti la parte solubile 
nell acido cloridrico. 


La porzione rimasta dopo il trattamento precedente, la ripresi 
ripetute volte con acido cloridrico diluito e bollente, non trascurando 
di separare Ja silice dal silicato rimasto indecomposto, con soluzione 
concentrata di carbonato sodico , unita questa alla soluzione acida 
determinai coi metodi usuati i varii componenti che qui sotto sono 
rappresentati. 

Anidride silicica gr. 0,6649 per i gr. 4,4044 e per 0/, gr. 15,0962 
Pirofosfato magnesiaco » 41,8708 corr. a MgO gr. 0,4989 » 44,2456 
Ossido ferrico » 0,8695 » FeO » 0,7825 » 47,7796 
Solfuro di manganese » 0,0070° » MnO »0,0065 » 0,1297 





Totale per °/ di meteorite solubile in acido cloridrico gr. 44,2244 








374 


Determinazione quantitativa dei componenti la parte 
non attaccabile dall’acido cloridrico 


La parte non attaccata dall’ acido cloridrico la feci fondere coi 
carbonati di sodio e di potassio, dal trattamento della massa fusa 
‘coll’acido cloridrico ottenni la soluzione della maggior parte, meno 
la silice gelatinosa ed una piccola porzione di materia nera che ve- 
rificai, dopo separazione della silice gelatinosa colla soluzione di car- 
bonato sodico, essere cromite che pesava gr. 0,0272 per i gr. 4,4044 
di meteorite, e che per °/, era di gr. 0,6175. 

Dalla soluzione cloridrica, unita alla soluzione alcalina di silice, 
separai e dosai tutti i componenti coi comuni metodi che mi for- 
nirono i risultati indicati nella seguente tabella: 

Anidride silicica gr.0,9950 che per °/, di meteorite dà gr.22,5295 


Ossido di calcio » 0,0394 > » 0,8945 
Pirofosfato magnesiaco » 1,4924 corr. a MgO gr.0,5879 e p.°/, » 12,2105 
Ossido ferrico » 0,3246 » FeO »+0,2923 » >» 6,6388 
» alluminico » 0,0785 che per °/, di meteorite dà » 41,7823 
>» di cromo » 0,0048 > >» 0,1024 





Totale per °/, di meteorite insolubile nell’acido cloridrico gr. 44,1577 
Determinazione quantitativa del solfo e del fosforo. 


Per questa determinazione presi altra porzione di meteorite pol- 
verizzata e seccata di gr. 2,2421, che feci fondere con nitro e car- 
bonato sodico. Nella soluzione cloridrica della massa fusa, privata del- 
l'acido nitrico, dosai il solfo allo stato di solfato baritico ed il fo- 
sforo allo stato di pirofosfato magnesiaco, da cui ottenni: 

Solfato baritico gr. 0,4152 corr. a solfo gr. 0,0572 e per %, 
gr. 2,5432. © 

Pirofosfato magnesiaco gr. 0,1532 corr. a fosforo gr. 0,0034 e 
per °/, gr. 0,1532. 


Determinazione quantitativa degli alcali. 


Nuova quantità della polvere di meteorite, del peso di gr.4,0522, 
assoggettai all’azione dell'acido fluoridrico, da cui ottenni soluzione 
quasi completa nell’ acido cloridrico . meno piccola dose di materia 
nera che dosai e riconfermai per cromite. Nella soluzione cloridrica 





372 


dosai di nuovo i diversi componenti ed ottenni numeri concordanti 
con quelli prima registrati. Nelle linee che seguono accennerò sol- 
tanto a ciò che si riferisce alla determinazione della soda e della 
potassa. 

Cloruro di sodio e di potassio complessivi ottenuti: gr. 0,0986, i 
quali, trattati col cloruro di platino, diedero cloruro platinico-potas- 
sico gr. 0,0502, corrispondenti a potassa gr. 0,0096, onde prelevata 
dalla quantità complessiva dei cloruri alcalini quella corrispondente 
di cloruro potassico , mi restarono gr. 0,0833 di cloruro sodico = 
gr. 0,0444 di soda, da cui si ha una quantità dei due alcali in 100 gr. 
di meteorite espressa dai seguenti numeri 


per la potassa gr. 0,2387 ” 
per la ‘soda » 41,0884 


Ora riassumendo in un sol quadro i risultati ottenuti avremo 
la composizione della meteorite così espressa: 


Fe = 5,7408 
Ni = 41,1878 
Co = 0,0817 
Si0, = 37,6257 
FeO = 24,4484 
ALO, = 4,7828 
MgO = 28,4264 


Cao = 0,8945 
MnO = 0,4297 
Na,O = 14,0884 


K,0 = 0,2887 
= 2,542 
Ph = 0,4582 


Cromite= 0,6175 





Totale 99,9698 


Considerazioni sulla probabile costituzione mineralogica della meteorite 
per rispetto alla sua composizione chimica. 


La parte costituente i metalli nativi del complessivo peso di 
gr. 6,9600 per °, di meteorite , di cui si sono indicate lc propor- 
zioni del ferro, del nichelio e del cobalto, si può ammettere, o che 
contenga oktibehite, composta di 48,823 di ferro e di 51,477 di ni- 





378 


chelio, per cui assegnando alla quantità di nichelio trovato in 100 
parti di meteorite la corrispondente quantità di ferro, si avrebbe 
una quantità di oktibehite del peso di gr. 2,2226 e resterebbero 
gt. 4,6557 di ferro nativo, oppure considerando il caso che il ni- 
chelio fosse combinato al ferro sotto forma di Teanite, composta di 
ferro 55,986 e di nichelio 44,014, il nichelio trovato formerebbe 
col ferro gr. 2,5844 di teanite e resterebbero gr. 4,2939 di ferro 
nativo per °/, di meteorite. 

Rispetto alla parte solubile nell’acido cloridrico si è veduta che 
la quantità complessiva in 100 di meteorite è di gr. 44,2214, com- 
posta di ossido ferroso, magnesia, ossido di manganese ed acido si- 
licico. Ore se dalla quantità di ossido ferroso si toglie la quantita 
che corrisponde al ferro che combinato col solfo trovato forma la 
Troilite, ossia il ferro corrispondente a gr. 5,7222 di ossido ferroso 
- combinato ai gr. 2,5432 di solfo, forma gr. 6,9988 di Troilite per °/, 
di meteorite. Se poi si prelevano i detti gr. 5,7222 di ossido fer- 
roso dai gr. 17,7796 precedentemente calcolati resta la parte dei si- 
licati solubile nell’acido cloridrico così composta: 


Sio, = gr. 45,0962 
FeO = » 12,0874 
MgO = » 44,2186 
Mn0 = » 0,1297 





gr. 88,4989 
Della quale calcolata la composizione centesimale: 


Sio, = 89,2119 
FeO 84,3488 
MgO 39,1296 
MnO = 0,8874 


Il 


| 





99,9974 


Da ‘cui si vede che la sua composizione si accosta molto al- 
!Olivina con preponderanza di ferro, dovuto probabilmente all’avan- 
zata decomposizione che ha subita l'olivina stessa, come ho potuto 
convincermene dall'esame della sua sezione microscopica in confronto 
a quelle di altre meteoriti e di altri silicati olivinici. 

La parte insolubile nell’acido cloridrico ed attaccabile dai car- 
bonati alcalini e dall’ acido fluoridrico è del peso complessivo di 
gr. 45,4848 e dopo fattavi l’aggiunta della potassa e della soda, di cui 


$74 
fan parte l’ossido ferroso, la calce, la magnesia, l' allumina, l'ossido 
di cromo e l'anidride silicica, fornisce col calcolo la seguente com- 


posizione centesimale : è 


Feo = 14,5956 
Al,O, = 38,9184 
CaO = 14,9666 
MgO = 26,8452 
K,0 = 0,5248 


Na,0 = 2,8928 


— 99,9997 


La composizione di questo silicato insolubile fa supporre che 
si tratti di Bronzite con eccesso di ferro, dovuto probabilmente alle 
ragioni addotte per l’olivina. 

Queste sono le poche conseguenze che ho creduto di poter c- 
sporre sulla costituzione mineralogica di questa meteorite, avuto ri- 
guardo alla composizione chimica, aspettando poi che il mineralogi- 
sta colla diretta osservazione microscopica dia la sua precisa e det- 
tagliata composizione mineralogica. 

Modena. Laboratorio chimico della Stazione Agraria. 10 giugno 1883. 


Azione decolorante dei componti ferrici sull’indaco; 


del Dr. LUIGI MARGARY. 





Dovendo preparare diversi mordenti di ferro per ricerche sulla 
carica delle sete, ebbi occasione di osservare una reazione fra i com- 
posti ferrici e l'indaco, che per quanto sta a mia conoscenza non è 
menzionata nella letteratura chimica. 

I mordenti, che mi era prefisso di preparare, sono i seguenti: 


Fe,0,.2S0,, . Fe,0,.2 1/, SO,, Fe,0,.2S0; !/, N,0; 


ottenuli facendo agire l’acido nitrico sul solfato ferroso can o senza 
aggiunta d’acido solforico a seconda della basicità che si vuole ol- 
tenere. Premetto che Ja preparazione dei mordenti di ferro basici 








845 

e scevri d’ acido nitrico è ritenuta nei Laboratori di tintura come 
alquanto difficoltosa per la facilità, con cui ‘questi si dissociano sotto 
l’azione del riscaldamento, seguendo la reazione d’uso in questo La- 
boratorio , si deve scaldare moderatamente finchè il preparato non 
decolori più, l’indaco: questo è il saggio si può dire regolatore della 
preparazione. Osservai però che, per quanto protraessi |’ azione del 
risceldamento anche sino a dissociazione parziale del composto , il 
prodotto finale mi accusava sempre un eccesso d’ acido nitrico con 
un energica  decolorazione dell’ indaco. Sospettai allora che la deco- 
lorazione fosse prodotta dal composto ferrico stesso; per accertarmene 
feci agire sull’indaco del solfato ferrico puro affatto scevro di tracce 
d’ acido nitrico e si produsse una completa e rapida decolorazione 
con produzione d’una quantità corrispondente di composto ferroso, 
Ja cui formazione dimostrai trattando la soluzione, risultante dall’azione 
del composto ferrico sull’indaco, con prussiato rosso a freddo e neutra- 
lizzando prima l’acido formatosi nella riduzione del composto ferrico 
in ferroso per eliminare l’obbiezione , che il precipitato di azzurro 
di Berlino fosse prodotto dal prussiato rosso stesso, che come si sa 
in soluzione acida e a caldo produce un precipitato identico. La 
stessa reazione provai con altri composti ferrici e coi mordenti so- 
praccennati scevri d'acido nitrico, e tutti più o meno energicamente 
decolorarono l’indaco, sia sotto forma d’acido solfindigotico o di car- 
mino d'indaco, sia fissato su tessuto. 

Ora fra i composti ferrici, che decolorano l’indaco, non vengono 
citati che il prussiato rosso e il cloruro ferrico, corpi ambedue noti 
come mezzi d’ossidazione; ma di quest’azione ossidante e decolorante 
dei composti ferrici in genere, ma specialmente del solfato sull’ in- 
daco non trovai alcun cenno. Nella preparazione di mordenti di ferro 
non si potrà perciò ricorrere alla reazione dell’ indaco per ricono- 
scerne l'andamento. 

Scuola di Tintura. Vienna. 


Sul potere rotatorio dell’acido fotosantonicos 
i 


nota di R. NASINI. 


L'acido fotosantonico è il solo dei cinque acidi isomeri C,;H,,0, 
pel quale non erano ancora state fatte misure per determinare il 
potere rotatorio. L'acido santoninico già era stato studiato da Hesse, 


$16 
il metasantonico dal prof. Cannizzaro , il santonico e il parasanto- 
nico furono osservati da Carnelutti e da me. 

Il prof. Sestini ha avuto la gentilezza di mettere a mia dispo- 
sizione una certa quantita di questo acido da lui scoperto.ed io pub- 
blico qui 1 risultati delle mie osservazioni per alcune soluzioni clo- 
roformiche ed alcooliche. 

L’acido fotosantonico fu ottennto dal prof. Sestini per l’azione 
‘ della luce solare sopra soluzioni alcooliche o acetiche di santonina. 
A differenza degli altri acidi suoi isomeri essn è bibasico, quindi è 
a ritenersì che la luce solare abbia modificato energicamente la co- 
stituzione della santonina, e tanto più interessante riesce lo studio 
del potere rotatorio. Questo acido è bianco, ben cristallizzato, solu- 
bile assai nell’alcool, meno nel cloroformio. Fonde a 486°. 

Le osservazioni furono fatte con un apparecchio a penombre 
di Cornu rispetto alla luce gialla del sodio ed alla temperatura di 
20°. Per tutto quello che riguarda il metodo esperimentale si può 
vedere il mio lavoro sulla parasantonide (Atti dell’ Accademia dei 
Lincei, serie 3°, vol. IX).—Le osservazioni come ho detto furono 
. eseguite per soluzioni cloroformiche e alcooliche : il cloroformio era 
purissimo, della densità 1,4909 a 20°; la densità dell’ alcool adope- 
rato era 0,7919 pure a 20. 

Nella seguente tavola sono riunite le esperienze relative alle 
soluzioni cloroformiche: ¢ significa la concentrazione , ossia il peso 
di sostanza sciolto in 100 c.c. di solvente; ZL la lunghezza del tubo 
in millimetri; « l’angolo di deviazione; [«]p il potere rotatorio spe- 


4 
cifico rispetto alla riga D = 7 < : 









1,259 | 219,65 | — 3,80] —119,8 
2,057 | >» 


è 877 
In quest'altra tavola sono riunite le osservazioni rispetto alle 
soluzioni alcooliche : 





219,63 | — 4,40] —118,9 
» | — 2,50] —417,6 
» | — 9,05) —1254 
» | —43,48} —1252 








Come si vede l’acido fotosantonico a somiglianza dei suoi iso- 
meri è levogiro ed è quello che ha un maggior potere rotatorio spe- 
cifico. Il suo potere rotatorio specifico è maggiore nelle soluzioni al- 
cooliche; in generale invece i derivati della santonina presentano il 
massimo del potere rotatorio nelle soluzioni cloroformiche. È da no- 
tarsi però che l’acido fotosantonico è più solubile nell’alcool che nel 
cloroformio e che , sebbene non si possa stabilire come regola ge- 
nerale, pure è certo che nella maggior parte dei casi un corpo at- 
tivo manifesta potere rotatorio maggiore in quel solvente in cui è 
più solubile. Interessanti sono anche le variazioni che Ja concentra-. 
zione induce nel potere rotatorio specifico. Per Je soluzioni clorofor- 
miche il potere rotatorio specifico diminuisce col crescere della con- 
centrazione; al contrario per le alcooliche cresce, cosicchè per le so- 
luzioni diluite cloroformiche si ha approssimativamente lo stesso va- 
lore per [«]p che per le soluzioni diluite alcooliche. La sostanza è 
troppo poco solubile perchè io possa ricavare dalle esperienze dati 
sufficienti per costruire con sicurezza le curve caprimenti le varia- 
zioni, ma parrebbe qnasi che in questo caso il vero potere rotato- 
rio specifico si ricavasse dalle soluzioni diluite anzicché dalle con- 
centrate, la qual cosa io già aveva notato per le soluzioni alcooliche 
di parasantonide.—Del resto però debbo fare notare come nelle 08- 
servazioni fatte sopra soluzioni molto diluite non si può avere una 
completa fiducia giacchè gli errori inevitabili d'osservazione possono 
alterare anche le cifre delle unità nel potere rotatorio specifico. 

Dò qui i poteri rotatori specifici dei cinque acidi isomeri. — 
Come si vede tra questi numeri non esiste nessun rapporto sem- 
plice : 

48 





878 


Ac. santoninico (alcool — c. 4 a 8) (a]p =—25,g 

»  santonico (cloroformio c. = 4,476) » =—-70,31 

» parasantonico (cloroformio c.=4,470) >» n—_98 54 

» = metasantonico (cloroformio c.=4,127) » =—92,8 

» fotosantonico(cloroformioc.=4,259a 5,768)» =—119,3—118,1 
> > (alcool c.=0,536 a 4,774)» =—4119 —425 


Trasformazione dello scatol in indol e preparazione 
dell’indo}l: 


di M. FILETTI. 


In una mia precedente memoria ho fatto vedere un nuovo modo 
di formazione e preparazione dello scatol, ed ho dato una formola di 
costituzione secondo la quale questa sostanza è da considerarsi co- 
me metilindol; questa maniera di vedere riceve ora una conferma 
nel fatto che lo scatol per l’azione del calore si trasforma in indol. 

Se si fanno passare dei vapori di scatol in un tubo scaldato al 
rosso e contenente dei pezzetti di porcellana , si ottiene un distil- 
lato oleoso e si sviluppa contemporaneamente un gas infiammabile 
‘del quale non studiai la natura, sia per la piccola quantità, sia per- 
chè avendo esso subìto l'influenza dell'elevata temperatura, nessuna 
conseguenza si avrebbe potuto tirare dalla sua composizione. 

‘Impiegai gr. 0,14 di scatal, che misi dentro il tubo in navicella 
di platino; operai in atmosfera di anidride carbonica, ed il gas svi- 
luppatosi e liberato dall’ anidride carbonica era 7 cc. Il liquido di- 
stillato fu trattato con acqua e la soluzione acquosa diede con acido 
cloridrico e nitrito potassico manifesta reazione d’indol. l 

Questa trasformazione può anche mettersi in evidenza in modo 
semplice, operando sopra piccolissima quantità di sostanza:— Si in- 
troduce in un tubo da saggio una piccola quantità di scatol e si ri- 
scalda direttamente sopra una lampada Bunsen, in modo che i va- 
pori incontrino le pareti calde del tubo; dopo raffreddamento si tratta 
con acqua ed il liquido dà con acido cloridrico e nitrito potassico ~ 
la reazione dell’indol. 

Su questa proprietà dello scatol di trasformarsi per l’azione del 
calore in indol riposa il processo di preparazione di quest’ ultimo 
corpo che descriverò qui appresso e che , secondo la mia osserva- 





379 


zione, è preferibile a tutti gli altri metodi sin’ora conosciuti. Invero 
se il vapore di cumidina, preparato dalla distillazione dell’amidocu- 
minato di bario con barite, si fa agire sopra dell’ossido . di piombo 
riscaldato, invece di scatol, che per analogia al modo di produzione 
di questa sostanza da me nella precedente memoria indicate do- 
vrebbe formarsi, si ottiene indol. 

Si fa passare non, molto rapidamente il vapore di cumidina sul- 
l'ossido di piombo contenuto in un tubo di porcellana di 40 cm. di 
lunghezza riscaldato al rosso in un-fornello a gas: si condensa un 
liquido nerastro e si sviluppa abbondantemente un gas. Il liquido 
distillato si tratta con acido cloridrico diluito, dove si discioglie par- | 
zialmente; la parte restata indisciolta si distilla in una corrente di 
vapor d’ acqua, e il distillato si acidifica con acido cloridrico e si 
precipita con acido picrico. | 

Le acque madri dalle quali si precipitò il picrato furono esami- 
nate distillandole con ammoniaca: se ne ricavò soltanto piccolissima 
quantità d’indol, mescolato a un po’ di sostanza resinosa. 

‘Invece il picrato disseccato, lavato con etere di petrolio, dà alla 
distillazione con ammoniaca un liquido lattiginoso che ha le rea- 
zioni dell'indol; le goccioline oleose che distillano si solidificano sol- 
tanto nel recipiente nel quale si raccolgono ; nel pallone resta un 
po’ di resina nera. 

L’indol passato alla distillazione, raccolto sopra un filtro e asciu- 
gato nel vuoto sopra cloruro di calcio si fonde , senza bisogno di 
ulteriore purificazione, a 52°. 

Il filtrato contiene disciolto ancora molto indol ; per estrarlo e 
per assicurarmi se contemporaneamente nella reazione si forma dello 
scatol, acidificai il liquido, lo precipitai con acido picrico e poi ri- 
distillai con ammoniaca, tanto le acque madri quanto il picrato: sol- 
tanto guest’ultimo diede nelle prime gocce del distillato pochissimo 
laminette che si depositarono nella canna del refrigerante; erano però 
in così piccola quantità the appena potei raccoglierne onde determi- 
marne il punto di fusione: si fusero a -64° e sono quindi probabil- 
mente di scatol impuro. Del resto i liquidi distillati in ambo i casi, 
agitati con etere cedettero a questo dell’ indol che senza ulteriore 
purificazione si fondeva a 541°,5 e se in qualche caso si ebbe dallo 
svaporamento del solvente un residuo fondente alcuni gradi al di- 
sotto. bastò una semplice cristallizzazione dell’ acqua per ottenerlo 
fusibile a 52°. 

Come si vede il prodotto che si ottiene da questa reazione , 
nella quale si forma contemporaneamente soltanto una traccia di 


$80 


scatol, è molto puro, e sia per questa ragione che per il soddisfa- 
cente rendimento, io ritengo che questo metodo sia da preferire a 
tutti gli altri conosciuti per la preparazione dell’indol. 

Da gr. 35 di cumidina ottenni gr. 8 di picrato. È da notare 
però che la buona riuscita dell’ operazione dipende principalmente 
dalla temperatura, la quale se è troppo elevata carbonizza tutto e se 
è di troppo inferiore al rosso non dà buoni gisultati; così in un’o- 
perazione nella quale non scaldai forse sufficientemente ottenni sol- 
tanto circa un grammo di picrato grezzo da 45 di cumidina. 


La soluzione cloridrica ottenuta dal trattamento con acido clo- 
ridrico del prodotto grezzo dell’azione della cumidina sull’ ossido di 
piombo, per l’aggiunta di soda caustica lascia separare un liquido che 
disseccato e distillato comincia a bollire prima di 200°, la massima 
parte passa tra 200 e 210° ed una piccola porzione verso 225° ; 
questa è un po’ di cumidina inalterata, le altre porzioni contengono 
dell’ ortotoluidina e un pò di anilina che ho constatato per mezzo 
delle reazioni colorate. 


Il gas sviluppatosi da gr. 35 di cumidina è da 4 a 5 litri; lo 
feci passare attraverso il bromo con che soltanto una parte si as- 
sorbì , e dopo l'allontanamento dell’ eccesso di bromo restò un li- 
quido molto pesante, di odore gradevole etereo, bollente a 128-140° 
(per la massima a 182°); non si solidificò nel ghiaccio ma quasi to- 
talmente nel ghiaccio e sale. Era un miscuglio di molto bromuro di 
etilene (p. di eboll. 184°) con poco bromuro di propilene fp di eboli. 
442°). come del resto fu confermato dall'analisi. 

Il gas non assorbibile dal bromo è combustibile; non l'ho ana- 
lazzato , ma facendovi agire sopra un eccesso di cloro alla lfce di- 
retta in ‘modo a far mescolare i due gas poco a poco per diffusione, si de- 
positarono sulle pareti del vase cristalli che alle proprietà e princi- 
palmente al punto di fusione riconobbi per sesquicloruro di carbo- 
nio. Il gas conteneva dunque dell’etano. 

Sul prodotto dell'azione del cloro feci anche la reazione pel clo- 
roformio e tetracloruro di carbonio con potassa c anilina, ma ebbi 
risultati negativi. 


La trasformazione dello scatol in indol conferma la formola da 
me data per lo scatol 


881 


secondo la quale questo è da considerarsi come metilindol. 
Torino. Laboratorio di chimica della R. Università, 24 giugno 1883.°. 


Snila decomposizione dell'acido ossalico 
sciolto nell’acqua: 


nota di GIOVANNI BIZIO. 


ll sig. G. Fleury pubblicò, in’ questi giorni, un caso di spon- 
nea distruzione dell’acido ossalico (1), da lui osservato in due so- 
luzioni, che ne contenevano dai 4 ai 6 decigrammi in un litro d’a- 
qua; dove trovò svanita, dopo qualche anno, ogni ombra di acidità, 
e comparsi, ad un tempo , grandissimi fiocchi di una vegetazione 
crittogamica, analoga a quella delle soluzioni di acido tartrico. 

Egli nota inoltre, con una certa meraviglia, come una soluzione 
di gr. 6,8 delle stesso acido in un litro di acqua si mantenne, dopo 
quattro anni, inalterata e dichiara, in tutto ciò, inerte l'aria, appog- 
giandosi alla circostanza che le bottiglie contenenti le soluzioni al- 
lungate , nelle quali si manifestò il mentovato fenomeno, non erano 
state aperte più che una o due volte. 

Il sig. Fleury sappia però che tale argomento fu da me stu- 
diate sino dal 1868 ; e, forse, con maggiore precisione di criterio 
sperimentale, ch’ egli non abbia ora seguito. Per quanto poca fosse 
la sollecitudine con cui si fosse dato a rovistare negli annali della 
scienza, non sarebbe caduto nella presente censura, essendo parec- 


(1) Sur un cas de destruetion spontanee de l’acide oralique G, Fleury 
(Journ, de pharm, et de chimie. Mai, 4883, p. 388). 


382 


chi i giornali che più o meno estesamente riprodussero quel mio 
lavoro (4). 

Ed egli avrebbe in allora saputo come, dopo avere raffermata 
la inalterabilita~dell’acido ossalico . quand’anche sciolto nell’ acqua, 
così da essere generalmente noverato tra quei pochi agenti ridut- 
tori, sopra i quali la stessa aria atmosferica non esercita azione al- 
cuna, io soggiungessi che la cosa procede bene altramente quando 
trattisi di soluzioni eminentemente diluite. 

Sciolgansi , io diceva , gr.0,4 di acido ossalico in un litro di 
acqua ; e dopo un tempo più o meno lungo non si troverà nella 
bottiglia che acqua pura. La decomposizione procede ben lentamente, 
e tanto più quanto la temperatura sia più bassa. In una pruova 
infatti istituita in sull’aprirsi della stagione invernale scorsero otto 
mesi prima che nel liquido fosse scomparsa ogni traccia di acidità: 
mentre in altro saggio intrapreso quando correva il maggior calore 
della state, ebbi l’acido totalmente svanito nel termine di un mese, 
ben diverso dagli anni asseriti dal Fleury, e, durante i quale , il 
termometro variò tra i 25° ed i 34° C. 

E se notai la soluzione doversi eseguire nella misura di gr. 0,4 
di acido per ogni litro di acqua , egli è perchè sarebbe questa la 
massima quantità da sciogliere per osservare il mentovato fenomeno. 
In un esperimento infatti di raffronto , per il quale io avea, nel 
giorno stesso, sciolto mezzo grammo di acido nel medesimo volume 
d'acqua, la soluzione, dopo quattro mesi, mantenevasi ancora acidis- 
sima, mentre l’altra eseguita nelle proporzioni sopra indicate avea 
da ben lungo tempo perduto ogni indizio di acidità. 

E quantunque fosse facile il vedere non doversi trattare che di 
una ossidazione operata dall’aria atmosferica, pure volli interrogare 
l'esperienza. 

Apparecchiata una notevole quantità della mentovata soluzione, 
ne riempii un matraccio della capacità di dodici litri, alla bocca del 
quale adattai, mediante sovero, un tubo ricurvo che, ripieno della 
soluzione medesima, andava ad aprirsi sotto una campanella ripiena 
di mercurio. La temperatura atmosferica era ai 28° C. L'insieme 


(1) Bizio Giovanni. Sperienze comprovanti la decomposizione dell’a- 
cido ossalico sciolto nell’ acqua (Atti del R. Istituto veneto. Serie 3° 
val. XIV, p. 115). E si può inoltre citare: Nuove cimento. Serie 2* vol. I, 
pag. 272; Bolletin de la Soc. chim. de Paris. XIII, p. 429; Zeitschrift.fur 
Chem. Bd. XIII, pag. 52; Chemisch. Cenir. Blatt., 1870, pag. 50 Zettschrift 
fir analyt. chem. IX, p. 392; Jahresb. uber die die Fortschritte der Che- 
mie fur 1870, pag. 643 ecc. 


388 


era perciò condizionato in modo che, quantunque la soluzione acida 
fosse tolta all’influenza diretta dell’aria atmosferica, non lo era però 
a quella dell’aria che trovavasi sciolta nella massa di acqua impie- 
gata ad operare la soluzione. Ora tre giorni appresso riscontrai al 
- sommo del collo del matraccio una grossa bolla aeriforme, che andò 
via via ingrandendo sinchè nel quinto giorno si manifestò nel li- 
quido una vera effervescenza di esilissime bollicine che, succeden- 
dosi le une alle altre, montavano al sommo, andando ad aumentare 
sensibilmente la quantità del gas che, arrivato al volume di più cen- 
timetri cubici, era giunto ad occupare anche parte del cannelio. Ma 
questo movimento durò ben poco, poichè nel terzo dì da che erasi 
palesato , allentò notevolmente nè se ne incontrava più indizio al 
quarto giorno. 

Lasciati scorrere tre mesi, assoggettai a mitissimo scaldamento 
il matraccio, tanto che bastasse per effetto della’ dilatazione del li- 
quido a far passare tutto il gas nella campanella; ed, aperto allora 
l'apparecchio, trovai che il liquido mantenevasi acidissimo; com’eb- 
be a mantenersi tale in altro saggio in cui io aveva riempiuto colla 
consueta soluzione un recipiente di vetro, chiuso poi alla lampada. 

Esaminato poi il gas raccolto nella campanella riavenni che nul- 
l’altro che acido carbonico era in fatto il prodotto della notata reazione. 

Ben altro adunque che l’influenza dell'aria, erroneamente’ ne- 
gata del sig. Fleury, il quale si dimostrò di ben facile accontenta- 
tura, se l'avere aperto un solo pajo di volte le hottiglie, gli bastò a 
a condurlo in tale deduzione: 

Le stesse mie osservazioni ebbero luogo in bottiglie chiuse a 
tappo smerigliato e mai aperte talvolta, durante il periodo della prova; 
ma crederebbe forse il sig. Fleury di averne, in tal maniera, una 
chiusura ermetica? 

Io non intendo di dare a queste mie ricerche una importanza 
maggiore di quella che per se abbiano: ma ho dovuto qui richia- 
marle: 

4. Per avvertire il sig. Fleury ch’io avea, già da quindici anni, 
pubblicate le stesse osservazioni, e fattone anzi argomento di spe- 
ciali sperienze. 

2. Per rettificare l’inesatta sua credenza che occorrano anni a 
conseguire l'effetto; mentre, sotto le condizioni più favorevoli, pos- 
suno bastare giorni. 

8. Per accertare l'azione dell’aria da lui, con infondato giudi- 


zio, negata e da me sperimentalmente dimostrata. 
13 maggio 1883. 


Sui prodotti di decomposizione dell'acido santonoso; 


memoria di S. CANNIZZA BO. . 


Nella menioria sui due acidi isomeri santonoso ed isosantonoso 
di S.Cannizzaro e G. Carnelutti (4) è stato già detto che l'acido san- 
tonuso fonde a 178-179° senza alterarsi notevolmente e che di- 
stilla anche del tutto inalterato tra 200° e 260° sotto la pressione 
di 5 mm. di mercurio. Sotto la ordinaria pressione atmosferica 
però scaldato sopra i 300° distilla in piccola porzione e nel resto 
si decompone. 

Ho studiato i prodotti di questa decomposizione , come quelli 
che danno qualche luce sulla costituzione dell'acido santonoso. 

In questa memoria espongo il risultato di tale studio. 

Ho scaldato l’acido santonoso in una storta tubulata connessa 
con un pallone recipiente alla cui tubulatura è adattato un cannello 
di vetro ripiegato, che pesca dentro il mercurio contenuto al fondo 
di un cilindro, ripieno nel resto di acqua; alla bocca del cilindro è 
adattato con turacciolo un tubo convenientemente ripiegato, la cui 
estremità pesca in un bagno ad acqua a fine di raccogliere i gas 
se mai se ne sviluppassero. La tubulatura della storta porta un tu- 
racciolo con due fori pei quali passano due cannelli di vetro, uno 
agsai corto serve per dar passaggio al termometro graduato sino 
a 860°, l’altro penetra dentro della storta sino alla superficie dell’a- 
cido santonoso potendosi all’ uopo alzare ed abbassare, e ripiegan- 
dosi fuori del turacciolo è messo per mezzo di un tubo di gomma 
in comunicazione con un apparecchio generatore di gas acido car- 
bonicé convenientemente disseccato. Una pinza di Mohr serve ad 
aprire.e chiudere la comunicazione con quel gas. Per scaldare la 
storta ho impiegato un bagno metallico di lega di piombo e stagno. 

Ho condotto l'operazione nel modo seguente. 

Introdotto nella storta l'acido santonoso ed adattato il turacciolo 
portante il termometro ed il cannello in comunicazione col gas acido 
carbonico, riempio tutto l'apparecchio di questo gas, che fo passare 


(1) Gazz. Chim. ital. t. XII, 1882, p. 393. 
49 


386 
lentamente, tenendo un po’ alto il cannello a fine di non trascinare 
polvere dell’acido. 

Sospendò la corrente di gas; fundo I’ acido, scaldando la storta 
con un bagno ad olio; immergo il bulbo del termometro nell’ acido 
fuso ed abbasso il cannello sino alla superficie di esso. 

Solidificato questo, riapro la comunicazione colla sorgente di gas - 
carbonico, per compiere la eliminazione dell’aria. Quando questo ef- 
fetto é raggiunto, sospendo la corrente gassosa : immergo la storta 
nel bagno metallico appena fuso e continuando a scaldare porto e 
mantengo la temperatura dell'acido fuso a 300° : incomincia allora 
la distillazione dei prodotti di decomposizione; innalzo poi gradata- 
mente la temperatura ; quando si vuol spingere questa al disopra 
di 360°, tolgo il termometro adattato con sughero al cannello che 
chiudo rapidamente con altro turacciolo, e continuo a scaldare il ba- 
guo metallico , notando i limiti di temperatura che ha oltrepassato 
per mezzo della fusione di piombo o di zinco contenuti in tubì di 
vetro chiusi. 

Nel modo ora descritto ho replicate volte decomposto quantità 
diverse di acido santonoso; ho fermato la decomposizione ora ad una, 
ora ad altra temperatura per esaminare il residuo della storta ed i 
prodotti distillati nei vari periodi; altre volte ho spinto il riscalda- 
mento finchè nella storta rimaneva un piccolissimo residuo carbonoso. 

Non parendomi conveniente descrivere in dettaglio tutte que- 
ste svariate operazioni ne riassumo ora i risultati costanti. 

L’acido santonoso fuso tenuto per più ore tra 800° e 320°, svi- 
luppa bollicine gassose ; distilla allora un liquido acido ed una so- 
stanza cristallizzata imbevuta d’olio, la quale si condensa sulle pri- 
me nel collo della storta. Continuando a scaldare sino a 860° (4), 
si ottiene nuovo liquido acido, una nuova quantità di materia cristal- 
lina ed una rilevante quantità di olio vischioso giallognolo. Sino a 
tale temperatura non apparisce sensibile sviluppo di gas. 

Spingendo il riscaldamento oltre i 860°, finchè non resta nella 
storta che poco residuo carbonoso, distilla sopratutto olio simile al 
precedente e di tempo in tempo si sviluppano alcune bolle di gas 
combustibili. 

Le porzioni distillate sino a 860° contengono acqua, acido san- 
tonoso inalterato , acido propionico (C,H,O,), biidrodimetilnaftol 
( C,.H,,0 ), dimetilnaftol (C,.H,.0 ) ed un olio che colla potassa si 
scompone in acido propionico e biidrodimetilnaftol , come l’ etere pro- 


(1) La materia fusa nella storta spumeggia. 


387 
pionico di questo ultimo. L'acqua e l'acido santonoso inalterato pre- 
dominano nelle prime porzioni che passano a 300°; nelle porzioni 
successive viene l'acido propionico e il biidrodimetilnaftolo , quindi 
l’etere propionico di quest’ ultimo naftql. Le porzioni distillate so- 
pra 360° consistono principalmente di questo etere con una piccola 
. quantità di dimetilnaftalina (C,,H,»). 

Ciò. che rimane nella storta quando il riscaldamento non è an- 
dato sopra i 300° e si è sospeso dopo che distillarono acqua, acido 
santonoso e tracce di altri prodotti, è evidentemente wun’ anidride 
dell'acido santonoso. Quest’ anidride si solidifica sotto forma di re- 
sina trasparente e fragile, non si scioglie sensibilmente nell’ alcool 
e nell’etere; scaldata per qualche tempo con una soluzione alcoolica 
di potassa si discioglie; svaporando l'alcool e sostituendolo coll’acqua 
si ha una soluzione alcalina dalla quale il gas acido carbonico non 
separa alcun fenolo e l’acido cloridrico precipita un acido che depu- 
rato nel modo altrove descritto presenta tutti i caratteri dell'acido 
santonoso, compreso il potere rotatorio (4). 

Ciò che resta nella storta, dopo che è stata scaldata sino a 360°, 
si è ridotto a metà def peso dell'acido impiegato e si solidifica anche — 
coll’ aspetto simile a resina trasparente ; non si scioglie nell’ alcool 
e nell’ etere e trattalo con potassa alcoolica bollente, svaporato 
I’ alcool e sostituito con acqua, dà una soluzione alcaliba, dalla 
quale il gas acido carbonico precipita in quantità relativamente pic- 
cola biidrodimetilnaftol che si separa dal liquido sia per filtrazione, 
sia facendolo distillare per mezzo del vapore d’acqua. Dalla soluzione 
limpida si precipita coll’acido cloridrico un acido che ricristallizzato 
ha anche.esso tutti i caratteri dell’ acido santonoso puro, fondendo 
a-4177-178° ed avendo il potere rotatorio [a]p =-+ 74,65 (2). 

Quando poi si è oltrepassata la temperatura di 360°, il residuo 
della storta resinoso, scuro, trattato nel modo sopraindicato dà un 
po' -di miscuglio di biidrodimetilnaftol e dimetilnaftol ed una picco- 
lissisna quantità di acido santonoso assai impuro , che si è potuto 
ricofioscere dopo reiterate cristallizzazioni. Se la temperatura è giunta 
al di là dei 400°, quel po’ di residuo bruno che rimane nella storta 
non dà alcun prodotto riconoscibile. 


(1) Per una soluzione alcoolica contenente gr. 4,138 di questo acido 
in 100 c.c. si 6 trovato alla temp. di 15° [a]p = + 77,66. 

(2) Questo potere rotatorio fu determinato con una soluzione alcoo - 
lica di questo acido contenente gr. 4,277 in 100 c.c. alla temperatura di 
15°°con un tubo della lunghezza 219,65 e con una deviazione di gradi 7,0 
|%]p = + 74,65. 


388 


_ Da cid che ho sommariamente esposto pare che la decomposi- 
zione proceda nel modo seguente: 

Una porzione dell’ acido santonoso (C,;Hy0;) perdendo acqua 
dà un’anidride (C,.H,,0,). è 

Il vapor dell’ acqua formatasi trascina un po’ di acido santo- 
noso inalterato. Un'altra porzione dell’ acido in presenza del vapor 
d'acqua che si viene sviluppando , si scinde nettamente in biidro- 
dimetilnaftol ed acido propionico, secondo l'equazione seguente: 

C5Hy0, = CHO, + C,3H,0 
Ac. propionico biidrodimetilnaftol 

Quando tutta l’acqua che si può formare si è sviluppata, l’ani- 
dride C,;H;g0, si trasforma per |’ azione del calore nell’ etere pro- 
pionico del biidrodimetiloaftol (C,,.H,,0.C,H,0 =C,,H,,.0.). 

Il dimetilnaftol (C,,H,,0) che si produce in quantità variabi- 
lissima dall'una all'altra operazione e la piccola quantità di dimetil- 
naftalina che viene nella fine della distillazione, sono evidentemente 
prodotti secondari della decomposizione del biidrodimetilnaftol. 

Il poco di hiidrodimctilnaftol che si ottiene per l’ azione della 
potassa sulla resina rimasta nella storta vi è ritenuto probabilmente 
nello stato di etere suntonoso. 

Esporrò ora il modo tenuto per separare e riconoscere i so- 
praindicati prodotti della distillazione e descriverò il biidrodimetil- 
naftol. 


I prodotti della distillazione sono, trattati con soluzione acquosa. — 


di carbonato sodico la quale scioglie gli acidi santonoso e propionico 
e lascia indisciolta una materia vischiosa, ché è il miscuglio dei na- 
ftoli e dell'etere propionico del biidrodimetilnaftol. 

Dalla soluzione acquosa filtrata si precipita con acido solforico 
l'acido santonoso. Il liquido filtrato si sottomette alla distillazione : 
il distillato è una soluzione acquosa di acido propionico. Si trasforma 
in sale di bario e si svapora a secco; si ridiscioglie il sale, si filtra 
la soluzione, si precipita il bario con acido solforico , ed il liquido 
acido filtrato si distilla; il distillato neutralizzato con carbonato ba- 
ritico puro, portato a secco , ridisciolto e nuovamente svaporato dà 
il sale di bario sufficientemente puro per essere riconosciuto. 

Ha dato all'analisi i seguenti risultati : 


Materia Solfato baritico Carbonato haritico 
Ll gr. 1,3273 4,09418 — 
II » 0,8684 0,3006 — ° 
HI » 0,1853 01491 — 


IV » 4,0588 — 0,78 











389 
Deducendo la composizione cenfesimale e comparandola a quella 
calcolata si ha: 


Trovato Ba %/ Calcolato per 
. _.-C,H,0 
iI oo om ow Bac o38,05 
48,388 47,97 47,83 48,49 48,40 


La materia vischiosa non sciolta nel carbonato alcalino si tratta 
‘ con soluzione acquosa di idrato potassico, la quale discioglie i na- 
ftoli e lascia indisciolto un olio denso, che è I’ etere propionico del 
biidrodimetilnafiol. 

Dalla soluzione di potassa con una corrente di gas acido car- 
bonico, si precipita il miscuglio dei rfaftoli che si separa dal liquido 
per filtrazione o meglio per distilllazione a vapore. Si separa poi 
il biidrodimetilnaftol dal dimetilnaftol nel modo che sarà pit sotto 
descritto. 

L’olio denso che rimane indisciolto dopo il trattamento col car- 
bonato ce coll'idrato alcalino si pone a bollire per più ore in appa- 
recchio a ricadere con una soluzione alcoolica concentrata di po- 
lassa; poi,si distilla l'alcool e si sostituisce con acqua facendo pas- 
sare nel liquido una corrente di vapore. Coll’ acqua distilla quella 
porzione di olio che non fu decomposta la quale si torna a trattare 
colla potassa alcoolica nel modo sopraindicato. Bisogna ripetere più 
volte tale trattamento per giungere a scomporre tutto l’etere pro- 
pionico del biidrodimetilnaftol. 

Quando questo proviene da una operazione che è stata spinta 
sino alla totale decomposizione dell’anidride santonosa rimane una 
piccola quantità di olio ribelle all’azione della potassa: raccollo per 
distillazione a vapore e separato dall'acqua distillata per mezzo del- 
l'etere dà con una soluzione alcoolica di acido picrico il composto 
giallo arancio che depurato per cristallizzazione offre l'apparenza ed 
il punto di fusione 189° del composto della dimetilnaftalina descritta 
nella memoria sui due acidi isomeri santonoso ed isosantonoso. 

La soluzione alcalina ottenuta coi reiterati trattamenti dell'olio 
sopraindicati, si sottomette all’ azione di una corrente di gas acido 
carbonico: si precipita così il biidrodimetilnaftol, che si separa sia 
per filtrazione sia per distillazione a vapore. 

La soluzione alcalina da cui è stato separato questo naftol si - 
acidifica con acido solforico puro e si sottopone alla distillazione. 

Il distillato acquoso contiene un acido, che è dell’ acido pro- 
pionico; se ne prepara il sale baritico dal quale gi riottiene l’acidg 


390 


propionico , che si ridistilla e*si trasforma in sale baritico , reite- 
rando questo traltamcnto quanto occorre per avere un sale bari- 
tico puro. 

Analiazato ha dato il seguente risultato. 

Gr. 0,5429 di sale baritico hanno dato gr. 0,4376 di solfato, 
ciò che fa per il Ba 47,35 %/. Il propiouato baritico richiederebbe 
48,40 °/, di Ba. 

Non é da meravigliare di questa piccola differenza essendo dif- 
ficilissimo in questo trattamento ottenere l'acido propionico comple- 
tamente puro da tracce di naftolo che rimangono disciolte nel li- 
quido acquoso e passano per distillazione coll’acido. 

L'acido santonoso subisce una decomposizione simile a quella. 
fin'ora descritta se è scaldato in tubi chiusi. 

Scaldato così soltanto sino a 200° rimane inalterato solidifican- 
dosi sotto forma di una resina trasparente, la quale si scioglie com- 
pletamente nell’etere; da tale soluzione cristallizza l’acido santonoso 
puro. 

Scaldato sino a 400° dà un olio che decomposto con potassa 
alcoolica dà il biidrodimetilnaftol. Il medesimo olio ottiensi scaldando 
l'acido in tubi chiusi al disopra di 400°. In quest’ultimo caso l'olio 
è di colore oscuro. 

Descriverò ora il biidrodimetilnaftol, che insieme all’acido pro- 
pionico è il prodotto costante della decomposizione dell’ acido saa- 
tonoso. 


(CH3), 
Biidrodimetilnafiol (C,3H 0) =H,C1 gH OH 
H 


Questo naftolo si ottiene dal suo etere propionico scomponen- 
dolo colla soluzione alcoolica di potassa nel modo sopradescritto. La 
soluzione alcalina ottenuta dopo svaporato l’alcool si satura di gas 
acido carbonico e si distilla in una corrente di vapor d’acqua. Nel 
distillato acquoso cristallizza bianco questo naftol. Si raccoglie so- 
pra un filtro, si scioglie in alcool e si precipita con acqua bollente. 
Col raffreddamento cristallizza in lunghi aghi sottilissimi setacei. Si 
ripete due o tre volte questo modo di cristallizzazione e si ottiene 
purissimo col punto di fusione costante di 118°. 

Più difficile riesce di ottenerlo puro da quelle porzioni di na- 
| ftolo che vengono libere tra i prodotti distillati e che si estraggono 
sciogliendole in una soluzione acquosa diluita di potassa, satu- 
rando questa soluzione filtrata con gas acido carbonico e distillando 
a vapore. Nel distillato cristallizzano dei naftoli. Si tornano a: cristal- 











$94 
lizzare sciogliendoli nell’alcool e precipitandoli coll’ acqua calda. Si 
oltiene così un prodotto di apparenza omogenea che ha i caratteri 
dei fenoli. Questo prodotto fonde a 92-98°, se è stato estratto dai 
primi prodotti della distillazione dell’ acido santonoso scaldato sol- 
tanto a 800°; ha invece il punto di fusione 122-123°, se è stato ot- 
tenuto dagli ultimi periodi della distillazione. 

Sì l’ uno che I altro miscuglio non muta di punto di fusione 
sottomettendolo a reiterate cristallizzazioni coll’alcool e l’acqua, tanto 
che ebbi per molto tempo il dubbio che erano due nuovi fenoli e 
come tali furono sottomessi all’analisi. 

Il prodotto che fonde tra 92° e 98° diede però all’analisi nu- 
meri che si avvicinano tanto alla composizione del biidrodimetil- 
naftol, che fui-ben tosto convinto es®re quest'ultima sostanza il cui 
punto di fusione è abbassato da una piccola quantità di un’ altro 
fenol, che fu riconosciuto per dimetilnaftol C,,H,,0. 

Sottometlendo difatti il prodotto a reiterate cristallizzazioni nel 
petrolio leggiero ho potuto separare un poco di dimetilnaftol fondente 
a 186°, che è restato nella parte indisciolta; la ,parte disciolta cristalliz- 
zata più volte frazionatamente ha dato porzioni con punti di fusione in- 
termedi ed una piccola quantità di biidrodimetilnaftol puro col suo 
punto di fusione 148°, 

L'analisi del prodotto prima di essere ricristallizzato nel pe- 
trolio ha dato i seguenti risultati, che si avvicinano alla composi- 
zione del biidrodimetilnaftolo C,,1H,,0. 

gr. 0,2416 di sostanza diedero GO; gr. 0,7329 e H,O gr.0,4802 
ciò che fa per 100: 


Carbonio 82,69 
‘ Idrogeno 8,28 
La formola C,,H,,0 richiederebbe 
Carbonio 82,77 
Idrogeno 8,00 


La parte meno solubile nel petrolio di questo prodotto ha dato 
poi all’analisi risultati che si avvicinano "un poco alla composizione 


del dimetilnaftol. Difatti: ” 
Materia - ‘Anidride carbonica Acqua 
I gr. 0,2760 gr 0,8489 gr. 0,2032 
I » 0,1982 > 0,5888, ~ >» 0,1412 


Deducendo la composizione centesimale e comparandola a quella 
calcolata si ha: 





802 


Trovato << Galcolato 
È gg TT —a—_—__rPTt____SWWt®="—= © _—— 
I Il per biidrodimetilnaftol per dimetilnaftol 
(C,.H,,0) (C,,H,,0) 
C 83,12 88,44 C 82.77 C 88,72 
H 8,10 8.42 H 8,00 H 6,96 


li prodotto che fonde con apparente costanza a 122-128°, sot- 
tomesso a reiterate cristallizzazioni frazionate nel petrolio leggero, 
diede una più notevole quantità di dimetilnaftol puro e piccola quan- 
tità di biidrodimetilnaftol. Il dimetilnaftol così separato aveva il 
punto di fusione 186° e diede all’analisi elementare i seguenti ri- 
sultati che non lasciano alcug, dubbio essere identico a quello già 
descritto nella memoria più volte citata (4). 


Materia Anidride carbonica Acqua 
gr. 0,2488 - 0,7484 0,1542 
Deducendo la composizione centesimale comparata a quella cal- 
colata si ha: 


Calcolato per C,,H,,0 Trovato 
C 83,72 C . 88,68 
H 6,96 H 7,02 


Non avvi dunque dubbio che i due prodotti con caratteri fe- 
nici, separati dal primo e dall’ ultimo periodo della decomposizione 
dell'acido santonoso, sono miscugli di diidrodimetilnaftol e di dimetil- 
naftol. Nel prodotto fusibile a 92-98° predomina il biidro e nel pro- 
dotto fusibile a 122° predomina l’altro. 

Il biidrodimetilnaftol depurato nel modo sopra descritto e cristal- 
lizzato dal petrolio leggero si presenta in aghi bianchissimi splendenti. 
Fonde a 118°, è solubilissimo nell’ etere, nell’ alcool, solubile nella 
benzina e nel petrolio, più a caldo che a freddo, quasi insolubile 
nell'acqua fredda. È votatile e si può distillare inalterato col vapor 


d'acqua. 
Ha dato all’analisi elementare i seguenti risultati: . 
Materia =‘ Anidride garbonica Acqua 
I. gr. 0,3484 gr. 0,9645 gr. 0,2283 
II. » 0,2884 » 0,8568 » 0,2066 
III. » 0,24102 » 0,6380 - » 0,1514 


Deducendo la composizione centesimale e comparandola a quella 
calcolata si ha : ° 


(1) Gazz. Chim. ital. t. XII, 1882, p. 393. 


. 398 
Calcolato per C,,H,,0 Trovato. 
I II: Ill 
C 82,77 C 82,44 82,45 82,75 
H 8,00 H 7,96 840 8,04 


_ Il biidrodimetilnaftol (C,,H,,0) perde per l’azione del persolfuro 
di fosforo gli elementi di una molecola d’acqua e dà dimetilnaftalina 
identica a quella che è stata ottenuta dal dimetilnaftol e perciò cor- 
rispondente alla bibromonaftalina di Glaser fondente a 84°. Sono 
anche riuscito a disidrogenare il biidrodimetiluaftol e convertirlo 
nel dimetilnaftol identico a quello che si ottiene nell’azione della ba- 
rite sull’acido santonoso ad alta temperatura. 

Per ottenere la dimetilnaftalina ho mischiato 4 gr. di biidro- 
dimetilnaftol con gr. 0,60 di fosforo rosso e gr. 4,60 di solfo; scal- 
dai a bagno ad aria in una stortina munita del suo recipiente. Si 
osservò forte sviluppo di idrogeno solforato e distilliò una sostanza 
ojeosa. Si estrasse con etere tanto il distillato che la materia car- 
bonosa nera rimasta nella stortina. 

La soluzione eterea fu agitata cou soluzione acquosa di potassa; 
decantato l'etere e svaporato si distillò il residuo in una corrente 
di vapor d’acqua. Si ottenne così un olio scolorato più pesante del- 
l'acqua ; si estrasse con etere, il quale svaporato lasciò indietro 
l'olio. Se ne fece il picrato il quale presentò l'apparenza di aghi ed 
il colorito giallo arancio ed il punto di fusione 139° del picrato della 
dimetilnaftalina corrispondente alla dibromonaftalina fondente ad 84°. 

Per disidrogenare il biidrodimetilnaftol se ne mischiò intima- 
mente un grammo con gr. 0,2 di zolfo e si mise a scaldare in un 
tubetto. Il miscuglio fuse da prima , quindi lo zolfo fuso si separò 
al fondu: in seguito si sviluppò idrageno solforato e scomparve 
lo zolfo. La massa fusa fu sciolta in una soluzione acquosa diluita 
di potassa che fu poi saturata di gas acido carbonico e distillata a 
vapore. Passò prima un po’ di naftol fondente a 1413-148°, quindi 
un'altra porzione fondente a 1413-120° ed'’infine una porzione fon- 
dente a 434°. Non vi ha dunque dubbio che una porzione del bii- 
drodimetilnaftol rimase inalterato e un’altra si trasformò nel dime- 
tilnaftol che passa l’ultimo nella distillazione. 

Questa trasformazione pare avvenga a temperatura elevata in 
modo Simile a quello che siegue colla idronaftalina. A questa causa 
deve attribuirsi la presenza nei prodotti della decomposizione del- 
l'acido santonoso di dimetilnaftol, che viene perciò in maggior quan- 
\ità negli ultimi periodi della decomposizione. A questa medesima 


50 


$94 
causa deve anche attribuirsi la formazione del dimetilnaftol nella 
fusione dell'acido santonoso con idrato baritico. 

I risultati descritti in questa mia memoria e quelli preceden- 
temente pubblicati insieme a G. Carnelutti si possono interpetrare 
considerando l’acido santonoso come un derivato tetrasostituito della 
tetraidronaftalina (H,C,gHg). 

I gruppi sostituenti sarebbero due metili nel posto dei due bromi 
della dibromonaftalina fondente ad 84°: un ossidrile nel posto (4), 
che ha nel dimetilnaftol ed un residuo dell’ arido propionico. Ciò 
che si esprime colla seguente formola: 


“CH, 
HCH, —on 


\CH,--CH,--COOH 
Potrebbe dunque dirsi acido tetraidrodimetilossinaftilpropio- 
nico. Col riscaldamento due dei 4 atomi dell’ idrogeno aggiunti si 
impiegherebbero a distaccare il residuo dell’ acido propionico for- 
mando: ° 


“H+CH,--CH,--C00H 
biidrodimetilnaftol + ac. propionico 


La sostanza resinosa che si formerebbe per |’ eliminazione di 
una molecola d' acqua sarebbe un’ anidride interna nella quale il 
residuo dell’acido propionico avendo perduto l'ossidrile acido si sa- 
rebbe attaccato all’ossigeno fenico come negli eteri dei fenoli ciò che 
è indicato dalla seguente equazione: 


Lei Zon: 
LIA ant tt — 0 Cul 600 | 
= 
»--CH,--COOH \\CH,CH,- 


In questa anidride per |’ azione del calore due dei 4 atomi di 
idrogeno aggiunti distaccherebbero il residuo dell’ acido propionico 
dal nucleo naftolico lasciandolo altaccato per 1’ ossigeno come radi- 
cale acido e formando così |’ etere propionico del biidrodimetilna- 
ftol, rappresentato dalla seguente formola: 

ous 


CH, 
H CWB omc0 ~CH,--CH, 
“SH 


. (1) Non ancor determinato. 


395 


Potrebbe anche ammettersi che nell'acido santonoso non pree- | 
sistano tutti e due gli anelli della naftalina ma che l’uno si formi 
coll’azione del calore. Il fatto osservato da me e da Carnelutti della 
formazione di un dimetilbenzol nella scomposizione dell’ acido san- 
tonoso darebbe qualche appoggio a questa ipotesi. Gli ulteriori stu- 
dii che continuo sull’acido santonoso e i suoi derivati daranno nuovi 
argomenti per scoprire definitivamente la costituzione dell'acido san- 
tonoso e del suo isomero. 


Stadi sui componti della serie del pirrolo. 
Azione dell'idrogeno nascente sul pirrolo. 


Quarta memoria di G. L. CIAMICIAN e M. DENNSTEDT. 


Alcuni mesi fa abbiamo accennato in una nota preliminare alla 
possibilità di trasformare il pirrolo in un alcaloide contenente due 
atomi di più di idrogeno. Nella presente memoria diamo !a descri- 
zione del nuovo composto. 

Il pirrolo estratto dall'olio animale bolle a 130°-434° (1) (tutta 
la colonna nel vapore) a 764 mm. . 

Noi abbiamo fatto agire sul pirrolo , |’ idrogeno che si svolge 
dall'acido acetico colla polvere di zinco. Ii rendimento è però poco 
soddisfacente, perchè si forma sempre molta ammoniaca ed una parte 
del pirrolo viene trasformata in matcrie resinose. Anche variando 
le proporzioni delle tre sostanze messe a reagire insieme, e la durata 
della riduzione, non abbiamo potuto ottenere un notevole migliora- 
mento. È da notarsi ancora che alle volte il rendimento della base 
dipende da cause che noi finora non abbiamo potuto scoprire: certo 
vi influisce la concentrazione dell’acido adoperato e la durata dell’o- 
perazione. In generale si può dire che colla concentrazione del li- 
quido e la durata della riduzione aumenta la resinificazione e la 
quantità di ammoniaca che si produce, però anche adoperando un 
acido molto diluito il rendimento è cattivo, perchè la maggior parte 


(1) Nei trattati di chimica si trova segnato a 133° per il punto d’ebolli- 
zione del pirrolo. Weidel assieme ad uno di noi trovò 126°,2 (tempera- 
tura non corretta) a 746,5 m. (Berl. Ber, XIII, 71). 


896 


del pirrolo, rimanendo inalterata, si resinifica durante l'ebollizione. 
La riduzione del pirrolo è un'operazione molto delicata che ha biso- 
gno d’ essere ancora studiata prima di giungere a trovare un me- 
todo per ottenere abbondanti quantità di alcaloide. 

La via da noi seguìta finora, che in media dà un rendimento 
di 20 °/, della quantità del pirrolo impiegato, tenendo conto del pir- 
rolo che resta inalterato e che si può riottenere, è la seguente: Si 
riscaldano debolmente, in modo però da mantenere sempre un vi- 
sibile sviluppo d'idrogeno, in una serie di palloni muniti d’un ap- 
parecchio a ricadere, 20 gr. di pirrolo, con 400 gr. d’acido acetico, 
della densità 1,06 e 20 gr. di polvere di zinco, e si aggiungono an- 
cora in intervalli di circa 8 ore altri 20 e poi altri 10 gr. di pol- 
vere di zinco. Il liquido che da principio è scolorato diviene sem- 
pre più giallo fino che alla fine dell’operazione— dopo 24 ore circa 
di ebollizione -- esso è di un giallo ranciato carico. Per raffredda- 
mento, o per meglio dire, auando cessa lo sviluppo d'idrogeno, il li- 
quido diventa verde, e mantiene questo colore anche se lo si riscalda 
fino all’ebollizione; il coloramento verde sparisce ed il liquido riprende 
subito il suo colore giallo se lo si riscalda in presenza di polvere 
di ziuco. 

Dopo 24 ore il contenuto dei palloni è quasi tutto solido per 
lacetato di zinco che si separa. Per allontanare l'eccesso dell’ acido 
acetico ed il pirrolo rimasto inalterato , è conveniente di distillare 
la parte liguida a pressione ridotta e a b. m.; il residuo è una massa 
solida grigia e verde che racchiude in sè l’eccesso della polvere di 
zinco. Il distillato è scolorato, diviene però in breve verdastro e poi 
bruno. Si può facilmente riavere da quest’ultimo il pirrolo rimasto 
inalterato, saturando con potassa o soda ed estraendo con etere. Si: 
riottiene così circa 40 °/ del pirrolo impiegato; si può anche, seb- 
bene con minore vantaggio, rimettere a bollire il distillato con nuove 
quantità di polvere di zinco. 

Il residuo solido rimasto indietro si scioglie facilmente nell'a- 
qua, e la soluzione verde, che ricorda pel suo colore le soluzioni 
di ossido di cromo, viene separata per decantazione dall’ eccesso di 
zinco. La soluzione che è limpida da principio diviene torbida con 
lo stare esposta all'aria e prende un colore bruno ; trattandola con 
acido cloridrico si ottiene un precipitato biancastro che per ebolli- 
zione sì trasforma in una resina simile al rosso di pirrolo. Il pre- 
cipitato biancastro quando è secco forma una polvere grigio-violetta 
che facilmente si altera all’ aria diventando bruna , e che contiene 
zinco. Anche il residuo. insolubile nell’acqua non è formato solamente 











897 


dall' eccesso di polvere di zinco inalterata , ma contiene pure una 
materia resinosa solubile nell’alcool. 

Queste sostanze resinose, che somigliano al rosso di pirrolo e 
che probabilmente si formano, sebbene meno copiosamente , riscal- 
dando il pirrolo solo con acido acetico , si prestano poco ad essere 
studiate, massima in causa dalla loro grande alterabilità. Il liquido 
verde venne perciò, senza tener conto di queste materie, trattato in 
conveniente diluizione con acido solfidrico per liberarlo dallo zinco, 
ed il liquido filtrato dal solfuro di zinco, svaporato con aggiunta di 
acido cloridrico fino a secchezza. Si riprende il residuo bruno e re- 
sinoso con acqua e si distilla aggiungendo un eccesso di potassa in° 
una corrente di vapor acqueo. Durante la distillazione si sviluppano 
grandi quantità di ammoniaca. Il distillato venne saturato con un 
eccesso di acido cloridrico e portato a secco per distruggere le ul- 
time tracce di pirrolo, indi il residuo sciolto in poca acqua trattato 
con un forte eccesso di potassa solida e distillato nuovamente, rac- 
cogliendo separatamente le prime porzioni che contengono quasi 
tutto l’alcaloide. Trattando questo liquido con potassa solida si se- 
para un olio mentre si sprigionano nuove quantità di gas ammo- 
niaco che vi erano disciolte. L’olio separato dall'acqua e seccato per 
ebollizione con potassa solida fusa di fresco, passa quasi completa- 
mente fra 90 e 91°. Il nuovo alcaloide è solubilissimo nell’ acqua, 
che assorbe anche dall'aria; assorbe inoltre l'acido carbonico formando 
un composto solido, che ‘però diviene liquido nuovamente per deli- 
quescenza. 

Non ci è stato possibile di ottenere: numeri esatti analizzando 
la base libera, anche dopu averla ripetutamente distillata sulla po 
lassa fusa, e ciò probabilmente perchè è molto difficile di allontanare 
le ultime tracce di ammoniaca che essa contiene fino dalla sua pre- 
parazione e che vi rimangono disciolte, causa il suo poco elevato 
punto di ebollizione.—Ci siamo perciò risolti di preparare il cloridrato 
facendo passare una corrente di acido cloridrico secco in una solu- 
zione della base in etere anidro. Si ottiene subito un precipitato 
bianco polveroso, che si separa dall’etere per filtrazione e che si fa 
cristallizzare dall’alcool: assoluto, dopo averlo seccato nel vuoto. Il 
cloridrato del nuovo alcaloide è deliquescente, si scioglie facilmente 
nell'alcoo! bollente dal quale si separa per raffreddamento in forma di 
prismi appiattiti. Il composto cristallizzato dall'alcool venne ridisciolto 
a freddo in una maggior quantità di questo solvente ed indi pre- 
cipitato frazionatamente con etere anidro. Le ultime frazioni diedero 
all’analisi i seguenti numeri. Le analisi sono fatte col cloridrato sec- 
cato nel vuoto sull’acido solforico fino a peso costante. 


898 

I. gr. 0,8522 di materia diedero gr. 0,5907 di CO, e gr. 0,2531 
di OH,. 

II. gr. 0,7569 di materia dettero gr. 1,2695 di CO, e gr. 0,5249 
di OH,. 


In 100 parti: 
calcolato per 
trovato : C4H7NHCI e C4HgNHCI 
I Il 
CC 45,74 45,79 45,50 44,65 
H 7,99 7,74 6,58 9,30 


Il cloridrato fonde a 173°-174°. L'alcaloide riottenuto dalle ulti- 
me frazioni analizzate del cloridrato, precipitato con etere dalla so- 
luzione alcoolica , bolle costantemente a 90°-941° a 150,5 mm. (co- 
lonna tutta nel vapore). 

Dalle analisi del cloridrato risulta che la nuova basc ha la for- 
mola: « C,H,N. » 

Essa è dunque un pirrolo biidrogenato; composto che noi chia- 
meremo « Pirrolina » per accennare così alle sue proprietà tanto 
diverse da quelle del pirrolo, ciò che non sarebbe egualmente e suf- 
ficientemente espresso dal nome diidropirrolo. 

It cloroplatinato di pirrolina [(C,H,NHCI),.PtCI,] si ottiene trat- 
tando la soluzione del cloridrato acidificato con acido cloridrico, con 
cloruro di platino, in forma di un precipitato cristallino giallo ran- 
ciato. Esso è poco solubile nell’ acqua fredda, si scioglie facilmente 
nell’ acqua bollente e si separa subito per raffreddamento in grossi 
cristalli. Trattando una soluzione molto diluita del cloridrato con 
cloruro di platino si ottengono dopo qualche tempo dei cristalli bene 
sviluppati che furono studiati cristallograficamente dall'ingeguere si- 
gnor G. La Valle, il quale ebbe la gentilezza di comunicarci quanto 
segue : 


; $99 
« Sistema cristallino: Triclino. 


« Costanti: a:b:c — 1,65804 ; 4: 1,58870 
Fig. 1° 
Joo 
«an 73°28’ E= 7294/86" 
«B= 86° 8’ n= 99° 8/68" 





« y=105°46'26''7 = 108°30/16" 





144 


: 004 
« Sfaldatura difficile (400). 







Oil 


Misurati 


78° 25) 


45° 43! 
25° 50! 
35° 4 
44° 29! 
44° 44' 
45° 30’ 
48° 36’ 
40° 23' 
48° 28! 
49° 49' 
441° 26' 


26° 57’? 
45° 39! 


‘ Calcolati 


45° 47! 
25° 85 
35° 415! 
45° 26' 
48° 31! 
40° 84' 


49° $9! 


41° 27 


25° $2 


« Forme dsservate:(004),(400), 
1390 « (040), (401), (404), (O14) , 
« (043), (440), (444), (474) 

« Combinazioni: idem (Fig.2). 


400 ) , 

« Colore giallo miele. 

« Dicroismo mediocre. 

« La estrema piccolezza dei cristalli, avendo i misurabili la Jun- 
ghezza di poco più di un millimetro e lo spessore di meno di mezzo 
millimetro, non ha permesso le osservazioni ottiche. 

« In quanto all’abito dei cristalli, essi si presentano costante- 
mente allungati secondo l’asse delle y, ed appiattiti secondo |’ asse 
delle 3. Il pinacoide (004) è la faccia più sviluppata ». 

Il cloroplatinato di pirrolina cristallizza senz'acqua di cristalliz- 
zazione e l’analisi del sale seccato nel vuoto sull’acido solforico diede 
i seguenti numeri: . 

I. gr. 0,3640 di sostanza diedero gr. 0,1348 di platino. 

Il. gr. 0,4759 di materia diedero gr. 0,8086 di CO, e gr. 0,1942 
. di OH,. 


trovato calcolato per 
| Il (C4H;NHCI)sPtC, 
Pt 35,79 — 85,82 
Cc — 17,40 17,45 
H — 3,18 2,94 


Le seguenti reazioni dimostrano che Ja pirrolina é una amina 
secondaria. 


Azione ‘del joduro di metile sulla pirrolina 


Noi abbiamo impiegato per queste esperienze la base riottenuta 
dal cloridrato analizzato. 

Il joduro di metile agisce molto violentemente sul nuovo alca- 
loide; si fa perciò gocciolare un eccesso di joduro di metile in una 
soluzione di pirrolina in alcool metilico in un apparecchio a rica- 
dere, munito di una piccola colonna di mercurio. li liquido si ri- 
scalda fino all’ ebollizione, ‘per rendere completa la reazione si 
riscalda in ultimo per qualche tempo a b. m. Si distilla l’alcool 
metilico e I’ eccesso di joduro di metile, ed il residuo solido 
. viene fatto cristallizzare dall'alcool assoluto bollente. Per raffredda- 
mento si separano bellissime squame incolore, di splendore madre- 
perlaceo , che fatte cristallizzare ancora due a tre volte dall’ alcool 
bollente e seccate nel vuoto diedero analizzate, numeri che corri- 
spondono colla formola del joduro di dimetilpirrolilammonio. 

gr. 0,8565 di materia dettero 0,4221 di CO, e gr. 0,1847 di OH,. 

In 400 parti: 

trovato calcolato per CqHgNCHsg.CHgl 
C 32,28 | : 32,00 
H 8,75 5,33 


404 

Questo composto ha tutte le proprietà caratteristiche dei ioduri 
degli ammoni-composti; la sua soluzione acquosa non viene scom- | 
posta dallit potassa, anzi questa separa dall’ acqua il ioduro inalte- 
rato. È molto solubile nell'acqua, solubile pure nell’ alcool bollente, 
ma quasi insolubile nell’ alcool freddo. Fonde scomponendosi ver- 
so 286°, " 

Trattato col cloruro argentico, precipitato di fresco, in soluzione 
acquosa si ottiene il cloruro corrispondente che è solubilissimo nel- 
l'acqua e nell’alcool. La soluzione acquosa del cloruro di dimetilpir- 
pirrolilammonio non dà un precipitato col cloruro di platino anche 
se è concentrata, però se ne ottiene subito uno, in forma d’una pol- 
vere giallochiara, aggiungendovi un poco d' alcool. Lasciando stare 
la soluzione per qualche giorno, il precipitato polveroso si trasforma 
in lunghi e grossi aghi giallo-ranciati che sono il cloroplatinato con 
acqua di cristallizzazione. Le deter:ninazioni di acqua fatte col sale 
proveniente da diverse preparazioni, dfedero, determinando l’acqua 
nei cristalli seccati prima sul cloruro di ‘calcio e poi nel vuoto sul- 
l’acido solforico e a 105°, numeri diversi, di guisa che noi non pos- 
siamo decidere con quante molecole d’acqua cristallizzi questo sale; 
le analisi fatte colla sostanza seccata a 105° fino a peso costante, 
diedero i seguenti numeri. 

I. gr. 0,1728 di materia dettero gr. 0,0556 di Pt. 

II. gr. 0,4665 di materia dettero gr. 0,4092 di CO, e gr.0,1705 
di OH, 


trovato calcolato per la formola 
I II (CeHigNCI)sPtCh, 
Pt 32,17 — 82,54 
C — 23,92 23,76 
H —_, 4,04 . 3,92 


Trattando la soluzione del ioduro del dimetilpirrolilammonio con 
ossido d’argento si otttiene una soluzione senza odore, fortemente 
alcalina che si può svaporare quasi fino a secchezza senza che si 
scomponga; distrilando il residuo, il liquido diventa bruno e comin- 
cia a scomporsi emettendo vapori d’un alcaloide che si condensano 
in un liquido incoloro o lievemente giallo, poco solubile nell’ acqua 
e d'un odore penetrante, pungente, che somiglia a quello degl’isoni- 
trili. Esso si scioglie nell’acido cloridrico, formando una soluzione 
colorata in giallo. Una simile scomposizione avviene distillando di- 
rettamente il ioduro con potassa solida. Questo comportamento del- 
l'ossidrato e del ioduro di dimetilpirrolilammonio, ricorda quello del 


54 


402 


ioduro e dell’ossidrato del metilpiridilammonio studiato recentemente 
da Hofmann (1). 

Le soluzioni madri dalle quali si ottennero i cristalli descritti 
contengono ancora un altro sale più solubile nell’alcool, che si ot- 
liene în forma di aghi o prismi svaporandole fino a secchezza. Il 
residuo venne sciolto nell'acqua e la soluzione distillata con potassa. 
Si ottiene un liquido dal quale mediante la potassa solida si separa 
un olio, che dopo essere stato seccato distilla fra 87° e 94°. Tra- 
sformato in cloridrato e trattato frazionatamente con cloruro di pia- 
tino, le singole frazioni analizzate, diedero numeri che dimostrano 
che il liquido è formato quasi esclusivamente di pirrolina inalterata. 

1. Frazione: gr. 0,4626 di materia diedero gr. 0,1645 di platino. 

II. Frazione: gr. 0,1600 di sostanza diedero gr. 0,0566 di platino. 


trovato calcolato per 
I Il, (C4H:NHCI)sPiCI, e (CSHgNHC1)ePtCl, 
Pt 85,56 35,37 85,82 34,08 


L’ azione del ioduro di metile sulla pirrolina avviene dunque 
principalmente secondo la seguente equazione : 


Nitrosopirrolina. 


eo 


Per ottenere il nitrosocomposto dell’alcaloide noi abbiamo trat- 
tato una soluzione di pirrolina in acido solforico diluito colla quan- 
tità calcolata di nitrito potassico. 

Si fa bollire fino che tutta l'anidride nitrosa è allontanata e si 
estrae il liquido con etere. Si può anche saturare con potassa prima 
di agitare con etere, nel qual caso tutta la parte della base rima- 
sta inalterata viene estratta assieme al nitrosocomposto. 

Il residuo etereo è un olio giallognolo che non si può distillare 
a pressione ordinaria perchè si scompone totalmente. Distillando a 
pressione ridotta, passa un olio che si solidifica per raffreddamento 
in una massa di cristalli incolori o tinti lievemente in giallo. 

Per purificare il nitrosocomposto così ottenuto, lo si spreme fra 
carta da filtro e lo si fa cristallizzare dall’ etere petrolico nel quale 
è abbastanza solubile a caldo, ma poco a freddo. Si separa da que- 
sto solvente in forma di aghi senza colore fondenti a 87-88°. 

La nitrosopirrolina dà con fenolo ed acido solforico la reazione 


(1) Berl. Ber. XIV, 1498. 





408 


caratteristica delle nitrosamine; è solubilissima nell’acqua, alcool ed 
etere. ed ha un debole odore aromatico, che si rende più manifesto 
riscaldandola lievemente , riscaldata bruscamente si scompone con 
leggera deflagrazione, lasciando indietro un’aureola di carbone. 
L’analisi diede i seguenti numeri : 
gr. 0,3004 di sostanza diedero gr. 0,5854 di CO, e gr. 0,1658 


di OH,. . 
In 4100 parti: 
trovato calcolato per CQHgN.NO 
C- 48,61 48,98 — 
. H 6,48 6,12 


Il comportamento della pirrolina verso il ioduro di metile e l’a- 
cido nitroso dimostra che essa è una base secondaria della formola: 


« CH,NA > 


Lo studio dei composti idrogenati dei derivati del pirrolo ci 
occupa presentemente. 
Roma. Istituto Chimico. 


Studj sui composti della serie del pirrolo. 
I derivati della pirocolla. 


Quinta memoria di G. L. CIAMICIAN e P. SILBEB. 


I. AZIONE DEL BROMO SULLA PIROCOLLA. 


Facendo agire il bromo sulla pirocolla in soluzione di acido 
acelico glaciale in tubi chiusi , si ottiene oltre a piccole quantita 
d'una sostanza insolubile nell’ acido acetico un miscuglio di mono- — 
bromo e bibromopirocolla (4). 

Queste sostanze insolubili nell’acido acetico glaciale si ottengono 
in grande quantita facendo agire direttamente il bromo sulla pi- 
rocolla. 

(1) Vedi Ciamician e Danesi Memorie della classe di scienze fis. mat. 
e nat. della R. Accademia dei Lincei, III serie: vol. XII, 1882 e Gazz. ch. 
t. XII, p. 28. 


404 


Per ottenere questa nuova sostanza abbiamo riscaldato la piro- 
colla (8 gr. per volta) con un eccesso di bromo in tubi chiusi. Trat- 
tando la pirocolla con bromo, la reazione incomincia già a tempera- 
tura ordinaria ed è accompagnata da uno sviluppo di acido bromidrico; 
quando questo è quasi cessato si chiudono i tubi e si riscaldano 
per alcune ore a b. m. Nell'aprire i tubi si svolge moltissimo acido 
bromidrico; si riscaldano perciò ì tubi aperti ancora un poco a b.m. 
per scacciare l’acido bromidrico ed il bromo eccessivo, ottenendo così 
una polvere gialla che è quasi completamente insolubile in tutti i 
solventi ordinarî. 

Per purificare questa sostanza |’ abbiamo fatta bollire ripcetu- 
tamente con acido acetico glaciale a fine di togliere tutto ciò che vi 
era di solubile in questo solvente. Di fatti mentre in principio il 
filtrato è colorato intensamente in giallo, dopo aver ripetuto diverse 
volte questo trattamento l'acido acetico finisce col restare perfetta- 
mente scolorato. 

La sostanza così depurata è una polvere d’ua colore giallo chiaro, 
apparentemente amorfa , che però non è ancora sufficientemente 
pura; l’analisi seguente dimostra che essa si avvicina nella sua com- 
posizione ad una 

« Tetrabromopirocolla » 

La formola C,)Br,H,N,O, richiede 68,74 9, di bromo, trovato 
65,16 9/ Br. 

Noi abbiamo tentato di purificarla per mezzo della sublimazione, 
ma questo tentativo falli perchè la sostanza si scompone con svi- 
luppo d'acido bromidrico. Si riesce però ad ottenere una tetrabro- 
mopirocolla abbastanza pura, facendola cristallizzare dall’ acido ace- 
tico glaciale , bollente sotto pressione. Noi abbiamo riscaldato una 
piccola quantità di sostanza (0,4 gr.) con molto acido acetico gla- 
ciale a 180°, in tubi chiusi, per 8 ore. L'acido acetico si colora in 
giallo, e una buona parte della polvere amorfa si trasforma in pic- 
coli aghi gialli. Ripetendo |’ operazione una seconda volta con una 
nuova quantità d’ acido acetico glaciale la trasformazione era quasi 
completa e la seguente analisi dimostra che la sostanza così otte- 
nuta era tetrabromopirocolla quasi pura. 

gr. 0,1950 di sostanza diedero gr. 0.2950 di AgBr. 

In 100 parti 


trovato calcolato per C,,H,Br,N,0, 
Br 64,36 63,74 


La tetrabromopirocolla forma piccoli aghetti gialli; è insolubile 





405 


in alcool, etere, toluene, cloroformio, e ngn si scioglie che in pic- 
collissime tracce nell’acido acetico glaciale bollente. Riscaldata a 250° 
incomincia a scomporsi senza avere un punto di fusione. 

Essendo il metodo di purificazione della tetrabromopirocolla, or 
descritto, mollo lungo non potendosi purificare che piccolissime quan- 
tità di materia per volta, ci siamo serviti direttamente del compnsto bol- 
lito ripetutamente con acido acetico glaciale per tentare di ottenere 
l'acido bibromocarbopirrolico corrispondente. 

Si fa bollire la tetrabromopiricolla con potassa fino che si scioglie 
completamente. Il liquido raffreddato viene acidificato con acido sol- 
forico diluito ed agitato con etere. 

Per purificare l'acido ottenuto, lo si scioglie in ammoniaca e si 
tratta la soluzione concentrata un poco a b. m., con clororo baritico. 
Si forma un precipitato bianco che si fa cristallizzare più volte dal- 
l’acqua bollente , dalla quale si separa per raffreddamento in pa- 
gliete splendenti. Dal sale baritico abbiamo riottenuto |’ acido con 
acido solforico ed agitando con etere. 

Il residuo etereo fu fatto cristallizzare ripetutamente dall'acqua 
bollente nella quale è abbastanza solubile, si separa completamente 
per raffreddamento in forma di tavolette leggermente colorate in 
giallo, che sono facilmente solubili nell’ alcool e nell’etere. L’ acido, 
come pure i! suo sale baritico non perdono di peso, seccandoli a 100°; 
riscaldati a 105° si scompongono. 

Dalle analisi del sale baritico e dell’acido libero, risulta che molto 
probabilmente si tratta d’un acido bibromocarbopirrolico, abbenchè 
i numeri non sieno sufficientemente concordanti colla teoria, e ciò 
di certo in seguilo alla difficoltà di ottenere pura la tetrabromopi- 
rocolla in causa della sua insolubilità. 


Il. PERCLORURO DI PERCLOROPIROCOLLA (C,,CI,(Cl,)N,0.) 


Nella memoria già accennata furono descritte tre sostanze, che 
si ottengono dalla pirocolla per azione del pentacloruro di fosforo 
a temperatura elevata. Una di queste sostanze ha' la formola 
CioClgN,0, e fu chiamata percloropirocolla, le duc altre hanno le 
formole CioHioNs0 e C.CI.NO. Quest'ultimo corpo la di cui formola 
C;CI,NO non è che l'espressione più semplice della sua composizione, 
attirò già allora |’ attenzione degli autori avendo esso la singolare 
proprietà di svolgere ammoniaca per ebollizione con potassa , tra- 
Sformandosi in un acido privo d'azoto. Questo comportamento tanto 
diverso da quello di tutti gli altri derivati della pirocolla fece ua- 


406 


scere allora negli autori,il dubbio , che il composto C,Cl,NO non 
fosse più un derivato del pirrolo nel senso stretto della parola. 

Le ricerche che pubblichiamo ora ci sembrano alte a dissipare 
una tale incertezza e noi crediamo che questa sostanza sia una per- 
cloropirocolla con 8 atomi di cloro addizionati, che abbia in analo- 
gia con tutti gli altri derivati alogenati della pirocolla la doppia for- 
mola « C,o01,,N30; », e che debba dunque riguardarsi come un 


« Octocloruro » 0 « Percloruro di percloropirocolla [C, Cl,(Cl,)N.Og].- 


Prima di descrivere la reazione che ci condusse a questo risul- 
tato vogliamo fare alcune osservazioni sul modo di preparare que- 
sta sostanza. Per procurarci le necessarie quantità di materia, ab- 
biamo preparato la percloropirocolla seguendo il metodo già noto, 
vogliamo aggiungere soltanto , che da 10-gr. di pirocolla si otten- 
gono 48 gr. di percloropirocolla pura, e che sperso il corpo della 
formola €,,Cl,)N,0, si forma in quantità molto più piccole di quelle 
accennate nella memoria citata. Da 10 gr. di percloropirocolla si ot- 
tengono poi, riscaldandola di nuovo con pentacloruro di fosforo, 6,5 
gr. di percloruro di percloropirocolla, riottenendo circa 2 gr. di per- 
cloropirocolla rimasta inalterata. Noi abbiamo inoltre osservato che 
in questa operazione si formano spesso assieme al percloruro di 
percloropirocolla, piccole quantita del composto C,oCljgN:0, dal quale 
però si separano facilmente nel seguente modo. Si scioglie il mi- 
scuglio, già purificato (41) per cristallizzazione dall’acido acetico gla- 
ciale bollente, a freddo nell’etere e si lascia svaporare spontaneamente 
la soluzione in un cristallizzatore a fondo piatto. Si ottengono così i 
grossi cristalli cuboidi del percloruro di percloropirocolla che si sepa- 


(1) L’alcool che serve nella preparazione del percloruro di perclo- 
ropirocolla a lavare il prodotto greggio, contiene un poco di una mate- 
ria oleosa che volevamo studiare possedendo una certa quantità di que- 
sto prodotto. A tale uopo abbiamo distillato la più parte dell'alcool a b. 
m. e trattato il liquido distillato con acqua. Si formò una emulsione dell& 
quale si separarono alcune gocce di un olio pesante. Il residuo della di- 
stillazione depose per raffreddamento dei cristalli che furono ben tosto 
riconosciuti per cloruro ammonico. Il liquido separato dai cristalli venne 
distillato con vapor acqueo, e l'olio che passò fu separato dall'acqua e 
riunito a quello ricavato dai distillati alcoolici. Questa materia è un olio 
giallo , più pesante dell’ acqua, ed ha un odore pungente che ricorda 
quello della canfora. Sottoposto alla distillazione esso si è scomposto 
quasi completamente con sviluppo d’acido cloridrico, e ciò ci ha impe- 
dito di continuare questa ricerca. 


407 
rano molto facilmente, meccanicamente, dai prismi appiattiti del com- 
posto €,,Cl,,N.O. I cristalli piccoli che si lasciano indietro, si pos- 
sono separare per ripetute sublimazioni , perchè il percloruro su- 
blima molto facilmente ad una temperatura di poco più di 100°, 
mentre l’altra sostanza non si volatilizza che a temperatura molto 
più elevata. 


I. AZIONE DELL'IDROGENO NASCENTE SUL PERCLORURO 
DI PERCLOROPIROCOLLA 


Per potere scoprire la costituzione di questo corpo abbiamo 
tentato di eliminare il cloro, almeno parzialmente, evitando però di 
farne uscire l’azoto. Siccome l’esperienze precedenti avevano dimo- 
strato che la presenza di un alcali basta ad eliminarlo in forma di 
ammoniaca, ci siamo risolti a studiare l’azione dell'idrogeno nascente 
in soluzione acida. 

Si scioglie a caldo in una storta tubulata con turacciolo sme- 
rigliato, e munita d’un refrigerante ascendente, il percloruro di per- 
cloropirocolla nella quantità necessaria di acido acetico glaciale , si 
aggiunge tanta acqua fino che la sostanza incomincia a precipitare, 
e sì introduce una quantità corrispondente di polvere di zinco. In- 
comincia subito una viva reazione che si manifesta cen un forte 
svilpupo di gaz. Oltre all’eccesso dell’idrogeno si svolgono pure grandi 
quantità di acido carbonico. Quando cessa la reazione spontanea, si 
continua a mantenere, con debole riscaldamento, il liquido in ebol- 
lizione per circa 8 ore. Ad operazione terminata si diluisce il con- 
tenuto della storta con acqua e si distilla in una corrente di vapore. 
Passa un olio che si solidifica formando una massa bianca e cri- 
stallina, che ostruisce facilmente il refrigerante. La nuova sostanza 
viene separata dal liquido acquoso per filtrazione e lavata con acqua; 
il filtrato, che contiene oltre all’acido acetico ancora notevoli quan- 
tità della sostanza solida, viene distillato una seconda volta con vapor 
acqueo. Si ottengono così da 6 gr. di percloruro, circa 2 gr. del 
nuovo corpo, che si purifica facilmente dopo averlo seccato nel vuoto 
sul cloruro di calcio, facendolo cristallizzare un paio di volte dall’e- 
tere petrolico bollente. Per raffreddamento si ottengono laminette 
senza colore, che seccate nel vuoto sul cloruro di calcio diedero al- 
l'analisi i seguenti numeri: 

I. gr. 0,3220 di sostanza diedero gr.0,2790 di CO, e gr.0,0270 
di OH,. 

II. gr. 0,1600 di sostanza dettero gr. 0,4460 di AgCl. 





ee ea 


408 . 
III, gr. 0,2455 di sostanza svolsero 14,5 c.c. di azoto misurato 
a 9° e 767 mm. 

In 100 parti : 





trovato calcolato per C,Cl,HN 
I II I 
C 23,63 — — 23,44 
H 0,98 — — 0,49 
Cl — 69,94 -- 69,27 
N — — 7,41 68,2 
100,64 100,00 


Dall’ analisi risulta che il composto ottenuto dal percloruro di 
percloropirocolla per azione dello zinco ed acido acetico, ha la for- 
mola del . 

« Tetracloropirrolo » [«C,CI,NH >], 
e noi crediamo che per le sue proprietà esso debba esser riguar- 
dato come tale. 

Fonde a 110° scomponendosi, è molto solubile nell’alcool e nel- 
l'etere, poco nell’ acqua. Il miglior solvente per ottenerlo cristalliz- 
zato è |’ etere petrolico 4 nel quale si scioglie facilmente a caldo, e 
si separa per raffreddamento in pagliette o laminette lunghe alle 
volte qualche centimetro, d’uno splendore setaceo. 

Il tetracloropirrolo è molto volatile ed ha un odore caratteri- 
stico, che è simile a quello del vapore del tetrajodopirrolo, e mas- 
. sima a quello della soluzione acquosa bollente dell'acido triclorocar- 
bopirrolico; ricorda pure l’odore del tribromofenol. Il tetracloropir- 
rolo è oltremodo alterabile , dopo poco tempo diventa grigio-bruno. 
ed in pochi giorni sì trasforma in una massa nera carbonizzata 
esso si comporta come un debole acido, la sua soluzione in acqua 
od in alcool diluito arrossa debolmente la carta di tornasole; si scio- 
glie nei carbonati e negli idrati alcalini e precipita inalterato per 
aggiunta di un acido. Sciolto nell’ammoniaca dà col nitrato argen- 
tico un precipitato bianco. 

Resiste all’azione dell’ acido cloridrico bollente senza alterarsi, 
ne sciogliersi, viene però completamente ossidato dall’ acido nitrico. 
Il tetracloropirrolo dà coll’ acido solforico concentrato una reazione 
caratteristica, che può servire a scoprirne le più piccole tracce. Esso 
Si scioglie in quest’acido, per lieve riscaldamento, formando una so- 
luzione d’un colore rosso bruno intenso, aggiungendo alcune goccie 
d’acqua si ottiene un bel coloràmento violetto, un eccesso d'acqua 


409 


produce invece un precipitato (o colorazione) verde, che si scioglie 
nella potassa con un coloramento giallo-ranciato intenso. 

Il tetracloropirrolo resiste all’ azione dell’ amalgama di sodio e 
della potassa ‘bollente e polvere di zinco. 

La formazione di tetracloropirrolo dal composto C,g01,N,0, ci 
fa credere che il detto corpo sia ancora un derivato del pirrolo , 
e ci induce a riguardarlo come un percloruro di perdloropirocolla. 
Si può supporre a nostro avviso, che nella reazione descritta, in una 
prima fase del processo, per azione dell'acido acetico acquoso avvenga 
la trasformazione del percloruro di percloropiroccolla in acido tri- 
clorocarbopirrolico tetraclorurato (C,CI:(COOH)[CI,]NH), e che que- 
sto corpo si scinda subito in anidride carbonica ed in tetracloruro 
di tricloropirrolo (C,Cl,H[Cl,|NH) , il quale a sua volta viene tra- 
sformato dall’idrogeno nascente in tetracloropirrolo: 

4) C,.Cl,(Cl, )N,O,-++- 20H, =2C,C1,(COOH)(Cl,)NH 

2) C,Cl,(COOH)(Cl,)NH =CO,+,Cl,A(Cl,)NIT 

3) €,Cl,H(Cl,)NH+-H, =C,Cl,NH-+-3HCl 
oppure riassumendo: 

CoCl,(Cl,)N,O.+-20H,-+2H, = 2C,Cl,NH-+2C0,+6HCI 


2) AZIONE DELL’ACQUA SUL PERCLORURO DI PRRCLOROPIROCOLLA. 
6 

Abbiamo già accennato più sopra , che facendo bollire questo 
composto con potassa , si svolge ammoniaca , e si forma un acido 
. deliquescente. Noi abbiamo studiato l’azione dell’acqua a tempera- 
tura elevata in tubi chiusi, e su questo argomento abbiamo fatto 
nello scorso febbraio, una comunicazione preliminare a | questa Ac- 
cademia. . 

Il percloruro di percloropirocolla riscaldato con acqua in tubi 
chiusi ad una temperatura di circa 130° si scompone in ammoniaca, 
acido carbonico e cloridrato , ed in una materia che non contiene 
più azoto, la quale è 

« Pacido a- bicloroacrilico » 
ottenuta da Bennet e Hill (1) dall’acido mucoclorico. 

Riscaldando 4 gr. del composto C€,,Cl,,N,0, con circa 20 gr. di 
acqua per 6 0 7 ore, in tubi chiusi a 130°, si ottiene una soluzione 
perfettamente scolorata. Nell’aprire i tubi si svolge un gas, che fu 
ben tosto riconosciuto per acido carbonico. Il liquido, trattato ripe- 
tutamente con etere cede a questo |’ acido «- bicloroacrilico mentre 


(1) Berl. Ber. XII, 655 
52 


440 


la soluzione acquosa contiene ancora acido cloridrico libero, cloruro 
ammonico ed alcune tracce di materia organica che abbiamo tra- 
scurate. 

L’acido che si ottiene per svaporamento dell'estratto etereo, e 
che si fa cristallizzare una o due volte dall'acqua , ha la composi- 
zione e tutte le proprietà dell’acido x bicloroacrilico descritto da Ben- 
nett e Hill. fisso forma dei piccoli prismi che sono facilmente so- 
lubili nell'acqua, nell’etere e nell’alcool mentre si sciolgono più dif- 
ficilmente nel benzolo e nel solfuro di carbonio freddi. Esso fonde, 
conformemente a ciò che dissero gli autori già citati, a 85°-86°. 

I. gr. 0,8845 di materia diedero gr. 0,3160 di CO, e gr. 0,0490 
di OH,. | 

Il. gr. 0,1565 di sostanza dettero gr. 0,84170 di AgCl. 

In 100 parti: 


trovato calcolato per la formola 
I II C3ClsHs0o 
C 26,77 — 25,53 
H 4,64 — 4,42 
cad — 50,09 50,395 


Anche i sali baritici ed argentico dell’ acido da noi ottenuto 
hanno precisamente le proprietà descritte dai due autori inglesi. 

Il sale baritico cristallizza in scagliette con una molecola d’ac- 
qua, che perde sotto i 100°. 
gr. 0,3760 di materia disseccata sull’ acido solforico perdettero 
a 100° gr. 0,0150 di OH,. 

In 100 parti: 


trovato calcolato per (CgHC1l,0,),.Ba-+-,0 
H,O 3,99 444 


gr. 0,8555 di sale baritico deacquificato a 100° dettero gr.0,1995 
di BaSQ,. 


trovato calcolato per (CsHCl,0¢2)eBa 
Ba 32,99 32,85 


Il sale argentico si ottiene facilmente, precipitando la soluzione 
acquosa dell’acido col nitrato d'argento, in forma di lunghi aghi fi- 
nissimi, che si possono far cristallizzare dall’ acqua boliente senza 
che subiscano alterazione alcuna. | 

trovato calcolato per C3ClsH0;)Ag 
Ag 48,22 43,55 - 








Ait 
La trasformazione del percloruro di perloropirocolla in acido « 
bicloroacrilico per azione dell’acqua, può essere rappresentata dalla 


seguente equazione: 
C,,Cl,,N,0, +40 OH,=2C,C!,H,0,+ 10 HCI+-2NH,+-4C0,. 


8. AZIONE DELL’ACIDO ACETICO DILUITO SUL PERCLORURO 
DI PERCLOROPIROCOLLA. 


® 


La reazione or descritta rappresenta una scomposizione troppo 
profonda, della -pirocolla ed in seconda linea dell’acido carbopirrolico, 
da poter bastare da se sola a delle considerazioni teoretiche, abhen- 
chè la formazione di un acido che si ottiene in modo simile dal- 
l'acido piromucico, sia un fatto degno di speciale considerazione. 

Noi abbiamo studiato perciò i prodotti che si ottengono con una 
reazione più moderata, impiegando, cioè invece dell’ acqua a 130°, 
una soluzione bollente d’acido acetico diluito. 

Si riscaldano in una storta nel modo già indicato prima, 5 gr. 
di percloruro di percloropirocolla per volta, sciolti nella quantità ne- 
cessaria di acido acetico glaciale, aggiungendo tanta acqua, fino che 
nella soluzione acetica bollente incomincia a prodursi un precipi- 
tato. Dopo poco tempo si nota un abbondante sviluppo di anidride 
carbonica , al quale tien dietro, quando il primo è quasi cessato , 
uno sviluppo di acido cloridrico. Dopo circa 4 ore di ebollizione, il 
cessare dello svolgimento di acido cloridrico segna la fine della rea- 
zione. Si distilla il contenuto della storta a pressione ridotta a b.m. 
e si ottiene un residuo formato da pagliette lievemente gialle, che 
si fanno cristallizzare alcune volte dall'acqua bollente. Per raffred- 
damento si ottengono dei cristalli bianchi, aghiformi, lunghi da 4 
a 2 cm,, che seccati nel vuoto , diedero all’ analisi i seguenti nu- 
meri : 

I. gr. 0,2690 di materia dettero gr. 0,2885 di CO, e gr.0,0270 
di OH,. 

If. gr. 0,1460 di materia dettero gr. 0,2516 di AgcCI. 

III. gr. 0,2820 di materia svolsero 20,5 c.c. d’ azoto misurato 
a 119,0 e 764 mm. 

In 400 parti: 


trovato calcolato per C,Cl,O.NH 
I Il Hi 
C 28,74 — — 28,94 
H 4,44 — = 0,60 


Cl -- 4968 — 42,77 
N — — 8,67 8,43 


442 

La formola « C,CI,O,NH » risultante dall'analisi è quella d° un 
imide bicloromaleica o biclorofumarica , e difatti il nuovo compo- 
sto ha il comportamento di una imide formando facilmente un com- 
posto argentico ed argentammonico. Svolge ammoniaca belllendolo 
con potassa e sì trasforma in un acido deliquescente. 

La nuova sostanza fonde a 179°, è facilmente solubile nell’ al- 
cool, etere, cloroformio ed acido acetico glaciale; dall'acqua bollente, 
nella quale è abbastanza solubile, cristallizza per raffreddamento in 
lunghi aghi bianchi. La sua soluzione acquosa ha una debole rea- 
zione acida alle carte di tornasole. Trattandola con nitrato argen- 
tico si ottiene dopo qualche tempo un precipitato formato da pic- 
coli aghi. Con nitrato d' argento ammoniacale si ottiene subito un’ 
precipitato bianco del composto argentammonio , solubile nell’ ac- 
cqua bollente, dalla quale cristallizza in aghi senza colore. 

gr. 0,2000 di sostanza diedero gr. 0,1000 di AgCl. 

In 100 parti: 


trovato calcolato per la formola C,Cl,O.N.(AgNHs) 
Ag 37,60 37,24 


Le acque madri dalle quali fu ottenuto il composto descritto 
contengono ancora piccole quantità di un acido clorurato, scevro 
d'azoto e deliquescente, che si ottiene estraendo le acque madri con 
etere. Seccato sull’acido solforico, forma una massa cristallina bianca, 
deliquescente. Il suo sale baritico cristallizza in tavolette quadrate 
e deflagra se viene riscaldato. La piccola quantità di materie non 
ci ha permesso di farne l'analisi. | 

La formazione d’un composto imidico della formola C,CL,0,NH 
dal percloruro di percloropirocolla per azione moderata dell’acqua, sì 
può spiegare colle due equazioni seguenti : 


II. C,CI,H(Cl,)NH+-2H,0 =C,Cl,0,NH-+5HCI. 


oppure riassumendo: 


Le piccole quantita di materia delle quali disponevamo in causa 
della lunga e difficile preparazione della pirocolla, non erano tali da per- 
mettere di stabilire direttamente la natura del composto C,CI,O,NH; 
partendo però dall'idea che esso fosse un’imide biclorofumarica ab- 
biamo tentato, non essendo noto nessuno di questi due composti , 
di otfenerli facendo agire il cloro sullimide succinica , incoraggiati 








443 


del fatto che Kisielinski (1) ottenne assieme ad altre sostanze |’ i- 
mide monobromofumarica, appunto dall’imide succinica frattandola 
con bromo. 

L’esperienza ha confermato le nostre previsioni , e noi siamo 
stati in grado di stabilire l'identità del composto proveniente dalla 
pirocolla con quello ottenuto dall’imide succinica. 

Si riscaldano 50 gr. di imide succinica, seccata nel vuoto sul- 
l'acido solforico, in un pallone di un litro, in un bagno ad olio a 
160°-170°, e si fa passare mediante un tubo che pesca nella massa 
fusa, una lenta corrente di cloro secco. Incomincia subito un forte 
sviluppo di acido cloridrico, e dopo 8 ore circa , le pareti del pal- 
lone che rimangorto fuori dell’olio si ricoprono d’uno strato di cri- 
stalli. Questa sublimazione però è effimera e ritorna a fondersi per 
dar luogo ad una seconda sublimazione che si forma più tardi, 6 
che è molto più abbondante. Dopo circa 20 ore lo sviluppo d'acido 
cloridrico è molto diminuito e si interrompe |’ operazione. È van- 
taggioso di trattare separatamente la parte bianca e cristallina del 
prodotto, che è sublimata alle pareti superiori del pallone , dal re- 
siduo fuso che rimane al fondo in forma d'una massa bruna e resinosa. 
Si rompe perciò il pallone, si tratta la parte sublimata (47 gr. da 50 gr. . 
di imide succinica) con acqua e si estrae con etere. L'estratto etereo 

. viene fatto cristallizzare dall'acqua bollente. Dorante questa opera- 
zione si notò sempre una forte effervescenza del liquido, che emana 
un’odore molto pungente. La soluzione è intensamente gialla e tinge 
facilmente la pelle, per raffreddamento si ottiene un’abbondante cri- 
stallizzazione formata da aghi e pagliette. È molto facile di separare 
queste due sostanze in causa della loro diversa solubilità nell'acqua. 
Dopo due o tre cristallizzazioni dall'acqua bollente sì ricsce ad avere 
solamente il corpo cristallino in aghi, mentre | altro resta sciolto 
nelle acque madri. 

Il composto così ottenuto (18 gr. da 50 di succinimide) cristal- 
lizza in aghi bianchi, lunghi alle volte da 10 fino a 15 cm., fonde 
a 179° ed è in tutto identico a quello testé descritto, proveniente 
dal percloruro di percloropirocolla. 

I. gr. 0,4868 di materia diedero gr. 0,4686 di CO, e gr. 0,0897 
di OH,. | 

II. gr. 0,5408 di materia diedero gr. 0,5726 di CO, gr. 0,0886 
di OH,. 


(1) Sitzungsberichte der Akademié der Wissenschaften. Wien Bd. 74, 
Il Abth. pag. 561. " | 


444 


III. gr. 0,1796 di materia diedero gr. 0,8080 di AgCl. 
In 100 parti: 


trovato calcola per C,ClsOsNH 
I, II Il 
C 28,94 28,88 — 28,94 
H 4,04 0,79 — 0,60 
cl — —_ 49,42 42,77 


Esso dà un precipitato cristallino col nitrato d'argento; trattando 
la sua soluzione acquosa col nitrato argentico ammoniacale si ot- 
tiene un precipitato bianco, formato da piccoli aghi, che è il com- 
posto argentammonio [C,CL,O,N.NH,Ag]. 

I. gr. 0,2768 di sostanza seccata nel vuoto sull’ acido solforico 
svolsero 24 cc. d'azoto misurato a 20° e 754 mm. 

II. gr. 0,8844 di sostanza dettero gr. 0,1666 di AgCl. 


trovato calcolato pe C4ClsOsN.NHsAg 
I II 
N 9,80 —_ 9,65 
Ag — 87,50 87,50 


Ii composto « C,CI,O,NH ». per la sua composizione e per la 
. sua provenienza non può essere altro ehe un imide bicloromaletca 
o biclorofumarica. Per ragioni che esporremo più sotto noì cre- 
diamo che esso sia con molta probabilità l'imide dell'acido bicloro- . 
maletco. 

Le acque madri dalle quali fu ottenuto il corpo descritto con- 
tengono ancora come si è detto un’altra sostanza più solubile nel- 
l'acqua, che cristallizza in pagliette. Per ottenerla si agitano le ac- 
que madri cun etere, e si fa cristallizzare l’estratto etereo dal clo- 
roformio fino ad ottenere un punto di fusione costante. Il compo- 
sto così ottenuto è colorato ancora un poco in giallo, e si purifica 
facilmente facendolo sublimare. Esso forma grandi pagliette senza 
colore, splendenti, che fondono a 184°. 

La loro composizione é quella d’ un imide monoclorofumarica 
(0 ‘monocloromaleica). 

I. gr. 0,2404 di materia dettero gr. 0;2624 di AgCl. 

JI gr 0,2942 di materia diedero gr. 0,8910 di CO, e gr. 0,0450 


di OH,. 
In 400 parti: 
trovato calcolato per C,CIHO,NH 
I II 
C — 36,23 36 ,50 
H — 1,69 1,52 


Cl 26,99 — 26,99 














445 


Questo composto è solubile nell’acqua, nell’etere, nell’ alcool e 
nel cloroformio bollente, dal quale cristallizza per raffreddamento in 
forma di squamette. Col nitrato d’ argento si: ottiene dopo qualche 
tempo un precipitato cristallino, con nitrato d'argento ammoniacale 
si forma istantaneamente un precipitato bianco di piccoli aghi. E 
volatile ed il sun vapore e la soluzione bollente , hanno un odore 
pungentissimo che attacca le mucose. Trattando questa imide nuo- 
vamente con cloro nel modo descritto prima, si ottiene I’ imide bi- 
cloromaleica fondente a 179°; di questo comportamento abbiamo ap- 
profittato per procurarci maggiori quantità di quest'ultima sostanza 
che era per noi la più interessante. 

Il residuo resinoso suaccennato, che resta in*fondo al pallone, 
contiene anche esso piccole quantità dei due composti descritti, che 
però non si possono ottenere puri che molto difficilmente. Esso si 
scioglie in acqua formando una soluzione intensamente giallo-bruna 
e contiene inoltre ancora altre sostanze delle quali per ora non ci 
siamo occupati. È nostra intenzione di continuare lo studio dell’a- 
zione del cloro sull'imide succinica in diverse condizioni. 


4. AZIONE DELLA POTASSA SULL'IMIDE « C,CL,O,NH >. 


Facendo bollire questa imide colla potassa , si svolge ammo- 
niaca e si ottiene un acido deliquescente. Si continua I’ ebollizione 
fino che cessa lo sviluppo di ammoniaca e si estrae con etere il li- 
quido acidificato con acido solforico diluito. Lo estratto etereo è un 
liquido senza colore, molto denso, che posto sull’ acido solforico si 
solidifica formando una massa cristallina bianca, che lasciata esposta 
all'aria va presto in deliquescenza, Il nuovo acido è pure molto so- 
lubile nell’etere e nell'alcool, ma è insolubile affatto nel benzolo an- 
che bollente. Riscaldandolo in un tubicino si ottiene un sublimato 
che non si scioglie nell'acqua che molto lentamente. 

La soluzione acquosa del nuovo acido dà un precipitato bianco 

e cristallino col nitrato d’argento ; se la soluzione è diluità il sale 
argentico cristallizza io aghi sottili. 

Esso ha la formola « C,Cl,H,0, » come lo dimostra l’analisi del 
sale argentico: 

gr. 0,4288 di materia seccata nel vuoto sull’acido solforico die- 
dero gr. 0,8064 di AgCl. 

In 100 parti: 

trovato calcolato per C,Cl,Q,Ag, 
Ag 58,77 54,14 


416 


Il sale argentico è solubile nell’acqua bollente e cristallizza per 
raffreddamento; deflagra vivamente se viene riscaldato. 

Il composto che si forma dall’ acido C,Cl,H,0, per azione del 
calore è l’anidride corrispondente. Per ottenerla si distilla |’ acido 
in una corrento di anidride carbonica. Da priocipio passa una s0- 
luzione acquosa dell'acido, ed indi distilla, con parziale sublimazione, 
una sostanza che si solidifica nel collo della storta, e che si puri- 
fica per sublimazione. Essa forma delle fogliette senza colore che 
fondono a 4119-120°, è molto solubile nell’alcool, nell’etere, nel ben- 
zolo e nel solfuro di carbonio; nell'acqua non si scioglie che molto 
lentamente trasformandosi nuovamente nell’acido. 

I. gr. 0,84102 di materia seccata nel vuoto sull’ acido solforico 
diedero gr. 0,3246 di CO, e gr. 0,0140 di OH,. 

II. gr. 0,2292 di materia dettero gr. 0,3984 di AgCl. 

In 100 parti: | 


trovato calcolato per C4Clg0s 
I Il 
C 28,58 — 28,74 
H 0,48 — 0,00 
ad — 42,45 42,54 


Le proprietà ed il comportamento dell'acido descritto somigliano 
tanto a quelle dell'acido bibromomaleico , che si ottiene dall’ acido 
mucobromico (4), che noi crediamo assai probabile che il nostro 
composto sia l'acido bicloromaleico piuttosto che l’acido biclorofuma- 
rico, perciò crediamo pure che l’imide « C,CI,O,NH » debba essere 
riguardata come imide bicloromaleica. 

É inoltre fuor di dubbio che l'acido deliquescente che si forma 
assieme all’imide, per |’ azione dell’ acido acetico diluito sul perclo- 
raro di percloropirocolla, sia pure l’istesso acido bicloromaleico. 

Finalmente è da notarsi che l’acido deliquescente, già più volte 
accennato , che fu ottenuto dal percloruro di percloropirocolla per 
ebollizione con potassa (2), deve con grande probabilità, essere iden- 
tico a quello or descritto. Un’analisi del composto che si ottiene per 
sublimazione di quell’acido , che venne fatta allora, ma che non è 
stata ancora pubblicata, concorda sufficientemente coi numeri richie- 
sti dall’anidride bicloromaleica. 

gr. 0,2834 di sostanza seccata nel vuoto sull’acido solforico die- 
dero gr. 0,2986 di CO, e gr. 0,0118 di OH,. 


(1) HiH. Berl. Ber. XIII. 736. 
(2) Ciamician e Danesi. Vedi Memoria citata. 


417 


In 400 parti: 
trovato calcolato per C,Cl,03 
C 28,49 — 28,74 
H 0,50 — — 


5. AZIONE DELL'ACQUA SULL IMIDE BICLOROMALEICA 


Dalle esperienze or descritte risulta che il percloruro di pér- 
cloropirocolla si trasforma per azione moderata dell’acqua in imide 
bicloromaleica; restava dunque ancora da vedersi se questo ultimo 
composto, riscaldato con acqua in tubi chiusi desse l’acido bieloroa- 
crilico identico a quello ottenuto nello stesso modo dal percloruro 
di percloropirocolla. 

- Riscaldando 2 gr. dell’ imide con 20 cc. di acqua per 8 ore a 
425°, si nota nell’aprire i tubi un forte sviluppo d’anidride carbo- 
nica. Il contenuto dei. medesimi è colorato in giallo c contiene un 
po’ di materia carbonizzata. Si filtra e si estrae il liquido che ha 
reazione acida con etere. L’ estratto etereo è formato da un acido 
che cristallizza dall’acqua in forma di piccoli prismi, esso fonde a 
85°-86° ed ha tutte le proprietà « dell'acido a) bicloroacrilico » di 
Bennett e Hill, che si ottiene pure dalla pirocolla. 

I. gr. 0,2772 di materia diedero gr. 0,2598 di CO, e gr. 0,0422 
di OH,. 

LL gr. 0,1680 di materia diedero gr. 0,8396 di AgCl. 

In 100 parti: 


trovato calcolato per CgA3Cl,0, 
I Il 
C 25,54 — 25,53 
H 4,69 — 1,49 
Cl — 50,00 50.37 


. Il sale argentico, ottenuto trattando la soluzione acquosa del- 
l'acido con nitrato d’ argento , in forma di lunghi, finissimi aghi, 
diede i seguenti numeri; 

gr. 0,1842 di materia dettero gr. 0,1064 di AgCi. | 
In 100 parti: 
trovato calcolato per C4HClsOsAg 
Ag 43,48 48,55 
Nel liquido acquoso è facile di riconoscere la presenza di clo- 
ruro ammonico. La reazione principale avviene di certo secondo la 
seguente equazione: 
0,C1,0,NA-+-2H,0=C,C1,H,0,+-C0,+NH,, 
53 


k48 
e la formazione di acido cloridrico è dovuta ad una reazione se-. 
condaria che produce inoltre la materia c.irbonizzata suaccennata. 


6. SINTESI DEL TETRACLOROPIRROLO. 


La facile trasformazione del percloruro di percloropirocolla in 
imide bicloromaleica ci indusse a tentare la reazione inversa, cioè 
la sintesi del tetracloropirrolo dalla imide per mezzo del pentaclo- 
ruro di fosforo. 

Le nostre esperienze sono state coronate da un buon succcesso 
e noi siamo in grado di dimostrare I identità del tetracloropirrolo 
ottenuto per via sintetica con quello ricavato dalla pirocolla. 

Il pentacloruro di fosforo non agisce a pressione ordinaria sul- 
l'imide bicloromaleica ; riscaldando il miscuglio delle due sostanze 
si ottiene un liquido leggermente giallo, che anche dopo una lunga 
ebollizione, dà per trattamento con acqua l’imide inalterata. Noi ab- 
biamo perciò riscaldato in tubi chiusi a 160°, per 8 ore, 8 gr. di 
imide per volta con circa 12 gr. di pentacloruro di fosforo. Tl con- 
tenuto dei medesimi dopo il riscaldamento, è formato da un liquido 
rosso (alle volte è giallo chiaro) e da un residuo di pentaeloruro 
inalterato. Si versa tutto nell'acqua e si distilla con vapore. Passa 
un olio pesante, d'un odore pungente, che ricorda quello della can- 
fora, e che si rapprende in parte formando una massa semisolida. 

Il residuo della distillazione è giallo e contiene oltre ad un po' 
di materia resinosa, dell’imide rimasta inalterata (o ripristinata) e 
piccole quantità di un acido deliquescente. 

Il distillato venne agitato con etere, e l'estratto etereo , che è 
formato da un liquido oleoso, nel quale nuotano dei cristalli, venne 
senza purificarlo e senza determinare per ora la sua composizione, 
trattato con idrogeno nascente. 

A tale scopo si scioglie il prodotto in acido acetico, e si ag- 
giunge tanta acqua da produrre un precipitato , e della polvere di 
zinco. Incomincia subilo una viva reazione , al finir della quale si 
riscalda debglmente il fiquido per mantenerlo in ebollizione per due 
o tre ore. Indi si diluisce con acqua e si distilla in una corrente 
di vapore. Assieme al vapor acqueo passa un olio, che cristallizza 
nel refrigerante e che separato dall'acqua, seccato e fatto cristallizzare 
dall’ etere petrolico, forma delle laminette senza colore, che fondono 
a 110° scomponendosi cd hanno tutte le proprietà del tetracloropir- 
rolo ottenuto dalla pirocolla. 

gr. 0,3952 di sostanza seccata nel vuoto sul cloruro di calcio 
diedero gr. 0,8430 di CO, e gr. 0,0276 di OH,. 


419 
In 400 parti :, 


trovato calcolato per CCKNH 
C 28,68 23 41 
IH 0,78 0,49 


Finora non abbiamo potuto eliminare il cloro dal tetracloro- 
pirrolo. 
Lo studio di questo compusto sarà continuato. 


7. CONCLUSIONI 


I risultati della presente memoria possono essere contemplati 
da due lati diversi. Io primo luogo essi servono a far risaltare l’a- 
nalogia dell’ acido carbopirrolico (o della sua anidride) con |’ acido 
piromucico, ed in seconda linea mettono il pirrolo ed i suoi deri- 
rivati alogenali in relazione diretta coll’imide dell'acido maleico (o. 
fumarico). . 

Qualunque sia la formola di strultura che si voglia dare alla 
pirocolla , di certo questo composto si comporta come un’ anidride 
(a formola doppia) dell'acido carbopirrolico, e la formola | 

C,H,7 
\CO--- 
é quasi indipendente da qualunque ipotesi. 

È noto che l'acido piromucico si trasforma per azione di ‘un 
eccesso di cloro in presenza dall'acqua in acido mucoclorico, il quale 
secondo le ricerche di Hill non è altro che la monoaldeide dell’acido 

_0H0 
bicloromaleico | 0,01, 

“COOH 
net e Hill che l'acido mucoclorico si scinde colla potassa in acido «) 
bicloroacrilico ed in acido formico. | 

Queste trasformazioni dell'acido piromucico hanno una grande 
analogia col modo di comportarsi della pirocolla da noi descritto, e 
noi credinmo che la seguente comparazione dei prodotti di scompo- 
sizione di queste sostanze non sia priva d’interesse : 


è NH 


_ GA 
* “C00H * "N coon 
ac. carbapirrolico ac. piromucico 


) inoltre è pure dimostrato da Ben- 


420 


N— 
C,C1,(Cl je 7 
ag o 
percloruro di percloropirocolla 
? C,H,(C! 2° 
aHs(CLX \C00C,H, 
--. .  Ktere etilico del tetracloruro dell'acido piromucico 
C,Ci,0,NH C,C!,0,H, 
imide bicloromaleica monoaldeide bicloromaleica 
(ac. mucoclorico) 
C,H,Cl,0, C,H,Ci,0, 
acido «) bicloroacrilico acido «) bicloroacrilico 


Noi crediamo che l’imide maleica o fumarica abbia una grande 
importanza per la sintesi diretta del pirrolo, e le nostre esperienze 
attendono a raggiungere questa meta. 

Roma. Istituto Chimico: 


Sul cloroaurato di trimetilam mina: 


dic. E. ZAY. 


Per ricerche speciali, ho preparato in questo laboratorio, una 
certa quantità di cloroaurato di trimetilammina. Descrivo qui bre- 
‘vemente questo sale, già ottenuto da Vincent (Bull. Soc. chim. (2) 
T. 27, p. 494) ma non descritto. 

Cloroaurato di trimetilammina (CH,),N,HCl+ AuCl,. S'ottiene fa- 
cilmente questo bellissimo sale per doppia decomposizione, ver- 
sando del cloruro aurico (in soluzione concentrata) in una soluzione di 
cloridrato di trimetilammina. Il precipitato cristallino , d’ un color 
giallo , si porta su filtro e si lava con acqua per togliere !’ ec- 
cesso di cloruro aurico, ciò che si opera con perdita, essendo il sale 
alquanto solubile nell'acqua. Meglio riesce lavando con etere, che 
porta via solamente il cloruro d’oro. Il cloroaurato di trimetilammina 
Secco, forma una massa cristallina, d’un bel giallo di cromo, d'odore 
di pesce fracido. Nel vuoto è inalterabile; abbandonato all’ aria, si 
colora lentamente in bruno. Scaldando, l’odore di pesce & più mani- 
festo; a 220° fonde, poi sì decompone: il residuo ultimo è oro me- 
tallico. 





434 

Questo sale è anidro; infatti: 

Gr. 0,8915 di sostanza seccata nel vuoto e su acido solforico , 
scaldati a 100° perdettero solamente 6,004 d’ acqua. 

Il sale, asciuttato nel vuoto e su aeido solforico, diede all’ana- 
lisi i risultati seguenti : 

Gr. 0,4637 di sostanza, calcinati in crogiuolo di porcellana , 
lasciarono gr. 0,2290 d’oro metallico. 


Da cui in 4100 parti: . , 
, trovato calcolato per 
(CH3)}N,HCI-+-AuClgy(Au=196,5) 
Au 49,88 49,82 


Il sale puro è solubile facilmente nell'acqua e nell’alcoole , che 
colura di giallo, ma insolubile nell’etere. 

La soluzione acquosa messa a svaporare lentamente alla tem» 
peratura ordinaria, abbandona dei cristalli ben definiti, trasparenti, 
d'un giallo bruno. Anche il cloroaurato ottenuto in questa maniera 
è anidro: infatti: 

Gr. 0,2630 di sostanza seccata su acido solforico e scaldati a lungo 
a 100° perdettero solamente 0,001 d’acqua. 

Il sale, nelle stesse condizioni, all’ analisi fornì i risultati se- 
guenti : 

Gr. 0,1815 di sostanza calcinati in crogiuolo di porcellana la- 
sciarono gr. 0,0650 di oro metallico, ossia : | 


trovato calcolato 
Au 9%, ‘49,61 49,32 
Torino, R. Università, luglio 1883. 


Azione del cloro sal cimene bollente (1): 


comunicazione preliminare del Dr. GIORGIO ERRERA. 


Facendo agire il cloro sul vapore di cimene, si ottiene un li- 
quido, che dopo parétchie distillazioni frazionate si divide in tre 
porzioni: La prima raccolta sotto i 195° e contenente molto cimene 
inalterato, la seconda bollente da 225°-229°, la terza sopra i 255°. . 


(1) Estratto dalla tesi di laurea. na 


422 


La frazione oltre i 255°, la quale si decompone molto profon- 
damente e rapidamente per l’ebollizione, venne distillata col vapor 
d'acqua. Passò un liquido oleoso, pesante, il quale sembra costituto 
- da un miscuglio di un dicloroderivato con un monocloroderivato del 
cimene. 

La frazione più abbondante bollente da 225°-229° (temperatura 
non corretta) è un liquido più denso dell’acqua, che si decompone 
alla distillazione con sviluppo di acido cloridrico ; all’ analisi diede 
risultati che conducono alla composizione di un monocloroderivato 
del cimene. Esso è anzi cloruro di cumile come mi sono accertato 
comparandolo con quello ottenuto dall’ alcool cuminico per azione 
dell’acido cloridrico (1). Scaldato a ricadere con soluzione di nitrato 
di piombo dà aldeide cuminica la quale alla sua volta ossidata dà 
acido tereftalico ed acido cuminico; questo fu caratterizzato per mezzo 
del punto di fusione e del suo nitroderivato. 

{i cloruro di cumile così ottenuto o quello preparato dell’alcool cu- 
minico si decompongono all’ ebollizione svolgendo acido cloridrico ; 
resta un idrocarburo bollente ad elevatissima temperatura, fluorescente, 
che all'analisi dette risultati concordanti colla formola C,,H,, di un 
derivato dell’antracene. 

Nell'azione adunque del cloro sul cimene bollente, il propile di 
questo si trasforma in isopropile. 

Mi riserbo di continuare questo studio. 

Torino—Laboratorio di chimica della R. Università, luglio 1883. 


Salia saponina dalla fiaponaria officinalis: 


di CESARE SCHIAPARELLI. 


La saponina si riscontra in gran numero di piante, in molte 
Silenee, in alcune Aroidee, Crocifere, Sapiodacee e Mimosee. Sicco- 
me tale glucoside potè essere estratto da molte piante, ebbe dai di- 
versi esperimentatori nomi diversi, come strutiina (dalla Gypsophyla 
Struthium), senegina (dalla Senega poligala), saponina (dalla Sapo- 
naria officinalis). 

Numerose sono le ricerche che furono istituite intorno alla com- 


(1) Paternò e Spica. Gaz. Chim. Italiana 9, 397. 


423 


posizione chimica della saponina e ai suoi prodotti di decomposizione; 
ma fra tutte le analisi fatte non c'è nessuna concordanza, come si 
può arguire dal seguente specchietto : 


Owerbek Bolley Bussy Crowfurt Rochleder Rochleder 

e Payr e Schwarz 
C % 47,34 49,54 50,00 50,72 48,65 52,63 
H » 7,46 6,42 7,40 1,44 6,97 7,48 


Rochleder studiò in modo speciale questa sostanza, ma i risul- 
tati delle ricerche sue, fatte con Schwarz (1853), e con Payr (1862- 
1866-1867) sono molto discordanti fra loro. I due primi dicono che 
l’ idrato di carbonio il quale si genera per le decomposizione cogli 
acidi non è zuccaro d’uva, ma che vi si trasforma per l’azione de- 
gli acidi, e che quindi la saponina non è un glucoside, ma un ami- 
loide. 

Io mi son proposto di studiare se i prodotti estratti dai diversi 
autori da piante differenti ed indicati col nome generico di sapo- 
nina sono identici, tanto più che le analisi sono molto discordanti 
tra di loro. Nella presente memoria sono esposte le ricerche da me 
intraprese sulla saponina dalla Saponaria officinalis. 


PREPARAZIONE E PROPRIETÀ DELLA SAPONINA. | 


Il materiale di ricerca era la radice della Saponaria officinalis; 
disseccata e grossolanamente triturata era fatta bollire con alcool 
a 90°, a ricadere per tre giorni , dopo i quali si separava la deco- 
zione alcoolica bollente e si abbandonava per alcuni giorni in luogo 
fresco , con che sulle pareti si deponeva un abbondante sedimento 
di una sostanza gialla fioccosa, che lavata con alcool e poi fatta di- 
gerire a caldo con un miscuglio di alcoole ed etere, per togliere la 
sostanza colorante, costituisce la saponina greggia, ma molto impura. 
La sua purificazione presenta grandi difficoltà poichè ‘essa ritiene 
con molta tenacità una resina bruna e delle sostanze minerali. 

La purificazione della saponina fu fatta anzitutto dall’alcool a 90 
nel quale si scioglie discretamente a caldo e poco a freddo ; ogni 
volta si trattava la soluzione alcoolica con carbone animale. La sa- 
ponina attenuta dopo cinque trattamenti si presenta come una pal- 
vere quasi bianca , però contenente ancora buona quanlità di so- 
stanze inorganiche. 

La disseccazione del glucoside col calore la operavo colla mas- 
sima cura, poichè alcuni autori attribuiscono la discordanza nei ri- 


424 


sultati dell'analisi ad una incompleta disseccazione oppure ad una 
incipiente decomposizione pirogenica ; disseccavo perciò nel vuoto 
sull'acido solforico, e poi scaldavo a 100°-120° in una corrente di 
aria n di acido carbonico, onde assicurarmi della completa dissecca- 
zione. 

All'analisi si ebbero i seguenti risultati : 

I. gr. 0 225 di sostanza diedero gr. 0,414 di CO, e gr. 0,1547 
di H,0: 

II. gr. 0,8476 di sostanza diedero gr. 0,6431 di CO, e gr. 0,229 
di H,O; 

III. gr. 0,2287 di sostanza diedero gr. 0,4157 di CO, e gr. 0,157 
di H,0; 

IV. gr.0,4497 di sostanza diedero gr. 0,018 di cenere; 

V. gr. 0,247 di sostanza diedero gr, 0,0075 di ceneri: e quindi 
in 400 parti, dedotte le ceneri : 


I Il III IV V 
C 51,88 51,95 54,71 — — 
Ho 1,87 7,53 7,95 — _ 
Cen.ri — — — 9,9 $,03 


Come si vede da tali analisi, coll'alcoole non si riesce ad eli- 
minare le sostanze inorganiche (4). Ricorsi allora alla purificazione 
per mezzo della harite. 

Si scioglie la saponina greggia nella minore quantità d’ acqua 
possibile « si precipita la soluzione fredda con una soluzione satura 
a freddo di idrato baritico; il saponato baritico , lavato con acqua 


(1) Il fatto della presenza di sostanze inorganiche non è un fatto 
isolato, ma pare generale ai glucosidi a struttura complicata (eccetto 
cioè salicina, arbutina, populina, esperidina ecc.). L’ericolina di Rochle- 
der e Schwarz contiene 10,6 (?) % di ceneri, la rubianina di Schunk 
6,5 0/, la senegina di Boiley 1,13 “/ ecc. Le ceneri dalla combustione 
della saponina, all'analisi qualitativa si mostrano composte per la mag- 
gior parte di fosfato di calcio. A me pare che alla presenza di sali inor- 
ganici nei glucosidi complicati debbasi attribuire un po’ più che I im- 
portanza di impurità. Dalle ricerche di Terreil (Comptes Rendus t. LIV, 
p. 1072) risulterebbe che il fosfato di calcio esiste nella pianta in uno 
stato particolare, che è solubile nell’ acqua in favore delle sostanze or- 
ganiche e può facilmente essere trasportato nella circolazione del ve- 
getale. I lavori di Dehérain (Chimie agricole pag. 1150) portano pure 
alla conclusione che il fosfato di calcio è combinato con qualcuno dei 
principi immediati del seme. Pei glucosidi la cosa è facilmente spiega- 
bile poiché eliminandosi acqua tra essi e il fosfato acido di calcio pos- 
sono formarsi delle vere combinazioni. 


° 425 


di barite si mette in sospensione nell'acqua, si decompone con acido 
carbonico si scalda all’ ebollizione per decomporre il bicarbonato e si 
filtra ; la soluzione svaporata a bagno maria a dolce calore, fino a 
consistenza di sciroppo, è precipitata con alcoole*e la saponina an- 
cora giallastra separatasi si depura coll’alcuol a 90. La sostanza così 
ottenuta contiene ancora delle sostanze fisse (sali di bario) e per 
purificarla si scioglie nell'acqua e si tratta con acido solforico allun- 
gato goccia a goccia: la soluzione separata dal solfato di bario si 
concentra a dolcissimo calore fino a consistenza di sciroppo e si 
precipita con alcole ed etere. Questa operazione va ripetuta una 
seconda ed una terza volta e finalmente si depura coll’ alcoole a 90 
bollente in quantità insufficiente a sciogliere tutta la sostanza : la 
soluzione alcoolica lasciata ‘evaporare nel vuoto abbandona dei fioc- 
ehi candidissimi di saponina pura che si lava con etere e si dis- 
secca nel vuoto su acido solforico. 

I. gr. 0,2284 di sostanza disseccata nel vuoto su acido solforico 
diedero gr. 0,480 di CO, e gr. 0,1477 di H,0; 

II. gr. 0,2418 di sostanza diedero gr. 0,4667 di CO, e gr. 0,1644 
di H,0; | | 

IIT. gr. 0,2888 di sostanza diedero gr. 0,460 di CO, e gr. 0,1515 
di H,0; 

IV. gr. 0,2858 di sostanza diedero gr. 0,550 di CO, e gr. 0,1895 
di H,0; | 

V. gr. 0,2904 di sostanza diedero gr. 0,564 di CO, e gr. 0,1945 
di H,0. 

Da cui si calcola in 400 parti: 


I Il III IV V Media 
C 5249 52,74 582,60 52,48 = 52,06 52,65 
H 7,84 7,59 7,20 7,86 1,32 1,86 


Un altro campione di saponina proveniente da un’altra prepa- 
razione, depurata colla ‘barite, seccata nel vuoto in acido solforico e 
contenente ancora ceneri fu analizzato coi seguenti risultati: 

I. gr. 0,8015 diedero gr. 0,5666 di CO, e gr. 0,1940 di H,0; 

II. gr. 0,8525 diedero gr. 0,662 di CO, e gr. 0,2297 di H,O; 

III. gr. 0,8102 diedero gr. 0,582 di CO, e gr. 0,1998 di H,0; 

IV. gr. 0,2788 diedero gr. 0,0088 di ceneri. 

Da questi dati si calcola in cento parti, dedotte le ceneri : 


I HH © I Media 
C 52,82 35294 59,74 52,82 - 
H 7,86 7,48 7,86 TA 


. Bd 


426 : 
La formola che meglio corrisponde ai risultati dell'analisi è la 


Cs3H540,3 . 
proposta da Rochleder. 
calcolato trovato (media) 
Cr, =* 384 52,89 52,65 
Hy, = 54 7,44 7,36 
O,; = 288 89,67 89,99 
CssH,,0;g= 726 100,00 100,00 ; 


La saponina dunque dalla Saponaria e dalla Gypsophyla hanno 
la stessa composizione: 


saponina dalla Saponaria § saponina dalla Gypsopbyla 





(mie analisi) (Rochleder) 
CG 52,68 - 62,65 
H 17,86 7,34 
-O 89,99 40,01 
100,00 100,00 


Proprietà della saponina. La saponina pura costituisce una 
polvere amorfa, inodora, bianchissima; inspirata per le vie nasali ec- 
cita lo sternuto, ha sapore piccante e sgradevole, è velenosa, solu- 
bilissima nell'acqua, insolubile nell’etere, nella benzina, nel clorofor- 
mio, poco solubile nell’alcole : 


400 parti di alcoole assoluto a 18° ne sciolgono 0 parti 
» » a 94 » > 1,5 » 
» > a 90 » » 4,88 > 


Si fonde sulla lamioa di platino decomponendosi , spandendo 
odore di zucchero bruciato, c lasciando un carbone poroso difficil- 
mente combustibile. È singolarissima la proprietà già in parte nota, 
che hanno le soluzioni acquose di sciogliere dei sali insolubili nel- 
I’ acqua. Quando si precipita con idrogeno solforato una soluzione 
acquosa di saponina addizionata di acetato di piombo, e si filtra, il 
liquido che passa è nero pel solfuro piombico che tiene sciolto e che 
si può precipitare con un po’ d’altoole. Una soluzione acquosa bol- 
lente di saponina scioglie quantità notevolissime di carbonato ba- 
ritico (fino al 40 °/,), dalla soluzione si può eliminare il bario trat- 
tando con acido solforico. Persino il solfato baritico è parzialmente 
solubile nella soluzione di saponina. Tutto ciò reade, come è evi- 


427 


dente, difficile assai la depurazione completa della saponina. Scioglie 
anche i gas e li imprigiona meccaticamente. Una soluzione acquosa 
allungata di saponina agitata fa una schiuma persistente per un 
tempo assai lungo. 

Mescolando una soluzione acquosa di saponiva con idrato po- 
tassico, baritico, stronzico, si precipitano i corrispondenti composti. © 
Precipita coll’acetato di piombo e col nitrato d’argento ammoniacale. 
Bollita con gli acidi allungati si decompone precipitando una so- 
stanza fioccosa mentre il liquido dà nettamente la reazione del glu- 
cosio col liquido di Fehling. Dà un derivato acetilico con anidride 
acetica, derivato che fu preparato, depurato, analizzato, ma senza 
nessun risultato, non avendo trovato metodo conveniente per la de- 
terminazione dell’acetile. 

Della saponina fino ad ora non fu segnalata una proprietà as- 
sai importante , il potere rotatorio. Essa è come la maggior parte 
dei glucosidi sinistrogira. 

La determinazione fu fatta con un polaristrobometro di Wild, 
graduato per una terza parte in gradi e in quinti di grado, e per 
un terzo per le determinazioni saccarimetriche. Quindi dovetti col 
numero delle determinazioni cercar di sopperire alla deficienza dello 
strumento. 

L’angolo di deviazione pel raggio D del sodio, per una solu- 
zione che conteneva gr. 4,527 di saponina pura sciolta nell'acqua e 
portata a 100 parti (temp. 20°) è: | 


per un tubo lungo 100 mm. a 20°= —0,314 (media di 10 osservazioni) 
> » 900° » 20°=—0,67 ( > ) 
» » 220 » 20°=—0,76 ( » ) 


Per cui il potere rotatorio specifico della saponina è: 
(x]p =—7.80 

Essa sarebbe dei glucosidi conosciuti quello che è meno attivo. 

Saponato baritico. Si ottiene trattando la soluzione acquosa 
concentrata di saponina con una soluzione saturata a freddo di idrato 
di bario. Il precipitato lavato si scioglie in molt'acqua bollente e si 
riprecipita con alcole, che ritiene le sostanze coloranti; disseccato a 
400° in una corrente di aria priva di anidride carbonica costitui- 
sce uua polvere bianchissima amorfa. 

I, gr. 0,2620 di sostanza disseccata a 100° diedero gr. 0,4276 
di CO, e gr. 0,1462 di H,0; 

Il. gr. 0,4849 di sostanza diedero gr. 0,0963 di Ba80,; 

111, gr. 0,4978 di sostanza diedero gr. 0,0987 di BaSO0,. 





438 
Cioè in 400 parti: 
I II II 
C 47,90 — — 
H 6,49 —_ —_ 
Ba — ~° 44,87 44,65 


La formola che meglio corrisponde ai risultati dell’analisi è: 
CsgH30, 


a 
H,,0 
Cso Ba 
Cg3H53013" 
la quale richiede 
C 47,06 
H 6,45 
Ba 41,19 
O 85,30 


400,00 
PRODOTTI DI DECOMPOSIZIONE DELLA SAPONINA. 


Intorno alla decomposizione della saponina cogli acidi allungati vi 
è quell’ ambiente di incertezze che vedemmo esistere intorno alla 
composizione sus. Quando si scalda all'ebollizione una soluzione ac- 
quosa di saponina acidulata con acido solforico o cloridrico, il glu- 
coside si decompone mettendo in libertà del glucosio, e precipitando 
una sostanza fioccosa che fu chiamata sapogenina. Questo è un fatto 
universalmente constatato, ma gli autori non sono d’ accordo circa 
l'equazione esprimente tale reazione. 

Glucosio dalla saponina. Io operavo la decomposizione a bagno 
maria e non all’ ebollizione a fuoco diretto, come si era dagli altri 
fatto; dopo un'ora di scaldamento cominciarono a comparire i primi 
fiocchi, dopo 2 ore filtravo onde sottrarre la sostanza solida forma- 
tasi all’ulteriore azione dell'acidlo, e lavavo con acqua bollente. Scal- 
dando di nuovo il filtrato, avveniva un secondo deposito che sepa- 
ravo nuovamente, e poi scaldando ancora se ne formava un terzo 
e la decomposizione era allora completa ; indico con a è c le tre 
porzioni ‘raccolte sul filtro. Il liquido filtrato, concentrato , poi por- 
tato a 800 c. c. era sottoposto alla determinazione del glucosio col 
metodo di Fehling. | 





429 
I. gr. 0,5417 di saponina diedero gr. 0,2516 di glucosio, cioè 
AOA %. 
II. gr. 0,5594 di saponina diedero gr. 0,2722 di glucosio cioè 
48,6 °%,. 
Ora se si ammette che da una molecola di saponina si eliminino 
due di glucosio si ha ; 


Trovato (media) Calcolato 
Glucosio 48,8 49,5 


- Per determinare la natura del glucosio che si forma, ho de- 
composta la saponina con acido solforico nel modo sopra indicato , 
ho saturato il liquido con carbonato piombico, trattato con acetato 
di piombo, precipitato con acido solfidrico ed evaporato a consistenza 
di sciroppd a pressione ridotta e poi nel vuoto. Lo sciroppo leg- 
germente colorato anche dopo 6 mesi non diede segni di cristalliz- 
zazione , aveva gusto zuccherino, era fermentescibile e fortemente 
destrogiro. Ne determinai il potere rotatorio su di una soluzione 
al 8,80 0/, di glucosio. 

Lunghezza del tubo = 200 mm. 

Temperatura = 25° 

Angolo di deviazione = +- 4 (media di 10 osservazioni). 

Da cui si calcola : 

[a]p = + 52,48 
pel potere rotatorio specifico del glucosio della saponina. 

Mi propongo di istituire nuove ricerche per indagare se qui si 
ha da fare con un glucosio diverso da quello dell’uva, o se la diver- 
genza tra il numero da me trovato e quello che indica il potere ro- 
tatorio del glucosio dell’uva devesi attribuire ad altra causa. 

Saponetina. Considerando le analisi che i diversi autori danno 
della sostanza insolubile nell'acqua proveniente dall’azione degli acidi 
diluiti sulla saponina e che fu detta sapogenina si osserva che 1 
prodotti analizzati non hanno composizione costante. 


Rochleder e Schwarz Rochleder e Payr Rochleder 
C 68,16 67,41 64,76 62,34 65,30 62,34 63,35 67,38 
H 8,21 864 8,94 8,34 8,95 8,87 8,57 8,95 


Siccome mi parve che tale incostanza di ‘risultati dipende da 
una alterazione che la sostanza subisce per l’azione prolungata del- 
l'acido, ebbi cura di limitare questa per quanto era possibile ed al- 
I’ uopo adottai il metodo già esposto antecedentemente a proposito 
della determinazione del glucoso, consistente cioè nel separare per 


480 
filtrazione il prodotto man mano che si forma; in questo modo ebbi, 
come ho detto prima, tre porzioni successive a, d, c: esse furono 
sciolte nell’alcool, per l’evaporazione spontanea del quale si deposi- 
tarono come croste cristalline le quali furono disseccate a 90° ed 
analizzate: 

a gr. 0,2043 di sostanza diedero gr. 0,4535 di CO, e gr. 0,1535 
di H,0; 

b gr. 0,288 diedero gr. 0,5467 di CO, e gr. 0,1707 di H,0; 

c gr. 0,2239 diedero gr. 0,5227 di CO, e gr. 0,4778 di H20; 
e quindi in 400 parti: 


a 6b c media 
C 60,58 60,47 60,90 60,65 
H 8,34 8,13 8,43 8,22 
dati che corrispondono ulla formola C,Hee0,s 
calcolato trovato 
Co 480 64,06 60,65 
Hg 66 8,38 8.22 
0O,, 240 80,56 34,00 
786 400,00 100,00 


La decomposizione della saponina per mezzo degli acidi diluiti 
non avviene dunque secondo l'equazione; 


CyoHs,Oig+ 2H,0 = 206H 1206 t+CooH 3,0, 


ma si forma invece il corpo C,oHes0,; che possiamo supporre pro- 
venire dalla condensazione di 2 molecole di C,,H,,0, con perdita di 
di una molecola di acqua. 

Io propongo di chiamare saponetina (e non sapogenina) il pro- 
dotto di condensazione C,yHgg0;5, come saliretina appellasi il pro- 
dotto dell’azione degli acidi sulla salicina. 

La saponetina è una sostanza di struttura microcristallina, bian- 
castra, insolubile nell'acqua, e nell’etere, solubile nell'alcole. 

Torino—Laboratorio di Chimica della R. Università. Luglio 1883. 








434 


Sulle cosi dette piomaine in relazione 
alle ricerche tossicologiche; 


di FRANCESCO MARINO-ZUCO (1) 


Il socio Cannizzaro nel presentare questo lavoro lo accompagna 
colle seguenti parole : 

« L'Accademia conosce già le incertezze che si sono introdotte 
nelle perizie chimiche per avvelenamento dalla affermazione della 
esistenza anche negli organismi normali di alcaloidi simili a quelli 
velenosi. 

« Il nostro Ministro di giustizia per impulso di magistrati e per 
consiglio della sezione di Chimica dell'ultimo Congresso degli scien- 
ziati italiani riunito a Palermo, nominò una Commissione per stu- 
diare l'argomento e proporre sicure norme nella ricerca dei veleni. 

e Questa Commissione fu presieduta dal prof. Selmi e dopo la 
di lui morte è stata presieduta da me. 

Molte ricerche sono state fatte e pubblicate separatamente dai 
componenti della Commissione e molte altre sono in corso. 

e La Commissione nelle ultime riunioni ha diviso il lavoro tra 
i suoi componenti ed ha ileliberato di fare eseguire nello Istituto 
Chimico di Roma la comparazione e la verifica dei metodi di ri-. 
cerca degli alcaloidi nei casi di avvelenamento, dal punto di vista 
pratico, che deve essere il finale scopo dei lavori della Commissione. 

« Si è perciò a spese del Ministero di giustizia adattata e quasi 
costruita una sala apposita per questo genere di ricerche ed ho af- 
fidato lo studio comparativo sopra indicato al Dr. Marino, prepara- 
tore in questo Istituto, che io ho giudicato il più atto a questo ge- 
nere di ricerche per le scrupolosità ‘nello esperimentare è descrivere 
di cui ho avuto lunghe prove. 

e Il Dr. Marino va eseguendo il disegno ed il programma delle 
ricerche indicategli per mio mezzo dalla Commissione. 

« Dal 1° gennaio sin oggi ba inteso esclusivamente per tutte 
le ore della giornata a tale studio , ed ha già ottenuto importanti 
risultati di cui stimo utile dare oggi un cenno comunicando la se- 
guente di lui nota »: 


(1) Presentata alla R. Accademia dei Lincei il 3 giugno 1888 





432 

Essendo stato incaricato dalla R. Commissione per l'accertamento 
della prova generica nei reati di veneficio di fare un diligente e 
minuto studio comparativo dei metodi di Stas e di Dragendorff per 
lo scoprimento degli alcaloidi, nei casi di sospettato avvelenamento, 
affine di trovare i modi di eliminare le incertezze che possono pro- 
venire dalle così dette ptomaine , ho nei 5 mesi di assiduo lavoro 
fatto sin ora limitato le mie ricerche sopra materiali freschi , cioè 
bianchi e rossi d’uova, cervelli, polmoni, cuore, fegato, milza e sangue. 

In 35 estrazioni che ho fatto sopra i sudetti materiali ho ap- 
plicato parallelamente l'uno e l’altro metodo attenendomi scrupolo- 
samente alle minute condizioni indicate dall'uno e l'altro autore. 

Ho estratto veramente una base che ha tutte le reazioni ge- 
nerali degli alcaloidi. Ma questa base ha il comportamento di un 
idrato di ummonio e nei casi in cui ne ho potuto sottoporre all'a- 
nalisi il cloroaurato, ho riconosciuto non essere altra cosa che la neu- 
rina. In un caso ho rinvenuto anche tracce della così detta chinina 
animale, di cui terrò conto nei lavori ulteriori. 

Allo scopo di studiare |’ origine di questa base ho seguito i 
metodi sopra indicati sulle lecitine, a bella posta preparate col: me- 
todo di Strecker dal rosso d'uovo, ed ho visto che anche esse si com- 
portano in una maniera identica , come cioè, fossero una massa di 
cervello, di uova, di polmone ecc. 

Seguiti di nuovo i metodi sopra I’ albumina residua dall'estra- 
zione completa delle lecitine io ebbi delle reazioni completamente 
negative. 

Queste. prove comparative fatte sulle lecitine dimostrano chia- 
ramente che le così dette ptomaine, che si ricavano nell’estrazione 
di sostanze fresche non provengono, come si crede quasi general- 
mente, da alterazioni subite dagli albuminoidi, sibbene hanno ori- 
gine dallo sdoppiamento delle lecitine sotto l'influenza degli acidi o 
degli alcali. 

Siccome il cloridrato di neurina è indecomposto dal bicarbo- 
nato sodico, così son potuto arrivare a definire la quistione tossi- 
cologica nei casi di estrazione di alcaloidi, da sostanze in cui non 
è ancora cominciata la putrefazione. Si scioglie il cloridrato dell’al- 
caloide e delle pretese ptomaine, estratte insieme, nell’acqua: si rende 
alcalino il liquido con bicarbonato sodico e si agita col solvente 
adoperato. 

La neurina resterà sciolta nell’ acqua allo stato di cloridrato e 
l’alcaloide solo verrà quindi estratto. 

Ciò mi fu comprovato da tutte le esperienze fatte , e da altre 


483 
istituite mescolando al rosso d’uovo una quantità pesata di stricnina. 
Fra breve mi onorerò il presentare alla R. Commissione una 
dettagliata memoria del mio lavoro per essere pubblicata. 


Studii chimii-mineralogici sopra minerali italiani; 


di A. FUNAR® ed L. BUSATTI. 





I. 
Wo tastonite di Sardegna 


Riferiamo a questa specie un minerale che ci è stato favorito 
per studio dall’illustre prof. Meneghini , e proveniente da S. Vito, 
distretto minerario del Sarrabus in Sardegna. 

Un tale minerale fu inviato al prof. Meneghini dal sig. inge- 
gnere Traverso direttore della scuola mineraria di Sarrabus, insieme 
ad alcuni saggi di schisti includenti i filoni argentiferi. La Wolla- 
stonite apparisce distribuita su tali schisti su così eleganti irradia- 
zioni cristalline, da simulare un fossile e precisamente la Oldhamia 
radiata. Sono aghetti divergenti da un centro comune, come ro- 
sette o stelle che contrastano col fondo scuro della roccia su cui 
sono disseminati. 

La Wollastonite meglio che ad un bianco deciso può dirsi volga 
al colore grigio chiaro ; è translucida e trasparte in lamine sottili; 
risplendente e specialmente lungo i piani di sfaldatura ha lucenteza 
madreperlacea; frattura ineguale. 

Polvere bianca. Durezza 4,5; peso specifico 2,7 a 2,8. 

In piccole schegge esposta al cannello ferruminatorio fonde sui 
margini soltanto con grande difficoltà in vetco bolloso trasparente. 
Nell’acido cloroidrico concentrato a freddo non subisce alterazione, 
con lento riscaldamento vi si scioglie e gelatinizza; la perla ottenuta 
col borace non dà nessuna reazione, rimane limpida, e la sostanza 
vi si scioglie lasciando scheletro siliceo. 

Alcuni angoli che si poterono misurare sopra piani ottenuti per 
sfaldatura concordano molto verosimilmente con alcuni dati per la 
Wollastonite : 


89 








: 





484 
Angoli misurati Angoli dati dal 
Descloizeaux 
001 : 201 129° 46! 129°, 40! 
001 : 208 135°,24' 135°,32' 
. L'analisi chimica ha dato i qui appresso trascritti resultati: 

I Silice (Si0,) 49,78 
| . Calce (CaO) 45,42 
! _ Magnesia (MgO) 4,20 
” Ossido di ferro (Fe,0,) 2,20 
Acqua (H,0) 0,60. 
98,90 


Dalla quale, riportando l’acqua all’ossido di ferro, e considerando 
questo unitamente alla quantità di acqua eccedente e non satura- 
bile completamenfe dal ferro, come impurità nel minerale, o come 
quantità più o meno variabile che si rinviene pur nelle analisi di 
Wollastonite di diverse località, abbiamo riducendo a 400: 


CaO = 46,95 
MgO = 4,28 


100,00 


donde, computando la magnesia colla calce si giunge alla formola : 
SICao,. 

La roccia sulla quale sta la Wollastonite di Sardegna si pre- 
senta con i seguenti caratteri: colore scuro quasi nero, compatta, te- 
nace e di assai notevole durezza. I saggi chimici non vi hanno sco- 
perto nemmeno tracce di metalli alcalini terrosi, e hanno rivelata 
composta di : silice, allumina e grafite. Le quantità piccolissime 
(che rade volte pur vi si trovano) di magnesia, ferro, calce si possono 
ritenere come provenienti dal minerale Wollastonite che si compe- 
netra nella massa della roccia stessa, e dal quale non si può iso- 
lare coi mezzi meccanici. 

Osservata questa roccia in sezioni sottilissime al microscopio, 
si presenta formata da silice granulare cristallina sparsa -in una 
massa fondamentale 0 magma petroselcioso: vi si notano rare mac- 
chie di color rugine riferibili a limonite, e frequenti masse opache 
irregolarmente disseminate, arrotondate , di colore nero , e che si 


485 


giudicano per grafite la quale in alcune, sezioni si mostra tanto ab- 
bondante da renderle intieramente opache. La Wollastonite vi ap- 
pare in masserelle cristalline , riconoscibile per Ja sua struttura fi- 
brosa, per il suo scolorimento , e pei suoi colori che dà colla luce 
polarizzata. 7 

Riferendo a quanto acceuna il prof. Bombicci sulle salbande 
. dei filoni metalliferi del comune -di S. Vito (4) dalla quale località 
appunto proviene l’esemplare in discorso, si può ritenere come una 
roccia a materiali argillosi e di apparenza grafitoide , la cui po- 
steriore silicizzazione non solo l’alterò, ma indusse anche in essa la 
formazione della Wollastonite. 


II. 
CLorite del Bottino (Serravezza) 


La Clorite della miniera del Bottino presso Serravezza nelle 
Alpi Apuane si presenta in masse ed in concentramenti fra le belle 
cristallizzazioni dei solfuri metallici del filone quarzoso-metallifero 
della ricordata miniera. 

. Il suo aspetto è scaglioso ; il colore verde pomo. È lucente, e 
minutamente cristallina. La polvere esaminata al microscopio si ri- 
solve in tante e minute scaglie o lamine cristalline, verdoline, l'una 
all’ altra addosate e sovrapposte a similitadine di una pila che si 
attorcigli lungo una linea spirale. Le laminette cristalline a contorno 
generalmente rotonde si mostrano spesso nella forma di un esagono 
regolare perfetto. Quando si possono esaminare di una certa sotti- 
gliezza sono trasparentissime, pochissimo dicroiche e mostranti leg- 
geri colori di interferenza. 

La sua durezza è di 4,5 circa; il peso specifico 2,8-2,9. 

I suoi caratteri chimici sono i seguenti: col borace dà una perla 
giallo-rossastra a caldo, che raffreddandosi passa al verde chiaro, e 
diviene gialla ‘a freddo. Riscaldata nel tubo chiuso prende colore 
bruno , svolgendo acqua. Anche se riscaldata a rosso su lastra di 
platino mantiene il colore bruno- caffè. L’ acido cloroidrico concen- 
trato la attacca, svolgendo da principio un poco di anidride carbo- 
nica. Per prolungata ebollizione si decompone totalmente con de- 
posito di silice gelatinosa. 

L’analisi qualitativa eseguita su varii pezzi del medesimo mi- 


(1) Contribuzione alla mineralogia italiana 1877. 


486 


nerale ha certamente dimostrata la assenza di. basi alcaline, e la 
presenza di tracce di calce , soltanto su alcuni pezzi. Prevalenti si 
riconobbero agevolmente, il ferro allo stato ferroe, la allumina, la 
silice e la magnesia. Per |’ analisi quantitativa fu scelto un cam- 
pione scevro di calce. I resultati ottenuti sono i seguenti, che met- 
tiamo a confrontro con quelli dati da altri analizzatori : 


Analisi Analisi Analisi 
SS Funaro Erlenmeyer(1) Nîbs (2) 

Anidride silicica (Si0,) 23,69 25,72 23,67 
Ossido di alluminio (Al,O,) 21,63 20,69 24.26 
> ferroso (FeQ) 84,53 27,79 29,44 

> ferrico (Fe,Q,) 4,27 4,01 8,17 

»  magnesico (MgO) 4,82 44,70 4,75 

> calcico (Ga0) © — - — 4,28 
Acqua (H,0) 7,00 10,05 8,83 
Anidride carbonico (CO.) 4,12 — 1,04 
100,06 99,96 98,38 


Ii Prof. D’ Achiardi nella sua Mineralogia della Toscana (3) 
fa menzione di questa clorite che pei caratteri esteriori ammette 
doversi ritenere come ripidolite e più specialmente come apparte- 
nente alla sua varietà afrosiderite. 

L'analisi di cui abbiamo ora riportati i resultati, conferma per 
parte nostra quanto aveva già pensato |’ egregio mineralogista , in 
quanto: chè i resultati ottenuti concordano assai con quelli di cam- 
pioni di afrosiderite di altra provenienza , come quelli le cui ana- 
lisi abbiamo posto a confronto colla nostra. 

La presenza di acido carbonico costante in questa afrosiderite 
fa credere che essa sia già alterata dalla sua composizione normale; 
giacchè questo corpo non può starvi altrimenti che combinato al 
ferro o alla magnesia, c senza entrare nella molecola cluritica. Per 
questa cagione ct siamo astenuti dal tirar fuori una formola qua- 
lunque che non avrebbe falta maggior luce certamente sulla com- 
plessa costituzione. dei minerati cloritici. 


= (1) V. Rammelsberg. Handbuch der Mineralogie, I, 495. 
(2) V. op. cit. ivi. 
(3) Mineralogia della Tuscana, II, p. 231, 








487 


Sull'enantetilenammina i 


Nota di LEONARDO PRATESI. 


Come si sa il triossimetilene C,H,O, trattato con ammoniaca si 
trasforma molto facilmente nell’ esametilenammina di Bulterow 
(CH,),N, (4), la quale col nitrato d'argento dà un precipitato bianco, 
cristallino, inaltcrabile o appena alterabile alla lucé diffusa quando 
è secco, e che col riscaldamento si decompone con leggiera defla- 
grazione (2). In un lavoro che spero di pubblicare fra poco, essen- 
domi imbattuto più volte in questo precipitato del quale non è cono- 
sciuta la composizione, credetti di non far cosa oziosa studiandolo. 

Preparai perciò dell'esametilenammina pura trattando il triossi- 
metilene con ammoniaca e sublimando il prodotto secco. Ne consta- 
tai la purezza coll'analisi determinando il carhonio e l'idrogeno: 

gr. 0,4898 di sostanza diedero gr. 0,9204 «d’anidride carbonica 
e gr. 0,3912 d’acqua, ossia per cento : 


Trovato Calcolato per . 
Ì CoH N, 
C 54,84 | 51,48 
H 8,88 8,57 
Az — 40,00 
100,00 


La_ soluzione acquosa dell'esametilenammina venne trattala con > 
soluzione acquosa di nitrato d' argento ; il precipitato lavalo prima 
con un po’ d’acqua; poi con alcool, seccato sull’acido solforico diede 
i seguenti risultali analitici. 

I. Da gr. 0,8420 di sostanza si ebbero gr. 0,2268 d’ anidride 
, carbonica e gr. 0,4089 d'acqua. 

Il. Da gr. 0,3875 si ebbero gr. 0,2566 d’anidride carbonica e 
gr. 0,1181 d’acqua. 

Ill. Da gr. 0,4162 si ebbero 72,75 cc. d’ azoto alla pressione 
harometrica ridotta«a 0° di 757,55 e alla temperatura di 26°. 

IV. Calcinando con molta precauzione gr. 0,2874 di sostanza 
si ebbero per residuo gr. 0, 1157 d'argento. 


(1) Jahresbericht der Chemie, 1860, p. 428. 
(2) Jahresbericht der Chemie, 1867, pag. 500. 


488 


V. Sciogliendo in acqua gr. 0,4339 di sostanza e precipitandone 
\' argento con acido cloridrico si ebbero gr. 0,2848 di cloruro di 
argento. 

Questi risultati calcolati per 100 parti di sostanza danno: 


I Il II! IV V 
C 18,00 4806 — ~ _ 
H 353 339 — — _— 
AZ — — 4982 — — 
Ag —- — — 40,60 40,78 


- Questi numeri concordano sufficientemente con quelli che cor- 
rispondono alla formola: 


2C,H,.N,, 3AgNO, 
la quale richiede : 

C 18,23 
H 3,04 
Az 19,49 
Ag 41,04 
O 18,23 

100,00 


Questo composto, poco solubile nell'acqua fredda si scioglie nel- 
l'acqua bollente ma con parziale decomposizione giacchè sulle pa- 
reti del recipiente si deposita argento speculare; dalla soluzione calda 
si separa poi col raffreddamento il composto sotto forma di aghi 
cristallini. 

Napoli, Luglio 1883. 


Derivati bromurati del 6 naftolazobensol; 





Preparai il Bnaftolazobenzol facendo agire il cloruro di diazo- 
benzol su una soluzione alcalina di Snaftol: nella reazione si forma 
tosto una massa cristallina bruna con riflesso verde metallico, e dopo 
alcune ore di riposo tutta la materia colorante si è separata alla 
superficie del liquido. Il gnaftolazobenzol si presenta in cristalli aghi- 


489 


formi di colore rossobruno solubili nell’ acido acetico, nella ligroina, 
nellalcool, nella benzina, fusibile a 125°-126° C. differenza coll’ «- 
naftolazobenzol descritto da Typke (1), di cui un isomero fonde a 
466° e Valtro a 475°. 

Allo scopo di vedere sc l'azione del bromo genera ua prodotto 
di sostituzione monobromurato e se la sostituzione avviene nel gruppo 
benzol o nel gruppo naftol, feci agire il medesimo in soluzione ace- 
tica e in quantità calcolata per formare un monoderivato sopra una 
soluzione di Bnaftolazobenzol pure nell’ acido acetico glaciale: si se- 
para così una massa cristallina bruna, la quale cristallizza per due 
volte nell' alcool si presenta in aghi setacei di color rosso arancio 
riuniti in fasci, fusibili fra 160°164° C. 

All’analisi diedero il seguente risultato: 


trovato calcolato per ossia 
C,H.N =NC,,H;Br.0H 
Br %/, 24,89 24,46 


Dunque nell’azione di una molecola di @naftolazobenzol si forma 
un prodotto monobromurato , differenza coll’ x naftolazobenzol, che 
nelle stesse condizioni secondo Typke non dà alcun composto bro- 
murato stabile. 

Si potrà ora determinare Ja posizione del bromo nella molecola, 
assoggettando il derivato monobromurato alla reazione Nietzki per 
la preparazione degli amidonaftoli : se il bromo sostituì I’ idrogeno 
del gruppo naftoi allora nella riduzione si formerà un corpo nuovo, 
un bromamidonaftol, se il bromo invece si sostituì nel gruppo ben- 
zol si otterranno delle bromoaniline. Ridussi il composto bromurato 
con cloruro stannoso ed acido cloridrico: ne ottenni una massa cri- 
stallina incolora ; di questa traltai una parte direttamente con ec- 
cesso di potassa caustica e assoggettai il tutto alla distillazione in 
corrente di vapor d’ acqua e per esportarne le basi volatili. Passò 
alla distillazione un liquido lattiginoso, che col raffreddamento cri- 
stallizzd in scagliette bianche solubili nell’alcool ; per evaporazione 
della soluzione ulcoolica ottenni degli ottaedri trimetrici brillanti , 
fusibili a 66°. Le acque madri assaggiate col cloruro di calce non 
diedero colorazione violetta. Dunque nella riduzione del derivato 
non bromurato del naftolazobenzol si formò della parabromanilina 
e di conseguenza dell’amido 6 naftol , di cui riscontrai la presenza 


(1) Berliner Berichte (1877), 10, 1550, 


/ 


440 
col metodo Lieberman e Jacobscn trasformandolo in naftochinone (4). 
‘ Rimane pertanto determinato che nell’ azione del bromo sul 
Bnaftolazubenzol questo sostituisce l'idrogeno del gruppo benzol, pren-— 
dendo la posizione para e formando del fnaftotazoparabromobenzel, 
contrariamente alte previsioni di Typke, secondo cui la sostituzione 
dovrebbe aver luogo nel naftol. i 
Come controllo ai risultati ottenuti diazotai la parabromoani- 
lina e la feci agire sul 6 naftol: ne oltenni un corpo presentante la 
stessa forma cristallina e lo stesso punto di fusione del derivato 
precedente ottenuto per bromurazione diretta. 
Fondendo ora il 8 naftolazoparabromobenzol con potassa caustica, 
‘si potrà fare sostituire il bromo del benzol coll’ ossidrile , e allora 
sarei condotto ad un naftolazofenol , che per quanto io mi sappia 
sarebbe nuovo nella storia degli azocomposti. 
Laboratorio di chimica ‘Industriale. Mulhouse. 


(1) Annalen der Chemie und Pharmacie t. CCXI, p. 35 — Moniteur 
Scientifique—1882 p, 744. 


Sulle ptomaine del Selmi: 


nota del Dr. FRANCESCO MARINO-ZUCO. 


In una mia nota letta nella R. Accademia dei Lincei (4) ho ac- 
cennato in breve il risultato delle mie esperienze oramai compite. 
sulle così dette ptomaine degli organismi sani. In essa veniva alla 
conclusione, che dette ptomaine non sono che neurina. Non è mia 
intenzione di qui fermarini sui particolari delle esperienze fatte. le 
quali prima di essere pubblicate devono essere sottomesse al giudi- 
zio della R. Commissione per | accertamento della prova. generica 
nei reati di veneficio. i 

Avendo ora ricevuto l’incarico dal presidente della R. Commis- 
sione prof. Cannizzaro di proseguir: questi studî con cadaveri da 
esumarsi nelle precise condizioni di una perizia, e non avendo al 
momento potuto avere il permesso di eseguire simili esumazioni , 
alteso i timori quantunque lontani di epidemia, mi sono rivolto a 
“comparare i risultati delle esperienze fatte dal Selmi sui cadaveri 
putrefatti, tanto fedelmente e minutamente da lui descritte, coi ri- 
sultati da me sinora ottenuti. i 

Studiando i lavori del Selmi; io fui colpito da un’analogia, che 
“andai osservando sempre più marcala tra il complesso delle reazioni 
dolle molteplici sue ptomaine e la neurina da me stata estratta da 
tessuti sani. i 

Per porre in evidenza simile analogia comincerò col descrivere 
i caratteri più salienti della neurina purissima, che ho studiato al- 
tentamente. 

La neurina è una base solubilissima nell’ acqua , di reazione 
fortemente alcalina, fumica per l’aggiunta di acido cloridrico e sag- 
giando una soluzione diluita di essa si sente sulla lingua un senso 
di torpore e dopo qualche tempo sopravviene un forte restringimento . 
alle fauci, quando anche qualche piccola traccia siasi deglutita. 

Questa soluzione acquosa quando è diluitissima si può scaldare, 


(1) Gazz. Ch. t. XIII, 431. 
56 


442 


senza, che si decomponga ; ma come si va concentrando comincia 
lo sviluppo di trimetilammina , finchè in ultimo cercando di spin- 
gere oltre la concentrazione finisce I’ odore amminico e si sentono 
degli odori speciali. 

Le soluzioni acide invece possono essere scaldate e portate a 
secco a b. m. senza decomposizione apprezzabile. 

Il cloridrato di neurina è deliquescenlissimo e quando non è 
puro, se si svapora una soluzicne di esso, resta sempre sci1opposo 
per quanto si prolunghi anche di molto il riscaldamento : quando 
invece è abbastanza puro portandolo a secco a bagno maria o nel 
vuoto , cristallizza in belli e finissimi aghi intrecciati. Se una solu- 
zione concentrata di cloridrato purissimo si lascia spontanenmente 
evaporare cristallizza in belle e grandi lamine incolore. 

Stante l'estrema solubilità della neurina nell’acqua i solventi, che 
si adoperano per l'estrazione degli alcaloidi ne estraggono ben poco. 
Dibattendo una soluzione di neurina con uho di tali solventi ed 


‘agitando poi questo con soluzione di acido cloridrieo, svaporando il 


solvente, non si ha alcun residuo alcaloidico, mentre la soluzione 
cloridrica preparata dà delle piccole traccie di residuo. Pochissimo 
ne estrae il petrolio, un po’ più l'etere, il cloroformio e |’ alcool 
amilico. 

Però nelle condizioni dell’ estrazione il fatto cambia completa- 
mente. La neurina , la quale scioglie forli proporzioni di grassi e 
materie estrattive, è a sua volla sciolta da esse e come tale portata 
in soluzione nei solventi e basta poi agitare con soluzione allunga- 
tissima di acido cloridrico, perchè questo s'impossessa della neurina, 
mentre le materie grasse ed estrattive continuano a restare sciolte 
nel solvente. Però la quantità di neurina, che viene asportata dal 
solvente , non è mai in proporzione di quella che rimane nel li- 
quido acquoso, il quale ne contiene una quantita di gran lunga su- 
periore. Quando al primo solvente si fanno succedere ripetutamente 
gli altri, le quantità di neurina, asportate in seguito, diminuisco no 
successivamente sino ad essere delle tracce , come proporzionata- 
mente vanno diminuendo le materie grasse cd estrattive. A com- 
provare quanto ho io esposto non posso far di meglio, che dare due 
analisi di cloroauralo, uno ottenuto dalla base estratta col petrolio 


_c l’altra da quella rimasta nel liquido acquoso. L’ etrazione è stata 


fatta su cento rossi d' uovo freschi col metodo di Dragendorff. 
L’esattezza dell’ analisi e l’essere il piccolo errore ia più non 

solo mi dimostra, che la base tanto avuta dal liquido acquoso, quanto 

dall’estrazione petrolica sia neurina, ma che non poteva essere ac- 


a 448 
compagnata da altri alcaloidi, i quali mi avrebbero dovuto dare nel 
caso un piccolo errore in meno. 

Ecco l’analisi dei due cloroaurati: 


° Sostanza Au Trovato per 5, 
I. gr. 0,8000 0,1329 44,30 
II. gr. 0,3444 0,1516 44,40 


Calcolato per C,H,,AzOAuCl, Au per 0/, 44,24. 


La maniera di comportarsi della neurina coi reattivi generali 
è completamente simile ad ogni altro alcaloide dando dei precipitati 
con quasi tutti essi. 

La neurina purissima in piccole quantità non ha reazioni spe- 
cifiche. 

Coll’ acido solforico si colora in bruno rossiccio a caldo dando 
degli odori speciali. 

Tra i reattivi generali io trovo ulilissimi due, i quali, sc non, 
la specificano, nondimeno la fan distinguere da quasi tutta la mag- 
gior parte degli alcaloidi ce la pongono nella classe degli idrati d’am- 
monio. Essi sono il cloruro d'oro eil il tetracloruro di platino. 

La neurina dà col cloruro d' oro un precipitato giallo abbon- 
dante , il quale guardato al microscopio è cristallino: è solubile nel- 
l'acqua calda , dalla quale cristallizza col raffreddamento in piccoli 
aghi. Quando le soluzioni sono diluile dà sempre un Jeggiero in- 
torbidainento, perchè il sale d'oro è alquanto solubile nell'acqua. 

La neurina , che si estrae con i metodi in uso nelle ricerche 
tossicologiche , viene sempre accompagnata da materie estranee di — 
forte potere riducente , di modo che , mentre quando essa è pura 
non ha nessuna reazione ridultiva sui sali d'oro, quella estratta lo 
riduce fortemente. È stato questo il mio più grande imbarazzo, 
quando cercai di depurarla per sottometterla all’analisi. Specialmente 
le d:fticollà aumentano, perchè oltre alle materie organiche scioglie 
c ritiene avidamente molti sali inorganici, sopratutto i sali ammo- 
niacali, che è impossibile eliminare completamente , se non ricor- 
rendo al sale d’ oro ec lavandolo a lungo con acqua distillata , alla. 
pompa. 

Col eloruro di platino anche con le soluzioni concentrate non 
dà alcun precipitato. Bisogna , che il saggio svapori quasi a secco, 
perchè si formino i cristalli prismatici di cloroplatinato di neurina. 

Anche l’acido picrico non precipita i sali di neurina. L’ acido 
jodidrico jodurato si comporia in una maviera speciale: quando ad 
una soluzione di cloridrato di neurina vi si aggiunge acido jodi- 


ens 


444 


drico in un primo istante si forma un precipitato bruno, il quake, 
se l’esperienza si esegue sotto il microscopio, si vede essere formato 
da una massa di cristalli, i quali subito si trasformano in goccio- 
line oleose intensamente colorate in rosso. . 
Esposte così in breve le reazioni più salienti della neurina 
posso adesso a paragonarle a quelle , che il Selmi descrisse delle 
sue ptomaiue. 
— Nell’Enciclopedia chimica del nostro illustre tossicologo , nel- 
l'articolo putrefazione Vol. IX p. 353 , egli dà le reazioni generali 
di tutte le ptomaine. Dopo aver descritto il metodo adoperato per 
l'estrazione, egli usa come primo solvente Vetere , col quale estrae 
duc ptomaine solubilissime nell'acqua ed ecco le sue parole: 
« le due soluzioni inazzurrano fortemente la carta arrosata di 
« tornasole; poste sull'apice della lingua danno senso d'intorpidi- 
« mento, non hanno sapore, precipitano copiosamente col tannino 

.« col cloruro d'oro, col ioduro di bismuto e potassio, col bicloruro 
« mercurico e con altri reattivi, ma non danno precipitot» col te- 
« tracloruro di plalino e con l'acido picrico. » 

Questi sono i caratteri delle plomaine estratte coll'etere: estrae 

quindi coll’alcool amilico ed ottiene: 
«un residuo fortemente alcalino, che ottenuto di recente , forma 
« con l'acido todidrico iodurato cristalli in lunghi lamine brune 
« di lenta formazione. Coì reattivi generali si comporta ad un di- 
« presso come gli alcaloidi, che si sciolsero nell'etere con qualche 
« differenza però. » 

Come si vede da questa succinta relazione, che il Selmi ci da 
delle sue ptomaine ottenute da cadaveri in putrefazione, all'evidenza 
appare lanalogia di esse con la neurina, per la loro forte alcalinità, 
por il loro gusto, per il comportarsi coi reattivi generali, con quelli 
specialmente, che io ho indicalo come quasi specifici, cioè: cloruro 
d’oro, di platino od acido picrico. 

II Selmi come si desume dal suo trattato sulle plomaine od al- 
caloidi cadaverici divide le sue basi in ptomaine solubili nei sol- 
venti ed in ptomaine insolubili in essi. Dalla descrizione fatta dallo 
stesso autore delle ptomaine estratte dai solventi traspariva netta- 
mente la somiglianza cou la neurina : lo stesso credo potersi dire 
di quelle insolubili. 

Come avanti ho esposto la neurina se passa nei solventi in 
quantità apprezzabile , lo si deve alle materie grasse ed estrattive, 
mia nella maggior parte resta disciolta nel liquido acquoso. Questo 
comportamento fa ammettere fino all'evidenza l’analogia di questa base 


445 


con le ptomaine del Selmi. L'insolubilità infatti di alcune sue basi 
nei solventi non dipende perchè realmente esse sieno ‘tali, ma per- 
chè le condizioni della estrazione sono completamente cambiate. In- 
fatti le reazioni, che dà l’autore di questa base insolubile, non sono 
punto dissimili da quelle estratte coi solventi, nè molto meno délla 
neurina medesima. . 

Ecco i caratteri più marcati di queste ptomaine: (Vedi Trattato 
predetto p. 24). 

« Coll’acido fosforico a caldo s ‘imbrunì un tantino. 

.« Col cloruro di platino non precipitò , main breve depose 
cristalli giallicci. 

« Col bicloruro di mercurio diede un precipitato bianco. 

« Con l'acido judidrico jodurato precipita in rosso bruno, ma 
il precipitato in breve si dileguò. 

« Col cloruro d' oro produsse un precipitato gialliccio a cui 

- successe in breve la riduzione dell'oro metallico ». 

In queste testuali descrizioni io ho tralasciato di riportare lc 
reazioni di colorazione e riduzione, che l'illustre tossicologo descrive, 
non parendomi essere il caso di malto fidarsi di esse trattandosi 
di sostanze nuove in tenue quantità ed impure sempre di sostanze ~ 
riducenti e coloranti : t@nto vero, che nelle esperienze del Selmi 
queste reazioni si vedono s.mpre oscillanti, ora ripetendosi ed ora 
no, anche in operazioni simili. Ove volessi dare molto valore a dette 
reazioni, io dovrei sempre ritenere la neurina, come una vera pto- 
maina, perchè riduce subito il reattivo di Brouard et Boutmy cioè 
cloruro ferrico e prussiato rosso, producendo un precipitato di bleu 
di prussia, reattivo, che è stato stimato come specialissimo delle 
ptomaine..Ebbene mi è capitato di avere un'estratto etereo dal bianco 
d'uovo col inetodo di Stas , il quale mentre non dava reazione al-. 
caloidica riduceva fortemente il predetto reattivo. Inoltre la neurina, 
quando è pura non riduce per niente il cloruro d'oro, mentre co- 
me ho già avanti detto, quella che ordinariamente si estrae lo ri- 
duoa fortemente. | 

Lo stesso dicasi degli odori fragranti, che l’autore pare spesso 
sentire fra il bianco spino ec I’ arancio. Anche la neurina da, in 
identiche condizioni, degli odori, ma che io non li saprei classifi- 
care. Nè in ciò è da maravigliarsi : ricorderò la specialissima rea- 
zione dell’atropina con l'acido solforico concentrato a caldo. Guglielmo, 
autore della reazione, sente l’odore di fiori d'arancio; il Selmi quello 
del bianco spino. Otto quello di spirea alimaria. Dragendorff quello 
di prugna. A ragione il Dragendorff osserva, che ben poca fede hi- 
sogno dare in tali casi all’odorato. 


446 


Purnondimeno io voglio di nuovo ricordare, che la soluzione 
di neurina scaldata, come si concentra, prima dà l’odore spiacevole 
di trimetilammina , che inazzurra una carta di tornagole rossa e 
scaldando dippiù da odori diversi. Questa reazione meglio si osserva 
quando gradatamente si decompone il cloroaurato: sul primo riscat- 
damento si sente l’odore ingrato di trimetilammina e poi odore aro- 
matico come di frutta. 

Ecco come descrive il Selmi la decomposizione delle ptomaine: 
(Vedi Trattato citato pag. 16). 

« Durante l'evaporazione si svolgono odori , ‘per alcuni casi 
« son fetidi ed altre volte aromatici. Nel tempo stesso tenendovi 
« sopra una carta di tornasole arrossata questa s° inazzurra. In 
e qualche circostanza Vodore, che si venne sprigionando era tden- 
« tico con quello della conina ». 

E altrove pag. 44. 

« Le piomaine sono facilmente ossidabili per cui imbrunano 
«in contatto dell’aria e nel decomporsi svolgono un odore urinoso 
« spiacevole; ma talvolta l’ odore somiglia a quello della conina, 
« mentre altre volte in cambio di essere disgustoso è fragrante tanto, 
« che somiglia al profumo di certi fiori e di certi arozii ». 

Un'altra reazione, alla quale il Selmi @a molti valori come ca- 
ratteristichie di parecchie ptomaine è la reazione, che con esse produce 
l’acido iodidrico iodurato. 

Come si vede nella sua memoria pubblicata all'Accademia dello 
Scienza dell’Istìtuto di Bologna Serie III tomo VI, Aprile 1875 p. 50: 
sulle difficoltà, che s’ incontrano nell'estrarre la morfina dal cer- 
vello ecc.: egli s'imbatte in un alcaloide caratterizzato specialmente, 
perchè la sua soluzione ac-tica dà coll'a:ido iodidrico iodurato ari- 
gine ai cristalli fugaci (sono sue parole). Se sotto il campo del mi- 
croscopio si mette sopra una lastrina una goccia di soluzione acetica 
dell’ alcaloide » : si veggono formarsi cristalli bruni in laminette 
talvolta isolate, talvolta uniti a croce ed a due una aderente al- 
l'altra parallelamente e, altre volte unite a scala che durano per 
breve tratto e sono più o meno fugaci a secondo che vi sia più 
o meno materia estrattiva eterogenea ». 

E in altra sua memoria (Studio chimico tossicologico per la 
ricerca dell’atropina) letta nella R. Accademia dei Lincei il 2 gen- 
naio 1876 T. 8° Serie 2 pag. 12, Egli ottiene diverse plomaine, le 
quali oltre di precipitare col cloruro d'oro, col tannino e col biclo- 
ruro mercurico c non precipitare invece col tetracloruro di platino 
e con l'acido picrico differiseono in questo, che con l'acido iodidrico 


447 
iodurato |’ una dà i cristalli fugaci sopradescritti , un’ altra dà dei . 
eristalli lunghi gialli verdicci, un’altra cristalli in piastrine rossacce 
gialle e l’altra infine in tavolette romboidali e bruno. 

Ho cercato di studiare questa reazione con la neurina ed ho 
trovato , che si comporta in modo , che cambiamidosi le condizioni 
dell'esperienza essa sola può dare origine ai cristalli fugaci, ai cri- 
stalli lunghi giallo verdicci , alle piastrine rossacce gialle e alle ta- 
volette romboidali. | 

Se sotto il campo del microscopio si mette una goccia di so- 
luzione di gloridrato di neurina purissima e vi si aggiunge, una 
gocciolina gi acido iodidrico iedura:o non molto concentrato, subito 
si vede tulto il campo del microscopio formato di cristalli diversa- 
mente incrociati, i quali istantaneamente si vanno dileguando, tra- 
formandogi in tante goccioline rocco cupo. Se invece di usare il clo- 
ridrato si ysa, come indica , precisamente il Selmi , nua soluzione 
debolmente acetica di neurina e vi si aggiunge acido iodidrico io- 
durato diluito, si vede ugualmente il campo pieno di crigtalli , che 
subito si trasformano in goccioline e dopo ‘qualche tempo si vede 
tutto il campo formato di cristalli lunghi e gialli e piastrine rosacee, 
e ai bordj bei cristalli giallo verdognoli in prismi allungati |’ uno 
staccato dall’altro. Se con pazienza si siegue per un certo tempo la 
reazione sotto il canipo del microscopio, si vede nel primu momento 
una inassa di cristalli , che istantaneamente si dileguano in tante 
piccolissime goccioline rosso cupo, le quali riunendosi, vanno mano 
mano a portarsi verse. i bordi , dove essendo più rapido lo svapo-. 
ramento', incominciano a farsi angolosi o riunendosi a due o tre 
formano subito dei cristalli digitati di colore giallo carico: alcune al- 
tre di queste goccioline sempre ai hordi si allungano di molto fino 
a formare i cristalli prismatici verdognoli: infine quando lo svapo- 
ramento è inoltrato tutto il campo del microscopio è seminato di 
piastrine rosacee. A secondo le condizioni di preparamento e di di- 


‘ luizione dei liquidi cambia alquanto la formazione di questi cristalli. 


stalli. 

Da questa esperienza nettamente ne consegue, che queste pto- 
maine descritte non solo sono la medesima base, ma che hanno di 
comune questa reazione con la neurina. 

Un'ultima somiglianza voglio ora mettere in chiaro. 

Il Selmi come si vede nella memoria sopracitata , cioò : aulle 
difficoltà che 8’ incontrano nel separare la morfina dal cervello 
pag 45, per separare la morfina da un alcaloide cadaverico estratti 
insieme da un cervello putrefatto, ricorre ad un metodo semplicis- 


448 


simo. Basta agitare con acqua distillata I’ alcool amilico adoperato 
nell'estrazione per così separare l'alcaloide cadaverico , che si scio- 
glie in essa, dalla morfina, la quale resta sciolta nel solvente. Que- 
sto metodo semplicissimo, che egli poi generalizza in molti altri casi 
è così descritto dall'autore nella pag. sopracitata. 

Il miscuglio del residuo dell'estrazione con barite si tratta con 
alcool amilico. 

« Si tiene in digestione dalla sera alla mattina seguente (in 
« luogo tepido se la stagione è fredda) si decanta il liquido e si 
« replica per altre due volte la digestione con nuovo alcole amilico. 
« Si uniscono i liquidi amilici, si Altrano per carta e si trattano 
« con acqua distilluta, dibattendo bene bgne dentro canna di vetro, 
« terminata in uno dei capi a cono, che si restringe a collo armato 
« di chiave. Si pone la canna in sostegno , che la mantenga ver- 
« ticale, e si dà tempo all'acqua di separarsi dall’ alcool amilico, 
« indi si upre la chiavetta a fine di fare uscire tutta l ucqua; si 
« replica elire due volte l'operazione. 

« Dacqua, che fu dibattuta.con l'alcole amilico, possiede lieve 
« reazione alcalina: contiene la sostanza produttrice di cristalli fu- 
« gaci ed alcune materie estrattive ». 

Questo carattere ‘per cui col solo mezzo dell’acqua si arriva ad 
estrarre completamente ad un solvente un alcaloide è esclusivo delle 
basi eminentemente solubili, come sarebbero l'ammontaca e tutti gli 
idrati di ammonio, alla cui serie appartiene la nenrina. 

In questa stessa memoria si osservano le difficoltà, che l'autore in- 
contra a potere riconoscere la morfina in presenza di questa base 
cadaverica, per cui è stato obbligato a ricorrere al suo metodo sem- 
plicissimo di separazione. 

Un fatto identico a me successe, come ho accennato nella mia 
nota sopracitata, con la stricnina. 

Io aveva mescolata della stricnina a 460 rossi d’uova e su di 
essi fu eseguito il-metodo di Stas , col quale sono arrivato a sco- 
prire, dietro lunghe difficoltà, la più gran parte dell'alcaloide impie- 
gato. Sul residuo dell'estrazione col metodo Stas volli seguire il me- 
todo Drangendorff , per ussicurarmi , se qualche po’ di base fosse 
sfuggita col primo metodo. 

Estrassi una base in quantità rilevante , la quale, tentata con 
tutti i modi, non mi ha fatto dicernere la menoma traccia di stri- 
cnina, di modo che io aveva quasi esclusa la presenza di essa. 

Per assicurarmi però feci il cloridrato di tutta la base estratta, 
lo sciolsi in 100 ce. d’acqua, lo resi alcalino con bicarbonato sodico 


449 


ed estrassi col cloroformio parecchie volte. Agitai questo solvente 
con soluzione diluitissima di acido cloridrico. 

Svaporato il cloroformio non ebbi aleun residuo sensibile di rea- 
zione alcaloidica. La soluzione cloridrica invece svaporata lasciò un 
residuo piccolo scoloratissimo e che saggiato con tutti i reattivi ge- 
nérali e speciali ho potuto codftincermi essere stricnina. Con que- 
sto mezzo dunque io ho separata la ptomaina dalla stricnina. 

Entrambi siamo arrivati al medesimo scopo, servendoci di due 
proprietà diverse della medesima base. Il Selmi si g servito della 
solubilità della neurina nell'acqua, io invece fui tentato parecchie 
volle di servirmi dello stesso metodo, ma ho preferito quello della 
indecompovibilità dei cloridrati degli idrati d’ammonio dai bicarbo- 
nati alcalini, come più analiticamente esatto ; sia perchè evito im- 
piegare molto volume di liquido , sia perchè possono esserci anche 
altre basi alquanto solubili nell’ acqua. E il tossicologo, che pur 
troppo si trova sempre in mezzo a casi analiliei i più difficili, deve 
assolutamente stare in guardia da ogni menoma causa di perdita. 

Quantunque le esperienze fisiologiche eseguite con sostanze nuove | 
di cat la purezza non è constatata , lascino alquante a desiderare, 
purnondimeno fo qui seguire anche il confronto delle esperienze fi- 
siologiche, per mostrare, ghe i risultati descritti da Selmi sono si- 
mili a quelli dttenati da me colla neurina. 

L'esperienza seguente mi è stata gentilmente fatta dal Dr. An- 
gelo Celli. assistente nel Laboratorio di Anatomia patologica: è stata 
essa eseguita con il cloridrato di neurina purissimo ottengto dal rosso 
d’uovo col metodo Dragendorff, di cui l’analisi del cloroaurato è stata 
avanti descritta. Ho preso gr. 1,5527 di questo cloroaurato lo sospesi 
in acqua distillata e vi feci passare una corrente d’ idrogeno solfo- 
rato sino a rifiuto. Il liquido fu filtrato e il solfuro d’oro completa- 
mente lavato. La soluzione di cloridrato di neurina fu svaporata a 
baguo maria sino a secchezza, ridisciolta in acqua, filtrata e di nuovo 
svaporata, finendo l’evaporazione completa nel vuoto. Il residuo cri- 
stallito fu sciolto in 10 cc. di acqua distillata ottenendo così una 
soluzione, il cui titolo corrisponde a gr. 0,049 di cloridrato di neu- 
rima per ogni centimetro cubico. 

Rana di media grandezza molto vivace, cuore allo scoperto. 

Ore 10,20. Iniezione sottocutanea (coscie) della soluzione tito- 
lata suddetta: un centimetro cubico. 

Ore 10,24. La pupilla si va gradatamente dilatando. 

Ore 10,22. Pulsazioni cardiache 36. Immobilità completa. Pu- 
pilla seguita a dilatarsi. 


57 


450 

Ore 10,24. Pulsazioni 30. TI cuore viene riempito da una quan- 
tità di sangue, che va sempre diminuendo: stimolati gli arti supe- 
riori ed inferiori ed il tronco sono completamente immobili. 

Ore 10,26. Le pulsazioni si fanno sempre più deboli: la dilata- 
zione della pupilla è al massimo. 

Ore 10,28. Pulsazioni 28. Scos® tetaniche generali. Le sistoli 
sono sempre più deboli ed il cuore si riempie sempre di minore 
quantita di sangue, tanto che appena si nota un cangiamento di 
colore. La sensibilità della cornea persiste. 

Ore 410,80. Scosse tetaniche leggere e parziali del tronco e de- 
gli arti superiori. Movimenti fibrillari nelle dita degli arti inferiori. 
Le diastoli sono prolungate; il cuore nella sistole fu movimenti on- 
dulatort quasi peristaltici: il ventricolo nn si vuota completamente. 

Ore 410,84. Pulsazioni 20. Spenta la sensibilità della cornea. 

Ore 10,87. Pulsazioni 44. 

Ore 10,50. A quando a quando il cuore si ferma e le sistoli 
sono rappresentate da movimenti ondulatorî del ventricolo, interca- 
lati con dei veri movimenti sistolici molto deboli. 

Ore 10,55. I movimenti sistolici sono ridotti alla sola ondula- 
- zione ritmica della parete ventricolare. La pupilla si va gradatamente 
restringendo. 

Ore 44. Le ondulazioni sistoliche si ‘fanno Sempre più rare e 
valutabili solo con grande accuratezza. 

Ore 14,03. Sono cessate le contrazioni fibrillari ventricolari , 
ma si ripristinano stimolando il cuore meccanicamente. 

Ore.14,14. Le dette contrazioni sono cessate. Stimolando la punta 
succede una contrazione generale ventricolare e poi diastole e ri- 
poso completo del cuore. 

Saranno fra breve eseguite delle dettagliate ricerche fisiologiche. 

Ecco i sintomi generali delle ptomaine del Selmi (Vedi trattato 
sulle ptomaine p. 45). 

« I sintomi, che si palesano negli animali avvelenati con esse 
« sono la dilatazione della pupilla a cui in breve succede il re- 
« stringimento , il rallentamento istantaneo e irregolarità delle 
« pulsazioni cardiache, qualche moto convulsivo, lasciando il cuore 
« smunto di sangue ed in sistoli dope la morte ». 

Chiunque compara minutamente, come io ho fatto, i caratteri 
delle ptomaine del Selmi con quelli della neurina, non può non ri- 
manere colpito dalla loro somiglianza, Ammessa la quale non si e- 
sclude , che con la putrefazione possano contemporaneamente for- 
marsi altri alcaloidi. 

\ 


454 


"È vero che Gauthier, Guareschi e Mosso , Brieger , Salkowski 
adoperando sosfanze diverse ottennero diverse basi, ma essi hanno 
lavorato sopra grandi masse di sostanze ed in condizioni di putre- 
fazione diverse da quelle del cadavere inumato. Potrebbe darsi che 
limitando le mie esperienze alla sola quistione tossicologica , come 
fece il Selmi, cioè ad un cervello, un fegato ecc. queste basi diverse 
potessero ridursi a delle tracce , incapaci d’ intralciare le ricerche 
tossicologiche. 

Jo ritornerò su questo argomento dopo che avendo potuto avere, 
a mia disposizione un forte numero di cadaveri esumati in diverse 
epoche, sarò in grado di meglio chiarire questo argomento. 

Roma. Istituto chimico, 98 luglio 1882. 


Studi sulla sparteina; 


Nota preliminare di ©. BERNHEIMER. 


Dei tre alcaloidi natufali, privi d’ossigeno: coniina, nicotina ce 
sparteina, quest'ultima è l’unica che sino ad ora non è stata l’argo- 
mento di studi profondi. Fu scoverta nell’anno 1854 da Stenhouse (4), 

Mills che ne studiò poco tempo dopo il comportamento coll’io- 
duro d’ etile, venne alla conclusione che alla sparteina*debbasi at- 
tribuire la formola d'una diamina terziaria. 

Nella presento nota dò i risultati preliminari d'un tentativo d’os- 
sidazione, come pure di alcune altre sue trasformazioni, onde riser- 
barmi l'ulteriore studio di questo alcaloide, essendo la preparazione 
di una quantità cospicua di materiale congiunta a non piccole dif- 
ficoltà. 

La sparteina da me adoperata fu, con lievi‘ modificazioni, pre- 
parata secondo le indicazioni di Stenhouse da una grande quantitàdi 
Spartium scoparium, che feci raccogliere nei dintorni di Roma. Essa 
presenta tutti i caratteri descritti da questo autore. Distilla dalla 
prima sino all'ultima goccia a 480-481° alla pressione 20 mm. 

Una soluzione in alcool a 96 possiede un potere rotatorio [«]p = 
—14,6 per la concentrazione 28,88 (tcmperatura 26°). 


(1) Stenhouse, Ann. d. Chem. 78, pag. 15. 
(3) Mills. d. Chem. 125, pag. 71. 


452 

L’analisi elementare diede i seguenti numeri: . 
gr.0,2408 sostanza diedero gr.0,6787 di CO, é gr.0,3460 di H,0. 

In 100 parti: 


Trovato Calcolato per C,.H,,.N, 
C= 76,87 16,93 
H= 44,80 " 4444 

Sten house e Mills trovano 
C= 76,92 | 76,86 
H- 11,09 14,44 


Riscaldando l'alcaloide con acido eloridrico in tubo -chiuso non 
ho potuto osservare scissione alcuna. — 

Sino alla temperatura di 200° la sostanza rimane in gran parte 
inalterata e solamente al disopra di questa temperatura si carbonizza 
in parte. 

Il bromo agisce a freddo fortemente sull’alcaloide anche diluendo 
con molto etere anidro e ne risulta una massa rossa resinosa che 
poco si presta ad ulteriore studio. 

Ho studiato l'azione dell'iodio mescolando le soluzioni eteree di 
una parte di sparteina con tre di iod@. La soluzione di iodio mano 
mano che si aggiunge si scolora e vi precipita una sostanza U’ ap- 
parenza cristallina di colore nero. Separata dal liquido , lavata con 
etere per levarne le ultive tracce di iodio e sciolta nell’ alcool hol- 
lente si separa tosto per raffreddamento in bellissimi aghi di color 
verde. o 

Questi cristalli sono insolubili nell'acqua e nell’alcool a freddo 
ma facilmente a caldo ed insolubili nell'etere. All’ aria non si alte- 
rano punto. Riscaldando con potassa si ottiene sparteina. 

Ricristallizzati parecchie volte dall'alcool! bollente diedero all’ a- 
nalisi dei numeri, che corrispondono a quelli richiesti dalla formola 
d'un perioduro di sparteina. 

gr. 0,3448 di sostanza diedero gr. 0,3952 di Agi. 

gr. 0,2814 di sostanza diedero gr. 0,8054 di CO, e gr. 0,1185 


di H,0. | 
In 100 parti: 
— Trovato Calcolato per C,;AggNal 
C= 29,20 29,28 
H= 468 4,29 
I= 62,08 62,41 


Ho tentato l’ossidazione dell’alcaloide per mezzo del permanga- 
nato potassico. . 


433 


A 10 ge. di sparteina, trasformati in solfato perfettamente neu- 
tro e sciolti in !/, litro d’acqua, si aggiunge a poco a poco una so- 
luzione di 70 gr. di permanganato potassico in 2 litri d'acqua. Mano 
mano che si aggiunge si scolora e solamente le ultime porzioni pro- 
ducono una colorazione, la quale sparisce riscaldando per poco tempo 
a bagno maria. Si separa per filtrazione dal pernssido di manga- 
nese e le acque concentrate in una corrente d’ acido carbonico la- 
sciano un residuo semisolido colorato in brufio. L’ alcool bollente 
estrae da questo i sali potassici degli acidi formati; e i quali furono 
scomposti coll’ aggiunta di acido solforico diluito. Distillando il mi-. 
scuglio in una corrente di vapore si ottiene un distillato il cui o- 
dore ricorda agquello degli acidi della serie grassa. Coll’ aggiunta 
d’idrato baritico ottenni un sale d’apparenza cristallina, la cui quan- 
tità era troppo piccola. per farne l’analisi. 

L'acido non volatile coi vapori fu trasformato nuovamente nel 
sala potassico e precipitato da questa soluzione con nitrato d’ argento. 

Scomponendo il composto argentico con acido solforico e con- 
centrando le acque a bagno maria dopo la separazione del solfuro 
d’argento, re rimane una massa sciropposa colorata leggiermente in 
bruno, la quale ahbandonatg per qualche tempo su acido solforico 
Si trasforma in una’massa cristallina. Essa ha reazione fortemente 
acida è insolubile nell’etere, scompone il earbonato di soda e dà con 
acetato di rame una colorazione verde. Si ottiene un precipitato 
bianco fioccoso trattando la soluzione acquosa del suo sale potas- 
sico con acetato di piombo; il quale però si scioglie in parte in un 
eccesso del reagente. L'acido si combiba coll’ acido cloridrico e for- 
nisce con cloruro di platino un cloroplatinato di colore giallo e d’ap- 
parenza cristallina. La quantità d’acido ottenuto da 20 gr. di spar- 
teina era taoto piccola che non ho potuto tentare dei metodi di pu- 
rificazione. 

Il sale argentico il quale ho ottenuto trattando la soluzione del 
sale baritico con nitrato d’argento, in forma d’un precipitato bianco 
gelatirroso, facilmente alterabile alla luce, diede all'analisi dei numeri 
che si avvicinano a quelli richiesti della formola d’uo acido piridin- 
monocarbonico. Difatti distillando uno dei suoi sali con un eccesso 
di calce si ottiene una base volatile , che possiede totti i caratteri 
della piridina. 

Eseguendo questa reazione su più vasta scala spero di poter 
caratterizzare meglio questo acido e provarne l'identità con uno dei 
tre acidi conosciuti. o 

Coll’azione d’un ossidante meno energico spero di poter dimo- 


454 


strare in modo più esplicito il connesso di questo alcaloide colla pi- 
ridina ¢ almeno sino a quel punto in cui si trovano le nostre co- 
gnizioni sulla costituzione della nicotina, alla a quale somiglia anche 
per la sua azione fisiologica. 

Roma. Istituto chimico. 


e 
Sull’uso del solfato ferrico nell’assaggio degli ioduri 
mescolati con cloruri e bromuri alcalini: 


di ALFREDO CAVAZZI 


Sotto questo titolo è pubblicato negli Atti dell’Accademia della 
Scienze di Bologna un mio lavoro che fu letto nell'adunanza dei 25 
maggio 1882. In esso ricordo. che il Duflos prima d’ ogni altro ap- 
plicd la soluzione bollente di cloruro ferrico neutro all'assaggio degli 
ioduri, e dimostro che questo metodo si può soltanto esercifàre sui 
| miscugli di cloruri e ioduri alcalini, mentre la presenza dei bro- 
muri .porta successivamente uno svolgimento di iodio e di bromo. 

Tale inconveniente non si verifica colla soluzione di solfato 
ferrico che. sia stato riscaldato ad unu temperatura poco inferiore al 
rosso scuro, a fine di averlo privo affatto di acido libero. Ma il sol- 
fato ferrico calcinato è poco solubile nell'acqua calda ed in essa fa- 
cilmente si decompone. A cid'si rimedia mettendo a profitto un fatto 
importante scoperto da Barreswill, cioè che la presenza di piccola 
quantità di solfato ferroso facilita molto la soluzione del solfato fer- 
rico nell'acqua calda comunicandogli inoltre un grado notevolissimo 
di stabilità. Di fatti gr. 2 di solfato ferrico misti con gr. 0.4 a gr.0,2 
di solfato al minimo si sciclgono subito in soli 25 c.c. di acqua 
bollente. 

Facendo bollire questa soluzione con un miscuglio di cléruri , 
bromuri e ioduri alcalini, si ha isolato soltanto il iodio, qualunque 
sia la proporzione dei tre sali e Ja quantità del solfato ferrico che 
si impiega. I vapori che distillano sono pure privi di acido clori-. 
drico e di acido bromidrico. 

Si: mette il miscuglio salino (neutro) da analizzare entro ma- 
traccino di vetro colla soluzione di solfato ferrico. Il tappo che chiude 
il matraccio porta due tubi : uno ad imbato , |’ estremità inferiore 
del quale arriva presso il fondo del recipiente e pesca nella solu- 


455 
zione: l’altro , piegato ad angolo retto si congiunge con altro tubo 
foggiato pure a squadra. La branca più lunga di questo arriva vi- 
cino al fondo di un cilindro di vetro con piede, contenente 20 ce. 
circa di soluzione di idrossido di potassio ben puro. Il tappa che 
chiude il cilindro porta un secondo tubo col quale è messo in co- 
municazione con un aspiratore che serve a far passare una corrente 
di aria nel matraccino e nel cilindro. 

Quando l’aspiratore funziona, si fa bollire la soluzione del ma- 
traccino con lampada a spirito. Il iodio reso libero volatilizza ed è 
trasportato dal vapor d’acqua e dalla corrente di aria nella soluzione 
alcalina del cilindro, convertendosi in ioduro e iodato di potassio. 

L'ebollizione deve essere protratta per lo spazio di 4 ora. 

Il tubo a imbuto serve al doppio ufficio di introdurre acqua 
bollente nel matraccino per rimpiazzare quella che distilla, e al caso 
per aggiungere nuova soluzione di solfato ferrico, se la prima fosse 
stata insufficiente per spostare tutto il iodio. 

Finito -il riscaldamento , si mette la soluzione alcalina del ci- 
lindro entro crogiuolo di porcellana con grossi fili o sabbia di allu- 
minio, e sì.riscalda a blando calore. L’idrogéno nascente riduce ben 
presto il iodato in ioduro. Nel liquido alcalino si versa allora nitrato 
d’argento, poi acido nitrico in eccesso, e si pesa il iodurd d’argento 
debitamente condizionato. 

Io trovo questo processo molto semplice ed esatto. 


Studi sui composti della serie del pirrolò. 
L’acetilpirrolo ed il pseudoacetilpirrolo. 


Sesta memoria di @. L. CIAMICIAN e M. DENNATEDT. 


Nel 1877 R. Schiff (1) descrisse una sostanza cristallizzata fon- 
dente a 90°, che egli ottenne riscaldando il pirrolo con anidride 
acetica. Questo corpo fu da lui riguardato come il derivato acetilico 
del pirrolo, nel quale dunque !' acetile è sostituito all’ idrogeno del 
gruppo imidico. I risultati delle nostre esperienze dimostrano , che 
la sostanza ottenuta da R. Schiff non ha questa costituzione , ma 
che invece il radicale acetilico è legato al carbonio. ‘ 


a Berl. Ber. X, 1600. 


456 
Noi vogliamo chiamare perciò questo composto: 


« Pseudoacetilpirrolo », 


per distinguerlo dal suo isomero, il vero acetilpirrolo, che è liquido, 
e che si forma pure, assieme al primo , abbenche in più piccola 
quantità, per l’azione dell'anidride acetica sul pirrolo. 

Per preparare e separare queste sostanze noi abbiamo seguito 
la seguente via, che dà dei rendimenti abbastanza soddisfacenti. 

Si riscaldano in un apparecchio a ricadere, in un bagno ad olio 
per sei ore (non è vantaggioso di riscaldare più oltre), 390 gr. di 
anidride acetica e 60 gr. di acetato sodico fuso di fresco. Si distilla 
il contenuto del pallone, che è formato da una masga nera, semiso- 
lida e cristallina, a pressione ridotta a b. m.—Il liquido che distilla 
è leggermente colorato in giallo, e contiene, oltre all'eccesso di ani- 
dride acetica, pirrolo inalterato e piccole quantità dei composti ace- 
tilici; esso serve per una nuova preparazione. Il residuo è una massa 
cristallina gialla e bruna che viene trattata con acqua è distillata 
in una corrente di vapore. Passa un olio più pesante dell’acqua dél 
quale parleremo più sotto. Quando il liquido che passa incomincia 
a deporre dei cristalli per raffreddamento , si interrompe l’ opera- 
zione. ll liquido che resta nel pallone di distillazione è colorato in 
rosso-bruno, e contiene quasi tutto il pseudoacetilpirrolo disciolto , 
‘se la quantità di acqua era sufficiente; se l’acqua è in difetto una 
parte di esso resta indisciolto in forma d’ un olio nero e pesante. 
Si aggiunge dunque se è necessario dell’ altr’acqua fino a sciogliere 
tutto il pseudoacetilpirrolo e si fa bollire la soluzione con rero ani- 
male. Dal filtrato si depongono per lo più dopo 24 ore dei bellissi- 
mi aghi lunghi parecchi centimetri, che si purificano facilmente fa- 
cendoli cristalfizzare due o tre volte dall'acqua bollente. Essendo il 
pseudoacetilpirrolo abbastanza volatile col vapor acqueo, non si pos- 
sono concentrare le acque madri per ricavare le notevoli quantità 
di materia che contengono ; queste vengono percio estratte con 
etere e purificate nel modo sopra indicato. Da 50 gr. di pirrolo si 
ottengono così 20 gr. di pseudoacetilpirrolo purissimo ; esso fonde 
a 90°, bolle a 220° (temperatura non corretta) e corrisponde nelle 
sue proprietà fisiche, alla sostanza descritta da R. Schiff, 

Questa sostanza, che, noi chiamiamo pseudoacetilpirrolo , non 
si scompone, però, come dice R. Schiff nella sua memoria, in acido 
acetico e pirrolo (4) per ebollizione con potassa? Essa si scioglie più 


(1) Loco cit. pag: 1502. 


457 


facilmente nella potassa che nell'acqua; bollendo per alcune ore la 
sua soluzione in potassa concetratissima si ottiene per raffredamento 
una massa solida, bianca, che è forse il composto potassico, che si 
ridiscioglie diluendo con acqua; l'etere estrae da questa soluzione il 
pseudoacetilpirrolo inalterato: 

Trattando la soluzione del pseudoacetilpirrolo in acqua bollente, 
con una soluzione concentrata di nitrato d’argento ed aggiungendo 
aleune gocce d’ammoniaca, si ottiene dopo poco tempo un precipi- 
tato bianco e cristallino che ha la composizione: 


» C,H,(C,H,0)NAg »? 


come lo dimostra la seguente analisi: 

I. gr. 0,8804 di sostanza seccata nel vuoto sull’ acido solforico 
diedero gr. 0,1894 di Ag. 

II: gr. 0,8066 di sostanza seccata cec. diedero gr: 0,8760 di CO, 
e gr. 0,0797 di OH). 


In 400 parti: 
trovato calcolato per C4Hy(CsH30)NAg 
I Il 
Ag 49,79 — 50,00 
C — 33,44 33,33 
H -- 2,89 2,78 


— Questo comportamento del composto fondente a 90° nqu si può, 
a parer nostro, spiegare altrimenti , che ammettendo che il radicale 
acetilico sia entrato nel nucleo del pirrolo e che l'idrogeno imidico 
sia ancor libero. 

Guidati da questo concetto noi abbiamo perciò ossidato il pseudo- 
acetilpirrolo nella speranza di ottenere o l’acido chetonico della for- 
mola C,H,(CO COOH)NH oppure un acido carbopirrolico. 

Le nostre supposizioni sono state confermate dall’ esperienza e 
I acido di cui diamo qui sotto la descrizione ha realmente la for- 
mola. 

« C,H,(CO COOH)NH >». 

La via da noi seguita per ottenere questo corpo 6 la seguente. 
Si sciolgono 5 gr. di pseugoacetilpirrolo, (è vantaggioso di non os- 
sidare più di 5 gr. per volta) in 500 cc. d' acqua aggiungendo un 
poco di potassa e riscaldando il liquido, c si versa hella soluzione 
ancor calda a poco a poco una soluzione , fatta a, caldo , di 14 gr. 
(calcolato 44,5 gr.) di permanganato potassico in mezzo litrò d'acqua. 
L'ossidazione avviene prontamente e solo in ultimo si fa bollire il 

58 


458 

‘liquido per alcuni minuti per rendere completa la riduzione del ca- 
maleonte. Si filtra e si svapora la soluzione, che è colorata legger- 
mente in giallo, per ridurla ad un più piccolo volume, ciò che può 
farsi senza tema di scomporre il nuuvo acido. Prima di procedere 
all'estrazione di questo, bisogna allontanare quella piccola parte di 
pseudoacetilpirrolo che sempre si sottrae all’ossidazione; si agita per- 
ciò con etere la soluzione alcalina avanti di metterla a svaporare, 
perchè altrimenti una buona parte di questo si volatilizzerebhe du- 
rante lo svaporamento. Da 10 gr. di pseudoacetilpirrolo se ne riot- 
tengono 2 gr. . 

La soluzione concentrata, che ha un colore giallo scuro, viene 
acidificata con acido solforico diluito ed agitata molte volte con etere 
perchè è molto difficile di estrarre il nuovo corpo dalla soluzione 
acquosa. Con 42 fino a 14 estrazioni si riesce ad esaurire il liquido 
in modo da non trascurare che delle tracce di materia. 

La distillazione dell’ estratto etereo deve essere fatta con cura 
e sopratutto bisogna evitare lo svaporamento a secchezza, perchè il 
prodotto greggio si scompone in gran parte alla temperatura del b.m. 
Si distilla l'etere dunque fino ad ottenere una soluzione molto con- 
centrata, che si chiarifica bollendola con carbone animale , e si la- 
scia poi svaporare spontaneamente. Il residuo è formato da croste 
cristalline d'un colore giallo, che all'aria diveutano brune. Da 40 gr. 
di pseudoacetilpirrolo se ne otterigono 8 gr. Nell’ossidazione si for- 
ma inoltge acido acetico e carbonico. 

Per purificare il nuovo acido lo si fa cristallizzare dal benzolo 
bollente scolorando la soluzione con carbone animale. Un grave in- 
conveniente-in questo modo d'operare, è però la proprietà del com- 
posto ottenuto nel modo descritto , di fondere sotto il benzolo bol- 
lente con parziale scomposizione:, formando un liquido quasi nero 
che non si scioglie che incompletamente nel benzolo. Per raffredda- 
mento si ottengono degli aghi aggruppati , leggermente gialli , che 
fondono con scomposizione a 74-76°. ll composto così ottenuto con- 
tiene però acqua di cristallizzazione che perde nel vuoto sull’ acido 
solforico ed anche stando sul cloruro di calcio in un essiccatore. 

Una determinazione, fatta con la materia cristallizzata due volte 
dal benzolo, seccata fra carta e poi lascigta nel vuoto sull’acido sol- 
forico fino ad ottenere un peso costante , diede i seguenti numeri, 
che concordano con quelli calcolati per una molecola d'acqua. 

ge. 2,7108 di. materia perdettero gr. 0,8118 di OH,. 

In 100 parti : 

trovato calcolato per CsH;NO3+OH, 
OH, 14,50 11,46 


e 


459 


L'acido deaquificato ha un colore giallo limone intenso, e non 
fonde più sotto il benzolo bollente, perciò è conveniente di deacqui- 
ficare subito il prodotto gregio prima di farlo cristallizzare dal benzolo. 

L'acido deacquificato fu fatto cristallizzare più volte, scioglien- 
dolo nel benzolo bollente, nel quale non è molto facilmente solubile, 
ottenendo così una soluzione gialla che fu fatta bollire con nero ani- 
male. Per raffreddamento si ottengono piccoli aghi gialli finissimi 
aggruppati, che anche dopo ripetute cristallizzazioni dal benzolo man- 
tengono questo colore. Essi inconiinciano a scomporsi verso i 118°- 
415° senza avere un punto di fusione ben determinato. Messi sot- 
l'acqua diventano istantaneamente bianchi. 

Le analisi fatte colla sostai:za seccata nel vuoto sull’ acido sol- 
forico diedero i seguenti numeri: 

T. gr. 0,3840 di materia detlero gr. 0,6251 di CO, e gr. 0,1093 
di OH,. 

IT. gr. 0,2960 di materia dettero gr. 0,5618 di CO, e gr. 0,1078 
di OH,. 


trovato calcolato per CgHsNO3 
I II 
C 54,04 54,76 ° 51,80 
H 3,63 4,05 3,60 ° 


L'aci.lo deacquificato è poco solubile nell'acqua fredda, per ri- 
scaldamento si scioglie formando una soluzione leggermente gialla ; 
questa soluzione dà con cloruro ferrico un coloramento rosso intenso, 
e non precipita coll’acetato di piombo. Riscaldando l’acido con calce 
spenta si ottiene probabilmente il pirrolo, almeno si nota facilmente 
il suo odore caratteristico e la reazione con la scheggia d’abete ba- 
gnato d’acido cloridrico. 

Riscaldando il nuovo acido , con acido cloridrico avviene una 
reazione caratteristica che può servire a riconoscere il nuovo com- 
posto. Si forma subito una soluzione d’un colore rosso-carminio in- 
tensissimo che somiglia non poco ad una soluzione d'eosina. Aggiun- 
gendo una base, il liquido prende ua coloramento giallo-verde, e ri- 
| diventa rosso acidificandolo. 

Trattando la soluzione acquosa dell’acido con una soluzione di 
nitrato d° argento si ottiene un precipitato bianco e cristallino del 

Sale argentico. Esso è solubile nell'acqua bollente e cristallizza 
per raffreddamento in aghi senza colore, che seccati nel vuoto sull’a- 
cido solforico diedero all'analisi i seguenti numeri: 

gr. 0,8264 di materia dettero gr. 0,1481 di Ag. 


460 
‘In 400 parti: 
7 trovato calcolato per C,H;(CO COOAg)NH 
Ag 4384 | 43,90 


Noi ci riserbiamo lo studio ulteriore di questo acido, come pure 
quello dei composti che si ottengono dal pirrolo per |’ azione del- 
Paridride acetica e di altre anidridi. 

L'olio suaccennato, che si ottiene distillando con vapor acqueo 
il prodotto dell'azione dell’anidriee acetica ed acetato sodico sul pir- 
rolo, è formato precipuamente dal vero 


« Acetilpirrolo ». 


Per purificare questo composto si separa l'olio dall’acqua, lo si 
dissecca sul cloruro di calcio e lo si sottopone alla distillazione fra- 
zionata. Il liquido passa fra 160° e 222°; la piccola parte che distilla 
sopra i 200° si solidifica completamente, e non è altro che pseudo- 
acetilpirrolo , il quale essendo un po’ volatile col vapore acqueo , 
passa assieme all'olio che descriviamo. 

Dopo un lungo frazionamento del liquido bollente fra 160° e 200°, 
si riesce a separare una frazione che distilla costantemente fra 176° 
e 180°, la maggior parte della quale bolle a 177°-178°. Questa fra- 
zione ha la stessa composizione del corpo scoperto da R. Schiff, e 
e come si vedrà più sotto, deve essere riguardata come il vero com- 
posto acetilico del pirrolo. 

gr. 0,2647 di materia diedero gr. 0,6378 di CO, e gr. OAGGA 
di OH,. 


In 400 parti: 
trovato calcolato per CQH,N.C,H30 
C 65,74 66,05 
H 6,97 Da 6,42 


Si può ottenere il vero acetilpirrolo in maggiori quantità fa- 
cendo agire il cloruro d’acetile sul composto potassico del pirrolo. 

Il cloruro d’acetile reagisce violentemente sul composto pirrol- 
potassico e lo resinifica, si diluisce perciò il reattivo con etere ani- 
dro. Si pone in un pallone, con apparacchio a ricadere 80 gr. 
di C,H,NK stemperato in 250 c.c. d’etere anidro e si fa gocciolare la 
quantità necessaria di cloruro d’ acetile diluito con 50 c.c. d' etere. 
1} liquido si riscalda spontaneamente fino all’ ebollizione in modo 
che è necessario di raffreddare esternamente il pallone. Dopo circa 
15 minuti la reazione è terminata, ed il liquido, e massime il de- 


461 


posito solido di cloruro potassico, che si è formato, hanno un colore 
rosso vivo. Si @istilla l'etere a b. m. ed il residuo, una massa re- 
sinosa rosso-bruna, viene trattata con acqua e distillato con vapore; 
passa un olio più pesante dell’acqua, che viene separato dalla me- 
desima , seccato con cloruro di calcio e sottoposto alla distillazione 
frazionata. A 480° passano alcune gocce di pirrolo rigenerato , ma 
la maggior quantità del prodotto bolle fra 170° e 180°. Da 80 gr. 
di composto potassico si ottengono 12 gr. di questo liquido. Dopo 
una serie di distillazioni la maggior parte di questo bolle fra 177° 
e 178°. Le ultime goccie che restano nel palloncino si solidificano 
parzialmente dopo qualche giorno. | 

Il residuo della distillazione con vapor acqueo fu bollito con car- 
bone animale, e dal liqnido.fillrato si ottiene per agitazione con etere 
4 gr. (da 80 gr. di C,H,NK) di pseudoacetilpirrolo impuro. 

Il composto bollente a 177°-178° è identico a quello ottenuto 
per azione dell'anidride acetica ed acetato sodico sul pirrolo. 

gr. 0,3182 di materia diedero gr. 0,5278 di CO, e gr. 0,1288 
di OH,. 


trovato calcolato per C,H,N.C,H;0 
C 65,97 66,05 
H 6,56 6,42 * 


It liquido bollente a 177°-178° ha un odore caratteristico diffe- 
rente affatto da quello del vapore del pseudoacetilpirrolo, è quasi in- 
solubile rfell'acqua, ma dà con una soluzione acquosa di cloruro me- 
curico un precipitato bianco. Si scioglie nella soluzione di nitrato 
d’argento, che riduce dopo qualche tempo. Il suo vapore arrossa una 
scheggia di legno bagnata con acido cloridrico; trattato con questo 
reattivo si resinifica. Non si scioglie nella potassa acquosa , ma fa- 
cendolo bollire con questa si scinde facilmente in pirrolo ed acido 
acetico. 

Questo comportamento ci fa credere che il liquido bollente a 178° 
sia il vero composto acetilico del pirrolo, ed abbia la formola 

« C,H,N.C,H,O » 


AZIONE DEL BROMO SUL PSEUDOACETILPIRROLO. 


R. Schiff descrisse nella memoria già citatata un composto d’ad- 
dizione con due atomi di bromo, che lui ha creduto ottenere , fa- 
cendo agire una molecola di bromo sul pseudo-acetilpirrolo in solu- 
zione di acido acetico glaciale; non avendo noi ottenuto in questo 


462 | 
modo, che dei prodotti di sostituzione pubblichiamo i risultati delle 
nostre esperienze. ® 

Facendo agire il bromo, anche ig quantità esattamente stechiome- 
triche, sul pseudoacetilpirralo in soluzione d’ aeido acetico glaciale, 
si ottengono sempre dei miscugl di diversi composti la di cui sepa- 
razione è molto difficile. La via che noi descriviamo è quella che 
dopo varî tentativi ci è sembrata la più adatta a raggiungere lo scopo. 


. Monobromopseudoacetilpirrolo (CH BreN 0). 


Si sciolgono a freddo 10 gr. di pseudoacetilpirroto purissimo in 
poco più della quantità necessaria di acido acetico glaciale, e si ag- 
giungono 44 gr. di bromo sciolto in una piccola quantità dello stesso 
solvente. Il liquido si riscalda, emette acido bromidrico e prende un 
color rosso più o meno intenso -a seconda della concentrazione; dopo 
poco tempo, se la diluizione è conveniente, si forma un precipita- 
to (A) di cristalli bianchi. Si filtra e si lava con poco acido acetico 
glaciale perchè il composto è molto facilmente solubile in questo sol- 
vente. Del filtrato (B) diremo più sotto. 

Il precipitato (A) viene posto nel vuoto sulla calce per elimi- 
nare l’acido bromidrico ed acetico e poi sciolto nell’alcool. La solu- 
zione alcoolica è per lo più colorata e viene versata nell'acqua; non 
si ottient che un leggerissimo precipitato d’una materia che per ora 
trascureremo essendo più copiosamente contenuta nel filtrato segnato 
con (B). Si agita la soluzione acquosa filtrata con etere e si fa cri- 
stallizzare il residuo dell'estratto etereo, che è formato dal Monobro- 
‘ mocomposto e ‘dal pseudoacetilpirrolo inalterato , alcune volte. dal- 
l’acqua bollente aggiungendo carbone animale. Si riesce così facil- 
mente a separare queste due sostanze, essendo il monobromocom- 
‘ posto molto meno solubile nell’acqua fredda del pseudoacetilpirrolo. 

I cristalli così ottenuti sono aghi appiattiti lunghi e senza co- 
core che somigliano molto a quelli del pseudoacetilpirrolo. Essi fon- 
dono a 407°-408°. 

gr. 0,2261 di materia dettero gr. 0,2263 di AgBr. 

In 400 parti: 


trovato calcolato per CsHgBrNO 
Br 42 55 49,55 


Il filtrato (B) si versa nell'acqua, ottenendo così un abbondante 
precipitato bianco che si separa dal liquido per filtrazione. Quest'ul- 
- timo contiene oltre a piccole quantità di pseudoacetilpirrolo inalte- 

terato, il monobromocomposto mescolato alla materia contenute nel 





463 
precipitato. Questo è forse probabilmente un miscuglio di monobro- 
mo e bibromo-pseudoacetilpirrolo che non siamo riusciti a separare. 

Esso si presenta dopo alcune cristallizzazioni dall’alcool bollente 
in forma di piccoli ‘aghi bianchi che stando esposti alla luce diven- 
tano gialli, e che fondono a 118°-120°. 

Le analisi fatte con i prodotti di due diverse frazioni diedero 
i seguenti numeri: 

I. gr. 0,2138 di materia .diedero gr. 0,2608 di AgBr. 

II. gr. 0,4415 di materia diedero gr. 0,1756 di AgBr. 


In 100 parti: 
. calcolato per 
trovato CsHgBrNO C;H;BraNO 
I II 
Br 52,08 52,78 42 58 59,92 


Bibromopseudoacetilpirrolo (CH;Br,NO). 


Si aggiunge ad una soluzione di pseudoacetilpirrolo in acido. 
ncetico glaciale una quantità corrispondente a dhe molecole di bro- 
mo sciolto nollo stesso solvente. Risulta un liquido colorato legger- 
mente in giallo che emette acido bromidrico , e che si versa: nel- 
l'acqua. . 
Si ottiene un precipitato bianco che si filtra e si scioglie nel- 
l'’aleool bollente , aggiungendo carbone animale. Per raffredamento 
si ottengono piecoli aghi che dopo alcune cristallizzazioni fondono — 
a 445°-447°. Essi hanno una composizione che si avvicina a quella del 
bibromopseudoacetilpirrolo, ma contengono però ancora, come lo di- 
mostra la seguente analisi, piccole quantità di un composto più bro- | 
murato, dal quale non siamo riusciti a separarli. 

gr. 0,2468 di materia diedero gr. 0,8540 di AgBr. 

In 400 parti: 


trovato calcolate per CsH sBrgNO 
Br 61,16 59,92 


Il bibromopseudoacetilpirrolo puro si ottiene ‘però facilmente 
dalle soluzioni alcooliche madri, dalle quali sono separati i suddetti 
cristalli. Si svaporano a secchezza queste soluzioni e si fa cristalliz- 
zare il residuo dall’ acqua bollente , in cui’ si scioglie difficilmente , 
scolorando la soluzione con carbone animale. Per raffreddamento si 
ottiene un deposito formato da piccoli ahi bianchi che ingialliscono 
lievemente stando esposti alla luce , e che dopo alcune cristallizza- 
zioni fendono a 148-144°, 


464 

Essi hanno la composizioni d'un bibromoacetilpirrolo. 

I. ge. 0,1795 di materia dettero ge. 0,2585 di AgBr. 

II. gr. 0,8948 di materia dettero gr. 0,3190 di CO, e gr. 0,0627 


di OH,. 
In 100 parti: 
trovato calcolato per CgHsBrsNO 
I Il 
Br 60,09 —_ 59,92 
Cc. — 26,81 26,97 
H — 2485 4,87 


Le acque madri contengono tracce di pseudoacetilpirrolo inalterato. 

Il monobromo ed il bibromo-pseudoacetilpirrolo si sciolgono fa- 
cilmente nella potassa acquosa e precipitano inalterati aggiungendo 
un acido alla soluzione. 


Pentabromopseudoacetilpirrolo (C,H,Br,NO}. 


Se si fa agife su di una soluzione di pseudoacetilpirralo in 
acido acetico glaciale una quantita di bromo corrispondente a quattro 
molecole, si ottiene un liquido colorato ia rosso, che si riscalda lie- 
vemengo a b. m. per rendere completa la reazione. Dopo poco tempo, 
se si ha evitato un eccesso di acido acetico glaciale, si depongono 
per raffreddamento piccoli aghi senza colore che si separano dal li- 
quido per filtrazione. Per purificarli si fanno cristallizzare alcune 
volte dall’acido acetico glaciale bollente , nel quale sono poco solu- 
bili a freddo ma molto a caldo. Essi fondone a 200° ed hanno la 
‘composizione di un pentabromopseudoacetilpirrolo. 

I. gr. 0,14478 di materia diedero gr. 0,2189 di AgBr. 

II. gr. 0,5796 di materia diedero gr. 0,8075 di CO, e gr. 0,0359 


di 0H,. 
In 400 parti: 
trovato . calcolato per CgHsBrgsNO 
I II 
Br 719,07 — | 79,86 
G — 14,47 44,28 
H — 0,50 0,40 


Il liquido dal quale si sono. deposti i cristalli analizzati contiene 
dei composti meno bromurati che precipitano dalla soluzione acetica 
aggiungendovi dell’acqua. 

Anche adoperando maggiori quantità di bromo non si riesce, 








455 
per questa via,a sostituire nel pseudoacetilpirrolo il sesto atomo di 
idrogeno disponibile, probabilmente bisognerebbe riscaldare con bromo 
in tubi chiusi. 

La formazione del pentabromopseudvacetilpirrolo serve pure a 
confermare la costituzione di questo composto: in quanto alla distri- 
buzione del bromo nei tre composti descritti, il bromo potrebbe so- 
Stituire prima l’idrogeno del nucleo del pirrolo e poi per ultimo an- 
che quello del residuo acctilico; le formole sarebbero dunque proba- 
bilmente le seguenti: 

Monobromopsendoacetilpirrolo: C,H,Br(C,H,0)NH 

Bibromopscudoacetilpirrolo: C,HBr.(C,H,0)NH 

Pentabromopseudoacetilpirrolo: C,Br;(C,Br,HO)NH. 

Roma, Istituto Chimico. 


Il solfato di paratoluidina quale reattivo dell’acide nitrico; 


di ANTONIO LONGI. 


. Quando sopra soluzioni di paraloluidina nell’acido solforico con- 
centtatò si versa acido nitrico, si forma in prima una colorazione 
bleu che passa dipoi al violetto, al rosso, ed infine al giallo bruno. 
Rosenstiehl (1) e Lauth (2) impiegarono perciò l'acido nitrico per 
scoprire la paratoluidina nella soluzione delle diverse basi aroma- 
tiche nell’acido solforico concentrato. 

Id ho studiato questa stessa reazione dal punto di vista della 
ricefca dell’acido nitrico ed ho ottenuto risultati ottimi. 

Se si mescolano poche gocce di soluzione di solfato di parato- 
luidina con un liquido contenente nitrati e dopo si aggiunge acido 
solforico ordinario, in volume uguale alla soluzione nitrica ed in 
modo che' si formino due strati distinti , al piano di separazione 
dei due liquidi si manifesta subito una colorazione rosso intensa 
che dopo ‘lungo tempo passa al giallo scuro. 

Impiegando nello stesso modo il solfato di paratoluidina con 
soluzioni di clorati, bromati, iodati, cromati, permanganati, anzichè 
ottenere la colorazione rossa, si ottiene una colorazione bleu inten- 


(1) Aon. de Chim. et de Phys. t. XXV, p. 233. 
(2) Wurtz—Diction. de Chim. t. If, p. 843: 


59 


456 
sissima, c tanto, che essa maschera completamente la reazione dei 
nitrati, quando nel liquido da saggiare ne siano contenuti insieme 
ancora a piccole quantità dei sali nominati. 

La soluzione di solfato di anilina, impiegata nello stsso modo, 
non dà colorazione alcuna ; però se i sali delle due basi si adope- 
rano mescolati, si osserva che la colorazione rossa è più intensa e 
sensibile. Come reattivo perciò invece della paratoluidina pura si può 
impiegare, e con vantaggio, una soluzione di olio greggio di anilina 
nell’acido solforico diluito. 

Allo scopo di determinare la sensibilità di questo reattivo , io 
ho fatta la ricerca dell’acido nitrico in soluzione di nitrato potassico 
di vario titolo , ed ho riscontrato che esso è ancora sensibile per 
scoprire acido nitrico in un liquido che ne contenga appena 1/s2000- 

Ho voluto confrontare la sensibilità di questo reattivo con quella 
di alcuni altri già proposti. 

La crisanilina già proposta da W. Hofmann (4) è appena ap- 
pena sufficiente a scoprire 1/j99) di acido nitrico. 

Il solfato ferroso può essere suscettibile di sensibilità differente 
secondo il differente modo di impiegarlo. Il solfato ferroso in solu- 
zione concentrata, versato nella mescolanza fredda di 4 v. di solu- 
zione nitrica ed 4 v. di acido solforico concentrato , può scoprire 
fino ad 1/s000 di acido nitrico. 

Se invece alla soluzione nitrica si aggiunge un egual volume 
di acido solforico concentrato, in modo che i due liquidi non si me- 
scolino, e quindi alcuni frantumi cristallini di buon solfato ferroso, 
essi possono seoprire fino ad '/,g99 di acido nitrico. 

Coll’indaco si può scoprire fino ad 1/g4000; € per la reazione della 
potassa caustica insieme colla polvere di zinco, reazione per la prima 
volta proposta da P. Tassinari e P. Piazza (2), si può scoprire fino 
ad 1/,gosso di acido nitrico. 

La brucina fu fino ad ora ritenuta per il più sensibile reattivo 
dell'acido nitrico. Kersting (3), che impiegò questo reattivo in solu- 
zione acquosa ad !/,000, giunse a poter scoprire fino a !/,00000 di acido 
- nitrico. Se invece si versa in una soluzione nitrica acido solforico 
concentrato in cui fu disciolta una piccola quantità di brucina , si 
ottiene la nota colorazione rossa ancora per liquidi che contengono 
solo !/sseoo0 di acido nitrico. 


(1) Comp. rend. t. LV, p. 817. 
(2) Nuovo Cimento 1856, t. II, p. 456. 
(3) Ann. de Chem. e Phys. t. CXXV, p. 254, 





457 


La sensibilità della brucina viene enormemente sorpassata dalla 
difenilammina. Essa forma coll’ acido nitrico o nitroso disciolti in 
acido solforico o cloridrico concentrati un prodotto di ossidazione 
così intensamente colorato in bleu, che sono sufficienti appena trac- 
cie di acido nitroso o nitrico per ottenere una reazione visibile. E. 
Kopp (4) utilizzò questa reazione per scoprire i prodotti nitrosi nel- 
l’acido solforico commerciale ed assicurò che essa è per lo meno così 
sensibile quanto quella del solfato ferroso. lo ho provato che la di- 
fenilamina può servire a scoprire l'acido nitrico nelle sue soluzioni 
acquose. 

Mescolando alia soluzione nitrica poche goccie di solfato di di- 
fenilamina e quindi aggiungendo uno strato di acido solforico con- 
centrato, si forma una bellissima colorazione hleu assai persistente. 
In questo modo operando , si ha sempre una colorazione visibilis- 
sima con soluzioni di acido nitrico ad !/,500000 , € la reazione non 
comincia ad essere incerta che con soluzioni aventi un: titolo pros- 
simo ad !/s900000- 

Se il reattivo che io propongo , la paratoluidina , non è così 
sensibile come la brucina e la difenilamina, nondimeno a questi due 
ultimi è da preferirsi, perchè oltre a mon dare la stessa colorazione 
cogli acidi clorico, bromico, iodico ecc., non la dà nemmeno col 
nitroso. 

Quando ad una scluzione di un nitrito, si aggiunge soluzione 
solforica di paratoluidina e quindi acido solforico, come di sopra fu 
detto, si oltiene, se la soluzione del nitrito è discretamente concen- 
trata, una colorazione giallo bruna; se essa è diluita, si ottiene una 
colorazione appena gialla, la quale però dopo qualche tempo passa 
al rosso per la trasformazione in acido nitrico di una parte dell'a- 
cido nitroso liberato. Questo reattivo potrà servire dunque a diffe- 
renziare i nitrati dai nitriti. Quando si tratti di compiere questa 
ricerca, si dovrà in prima diluire di assai la soluzione da sag- 
giare , e si dovrà osservare se per la reazione accennata si formi, 
fino dal primo istante, la colorazione rossa caratteristica dei nitrati. 
Di questa reazione però non possiamo far conto quando si tratti di 
ricercare un nitrato mescolato a grandi quantita di nitrito, perché 
la colorazione giallo-bruno che si produce, maschera completamente 
la colorazione rossa dell’ acido nitrico. In questo caso si può ricor- 
rere alla scomposizione dell’ acido nitroso per mezzo dell’ urea già 


(1) Berich. de deut. chem. Gesell. V, 1872, p. 283. 





- 


458 
proposta dal Piccini (4), ma modificando un poco il metodo, io pre- 
ferisco di aggiungere un eccesso di urea alla soluzione contenente 
il nitrito e quindi a poco a poco acido acelico, fino a che a freddo 
non si manifesti più sviluppo di gas, di riscaldare ed evaporare di- 
poi a bagno maria e nella soluzione del residuo ricercare |’ acido 
nitrico. 


Pisa, dal laboratorio di Chimica generale della R. Università. Ago- 
sto 1883. 


Ricerca dell'acido nitrico in presenza di ‘altri acidi 
che possono mascherare le sue reazioni: 


di ANTONIO LONGI..- 





La ricerca dci nitrati riesce spesso malagevole ed incerta quando 
essi si trovino in una mescolanza complessa contenenente ioduri 
bromuri e sali ossigenati come clorati, bromati, iodati, cromati ecc. 
Io mi sono occupato di tale ricerca ed oggi quindi propongo un me- 
todo , il quale ha per base principale la riduzione degli acidi ossi- 
genati e la eliminazione del bromo e più specialmente dell’ iodio. 
Dopo essermi assicurato che per il trattamento di soluzioni di un 
nitrato con soluzioni di acido solforoso, rimane sempre I acido ni- 
trico o tal quale o sotto forma di composto solforoso-nitrico capace 
di essere poi scoperto dai reattivi propri dell'acido nitrico, io com- 
pio la riduzione degli acidi ossigenati per mezzo dell'acido solforòso. 
La eliminazione del bromo ce dell’io:lio la ottenzo applicando la rea- 
zione di G. Vortmann (2). 

Nel fare questi esperimenti mi sono accorto che, quando si ri- 
scaldano soluzioni nelle quali siano sali ammoniacali ed uno. dei sali 
ossigenati sopra citati, una parte dell'ammoniaca si trasforina in acido 
nitrico: è necessario perciò compiere la riduzione dei sali ossidanti 
prima di riscaldare la soluzione. Mi sono assicurato però che il bios- 
sido di piombo non esercita questa azione sui sali ammoniacali in 
soluzione acetica. 

Il metodo che io propongo è quiudi il seguente: 


(1) Gaz. ch. vol. IX, p. 395. 
(2) Berichte d. deut. chem. Gesell. XIII. p. 2024. —Zeitsch. f. analy. 
Chem. XIX, p. 343. 


® 


459 


« Se la soluzione nella quale si deve ricercare |’ acido nitrico, 
ha reazione acida , si neutralizza con carbonato sodico e quindi sì 
tratta con soluzione di anid~ide solforosa fino a che l’odore di que- 

“sta rimanga persistente. Compiuta che sia la riduzione, e quando 
perciò i sali ammoniacali non potranno essere più convertiti in acido 
nitrico si riscalda moderatamente per scacciare una parte dell’ ani- 
dride solforosa eccedente e quindi si aggiunge a poco a poco car- 
bonato sodico fino a reazione leggermente alcalina e si fa bollire 
per precipitare il cromo e gli altri metalli pesanti : si separa dun- 
que il precipitato, se se ne è formato, cd il liquido si acidula con 
acido acetico. Si filtra se occorre: al liquido Si aggiunge una discreta 
quantità di acido acctico e di puro biossido di piombo e si fa bol- 
lire fino a che, per un’ ultima aggiunta di acido acetico e biossido 
di piombo, i vapori non colorino più in nessun modo ‘una cartolina 
amidata. Si lascia ben raffreddare c quindi si separa colla filtrazione 
il liquido dal biossido di piombo cccedente e dagli altri prodotti în- 
solubili che potessero essersi formati; si precipita con solfato sodico 
il piombo passato in soluzione, si separa il solfato di piombo forma- 
tosi ed il liquido si evapora completamente a bagno maria. Il re- 
siduo si riprende con acqua, si filtra, se rimane qualche cosa di in- 
solubile, e nel liquido si ricerca [ acido nitrico con un reattivo 
qualsiasi ». 

I risultati che, con questo metodo, io ed altri abbiamo ottenuti 
sono soddisfacentissimi. | 


Pisa, dal laboratorio di Chimica generale della R. Università. Ago- 
sto 1883. 


Determinazione degli acidi nitrose e nitrice 
noli e in mescolanza; 


di ANTONIO LONGI. 


La ben nota reazione che I’ acido nitroso esercita sulle amidi 
fu già applicata dal Piccini (4) alla decomposizione dell'acido nitroso 
in mescolanze di nitriti con nitrati; ma, che io appia, non fu an- 
cora studiato se questa stessa reazione poteva applicarsi alla deter- 


(1) Gazz. Chim. IX, 395. ° 


460 
minazione dell'acido nitroso e del nitrico. Ho creduto utile di fare 
questo studio di cui ora dò conto. 


L'amide da me adoperata fu l’urea perchè assai comune e fa- . 


cile a procurarsi. 


DETERMINAZIONE DELL'ACIDO NITROSO DEI NITRITI 


A tale scopo faccio agire l’urea e l’acido acetico sulla soluzione 
del nitrito. La decomposizione si effettua in gcan parte alla tempe- 
ratura ordinaria; e l'azoto raccolto ed opportunamente misurato, cor- 
risponde alle quantità di nitrito impiegate, come può rilevarsi dal 
seguente quadro nel quale ho registrati i risultati delle esperienze fatte. 















Titolo c.c di cc. di azoto 


Titolo 












della soluzione | soluzione | | 

di NaNO, | impiegata | OMenuti | calcolati | citenuto 
9.576 yo 5 15,36 15,47 9,501 9» 

» 45 45 > 9,543 

> 45,80 > 9,474 

20 12,25 42.37 4,900 

> 12,20 » 1,888 

10 6,07 6,18 1,878 

> > 6,02 > 4,868 


4,879 


DETERMINAZIONE DELL ACIDO NITRICO DEI NITRATI 


Per potere colla reazione sopracitata determinare l’acido nitrico 
dei nitrati, era necessario adoperare contemporaneamente agenti ri- 
duttori per trasformare l'acido nitrico in nitroso. Ho successivamente 
sperimentato con acido solforico e cloridrico insieme a rame, ar- 
gento , piombo , antimonio e sali ferrosi, ma sempre ho ottenuto 
quantità troppo piccole di gas risultanti da mescolanze a proporzioni 
variabili di azoto e di ossido mitrico. Ottenni finalmente risultati 








464 
oltimi impiegando una soluzione cloridrica di anidride arseniosa. I 
risultati ottenuti sono registrati in questo quadro. 


————tv 


Titolo. cc. di cc. di azoto Titolo 
della soluzione | soluzione . . | 

di KNO, impiegata | OMtenuti | calcolati ottenuto 
37,148 °/v% 40,69 40,94 37,92 9/o 
15,897 17,42 17,51 15,80 

> 10,30 10,50 15,57 
20,749 29,79) 22,83 20,67 

» 413,42 48,70 19,96 
4144 9,04 9,43 4,087 

> 9,03 » 4,096 

» 18,09 18,26 4,108 





DETERMINAZIONE DEGLI ACIDI NITROSO E NITRICO NELLE MESCOLANZE 
DI NITRITI E NITRATI 





Nel caso di nitriti e nitrati feci due determinazioni: in una parte 
di liquido nitroso-nitrico feci quella dell'acido nitroso : in un'altra 
parte quella dell’ azoto complessivo e quindi per differenza dedussi 
la quantità dell'acido nitrico. I risultati assai soddisfacenti ai quali 
sono pervenuto sono dati dal seguente quadro. 





462 


| 


, 


Sess} LSS't gL‘ov | O8‘Ot 849 60‘9 gt Sh88't LOL&‘T 





1080'S §996'0 ‘ 03‘8% « L8°6 < ‘ < 
L9c0°6 |: 94.60 963% GOSS L&‘6 o7'6 08 VEL0S SL460 
990‘0} L6L'Y 86°38 09'%% 83‘6 08°6 9 ‘ ‘ 
933 OF 06L% E Z0'Ss ‘ | 84°97 ‘ ‘ < 
943 OF SLLY os'ss | sete ‘ 6481 ‘ 688°0} ‘ 
98°81 06.44 ‘ L0‘99 ‘ 09°} ‘ ‘ ‘ 


%) 68°} %/, 008° 15‘98 0196 L%°9t gq‘c} 0} 90/#LS8HI % 88L‘F 


























fonn or | fonen ar | serous | rinuono | mejoaeo | nnuono | P84) co a] foyen ui 
auorznjos 
O4NUIO 07041], 0AISS9[du109 07078 1p ‘99 | FONH.I[SP 07028 Ip ‘99 Ip ‘99 QUOIZNIOS EI[op O[O;TT, 





inazio- 


. 


478 


questa determ 
-hilrica, decomponendo 


quindi i nitrati con acido cloridrico 


quantità di azoto. 
pure soddisfacenti che 


ente le due 


ico € 


triti con acido acet 


° 


istro. 


Ho voluto tentare ancora se era possibile fare 


ne sopra una sola quantita di soluzione nitroso 


In questo modo ho ottenuto i risultati 


arsenicale e raccogliendo separatam 
qui reg 


1D prima i n 








010s | rase‘) 08°L 60‘L 1647 68‘Y 9} ‘ ‘ 
18043 | ©sze0o) S¥‘6 61'6 819 00°9 0% Lo | Lee 
LOV'S vai “. CEE] ‘ 666 ‘ ‘ ‘ 
| Lera 69V7| * 09°81 e S16 8 | 997% 169° 
usr} sco] oL'st | exter 83‘6 90‘6 9 ‘ ‘ 
EVO} OLY} *. 108% c oo Sh ‘ ‘ ‘ 
TWO 98L't| 888 LL'66 ‘ 08°] ‘ eos: « 
0/89‘81 % rey} 640% LOW LY‘St 6891 OF |/oL9'8H%88L'% 
‘ON U!l ONEN Ul! Meloos9 | nuuono | merooreo | rinuano Mado:dun ‘ONX MI[FONENU! 
QUorzn{os 


oynueyo 0101L, |FONH.I[®P 03028 1p*00| FONH.I[®P Ooze Ip ‘99 tp ‘00 |euorznjos enap otong 


60 


474 

L'apparecchio di cui mi sono servito si compone (Tav. 1) di 
un palloncino della capacità di 200 cc. munito di un buon tappo 
di gomma a tre fori. Per il foro di mezzo passa un tubo a grosse 
pareti e del diametro interno di 1 mm.; internamente egli discende 
fino a metà del collo del pallone ed esternamente ‘si innalza fino 
a 30 centimetri, è saldato con un tubo a diametro molto più largo 
che serve da imbuto ed'è diviso in due parti congiunte fra di loro 
con un grosso tubo di gomma che può chiudersi con una pinzetta 
a vite. Ad uno dei fori laterali è adattafo un tubo a svolgimento, 
del diametro interno di 2 fim., il quale non oltrepassa internamente 
la base del tappo; esso discende all’esterno fino a circa 80 centime- 
tri, misurati verticalmente; è formato da due pezzi fra di loro con- 
giunti per mezzo di un tubo di gomma a grosse pareti ed a circa 
40 centimetri dalla sua estremità inferiore è adattata una palla di 
piombo ; oppure un pezzo di tubo dello stesso metallo ricoperto da 
uno strato di nastro di cotone. Dall’ altro foro laterale penetra nel 
pallone, fino ad un centimetro dal fondo, un sifone, pure del dia- 
metro iuterno di 2 mm. , la cui branca esterna è spezzata e con- 
giunta con un tubo di gomma a grosse pareti portante pure una 
pinzetta a vite. 

L’estremita del tubo di svolgimento è immersa in una usuale 
cuvetta a mercurio, ripiena di questo metallo fino a ricoprire i cu- 
scinetti ed immersa alla sua svolta in una vaschetta ripiena di a- 
cqua di recente bollita. Per tal modo l’estremità del tubo può pog- 
giare nel fondo della cuvetta ed essere perciò del tutto ricoperta dal 
mercurio, oppure alzarsi e poggiare sopra uno dei cuscinetti laterali 
della cuvetta in modo che essa venga ad essere immersa nell’acqua. 
La palla di piombo ha lo s:opo di obbligare il tubo a rimanere im- 
merso nel mercurio; e la fasciatura di cotone, quello di permettere 
all'operatore di alzare od abbassare questo tubo senza scottarsi. 

Per raccogliere il gas, io mi servo di un palloncino di 450 cc. 
circa a cui saldai inferiormente un tubicino di vetro, che congiunga 
ad un tubicino affilato per mezzo di un tubo di gomma che chiudo 
con una pinzetta Mohr: un recipiente così fatto i comodissimo 
perchè permette di raccogliere agevolmente rilevanti quantità di gas, 
di agitarlo con soda e di travasarlo dopo esattamente in una cam- 
panella graduata. 

Col descritto apparecchio opero nel modo seguente: 

Riempio il pallone , fino al collo, di acqua distillata bollita ed 
ancor calda, adatto convenientemente il tappo con i tre tubi e fisso 
tutto sui relativi supporti. Immergo l’estremità del tubo a sviluppo 





475 


nella cuvetta a mercurio, ed il tubo sifone fino al fondo di un bic- 
chiere, della capacità di !/, litro circa, contenente acqua bollita. Riem- 
pio infine di acqua l’imbuto e, per quello, termino di riempire l'ap- 
parecchio compresi il.sifone ed il tubo a svolgimento , procurando, 
dopo avere chiusa la pinzetta del sifone, che l’imbuto ne rimanga 
sempre pieno almeno fino alla saldatura. Faccio bollire per un certo 
tempo l’acqua del pallone, facendo uscire il vapore dal tubo a svi- 
luppo. per eliminare qualunque siasi traccia di aria che possa es- 
ser rimasta aderente e nuscosta fra i tubi di gomma, dopodicchè 
apro la pinzetta del sifone e per quello, continuando a fare bollire, 
faccio uscire tant’acqua fino a che ne rimangano 10 ce. circa. Chiudo 
allora la pinzetta del sifone e lascio raffreddare |’ apparecchio. Il 
mercurio sale a poco a poco nel tubo a svolgimento fino a che lo 
comporta la pressione esterria, e la colonna di mercurio mentre serve 
a chiudere automaticamente l’apparecchio, serve ancora ad indicare 
se esso tiene perfettamente al vuoto. Pongo frattanto nell’ imbuto 
una quantità relativamente grande di urea e sopra questa la solu- 
zione da sperimentare. Disciolta |’ urea e raffreddato |’ apparechio , 
faccio cadere nel palloncino quasi tutto il liquido dell’imbuto e quindi, 
lavando, aggiungo tant’ acqua fino a che il palloncino sia riempito 
fino a metà. 

Dopo ciò si opera differentemente a seconda che si tratti di 
determinare o soli nitriti o soli nitrati od una mescolanza di en- 
trambi. 

Nel caso di soli nitriti immergo il palloncjno in una capsula 
ripiena di acqua fredda, e dall’ imbuto faccio cadere a poco a poco 
10 cc. di acido acetico al 50 %,. Di subito comincia a svilupparsi 
del gas e quando la reazione a freddo comincia a rallentarsi, riscaldo 
l'acqua della capsula. Tolto dono il bagno ed asciugato il pallone, 
riscaldo direttamente colla lampada per qualche minuto. Lascio un 
poco raffreddare e quindi apro la pinzetta del sifone. L'acqua con- 
tenuta nel bicchiere allora si precipita nel pallone, ma non lo riem- 
pie completamente perchè sempre vi rimangono piccole quantità di 
gas costituito quasi del tuttò da anidride carbonica. Per raccogliere 
ancora questo, chiudo la pinzetta del sifone, metto acqua nell’ im- 
buto e per quello riempio totalmente di acqua il tubo a sviluppo. 

Nel caso di soli nitrati, faccio ca lere nel palloncino 20 ce. di 
soluzione cloridrica di anidride arseniosa; riscaldo in prima a bagno 
di acqua per una mezz'ora e dopo direttamente colla lampada , fa- 
cendo bollire il liquido con tal moderazione che dopo quasi un’ora 
ne rimangano ancora 10 cc. circa. Dopo di ciò riempio di acqua il 


476 


pallone e continuo ad operare come ho detto pel caso di soli nitriti. 

Nel caso di nitriti e nitrati insieme si deve operare differente- 
mente, a seconda che si intenda fare la determinazione o mediante 
due operazioni o successivamente sulla medesima quantità di liquido. 
Nel primo caso, faccio in una parte del liquido la deterniinazione 
dei nitriti nel modo ‘preciso come nel caso di nitriti non mescolati 
a nitrati; e per far la determinazione delPazoto complessivo nell’a- 
l’altra parte, dopo avere immerso il pallone in una capsula ripiena 
di acqua fredda, verso più di 20 cc. di soluzione cloridrica di ani- 
dride arseniosa, ma a goccia, a goccia perchè la decomposizione dei 
nitriti si effettua con molta energia. Terminata quasi la reazione a 
freddo, riscaldo e faccio bollire l'acqua della capsula per una mezz'ora; 
tolgo quindi la capsula e colla lampada riscaldo moderatamente il 
palloncino per un' ora circa fino a che per una lenta ebollizione 
siano rimasti solamente 10 cc. di liquido. Dopo ciò termino l’ ope- 
razione nel solito modo. Nel secondo caso invece, dopo aver immerso 
il palloncino nell’acqua fredda, aggiungo a poco a poco 10 ce. di a- 
cido acetico al 50 0/. Terminata la reazione a freddo, faccio bollire 
l’acqua della capsula ed in ultimo riscaldo direttamente il palloncino 
colla lampada e faccio bollire il liquido per 10 minuti. Tolta allora 
la lampada , metto a parte il gas raccolto per poi misurarlo. Dopo 
ciò, verso nel pallone 20 cc. di soluzione cloridrica di anidride ar- 
seniosa, ed una nuova quantità di urea e termino di condurre l'e- 
sperienza precisamente come nel caso di soli nitrati. 
“Per misurare l'gzoto raccolto, trasporto il palloncino, che con- 
tiene la mescolanza gassosa, in un’bagno largo e profondo ripieno 
di acqua bollita; per mezzo di una pipetta ricurva spingo nel pal- 
loncino una soluzione di idrato sodico e, chiudendolo col pallice, a- 
gito forlemente fino a che viene assorbito del gas ; abbasso quindi 
il palloncino nel bagno e sovrapponendovi nna campanella graduata 
a decimi di centimetro cubo, travaso il gas aprendo la ‘pinzetta Mohr. 
Faccio in ultimo la lettura tenendo conto, come di regola, della tem- 
peratura, della pressione, e della tensione del vapore d'acqua. 

In queste esperienze mi sono servito di soluzioni tilolate di nì- 
trito di sodio e nitrato di potassio. 

Per ottenere una soluzione titolata di nitrito mi partii da quello 
di argento il quale fu ottenuto per la doppia decomposizione del 
nitrato di argento e di una soluzione concentrata di uitrito polassico 
resa leggermente acida con anidride nitroso-nitrica. Il precipitato 
ottenuto, accuratamente lavato, fu ridisciolto in acqua bollente , ri- 
cristallizzato diverse volte c quindi posto in capsula e asciugato fra 


477 


calce ed all'oscuro nel vuoto della pompa Sprengel; ma per quante 
cure io abbia poste in questa preparazione, quando analizzai il mio 
nitrito io non ottenni mai duc risultati perfettamente identici , di- 
pendendo ciò forse da alterazione non uniforme nella massa del ni- 
trito: da tre analisi io ottenni cioè 70,15—69,2-70,4 9» e quindi 
una media di 69,9 °/y di argento (teoria 70,4). Inoltre il mio ni- 
trito di argento in piccola parte si scomponeva coll’ asciugamento 
perchè esso non era più completamente solubile nell’ acqua ma la- 
sciava un piccolo residuo grigio. Per queste ragioni io non dedussi 
il titolo della soluzione di nitrito alcalino dal peso del nitrito di ar- 
gento impiegato, ma invece disciolsi in acqua bollente una certa: 
quantità del mio nitrito argentico, decantata la soluzione limpida la 
feci cristallizzare, lavai ripetutamente con acqua fredda il deposito 
cristallino e quindi lo decomposi colla minor quantità possibile di 
soluzione normale di puro cloruro di sodio. Filtrata la soluzione la 
diluii alquanto e la conservai in boccia a tappo smerigliato. Per de- 
terminare la quantità di nitrito di sodio mi servii della soluzione 
di permanganato 2/, la quale era stata titolata con soluzione 2/, 
di acido solforico puro sublimato. In media , per 5 determinazioni 
concordantissime, 5 cc. della soluzione nitrosa diluita di 4100 ce. .di 
acqua scolorarono cc. 13,88 di soluzione di permanganato "/,. 4cc. 
della mia soluzione conteneva dunque gr. 0,009576 di nitrito di so- 
dio corrispondente a gr. 0,005274 di anidride nitrosa. 

Per la preparazione delle soluzioni titolate di nitralo potassico 
mi servii di un nitrato privo affatto da qualunque impurità, così 
ottenuto per successivi lavaggi e cristallizzazioni c che , asciugato 
completamente e decomposto con acido solforico, furnì quantità esat- 
tamente corrispondenti di solfato. 

I reattivi necessari per queste determinazioni sono dunque: 

Urea artificiale perfettamente pura. La quantità necessaria è di 
circa 3 gr. per ogni determinazione. Questa quantità è più che suf- 
ficiente per ottenere 40 cc. di azoto. 

Acido acetico glaciale puro che diluisco fino al 50 0/,. 

Una soluzione cloridrica di anidride arseniosa che ottengo di- 
sciogliendo 50 gr. di anidride in uu litro di acido cloridrico, è 4,2, 
perfettamente privo di acido nitrico. | 

Oltre alle esperienze citate, ne devo annoverare alcune nelle 
quali sostituii all’urea l’acetamide la quale presenterebbe il vantag- 
gio di non dare, come prodotto della reazione, nessun altro gas al- 
l'infuori dell'azeto e quello di non essere suscettibile di decomporsi 
per una prolungata ebollizione dando prodotti gassosi; i risultati però 


478 
che io ottenni sono del tutto da rigettarsi nel caso di soli nitriti o 
nitriti mescolati a nitrati; furono soddisfacenti invece nel caso di soli 
nitrati come dal qui unito quadro si rileva: 






cc. di azoto Titolo 





ottenuti calcolati ottenuto 









87,4148 %/,, 40,52 40,94 86,76 %/» 








15,89 17,48 17,54 45,54 
, 10,04 10,30 48,47 
» 10,29 15,56 





Per l’impiego della acetamide, sui nitriti soli o mescolati a ni- 
trati, io ottenni sempre per risultato delle mescolanze di azoto ed 
ossido nitrico; mentre che i volumi gassosi, ottenuti in tutte le al- 
tre esperienze registrate in questa memoria, non diminuirono mai 
per l’agitazione con cloruro ferroso. 

In questo modo, dunque , souo potuto giungere alla soluzione 
di un importante problema di analitica , quello della separazione e 
determinazione degli acidi nitroso e nitrico, problema che fu per la 
prima volta, per quanto io mi sappia, tentato dal Piccini (4) e per 
altre vie da lui stesso risolto. E mia intenzione però di continuare 
questi studi, perchè ho speranza di potere applicare la reazione per 
la quale io determino l’acido nitrico, a quella dell'azoto ammonico, 
aminico, amidico e cianico , perchè i risultati di alcune esperienze 
qualitative da me eseguite, mi fanno sperare di poler giungere alla 
trasformazione dell’azoto , soddisfacente alle funzioni accennate, in 
azoto nitrico. Infatti, io ho trovato che |’ azoto ammonico si tra- 
sforma in parte in azoto nitrico, per l’azione a caldo dei corpi os- 
sidanti in soluzione neutra od acida; ma quantità relativamente mag- 
giore di acido nitrico io ottenni per il riscaldamento a 180°, in tubi 
chiusi, di cloruro ammonico e soluzione di permanganato potassieo 


(1) Gazz. chim. ital. V. XI, p. 267, 


479 


neutra 0 resa acida con alquanto acido solforico. Agli stessi risultati 
in pervenni ripetendo queste stesse esperienze coll’ acetamide, colla 
toluidina e col cianuro potassico. Mi propongo dunque di determinare 
in appresso se questa nitrificazione si effettui completamente, ed in 
caso positivo di utilizzare questo fatto per un metodo di determina- 
zione dell’azoto. Intendo dunque di riserbarmi I’ applicazione all’ a- 
nalisi del possibile processo di nitrificazione accennato e della rea- 
zione delle amidi e delle sostanze riducenti sull’acido nitrico. 

lo mi sento in dovere di chiudere questo mio lavoro, col rin- 
graziare il chiarissimo Prof. P. Tassinari il quale largamente mi 
fornì di tutto ciò che mi fu necessario per questo e per gli altri 
lavori da me in quest’ anno compiuti; e di esprimere pure la mia 
gratitudine al mio collega Dr. Ubaldo Antony, il quale volie usarmi 
la cortesia di aiutarmi durante tutte le esperienze delle quali qui 
ho riferito. 

Pisa, dal laboratorio di Chimica generale della R. Università. Ago- 

sto 1883. 


Determinazione dei gas disciolti nei liqudi acquosi: 


di ANTONIO LONGI. 


I buoni risultati che io ottenni nella delerminazione degli acidi 
nitroso e nitrico valutandoli dalla quantità di azoto raccolto per mezzo 
dell'apparecchio descritto in quella memoria (41), mi hanno candotto 
a ritenere che lo stesso apparecchio potesse prestarsi bene non solo 
a raccogliere i gas che si svolgono per una reazione chimica , ma 
ancor quelli che semplicemente sono disciolti in liquidi acquosi. Per . 
conoscere se realmente coll’apparechio già descritto si potevano de- 
terminare i gas disciolti nell'acqua ed in altri liquidi , come vino, 
latte, urina ecc. bastava che sperimentassi con quantità diverse di 
tali liquidi e riscontrassi se in ogni caso le quantità di gas ottenute 
fossero sempre proporzionali a quelle dei liquidi adoperati. 

Dai primi esperimenti fatti coll’acqua di fonte non ottenni buoni 
risultati; però tosto mi accorsi che ciò dipendeva da che l’acqua che 
poneva a parte per gli esperimenti successivi, stando ad una tem- 


(1) Gazz. Chim. t. XIIL 


480 


peratura più elevata (30-31°) di quella che possedeva alla fonte 
(24-25°), perdeva incessantemente porzione dei suoi gas, nono- 
stante che essa fosse stata racchiusa in bottiglia a chiusura erme- 
tica. Infatti |’ acqua attinta da qualche tempo mi fornì quantità di 
gas minore che l’acqua appena attinta; ed ottenni quantità di gas 
ancor minore se sperimentai sulla stessa acqua il giorno dopo. Fecì 
perciò una serie di esperienze adoprando , per ciascuna di esse, 
acqua appena attinta dalla fonte, ed ottenni i risultati che qui solto 
registrerò. . 

L'estremità del sifone dell'apparecchio già descritto, invece che 
in un bicchiere, la faccio pescare fino al fondo di un matraccio si- 
tuato sopra un fornello di modo che si possa continuamente far bol 
lire l'acqua in esso contenuta. ° 

Il tubo a sviluppo lo immergo in una cuvetta ripiena di mer- 
curio, ed il gas lo raccolgo direttamente in una campanella graduata 
pure ripiena di mercurio. 

1] pallone nel quale si versa il liquido da sperimentare ha una 
capacità che varia a seconda della qualità e del volume di esso 
liquido. Per I’ acqua io adoperai un pallone di 700 cc. circa; ma 
per il vino il latte e l’urina, non dovendo mai riscaldare il liquido 
al disopra di 100°, adoprai palloni di capacità almeno 8 volte su- 
periore ai volumi di liquido che voleva impiegare e ciò, per avere 
uno spazio vuoto relativamente grande nel quale i gas facilmente 
si sviluppassero. 

Quando sperimentai coll’acqua, riscaldai in prima il pallone a 
bagno di acqua per un certo tempo e dopo, riscaldando direttamente 
colla lampada , feci bollire |’ acqua del pallone più o meno lunga- 
mente a seconda della quantità di acqua impiegata. Riconosco però 
che a seconda dei sali che possono essere disciolti in essa nacqua 
sarà utile riscaldare ad una temperatura non superiore a 100° per 
‘impedire che avvengano reazioni per le quali possono originarsi 
gas che non erano in prima in essa disciolti. 

Per il vino il latte e |’ urina infatti, ho sempre riscaldato il 
pallone a bagno di acqua. 





ABI, 


I risultati ottenuti, fatte le necessarie correzioni per i volumi 
gassosi, sono i seguenti: 


iquido 


adoperato 
c.c 
adoperato 
c.c. 
adoperato 
cc 


olume del liquido 
adoperato 
cc 


° 

= 
° 
Ò 
i) 
Sea 
a3 
— 

I 
d 
Oo 


cc. di gas per litro 
cc. di gas raccolto 


cc. di gas per litro 
Volume del liquido 
cc. di gas raccolto | 
cc, di gas per litro 
cc. di gas Taccolto 


cc. di gas per litro 


17,01|56,70 
16,53/55,06 





Il vino, il latte e Purina furono, durante il corso di ciascuua 
Serie di esperienze, conservati nel ghiaccio affinchè non perdessero 
i gas in essi disciolti. 

Ho speranza che l'apparecchio che propongo per raccogliere e 
determinare i gas disciolti nei liquidi acquosi, altesa la sua sempli- 
cità ed il modo facile di adoperarlo, potrà in molti casi essere van- 
taggiosamente impiegato. 


Pisa, dal laboratorio di Chimica generale della R. Università. Ago- 
sto 1883. 


61 





489 
Metodo di determinazione volumetrica dell’acido nitrico: 


di ANTONIO LONGI. 


E. Kopp #4) oltre all’essersi servito della difenilamina per sco- 
prire l'acido nitroso nell’acido solforico commerciale, si valse della 
sensibilità di questo reagente per determinare lo stesso acido nitroso 
con un metodo colorimetrico. Questo metodo facile ed elegante non 
può servire che per ì soli assagi industriali di acido solforico. 

In un mio lavoro precedente (2), mostrai come la difenilamina 
ben si presti a scoprire |’ acido nitrico libero o combinato diluito 
fino di oltre 1500000 volte il suo peso di acqua. Avendo ora osser- 
vato che i sali stannosi fanno scomparire la colorazione bleu pro- 
dotta dalla difenilamina, pensai che si potesse approfittare di que- 
sto fatto per una determinazione volumetrica dell’acido nitrico. 

Il sale stannoso di cui mi servii fu il solfato stannoso-potas- 
sico di Marignac (8) il quale mi venne gentilmente preparato dal 
sig. Carlo Cheloni impiegato in questo laboratorio. Stemperai circa 40 
grammi di questo sale in 800 cc. di acido solforico privo di acido 
nitrico ec precedentemente diluito del suo volume di acqua e pro- 
curai la soluzione del sale mediante l'aggiunta della minor quantità 
possibile di acido cloridrico concentrato. La soluzione ottenuta la ti- 
tolai col metodo di R. Fresenius (4) e quindi vi aggiunsi tanto 8- 
cido solforico diluito fino a portarlo a contenere per ce. gr. 0,0448 
di stagno allo stato di sale stannoso. Tal soluzione decinormale Ja 
couservai nell'apparecchio dallo stesso Fresenius proposto (5) per la 
soluzione di cloruro stannoso e di essa mi servi per tentare la de- 
terminazione dell’acido nitrico. 

A volumi determinati di soluzioni titclate di nitrato potassico, 
mantenute fredde in un bagno di acqua, aggiunsi 2,8; 3 0 e 4 vo- 
lumi di puro acido solforico concentrato. A tali mescolanze, raffred- 


(1) Berich. d. deut. chem. Gesell. V, 1872 p. 283. 

(2) Gazz. Ch. XIII, p. © 

(3) Ann. des Mines (5) t. XII, p. 54. 

(4) Zeitschr. f. analy. Chem. I, p. 26. 

(5) Traité d’analyse chimiquesquantitative, quatrieme édition p. 244. 


483 


date che furono, aggiunsi una sola goccia di soluzione solforica di 
difenilamina : i liquidi tosto si colorarono in bel bleu intenso. In 
ciascun liquido allora, servendomi di una buretta a decimi di cen- 
limetro cubo, versai a goccia a goccia la soluzione stannosa "/,, ed 
ossetvai : | 

4. Che in quei liquidi nei quali aveva aggiunto 2 soli volumi 
gi acido solforico , la colorazione bleu scompariva fino dalla prima 
aggiunta di soluzione stannosa, ma che dopo un certo tempo ricom- 
pariva e successivamente, per nuove aggiunte di solnzione stannosa, 
riscompariva e ricompariva fino a scomparire per senfpre, rimanendo 
i) liquido colorato in giallognolo. | 

2. Che nei liquidi nei quali erano stati aggiunti da 8 a 4 v. di 
acido solforico, la colorazione bleu pevsisteva fino a che la soluzione 
stannosa aggiunta non aveva oltreppassato un certo limite, nel qual 
caso la ricomparsa della colorazione non era più possibile. 

8. Che tanto nell’un caso che nell’altro, ed impiegando le stesse 
quantità di nitrato, occorreva la medesima quantità di soluzione stan- 
nosa per fare scomparire definitivamente la colorazione bleu. 

Per queste esperienze pervenni a conchiudere essere possibile 
determinare la quantità di acido nitrico dalla quantità di soluzione 
D/ di sale stannoso impiegata; e che una quantità di questo sale e- 
quivalente a quattro molecole corrisponde ad una molecola di acido 
nitrico. 

La riduzione dell'acido nitrico si deve compiere dunque esclu- 
sivamente nel senso della cquazione: 


°"4SnS0,+4H,S0,+2HNO,=4Sn($0,),+-5H,0+N,0 


la quale reazione è corrispondente a quella che Gay Lussac (4) trovò 
effettuarsi fra l'acido nitrico e la soluzione cloridrica di cloruro stan- 
noso. Con esperienze dirette io mi assicurai della formazione del- 
l'ossido nilroso Ciò viene comprovato dai seguenti risultati, ciascuno 
dei quali rappresenta la media di almeno due determinazioni con- 
cordanti, eseguite in condizioni identiche. 


(1) Ann. de Chim. et de Phy. (3) 23, 229, Gmelin u. Kraut. Handbuch 
d. anorg. Chemie B. I, 2 Abth. 1872, p. 448. 


484 




























ce. di soluzione ae ot. di soluzione N 
° mx n 9 
di KNOs 3 © tai teh0 trovata Gleotats Differenza 
impiegati d 3 « | impiegati| calcolati 


(4cc. gr.0,003887 
di N205) 


0,03887 |-+-0,00028 
0,03891} » | 0,00004 
0,03887] » | 0,00000 
0,01998 [0,01943| 0,00955] 
0,01948| » | 0,00901 
. , . 

2,5 7 
(tcc. gr. 0,0411063 


0,01012 [0,00974| 0,00042 






I risultati ottenuti sono dunque grandemente soddisfacenti e 
perciò mi lusingo che questo metodo , in merito della celerità ed 
esattezza, venga favorevolmente accolto dai chimici , per tutti quei 
casi nei quali siano da determinare piccole quantità di acido nitrico. 

IHo voluto provare ancora, se questo metodo poteva applicarsi 
alla determinazione dell'acido nitrico, in presenza di sali ferrici ed 
ho ottenuto che: se i sali ferrici sono in piccolissima quantità re- 
lativamente a quella dell’acido nitrico, il numero di cc. di soluzione 
stannosa /,, necessaria a produrre la decolorazione , meno il nu- 
mero di cc. corrispondenti alla quantità del sale ferrico impiegato, 
esprime quasi esattamente la contenenza in acido nitrico della so- 
luzione impiegata; ma che, se i sali ferrici sono in quantità grande 
si ottengono risultati assolutamente crronei. 

Tentai ancora se era possibile sostituire all’ acido solforico l’a- 
cido cloridrico concentrato, ed alla soluzione solforica di solfato stan- 
noso-potassico la soluzione cloridrica di cloruro stannoso , ma in 
questo modo la determinazione riuscì impossibile, perchè la colora- 





485 


zione bleu scomparve e per sempre fino dalla prima aggiunta di so- 
luzione stannosa , qualunque fosse stata la quantita di acido clori- 
drico aggiunto. I 
“Il metodo descritto dunque, se non sarà applicabile per deter- 
minare grandi quantità di acido nitrico, e ciò per causa della quan- 
tità considerevole di acido solforico che è necessario aggiungere alla 
soluzione nitrica, avrà il vantaggio di ben prestarsi alla valutazione 
di liquidi nitrici a basso titolo. 

La quantità di acido solforico che io preferisco di aggiungere 
è di 8,5 v. in rapporto a 4 v. di soluzione nitrica, e ciò perchè in 
questo caso l’operazione procede con molta regolarità. In ultima a- 
nalisi poi, veduta l'esattezza dei risultati ottenuti , esso potrà ser- 
vire a determinare ancora il titolo di liquidi assai ricchi di acido 
nitrico, quando si abbia cura di diluirli prima convenientemente 
con acqua. 


Pisa, dal laboratorio di Chimica generale della R. Università 
Agosto 1883. 


Sallossidasione spontanea del mercurio; 


nota del prof. D. MACALUS®O. 


es 

E un fatto genéralmente noto che il mercurio in contatto dej- 
l'aria subisce un’alterazione della superficie, dovuta, secondo alcuni 
ad un’ossidazione del mercurio stesso, e secondo altri ad un’ ossi- 
dazione delle piccole traccie dei metalli od altre sostanze , che al 
mercurio si trovano unite. 

Il Berthelot ha dimostrato che la pellicola , la quale si forma 
alla superficie del corpo in discorso in contatto dell’ aria, è vera- 
mente del protossido di mercurio (4). 

Avendo io in alcune ricerche maneggiato molte valte in con- 
tatto dell'aria del mercurio puro, mi era sembrato di osservare che 
la pellicola caratteristica si produca tanto più facilmente, quanto più 
umida sia l'aria in presenza, ed ho perciò voluto esaminare se, ¢ 
quale influenza avesse l’umidità in questo fenomeno. 

e Ho introdotto a tal uopo sotto una grande campana A di vetro 


(1) Bulletin de la Société chimique de Paris T. XXXV, p. 487—1881. 


<a 


486 


con bordo smeriglialo , e posata sopra un piatto smerigliato delle 
capsule con anidride fosforica, ed un cristallizzalore di vetro circo. 
lare vuoto, di 12 cm. circa di diametro , nel quale nel giorno se- 
guente si versava del mercurio distillato poco prima nel vuoto cal 
metodo del Weinhold, ed in modo da formare uno strato di 5 cm. 
circa di altezza. Sotto una seconda identica campana B ho dispo- 
sto l’esperienza in modo simile, solo che alle capsule con anidride 
fosforica ho sostituito o un bicchiere con acqua distillata, o un cu- 
scinetto di carta bibula imbevuto di acqua. Nei giorni molto umidi 
ho anche lasciato sotto questa campana solo l’aria ambiente, senza 
alcuna sorgente speciale d'umidità. 

Il mercurio dell’ ambiente umido della campana B, esplorato 
dopo 48 ore, durante le quali nulla era stato smosso dal proprio 
posto, con un tubo di vetro ben pulito, che si faceva scorrere alla 
sua superficie, vi lasciava sopra nettamente una pellicola. Questa si 
rinnovava spontaneamente da un giorno all’altro, anzi bastava la- 
sciar passare quattro o cinque ore dopo un'esplorazione per trovare 
una tale pellicola già quasi rinnovata. 

In qualche esame , fatto appena dopo ventiquattro ore che il 
mercurio era stato messo nell'ambiente umido, la pellicola da esso 
abbandonata al tubo esploratore non era molto sensibile. Pare dun- 
que che per formarsi dapprima sia necessario più tempo di quello 
che abbisogni per rinnovarsi, dopo che una prima volta sia stata 
asportata. 

Ho potuto anche osservare che basta fare scorrere una volta 
sola nel senso di un diametro, il tubo di vetro, o anche una sot- 
tile punta dello stesso corpo, perchè ripassandovi immediatamente 
dopo il medesimo tubo in una direzione qualunque non resti su di 
esso che appena una traccia di pellicola , come se questa più non 
esistesse, cioè come se il primo passaggio del tubo secondo una 
sola direzione l'avesse fatto sparire da tutta la superficie. 

La campana A. dopo che il mercurio era stato versato nel cri- 
stallizzalore, non era più smossa dal posto per parecchi giorni (in 
un'esperienza. per 16 ed in altre due per 20 giorni) durante i quali 
mi limitavo ad esaminare attraverso la parete di vetro la superfi- 
cie del metallo, che mostrossi sempre perfettamente omogenea e ri- 
lucente. Quando poi, dopo quel dato tempo, facevo scorrere alla superfi- 
cie del mercurio il solito tubo di vetro ben ripulito , esso subiva 
appena un piccolo appannamento, restandovi anche aderente qualebe 
gocciolina rotonda di mercurio. 

Una volta sola nel punto d'intersezione della superficie del tubo 





487 
con quella libera di mercurio un sottile anello dì questo corpo vi 
restò attaccato. 

Da queste esperienze risulterebbe dunque un' ossidazione del 
mercurio, rapida nell’ aria umida , quasi trascurabile e forse nulla 
nell'aria perfettamente asciutta. 

Per assicurarmene meglio ho voluto fare però le seguenti espe- 
rienze : 

Ho costruito una specie di barometro (fig.4) 
tale che nella camera a di esso la superficie li- 
bera del mercurio fosse molto ampia (87 cmq. 
circa), questa comunicava mercè un tubicino con 
un grande provino da reazione verticale d. Tutta 
questa parte dell’ apparecchio era di un 
sol pezzo di vetro. Il vuoto vi si faceva 
dal di sopra mercè la pompa a mercu- 
rio Tdpler-Bessel-Hagen. 

Scaldando un poco il mercurio della 
camera a esso distillava lentissimamen- 
te dentro il tubo 6; se ne raccoglievano 6 ce. circa 
in 5 o 6 ore. In seguito di ciò si faceva entrare 
nell’apparecchio dell’aria secca, o dell’aria umida o 
del solo vapore acqueo. Chiudendo poscia alla lam- 
pada il tubo di comunicazione tra dè ed a inc, si 
staccava è da a. I varii provini così preparati eran 
posti orizzontalmente e lasciati in riposo. 

Il mercurio, adoperato nel barometro speciale di 
cui sopra è parola, era stato distillato già una prima 
volta nel vuoto; l'apparecchio di vetro lavato e dis- 
seccato con ogni cura avanti di mettersi al posto. 

La rarefazione era spinta prima di cominciare la 








distillazione e si manteneva durante la stessa a mm. 0,001. 

Per avere dell'aria umida nell’apparecchio la si faceva entrare, 
dopo avere attraversato lentamente un tubo con un po' di carta bi- 
bula bagnata ‘con acqua distillata, e quindi un tubo pieno di bam- 
bagia, per trattenere la polvere o le goccioline. 

Per avere dell’aria secca le si facea attraversare lentissimamente 
prima dei tubi a cloruro di calcio, e poi dei tubi orizzontali pieni 
dî pezzetti di vetro ed anidride fosforica. Tra i primi ed i secondi 
e tra questi ed il rubinetto di entrata si trovavano dei tubi pieni 
di bambagia. 


A488 


Per avere un ambiente saturo di vapore acuueo e con solo va- 
pore acqueo (trascurando le traccie di aria che la pompa a mercu- 
rio non aveva potuto portar via) si metteva in un seeondo tubo d 
(fig. 2) chiuso ad un estremo e saldato per l’altro a quello di co- 
municazione tra a è 6, una piccola ampollina e, piena completa- 
mente di acqua, e chiusa con mastice molto fusibile. Finita la di- 
stillazione bastava un leggiero riscaldamento del tubelto d per ot- 
tenere l’uscita e l’evaporazione dell’acqua. 

Per avere infine un ambiente con solo vapore acqueo, ma non 

saturo, si raffreddava con neve il tubo d, dopo che l'ampollina e si 
era aperta, per un certo tempo, ed in seguito lo si distaccava col 
cannello ferruminatorio. 

Per ciascun genere di esperienze ho fatto almeno due prove. 

Ho trovato: 

a) Nei tubi pieni di aria umida il mercurio si ossida rapida- 
mente; già dopo 24 ore fa la coda, e nei posti in cui la sua super- 
ficie libera incontra le pareti di vetro si hanno delle striscie brune. 
Nei giorni successivi ciò si manifesta in modo più sensibile e col 
dimenarlo dentro il tubo , non solo questo resta tutto imbraltato , 
ma anche alla superficie libera del liquido si hanno come delle chiazze 
o dei punti non speciali (4). 

b) Nei tubi pieni di aria secca anche dopo due mesi il mer- 
curio non presenta la benchè minima modificazione; non fa punto 
la coda, non lascia traccia alcuna nei punti del tubo coi quali è re- 
stato in contatto, anche a lungo. 

c) L’istesso è avvenuto nei tubi con vapore acqueo non saturo. 

Pare che anche in modo identico siasi comportato il mercurio 
nei tubi pieni di vapore saturo, benché più difficile sia l’assicurar- 
sene, a causa dell'umidità che sempre si deposita sulle pareti, di ve- 
tro, e sulla superficie stessa del metallo. 

Si può adunque da queste esperienze conchiudere che |’ aria 
secca sola od il vapore acqueo solo non ossidano il mercurio; il che 
facilmente avviene però in presenza di entrambi questi gas. . 

Un fatto simile si conosce già per altri metalli, i quali o non 


(1) Esaminato il residuo attaccato al tubo, dopo averne allontanato 
il mercurio metallico, ho trovato che era un miscuglio di protossido e 
di biossido, ed il primo in maggior quantità. Si scioglieva infatti comple- 
tamente a freddo nell’acido solforico, dal quale la potassa lo precipitava 
in nero bruno. Il soluto nell’acido solforico trattato con acido cloridrico 
e cloruro stannoso, dopo di essere stato filtrato , dava un precipitato 
bianco dapprima, che poi imbruniva. 


489 


si ossidano o difficilmente si ossidano in presenza dell’aria asciutta, 
ossidandosi invece molto facilmente se esposti all’ aria umida. Per 
essi si ammette che il processo di ossidazione dipenda da un'azione 
elettrolitica, dovuta all’ eterogencità dei varii punti della superficie 
del metallo in presenza dell'umidità. Più difficile sarebbe ammettere 
ciò per un liquido come il mercurio distillato lentamente due volte 
nel vuoto. 

È vero cha qualcuno crede una tale distillazione non allonta- 
ni completamente ogni traccia di corpi estranvi, ma oltrechè que- 
ste traccie, se esistono, sarebbero piccolissime, per il modo stesso 
come il morcurio è preparato nel tubo di prova, la sua composizione 
in ogni punto pare che debba essere perfeltamente omogenea. 

Ainmettendo però che esista veramente nel mercurio, coperto 
forse da uno strato sottilissimo di acqua, una causa permanente , 
che tenda a tenere alcuni dei suoi punti ad un potenziale differente 
da quello al quale si trovano gli altri, ed a produrre delle correnti 
elettriche elementari, che circolano attraverso allo strato di acqua, 
allora sarebbe facile interpretare l’esperienze, di cui sopra è parola. 

Infatti il mercurio nei punti elettronegativi tenderebbe a po- 
larizzarsi con |’ idrogeno , e negli elettropositivi ad ossidarsi. Un 
tale processo però si arresterebbe appena incominciato , rimanendo 
in uno stato quasi potenziale, se |’ ossigeno dell'aria presente non 
depolarizzasse i punti polarizzati con idrogeno, riproducendo acqua. 

E che la polarizzazione totale prodottasi debba in queste con- 
dizioni arrestare il processo elettrolitico, appena tende a prodursi, lo 
ricaviamo dal fatto che il calore cm di ossidazione del mercurio è 
inferiore a quello cn di ossidazione dell’idrogeno nell’acqua, quindi 
il mercurio non può ossidarsi a spese dell'ossigeno dell’acqua, senza 
che intervengano dei fenomeni secondarii , che rendano libera al- 
meno una quantità di calore eguale alla differenza cn — Cm. 

Ed è perciò che il mercurio non si ossida in modo alcuno ap- 
prezzabile in presenza del solo vapor d’acqua (esperienze c). 

La stessa interpretazione potrebbe darsi del fatto generalmente. 
conosciuto che il mercurio, il quale non è punto attaccato dal gas 
cloridrico puro o in soluzione nell’acqua priva perfettamente di aria; 
dà facilmente del protocloruro in contatto col gas cloridrico e colla 
sua soluzione nell'acqua, se in loro presenza si trovi dell’aria. 

Catania, maggio 1883. 


490 


Tentativi per ottenere l’acido tartronico dalla glicerina 
e l'acido tartarico dall‘eritrite 
mediante ossidazione elettrolitica: 


nota di D. BIZZARRI e G. CAMPANI. 


L'acido tartronico dalla glicerina era stato ottenuto da Sadler 
col mezzo dell'acido azotico e da noi col permanganato di potassio (4). 
A. Renard (2) e quindi Bartoli e Papasogli (8) avevano già sotto- 
posto la glicerina alla ossidazione elettrolitica in diverse condizioni, 
ma fra i vari prodotti ottenuti nessuno segnala l’acido tartronico. 

Ognuno sa che Renard adoperò glicerina diluita di acqua aci- 
dulata con acido solforico impiegando elettrodi di platino, cinque 
elementi Bunsen e 48 ore di elettrolisi; Bartoli e Papasogli hanno 
adoperato glicerina diluita con acqua resa leggermente alcalina, op- 
pure resa. leggermente acida per acido solforico , impiegando elet- 
trodo positivo di carbone o di grafite, oppure tutti-e due elettrodi 
di platino. 

Noi che miravamo soltanto a conseguire l’acido tartronico dalla 
glicerina e l'acido tartarico dalla eritrite abbiamo esperimentato nel 
modo che appresso ottenendo i seguenti resultati: 


Elettrolisi della glicerina in soluzione alcalina 
ed elettrodi di platino. 


A 100 gr. di glicerina pura furono aggiunti 100 gr. di acqua 
alcalizzata con potassa caustica al 20 per °/, si adoperarono 8 pic- 
cole pile di Bunsen che si rinnovavano ogni tre giorni , c la du- 
rata della elettrolisi fu di 27 giorni, a cominciare dal 15 dicem- 
bre 1882: durante l’elettrotisi si notò copioso sviluppo di gas all’e- 
lettrodo negativo, appena sensibile a quello positivo. A termine di 
esperienza il liquido si mostrò giallo, ed in fondo al vaso vi erano. 
dei cristalli incolori ed una polvere nerastra; il tutto fu versato su 
un filtro dal quale colò un liquido limpidissimo, a reazione alcalina, 
odore particolare acuto che rammentava quello che si svolge dalle 


(1) Gazz. Chim. ital. 1880 e 1882. 
(2) Annales de Chimie et de Physique, juillet 1879. 
(3) Gazz. ch. ital. 1880 e 1883- 





494 


materie grasse trattate con acido azotico. 100 cc. di questo liquido 
furono neutralizzati con acido acetico, adoperando di questo un leg- 
gero eccesso, con che si ebbe copiosissimo sviluppo di CO,; cessato 
questo si versò nel liquido acetato neutro di piombo, il quale non 
diede alcun precipitato, lo che esclude la presenza dell'acido tartro- 
nico come quella dell'acido ossalico (1). 

Il sale cristallizzato, trovato in fundo al liquido, si riconobbe 
essere bicarbonato potassico, senza tracce di ossalato. 

Altri 42 cc del liquido di clettrolisi filtrato , furono neutra- 
lizzati con acido solforico e poscia settoposta la massa liquida alla 
distillazione frazionata; nei prodotti ottenuti fra + 58° e 120° ab- 
biamo costatato la presenza di deboli quantilà di acidi formico e 
acetico; al di là di 120° è distillato un liquido di apparenza oleosa, 
al quale aggiunto azotato argentico e qualche goccia d’ ammoniaca, 
scaldando a b. m., si è avuta rapida riduzione d'argento specchiante: 
era forse triossimetilene? la piccola quantità di prodotto non ci ha 
permesso di fare ricerche relative. 

Riuscito infruttuoso il tentativo per ottenere l'acido tartronico 
colla via ora seguita, abbiamo in una seconda esperienza combinato 
le condizioni di alcalinità e di forza elettromotrice come appresso. 

A 100 gr. di glicerina pura sono stati aggiunti 70 grammi di 
acqua alcalizzata con gr. 7 di potassa caustica: il liquido è stato sot- 
toposto all’ elettrolisi impiegando tre pile Leclanchè ed elettrodo di 
platino. L'esperienza ha durato 25 giorni; lo sviluppo di gas al polo 
negalivo era poco copioso e appena si avvertiva su quello positivo. 
Ogni duc giorni abbiamo tolto una piccola porzione di liquido elet- 
trolitico che abbiamo assaggiato per assicurarci se in qualche perio- 
do si manifestavano acidi capaci di precipitare con acetato neutro 
di pinmbo, previa saturazione del liquido con acido acetico; il primo 
assaggio ci diede debole sviluppo di CO, nell’atto dell’affusione del- 
l'acido acetico, e senza che apparisce nessun precipitato col sale di 
piombo ; negli assaggi successivi la produzione di CO, andò note- 
volmente aumentando , ma giammai comparve non solo precipitato 
ma nemmeno intorbidament». per l’affusione dell’acetato di piombo. 
Il liquido a termine di esperienza aveva assunto un colore giallo 
cupo, possedeva leggera fluorescenza ed offriva un odore di acido 
formico, 


(1) Si avverte che ci siamo assicurati sperimentalmente che la pre- 
senza della glicerina nel liquido non impedisce ma solo ritarda la pre- 
cipitazione dell’ossalato di piombo 

a 


499 
Elettrolisi dell’eritrite in soluzione alcalina, ed elettrodi di platino. 


Gr. 5 di eritrite furono sciolti in gr. 60 di acqua alcalizzata 
al 40 per °/ di potassa caustica. Il liquido si sottopose all’ elettro- 
lisi adoperando tre pile Leclanchè. L’esperienza durò sei giorni, nei 
quali vi fu sviluppo manifesto di gas sull’ elettrode negativo e ap- 
pena apprezzabile in quello positivo. Trascorse lo prime 48 ore pren- 
demmo una piccola quantità di liquido elettrolitico vi versammo 
acido acetico fino a saturazione , con che si ebbe copioso sviluppo 
di CO,; affusavi di poi la soluzione di acetato neutro di piombo si 
ebbe leggero intorbidamento del liquido; assaggi consimili furono ri- 
petuti altre due volte all’ intervallo di due giorni e si notò che lo 
sviluppo di CO, e la formazione del precipitato per acetato piombico 
andavano crescendo. 

Il precipitato piombico fu raccolto su un filtro e lavato, quindi 
sospeso in acqua fu scomposto con gas solfidrico; filtrato il liquido 
ed evaporato prima a bagno maria e poi sotto la campana della 
macchina pneumatica diede un residub bianco che pesava circa 5 
centigrammi, il quale assaggiato convenientemente si è trovato es- 
sere costituito da acido ossalico, esente affatto dall’acido tartarico, e 
solo accompagnato da tracce d’una materia organica, giallastra amorfa. 

Siena. R. Università. Agosto. 


RIVISTA DEI LAVORI DI CHIMICA 


PUBBLICATI IN ITALIA 


—>Dp.e—__ 

Intorno al saggio chimico della meteorite 
caduta in Alfianello il giorno I3 febbraro 1883 
nota di A. CAVAZZI. 

(Dalla Serie IV, T. IV. delle Memorie dell’ Istituto di Bologna) 





I risultati analitici di questa meteorite ottenuti dal Dr. Gavazzi sono 
i seguenti: 
Anidride silicica. . . . . . 0... +.» « 45,100 
Zolfo (solfuro). . . . 2. 1. 6 «© «© © © ee © + 3,700 
Ossido di magnesio. . . - è. + +. 26,381 
Ferro (solfuro, fosfuro, silicato e libero). - +... 19,800 
Fosforo, nichelio, sodio . . . . +. . . . tracce ragguardevoli 
Potassio, alluminio, calcio, manganese, e 
rame. . . . 0. + è +. + + +. tracce appena sensibili. 





493 


Sull’asione delle diluizioniacquese degli organi cadaverici 
allo stato di non avanzata putrefazione; 


di E. DI MATTEI. 


(Archivio per le Scienze mediche, vol. VI, n. 24) 





L’a. iniettando ai conigli per via ipodermica soluzioni di organi ca- 
daverici, preparate col processo descritto in una precedente memoria 
non è riuscito mai a provocare alcun serio disturbo. Conclude quindi 
che la morté prodotta da iniezioni di poltiglie acquose di organi cada- 
verici sia dovuta ad una infezione settica non già a un intossicamento. 


Le ptomaine; 
di I. GUARESCHI e A. M0990. 


(Arch. It. de Biologie,t. II, f. 3 e t. III, f. 2) 





Gli a. facendo parte della Commissione per I’ accertamento dei ve- 
nefici, hanno intrapreso una serie’ di esperienze chimico-fisiologiche 
sulle ptomaine, di cui già hanno pubblicato la prima parte, che breve- 
mente riassumeremo. 

Essi cominciarono prima di tutto dallo studiare i solventi, che si 
sogliono generalmente impiegare in queste ricerche, e hanno verificato 
che nell’ alcool etilico , nell’etere di petrolio, nella benzina e particolar- 
mente nell’alcool amilico del commercio sono contenute. delle basi piri- 
diche. Concludono quindi, che tutti i risultati ottenuti finora impiegando 
questi solventi non hanno alcun valore; però a onore del vero va osser- 
vato, che siccome ‘dagli studii di Kramer e Pinner, dell’ Haitinger e di 
altri si conoscea di già, che taluni solventi del commercio contenes- 
sero delle basi organiche, così non tutti gli sperimentatori li hanno 
impiegato in queste ricerche senza averli previamente depurato (1). 


(1) Le precise parole degli autori sono le seguenti: 

« Dalle nostre ricerche precedenti conchiudiamo che tutti i risultati ottenuti fino 
ad ora dai diversi sperimentatori mediante gli estratti alcalini preparati coll’ alcool 
amilico e colla benzina non hanno assolutamente nessun valore, e ciò tanto per le 
ptomaine provenienti da materie putrefatte quanto per quelle trovate nelle materie 
fresche ». 

Evidentemente, i miei egregi amici hanno dovuto scrivere queste parole incon- 
Sideratamente e senza misurare quanto di aspro esse contengono , e forse anche 
senza riflettere che avrebbero dovuto almeno far grazia a quelli che pure avendo 
adoperato la benzina sono riusciti in talune esperienze a risultati completamente 
negativi, prova questa evidentissima che alcaloidi nei loro solventi non pe erang 


494 


Informandosi poi al concetto recentemente invalso, che le ptomaine 
in parte siano prodotti di decomposizione dovuta al processo di estra- 
zione, gli a. fecero delle esperienze comparative tra gli estratti delle so- 
stanze putrefatte e delle sostanze fresce, e tra i diversi metodi di estra- 
zione. Da 36 kgr. di cervella putrefatte essi ottennero col processo di 
Stas-Otto una discreta quantità di trimetilammina proveniente proba- 
bilmente dalle lecitine, e una quantità relativamente piccola di ptomaine. 
Collo stesso processo da 30 kgr. di cervella fresche riuscirono ad estrarre 
i medesimi prodotti, ma solo in quantità un po’ minore. Dalla carne di 
bue fresca trattata senza impiego di acidi gli a. ottennero in piccolissi- 
ma quantità un estratto che appena presentava le reazioni delle pto- 
maine, mentre impiegando il processo di Stas-Otto e meglio ancora 
quello di Dragendorf ottennero una quantità di ptomaine molto più con- 
siderevole. Il che li porta alla conclusione che l'acido solforico sopratutto 
e in seconda linea l’acido tartarico decomponendo le sostanze albuminoidi 
hanno potere di generare delle ptomaine; che invece le sostanze animali 
fresche già acide o non dànno affatto reazioni di alcaloidi, o se le dànno, 
queste provengono probabilmente dall’alterazione, che le sostanze albu- 
minoidi subiscono principalmente durante l’evaporazione. 

Finalmente gli a. allo scopo di avere delle quantità sufficienti di 
ptomaine da fare uno studio chimico e fisiologico abbandonarono per 9 
mesi alla putrefazione 140 kgr. di fibrina , e col processo di Gauthier e 
Etard riuscirono ad estrarne una base della formola CoHyN isomera alla 
coridina e alla canfamide. 

L’azione fisiologica di questa ptomaina come anche di quelle otte- 
nute dalle cervella putrefatte sarebbe analoga a quella del curare, dif- 
ferendone soltanto per la minore violenza. 


Sui potere illuminante di alcune qualità di olii: 
di #6 PAGLIANI e G. VICENTINI. 


(Estratto dagli Annali del R. Istituto tecnico industriale 
e professionale di Torino, vol. XI, 1882-88). 





Gli a. hanno determinato il potere illuminante dell'olio di ravizzone 
e dell’olio di uliva. Dai risultati da loro ottenuti si deduce che il potere 
illuminante dell’olio di ravizzone è superiore a quello dell’ olio di uliva 
e precisamente nel rapporto 0,915 : 0,825. 


contenuti. Tengo anzi ad affermare che le poche ricerche fatte nel mio Laborato- 
rio debbono andare escluse da quelle che non hanno assolutamente nessun valore, 
perchè anche prima della splendida pubblicazione dei proff. Guareschi e Mosso, nel 
mio Laboratorio si usava di purificare i reattivi, come credo siasi sempre praticato e 
si pratichi da tutti coloro che sono anche appena iniziati alle ricerche di tal natura. 
Tengo purea rilevare, per chi possa dubitarne, che le esperienze di Guareschi e Mosso 
sono per la parte chimica una conferma e vanno pienamente di accordo con quanto 
jo e Spica abbiamo pubblicato sino dal 1884, E. PATERNÒ. 





495 


Sepra alcune proprietà fisiche dei petrotii con una osser- 
vazione intorno al metodo della boccetta per la deter- 
minasione del peso specifico dei corpi solidi e liquidi. 


di 8. PAGLIANI. 


(Annali del R. Istituto Tecnino di Torino, t. XI) 





Mendelejeff, studiando il petrolio di Bakou ha trovato. una relazione 
molto semplice ‘fra le densità delle diverse frazioni e le loro temperature 
di ebollizione. La relazione sarebbe rappresentata dall’ espressione d = 
== a + bt, nella quale d sarebbe la densità di una data frazione, t la tem- 
peratura di ebollizione, a e b due costanti il cui valore è diverso per di- — 
versi intervalli di temperatura, e per gli stessi intervalli per le diverse 
qualità di petrolio. 

Per il petrolio di Bakou, Mendelejeff trovò per le frazioni bollenti tra 
100° e 180° d = 669,5 + 0,80t e per l’intervallo 180-240°, d = 712,9 + 0,56t 
rappresentando con 1000 la densità dell'acqua a 15°. 

L'a. ha voluto indagare la relazione fra le densità e le temperature 
di ebollizione degli idrocarburi di altri petrolii. Scelse un petrolio ita- 
liano , quello di Montechino presso Montanaro (Piacenza). Per questo 
petrolio trovò delle relazioni mediante le quali le densità si calcolano 
secondo le equazioni: 


Per l'intervallo 60- 9 d = 544,8 + 2,42t 


a « 90-100° d = 593,1 + 1,68t 
« « 130-200° d = 704,7 + 0,61t 
« « 200-250° d = 668,2 + 0,81t 


Queste costanti sono diverse da quelle ottenute per il petrolio di 
Bakou per analoghi intervalli di temperatura, quantunque presentino 
analogie con queste nei valori assoluti. Però le densità delle frazioni del 
petrolio italiano sono un po’ maggiori di quelle delle analoghe frazioni 
del petrolio russo. (Per l’ osservazione intorno al metodo della boccetta 
ec. V. Gass. Chim. Ital. t. XIII, p. 172). 


Sul mal nero delle viti. Ricerche chimiche. 
di M. COPPOLA. 


Dal legno di vite affetta dal mal nero, mediante soluzioni alcaline 
diluite, l’a. ha estratto una sostanza brunastra che ha la proprietà dell’a- 
cido umico. 


496 
Giornale di Farmacia, Chimica e scienze affini di Torino 


T. 32, Fasc. 2° ad 8°, 1883 (1). 





Nuovo metodo di separazione degli acidi citrico e tartarico; del 
Dr. Costanzo Bovio, p. 60. 

L’a. separa l’acido citrico dal tartarico trasformandoli in sali calcici 
(dai sali sodici con cloruro calcico); il tartrato si deposita a freddo, il 
citrato a caldo. 

Ricerca del solfuro di carbonio; del Dr. Dioscoride Vitali, ». 106. 

L’a. applica alla ricerca del solfuro di carbonio il metodo da lui pro- 
posto (Gazz. Chim. Ital. Vol. XI, p. 489) per la ricerca del cloroformio. 


Rivista di Chimica medica e farmaceutica. 
- Vol. I.—1883. 


Fasc. V (maggio). Cotoina e paracotoina; di P. Albertoni, p. 461. 

Ricerche sul Phellandrium aquaticum; di L. Pesci, p. 174. 

Questa pianta era già stata studiata da Herz, Berthold, Remler, Fri- 
ckinger e Hutet, i quali avevano indicato in essa la presenza di un olio 
volatile, che era però mal descritto. L’ a. avendo ripreso lo studio di 
questa essenza, ha trovato ch’ essa è per circa |'80 %% costituita da un 
idrocarburo bollente a 103-104° sotto la pressione di 8 c.m. e a 171-172° 
sotto quella di 766 mm. Tale idrocarburo, che l’a. chiama fellantrene è 
un isomero dell'essenza di terebentina; il suo p. sp. è a 10° =0,8558; il 
suo indice di rifrazione per la riga D 6 = 1,481; il potere rotatorio [x]}= 
— 16,74. L’a. non è riuscito a prepararne i cloridrati puri. Il fellantrene 
scaldato in tubi chiusi a 140-150°, si trasforma in una materia solida, 
solubile nell’etere, insolubile nell’alcool, che si presenta sotto forma di 
massa neutra, trasparente, fus. a 86°, che ha la stessa composizione, e 
che è dotata di forte potere rotatorio a destra. 

Fasc. VI (giugno). Cotoina e paracotoina; di P. Albertoni, p. 200. 

Solubilità della morfina e preparazione di alcuni suoi sali; di 
F. Florio, p. 214. 

I risultati, per la solubilità della morfina, sono raccolti nei seguenti 
tre quadri: 

I. Solubilità nell’alcool etilico (in 100 p.). 


Temperatura Vapore Vapore 
ordinaria d’acetone (56°) di alcool (78°) 
alcool assoluto  10°,6 1,132 6,560 8,623 
» a 940% 11°6 0,255 3,249 5,167 
> a 90 » 10°,6 0,377 1,626 2,991 
» a 85-» 109,8 0,157 . 2,024 2,141 
» a 75 » 10°,8 0,223 1,362 1,985 


(4) Di questo Giornale diano il sunto dei soli lavori originali di Chimica, 


497 
II. Solubilità negli alcooli. 


Solventi Temperatura Vapore Vapore 
ordinaria d'acetone d’alcole. 
Alcool metilico 10°,8 1,675 8,466 — 
» propilico 10°,8 0,188 . 6,560 8,627 
» isobutilico 11°,0 0,212 2,035 3,387 
» amilico 1190 0,268 1,507 2,247 
IT, Solubilità in vari solventi. 
Solventi Temp. ordinaria Vapore d’acetone 
Benzina. . ..... 99,4 0,020 _ 
Toluene ...... 9°,8 0,053 —_ 
Cloroformio . .... 9°,4 0,040 1,235 
« acquoso. . . 149,4 0,019 
Tetracloruro di carbonio. 9°,8 0,007 se — 
Solfuro di carbonio . . ‘1090 0,078 — 
Acetone: ...... 10°,0 0,167 0,655 
Etere assoluto . . . . 109,0 = 0,023 — 
« acquoso. . . .. 109,0 0,011 — 
Ftere acetico. . . . . - 98 0,112 0,685 
Eteri del petrolio . . . 9,8 0,003 — 


L’a. poi prepara ed analizza il mono, bi e tricloracetato di mor- 
fiha, il monobromoacetato il triclorolattato, il fenilacetato, che Sono tutti 
sali cristallizzati ; prepara pure il ftalato ed il succinato ‘che non potè 
avere cristallizzati. 

Fasc. VII (luglio 83). Chinolina, Kairolina e Kairina; di P. Alber- 
toni ed I. Guareschi, p. 241. 

Questo lavoro non contiene nulla di nuovo per Ja parte chimica. 

Fasc. VIII (agosto). Sul nuovo alcaloide dell’ Artemisia Abrota- 
mum; di P. Giacosa, p. 302. 

In questa nota preliminare l’a. dice che il nuovo alcaloide, estratto 
dal signor Croveri, gli venne rimesso per determinarne la composizione 
e l'azione; cose ch'egli ha fatto, e che pubblicherà. 

Sulla non esistenza della cantaridina nell’Epicometis Hirsutella; 
di P. Giacosa, p. 302. 

Il titolo della memoria indica abbastanza chiaramente lo scopo della 
ricerca ed il risultato dall’a. ottenuto. 

Fasc. IX (settembre). Tolleranza degli animali domestici per l'ar- 
senico e sua distribuzione nell’ organismo. Frammenti di un lavoro 
inedito; di F. Selmi, p. 321. 

Da queste esperienze, fatte sopra una vacca e due porcellini risulta 
che l’arsenico a dosi elevate riesce venefico agli animali domestici, men- 
tre a dosi moderate, non solo vigne ben tollerato, ma gli animali cre- 
scono notevolmente in peso. La sospensione dell’ arsenico in animali 
abitugti al suo uso non produce inconvenienti. L’arsenico passa nel latte, 
ove pare localizzarsi sopra tutto nella parte butirrosa. L’arsenico si trova 
in tutti gli organi, più nel fegato e milza. Sebbene le quantità di arse- 
mico che si trovano nel latte e nelle carni sienv lievi, tuttavia si potrà 
consigliare di non usare del latte e delle carni, che dopo un certo tempo 
della cessazione dell’uso dell’arsenico. 


63 


498 
Un caso di avvelenamento per canape indiana ; del Dr. V. Ca- 


siccia, p. 326. 
Ricerche sperimentali sull'azione biologica dell'oxiacantina; di 


A. Curci, p. 330. 
Daremo un breve sunto di questo lavoro quando ne sarà comple- 


tata la pubblicazione. 


Atti della R. Accademia dei Lincei. 
Transunti Vol, VII. Fas. 11-15. Anno 1882-83 





Sulle relazioni esistenti tra il potere rifrangente e la costitu- 
zione chimica delle combinazioni organiche; di Bernheimer e Nasi- 
ni, p. 227. V, Gazz. ch. It. t. XIII, p. 313. 

Intorno ad alcuni derivati della berberina; di Bernheimer, p. 223, 
V. Gaz. ch. it. t. XIII, p. 342. 

Sul potere rotatorio dell’acido fotosantonico; di R. Nasini, p. 260. 
V. Gaz. ch. it. t. XIII, p. 375. 

Sull'ossidazione spontanea del mercurio; di D. Macaluso, p. 263. 
V. Gaz. ch. it..t. XIII, p. 475. 

Sulle cosidette ptomaine in relazione alle ricerche tossiocelogi- 
che; di Marino Zuco p. 267. V. Gaz. ch. ital. t. XIII, p. 431. 


Rendiconto della B. Accademia delle Scienze di Napoli. 
Anno XXIII, 1883, dal fasc. 5° all’8°. 





Azione dell'acido nitrico sulla teucrina; di A. Oglialoro, p. 221. 

Nella sua memoria sul Teucrium fruticans (Gaz. ch. ital. t. VIII, 
p. 440) l’a. aveva mostrato che facendo agire l'acido nitrico diluito sulla 
teucrina, nuovo glucoside da lui estratto dal Teucrium fruticans, si pro- 
duceva un acido monobasico della composizione CgHg0 fus. a 180° (non 
corretto). Avendo ora l'a. ripreso lo studio della teucrina e dei suoi de- 
rivati osservò che il detto acido non è altra cosa che acido anisico. 

Note mineralogiche; di G. Freda, p. 248. 

I. Sulle Humite verde del Monte Somma. Si presenta sotto forma 
di grossi grani cristallini, di color verde chiaro e lucentezza vitrea ; la 
durezza è uguale a 6,5, il p. sp. è 3,21. Infusibile al cannello, subisce 
per forte riscaldamento la perdita di 1,08 0/,. 

Ha la seguente composizione: 


SiO 2 35,17 
FI - 3,41 
MgO — 854,83 
FeO 3,76 
CaO 1,69 
Moo . tracce 








® 499 


Il. Su d’una varietà cuprifera di Pirosseno. Costituisce degli arnioni 
di figura irregolare e variabile grandezza, dotati di bel colore ceruleo; 
ha aspetto litoideo, e tessitura granulosa finissima; la sua durezza e 5,5, 
il p. sp. 3,19. Al cannello fonde in vetro turchino; e la polvere, che è 
di color cinereo, calcinata in presenza dell’aria prende una tinta rosea. 
La composizione centesimale é la seguente: — 


SiO, 42,73 28,14 d’ossigeno 
CaO 24,18 6,91 
MaO 17,80 7,12 14,94 » 
FeO 4,22 0,94: 
Al,Oz 1,06 
CuO 0,94 
100,93 


III. Ad alcuni saggi della precedente sostanza se ne unisce un'altra 
incolora, dotata di grande traslucidezza e di splendore qual di vetro ba- 
gnato ; la sua durezza è appena inferiore a quella della fluorina , ed il 
suo p. sp. 6 3,05. Al cannello fonde in limpido vetro. Ha la seguente com- 
posizione: 


SiO8 46,70 2491 d'ossigeno 
Al,O3 1,09 

CaO 39,62 11,31 

MgO 13,38 59541668 ; 


L’a. non si crede autorizzato a decidere se si tratti’ di un prodotto 
nuovo o d’una varietà di Monticellite. 

IV. Su di un nuovo caso di metamorfismo della Leucite. Questo 
caso si presenta in alcuni massi cristallini del M. Somma dove in mezzo 
ad una pasta costituita da un miscuglio di melilite, mica magnesiaca 
e pleonaste, sono sparsi grossi noduli di leucite, che presentano il fatto 
singolare d’essere formati da una zona periferica opaca e bianca, che 
circonda un nucleo vetroso jalino risultante da leucite indecomposta. 

L’ a. riporta l’analisi della sostanza bianca nella sua integrità (a), 
della stessa privata dal carbonato calcico (b) e della leucite che forma 
il nucleo interno (c). 


a b c 
SiO, 38,40 42,61 55,78 
CO, - 4,27 — 
AlsOz 20,18 20,96 22,12 
Cao 26,83 24,47 19,81 
MgO 3,96 «4,28 
K.0 5,60 6,49 19,81 
FesOg tracce tracce 0,59 
Naso » » tracce 








99,24 98,61 98,72 


500 e 
Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino. 


Vol. XVIII, disp 2° a 7. 





Sulla costituzione della tioaldeide e della carbovaleraldina ; di 
I. Guareschi, p. 65. 

Per ossidazione della tioaldeide con permanganato potassico l’a. ha 
ottenuto: acido solforico, acido acetico, acido etilidendisolforico, ed ossi- 
solfuri tra i quali CgHgS303. 

Per ossidazione con permanganato di zinco ha ottenuto: acido sol- 
forico , acido acetico , solfo ed ossisolfuri come CgH;sSsOg, CgH 25,0, , 
CsH,$,0%- 

La formazione dell’acido etilidendisolforico e degli ossisolfuri dimo- 
. strerebbe che nella tioaldeide solida siano riuniti tre gruppi C.H,S con- 
catenati per mezzo dello zolfo e confermerebbe quindi la seguente for- 
mola : 


CHy.CH—S—CH.CHy 
S—CH—S 


| 
CH, 


ammessa da alcuni chimici. 

Quanto alla carbovaleraldina, |’ a. ha provato che per I’ azione del 
percloruro di ferro si forma dell’acido solfocianico, per l'azione del per- 
manganato potassico si forma acido cianidrico, acido solforico ed acido 
valerianico e finalmente per I’ azione del percloruro di ferro ed un ec- 
cesso di acido cloridrico si forma del bisolfuro solfocarbamico. 

La carbovaleraldina si comporta dunque come la carbotialdina. 

Essa deve quindi considerarsi come tiocarbamato di valerilidene 


Sn(CH.CHs.CH(CHg)?)? 
Queste e le precedenti esperienze dell’a. confermerebbero la formola 
generale CSSN(CnHm) proposta da E. Mulder per le carboaldine. 


Per le esperienze precedenti. V. Gaz. ch. ital. T. VIII ,- p. 246. 6 
T. IX, p. 75. 

Trasformazione dello scatol in indol e preparazione dell' indol 
di M. Fileti, p. 721. V. Gazz. ch. It. t. XIII, p. 378. 

Sintesi dello scatol; di M. Fileti, p. 725. V. Gaz, ch. ital. t. XIII, p. 358. 


Atti del R. Istituto Veneto. 
Serie 6*, t. 1, 1883, Disp. 1°-9* 





Nelle prime 9 dispenze non è contenuto di chimica che la sola me- 
moria del prof. Bizio sulla decomposizione dell’acido ossalico sciolto nel- 
l’acqua, già inserita a pag. 381 di questo Vol. della Gazzetta. 


Eteri bensilici delle diossibenzine: 


di GUIDO PELLIZZARI. 


Nei tentativi fatti allo scopo di separare la metilarbutina dal- 
l’arbutina, il prof. U. Schiff preparava fra gli altri composti anche la 
benzilarbutina, dalla quale ottenne poi un composto nitrosostituito; 
questi corpi sdoppiati a caldo mediante acidi allungati condussero al 
benzilidrochinone e ad un nitrobenzilidrochinone: egli ebbe inoltre 
un altro composto nitrico trattando quel benzilidrochinone coll’acido 
nitrico. Invitato dal prof. Schiff preparai alcuni di questi composti 
partendo direttumente dall’ idrochinone, onde poterli paragonare a 
quelli provenienti dall’ arbutina e nello stesso tempo estesi il mio 
studio sopra altri derivati analoghi delle diossibenzine. 

Quantità equimolecolari d’idrochinone sciolto in poco alcool e 
di bromuro di benzile furono poste a reagire in presenza di una 
corrispondente quantità di potassa sciolta nell’ alcool. Già a freddo 
la reazione comincia e si compie rapidamente quando si aiuti col 
calore; la soluzione imbrunisce mentre si depongono dei cristalli di 
bromuro di potassio. Decomposto tutto il bromuro di benzile si aci- 
dula con un po’ d'acido solforico e si aggiunge acqua; la quale pre- . 
cipita una sostanza cristallina. L'alcool a freddo scioglie una parte 
di questo prodotto e tutta la materia colorante, lasciando indietro 
una massa cristallina quasi bianca. 

Monobenzilidrochinone. La sostanza sciolta dall’alcool vien ri- 
cristallizzata dall’acqua bollente , che, lasciando indisciolta la mate- 
ria colorante, depone col raffreddamento belle lamine di splendore 
argenteo fusibili a 122°, solubilissime in alcool, etere, cloroformio, 
benzina, poco solubili in acqua bollente, solubilissime in soluzione 
di potassa. Questi cristalli in tutte le loro proprietà resultano per- 
fettamente. identici al benzilidrochinone ottenuto dallo sdoppiamento 
della benzilarbutina. 

Dibenzilidrochinone. Più in alto è stato indicato che il pro- 
dotto della reazione del bromuro di benzile sull’idrochinone in pre- 
senza di potassa, oltre al monobenzilidrochinone, separato dal pro- 


64 


50 
dotto € zo della reazione con lavaggi di alcool a freddo, dà pure 
una sostanza cristallina assai meno solubile nell’ alcool. Sciolta in 
alcool bollente si depone in belle lamine lucenti fusibili a 130°, in- 
solubili nell'acqua e nella potassa acquosa ed assai solubili in ben- 
zina etere e cloroformio. 
All’analisi dette : 
I. gr. 0,2526 di sostanza dettero gr. 0,7646 di CO, e gr. 0,1448 
di H,0. 
II. gr. 0,2724 di sostanza dettero gr. 0,8244 di CO, e gr. 0,1528 
di H,0. 
Corrispondenti su 100 parti a 
I ii Calcolato per CH OH: 
C 82,55 82,53 82,75 
H 6,36 6,28 6,21 


Questa sostanza, che corrisponde al dibenzilidrochinone, si forma 
in assai grande quantità quando si lavora colle proporzioni di so- 
stanza calcolate per il monobenzilidrochinone, tanto che su 40 gr. 
d'idrochinone olttenni gr. 6,5 di composto monobenzilico e gr. 48 
de} dibenzilico e quindi , fatta la reazione e precipitafi con acqua 
gli eteri benzilici formati, conviene estrarre con etere il liquido per 
riprendere l’idrochinone rimasto inalterato. Se poi si fa la reazione 
con la quantità doppia di bromuro di benzile allora la rendita del. 
dibenzilidrochinone è quasi teorica. 

Benzildinitroidrochinone. Quando nell’acido nitrico concentrato 
e raffreddato si getta poco alla volta it monobenzilidrochinone pol- 
verizzato si forma una sostanza gialla, la quale cristallizzata dall’al- 
cool si presenta in magnifiche lamine splendenti di un giallo oro; 
solubili nell’etere, nella benzina ed anche nell’ acqua bollente. H 
punto di fusione è 187°. Sottoposta all’analisi dette dei valori cor- 
rispondenti ad uno dei quattro possibili benzildinitroidrochinoni. 

Gr. 0,2568 di sostanza dettero gr. 0,507 di CO, e gr. 0,0802 
di H,0. 

Ossia in parti centesimali. 


Trovalo Calcolato per C3H,(NO,)f< Ort? 
C 53,84 53,79 
H 3,47 8,45 


Questa sostanza disponendo ancora di un ossidrile pud dare 





508 


dei derivati metallici stabili, che si preparano assai facilmente. In 
latti colla potassa formano degli aghi rossi che nel vuoto perdono una 
molecola d’acqua di cristallizzazione cangiando il colore cinabro pri- 
mitivo in un rosso scuro con magnifici riflessi metallici. Lasciata 
all’ aria riprende asssai prontamente il suo colore cinabro insieme 
alla molecola d’acqua. Quando è scaldata detona viulentemente, come 
infatti accadde in alcuni tentativi analitici. 

1] benzildinitroidrochinone coll’ammoniaca dà pure un .compo- 
Sto rossa e siccome esso si forma anche per via secca, volli dosare 
l’ammoniaca pesandone la quantità assorbita. In apposito tubo posi 
“una quantità pesata del composto nitrosostituito e vi feci passare 
una corrente di ammoniaca secca. La sostanza si riscalda prendendo 
un bel colore rosso sangue: ma continuando la corrente, il colore 
lentamente varia finchè tutta la massa ha assunto un color rosso 
mattone. Notato it fatto feci quindi passare una corrente d’aria secca 
onde pesare |’ apparecchio nelle stesse condizioni di prima. Ma al 
passaggio dell’aria si sprigionò una gran quantità d’ammoniaca assai 
maggiore di quella che il solo vuoto dell'apparecchio poteva conte- 
nere e nel tempo stess» il colore della sostanza ritornò del suo bel 
rosso sangue primitivo. Ripetuti esperimenti mi convinsero che il 
benzildinitroidrochinone poteva dare coll’ ammoniaca due composti 
distinti. 

Ecco i dati analitici (4). 

I. gr. 1,880 di sostanza assorbirono al massimo gr. 0,1574 di 
ammoniaca ed esposti all'aria ritennero solo gr. 0,0792. 

II. gr. 1,153 di sostanza assorbirono al massimo gr. 0,41882 di 
ammoniaca cd esposti all’ aria ritennero solo gr. 0,0647. 

Ossia su 100 parti di sostanza. 


[ II 
Ammoniaca ritenuta al masssimo 14,40 14,55 
Ammoniaca ritenuta all’aria libera 5,74 — b,64 


questi aumenti di peso corrispondono ai due seguenti composti am- 
inoniacali. 


GHNO) <A + NH, GgH,(NO.) Oe NH, 
calcolata 14,72 0/, calcolata 5,86 °/ di ammoniaca 


Il composto corrispondente ad una sola molecola d’ ammoniaca 


(1) Per determinare il massimo d’ammoniaca assorbita mi fu d’uopo 
pesare l'apparecchio pieno di questa e quindi misurato il volume, cal- 
colare la differenza di peso rispetto all'aria e tenerne conto nei calcoli 
dei resultati. 


504 


è stabile e può essere ricristallizzato senza alterazione, mentre il 
composto con due molecole è stabile soltanto in una atmosfera di 
ammoniaca. | 

Questo fatto assai notevole trova un riscontro nelle pubblica- 
zioni di L. Troost sopra combinazioni di acidi monobasici con quan- 
tità eccessive di ammoniaca (1). Ritrovato ora tale fatto per com- 
posti di acidità assai minore , mi sembrava abbastanza importante 
per fare altri esperimenti in proposito con sostanze consimili. Ho 
“già ottenuto qualche resultamento coll'acido picrico e mi riprometto 
di darne quanto prima ulteriore comunicazione. 

Dibensilnitroidrochinone. Se il dibenzilidrochinone finamente 
polverizzato si getta nell’acido nitrico concentrato ; adagio , adagio 
ingiallisce; ma quando si aiuti la reazione con leggero riscaldamento, 
allora in breve la massa prende un colore citrino e mediante cristal- 
lizzazioni dall’alcool si può separare una sostanza in lunghi aghi gialli 
fusibili a 88°. Ì 

Dette i seguenti resultati analitici : 

gr. 0,2736 di sustanza dettero gr. 0,7160 di CO, e gr. 0,1280 
di H,0. 

Corrispondenti su 100 parti a 


Trovato calcolato per C,H,(NO, OCH: 
7 
C 71,87 74,64 
H 5,19 5,07 


Il dibenzilnitroidrochinone non dà nessun derivato metallico ,. 
non avendo ossidrili liberi. 

Tentai la riduzione dei due composti nitrici in soluzione ace- 
tica con cloruro stannoso. Mediante la reazione rossa col furfurol 
potei constatare la formazione di composti amidati; ma i loro doppi 
cloruri sono troppo solubili e non si separano spontaneamente e le 
basi libere ed i loro cloridrati soho troppo alterabili per poterli fa- 
cilmente separare allo stato di purezza. Non potendo lavorare che 
sopra quantità relativamente piccole di composto nitrico non riusci 
ad alcun composto abbastanza puro per l'analisi. 

Dibenzilresorcina. Quantità equimolecolari di resorcina, di bro- 
muro di benzile e di potassa reagirono in soluzione alcoolica come 
si è detto per l'idrochinone. Decomposto interamente il bromuro di 
benzile si acidula con acido cloridrico e con acqua precipita una 


(1) Comptes rendus V. 79, p. 578. 


505 


massa sciropposa molto densa, che fu lavata ripetutamente con acqua 
a fine di liberarla da tutto il bromuro di potassio formato. 

Questa sostanza semisolida si scioglie nei soliti solventi e dal- 
l'alcool deposita piccole lamine bianche e splendenti, che purificate 
fondono a 79° e che rappresentano la dibenzilresorcina. 

I. gr. 0,2575 di sostanza dettero gr. 0,7794 di CO, e gr. 0,1446 
di H,0. 

II. gr. 0,2642 di sostanza dettero gr. 0,7988 di CO, e gr. 0,1454 
di H,0. 

E su 400 parti: 


Trovato Calcolato per C,H OCH 

I I : 
C 82,55 82,44 82,75 
H 6,23 6,12 6,24 


Separata la sostanza cristallina, che si forma in poca quantita, 
il liquido alcoolico lascia una materia pastosa da cui non fu possi- 
bile ricavare niente di cristallino; etere, benzina, cloroformio, acido 
acetico ed altri solventi mi dettero sempre lo stesso prodotto. Ten- 
tai la distillazione col vapore d'acqua e la distillazione nel vuoto (1) 
ma sempre senza buoni resultamenti. M° importava di potere iso- 
lare la monobenzilresorcina e nella speranza che potesse formare 
un derivato potassico solubile trattai la massa con potassa acquosa; 
ma pur sciogliendosi in parte non potei mai arrivare ad una so- 
stanza cristallina. fo credo che quella pasta non sia che una me- 
scolanza dei due eteri benzilici con una resina che ne impedisce la 
cristallizzazione. Cercai di potere oltenere dei derivati facilmente 
cristallizzabili facendo agire su quel prodotto l’anidride acetica come 
pure il bromo, il cloro e l'acido nitrico, ma non potei mai arrivare 
a nulla di ben caratterizzato. Come il metodo più razionale per la 
separazione della monobenzilresorcina, ritornai alla potassa acquosa 
e più volte sciolsi e riprecipitai con acido cloridrico una parte 
di quel prodotto; ed asciugato nel vuoto si presentava sempre co- 
me una massa bruna semisolida che analizzata dette: 


_ (t) Nella distillazione nel vuoto il composto si decompone e si ot- 
tiene anche una certa quantità di resorcina. 


506 


gr. 0,2848 di sostanza diedero gr. 0,8206 di CO, e gr. 0,1566 
di H,0. 


Trovato Colcolato per C,H oy 
C 179,44 78,00 
H 6,17 6,00 


Anche l'analisi mostrava che il composto conteneva ancora 
qualche sostanza estranea e probabilmente un po’ di composto di- 
benzilico. Volli cambiare il modo di eseguire la reazione nel dubbio 
che le condizioni di temperatura o la presenza dell'alcool potessero 
dar luogo a reazioni secondarie e dopo varie prove ottenni migliori 
‘resultati operando nel seguente modo: 

Pesi equimolecolari di resorcina e di bromuro di benzile fu- 
rono messi a contatto con una soluzione acquosa di potassa , agi- 
tando a freddo in un matraccio tutta la mescolanza per varii giorni 
finché tutto il bromuro di benzile fosse decomposto. In questo modo 
si evitava l'alcool e la reazione avveniva molto lentamente, giacchè 
il bromuro di benzile è pochissimo solubile in una soluzione acquosa 
di potassa. Finita la reazione , al fondo del matraccio si trova un 
prodotto semifluido e scuro somigliante a quello già ottenuto ope- 
rando nel modo poc'anzi descritto, e dal quale si può ricavare una 
buona quantità di dibenzilresorcina. Nel liquido alcalino sovrastante 
a quella sostanza semifluida si trova scinita una materia, la quale 
coll'aggiunta di un acido precipita in fiocchi giallognoli, che rac- 
colti sopra un filtro e lavati si presentano come una massa solida, 
amorfa, solubile in alcool, benzina, etere, acido acetico, cloroformio 
e dai quali non potei mai ottenerla cristallina. 

gr. 0,2492 di sostanza dettero gr. 0,7178 di CO, e gr. 0,1846 
. di HO. 


E per 400. 
Trovato Calcolato per cs edera 
CU 78,55 78,00 
H 6,00 6,00 


Questa sostanza rappresenta quindi probabilmente la monoben- 
zilresorcina che senza dubbio è solida e che deve esser contenula 
per la massima parte nel prodotto semifluido soprarammentato; però 
dubito ancora che vi sia frammista qualche sostanza, che pure in 
piccolissima quantità, ne impedisce la cristallizzazione. 


807 


Tanto questo corpo come la dibenzilresorcina si resinificano 
quando si tenti di ottenere un derivato nitrosostituito. 

Dibenzilpirocatechina. Condotta la reazione come «per |’ idro- 
chinone e per la resorcina, si precipita con acqua un liquido denso 
e scuro, il quale trattato con potassa acquosa si scioglie in parte 
lasciando indietro una sostanza pastosa, che dall’ alcool cristallizza 
in aghi appena giallognoli fusibili a 61° e che all’analisi mostrò es- 
sere dibenzilpirocatechina. | 

gr. 0,2578 di sostanza dettero gr. 0,7792 di CO, e gr. 0.4482 
di H,0. | 

E in parti centesimali. 


Trovato Calcolato per C,H,<< oer 

7 
C 82,48 : 82,75 
H 6,38 6,24 


La dibenzilpirocatechina è solubile nei soliti solventi e trattata 
con acido nitrico dà un composto nitrosostituito che cristallizza in 
aghi gialli opachi fusibili a 98°. 

Quella porzione del prodotto della reazione che si scioglie nella 
potassa acquosa, all’ aggiunta di un acido precipita sotto forma di 
un liquido scuro assai scorrevole, Esso si decompone verso 200°, 
ma può venir distillato col vapor d’ acqua. Col cloruro ferrico dà 
una leggera reazione violacea, la quale attesta la presenza di un 
ossidrile fenico. È dunque probabile che questo composto liquido sia 
la monobenzilpirocatechina. Trattato con acido nitrico concentrato, 
questo liquido reagisce agglomerandosi in una massa solida che in 
soluzione alcoolica cristallizza in aghi gialli e lucenti fusibili a 129°. 

Voleva pure ottenere gli eteri benzilici dell’ orcina e del piro- 
gallol ma fatta la reazione non ricavai che delle sostanze così poco 
caratterizzabili che ne tralasciai lo studio. 

Le sostanze dunque ch’io ho potuto ricavare ed analizzare sono 
le seguenti : | 


Benzilidrochinone fus. a 122° 
Benzildinitroidrochinone » a 487° 
Dibenzilidrochinone » a 180° 
Dibenzilnitroidrochinone » a 88° 
Benzilresorcina > — 
Dibenzilresorcina » a 76° 
Dibenzilpirocatechina » a 64° 


Firenze. Istituto Superiore. 


508 
Nuove ricerche sull’arbutinas 


di UGO SCHIFF. 


In altra mia nota (Gazz. chim. t. XI, p. 99) ho comunicato, 
come non sia riuscito a separare la metilarbutina dall’arbutina né 
coll’applicazione di solventi, nè fondendo parzialmente Ja mescolanza 
naturale di questi due glucosidi. Più tardi (Gazz. chim. XII, p. 460) 
ho potuto ottenere la metilarbutina, facendo agire |’ ioduro metilico 
sulla arbutina in soluzione alcalina di potassa caustica. Per potere 
più direttamente confrontare questa metilarbutina con quella na- 
turale e per separare questa dall’arbutina, ho ora fatto il tentativo 
d’introdurre un radicale alcoolico superiore nell'arbutina , per tra- 
sformarla in un composto assai meno solubile della metilarbutina. 

Isoamilarbutina. La trasformazione in isoamilarbutina mediante 
il bromuro isoamilico in soluzione alcoolica, non si mostrava adatta al 
mio scopo. Si formano nel tempo stesso dei corpi oleòsi, che impediscono 
la cristallizzazione e che soltanto in parte possono essere eliminati 
mediante etere. L’isoamilarbutina fu del resto ottenuta cristallizzata 
in aghi e fu constatato il suo sdoppiamento in glucosio ed isoamili- 
drochinone. Quest'ultimo fu ottenuto soltanto in forma di un liquido 
oleoso, il quale , trattato a freddo con acido nitrico allungato dava 
un prodotto nitrico, cristallizzato in piccoli aghi gialli, fusibili già 
nell’acqua bollente e che danno coll'ammoniaca un composto cristallino 
di colore arancio cupo. Ma la metilarbutina che si trovava nelle ul- 
lime acque madri non poteva in fine essere separata allo stato puro 
e la quantità del prodotto impuro era talmente piccola, che mi sem- 
bra assai probabile che il radicale alcoolico. superiore, come in al- 
tri casi simili, abbia in parte spostato quello inferiore. Abbandonai 
perciò questa via per provare il metodo indicato mediante un’altra 
specie di radicale alcoolico. 

Metilarbutina. Molto bene corrispondeva al mio scopo la tra- 
sformazione dell’ arbutina in benzilarbutina. Furono adoperati 
gr. 2,46 (cc. 1,5) di bromuro benzilico ed 1 gr. di potassa caustica 
in soluzione alcoolica sopra ogni gc. 5 di mescolanza arbutinica. La 
reazione si compie lentamente già a freddo. Scaldati a ricadere in 
soluzione alcoolica, la reazione si compie facilmente e senza che il 
liquido notevolmente si colori. Il bromuro potassico si separa in 


809 


forma di una crosta aderente alle pareti del matraccio. Essenziale 
egli è, che il liquido, a reazione compiuta , abbia tuttora reazione 
alcalina debole e che tutto il bromuro benzilicn sia decomposto. 
Trovandosi di quest’ ultimo anche in piccola quantità può allora 
nelle ulteriori operazioni formarsi un poco di acido bromidrico, che 
facilmente sdoppia la benzilarbutina. 

Nella soluzione alcoolica decantata si fa passare una corrente 
di gas carbonico, per precipitare l'eccesso di potassa come carbonato; 
si evapora poi il liquido a piccolo volume e si aggiunge dell’acqua. 
La benzilarbutina si precipita quasi completameute in forma di una 
massa bianca cristallina. Una piccola quantità di essa ed un poco 
di bromuro potassico si trovano nella soluzione acquosa insieme alla 
metilarbutina. Si evapora la soluzione acquosa e si estrae la meti- 
larbutina mediante alcool assoluto, separandola dal bromuro potas- 
sico. II residuo della soluzione alcoolica viene nuovamente sciolto 
nell’ acqua e la soluzione viene per due volte agitata con sempre 
mezzo volume di etere, per eliminare una sostanza resinosa che al- 
trimente impedirebbe Ja cristallizzazione. Finalmente si scolora col 
carbone animale e si ricristallizza più volte dall’ acqua. In questo 
modo riusciva finalmente a separare la metilarbutina naturale in 
lunghi aghi bianchi, ehe rinchiudono, come la metilarbutina artifi- 
ciale, ancora una molecola di acqua di cristallizzazione e che hanno 
perciò la, formola C,,H,,0,+H,0. 

gr. 0,4840 perdevano sino a 420°. 


gr. 0,0252 di acqua = 5,85%, 
per H,O si calcola 5,92 » 


Lu preparazione aveva il punto di fusione 174° e si rappigliava 
di nuovo in cristalli tra i 120 e 125°. Il preparato artificiale, proba- 
bilmente più puro, fondeva a 175-176°. Col cloruro ferrico non si 
ha più nessuna eolorazione azzurra. Non riduce il liquore cupro po- 
tassico e si comporta in ogni riguardo come il composto artificial- 
mente ottenuto, col quale è senza dubbio perfettamente identico. 

Adoperava ancora un secondo metodo col quale sperava di po- 
tere nel tempo stesso ottenere l’arbutina allo stato puro. Questo me- 
todo è basato sopra una antica mia osservazione (Ann. der chem. 
454, p. 244) che l’arbutina cioè, subisce facilmente l’azione ossidante 
dell’ossido o del carbonato argentico, trasformandosi in: un compo- 
sto (diarbutina), il quale colla riduzione passa nuovamente in ar- 
butina. Avendo trovato che in queste condizioni la metilarbytina è 
assai meno ossidabile dell’arbutina, sottoposi 12 gr. di mescolanza 

65 


540 


arbutinica sospesa nell’acqua, durante 20 ore all’incirca, all’azione del- 
l’ossido d’argento ad una temperatura di 50 a 60°. Il filtrato giallo 
evaporato a secco a dolce calore cedeva all' alcool assoluto la più 
gran parte della metilarbutina. Però riguardo all’ arbutina mi toc- 
cava fare la poco piacevole scoperta, che la durata maggiore dell’opera- 
zione, richiesta per la quantità maggiore di sostanza, aveva condotio an- 
che ad una ossidazione più profonda. Il prodotto amorfo si compor- 
tava tuttora come un glucoside , ma adoperando dei riducenti an- 
che energici (acido idrosolforoso) non riusciva a ripristinare |’ ar- 
butina. La metilarbutina ottenuta in questa operazione fondeva 
a 174-475°. 

Benzilarbutina. In uno dei metodi testè esposti per la separa- 
zione della metilarbutina naturale, la benzilarbutina contempora- 
neamente formata viene quasi completamente eliminata precipitan- 
dola mediaute acqua fredda , in cui essa è assai poco solubile. Di 
fatti : 

gr. 106, 562 di soluzione satura a 23° abbandonavano gr.0,204 
di benzilarbutina anidra corrispondente all’4 ,9 per mille. 

Una parte di benzilarbutina si scioglie dunque a 28° in 530 
parti di acqua. Essa è molto più solubile nell'acqua bollente e cri- 
stallizza col raffreddamento di questa soluzione in ramificazioni di 
piccoli aghi incolori, che fondono a 164°, perdendo prima una mo- 
lecola di acqua. Sovrascaldata nel tubicino sino verso 250°, la ben- 
zilarbutina imbrunisce , ma si rappiglia nondimeno col raffredda- 
mento in cristalli, che fondono di nuovo verso 160°. Il composto è 
dunque abbastanza stabile, non avendo esso subìto nessuna più pro- 
fonda alterazione neppure a quest’alta temperatura. 

La benzilarbutina disseccata all'aria ha la composizione : 


-0.C,H,,0 
CHa <p CH, Celi, + 129 


gr. 4,057 perdevano tra 100 e 110°. 
gr. 0,054 di acqua = 4,82 % 


per H,0 si calcola 4,74 » 
Analisi del composto anidro : 


Calcolato 
gr. 0,2352 davano gr. 0,5423 CO, = 62,89 0/ C 62,98 
> > 0.1812 HO = 6,19 »H 6,08 


Non riduce il liquido cupro-potassico , se non prima scaldato 
coll’acido solforico allungato, nel qual caso si ha facilmente sdoppia- 
mento in glucosio ed in benzilidrochinone. 


B44 
Benzilidrochinone. Lo sdoppiamento della benzilarbutina me- 
diante acidi minerali allungati conduce al 


Benzilidrochinone GAOCH . 
° 7 


che si depone quasi completamente col raffreddamento, essendo esso 
meno solubile nell'acqua fredda della benzilarbutina. Si scioglie fa- 
cilmente nell’alcool, nell’etere , nella benzina e nell’ acqua bollente. 
Da quest’ultima soluzione cristallizza in grandi squame di magnifico 
splendore argenteo , che fondono a 122-122°.5 e si rappigliano di 
nuovo in cristalli verso 110°. 


Calcolato 
gr. 0,234 davano gr. 0,660 CO, = 77,92 5, C. 78,0 
> » 0,126 H,O = 6,06 » H 6,0 


Esso è perfeltamente identico col composto preparato di G. Pel- 
lizzari. (V. la memoria precedente) mediante azione del bromuro di 
henzile sopra la soluzione alcoolica ed alcalina dell’idrochinone. 

Benzilnitroarbutina. Evitando qualunque scaldamento si aggiun- 
ge a poco per volta della benzilarbutina finamente polverizzata ad 
acido nitrico concentrato ed incoloro. Vi si discioglie facilmente ed 
ip grande quantità, senza sprigionamento di vapori rutilanti e tutto 
al più si scorge un debole odore di benzaldeide. Dopo mezz'ora al- 
l’incirca la soluzione gialla depone rapidamente una massa cristal- 
lina incolora, che si lava sul filtro sino ad eliminare l'acido nitrico. 
Tosto che l'acido è spostato, il composto comincia ad assumere una 
tinta gialla. Cristallizzando due volte dall' acqua acidulata con poco 
acido acetico, si ottengono aghi giallastri,i quali. disseccati all'aria, 
si tingono di un giallo un poco più scuro, massime nell’ aria del 
laboratorio, contenente tracce di ammoniaca. Cogli alcali si formano 
composti di colore arancio. Nell’ acqua fredda il composto nitrico e 
ussa: meno solubile della benzilarbutina. La sua composizione cor - 
risponde alla: 


Benzilmononitroarbutina. C,9Hs;(N0,)0,+H,0. 


Perdevano tra 110 e 115°: 


* Sostanza acqua su 100 parti 
gr. 0,672 gr. 0,028 4,47 
» 1,066 > 0,0445 4,18 


Calcolato per HO . . . 4,28 


542 
Analisi del composto anidro : 


| C,,H_,NO, 
gr. 0,2524 davano gr. 0,5204 CO,—56,81 0/ C. 56,02 
>» 1 04418 H,0= 4,98 » H. 5,16 


La benzilnitroarbutina fonde a 142-148° imbrunendo e decom- 
ponendosi parzialmente. 

Benzilnitroidrochinone. La benzilnitroarbutina scaldata in so- 
luzione acquosa coll’acido solforico allungato, si sdoppia colla mede- 
sima facilità che la benzilarbutina. Il 


Benzilnitroidrochinone C,H,(N oo H, 


che si forma in questa reazione, non fu analizzato, risultando la sua 
composizione direttamente da quella della benzilnitroarbutina. La costi- 
tuzione deve corrispondere ad una delle formule 





Ò | / N 

n | vo, | 
NK NK 
0.C,H7 O.C7H, 


Cristallizza dall’acqua bollente in lunghi aghi colore d’oro, che 
fondono a 156-158°, con completa decomposizione. Forma coll’ammo- 
niaca un composto che cristallizza in scagliette colore cinabro as- 
sai risplendenti. Il composto potassico forma aghi rossi. 

Quando si sottopone all’ azione dell’ acido nitrico il benzilidro- 
chinone prima separato dalla benzilarbutina, operando del resto csat- 
tamente come è stato indicato per quest'ultimo, il resultato è non- 
dimeno differente. Si ottengono anche in questo caso aghi colore 
d'oro che danno anch’essi una cumbinazione rossa coll’ ammoniaca, 
che mostrano all’incirca lo stesso aspetto e le medesime condizioni 
di solubilità, ma che differiscono in ciò, che essi fondono senza de- 
composizione a 187°, rappigliandosi in cristalli col raffreddamento. 
G. Pellizzari ha fatto vedere nella memoria precedente, servendosi 
di benzilidrochinone ottenuto per altra via , che quel prodotto ni- 
trosostituito è uno dei quattro isomeri del benzildinitroidtochinone 


C:H:(N0,):<0 0A, come lo stesso Pellizzari ha dimostrato che il 


dibenzilidrochinone forma solamente ua composto mononitrico. 


518 


Confrontandosi fra di Joro i prodotti nitrici, che in condizioni 
perfettamente eguali si formano mediante l'azione dell’acido nitrico 
concentrato ed incoloro sui derivati dell’idrochinone, allora si vede 
formarsi : 

Dall’arbutina un derivato dinitrico; dalla benzilarbutina un de- 
rivato mononitrico; dal benzilidrochinone un derivato dinitrico; dal 
dibenzilidrochinone un derivato mononitrico. 

Sembra dunque che la sostituzione alcoolica nell’idrogeno idrossi- 
lico dell’idrochinone abbia una influenza piuttosto rilassante riguardo 
alla sostituzione nitrica nel nucleo. Questo confronto non può es- 
sere esteso agli eteri metilici ed etilici già conosciuti dei nitroidro- 
chinoni , siccome per la preparazione di questi composti la nitru- 
razione è stata eseguita in altre condizioni ed applicando acido ni- 
trico fumante. Tuttavolta se ne deduce che caeéeris paribus l’idro- 
chinone viene dell'acido nitrico assai più facilmente attaccato dei suoi 
eteri monoalcoolici e questi più facilmente degli eteri dialcoolici. 

«Se a questa influenza rilassante dei gruppi benzilici rispetto 
alla sostituzione nitrica negli atomi di carbonio circonvicini del nu- 
cleo, si può attribuire un qualche valore riguardo alla fissazione 
della probabile costituzione di quei composti, allora si avrebbero le 
seguenti formole come quelle niaggiormente verosimili. 











OH OH 
NO, VA IN / 
| NO, NO, 
0.C-H, 0.C,H, 
Benzilnitroidrochinone Benzildinitroidrochinone 
0.C;H, 


NO, | 
0.C7H, 
Dibenzilnitroidrochinone 





Già l’ultima di queste formole è l’unica possibile a seconda delle 
teorie generali oggi ammesse. 
Firenze. Istituto di studi superiori. 


eR, 


544 


Studi sulla resina di thapsias 


. di F. CANZONEBI, 


Malgrado l’importanza farmaceutica che la Thapsia garganica 
presenta per le sue proprietà vescicatorie , nessun chimico, che io 
sappia, si è finora occupato dello studio di questa pianta. 

Solo in un volume del Boll. Gén. Thérap. (t. 99%, 1868), mi è 
capitato di leggere una memoria di S. Martin sulla resina di ta- 
psia commerciale. Però i risultati ottenuti dall’ autore non banno 
chimicamente alcuna importanza e lasciano il terreno come ine- 
splorato. 

Ho sottoposto a diversi metodi di estrazione le radici di tapsia 
secche e tagliuzzate, come quelle che contengono in maggior copia 
il latte vescicatorio, ma nessuno mi ha dato buoni risultati. Solo 
nello spostamento delle radicì secche con alcool bollente , in appa- 
recchio continuo, bo ottenuto una sostanza bianca, amorfa, dell’ap- 
parenza della cera , poco solubile nell’ etere e nel S,C e che puri- 
ficata fonde verso 90°. Ma di essa non mi sono più di tanto occu- 
pato parendomi di nessuna importanza. 

L’etere è il solvente più appropriato per ispogliare la tapsia dai 
suoi principii. 

A diverse riprese ho trattato circa 20 kg di radici secche con 
etere, in un apparecchio a spostamento. Ciascuna porzione cra te- 
nuta per un pajo di giorni. L'etere, fortemente colorato in giallo , 
- distillato lasciava come residuo una resina color d’ambra di consi- 
stenza sciropposa fortemente vescicatoria. 

Adoperando i varii solventi non mi è riuscito d’isolare alcuna 
sostanza da questa resina, ma se si tratta anche a freddo con una 
soluzione concentrata di KOH, essa vi si discioglie, decomponendosi, 
con un notevole sviluppo di calore. Per soluzioni più diluite di KOH 
è necessario un leggiero scaldamento. 

I miei studii sono stati rivolti sui prodotti che in questa de- 
composizione prendono origine. 

‘Neutralizzando la soluzione potassica della resina con HCl, si 
forma un abbondante precipitato giallo caseoso, di odore sgradevole, 
costituito da un miscuglio di eteri ed acidi grassi liquidi e solidi e 
da sostanze resinose, 


545 

Da èsso mi è riuscito d’isolare:. 

4. Dell’acido caprilico normale C,H,,0.. 

2. Un nuovo acido della serie Cn Hon--s0,, che io chiamo acido 
tapsico. 

8. Una sostanza neulra, vescicatoria, che non contiene azoto. 

Comincerò dalla descrizione di questa ultima che ho ottenuto 
solo in piccolissima quantità e non in tutte Je preparazioni. Sem- 
bra che la concentrazione delle soluzioni di potassa e la tempera- 
tura influiscano sul rendimento. Inoltre essa si purifica difficilmente 
dalle sostanze resinose e dalla cera che ordinariamente la inquinano. 

E solubile nell’ alcool caldo, da cui per raffreddamento si depo- 
sita in laminette splendenti fusibili ad 87° ; è anche solubile nel- 
l'etere e nel solfuro di carbonio. Le soluzioni sono vescicatorie. Scal- 
data con soluzione concentrata di KOH vi si discioglie parzialmente | 
e si riprecipita inalterata e cristallizzata allungando la soluzione con 
acqua. Anzi è stato con tal mezzo che io la ho ottenuto dalla so- 
luzione potassica primitiva. Bollita cogli acidi concentrati non si al- 
tera. Scaldata sopra una lamina di platino brucia senza lasciare al- 
cun residuo, emanando un odore grato. . 

Una sola combustione che ho potuto fare non mi permette per 
ora alcun giudizio sulla natura di questa importante sostanza. 


Acido tapsico C,.H,5,0,. 


E stato ottenuto spremendo tra carta il precipitato semi-oleoso 
sopra cennato, che si forma neutralizzando con HCl la soluzione 
della resina ‘nella potassa acquosa , e cristallizzando ripetute volte 
dall'alcool bollente in presenza di carbone animale. 

In seguito ho trovato più conveniente il seguente metodo. 

Se si lascia riposare 24 ore la soluzione potassica concentrata 
della resina, si trova un abbondante precipitato cristallino, che co- 
stituisce il sale potassico dell'acido , il quale raccolto su filtro e la- 
vato un paio di volte con poca acqua, è quasi bianco. Sciogliendolo 
in molta acqua, filtrando e precipitando la soluzioue con HCI, si ot- 
tiene |’ acido sotto forma di un precipitato caseoso perfettamente 
bianco. Cristallizzato dall’ alcool si presenta in isquamette bianche 
splendenti, fusibili a 128-124°. Nell’acqua è quasi insolubile; è solu- 
bile nell’alcool, meno nell’etere, quasi insolubile nella benzina e nel 
solfuro di carbonio. 

Scaldato fortemente è capace di distillare inalterato ; sulla la- 
mina di platino brucia coll’odore particolare della cera bruciata. 


846 


Il bromo e l'acido nitrico concentrato |’ attaccano difficilmente. 

Due combustioni di quest’acido mi banno fornito i risultati se- 
guenti: 

I. Gr.0,2989 di sostanza diedero gr. 0,7244 di CO, e gr.0,2898 
di H,0. 

II. Gr. 0,2496 di sostanza diedero gr.0,6686 di CO, e gr.0,2680 
di H,0. 
—  Gioé in 400 parti: 


1 If 
C— 6722 67,40 
H— 40,98 44,05 


La teoria per un acido della formola C,gHy0, richiede: 
C — 67,18; H — 10,49 % 


Esso come vedremo in seguito è un acido bibasico, e precisa- 
mente un omologo inferiore dell’ acido roccellinico, fusibile a 182°, 
uno tra i pochi termini elevati di questa serie che si conoscono, 
contenuto nella Roccella fuciformis e studiato da Hesse (4). 


Anidride C, By 60720. 


Facendo bollire per mezz'ora l'acido tapsico con anidride ace- 
tica e diluendo, dopo il raffreddamento, con acqua, si deposita una 
sostanza oleosa che non tarda a solidificarsi. Raccolta sopra un filtro, 
asciugata e cristallizzata dalla benzina, si presenta come una pol- 
vere bianca cristallina fus. a 74°. 

Essa è l'anidride tapsica. Infatti: 

Gr. 0.2194 di sostanza bruciati con ossido di rame fornirono 
gr. 0,5644 di CO, e gr.0,2482 di H,0. 

Cioè per 100: 


C — 69,74; H — 40,79. 
La teoria per la formola C,gHag0,, richiede : 
C — 70,16; H — 10,44 %, 


Questa analisi viene dunque a confermare la formola preceden- 
temente data a questo nuovo acido e la sua bibasicità. 





(1) Ann. 119, $34. 


® 








547 


L'anidride è poco stabile: basta farla bollire con acqua od an- 
che con alcool perchè si ripristini l'acido. 


Anilide C,gH»,0.(NHC.H;)»- 


L’ ho preparato sealdando in tubi chiusi per quattro ore, a 
470-180°, l’acido tapsico con un cccesso di anilina. 

Il contenuto versato in una capsola, per aggiunta di alcool la- 
scia depositare una polvere cristallina , che fu raccolta su filtro, la- 
vata ripetute volte con alcool, quindi purificata per cristallizzazioni 
dall’alcool. 

È una polvere bianca cristallina fus. 162-168°, che all’ aria si 
colora un poco in violetto. 

Bruciati con ossido di rame | 

Gr. 0,3844 di sostanza fornirono gr. 0,7920 di CO, e gr. 0,8866 
di H,0. 

Cioè per 100: | 

° C— 76,64; H — 9,78; 

La teoria richiede: 

C— 77,06; H— 9,17 % 


Anche Hesse in condizioni simili ha ottenuto I’ anidride roc- 
cellinica in laminette fusibili a 55°. 

Questa grande differenza nel punto di fusione delle anilidi, mi 
fa pensare che se questi due acidi differiscono poco nella composi- 
zione centesimale debbono avere d’altra parte una struttura mole- 
colare molto diversa. 


Sale potassico C,.H.,0,Ky. 


Si deposita in polvere bianca cristallina aggiungendo 1’ acido 
ad una soluzione alcoolica di potassa. Fu lavato bene con alcool, fino 
ad eliminazione della KOH, e ricristallizzato per evaporazione della 
soluzione acquosa. È in prismetti splendenti che non contengono 
acqua di cristallizzazione. Una determinazione di potassio nel sale 
previamente disseccato a 120°, mi ha fornito i seguenti risultati: 

Gr. 0,2706 di sale diedero gr. 0,1277 di K,SO,. 

Cioè per 100: | 

K — 24,45. 

La teoria richiede 

K — 24,54 9 


518 
Sale baritico C,,.H,,0,Ba. 


È una polvere bianca, amorfa, affatto insolubile nell’acqua e po- 
chissimo nell’ alcool bollente che precipita trattando la soluzione del 
sale potassico con nitrato baritico. Il precipitato ben lavato e dissec- 
cato per 8 ore a 420°, fu sottoposto ad una determinazione di bario. 

Gr. 0,2444 di sale fornirono gr. 0,1339 di BaSO,. Cioè: 


Ba — 82,24 9/, 


mentre la teoria ne richiede 82,54. 
Sale di argento CH, 0,Ag.. 


Venne anch’esso preparato dal sale potassico, precipitando con 
soluzione di nitrato di argento. Precipitato bianco insolubile, che anne- 
risce esposto alla luce e per lo scaldamento. 

Disseccati nel vuoto e bruciati 

Gr. 0,8027 di sale fornirono gr.0,1800 di argento. 

Cioè in 100 parti: 


Ag — 42,95. 


La teoria ne richiede 43,02. 

L’acido tapsico fatto bollire con una soluzione di ammoniaca 
vi si discioglie e pel raffreddamento si deposita una nuova sostanza 
cristallizzata che probabilmente è un amide dell'acido. 

Una porzione del sale baritico secco, intimamente mescolato con 
un eccesso di idrato baritico , fu sottoposta , per piccole frazioni, 
alla distillazione secca graduale, nella speranza di ottenere l’idrocar- 
buro saturo C,,H;5, che in questo caso avrebbe dovuto prendere or- 
gine, e confrontarlo con quello recentemente ottenuto da Krafft nel 
suo lavoro sulle paraffine (4). 

Ma nel fatto avviene una decomposizione molto più profonda, 
per la quale distilla un miscuglio oleoso di idrocarburi saturi e non 
saturi, di odore muschiato, che per la loro piccola quantità non ho 
potuto isolare. Ho notato solamente che saturando con bromo il 
prodotto della distillazione, la maggior parte vi si combina formando 
una sostanza solida che asciugata bene tra carta e cristallizzata dal- 
l'alcool si presenta in aghetti bianchi fus. a 78°. 


(1) Ber. t. 16, 1687. 


P 349 


Acido caprilico normale C,H,,Qv. 


Distillando col vapor d’ acqua il precipitato oleoso che, come 
ho già detto si ottiene neutralizzando la soluzione potassica con HCl, 
dopo averla liberata dal sale potassico dell’ acido tapsico e allun- 
gata con acqua, passa un olio giallo trasparente più leggiero del- 
l'acqua, di odore etereo pungente, il quale venne estratto con etere, 
disseccato sul cloruro di calcio e sottoposto alla distillazione. Una 
piccola porzione, di odore etereo molto grato, passò sotto i 220°, la 
maggior parte tra 220-236°. 

Quest’ ultima venne frazionata di 5 in 5 gradi in tre altre 
delle quali, quella bollente a 230-235° era la più abbondante e 
sì presentava come un liquido incoloro e trasparente, solubile 
nell'alcool e nell’ etere che per il raffreddamento con neve si soli- 
dificava in lamine fusibili alla temperatura ordinaria. 

Una combustione mi fornì i risultati seguenti: 

Gr. 0,4547 di sostanza fornirono gr. 1,1116 di CO, e gr.0,4622 
di H,0: 

Cioè per 100: 


C— 66,97; H— 44,29. 


L'acido caprilico normale bolle a 286-287°, fonde a 16,° e ri- 
chiede per 100: 


C— 66,66; H— 44,44. 


Però questa porzione bruciata non era ancora perfettamente 
pura, come mostrano i risultati della combustione in cui la quantità 
di carbonio è eccezionalmente maggiore di quella voluta dalla teoria. 

A togliere ogni dubbio sulla natura di quest’ acido, invece di ri- 
correre alla distillazione frazionata, essendo difficile con questo mezzo 
operare la separazione su piccole quantità di liquido, ho preparato 
alcuni sali che per l'acido caprilico sono caratteristici e si prestano 
meglio alla purificazione. 

Cominciai dal preparare il sale sodico , neutralizzando |’ acido 
con carbonato sodico , svaporando a secco e ripigliando il residuo 
con alcool assoluto. Svaporando l'alcool si deposita il sale ben cri- 
stallizzato. Da questo venne preparato il sale di piombo, precipitan- 
done la soluzione con acetato di piombo. 

I! precipitato bianco amorfo, fu raccolto, lavato, disseccato e cri- 
stallizzato dall’ alcool. Ottenni dei cristallini bianchi splendenti che 


520 \ 
fondevano .ad 80-85°. Il sale di piombo dell'acido caprilico normale 
fonde ad 88,5°-84,5° (4). 

In una determinazione di piombo nel sale secco 

Gr. 0,2512 di sale lasciarono gr. 0,1572 di PbSO,. 

In una seconda determinazione nel sale ricristallizzato 

Gr. 0,2244 di sale fornirono gr. 0,4879 di PbSO,. 

Cioè in 100 parti 


I II 
Piombo 42,68 44,94 


La teoria per la formola Pb(C,H,,0,), richiede: 
Pb_—44,87 9/, 


D’ altra parte ho preparato il sale di bario , precipitando una 
soluzione ammoniacale dell’acido con nitrato baritico e ricristallizzando 
il sale così ottenuto dall'acqua bollente. Si presenta in laminette mi- 
cacee che non contengono acqua di cristallizzazione e del tutto ana- 
loghe al caprilato baritico. Finalmente precipitando la soluzione bol- 
lente del sale baritico con ZnCl,, pel raffreddamento si sono depo- 
sitati dei cristallini, che lavati bene e disseccati, fondevano perfet- 
tamente a 136°. Il caprilato di zinco fonde esattamente a questa 
temperatura (Zincke |.c.). 


Per poco che si guardi ai risultati esposti in questa memoria 
salta subito agli occhi l’analogia tra questi due acidi, che si otten- 
gono tra i prodotti di scomposizione della resina. 

Infatti J” acido tapsico nella sua formola grezza si può consi- 

 CgHy;0; 
derare come un acido dicaprilico | 
0,80, 

Non è quindi improbabile che realmente la costituzione mole- 
colare di questo nuovo acido della serie ossalica sia quella di un 
acido dicaprilico e ch’ esso abbia preso origine dall’ acido caprilico 
normale, per un processo di lenla ossidazione avvenuto nella pianta, 
o che viceversa il caprilico derivasse dall’altro per un processo in- 
verso. Entrambi questi due acidi si troverebbero però nella resina 
allo stato di eteri. 

Ho voluto provare se facendo bollire l’acido caprilico con solu- 


(1) Zincke-Ann. 152, 9. 





B24 
zione concentrata di KOH si ottiene acido tapsico, ma ho avuto ri- 
sultati negativi. 

Resterebbe solo a tentare la sintesi di quast’ acido, scaldando 
l'acido monobromocaprilico con polvere di argento. 
Laboratorio di Chimica. Palermo, ottobre 1883. 


Trasformazione degli acidi fiuobenzeici 
nell'organismo animale; 


di F. COPPOLA. 


Avendo recententemente E. Paternò e V. Oliveri preparato i 
tre acidi fluobenzoici isomeri (1), mi è sembrato di qualche inte- 
resse studiare il loro comportamento nell'organismo animale. 

Certamente se in questa ricerca io mi fossi proposto come unico 
scopo di osservare se questi acidi si trasformano nell'organismo in 
acidi fluoippurici, non avrei fatto al più che portare una conferma, 
forse superflua, alla legge gia posata in base a numerose esperienze, 
secondo la quale l’acido benzoico , gli acidi benzoici sostituiti e le 
sostanze, che introdotte nell'organismo sono capaci di generarli, si 
trasformano nei corrispondenti acidi ippurici. Però più che verifi- 
care se gli acidi fluobenzoici si conformassero a questa legge, io ho 
voluto profittarne per arrivare alla preparazione di tre nuovi acidi 
organici fluorurati, che nello stato attuale rappresentano un discreto 
contributo portato allo studio dei corpi organici fluorurati. 

Nello stesso lempo poi mi procuravo l'opportunità di osservare, 
se nell’elaborare tale sintesi l'organismo si comportasse egualmente 
coi diversi isomeri, cioè a dire, se esso fosse capace di trasformarli 
tutti e tre in ippurici, e colla stessa facilità: quistione poco rischia- 
rata dalle esperienze precedenti, ove si consideri, che soltanto per 
gli acidi ossibenzoici è stata constatata per tutti e tre i termini della 
serie la trasformazione in acidi ossibenzurici (2). Difatti degli acidi 
clorobenzoici è stata studiata soltanto la trasformazione del compo- 
sto meta (8), fra gli acidi bromoippurici il composto para solo co- 


(1) Gazz. ch. ital. t. XII, p. 85. 

(2) Bertagnini, Ann. Chem. Pharm. Bd. XCVII, s. 248 —‘Baumann 
uw. Herter, Zeitschr f. physiol. Chem. Bd. I, s. 259. 

(3) Grabe u. Schultzen, Ann. Chem. Pharm. Bd. CXLII, s. 345, 


522 


nosciuto fu ottenuto dal parabromotoluene (4), e finalmente dei due 
acidi nitroippurici conosciuti nella scienza , |’ uno, il meta, fu otte- 
nuto per trasformazione del corrispondente acido benzoico (2), l’al- 
tro il para per trasformazione del paranitrotoluene (8). 

Credo utile infine ricordare, che gli acidi fluobenzoici impiegati 
in queste esperienze mi furono apprestati dagli stessi E. Paternò e 
V. Oliveri da quelle porzioni di acidi, sulle quali furono eseguite 
le analisi, che servirono a stabilire la loro natura chimica. 


I. Acido metaftuoippurico C,H,FINO,(4,8) 


Ad un cane di media taglia furono somministrati in due giorni 
successivi, a due dosi al giorno, 5 gr. di acido metafluobenzoico, che 
fu tollerato perfettamente. Le urine delle 48 ore furono svaporate 
a consistenza di sciroppo , trattate con alcool e filtrate. Distillato 
l’alcool il residuo fu decomposto con acido cloridrico e dibattuto con 
etere. Per distillazigne dell'etere rimase una massa oleosa , a rea- 
zione fortemente acida, che pensai di purificare preparandone qual- 
che sale. © | 

a) Il sale di calcio fu ottenuto trattando a caldo il residuo della 
distillazione dell’etere con acqua di calce in presenza di carbone ani- 
male, e precipitando nella soluzione bollente l’eccesso della calce con 
una corrente di anidride carbonica. La soluzione concentrata a b.m. 
lasciò depositare il sale di calcio cristallizzato , che ridisciolto nel- 
l’ acqua fu ottenuto in laminette rettangolari molto allungate , Icg- 
germente giallastre, solubilissime nell’acqua e nell’alcool. 

L’analisi diede i seguenti risultati: 

I. gr. 0,38428 del sale disseccato all'aria perdettero per lo scal- 
damento a 100°, in una corrente di aria secca, gr. 0,0270 di acqua; 

II. gr. 0,1566 del sale anidro diedero gr. 0,0486 di solfato calcico. 

‘ Da cui risulta per cento: 


I II 
Acqua 1,87 — 
Calcio (nel sale anidro) — 9,12 
La formola (C,H,FINO,),Ca+ 2H,O richiede °/. 
Acqua 7,69 
Calcio (nel sale anidro) 9,25 


(1) Preusse, Zeitschr. f. physiol. Chem. Bd. V, s. 65. 
(2) Bertagnini, Ann. Chem. Pharm. Bd. LXXVIII, s. 248. 
(3) Jaffé, Ber, d' deutch. chem, Gesellsch. Bd. VII, s. 1673, 


528 


b) ll sale di piombo fu preparato trattando con acetato di Ph 
la soluzione del sale di calcio. Ottenni un precipitato, che non riuscii 
a cristallizzare perchè nell’ acqua bollente si resinificò in massima 
parte, però le acque madri dopo alcune ore lasciarono depositare 
delle laminette piccolissime, riunite in aggregazioni sfero-raggiate, 
che sottoposte all'analisi diedero : 

I. gr. 0,2224 del sale disseccato all'aria perdettero per lo scal- 
damento a 110° in una corrente d’aria secca gr. 0,0288 di acqua; 

II. gr. 0,1523 del sale anidro diedero gr. 0,0755 di solfato di 
Pb; cioè per cento: 


I II 
Acqua 12,72 — 
Piombo (nel sale anidro) — 83,86 
La formola (CyH,FINO,).Pb+5H,0 richiede %. 
Acqua — 18,06 
Piombo (nel sale anidro) 84,54 


Avendo dovuto fare la determinazione in crogiolino di porcel- 
lana, attribuisco la differenza ottenuta nel piombo al silicio che pro- 
babilmente si sarà volatilizzato allo stato di fluoruro. 

c) Il sale di argento precipita in fiocchi bianchi aggiungendo 
nitrato di argento alla soluzione del sale di calcio; ma essendo al 
terabilissimo non fu cristallizzato. 

Decomposto infine con acido cloridrico il sale di calcio, ripresi 
con etere l’acido libero, e per distillazione dell’etere ottenni un li- 
quido leggermente colorato in giallo, che dopo pochi minuti si rap- 
prese in una massa cristallina. 

L'acido metaflucippurico purificato per cristallizzazione dall’etere 
si presenta in piccoli aghi prismatici disposti a raggi, di splendore 
madreperlaceo. Esso è solubile nell’etere, nell’alcool, nell’ etere ace- 
tico; pochissimo solubile nel cloroformio , insolubile nel solfuro di 
carbonio e nella benzina. È molto solubile nell'acqua calda, da cui 
si deposita per raffreddamento. Si fonde a 152-4158°. 

Per ebollizione con acido cloridrico fumante si decompone in 
glicocolla e acido metafluobenzoico. 


II. Acido parafluoippurico C,H,FINO,(1,4) 


Fu ottenuto con un processo perfettamente analogo a quello già de- 
scritto per l’acido. precedente, dall’urina di un cane a cui fu som- 





524 
ministrato per una sola volta gr. 1,20 di acido parafluobenzoico. 
L'estratto etereo, per distillazione dell'etere, lasciò un olio, a reazione 
acida, da cui fu preparato col metodo sopra indicato il sale di calcio. 

Il sale di calcio si presenta in lamelle rettangolari aggruppate 
a ventaglio, non del tutto incolri, solubilissime nell'acqua calda e 
nell’alcool. 

L'analisi diede i seguenti risultati: 

I. gr. 0,8008 del sale disseccato all’ aria perdettero, disseccati 
a 410° in una corrente d’aria secca, gr. 0,0241 di acqua. 

II. gr. 0,1436 del sale anidro diedero gr. 0,0450 di solfato cal- 
cico; cioè per cento: 


[ II 
Acqua 8,02 _ 
. Calce (nel sale anidro) — 9,24 
La formola (C,H,FINO,),Ca richiede per cento: 
Acqua 7,69 
Calcio (nel sale anidro) 9,25 


L’ acido parafluoippurico ripreso con etere dal sale di calcio 
decomposto con acido cloridrico, si presenta in lunghi aghi prisma- 
tici aggruppati a raggi, di splendore madreperlaceo, fusibili a 161-161,5°. 

Esso è solubile nell’etere, nell’alcool, nell’ctere acetico; insolu- 
bile nel cloroformio , nel solfuro di carbonio e nella benzina. È 
solubile nell'acqua bollente. 

Fatto bollire con acido cloridrico concentrato si decompone in 
glicocolla e acido parafluobenzoico. 


IIl. Acido ortofluoippurico C,H,FINO,(4,2) 


Collo stesso processo fu estratto dalle urine di un cane a cui 
in due dosi si erano somministrati gr. 2,50 di acido ortofluoben- 
zuico ; scacciato l'etere dell’ estratto etereo , rimase un olio bru- 
nastro, a reazione acida di apparenza simile ai due acidi prece- 
denti. 

Il sale di calcio fu preparato direttamente coll’acqua di calce 
col metodo già descritto; e si presenta anch’esso in laminelte ret- 
tangolari; però nella preparazione una gran parte dell'acido si re- 
sinificò sicchè avendo ottenuto il sale in tenue quantità sono stato 
costretto a rinunziare all’analisi, interessandomi sovratutto dì ot- 
tenere l'acido libero, che ripresi con etere dal sale di calcio decom- 
posto con acido cloridrico. 





525 
«L'acido ortoflucippurico si presenta in bellissimi aghi prisma- 
tici disposti a raggi, di splendore madreperlaceo. Esso è solubilissimo 
nell'etere, nell'alcool e nell’etere acetico; un poco solubile nel cloro- 
formio, insolubile nel solfuro di carbonio e nella benzina. Si fonde 
a 424-124 ,5°. Per ebollizione con acido cloridrico fumante sì decom- 
pone in glicocolla ed acido ortofluobenzoico. 


Come risulta dalle esperienze descritte , tutti e tre gli acidi 
fluobenzoici introdotti nell'organismo si combinano alla glicocolla, e 
colla stessa facilità, almeno per la dose da me apprestata, poichè in 
nessun caso ini fu dato scoprire nelle urine delle tracce di acido 
non trasformato. | . 

1 tre acidi fluoippurici hanno un’apparenza molto simile, pos- 
seggono presso a poco gli stessi caratteri di solubilità, e si fondono 
l'orto a 424-124,5°, il meta a 152° e il para a 164-164,5°; sicchè 
l'introduzione del fluore procedendo dal composto para all’ orto ab- 
bassa sempre più il punto di fusione dell'acido ippurico. 

Presentemente non si possono stabilire dei confronti cogli altri 
acidi ippurici alogenati, perchè non se ne conosce che uno’ per 
serie, e di questo non è data la temperatura di fusione. 

Laboratorio chimico della R. Università di Palermo ag. 1883, — 


Menociero e diciereacetate di chinina: 


nota del Dott. G. MAZZARA 


Monocloracetato di chinina 
Questo sale fu preparato, aggiungendo a grammi 40 di chinina 
sciolta in alcool, grammi 5 di acido monocloracetico. Il liquido, che 
si riscalda leggermente , si libera dall’alcool evaporandolo a bagno- 
maria. Si ottiene cusì un residuo cristallino rosso-bruno, il quale 
sciolto nell'acqua bollente, deposita col raffreddamento dei cristalli 
bianco-sporchi, che con una seconda cristallizzazione diventano 
perfettamente ‘bianchi. Essi sono quasi insolubili nell’ etere , poco 
solubili neil’alcool a freddo, solubilissimi nell’alcool a caldo. 
La loro soluzione acquosa è fluorescente. 


67 


to 
< 
L) 





827 
La teoria per la formola: 
CHCI, 


d00RC,H,,N,0, + 2H,0 
richiede su cento parti: 
Acqua = 7,36 
Grammi 0,4605 di sale disseccato, bruciati con ossido di calcio 
diedero gr: 0,8060 di cloruro di argento. 
Ed in rapporto centesimale: 


Cloro = 45,81 


La teoria per il dicloracetato anidro richiede nello stesso rap- 
porto: 
Cloro = 15,67 

Grammi 0,8880 di sostanza cristallizzata, bruciati con ossido 
di ca'cio diedero gr. 0,1988 di cloruro di argento. 

Vale a dire in rapporto centesimale: 


Cloro = 14,85 


La teoria per la suddetta formola del dicloracetato cristallizzato 
richiede su cento: | 
Cloro = 14,50 
Grammi 24,960 di soluzione acquosa satura a 2:° laseiarono 
un residuo di gr. 0,6080 di sale. 
Da questi risultati si deduce, che 4 parte di sale si scioglie 
in 41,4 di acqua a 22°. ~ 


Rult*Abione dell'aliticé henzoica è aeliticicò 661TdFiséo 
sopra un miscuglio di anilina e nitrobensiakt 


neta del Dr. G. MAZZARA. 


Da Skraupe, Daebuer e Miller ecc. è stato dimostrato che la gli- 
cerina e le aldeidi contenenti il gruppo allilico, agendo sull’anilina 
o sopra un miscuglio di essa con nitrubenzina , in presenza di ma- 
terie disidratanti, danno origine a basi chinoleiche. 

Ho creduto interessante dì sostituire nel processo Skraupe alla 


528 . 
glicerina |’ aldeide benzoica, ed in questa nota preliminare mi pro- 
pongo di esporre, tanto per pigliarne data, i risultati, sebbene an- 
cora incompleti, ai quali sono pervenuto. 

In un pallone si mescolano gr. 24 di nitrobenzina, gr. 86 di 
anilina, gr. 50 di essenza di mandorle amare, ed al miscuglio si ag- 
giungono, a poco a poco ed agitando, gr. 100 di acido solforico cou- 
centrato. 

Mano mano che si versa l'acido, la marsa si riscalda fortemente 
solidificandosi : continuando ad aggiungerne il solfato di anilina si 
fonde, e tutta la massa si trasforma in un liquido, di colore gial- 
lastro: se si scalda in seguito a bagno di sabbia, congiungendo il 
pallone ad un apparecchio a ricadere, osservasi con un termometro 
che sta immerso nel liquido, che la reazione incomincia verso 130 
e si mantiene stazionaria da 150°%160°, sviluppando un gas che 
brucia con fiamma azzurro-violacea. 

Dopo 2 ore di riscaldamento, si aggiunge al prodotto della rea- 
zione, acqua ed acido solforico e si distilla in una corrente di va- 
por acqueo, per liberarlo dalla nitrobenzina e dall’aldeide, che non 
presero parte alla reazione. 

Colle sopradescritte quantità son passate nel distillato gr. 8 di 
aldeide e gr. 12 di nitrobenziua. 

Il residuo della distillazione, coll'aggiunta di molt'acqua, separa 
una sostanza resinosa e fornisce una soluzione rossa, la quale, fil- 
trata viene precipitata frazionatamente con una soluzione di car- 
bonato sodico. 

Il precipitato prodotto dall'acqua si presenta d’un color verde 
grigiastro ed è infusibile: quelli frazionati ottenuti col carbonato sodico 
sono colorati in viola sbiadito. Questo colore si rende più intenso, 
allorquando la sostanza è secca. 

I precipitati ottenuti con carbonato sodico fondono a tempera- 
tura diversa: 

1 primi, provenienti dalla soluzione molto acida fondono in perte 
a 160° rimanendo della sostanza infusibile. Quelli provenienti dal 
liquido debolmente acido, fondono parte a 80° e parte da 130° a 460°. 

Infine le ultime porzioni, ottenute dal liquido quasi neutro, 
fondono completamente sotto 80°. 

Le soluzioni cloridriche e solforiche dei predetti precipitati 
hanno una tinta rosso-porpora. 

Per purificare la parte fusibile sotto 80°, di cui ora solo mi 
sono occupato, l’ho trattata con acido solforico diluito (4 p. con 20 
‘ di acqua), e la soluzione liberata per filtrazione da un po' di sostanza 


329 


resinosa, |’ ho riprecipitata frezionatamente | con carbonato sodico , 
rigettando le prime porzioni. 

Il precipitato lavato e disseccato fra carta, si. rammollisce verso 
70° e fonde a 82°. Dopo la fusione esso acquista un color rosso-nero 
splendente e con riflessi verdi. È pochissimo solubile nella benzina, 
colorandola in violetto, ed anche nell’etere con colorazione . giallo 
rossasira. È assai solubile nell’alcool, dal quale collo svaporamento, 
non si separa cristallizzata. 

Trattando la sostanza con acido cloridrico concentrato si ot- 
tengono dei piccoli cristalli d'un rosso granato solubilissimo nell’alcool 
con colorazione violacea, e nell'acqua. Le soluzioni cloridriche, di 
questa base, come pure le solforiche, svaporate non lasciano ceistal- 
lizzare il sale. 

L'acido picrico produce nelle soluzioni cloridriche un precipitato 
rossastro, contenente acqua di cristallizzazione, e solubile nell’alcoole. 

Il tartrato e l’ossalato, sono dei precipitati rosso-bruni, solubili 
nell'alcool. 

La soluzione cloridrica della base precipita pure col cloruro 
mercurico e col bicromato potassico. 

Il cloruro di platino nelle soluzioni alcooliche concentrate del 
cloridrato, vi genera un precipitato giallo-rossastro, e nelle soluzioni 
acquose un precipitato bruno, contenente acqua di cristallizzazione. 

La base disseccata a 400° non perde di peso. 

All’analisi ha fornito dei risultati i quali non mi hanno ancora 
permesso di stabilire una forinola probabile. 

Io son dietro a studiare gli altri prodotti che si formano in 
questa reazione per potere interpretarla , come anche a preparare 
i derivati, per potere meglio stabilire la formola di questa base, che 
mi astengo dal pubblicare in questa nota preliminare. 


Dal Laboratorio di Chimica della R. Scuola Sup. di Veterinaria, 
Torino, ottobre 1883. 


Null'asione del cloruro di bensile sulla chiuinas 


nota di G. MAZZARA e G. POMSETTO. 


Facendo agire il cloruro di benzile sulla chinina abbiamo ot- 
tenuto il composto di cloruro di benzile con chinina, unitamente ad 
una sostanza colorante; mentre i sigg. Cleus e Traupel facendo agire 
il cloruro di benzile sulla cinconina, oltre al composto doppio di clo- 


5% 
rufd di Benzite con tinconina e la sostariza colorante, oltennero clo- 
ridrato di cinconina. 

Per preparare it tomposto di cloruro di henzile con chinina ah- 
Dianto operato nel seguente modo: 

A grainmi 22 di chinina, sciolta in 60 grammi d’alcool, abbiamo 
aggiunto gr. 8 di cloruro di benzile, ed il tutto scaldato per un. 
certo tempo in un palloncino unito ad un apparecchio a ricadere. 
Bentosto il-liquido si è colorato in rosso intenso, è questa colorazione 
è avvenuta anche operando senza la presenza di aria. La soluzione, 
rimessa fi una capsula e svaporata a bagno-maria, dopo il raffredda- 
mentò, non ha dato luogo ad alcuna cristallizzazione. | 

Il residuo, dall'apparenza vischiosa e di color rosso intenso, 
trattato con acqua, non si sciolse completamente, rimase indisciolta 
ha svstanza resinosa, la quale fu separata per filtrazione. 

La soluzione è dicroica, presentando il color gialloverde per 
tfaspdrenza e rosso per riflesso. 

Trattata con ossalato ammonico e con sale di Seignette, non 
dà Ivbgo ad alcun precipitato, ciò che indica l'assenza del cloridrato 
di chinina. 

Col cloruro mercurico, dà un precipitato biancastro che si fonde 
dott’ acqlia , ed in parte si scioglio. La parte fusa, colla protratta 
ebullizione, si decompone annerendosi: la soluzione acquosa nel 
raffreddarsi deposita un precipitato cristallino hianco-giallastro. 

La soluzione acquosa del composto di cloruro di benzile con chinina 
trattata con cloruro di platino, dà un precipitato giallo, d’ apparenza 
athorfa, solubile nell’alcool diluito, dal quale solvente cristallizza in mi- 
crottiztallini ¢ corrisponde alla formola CgH,N,0C,HCI,HCI.PLCI,, 
più 2 molecole di acqua di cristallizzazione, che perde, lasciandolo 
esposto nel vuoto in ‘presenza di acido solforico. 

-‘Hifatti grammi 0,9886 di sostanza pérdettero dopo due giorni 
grammi 0,0274 di a-qua. 

Vale a dire in rapporto centesimale 


Acqua = 2,88. 

La teoria per la formola | 
richiede nello stesso. rapporto: | 
Acqua = 2,90 


584. 


Grammi 0,2982 di sale disseccato, riscaldati. in orogiuolo di pla- 
lino, lasciarono un residuo di grammi 0,0704. 
Trasformando detto risultato in rapporto centesimale si ottiene: 


Platino = 28,61. Se 


La teoria per la suddetta formola richied» nello stesso rap- 
porto: . oy the 
Platino = 28,80. 

Dalla soluzione concentrata del composto di cloruro di benzile con 
chiniua trattata con soluzione di idrato sodico si ha un. precipitato di 
color giallo. verdastro; mentre dalla soluzione diluita, si ottiene un pre 
cipitato giallo cristallino di idrato di benzile con chinina. 

Detto precipitato fonde a 75° annerendosi. Esso si scioglie neb 7 
l'alcool e nell’etere a freddo. Riscaldato in presenze di acqua ed 
anche di alcool si fonde resinificandosi, 

La soluzione acquosa del composto di cloruro di benzile con 
chinina, concentrata a bagno maria , non diede luogo ad alcuna 
cristallizzazione. Continuando l’evaporamento si ottenne un residup 
semisolido, giajjastro. 

Quest'ultimo, in peso di grammi 8, sciolto nell’alcool fu messo 
a ricadere con grammi 2,2 di cloruro di beazile, quantità equi- 
molecolare. 

Anche in questo caso collo svaporamento dell’ aleool non aber. 
biamo ottenuto prodotto cristallizzato , ma una sostanza vischiosa di 
color rosso intenso, la quale è parzialmente solubile nell'acqua la- 
sciando, un residuo resingso. ed impartendo, alla soluzione: acquosa 
una colorazione verde per trasparenza, rossa per rifesso. 

Detta soluzione agquosa, trattata con. ossalato ammonico, non 
dava luogo ad alcun precipitato, mentre col: sale di Seiguette, dara 
nn precipitato giallo gelatinoso, solubile in lieve eccesso di reattivo. 

Col, cloruro. di, piatiao ci, ha fornito, ua, precipitato. giallo. sohi- 
bile nell’alcool assai diluito, dal quale però non. si: deposita cristal 
lizzato, ma in polvere leggiera e friabile. 

AI analisi ha dato i seguenti risultati: 

Grammi 0,4425 di sostanza riscaldata entro crogiuolo di platino 
laseiarono ua residuo di gr. 0,09160. 

Vale a dire in rapporto centesimale 


Platino = 20,74. 


Grammi 0,4020 della stessa sostanza lasciarono in un altra 
determinazione un residuo di gr. 0,0884. 


582 
Vale. a dire per cento: 
Platino = 20,75. 
‘ La teoria per la formola: 
Ca Hy,N30,(C,H,C1), HCIPtCl,. 
richiede per cento parti 
Platino = 20,67 


La soluzione del composto del cloruro di benzile colla chinina, 
diluita con eccesso di acqua e trattata con idrato sodico, ci ha for- 
nito un precipitato giallo intenso che , lavato ed asciugato fonde 
a 85° e si decompone a 180° con sviluppo di bollicine yassose. 

Abbiamo infine fatto agire nel modo sopradescritto ed in pesi 
equimolecolari, il cloruro di benzile sopra lidrato di benzilchinina, 
sciolto - nell'alcool. 

II prodotto della reazione, liberato dall'alcool e trattato con 
acqua,- ci ha fornito una soluzione dal color rosso, la quale col cloruro 
di platino diede un precipitato rosso-mattone, che fornì il 28,09 
di platino. 

La teoria per la formola : 


CH ,,C-HN,0,C,H-CIACIPICI,. 
‘richiede’ per 000: 
Platino = 24,92. 


La teoria pel cloroplatinato del composto di cloruro di' benzile 
con chinina richiede il 28,80 di platino. 
Pare quindi che in questa reazione si formi pure del cloridrato 
di chinina, proveniente dalla decomposizione del composto di cloruro 
di benzile con chinina. i 
Dal laboratorio di‘chimica della R. Scuola Sup. di Medicina Veteri- 
naria Torino, ottebre 1883: 





558 
Fiuerobensinac fliuereotoluene; 


di E. PATERNO” e V. OLIVERI 


Nella nostra memoria sugli acidi fluobenzoici (1), abbiamo ac- 
cennato a vari tentativi infrultuosi per ottenere la fluorobenzina ed | 
il fluorotoluene, per mezzo dei diazoderivati dell’anilina e della to- 
luidina. * . | 

Da quel tempo abbiamo continuato tali ricerche, per quanto gli 
scarsi mezzi di cui disponiamo e le difficoltà del lavoro ce lo hanno 
consentito, tentando tutte le diverse vie che potevano eondurci allo 
scopo. La preparazione della fluorobenzina aveva ai nostri occhi una 
importanza speciale, dacchè mentre gli acidi fluobenzoici per tuttii 
loro caratteri venivano a confermare la analogia fra il flaore ed j 
corpi alogeni; la fluorobenzina, come era stata descritta da Schmitt e 
Gehren, conduceva ad altre conclusioni; poichè essendo la cloro, la 
bromò e la jodobenzina dei liquidi bollenti rispettivamente a 182°, 
455° e 185°, quei chimici descrissero la fluorobenzina come un corpo 
Solido fusibile a 40° e bollente a 180-183°. 

È stato per questa ragione che dopo avere esaurito tutti i me- 
todi possibili per ottenere da un lato ta fluorobenzina o il fluorotoluene 
dai diazoderivati, e dopo aver fatto parecchi tentativi per ottenere la 
fitorobenzina, riducendo l’ac. fluobenzoico con acido jodidrico e fosforo 
amorfo, ci siamo risoluti, onde avere una migliore guida nelle ulte- 
riofi ricerche, a preparare la fluorobenzina col metodo di Schmitt e 
Gehren (2) distillando cioè con calce il fluobenzoato calcico. Non na- 
scondiamo che dalla lettura attenta del lavoro di Schmitt e Gehren 
era sorto in noi il dubbio che essi fossero caduti in un errore, e 
che la sostanza da loro descritta come fluorobenzina non fosse al- 
tra cosa che fenol: il punto di fusione (40°) e di ebollizione (180- 
188°), trovati da Schmitt e Gehren per la fluorobenzina, sono in- 
vero coincidenti con quelli del fenol; la densità di vapore, da essi 
trovata eguale a 3,47, se da un lato si accorda con quella calcolata 
per C,H,F! (3,82) dall’altro si accorda egualmente bene con la calcolata 
per C,H.OH (8,25), ed i risultati dell’analisi elementarè si approssi- 


(1) Gazz. Chim. t. XII, p. 85. 
(2) Jour. f. prak. ch. 1, p. 400. 


68 


584 
mano dippiù alla composizione dell’ acido fenico che a quelli della 
fluorohenzina, come si scorge dal seguente prospetto: 


Trovato da Calcolato Calcolato 
Schmitt e Gehren per CsHsFl per CgHs.OH 
Carbonio 77,3 75,00 76,60 
Idrogeno 6,5 5,24 6,98 


A tutto ciò aggiungendo che Schmitt è Gehren non determina- 
rono il fluore nel loro composto, e che lo purificarono per distillazio- 
‘ne frazionata del prodotto grezzo, senza averlo prima trattato con 
potassa, risulta evidente che i nostri dubbi per quanto arditi non 
. erano privi di fondamento. E l’esperienza li ha pienamente confer- 
mati. Nella distillazione del fluobenzoato calcico con la calce si for- 
ma in quantità considerevole del fenol, ed il prodotto dopo aver su- 
bìto un traltamento con potassa, bolle al di sopra di 240° ed è pro- 
babilmeute costituito in massima parte da ossido di difenile. 

Ottenuto questo primo importante risultato non abbiamo voluto 
pubblicarlo senza che prima avessimo avuto nelle mani la vera fluo- 
robenzina. E ci siamo riusciti riscaldando in tubi chiusi con acido 
cloridrico concentrato il sale potassico dell'acido fluobenzensolforico , 
che si forma dall' acido solfoauilico passando pel diazocomposto e 
che era già stato ottenuto da Lenz (4). 

La fluorobenzina così ottenuta, separata dal fenol, che contem- 
| poraneamente prende origine, è un liquido limpido, di odore assai 
simile alla benzina, che bolle a 85-86° e non si solidifica per raffred- 
damento a—20°. All'analisi ha fornito i seguenti risultati: 

I. gr. 0,2606 di sostanza diedero gr. 0,7217 di CO, e gr. 0,134 


di H,0. 
II. gr. 0,2896 diedero gr. 0,7196 di CO, e gr. 0,1282 di H,0. 
Trovato Calcolato per CgHsFl 
I II 

Carbonio 75,54 74,95 15,00 

Idrogeno 5,68 5,68 5,24 

Per la densità di vapore abbiamo trovato 

8, 13 


Ci siamo inoltre assicurati che la sostanza conteneva del fluore. 
L’assieme di questi risultati non lascia dubbio sulla natura della 
sestanza, e non ostante che il suo punto di ebollizione sia molto 
prossimo a quello della benzina, purtuttavia si può con sicurezza 


(2) Berl. Ber. t. X, p. 1135 e t, XII, p. 580. . 








585 


affermare che essa sia della fluorobenzina. È solo quistione di prepa- 
rarne in maggior quantita per poterne meglio stabilire le proprieta 
fisiche. . 

Con un processo simile siamo pure riusciti a preparare il fluo- 
rotoluene , partendo cioè dall’ acido amidotoluensolforico, preparato 
dalla paratoluidina secondo Pechmann (4), trasformandolo in diazo- 
derivato e scomponendo questo con acido fluoridrico concentrato. 
Il fluorotoluene è un liquido di odore marcatissimo di mandorle 
amare, che bolle a 114°. All’analisi ha dato: 

Gr. 0,2863 di sostanza fornirono gr. 0,6585 di CO, e gr. 0,1505 
di H,0, cioè: 


Trovato Calcolato per C,H;Fl 
Carbonio ‘76,00 76,86 
Idrogeno 7,06 6,37 


Noi ci proponiamo di continuare ed estendere queste ricerche, 
la cui importanza per la conoscenza della natura chimica del fluore 
non può a nessuno sfuggire, e speriamo a questo primo annunzio 
di far seguire fra non guari una dettagliata descrizione dei ca- 
ratteri fisici della fluorobenzina e del fluorotoluene e uno studio 
più completo dei composti intermedj. Ora che abbiamo avuto per le 
mani la vera fluorobenzina ritorneremo a provare se sia possibile ot- 
tenerla con metodi più economici, non essendo improbabile che nei — 
primi tentativi, quando andavamo in cerca di un corpo solido e bollente 
sopra 180°, essa ci sia sfuggita per Ja sua volatilità. 

Laboratorio di chimica—Palermo, novembre 1883. 


di E, PATERNO* 


È un fatto meritevole di attirare tutta l’attenzione dei chimici 
quello che mentre può dirsi provato, col rigore possibile nello attuale 
stato delle conoscenze sulla struttura di composti organici, che i 
composti cuminici contengono l’isopropile ed il cimene il propile 
normale (2), purtuttavia nelle varie trasformazioni di questi com- 


(1) Liebig’s Annalen 173, 195. 

(2) Vedi la mia nota: sulla costituzione dei composti cuminici e del 
cimene (Gazz. Chim. t.VIII, 1878, p. 289) ed il recente lavoro di R. Meyer 
(Liebig’s Annalen, t. 220, p. 63). 


586 


posti é stato sempre osservato che i composti cuminici danno sempre 
del cimene, ed il cimene si trasforma in composti cuminici. 

Ed invero da un lato le esperienze di Nencki e- Ziegler , (4) 
e di Jacobsen (2) non lasciano dubbio che il cimene per ossidazione 
nell’ organismo fornisca acido cuminico , e le recenti esperienze 
di Errera (8) hanno provato che per l'azione del cloro sul cimene 
bollente si forma cloruro di cumile identico a quello che si prepara 
dall'alcool cuminico. 

Dall'altro Into Kraut (4) scaldando l’alcool cuminico con lo zineo, 
ottenne cimene identico a quello dalla confora e lo stesso cimene 
abbiamo ottenuto io e Spica (8) per la riduzione del cloruro di cumile 
con l’idrogeno nascente. - 

Si vede adunque che se è vero che il cimene contenga il pro- 
pile normale ed i composti cuminici, l’ isopropile : avviene con la 
più grande facilità la trasformazione del propile normale in isopro- 
pile e viceversa. 

Questo fatto è tanto più degno d'interesse in quanto che è 
stato possibile per altre vie ottenere un acido isomero al cuminico 
e contenente evidentemente il propile normale (Paternò e Spice (6), 
ed una parametilisopropilbenzina differente dal cimene ordinaria 
(Jacobsen (7)). Per tutte queste considerazioni e nella speranza di get- 
tare nuova luce sopra questo argomento, ho creduto non affatto 
privo d'interesse di preparare |’ idrocarburo (isopropilmetilbenzina) 
che doveva formarsi per la distillazione dell'acido omocuminico 


CHuc' coon con la calce, nella possibilità che in questo caso 


almeno fosse stato possibile di passare dalla serie cuminica all’iso- 
cimene. 

‘Gr. 20 di acido omocuminico, preparato secondo le indicazioni 
di A. Rossi (8) furono trasformati in sale di calcio e questo distil- 
lato per piccole porzioni con calce spenta. Ebbi così gr. 10 di un 
distillato che rettificato mi fornì gr. 7 d’ idrocarburo bollente a 
478-175°; questo fu trasformato in solfacido, e del solfacido venne 


(1) Berichte 6, p. 749. 

(2) Berichte 12, p. 1512. 
(3) Gazz. XIII, 421. 

(4) Ann. 192, p. 224. 

(5) Gazz. ch. ital. IX, 397. 
(6) Id. VIII, 507. 

(7) Berichte 12, p. 429. 
(8) Ann. Spl. I, 139. 








587 

preparato il sale haritico, che per cristallizzazione frazionata fu di- 
viso in due porsioni distinte, l’analisi delle quali diede i risultati se- 
guenti: 

4* Porz. Gr. 0,9658 di sale perdettero per lo scaldamento a 150° 
gr. 0,0821 di acqua; . 

Gr. 0,2446 di sale secco fornirono gr. 0,0866 di solfato baritico. 

2* Porz. Gr. 41,4510 di sale perdettero per lo scaldamento a 
140° gr. 0,1222 di acqua; 

Gr. 0,8176 di sale idrato fornirono gr. 0,1209 di solfato bari- 
tico. 

Da questi risultati si calcola per 100: 


] II III IV 
Acqua 8,54 8,42 
Bario nel gale anidro 94,05 
Bario nel sale idrato 22,37 


Mentre per un sale (C, )H,,SO,),Ba + 3H,0 si calcola: 


Acqua 8,75 
Bario nel sale anidro 24,38 
Bario nel sale idrato 22,20 


Questi risultati mi sembrano sufficienti per provare senza dubbio 
che il cimene ottenuto dall’acido omocuminico non è parametiliso- 
propilbenzina, come avrebbe dovuto aspettarsi, ma è invece cimene 
ordinario. 

Ed invero il sale baritico del solfacido dell'isocimene cristallizza 
secondo lacobsen con 4 molecola sola di acqua, e differisce ancora 
nei caratteri esteriori da quello da me ottenuto. 

In faccia a questa costanza della trasformazione dei composti 
cuminici in cimene ordinario e viceversa, la cosa più logica sarebbe 
di ammettere la identità del radicale C,H, contenuto nelle due 
classi di composti; ma la sintesi della propilmetilbenzina e della 
isopropilbenzina, e la isomeria dell'acido cuminico col propilbenzoico 
normale, sono fatti troppo bene assicurati per permettere di venire 
a questa conseguenza, se non altro ci resta solo a riconoscere 
quanto spesso siano fallaci le formole di costituzione dedotte da 
trasformazioni anche semplicissime di corpi di struttura nota, se 
pur non vuol sospettarsi della insufficienza delle attuali ipotesi. 

Laboratorio di Chimica—Palermo, 1883. 





588 


Lettera dei proff. Guareschi e Mosso al Prof. Paternò 
riguardo alle ricerche sulle ptomaine. 


Caro Paternò, 


In risposta ad una nota che tu pubblicasti nell’ultimo fascicolo 
della Gazzetta chimica italiana, pag. 498, ti preghiamo di aspettare 
che siano stampate per intero le nostre ricerche sulle ptomaine. 
Leggi la prima pagina della introduzione dove abbiamo dichiarato 
che « la terza parte del nostro lavoro consisterà in una rivista 
storica e critica dei lavori che si sono pubblicati fino ad oggi sulle 
ptomaine » (4). | 

Speriamo ti persuaderai presto che uon era punto necessario 
che tu affermassi il valore delle ricerche fatte nel tuo Laboratorio, 
perchè noi le apprezziamo tanto che non ci passò neppure per la 
mente il dubbio che tu potessi dubitarne. 

Siamo dispiacenti che le nostre parole possano prestarsi ad una 
interpretazione troppo severa: ma credevamo fosse per se stesso evi- 
dente che tutti: gli sperimentatori che hanno dichiarato di aver puri- 
ficato cogli acidi i reagenti, fossero esclusi dalla critica di non a- 
verli purificati. 

Torino. 24 ottobre 1883. 
Tuoi affezionalissimi 
I. GuarescHI, A. Mosso. 


Risposta alla « Reclamation des M. M. Camille Vincent 
e Delachanal & propos d'un procédé 
de preparation du selfocarbonate » etc. etc. (2). 





I sig. Vincent e Delachanal a proposito del processo da mc 
proposto per la preparazione economica del solfocarbonato da adope- 
rarsi come insetticida (8), reclamano adducendo il brevetto da essi 
preso in Francia il 8 marzo 4884. Ora, non per questione di priva- 
tiva, ma per ragione di priorità, io contrappongo loro la memori: 


(1) Archives italiennes de Biologie, T. II, pag. 367. 
(2) Bulletin de la Società Chimique de Paris. T. XL N. 9, p. 425. 
(3) Gaz. Ch. Ital. vol. XII, p. 476. 


589 


da me pubblicata nel 4871 (41) e nella quale è appunto studiata e 
ben chiarita la reazione degli idrati alcalino-terrosi sul solfuro di 
carbonio e la conseguente formazione di solfocarbonato e carbonato; 
memoria che venne riassunta nel Bulletin de la Société Chimique 
de Paris, Tome XVII (1872) p. 253-255. 

. F. SESTINI. 


sinlilo stato dell'acido solforico nel vino, o nelle solusioni 
di cremortartaro quando vi venga versato nella quan- 
tità necessaria alla-totale decomposisione di quest’al- 
time o in una quantità minore; 


per ANTONIO e DARIO GIBERBTINI. 





(Estratto) 


Partendo dalla ben nota legge di Berthollet gli autori ammet- 
*tono che l’acido solforico versato nelle soluzioni di cremertartaro, 
o nel vino, il che è lo stesso, nella proposizione necessaria alla 
decomposizione di quel sale o in una quantità inferiore, debba sem- 
pre esistere in parte allo stato libero, e lo hanno provato speri- 
mentalmente nel modo che segue. 

Gr. 8,76 di cremortartaro purissimo sono stati sciolti in un 
litro di acqua stillata. Di queste soluzioni se ne prepararono tre. 
In una furono aggiunti gr. 0,98 di H,SO, (equivalente necessario 
alla totale decomposizione del cremortartaro che si trovava nel liquido): 
in un'altra gr. 0,50 dello stesso acido, e nella terza gr. 0,25. La- 
sciate a se le soluzioni per parecchi giorni vennero poscia evaporate 
lentamente fino circa ad 1/,, del loro volume. Dopo due giorni di 
riposo, separati i liquidi dal cremortartaro che erasi cristallizzato, 
vennero evaporati di nuovo alla rimanenza di 20 c.c. e di nuovo 
abbandonati a se per altri due giorni, durante i quali si separò 
una nuova quantità di cremortartaro. 

I liquidi residui contenevano acido solforico libero, perchè ver- 
sati in 107volte il loro volume di alcool assoluto, l'alcool separato 
dal deposito, oltre a contenere l’acido solforico proveniente da KHSO,, 
conteneva anche quella quantità che si trova libera nei liquidi in 


(1) Annali Scientifici del R. Istituto Tecnico di Udine. An. 5° 1871 
e Gaz. Chimica Ital., luglio 1871. 


540 
esperienza. Inoltre facendo evaporare a b. m. i liquidi residui in pre 
senza di zuccaro cristallizzato, questo annerì. (Il KHSO, puro, 
contrariamente all’asserzione di Pollacci, ron annerisce lo zuccaro). 
Gli autori propongono un nuovo realtivo la salicina. Si procede 
come collo zuccaro: Si riscalda al b. nt. il liquido in presenza di 
questa sostanza, e quando l'acqua sarà tutta o quasi tutta evaporata 
il colore rosso caratteristico apparisce se l'acido solforico è pre- 
sente allo stato libero, mentre la bianchezza nivea della salicina 
nun è menomamente alterata se il liquido non contiene che KASO,. 

Preparate altre tre soluzioni di cremortartaro con acido solfo- 
rico nelle proporzioni indicate furono evaporate per liberarie possibil- 
mente da tutto il sale che non potè essere intaccato dall’acido ag- 
giunto: lasciati 4 se per più giorni i liquidi fesidui decantati dai 
cristalli di cremore che si erano formati, furono versati in 40 volte 
il loro volume di alcoole assoluto. Dopo 24 ore di riposo, separati 
i precipitati di solfato potassico e lavati con alcool anidro fino a 
neutralità, vi fu determinato l'acido solforico. Simile operazione fu 
puré eseguita per quella quantità di acido che si conteneva nei li- 
quidi aledolici, e si ottennero i seguenti risultati. 

Per la 4° soluzione cui vennero uniti gr. 0,98 di H,SO, si ebbe: 


Pel liquido alcoolico un tenore di SO, = gr. 0,488 
Pel precipitato > SO, = » 0,810 
Pari a gr. 0,916 di H,SO, gr. 0,748 
Per la 2° soluzione, cui si unirono gr. 0,50 di H,SO, si ottenne: 


Pel liquido alcoolico una quantità di SO, = gr. 0,245 
Pel deposito > SO, = » 0,444 


Pari a gr. 0,478 di H,SO, gr.0,386 


Per la 8° soluzione, eontenente gr. 0,25 di H,SO, si ebbe: 
Pel liquido alcoolico un tenore di SO, gr. 0,145 
Pel deposito » SO, gr. 0,076 


oe 


Pari a gr. 0,228 di H,SO, gr. 0,494 


Sottraendo in tutte tre i casi la 2° cifra dalla 1° si hanno le 
quantità di acido solforico libero, e così per la 4° gr. 0,157, per la 
2° gr. 0,427 e per la 3° gr. 0,048. Quantità queste, come ognuno 
vede, approssimative e minori delle reali e mon in un rapporto 


541 


esalto poichè per le condizioni della esperienza si hanno perdite 
inevitabili. Una piccola quantità di cremortartaro che non si separa 
è causa che la cifra rappresentante l’acido libero venga alterata in 
meno. 

Ciò che si riscontra nella soluzione di cremortartaro deve pro- 
dursi in modo identico anche in quel vino che venne alterato o 
comunque addizionato di acido solforico, poiché il vino può consi- 
derarsi come una soluzione acquosa di cremortartaro con eccesso di 
acido tartarico. E quest'acido lungi dall’impedire che l’acido solforico 
conservi il suo stato libero, è la causa che in tale stato vi si man- 
tenga sempre. 

Furono preparate tre soluzioni con 900 c.c. di acqua, gr. 8,76 
di cremortartaro, ge. 3 di acido tartarico e 400 c.c. di alcool ordi- 
nario. Alla 1* furono aggiunti gr. 0,98 di H,SO,, alla 2° gr. 0,50 
ed alla 3° gr. 0,25. Dopo varii giorni di contatto furono evaporate 
e riprese come le altre: se ne separò il cremortartaro ogni volta 
che venne abbandonato, e ridotte a piccolo residuo furono trattate 
con alcool assoluto. Determinato l’SO; nel liquido e nel deposito si 
ebbe: i 

Per la 1° soluzione SO, nel liquido = gr. 0,490 

nel precipitato = » 0,212 

pari a gr. 0,869 di H,SO, » 0,702 
Per la 2° soluzione SO; nel liquido » 0,296 

nel precipitato = » 0,065 

pari a gr. 0,442 di H;SO, gr. 0,864 
Per la 3° soluzione SO, nel liquido » 0,458 

nel precipitato = » 0,080 


pari a gr. 0,230 di H,SO, gr. 0,188 


Differenza marcatissima fra questi risultati e quelli ottenuti colle 
antecedenti soluzioni. L’ acido solforico trovasi in minore quantità 
nel deposito, mentre maggiore è quella riscontrata nel liquido: mag- 
giore è quindi la quantità dell'acido libero nelle soluzioni che con- 
tengono col cremortarlaro anche acido tartarico, che quando ne sono 
Senza, perchè l'acido tartarico ha azione su KHSO, e genera del 
cremortartaro e rende libero acido solforico, come lo hanno diretta- 
mente provato gli autori. 

Lo scopo del presente lavoro si è di vedere una buona volta 


69 


542 
definito questo punto oscuro, incerto ed erroneamente interpretato, 
che è quello dello stato dell'acido solforico nei vini, i quali vennero 
con siffatto agente adulterati. Spiegano gli autori come tale qui- 
stione debba interessare tanto i chimici quanto gli igienisti, ma 
più ancora quelli che questi. 


Azione dell'anidride fialica sulle monamine secondarie: 


di ARNALDO PIUTTI. 


Come ho esposto in una precedente memoria (4) l’acido ftalamido- 
benzoico si decompone colle amine primarie a seconda dell'equazione 
generale: 


co 
+ NHy:CoHm = CHK Na Hm + 


NH 
+ CsHi<“coOH 


da cui si vede che esso acido si comporta per la sua parte ftalica 
come l'anidride ftalica, formando cioè, coll’amina la ftalimide sosti- 
tuita. 
Lo studio dell’azione dell'acido ftalamidobenzoico sulle mono- 
amine secondarie si risolveva perciò nello studio dell’azione dell’ani- 
dride ftalica sopra di esse e faccin conoscere nella presente me- 
moria i risultati avuti in questa direzione. 

Per la reazione dell'anidride ftalica sulle monoamine secondarie 
si possono teoricamente prevedere i due seguenti modi di agire: 

4°. Molecole uguali dell'anidride e dell’amina si uniscono diret- 
tamente, senza eliminazione di acqua, e allora si forma un acido 
ftalamico disostituito: 
co Cn Hm CONS n, 
OHS vo + NC9Ho' = HE n'Hm 

CO —-H . \C00H 


2. Una molecola di anidride agisce sopra due molecole di amina, 


(1) Gazz. chim. XIII, 329. - 








548 


con eliminazione di acqua, e allora si forma un derivato tetraso- 
stituito di una diamide ftalica: 


Le0 nu m C nH m 2 
CyH,0, + NC, Il! = C4H1,0,( Nez ) + H,0 
“-H C A m! 


Colle basi su cui ho sperimentato: etilanilina , difenilamina, piperi- 
dina e coniina, la reazione si compie in entrambe i modi previsti. 

Mano mano che l’acido ftalamico sostituito si forma, esso si 
unisce alla base ancora non entrata in reazione, formandone il sale, 
e questo, per l'azione del calore perde una molecola di acqua e dà 
una diamide sostituita. 


Azione dell'anidride flalica sull’etilanilina. 


È noto come i derivati alcoolici dell’anilina, preparati coll’ani- 
lina industria:e, anche purificata, non si possono separare gli uni 
dagli altri colla distillazione frazionata anche spesse volte ripetuta 
e che sempre rinchiudono derivati della orto e paratoluidina e ancora 
anilina e toluidina non attaccate. co 

Una preparazione di etilanilina, già più volte frazionata, divisi 
perciò in due porzioni bollenti l’una dai 203° ai 209° e l’altra dai 
209° ai 215° e per ottenere da queste frazioni, benchè ancora 
mescolate, i composti puri che desideravo di preparare, mi valsi 
di un metodo che permette nello stesso tempo di purificare mag- 
giormente i singoli costituenti della etilanilina adoperata. 

Alle due frazioni aggiungeva perciò la ventesima parte di quel- 
la quantità di anidride ftalica che occbrreva per trasformare nella 
amide sostituita tulta l’etilanilina considerata come pura. Faceva 
poscia hollire a ricadere, scaldando a bagno di amianto, e separava 
colla distillazione una prima porzione contenente l’acqua della rea- 
zione, sottomettendo il distillato ulteriore anidro, nuovamente al- 
l’azione di un altro ventesimo di anidride ftalica e così di seguito. 

Ogni qualvolta rimaneva nel palloncino un residuo, spesso cri- 
stallino. da cui coll’acido cloridrico diluito toglieva quel po’ di base 
libera che non era stata separata colla distillazione. 

Col trattamento cloridrico il residuo diventava duro, lo lavava 
con acqua, lo seccava, lo discioglieva in alcool, da cui cristallizzando 
frazionatamente separava i diversi composti. 

Così ho ottenuto i seguenti risultati: 


544 


Dalla porzione dell’ elilanilina bollente dai 208° ai 209° per 
l’azione del 20™° di anidride ftalica si ricava: 

Nel 4° trattamento fenilftalimide , nel 2° fenilftalimide con 
poca ortotolilftalimide, nel 8° ortotolilftalimide con puca fenilfta- 
limide ed etilanilflaleina,nel 4° ortotolilftalimide ed etilanilftaleina, 
nel 5° nel 6° e nel 7° etilanilftaleina, etiltoluidinfialeina. 

Dopo l'ultimo trattamento l’etilanilina viene divisa colla distil- 
lazione frazionata in due porzioni, l’una hollente dai 204° ai 205° 
e che è etilanilina quasi pura, l'altra bollente a temperatura supe- 
riore e che è in gran parte costituita da basi terziarie e che perciò 
venne aggiunta alla porzione seguente. 

Da questa porzione dell’etilanilina bollente dai 209° ai 245°. per 
l’azione del 202° di anidride ftalica, si ricava: o-tolilflalamide , nel 
2° e 8° trattamento etilioluidinftaleina. 

Dopo questi trattamenti rimane dietilanilina bollente dai 248° 
ai 245°, la quale dà soltanto un leggiero intorbidamento coll’enan- 
tol e contiene quindi solo traccie di basi secondarie. (1) 


(1) Era appunto per studiare l'azione delle basi secondarie sull’enan- 
tol e su altre aldeidi , che io preparai 16 anni fa Vetilanilina, i dicui 
avanzi servivano nel lavoro del Dr. Piutti. L’anilina commerciale di 
quel tempo era una mescolanza assai più complessa di quello che si 
potrebbe supporre dai corpi trovati ora dal Signor Piutti nelle prepara- 
zioni di etilanilina. Per avere queste basi, io mi serviva allora soltanto 
di quella parte dall’anilina che bolliva tra 183° e 185°, ma conservo tut- 
tora frazioni bollenti anche sino a 200° e che oggi non si trovano più nel- 
l'anilina commerciale. Per rendermi indipendente dai singoli costituenti 
della mescolanza e per ottenere un derivato puro dell’etilanilina, mal- 
grado la presenza di piccole quantità di altre basi, mi serviva già allora 
di quello stesso metodo di reazione a frazioni, che oggi raccomandai al 
signor Piutti nel lavoro sovraesposto. Credo che questo metodo che 
mi fu suggerito da quello delle precipitazioni frazionate, potrà servire 
con vantaggio in altri casi consimili. 

L’azione che le amine aromatiche spiegano sulle aldeidi senza la 
presenza di disidratanti, in seguito ai miei lavori degli ultimi venti anni, 
è divenuta una reazione contemplata dai lati più differenti e si consi- 
dera tanto caratteristica per le aldeidi, che in moltissimi casi venne 
preparato il relativo derivato anilico, appunto ove si trattava di dimo- 
strare la funzione aldeidica di un qualche nuovo composto. Uno dei 
primi composti che preparai nel 1864 era il derivato anilico dell’enantol; 
il derivato naftilico di quest'aldeide fu poi studiato nel 1873 da Papasogli. In 
tutte queste reazioni aldeidi ed amine agiscono con eliminazione di acqua. 
Reca perciò meraviglia che ora A. R. Leeds (Berichte XVI, 287. Gen- 
najo 1883), come sembra, senza conoscere i lavori anteriori, dice di aver 
trovato che anilina, naftilanina e xilidina si uniscano direttamente col- 
l’enanto! e formano, senza eliminazione di acqua, dei liquidi estrema- 


i 545 


In ciò che segue esporrò i risultati raggiunti prima nell’azione 
dell'anidride ftalica sulla etilanilina purificata, indi descriverò le 
amidi sostituite ottenute nci trattamenti delle due porzioni delle 
etilaniline mescolate, riservandomi di descrivere la ortotolilftalimide, 
fin ora non preparata, alla fine di questa memoria. 


Acido etilfenilftalamico. 


Si ricava direttamente questo acido sciogliendo nna molecola 
di anidride ftalica in due molecole di etilanilina. Si forma una massa 
pastosa alquanto colorata, dicroica, che si tratta con acido clori- 
drico e si estrae con etere. Dalla soluzione eterea, dopo evaporato 
il solvente, rimane l'acido quasi puro. Adoperando molecole uguali 
di anidride o di amina, si ottiene lo stesso risullato, ma una parte 
dell'anidride ftalica non entra in reazione. 

L'acido etilfenilftalamico è un olio incoloro, più denso dell'acqua, 
in essa alquanto solubile e solubilissimo negli ordinari solventi al- 
cool, etere ecc. Coll’acido cloridrico concentrato si decompone in 
acido ftalico e cloridrato di etilanilina. Si unisce alle basi alcaline 
per formare sali assai solubili nell'acqua. 

. Etnlfenilftalamato di rame. L'acido etilfenilftalamico venne di- 
sciolto nella quantità strettamente necessaria di ammoniaca. Alla 
soluzione acquosa, non molto concentrata del sale ammonico, ag- 
giunsi acetalo di rame fino a che non ottenevo più precipitato. Que- 
sto venne raccolto, lavato, compresso e nuovamente spappolato 
nell'acqua, indi raccolto e fatto seccare all'aria. Si presenta allora 
sotto forma di una polvere di color azzurro chiaro, alquanto solu- 
bile nell'acqua fredda, e che fonde nella bollente, rapprendendosi 
nel raffreddamento in una resina verde. In questa maniera sì com- 
portano anche altri sali insolubili o poco solubili nell'acqua di 


mente mobili, ma che nondimeno non possono venir distillati senza 
decomposizione. Non avendo ancora raccolto nessuna esperienza ri- 
guardo alla xilidina, sottoposi ora anche questa base all’azione dell’enan- 
tol, ma anche in questo caso la reazione aveva luogo subito e cen eli- 
ininazione di acqua, come in tutti gli altri casi, tanto quando si lavora 
nelle condizioni indicate dal signor Leeds, come pure quando non in- 
terviene nessun innalzamento di temperatura. 

Sarebbe desiderabile che il signor Leeds precisasse maggiormente 
le condizioni in cui devono formarsi i suoi prodotti di unione diretta tra 
aldeidi ed amine aromatiche. 

Ugo Schiff. 


546 
questo acido, e in generale di tutti gli acidi ftalamici sostituiti che 
ho studiato. 

Gr. 0.6197 del sale di rame seccato a 90° diedero per la cal- 
cinazione gr. 0,0825 di CuO, ossia in cento parti: 


_eC0.N.G,H,.G;H, 
Trovato Calcolato per C,H 4000 © Cu 


CuO = 18,34 48,26 


Questo sale perde etilanilina già verso 100°, a temperatura 
superiore fonde e si decompone dando etilanilina e fenilftalimide. 

Etilfenilftalamato di bario. Venne preparato direttamente trat- 
tando con carbonato baritico spappolato nell’acqua il prodotto della 
reazione fra anidride ftalica ed etilanilina. É un sale assai solu- 
bile nell'acqua, che si scioglie anche nell'alcool, ma non cristallizza. 
La soluzione acquosa svaporata lentamente nel vuoto, lo abbao-- 
dona come una inassa vetrosa o bianco-opaca che perde facilmente 
etilanilina trasformandosi in ftalato baritico. 

Etilfenilftalamato di argento. Si depone in grumi caseosi me- 
scolando una soluzione di etilfenilftalamato ammonico con nitrato 
di argento. Annerisce rapidamente alla luce. 


Etilfenilftalamato di Etilanilina 


L’acido etilfenilftalamico discioglic l’etilanilina formando il sale 
corrispondente. Questo sale non cristallizza. Mantenuto per molto 
tempo nel vuoto sull’acido solforico diventa una massa resinosa, 
che a poco a poco si colora. È assai solubile nell’alcool, meno nel- 
l'etere e nell'acqua. In quest'ultima più a freddo che a caldo. 

Per le ulteriori trasformazioni preparai una maggior quantità 
di questo sale sciogliendo due molecole di etilanilina in poco alcool 
ed aggiungendovi una molecola di anidride ftalita. Dalla soluzione 
alcoolica cvaporata e ripresa con poca acqua si estrae coll'etere un 
po’ di etilanilina non egtrata in reazione, nientre per evapora- 
zione della parte acquosa si ricava il sale dell’etilanilina con tutti 
1 suoi caratteri. 

L’etilfenilftalamato di etilanilina: 


CONC,H,.C,H, 
‘“ C008.NH.C,H;.C,H; 


547 


scaldato sopra 200°, perde una molecola di acqua, trasformandosi 
in un composto amidato della formola. 


il quale non rappresenta un derivato della diamide normale del- 
l'acido ftalico, ma come si esporrà in appresso, deve essere consi- 
derato come un derivato della diamide assimetrica, cioè, come una 
ftaleina dell'etilanilina. 


Etilanilftaleina. 


ll prodotto risultante dall’azione del calore sull’etilfenilftalamato 
di etilanilina viene cristallizzato più volte dall’etere. Si ottengono 
così bellissimi cristalli prismatici, splendenti, fusibili verso 140°. Essi 
sono identici al prodotto che si ottenne negli ultimi trattamenti 
con anidride ftalica delle etilaniline bollenti dai 203° ai 209°. 

Ripetutamente cristallizzata dall'alcool l'etilanilftaleina fonde 
dai 140°,3 ai 4144°,5. È insolubile nell’acqua, solubile specialmente 
a caldo nell’alcool, nell’etere e nella benzina. Dalla soluzione eteréa, 
per lenta evaporazione del solvente, si può avere in grossi cristalli, 
lunghi un pajo di centimetri , i quali presentano una geminazione 
caratteristica e quando sono isolati somigliano per l’abito alla cele- 
stina. 

L’etilaunilftaleina è insolubile nella potassa acquosa diluita o 
concentrata. si scioglie nella potassa alcoulica, ma non si decompone 
anche bollita lungamente con codesto solvente. Colla potassa fusa 
invece si decompone facilmente e completamente in etilanilina e acido 
ftalico. Scaldata verso 800° parzialmente si decompone, ma si riforma 
e si depone cristallina sulle pareti fredde del palloncino. 

Il residuo cristallizzato dall'alcool dà nuovamente la sostanza 
primitiva. . i | 

Una preparazione cristallizzata dall’etere e seccata a 100°, venne 
sottoposta all’analisi. 

Gr. 0,2305 di sostanza danno gr.-0,1848 di acqua e gr. 0,655. 
di anidride carbonica, ossia in 400 parti: 


CG = 77,40 
H= 6,49 
Per la formola: 
C,H,0,(N.C,H,.C,H;), 
si calcola: 
Ca 77,41 


H = 6,45 


548 
Etiltoluidinftaleina 


Nel secondo e nel terzo trattamento con anidride ftalica della 
porzione bollente dai 209° ai 215° delle etilaniline mescolate e dalle 
acque madri alcooliche della etilanilftaleina ottenuta trattando con 
anidride ftalica le porzioni bollenti dai 208° ai 209°, si ricava una 
sostanza la quale non si può avere cristallizzata anche dopo ripe- 
tuti tentativi con varii solventi. 

Dalla soluzione alcoolica, eliminato l'alcool, rimane come una 
materia amorfa, trasparente, solida, alquanto colorata, fusibile a 
bassa temperatura, insolubile nell’acido cloridrico e nella potassa 
concentrata e che purificai trattandola ripetutamente con questi reat- 
tivi ed estraendola finalmente con etere. 

Per avere la sostanza pura per l'analisi, essa venne scaldata 
verso 90° e quindi mantenuta nel vuoto sull’acido solforico fino a 
peso costante. 

Nell’analisi si ottennero i seguenti valori: 

gr. 0,2795 di sostanza dauno gr. 0,1758 di acqua e gr. 0,7982 
di anidride carbonica, ossia in 400 parti: 


C = 77,88 
H= 6,98 
Per un composto: 
C,H,0,(N.C,H,.C,H.). 
si calcola: 
C = 78,0 
H = 7,0 


Assai probabilmente questa sostanza è la ftaleina dell’etilorto- 
toluidina, poichè trattandosi quì di una base secondaria etilata, non 
rimangono che 7, atomi di carbonio per l’altro radicale, il quale 
non può perciò essere che il toluile. L’amina unita al ftalile è per- 
ciò. una. toluidina. Eliminanda la metatoluidina che non si trova 
nell’anilina ordinaria, rimangono in discussione la orto e la, para- 
toluidina. 

Ora siccome nei trattamenti con anidride ftalica della 4° por- 
zione delle etilaniline mescolate, trovai l'ortotoluilftalimide scevra da 
composto para, cosi è quasi certo che anche l’etiltoluidina, da cui 
deriva la ftalcina ottenuta, sia l’isomero orto e che perciò la ftaleina 
sia l’etilortotoluidinftaleina. | 

Infatti fondendo questa sostanza. can potassa e distillando si 





549 


otticne una base avente odore di geranio, che bolle da 244° a 245°, 
che non dà la reazione delle carbilamine di Hofmann, ma si dimo- 
stra per tutti i caratteri come una monamina secondaria. 

Nella letteratura si trova per una etiltoluidina il punto di ebol- 
lizione 247°-218° (4), ma esso si riferisce certa mente ad una me- 
scolanza di orto e paratoluidina. 

Reca maraviglia che mentre la ftaleina dell’etilanilina è così 
hen cristallizzata, la ftaleina della etiltoluidina si rifiuti di cristal- 
lizzare. Questo fatto potrebbe forse trovare la sua spiegazione nel- 
l'essere la sostanza ottenuta, ancora mescolata ad una piccola quan- 
tità di altra sostanza, che non poteva separare mediante i solventi. 


Acido difenilftalamico 


Molecole uguali di difenilamina e anidride ftalica si fondono 


insieme a bagno di amianto in un palloncino. Si scalda gradata- 


mente fino a 250° e si mantiene per un'ora circa a questa tem- 
peratura. ” 

Col raffreddamento tutto si rapprende in una massa verde-bruna 
costituita da difenilftalamato di difenilamina in cui si trovano dif- 
fusi aghi di anidride ftalica. Si scioglie questa massa in poco alcool 
caldo e vi si aggiunge ammoniaca acquosa. Così si libera la difeni- 
lamina che in parte si separa col raffreddamento ed in parte nel- 
l'ulteriore evaporazione. Rimangono nella soluzione acquosa difenil- 
ftalamato e ftalato ammonico. Questa soluzione perde ammoniaca 
nella concentrazione e depone in seguito croste gialle di acido di- 
fenilftalamico, mentre dalle acque madri assai concentrate, coll’ag- 
giunta di acqua si separa una nuova quantità dell'acido stesso. 
Dalle ultime acque madri sì ricavano le ultime porzioni dall’acido 
difenilftalamico precipitando con acido cloridrico e facendo bollire il 
precipitato prima con acqua e finalmente trattandolo con etere che 
lo libera da una certa quantità di etere ftalico che si forma in que- 
ste diverse operazioni. 

L'acido difenilftalamico più volte cristallizzato dall'alcool si pre- 
senta allora in grossi mammelloni bianchi e duri o in piccoli pri- 
smi splendenti aggruppati tra loro. Fonde dai 147° ai 148°, è in- 
solubile nell'acqua, poco solubile nell’etere, solubilissimo nell’alcool. 

Nell’analisi di una porzione cristallizzata due volte dall’alcool 
si ottennero i risultati seguenti: 


(1) Morley e Abel, 1854. 
70 


550 
Gr. 0,2500 di sostanza diedero gr. 0,108 di acqua e gr.0,694 
di anidride carbonica, ossia in 100 parti: 


Calcolato per la formola: 


Trovato CH OH); 
C 75,36 75,74 
H 4,8 4,78 


Questo acido si discioglie bene negli alcali e viene riprecipitato 
dalla loro soluzione da un acido forte. Nell’acido solforico è solu- 
bile a freddo, ma per l’aggiunta di acido nitrico non dà la reazione 
della difenilamina; coll’acqua precipita invece alquanto colorato in 
giallo. 

Difenilftalamato di argento. Questo sale si ottiene per doppia 
decomposizione dal difenilftalamato ammonico e nitrato di argento. 
E una polvere cristallina alquanto solubile nell'acqua. Dalle soluzioni 
acquose e non riscaldate, mantenute all'oscuro, si depone dopo 
qualche tempo in mammelloni bianchi che anneriscono però 1api- 
damente alla luce. 

Gr. 0,314 di sale secco diedero per la calcinazione gr. 0,079 
di argento, cioè il 25,40 per cento. 

Per la formola: 


cati SON CAH 


si calcola il 25,49 per cento di argento. 

Il difenilftalamato di rame. è una polvere di color azzurro 
chiaro, che si ottiene mescolando le soluzioni del sale ammonico 
dell’acido difenilftalamico con acetato di rame. 

Per doppia decomposizione si oltengono pure il sale di piombo, 
che è un precipitato bianco insolubile nell'acqua, e il sale di bario 
che si depone dopo qualche tempo in mammelloni sferici dalle solu- 
zioni del difenilftalamato ammonico trattato con cloruro di bario. 


Difenilftalamato di difenilamina 


L'acido difenilftalamico fuso con una molecola di difenilamina 
dà il difenilftalamato di difenilamina che è una massa solida, colo- 
gata, solubile nell'etere, la quale non cristallizza da questo solvente @ 
che scaldata per molto tempo sopra 300° perde a poco a poco dell’acqua, 








551 


colorandosi fortemente in bruno e trasformandosi nella ftaleina coy- 
rispondente. 
Difenilaminftaleina 

Si prepara direttamente questa sostanza facendo bollire a ri- 
cadere per diverse ore una molecola di anidride ftalica con due 
molecole di difenilamina, cessando dal riscaldare quando cessa lo 
svolgimento di acqua. 

Il prodotto della reazione è una massa solida, fortemente colo- 
rata, solubile specialmente a caldo nell’etere, nella benzina e nel- 
l'alcool. Dalla soluzione eterea concentrata si depone una crosta di 
cristalli poco colorati, trasparenti, che si purificano con qualche 
cristallizzazione dall'alcool, nel quale sono poco solubili a freddo, e 
che costituiscono la difenilaminftaleina.. Questa sostanza cristallizza 
dall'alcool in lunghi aghi aggruppati a stella, bianchissimi, splendenti, 
che fondono dai 238° ai 238°5. Dall’ etere o dalla benzina cristal- 
lizza in prismi alle volte voluminosi. 

Nell’analisi gr. 0,250 di sostanza diedero gr. 0,120 di acqua 
e gr. 0,7505 di anidride carbonica, ossia in 100 parti: 


Trovato Calcolato per C,H,0,(C,H,).)o 
C 84,84 § 82,05 
H 5,38 5,13 


La difenilaminftaleina non si scioglie nella potassa acquosa. 
Colla potassa concentratissima bollente o fusa si decompone in di- 
fenilamina ed acido ftalico. Si scioglie nell’acido solforico coneen- 
trato: aggiungendo alla soluzione una goccia di acido nitrico si svi- 
luppa un magnifico colore violetto che scompare per l’aggiunta di 
acqua. Si depone allora una materia bruna che si ridiscioglie nel- 
l’acido solforico coll’accennata colorazione. 

La soluzione solforica della difenilamina trattata nella stessa 
maniera presenta invece una colorazione azzurra intensa. 

La difenilaminftaleina si trasforma coll’acido nitrico concentrato 
in un composto nitrico solubile nell’alcool e cristallizzabile da que- 
sto solvente in fogliette gialle che si tingono in rosso intenso col- 
l'ammoniaca. ll composto potassico è pure fortemente colorato in 
rosso sangue, ma non cristallizza dal'a soluzione alcoolica anche 
inolto concentrata. 

La difenilaminftaleina ‘venne già ottenuta per l’azione del clo- 
ruro di ftalile sulla difenilamina da E. Lellmann (4), ma esso però 
non si pronuuzia sulla costituzione del composto. 


(1) Ber. XV, 830. 


552 


_ I caratteri delle sostanze ottenute per queste due diverse vie 
si corrispondono perfettamente. Ammettendo per il cloruro di ftalile 
la formola proposta da Ador (1) e dimostrata da V. Gerichten, 
nella quale i due atomi di cloro sono attaccati allo stesso atomo 
di carbonio: 


| | 
co —0 


dobbiamo pur ammettere per il composto della difenilamina, ottenuto 
dal cloruro di ftalile e dall’anidride ftalica, la stessa costituzione 
assimetrica e perciò anche la costituzione delle ftaleine dell’etilani- 
lina e dell’etiltoluidina, antecedentemente descritte, si può esprimere 
colla stessa formola generale: 


200 Hm 
af ~C nH mi 
o6—O sin 


La costituzione di questi composti spiega nello stesso tempo 
perchè non abbiano le broprietà caratteristiche delle vere amidi. (2) 

Come dall’etilftalamato di etilanilina o dal difenilftalamato di 
difenilamina si passa col riscaldamento ed eliminazione di acqua 
alla ftaleina corrispondente, così mi interessava di vedere se nello 
stesso modo, cioè per l’azione del calore sul difenilftalamato di eti- 
lanilina, si poteva, pervenire alla ftaleina azotata mista. 

Sciogliendo l'acido difenilftalamico in un leggero eccesso di eti- 
lanilina e facendo bollire per qualche tempo, il prodotto si colora 
fortemente e la difenilamina viene spostata. Si forma etilfenilftalamato 


(1) Ber. XIII, 323. 

(2) Accanto alla difentlaminftaleina si forma un composto che cristal- 
lizza in prismetti gialli fusibili dai 256° ai 258° e che si ritrova nelle ul- 
time acque madri alcooliche che servivano alla purificazione di quella 
sostanza. Questo prodotto, per difetto di materiale, non venne studiato. 
Cosi nella soluzione eterea fortemente colorata, da cui cristallizzava la 
ftaleina, oltre a difeniltalamato difenilamina, si trova una sostanza che 
in soluzione acida possiede una fluorescenza simile alla resorcinftaleina 
di Baeyer, mentre per l'aggiunta di un alcali si scolora ed assume una 
fluorescenza di un bellissimo azzurro, simile a quella che presentano 
le soluzioni di bisolfato di chinina. 

Nell’occasione della preparazione di nuove quantità di difenilamin- 
ftaleina allo scopo di risolvere altre questioni riferentisi all’ossigeno 
mobile del gruppo ftalico, ritornerò sopra queste sostanze. 


568 


di difenilamina che si decompone coll’acido cluridrico in acido etil- 
fenilftalamico e difenilamina. 

Scaldando per molto tempo ed a temperatura più alta, lV'etil- 
fenilftalamato di difenilamina, si formano prodotti talmente colorati 
che non invogliarono ad uno studio ulteriore. 


Acido piperilenfialamico 


Per la reazione dell’anidride ftalica sulla piperidina cominciai a 
sperimentare con molecole uguali delle due sostanze. 

Aggiungendo a poco a poco l'anidride ftalica alla piperidina, la 
combinazione avviene con grande sviluppo di calore, ed è anzi op- 
portuno di raffreddare per non perdere piperidina. Alla fine della 
reazione si ottiene una massa bianchissima di cristalli trasparenti, 
assai solubili nell'acqua e nell’alcool, poco solubili nell'etere. 

La soluzione acquosa di questi cristalli svolge piperidina trat- 
tata a freddo con potassa al 20 per °/, dà coll’acetato ramico un 
precipitato verde chiaro, indizio della presenza di un acido ftalamico 
sostituito (4), coll’acido cloridrico dà un olio incolora e pesante che 
è l’acido piperilenftalamico. 

Da queste reazioni si scorge che l’acido piperilenftalamico, ap- 
pena formatosi nella reazione, si unisce alla piperidina per dare il 
sale corrispondente e che deve quindi rimanere nella massa una 
parte dell'anidride ftalica non combinata. 

Approfittando dell’insolubilità nell’etere del piperilenftalamato 
di piperidina, ho allora trattato con questo solvente il prodotto del- 
la reazione, ma esso è tanto avido di acqua che in breve diventa 
pastoso disidratando l'etere adoperando Aggiunsi perciò una piccola 
quantità di acqua per scioglierlo completamente e agitai ripetuta: 
mente la soluzione così avuta con etere. 

L’acido ftalico che si forma dall’anidride non entrata in rea- 
zione, sposta l'acido piperilenftalamico dal suo sale di piperidina 
e l'etere lo toglie completamente alla soluzione acquosa. 

Per evaporazione della soluzione eterea si ottiene perciò un re- 
siduo oleoso costituito quasi interamente da acido piperilenftalamico, 
mentre nell'acqua rimane ftalato acido di piperidina che non cristal- 


(1) Non bisogna confondere questo precipitato col precipitato verde- 
chiaro di idrato di rame, che la piperidina dà colle soluzioni ramiche. 
Mentre quest'ultimo diventa nero col riscaldamento, il piperilenftalamato 
di rame fonde dando una resina verde. 


5b4 


lizza anche lasciato per mollo tempo nel vuoto sull’acido solforico. 
L’acido piperilenftalamico: 


_CON.C.H 
CH<coon ” 


è un olio denso, incoloro, alquanto solubile uell’acqua, solubilissimo 
nell’alcool. Forma sali assai solubili cogli alcali e riprecipita dalle 
soluzioni con un acido forte. Per l'azione ulteriore dell'acido clori- 
drico si trasforma in cloridrato di piperidina e in acido ftalico. 

Piperilenftalamato di rame. Si ottiene per doppia decomposi- 
zione fra il sale ammonico e l’acetato ramico. È un precipitato as- 
zurro-chiaro che si lava, si comprime alla tromba aspirante e si fa 
seccare a 95°. 

Gr. 0,8796 diedero nella calcinazione gr. 0,0565 di ossido di 
rame, ossia in cento parti: 


CO.N.0;Hyp 


Trovato Calcolato per CH, 
“coo + 7 


Cu0 143,88 43,07 


Il ftalato acido di piperidina, che si ottenne gella reazione 
precedente accanto all’acido piperilenftalamico, può perdere, col ri- 
scaldamento, una molecola di acqua e trasformarsi così nell’acido 
piperilenftalamico stesso, secondo lo schema: 


S000H — 


Infatti una porzione di quel sale venne scaldata in un pallon- 
cino a bagno dt acido solforico. Lo sviluppo di acqua comincia al 
dissopra di 100° e continua fino a 200°, alla quale temperalura 
comincia a sublimare anidride ftalica. Arrestando a questo punto 
l'operazione la massa si solidifica col raffreddamento. 

Neutralizzando una parte di essa con ammoniaca, si ottiene col- 
l'acetato ramico un precipitato di piperilenftalamato di rame e si 
può anche togliere coll’etere una piccola quantita di acido piperilen- 
flalamico; ma se si continua a riscaldare al dissopra di 200° aumenta 
sempre la quantità di anidride ftalica sublimata, e l’acido piperilen- 
ftalamico si decompone interamente. 

L’etere estrae allora dalla massa una sostanza oleosa, insolubile 





® 


555 
nella potassa concentrata e calda, la quale presenta i caratteri di 
una ftaleina azotata. 


Piperilenaminftaleina 


Una certa quantita di questa ftaleina venne preparata partendo 
dal ftalato acido di piperidina che avevo ancora a mia disposizione. 

Mantenni la temperatura del bagno per qualche ora a 240°, 
cessando dal riscaldare quando non sublimava più anidride ftalica. 
Il prodotto che si ottenne era alquanto colorato e pastoso, esso 
venne traltato con una soluzione acquosa e concentrata di potassa. 
Raffreddando con ghiaccio la ftaleina si separa dalla soluzione po- 
tassica come una massa di qualche consistenza, la quale, dopo sciolta 
nell’etere, fu di nuovo sottomessa allo stesso trattamento per essere 
sicuri della completa eliminazione dell’acido ftalico. 

Per evaporazione della soluzione eterea si ottiene la ftaleina 
sotto forma di un olio quasi incoloro, solubile nei solventi ordinart 
ed in un eccesso di potassa acquosa fredda. Col riscaldamento della 
soluzione potassica essa riprecipita in parte. 

Ho ripetuto con accuratezza la decomposizione colla potassa 
fusa ed ottenni di nuovo piperidina che si sviluppava e ftalato po- 
tassico ehe rimaneva nella massa fusa. L'acido ftalico, separato da 
quest’ultima, venne trasformato in anidride ftalica e in fenilftali- 
mide. (1) 

Una porzione della piperilenaminftaleina così ottenuta, venne 
scaldata a 80° nella stufa e mantenuta nel vuoto sull’acido solforico, 
fino a che non perdeva di peso. 

All’analisi gr. 0,258 di materia danno gr. 0,186 di acqua e 
gr. 0,6805 di anidride carbonica. 

Gr. 0,466 di materia danno cc. 40,2 di azoto a 22°,5 e mm. 758, 
ossia 87 c.c. di azoto a 0° e mm. 760, ossia gr. 0,04647 di azoto. 

Da cui si calcola in cento- parti: 


Trovato Calcolato per 
CH, O,(N.G;Hio)s 
C 74,98 . ; 
H 8,05 8,0 
N 9,99 9,38 


(1) In questa occasione provava il comportamento dell’acido ftalico 
colla potgssa fusa. Con un riscaldamento conveniente esso rimane per 
la massima parte inalterato e solo una piccola quantità si decompone 
dando alla massa fusa una colorazione porpora che sparisce trattando 
la massa con acqua. 


556 
La trasformazione del ftalato acido di piperidina in piperilen- 
aminftaleina si può esprimere colla equazione: 


O COOH 10 03 H,O(N.CxHx9)3+ CoH <2 C0>>0-+88,0 

Il prof. Roberto Schiff descrive in questa (Gazzetta Vol IX, 
p. 838) una ftalilpiperide ottenuta nell'azione di due molecole di 
piperidina sopra una di anidride ftalica, operando con soluzioni 
alcooliche. Presentando il composto in questo modo ottenuto una 
grande rassomiglianza con quello da me preparato per via secca, 
ho voluto ripetere la reazione nelle precise condizioni date dall'a- 
utore ed ho ottenuto sempre lo stesso risultato che già ebbi nella - 
reazione di molecole uguali di piperidina e anidride ftalica senza 
l'intervento di alcool. 

ll composto che si ottiene adoperando soluzioni alcooliche si 
forma dunque nello stesso modo, per unione diretta delle due mole- 
cole di piperidina con una di anidride ftalica, senza eliminazione 
di acqua, e non è perciò come si supponeva la ftalilpiperide, ma 
il sale di piperidina dell'acido piperilenftalamico. Anche la determina- 
zione di bromo nel composto d’addizione descritto da Roberto Schiff 
(trovato 49,78 %/), va molto meglio d’accordo con un composto d'ad- 
dizione di Br, al piperilenftalamato di piperidina (calc. 50,16 °/) 
che non alla supposta ftalilpiperide (cal:. 54,64). 

Per maggior sicurezza però oltre di avere stabilito l’identità delle 
sostanze- ottenute per le due vie coll'esame dei caratteri fisici e col- 
le solite reazioni colla potassa, coll’acido cloridrico e coll’acetato di 
rame, ho voluto preparare e analizzare il sale d'argento partendo 
dal piperilenftalamato di piperidina preparato colle soluzioni al- 
cooliche. 

Questo sale si forma aggiungendo nitrato d’argento alla soluzione 
acquosa del piperilenftalamato. É un precipitato bianco alquanto 
solubile nell'acqua, da cui si può ottenere anche cristallizzato in 
piccoli mammelloni o in croste assai bianche che si colorano rapida- 
mente alla luce. 

Gr. 0,4008 di sale, seccato a 90°, diedero per la calcinazione 
gr. 0,1268 di argento, ossia in cento parti: 


Trovato Calcolato per la formola: 
-CON.C,H 
CHi<cOOAg 
Ag 81,62 34,76 











| 557 
ll piperilenftalamato di piperidina: 


-CON.CHig 
CoH<<C008 ANG,H,, 


scaldato in un palloncino aperto a bagno di acido solforico fonde 
verso 150°. A temperatura superiore si scompone parzialmente in 
piperidina e acido piperilenftalamico. 

Perchè la eliminazione di acqua avvenga e si possa quindi 
formare la piperilenaminftaleina bisogna operare in tubo chiuso o 
meglio in presenza di un sale avido di acqua. Mescolando il sale di 
piperidina con clorurò di stronzio anidro, la reazione avviene verso 
200°. ll prodotto si estrae con etere, si lava con potassa, si estrae 
di nuovo coll’etere e per l’eliminazione del solvente si ottiene la 
piperilenaminftaleina con tutti i suoi caratteri. 

Bibromopiperilenaminftaleina. Alla soluzione eterea della fta- 
leina si aggiunse goccia a goccia una soluzione eterea diluita di 
bromo. Si forma dapprincipio un olio pesante, colorato in rosso, che 
per la successiva aggiunta di bromo cristallizza interamente in 
prismetti aggruppati e splendenti. Questi cristalli vennero lavati 
più volte con etere e fatti quindi seccare sull’acido solforico. 

Dal comportamento con una soluzione di potassa si riconoscono 
per un prodotto di addizione del bromo alla ftaleina. 

La determinazione del bromo venne eseguita col metodo di Piria 
modificato da Ugo Schiff e titolando finalmente col metodo di Vo- 
lhard. 

I. gr. 0,1045 richiesero 4,85 c.c. di soluzione argentica nor- 
male = gr. 0,0848 di bromo. | 

Il. gr. 0,1252 di sostanza, ricristallizzata dall'alcool in tavole 
rombiche alquanto colorate, richiesero 4,9 c.c. di soluzione normale 
argentica = gr. 0,0892 di bromo. 


Ossia in cento parti: 


I il 
Br = 88,8 84,3 
Per le formole: 


C3H0,(N.C;H,0)3 + 2 Br si calcola bromo in 400 parti 84,7 
C,H,0,(N.C, Ho), —- 4 Br € . € 54,64 


Da cui si vede che quantunque le analisi non corrispondano 
bene, il composto ottenuto è il prodotto di addizione della ftaleina 
74 


558 
con due atomi di bromo e che esso subisce una lenta decomposi- 
zione già colla cristallizzazione dall'alcool. 

Dietro le determinazioni pubblicate da R Schiff, il composto, 
ora riconosciuto come piperilenfialamato di piperidina, si combina 
con 4 atomi di bromo, mentre che la ftaleina che ne deriva per 
disidratazione, non ne lega più che due atomi soli. 


Acido conilenftalamico 


Il comportamento dell’anidride ftalica sulla coniina è identico 
a quello dellafpiperidina. 

Le due sostanze si uniscono con sviluppo di calore e col raf- 
freddamento si ottiene una massa gialla, dura, fluorescente, avente 
appena l'odore della coniina. 

Adoperando molecole uguali di anidride e di coniina si forma 
il conilenftalamato di coniina, rimanendo inalterata una parte del- 
l'anidride ftalica. Questo sale forma una massa resinosa, incristal- 
lizzabile che si ottiene più direttamente sciogliendo nell’alcool due 
molecole di coniina, aggiungendovi ana molecola di anidride ftalica 
e svaporando a b. m. 

Disciogliendo il sale così ottenuto nell’alcool acquoso caldo e neu- 
tralizzando la soluzione coll’acido cloridrico, si ottiene col raffred- 
damento una massa di aghi incolori, riuniti in mammelloni che si 
ricristallizzano dallo stesso solvente. 

Questi cristalli costituiscono l'acido conilenftalamico. 

Allanalisi gr. 0,2896 di sostanza diedero gr. 016458 di acqua 
e gr. 0,6185 di anidride carbonica. 

Ossia in cento parti: 


Trovato | Calcolato ‘per la formola: 
ceto Cole 
Cc 69,88 69,82 
H 7,62 7,68 


L’acido conilenftalamico fonde a 155°. Appena ottenuto è in 
cristalli incolori aventi anche un certo splendore, col tempo però 
imbrunisce e diventa opaco. Nella ricristallizzazione dall'alcool acquoso 
bollente, in parte si trasforma iu ftalato acido di coniina che non 
cristallizza.* È poco solubile nell’ etere e nell'acqua, un po’ più nel- 
la benzina, facilmente nell’ ammoniaca acquosa da cui cristallizza 
di nuovo per l’aggiunta di acido cloridrico. 


559 


Il sale ammonico di questo acido non precipita col cloruro di 
bario, ma dà coll’acetato di piombo e col nitrato d’argento precipitati 
bianchi poco o punto solubili nell’acqua. 

Conilenftalamato di rame. Venne preparato mediante l’acetato 
ramico e si presenta in forma di una polvere verde-chiara, poco 
solubile nell’acqua. 

Gr. 0,1845 disseccati a 100° diedero per la calcinazione gr. 0,025 
di ossido di rame, ossia in 100 parti: 


Calcolato per la formola: 


CO.NC,H 
Trovato C,H, 816 
° ‘00% 
CuO 18,58 18,28 
Conilenaminftaleina 


ll conilenftalamato di coniina: 


_-00.N.G,H 
CoC 00H. INS CH 


scaldato in tubo chiuso fino a 210° non si trasforma nella fta- 
leina corrispondente. Se si opera però a temperatura superiore, a 
bagno di amianto per esempio e in palloncino aperto, avviene la 
eliminazione di acqua e contemporaneamente distilla anche un po’ 
di coniina. 

II prodotto che si ottiene è colorato. Esso si tratta. dapprima 
con potassa concentrata e si estrae quindi con etere; il residuo del- 
la soluzione eterea si lava con acido clor idrico € e si estrae di nuovo 
coll’etere. 

Questa soluzione eterea si priva finalmente dell'acido cloridrico 
che ritiene sbattendola con qualche goccia di potassa diluita. 

Eliminato l’etere rimane la conilenftaleina sotto forma di un 
olio denso, quasi incoloro, con debole odore di coniina. Perfetta- 
mente secco costituisce una massa solida, amorfa, dotata di debole 
fluorescenza. 

Una porzione di questa ftaleina si scalda a 80° e si mantiene 
nel vuoto fino a peso costante. 

All'analisi gr. 0,804 di questa sostanza diedero gr. 0,254 di 
acqua e gr. 0,8857 di anidride carbonica. 


560 . 
Ossia in 400 parti: 
Calcolato per la formola: 


Trovato C,H,0,(N CoH yg) 
C 74,97 78,0 
H 9 $4 9,87 


La conilenaminftaleina è assai solubile negli ordinarii solventi. 
Si scioglie nelle soluzioni acquose fredde di potassa e di ammoniaca, 
da cui precipita col riscaldamento e si solidifica col raffreddarsi 
della soluzione. Resiste all'azione della potassa calda e concentrata 
e soltanto fusa con essa si decompone in coniina e acido falico. 

Non ho potuto avere questa ftaleina sotto forma cristallina , 
anche provando con diversi solventi ed in condizioni diverse. 

Bromoconilenaminftaleina. Il bromo in soluzione eterea diluita 
agisce sulla conilenaminftaleina disciolta nell’etere, formando un 
prodotto di addizione colorato in rosso, che non cristallizza, ma che 
perde a poco a poco del bromo. Questo composto corrisponde assai 
probabilmente a quello che dà la piperilenaminftaleina nelle stesse 
condizioni. 


Mi sembra ora necessario di ritornare sopra quei composti che 
ho descritto nella presente memcria come ftaleina azotate. 

Fino ad ora ftaleine azotate non vennero ottenute, ad ecce- 
zione di quel composto colla difenilamina di Lellmann, la cui na- 
tura però non venne riconosciuta. e di un composto isomero della 
ftalimide descritto da Kuhara (Bull. 88 p. 519), che del resto lo 
stesso autore non potè più riavere. 

Queste ftaleine azotate derivano direttamente dai sali che i re- 
lativi acidi ftalamici formano colle basi corrispondenti. Per questi 
acidi e per questi sali le formole generali seguenti non possono 
venir messe in dubbio: 


Acido C,H x GO.NR 


Sale GyB<C008 NR, 


Se l’eliminazione di acqua da questi sali si facesse nel modo 
normale, come normalmente si fa per i sali delle amine, allora 


561 


dvvrebbe nascere una diamide simmetrica dell’acido ftalico della for- 
mola generale: 


CO.NR, 
CoH, <c.NR, 


Diamidi di questo genere fino ad ora sono affatto sconosciute 
ed è sconosciuta persino la diamide normale dell’acido ftalico. 

D'altronde le proprietà caratteristiche di queste diamidi normali 
differiscono notevolmente daiscomposti in questa memoria descritti 
come flaleine azotate. 

Mentre che le amidi degli acidi sono quasi tutte ben cristal: 
lizzate, abbiamo tra questi derivati dei composti che si rifiutano 
di cristallizzare. 

Le diamidi cedono facilmente alla potassa sciolta più o meno 
riscaldata e ordinariamente non si richiede una soluzione molto con- 
centrata. 

Le ftaleine azutale invece resistono alla potassa anche concen- 
tratissima e calda e per decomporle si vuole la fusione ignea con 
questa base. 

Già questi caratteri accennano che non si ha da fare con amidi 
normali e si aggiunga che per uno di questi composti, la difenil- 
aminftaleina, la costituzione si può derivare da quella del dicloruro 
di ftalile, per il quale la formola assimetrica è ora generalmente 
accettata. 

Per spiegare la formazione di questi composti si deve dunque 
ammettere che |’ atomo di idrogeno dell’ acido con quello tipico 
dell'amina secondaria, eliminino, sotto forma di acqua, un atomo 
di ossigeno preso non dal carbossile dell'acido ftalamico, ma dal 
carbonile che porta già uno dei residui della monamina. Viene per- 
ciò la necessità che il residuo monovalente della monamina fun- 
zionante da base, saturi una delle due valenze del carbonio divenute 
libere, mentre che l’altra valenza si lega all’ossigeno ricostituendo 
un legame dei due atomi di carbonio analogo a quello che si trova 
nell’anidride ftalica. 


Geox C67 NRe 


LI 


562 

Dopo queste osservazioni intorno alla formola di queste ftaleine 
azotate, dd in cid che segue un quadro di esse assieme agli acidi 
da cui derivano: 


| CoH, 
Acido etilfenilftalamico 0,80 “cin? liquido 
COOH 
-N.C,H,.C,H 
C.H,-- 2185 gles 
Etilanilftaleina sl PSN CHSCs fondo 444° 
ob-——-0 
N®C,H,.(C,H,.CH,) . 
C,H,--Ce” pA Ugtty Us 
Ktiltoluidinftaleina N 3 N. C.H, (C,H,.CH;) non cristalliz. 
o¢—-d 
Acido difenilftalamico — GH<%C COM ets) fonde 149° 
C.H —C oo N(GeHs)s 
Difenilaminftaleina ° i ~N(CeHs)» fonde 288°,5 
Acido piperilenftalamico GE sh liquido 


Piperilenaminftaleina Ù N CHo non cristallizza 
OC----- b 
Acido conilenftalamico C,H,< CON OH fonde 155° 


NG 
CoH Cyt 
Conilenaminftaleina {| “Collis 
ob----0 


non cristallizza. 


Ortotolilftalimide 


Ritornando ora al trattamento con anidride ftalica della prima 
porzione delle etilaniline mescolate, bollenti dai 208° ai 209°, ac- 
canto alla fenilftalimide, io otteneva una sostanza cristallizzata in 
mammelloni assai bianchi, fusibile verso 179° e più solubile nel- 
l'alcool della fenilftalimide stessa. 

Questa sostanza si comportava colla potassa come una ftalimide 
sostituita, dando una base volatile liquida e acido ftalico. 


868 
All’analisi gr. 0,265 di sostanza dettero gr. 0,4188 di acqua e 
gr. 0,7862 di anidride carbonica, ossia in cento parti: 


C= 18,17 
H> 4,76 


Questi valori concordano con quelli di una tolilftalimide 


COLI. Il 
CHE CO>N(C,H,CH,) 


per cui si calcola: 


C= 75,95 
H=- 464 


Io aveva già ottenuto nella decomposizione dell'acido ftalamido- 
benzoico colla paratoluidina la p-tolilftalimide che cristallizza in 
lunghi aghi fusibili verso 204°; la tolilftalimide analizzata deve per- 
ciò essere la orto, essendo esclusa la meta per la ragione che nel- 
l'anilina ordinaria non si trova la metatoluìdina. 

Volli nondimeno, come riprova, preparare questa tolilftalimide 
partendo direttamente dalla ortotoluidina. La sostanza che in que- 
sto modo si ottiene è difatti per tutti i riguardi identica alla orto- 
tolilftalimide ottenuta nella reazione di cui più sopra ho parlato. 

Firenze, Istituto di Studi Superiori. Agosto 1883. 


Sintesi della pirocolias 


mota di G. L. CIAMICIAN e P. SILBEB. 


Le ricerche fatte finora (4) su questa singolare sostanza, che 
si ottiene per distillazione secca della gelatina, condussero al ri- 
sultato che la pirocolla debba, con grande probabilità, essere riguar- 
data come l'anidride dell’acido «-carbopirrolico. 

H problema è rimasto però ancor sempre indeciso, non essendo 
stato possibile finora di produrre la pirocolla per via sintetica, par- 


(1) Weidel e Ciamician Gazz. Chim. ital. XI, 28; Ciamician e Danesi 
Gazz. Chim. ital. XII, 28; Ciamician e Silber Gazz. ital. XIII, 320. c. 403. 


564 
tendo dall’acido carbopirrolico; ed i risultati negativi ottenuti in que- 
sti tentativi avevano forse ancora una maggiore importanza pel 
motivo che la pirocolla non ha la semplice formola 


aN 


“Co 


ma bensì la formola doppia C,,H,N,O,, come lo dimostra la sna den- 
sità di vapore e l'esistenza di una monobromopirocolla della com- 
posizione: « C,,H;,BrN,0, ». Con una molecola così complessa po- 
teansi interpretare in varii modi i risultati delle esperienze fatte 
fin'ora, e l'analogia da noi testè scoverta fra l'acido piromucico e 
la pirocolla rendevano sempre più necessario di stabilire definitiva- 
mente per via sintetica le relazioni che esistono fra questa ultima 
e l'acido «-carbopirrolico. 

Gli autori che descrissero per la prima volta la pirocolla, eb- 
bero cura di porre in rilievo il fatto, che trattando l'acido carbo- 
pirrolico con dei disidratanti, come sarebbe l'anidride fosforica, l'a- 
cilo solforico o cloridrico, non si riesce ad ottenere il risultato desi- 
derato. 

Noi abbiamo perciò presa un’altra via ed abbiamo tentato di 
raggiungere lo scopo per mezzo del composto acetilico dell'acido 
carbopirrolico, nella speranza che questo corpo perdendo una mole- 
cola d’acido acetico, potesse dare origine alla formazione della piro- 
colla: 


col oH = CioHgN,0, + 2C,H,0, 

L’esperienza venne difatti a confermare pienamente le nostre 
previsioni. Distillando una soluzione di acido carbopirrolico nell’ani- 
dride acetica, e riscaldando il residuo oleoso più fortemente, si vedono 
sublimare delle squamette che hanno tutte le proprietà caratteristi- 
che della pirocolla. 


2 CaN |COCH, 


Preparazione dell'acido carbopirrolico. 


Prima di descrivere il metodo da noi seguito per produrre 
sinteticamente la pirocolla in quantità più grandi, diremo alcune 
parole sulla preparazione dell’acido carbopirrolico dal mucato am- 
monico. 

Per procurarsi quantità un po’ grandi di acido, il miglior mezzo 


565 


è tuttavia quello trovato dallo Schwanert (1), perchè l'ossidazione 
del composto pntassico dell’omopirrolo (metilpirrolo) con potassa fusa, 
descritta da uno di noi (2), non dà risultati molto soddisfacenti. 

Ciò che noi crediamo utile d’aggiungere a quanto ha scritto 
Schwanert si limita a ciò che segue: Noi abbiamo distillato il mu- 
cato ammonico in porzioni di 20 gr., in piccole storte di vetro’ ri- 
scaldate in un bagno di lega metallica a circa $00°, ed abbiamo 
ottenuto partendo da un chilogrammo d’ acido mucico, 50 gr. di 
earbopirrolamide purissima. Per ottenere l'acido carbopirrolico dal- 
‘amide, Schwanert saponifica questa con acqua di barite e prepara 
l'acido dal sale baritico trattandolo con acido solforico o cloridrico. 
Noi abbiamo modificato questo processo in modo da ottenere rendi- 
menti teoretici ; la via seguita dallo Schwanert ha lo svantaggio. 
che acidificando con acido solfurico, il solfato baritico precipita as- 
sieme all’acido carbopirrolico, e che impiegando l’acido cloridrico, 
l'eccesso di questo scompone parzialmente tutta la parte del'’acido 
carbopirrolico che resta sciolta nell'acqua. Noi ahbiamo trasformato 
il sale baritico nel sale potassico o sodico, precipitando la soluzione 
con carbonato di potassa o di soda, ed il filtrato convenientemente 
concentrato, venne reso acido con acido solforico diluito, evitando 
di aggiungerne un forte eccesso, ed estratto subito parecchie volte 
con etere. Se si parte dall’amide pura e si ha cura di evitare ogni 
riscaldamento, acidificando la soluzione, e di agitare subito con etere, 
si ottiene |’ acido perfettamente puro in quantità teoretica. Altri- 
menti l'estratto etereo dà un acido più o weno colorato in rosso, 
che si deve purificare facendolo cristallizzare dall'acqua, con perdite 
non lievi, perchè la soluzione acquosa si scompone notevolmente per 
l'ebollizione, in anidride carbonica e pirrolo. 

Noi abbiamo intrapreso lo studio di alcuni derivati dell’acido 
carbopirrolico, e speriamo di poter pubblicare fra breve i risultati 
delle nostre esperienze. 


Preparazione della pirocolla 


Si fanno bollire 40 gr. d'acido carbopirrolico con un eccesso di 
anidride acetica in un palloncino con apparecchio a ricadere ‘er 
circa !/, d’ora. L'acido si scioglie ed il contenuto del pallone prende 
un colore nero. mentre si sviluppa anidride carbonica, proveniente 


(1) Annali di Liebig 116, 278. 
(2) Gazz. Chim. ital. XI, 226. 
72 


566 


da una parziale scomposizione dell’acido o del composto acetilico. Nel 
liquido si trova perciò il vero acetilpirrolo. (4) Si distilla l'eccesso 
d’anidride acetica a b. m. a pressione fortemente ridotta, ottenendo 
così un olio quasi nero e denso, che non mostra tendenza a cristal 
lizzare; riscaldando ora il pallone, sempre a pressione ridotta iu un 
bagno ad olio a 160°-190°, ‘passa assieme alle ultime tracce di ani- 
dride acetica, l’acetil pirrolo, e si arriva ad un punto nel quale 
tutto il contenuto del pallone entra violentemente in ebollizione e 
sprigionando copiosamente vapori -di acido acetico si solidifica com- 
pletamente. A questo punto si interrompe l’operazione e si fa cri- 
stallizzare la massa nera e solida dall’acido acetico glaciale bollente. 
Si ottengono in questo modo da 40 gr. di acido carbopirrolico 8 gr. 
di pirocolla greggia, che purificata nel modo ordinario, per ripetute 
cristallizzazioni dall’acido acetico glaciale e per sublimazioni in una 
corrente d'anidride carbonica, si riducono a 4,5 gr. di sostanza pura. 

Le proprietà della pirocolla così ottenuta sono del tutto identi- 
che a quelle della pirocolla proveniente dalla gelatina. Essa forma 
delle squamette leggermente gialle che fondono a 267° (2) e che 
diedero all’analisi i seguenti numeri: 

I. gr. 0,8618 di sostanza dettero gr. 0,8502 di CO, e gr. 0,1184 


di OH,. 
II. gr. 0,2664 di materia diedero gr. 0,6295 di CO, e gr.0,0878 
di OH,. 
In 400 parti: 
trovato calcolato per la formola 
I II C,,H,N,O, 
C 64,09 64,52 64,52 
H 8,48 8,66 8,22 


Non ci è stato possibile di isolare il composto acetilico dell’a- - 
cido carbopirrolico, che a nostro avviso è quello che si forma da 
principio per l'ebollizione dell’acido carbopirrolico con anidride ace- 
tica; sembra che questo corpo venga scomposto dall’acqua bollente, 
almeno noi crediamo di potere interpretare così la seguente espe- 
rienza. Se si distilla il prodotto dell’azione dell'anidride acetica sul- 
l'acido «- carbopirrolico, a b. m. fino a scacciare tutto l’eccesso d'ani- 
dride si ottiene, come si è detto più sopra, un liquido oleoso, che 
contiene il vero acetilpirrolo (8) e probabilmente il composto aceti- 


(1) Vedi: Ciamician e Dennstedt: Gazz. Chim. IX, 455 

(2) Weidel ed uno di noi trovarono 268°-269° (vedi |. c. pag. 29.) 

(3) Non ci 6 stato possibile di scoprire neppure tracce di pseudo- 
acetilpirrolo. 


867 


lico dell’acido carbopirrolico. Trattando quest’olio con acqua e distil- 
lando con vapore, passa l’acetilpirtolo che fu riconosciuto al suo 
punto di ebollizione ed a tutte le altre sue proprietà, ed il liquido 
che resta indietro contiene oltre ad un poco di materia resinosa e 
di acido acetico, l’acido carbopirrolico ripristinato. 


La presente sintesi della pirocolla dall’ acido «- carbopirrolico 
può a parer nostro avvenire in modo che due molecole di acetil 
composto, agendo l’una sull’altra vicendevolmente, formino due mele- 
cole di acido acetico, e dieno così luogo all'unione dei due residui: 
« C,H,NO >» 


C,H,N.|COCH,— HO [OG (C,H,N)--CO 
: . e = . i fa 2C,H,0, 
COOH —_-H,COC|NH,C, = GO--{C,H3N) 


Abbiamo ancora da aggiungere che non si può usare il cloruro 
d’acetile invece dell'anidride acetica nella reazione descritta, perchè 
probabilmente l’acido cloridrico che si rende libero nella formazione 
dell’acetilcomposto dell’acido carbopirrolico, lo resinifica completa- 
mente. 

Roma. Istituto Chimico 25 novembre 1883. 


Dell’ azione del solfito alluminico 
sepra l’idrossido manganico; 


G. SCURATI-MANZONI. 


Come agiscono in generale i corpi riduttori sull’idrossido man- 
ganico è cosa abbastanza conosciuta e quindi sarebbe ovvio. il ri- 
chiamarlo se per un caso della pratica applicazione nella tintura , 
un fatto finora inavvertito, non ne fermasse l’attenzione. — 

li cloruro stannoso, si sa come agendo sull’idrossido manganico 
converte questo idrossido in cloruro manganoso solubile mentre dà 
origine ad acido stannico insolubile. Si approfitta già da tempo di 
questa reazione quando ‘si vogliono predisporre i filamenti del co- 
tone o della lana per ricevere certo tinte, perchè I’ acido stannico 
attratto dalle fibre vi funziona da mordente. Ebbene, il solfito allu- 
minico, in presenza dell’ idrossido manganico si comporta in modo 


568 
analogo al cloruro stannoso, cioè esso da origine a solfato manga- 
noso solubile e ad idrossido alluminico insolubile. La reazione com- 
pièendosi sopra un filamento già tinto in idrossido manganico , la 
scomparsa della colorazione bruna deil’ idrossido mauganico è ac- 
compagnata dall: deposizione sulla fibra di idrossido alluminico: il 
filamento rimane perciò alluminato, cioè si viene a trovare in quelle 
condizioni per essere atto a ricevere una tinta. 

Nella pratica dell’ imbiancamento delle fibre tessili per mezzo 
del permanganato potassico le fibre tessili scrudite o digrassate, dopo 
l’azione ossidante del permanganato riescono colorate in bruno dal- 
l'idrossido manganico , e non divengono candide che per |’ azione 
successiva dell'acido solforoso. Ora se in luogo di acido solforoso , 
per il loro decoloramento, si adopera il solfito alluminico, si conse- 
guono due risultati ad un tempo: l’imbiancemento e l’alluminatura 
e non uno solo come si pratica comunemente. 

Laboratorio di Chimica della Scuola Professionale di Biella; 12 di- 
cembre 1883. 





INDICE DEGLI AUTORI 


A 


ABELL! M. Sui cloruri di orto e metani- 
trobenzile, 97. 
— E SCHIAPARELLI C., Vedi Schiapa- 
relli e ‘Abelli. 

ALBERTONI. Sul potere ipnotico della pa- 
raldeide, 176, 325. 
— Cotoina e paracotoina, 325, 496. 
— gsGuarescai I., Chinolina, Kairo- 
lina e Kairina, 497. 


e 

Basiano L., Distillazione secca del bro- 
manisato sodico, 68. 

BARBAGLIA G. A., Sugli alcaloidi del Bu- 
rus sempervirens, 249. 

BartOLI A., Sulla costituzione degli e- 
lettroliti, 27. 
— E Papasocli G., Elettrolisi delle 
soluzioni di acido fluoridrico e di an- 
timoniato potassico con elettrodi di 
carbone, 22. 
— — Elettrolisi dell’acqua e delle 
soluzioni di acido borico, 35. 


BARTOLI A. E PapasogLi G., Ricerche 
sulla elettrolisi con elettrodi di car- 
bone delle soluzioni dei composti bi- 
narii e di varii altri composti acidi e 
salini, 37. 

— Elettrolisi delle soluzioni di am- 
moniaca e sali ammoniacali con elet- 
trodi di carbone, 234. 
—  Elettrolisi della glicerina con elet- 
trodi di carbone, 287. 

BERNHEIMER O., Intorno ad alcuni deri- 

rivati della berberina, 342, 498. 

— Studii sulla sparteina, 451. 

— ‘E Nasimi R. Relazioni esistenti fra 
il potere rifraogente e la costituzione 
chimica delle sostanze organiche, 317, 
498. . 

Brzio G., Sulla decomposizione dell’aci- 
do ossalico sciolto nell’acqua, 381,300. 

BIZZARRI D. E CAMPANI G., Tentativi per 
ottenere l’ acido tartronico della gli- 
cerina e l’acido tartronico dalla eritri- 
te mediante ossidazione elettrolitica,490. 

BOEHRINGER E KOERNER , V. Koerner e 
Bohringer. 

Bovio C., Nuovo metodo di separazione 
degli acidi citrico e tartrico, 496. 

78 








570 ° 


BusaTTI L. E FONARO A., V. Funaro e 
Busattt. 


Cc 


CAMPANI E Bizzarri. V. Bizzarri e Cam- 
pani. 

Cannizzaro S., Sui prodotti di decom- 
posizione dell’acido santonoso, 385 
CANZONERI F., Studii sulla resina di tha- 

psia. 

Capranica S. Contribato alla chimica del 
del sudore, 171. 

Casiccia V., Un caso di avvelenamento 
per canape indiana, 498. 

Cavazzi A., Determinazione del bromo 
in presenza di forti quantità di clo- 
ruri, 174. 

— Sopra alcune reazioni dell’ idro- 
geno fusforato gassoso, 324. 

— Sull’ uso del solfato ferrico nel- 
l'assaggio dei ioduri mescolati con clo- 
ruri e bromuri alcalini, 327, 454. 
— Saggio chimico della meteorite di 
Alfianello, 492. 

CERVELLO V., Sull’azione fisiologica della 
paraldeide e contributo allo studio del 
cloralio idrato, 172. 

CIAMICIAN G. L. E DENNSTEDT M., Azio- 
ne dell’ idrogeno nascente sul pirro- 
lo, 398. 


— — L'’acetilpirrolo e il pseudo- 
acetilpirrolo, 455. 
— — Studii sui composti della se- 


rie del pirrolo, 54. 
- Azione del cloruro di cianogeno 
sul composto potassico del pirrolo , 
102, 236. 
— E SILBER P., Ricerche sulla pi- 
rocolla, 320, 327. 
Studii sui composti della pi- 
rocolla, 403. 
Sintesi della pirocolla. 
CoppoLa F., Nuove ricerche sulla ge- 
nesi delle ptomaine, 14. 
— Trasformazione degli acidi fluo- 
benzoici nell’organismo animale, 521. 
CoppoLa M.,Sul mal nero delle vite, 493. 


owns oe 


Cossa A., Sulla diffusione del didimio, 
280 

Carspi P. , Solubilità della stricnina e 
e preparazione di alcuni suoi sali, 173. 

Curci A., Ricerche sperimentali sull’ a- 
zione biologica della oxiacantina, 493, 


DENNSTEDT E CIAMICIAN. V. Ciamician 
e Dennstedt. 

DI MATTEI E., Sulla pretesa azione tos- 

sica delle soluzioni acquose degli or- 
gani animali freschi, 172. 
— E GaGLIO.. V. Gaglio e Di Matte. 
— Azione delle diluizioni acquose 
degli organi cadaverici allo stato di 
avanzata putrefazione, 493. 


Emo A. R PAGLIANI S., V. Pagliani e 
e Emo. 

EarERA G., Azione del cloro sul cime- 
ne bollente, 424. 


FiteTt M., Comunicazione preventiva 
sulla produzione dello scatol, 279. 
— Sintesi dello scatol, 358, 300. 

Trasformazione dello scatol in ine 
dol e preparazione dell’indol, 373,500. 

Fino V., Sulla rodonite di Viù, 277. 

FLORIO F., Solubilità della morfind#e 
preparazione di alcuni suoi sali, £96. 

FREDA G., Note mineralogiche, 498. 

FriebEL. Sulla brucite di Cagne, 278. 

Funaro A. E BUSATTI L., Studii chimi~ 
ci 6 mineralogici sopra minerali italia— 
ni, 433. 


@Q 
GaGLIO G. E DI MATTEI E., Sulla non e- 


sistenza di una proprietà tossica della 
saliva umana, 325. 


GaGLIO G. E Di MATTEI E., Sulla forma- 
zione di acido ossalico nell’ organi- 
mo animale, 326. 

Giacosa P., Sugli albuminoidi del vitreo 
nell’occhio umano, 171. 

— Sulla composizione chimica del- 
l’ uovo e dei suoi inviluppi presso la 
rana comune, 171. 

— Su tre casi di avvelenamento per 
funghi, 326. 

— Sul nuovo alcaloide dell’Artemi- 
sia Abrotamum, 497. 

— Sulla non esistenza della canta- 
riding nella Epicometis Hirsutella, 497. 
— Sopra i germi contenuti nell’ a- 
ria a grandi altezze, 176. 

GIBERTINI A. E D., Sullo stato dell’acido 
solforico nel vino, 539. 

GUARESCHI I., Localizzazione dell’arsenico 
nell’organismo in un caso di avvele- 
namento, 176. 

— Sulla costituzione della tioaldeide 
e della carbovaleraldina, 509. 

—— E ALBERTONI. V. Albertoni e Gua- 
reschi. 

— E Mosso A., Le ptomaine. Ri- 
cerche chimiche, fisiologiche e medi- 
dico-legali, 176, 325, 493. 

Lettera al prof. Paternò ri- 

guardo alle ricerche sulle ptomai- 

ne, 538. 


HanTscH. Sulla sintesi dei composti pi- 
ridici per mezzo dell’etere diacetico e 
e dell’ammonaldeide, 403. 

Herzen. Appunti di chimica fisiologi- 
ca, 173. 


KOERNER G. E MEmozzi. Intorno all’azio- 
zione del ioduro di metile sulla leu- 
cina e altre sustanze analoghe , 328, 
35). 

-- E BOURINGER. Intorno agli alca- 
loidi della cortecia di Angustura, 328, 
364, 


SU. 
L 


| Lone! A., Joduro di argento-ammonio, 86. 


— Ceofficiente di solubilità di al- 

cuni sali di argento e metodo per la 

ricerca degli acidi cianidrico , clori- 

drico, bromidrico, jodidrico, ferrocia- 

nidrico e ferricianidrico, 87. 

— ll solfato di paratoluidina qual 

reattivo dell’acido nitrico, 4685. 

— Ricerca dell’acido nitrico in pre- 

senza di altri acidi che posson ma- 

scherare le sue reazioni, 468. 

— Determinazione degli acidi ni- 

troso e nitrico soli o in mescolan- 

za, 469. 

— Determinazione dei gas disciolti 

nei liquidi acquosi, 479. 

—. Metodi di determinazione volu- 

metrica dell’acido nitrico, 482. 
Luxarpo O., Ricerche sulla esistenza di 

alcaloidi nei semi di mais, 94. 


mM 

MacaLuso D., Sull’ ossidazione sponta- 
nea del mercurio, 485, 498. 

Macci L., Glie ed acque potabili, 328. 

MALERBA P., Ricerca sulle sostanze grasse 
delle castagne comuni, 173. 

— Sull’ analisi protistologica delle 
acque potabili, 323. 

MAGNANIMI O. & SPICA G. , 
Magnanimi. 

MarGARY L., Azione decolorante dei com- 
posti ferrici sull’indaco, 374. 

-- Derivati bromurati del @-naftol- 
benzolo, 458. 

MariNng-Zuco F., Sulle cosidette ptomai- 
ne in relazione alle ricerche tossico- 
logiche, 431, 498. 

— Sulle ptomaine del Selmi, 451. 
MazzaRa G., Sopra un nuovo compo- 
sto della chinina col cloralio, 289. 
— Azione di alcune aldeidi aroma- 

tiche sulla chinina, 367. 
— Monocloro e dicloracetato di chi- 
nina, 525, 


V. Spica e 


$73 


MAZZARA G., Sull’azione dell’aldeide ben- 
zoica e dell’acido solforico sopra un mi- 
scuglio di anilina e nitrobenzina, 827. 
— E PossetTo. Sull’ azione del clo- 
ruro di benzile sulla chinina, 329. 

MEISSEN P. , Studio chimico della me- 
teorite Alfianello, 359. 

MENOzzi E KOERNER G. , 
Menozzi. 

Mosso A. EGUARESCHI I., V. Guareschi e 
Mosso. 


V. Koerner e 


N 


NAPOLITANO M., Sopra alcuni derivati 
dell’acido paracresolglicolico, 73,173. 
Nasini R., Sul potere rotatorio disper- 
sivo delle sostanze organiche, 120. 
— Sulla rifrazione atomica del sol- 
fo, 296. 
— Sul potere rotatorio dell’acido fo- 
tosantonico, 375, 498. 
— E BERNAEIMER O., V. Bernheimer 
e Nasîni. 


OgaraLoro A., Sintesi degli acidi acetil- 
fenilparacumarico © fenilparacumari- 
co, 473. 

— Brevi osservazioni sopra una re- 
cente comunicazione di I. Riban, 328. 
— Azione dell’ acido nitrico sulla 


leucrina, I 
OLIVERI V., Ricerche sulla costituzione 
del florol, 263. 


— Tentativo disintesi dell'acido flo- 
retico per mezzo dell’ anisilmetilche- 
tone, 275. 

OLIYERI V. E PATERNÒ E., 


e Oliveri. 


V. Paternò 


PAGLIANI S., Sulla determinazione del 


peso specifico dei solidi e dei liquidi 
col metodo della boccetta, 172. 

PAGLIANI S., Alcune pròprietà fisiche dei 
petrolii, 493. 

— RB Emo A., Sull’assorbimento del 
gas ammoniaco negli alcoli, 278. 

— E VicsNTINI G., Potere illumi- 
nante di alcune qualità di olii, 594. 
PAPASOGLI G. E BARTOLI A., V. Bartoli 

e Papasogli. 

PATERNÒ E., Il laboratorio chimico della 
R. Università di Palermo nell’ ultimo 
decennio, 1. 

— Sul cimene dell’acido omocumi- 
nico, 

— Bg Otiveri V., Fluorobenzina e 
fluorotoluene, 533. 

PELLIZZARRI G., Eteri benzilici delle dios- 
sibenzine, 501. 

Pesci L., Ricerche sul Phellandrium a- 
quaticum, 496. 

Piccini. Ossidazione dell’ acido titani- 
co, 37. 

PIUTTI A., Sull’acido ftalamidobenzoico 
(4,3), 329. 

— Azione dell’ anidride ftalica sulle 
monamine secondarie, 542. 

PoLLACcCI E., Ricerca dell’ acido solfori- 
co nei vini e negli aceti, 343. 

Porro. Ricerche analitiche sui petrolii 
italiani, 77. 

PosseTTo E Mazzara G., Vedi Mazzara 
e Possetto. 

Pratesi L., Sull’ etere metilendietilico, 
313, 

— Sulla exametilenamina, 437. 


Ricciarpi L., Sulla diffusione del vana- 
“ dio nel regno minerale e vegetale, 259. 
Rotonpi. Azione dell’elettrolisi sulle so- 
luzioni di acido pirogallico, 279. 
— Sulla decomposizione del cloruro 
sodico mediante l’elettrolisi e sue ap- 
plicazioni industriali, 279. 


Sarpo S., Sintesi dell’acido fenilmetila- 
cetico, 273. 

SCRIAPARELLI C. , Sulla saponina della 
saponaria officinalis, 422. 

— E ABELLI M., Sui nitroderivati 
della resorcina, 237. 

ScRiFF R., Sui volumi molecolari delle 
sostanze liquide, 177. 

ScHIFF U., Acido protocattannico ed ani- 
dridi di ossiacidi aromatici, 90. 

— Intorno alla metamidobenzamide, 
143. 
— Nuove ricerchesull’arbutina, 508. 

SCURATI-MANZONI G., Azione del solfito 
alluminico sullo idrossido mangani- 
co, 567. 

SELMI F., Tolleranza degli animali do- 
mestici per l’arsenico e sua distribu- 
gione nell’organismo, 497. 

SEstiNI F., A proposito della prepara- 
zione del solfocarbonato, 538. 

SILBER P. E Cramician G. L., V. Cia- 
mician e Silber. 

SoLDAINI A., Nuovi studii sulle ptomai- 
ne, 328. 


578 


Spica G. & MAGNANIMI O., Sopra un 06- 
sibromotoluochinone, 3412. 


TACCHINI P., Sulle polveri meteoriche e 
e l’analisi chimica delle terre del Sa- 
hara, 327. 

TROTTARELLI G., Ricerche sopra talune 
rocce del territorio di Terni, 347 


Vv 


Viena A., Fermentazione della glicerina 
coi Bacterii del tartrato ammonico,293. 
Viraci D., Sulla ricerca dell’acetone nel- 
le urine, 323. 
— Ricerca del solfuro di carbonio, 
496. 


ZaY C. E. , Sul cloroaurato di trimeti- 
lammina, 440. 


INDICE DELLE MATERIE 


Acido bibromoparaossibenzoi- 


A co. Dalla distillazione secca del bi- 
i bromoanisato sodico, 69. 

Acetato allilico. Volume moleco- — bicloracrilico-a Dall’azio- 
lare, 204, ne del percloruro di fosforo sulla pi- 
— amilico. Id., 204, rocolla, 324; dal percloruro di per- 
— butilico. Id., 204. cloropirocolla, 409. 

— etilico. Id., 204. — bicloromaleico. Imide dal 
— metilico Id., 204. percloruro di percloropirocolla, 444. 
— propilico. Id., 204. — borico. Elettrolisi, 33, 46. 

Acetati. Elettrolisi delle loro solu- — bromidrico. Elettrolisi, 40; 
zioni con elettrodi di carbone, 48. ricerca , 87. 

Acetone. Volume molecolare, 201. — bromico. Ricerca, 87. 

Acetilpirrolo, 458. — butirrico normale Vo- 
— Ricerca nelle urine, 323. lume molecolare, 202, 

Acidi. Elettrolisi, 37. — caprilico normale. Nella 
— derivanti dalla ossidazione del resina di Thapsia, 549. 
mellogeno, Bi. -- carbossipirrolico. Prepa- 

Acido acetilfenilparacumina- razione dal mucato ammonico, 564. 
rico, 173. — catellagico. Dall’acido pro- 
— amidobenzoico. Azione tocatechico, 92. 
della fenilftalimide, 334; azione della — cianidrico. Ricerca, 87. 
ftalimide, 335; azione dell’anilina,337. — citrico. Separazione dall’acido 
— arsenico. Elettrolisi, 45. tartrico, 496. 

— bibromoanisico.Etereme- — cloridrico. Elettrolisi, 38; ri- 


tilico dalla distillazione del bibromo- cerca, 87. 
anisato sodico, 66, — clorico. Ricerca, 87. 


prodotti della sua ossidazione, 109. 
— conilenftalamico, 338. 
— cromico. Elettrolisi, 47. 
— difenilftalamico, 549. 
— etilfenilftalamico, 545. 
— fenilmelilotico. Sintesi, 273. 
— fenilparacumarico, 473. 
— ferricianidrico. Ricerca, 87. 
-- ferrocianidrico.Ricerca,87. 
— floretico. Tentativo disinte- 
si, 275. 

florolcarbolico, 267. 
— fluobenzoico-orto.Trasfor- 
mazione nell’organismo animale, 521. 
— id. meta, id., 524. 
-- id. para id., $24. 
— fluoippurico-orto, 321. 
— id. meta, 521, ° 
— id para, 531. 
— fluoridrico. Elettrolisi, 22. 
— fotosantonico. Potere ro- 
tatorio, 375, 498. 
— ftalamidobenzoico(4,3) 
329; Azione della paratoluidina, 334; 
azione dell’ammoniaca, 333. 
— idromellico. Dall’ elettrolisi 
delle soluzioni alcaline con elettrodi 
di carbone, 53. 
— idropiromellico. Id., 34. 
— iodico. Ricerca, 87. ; 
— iodidrico. Elettrolisi, 44; Ri- 
cerca, 87. 
— isobutirrico. Volume mole- 
colare, 202. 
— lutidintricarbonico,109. 
— mellico. Elettrolisi, 47. 
— metafluobenzoico. Tra- 
formazione nell’ organismo anima- 
le, 324. 
— metafluoip'purico, 521. 
— nitroso. Determinazione, 469. 
— nitrico. Elettrolisi, 44; reat- 
tivo dell’acido nitrico , 465 ; ricerca, 
468; dosaggio "469, 482. 
— omocuminico. Distillazione 
con calce, 536. 
— ortofluobenzoico. Tra- 
sfermazione nell’organismo, 524. 


875 


| Acido collidindicarbonico,108; | Acido ortofluoippurico, 839. 


— paracresolglicol ico. De- 
rivati, 73, 173. 

— parafluobenzoico. Trasfor- 
mazione nell’organismo, 524. 

— parafluoippurico, 524, 
— parasantonico. Poteré ro- 
tatorio degli eteri, 159. 

— pioolintetracarbon ico, 
109. 

— piridinpentacarbonico, 
110. 

— piperilenftalamico, 883. 
— pirogallico. Elettrolisi, 279, 
— piromellico. Dall’elettrolisi 
della potassa con elettrodi di carbo- 
ne, 54. 

— protocatechico. Azione 
dell’acido arsenico, 91 ; azione del- 
l’ossicloruro di fosforo, 91; azione del 
carbonato sodico, 92. 

— protocattannico, 90. 

— santonico. Potere rotatorio,163. 
— santonoso.Prodottididecom- 
posizione, 385. 

— solforico. Elettrolisi, 43; a- 
zione sull’ anilina e la nitrobenzina, 
527; nel vino, 539; ricerca nei vini 
e negli aceti, 313. 

— tapsico, 543. 

— tartarico. Separazione dal- 
l’acido citrico, 496; Tentativo per 
ottenerlo dall’eritrite, 490. 

— tartronico. Tentativo per ot- 
tenerlo dalla glicerina, 490. — 

— umico. Dalle viti affette dal 
mal nero, 495. 


Acqua. Volume molecolare, 485; elet- 


trolisi con elettrodi di carbone, 35, 
— potabile. Analisi protistolo- 
gica, 323. 

— eglie, 328. 


Albuminoidi del vitreo nell’ oc- 


chio umano, 171. 


Alcaloidi. Nei-semi di mais, 94; del 


buxus sempervirens, 249 ; della cor- 


‘ teccia di Angustura, 328, 363. 
Alcoolallilico.Volume molecola- 


re, 199. 


876 


Alcool amilico, id. 199. 
— butilico normale, id. 199. 
— caprilico, id. 200. 
— etilico, id. 198. 
— isobutilico, id. 199. 
— isopropilico, id. 199. 
— metilico, id. 198. 


— propilico normale, 498.’ 


Aldeide benzoica. Azionesull’a- 
nilina e la nitrobenzina, 527. 

Allilpirrolo, 47. 

Amilene. Volume molecolare, 187. 

Ammonaldeide. Nella sintesi dei 
composti piridici, 103. 

Ammoniaca. Assorbimento negli al- 
coli 278. 

Anidride tapsica, 546. 

— ftalica. Azione sulle monami- 
ne secondarie, 542. 

Anidridi di ossiacidi aroma- 
tici, 90, l 
— amidobenzoiche, 339. 

Anilina. Azione dell’aldeide benzoi- 
ca © dell’acido solforico, 527. 

Anisilmetilchetone, 275. 

Anisol. Volume molecolare, 203. 

Antimoniato potassico. Elet- 
trolisi, 24. 

Arbutina. Nuove ricerche, 508. 

A ria. Germi che contiene a grandi al- 
tezze, 176. 

Arsenico. Localizzazione nell’ orga- 
nismo in caso di avvelenamento, 176; 
tolleranza degli animali domestici e 
distribuzione nell’organismo, 477. 

Ar temisia Abrotamum. Suoal- 
caloide 197. 


Bacterii del tartrato ammonico per 
la fermentazione della glicerina, 293. 
Benzilarbutina, 540. 
Benzildinitroidrochinone,512. 
Benzilidrochinone, 501, 541. 
Benzilnitroarbutina, 84. 
Benzilnitroidrochinone, 842. 


Benzina. Volume molecolare , 189 ; 
costituzione, 227. 

Berberina. Derivati, 342, 498. 

Bibromoanisato sodic o®Distil- 
lazione secca, 65. 

Bicromati alcal ini. Elettrolisi,46. 

Biidrodimetilnaftol. Dal- 
Vacido santonoso, 390. 

Binarii composti. Elettrolisi,37. 

Bisolfito sodico. Elettrolisi, 48. 

Bromato diargento. Solubi- 
lità, 87. 

Bromo. Determinazione in presenza 
di cloruri, 174. 

Bromurodiargento. Solubi- 
lità, 87. 

Bromuro potassico. Elettro- 
lisi, 44. 

Brucige di Cogne, 278. 

Bussina, 249, 

Bussinidin a, 249. 

Butirrato otilico. Volume mo- 
lecolare, 208. 


Canapo indiana. Avvelenamen- 
to, 498. 

Cantaridina, 497, 

Capril ene. Volume molecolare, 188. 

Carbone Uso nell’ elettrolisi, 22, 
37, 281, 287. 

Carbovaleraldina. Costituzio- 
ne, 500. 

Carvene. Derivati 100; volume mo- 
lecolare, 193. 

Chinina. Composto col cloralio, 269; 
azione di alcune aldeidi aromatiche, 
367 ; Mocloroacetato e dicloracetato, 
525; azione del cloruro di benzile, 827. 

Chinolina. Studii, 497; dalla ber- 
berina, 342. 

Cianopirrolo, 103. 

Cianuro di argento. Solubi- 
lità, 87. 

— Potassico. Elettrolisi, 42. 

Cimene. Volume molecolare, 193; 


azione del cloro, 434; dall’acido omo- 
cuminico, 538. 

Cloralio. Studio, 172; composto 
colla chinina, 269; composto col 
paracresol , 274; composto col ti- 
molo, 272. 

Cloratialcalini. Elettrolisi, 46. 

Clorite, 435. 

Clorobenzin a. Volumemolecola- 
re, 197. 

Cloroformio. Volume molecola- 
re, 193. 

Clorotoluene. Volume molecola- 
re, 192. 

Cloruri. Elettrolisi, 39. 

Clorurodi all ile. Volume mole- 
colare, 196. 

Cloruro diargento. 
lita, 87. 

— dibenzile. Volume mole- 
colare, 197; azione sulla chinina, 529. 
— di etilene. Volume molecola- 
re, 194. 

— dietilidene Volume mole- 
colare, 195. 

— dimetanitrobenzilo, 97. 
— diortonitrobenzile, 97. 
— di propile. Volume mole- 
colare, 196. 

— sodico. Elettrolisi, 279. 

Collidina 8. Dall’acido collidindi- 
carbonico, 108. 

Composti ferrici. Azione decolo- 
rante sull’indaco, 374. 

Conilenaminftaleina, 359. 

Corrente residua, 28. 

Cotoina, 325, 496. 

Cusparina. Alcaloide della corteccia 
di Angustura, 363. 


Solubi- 


Decane secondario. Volume 
molecolare, 487. 

Dialli'e. Volume molecolare, 189. 

Diamilene. Volume molecolare, 
188, 

Dibenzilidrochinone, 501. 


577 


Dibenzilnitroidrochinone, 
504, 
Dibenzilpirocatechina, 307. 
Dibenzilresorcina, 594. 
Dietilacetal. Volume molecolare, 
202. 
Didimio. Diffusione, 280. 
Difenilaminftaleina, 331. 
Diiscamile. Volume molecolare, 187. 
Diisobutile. Vol, molecolare, 186. 
Dimetilacetale. Volume mole- 
colare, 202. 
Dimetilcarbinol. Volume mole- 
colare, 20). 
Dimetilnaftol. Dall’acido san- 
tonoso, 388. 


Elettrolisicon elettrodi di 
carbone, 22; delle soluzioni di a- 
cido fluoridrico, 2?; delle soluzioni di 
antimoniato potassico, 24; dell’ acqua 
e delle soluzioni di acido borico, 38; 
delle soluzioni di composti binarii, 37; 
di composti acidi e salini, 37; delle 
soluzioni di ammoniaca e di sali am- 
moniacali, 281. 

Elettroliti. Loro costituzione, 27. 

Epicloridrina. Volume mole- 
colare, 197. 

Esametilenammina, 437. 

Esane normale. Volume mole- 
colare, 186. 

Etere cloracetico.Volume mo- 
lecolare, 203. 

— collidindicarbonico, 
108. 

— diacetico. Nella sintesi dei 
composti piridici, 103. 

— dicloracetico. Volume mo- 
lecolare, 205, 

— idrocollidindicarbo- 
nico, 407; derivati alogenici, 107; 
prodotto di ossidazione, 108; azione 
dell’HCI, 108. 

— metilendietilico, 313. 
— metilico del florol, 256. 


74 





598 


— tricloracetico. Volume 
molecolare, 208. 

Eteri benzilici delle diossiben- 
zine, 504. 
— fotosantonici. Potere ro- 
tatario, 139. 
— santonic i. Potere rotatario, 
189. 

Etilanilftaleina, 347. 

Etilanilina. Azione dell’anidride 
ftalica, 543. 

Etilbenzin a. Volume molecolare, 
190. 

Etilenbenzina. Volume mole- 
colare, 4191. 

Etiltoluidinftaleina, 348. 


Fellantrene. Dal phellandrium 
aquaticam, 496. 

Fenetol. Volume molecolare, 203. 

Floretatosodico. Azione del 
calore, 268. 

F lorol. Ricerche sulla natura chimica, 
263; etere metilico, 266; azione della 
potassa fondente, 268. 

Fluorobenzina, 533. 

Fluorotoluene, 8533. 

Formiati. Elettrolis:, 48. 

Formiato amilico. Volume mo- 
lecolare, 204. 

— butilico. Volume molecolare, 
204. 

— etilico. Volume molecolare, 
204. 

— metilico. Volume molecola- 
re, 203. 

Fosfatotricalcico. Trasfor- 
mazione nei composti clorurati del 

.fosfore, 328. 

Ftalamidobenzanilide,330. 

Funghi. Avvelenamento, 326. 

Furfurol. Volume molecolare, 201. 


Galipeina. Alcaloide della corteccia 
di Augustura, 363. 

Gas. Determinazione dei gas disciolti 
nei liquidi acquosi, 479. 

Glicerina. Elettrolisi con elettrodi 
di carbone e di platino, 287; fermenta- 
zione coi bacteri del tartrato ammo- 
nico, 293. 

G lie. Determinazione nelle acque po- 
tabili, 338. 

Grafite. Nell’elettrolisi. V. Elettrolési 
con elettrodi di carbone. 

Grassi. Nelle castagne comuni, 173. 


Humite, 498. 


idrato potassico. Elettrolisi con 
elettrodi di carbone, dI. 

idroberberina. Azione dell’io- 
duro di metile, 343; azione dell’iodio, 
346; azione del solfuro ammenico, 
346. 

Idrochinone.Eteribenziliei, 501. 

Idrocollidina, 109. 

Idrogeno fosforatogassoso, 
Reazioni, 324. 

Idrossido manganico.Azione 
del solfito alluminico, 367. 


Imidedell’acido bicloro- 
maleico, 414; azione della po- 
tassa, 443; azione dell’atqua, 413. 

Indaco. Azione decolorante dei com- 
posti ferrici, 374. 

Indol. Preparazione, 378, 800. 

lodato di argento. Solubili- 
tà, 87. 

Joduro di argento ammo- 
nio, 86. 

— diargento. Solubilità, 87. 
— dimetile. Azione sulla leu- 
cina e sostanza analoghe, 328. 


— potassico. Elettrolisi, 42. 
Ipocloritialcalini. Elettro- 
lisi, 46. 
Isoamilarbutina, 508, 
Isobutirratoetilico. Volume 
molecolare, 208. 
Ittrio. Nello sfeno della sienite del 
Biellese, 326. 


Kairina,497. 
Kairolina, 497. 


IL 


LaboratoriochimicodellaR. 
Università di Palermo, 4. 

Leucina. Azione del joduro di me- 
tile, 328, 350. 

Leucite. Nuovo caso di metamor- 
fismo, 499. 


Mellogeno. Analisi di quello ot- 
tenuto nella elettrolisi delle soluzioni 
di acido mellico, 49; dell’acido sol- 
forico, 49; dell’acido borico, 50; acidi 
derivanti dalla sua ossidazione, bl. 

Mercurio ossidazione spontanea, 
485, 498. 

Mesitilene. Volume molecolare, 
193. 

Metamidobenzamide, 413. 

Metasantonina. Potere rotatorio, 
155. 

Meteoritedialfianello. Stu- 
dio chimico, 369, 492. 

Metilarbutina, 508. 

Metilessilcarbinol. Volume 
molecolare, 200. 

Metilessilchetone. Volume mo- 
lecolare, 204. 

Mineraliitaliani. Studii chi- 
mico-mineralogici, 433. 


bT9 


Molecole parziali di unelet- 
trolito, 30. 
— totali, 30. 

Morfina. Solubilità e sali, 496, 


N 


NaftolazobenzinagT. Derivati 
bromurati, 438. 

Nitrati. Elettrolisi, 
Nitrobenzina. Azione dell’aldeide 
benzoica e dell’acido solforico, 527. 

Nitrosopirrolina, 403. 


Octanesecondario. Volume 
molecolare, 186. 
O li i. Potere illuminante, 494. 
Organi cadaverici. Azione ella 
loro diluizioni acquose, 493. 
Organichesostanze. Studii sul 
potere rotatorio dispersivo, 120, 
Ortotolilftalimide, 562. 
Ossalati. Elettrolisi, 48. 
Ossibromotoluchinone, 3/2. 
Ossido stibiogra fico, 25. 
Ossigeno. Volume atomico, 231. 
Ossiacanti na. Ricerche biologiche, 
408. 


Parabussina, 249. 

Paracotoina, 325, 496. 

Paracresolcloralio, 272, 

Paraetiltoluene. Volume mo- 
lecolare, 192. 

Paraldeide. Azione fisiologica, 172: 
potere ipnotico, 176, 328. Volume 
molecolare, 201. 

Parasantonide. Potere retatorio, 
143. 

Pentanesegondario. Volume 
molecolare, 183. 


580 


Percloretilene. Volume mo- 
lecolare, 196. 

Perclorurodipercloropiro- 
colla, 403; azione dell’idrogeno 
nascente, 407; azione dell’acqua, 409; 
azione dell’acido acetico diluito, 411. 

Permanganatialcalini. Elet- 
trolisi, 46. 

Pesospecifico. Cause di errore 
nella determinazione dei solidi e dei 
liquidi, 172, 495. 

Petrolii. Ricerche, 77; proprietà 
fisiche, 495. 

Phellandriumaquaticum. 
Ricerche, 496. 

Piperilenaminftaleina, 333. 

Piridicicomposti. Sintesi, 

Pirocatechina, 807. 

Pirocolla Ricerche, 320, 327; azio- 
ne del bromo, 403; sintesi, 563. 

Pirogallolo. Elettrolisi delle solu- 
zioni sodiche, 48. . 

Pirossene. Varietà cuprifera , 
499. 

Pirrolina, 398; azione di CHgI, 400; 
derivato nitroso, 402. 

Pirrolo. Azione dell’etere clorocar- 
bonico sul composto potassico, 14; a- 
zione del bromuro allilico sul com- 
posto potassico, 17; azione del iodio 
sul composto potassico, 18; azione 
del cloruro di cianogeno sul com- 
posto potassico, 102, 320; azione del- 
l’idrogeno nascente, 395; derivati 
acetilici, 435. 

— biidrogenato, 398. 
Platino. Elettrolisi, 287. 
Potererifrangente Relazioni 

colla costituzione chimica delle com- 

binazioni organiche, 347, 498. 
Potererotatorio dellesostanze 

organiche, 120. 
Propilbenzina normale. Volume 

molecolare, 194. 
Propionatoamilico. Volume 

molecolare, 207. 

— etilico id., 207. 

— ‘metilico id, 207 

— propilicoid., 207. 


Pseudoacetilpirrolo, 438, 
azione del bromo, 461. 

Ptomaine. Loro genesi, 41; ricer- 
che chimiche, fisiologiche e medico- 
legali, 476, 323, 493; nuovi studii, 
325; in relazione alle ricerche tossi- 
cologiche, 4341, 498; studii, 441; Let- 
tera a Paternò, 588. 

Purpurogallina. Dall’elettrolisì 
dell’acido pirogallico, 279. 


Resinadithapsia. Studii, Si&. 
Resorcina. Nitroderivati, 257. 
— eteri benzilici, 394. 
Rocce di Terni, +47. 
Rodonitedi Via, 277. 


Sahara confronto delle polveri me- 
teoriche di Sicilia e del Sahara, 327. 

Sali. Elettrolisi, 37. 

— di argento. Cafficiente diso- 
lubilita, 

Saliva umana. Non esistenza di sua 
proprieta tossica, 325. 

Santonide. Potere rototario, 149. 

Santonina id, 135. 

Sapogenina. V. saponetina. 

Saponetina. Dalla saponina, 429. 

Saponina. Dalla saponaria offici- 
nalis, 422. 

Scatol. Dalladistillazione dell’ amido- 
cuminato di bario con barite, 279; 
sintesi, 338, 590; trasformazione in 
indol, 378, 50). 

Solfati. Elettrolisi, 44. 

Solfato di paratoluidina. 
Reattivo dell’acido nitrico, 458. 

— ferrico. Uso nell’assaggio dei 
joduri, 337, 454, 

Solfito alluminico. Azione 
sulle idrossido manganico, 567. 

Solfo. Rifrazione atomica, 297. 

Solfocarbonato. Polemica a 


proposito di un processo di prepara- 
zione, 538. 

Solfurosodico. Elettrolisi, 43, 
— ammonico, id., 43, 

— di carbonio. Ricerca, 496. 

Soluzioniacquose di or- 
ganianimali freschi. Azione 
tossica, 172. 

Sostanzeorganiche. 
rototario dispersivo, 120. 
— liquide. Volume molecolare, 
177. 

Sparteina, &51. 

Stibio mellogeno. Dall’elettro- 
lisi dall’ antimoniato potassico con 
elettrodi di carbonio, 23. 

Stirol. Volume molecolare, 191. 

Stricnina. Solubilità, 1753; sali, 
173. 

Sudore, 471. 


Potere 


Terpeneditrementina. Vol. 
molecolare, 193. 
Terpeni. Prodotti di addizione, 99. 
Tetracloropirrolo, 408, 418. 
Tetracloruro dicarbonio. 
Vol. molecolare, 194. 
Tetraidrocollidina, 109. 
Tetraiodopirrolo, 20; azione 
del potassio e del sodio, 24; azione 
degli alcolati potassico e sodico, 24. 
Tetrolcianamide, 103. 
Tetrolcianuramide, 104. 
Tetrolo, 15. 


554 


Tetrolurea, 16. 

Tetroluretana, 43; azione del- 
l’ammoniaca, 16. 

Teucrina. Azione dell'acido nitrico, 
&98. 

Tioaldeide. 809. 

Timolclorale, 273. 

Toluene. Volume molecolare, 189. 

Tricloretane asimmetrico. 
Vol. molecolare, 195. 

Trimetilammina. Cloraurato, 
420, 

Tritetrolmelamina, 404. 


U 


U o vo. Composizione chimica dell’uo vo 
della rana, 174. 


Vv 
Vanadio. Diffusione nel regno ani- 
male e vegetale, 259. 
Vino. Stato dell’acido solforico nel 
vino, 539, 
w 


Wollastonite, 433. 


x 


Xileni. Volume molecolare, 190. 


“AV | 


«rev 


ei8osesauip IP oasny 





ew re rovere ere = ww nes 
» . 


=e — ili a lee die no 


=e d. PUPPOvEO, 


da È 
- $ % 
$ : È 
St DE a AIAR eo a 


Se eee ress 
x 








GAZZETTA GHIMICA ITALIANA t:XIill. p: 474. TAV.| 





ee Sar e+ 





| Library of Chemistry NON-ultiv. Alfa 
end cuemical Engineering AUKuiaRY COLLECTION 


i 
~