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Full text of "La genesi e la formazione dei Promessi sposi"

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NATALE  BUSETTO 


LA 
GENESI  E  LA  FORMAZIONE 


DEI  PROMESSI  SPOSI 


BOLOGNA 
NICOLA  ZANICHELLI 

EDITOIIE 


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I.'  EDITORB   ADEMPIUTI    I    DOVERI 
ESERCITIOKÀ    I   DIRITTI   SANCITI   DALLE   LEGGI 


Tipografia  A.  Is'eppi  -  Ferrara  -  VI-1921 


PREFAZIONE 


Busetto  —  1 


3 


La  preziosa  conoscenza  della  prima  composizione  de' 
Promessi  sposi,  edita  di  recente  di  su  Pantografo  col  titolo 
di  Sposi  promessi  e  corredata  di  notevoli  rifacimenti  e  va- 
rianti, ci  pone  in  grado  di  ricostruire  la  storia  della  genesi 
e  della  formazione  paziente  e  laboriosa  del  capolavoro  man- 
zoniano. 

A  tale  storia  compiuta  de'  Promessi  sposi  io  mi  sono  ac- 
cinto sin  dal  1916,  quando  pubblicai  tre  primi  saggi  del 
mio  lavoro  (Saggi  Manzoniani,  Napoli,  Studio  tipo-editoriale 
dell'  «  Eco  della  cultura  »,  1916);  e  questo  volume,  che  la  ri- 
nomata e  benemerita  Casa  Editrice  Zanichelli  s'è  assunta  la 
cura  di  dare  alla  stampa,  sarebbe  dovuto  uscire  da  un  paio 
d'anni,  se  le  note  difficoltà  dell'attuale  produzione  libraria 
l'avessero  consentito. 

E  nel  suo  insieme  —  coìue  per  varie  ragioni  l'ho  dovuto 
comporre  —  un  volume  unico  e  organico,  a  cui,  se  non 
m'inganno,  non  disdice  il  titolo  assegnatogli  ;  ma  questo  già 
fa  presumere  che  l'opera  continuerà  in  altri  volumi,  che  io 
vo  preparando  e  ne'  quali  saranno  studiati  altri  gruppi  di 
personaggi  manzoniani  e  altra  materia  pertinente  al  ro- 
manzo. 

In  questo  volume,  intanto,  mi  sono  proposto  d' indagare 
V ispirazione  etico-religiosa,  come  venne  operando  nella  ge- 
nesi primitiva  de'  Promessi  sposi  e  ne'  successivi  rifacimenti  ; 
di  determinare  i  pì^ocedimenti  e  gl'influssi  delle  idee  lette- 


PREFAZIONE 


varie  del  Manzoni  e  del  suo  spitnto  critico  e  storico^  che 
tanto  poterono  nella  prima  concezione  e  forma  del  romanzo, 
e  il  processo  di  rinnovamento  dell'  opera,  attraverso  il  quale 
l'artista  prevalse  sul  critico  e  raggiunse  una  nuova  unità 
estetica  nella  redazione  definitiva;  d' illustrare,  infine,  i  ri- 
mutamenti e  gli  svolgimenti  a  cui  andò  soggetta  l'azione 
generale  del  romanzo,  dal  primo  getto  all'ultima  7'icomposi- 
zione,  la  genesi  etica  e  psicologica  e  la  progressiva  trasfor- 
mazione poetica  dei  due  personaggi  femminili  che,  insieme 
con  la  figura  dell'  Innominato,  pia  affaticarono  la  mente 
deli' artista  e  più  profondamente  uscirono  rinnovati  dall'in- 
tensa rielaborazione  di  tutta  l' opera,  cioè  di  Lucia  e  di 
Gertrude. 

Mi  sia  lecito  affermare  che,  sotto  un  certo  aspetto  —  mas- 
sime perciò  che  riguarda  la  genesi  e  la  formazione  de' 
personaggi  —  è  questo  un  genere  alquanto  nuovo  d' indagine 
e  di  critica.  Io  infatti  mi  pongo  il  concreto  problema:  — 
Com'è  nata  quest'opera  d'arte?  come  ha  essa  raggiunta 
questa  sua  forma  espressiva  e  compiuta?  —  E  vi  rispondo 
non  solo  col  metodo  intuitivo,  ma  con  un  processo  di  studio 
rigorosamente  scientifico  e  positivo,  condotto  sul  materiale 
stesso  che  lo  scrittore  ci  offre  perchè  ricostruiamo  la  storia 
della  formazione  poetica  dell'  opera  sua  :  il  qual  processo 
consiste  neW  entrare,  per  così  dire,  nel  laboratorio  segreto, 
dov' egli  con  assiduo  ardore  ha  preparato,  tentato,  ritentato, 
costruito,  distrutto,  ricostituito  ;  nel  vedere  coinè  s'è  formata 
la  vera  figura  poetica  rispondente  all'  idea  pura  dell'artista, 
com'ei  la  cercasse  nel  suo  mondo  interiore,  ma  nelle  prime 
prove  non  gli  riuscisse  fatta  secondo  il  ritmo  profondo  del 
suo  spiìnto,  secondo  la  tempra  schietta  della  sua  personalità, 
perchè  nel  gioco  degli  elementi  eterogenei,  d'origine  dottri- 
nale 0  passionale,  d'influsso  esteriore  piuttosto  che  d'ispira- 
zione intima,  quella  forma  era  ancora  oscurata  e  confusa; 
nel  vedere  come  infine  questa  uscisse  depurata  e  coerente 
con  l'originalità  schietta  dello  scrittore. 

La  ragione  e  i  procedimenti  di  un  simile  lavoro  m'hanno 
—  di  necessità  —  imposto  di  proceder  parco  e  spedito  nelle 


PREFAZIONE 


discussioni  a  cui  può  facilmente  dar  luogo  la  fHcca  biblio- 
grafia manzoniana,  e  di  non  segnalare  se  non  quegli  scritti 
critici  che,  per  essere  strettamente  attinenti  all'  argomento  e 
al  genere  d'indagine  ch'io  tratto,  era  mio  debito  prendere 
in  attenta  considerazione. 

Napoli,  29  luglio  i920. 

Natale  Busetto 


-\ 


PARTE    PRIMA 


LA  GENESI  ETICO-RELIGIOSA 


^ 


Capitolo  I. 
Presupposti  e  fondamenti  dell'etica  manzoniana 


I.  L'uomo  e  la  Rivelazione.  —  IL  L'etica  pagana  e  il  cristianesimo, 
-^  III.  Lo  spirito  del  secolo  e  il  Vangelo.  —  IV.  La  religione 
e  le  leggi. 

La  costruzione  d'  un  mondo  cosi  vasto  e  complesso,  come  sono 
i  Promessi  sposi,  ha  necessariamente  una  sua  intima  storia  morale 
ed  intellettuale  e  sue  ragioni,  della  medesima  specie,  essenziali  e 
profonde.  Analizzarle  e  chiarirne  il  significato  e  la  portata  ne'  ri- 
flessi di  quel  mondo  così  ricco  d' umanità  e  di  poesia  è  opportuno 
avviamento  all'  indagine  e  alla  valutazione  di  quei  motivi  e  problemi 
e  molteplici  aspetti  della  vita  umana,  che,  attraverso  un  lungo  e 
tenace  studio  di  meditazione  morale  e  di  elaborazione  artistica,  han- 
no ricevuto  carattere  ed  espressione  di  concreta  vitalità  nella  forma 
definitiva  dell'opera:  motivi  e  problemi  che  presuppongono  talune 
idee  cardinali  della  coscienza  religiosa  del  Manzoni,  quali  i  rapporti 
dell'  uomo  con  la  Rivelazione,  dell'  etica  pagana  col  cristianesimo, 
dello  spirito  del  secolo  col  Vangelo,  della  religione  con  le  leggi. 

I.  Delle  molte  pagine  in  cui  il  Manzoni  ha  trattato  dottrinal- 
mente de'  problemi  morali  o  da  essi  ha  dedotto  motivi  d'ispirazione 
e  rappresentazione  poetica,  non  ce  n'è  quasi  alcuna,  che  non  riba- 
disca costantemente  il  principio  dell'  idea  intera  e  perfetta  della 
moralità  manifestata  dalla  Rivelazione,  cosicché  non  possa  l'anima 
umana  ritrovare  «  per  dir  così,  la  sua  unità  nel  riconoscimento 
dell'  unità  eterna  del  vero  e  del  bene  »,  se  non  mediante  l' insegna- 
mento evangelico,  né  vi  sia  «  alcun  sentimento  di  perfezione,  al 
quale  col  Vangelo  non  si  possa  assegnare  una  ragione  assoluta  e 
un   motivo   preponderante,   legati   egualmente   con   tutta   la  Rivela- 


10  PARTE   PRIMA 


zione  (^)».  Il  Manzoni  non  concepisce  atti  di  virtù,  prove  di  sacri- 
fizio e  d' abnegazione,  sublimazioni  eroiche  dello  spirito,  né  ammette 
che  se  ne  possa  intendere  la  ragionevolezza,  se  non  coi  precetti  e 
i  motivi  offerti  dal  Vangelo  (*)  ;  all'  infuori  del  quale  non  e'  è  per 
lui  sistema  di  filosofia  morale  che  sappia  «evitare  l'inconveniente 
e  la  vergogna  di  dar  precetti  e  consigli,  senza  poter  proporre  dei 
motivi  proporzionati  »  (').  Tra  i  due  termini  di  valutazione,  1'  uno 
che  implica  la  lode  delle  virtìi  disinteressate,  l' altro  che  implica  il 
bisogno  di  determinarne  la  ragionevolezza,  «  le  morali  umane  si  a- 
gitano,  cercando  invano  di  ravvicinarli».  Or  sull'una  or  sull'altra 
tendenza  della  natura  uraana^  «  cioè  o  nella  stima  della  virtù  o  nel 
desiderio  della  felicità»,  si  fondano  i  sistemi  del  pensiero,  ma  la 
difficoltà  che  «  consiste  nel  soddisfarle  ugualmente^  nel  trovare  un 
punto  dove  la  bellezza  e  la  ragionevolezza  dell'  azioni,  de'  voleri,  del- 
l'inclinazioni, si  riuniscano  necessariamente,  in  ogni  caso  e  con  piena 
evidenza  »,  non  si  supera  se  non  al  lume  della  dottrina  rivelata  {*). 
Nel  dibattito  filosofico  intorno  all'utile  e  al  giusto,  che  è  indub- 
biamente il  più  grave  de'  problemi  morali  che  le  scuole  antiche  e 
moderne  abbiano  trattato,  il  Manzoni  si  pone  contro  la  stessa  ten- 
denza intermedia  della  dottrina  utilitarista  (^),  sostenendo  con  gran 
vigore  che  la  concordia  finale  dell'  utilità  con  la  giustizia,  intra- 
veduta cosi  in  astratto  dalla  ragione,  è  stata  spiegata  dalla  Rivela- 
zione né  si  può  altrimenti  che  con  la  fede  nella  vita  futura,  «  nella 
quale  abbia  luogo  una  finale  e  infallibile  retribuzione  »  ;  scopre  la 
contraddizione  degli  utilitaristi,  che  vogliono  conciliare  il  loro  si- 
stema, che  è  «  un  calcolo  congetturale  d'  utili  e  di  danni  possìbili 
nella  vita  presente  » ,  con  una  tale  credenza  religiosa,  che  comporta 
una  «legge  morale»  superiore.  Del  resto -- conclude  con  fiero  rigo- 
rismo religioso  —  «  in  tutte  le  dottrine  morali^  che  non  tengono  conto 
della  Rivelazione,»  non  si  nasconde  che  «incertezza»,  «diffidenza 
di  sé»,  «scetticismo»  «sotto  il  linguaggio  più  affermativo  e  l'ap- 
parato più  solenne  della  dimostrazione  »  (^).  «  Inconsistente  »  chiama 
il  Manzoni  la  distinzione,  che  si  suol  fare  tra  «  la  morale  del  Van- 
gelo »   e    «i   dommi   del  Vangelo»,  tra,  cioè,  i  precetti  e  i  motivi. 


(1)  A.  Manzoni,  Osservazioni  sulla  inorale  cattolica,  Parte  edita,  Parte  inedita  e 
«  Pensieri  religiosi  »  per  cura  di  A.  gojazzi,  Torino,  1910,  pp.  162,  163. 

(2)  Oss.  s.  mor.  catt.  (ed  cit.),  pp.  163-4. 

(3)  n)ld.,\i.  161. 

(4)  Iì)id.,  p.  162. 

(5)  Ibid.,  p.  383  e  segg. 

(6)  ma.,  pp.  384,  388,  387. 


LA   GENESI  ETICO -RELIGIOSA  11 


non  trovandosi  —  egli  afferma  esemplificando  poi  con  calda  elo- 
quenza —  «  quasi  un  insegnamento  morale  del  Redentore,  che  non 
sia  confermato  da  Lui  con  un  insegnamento  dommatico».  Nessuna 
condiscendenza,  nessuna  transazione  ;  «  quando  la  ragione  —  soggiunge 
con  recisa  e  caustica  dialettica  —  ammira  la  morale  del  Vangelo,  alla 
quale  non  si  sarebbe  potuta  sollevare  da  sé,  fa  rettamente  il  suo 
nobile  uffizio;  ma  quando  ne  sconosce  l'unità  divina;  quando  in 
ciò  che  il  Vangelo  prescrive  e  in  ciò  che  annunzia  non  vuol  vedere 
una  sola  e  medesima  rivelazione;  quando  ricusa  d'ammettere  mo- 
tivi soprannaturali,  che  confessa  eccellenti,  allora  non  può  più  chia- 
marsi ragione,  perchè  discorda  da  sé  medesima  ».  La  «  forza  d'  a- 
dempire  »  i  precetti  «  e  d'  adempirli  per  riguardo  e  secondo  lo 
spirito  »  di  quei  motivi  non  può  esser  data  che  dalla  religione,  ed 
è  «  quella  grazia,  che  non  è  mai  dovuta,  ma  che  non  è  mai  negata 
a  chi  la  chiede  con  sincero  desiderio  e  con  umile  fiducia  »  ;  gì'  in- 
terni conflitti  tra  i  «  dettami  della  legge  morale  »  e  la  «  miserabile 
fiacchezza  »  delle  nostre  forze  e  «  l'indegna  repugnanza  a  seguirli  » 
danno  luogo  a  desolate  domande  e  a  sterili  lamenti,  se  non  inter- 
viene la  «divina  risposta»  che  sorge  dal  seno  del  cristianesimo: 
€  la  grazia  di  Dio  per  Gesìi  Cristo  Signor  nostro  ».  Per  questo  è 
stata  necessaria  la  Rivelazione;  onde  venne  all'-uomo  una  «  dottrina 
morale  e  perfetta»  «che  sola  potè  farci  conoscere  quali  noi  siamo, 
che  sola  dalla  cognizione  di  mali  umanamente  irremediabili,  potè 
far  nascere  la  speranza  »  ;  dottrina  che  «  Gesù  Cristo  ha  consegnato 
alla  Chiesa  ».  Compimento,  sanzione,  unificazione  di  tutte  le  parziali 
verità  e  gli  sparsi  precetti  morali,  trovati  dalla  ragione,  la  Rivelazio- 
ne, altresì,  portò  con  sé  un  nuovo  motivo  di  virtù  che  da  essa  ha 
ricevuto  «il  nome  sovrumano  di  Carità»,  il  quale  «unendo  con 
l'amor  di  Dio  l'amor  degli  uomini  lo  fa  in  qualche  modo  parteci- 
pare della  ragione  infinita  di  quello;  nome  che  contempla  in  essi, 
non  la  sola  natura  quale  si  può  riconoscere  per  mezzo  della  ragione, 
ma  l'origine  che  li  fa  essere  figlioli  di  Dio;  ma  l'umanità  assunta 
dal  Verbo,  che  li  fa  essere  fratelli  di  Gesù  Cristo;  ma  la  natura 
medesima  quale  è  interamente  manifestata  dalla  fede  e  che  li  fa 
essere  a  immagine  e  similitudine  dell'ineffabile  Trinità»  (^). 

Che  cosa  vale  l' uomo  col  suo  pensiero^  con  la  sua  ragione^  di 
fronte  alla  morale  rivelata?  Non  v'ha  filosofia,  non  v'ha  pensiero 
che  pur  si  elevi  sopra  le  troppo  fallaci  «  mete  del  raziocinio  »  e  so- 
pra i  «  vantaggi  temporali  »  verso  le  regioni  superiori  della  morale, 

(1)  IMd.,  pp.  165,  167,  169,  169-70,  170,  182.  Cfr.  anche  p.  189. 


12  PARTE   PRIMA 


che  sia  in  piena  conformità  col  Vangelo:  non  c'è  altra  via  verace 
che  accettarlo  nella  sua  interezza  con  piena  umiltà  di  cuore.  Verità 
fondamentali  della  Eivelazione  sono  :  «  che  sola  cosa  necessaria  è 
di  salvare  l'anima,  che  dobbiamo  renderci  conformi  alla  immagine 
di  Gesìi  Cristo,  che  non  possiamo  fare  alcun  bene  senza  la  sua  gra- 
zia, che  bisogna  operare  la  propria  salute  con  timore  e  tremore, 
che  la  fede  è  necessaria  per  piacere  a  Dio  »  :  non  porle  «  in  cima  al 
nostri  sistemi  morali  »  e  rendere  omaggio  al  Vangelo  «  è  una  con- 
traddiziono anche  in  coloro,  come  il  Rousseau  e  Madama  di  Staèl, 
ne'  quali  il  Manzoni  pur  riconosce  che  1'  omaggio  alla  Rivelazione 
deriva  non  da  considerazioni  di  «vantaggi  temporali»,  «ma  da 
ammirazione  profonda  della  sua  bellezza,  e  della  sua  conformità 
colla  parte  più  nobile  e  più  vera  della  natura  umana». 

Parimente  l' essere  quelle  «  idee  evangeliche  escluse  quasi  del 
tutto  dai  discorsi  degli  uomini»,  quando  si  tratti  di  applicarle  ai 
fatti  e  ai  fini  della  vita,  è  assurda  e  superba  aberrazione.  «  Ah  queste 
idee  —  esclama  il  Manzoni,  rivelando  apertamente  la  posizione  an- 
tiìntellettualistica  della  sua  dottrina  —  sono  di  quelle  che  Dio  ha 
nascosto  ai  prudenti  e  ai  sapienti;  bisogna  farsi  piccioli  per  inten- 
derle ».  Non  vi  ha  altezza  intellettuale  che  eguagli  1'  adesione  del 
sentimento  e  del  raziocinio  alle  istituzioni  e  allo  spirito  della  dot- 
trina rivelata  :  «  il  punto  di  massima  ragione^  il  punto  più  certo, 
più  elevato  dell'  umano  intelletto  sarà  il  concordare  col  Vangelo  : 
r  uomo  sarà  ragionevole  ed  illuminato  in  proporzione  della  sua 
fede»  (1). 


IL  Questa  rigorosa  interpretazione  e  applicazione  del  Vangelo 
alla  vita  e  al  pensiero  dell'  uomo,  implicando  la  negazione  di  tutti 
i  sistemi  di  morale  indipendenti  dalla  religione,  conduce  necessaria- 
mente il  Manzoni  a  vedere  nel  paganesimo  un'antitesi  storica  ed 
etica  ai  princìpi  e  alla  civiltà  del  cristianesimo.  La  stessa  inclina- 
zione, palese  in  più  luoghi  dell'opera  sua,  a  considerare  non  solo 
il  contenuto  dogmatico  della  rivelazione,  ma  anche  il  carattere  sto- 
rico d' iniziatrice  d' un'  èra  nuova,  lo  porta  alla  critica  della  società 
precristiana  e  delle  sue  dottrine  e  istituzioni.  In  questo  suo  atteg- 
giamento polemico  il  Manzoni,  del  resto,  si  conforma  alla  tradizione 


(1)  n>id.,  pp.,  483,  484,  485,  487,  489,  479. 


LA    GENESI    ETICO  -  RELIGIOSA  13 


dell'  apologetica  cattolica  e,  in  modo  particolare,  come  più  oltre  ve- 
dremo, al  metodo  difensivo,  seguito  dagli  apologisti  e  dai  moralisti 
del  Seicento  francese.  E  non  è  questa  —  come  potrebbe  sembrare 
a  prima  vista  —  una  questione  secondaria,  perchè  la  critica  nega- 
tiva della  morale  pagana  o  etnica,  come  pur  si  compiaceva  di  de- 
nominarla il  Manzoni,  oltre  ad  essere  una  conseguenza  del  suo 
pretto  e  rigido  evangelismo,  si  connette  con  le  idee  generali  ch'egli 
aveva  della  natura,  della  condotta  e  del  destino  dell'  uomo  e  con 
taluni  suoi  princìpi  fondamentali  di  estetica. 

Nel  considerare  gli  ultimi  secoli  del  paganesimo  lo  colpisce  so- 
prattutto «  la  cieca  perversità  di  venerare  gì'  idoli  fatti  da  loro,  e 
di  far  morire  i  giusti  »  e,  per  contrapposto,  la  serena  fermezza  de' 

martiri  cristiani,  per  la  quale  «i  fanciulli  stessi sorridevano  ai 

carnefici  »  (^).  Quanto  alle  idee  morali  professate  dalle  antiche  scuole, 
è  raro  che  il  Manzoni  conceda  loro  qualche  valore:  quando  non  le 
censuri  con  fiera  austerità  cristiana,  non  vi  trova  che  <  oscurità 
e  incertezza  »  e,  se  ammette  che  le  «  sante  e  solenni  parole  »  di 
«  giustizia,  dovere,  virtù,  benevolenza,  diritto,  coscienza,  premio, 
pena,  bene,  felicità  »  sono  state  «  la  parte  essenziale  del  vocabolario 
morale  di  tutti  i  tempi  e  di  tutti  i  luoghi  »,  avverte,  tuttavia,  che  il 
mondo  prima  di  Cristo  non  vedeva  tra  le  verità  espresse  da  quelle 
parole  unità  e  concordia,  ma  «un  escludersi  a  vicenda»,  «  un  con- 
trasto doloroso  »  accresciuto  dalla  scienza  che  «  per  lo  più  »  cam- 
biava «in  altrettanti  sistemi  quelle  tristi  oscillazioni  delle  menti», 
«  sacrificando  a  una  verità  arbitrariamente  prediletta  delle  altre  > , 
talvolta  «  le  più  nobili  e  le  più  sante  » . 

Non  che  il  Manzoni  escluda  che  la  ragione  e  1  «  sentimenti  na- 
turali retti  »  potessero  predisporre  all'  avvento  della  legge  di  Dio. 
Questa  —  egli  dice  —  ,  se  ha  edificato  un  mondo  nuovo,  non  poteva 
però  «  distruggere  le  basi  naturali  della  morale,  cioè  i  sentimenti 
retti»,  giacché  questi  «non  possono  mai  essere  in  contraddizione 
con  la  legge  di  Dio,  dal  Quale  vengono  anche  essi  »,  e  «  conformare 
la  morale  a  questa  legge  è  un  farla  essere  conforme  al  core  retto 
e  alla  ragione  perfezionata».  Conviene,  anzi,  che  pur  tra  i  gentili 
alcuni,  cioè  gli  stoici,  abbiamo  intuito  «  col  solo  lume  naturale  » 
una  verità  profonda  nel  professare  che  «  nessun  bene  finito  poteva 
essere  per  la  virtù  materia  di  compensazione  »,  benché  non  risol- 
vessero il  grave  problema  morale  «  col  dire  che  la  virtù  è  premio 


(1)  Ibid.,  p.  205. 


14  PARTE   PRIMA 

a  sé  stessa  >  ;  ma  in  generale  osserva  che  «  i  diversi  sistemi  de'  filo- 
sofi del  gentilesimo  non  proponevano,  almeno  direttamente,  a  chi 
li  volesse  adottare  e  seguire,  altra  felicità  che  la  sua  propria.  La 
virtù  degli  stoici  era  in  fondo  egoista,  come  la  quiete  degli  epicurei 
e  la  voluttà  dei  cirenaici»  Q).  Più  reciso  e  fiero  è  nella  censura  il 
Manzoni,  quando  riguarda  la  morale  degli  antichi  nell'  ordine  de' 
fatti  e  de'  giudizi  pratici. 

Nessuna  vera  misura  del  giusto  e  dell'  ingiusto  presso  i  gentili: 
il  rispetto  alla  vita  ignoto,  purché  si  pensi  alle  «  crudeltà  incredibili 
commesse  »  nelle  persecuzioni  contro  i  cristiani  «  senza  un  forte 
impulso»,  a  principi,  che  vediamo  «  senza  fanatismo  secondare  il 
trasporto  del  popolo  per  i  supplizi,  non  per  timore,  non  per  ira, 
ma  direi  quasi  per  indifferenza  »  ;  «  pace  terribile  »  quella  del  gen- 
tilesimo, «  che  non  fu  mai  disturbata  nemmeno  dai  gemiti  »  de' 
primi  cristiani  condannati  ai  supplizi  ;  mentre  intanto  gli  «  odii  nà 
zionali  duravano  universali,  radicati,  perpetui  »  (^)  e  di  fronte  al  cri- 
stianesimo, che  ci  fa  considerare  la  vita  mortale  «  come  vita  di 
preparazione  »,  non  altro  che  una  grande  e  funesta  follia  il  gen- 
tilesimo che  «  la  rappresentava  come  avente  il  principio  e  il  fine 
in  sé  stessa  »  (*). 

Fra  le  Postille  ai  libri  che  il  Manzoni  leggeva,  così  utili  a  cono- 
scere l'ingegno,  le  idee  e  l'arte  di  lui,  ve  n'ha  di  molte  in  cui 
non  solo  raccomanda  di  procedere  con  molta  cautela,  come  fa  nel 
r  annotare  un  passo  della  «  Drammaturgia  »  del  Lessing,  nell'  ap- 
plicazione de'  principi  morali  degli  scrittori  pagani  {*),  ma  li  com- 
batte talora  con  mordace  asprezza,  insolita  ne'  suoi  scritti,  biasimando 
gli  storici  cristiani  della  vecchia  scuola  classica  come  il  Rollin  e  il 
Crevier,  l'uno  autore  di  una  Histoire  romaine  e  l'altro  di  una  Hi- 
stoire  des  empereurs  romains,  troppo  ossequienti,  a  pai-er  suo,  alle 
virtù  degli  antichi  e  alle  loro  istituzioni  {^). 

S'intende  che  il  Manzoni  disprezzi  le  superstizioni  e  i  riti  reli- 
giosi de'  pagani,  in  cui  non  vede  che  assurdità  e  furberia;  s'intende, 
altresì,  che  desideri  maggiore  circospezione  morale  ne'  giudizi  dei 


(1)  n>id.,  pp.  179,  176,  177,  187-8,  316,  389. 

(2)  n>id.,  pp.  155,  215,  205,  516.  V.  ciò  che  dice  a  pp.  449  e  155  delle  guerre  romane 
di  conquista,  del  trattamento  degli  schiavi  fuggitivi, delle  condizioni  d'indegnità  ci- 
vile, che  gli  Spartani  facevano  agi'  Iloti. 

(3)  A.  Manzoni,  Opere  inedite  e  ì'are,  pubblic.  da  R.  Bonghi,  Milano,  Rechiedei, 
1883-1891,  voi.  III.,  p.  194. 

(4)  Ivi. 

(5)  Le  osservazioni  a  questi  autori  sono  le  più  numerose  della  serie  (in  Ojjp.  in. 
e  r.,  II,  pp.  253-339). 


LA    GENESI   ETICO  -  RELIGIOSA  15 


due  storici  francesi,  essendo  i  loro  trattati  stati  composti  per  uso 
de'  giovani  cattolici  (^)  ;  ma  ciò  che  più  impressiona  è  il  vedere  con 
che  costante  rigore  giudichi  i  fatti  della  storia  romana  alla  stregua 
della  morale  evangelica.  Il  Rollin  presenta  il  dibattito  tra  Catone  e 
Nasica  circa  il  conservare  o  distrugger  Cartagine,  nel  suo  puro 
aspetto  politico,  da  spregiudicato  storico  settecentista  ;  il  Manzoni 
postilla  sdegnato  :  «  Caton  et  Nasica  étaient  deux  héroiques  coquins. 

Ces  gens  là  mettaient  h  part  1' èqui  té  parce  qu'ils   étaient  ro- 

mains,  interessés,  payens  ;  mais  nous,  qui  n'  avons  aucun  de  ces 
obstacles  à  porter  un  jugement  plus  juste  sur  cette  affaire,  pourquoi 
nous  mettrons  nous  volontairement  dans  la  sphère  des  passions  et 
de  l'erreur?  pourquoi  prendrons  nous  la  question  sur  le  terrain 
d' une  politique  abominable  et  misérable  »  (*)  ? 

Tutta  la  simpatia  del  Manzoni  è  per  gli  schiavi  e,  in  generale, 
per  la  povera  gente  de'  tempi  di  Roma  (*),  a  tal  punto  che  rimpro- 
vera il  Rollin  di  non  portare  il  suo  spirito  cristiano,  anzi  di  «prètre 
chrétien  »  del  sec.  XVIII  nella  narrazione,  di  fatti  antichi  (*).  Che 
idea  potevano  avere  della  vera  giustizia  i  pagani  —  si  domanda  il 
Manzoni  —  se  chiamavano  giusto  «  ce  qui  était  conforme  aux  dé- 
crets  et  aux  consuétudes  d' une  force,  à  des  lois  imposées  par 
quelques  horames  à  quelques  autres  »  (*)  ?  Chi  è  Bruto,  «  ce  héros 
du  stoicisme»,  come  l'aveva  chiamato  il  Rollin?  Pel  Manzoni  non 
è  che  un  ambizioso  che  rappresentò  la  causa  d'un  numero  privile- 
giato d' uomini  e  combattè  per  interessi  umani  ;  giacché  non  e'  è 
vera  virtù  dove  lo  scopo  non  sia  diretto  alla  giustizia  e  alla  carità 
universale  (^).  Ma  a  proposito  di  questo  illustre  campione  del  ro- 
manesimo,  è  curioso  il  parallelo  tra  lui  e  Filippo  II,  che  si  legge 
nella  prima  redazione  de'  Promessi  sposi  (').  Due  uomini,  due  idee 


(1)  Opp.  in  e  r.,  II,  pp.  270,  272,  273  274. 

(2)  Ibid. ,  p.  269. 

(3)  Idid.,  pp.  291,  306,  309,  322.  Ideava  nel  '21  una  tragedia  su  Spartaco,  per  la  quale 
veniva  raccogliendo  diligentemente  il  materiale  storico,  disegnando  la  trama  dram- 
matica e  studiando  attentamente  lo  spirito  morale  e  sociale  di  quell'età  che  vide  la 
prima  grande  insurrezione  di  schiavi  (V.  Opp.  in.  e  r. ,  II,  pp.  275-88) 

(4)  Ibid.,  p.  274. 

(5)  Ibid.,  p.  289.  V.  anche  pp.  291-2. 

(6)  Ibid.,  p.  295.  Sulla  benevolenza  verso  tutti  gii  uomini,  che  solo  la  morale  cat- 
tolica può  comunicare,  v.  le  cit.  Oss.  s.  moì\  catt. ,  p.  203. 

(7)  Gli  Sposi  promessi,  per  la  pritna  volta  pubblicati  nella  loro  integrità  di 
sulV antografu  da  Giuseppe  Lesca,  con  quattro  facsimili,  Napoli,  Perrella,  1916,  pp. 
508-9.  Ik  Manzoni  trae  argomento  pel  suo  parallelo  da  una  statua  colossale  che,  a 
tempo  de'  tumulti  popolari  descritti  nel  romanzo,  raffigurava  quel  monarca  e  che  «  cir- 
ca centosettant'anni  »  dopo  (a  tempo,  dunque,  della  Repubblica  cisalpina)  venne  «  Ira- 
sformata  alla  meglio  in  un  Marco  Bruto», 


16  PARTE   PRIMA 

«  disparatissime  »  :  eppure  1'  arguto  ragionatore  ci  trova  «  più  punti 
di  rassomiglianza».  «Tutti  e  due  gravi  e  rigidi  sermonatori,  l'uno 
di  filosofia,  l'altro  di  religione,  tutti  e  due  commisero  senza  rimorso, 
con  giattanza,  di  quelle  azioni,  che  la  morale  comune  e  il  senso 
universale  della  umanità  abbomina  :  tutti  e  due  credettero  che  nel 
loro  caso  una  ragione  profonda,  un  intento  di  perfezione  rendesse 
virtù  ciò  che  è  comunemente  delitto.  Tutti  e  due,  con  una  opposi- 
zione ardente  e  attiva,  hanno  promosse,  rafforzate,  estese  le  cose 
che  volevano  impedire  ed  estinguere  nei  loro  cominciamenti  :  e 
tutti  e  due  hanno  avuti  in  vita  e  dopo  morte  fautori  che  hanno 
approvata  la  loro  condotta,  gli  hanno  lodati  d' aver  fatti  mali  infi- 
niti, per  ottenere  il  contrario  dei  loro  fini » 

Chi  è  pel  Manzoni  lo  stesso  Catone,  che  il  medioevo  cristiano 
idealizzò  ;  che  Dante  stesso  redense  ed  esaltò  a  simbolo  della  libertà, 
morale  ?  Pel  Rollin  è  un  «  rigide  observateur  de  la  justice  »  per  es- 
sersi egli  rifiutato  di  dare  la  libertà  agli  schiavi  e  di  farne  de' 
soldati  difensori  di  litica,  adducendo  di  non  voler  far  torto  ai  loro 
padroni;  è  un  sublime  «héros»  della  giustizia  per  essersi  presa 
cura  della  vita  e  della  salvezza  de'  suoi  e  degli  Uticensi  poco  prima 
di  morire.  Per  contro  il  Manzoni,  che  in  codesta  ammirazione  non 
trova  che  servile  stupidità  e  oscuramento  de'  sentimenti  più  natu- 
rali a  un  cristiano,  non  si  commòve  punto  dello  stoico  suicidio  di 
Catone  e  con  spietata  ironica  sottigliezza  chiama  assurdo  il  conte- 
gno di  lui,  «  car  si  la  vie  était  un  mal  sans  cette  liberté  que  voulait 
Caton,  il  ne  devait  pas  procurer  aux  autres  ce  mal  que  lui  voulait 
éviter»  (^). 

Altri  consimili  eroi  del  mondo  romano  non  sfuggono  alla  critica 
acerba  e  spesso  causticamente  schernitrice  del  moralista  cattolico, 
nel  confronto  con  le  virtù  cristiane.  La  sobrietà  del  cardinal  Fede- 
rigo, di  cui  narrava  un  bello  esempio  negli  Sposi  promessi  (*),  gli 
fa  sovvenire  di  consimili  esempi  d'uomini  pagani,  come  «  le  magre 
cene  di  quel  Curio  mal  pettinato»  e  il  «salino  di  Fabricio»  e  il 
«suo  piattello  sostenuto  da  un  picciuoletto  di  corno»,  e  lo  induce  a 
ragionare  amaramente  sui  motivi  della  celebrità  di  quest'ultimo ('), 


(1)  Op2K  in.  e  r.,  II,  pp.  292,  293,  294. 

(2)  Nella  vallata  di  S.  Martino,  dopo  una  faticosa  giornata,  spesa  in  visite,  discorsi 
e  benedizioni  di  villaggio  in  villaggio,  Federigo,  spossato  dal  lungo  digiuno,  si  rifo- 
cilla, iu  mezzo  alla  gente  ammirata  e  compunta,  con  un  tozzo  di  pane  e  un  bicchier 
d'acqua  (Sjì.  pr.,  pp.  466-8). 

(3)  Sp.  pr.,  p.  469.  Anche  nella  II.  P.  della  Mor.  catt.  biasima  la  «  posterità  »,  che 
«  esalta  i  trionfi  dell'uomo  sopra  l'uomo,  le  gioie  nate  dai  dolori  altrui»  (ed.  cit.,  p. 
520). 


LA   GENESI    ETICO -RELIGIOSA  17 


dando  —  come  altri  ha  osservato  —  (^)  nel  paradosso  e  rivelando, 
piuttosto,  difetto  di  storiografo  per  l'unilateralità  della  ricerca  (^). 
Ma  qui  importa  rilevare  come  l'appassionato  giudizio  che  lo  trasporta 
a  un  confronto  tra  il  cardinale  Federigo  e  il  romano  Fabrizio,  pro- 
venga dalla  manifesta  intenzione  polemica  di  contrapporre  il  cristia- 
nesimo al  gentilesimo,  la  morale  religiosa,  fondata  sulla  rivelazione, 
alla  morale  umana  fondata  sulla  filosofìa  e  la  ragione.  Quel  tozzo 
di  pane  —  ammonisce  il  Manzoni  — ,  «mangiato  tra  le  fatiche  d'un 
ministero  di  misericordia,  di  pace,  di  pietà  dovrebb' essere  una  ri- 
membranza più  cara  agli  uomini  che  non  quel  salino  e  quel  piat- 
tello, che  copriva  la  mensa  d'un  uomo,  che  era  sobrio  per  poter 
essere  forte  contro  gli  uomini  ;  che  si  godeva  di  essere  un  povero 
Fabricio,  per  essere  un  potente  romano».  E  subito  dopo  svela  il 
fine  vero  di  queir  episodio  digressivo  concernente  la  vita  di  Fede- 
rigo, con  r  istituire  deliberatamente  un'  antitesi  tra  l' anima  antica  e 
la  cristiana,  tra  le  due  diverse  concezioni  dello  spirito  e  del  dove- 
re. «Le  idee,  di  cui  si  componeva  il  sentimento  temperante»  di 
Fabrizio  «  erano  superbe,  ostili,  sprezzanti,  superficiali  :  quelle  di 
Federigo  umane,  gentili,  benevole,  profonde».  Fabrizio,  al  frugale 
banchetto  di  Pirro,  nell'  udire  le  dottrine  epicuree  esposte  da  (Tmea, 
«  disse  quelle  atroci  parole  tanto  lodate  dagli  antichi  e,  chi  lo  cre- 
derebbe?, dai  moderni:  —  Oh  Ercole  (il  santo  era  degno  del  vóto) 
fa  che  queste  dottrine  sieno  ricevute  dai  Sanniti  e  da  Pirro  fin  tan- 
to che  saranno  nemici  del  popolo  romano  — .  Ma  il  nostro  mangia- 
tor  di  pane  avrebbe  avuto  orrore  di  sé,  se  avesse  potuto  anche  un 
momento  desiderare  la  perversità  ai  suoi  nemici,  ai  nemici  del  suo 
popolo.  Egli  desiderava  la  giustizia,  la  fortezza,  la  sobrietà  a  tutti  : 
la  desiderava  e  tutta  la  sua  vita  fu  spesa  a  promuoverla.  La  sua 
benevolenza  non  era  nazionale  ne  aristocratica  (')  ;  egli  non  aveva 
bisogno  di  odiare  una  parte  del  genere  umano  per  amarne  un'altra: 
si  faceva  povero  non  per  insultare,  non  per  dominare,  ma  per  di- 
videre la  condizione  dei  suoi  fratelli  poveri,  e  per  migliorarla.  A 
dispetto  di  tutta  la  storia,  di  tutta  la  morale,  di  tutta  la  rettorica, 
Federigo  Borromeo  era  più  grand' uomo  che  Fabricio,  o  per  meglio 


(1)  V.  le  garbate  osservaz.  del  D'Ovidio  in  yicovi  studi' manz.,  Hoepli,  Milano, 
1908,  pp.  575. 

(2)  Cfr.  l'art,  di  F.  Crispolti,  Le  rivelaz.  dei  Br.  ined.  sul  M.  istoriografo,  nel  Mo- 
mento  del  30  nov.  1914  e  riassunto  da  \.  Pellizzari  in  Studi  manz.,  Napoli,  Perrella, 
1914,  A'ol.  I.  pp.  115-21. 

(3)  V.  contro  l'erroneo  concetto  di  «Religione  .nazionale  »..  Opp.  in.  e  r.,  II.,  pp. 
468-9. 

Busetto  —  2 


18  PARTE   PRIMA 


dire:  Federigo  era  veramente  un  grand' uomo,  per  quanto  un  sì 
magniflco  epiteto  può  stare  con  un  sì  misero  sostantivo  »  .(^)  Lo  stesso 
Manzoni  spiega  altrove,  a  proposito  di  Traiano,  il  formarsi  e  per- 
petuarsi della  riputazione  delle  virtù  pagane  e  dà,  a  un  tempo,  la 
ragione  de'  suoi  sfavorevoli  giudizi,  osservando  che  «  noi  riceviamo 
per  lo  più  l'opinione  fatta  dagli  altri;  e  i  gentili,  che  stabilirono 
quella  di  Traiano,  non  credevano  che  spargere  il  sangue  cristiano 
togliesse  nulla  all'umanità  e  alla  giustizia  d'un  principe  »;  che  «è 
la  religione  che  ci  ha  resi  difficili  a  concedere  il  titolo  d' umano  e 
di  giusto;  è  essa  che  ci  ha  rivelato  che  nel  dolore  d'un' anima  im- 
mortale e'  è  qualche  cosa  d' ineffabile  ;  è  essa  che  ci  ha  istruiti  a 
riconoscere  e  a  rispettare  in  ogni  uomo  l'immagine  di  Dio,  e  il 
prezzo  della  Redenzione.  »  (^) 

«  Voluttuosa,  superba,  feroce  »  la  morale  degli  antichi  —  incal- 
zava il  Manzoni  in  un  suo  celebre  scrìtto  (')  — ,  «  circoscritta  al  tem- 
po, e  improvvida  anche  in  questa  sfera  ;  antisociale,  dov'  è  patriottica, 
e  egoista,  anche  quando  non  è  ostile»;  «  la  morale  dei  classici  »  —  più 
particolarmente  accennando  agli  scrittori  del  paganesimo,  ribadiva 
con  parole  che  solo  molti  anni  più  tardi  cancellò  —  essenzialmente 
falsa:  false  idee  di  vizio  e  di  virtù:  idee  false,  incerte,  esagerate, 
contradditorie,  difettive  dei  beni  e  dei  mali,  della  vita  e  della  morte, 
di  doveri  e  di  speranze,  di  gloria  e  di  sapienza;  falsi  giudizi  dei 
fatti,  falsi  consigli  ;  e  ciò  che  non  è  falso  in  tutto,  manca  però  di 
quella  prima  ed  ultima  ragione,  che  è  stato  una  grande  sciagura  il 
non  aver  conosciuto,  ma  dalla  quale  è  stoltezza  il  prescindere  scien- 
temente e  volontariamente».  (*)  E  più  manifestamente  rivelava  le 
sue  intenzioni  morali  e  religiose  e,  dirò  così,  le  sue  apprensioni 
pedagogiche  nel  deplorare  che  i  classici  fossero  —  nonostante  le 
battaglie  romantiche  —  proposti  alla  «  imitazione  dei  giovinetti»,  nel 


(ly Sjt.  jir.,  pp.  '109-70.  Anche  nelle  Oss.  s.  ìitur.  catt.  esalta  sugli  Sfi'ittori  del 
gentilesimo,  de'  (inali  pur  «si  parla  come  di  uomini  grandi,»  gli  Apostoli  de' quali 
«  si  è  parlato  anche  pur  troppo...  come  di  uomini  da  nulla»  (pp.  477-8;  v.  di  questa 
la  n.  1).  V.,  altresì,  a  pp.  211,  215  e  segg.,  il  severo  giudizio  su  Traiano  e  Plinio  per 
il  loro  contegno  verso  i  Cristiani.  Eppure  il  primo  —  osserva  il  Manzoni  —  era  ed 
è  «celebre  per  sapienza  e  mansuetudine,»  e  altrettanto  il  secondo  «per  coltura  d'in- 
gegno e  dolcezza  di  carattere». 

(2)  Oss.  s.  mor.  catt.,  p.  214. 

(3)  Nella  Lett.  sul  Romanticismo  a  Cesare  d'Azeglio  del  22  sett.  1823.  V.  il  passo 
riportato  nel  voi.  delle  Prose  minori  con  note  di  A.  Bertoldi,  Firenze,  Sansoni,  1807, 
l)p.  164-5. 

(4)  Questo  passo,  che  il  Manzoni  soppresse  nell'ediz.  definitiva  delle  Opere  varie 
del  70,  si  legge  neW  Epistolario,  raccolto  da  G.  Sforza,  Milano,  Carrara,  1882-83,  voi. 
I.,  j?.  291. 


LA    GENESI   ETICO -RELIGIOSA  19 


desiderare  «  ardentemente  »  che  si  facesse  sui  classici  «  un  esame 
intento,  risoluto,  insistente»,  una  specie  di  revisione  epuratrice  dei 
valori  morali  del  classicismo,  nell' augurarsi  che  si  perdesse  «quella 
venerazione  per  essi  così  profonda,  così  solenne,  così  magistrale  » , 
nel  volere  per  mezzo  de'  romantici  o  «  per  qualunque  via  ragione- 
vole »  «screditato  il  sistema  dell'imitazione»,  con  l'intento  soprat- 
tutto pratico  che  si  cessasse  dall'  attingere  dal  mondo  classico 
«  tanti  sentimenti  falsi  »  e  dal  perpetuare  «  nella  letteratura  e,  per 
mezzo  della  letteratura,  nella  vita  giudizi  irragionevoli  e  appas- 
sionati ».  (^) 

Se,  come  a  suo  luogo  dimostrerò  con  maggior  larghezza  d'in- 
dagine, i  luoghi  citati  e  talune  ironiche  applicazioni  d' ostentato 
anticlassicismo,  nella  prima  forma  del  romanzo,  (*)  rispondevano 
al  segreto  intento  letterario  di  contribuire  al  trionfo  de'  principi 
più  ragionevoli  della  poetica  romantica  in  Italia,  essi  testimoniano, 
a  un  tempo,  quanto  vivamente  operasse  l'ideale  etico  e  religioso 
nella  prima  ispirazione  del  grande  capolavoro  da  assumere  aperta- 
mente fa  forma  polemica  e  satirica  de'  concetti  morali  e  de'  modi 
d' arte  adoperati  dai  classici  e  dai  classicheggianti  ;  ai  quali  il  Man- 
zoni fece  carico  dell'uso  delle  favole  mitologiche  massime  per  la 
ragione,  essenzialmente  religiosa,  che  esso  era  «  idolatria  »,  (') 

Il  Manzoni  in  codesta  franca  opposizione  al  paganesimo,  che  è 
novella  prova  della  sua  dirittura  logica  e  dell'  indipendenza  de' 
suoi  criteri  intellettuali  e  morali  rispetto  a'  suoi  tempi,  {*)  —  sol  che 


(1)  Epist.,  I.,  pp.  291-2.  Anche  questi  tratti  il  Manzoni  omise  nell'edi?:.  del  70, 
unicamente  —  non  v'ha  dubbio  —  per  ragioni  di  temperanza  polemica. 

(2)  V.  negli  Si),  pr.  pp.  417,  423,  496,  568,  613,  di  dove  traspira  la  beffarda  can- 
zonatura di  modi  e  detti,  anche  celebri,  de'  classici  e  delle  loro  teoriche  letterarie. 

(3)  Nella  Lett.  sul  Rom.  (ed.  Bertoldi),  pp.  150-1. 

(4)  Indipendente  anche  dai  Giansenisti,  se,  come  avverte  E.  Rota  (L'enigma  del 
'700  e  il  problema  delle  origini  del  nostro  Risorgimento,  in  N.  Riv.  stor.,  a  II., 
fase.  IV.,  p.  390),  è  da  studiare,  fra  le  loro  peculiari  attitudini,  «una  singolare  pre- 
dilezione verso  l'antichità  classica».  Importa,  per  contro,  rilevare  l'affinità  de'  giu- 
dizi manzoniani  col  pensiero  di  A.  Verri  nelle  Notti  romane,  ispirate,  è  vero,  piut- 
tosto da  certa  filosofia  e  moralità  civile  che  dal  Vangelo,  ma  intese,  non  meno  degli 
scritti  del  Manzoni,  alla  celebrazione  della  civiltà  del  cristianesimo.  V.,  per  es.,  quella 
fine  del  VI  colloquio  della  Notte  terza:  «volgendomi  ora  dietro  a  compendiare  le  sen- 
tenze da  me  udite  dai  romani  stessi  sopra  i  meriti  loro,  conchiude  la  mente  mia 
ch'eglino  furono  grandi  più  che  buoni,  illustri  più  che  felici,  per  instituto  oppressori, 
per  fortuna  mirabili,  per  indole  distruttori,  generosi  nelle  malvagità,  eroi  nelle  in- 
giustizie, magnanimi  nelle  atrocità.  Per  le  quali  funeste  illusioni  tanto  ancora  ne 
rimbomba  la  fama,  che  lo  strepito  suo  fa  timido  il  giudizio  di  molti,  e  sommerge  la 
voce  de'  saggi.  Io  pertanto  moderai  quella  eccelsa  opinione  ch'ebbi  del  popolo  romano; 
talché,  senza  diminuirsi  in  me  l'ammirazione  per  le  sue  incredibili  imprese,  giudicai 
però  fosse  un  riposo  del  mondo  che  una  gente,  la  quale  tutto  lo  bramava  e  tutto 


20  PARTE   PRIMA 


si  pensi  quale  autorità  e  forza  avessero  conferito  agi'  ideali  del 
classicismo  e  il  movimento  filosofico  della  seconda  metà  del  settecento 
e  il  neoclassicismo  artistico  ancor  vivace  a'  suoi  giorni  — ,  si  ricon- 
giunge, piuttosto,  con  gli  apologisti  e  i  moralisti  del  seicento  fran- 
cese, per  certa  affinità  di  concetti  e  di  motivi,  che  torna  opportuno 
esaminare. 

Della  superiorità  del  cristianesimo  sulla  filosofia  e  i  culti  dell'  an- 
tichità ragiona  in  più  luoghi  il  Massillon.  Vano  sforzo  della  ragione 
umana,  «  la  philosophie  découvroit  —  egli  osserva  —  la  honte  des  pas- 
sions,  mais  elle  n'apprenoit  pas  à  les  vaincre;  et  ses  preceptes 
pompeux  étoient  plutót  1'  éloge  de  la  vertu  que  le  remède  du  vico. 
Ma  è  stata  la  grazia  —  soggiunge  —  qui  a  montré  à  la  terre  lo 
veritable  sage,  que  tout  le  faste  et  tout  l' appareil  de  la  raison 
humaine  nous  annongoit  depuis  si  long  -  temps»  (^).  Prima  del- 
l' avvento  di  Cristo  le  tendenze  e  le  scuole  filosofiche,  pur  dovendo 
riconoscere  al  lume  della  ragione  «  un  seul  Étre  supreme,  en  défi- 
guroient  la  nature  par  mille  opinions  insensées.  Les  égarements  de 
la  raison  étoient  alors  la  seule  règie  de  la  religion  et  de  la  cro- 
yance  de  ceux  qui  passoient  pour  ètre  les  plus  éclairés  et  les  plus 
sages  >  .  Nel  mistero  dell'  Uomo  -  Dio,  nella  Rivelazione  è  stata 
offerta  agli  uomini  «  tonte  leur  science,  toute  leur  vérité,  tonte  leur 
philosophie,  toute  leur  religion».  Prima  condizione  della  vera  milizia 
cristiana  è  «  le  sacrifice  de  la  raison  et  de  nos  faibles  lumières  >  {'). 
Che  era  allora  la  pace,  assicurata  dalle  armi  de  Romani,  da  «  ces 
maìtres  orgueilleux  du  monde  »?  «  Une  fausse  paix  »  :  passioni  in- 
giuste e  violente,  inquietudini  incessanti,  disordine  morale  nelle  a- 
zioni  pubbliche  e  private.  È  evidente  l'ispirazione  tacitiana  nella 
pittura  fosca  che  il  Massillon  fa  del  mondo  romano,  ma  sono  motivi 
prettamente  religiosi,  come  nel  Manzoni,   il   discredito  de'   filosofi 


sempre  lo  perturbò,  fosse  alfine  vinta  dal  temf)0  ».  E  si  veda,  altresì,  della  Natte  sesta 
il  colloq.  VI.,  nel  quale  ai  «trionfi»  romani,  «effetto  di  torrenti  di  sangue  e  di  secoli 
di  sofferenze  disastrose  »,  è  0])posto  il  trionfo  riportato  dalla  Chiesa  «  col  solo  ministtìrio 
della  sua  divina  favella  ». 

(1)  Serm.  sur  le  trioniphe  de  la  religion,  in  Oeuvres  de  Massillon,  Paris,  Renouard 
MDCCCX,  voi.  VI.,  pp.  221-2.  V.  anche  le  pp.  204-5  sull'oltretomba  pagano,  frutto  di 
fallaci  super.stizioni,  in  confronto  con  le  «espérances  plus  nobles  et  plus  sublimes» 
promesse'dalla  religione  cristiana. 

(2)  Serm.  pour  le  jour  de  Noèl,  in  Oeuvres  (ed.  cit.),  voi.  I.,  pp.  341-3.  Dell'abiettezza 
e  dell'empietà  —  come  il  facondo  oratore  sentenzia  —  de'  culti  idolatri,  v.  nel  mede- 
simo voi.  vivaci  descrizioni  a  pp.  331-3.  —  Roma  stessa  —  egli  osserva  —  vedeva 
sorgere  tra  le  sue  mura  «les  idoles  diverses  de  tant  de  peuples  souniis,  qui  deve- 
noient  plutót  les  monuments  publics  de  sa  folle  et  de  son  aveuglenieiit  que  de  ses 
victoires»  (p.  333).  V.  anche  pp.  349-50,  354-5. 


LA   GENESI   ÈTICO -RELIGIOSA  21 


che  si  vantavano  d' insegnare  la  disciplina  delle  passioni  (^),  il  vi- 
tuperio di  quella  «fiction  aussi  grossière»  per  cui  con  l'autorità 
compiacente  degli  storici  e  de'  poeti  s' immaginavano  saliti  all'  im- 
mortalità dell'Olimpo  gli  eroi  e  si  trascinava  l' universo  ad  adorare 
«  des  imposteurs»  (*),  l'accusa  di  far  servire  furbescamente  a  scopi 
politici  certi  riti  religiosi  (*).  In  quel  sermone,  appunto,  Sur  la 
vérité  de  la  religion,  che  ha  più  stretta  attinenza  con  le  idee  del 
Manzoni,  intende  dimostrare  «  1'  anciennité,  »  la  «  perpetuité  »  «  1'  u- 
niformité»,  attraverso  i  secoli,  della  religione  e  colpisce  ripetu- 
tamente la  morale  pagana.  «  L' idolatrie  —  egli  dice  —  inspiroit  à 
l'homme  des  sentiments  insensés  de  la  Divinité:la  philosophie,  des 
sentiments  peu  raisonnables  de  lui  -  méme:  la  cupidité,  des  sen- 
timents injustes  envers  les  autres  hommes  »  :  è  «  la  sagesse  de  la 
religion  qui  remédie  à  ces  trois  plaies  >  (^).  «  Une  vaine  philosophie 
—  esclama  1'  oratore  francese  —  avoit  dégradé  1'  homme  jusqu'  au 
rang  des  bètes,  en  lui  faisant  chercher  sa  félicité  dans  les  sens  ; 
r  avoit  follement  élevé  jusqu' à  la  ressemblance  de  Dieu,  en  lui 
persuadant  qu'  il  pouvoit  trouver  son  bonheur  dans  sa  propre  sa- 
gesse »  (^). 

Ci  ritornano  in  mente  gli  esempi  d'orgoglio  romano,  quali  Bruto, 
Catone  e  Fabrizio,  analizzati  al  lume  del  Vangelo  dal  Manzoni , 
quando  leggiamo  nel  Massillon  :  «  la  philosophie  n'apprenoit  avec 
faste  à  mépriser  le  monde,  que  pour  s'attirer  les  applaudissements 
du  monde  ;  elle  cherchait  plus  la  glorie  de  la  sagesse  que  la  sagesse 
elle  -  mème.  En  detruisant  les  autres  passions,  elle  en  élevoit  tou- 
jours  une  plus  dangereuse  sur  leurs  ruines:  je  veux  dire,  l' or- 
gueil  »  C').  E,  in  particolare,  ci  sembra  che  quella  fiera  disamina 
della  celebrità  di  Fabrizio  e  del  falso  culto  della  gloria  umana, 
perpetuantesi  ne'  secoli  cristiani,  collimi  perfettamente  con  queste 
riflessioni  dell'apologista  francese :«  Je  sais  que  le  monde  se  vante 
d' un  fantòme  d'  honneur  et  de  probité  indépendant  de  la  religion: 
il  croit  qu'on  peut  ètre  fidèle  aux  hommes  san  étre  fidèle  à  Dieu; 
étre  orné  de  toutes  les  vertus  que  demando  la  societé  sans  avo  ir 
celle  qu'  exige  l' Evangile:  et  en  un  mot,  étre  honnète  sans  étre 
chrétien».  Questi   «  héros   d' honneur  et  de  probité»,  che  il  mondo 


(1)  Ibid.,  pp.  347-50. 

(2)  Semi,  sur  la  divinité  de  lésus -  Christ ,  in  Oeuvres  (ed  cit.),  voi.  I.,  p.  387. 

(3)  Serm.  sur  la  vérité  de  la  religion,  in  Oeuvres  (ed.  cit.)  voi.  II.,  p.  93. 

(4)  Ibid. ,  p.  89. 

(5)  Tbid..  p.  90. 

(6)  Ibid. ,  p.  100. 


22  PARTE   PRIMA 


esalta  sopra  i  «  véritables  justes  de  1'  Évangile  »  —  continua  il  Mas- 
sillon  —  non  sono  mossi  che  dall'orgoglio  e  dall'ambizione  di  gloria, 
della  quale  tanto  più  è  prodigo  il  mondo,  perchè  si  tratta  di  virtù 
civili,  di  quelle  «  formées  par  les  regards  publics,  »  di  quelle  che 
si  coltivano  per  «  décréditer  un  ennemi  »  o  per  «  supplanter  un 
concurrent».  (^)  Anche  il  Massillon  vede  nel  paganesimo,  oltre  che 
la  follia  della  ragione,  la  depravaziohe  del  cuore:  «  si  de  la  religion 
—  ei  soggiunge  —  vous  passez  à  la  morale,  touts  les  principes  de  l'é- 
quité  naturelle  etoient  effacés,  et  l' homme  ne  portoit  écrit  dans  son 
coeur  r  ouvrage  de  cette  loi  que  la  nature  y  avoit  gravée  »:  tutte  le 
scuole  filosofiche  dell'antichità  corrompevano  i  costumi  e  degradavano 
r  umana  natura,  non  meno  la  platonica  per  aver  attentato  alla  san- 
tità della  famiglia  che  l'epicurea;  «les  plus  honteuses  dissolutions 
devinrent  des  maximes  de  philosophie  »  ;  i  vizi  stessi  più  abbomine- 
voli  ebbero  culti  divini  ;  imperversava  non  «  seulement  le  dérègle- 
ment  des  peuples,  mais  des  sages  et  des  philosophes  ;  »  si  molti- 
plicavano le  opinioni  e  le  scuole  della  filosofia  pagana,  disputanti 
erratamente  sui  più  gravi  problemi  dello  spirito.  (*)  Che  erano  le 
stesse  presunte  virtù  de'  pagani  in  confronto  di  quelle  cristiane? 
Alla  «  vaine  constance  des  sages  et  des  philosophes  »  —  risponde  in 
altro  sermone  il  Massillon  —  si  contrapponeva,  tanto  più  pura  ed  eroica, 
la  «fermété»  dimostrata  da  tante  dfeboli  fanciulle  e  da  teneri  gio- 
vinetti e  vecchi  cadenti,  fra  i  tormenti  di  un  lungo  martirio.  (') 

Degli  altri  scrittori  cattolici  francesi,  assai  familiari  al  Manzoni, 
il  Bossuet  meno  s'intrattiene  sull'etica  pagana,  ma  piuttosto  sui 
culti  idolatri,  il  Bourdaloue,  esaltando  la  pace  cristiana,  dimostra 
come  la  filosofia  e  la  ragione,  con  l' avvento  del  cristianesimo,  do- 
vessero sottomettersi  alla  fede^  il  Nicole  accenna^  senza  lunghe 
disquisizioni,  alla  superiorità  della  religione  sulla  filosofia  morale;  {*) 
più  largamente  ne  tratta  il  Pascal  in  taluni  pensieri  che  certamente 
il  Manzoni  conobbe  e  meditò  non  senza  frutto.  La  critica  sottile  del 
Pascal  appunta  ai  culti  religiosi  del  paganesimo  il  carattere  unico 
d'esteriorità,  l'ignoranza  del  peccato  originale,  le  «fausses   divini- 


(1)  Semi,  sur  la  fausseté  de  la  gioire  humaine,  in  Oeuvres,  (ed.  cit.)  voi.  VI.,  pp. 
141  -2,  146. 

(2)  Serra,  cit.  sur  la  verlté  de  la  relig.,  pag.  113-17. 

(3)  Semi,  sur  les  afflictions,  in  Oeuvres    (ed.  cit.,)  voi.  I.,  pp.  153-4. 

(4)  Bossuet,  Sermons  pour  le  jour  de  la  Pentecóte,  in  Oeuvres,  Versailles,  de 
r  imprimerie  de  I.  A.  Lebel,  1816,  voi.  XIV,  pp.  128,  134.  —Bourdaloue,  Sur  la  paia; 
chrétienne ,  in  Sermons  pour  le  Caréme,  Lyon,  Anisson  et  Posuel,  MDCCVIII,  voi.  I., 
pp.  351,  366.  -  Nicole,  Essais  de  morale,  in  Oeuvres,  Paris,  Desprez,  MDCCC,  voi.  XI, 
passim. 


tA   GENESI    ETICO  -  RELIGIOSA  23 


tés»  adorate,  le  «diverses  tliéologies » ,  le  «mille  sectes  différentes > , 
0  fomentatrici  d'orgoglio  o  dissolvitrici  de'  valori  dell' umana  natu- 
ra, la  conoscenza  vaga,  professata  dai  filosofi^  d'un  «Dieu  consi- 
deré  comuie  grand,  puissant  et  éternel,»  d'  un  «  Dieu  simplement  au- 
teur  de  vérités  géométriques  et  de  l'ordre  des  éléments»,  —  mise- 
rabile e  vana  credenza,  senza  il  conoscimento  retto  della  miseria 
dell'uomo,  (^)  senza  il  sentimento  d'un  «Dieu  d'amour  et  de  con- 
solation»  — ,  l'insufficienza  assoluta  a  sostenere  e  consolare  l'anima 
nelle  afiBizioni  più  gravi^  anche  se  sia  un  Socrate  o  un  Seneca  che 
parli  come  nella  considerazione  della  morte  :  vano  insomma  è  giu- 
dicato dal  Pascal  ogni  principio  o  discorso,  ove  non  splenda  l'idea 
del  sacrifizio  e  la  consolazione  della  grazia,  né  utile  ad  altro  che 
a  mostrare  «  combien  l' homme  en  general  est  foible,  puisque  les 
plus  hautes  productions  des  plus  grands  d' entro  le  hommes  son  si 
basses  et  si  puériles  »  (*). 

Del  resto^  o  dimostri  con  grande  vigore  polemico  le  verità  cri- 
stiane o  analizzi  con  profondità  singolare  il  cuore  umano,  noi  sen- 
tiamo sempre  presente  e  operosa  nel  pensiero  del  grande  moralista 
francese^  anche  quando  non  sia  deliberata  ed  aperta^  l'antitesi  tra 
la  morale,  fondata  sulla  rivelazione^  e  i  vani  sforzi  del  pensiero  fi- 
losofico, antico  e  moderno,  intesi  a  risolvere  i  problemi  dell'  uomo 
e  del  suo  destino  :  i  due  termipi,  entro  cui  medesimamente  si  svolge 
la  dottrina  etica  del  Manzoni. 

Anche  questa  rapida  disamina  de'  sentimenti  e  giudizi,  espressi 
dal  nostro  poeta  sul  gentilesimo,  ci  permette  di  conchiudere  che  il 
suo  pensiero  all' infuori  della  tradizione  e  della  morale  religiosa  non 
vedeva  cbe  aberrazione  e  oscuramento  dell'  umana  coscienza  ;  e  che, 
apertamente  ostile  verso  l' etica  e  la  letteratura  pagana^  se  pur 
trovava  rafforzamenti  e  consensi  ne'  divulgati  principi  della  dottri- 
na romantica,  derivò,  —  rielaborato  con  diretta  e  rigorosa  medita- 
zione, fin  da  quando  probabilmente  ideava  gV  Inni  sacri  —  dalle 
fresche  fonti  di  quella  letteratura  apologetica  de'  grandi  scrittori 
sacri  e  moralisti  francesi,  che  per  molti  segni  manifesti  e  per  altri, 
che  verremo  rintracciando,  dobbiamo  considerare  come  il  vivaio 
intellettuale  della  sua.  nuova  coltura  e  coscienza  cristiana. 


(1)  Pensées  (ed.  Flammarion),  pp.  75,  76,  78,  81,  84-5,  S9-90,  91,  17J. 

(2)  Op.  CU.,  pp.  282-3.  V.  anche  la  Prière,  in  append.  ai  Pensieri  (ed.  cit.)  p.  324. 
Contro  i  Platonici,  in  particolare,  Epitteto  e  i  suoi  seguaci  si  veda  a  pp.  278-7». 


24  PARTE   PRIMA 


III.  Il  più  grande  conflitto  che  si  agita  nell'ordine  delle  idee  e 
delle  azioni  —  tanto  più  nella  pienezza  della  civiltà  moderna  — 
il  Manzoni  lo  scorge  tra  lo  spirito  del  secolo  e  la  morale  religiosa; 
che  è,  del  resto,  l'eterno  contrasto  del  mondo  con  l' ideale.  Il  Man- 
zoni in  questo  grave  problema  ha  trovato  incitamento  e  materia  d- 
lunghe  e  profonde  meditazioni,  —  anche  più  di  quello  che  non  ap- 
paia da'  suoi  scritti  — ,  e  ne  ha  dedotti  principi,  concetti  e  giudizi 
che  costituiscono  uno  de'  fondamenti  della  sua  visione  morale  del 
mondo.  Cercherò  di  ordinarli  conformemente  al  fine  che  mi  sono  pro- 
posto in  questa  prima  parte  del  mio  lavoro. 

Bisogna  distinguere.  «Se  per  spirito  del  secolo  —  scrive  il  Man- 
zoni —  s'intende  la  tendenza  violenta  ad  alcune  cose  transitorie 
come  beni  da  ricercarsi  per  sé,  l'amore  e  l'odio  insomma  delle  crea- 
ture non  diretto  ai  fini  voluti  da  Dio»,  il  Vangelo  gli  si  protesta 
nemico  e  non  desisterà-  mai  dalla  guerra  intimata  (^).  Allora  fra 
Cristoforo  si  drizza  in  nome  di  Dio  contro  1'  abbominevole  passione 
di  don  Rodrigo  ;  Lucia^  turbata  di  terrore  e  di  sdegno  segreto,  dice 
all'Innominato:  «perchè  mi  fa  patire  le  pene  dell'inferno?  Cosale 
ho  fatto  io?»  e  Federigo  chiama  dinanzi  al  tribunale  della  legge 
evangelica  la  paura  ingannatrice  e  mendace  dì  don  Abbondio. 

Ma  lo  spirito  del  secolo  è^  altresì,  secondo  altri  intende,  somma 
di  «verità  utili  e  generose»,  «  risultato  delle  riflessioni  degli  uomini 
più  illuminati  d'una  generazione»,  patrimonio  intellettuale  e  morale 
«di  tutti  i  popoli  colti »^  conquista  della  ragione  e  testimonio  della 
«coscienza  della  dignità  umana»  (^). 

Ora  è  proprio  vero  che  lo  spirito  della  Chiesa  contrasti  a  così 
fatto  spirito  del  secolo?  Il  Manzoni  non  lo  crede  ed  espone  e  ra- 
giona alcuni  principi.  Ma  è  interessante  quella  premessa,  involgente 
la  scettica  condanna  della  vantata  pubblica  opinione  :  «  Uno  dei  ca- 
ratteri dello  spirito  predominante  di  tutti  i  secoli  è  una  forte  per- 
suasione di  alcune  idee  che  degenera  in  tirannia  d'opinione , 

precipitosa,  impaziente  d'  ogni  obbiezione  e  dì  ogni  esame,  vaga  di 
parlare,    nemica  di  ascoltare  e  di  dare  spiegazioni  »  (*)  :    violenza 


(1)  Oss.  s.  mor.  catt.  (ed  cit.),  p.  444. 

(2)  ma.,  pp.  444-5. 

(3)  Ibid. ,  446. 


LA    GEx\ESI   ETICO -RELIGIOSA  25 


imperiosa  del  pensiero,  che  non  ha  rimosso  la  Chiesa  dal  «  predicare 
costantemente  la  follia  della  croce»,  ma  a  cui  certamente  pensava 
il  Manzoni,  nell' osservare  che  «tutte  le  società  cristiane  sono  ve- 
nute a  transazione  col  mondo,  o  per  istanchezza  o  per  genio,  tutte 
sono  giunte  a  modellare  le  verità  eterne  sulla  ragione  del  secolo»  (^). 

E  pur  nello  spirito  del  secolo  e'  è  sempre  qualche  cosa  di  labile, 
di  manchevole,  di  perturbato  :  o  perchè  abbia  la  più  forte  persua- 
sione di  sentire  rettamente  e  sia,  per  contro,  in  errore;  o  perchè 
esageri  i  principi  giusti,  su  cui  si  fonda;  o  perchè  li  sostenga  «per 
motivi  di  passione  e  con  passione»;  o  perchè  travisi,  non  conoscen- 
dola e  non  amandola,  la  religione  stessa  ne'  suoi  dogmi  e  nelle  sue 
massime;  o  perchè,  infine,  gli  stessi  difensori  di  lei  ne  sconoscano 
lo  spirito  o  per  ignoranza  o  per  fini  particolari.  Le  opinioni  umane 
oggi  trionfano  e  domani  decadono  :  un  secolo  riconosce  false  quelle 
che  un  altro  stimava  vere;  i  pensieri  degli  uomini  non  sono  che 
una  «successione  di  certezza  e  di  disinganno».  La  sola  Chiesa,  né 
precipitosa,  né  servile,  né  incostante,  non  muta,  «  lascia  scorrere 
le  opinioni,  sicura  che  tutte  quelle  che  le  sono  contrarie,  svaniran- 
no »  e  alla  «mutabilità  dei  cervelli  umani»  oppone  «l'immutabilità 
delle  verità  rivelate».  Ma  la  prova  è  grave  e  formidabile  per  la 
società  cristiana:  «quando  alcuna  delle  idee  predominanti  è  con- 
traria alla  religione,  la  tentazione  è  forte  per  molti  ;  a  pochi  è  dato 
di  volere  e  poter  uscire,  per  dir  cosi,  dall'  atmosfera  generale  delie 
idee,  e  trasportarsi  in  un  campo  piìi  tranquillo  e  sereno».  Pel  Man- 
zoni non  e'  è  via  di  mezzo  :  il  nostro  giudizio  —  egli  dice  nella 
chiusa  di  una  fervida  e  accorata  perorazione  —  ci  travia  ogni  qual- 
volta si  allontana  da  quella  società,  con  cui  Cristo  starà  fino  alla 
consumazione  dei  secoli:  all' infuori  della  Chiesa  e  della  sua  «legge 
divina»  non  c'è  che  follia  e  depravazione  (*).  Al  lume  di  questi 
principi  e  concetti  il  Manzoni  scrutò  e  ricostruì  il  mondo  storico-mo- 
rale de'  Promessi  sposi,  dove  lo  spirito  del  secolo,  nella  molteplice 
varietà  delle  aberrazioni  individuali  e  sociali,  appare  in  più  risen- 
tito contrasto  con  lo  spirito  e  i  precetti  della  legge  di  Dio. 

Certo,  «  nelle  opinioni  d'  un  secolo  vi  può  essere  del  vero  e  del 
falso»;  in  tal  caso  la  religione  s'accorda  con  quello  e  combatte 
questo;  ma  non  ammettendosi,  per  esser  l'uomo  «sistematico  per 
natura»,  distinzione  tra  l'uno  e  l'altro,  l'opposizione  tra  il  mondo 
e  il  Vangelo  durerà  :  «  il  mondo  —  pensa  il  Manzoni  —  non  vuole 


(1)  ma.,  p.  445,  n.  1. 

(2)  Ibid.,  pp.  446-55. 


26  PARTE   PRIMA 


riconoscere  la  bellezza  e  la  verità  di  tutto  il  sistema  di  morale  cri- 
stiana»; comunque  sia,  la  Chiesa  distingue,  accetta  o  condanna,  e, 
ove  disapprovi  un  principio  —  per  esser  creato  da  pregiudizi,  da 
fallaci  sentimenti  o  interessi  di  una  data  epoca  sociale,  —  ne  con- 
trappone sempre  un  altro  «più  alto,  più  perfetto,  più  eroico,  più 
universale,  più  liberale».  (^) 

Questa  contrapposizione  etica,  generata  da  mischianza  di  giusto 
e  di  falso  nelle  massime  del  mondo,  è  una  delle  segrete  correnti 
ideali  del  mondo  poetico  manzoniano,  come  quella,  in  fondo,  che 
riflette  la  mezzana  attività  spirituale  dell'  uomo  e  della  società,  la 
consueta  realtà  della  storia.  La  maggior  parte  delle  creature,  usci- 
te od  elaborate  dalla  meditativa  fantasia  del  Manzoni,  non  sono 
che  incarnazioni  dello  spirito  del  secolo:  personaggi  individui  o 
gruppi  sociali  o  folle  che  siano;  buona  parte,  poi,  riverberano 
nella  loro  personalità  psicologica,  o  almeno  in  certe  circostanze  e 
situazioni,  idee  e  stati  d'animo  mischiati  di  falso  e  di  vero^  o  che 
nella  loro  condotta  si  scorgano  «  conseguenze  storte  »  derivate  da 
«principi  retti»,  o  «conseguenze  che  sono  verità»,  mentre  sono 
«  storti  »  i  principi  prestabiliti.  (*) 

Ciò  che  il  Manzoni  osservava  nell'ordine  delle  idee  può  esser  con- 
siderato anche  nell'  ordine  de'  sentimenti  e  delle  azioni,  tanto  più 
da  un  osservatore,  come  lui,  che  tra  la  logica  del  pensiero  e  la  lo- 
gica dell'  azione  trovava  così  intima  connessione  e  reciprocanza. 
Renzo  strappa  con  la  violenza,  con  la  minaccia  di  morte,  il  segreto 
a  don  Abbondio;  eppure  il  motivo  di  voler  conoscere  i  fatti,  di 
sventar  l'inganno  e  la  menzogna  era  «giusto».  Medesimamente  lui 
con  Lucia  s' introduce  in  casa  del  curato  «  a  tradimento  »  —  come 
questo  diceva  —  «per  fare  un  matrimonio  contro  le  regole»,  (*) 
eppure  l' irregolarità  nasceva  da  un  sacrosanto  diritto.  Don  Abbon- 
dio accusa,  per  iscusarsi  ;  Federigo  assolve  nella  sua  generosa  pietà  ; 
Agnese,  consigliera  dell'  espediente,  è  proprio  lei  che  incarna  lo 
spirito  logico  della  situazione:  non  «  istà  bene»;  sono  «imbrogli», 
è  contro  la  legge  cattolica,  ma  ella  sente  che  il  motivo  del  suo  con- 
siglio e  dell'impresa,  riuscita  poi  come  ognun  sa,  non  è  «contro 
il  timor  di  Dio  »;  {*)  ed  ha  ragione.  Il  vecchio  servitore,  che  è  stato 
a  sentire  all'uscio  di  don  Rodrigo,  e  fra  Cristoforo,  che  lo  loda  di 
ciò,  fanno  una  cosa,  «  secondo  le  regole  più  comuni  e  non  contrad- 


(1)  ma.,  pp.  456-9. 

(2)  Jbid.,  p.  456. 

(3)  /  promessi  sposi,  in  Opere,  voi.  I.,  Hoepli,  Milano,  1905,  p.  380. 

(4)  Proni,  sp.,  (ed.  cit.)  cap.  VI,  pp.  82,  83. 


LA   GENESI   ETICO -RELIGIOSA  27 

dette»,  «molto  brutta»,  e  il  Manzoni  fa  scherzosamente  l' indiano 
nel  ritrarsi  dal  darne  giudizio;  è,  sì,  «  brutta  »,  ma  il  motivo  è  santo. 
E  come  no,  se  fra  Cristoforo  vede  in  queir  inaspettato  aiuto  «  un 
segno  visibile  della  protezione  »  del  «  cielo  »  ?  (^)  Cosi,  ragionando 
argutamente  intorno  al  colpo  tentato  su  don  Abbondio,  scusa  Renzo 
che  «ha  tutta  l'apparenza  d'un  oppressore»  ed  è  «l'oppresso», 
non  compatisce  don  Abbondio,  che  pare  «la  vittima  »,  ma  nel  fatto 
commette  «  un  sopruso  ».  (^)  Qualche  volta,  dunque,  nella  sua  bonaria 
indulgenza  il  poeta  assolve  il  mondo:  non  lo  sentiamo  compatire 
la  brigatella  de'  fuggiaschi,  anche  della  dissimulazione  usata  con 
fra  Cristoforo,  osservando  —  non  senza  uno  spizzico  d'ironia  per 
gli  accorgimenti  umani  — ,  che  quella  «  era  la  notte  degl'  imbrogli 
e  de'  sotterfugi  »  ?  (')  Gli  è  che  il  Manzoni,  se  ha  in  mente  il  Van- 
gelo e  i  comandamenti  della  Chiesa,  non  sempre,  però,  ne  trae  ar- 
gomento per  condannare  e  colpire  :  nel  gioco  vario,  complicato, 
misterioso  degl'  impulsi  e  delle  affezioni  del  cuore  umano,  si  guarda 
dalle  fiere  antitesi,  massime  se  si  tratti  d'anime  buone  e  angustia- 
te; le  riserva,  invece,  dove  e  il  motivo  dell'azione  e  le  sue  con- 
seguenze contrastano  scelleratamente  alla  legge  di  Dio  :  e  allora 
sceglie  taluni  personaggi  e  li  mette  in  azione,  come  fra  Cristoforo 
e  Federigo,  padre  Felice,  e  li  cerca  pur  tra  gli  umili  devoti,  come 
Lucia,  il  sarto  del  villaggio  e  sua  moglie,  la  madre  di  Cecilia,  il 
barcaiuolo  del  lago  e  il  barocciaio  di  Monza,  per  incarnarvi  i  suoi  alti 
concetti  morali  e  religiosi,  per  riflettervi  ciò  che  dello  spirito  del  secolo 
la  religione  accetta  come  conforme  al  suo  spirito  e  alla  sua  legge. 
Ma  la  figura  tipica,  che  riflette  il  non  raro  caso  nel  mondo  di 
cavar  conseguenze  storte  da  retti  principi,  è  donna  Prassede,  la 
«vecchia  gentildonna  molto  inclinata  a  far  del  bene»,  ma  con  la 
conseguenza  di  farlo  servire  a  «  molte  idee  storte  »  che  ha  in  capo, 
di  adoperar  mezzi,  che  fanno  riuscire  al  fine  contrario  o  che  ella 
crede  leciti,  e  non  lo  sono.  Non  è  retto  quel  principio:  «dimmi 
chi  pratichi  e  ti  dirò  chi  sei  »  ?  (*)  Ma  voler  raddrizzare  il  cervello 
a  Lucia,  perchè  s' è  promessa  a  quello  «  scampaforca  »  di  Renzo, 
ma  parlargliene  spesso,  con  «  avversione  »  e  «  disprezzo  »,  con  «  odio 
cieco  e  violento  »  (^)  ha  per  effetto  tutt'  altro  risultato  da  quello  che 
si  propone  di  ottenere. 


(1)  ma.,  p.  80. 

(2)  Prom.  sp. ,  cap.  Vili  p.  109. 

(3)  ma.,  p.  120. 

(4)  Prom.  sp.,  cap.  XXV,  p.  370. 

(5)  md. ,  pp.  397,  398. 


28  PARTE   PRIMA 


Don  Abbondio  stesso  è  stato  mosso  da  una  buona  idea  nel  «  met- 
tersi in  una  classe  riverita  e  forte»,  ma  la  conseguenza  sarebbe  di 
esercitare,  perciò,  con  intrepidezza  il  suo  ministero;  move  da  un 
buon  principio  nel  proporsi  d'usar  prudenza  e  cautela  in  una  so- 
cietà, come  la  sua,  superba,  torbida  e  violenta,  ma  è  falsa  la  pra- 
tica sua  conseguenza  di  ubbidire  all'  «  iniquità  » ,  d' ingannare  i  de- 
boli, di  «  mentire  ai  suoi  figliuoli  »,  come  gli  rimprovera  Federigo (^). 
Don  Abbondio,  infine,  vorrebbe  essere,  o  crede  di  essere,  un  buon 
teorico,  uno  —  direbbe  non  senza  ironia  il  Manzoni  —  de'  «  galan- 
tuomini del  nequid  nimis  »  (^),  non  meno  degli  «  istitutori  »  di  Fe- 
derigo giovinetto,  de'  presentuosi  moderatori  delle  sue  singolari 
virtù,  di  «  que'  prudenti  —  osserva  il  Manzoni  —  che  s'adombra- 
no delle  virtù  come  de'  vizi  »  e  «  predicano  sempre  che  la  perfe- 
zione sta  nel  mezzo»  (*):  principio  sostanzialmente  giusto,  ma  bia- 
simevole nella  pratica,  se  ad  attuarlo  non  seguiamo  che  il  nostro 
egoismo  e  la  nostra  comodità. 

La  rabbia,  lo  sdegno  di  Renzo  contro  l' iniquità  prepotente  di 
don  Rodrigo  è  giusto:  lo  sente  fra  Cristoforo  (^),  1'  ammette  Fede- 
rigo (^),  incolpandone  don  Abbondio:  ma  la  vendetta,  il  proditorio 
omicidio,  ma  il  voler  far  lui  la  giustizia  {'^)  è  un'  orribile  conse- 
guenza dello  spirito  del  secolo,  una  sciagurata  offesa  al  Vangelo  ('). 

Questo  sottile  fluido  che  si  mescola  ai  nostri  sentimenti  e  pensieri 
e  atti,  anche  a'  più  gravi  e  solenni,  creando,  dirò  così,  le  paralogie 
e  le  antilogie  della  vita,  circola  per  entro  tutto  il  mondo  de'  Pro- 
messi Sposi.  Perfin  Lucia,  la  prediletta  creatura  ideale  del  poeta, 
non  sfugge  a  questa  strana  forza  di  limitazione  e  di  contraddizione  : 
quale  pensiero  più  santo,  più  puro,  qua!  motivo  più  legittimo  per 
la  propria  salvezza  che  quello  d'off'rire  in  sacrifizio,  nella  preghiera 
alla  Madonna,  il  suo  bene  più  caro,  in  quella  notte  di  «  gran  tribo- 
lazione »?  Il  proponimento  è  sublime,  ma  le  conseguenze  stonano  : 
la  stessa  autorità  della  Chiesa,  per  la  voce  e  1'  opera  di  fra  Cristo- 
foro, la  scioglierà  dal  voto,  che  al  Signore  —  le  sarà  detto  —  «  non 
potevate  offrire  la  volontà  d'  un  altro,  al  quale  v'  eravate  già  ob- 
bligata »  (*). 


(1)  Ibid. ,  p.  377.    - 

(2)  Prom.  sp.,  cap.  XXII,  p.  322. 

(3)  ma.,  p.  318. 

(4)  Prom.  sp.,  cap.  VII,  p.  89. 

(5)  Prom.    sp.,  cap.  XXVI  p.  381. 

(6)  Prom.  sp. ,  cap.  VII,  p.  90. 

(7)  Prom.  sp.,  cap.  XXXV,  p.  526. 

(8)  Prom.  sp.,  cap.  XXXVI,  p,  543. 


LA    GENESI   ETICO  -  RELIGIOSA  20 


Se,  poi,  osserviamo  le  opinioni  dominanti  nella  società  di  quel 
secolo  «  eh'  ebbe  —  secondo  dice  il  Manzoni  —  quant'  altro  mai 
un'  alta  e  ferma  idea  dell'  eccellenza  del  suo  spirito  »  (^),  vi  troviamo 
un  gran  concetto  dell'  onore,  una  gran  cura  di  far  leggi,  una  grande 
idea  della  forza,  che  è  in  tutte  le  società  —  qualunque  sia  la  con- 
cezione politica  0  sociale  del  mondo  —  motivo  potente  di  storia, 
un  grande  spirito  di  organizzazione,  e  non  di  rado  d'ardimento  e 
coraggio,  un  vivo  senso  di  dignità  e  di  decoro  e  via  dicendo;  e 
altresì  vediamo  ostentare  —  come  quelle  ch'eran  solite  a  venire 
<  trasmesse  di  generazione  in  generazione  »  —  massime  «  d' abnegazio- 
ne e  d'umiltà»,  «massime  intorno  alla  vanità  de'  piaceri,  all'ingiustizia 
dell'orgoglio,  alla  vera  dignità  e  a'  veri  beni  ».  Ebbene,  erano  prin- 
cipi e  concetti  ottimi  in  sé,  ma  se  ne  traevano  le  più  strane  e  de- 
littuose conseguenze,  come,  per  esempio,  dall'  onore  1'  ombrosa  pre- 
potente albagia  ;  dallo  spesseggiar  delle  leggi  le  «  vessazioni  »  dei 
bonari  e  dei  deboli;  dal  culto  della  forza  e  del  coraggio  personale 
la  violenza  e  la  privata  vendetta  e  spesso  la  prepotenza  della  stessa 
giustizia,  la  voluttà  de'  soprusi  ;  dallo  spirito  d'  associazione  le  leghe 
oligarchiche,  l'impunità  più  sfacciata,  la  solidarietà  nelle  soperchie- 
rie;  dalla,  dignità  la  superbiosità  e  il  fasto.  In  quanto,  poi,  a  quelle 
massime  evangeliche,  eran  predicate,  ma  non  sentite  da  quel  mondo 
sfarzoso  e  superbo,  che  la  semplicità,  la  modestia,  l'abnegazione, 
l'avversione  al  predominare,  l'unica  dignità  di  fare  il  bene  sempre 
a  tutti  erano  le  virtù  troppo  singolari  di  un  Federigo  Borromeo, 
pur  nato  «  tra  gli  agi  e  le  pompe,  »  perch'  ei  non  spiccasse  in  mez- 
zo alla  sua  società.  L'  umiltà  ?  Vedete  il  signor  Marchese,  un  uomo 
de'  migliori  di  quel  secolo,  «  aperto,  cortese,  placido,  umile,  digni- 
toso »  :  fa  compagnia  agi'  invitati  nel  palazzotto,  eh'  era  stato  di  don 
Rodrigo,  li  aiuta  a  servirli,  ma  non  fa  «  una  tavola  sola  »  ;  che 
d'umiltà  —  osserva  con  allegrezza  ironica  il  Manzoni —  «n'aveva 
quanta  ne  bisognava  per  mettersi  al  disotto  di  quella  buona  gente, 
ma  non  per  istar  loro  in  pari»  (*):  era  l'umiltà  come  la  confezio- 
nava, anche  nel  cuore  de'  buoni,  lo  spirito  del  secolo,  non  quella 
del  puro  Vangelo:  questa  diceva  al  cuore  di  Federigo  «non  ci  esser 
giusta  superiorità  d' uomo  sopra  gli  uomini,  se  non  in  loro  ser- 
vizio »  (^). 

C'è,  poi,  nelle  idee  dominanti  d'un  secolo  de'  «  principi  giusti  », 
che  si  sostengono  per  «  motivi  di  passione  e  con  passione  ;  »  di  qui 


(1)  Oss.  s.  mor.  catt.,  p.  450. 

(2)  Prom.  sp.,  cap.  XXXVIII,  pp.  566,  569. 

(3)  Prom.  sp.,  cap.  XXII,  p.  318. 


30  PARTE   PRIMA 


«i  ribollimenti  di  disprezzo  »,«  l'odio  »,  il  «furore»  contro  gì' im- 
pugnatori. Per  contro  la  religione  —  osserva  il  Manzoni  —  comanda 
la  carità  in  tutti  i  casi,  e  anche  in  questi:  persuasione,  pazienza, 
fermezza,  amore  sono  i  suoi  modi  e  precetti,  ma  tanto  amari  «  al 
senso  corrotto,  che  si  spezzano  piuttosto  tutte  le  tavole  della  legge 
che  riconoscer  questa  >.  (')  E  c'è,  altresì,  «l'ammirazione  eccessiva», 
«  gli  affetti  troppo  estesi  »  nel  caldeggiare  le  proprie  idee,  i  propri 
giudizi  per  l'illusione  di  trovare  ne'  sistemi  abbracciati  la  felicità: 
r  esperienza,  poi,  ammaestra  dell'  instabilità  de'  giudizi  e  delle  cose, 
e  questa  è  «  come  un  riposo  dopo  le  agitazioni  »  :  alla  «  ragionevo- 
lezza »  arriviamo,  ma  «  per  la  stanchezza  e  per  una  specie  di  dispe- 
razione »,  mentre  al  lume  del  Vangelo  vi  si  giunge  con  moderazione, 
senza  dolori  inutili,  con  «  tranquilla  riflessione  »,  poiché  —  proclama 
a  gran  voce  il  poeta  cristiano  —  «  tutto  ciò  che  non  è  preparazione 
alla  vita  futura,  tutto  ciò  che  ci  può  far  dimenticare  che  siamo  in 
cammino,  tutto  ciò  che  prendiamo  per  dimora  stabile,  è  vanità  ed 
errore  » .  (*) 

Questo  contrasto  tra  il  mondo  e  il  Vangelo  anche  nel  campo  del 
bene  si  riflette  nella  duplice  vita  di  colui  che  prima  fu  Lodovico  e 
poi  fra  Cristoforo  :  protettor  degli  oppressi  e  «  vendicatore  de'  torti  » 
era  Lodovico,  come  lo  portava  ad  essere  «la  sua  indole  onesta  in- 
sieme e  violenta»;  ma  che  rovello  di  passioni  e  quanti  nemici  e 
che  impegni  e  pensieri  e  perfino  «  raggiri  e  violenze  »  con  1'  aiuto 
de'  bravi  scelti  fra  «  i  più  ribaldi  »  !  «  Vivere  co'  birboni,  per  amor 
della  giustizia»,  ecco  la  trista  divisa  della  sua  «guerra»  contro  i 
prepotenti  suoi  sprezzatori.  (^)  Dove  non  splende  la  luce  del  Van- 
gelo, anche  la  lotta  pel  bene  allo  sguardo  acuto  e  pensoso  del 
Manzoni  non  appare  feconda  che  di  agitazioni  e  disinganni.  Anche 
Re  Desiderio,  violento,  superbo,  pur  nella  giusta  difesa  del  suo  re- 
gno, incarna  questa  trista  passione  del  mondo,  spoglia  d'  ogni  cri- 
stiana virtù;  e  Carlo,  del  pari,  che,  se  scende  in  campo  come  di- 
fensor  della  Chiesa,  s'  avvolge  di  feroce  cupidità  e  di  freddezza 
calcolatrice,  di  astuzia  e  d'inganno.  Il  solo  Adelchi,  che  vive  d'i- 
deale e  di  spirito  religioso,  rivela,  ne'  suoi  tratti  più  nobili,  il 
disinteressato  amore  del  bene:  egli  assomiglia  un  po'  al  Carmagnola, 
ma  la  concezione  di  questo  personaggio  è  confusa  e  incoerente  ;  più 
netta  è  la  fisionomia  psicologica  del  Doge  e  di  Marino,  che  il  giusto 


(1)  Gas.  s.  mor.  coti.,  \>.  -101. 

(2)  md. ,  pp.  402,  463. 

(3)  Proni,  sp.,  cap.  IV,  pp.  'M,  51. 


LA    GENESI    ETICO-RELIGIOSA  31 


dovere  di  salvar  la  Repubblica  oscurano  col  sospetto,  l'inganno  e  la 
fredda  ferocia. 

Fra  Cristoforo  è  Lodovico  purificato  :  sempre  in  campo  per  la  giu- 
stizia e  gli  oppressi  contro  i  sopercliiatori,  opera  nella  luce  e  con 
la  luce  del  Vangelo  :  l' aborrimento,  il  disprezzo,  i  raggiri  e  la  vio- 
lenza non  sono  più  le  passioni  dell'  anima  sua,  ma  la  carità,  la  mo- 
derazione, la  speranza  cristiana.  Se  lo  «  spirito  d' ira  e  d'entusiasmo  > 
infrange  tutti  i  suoi  «  bei  proponimenti  di  prudenza  e  di  pazienza  » 
nel  concitato  discorso,  che  pur  voleva  essere  di  persuasione  e  pre- 
ghiera, con  don  Rodrigo,- quest' è  un'esagerazione  simpatica  del  co- 
raggio cristiano,  1'  inaspettato  trovarsi  «  d' accordo  »  «  dell'  uomo 
vecchio»  col  «nuovo»  (^).  Ma  quale  ne  è  la  conseguenza?  Il  vitu- 
perio e  poco  manca  la  villania  brutale  dell'"  avversario  e  —  quel  che 
è  peggio  —  il  fallimento  dell'  impresa.  Nobilissimo,  ammirevolis- 
simo quel  giganteggiare  del  fiero  difensore  di  Lucia  di  fronte  al 
persecutore  cinico  e  caparbio,  ma  nel  Dio  del  Vangelo,  che  pur 
freme  nel  cuore  e  nella  parola  del  frate,  lampeggia  un  non  so  che 
dell'antico  leova,  e  il  dialogo  si  spezza  e  si  dissolve  nel  cozzo  di 
due  forti,  per  quanto  opposte,  passioni.  L'inflessibile  logica  della 
situazione  doveva  produr  l'insuccesso.  Forse  il  Manzoni  non  ci  pensò, 
ma  noi  vi  sentiamo  la  verità  del  suo  assioma,  che  i  principi  anche 
giusti,  qualora  s'infochino  di  passione,  non  danno  i  migliori  risul- 
tati. Appare,  invece,  fra  Cristoforo  in  tutto  il  puro  fulgore  della  sua 
difesa  cristiana,  quando  conforta  di  speranza  e  di  fede  le  donne  e 
Renzo,  dopo  la  «  perduta  battaglia  »  ;  quando  li  esorta,  nella  chie- 
setta di  Pescarenico,  a  sopportar  quella  «  prova  »  «  con  pazienza, 
con  fiducia,  senza  odio^>  e  prega  e  li  fa  pregare  con  tanta  carità 
anche  per  l' offensore,  «nemico»  di  Dio;  (*)  quando  redarguisce 
Renzo,  riacceso  d' odio  e  di  vendetta,  con  le  sublimi  parole  :  «  tutto 
sarà  castigo,  finché  tu  non  abbia  perdonato  »  e  gì' infonde  un  «sen- 
timento di  perdono,  di  compassione,  d'amore»  (')  pel  suo  offensore 
morente.  La  personalità  del  frate  è  qui  lo  spirito  del  Vangelo  in 
azione,  dove  più  la  giustizia,  la  «verità»,  la  bellezza  di  un' idea  e 
d'un  diritto  danno  all'animo  luce  e  forza. 

Ma  quante  volte,  come  nelle  passioni  che  si  mischiano  ai  «gravi 
avvenimenti  politici»,  «gli  uomini  abbracciano  un  sistema  per  pas- 
sione,   veggiono   in   quello   una  bellezza  e  una   perfezione  al  di  là 


(1)  Pruìi.  sp.,  cap.  \'I,  pp,  78,  77. 
(•i)  Pruni,  sp.,  cap.  Vili,  pp.  120,  121. 
(:',)  Prora,  sp.,  cap.  XXXV,  pp.  527,  529. 


32  PARTE   PRIMA 

dal  vero,  e  se  ne  promettono  effetti  esagerati  ed  impossibili  >,  e  poi 
per  «la  mutabilità  naturale  dell'uomo»  o  per  l'avverarsi  de'  fatti 
«o  minori  d'assai  o  contrari  all'aspettazione»,  passano  dalla  «vee- 
menza »  al  «  raffreddamenfo  »,  dall'idolatria  allo  sprezzo  (^)!  È  legge 
che  tocca  massimamente  la  psicologia  delle  folle  :  è  il  momento 
che  gli  uomini  si  fan  moltitudine  e,  «  trasportati  da  una  rabbia  co- 
mune», si  sollevano  a  tumulto  e  Renzo  stesso  vive  nell'opinione  e 
passione  comune  ;  il  momento  che  si  sogna  e  si  grida  :  «  abbondan- 
za »  (*)  in  mezzo  alla  carestia  e  alla  miseria,  ci  s' inebria  del  grido 
«legge  nuova»  ('),  mentre  l'occhiuta  tirannide  prepara  le  esemplari 
impiccagioni  (*).  Ma  forse,  dopo  «  i  gran  fatti  »  della  prima  giornata, 
quella  gente  è  contenta  e  concorde?  Non  pare  da  quella  «babilonia 
di  discorsi»  {^),  a  cui  accenna  il  potente  scrutatore  di  folle.  E  poi  ? 
Poi  —  a  dire  di  quel  mercante  milanese  nell'osteria  di  Gorgonzola  — 
Milano,  quand'egli  n'era  uscito,  «pareva  un  convento  di  frati»  {^). 
Esagerazioni,  !  chò  dopo  la  sedizione  del  giorno  di  S.  Martino  e 
del  seguente,  il  pane  è  rinvilito  e  si  sciala  in  piena  festa  e  bal- 
danza. Passione  per  passione  :  come  la  moltitudine  si  è  prefìssa  di 
aver  l'abbondanza  (ottimo  scopo!)  ma  è  ricorsa  per  passione  al  -sac- 
cheggio e  all'  incendio  (pessimi  mezzi  !),  così  con  le  tariffe  violente 
la  passione  caparbia  di  chi  governa  s' illude  e  illude  ;  ma  quando 
la  carestia  opera  ormai  «  senza  ritegno  e  con  tutta  la  sua  forza»  ('), 
queir  umanità  appassionata  non  offre  che  spettacolo  di  squallore  e 
miseria,  d'abbattimento  e  di  morte. 

Ah!  son  giusti  i  principi  di  Renzo  che  predica  alla  gente  e  san- 
tissimi quei  suoi  progetti,  perchè  «  il  mondo  vada  un  po'  più  da 
cristiano  »  (^),  ma,  per  quella  sua  persuasione,  nata  «  in  mezzo  al- 
l'agitazione  di  tanti  sentimenti,  di  tante  immagini»  di  quel  giorno, 
che  «  ormai,  per  mandar  ad  effetto  una  cosa,  bastasse  farla  entrare 
in  grazia  a  quelli  che  giravano  per  strade»  (•'),  fa  quella  tal  pre- 
dica, tanto  ammirata  e  applaudita,  ma  che  per  poco  non  lo  porta 
sulla  forca!  Vedete:  l'ingenua  passione  d'un  uomo  che  ama  la  giu- 
stizia, può  darlo    in  pasto    alla  ferocia  de'  furbi.  Se  a  qualche  cosa 


(1)  Oss.  s.  mor.  catt.,  pp.  463,  464. 

(2)  Proni,  sp.,  cap.  XI,  p.  177. 

(3)  Proni,  sp.,  cap.  XIV,  p.  212 

(4)  Piloni,  sp.,  cap.  XII  p.  187,  cap.  XVI,  p.  245. 

(5)  Proni,  sp.,  cap.  XÌV,  p.  205. 

(6)  Proni,  sp.,  cap.  XVI,  p.  245. 

(7)  Proni,  sp.,  cap.  XXVII,  p.  407. 

(8)  Proni,  sp.,  cap.  XIV,  p.  206. 

(9)  Ivi,  p.  205. 


LA    GENESI    ETICO -RELIGIOSA  3'J 


valgono  l'avvedimento,  la  moderazione  e  la  prudenza,  che  sono  poi  le 
virtù  de'  forti,  non  c'è  causa  che  più  ne  abbisogni  quanto  quella 
di  raddrizzar  le  cose  storte  di  questo  mondo.  Che  le  sue  creature 
fossero  quasi  tutte  figliazioni  del  secolo,  se  si  tolgano  fra  Cristoforo, 
Federigo  e  Lucia  —  e,  quasi,  nemmeno  questi  del  tutto  i^)- —  lo  sapeva 
bene  il  Manzoni,  il  quale  pur  di  Renzo,  che,  al  dir  d'Agnese,  «  era 
un  giovane  quieto,  fin  troppo  »  (*),  dice  che  non  era  «  punto  un 
uomo  superiore  al  suo  secolo  »  (-*). 

Un  altro  punto  d'opposizione  tra  lo  spirito  del  secolo  e  il  Vangelo 
è  «  che  la  religione  ha  molte  massime,  che  sembrano  meschine  al 
mondo,  perchè  ella  è  detta  follia»;  che  sono  piene  della  «più  pro- 
fonda sapienza»;  che,  «  non  sono  follia  al  senso  corrotto  dell'uomo 
se  non  perchè  vengono  da  un  punto  di  perfezione  »  {*).  E  veramente 
«  follia  »  e  veramente  «  massime  »  che  paiono  a'  corrotti  «  mandar 
il  mondo  sottosopra  »  sono  quelle  evangeliche  pai'ole  di  fra  Cristo- 
foro, richiesto  della  sua  «  sentenza  »  nella  nota  disputa  cavalleresca 
alla  mensa  di  don  Rodrigo:  «il  mio  debole  parere  sarebbe  che  non 
vi  fossero  né  sfide^  né  portatori,  né  bastonate  »  (^).  In  altre  circo- 
stanze, per  uno  scapestrato  furfante  qual  è  quel  conte  Attilio,  complice 
de'  neri  disegni  di  don  Rodrigo,  il  difensore  di  Lucia  è  un  provo- 
catore attaccabrighe  (^),  per  il  conte  zio,  stupenda  incarnazione  della 
mondanità  boriosa  e  politicante,  l' idea  che  <  il  bordone  di  san  Fran- 
cesco »  valesse  a  tener  «  legate  anche  le  spade  »  {')  è  tale  supposi- 
zione «  temeraria  »  da  farlo  andare  in  bestia  e  macchinare  l' allon- 
tanamento del  padre  da  Pescarenico.  Fra  altre  massime  quelle  sublimi 
del  perdono,  della  carità  fraterna,  dell'umiltà  non  sono  sentite  e 
abbracciate  dal  mondo  se  non  in  mezzo  alla  sciagura  comune  e  al- 
l'universale dolore,  (^)  o  solo  quando  la  passione,  che  oscura  la  no- 
biltà de'  sentimenti,  sia  affrontata  e  atterrata  dall'ispirata  parola  di 


(1)  Di  fra  Cristoforo  alibianio  visto  vome  talvolta  risorg«».sse  in  lui  1"  uomo  mi- 
tico aaaiito  al  nuovo;  di  Federigo  dice  lo  stesso  Manzoni  die  risentiva  di  leiii 
«errori  del  suo  tempo»  (Proni,  sp.,  eap.  XXI 1,  p.  323). 

(2)  Prora,  sp.,  cap.  XXIV,  p.  359. 

(3)  Proni,  sp.,  cap.  XI,  p.  177. 

(4)  O.VS.  s.  mar.  oatt.,  p.  466. 

(5)  Proni,  sp.,  cap.  V,  p.  70. 

(6)  Proni,  sp.,  cap.  XVIII,  p.  272-3. 

(7)  Ivi. 

(8)  «Ne  ho  visti  qui  —  esclama  padre  Cristoforo,  additando  a  Rcmi/o  «  la  ('mloicsa 
scena  all'interno»   nel   lazzaretto  —  degli   offesi   che  perdonavano;   degli   offensori 

che  gemevano  di   non  potersi  umiliare  davanti  all'offeso »  {Prom.  sp.,  cap. 

XXXV,  p.  526). 


Busetto  —  3 


34  PARTE    FULVIA 

Dio,  com'è  il  caso  di  Renzo,  clie  si  piega  a  perdonare  e  a  pregare 
nel  lazzaretto  per  don  Rodrigo. 

La  coerenza,  la  saldezza  e  l'austerità  della  dottrina  etico  -  religiosa 
del  Manzoni  non  gli  consentono  d'accettare  quella  che  è  pur  ge- 
nerosa e  utile  morale  del  mondo.  Lasciamo  andare  che  il  mondo 
ha  un  suo  codice  di  violenza  e  d'impero;  che  «fa  anch'esso  — 
come  dice  Federigo  nella  sua  intemerata  a  don  Abbondio  —  le  sue 
leggi,  che  prescrivono  il  male  come  il  bene;  »  che  «  ha  il  suo  Vangelo 
anch'esso,  un  vangelo  di  superbia  e  d'odio;  e  non  vuol  che  si  dica 
che  l'amore  della  vita  sia  una  ragione  per  trasgredirne  i  coman- 
damenti» (');  ma  può  esso  pure  comandare  1' astensione  dai  delitti, 
l'esercizio  delle  «virtù  utili  temporalmente  agli  altri».  Se  nonché 
la  Chiesa  non  s'accontenta  di  questo  genere  di  «bontà»;  «  mira  ad 
un  ordine  di  santità  che  il  mondo  non  conosce — ;  vuole  le  virtù 
che  perfezionano  chi  le  esercita,  e  non  solamente  quelle  che  sono 
utili  a  chi  le  predica»;  vuole  che  gli  uomini  «abbiano  un  core 
fraterno  l'uno  per  l'altro,  vuole  che  s'amino  in  Gesù  Cristo  »  (*). 
Contro  l'austerità  del  Vangelo  il  mondo  parla  d'eccessivo  rigore 
religioso  e  oppone  «che  bisogna  prendere  gli  uomini  come  sono, 
e  non  pretendere  cose  perfette  da  una  natura  debole».  «Mala  re- 
ligione —  ribatte  il  Manzoni  —  la  munisce  di  soccorsi  e  di  forza  ; 
appunto  perchè  il  combattimento  è  terribile,  vuole  che  1'  uomo  ci 
si  prepari  per  tutta  la  vita  ».  «  Vengono  i  momenti  del  contrasto 
tra  il  dovere  e  1'  utile,  tra  l'abitudine  e  la  regola  »  :  «  gli  è  stata  di- 
pinta »  dalla  dottrina  del  mondo  «  la  strada  della  giustizia  come  piana 
e  sparsa  di  fiori  ;  gli  è  stato  detto  che  non  si  trattava  se  non  di 
scegliere  tra  i  piaceri,  tra  un  gran  dolore  e  una  grande  iniquità  »; 
la  religione,  per  contro,  «  che  ha  reso  il  suo  allievo  forte  contro  i 
sensi  e  guardingo  contro  le  sorprese,  la  religione,  che  gli  ha  inse- 
gnato a  chieder  sempre  dei  soccorsi,  che  non  sono  mai  negati,  gl'im- 
pone  ora  un  grand'  obbligo,  ma  l'ha  messo  in  caso  d'adempirlo  »  (^). 

In  questi  principi  e  concetti  s' incardina  la  concezione  etica  fon- 
damentale de'  Promessi  sposi  e  su  di  essi  si  svolge  quella  fiera 
antitesi  di  spiriti,  di  forze  e  di  valori  che  vi  si  dibatte  costante, 
senza  manifestarsi  nel  pieno  e  severo  vigore  della  sua  ispirazione, 
—  se  non  ne'  momenti  più  solennemente  drammatici  —  e  non  già 
per  meditata  transazione  a  temperamenti  e  accomodamenti  del  mo- 


li) Prom.  sp.,  cap.  XXV.  p.  375. 

(2)  Oss.  s.  mor.  catt.,  p.  2y9. 

(3)  IbUl.,  pp.  307,  308. 


LA    GENESI    ETICO  -  RELIGIOSA  35 

ralista  cristiano,  ma  per  l'indole  umoristica  del  poeta,  per  la  ten- 
denza realistica  dell'  osservatore  psicologo  e  per  la  semplicità  in- 
sieme e  naturalezza  dell'  artista.  Tutte  forze,  codeste,  che  entrano 
in  quel  fervido  cerchio  di  ricorrenti  ispirazioni  e  fantasmi,  che  è 
la  creazione  artistica,  a  limitare,  a  circoscrivere,  a  smorzare  la  con- 
cettualità  de'  motivi,  intensificando  di  umanità,  e  concretezza  la  fi- 
gurazione e  la  rappresentazione  poetica.  Ma  su  ciò  dovremo  tornare 
a  suo  luogo.  Certo  è  che  la  dottrina,  ora  riassunta,  costituisce  al- 
cune delle  linee  maestre  della  concezione  morale  del  romanzo. 

Di  quello  strano  vangelo  del  mondo,  materiato  di  oltracotanza  e 
violenza,  ne  sa  qualche  cosa  don  Abbondio  dopo  il  brutto  incontro 
de'  bravi  di  don  Rodrigo  :  avesse  provato  il  povero  prete  a  dire  a 
que'  ceffi,  che  col  rifiutarsi  a  far  quel  tal  matrimonio,  si  sarebbe 
tirato  addosso  il  furore  e  le  minacce  mortali  dello  sposo  ;  gli  avreb- 
bero sghignazzato  in  faccia  e  ripetuto  l'ordine  del  loro  prepotente 
signore.  Tatta  la  società,  che  il  Manzoni  ritrae,  ribolle  di  quello 
spirito  che  porta  le  passioni  e  gì'  interessi  sopra  1'  amor  della  vita, 
o  che  s' inasprisca  ne'  pericolosi  puntigli  e  nelle  boriose  questioni 
di  etichetta  e  di  dritto  cavalleresco,  soliti  a  finire  in  zuffe  sangui- 
nose come  nel  tristo  caso  di  Lodovico,  o  che  prorompa  nelle  sel- 
vagge vendette,  nelle  ribalderie  de'  bravi,  nelle  soperchierie  anche 
audaci  de'  potenti,  o  i.ella  violenza  e  ferocia  stessa  della  giustizia 
che,  a  solo  scopo  di  terrore,  t'  avrebbe  impiccato  davanti  al  forno 
delle  grucce,  attraverso  le  cabale  di  un  fantastico  processo,,  il 
povero  Renzo. 

Ma  c'è  nel  mondo  anche  la  dottrina  dell'interessata  bontà,  che  è 
quella  che  il  Manzoni,  in  uno  de'  suoi  Pensieri  religiosi,  fa  entrare 
nelle  «  virtù  negative  »  caratterizzanti  certi  «  stati  di  società  » ,  come 
proprio  ai  tempi  di  S.  Carlo,  ne'  quali  «  non  cooperare  al  male 
sembrava  il  massimo  delle  virtù  »  (^).  Don  Abbondio  ha  l' istinto 
di  questa  comoda  dottrina  :  «  consigliere  e  cooperatore  dell'  ini- 
quità »  (*)  non  è,  né  potrebbe  mai  essere:  se  nell'angoscia,  dopo 
r  intimazione  de'  bravi,  gliene  viene  l' idea,  tosto  vi  ripugna  :  egli 
non  chiede  «  altro  che  d'  esser  lasciato  vivere  »  :  ma  nella  spe- 
dizione al  castello  dell'  Innominato  per  andare  a  prendere  Lucia, 
se  la  prende  noumeno  coi  «santi»  che  co'  «birboni»,  che  devano 
tirar  proprio  lui  «  ne'  loro  affari  »  ;  e  se  s' intenerisce  un  po',  pen- 
sando ai  patimenti  di  quella  poveretta,  non  può  fare  a  meno  di  so- 


(1)  Ibid.,  pp.  540,  541. 

(2)  Prom.  sp.,  cap.  I,  p.  18. 


36  "      PARTE    PRIMA 


spirare  :  «  è  nata  per  la  mia  rovina ....  »  (i).  Il  Manzoni  ammoni- 
sce col  Vangelo:  —  non  basta  non  cooperare  al  male;  «  è  male 
che  r  uomo  non  agisca  pel  bene  »  (-)  e  impersona  quest'  alto  con- 
cetto cristiano  della  vita,  di  contro  a  don  Abbondio,  in  contrapposto 
alla  inerzia  colposa  di  costui  e  nello  stesso  cerchio  d'  azione,  in  fra 
Cristoforo  e  in  P^ederigo. 

Lucia  stessa  s'è  venuta  formando  nella  fantasia  del  poeta  sotto 
r  influsso  di  quest'antitesi  etica  tra  il  mondo  e  il  Vangelo:  ella, 
che  nasconde  per  prudenza  e  pudore  alla  madre  le  insidie  di  don 
Rodrigo;  che  non  ha  parole  se  non  di  carità  e  di  perdono  pei  suoi 
persecutori  e  resiste  alla  proposta  del  matrimonio  per  sorpresa, 
vedendo  come  1'  ombra  di  un  espediente  umano  in  cosa  per  lei 
così  sacra  e  pura  ;  che  si  consacra  con  un  voto  eroico  alla  Madon- 
na, togliendosi  all'amore;  che  se  ne  travaglia  dopo  la  liberazione,, 
ma  per  ricomporsi,  con  quell'animo  «così  preparato  da  una  vita 
d' innocenza,  di  rassegnazione  e  di  fiducia  »  (^),  nella  mesta  calma 
del  sacrifizio;  che  non  consente,  tanto  è  in  lei  l'ardore  di  fede  e 
la  convinzione  religiosa,  alle  appassionate  ragioni  di  Renzo,  là, 
dopo  la  peste,  nel  lazzaretto  e  ancora  si  turba  di  «  un  terrore  sa- 
cro, fortificato  da  tanto  tempo  »  -da-  «  pensieri  »  (^)  di  pietà,  di  ras- 
segnazione, di  fortezza,  quando  fra  Cristoforo  si  accinge  a  proscio- 
glierla dal  voto  ;  questa  così  fatta  e  singolare  creatura  femminile 
s'  avvicina  a  queir  ordine  di  virtù  che  perfezionano  chi  le  esercita, 
e  con  tutta  la  sua  ricca  umanità,  alla  quale  vorremo  a  suo  tempo 
volger  la  nostra  attenzione,  porta  i  segni  profondi  di  quell'austera 
concezione  etico-religiosa  dell'  uomo  e  della  vita,  che  predispose  e 
ispirò  il  mondo  del  romanzo.  Lucia,  nel  pensiero  del  Manzoni,  ri- 
flette una  parte  del  Vangelo  in  azione:  nella  semplicità  del  suo 
spirito  religioso  palpita  quello  «spirito  di  Gesù  Cristo  Crocifisso», 
che  il  Massillon,  ricordato  acconciamente  dall'autore  della  Morale 
cattolica,  predicava  essere  la  vera  e  unica  essenza  della  vita  cri- 
stiana (').  Per  contro,  il  mondo  che  circonda  le  eroiche  figure  del- 
l' attività  evangelica,  è  veramente  conforme  all'  indulgente  dottrina 
della  relatività  delle  nostre  forze  morali:  se  il  poeta,  guardando  la 
vita,  r  abbraccia  tutto  con  sorridente  pietà,  non  lo  confonde,  però, 
con  quelle;    senza   sforzo,  senza  ostentazione  di  rigide  tesi  morali,. 


(1)  Prom.  sp.,  cap.  XXIII,  pp.  337,  339. 

(2)  Os$.  s.  ìHor.  catt.,  loc.  cit. 

(3)  Prom.  sp.,  cap.  XXIV,  p.  349. 
(1)  Prom.  sp.,  cap.  XXXVII  p.  513. 
(5)  Oss.  s.  nior.  catt.,  p.  299. 


LA    GENESI    ETICO  -  RELIGIOSA  37 


l'analizza  e  rappresenta,  creando  tuttavia  di  tanto  in  tanto  tali  si- 
tuazioni e  contrasti  che  non  paiono  rispecchiare,  nella  loro  conve- 
nienza e  naturalezza,  se  non  il  comune  spettacolo  de'  variati  tem- 
peramenti e  caratteri  e  affetti  della  vita,  ma  che  nella  segreta 
ispirazione  della  sua  coscienza  religiosa  assurgono  al  significato 
dell'  eterno  dissidio  tra  gli  abiti  e  la  morale  del  mondo  e  la  purità 
e  austerità  della  dottrina  evangelica. 

Vedete,  ad  esempio,  ciò  che  pensano  Agnese  e  don  Abbondio  e 
dicono  di  don  Rodrigo,  quella  davanti  alla  signora  di  Monza  e  con 
Lucia  nel  ritrovarsi  insieme  dopo  il  ratto,  e  questo  in  tutte  le  oc- 
casioni, e  con  gli  altri  e  tra  sé,  fino  a  ringraziare  il  cielo  che  ab- 
bia liberato  il  mondo  di  colui  e  di  simili  soggetti.  Lucia  e  an- 
che Renzo  gli  han  perdonato  di  cuore,  ma  la  madre  e  il  curato 
non  pare.  Ma  con  Agnese  e  don  Abbondio  anche  Perpetua,  fra  Gal- 
dino,  fra  Fazio,  il  padre  guardiano  del  convento  che  diede  asilo  a 
Lodovico,  il  padre  provinciale,  il  cappellano  crocifero,  gli  osti,  i 
paesani  di  Lucia,  non  tutti  «  bravi  »  (^)  nella  notte  degl'imbrogli, 
ma  tutti  animati  di  coraggio  e  di  sdegno,  dopo  la  strepitosa  sconfitta 
dì  don  Rodrigo,  ed  esaltati  dalla  gioia  di  riveder  salva  Lucia  (*), 
i  «  partigiani  della  pace  »  (^)  nel  tumulto  alla  casa  del  Vicario, 
la  stessa  donna  Prassede  e  quel  buon  paranoico  di  don  Ferrante 
e  molte  altre  figure  minori  e  parti  e  gruppi  di  quel  mondo  sociale 
che  il  poeta  evoca  attorno  al  domestico  dramma  di  due  umili  gio- 
vani, tutti  costoro,  individui  e  folle,  nella  molteplice  varietà  de' 
loro  caratteri,  sono  gli  uomini  da  prendersi  come  sono;  de'  quali, 
se  «  il  mondo  non  ha  che  dire»,  il  Vangelo,  però,  non  si  accon- 
tenta ("').  Vedete  Renzo  stesso  nel  dibattito  che  ha  con  Lucia  nel 
lazzaretto:  la  passione,  l'amore  non  gli  consente  di  misurare  la 
tremenda  portata  dell'obbligazione  del  voto:  per  lui  è  «un'idea 
storta»,  «cose  senza  costrutto».  C'è  della  spensieratezza  ingenua 
nel  suo  giudizio:  se  ne  att'anna  Lucia;  e  comparisce  fra  Cristoforo 
e  lo  frena.  Lo  compatiamo  anche  noi,  ma  sentiamo  nel  suo  conte- 
gno non  altro  che  la  forza  e  la  voce  delle  spontanee  passioni  e  de' 
giudizi  umani.  Per  Renzo  Agnese  «pensa  più  giusto  >  (^)  di  Lucia; 
tale  è  il  mondo;  tale  il  sentimento  e  il  giudizio  del  mondo,  pur  di 


(1)  Prora,  sp.,  cap.  Vili,  p.  110. 

(2)  I','oi,(.  .sp..  i-ai).  XXV,  pii.  :1G1.  :'.72.3. 
t3)  l'rmn.  s/j.,  tap.  Xlll,  p.  IWi. 

(Il  Os.y.  s.  uior.  mit.,  loc.  cit. 

tòi   Pfuiit.  sj>.    cap.  XXXVI,  pp.  538,541 


38  PARTE   PRIMA 


quelli  che  sono  considerati  «  i  migliori  tra  i  suoi  figli  »  (^).  Lucia 
è  munita  della  forza  religiosa  e  de'  soccorsi  divini  e  nell'ora  più 
terribile  della  sua  vita  sente  il  «  grand' obbligo  »,  che  la  coscienza 
le  ispira,  di  sacrificare  a  Dio  gli  affetti  terreni,  per  poter  confidare 
nella  protezione  di  lui.  Gertrude,  che  «  avrebbe  potuto  essere  una 
monaca  santa  e  contenta»,  se  dalla  religione  fosse  stata  preparata 
a  vincere  il  contrasto  «  tra  un  gran  dolore  e  una  grand'  iniquità  > 
cede  vittima  della  propria  debolezza  alle  forze  del  male.  Queste 
due  figure  femminili  del  mondo  manzoniano,  così  profondamente 
diverse,  sono  rampollate  insieme  dalla  coscienza  e  dalla  fantasia 
del  poeta;  sono  l'immagine  bifronte  di  quello  che  era  il  suo  più 
ardente  e  laborioso  pensiero,  dirò  anzi  l' idea  centrale  della  sua 
morale  religiosa,  come,  cioè,  nel  perpetuo  ondeggiare  dell'  uomo 
tra  le  tendenze  e  resistenze  e  gl'infiussi  della  sua  debole  natura  e 
delle  diverse  epoche  sociali,  unica  via  di  salute  e  di  consolazione 
sia  la  morale  cristiana. 

Non  dobbiamo,  tuttavia,  disconoscere  che  il  Manzoni,  a  differenza 
di  molti  apologisti  della  religione  (^)  nel  '700  e  anche  di  quei 
grandi  oratori  e  moralisti,  sui  quali  formò  la  sua  cultura  religiosa 
(^},  deplora  il  fanatico  disprezzo  di  tutto  ciò  che  di  buono  venga 
dal  mondo.  Quando  questo  —  egli  dice  —  ^  ha  riconosciuto  una 
idea  vera  e  magnanima,  lungi  dal  contrastargliela,  bisogna  riven- 
dicarla al  Vangelo  »,  giacché  «  nessuna  idea  morale  è  straniera  al 
Vangelo;  ogni  verità  morale  è  di  sua  natura  una  verità  religiosa  >. 
Chi  è  maestro  e  guida  della  Chiesa  non  deve  trascurare  o  ignorare 
lo  spirito  del  secolo;  «non  condannarlo  in  monte,  né  abbandonarlo 
a  sé  stesso».  «La  prevenzione,  l'ostinazione,  il  fanatismo,  l'impa- 
zienza dell'esame  sono  spesse  volte  le  armi  con  cui  si  combatte  la 
religione;  bisogna  ch'esse  non  si  possano  trovar  mai  nelle  mani 
di  chi  la  difende»  {*).  A  questo  metodo  il  Manzoni  non  solo  di- 
spose l'intelletto  nello  studio  de'  problemi  religiosi,  ma  si  può  dire 
che  conformò  anche  la  coscienza  e  la  fantasia  nell'analisi,  nella 
comprensione  e  nella   rappresentazione    del    male    e   del    bene  che 


(1)  Oss.  s.  mor.  catt.,  loc.  cit. 

(2)  ma.,  p.  469. 

(3)  Certamente  allude  al  Bossuet.  al  Bourdaloue,  al  Massillon,  al  Nicole,  al  Pa.scal 
là  dove,  ragionando  di  quelli  che  non  giovarono  alle  «  idee  religiose  »  col  sostenere  n 
lodare  *  tutto  »,  dice;  «  Da  lungo  tempo  la  letteratura  originale  è  in  un  sol  luogo  :  là 
bisogna  cercare  i  grandi  argomenti  e  i  grandi  modelli^  le  grandi  bellezze  e  i  ijranUi 
difetti,  e  spesso  si  trovano  in  un  sol  uomo  e  in  un  sol  libro»  {Ibid.,  pp.  472,  473). 

(4)  Ibid.,  pp.  468,  469,  473. 


LA    GENESI    ETICO -RELIGIOSA  39 

agitano  la  vita  dell' uomo:  è  un  modo  imparziale,  equo  e  sereno 
che  soddisfaceva  non  meno  al  suo  rigore  logico  e  alla  sua  probità 
mentale  che  alla  generosa  pietà  educata  nella  conoscenza  profonda 
del  mondo.  Questa  benevola  attenzione  con  cui  guarda  le  cose  del 
mondo,  ispira  quel  generoso  aforisma:  «la  ragione  e  il  torto  non 
si  dividon  mai  con  un  taglio  così  netto,  che  ogni  parte  abbia  sol- 
tanto dell'  una  o  dell'  altro  »  (*)  e  quel  modo  simpatico  con  cui  è  ri- 
tratta r  anima  della  folla,  accorsa  al  sanguinoso  scontro  di  Lodo- 
vico, ne'  commenti  che  fa  sull'  accaduto  (*)  e  negli  atti  di  premu- 
rosa giustificazione  con  cui  consegna  ai  frati  1'  uccisore  ferito.  Ad 
essa  è  certamente  dovuta  la  parte  positiva  e  benefica  che  la  stessa 
ragione,  alla  quale,  come  più  distesamente  vedremo,  il  Manzoni  non 
risparmia  né  le  punte  della  critica  religiosa  né  quella  della  fine 
ironia,  assume  nel  gioco  delle  forze  morali  di  quel  mondo  storico- 
romanzesco,  quando  si  tratti  di  levar  1'  uomo  da  qualche  impiccio 
o  di  suggerirgli  i  mezzi  giusti  per  la  propria  salvezza  contro  la 
violenza  e  1'  iniquità  altrui. 

È  altresì  codesta  larghezza  di  spirito  del  poeta  che  gli  fa  ricono- 
scere talune  potenti  virtù  segrete  del  popolo  e  lo  induce  non  solo 
a  riflettere  sulle  due  forze  del  bene  e  del  male,  contrastanti  ne' 
tumulti  popolari,  ma  a  rappresentare  la  lotta  degli  «  umani  »  con- 
tro i  «furiosi  ostinati»  e  a  condurre  magistralmente  la  scena  così, 
che  la  «causa  del  sangue»  fosse  «perduta»;  a  segnalare  «ne' 
pubblici  infortuni»,  come  nella  peste  di  Milano,  insieme  con  «un 
aumento,  e  d'ordinario  ben  più  generale,  di  perversità»  «un  au- 
mento, una  sublimazione  di  virtù  »  ;  nel  descriver  la  quale  mette 
non  meno  interesse  di  cuore  e  studio  d' arte  (*)  che  nel  dipingere 
le  scene  dell'  abiezione  umana.  Anzi  negli  stessi  cuori  pervertiti  e 
feroci  il  mite  sguardo  del  sereno  poeta  cerca  e  scopre  inattesi  pal- 
piti d'  umanità,  com'  è  la  confessata  «  compassione  »  del  Nibbio  e 
la  pietosa  gentilezza  del  monatto  nell'episodio  della  madre  di  Cecilia. 


IV.  In  questa  visione  generale  del  mondo,  osservato  al  lume  e 
sotto  r  ispirazione  della  dottrina  evangelica,  hanno  una  parte  non 
trascurabile  le  relazioni  delle  leggi  e    dell'istituzioni    politiche  con 

(1)  Prom.  sp.,  cap,  I,  p.  17. 

(2)  «  Chi  cerca  trova.  Una  le  paga  tutte  »,  dice  la  gente  [Proni,  s^.,  cap.  IV,  p.  r.:V). 
i:)]  Prom.  .sp.,  cap.  XIII,  pp.  195,  196,  197. 

(■1)  Prom.  sp.,  cap.  XXXII,  pp.  472-3. 


40  PARTE   PRIMA 

la  religione  e  quelle,  conseguenti,  della  vita  civile  e  sociale  del- 
l' uomo  con  la  morale  cristiana.  Nella  trattazione  di  questo  argo- 
mento avrò  modo  d'illustrare,  a  grandi  scorci,  le  idee  politicUe 
e  sociali  del  Manzoni,  che,  diciamolo  subito,  formano  parte  inte- 
grante del  suo  pensiero  morale  e  religioso. 

La  società  —  secondo  il  pensiero  del  Manzoni  —  è  «  quello  stato 
così  naturale  all'  uomo  e  così  violento,  così  voluto  e  così  pieno  di 
dolori,  che  crea  tanti  scopi,  dei  quali  rende  impossibile  I'  adempi- 
mento, che  sopporta  tutti  i  mali  e  tutti  i  rimedi^  piuttosto  che  ces- 
sare un  momento  »;  «  quello  stato  che  e  un  mistero  di  contraddizioni 
in  cui  la  mente  si  i)erde,  se  non  lo  considera  come  uno  stato  di 
prova  e  di  preparazione  a  un'altra  esistenza»  (^). 

Questa  concezione  della  vita  sociale  nasce  da  quel  profondo  con- 
tenuto pessimistico  del  cristianesimo,  di  che  più  oltre  vedremo  so- 
stanziarsi particolari  concetti  e  giudizi  manzoniani  sulla  natura  del- 
l'uomo;  ora  importa  notare  ch'essa  si  congiunge  e  s'integra  con 
.quella  interpretazione  religiosa  della  storia  che  il  Manzoni  ha  de- 
rivata —  come  ha  potuto  dimostrare  il  Galletti  —  dal  celebre 
jyiscours  sour  V  Histoire  universelle  del  Bossuet  e  che  ha  il  suo 
fondameiìto  nel  giudizio  della  vanità  de'  nostri  desideri  ruinosi, 
delle  nostre  lotte  mortali,  delle  nostre  fragili  aipbizioni  e  conquiste 
e  nella  credenza  In  una  volontà  provvidenziale,  che  muova  e  ordini 
segretamente  le  faticose  e  dolorose  vicende  de'  popoli  (*).  Posto 
questo  principio  filosofico  della  storia,  è  logico'  il  Manzoni  nel  de- 
durre quella  sua  particolare  dottrina,  secondo  cui  i  principi  rego- 
latori degli  Stati  e  quelli  generatori  delie  Rivoluzioni  non  possono 
essere  riconosciuti  in  sé  e  per  sé,  ma  in  quanto  abbiano  la  loro 
ragione  d'essere  in  un  principio  «distinto  dall'uomo  e  superiore 
all'uomo»,  che,  come  tale,  «non  è  possibile  trovare  fuori  del  cri- 
stianesimo». Data  una  forma  di  potere,  non  può  avere  durevolezza 
se  non  quando  le  si  può  «  associare  1'  idea  del  diritto»  e  «  per  ar- 
rivare H  questo,  il  mezzo  necessario,  assolutamente  parlando,  è  il 
riconoscere  il  principio  del  potere  in  qualcosa  di  anteriore  e  di  su- 
periore all'uomo»,  «il  riconoscere  questo  principio  nel  Dio  pre- 
dicato da  san  Paolo  ».  Il  cristianesimo  non  si  obbliga  a  predilette 
forme  di  potere,  come  le  «teogonie  particolari  che  servirono  di  fon- 


(1)  Dine,  stiir.  sopra  alcuni  punti  della  sfuria  lunyob.  in  Italia,  in  Opere  varie, 
Milano,  Rechiedfii,  1870,  cap.  II,  p.  170. 

(2)  V.  A.  Oai.lktti,  Sfifjgi  e  Studi;  Manzoni,  Shakespeare  e  Ho.s/iuet,  Hologna,  /a- 
nuhelli,  1915,  pp.  'M-'. 


LA    GENKSl    KTICO- RELIGIOSA  41 

(lamento  agli  Stati  delle  genti  »,  ma  è  «  una  teologia  universale  ap- 
plicabile alle  più  diverse  forme  di  potere,  come  alle  più  diverse 
condizioni  delle  società  umane  e,  nello  stesso  tempo,  efficacissima  a 
corregger  l'uno  e  a  mutar  gradatamente  in  meglio  l'altre».  La  so- 
stanza dunque  di  questa  dottrina,  sussidiata  dall'  idea  cristiana  e 
cattolica  della  provvidenzialità  immanente  nella  storia^  è  che  tutti 
i  nostri  principi  e  istituti  della  vita  civile  non  possono  avere  la 
loro  giustificazione  che  nel  principio  divino  (*), 

DI  qui  quell'altra  conseguenza,  che  il  problema  morale  sta  in- 
nanzi ai  problemi  politici.  «  Kin tracciare  l'occasione  di  certi  vizi  e 
di  certe  virtù  —  osserva  il  Manzoni  con  imparzialità  pari  alla  fran- 
chezza —  nella  direzione  data  dalle  cause  politiche  ad  una  nazione, 
è  una  ricerca  fondata  che  ha  prodotte  belle  ed  importanti  scoperte, 
le  quali  hanno  finito  e  finiranno  col  distruggere  molte  istituzioni 
cattive,  ma  supporre  in  una  o  più  di  queste  cause  tutta  la  mora- 
lità degli  uomini,  immaginarsi  che^  tolto  quell'inciampo  che  si  ha 
sotto  gli  ocelli,  tutta  la  via  diverrà  piana,  ò  dimenticare  affatto  la 
natura  dell'uomo*  (^).  È  quosto  un  punto  su  cui  torna  il  Manzoni 
più  volte  e  in  più  modi,  avendo  di  mira  le  teorie  de'  sensisti  e 
degl'ideologi  francesi,  fermo  nella  convinzione  che  sia  officio  sa- 
lutare delta  religione  combattere  così  i  vizi  particolari  degli  uomini 
come  quelli  (;he  portano  a  rovina  gli  stati  e  le  istituzioni,  ma  che, 
a  un  tempo,  sia  «  uno  dei  suoi  bei  caratteri  di  sapienza  e  di  per- 
petuità »  «  la  facoltà  di  operare  sugli  uomini  indipendentemente 
dalle  relazioni  politiche  »  (^).  Non  è  propriamente  fine  della  morale 
cristiana  di  conservare  o  distruggere  le  istituzioni  politiche,  ma  si 
di  perfezionare  ^li  uoiriini  ;  rimovere  le  cause  politiche  di  certi 
vizi  e  mali  della  società  non  è  sufficiente  a  produrre  mutamenti 
profondi  nella  vita  morale,  finché  è  lasciato  «  intatto  il  principio 
di  corruttela»  dell'uomo  (*).  «  I  sistemi  politici  —  nota  il  Man- 
zoni —  sono  tutti  complicati,  e  il  sostenerli  o  l'attaccarli  è  impresa 
nella  quale  entrano  troppo  facilmente  mezzi  onesti  e  viziosi,  e  gli 
effetti   che    ne    vengono    sono  misti    di  bene  e  di  male  ».    T.a    reli- 


tl)  Questi  eoneetti  si  trovano  spar.si  in  una  lunga  nota,  che  è  un  vero  exoursuH 
politico-religioso  interessantissimo,  al  cap.  II  del  cit.  Disc.  stor.  sopra  alcuni  punti 
(iella  Ht.  lonficìh.  in  lUtlia  (pp.  166-9).  la  mede.sima  idea  —  es.sere.  cioè,  il  cattolice- 
simo adatto  a  tutti  i  governi  —  è  espressa,  in  opposizione  al  Montesquieu,  ne'  Pensieri, 
in  Oììp.  hi.  o  I-.  (il.,  voi.  II,  p.  -itìS. 

Ì2)  O.V.V.  .V.  ;*((//■.  catt.,  p.  rMi. 

m  Irx. 

(4)   lìii'l..   p.  '.i^i. 


41'  FAUTE    PRIMA 

gione,  al  contrario,  deve  «  essere  una  guida  all'  uomo  per  operare 
rettamente  in  qualunque  tempo  e  in  qualunque  sistema;  essa  deve 
dare  mezzi  per  cui  l'uomo  che  vuole  essere  giusto,  lo  possa  essere 
benché  gli  altri  si  ostinino  a  non  esserlo,  benché  esistano  cause 
che  lo  porterebbero  al  male;  giacché  queste  cause  non  si  possono 
togliere  ».  Nel  fatto  1'  azione  religiosa,  «  mentre  é  indipendente  dalle 
cause  politiche,  influisce,  però,  in  bene  sopra  di  esse,  perchè  portando 
gli  uomini  alla  giustizia,  ogni  qualvolta  essa  sarà,  ascoltata^  cangerà 
anche  le  istituzioni  quando  sieno  dannose»  ('). 

Del  resto  la  distinzione  tra  la  legge  e  la  religione,  tra  la  società 
politica  e  r  unione  religiosa  é  concetto  frequente  nella  tradizione 
cattolica.  Affinità  di  pensiero  riscontro,  per  esempio,  nel  Massillon, 
il  quale,  detto  che  altri  sono  i  legami  esteriori  delia  società  e  altri 
i  legami  intimi  della  fede,  della  speranza,  della  carità,  della  reli- 
gione, osserva:  «  Nous  formons  au  milieu  du  monde  une  societé 
toute  intcrieure  et  tonte  sainte,  dont  la  charité  est  le  lien  iuvisible, 
et  toute  séparée  de  la  sociale  civile  que  les  législateurs  ont  établie  »  (*). 

Queste  idee  generali,  che  illuminano  l'aspetto  politico -religioso 
della  dottrina  manzoniana,  si  riflettono  nella  concezione  etica  del 
romanzo,  e  talvolta  irraggiano  anzi,  con  manifesta  chiarezza,  dagli 
stati,  dalle  situazioni,  dalle  vicende  d'uomini  e  di  cose  che  for- 
mano lo  sfondo  storico  e  l'eterna  umanità  di  quel  mondo.  Il  con- 
cetto, dianzi  enunciato,  della  società  umana  informa  tutto  il  ro- 
manzo, dove  r  istinto  volitivo  delle  aggregazioni  sociali  e  delle  te- 
naci adesioni  degl'individui  alle  caste  e  alle  classi  resiste  pur  nel 
disordine  della  moralità  e  della  legalità  e  nella  tempesta  perpetua 
dei  dolori  privati  e  pubblici;  dove  vediamo,  ad  esempio,  perflno 
don  Abbondio,  espressiva  incarnazione  di  paurosa  abulia,  istintiva- 
mente portato  ad  aggregarsi  ad  una  «  classe  riverita  e  forte  »  (*); 
dove  nell'attività  inquieta,  talvolta  febbrile,  dell'immaginazione  e 
della  volontà,  di  che  quasi  tutti  i  personaggi  sono  investiti,  gli 
scopi  falliscono,  se  non  addirittura  rovinano,  per  opera  diretta  o  in- 
diretta di  quelli  che  se  li  propongono,  come  avviene  m  Gei'trude, 
che  si  vede  sfuggire  per  sempre  la  libertà,  l'  amore,  il  fasto  mon- 
dano per  la  sua  stessa  debolezza  e  i  suoi  errori,  a  don  Kodrigo, 
che  col  suo  ricorso  all'Innominato  prepara  inconsciamente  la  ro- 
vina definitiva  del  suo  scellerato  disegno,  ai  due   sposi,    che  Jl  -de- 


ll) Jbid..  pp.  503-1. 

(2)  Serm.  Du  pmclau  des  offensen,  in  Oeuvres  (ed.  cit.).  p.  158. 

(H)  Pro-m.  sj/.,  cap.  I,  p.  16. 


LA    GENESI    ETICO -RELIGIOSA  4)i 

Stino  vuole  rendano  vano  da  se  stessi  lo  scopo  del  matrimonio 
clandestino,  a  Renzo,  nelle  vicende  di  poi,  quando  va  a  Milano  col 
proposito  di  trovar  protezione  e  lavoro,  e  il  «  vortice  »  impreveduto 
lo  travolge  e  per  poco  non  1'  affoga;  dove,  infine,  vediamo  la  com- 
pagine sociale,  scossa,  colpita,  piagata  da  spaventose  calamità,  non 
cessare,  e  i  superstiti  stringersi  più  uniti  nel  perdono  delle  comuni 
colpe,  nella  fraternità  e  nel  dolore,  e  intravediamo  già  nel  fragorio 
del  temporale  purificatore  il  ritorno  alle  opere  e  alle  lotte  primiere. 
Che  è  codesta  vita  sociale  se  non  una  scena  inquieta  del  mondo, 
su  cui,  secondo  l'interpretazione  filosofica  del  pensiero  religioso,  è 
arbitra  la  provvidenza  divina?  E  dico  del  pensiero  religioso,  non 
soltanto  del  Bossuet,  ma  di  tutti  gli  scrittori  cattolici,  familiari  al 
Manzoni.  Così,  ad  esempio,  il  monito  severo  di  fra  Cristoforo  a  Renzo 
nel  lazzaretto:  «Guarda  chi  è  colui  che  gastiga!  Colui  che  giudica 
e  non  è  giudicato!  Colui  che  flagella  e  che  perdona!  »  (*),  nel  quale 
ritorna  il  motivo  della  provvidenziale  immanenza  di  Dio,  altrove 
liricamente  svolto  dal  poeta  {^)  —  dominante,  del  resto,  in  tutto 
il  suo  mondo  poetico,  —  trova  un  notevole  riscontro  concettuale  e 
perfino  stilislico  nel  Massillon  e  una  somiglianza,  se  non  di  stile, 
di  giudizio  nel  Nicole.  L'  uno  ha  quasi  la  stessa  calda  solennità  del 
personaggio  manzoniano  in  quelle  parole:  <  Cet  esprit  qui  humilie 
ou  qui  élève  à  son  gre  les  personnes;  qui  se  joue  des  grands  et 
dea  puissants;  qui  renverse  ou  qui  affermit  les  noms  et  les  fortunes; 
cet  Esprit,  source  de  tonte  grandeur  dans  le  ciel  et  sur  la  terre, 
et  devant  lequel  tout  est  néant,  éléve  une  àme  qu'  il  renipli,  au 
dessus  d' elle-mème  »  (^);  l'altro,  con  più  pacato  ragionamento,  os- 
serva: «  Dieu  étant  infiniment  puissant,  ne  manque  jamais  de  force 
pour  punir  les  hommes  quand  il  le  veut  ;  et  ainsi  attend  que  leurs 
iniquités  soient  consommées  et  il  n'exerce  ses  vengeances  que  dans 


(1)  Prom.  sp.,  cap.  XXXV,  p.  526. 

(2)  V.  del  Cinque  maggio    la  str.  18": 

Il  Dio  che  atterra  e  su.stita, 
Che  affanna  e  che  consola. 

Cfr.  anche  /;  proriama  di  lilmlni,  st.    1',    Il   Conte  di   Cu rmug itola,  A.  II,  coro, 

str.  15": 

Torna  in  pianto  dell'empio  il  gioir: 

Ben  lalor  nel  superbo  viaggio 

Non  l'abbatte  l'eterna  vendetta; 

Ma  lo  segna  ;  ma  veglia  ed  aspetta  ; 

Ma  lo  coglie  all'estremo  sospir. 

(3)  Semi,  pour  le  jour  de  la  Pentecóte,  in  Oeuvres  (ed.  eit.),'Vol.  VII,  p.  264. 


44  l'AUTK    PRIMA 

les  temps  que  sa  sagesse  choisit  par  rapport  à  tous  les  autres  dea- 
seins  »  (*). 

Il  principio  della  superiorità  e  indipendenza  del  cristianesimo 
dalle  forme  di  potere  civile  e  dalle  istituzioni  e  passioni  politiche 
si  realizza  in  quella  società  del  Seicento  —  dal  Manzoni  ricostruita 
con  r  autorità  della  storia  e  la  suggestiva  efficacia  della  psicologia 
umana  —  mediante  un  duplice  processo:  l'uno  negativo,  in  quanto 
non  v'  ha  un  principio  divino  che  ivi  informi  e  regga  i  poteri  co- 
stituiti, dissolvitori,  più  che  conservatori,  dello  Stato,  l'altro  anti- 
tetico, in  quanto  troppo  spesso  la  podestà  civile  nel  suo  spirito  e 
ne'  suoi  organi  è  in  conflitto  con  la  legge  del  Vangelo,  e  questui, 
se  dalla  debolezza  e  dalla  vanità  è  sacrificata  come  fanno  don  Ab- 
bondio e  il  padre  provinciale,  più  spesso  la  vediamo  affermarsi  vi- 
gorosa e  intrepida,  come  nell'opera  di  fra  Cristoforo,  o  soccorrere 
e  imperare  magnanima  e  autorevole,  come  in  quella  di  Federigo  in 
ogni  contingenza  e  degli  eroici  suoi  seguaci  nell'  imperversar  della 
carestia  e  della  peste.  Donde  pur  si  vede  che  il  disordine  politico 
non  impedisce  al  principio  cristiano  di  operare  fruttuosamente,  e  che 
nella  tenebra  dell'  iniquità  dominante  possono  rifulgere  anime  can- 
dide e  forti,  come  Lucia,  austere  e  magnanime,  come  Federigo,  eroiche 
nel  loro  fervore  apostolico,  come  fra  Cristoforo  e  padre  Felice,  e  con 
queste  figure  eminenti  altre  ancora  e  non  poche,  di  minor  levatura, 
ma  tutte  dolcemente  cristiane,  come  ad  esempio,  il  sarto  del  vil- 
laggio   e    la    sua    famiglinola  e  le  pietose  lattanti  del  lazzaretto. 

Alla  teoria  generale  sopra  esposta  de'  rapporti  della  politica  con 
la  religione  si  connettono  taluni  giudizi  manzoniani  sulla  moralità 
delle  leggi  in  confronto  collo  spirito  della  morale  cristiana. 

La  società  riposa  sull'obbedienza  alle  leggi,  ma  esso  —  avverte 
il  Manzoni  —  «  non  possono  creare  un  dovere  senza  far  conoscere 
un  corrispondente  diritto:  bisogna  quindi  che  ad  ottenere  il  loro 
effetto,  armino  l'uomo  contro  l'uomo»;  e  poiché  «la  legge  non 
deve  parlare  che  quando  abbia  una  qualche  certezza  di  farsi  ub- 
bidire »,  «  deve  avere  la  forza  con  sé  ;  e  in  quanto  impone  cose  che 
non  si  farebbero  spontaneamente,  essa  non  comanda  che  ai  più  de- 
boli ».  Per  contro,  «la  voce  della  religione  è  sempre  viva:  essa 
parla  ai  più  forti,  a  cui  nessun'  autorità  umana  potrebbe  comandare 


U)  ExsUis  de  Morale,  ^ed.  cit.i,  voi.  XI,  p.  127. 

Cfr.  quH.sto  passo  del  Nicole  co'  versi  cit.  del  coro  del  Carina y itola.  V.  anche  il 
colloquio  di  fra  Cristoforo  con  don  Rodrigo  {Proni,  sp.,  cap.  VI  pp.  76,  77,  78),  la  fine 
dell'Addio,  morUi  (Ibid.,  cap-  Vili  p.  123)  e  consimili  accenti  in  bocca  a  Federigo  nel 
colloquio  con  l'Innominato  [IbUl.,  cap.  XXIII,  p.  SJ»). 


LA    GENESI    ETICO- RELIGIOSA  45 

senza  opprimerli  od  esserne  oppressa,  cioè  senza  disordini  >.  Quando 
pure  le  leggi  sono  dettate-,  da  «  rette  intenzioni,  non  r;iggiungono 
quasi  mai  il  fine,  che  si  propongono,»  di  conciliare  la  «giustizia» 
con  la  <  tranquillità  »  civile  e  «  sono  quindi  forzate  di  sacrificare 
il  più  sovente  la  prima  alla  seconda  ».  Anche  in  questo  la  religione 
è  superiore,  in  quanto  «  tende  a  condurre  tranquillamente  alla  giu- 
stizia »,  determina  cioè  gli  uni  «a  fare  de.i  passi  verso  di  essa» 
senza  trovar  ostacoli,  ma  anzi  benedizioni,  gli  altri  «  a  cedere  vo- 
lontariamente »('). 

Questa  concezione  pessimistica  della  forza  morale  delle  leggi  nel 
mondo  guida  il  Manzoni  nella  ricostruzione  e  interpretazione  storica 
della  società  del  seicento  e  trapela  dalla  stessa  rappresentazione 
poetica  de'  caratteri  e  avvenimenti  umani,  che  ne  formano  la  so- 
stanza romanzesca.  Imperversano  ivi  le  leggi  innumerevoli  e  mi- 
nacciose, ma  vuote  d'ogni  spiritualità  etica  —  esponenti  dell'  imperio 
statale,  —  o  cozzano  contro  l'impunità  organizzata,  generando  la 
lòtta  degl'individui  e  delle  caste  contro  il  principio  di  conserva- 
zione e  giustizia  sociale,  o  s'avventano  con  iniqua  ferocia  sai  deboli 
e  bonari  :  giammai  riescono  ad  imporsi  ai  forti.  Le  elude  don 
Kodrigo;  le  viola  con  sfidatrice  audacia  e  se  ne  proclama  superiore 
l'Innominato;  gli  stessi  custodi  ed  esecutori  di  esse,  come  il  podestà, 
le  esautorano  con  la  loro  viltà.  Ai  forti  non  sa  parlare  che  la  voce  del 
Vangelo,  come  a  don  Rodrigo  per  bocca  di  fra  Cristoforo,  come 
all'  Innominato  per  bocca  di  Federigo.  Se  l' impero  della  legge  riesce 
a  ricomporre  il  mondo  in  uno  stato  apparentemente  tranquillo,  come 
dopo  1  tumulti  popolari  pel  pane,  si  veda,  però,  con  che  iniquità 
e  stoltezza  di  provvedimenti  ottiene  l' intento  ;  mentre  là,  dove  l' In- 
nominato esercitava  il  regno  della  violenza  e  del  terrore,  s'  afferma 
e  si  diffonde  lo  spirito  della  pace  e  della  fraternità  cristiana  senza 
resistenza  e  sopraffazioni  e  il  grande  convertito,  non  meno  che  l'e- 
letto ministro  della  sua  conversione,  non  suscita  attorno  a  sé  che 
benedizioni. 

Dal  principio  che  la  religione  è  indipendente  e  superiore  alle 
istituzioni  politiche  dell'uomo  pel  suo  carattere  di  sicurezza,  perpe- 
tuità e  universalità,  il  Manzoni  deriva  le  considerazioni  sulle  pre- 
venzioni, sui  pregiudizi,  sulle  avversità  e  sugli  odi  tra  nazione  e 
nazione,  che  traggono  origine  dall'egoismo  individuale,  dall'orgoglio 


(1).  Oss.  s.  mar.  catt..  pp.  505-6.  V.  simili  rifleissioni  in  Opp.  in.  o  r.  cit.,  voi.  Ili, 
p.  331. 


46  PARTE   PRIMA 

e  dalla  brama  di  preminenza,  o  sono  fondati  sopra  motivi  politici. 
L'amor  proprio  e  l'esclusivo  amore  di  stima  e  di  potenza  indivi- 
duale s'estendono  alla  società,  di  cui  l'individuo  fa  parte  e  con  cui 
ha  comuni  l'interesse  e  l'orgoglio:  e  le  rivalità  nazionali  hanno 
dunque  la  loro  origine  nella  corruttela  della  stessa  natura  umana. 
Il  Cristianesimo,  operando  sugli  individui  in  particolare  e  predicando 
la  fratellanza  universale  degli  uomini,  educò  ad  attenuare  e  magari 
a  distruggere  gli  odi  nazionali,  che  erano  «  così  universali,  radicati 
e  perpetui  fra  i  gentili  ».  Come  si  vede,  anche  le  questioni  politiche 
si  risolvono,  pel  Manzoni,  in  una  questione  morale,  anzi  religiosa: 
le  rivalità  e  gli  odi,  i  biasimi  e  discrediti  dell'altrui  nazione  e  le 
parzialità  per  la  propria,  le  prevenzioni  ingiuste,  la  partecipazione 
diretta  e  più  viva  degli  scrittori  nazionali  nel  fomentare  o  secondare 
tali  passioni,  risguardati  dal  Manzoni  sotto  la  luce  della  morale  re- 
ligiosa, non  sono  che  traviamenti  e  sventure:  «  i  prodigi  politici  > 
che  r  Alfieri  esalta  in  una  prosa  del  «  Misogallo  »  come  nati  dagli 
«odi  di  una  nazione  contro  l'altra»,  non  meritano  l'ammirazione 
della  posterità;  ce  n'è  sì  di  «  quelli  fatti  per  una  giusta  difesa  »  ai 
quali  spetta  l'cimmirazione  de'  posteri,  ma  questi  pure  sono  crudeli, 
«  sono  trionfi  dell'  uomo  sopra  l'uomo,  gioie  nate  dai  dolori  altrui  ». 
Vedendo  la  posterità  esaltarli,  leggere  «  le  stragi,  spargendo  lagrime 
di  ammirazione  e  di  tenerezza  »,  il  Manzoni  prorompe  a  dire  con 
profonda  amarezza  :  «  Quanto  devono  essere  empie  le  aggressioni 
ambiziose,  se  il  sangue  sparso  per  una  giusta  resistenza  diventa  un 
oggetto  di  compiacenza  e  di  dolce  memoria!  ».  Dice  l'Alfieri  che 
quegli  odi  sono  «  il  necessario  frutto  dei  danni  vicendevolmente  ri- 
cevuti o  temuti  e  che  non  possono  per  ciò  esser  mai  né  ingiusti, 
né  vili  >  ;  —  no,  —  ribatte  il  Manzoni  — ,  anzi  quei  danni  «  producono 
nelle  nazioni  l'avvilimento  e  la  resistenza,  due  tristi  frutti  dell'in- 
giustizia ».  Se  tuttavia  è  «  giusta  »  la  resistenza  come  quella  che  è 
talvolta  «  un  male  inevitabile  »,  senza  di  cui  «  non  si  può  ottenere 
la  giustizia  »,  chi  negherà  che  sia  un  male  —  domanda  il  pensatore 
cristiano  —  chi  negherà  che  la  giustizia  sia  più  desiderabile,  quando 
non  è  la  conquista  della  forza,  ma  il  volontario  consenso  delle  due 
parti?  (^).  Ma  gli  odi  politici,  perpetuati  fra  le  nazioni,  altresì  pro- 
ducono le  aggressioni  ingiuste,  «  inaspriscono  a  segno  le  passioni  », 
che  si  confonde  l'off'esa  con  la  difesa  e  l'innocenza  si  offusca,  onde 
il  Manzoni  non  vede  che  aberrazione  nella  dottrina,  che  deriverebbe 


(1)  rnd.,  pp.  519-21. 


LA    GENESI    ETICO -RELIGIOSA  47 

dalle  proposizioni  alfìeriane,  non  poter  «  le  nazioni  essere  prospere 
che  a  spese  l'una  dell'altra».  «La  somiglianza  che  ci  dà  l'esser 
d'uomo,  è  ben  piìi  forte  che  la  diversità,  di  nazione  »  —  conclude 
iervorosamente  il  Manzoni  —  ;  «  il  Vangelo  ci  ha  fatto  conoscere 
che  abbiamo  un  cuore  grande  abbastanza  per  amar  tutti  .gli  uomini, 
che  gii  sforzi  di  una  nazione  contro  l'altra,  quando  non  siano  ne- 
cessari, sono  sempre  piccioli,  perchè  fondati  sulle  passioni,  e  non 
sulla  ragione  e  sulla  verità;  sono  inutili,  perchè  non  ottengono  sta- 
bilmente nemmeno  il  fine  che  si  propongono  quelli  che  li  fanno  ; 
sono  impolitici,  perchè  producono  spesso  all'istante,  e  sempre  nel- 
l'avvenire l'indebolimento  e  il  pervertimento  dei  popoli»  (^). 

È  evidente  la  preoccupazione  religiosa  del  Manzoni  in  tutte  le 
questioni  o  di  filosofia  o  di  politica,  eh'  ei  tratti  :  ma  è  preoccupa- 
zione di  moralista,  non  di  filosofo,  d'  uomo  che  cerca  di  trattare  e 
risolvere  i  problemi  della  morale  e  della  religione  e  de'  loro  rapporti 
con  la  vita  civile  e  sociale  per  fissare  criteri  d'azione,  norme  di 
vita,  indirizzi  di  bene,  non  per  approfondire  o  costruire  sistemi 
speculativi:  del  resto,  che  in  fondo  il  suo  pensiero  si  risolva  in  un 
moralismo  pratico,  semplice  e  tutt' altro  che  dottrinario,  é  provato 
dal  fatto  che,  se  oppugna  la  filosofia  sensista  del  sec.  XVIII  e  l'uti- 
litarismo della  scuola  inglese,  nemmeno  consente  al  cattolicesimo 
politico,  mistico  e  reazionario  del  Bonald  e  del  De  Maitre,  né  al 
neocattolicesimo  antiintellettualistico  del  Lamennais  (*),  e  tutte  le 
sue  idee  morali  impernia  sulla  pura  dottrina  del  Vangelo. 

Questa  equanime  larghezza  e  discreta  indipendenza  di  spirito  gli 
consente  di  riconoscere,  —  come  s' intravede  dalla  discussione  sugli 
odi  nazionali  —  nelle  questioni,  dove  gì' interessi  politici  dell'uomo 
e  de'  popoli  non  possono  facilmente  conciliarsi  coi  precetti  evan- 
gelici della  rassegnazione,  della  pazienza,  della  fratellanza  univer- 
sale, le  cause  «  giuste  »  di  lotta,  «  le  giuste  resistenze  »,  di  ravvisare 
nella  succession  de'  tempi  il  diminuire  e  talora  il  cessare  delle  av- 


(1)  Ibid.,  pp.  522-3. 

(2)  Notevoli  le  riflessioni  del  Manzoni  sulle  dottrine  politico-religiose  correnti  in 
Francia  durante  il  suo  soggiorno  a  Parigi  tra  il  '19  e  il  '20.  Nella  lett.  al  can.  Tosi 
del  7  apr.  1820  {Carteggio,  a  cura  di  G.  Sforza  e  G.  Gallavresi,  nell'edizione  hoepliana 
delle  Opere,  Milano,  1912,  p.  481  e  segg.),  giudicando  l'opera  dell'ab.  Lamennais,  di- 
fende lo  spirito  evangelico  e  la  verità  unica  della  religione  cattolica,  si  duole  delle 
aberrazioni  altrui  in  materia  religiosa,  del  discredito  in  cui  il  sentimento  religioso 
era  caduto,  dell'uso  che  lo  stesso  clero  faceva  della  religione  come  di  un'arma  d'as- 
solutismo politico,  della  confusione,  insomma,  irta  d'odi,  di  contese,  d'asprezze,  della 
politica  con  la  religione.  Le  stesse  deplorazioni  si  trovano  nella  lett.  del  1"  die.  1819 
{Care,  cit.,  p.  453). 


46  PAKTE    PRIMA 


versioni  politiche  e  una  maggiore  indipendenza  di  principi  morali 
nelle  masse  nazionali  da  quelli  che  possono  essere  gì'  «  interessi  » 
e  le  «  passioni  »  «  di  un  governo  »  (*)  ;  giunge  ad  ammettere  una 
conciliazione  feconda  della  politica  con  la  morale,  osservando,  con. 
singolare  percezione  delle  occulte  correnti  dell'anima  collettiva,  che 
«  a  misura  che  le  cognizioni  politiche  divengono  generali,  la  politica 
si  avvicina  alla  morale,  perchè  diventa  utile  il  far  le  cose  giuste  e 
difficile  e  dannoso  1' appigliarsi  alle  ingiuste;  poiché  queste  dispiac- 
ciono ai  più,  i  quali  sanno  giudicarne  più  che  mai  »  (*);  sostiene 
la  possibilità  che  per  miglior  direzione  di  ricerche,  per  più  attento 
ed  esteso  esame  e  maggior  ponderazione  di  ragionamenti  le  scienze 
morali,  recedendo  dalla  «  falsità  e  dal  fanatismo  »  di  canoni  opposti 
al  Vangelo,  vengano  a  stabilire  «  dottrine  conformi  ai  precetti  e  allo 
spirito  >  di  esso,  come  egli  osservava  ai  suoi  giorni-,  per  esempio, 
nell'economia  politica  (*). 

In  conclusione  il  Manzoni  non  conviene  certamente  nella  dottrina 
ideologica  settecentesca  della  progressiva  perfezione  morale  dell'uo- 
mo con  r  aiuto  della  scienza  e  delle  istituzioni  ;  neppure  aderisce 
—  come  bene  osserva  il  Galletti  —  all'ottimismo  etico  di  gran  parte 
del  pensiero  a  luì  contemporaneo,  secondo  cui  la  società  umana 
s'avvia  verso  una  coscienza  più  alta  e  più  pura  della  vita,  ma  tut- 
tavia, movendo  dal  concetto  dominante  nella  sua  visione  morale  del 
mondo,  ove  i  precetti  del  Vangelo  comprendono  «  tutto  il  possibile 
svolgimento  delle  relazioni  sociali  »  (*)  accede  —  nonostante  l'es- 
senziale principio,  più  volte  ribadito,  dell'ingenita  corruttela  della 
nostra  natura  —  all'idea  del  progresso  umano,  inteso  come  sviluppo 
e  approfondimento  dell'essenza  morale  del  Vangelo. 

E  opportuno  notare  che  il  Manzoni  nella  discussione  di  tutta 
questa  materia  sulla  religione  e  la  politica  che  sono  venuto  racco- 
gliendo e  ordinando  dagli  sparsi  frammenti  della  Parte  Seconda 
della  «  Morale  cattolica  »,  non  esce  dalla  via  regia  della  tradizione 
cristiana:  il  pensiero  cattolico  de'  grandi  scrittori  francesi  del  se- 
colo XVII,  che  in  quegli  anni  deplorava  fossero  dimenticati  dai 
nuovi  dottrinari  della  religione,  è  sempre  vivo  ed  efficace  anche  in 
questa  parte  della  sua  dottrina  religiosa.  Ci  sono  in  un  sermone  del 
Massillon  riflessioni  e  ricordi  che  riappaiono  nelle  prose  manzoniane, 
come  il  rilievo,  su  cui  spesso  torna  il  Manzoni,  degli  odi  nazionali 


(1)  Oss.  s.  mor.  catt.,  pp.  517,  518. 

{2}  Opp.  in.  o  r.  oit.,  voi,  III,  p.  335. 

(3)  Lett.  sul  Romanticismo  cjt.,  p.  1(55. 

(4)  lai. 


LA   GENESI    ETICO-RELIGIOSA  49 


degli  antichi,  istigati  dall'  idea  di  conquista  ed  estesi  fino  alla  di- 
struzione (*);  la  contrapposizione  dello  spirito  di  fratellanza  del 
cristianesimo,  efficace,  se  non  a  toglierli  del  tutto,  a  diminuirli  e 
frenarli;  la  deplorazione  che  —  non  ostante  i  sacri  legami  stretti 
dalla  pace  di  Cristo  —  durino  o  si  riaccendano  ai  tempi  moderni 
odi  e  rivalità  e  divisioni  tra  le  nazioni  (*). 

Ne'  Promessi  sposi,  che  pur  sono  una  rappresentazione  minuta,  e 
a  vivo  fondo  storico,  della  società  italiana,  dominata  e  governata 
dallo  straniero,  non  vediamo  lampeggiar  mai  1'  odio  politico,  o  sol- 
levarsi la  protesta  nazionale,  o,  almeno,  affiorare  alla  superficie  della 
vita  civile  quell'intimo  dissidio,  armato  di  roventi  sdegni  e  di  pre- 
meditate riscosse,  che  pur  e'  era  tra  la  nazione  degli  oppressi  e  la 
nazione  degli  oppressori.  E  potrebbe  stupire  che  il  Manzoni,  stu- 
dioso diligente  e  conoscitore  profondo  di  quel  secolo,  non  siasi  in- 
vogliato di  colorire  codesto  aspetto  della  società  lombarda  secentesca, 
se,  tenendo  presenti  gli  esposti  giudizi  sugli  odi  nazionali,  non  do- 
vessimo arguirne  che  egli  evitò  a  bello  studio  di  dar  rilievo  alle 
risentite  differenze  e  avversioni  nazionali,  per  non  perturbare  la 
severa  visione  morale  di  quel  mondo,  che  rispecchia,  più  che  un 
tristo  periodo  di  storia  italiana,  l'inesauribile  dramma  del  Cristia- 
nesimo, pili  che  la  perturbazione  morale  di  una  nazione  in  balia 
dello  straniero,  l'eterno  contrasto  tra  la  corruttela  dell'uomo  e  la 
legge  di  Dio.  Ciò  non  toglie  che  nella  segreta  ispirazione  de'  Pro- 
messi sposi,  nella  scelta  stessa  di  quel  momento  storico  della  vita 
italiana,  la  coscienza  civile  del  Manzoni  avvertisse  come  l' istinto, 
r  orgoglio  della  conquista  e  della  dominazione  e  la  sopraffazione 
d'un  popolo  sull'altro  non  possano  condurre  che  all'avvilimento  o 
alla  resistenza,  e  perturbino  e  perfino  distruggano  il  principio  della 
giustizia  ;  come,  infine,  sulla  presunzione  degli  oppressori,  sul  la- 
mento stesso  o  la  rabbia  degli  oppressi  vigoreggi  il  Vangelo,  per- 
petuo principio  di  civiltà  progressiva. 


(1)  Ils  fasoient  consister  leur  gioire  à  dépeupler  la  terre  de  leurs  semblables  ....  ; 
oa  aiiroit  dit  qu'  ils  tenoient  leur  étre  de  différents  createurs  irréconciliables,  toujours 
occupés  à  se  detruire,  et  qui  ne  les  avoient  placés  ici-bas  que  pour  venger  leur  qua- 
relle,  et  lerminer  leur  différent  par  l'extinction  universelle  de  l'un  des  deux  partis  » 
(Serm.  pour  le  jour  de  Noei,  in  Oeuvres,  ed  cit.,  voi.  I,  p.  359). 

(2)  Cfr.  nel  cit.  Serìu.  le  pp.  360-2  con  passi,  pur  cit.,  della  Mor.  catt.  (pp.  .509, 
521,  522). 


liusetto  —  4 


Capitolo  II. 
Problemi  e  motivi  etico-religiosi  del  mondo  manzoniano 


I.  Il  dominio  delle  passioni,  —  II.  Umiltà  e  orgoglio.  —  III.  Carità 
e  giustizia.  —  IV.  Gli  umili  e  i  potenti.  —  V.  Il  coraggio 
cristiano. 

Ora  dobbiamo  vedere  come  il  Manzoni^  sul  fondamento  de'  prin- 
cipi esaminati  nel  capitolo  precedente,  intenda  e  risolva  i  partico- 
lari problemi  della  vita  morale  e  interpreti  la  complessa  e  contrad- 
dittoria realtà  psicologica  ed  etica  dell'  uomo  ne'  suoi  motivi  ed 
effetti  alla  stregua  dell'  ideale  cristiano,  e  per  quali  procedimenti  del 
suo  pensiero  morale  e  religioso  sia  venuto  costruendo  il  mondo  de' 
Promessi  sposi. 

I  maggiori  problemi  dell'etica  manzoniana  toccano  il  dominio  delle 
passioni  sul  cuore  dell'uomo,  l'antitesi  tra  l'umiltà  e  l'orgoglio,  la 
faticosa  missione  della  carità  e  della  giustizia,  1'  eterno  dissidio  tra 
i  potenti  e  gli  umili,  la  necessità  del  coraggio  cristiano  e  dell'eroica 
difesa  del  vero  e  del  giusto:  dal  modo  come  il  Manzoni  li  sentì, 
procedono  le  correnti  pessimistiche  e  idealistiche  del  suo  cristiane- 
simo ;  dalla  sua  singolare  attitudine  a  meditarli  e  approfondirli  per 
trarne  risoluzioni  sempre  più  nobili  e  pure,  deriva  quell'intenso 
lavoro  di  trasformazione  interiore  a  cui  andò  soggetto  il  romanzo 
attraverso  due  e  forse  tre  redazioni.  Trattarne  partitamente  vuol 
dire  ripercorrere  la  genesi  etico-religiosa  dell'opera  immortale. 


I.  Già  il  Galletti,  nella  sua  acuta  e  robusta  analisi  delle  idee  mo- 
rali del  Manzoni,  drittamente  avvertiva  :  «Chi  esplora  il  fondo  del 
suo  pensiero  sente  che  egli  è  un  avversario  radicale  dell'ottimismo 


LA    GENESI    ETICO  -  RELIGIOSA  51 


umanitario.  Guardando  alla  miseria  della  nostra  natura,  alle  allu- 
cinazioni che  assediano  il  povero  cervello  umano,  ai  nostri  deliri 
forsennati  e  alle  nostre  passioni  ipocrite  o  brutali,  egli  non  prorompe 
come  Pascal  in  sdegni  veementi,  non  impreca  come  i  Profeti,  non 
piange  ;  ma  analizza  ed  espone,  crollando  il  capo  e  sorridendo  con 
tristezza  pietosa  della  comune  follia  »  (*). 

Codesta  forma  di  pessimismo,  che  in  gioventù  fu  il  principale 
motivo  del  suo  ritorno  alla  fede,  era  germinata  in  lui  dalla  «  co- 
scienza dell'irrimediabile  debolezza  della  ragione  umana  »  e  dal- 
l'avere avvertito  «nell'uomo  la  propensione  a  secondare  i  sofismi 
della  passione  per  sottrarsi  al  dovere  e  abbandonarsi  all'  istinto  »  (*). 

Per  quella  sua  vigile  cura  di  scoprire  le  sofistiche  giustificazioni 
delle  debolezze  e  de'  traviamenti  umani  il  moralista  italiano  fa  pen- 
sare al  più  acuto  psicologo  dei  grandi  oratori  sacri  francesi,  al 
Massillon,  che   ne   tratta  con   larghezza   e   finezza.  «  Les   prétextes 

—  egli  dice  —  les  intéréts,  les  inconvenients  humains  font  toujours 
pencher  la  balance  de  leur  coté  ;  et  le  devoir  et  la  loi  de  Dieu  cède 
toujours  k  la  nécessité  des  temps  et  des  conjonctures  ».  E  pronto  ri- 
batte, come  Federigo  ai  pretesti  di  don  Abbondio  :  «  la  vie,  la  fortune, 
la  réputation,  l'univers  entier  lui  —  méme,  mis  en  parallele  avec 
notre  àme,  ne  doit  étre  compté  pour  rien  »  ;  i  più  gravi  mali  «  se- 
roient  toujours  infiniment  moindres  que  la  transgression  de  la  loi 
de  Dieu  »  (^).  «  Nos  passion  seules  »   —  esclama  il  fervido  oratore 

—  «  forment  les  inconvenients  qui  nous  autorisent  à  chercher  des 
tempéraments  à  nos  devoirs  et  à  la  loi  de  Dieu....  Les  raisons  ne 
manquent  jamais  aux  passions;  l'amour  propre  est  habile  k  mettre 
toujours  du  moin  les  apparences  de  son  coté  :  il  change  toujours 
nos  foiblesses  en  devoirs  et  nos  penchants  deviennent  bientòt  de 
titres  legitimes  ;  et  ce  qu'  il  y  a  ici  de  plus  déplorable,  dit  saint  - 
Augustin,  e'  est  que  nous  appelons  la  religi on  mème  aux  secours  de 
nos  passions;  que  nous  prenons  dans  la  piété  des  motifs  pour  violer 
les  règles  de  la  piété  méme  ;  et  que  nous  recourrons  à  des  prétextes 
saints,  pour  autoriser  des  cupidités  injustes  »  (*). 


(1)  Le  idee  morali  del  Manzoni  e  le  Oss.  s.  mor.  catt.\  nel  Rinnovamento,  voL 
V,  p.  27. 

(2)  Op.  cit.,  pp.  14,  24.  Sulle  passioni,  come  l'onte  di  «  tutte  le  dottrine  false  »  e 
di  «  tutti  gli  abusi  delle  vere  »  e  sullo  sforzo  di  volere  conciliar  quelle  con  «  l'autorità 
dèlia  dottrina  che  le  condanna  »  v.  Oss.  s.  mor.  catt.,  pp.  253-4. 

(3)  Semi,  sur  l'iriimutabilité  de  la  loi  de  Dieu,  in  Oeuvres  (ed.  cit.),  voi.  V, 
pp.  76-7. 

(4)  Ihld.,  pp.  «0,  81. 


52  PARTE   PRIMA 


Questo  tremendo  problema  morale  delle  passioni  sofisticate  dalla 
ragione  ha  un  posto  di  prim' ordine  tra  le  idee  direttrici  del  ro- 
manzo manzoniano  :  vi  feconda  il  motivo  psicologico  e  la  figurazione 
concreta  di  taluni  caratteri.  Don  Abbondio  sofistica  la  sua  paura 
con  la  dottrina  della  prudenza,  col  biasimo  degli  eccessi,  anche  se 
questi  sono  le  sublimi  prove  del  bene  ch'egli  chiama  «  precipita- 
zioni »  ;  ma  il  Manzoni  da  prima  si  beffa  amabilmente  di  quella  sua 
interessata  prudenza,  de'  suoi  «  tant'anni  di  studio  e  di  pazienza  >, 
per  crearsi  quel  suo  bel  «sistema  di  quieto  vivere  »,  col  fargli  fare 
uno  de'  più  «  brutti  incontri  »  che  gli  potesse  capitare  (')  ;  poi  ne 
svela  r  intima  contraddizione,  opponendo  alla  premura  della  vita 
terrena  il  dovere  della  giustizia  e  del  sacrifizio,  mediante  la  solenne 
parola  di  Federigo.  Quando  mai  non  spunta  il  sofisma  nel  pavido 
cuore  0  nelle  tortuose  parole  di  don  Abbondio  ?  Nelle  tergiversazioni 
con  Renzo  alla  vigilia  delle  nozze,  nel  soliloquio  mentre  l'aspetta, 
nello  schermirsi  dall'andare  al  castello  a  prendere  Lucia,  nel  col- 
loquio con  Federigo,  negli  stupendi  monologhi  che  fa  viaggiando 
in  compagnia  del  signore  convertito,  negl'  interessati  consigli,  che 
dà  a  Renzo,  di  ritornare  in  salvo  sul  bergamasco,  è  sempre  lui  con 
quella  «  mutria  »,  come  diceva  Renzo,  con  quelle  «  ragioni  >, 

In  don  Abbondio  il  sofisma  della  passione  ha,  direi  quasi,  la  so- 
lidità d'un  abito  inveterato,  è  divenuto  la  sua  perpetua  fisionomia 
spirituale:  la  calda  voce  del  Vangelo,  l'esperienza  delle  varie  vi- 
cende non  vi  han  fatto  una  scrinatura.  Don  Abbondio  in  questa  sua 
fissità  quasi  glaciale  è  la  tremenda  ironia  di  quel  compromesso  tra 
la  debolezza  e  la  ragione  che  in  infinite  forme  invade  la  vita.  Noi 
sorridiamo  col  poeta;  ma  nel  sorriso  nostro  e  suo  s'asconde  una 
profonda  mestizia. 

Anche  don  Rodrigo  sofistica  la  sua  turpe  passione,  ma  a  scatti, 
disordinatamente,  col  pretesto  dell' «  impegno  »,  dell' «  onore  suo» 
dell'  «  onore  di  tutto  il  parentado  » ,  delle  canzonature  degli  amici. 
Don  Abbondio  è  un  abulico  che  s' è  fatta  della  sua  paura  una  teoria 
pratica:  di  qui  il  comico;  don  Rodrigo  è  abulico  quasi  quanto  lui, 
ma  ha  l' inquietudine  de'  delinquenti  passionali  ;  non  teorizza,  ma 
si  ravvolge  nella  vergogna  e  nel  rabbioso  puntiglio:  la  sua  strana 
sofisticazione  è  in  quelle  parole  che  dice  tra  sé  e  sé  in  un'ora  di 
stizzosa  perplessità:  «  un  impegno  un  po'  ignobile,  a  dire  il  vero: 
ma,  via,  uno  non  può  alle  volte  regolare  i  suoi  capricci,  il  punto  é 
di  soddisfarli.  Ecco  il  sofisma:  soddisfarli,  perchè  «  bisognava  render 


(1)  Pram.  sp.,  cap.  I.  p;  17. 


LA    GENESI   ETICO -RELIGIOSA  58 

ragione  »  agli  amici  di  Milano  e  non  esser  costretto  e  a  non  alzar 
mai  più  il  viso  tra  i  galantuomini  »  (*).  E  questo  pei  sofisti  della 
debolezza  e  dell'iniquità  è  «  un  dovere  ».  Persino  i  dappoco  e  i  fur- 
fanti si  vantano  di  fare  il  proprio  dovere  :  don  Abbondio,  11  Griso,  il 
podestà,  il  conte  Attilio  (*)  e  via  dicendo.  Tremenda  ironia!  E  que'  due 
mirabili  colloqui  del  cugino  Attilio  col  conte  zio  e  di  questo  col  padre 
provinciale  non  sono  due  capolavori  della  birboneria  e  dell'  ipocrisia 
soflsticatrici  ?  «  E  la  passione  che  ho  della  riputazione  del  casato 
che  mi  fa  parlare  »,  dice  il  primo,  dopo  aver  impastocchiato  tante 
fandonie;  e  l'altro  ostenta  e  insinua:  «  sarebbe  un  vero  crepacuore 
per  me  di  dovere....  di  trovarmi....  io  che  ho  sempre  avuta  tanta 
propensione  per  i  padri  cappuccini  »  (^)  ! 

Ma  dove  non  s'insinua  il  ragionamento  interessato,  l'espediente 
ingegnoso,  la  capziosità  avveduta  dell'  intelletto  a  servizio  di  sen- 
timenti e  passioni  nel  mondo  de'  Promessi  sposi?  Il  Manzoni  ha 
scrutato  il  formidabile  problema  de'  sofismi  passionali  con  una  pe- 
netrazione e  profondità,  che  nessuno  psicologo  o  moralista  o  poeta 
aveva  raggiunto  :  coglie  perfino  i  sofismi  tratti  dalla  pietà  religiosa, 
dalla  pratica  del  dovere,  rivaleggia  con  sant'Agostino.  È  della  pia 
Prassede,  «  gentildonna  molto  inclinata  a  far  del  bene  »,  quella  mas- 
sima, così  poco  evangelica:  «  chi  fa  piìi  del  suo  dovere  »  può  «  far 
più  di  quel  che  avrebbe  diritto  »  (^).  E  spunta  perfino  sulle  labbra 
di  Lucia  un  piccolo  sofisma  del  cuore,  ma  quanto  amabile  e  degno 
della  nostra  sollecitudine!,  quando  vorrebbe  convincere  sé  stessa  e 
r  acerba  predicatrice  che,  se  difende  Eenzo,  lo  fa  «  per  puro  dovere 
di  carità,  per  amore  del  vero....  come  prossimo  »  (*).  ^ 

Il  Manzoni,  per  quella  sua  quasi  appassionata   disposizione  Intel-     ) 
lettuale  a  cogliere  gli  errori  del  ragionamento  e  a  scoprirvi  gl'im-/ 
pulsi   di    molti  disordini   morali  C),  riguarda  le   passioni,   coi  loro  T 
falsi  entusiasmi,  con  le  loro  conseguenze  d'odio  e  disprezzo   verso   \ 
i  sentimenti  e  le  opinioni  altrui,  con  le  loro  caduche  illusioni,  non     \ 
solo  come  un  pericolo  per  la  morale,  una  causa  di  perenne  conflitto     J 
dell'animo  coi  termini  irremovibili,  posti  «  dalla  religione  »   {')  maX 


(1)  Prom.  sp.,  cap.  XI,  p.  162;  cap.  XVIII,  pp.  264-5;  cap.  XX,  p.  290. 

(2)  Prom.  sp.,  cap.  II,  p.  24;  cap.  XI,  pp.  163,  166;  cap.  XVIII,  p.  272. 

(3)  Prom.  sp.,  cap.  XVIII,  pp.  272-5;  cap.  XIX.  pp.  277-83. 

(4)  Prom.  sp.,  cap.  XXV,  p.  369. 

(5)  Prom.  sp.,  cap.  XXVII,  pp.  397-8. 

(6)  Cfr.  F.  Crispolti,  L'origrine  intima  dei  «  Promessi  sposi»,  Discorso  proemiale 
all'ediz.  torinese  del  romanzo  il913,  Libr.  editr.  Internazionale)  specialmente  a  pp. 
XIII-XV. 

(7)  Oss.  s.  mor.  catt.,  p.  472. 


54  PARTE    PRIMA 

come  un  pericolo  anche  per  la  dottrina  logica  del  ragionare  (^). 
A  coloro  che,  come  1'  Helvetius,  rimproverano  alla  morale  religiosa 
i  precetti  di  moderazione  e  di  giustizia,  perchè  nel  conflitto  con  la 
violenza  e  la  prepotenza  rovinerebbero  le  nazioni  che  li  adottassero, 
il  Manzoni  risponde  che  non  per  questo  la  nazione  moderata  e  giusta 
sarebbe  meno  energica;  che,  per  esser  atti  alla  difesa,  non  ò  neces- 
sario esercitarsi  all' ofl'esa.  Chimera  —  dicevano  i  filosofi  francesi  — 
codesta  perfezione  morale:  —  «chimera»,  purtroppo  — soggiunge 
il  Manzoni  con  profonda  tristezza  —  «  per  la  renitenza  degli  uomini 
che  potrebbero  e  non  vogliono  adottarla  »  ;  ma  chimera  altresì  quella 
felicità  che  voi  credete  «  fondata  sullo  sviluppo  delle  passioni  »  ; 
che  giammai  vera  gioia  —  e  lo  prova  la  storia  —  è  nata  dalla  vio- 
lenza, ma  le  sono  seguiti  «  inutile  pentimento  e  lagrime  senza  con- 
solazione »  e  disillusioni  dietro  lo  sforzo  e,  anche  dopo  il  raggiun- 
gimento dello  scopo,  inquietudine  e  cruccio:  è  «  la  natura  stessa 
delle  cose  »  che  rende  vana  quella  felicità  vagheggiata  (*). 

11  Manzoni  è  un  avversario  deciso  della  teoria  dell'assoluto  diritto 
della  forza.  Si  stupisce  sdegnosamente  che  austeri  scrittori  scusino 
e  lodino  i  longobardi,  persecutori  de'  Romani  quasi  inermi  e  sco- 
raggiati, «  purché  nel  carattere  di  essi  ci  sia  qualcosa  di  aspro  e  di 
risoluto,  che  denoti  una  tempra  robusta  »  «  Eppure  —  ribatte  il 
Manzoni  —  il  più  forte  sentimento  d'avversione  dovrebb' essere  per  la 
volontà  che  si  propone  il  male  degli  uomini;  e  per  quanto  profon- 
damente essi  siano  caduti,  un  senso  di  gioia  deve  sorgere  nel  cuore 
d'  ogni  umano  quando  veda  per  essi  nascere  una  speranza  di  sol- 
lievo se  non  di  risorgimento  »  (^).  La  »  debolezza  umana  »  non  è 
una  buona  «  scusa  »  —  soggiunge  in  un  notevolissimo  frammento  — 
«  per  ridurre  ad  una  misura  d'equità  la  disapprovazione  »,  «  quando 
si  tratti  di  passione,  di  orgoglio,  di  cupidigia  »  (*),  e  sentenzia  con 
energia  :  «  per  quanto  vergognosa  appaia  la  paura  di  quelli  che  sta- 
vano per  essere  oppressi,  più  odiosa,  più  turpe,  più  indegna  appare 
l'iniquità  degli  oppressori  »  (').  È,  pel  Manzoni,  «  una  delle  più 
sacre  e  capitali  nozioni  della  morale  »,  «  una  delle  regole  principali 
del  giudizio  umano  »,   «  quella  che  ci  fa  disapprovare  i  fatti  e  i  sen- 


ti) Ibid.,  p.  527.  «  È  raro  —  rileva  il  Manzoni  —  che  due  persone  di  contrario  pa- 
rere si  fermino  nella  questione,  cerchino  pazientemente  d'illuminarsi  a  vicenda,  non 
sostituiscano  le  passioni  agli  argomenti  ;  e  che  sarà  quando  le  dispute  saranno  trattate 
da  molti  che  non  vi  portano  altro  che  le  passioni,  senza  un  solo  argomento  i  ». 

(2)  Ibid.,  pp.  504-5. 

(3)  Disc.  stor.  sopra  alcuni  punti  d.  st.  long,  cit.,  cap.  V,  p.  257. 

(4)  Opp.  in.  o  r.,  voi.  Ili,  p.  398. 

(5)  IMd.,  p.  402. 


LA   GENESI    ETICO -RELIGIOSA  55 

timenti,  a  misura  del  dolore  che  volontariamente  apportano  agli 
uomini  >:  e  il  giudizio  di  quegli  storici,  piìi  propenso  alla  «  lode  » 
per  gli  aggressori  vittoriosi  e  al  «  biasimo  »  per  gli  assaliti  sgomenti 
e  vinti,  non  si  perita  di  chiamarlo  «  falso,  irreiiessivo,  immorale, 
fantastico  »  (*),  tale  da  creare  impressioni  che  «  tendono  a  far  di- 
menticare, a  rendere  inutile  una  delle  più  preziose  rivelazioni  della 
morale  cristiana,  che  l'ingiustizia  è  sempre  turpe,  bassa,  vile,  spre- 
gevole, tendono  a  ricondurci  alla  improvvida  e  inumana  morale  del 
paganesimo,  la  quale  perdonava,  talvolta  ammirava,  i  delitti  che 
nascevano  più  direttamente  dall'orgoglio,  perchè  non  sapeva  che 
l'orgoglio  è  una  ignoranza  perversa  »  (^).  Da  questi  gravi  appunti 
ai  ragionamenti  de'  filosofi  e  ai  giudizi  degli  storici,  gli  uni  e  gli 
altri  propensi  a  scusare  se  non  anche  ad  esaltare  la  violenza  ani- 
mosa, s' intende  che  il  Manzoni  attraverso  la  critica  de'  metodi 
logici  vuol  colpire  i  principi  morali,  da  cui  potrebbe  credersi  de- 
rivato quel  loro  modo  di  ragionare  e  di  giudicare;  in  quell'accalo- 
rarsi  del  critico  e  del  moralista  insieme  è  manifesta  la  preoccupa- 
zione che  il  culto  della  forza  brutale,  l'approvazione  della  violenza, 
ove  questa  vada  congiunta  con  una  natura  risoluta  e  vigorosa,  il  di- 
sprezzo degli  oppressi,  sol  perchè  meno  forti  e  potenti  d'altrui,  siano 
passioni  capaci  non  solo  di  fuorviare  la  logica,  ma  altresì  di  per- 
turbare la  condotta  morale.  Cosi  meditando,  egli  scopre  nella  vita 
come  una  fosca  trama  d'aberrazioni  e  di  sopraffazioni  con  cui  la 
ragione,  la  volontà  e  l'istinto  tentano  di  soffocar  l'innocenza  e  la 
verità.  E  questo  l' aspetto   più   tristo   del   mondo,  rappresentato  nel 


(1)  Ibid.,  p.  396. 

(2)  n>id.,  pp.  400-1.  Notando  negli  Sposi  promessi  che  gli  esempi  di  frugalità  e 
d'astinenza  valsero  a  procurar  gloria  al  romano  Fabrizio,  ma  non  varrebbero  a  Fe- 
derigo Borromeo,  conchiude  con  estrema  amarezza  :  "  La  più  parte  degli  uomini,  parlo 
degli  uomini  cólti,  non  consente  [ad]  ammirare  le  virtù  frugali  ed  astinenti  che  in 
coloro  i  quali  eccitano  con  virtù  feroci  un'altra  ammirazione  di  terrore:  non  consi- 
dera quelle  come  virtù,  che  quando  siano  unite  ad  un  profondo  sentimento  d'orgoglio 
e  di  disprezzo  per  qualche  parte  del  genere  umano  ,,  jp.  469).  Le  osservazioni  del 
Manzoni  sull'orgoglio  pagano  collimano  col  pensiero  del  Massillon,  che  fa  una  spietata 
analisi  della  società  romana  in  un  suo  celebre  sermone.  "  Oui,  —  egli  dice  —  mes 
Frères,  je  dis  que  l'orgueil  avoit  été  la  première  source  des  troubles  qui  déchiroient 
le  coeur  des  hommes.  Quelles  guerres,  quelles  fureurs,  cette  fimeste  passion  n' avoit 
elle  pas  allumées  sur  la  terre  „  ? 

E  dopo  un  fosco  quadro  di  tutti  i  mali  derivati  dall'orgoglio,  continua  con  una 
riflessione  che  fa  pensare  all'esempio  manzoniano  di  Fabrizio:  "  L'orgueil,  devenu  la 
seule  source  de  l'honneur  et  de  la  gioire  humaine,  étoit  devenu  l'écueil  fatai  du  repos 
et  du  bonheur  des  hommes,,.  (Semi.  cit.  pour  le  jour  de  No^l,  pp.  348-50). 

Deplora,  poi,  che,  nonostante  la  pace  portata  da  Cristo,  l'orgoglio  domini  il  mondo 
anche  ne'  secoli  della  redenzione:  "  l'orgueil  qu'  il  est  venu  anéantir,  en  met  —  il  — 
moins  le  lumulte  et  la  coufusion  parmi  les  hommes  ? ,,  (p.  352). 


56  PARTE   PRIMA 


romanzo.  Ciò  che  pertanto  importa  notare  è  che  nel  Manzoni  Ja 
valutazione  etica  e  l'analisi  psicologica  delle  passioni,  non  meno  che 
delle  virtù  contrarie,  non  solo  traggono  vigore  dal  sentimento  re- 
ligioso, ma  insieme  si  fondano  su  principi  necessari  e  assoluti  di 
verità,  ond'ei  vi  porta  col  fervore  del  sentimento,  esperto  dell'anima 
umana,  l'adesione  del  raziocinio;  il  che,  del  resto,  è  secondo  un 
principio,  anzi  un  metodo  —  come  egli  stesso  afferma  —  della  mo- 
rale religiosa,  e  ne  è  documento  magnifico  S.  Paolo,  apostolo  di  fede 
e  ragionatore  formidabile.  Basta  esaminare  quel  lucido  e  acuto 
capitolo  della  Morale  cattolica  —  testimonianza  singolare  quant'altra 
mai  della  dialettica  manzoniana  —  «  sulla  modestia  e  sulla  umiltà  » , 
per  convincersi  che  i  problemi  morali  gli  si  presentano  non  solo 
come  fatti  del  cuore  e  della  volontà^  ma  altresì  dell'intelletto  e  della 
logica.  E  le  risoluzioni  ei  le  cerca  e  trova  con  processo  psicologico 
e  logico  ad  un  tempo.  In  fondo  ad  ogni  suo  esame  e  giudizio  del 
mondo  morale  sta  assiomaticamente  un  principio  di  conoscenza  :  la 
«doppia  idea  che  la  Rivelazione  ci  ha  data  di  noi  stessi»,  che  cioè 
«l'uomo  è  corrotto  e  inclinato  al  male  e  che  tutto  ciò  che  ha  di 
bene  in  sé,  è  un  dono  di  Dio  »  ;  principio,  nel  quale  si  riflette  il 
motivo,  —  così  universale  nella  dottrina  cattolica  e  così  frequente 
negli  scritti  di  un  Pascal,  di  un  Massillon,  d'un  Bossuet  e  d'altri,  — 
dell'umana  corruttela  e  della  grazia  divina.  Tra  questi  due  termini 
il  ritmo  del  cuore  del  mondo  non  può  essere  che  l'inquietudine, 
universale  anche  se  varia,  ne'  cuori  de'  tristi  non  meno  che  ne'  cuori 
de'  buoni. 

«  L' inquietudine  —  afferma  il  Manzoni  —  è  connaturale'all'uomo  >  ; 
essa  domina  in  tutte  le  condizioni  della  vita;  onde^  a  proposito  degli 
uffici  della  poesia,  osserva  che  «  ogni  finzione  che  mostri  l'uomo  in 
riposo  morale  è  dissimile  dal  vero  »  ;  e  che  se  pur  «  una  certa  tran- 
quillità >  si  può  «  godere  in  questo  mondo  »,  essa  viene  da  principi 
soprannaturali,  ed  è  falso  che  sia  tolta  dalla  natura  stessa  delle  cose 
e  dei  desideri  nostri  »  (*).  Anche  nel  cuore  de'  buoni,  giacché  è 
decreto  di  sapienza  e  bontà  che  la  «  giustizia  »  quaggiù,  «  non  pura 
né  perfetta»,   «  soffra  per  mondarsi  e  combatta  per   crescere  »  (*). 


(1)  Opp.  in.  0  r.,  voi.  Ili,  pp.  196,  197-8.  Similmente  il  Massillon:  "  La  vie  de  la 
plus  part  des  hommes  est  une  vie  toujours  occupée  et  toujours  inutile;  une  vie  toujours 
laborieuse  et  toujours  vuide:  leurs  passions  forment  tous  leurs  mouvements.  Ce  sont 
là  les  grands  ressorts  qui  agitent  les  hommes;  qui  les  font  courir  ca  et  là,  comme 
des  insensés;  qui  ne  les  laissent  pas  un  moment  tranquilles  ecc.  ,,  (Serm.  sur  l'emploi 
du  temps,  in  Oeuvres,  ed.  cit.,  voi.  V,  p.  104) 

(2)  App.  al  cap.  Ili  della  Mor.  catt.  (ed.  cit.),  p.  386. 


LA  (tENP^,si   r:Tjri)-REtjr;iosA  57 


Da  questo  concetto  della  missione  dell'uomo  sulla  terra  derivano 
con  temperanza  di  bonaria  ironia  la  similitudine  de'  due  letti,  che 
raffigura  l'inquietezza  d'ogni  stato  umano  ('),  e  quella  conclusione 
del  romanzo,  messa  lì  come  «  il  sugo  di  tutta  la  storia  »,  che  «  i 
guai  vengono  bensì  spesso,  perchè  ci  si  è  dato  cagione  ;  ma  che  la 
condotta  più  cauta  e  più  innocente  non  basta  a  tenerli  lontani;  e 
che  quando  vengono,  o  per  colpa  o  senza  colpa,  la  fiducia  in  Dio 
li  raddolcisce,  e  li  rende  utili  per  una  vita  migliore  »  (*). 


II.  Se  è  legge  per  1'  uomo  il  riconoscBre  «  di  esser  soggetto  al- 
l'errore e  al  traviamento  »  e  il  riconoscere  «  ugualmente,  che  tutti 
i  suoi  pregi  sono  doni  che  può  perdere  per  la  sua  debolezza  o  per 
la  sua  corruttela  »  (^),  ne  viene  che  della  santa  milizia  della  vita 
è  anima  e  guida  l'umiltà,  come  sentimento,  ovverosia  la  modestia, 
come  azione,  e  che  fomite  di  corruzione  e  di  perdizione  è  l'orgoglio  : 
quella  è  ragione  e  sostanza  di  tutti  i  beni  e  di  tutte  le  virtù^  questo 
di  tutti  i  mali  e  di  tutte  le  passioni.  Queste  due  forze  contrarie 
dello  spirito,  intorno  a  cui  s'aggira  il  massimo  problema  della  mo- 
rale religiosa,  tengono  il  primo  posto  nella  meditazione  cristiana 
del  Manzoni,  e  sono  il  motivo  etico  fondamentale  di  quel  mondo 
poetico  che  via  via  si  svolge  dalla  Risurrezione  alla  Pentecoste  e  si 
matura,  in  piena  concordia  dell'intelletto  con  la  fantasia,  ne'  Pro- 
messi sposi.  Che  è,  guardato  nel  suo  intimo  spirito  morale,  il  romanzo 
manzoniano,  se  non  il  poema  dell'umiltà  e  dell'orgoglio?  E  non  è 
su  queste  due  forze  contrarie  che  sorge  il  dramma  cristiano?  Come 
intendere  la  commossa  eloquenza,  il  poderoso  vigore  dialettico,  l'ac- 
cento, l'aria,  onde  si  avviva  la  meditazione  manzoniana  sull'umiltà  e 
l'orgoglio  nelle  ultime  pagine  del  citato  capitolo  (*),  se  non  pensando 
che  tra  quei  due  termini  il  Manzoni  vedeva  svolgersi,  faticosa  e 
perenne,  la  storia  dell'  uomo  ?  Da  una  parte  S.  Paolo  che  «  costretto 
a  parlare  di  ciò  che  lo  può  elevare  agli  occhi  altrui,  ne  restituisce 
a  Dio  tutta  la  gloria  e  confessa  spontaneamente  le  miserie  più  umi- 
lianti in  un  apostolo»;  dall'altra  <  l'uomo  che  osa  promettere  a 
sé  stesso  che  per  la  sua  forza,  sceglierà  il  bene  nell'occasioni  dif- 
ficili »,   l'uomo  che  s'antepone   agli   altri  ed  «  è  parte   e  si   fa  giu- 


(1)  Proni,  sp.,  cap.  XXXVIII,  p.  573. 

(2)  ma.,  p.  574. 

(3)  Oss.  s.  mor.  catt.,  p.  338. 

(4)  ma.,  pp.  340-6. 


56  partp:  prima 

dice  »  (*)  :  antitesi  tra  il  Vangelo  e  lo  spirito  del  mondo^  tra  Dio  e 
l'umana  corruttela.  La  stessa  difesa  dell'istituto  della  confessione, 
che  il  Manzoni  fa  nel  limpido  e  franco  capitolo  XVIII  della  Morale 
cattolica,  è  tutta  ispirata  da  un  alto  e  puro  concetto  dell'umiltà 
cristiana:  pel  Manzoni  l'umiltà  è  ordine  ed  equilibrio,  ilare  fiducia 
in  Dio,  libertà  di  spirito,  mezzo  di  dignità,  dì  calma,  di  ragione; 
elevazione  dalla  bassezza,  liberazione  dal  giogo  delle  passioni,  supe- 
riorità sui  timori  umani  ;  è,  insomma,  la  feconda  virtù  del  Vangelo 
fra  gli  eterni  contrasti  del  mondo  (*).  È  naturale  che  questo  sia 
uno  de'  motivi,  anzi  il  principal  motivo,  della  concezione  morale  e 
poetica  de'  Promessi  sposi.  L'umiltà  è  incarnata  in  Lucia;  è  la  virtù 
cristiana  che  trionfa  nella  vicenda  delle  cose,  nella  lotta  delle  pas- 
sioni: è  il  supremo  ideale  manzoniano.  Dalla  concezione  dell' umiltà 
intesa  nel  più  puro  senso  religioso,  in  quello  che  vide  ed  espresse 
Dante,  quando  si  vestì  l'anima  d'umiltà  nell' accingersi  al  viaggio 
pel  Purgatorio:  —  immagine  della  vita  cristiana  quaggiù,  eh' è  mi- 
lizia, combattimento  contro  le  passioni,  sforzo  di  perfezionamento 
morale,  prova  della  nostra  volontà,  del  nostro  sentimento  nella  con- 
quista della  libertà  dello  spirito,  —  da  codesta  concezione  dell'u- 
miltà deriva  il  mondo  morale  del  Manzoni  e  riceve  luce  il  mondo 
storico,  ch'egli  ricostruisce  con  intuito  de'  tempi  e  con  conoscenza 
profonda  dell'anima  umana. 

Dall'umiltà  e  dalla  sua  antitesi  e  dalle  gradazioni  morali,  che,  se 
non  un  vizio  nettamente  contrario,  ne  costituiscono  un  difetto  (modi 
del  sentimento,  condizioni  di  vita  morale,  difettive  d'umiltà)  pro- 
viene la  triplice  serie  de'  principali  caratteri  manzoniani:  nobilis- 
simi, come  Lucia,  Federigo,  fra  Cristoforo;  malvagi  o  iniqui  o  cor- 
rotti, come  don  Rodrigo,  l' Innominato,  il  padre  di  Gertrude,  Gertrude 
stessa,  il  conte  Attilio;  deboli  o  illusi  o  materialoni,  anche  se  istin- 
tivamente onesti,  come  don  Abbondio,  don  Ferrante,  donna  Prassede, 
Eenzo,  Perpetua,  Agnese.  E  quelle  stesse  infinite  figure  minori,  — 
come  il  sarto  del  villaggio,  sua  moglie,  il  barcaiolo  del  lago,  padre 
Casati,  fra  Galdiuo,  fra  Fazio,  il  podestà,  il  dottor  Azzeccagarbugli, 
il  conte  zio,  il  padre  provinciale,  Antonio  Ferrer,  la  moltitudine 
de'  rivoltosi  pel  rincaro  del  pane,  il  notaio,  gli  osti,  i  monatti  e  via 
dicendo,  —  che  fanno  da  sfondo  storico  e  umano  al  grande  dramma 
cristiano,  attuato  ne'  caratteri  e  nelle  azioni  de'  personaggi  di  mag- 
gior rilievo,  non  sono  che   o   i   luminosi  riverberi   della   gran  luce 


(1)  Ibid.,  pp.  341-2.  Sull'orgoglio  v.  anche  le  pp.  349-50,  355. 

(2)  ma.,  pp.  342-3. 


LA    GENESI    ETICO -RP:LIGI()SA  59 

d'umiltà  che  splende  nelle  maggiori,  o  le  sinistre  ombre  dell'opposta 
passione  —  l'orgoglio  —  e  delle  sue  variazioni  molteplici. 

L'umiltà,  come  virtìi  cristiana,  che  inalza  l'animo  a  Dio  e  che, 
perciò,  non  lo  porta  all'inerzia  passiva,  ma  l'arma  di  fede,  di  spe- 
ranza operosa,  d'istintiva  sicurezza  nel  trionfo  del  bene,  è  la  segreta 
fonte  dell'ironia,  dell'umorismo,  del  biasimo  morale^  con  cui  il  Man- 
zoni ha  concepito  e  atteggiato  molti  de'  suoi  personaggi  e  rappre- 
sentati molti  avvenimenti. 

Si  veda  don  Abbondio  :  egli  ha  una  teoria  pratica  della  vita  e 
una  grande  sicurezza  nel  suo  tenore  morale:  che  è  codesto?  Sover- 
chia fiducia  nelle  teorie  umane,  tanto  spesso  generate  dagl'istinti, 
dalle  passioni,  dall'interesse.  E  la  sua  teoria  resta  frustrata  dal 
giorno  dell'incontro  co'  bravi:  s'è  fatta  una  sua  spicciola  scienza, 
per  evitare  i  guai  del  mondo,  e  vi  si  trova  impigliato;  troppa 
sicurezza,  troppa  confidenza  nel  suo  sistema:  c'era,  anche  in  don 
Abbondio,  una  specie  d'orgoglio:  quel  costituirsi  una  sua  dottrina 
morale  sulla  base  della  paura  e  dell'egoistico  interesse  era  proprio 
il  contrario  dell'umiltà.  Di  qui  l'umoristica  concezione  del  suo  ca- 
rattere e  delle  sue  azioni:  l'ironia  della  sua  troppo  sicura  scienza 
della  vita  è  costante:  ironia  di  una  dirò  così .  presuntuosità  etica, 
che  lo  faceva  borbottare  perfino  sul  conto  di  quell'alta,  disinteres- 
sata operosità  cristiana,  che  si  esprime  da  Federigo  Borromeo. 

Vedete  don  Ferrante:  questi  ha  anche  una  sua  soverchia  sicurezza 
nella  sua  interpretazione  pseudo-scientifica  delle  cose  del  mondo:  è 
un  orgoglioso  cerebrale  ;  e  di  quella  sua  presuntuosità  intellettuale 
è  continua  l'ironia.  Chi  più  di  lui  si  sentiva  sicuro  nel  giudicare 
della  peste?  chi  più  di  lui  pretendeva  di  possedere  la  teoria  scien- 
tifica, esatta  di  quel  morbo?  E  proprio  di  esso  egli  muore;  e  ne 
muore  perchè  non  si  degnava,  come  un  qualsiasi  modesto  mortale, 
di  circondarsi  di  precauzioni,  di  cautele.  Che  cosa  vince  l' Innomi- 
nato? l'umiltà  di  Lucia.  Come  trapassa  egli  dal  male  al  bene?  Per 
la  via  dell'umiltà,  umiliando  l'orgoglio  in  Dio,  da  quando  è  com- 
mosso in  modo  insolito  alle  parole  di  Lucia,  sino  alla  sua  confes- 
sione dinanzi  a  Federigo  e  in  tutto  ciò  che  fa  dopo  la  conversione. 
Don  Rodrigo  è  altra  antitesi  dell'umiltà;  e  di  grado  in  grado  ne  è 
vinto. 


IIL  La  certezza  stessa  della  comune  debolezza  e  miseria  dev'  es- 
sere —  ammonisce  il  Manzoni  —  ragione  e  impulso  a  seguire  lo 
spirito  e  le  leggi  del  Vangelo,   giacché   ad   una  legge  morale  non 


60  PARTE   PRmA 


possiamo  sottrarci,  e  il  sentimento  e  il  principio  della  moralità  è 
l'unica  energia  salutare  della  vita.  Così  il  Manzoni  integra  e  supera 
il  tradizionale  pessimismo  cristiano,  pervenendo,  sulla  scorta  dello 
stesso  Vangelo,  ad  un  discreto^  ma  operoso  idealismo  morale,  donde 
trae  le  più  serene  concezioni  nello  studio  de'  fatti  e  caratteri  umani 
e  del  quale  è  principio  e  sostanza  la  dottrina  della  carità  e  della 
giustizia.  Acuta  e  originale  è  l' analisi  manzoniana  de'  motivi  e 
dell'essenza  della  carità. 

-<  L' amore  per  tutti  gli  uomini  »  ha  la  sua  vera  «  ragione  »  in 
«  ciò  che  è  comune  a  tutti  gli  uomini  e  insieme  degno  d'amore» 
cioè  nella  «  natura  umana  medesima  »,  nell'  «  essere  nobilissimo  di 
creatura  intelligente,  formata  a  immagine  di  Dio  e  capace  dì  cono- 
scerlo, d'amarlo  e  dì  possederlo,  vale  a  dire  d'una  altissima  per- 
fezione morale  ».  Amare  il  prossimo  implica  amar  sé  stessi  retta- 
mente :  cioè  per  luì  e  per  sé  «  volere  il  bene  sommo  e  assoluto 
prima  di  tutto,  e  i  beni  finiti  e  temporali,  in  quanto  possono  esser 
mezzo  a  quello  »  (*).  Così  intesa,  la  carità  non  è  semplice  pietà 
naturale,  poiché  chi  non  vede  —  esclama  il  Manzoni  con  l'infocato 
fervore  dell'  apostolo  —  «  quanto  1'  inclinazione  naturale  a  solle- 
vare il  suo  simile  deve  acquistar  di  forza,  di  prevalenza,  d'  univer- 
salità, dall'  amarlo  per  Dio,  in  Dio,  come  fatto  a  di  Lui  immagine, 
redento  da  Lui,  come  quello  nel  quale  Egli  ama  d' abitare  come  in 
suo  tempio  »  (^)  ?  Ma  la  carità  non  solo  é  legame  degli  uomini 
tra  loro,  ma  dell' uomo  con  Dio;  in  quanto  «  unendo  con  l'amor  di 
Dio  l'amor  degli  uomini,  lo  fa  in  qualche  maniera  partecipare  della 
ragione  infinita  di  quello»  (•^).  La  carità  è  il  fulcro  dell'idealismo 
manzoniano,  com'è  di  fatto  l'idea  generatrice  di  tutta  la  sua  dottrina 
sulla  morale  cattolica,  derivata  dal  Vangelo.  Quel  XIV  capitolo  del 
suo  trattato  apologetico  sulla  Maldicenza,  che  è  veramente  un  capo- 
lavoro d'an'alisi  psicologica,  sì  svolge  tutto  dal  sentimento  e  dal 
concetto  della  carità,  come  l'intende  il  Manzoni;  né  soltanto  riguarda, 
come  si  suole  ripetere,  la  maldicenza,  ma  abbraccia  le  questioni  che 
toccano  la  natura  dell'  uomo  e  i  doveri. 

L' abitudine  a  pensare  e  a  dir  male  degli  altri  —  osserva  il  Man- 
zoni —  prepara  la  via  alle  ire  e  alle  violenze,  quando  gli  «  interessi 
ci  mettono  a  fronte  l'uno  dell'altro»  e  distrugge  la  carità.  Certa- 
mente il  freno  è  duro  e  le  prescrizioni  della  morale  religiosa  richie- 


(1)  /Mri.,  pp,  320-1. 

(2)  Ibld.,  p.  325. 

(3)  md.,  p.  182.  V.  anche  p.  18y. 


LA    GENESI   ETICO  -  RELIGIOSA  61 


dono  «  sacrifizi  che  chiamiamo  eroici  »  ;  perchè  ad  essi  il  senso 
ripugna;  ma  non  è  buona  ragione  opporre  —  come  il  mondo  suol 
fare  —  «  che  bisogna  prender  gli  uomini  come  sono  e  non  preten- 
dere cose  perfette  da  una  natura  debole  »  (*),  poiché  la  religione, 
esperta  di  questa  debolezza,  l' arma  della  sua  forza  e  de'  suoi  con- 
forti, addestra  l'uomo  a  sostenere  i  combattimenti  della  vita,  a 
resistere  alle  vive  impressioni  perturbatrici,  «  impiega  tutti  i  nostri 
momenti  ad  abituarci  alla  signoria  di  noi  stessi,  al  predominio  della 
ragione  sulle  passioni,  alla  serenità  della  mente  »  (^).  La  comunione 
sociale  non  regge  senza  la  delicatezza,  il  compatimento,  l' indulgenza, 
senza  che  gli  uomini  non  solo  «  non  pensino  il  male  »  ma  «  ne  ge- 
mano quando  lo  vedono  »  e  degli  assenti  parlino  con  «  quella  deli- 
cata attenzione  >  che  si  suole  «  usare  verso  i  presenti  ».  Il  coman- 
damento della  carità,  è:  «  per  regolare  le  azioni  >,  frenate  «  le  parole 
e,  per  regolare  queste  »,  mettete  «  la  guardia  al  core  »  (^). 

Perciò  abbominevole  è  la  predicazione  dell'odio  religioso,  poiché 
«  è  dottrina  perpetua  della  Chiesa  che  si  devano  detestare  gli  errori 
e  amare  gli  erranti  »  (*).  «  E  si  può  esser  cristiano  —  domanda 
con  impeto  mistico  il  Manzoni  —  quando  il  sentimento  della  propria 
miseria,  della  carità  universale  e  dell'unica  speranza  in  Gesù  Cristo, 
morto  per  tutti  gli  uomini^  non  vinca  nell'animo  nostro  a  riguardo 
d'ogni  nostro  fratello,  per  quanto  la  condotta  di  lui  possa  parere  a 
noi  ed  essere  abbietta  e  perversa  -»  (^)?  «  A  tutte  le  vittorie  morali 
succede  una  calma  consolatrice  —  sentenzia  il  grande  moralista  — 
e  amare  in  Dio  quelli  che  si  odierebbero  secondo  il  mondo,  è,  nel- 
r  anima  umana,  nata  ad  amare,  un  sentimento  d'inesprimibile  gio- 
condità »  C^).  Che  è,  in  fondo,  la  carità?  L'amore  della  giustizia,  ed 
è  quella  che  lega  i  nostri  sentimenti.  E  la  giustizia?  «  È  conformità 
dell'intelletto  e  della  volontà»  e,  conseguentemente,  «  dell'azione  con 
la  legge  di  Dio  »  (").  Ma  il  compimento  della  vera  giustizia  nella 
vita  mortale  è  vano  sforzo,  doloroso  per  chi  è  fuori  della  legge 
divina,  non  per  chi  ha  la  fede  tranquilla  e  la  consolatrice  speranza: 


(1)  Loc.  oit.  alla  p.  23  .  Anche  il  Massillon,  nell'  inculcare  la  pratica  del  Vangelo 
in  tutti  tempi,  rammenta  quella  comune  obiezione  "  qu'  il  faut  prendre  les  hommes 
tels  qu'  ils  sont ,,.  {Set-m.  cit.  sur  V  immutaMlité  de  la  loi  de  Dieii,  p.  56). 

(2)  Ibid.,  pp.  306-7. 

(3)  Ivi. 

(4)  Ibid.,  p.  200.  V.  anche  p.  202. 

(5)  IMd.,  p.  486. 

(6)  Ibid.,  p.  203. 

(7)  Ibid.,  p.  248.  Cfr.  G.  Negri,  Connnenti  critici,  estetici  e  biblici  sui  Proni,  sp., 
Scuola  tip.  salesiana,  Milano,  1903,  P.  I,  pp.  71-85. 


62  PARTE   PRIMA 


cosicché  un  inizio  di  essa  e'  è  pure  nel  presente,  in  misura  limitata, 
bensì,  e  come  per  saggio,  manifesto  in  quel  «  gaudio  »  che  nasce 
dall'  «  adesione  della  volontà  al  Bene  infinito  »  e  che  prevale  «  al 
dolore  cagionato  dalla  privazione  di  qualunque  altro  bene  ».  «  Cosi 
la  giustizia  misericordiosa  di  Dio  predomina  anche  nel  tempo,  dove 
non  si  compisce  »  (*).  Il  Manzoni,  dunque,  ammette  non  l'avve- 
rarsi della  giustizia  intera  nel  mondo,  ma  segni  ed  esempi  di  essa, 
che  la  Provvidenza  realizza,  quando  voglia,  nella  sua  misericordia; 
non  piena  e  perfetta,  perchè  anch'essa  dev'essere  mezzo  d'edificazione 
dello  spirito  e  misura  di  premio  o  castigo:  patimento,  dunque,  ma 
mitigato  dalla  confidente  tranquillità,  nella  vita  mortale,  compimento 
del  giudizio  divino  nella  vita  futura  (*).  Riprova  il  Manzoni  per 
ragioni  logiche  e  per  motivi  morali  —  come  abbiamo  veduto  — 
«  quella  disposizione  >  —  più  universale  di  quel  che  non  si  creda  — 
«ad  ammirare  affettuosamente  l'ingiustizia  risoluta  e  animosa»,  a 
guardare  con  orrore  la  debolezza  de'  sopraffatti,  a  considerare  «  le 
pressure  ch'essi  hanno  sofferte  come  una  giusta  retribuzione  >,  a 
riguardare  —  come  facevan  certi  storici  —  «  la  pusillanimità  come 
più  turpe,  più  inescusabile  della  violenza  ».  «  Santo  è  il  dolore,  so- 
lamente quand'  è  volontario,  quand'  è  una  espiazione,  quand'  è  offerto 
dall'animo  che  soffre»;  «nel  dolore  di  un'anima  immortale  c'è 
qualche  cosa  d'ineffabile  »,  ed  è  secondo  umanità  e  giustizia  «  ri- 
conoscere e  rispettare  in  ogni  uomo  l'immagine  di  Dio  e  il  prezzo 
della  Redenzione  »  (^).  «Perchè  gl'innocenti  non  sanno  difendersi, 
non  si  desiderano  che  siano  oppressi.  Si  desidera  invece  che  alcuno 
pigli  la  causa  loro  e  quando  questo  accade,  si  prova  un  vivo  inte- 
resse, una  gioia  sincera  nel  vedere  spiegarsi  una  forza  materiale  in 
favore  del  diritto,  e  l'espressione  del  fatto  porsi  in  armonia  colle 
idee  morali  >  (^). 

Il  concetto  della  carità  come  di  amore  fraterno  dell'  uomo  verso 
l'uomo  e  di  adesione  dell'anima  alla  volontà  di  Dio,  involge  tutta 
la  sostanza  etica  de'  Promessi  sposi,  e,  in  particolare,  informa  il 
racconto  della  fuga  degli  sposi  e  di  Agnese  dal  paesello  natio  al 
rifugio  di  Lucia  presso  la  signora  di  Monza.  Oppressi,  fuggitivi, 
sgomenti,  la  carità  fraterna  li  protegge  e  li  aiuta:  fra  Cristoforo 
vince  e  perfeziona  il  divieto  della  regola  nell'ardore  del  beneficio 
cristiano,  ravviva  nella  preghiera  i  derelitti  e  li  conforta  della  sua 


(1)  Ai)p.  cit.  al  Clip.  Ili  della  Mar.  catt.,  p.  386. 

(2)  Ivi  e  passim. 

(3.1  Ibid.,  pp.  189,  214. 

(4)  Opp.  in.  0  r.,  voi.  Ili,  pp.  403-4. 


LA   GENESI   ETICO -RELIGIOSA  63 


benedizione  e  protezione;  il  barcaiolo  li  tragitta  all'altra  riva  del- 
l'Adda e  il  barocciaio  li  conduce  a  Monza,  l' uno  e  l' altro  non 
cercando  che  il  premio  «  divino  »  ;  il  padre  guardiano  di  Monza 
accoglie  e  colloca  in  sicuro  rifugio  le  due  donne  con  viva  e  pura 
sollecitudine:  nella  trista  via  dell'esilio  quegl' innocenti  «che  non 
sanno  difendersi  »,  che  sono  dei  deboli  in  confronto  della  prepotenza 
del  loro  persecutore,  non  raccolgono  che  messe  di  carità.  E  la  luce 
di  carità  s'alza  e  si  spande  dal  cuor  de'  tribolati,  quando  fanno 
offerta  a  Dio  del  loro  dolore  e  ne  impetrano  la  misericordia  anche 
pel  loro  oppressore.  Con  che  vigore  e  profondità  e  originale  potenza 
meditativa  abbia  ii  Manzoni  create  queste  scene  della  sollecitudine 
cristiana  risalta  tanto  più  agli  occhi  dell'osservatore  attento,  se  pensi 
che  seguono  nella  «  notte  degl'imbrogli  e  de'  sotterfugi  »,  la  notte 
che  nel  vortice  della  violenza,  o  perversa,  o  animosa,  erano  stati 
presi  personaggi  cattivi  e  buoni,  oppressori  d'istinto  e  oppressori 
d'occasione:  don  Rodrigo  mosso  da  scellerata  prepotenza,  don  Ab- 
bondio da  egoistico  amor  della  vita,  gli  sposi  dal  disperato  dolor 
dell'  offesa  ;  la  notte  che  la  presunzione  degli  accorgimenti  umani  è 
stata  vinta  dalla  mente  segreta  di  Dio  ;  che  1'  uomo  non  ha  obbedito 
che  al  cieco  istinto  e  alla  sua  interessata  passione  ;  che  perfino  i 
buoni  hanno  insidiato  il  pastore  e  il  pastore  li  ha  ingannati  e  ab- 
bandonati ;  che  tutti  insomma  hanno  mancato  al  dovere  e  infranti 
i  vincoli  della  carità.  Manifesta  è  l'antitesi  ideale  tra  1'  una  e  l'altra 
serie  di  fatti,  tra  lo  sconvolto  ordine  della  corruttela  e  della  debo- 
lezza e  quello,  superiore  e  misterioso,  della  provvidenza  e  dèlia 
grazia,  tra  il  ruinare  d'ogni  espediente  e  tentativo  umano  e  il  so- 
pravvalere, nel  colmo  della  sventura,  delle  uniche  forze  attinte  dal 
Vangelo,  —  1'  umiltà  nel  dolore,  la  pazienza  ne'  duri  combattimenti 
della  vita,  la  confidenza  in  Dio,  la  carità  abbracciante  nell'  amor 
divino  non  meno  gli  autori  che  i  compagni  delle  proprie  sofferenze  —  ; 
l'antitesi,  insomma,  tra  lo  spirito  del  mondo  e  lo  spirito  di  Cristo. 
Come  nella  vita,  fioriscono  nel  romanzo  tutte  le  forme  di  ca- 
rità privata  e  pubblica,  domestica  e  civile,  di  tutti  i  ceti  sociali, 
degli  umili  e  de'  poveri,  de'  grandi  e  doviziosi.  Il  poeta  cristiano 
guarda  alto  con  la  serenità  di  chi  abbraccia  l'umanità  senza  distin- 
zione o  preferenza  di  gradi  o  di  classi.  Tenerissima  carità  familiare, 
che  arde  e  s'espande  oltre  la  morte  in  mezzo  al  desolante  orrore 
della  peste  e  de'  funebri  trasporti,  come  nelle  amorose  cure  della 
madre  di  Cecilia   (*),    negli  esempi    di    fermezza   e   di    pietà,   che 


(1)  l'i-om.  ftp.  L-ap.  XXXIV,  pp.  508-0. 


M  -  PARTE   PRIMA 


«  padri,  madri,  fratelli,  figli,  consorti  »  danno  «  in  tanta  confu- 
sione »  sostenendo  e  confortando  i  cari  loro,  e  perfìn  «  ragazzetti  », 
«  fanciulline  »  verso  «  i  fratellini  più  teneri  »  (*).  Eroica  carità 
civile,  che  opera  pronta  e  costantemente  fedele  al  pubblico  dolore 
neir  infuriar  della  peste,  come  dimostrano  quegli  animi  che  sono 
«  sempre  desti  alla  carità  »  per  missione  e  abito  di  bene  e  tra  i 
quali  primeggiano  gli  ecclesiastici  con  a  capo  —  magnifico  esempio 
di  annegazione  cristiana  —  il  cardinal  Federigo,  quelli  «  in  cui  la 
carità  nacque  al  cessar  d'  ogni  allegrezza  terrena  »,  que'  pochi,  ma 
eletti,  pubblici  ufficiali  che,  «  sani  sempre  di  corpo,  »  «  nella  strage 
e  nella  fuga  »  di  tanti  compagni  sono  rimasti  «  saldi  di  coraggio 
al  lor  posto  *  (*).  Dolcissima  carità  umana,  sollecitata  da  quel  che 
di  divino  è  nella  nostra  umanità,  come  quella  delle  umili  donne 
che  si  prodigano  nello  spedale  degl'  innocenti  {^).  Tuttavia,  nel 
vigore  0  almeno  nella  confidenza  del  vivere,  questi  esempi  nobili, 
queste  prove  belle,  tanto  più  se  adorne  di  spontanea  semplicità, 
non  sono  che  di  singole  anime,  di  famiglie,  di  gruppi  animati  di 
carità  e  di  fede  ;  com'  è  di  Renzo,  che  dà  i  suoi  due  pani  alla  madre 
abbandonata  co'  figli  languenti  {*)  e  che  nell'  avviarsi  al  paese  di 
Bortolo  si  spoglia  anche  de'  pochi  soldi  rimastigli  per  darli  a  de' 
poverini,  sfiniti  sulla  strada  (^)  ;  com'  è  del  sarto  del  villaggio,  che 
divide  le  vivande  festive  della  sua  famigliola  con  la  povera  Maria 
vedova  (^)  ;  com'  è  delle  schiere  accennate  de'  preti,  che  con  Fe- 
derigo vivono,  assistendo  e  consolando,  nel  mezzo  della  pestilenza, 
e  di  quelle  coppie  di  validi  preti,  accorrenti  con  «  una  carità  viva 
e  perseverante  >  tra  le  miserie  e  i  patimenti  della  carestia  (^)  ;  ma 
nell'abbandono  della  vita,  al  cospetto  della  morte  un'onda  di  carità 
percorre  e  purifica  i  cuori  di  tutti  :  no)i  si  numerano  i  segnalati 
esempi  de'  pochi,  ma  tutta  l'umanità  stempra  gli  istinti  brutali,  gli 
odi,  gli  orgogli,  le  vendette  del  superbo  e  sicuro  passato  nell'ardente 
fraternità  universale. 

«  Ne  ho  visti  morire  qui  —  dice  padre  Cristoforo  nel  lazzaretto  — 
degli  offesi  che  perdonavano;  degli  oflFensori  che  gemevano  di  non 
potersi  umiliare  davanti  all'offeso  »    (")  :   alto  e  solenne,  nel  mezzo 

(1)  Ibid.,  p.  510. 

(2)  Prom.  sp.,  cap.  XXXII,  p.  -172.  V.  anche  pp.  457-8. 
(31  Prom.  sp.,  cap.  XXXV,  pp.  519-20. 

(4)  Prom.  sp.,  Cap.  XXXIV,  p.  502. 

(5)  Prom.  sp.,  cap.  XVII,  pp.  257-8. 

(6)  Prom.  sp.,  cap.  XXIV,  p.  352. 

(7)  Prom.  sp.,  cap.  XXVIII,  p.  430. 

(8)  Pì^om.  sp.,  cap.  XXXV,  p.  526. 


LA    GENESI   ETICO  -  RELIGIOSA  65 


di  COSÌ  universale  spettacolo  di  concordia  nella  pietà,  nel  perdono, 
nell'amore,  giganteggia  lui,  il  magnanimo  frate, ,  che  infrena  la 
morte  serpeggiante  nel  suo  povero  corpo  con  lo  spirito,  «  quasi  la 
carità,  sublimata  nell'estremo  dell'opera,  ed  esultante  di  sentirsi 
vicina  al  suo  principio,  ci  rimettesse  un  fuoco  più  ardente  e  più 
di  quello  che  l'infermità  ci  andava  a  poco  a  poco  spegnendo  »  (*). 

Non  sempre  la  carità  s'effonde  franca  ed  animósa,  ma  la  rallenta 
o  combatte  la  passione,  l' interesse,  il  pregiudizio  nella  parola  e 
nell'azione.  Il  Manzoni  —  l'abbiamo  visto  testé  —  ha  osservato  a 
lungo  e  pensosamente  questo  aspetto  negativo  della  vita  cristiana  e 
l'ha  riflesso  nel  romanzo.  Lasciamo  le  indubbie  incarnazioni  della 
scelleraggine  e  della  viltà,  come  don  Rodrigo,  don  Abbondio,  l'In- 
nominato prima  della  conversione,  il  conte  Attilio,  il  dottore  Azzec- 
cagarbugli, il  Griso,  i  bravi,  i  monatti  e  altri  ancora,  ne'  quali  non 
brilla  raggio  di  virtù;  ma  i  buoni  o  i  mediocremente  buoni,  quelli 
che  un  po'  di  Vangelo  l'hanno  nel  cuore  e  non  fanno  male  a  nes- 
suno, sono  anch'essi  tardi  e  a  volte  ribelli  alla  carità.  Ad  esempio, 
Renzo^  che  odia  don  Rodrigo  e  non  cede  alla  pietà  e  al  perdono  se 
non  dinanzi  alla  morte,  Agnese  che  scatta  in  accenti  d'orrore  e 
d'ira  contro  il  persecutore  della  sua  figliuola  e  accusa  don  Abbon- 
dio al  cardinale,  fra  Galdino  che  non  vede  più  in  là  della  pro- 
sperità del  suo  convento,  donna  Prassede,  che  mette  così  a  mal 
profitto  la  sua  pietà  religiosa,  il  viandante  sospettoso,  che  respinge 
minacciosamente  il  povero  Renzo,  bisognoso  di  farsi  insegnar  la 
strada,  rivelano  stati  d'animo  e  forme  di  coscienza,  in  cui  al  senti- 
mento della  carità  contrasta  l'ingenita  debolezza  dell'umana  natura. 
Dove  ne  ragiona  in  astratto  il  valore  etico  in  raffronto  al  Vangelo, 
l'austero  spirito  del  moralista  deplora  ed  ammonisce;  dove  ne  ana- 
lizza la  concreta  realtà  psicologica  nelle  creature  tratte  dalla  storia 
o  dalla  sua  fantasia,  il  cuor  del  poeta  tempera  il  biasimo,  più  pensoso 
di  rappresentare  la  vita  che  di  trarne  argomento  di  severa  dottrina. 

Non  meno  della  carità,  informa  la  concezione  morale  de'  Fromessi 
sposi  l'idea  e  il  sentimento  cristiano  della  giustizia,  intesa  come 
adempimento  della  legge  divina  nell'azione.  I  giusti,  nello  stretto 
senso  religioso,  sono  pochi  nel  mondo  manzoniano  e  rara  quella 
calma  confidente  e  consolatrice  che  dalla  giustizia  discende:  Lucia, 
Federigo,  fra  Cristoforo,  l'Innominato  convertito  e  redento  ne  sono 
tutti  illuminati  ;  in  altri,  anche  se  buoni  e  pii,  è  come  ombrata  dalla 
passione;   ne'  malvagi  non  vive,  se  non  deformata  o  stravolta. 


(1)  ÌMd.,  p.  522. 


Busetto 


66  PARTE    PRIMA 


Lo  spirito  etico  de'  Promessi  sposi  è  tutto  nel  conflitto  tra  la 
giustizia,  che  tende  faticosamente  al  suo  compimento  col  mezzo  della 
carità,  e  le  passioni  del  mondo  che  irrompono  indisciplinate  e  ini- 
que nella  vita  del  secolo  ;  il  dramma  si  risolve  col  prevalere,  nei 
limiti  de'  casi  narrati  e  del  momento  storico  descritto,  di  quella 
su  queste  ;  se  non  che  il  risultato  è  relativo  e  discreto,  perchè  il 
poeta  dall'  interpretazione  della  vita  traendo  una  conferma  alla  sua 
lucida  e  sicura  dottrina,  non  raccoglie  e  armonizza  nel  suo  mondo 
reale  che  le  tendenze  alla  giustizia  e  i  segni  confortevoli,  ma  non 
perfetti  di  essa:  gli  oppressori  non  prevalgono,  ma  anche  gli  oppressi 
portano  le  tracce  delle  dure  prove,  delle  sofferenze  patite,  e  la  stessa 
conseguita  giustizia  non  li  esalta  e  insuperbisce,  ma  —  come  s'in- 
tende dalle  riflessioni  stesse  degli  sposi  sui  loro  casi  —  li  ammae- 
stra, li  corregge,  li  lascia  mestamente  esperti  del  male  e  consci  di 
dover  provvedersi  in  vita  per  una  giustizia  migliore.  Ad  ogni  modo 
quella  consolante  tranquillità  e  fiducia  che  rende  men  doloroso  — 
anzi  trasforma  in  gaudio  sereno  —  lo  sforzo  de'  buoni  verso  la 
giustizia,  diventa  la  forza  viva  di  quel  mondo  ove  la  vigilante  mi- 
sericordia divina  e  le  grandi  calamità  pubbliche  accomodano  nel 
miglior  modo  sperato  le  cose.  Lucia  dal  voto  trae  una  calma  e  fiducia 
interiore  che  ha  qualche  cosa  di  eroico  e  divino  :  in  noi  lascia  una 
impressione  di  solennità  religiosa  l'offerta  del  suo  sacrifizio,  ma 
anche  lei  si  sente  cresciuta  di  purezza,  di  nobiltà  edificante,  più 
vicina  al  Bene  infinito  e  sopporta  e  reprime,  a  volta  a  volta,  il 
dolore  della  rinunzia.  Renzo  non  trova  quiete,  se  non  dopo  dure 
prove,  nella  fede  che  placa  gli  animi,  nella  speranza  che  dai  disegni 
terreni  rivolge  gli  uomini  alla  sapienza  di  Dio;  fraintende  la  giu- 
stizia, quando  vagheggia  di  farsela  da  sé  sul  suo  persecutore;  la 
fraintende,  per  quanto  non  possa  sentir  diversamente  con  l'animo 
esasperato  dall'  ingiustizia  de'  potenti,  quando  gode  di  trovar  Milano 
in  rivolta;  vorrebbe,  da  buon  figliuolo,  regolar  la  giustizia  del  mondo 
con  r  aiuto  di  Ferrer,  come  se  essa  potesse  andar  d'  accordo  con  la 
giustizia  di  Dio.  Ma  quando,  nell'orrore  della  solitudine  e  della  fuga 
notturna,  avverte  «l'amico  rumore»  dell'Adda,  intende  con  chia- 
rezza che  la  sola  giustizia  divina  ha  valore  «  anche  nel  tempo,  dove 
non  si  compisce  »,  riconosce  di  dover  la  salvezza  alla  continua  assi- 
stenza di  Dio  e  s'affida  alla  sua  volontà.  Da  allora  in  poi  l'anima 
religiosa  di  Renzo  risplende,  purificata  dalla  sventura,  nella  sua 
semplicità;  s'annebbia  un'altra  volta  per  la  crucciosa  apprensione 
di  non  ritrovare  più  in  vita  Lucia,  ma  infine,  dileguata  ogni  ombra 
di  trista  passione,  l' anima  sua  si  riempie  tutta  della  giustizia  cri- 


LA    GENESI    ETICO -RELIGIOSA  67 


stiana,  non  meno  di  fra  Cristoforo  e  di  Lucia,  quando  prega  e  per- 
dona davanti  al  giaciglio  di  don  Rodrigo  morente.  Il  tragico  gioco 
della  giustizia  è  in  questi  termini  morali  che  il  Manzoni  ha  con 
lucidità  e  coerenza  fissati:  la  giustizia,  come  sentimento  e  concetto 
di  necessità  e  di  retribuzione,  cioè  di  ricompensa  e  di  gastigo,  ò 
verità  insita  nella  coscienza  comune;  se  non  che  è,  «come  tutte  le 
verità  morali,  una  verità  esposta  nella  pratica  alle  passioni  e  all'in- 
coerenze parziali  e  accidentali  degli  uomini  >.  «  E  non  c'è  quindi 
da  meravigliarsi  che  i  successi  temporariamente  prosperi  di  tante 
azioni  ingiuste,  e  gli  avversi  di  tante  giuste,  e  anche  eroiche,  ci 
portino  qualche  volta  >  al  dubbio  sconsolato  e  financo  alla  nega- 
zione iraconda  di  essa,  «  dimenticando  che  nell'idea  di  retribuzione 
non  c'è  punto  compreso  che  deva  realizzarsi  nel  momento  che  può 
parere  a  noi  >  (*). 

L'  ingiustizia  di  don  Rodrigo,  contro  cui  si  spunta  anche  la 
«  giusta  »  eroica  azione  di  fra  Cristoforo,  l' ingiustizia  di  don  Ab- 
bondio e  quella  del  dottore  convergono  immediatamente,  fin  dal 
primo  momento  dell'azione,  a  creare  questo  stato  di  turbamento  nel 
concetto  e  nella  pratica  della  giustizia.  È,  per  così  dire,  la  protasi 
morale  del  dramma:  non  ne  possono  derivare  che  più  gravi  ingiu- 
stizie e  falsi  modi  d'intendere  e  d'applicar  la  giustizia.  Tutto  vien 
peggiorando  :  Lucia,  rapita  per  la  scellerata  ostinatezza  di  don  Ro- 
drigo con  la  complicità  della  signora  che  l'aveva  in  custodia;  Renzo, 
«  fuggitivo  da  casa  sua  »  (*),  insidiato  dalla  perfidia  degli  uomini, 
non  del  tutto  immune  neppur  lui  dalle  passioni  mondane  (^)  ;  padre 
Cristoforo  sfrattato  da  Pescarenico  per  l' intrigo  de'  suoi  avversari  ; 
il  popolo  di  Milano  in  tumulto  pel  rincaro  del  pane  e  il  tentato  ec- 
cidio del  Vicario  ;  i  provvedimenti  del  Governo  peggiori  di  prima  e 
r  inevitabile  carestia  e  miseria  :  il  dominio,-  insomma,  della  violenza 
e  dell'orrore  e  l'abbattimento  generale.  Da  che  tutto  questo  tumul- 
tuare e  irrompere  di  passioni  ?  Dall'  oscuramento  e,  più  spesso,  dal- 
l'annientamento  del  senso  della  giustizia.  I  prosperi  successi  del- 
l'ingiustizia raggiungono  il  colmo;  il  mondo  morale  par  vicino  a 
dissolversi,  quand'ecco  Iddio  tocca  il  cuore  all'Innominato,  al  più 
violento  cioè  e  al  più  potente  nemico  della  giustizia.  La  conver- 
sione di  questo  grande  peccatore,  maturata  nel  segreto  di  Dio,  avvia 
alla  soluzione  il  dramma  privato.  Lucia  è  salva  dalle  insidie  degli 


(11  App.  cit.  al  caxj.  HI  della  Mor.  citt.,  pp.  380,  381. 

(2)  Proni,  sp.,  cap.  XXVI,  j).  3S1. 

(3)  Proììi.  sp.,  cap.  XVII,  p.  ;253:  "  pensando  al  buon  frate,  sentiva  più  vivamente 
la  vergogna  delle  proprie  scappate,  della  turpe  intemperanza ,, 


68  PARTS   PRIMA 


uomini;  la  Provvidenza  ha  vigilato  su  Renzo;  e  il  significato  reli- 
gioso delle  peripezie  dei  due  sposi  è  svelato  in  quelle  parole  di 
Federigo  a  don  Abbondio  :  «  ora,  purtroppo,  non  hanno  bisogno  di 
voi  »  (*).  Nuove  incertezze  e  nuovi  patimenti  li  attendono,  ma  di 
altra  origine  da  quello  eh' è  la  cattiva  volontà  degli  uomini. 

Neil'  ordine  pubblico  la  disarmonia  profonda  tra  la  giustizia  e  le 
passioni  e  gl'interessi  del  mondo  non  si  compone.  L'ingiustizia  ha 
creato  l'ingiustizia;  dal  malgoverno  la  rivolta,  da  questa  il  cieco 
empirismo  e  l'impoverimento:  donde  il  dilagare  della  carestia.  Le 
guerre  d'ambizione,  di  puntiglio,  di  cupidigia  accrescono  il  male, 
col  passaggio  de'  lanzichenecchi,  con  le  devastazioni,  i  saccheggi  e 
i  germi  del  contagio.  Il  dramma  sociale  precipita:  oltre  al  disordine 
morale  ed  economico,  sopra  tante  ire  superbe  e  fratricide  discordie 
e  prepotenti  oppressioni^  sopraggiunge,  preveduta,  agevolata  dalla 
<  pubblica  follìa  >,  la  strage  della  peste.  E  una  grande  giustizia  di 
Dio,  di  quelle  che  la  pensosa  anima  cristiana  del  Manzoni  scruta  e 
scorge  ne'  periodi  piìi  affannosi  e  torbidi  della  storia;  di  quelle  che 
a  Desiderio,  dopo  la  distruzione  del  regno  e  nell'accogliere  Adelchi 
morente,  fanno  esclamare: 

«  Oh!  come  grave 

sei  tu  discesa  sul  mio  capo  antico, 

Mano  di  Dio  !  » 

{Adelchi,  a.  V  se.  7") 

è  r  «  ira  tremenda»,  onde  il  «sangue»  del  «giusto» 

«  sulla  misera  prole  ancor  cade, 

che  mutata  d'etade  in  etade, 

scosso  ancor  dal  suo  capo  non  l'ha  ». 

{La  Passione,  st.  9). 

Il  significato  religioso  di  quella  solenne  sanzione  della  giustizia 
di  Dio  prorompe  dal  magnanimo  discorso  di  padre  Felice  e  più 
precisamente  da  quelle  sue  parole:  Benedetto  il  Signore!  Benedetto 
nella  giustizia,  benedetto  nella  misericordia  !  benedetto  nella  morte, 
benedetto  nella  salute!  benedetto  in  quella  scelta  che  ha  voluto  far 
di  noi!  Oh!  perchè  l'ha  voluto,  figliuoli,  se  non  per  serbarsi  un 
piccol  popolo  corretto  dall'afflizione,  e  infervorato  dalla  gratitu- 
dine (^)  ? 


(1)  Prom.  3p.,  cap.  XXVI,  p.  382. 

(2)  Proni,  sp.,  cap.  XXXVI,  p.  530. 


LA    GENESI   ETICO -RELIGIOSA 


* 
*       * 


IV.  Ciò  che  nella  Morale  cattolica  dice  della  Chiesa,  «  che  co'  suoi 
primi  insegnamenti,  può  innalzare  il  semplice,  il  quale  ignora  perfino 
che  ci  sia  una  filosofia  morale,  al  più  alto  punto,  non  di  questa 
filosofìa,  ma  della  morale  medesima;  a  quel  punto  a  cui  si  trova 
un  Bossuet,  dopo  aver  percorso  un  vasto  circolo  di  meditazioni 
sublimi  »  (*),  il  Manzoni  ha  rispecchiato  nella  realtà  umana  dei 
Promessi  sposi.  Abbiam  visto  quale  spirito  evangelico  abbia  egli 
infuso  in  Lucia,  e  più  vedremo  nel  seguito  ;  ma  i  semplici  che  sen- 
tono con  «  cuore  fraterno  »  sono  ivi  una  moltitudine  :  non  solo  il 
barcaiolo  e  il  barocciaio,  devoti  allievi  di  fra  Cristoforo,  ma  la 
«  buona  donna  »  e  il  sarto  del  villaggio,  la  folla  raccolta  alla  predica 
del  cardinale,  le  frotte  d'uomini,  di  donne,  di  bambini  che  con- 
vengono da  tutti  i  paesi  d'intorno  con  «  una  alacrità  straordinaria  » 
e,  ne'  gesti,  «  una  gioia  comune  »  (^),  le  comitive  de'  superstiti  del 
lazzaretto,  inebriate  di  tenerezza  e  di  carità  dalla  sublime  predica 
di  padre  Felice,  e  le  donne  ivi  affaccendate  a  curare  i  bambini,  alcune 
allattanti  «in  tale  atto  d'amore»  come  le  avesse  attirate  in  quel 
luogo  non  la  paga,  ma  «  quella  carità  spontanea  che  va  in  cerca 
de'  bisogni  e  de'  dolori  »  (^).  Chi  son  costoro  ?  Gente,  —  direbbe 
il  sarto  del  villaggio  —  che  non  «  saprebbero  ripetere  le  parole  > 
di  un  Borromeo,  di  un  Bossuet  ;  «  non  ne  ripescherebbero  una  ;  ma 
il  sentimento  lo  hanno  qui  »  (■*);  gente  che  accetta  e  adempie  col 
cuore  i  precetti  della  Chiesa,  «  i  quali  non  hanno  valore  che  dal 
core  »,  e  sente,  nella  semplicità  della  fede,  —  tanto  quanto  ne  ra- 
gionino gli  alti  maestri  di  dottrina  —  che  «  ogni  atto  di  culto  che 
venga  da  un  core  privo  di  carità,  è  »  agli  «  occhi  »  della  Chiesa  «  su- 
perstizioso e  menzognero  »  (^). 

Gli  umili  con  la  fede  e  la  carità  arrivano  allo  stesso  punto,  dove 
giunge  la  dotta  speculazione  religiosa  :  questo  concetto  e  sentimento 
è  così  pienamente  e  schiettamente  partecipato  dal  Manzoni  che  molte 
volte  nel  romanzo  fa  trovare  le  verità  più  profonde  della  vita  e 
della  religione  ai  personaggi  più  umili  in  perfetto  accordo  co'  sa- 
pienti.  Già  il  Manzoni  di  codesto  accordo  offre  un  bell'esempio, 


(1)  Oss.  s.  mor.  catt.,  p.  173. 

(2)  Prom.  sp.,  cap.  XXI,  pp.  313,  314. 

(3)  Prom.  sp.,  cap.  XXXV,  p.  520. 

(4)  Prom.  sp.,  cap.  XXIV,  p.  352. 

(5)  Oss.  s.  mor.  catt.,  p.  299. 


70  PARTE  f RIMA 


quando  fa  dire  a  quel  suo  semplice  e  buon  cristiano  del  sarto:  «  la 
disgrazia  non  è  patire  e  l'esser  poveri;  la  disgrazia  è  il  far  del 
male  »  (*),  conformemente  a  quello  che  egli,  il  moralista  e  poeta, 
in  una  eloquentissima  pagina  della  Morale  cattolica  sentenzia:  «  il 
vero  male  per  1'  uomo  non  è  quello  che  soffre,  ma  quello  che  fa  » 
(^),  e  a  ciò  che  nel  romanzo,  a  mo'  di  commento  agli  ultimi  episodi 
degli  sposi,  ammonisce,  sotto  la  finzione  dell'anonimo:  «  si  dovrebbe 
pensare  piìi  a  far  bene,  che  a  star  bene;  e  così  si  finirebbe  anche 
a  star  meglio  »  ^).  Nel  discorso  delle  inesplicabili  disavventure 
di  Renzo  a  Milano  il  cardinal  Federigo  approva  con  un  «  è  vero 
purtroppo  »  la  sapiente  conclusione  di  Agnese  :  «  i  poveri  ci  vuol 
poco  a  farli  comparir  birboni  »  (*).  Lucia,  nell'  invocare  dall'  Inno- 
minato la  liberazione,  dice  quelle  sublimi  parole:  «  Dio  perdona 
tante  cose,  per  un'  opera  di  misericordia  »  (^)  ;  e  quest'  opera,  che 
il  peccatore  convertito  si  appresta  a  compiere,  fa  esclamare  al  grande 
Federigo  in  modo  conforme  :  «  Beato  voi  !  Questo  è  pegno  del  per- 
dono di  Dio  »  C^)!  Ciò  che  Renzo,  dopo  la  notizia  del  voto  di  Lucia, 
detta  esasperato  al  suo  «  segretario  »,  che  «  la  Madonna  c'entra  per 
aiutare  i  tribolati  e  per  ottener  delle,  grazie,  non  per  far  dispetto  e 
mancar  di  parola  >  ('),  è,  in  confuso,  press'  a  poco  quello  che,  se- 
condo dottrina,  dice  fra  Cristoforo  nel  lazzaretto  a  Lucia:  «  Il  Si- 
gnore gradisce  i  sacrifizi,  l'offerte,  quando  le  facciamo  del  nostro....; 
ma  voi  non  potevate  offrirgli  la  volontà  di  un  altro,  al  quale  v'  era- 
vate già  obbligata  »  (*). 

Anche  nel  gioco  de'  calcoli  e  delle  previsioni  l'umile  cuore  non 
è  da  meno  della  mente  del  saggio;  o,  piuttosto,  questo  non  ne  sa 
più  di  quello.  11  cuore  di  fra  Cristoforo,  nel  dare  l'addio  agli  sposi, 
gli  dice  che  si  sarebbero  rivisti  presto  ;  i  fuggiaschi  tacciono,  e  col 
loro  cuore  consentono;  ne'  discorei  precedenti,  nelle  istruzioni  che 
dà  alle  donne  e  a  Renzo,  il  frate  mostra  addirittura  di  prevedere 
nella  sua  mente  che  «  i  suoi  poveri  cari  tribolati  »  avrebbero  «  presto  » 
«  potuto  ritornar  sicuri  a  casa  »  loro.  «  Ma  che  sa  il  cuore  ?  Appena 
un  poco  di  quello  che  è  già  accaduto  »  osserva  con  pensosa  ironia 


(1)  Prom.  sp.,  loc.  cit. 

(2)  Oss.  s.  tnor.  catt.,  \).  178. 

(3)  Prom.  sp.,  cap.    XXXVIII,  p.  573.  V.  anche  il    VII  de'  Pensieri  reliaiosi  in 
Opp.  in.  o  r.,  voi.  Ut  p.  472. 

(4)  Proni,  sp.,  cap.  XXIV,  p.  359. 

(5)  Prom.  sp.,  cap.  XXI,  p.  305. 

(6)  Prom.  sp.,  cap.  XXIII,  p.  330. 

(7)  Prora,  sp.,  cap.  XXVII,  p.  396. 
(3)  Proììi.  sp.,  cap.  XXXVI,  p.  543. 


LA   GENESI   ETICO  -  RELIGIOSA  71 


il  Manzoni  (').  E  la  mente,  la  mente  di  un  savio  ed  esperto  e  bat- 
tagliero cristiano,  qual  è  fra  Cristoforo,  che  sa  dell'avvenire?  che 
può  congetturarvi  ?  Il  sapiente  uomo  di  Dio  in  quel  momento  non 
vede  più  in  là  degli  umili  suoi  protetti. 

Bello,  altresì,  è  sentire  Agnese  come  viene  ragionando  e  spiegando 
alla  figliuola  lo  strano  contegno  della  signora.  Quanta  ironia  in  quel 
tranquillo  e  liscio  periodo  :  «Agnese,  come  più  esperta,  sciolse,  con 
poche  parole,  tutti  quei  dubbi,  e  spiegò  tutto  il  mistero  »  (*)  !  ;  nei 
quale  il  Manzoni,  secondo  un  suo  geniale  accorgimento  nell' accen- 
nare a  discorsi  o  nel  descrivere  affetti  de'  suoi  personaggi,  fa  sen- 
tire, con  la  scelta  stessa  delle  parole,  la  bonaria  saccenteria  della 
brava  donna.  Altro  sono  le  verità  profonde  della  vita  e  i  terribili 
misteri  delle  anime,  altro  là  conoscenza  che  pretende  averne  il  senso 
comune.  Chi  ne  sa  di  più,  l'esperta  Agnese  o  la  semplice  Lucia? 

Il  modo  come  il  Manzoni  presenta  gli  umili  nel  romanzo  e  dà 
loro  parti  cospicue  nell'azione,  facendo,  anzi,  di  due  di  loro  i  pro- 
tagonisti di  tutta  la  storia,  deriva,  come  si  sa,  dal  suo  evangelismo 
democratico  e  risponde  a  sentimenti  e  idee  che  si  trovano  nella 
tradizione  de'  grandi  scrittori  della  Chiesa.  Mi  sovviene,  a  questo 
proposito^  di  taluni  pensieri  del  Pascal,  dai  quali  può  il  Manzoni 
aver  ricevuto,  se  non  la  diretta  ispirazione,  almeno  incitamento  e 
autorità  ad  infondere  nell'anima  d'umili  personaggi,  quali  Lucia 
in  ogni  suo  atto  e  Renzo  e  Agnese,  tutte  le  volte  che  tace  in  loro 
la  passione,  e  molti  altri  di  minor  rilievo,  così  viva  e  ricca  spiri- 
tualità cristiana  da  pareggiare  i  sapienti  :  «  Ne  vous  étonnez  pas  — 
ammonisce  il  Pascal  —  de  voir  de  personnes  simples  croire  sans 
raisonnement.  Dieu  leur  donne  l'amour  de  sa  justice  et  la  baine 
d'eux  -  mèmes  ».  E  con  rapida  analisi  ritrae  l'anima  di  questi  umili  : 
«  Ceux  qui  croient  sans  avoir  examiné  les  preuves  de  la  Religion 
c'est  parce  que'  ils  ont  une  disposition  intérieure  tonte  sainte,  et 
que  ce  qu'  ils  entendent  dire  de  notre  religion  y  est  conforme  ». 
Ma  una  più  chiara  e  suggestiva  attinenza  hanno  le  idee  del  Manzoni 
con  questo  pensiero:  «Ceux  que  nous  voyons  Chrétiens  sans  la 
connaissance  des  prophéties  et  des  preuves,  ne  lassent  pas  d'en 
juger  aussi  bien  que  ceux  qui  ont  cette  connaissance.  Ils  en  jugent 
par  le  coeur,  comme  les  autres  en  jugent  par  l'esprit.  C'est  Dieu 
lui  meme  qui  les  incline  à  croire,  et  ainsi  ils  sont  très  effìcacement 
persuadés  »  (^). 


(1)  Prom.  sp.,  cap.  Vili,  pp.  120,  121. 

(2)  Prom.  sp.,  cap.  X,  p.  161. 

(3)  Pensées  (ed.  cit.),  pp.  97-8. 


?2  Parte  prima 


È  schiettamente  evangelica  la  preminenza  data  al  cuore  in  con- 
fronto della  ragione  nelle  cose  di  fede.  Il  Pascal  ribadisce  più  volte 
questo  concetto,  sino  a  dire:  «  Le  coeur  a  ses  raison  que  la  raison 
ne  connaìt  point.  C'est  le  coeur  qui  sent  Dieu,  et  non  la  raison.  Voilà 
ce  que  c'est  que  la  foi  parfaite,  Dieu  sensible  au  coeur  »  (*).  Così 
il  Manzoni  eleva  migliaia  di  cuori,  ardenti  di  lede  e  di  carità,  sino 
a  Dio  nell'opera  di  salvazione  di  un  grande  scellerato;  ne  esalta 
l'efficace  umiltà  di  fronte  all'animo  smarrito  del  potente,  quando 
Federigo,  rispondendo  all'  Innominato,  dice  del  popolo  aspettante  la 
sua  parola:  «  sono  le  pecorelle...  in  sicuro  sul  monte»;  «forse  lo 
Spirito  mette  ne'  loro  cuori  un  ardore  indistinto  di  carità,  una  pre- 
ghiera ch'esaudisce  per  voi,  un  rendimento  di  grazie,  di  cui  voi 
siete  l'oggetto  non  ancor  conosciuto  »   f  ). 

Gli  umili,  come  il  Manzoni  li  guarda  e  figura  secondo  una  con- 
cezione tutta  evangelica,  portano  nella  loro  vita  e  nel  loro  destino 
i  segni  d'una  rassegnata  tristezza;  ma  nelle  lor  pene  e  sofferenze 
traggono  da  ogni  cosa,  men  grave^  argomento  di  serenità  e  d'alle- 
grezza. Già  codesti  del  romanzo  sono  anni  di  carestia  e  di  miseria: 
dallo  spettacolo  de'  «  mendichi  laceri  e  macilenti  »  e  de'  lavoratori 
sconfidati  e  pensierosi,  che  rattrista  fra  Cristoforo  avviato  alla  ca- 
setta di  Lucia,  ai  quadri  tragicamente  pietosi  dell'  indigenza,  del- 
l'inedia  e  della  morte  dopo  i  tumulti  di  Milano,  lo  sfondo  della 
storia  romanzesca  di  Lucia  e  di  Renzo  si  colorisce  con  gradazione 
crescente  d'un  aspetto  cupo  e  doloroso.  E  poi  per  che  vicenda  di 
casi  e  di  sventure  non  passa  la  stessa  vita  degli  umili  personaggi, 
che  campeggiano  nella  vastissima  scena! 

Ma  il  dolore  di  tante  umili  anime  non  ha  i  disperati  abbandoni 
de'  potenti,  cui  l' affanno  o  la  sventura  conturbi:  Lucia,  nel  colmo 
dell'angoscia  e  del  terrore,  trova  una  calma  eroica  nella  preghiera 
e  nel  voto,  mentre  l'Innominato,  in  quella  medesima  notte,  s'agita 
insonne  in  una  cupa  disperazione,  e  don  Rodrigo,  quando  s'accorge 
d'  aver  la  peste  e,  poi,  d'esser  tradito  dal  Griso,  è  preso  da  terrore 
e  da  rabbia  anche  più  disperata.  È  questo  il  destino  de'  potenti,  ove 
non  intervenga  la  Grazia.  La  mitezza  degli  umili,  al  contrario,  e  la 
rassegnazione  nelle  disgrazie  e  nelle  pene  sono  sempre  state  i  temi 
prediletti  del  pensiero  religioso  e  della  parola  apostolica;  col  Man- 
zoni sono  diventati  vivi  contenuti  d'eterna  poesia:  le  grandi  sue 
liriche,  i  tratti  delle  minori  di  più   schietta  ispirazione  ed  efficace 


(1)  Ibid.,  p.  259.  V.  anche  p.  264. 

(2)  Prom.  sp.,  cap.  XXIII,  pp.  329-30. 


LA    GENESI   ETICO  -  RELIGIOSA  73 

espressione,  molte  delle  pagine  immortali  del  romanzo  sono  o  deli- 
cate analisi  o  scultorie  rappresentazioni  d'  anime  umili  di  natura  o 
umiliate  dalle  dolorose  vicissitudini  della  vita  e  dalla  Grazia  mise- 
ricordiosa di  Dio  :  Ermengarda,  Napoleone,  l' Innominato  ;  Lucia,  il 
sarto  e  la  sua  famiglia;  la  Vergine  e  i  pastori  del  Natale;  le  donne 
della  Risurrezione,  i  supplicanti  della  Pentecoste. 

Il  Massillon  dice  che  le  afflizioni  preparano  gli  umili  alla  salute 
e  alla  santificazione  (*)  ;  ne  esalta  la  pazienza  con  sentimenti  e 
concetti  (^)  conformi  a  quelli  eh'  abbiamo  ricercato  nella  coscienza 
del  Manzoni  ;  ne  descrive  le  semplici  e  pure  gioie  (^)  come  il  Man- 
zoni fa  della  pia  e  giuliva  famigliuola  del  sarto.  Per  contro,  spende 
nelle  analisi  e  ne'  ritratti  della  vita  tutta  la  dovizia  della  sua  vivace 
tavolozza  a  rappresentarne  le  ineluttabili  inquietudini  (^),  non  in 
un  solo,  ma  in  piìi  sermoni,  la  cui  lettura,  anche  per  questa  parte, 
non  rimase  forse  senza  effetto  sullo  scrittore  lombardo,  quando  ideava 
le  travagliate  figure  di  potenti,  evocate  dalla  storia  e  idealizzate 
dalla  poesia,  quali  Desiderio,  Adelchi,  Napoleone  e  l'Innominato. 
Se  non  che  il  Manzoni  dalla  meditazione  sulla  potenza  mondana  ha 
tratto  motivi  e  accenti  di  un  pessimismo  più  profondo  e  doloroso 
di  quello  del  Massillon  ;  piti  s' accosta,  invece,  al  Bossuet  e  piti  del- 
l'uno  e  dell'altro  rivive  lo  spirito  del  Vangelo.  È  la  potenza  non 
altro  che  «  silenzio  e  tenebre  »  (^)  rispetto  alla  vita  eterna  e  alla  / 
gloria  di  Dio  ;  non  ad  essa,  non  alle  «  vegliate  porte  »  de'  «  potenti  » 
si  volge  r  angelico  annunzio  della  nascita  del  Redentore^  ma  agli 
umili,  «  al  duro  mondo  ignoti  »  C^);  contro  essa  son  notate  le  la- 
grime nel  cielo,  ove  il  nome  de'  potenti  ascende  «  con  l'imprecar 
de'  tribolati  »  (~)  :  nata  pii^i  spesso  dalla  «  forza  feroce  »  che  «  fa 
nomarsi  dritto  »  (*),  genera 


(1)  V.  Semi.  cit.  Sur  les  afftietions,  p.  171  e  segg. 

(2)  «  Des  infortunés,  qui  naissent  et  qui  vivent  dans  la  misere  et  dans  l'acca- 
blement,  passent  dans  le  silence  et  dans  l'obloui  presque  de  leurs  pcines,  leurs  jours 
rnalheureux  :  la  plus  petite  lueur  de  soulagement  et  de  repos,  leur  redonne  la  sérénité 
et  l'allegresse:  les  plus  légères  douceurs,  dont  on  console  leurs  peines,  les  leur  font 
oublier:  un  moment  de  plaisir  les  dédommage  d'une  année  entière  de  souffrances  » 
(ibia.,  p.  167). 

(3)  V.  Serm..sur  le  malheur  des  grands  qui  abbandonnent  Dieu,  in  Oeuvres 
(ed.  cit.),  voi.  VI,  pp.  83-4. 

(4)  V.,  ad  es.,  il  Serm.  ora  cit.,  pp.  78,  81,  tutto  il  Serm.  sur  les  tentations  des 
Grands,  tutto  quello  Sur  les  écueils  de  la  piété  des  grands  e,  in  parte,  quello  Sur 
Vhumanité  des  grands  envers  les  peuples,  in  Oeuvres  (ed.  cit.),  voi.  VI. 

(5)  Il  cinque  maggio,  str.  16*. 
(fl)  Il  Natale,  str.  11". 

(7)  Adelchi,  a.  V,  se.  8". 

(8)  Ivi. 


74  PARTE    PUIMA 


i  dolori  onde  il  secolo  atroce 

fa  de'  boni  più  tristo  l'esiglio  (1)  ; 

è  tal  gloria  che  neppur  dura  dinanzi  agli  uomini  e  s'annienta  dinanzi 
a  Dio;  il  quale  ai  grandi,  riottosi  nella  loro  superbia  e  opulenza 
a'  suoi  moniti,  «  chiede  conto  della  parola  che  fa  loro  sentire  nelle 
loro  regge  >  (*).  Non  vi  ha  che  una  grandezza,  quella  dell'  anima  ; 
non  c'è  «  giusta  superiorità  d'uomo  sopra  gli  uomini,  se  non  in  loro 
servizio  »  (^)  ;  tra  la  nobiltà  dell'  anima  e  la  presunta  bassezza  della 
condizione  sociale  non  v"  è  opposizione,  e  questa  nasce  da  una  con- 
venzione assurda  e  ingiusta  {*). 

Queste  le  idee  del  Manzoni  su  ciò  che  sono  le  dignità  e  lo  splen- 
dore che  vengono  dal  mondo.  Non  meno  triste,  anzi  più  foscamente 
immaginoso,  è  il  Bossuet  nel  rappresentare  il  dissolvimento  di  questi 
valori  mondani  :  vane  le  distinzioni  superbe  ;  tutto  si  perde  nell'oceano 
dell'eternità  (^):  «  tout  ce  qui  est  morte],  quoi  qu'  on  ajoute  par 
le  dehors  pour  le  faire  paraìtre  grand,  est  par  son  fond  incapable 
d'  élévation  »  ;  «  toutes  nos  pensées,  qui  n'ont  pas  Dieu  pour  objet, 
sont  du  domaine  de  la  mort  »  {^). 

?^  I  veri  grandi  spiriti  dinanzi  a  Dio  sono  gli  umili:  —  «  l'innocenza 
è  potente  al  suo  cospetto  »  —  pensa  ed  afferma  fra  Cristoforo  nel  ri- 
chiedere al  potente  «  un  atto  di  giustizia  »  :  «  Dio  ha  sempre  gli 
occhi:  sopra  di  loro  »  ;  «  le  loro  grida,  i  loro  gemiti  sono  ascoltati 
lassù  »  (^).  Che  è  l'opulenza  e  la  potenza  dell'  iniquo  signore  nella 
parola  indignata  del  frate,  che  riflette  la  parte  più  segreta  e  più 
fiera  della  coscienza  cristiana  del  poeta?  Miserabile  cosa:  «  quattro 
pietre  »  e  «  quattro  sgherri  » ,  sopra  cui  «  sta  sospesa  »  la  «  maledi- 

I  li  J.'i  Pux.sk>iii\  str.  12". 

(2)  Proìn.  sp.,  cap.  VI,  p.  7(5. 

(3)  Prorn.  sp.,  cap.  XXII,  p.  318. 

(4)  V.  Postille  al  RoLLiN,  in  02Jp.  iìi.  o  r.,  voi.  II,  p.  291.  V.  anche  a  p.  311  la 
postilla  3». 

(5)  «  De  quelque  superbe  distinclion  que  se  flattent  les  hommes,  ils  ont  tous  une 
inéme  origine;  et  cette  origine  est  petite.  Leurs  années  se  poussent  successivement 
comme  des  flots:  ils  ne  cessent  de  s'écouler;  tant  qu'enfin,  apres  avoir  fait  un  peu  plus 
de  bruit  et  traverse  un  peu  i)lus  de  pays  les  uns  que  les  autres,  il  vont  tous  ensemble 
se  confondre  dans  un  abtme  où  l'on  ne  recònnaìt  plus  ni  princes  ni  rois,  ni  toutes  ces 
autres  qualités  superbes  qui  distinguent  les  hommes;  de  méme  que  ces  fleuves  tant 
vantés  demeurent  sans  nom  et  sans  gioire,  mélés  dans  l'océan  avec  les  rivières  les 
plus  inconnues  »  {Oraìsons  funèbres,  ed.  Flammarion,  p.  47).  V.  anche  pp.  52,  58, 
60,  61,  75,  131. 

(6)  Ibld.,  p.  53. 

(7)  Prom.  sp.,  cap.  VI,  p.  76. 


LA    GENESI    ETICO  -  RELIGIOSA  75 


zione  ».  E  l'inerme  trepidante  innocenza  degli  umili  buoni  come  si 
riparerà  dalla  scelleratezza  de'  potenti?  Essa  —  osserva  alteramente 
il,  Manzoni  per  bocca  di  fra  Cristoforo  —  «  è  sotto  la  protezione  di 
Dio  »  (').  Ma  dove  il  Manzoni  eleva  al  più  alto  grado  i  giusti  di 
umile  vita  di  fronte  ai  potenti  superbi  —  e  lo  fa  in  un  impeto  di 
geniale  ispirazione^  che  solo  Dante  ebbe  per  la  sua  Beatrice  —  è 
neir immaginare  Lucia  trasfigurata  nella  sconvolta  coscienza  dell'In- 
nominato così  che  gli  pareva  di  risentirne  le  parole  non  più  proferite 
«  con  accento  d'umile  preghiera»,  ma  «con  un  suono  pieno  d'au- 
torità, e  che  insieme  induceva  una  lontana  speranza  »  ;  di  vederla 
«  non  come  la  sua  prigioniera,  non  come  una  supplichevole,  ma  in 
atto  di  chi  dispensa  grazie  e  consolazioni  »  (^). 


* 


V.  Nella  difesa  della  morale  religiosa  il  Manzoni  ribatte  l'accusa 
che  effetto  di  essa  sia  la  servilità,  perchè  propone  in  alcuni  casi  la 
«  pazienza  ».  Questa  è  virtù  —  egli  soggiunge  —  che  «  educando 
l'animo  a  superare  i  mali,  Io  rende  più  forte  ad  affrontarli,  quando 
sia  necessario,  per  la  giustizia  ».  «  Patire  piuttosto  che  farsi  colpe- 
vole »  :  ecco  la  divisa  del  forte  cristiano  ;  ma  quando  la  «  legge  di 
Dio  »  proibisce  «  ogni  coopcrazione  volontaria  all'ingiustizia  »  impli- 
citamente prescrive  il  coraggio,  «  il  coraggio  più  raro,  il  più  tran- 
quillo, e  che  non  porta  ordinariamente  pericoli  che  a  colui  che  lo 
mostra  »  ;  tanto  più  «  nei  casi  diffìcili  in  cui  bisogna  disubbidire  a 
Dio  o  agli  uomini  ».  Gli  abusi  stessi  che  si  commettono  e  si  giusti- 
ficano con  un  pretesto  religioso,  non  sono  da  coprire  «  per  un  rispetto 
alla  religione  »,  ma  da  svelare  e  combattere  con  una  continua  guerra 
nel  seno  stesso  del  cattolicismo.  «  Rimondate  —  dice  apertamente  il 
nostro  moralista  ai  ministri  della  Chiesa  —  l'albero  dai  rami  secchi 
e  infruttuosi,  prima  che  1'  uomo  inimico  possa  porvi  il  ferro  della 
distruzione  »  (^). 

Tra  le  parti  che  tengono  opinioni  estreme,  ciascuna  collegata  da 
vincoli  di  solidarietà  difensiva,  sorgono  «  i  pochi  e  non  arruolati 
difensori  del  vero  »,  esposti  a  tutte  le  ire,  a  tutti  gli  odi  così  de'  «  ne- 
mici della  fede  »  come  de'  «  partigiani  degli  abusi  ».  «  Felici  se 
essi  amano  e  gli  uni  e  gli  altri  —  esclama  il  Manzoni,  conchiudendo 
quel  suo  discorso  Degli  abusi  e  delle  superstizioni,   che  è  de'   più 


(1)  ma.,  p.  77. 

(2)  Prom,  sp.,  cap.  XXI,  p.  312. 

(3)  Òss.  s.  mor.  catt.,  pp.  497,  492;  441,  442. 


76  PARTE   PRIMA 


rigorosamente  dialettici  e  animosamente  evangelici  ch'abbia  scritto 
in  materia  religiosa  —  se,  posti  in  una  posizione  così  difficile,  sen- 
tono che  non  vi  si  possono  sostenere  che  con  l' aiuto  di  Dio,  se  dai 
contrasti  che  soffrono  cavano  argomenti  di  speranza  e  non  d'orgo- 
glio, se  li  sopportano  come  pene  meritate  pei   loro   falli ,  se  non 

rivolgono  un  occhio  di  desiderio  e  d' invidia  agli  applausi  del  mondo, 
se  non  li  spregiano  per  un  sentimento  di  superbia,  se  non  desiderano 
la  confusione  dei  loro  avversari  di  ogni  genere,  ma  la  loro  concordia, 
aspettando  con  ogni  pazienza  i  momenti  del  Signore  »  (*). 

Codesto  coraggio,  «  francando  la  mente  dalla  perturbazione  e  dai 
calcoli  del  timore  »,  raff'erma  le  risoluzioni  conformi  al  dovere;  onde 
in  molti  casi,  non  solo  ispira  «  opere  virtuose  al  di  là  dello  stretto 
dovere  »,  ma  in  alcuni  casi  «  è  indispensabile  all'adempimento  del 
dovere  stesso  ».  La  paura,  al  contrario,  è  «  passione  carnale  »,  che 
nel  contrasto  de'  motivi  delle  azioni  «  introduce  un  elemento  talvolta 
estraneo^  inopportuno,  appassionato,  quale  è  il  desiderio  di  conser- 
vare la  vita,  di  sfuggire  il  dolore,  il  pericolo  »,  facendolo  «  prepon- 
derare sui  motivi  di  dovere  e  di  ragione  »  :  così,  mentre  i  martiri 
affrontavano  «  il  dolore  e  la  morte  »  con  coraggio  ch'era  «  santo  », 
perchè  s'esercitava  nell'adempimento  della  legge  di  Dio  »,  «  perfe- 
zionato »,  anzi,  o  anche  «  istantaneamente  ispirato  dalla  grazia  di 
Lui»;  quegli  «  infelici  cristiani  »,  per  contro,  che  «  amavano  »  la 
verità,  ma,  più  di  essa,  la  vita,  «  alla  minaccia  del  martirio  »  men- 
tivano a  Dio.  «  Ingiusto  »  è  codesto  amore  —  sentenzia  il  Manzoni  — 
«  perchè  la  conservazione  della  vita,  non  essendo  né  un  fine  perpetuo, 
né  una  condizione  assoluta  nella  linea  dei  doveri,  deve  cedere  a  quei 
precetti  che  hanno  un  tal  carattere  »  (*). 

La  dottrina  morale  del  Manzoni  sulla  paura  ha  una  mira  più  alta 
che  quella  di  censurare  la  parte  negativa  di  questa  passione  :  egli 
se  ne  preoccupa  massimamente  pei  funesti  effetti  che  ne  vengono 
nell'ordine  della  vita  sociale,  come  quella  che  «  può  spingere  e  spinge 
troppo  sovente  ad  azioni  positive,  direttamente  dannose  agli  altri, 
può  rendere  e  rende  l'uomo  stromento  di  violenza.  Quanti  oppres- 
sori inflessibili  troviamo  nella  storia,  che  non  sarebbero  stati  tali,  se 
non  avessero  avuto  una  grande  paura  »  !  Così  osserva  il  Manzoni 
con  l'occhio  rivolto  alla  storia  e  ai  giudizi  degli  storici,  de'  quali 
approva  la  «  consuetudine  sapiente  e  morale  di  associare  fortemente 
il  biasimo,  di  far  sentire  ad  ogni  occasione  la  bruttezza  delle  azioni 


(1)  md.,  p.  443. 

(2)  Opp.  in.  0  r.,  voi.  Ili,  p.  396. 


LA    GENESI   ETICO -RELIGIOSA  77 


pusillanimi  che  presenta  la  storia  » ,  conchiudendo,  —  conforme  alla 
sua  concezione  pedagogica  della  storia,  che  a  suo  luogo  esamine- 
remo —  che  «  è  questo  un  mezzo  potente  per  creare  negli  uomini 
una  specie  di  pudore,  una  disciplina  di  dignità,  la  quale  rende  nel 
caso  più  superabili  le  impressioni  del  pericolo  »  (*). 

Un  punto  capitale  di  questa  parte  della  dottrina  manzoniana  è 
che  la  morale  religiosa,  benché  prescriva  la  delicatezza,  il  compati- 
mento, r  indulgenza,  non  impedisce  la  «  sincera  e  spassionata  espres- 
sione della  verità  >  né  il  «  il  fondato  e  giusto  discernimento  tra  la 
virtù  e  il  vizio  >  ;  anzi  lo  comanda  «  quando  si  tratti  di  preservare 
il  prossimo  dall'insidie  de'  maligni;  quando  insomma  sia  richiesto 
da  giustizia  e  da  utilità  »  ;  lo  comanda,  condannando  «  i  rispetti 
umani  »  per  «  un  obbligo  e  un  motivo  soprannaturale  di  non  tacere 
la  verità  »,  quando  la  «  voce  »  di  essa  «  sia  mossa  dalla  carità  ». 
«  Così  ha  prevenuto  1'  animo  debole  contro  il  terrore  che  la  forza, 
che  la  moltitudine,  che  la  derisione,  che  il  possesso  delle  dottrine 
mondane  gli  sogliono  incutere  ;  così  ha  resa  libera  la  parola  in 
bocca  all'uomo  retto  »  (^).  Tanto  più  si  rivela  la  grandezza  del 
coraggio  cristiano  negli  uomihi  della  Chiesa,  quand'essi,  lungi  dal 
farsi  adulatori  de'  potenti  e  predicatori  di  servilità  fra  i  soggetti, 
«sanno  dire  il  vero  con  pericolo». 

Il  Manzoni  scruta  acutamente  codesto  aspetto  morale  della  storia 
della  Chiesa  ne'  tempi  del  dispotismo  politico  e  sociale.  Ce  ne  sono 
stati  de'  cortigiani  che  «  hanno  detto  ai  potenti  che  la  Religione  era 
loro  utile  perché  favoriva  ogni  esercizio  della  loro  potenza  »  ;  che 
«  hanno  voluto  far  credere  che  non  fosse  destinata  principalmente 
che  a  far  godere  alcuni  uomini,  più  tranquillamente,  di  un  potere 
che  finisce  al  sepolcro  »  ;  che  hanno  secondato  il  mondo  nell'  idea 
di  subordinare  tutto,  anche  la  religione,  all'  «  idolo  »  della  potenza. 
Eppure  dovevano,  invece,  dire  ai  potenti  «  che  la  religione  è  loro 
utile,  perché  li  può  guidare  alla  salute,  perchè,  posti  nella  situazione 
più  pericolosa,  hanno,  più  d'ogni  altro,  bisogno  di  guida  e  di  soc- 
corso, perchè,  oltre  la  miseria  loro  propria,  la  bassezza  degli  altri 
cospira  ad  ingannarli  e  a  perderli  »,  perché  «  i  potenti  hanno  pur 
troppo  una  tentazione  più  forte  di  tutti  »  «  a  considerare  ogni  cosa 
come  un  mezzo  ai  desideri  temporali  »  (^). 

Anche  il  Massillon,  trattando  a  lungo  delle  passioni  de'  grandi  e 
dell'adulazione  che  le  seconda,  rileva  che  «  l'adulation  le  plus  dan- 


(1)  IbuL,  p.  397. 

(2)  ma.,  pp.  309-10. 

(3)  Oss.  s.  mar.  catt.,  pp.  497,  498. 


78  PARTE   PRIMA 


gereuse  est  dans  la  bouche  de  ceux  qui,  par  sainteté  de  leur  ca- 
ractère,  sont  établis  les  ministres  de  la  vérité  »  e  deplora:  «  Quel 
malheur  pour  les  g-rands  de  trouver  d'indìgnes  apologistes  de  leurs 
vices  panni  ceux  qu'  en  auroient  du  étre  les  censeurs,  d'entendre 
autour  de  leur  tròne  les  ministres  et  les  interprètes  de  la  religion 
parler  cornine  le  courtisan,  et  de  trouver  des  adulateurs  ou  ils 
auroient  du  trouver  des  Ambroises  >  (*). 

Le  idee  del  Manzoni  sul  dovere  d'esercitare  coraggiosamente  l' apo- 
stolato cristiano  in  mezzo  al  mondo,  massime  nel  cospetto  de'  potenti 
e  contro  gli  abusi  della  stessa  società  religiosa,  restano,  nel  loro 
insieme,  entro  i  confini  della  tradizione  cattolica;  per  lo  spirito 
d'  austerità  pura  e  battagliera  ond'egli  incita  a  denunciare  gli  abusi 
e  le  superstizioni  e  a  scinderli  coraggiosamente  dal  perpetuo  con- 
tenuto divino  della  fede,  s'avvicina  innegabilmente  alle  fonti  del 
giansenismo,  di  quello  schietto  degl'iniziatori  francesi  di  Port-Royal, 
fra  i  quali  egli  trova  il  suo  «  grande  Nicole  »  e  Biagio  Pascal,  tanto 
più  da  lui  prediletti  perchè  entrano  nel  novero  di  quegli  apologisti 
e  moralisti  francesi  del  secolo  XVII,  ai  quali,  come  alla  tradizione 
più  autorevole  del  pensiero  cattolico  moderno,  sappiamo  ormai  ch'egli 
è  venuto  conformando,  durante  e  dopo  la  conversione,  il  suo  pen- 
siero morale  e  religioso. 

Questa  dottrina,  così  conforme  allo  spirito  del  Vangelo,  «  che  è 
tutto  franchezza  e  dignità,  che  abboraina  tutte  le  strade  coperte  per 
le  quali  si  nuoce  senza  esporsi  ;  e  che  ne'  contrasti  che  si  devono 
pur  troppo  avere  con  gli  uomini  per  la  difesa  della  giustizta,  co- 
manda per  lo  più  una  condotta  che  suppone  coraggio  »  (*),  costi- 
tuisce il  problema  massimo  della  coscienza  religiosa  del  Manzoni, 
ed  è  uno  de'  motivi  etici  più  fecondi  del  romanzo.  Essa  ha  preparato 
r  opposta  concezione  di  don  Abbondio  e  di  fra  Cristoforo.  La  suc- 
cession  de'  fatti  principali,  che  formano  la  trama  dell'azione  roman- 
zesca, non  è  che  la  conseguenza  dolorosa,  ma  logica,  del  fallimento 
del  coraggio  cristiano  in  chi  ne  aveva  chiesto  e  accettato  il  sacro 
ministero,  in  chi,  in  una  contingenza  grave  e  pericolosa,  ha  preferito 
d'ubbidire  piuttosto  agli  uomini  che  a  Dio.  Il  comico  che  si  riflette 
nella  perfetta  forma  poetica  di  don  Abbondio  (e  ne  vedremo  a  suo 
tempo  il  perchè)  non  impedisco  di  cogliervi  dentro  ciò  che  di  serio 
e  di  dolorosamente  severo  si  associa  nella  segreta  concezione  del 
poeta  alle  umoristiche  impressioni  della  vita  e  dell'umana  debolezza. 


(1)  Serm.  cit.  skv  ics  icutittions  des  Orands.  pp.  :ìi, 
(a)  Oss.  s.  mor.  cuti.,  itp.  Mi-i. 


LA    GENESI    ETICO -RELIGIOSA  79 


È  difficile  certamente  sdoppiare  il  contenuto  spirituale  di  don  Ab- 
bondio: lo  stesso  Manzoni  nella  finissima  analisi  che  fa,  in  sul  prin- 
cipio, dell'indole  e  del  tener  di  vita  del  suo  personaggio,  non  ha 
parole  amare  per  lui,  non  gli  fa  il  processo  morale,  non  lo  stacca, 
per  così  dire,  dalla  sua  realtà,  relativa  per  porselo  innanzi  come  un 
problema  del  cristianesimo  e  della  Chiesa  ;  neppure  lo  colpisce  nel 
seguito  dell'azione,  dopoché  egli  ha  obliterata  la  solenne  legge  evan- 
gelica: «  patire  piuttosto  che  farsi  colpevole  ».  Questo  riserbo,  in  cui 
si  è  tenuto  il  moralista,  è  una  delle  ragioni  della  geniale  creazione 
a  cui  ha  potuto  giungere  il  poeta;  ma  l'alto  giudizio  morale  su  così 
nociva  deficenza  del  sentimento  del  dovere  non  può  mancare  in 
un'opera  che  vuole  essere,  come  1'  ha  voluta  il  Manzoni,  di  poesia 
insieme  e  di  moralità  religiosa,  e  quel  giudizio  lo  pronunzia  il  car- 
dinal Federigo  attraverso  una  requisitoria  solenne,  che  poeticamente 
—  per  vero  dire  —  non  ha  valore  se  non  pel  mirabile  contrasto 
scoppiettante  in  quel  colloquio  singolarissimo  tra  le  ragioni  dell'  i- 
deale  puro  e  illimitato  e  gli  argomenti  della  realtà  guardinga  e 
positiva,  ma  per  la  sostanza  etica  e  religiosa  di  cui  è  materiata,  per 
lo  spirito  polemico  ed  apologetico  che  la  pervade,  è  un  meditato 
testamento  di  fede  ed  una  patente  lezione  di  coraggio  cristiano. 
L'aspetto  etico  della  concezione  donabbondiana  è  tutto  rivelato  nella 
parola  di  Federigo:  non  avrebbe  il  Manzoni  ideato  quel  colloquio 
né  vi  avrebbe  dato  luogo  —  con  tutte  le  variazioni  e  risorse  dram- 
matiche che  la  situazione  stessa  ispirava  —  a  così  fervoroso  sermone, 
se  non  avesse  avuto  in  mente  di  servirsene  per  raccogliervi  una 
parte  notevole  delle  idee  religiose  che  hanno  prodisposto  e  ispirato 
l'opera  letteraria;  come,  del  pari,  ha  affidato  alla  parola  dello  stesso 
Federigo,  nel  colloquio  con  l'Innominato,  l'ufficio  d'illustrare  la 
sua  dottrina  sulla  potenza  degli  uomini  e  il  segreto  disegno  della 
Provvidenza  d'adoperarla  a'  suoi  fini;  a  quella  di  fra  Cristoforo 
l'ufficio  di  dimostrare,  nel  colloquio  con  don  Rodrigo,  la  vanagloria 
de'  potenti  superbi  e  l' imperturbato  valore  dell'innocenza  e  del- 
l'umiltà dinanzi  a  Dio,  e,  ne'  discorsi  agli  sposi  fuggiaschi  e  a 
Renzo  nel  lazzaretto,  il  pregio  della  carità  e  del  perdono  ;  s' è, 
infine,  servito  della  parola  di  padre  Felice^  per  ammaestrare  l'uma- 
nità, percossa  e  decimata  dal  flagello  d'un' immane  calamità  pub- 
blica, a  riconoscervi  un  segno  della  misteriosa  volontà  divina^  un 
ammonimento  all'amore  e  all'aiuto  scambievole. 

La  parte  positiva  della  dottrina  ha  vivo  risalto  nella  figura  e 
neir  opera  di  fra  Cristoforo  e  di  Federigo  Borromeo.  Nella  parola 
di  questo  torna  la  teoria  del  coraggio,  sparsamente  trattata  dal  Man- 


80  PARTE    PRIMA 


zoili  nella  Morale  cattolica;  vi  torna,  anzi,  piti  svolta  a,  quasi  di- 
rei, esemplificata.  Alla  protesta  della  realtà,  che  ha  tutta  l'aria 
di  essere  conforme  al  buon  senso:  «  il  coraggio,  uno  non  se  lo  può 
dare  »  (^),  risponde  la  dottrina  del  Vangelo,  che  non  si  tratta 
d'averlo  «  naturalmente»  il  coraggio,  ma  di  sentirne  la  necessità, 
di  confidare  in  Dio  che  lo  infonda  e  sorregga,  di  trarlo  fuori  dal- 
l' «  amore  intrepido  »,  dal  «  timor  santo  e  nobile  per  gli  altri  ».  Im- 
possibile che  non  si  faccia  «  naturalmente  conto  della  vita  »,  che 
«  la  debolezza  della  carne  »  non  ci  faccia  «  tremare  »  per  noi  ;  ma 
più  forte  ha  da  essere  la  voce  della  carità  e  del  dovere  (^).  «  Sof- 
frire per  la  giustizia  è  il  nostro  vincere  »  (^)  risponde  Federigo  a 
don  Abbondio,  a  cui  pare  impossibile  che  non  si  debba  desiderar 
di  conservare  la  vita,  e  sembra  vana  ogni  resistenza  alla  forza  in- 
vincibile. Ma  non  è  solo  in  questo  dettame  rigido  e  inesorabile  tutto 
r  evangelismo  pratico  del  Manzoni.  Quando  Federigo  ribatte  :  «  Ma 
forse  che  tutti  i  ripari  umani  vi  mancavano  ?  Non  sapevate  che  l' ini- 
quità non  si  fonda  soltanto  sulle  sue  forze,  ma  anche  sulla  credulità  e 
sullo  spavento  altrui  {*)  »  ?,  svolge  con  pienezza  il  contenuto  della  legge 
di  Dio  e  della  sua  Chiesa;  che,  se  prescrive  di  soffrire,  incita  altresì 
a  combattere;  che,  se  vuole  l'amore,  vuole  altresì  l'azione  e  la 
difesa.  È  questo  il  carattere  positivo  del  cristianesimo  manzoniano 
e,  in  particolare,  della  sua  concezione  morale  del  coraggio,  consi- 
derato come  sovrana,  indispensabile  energia  delle  missione  cattolica  : 
dalla  qual  concezione  è  balzata  fuori,  tutta  d'un  pezzo,  la  figura 
di  fra  Cristoforo.  Questo  e  don  Abbondio  sono  nati  simultaneamente 
e  per  uno  svolgimento  dialettico  di  idee  da  quell'osservazione,  che 
addietro  ho  riferita,  degli  effetti  della  paura  ne'  rapporti  sociali. 
Tale  problema  pel  Manzoni  —  benché  ne  abbia  ragionato  con  bre- 
vità —  è  di  somma  importanza,  in  quanto  implica  i  vincoli  della 
carità  e  l'adempimento  della  giustizia.  Quella  di  don  Abbondio  — 
non  ostante  l'apparenza  contraria  —  è  azione  positiva:  strumento 
di  violenza  nell'  ubbidire  all'  iniquità  con  la  trasgressione  e  il  silenzio, 
diventa  violento  ed  oppressore  lui  stesso  nell'  «  ingannare  i  deboli  », 
nel  «  mentire  ai  figliuoli  »  (^).  E  che  oppressore  inflessibile  — 
s'intende  ne'  limiti  della  pusillanimità  —  fino  all'ultimo,  a  cagione 
di  quella  paura!    fino   a  provare   una  «  meraviglia  scontenta  »  nel 

(1)  rbld.,  p.  375. 

(2)  Proìn.  sp.,  cap.  XXVI,  pp.  378,  379. 

(3)  Ivi. 

(4)  Prom.  sp.,  cap.  XXV,  p.  375. 

(5)  ma.,  p.  376  e  cap.  XXVI,  p.  377. 


LA    GENESI   ETICO  -  RELIGIOSA  81 


riveder  Renzo  dopo  la  peste,  a  istizzirsi  nell' indovinare  ch'egli 
pensa  ancora  a  Lucia  (^);  fino  a  rifiutarsi,  in  un  certo  modo  blando 
e  vago,  ma  sempre  con  «  quella  mutria  »,  con  «  quelle  ragioni  »,  di 
maritare  lui,  nel  loro  paesello,  i  due  giovani,  quando  ormai  è  quasi 
certo  che  don  Rodrigo  è  morto  di  peste  (^).  Per  contro  fra  Cristo- 
foro è  pronto  e  intrepido  in  campo  fin  dalla  prima  invocazione  del- 
l'innocenza oppressa  e  s'appiglia  al  partito  d'  «  aff'rontare  »  il  potente, 
di  «  tentar  di  smuoverlo  dal  suo  infame  proposito,  con  le  preghiere, 
coi  terrori  dell'altra  vita,  anche  di   questa,  se  fosse  possibile  »  ('). 

È  il  coraggio  cristiano  in  azione  :  s' arma  di  pazienza,  fin  dalle 
prime  parole  e  maniere  arroganti  di  don  Rodrigo,  stretto  a  colloquio 
con  lui,  impegnandosi  sempre  «  più  alla  sofferenza  »  dopo  altre  in- 
terruzioni più  ingiuriose  ;  gli  dice  le  parole  della  verità  e  della  giu- 
stizia; s'indigna  fieramente  prorompendo  nell'anatema  del  giudice 
giusto  sul  peccatore  caparbio,  quando  i  mezzi  della  prudenza  e  della 
pazienza  non  servono  più  {*). 

Il  coraggio  neir  adempimento  della  legge  di  Dio  non  ha  limiti  e 
se  urta  contro  regole  e  convenzioni,  che  i  zelanti  vogliono  difendere 
per  riguardo  alla  religione,  le  supera  con  la  forza  della  pura  co- 
scienza e  a  quelli  risponde,  come  fra  Cristoforo,  la  notte  che  rac- 
coglie i  suoi  poveri  profughi  nella  chiesetta  di  Pescarenico,  a  fra 
Fazio,  col  motto  di  S.  Paolo:  «  Omnia  munda  mundis  ».  Il  coraggio, 
speso  in  un'opera  di  carità  e  di  giustizia,  può  trovare  un'amara 
«  mercede  »  da  parte  di  chi  —  sebbene  congiunto  dai  medesimi  voti 
e  fini  nel  servizio  di  Dio  —  dà  più  valore  alla  regola  e  alla  disci- 
plina esteriore  che  allo  spirito  e  ai  benefici  effetti  delle  opere  cri- 
stiane, come  capita  a  fra  Cristoforo  in  una  scena  della  prima  stesura 
del  romanzo  (^).  Il  Manzoni  ivi  narrava  come  il  buon  frate,  rien- 
trato, dopo  quella  giornata  santamente  laboriosa,  nel  convento  «  a 
notte  già  fitta  »  oltre  l'ora  regolare,  si  vide  anzitutto  accolto  dal 
frate  portinaio  «  con  quel  maledetto  misto  di  sussiego,  di  soddisfa- 
zione, di  clemenza,  di  commiserazione  e  di  mistero,  che  gli  uomini 
(tranne  l'uno  per  milione)  mostrano  sempre  in  faccia  di  colui  che 
per  qualche  sventura  sembra  loro  di  stare  in  cattivi  panni  »  ;  poi, 
giunto  davanti  «  la  faccia  seria  ■»  del  padre  guardiano,  si  sentì  da 
costui  un'  intemerata  solenne,  e  perchè  avesse  violata  la  regola  e 


(1)  Prom.  sp.,  cap.  XXXIII,  pp.  491-3. 

(2)  Prom.  sp.,  cap.  XXXVIII,  pp.  560-1. 

(3)  Prom.  sp.,  cap.  V,  p.  62. 

(1)  Prom.  sp.,  cap.  VI,  p.  75-78. 
(5)  Sp.  prom.,  pp.  122-5. 


Buselto  —  6 


82  PARTE    PRIMA 


che  «  il  preporre  le  opere  volontarie  di  misericordia  all'obbedienza 
era  segno  di  orgoglio  e  di  amore  alla  propria  volontà  :  che  non  era 
bene  quel  bene  che  non  è  fatto  secondo  le  regole:  che  bisogna  prima 
fare  il  dovere  e  poi  attendere  alle  opere  di  surerogazione  »  ;  da  ul- 
timo si  ebbe  ingiunta  la  penitenza  di  recitare  per  «  questa  volta  *, 
dacché  era  «  il  primo  suo  fallo  contro  la  regola  »,  «  un  miserere  colle 
braccia  alzate  ».  Su  tal  «  mercede  »  riflettendo,  il  Manzoni  diceva 
dolorosamente  che  è  «  tristo  chi  ne  aspetta  altre  in  questo  mondo  » 
e  poco  prima,  nel  pennelleggiare,  a  tratti  svelti,  ma  acuti,  la  figura 
morale  del  padre  guardiano,  vanitosamente  lieto  di  cogliere  in  fallo 
r  «  irreprensibile  »  confratello  e  di  poter  finalmente  «  far  uso  sopra 
di  lui  della  sua  autorità  >,  osservava  che  «  i  frati  e  il  guardiano 
avevano  per  lui  più  rispetto  che  amore  » ,  perchè  fra  Cristoforo  non 
s'accordava  sempre  con  la  «  condotta  »  e  la  «  politica  dei  suoi  con- 
fratelli e  del  suo  capo,  e  più  d'una  volta  aveva  ricusato  di  operare 
di  concerto  con  gli  altri  >.  Non  starò  qui  a  riprendere  la  questione, 
da  altri  egregiamente  discussa  (*),  per  quali  motivi  e  sotto  quali 
influssi  il  Manzoni  abbia  da  prima  ideato  e  poi  soppresso  questo 
episodio  nella  definitiva  redazione  del  romanzo  ;  che  ne  vorrò  trat- 
tare in  luogo  più  opportuno;  per  intanto  mi  sembra  che  quell'epi- 
sodio —  messo  in  relazione  col  tentativo  di  piegare  la  malvagia 
volontà  di  don  Rodrigo  e  col  ritorno  alla  casa  di  Lucia  per  confer- 
mare i  suoi  protetti,  non  ostante  l' insuccesso  della  sua  generosa 
impresa,  nella  fede  e  nella  speranza,  —  rifletta  uno  de'  problemi 
della  vita  cristiana,  che  più  stavano  a  cuore  al  Manzoni  (e  il  pen- 
soso commento  sulle  compense  del  mondo  ne  è  l'indizio  più  per- 
suasivo), quanto  sia  ardua^  cioè,  e  mal  retribuita  quaggiù  la  corag- 
giosa missione  di  coloro  che  tra  l'iniquità,  che  non  s'arrende  alla 
parola  del  Vangelo,  e  l'intransigenza  zelatrice  della  religione,  che  può 
scambiare  per  dovere  ciò  che,  in  certe  circostanze,  diventa  pregiu- 
dizio od  abuso  o  uno  dei  tanti  rispetti  umani,  nel  conflitto  impe- 
gnato con  r  una,  non  tacciono  né  disarmano  per  la  difesa  del  vero 
e  del  giusto,  e  nel  contrasto,  che  non  possono  evitare  con  l'altra, 
non  traggono  argomento  di  disdegno  e  d'orgoglio  dalla  loro  virtù, 
ma  sì  di  speranza,  e  si  compongono  in  dignitosa  e  generosa  umiltà, 
come  fa  il  nostro  mirabile  frate  che  recita  «  il  suo  buon  miserere  » 
per  sé  e  per  tutti^  anche  pel  suo  malizioso  censore. 

La  virtù  del  coraggio  cristiano  negli  uomini  che  hanno  accettato 
d'essere  ministri  della  verità  non  può  non  grandeggiare  in  Federigo, 


(1)  V.  L.  Passò,  Padre  Cristoforo  balordo,  in  Glorn.  st.  d.  lett.  ital.,  LI,  257-78. 


LA   GENESI   ETICO -RELIGIOSA  83 


che  incarna  nella  forma  più  elevata  e  pura  l'ideale  religioso  del 
Manzoni,  non  solo  per  la  gioiosa  premura  con  che  accoglie  l'Inno- 
minato e  per  quel  suo  rimproverarsi  di  non  essere  andato  lui  a 
cercarlo,  ma  anche  per  il  linguaggio  grave,  franco,  <  così  insolito  » 
al  terribile  bandito,  che  usa  nel  mischiare  all'effusione  di  carità  e 
di  conforto  la  condanna  della  nefasta  potenza  dell'uomo,  «  Che  il 
mondo  gridi  da  tanto  tempo  contro  di  voi,  che  mille  e  mille  voci 
detestino  le  vostre  opere  — ,  che  gloria  ne  viene  a  Dio  ?  Son  voci 
di  terrore,  son  voci  d'interesse;  voci  forse  anche  di  giustizia,  ma 
d' una  giustizia,  così  facile,  così  naturale  !  alcune  forse,  pur  troppo, 
d'invidia  di  codesta  vostra  sciagurata  potenza,  di  codesta,  fino  ad 
oggi,  deplorabile  sicurezza  d'animo.  Ma  quando  voi  stesso  sorgerete 
a  condannare  la  vostra  vita  ed  accusar  voi  stesso,  allora  !  allora  Dio 
sarà  glorificato  »  (*).  Vogliono  esser  queste  parole  di  Federigo  il 
lirico  svolgimento  del  motivo  fondamentale  racchiuso  nelle  prime 
parole  ripercotenti  quella  disperata  domanda  dell'Innominato:  «Ma 
Dio!...  cosa  volete  che  faccia  di  me?  »  ;  ma  qui  importa  rilevare  il 
santo  ardimento  del  ministro  di  Dio  nel  rappresentare  al  peccatore 
potente  gli  effetti  delle  sue  opere  detestate,  della  nefasta  potenza, 
della  ancor  più  nefasta  imperturbabilità  nel  male. 

—  «  Chi  siete  voi,  pover'uomo,  che  vi  pensiate  d'aver  saputo  da 
voi  immaginare  e  fare  cose  più  grandi  nel  male,  che  Dio  non  possa 
farvene  volere  e  operare  nel  bene  »  (*)  ?  —  prosegue  Federigo,  con- 
trapponendo alla  potenza  malefica  dell'orrenda  vita  finora  vissuta 
dal  grande  scellerato  la  grazia  illuminante  di  Dio  nella  sua  vita 
avvenire  ;  accennando  alla  quale  non  si  perita  di  mettergli  nel  cuore 

ferme,  inesorabili  quelle  parole  :  -<  nella  nuova  vita avrete  tanto 

da  disfare,  tanto  da  riparare,  tanto  da  piangere  »  (^)! 

Dall'esposizione  de'  principi  della  dottrina  morale  e  religiosa  del 
Manzoni  e  dalla  trattazione  de'  particolari  problemi  ch'egli  ne  fa 
discendere,  resta  provato  che  il  suo  pessimismo  etico,  se  derivò  con 
coerenza  e  fermezza  dall'antitesi  perpetua  delle  verità  del  Vangelo 
con  le  condizioni  della  vita  umana,  lungi,  però,  dall'  abbandonare 
la  sua  mente  alla  sterile  negazione  del  mondo,  l'inalzò  ad  un'in- 
dulgente comprensione  del  male  e  degli  errori  umani  e  ad  un  saldo 
e  operoso  idealismo  cristiano. 


(1)  Prom.  sp.,  cap.  XXIII,  p.  328. 

(2)  Ivi. 

(3)  Ibid.,  p.  330. 


Capitolo  IH. 

L'ispirazione  etico  religiosa  nella  genesi  primitiva  de'  «  Promessi  sposi 
e  ne'  successivi  rinnovamenti 


I.  Le  predisposizioni  apologetiche  e  moralistiche.  —  II.  La  visione 
pessimistica  dell'uomo  e  della  società  del  Seicento  nella  prima 
stesura.  —  III.  Altri  atteggiamenti  e  riflessi  di  forte  pessimismo 
-psicologico  e  sociale  ìielV  originaria  concezione  del  romanzo.  — 
IV.  L'unificazione  della  duplice  tendenza  pessimistica  e  ideali- 
stica nella  più  alta  e  serena  concezione  cristiana  del  romanzo 
rinnovato. 

I.  La  disamina,  sin  qui  fatta,  de'  principi  fondamentali  e  de'  problemi 
e  motivi  che  costituiscono,  dirò  così,  il  sostrato  etico- religioso  de' 
Promessi  sposi  può  essere  opportunamente  integrata  da  uno  studio 
più  intimo,  che  dal  fortunato  possesso  del  primo  getto  dell'  opera 
ci  è  ormai  largamente  consentito,  di  quella  che  potremmo  dire  la 
storia  genetica  del  mondo  morale  rispecchiato  nelle  forme  di  vita 
e  di  poesia  del  capolavoro.  Vedere,  cioè,  con  quali  disposizioni  e 
tendenze  la  coscienza  cristiana  del  Manzoni  si  sia  preparata  all'opera 
e  l'abbia  via  via  disegnata  e  ripensata  e  trasformata  con  laborioso 
sforzo  d'approfondimento  e  di  purificazione  della  materia  e  de'  mo- 
tivi, derivati  dalla  sua  concezione  morale,  ovverosia  religiosa,  del- 
l'uomo e  della  sua  storia,  ecco  quanto  è  lecito  fare  a  compimento 
della  presente  ricerca. 

Gli  anni  tra  il  '19  e  il  '21  sono  date  solenni  nella  storia  dello 
spirito  manzoniano.  È  allora  che  lo  colpisce  la  nota  censura  del 
Sismondi  riguardo  agli  effetti  della  morale  della  Chiesa  cattolica 
sul   carattere   e  la  vita  secolare  degl'  italiani  e  vi   suscita  quella 


LA   GENESI   ETICO -RELIGIOSA  85 


grave  e  profonda  discussione  dottrinale  —  1'  abbia  o  no  sollecitato 
al  gran  lavoro  mons.  Tosi  —  che  si  concreta  in  quell'opera,  mode- 
stamente intitolata  «  Osservazioni  sulla  morale  cattolica  »  (*),  in  cui 
rivive  con  la  schietta  spiritualità,  del  Vangelo  or  la  gagliarda  e 
serrata  eloquenza  d'  un  Bossuet  e  ora  la  fervida  analisi  psicologica 
d'un  Massillon.  Eccolo  intanto  a  rimeditare  il  problema  religioso  in 
Italia,  ad  approfondire  i  principi  essenziali  del  cristianesimo,  ad 
illustrare  con  vivacità  apologetica  il  contenuto  morale  dell'insegna- 
mento evangelico  e  delle  istituzioni  e  dottrine  fondate  dalla  Chiesa, 
ad  esaltarne  l'officio  educativo  nel  mondo.  E  un  ardore,  codesto, 
che  non  posa  neppure  dopo  la  composizione  e  la  stampa  della 
«  Parte  prima  »,  ma  prosegue,  tra  la  fine  del  '19  e  il  '20  in  Milano 
e  durante  il  soggiorno  parigino,  nel  serio  e  vasto  disegno  della 
«  Parte  seconda  »  (■^),  che,  se  non  ottenne  l'organica  compiutezza  di 
quella,  ha  ricchezza  di  dottrina  e  vigor  dialettico  non  minore  e,  a 
tratti,  pari  eloquenza.  Nel  1819  medesimamente  dava  compimento  al 
Carmagnola  (^),  ripigliava  il  soggetto  della  Pentecoste,  secondo  un 
nuovo  concetto  e  disegno  (■•),  e  sulla  fine  dell'  anno  seguente  si 
metteva  a  lavorare  attorno  V Adelchi  con  l'intento  di  condurlo  a 
termine  nella  primavera  dell'  anno  dopo  (^)  ;  e,  intanto,  ne'  primi 
mesi  di  questo  ideava  e  cominciava  la  prima  stesura  del  romanzo 
e  componeva  d'impeto,  nel  maggio,  l'ode  napoleonica.  «  Travaglio  » 
come  scriveva  in  que'  giorni  Ermes  Visconti  {^)  straordinario  in 
così  breve  giro  di  tempo.  E  s'  aggiunga  che  nel  novembre  di  quel 
medesimo  '21  poneva  termine,  non  solo,  come  s'era  ripromesso,  alla 
tragedia  d'Adelchi,  ma  altresì  al  Discorso  storico  sui  Longobardi  e 
veniva  già  correggendo  l' una  e  l'altro  per  la  stampa  e  in  que'  giorni 
anche  si  proponeva  di  preparare  un  altro  discorso,  da  lungo  tempo 
meditato,  sull' influenza  morale  della  tragedia;  dopo  di  che  avrebbe 
ripreso  il  romanzo  o  dato  principio  ad  una  tragedia  (ecco  il  tempo 
delle  vivaci  Postille  polemiche  alla  storia  romana  del  Rollin)  ad  una 


(1)  Scritte  e  pubblicate  in  pochi  mesi  dalla  fine  del  '18  (v.  Cart.  cit.,  p.  416)  alla 
primavera  del  '19,  in  cui  furon  date  immediatamente  alla  stampa  per  cura  del  can. 
Tosi  (V.  Cart.  cit.,  p.  419). 

(2)  V.  in  Cart.  cit.  la  lett.  del  can.  Tosi  all'ab.  Lamennais  del  28  die.  1819  e 
quella  a  Giulia  Manzoni  del  29  apr.  1820  (pp.  455  e  489). 

(3)  V.  Cart.  cit.,  p.  455. 

(4)  V.  il  mio  studio  sulla  Composizione  della  "  Pentecoste  „,  Milano,  Albrighi, 
Segati  e  C,  1920. 

(5)  V.  lett.  dal  17  ottobre  1820  in  Cart.  cit.,  p.  499. 

(6)  L'amico  scriveva  allora  al  Fauriel  che  il  Manzoni  pareva  "  un  altro  uomo  ,, 
quando  lavorò  sul  Caì-rnagnola  e.  poi,  sull'Adelchi,  e  che  il  lavoro  lo  rianimava  e 
rallegrava  (V.  Cart.  cit.,  p,  504). 


86  PARTE  PRIMA 


tragedia  su  Spartaco  (*),  È  questo,  dunque,  il  periodo  non  solo  della 
maggiore  fecondità  del  poeta,  ma  anche  della  più  ardente  e  medi- 
tativa attività  del  pensatore  cristiano  e  del  critico  della  storia. 

Dacché  il  Manzoni,  mentre  maturava  l'Adelchi,  veniva  disegnan- 
do il  romanzo  degli  Sposi  promessi  e  tra  il  compimento  di  quello 
e  il  proseguimento  di  questo  vagheggiava  medesimamente  un  dram- 
ma d'  oppressi  e  d'  oppressori  sullo  sfondo  storico  della  rivolta 
spartachiana  e  sul  motivo  evidente  del  conflitto,  tra  la  superba  e 
feroce,  com'ei  la  giudicava,  morale  degli  antichi  e  i  presentimenti 
della  novella  fede  redentrice  del  mondo,  ciò  presuppone  un  pensiero 
comune,  una  comune  disposizione  dell'  intelletto  e  del  sentimento, 
una  comune  concezione  morale  dell' uomo  e  della  storia;  l'avere  nel 
medesimo  tempo  atteso  all'indagine  e  alla  meditazione  storica  e 
ripreso  in  esame  la  questione  della  moralità  delle  opere  tragiche, 
è  cosa  parimente  che  indica  un  indirizzo  di  studi  e  di  riflessioni  che 
con  quelle  tendenze  e  aspirazioni  ha  uno  stretto  legame. 

All'  inizio  di  questo  rinnovato  fervore  di  dottrina  e  d'arte  sta  la 
Morale  cattolica  nella  parte  compiuta  e  nel  materiale  preparato  per 
la  seconda.  Di  essa  principalmente  mi  sono  servito  ne'  precedenti 
capitoli  per  ricostruire  il  pensiero  morale,  religioso  e  sociale  del 
Manzoni,  al  fine  di  determinare  i  principi  informatori  e  i  motivi, 
suscettibili  di  trasfigurazione  poetica,  di  quel  mondo  ch'egli  ha  ri- 
flesso ne'  Promessi  sposi,'  ad  essa  dobbiamo  porre  tuttavia  piìi  di- 
retta attenzione,  per  illustrare  la  primitiva  concezione  morale  del 
romanzo,  per  indagare  anzitutto  in  quale  stato  d'animo  si  mise  al- 
l'opera e  come  su  questa  si  riverberasse  lo  spirito  delle  recenti 
discussioni  apologetiche  ;  nello  stesso  modo  che  degli  studi  storici, 
delle  idee  letterarie,  di  lunga  mano  meditate,  ma  allora  riordinate 
ed  esposte,  e  massimamente  della  concezione  etica  del  dramma 
storico,  quale  in  quegli  anni  s'era  formata  meditando  sullo  Shake- 
speare e  sul  Bossuet,  vedremo  a  suo  tempo  gì'  influssi  nel  primitivo 
concetto  e  disegno  dell'opera,  ormai  nota  col  nome  di  Sposi  promessi. 

La  prima  volta  il  romanzo  uscì  dalla  coscienza  e  dalla  fantasia  del 
Manzoni  con  le  severe  impronte  della  Morale  cattolica,  co'  segni, 
cioè,  più  risentiti  ed  espressi,  di  quel  pessimismo  cristiano,  i  cui 
principi  e  motivi  abbiamo  potuto  massimamente  raccogliere  appunto 
dalla  «  Prima  »  e  dalla  «  Seconda  parte  »  di  quella  dissertazione 
apologetica.  Esso  è  manifesto  —  e  le  ulteriori  analisi  della  prima 


(1)  V.  Cari,  cit.,  p.  517.  Per  questo  soggetto  sappiamo  che  veniva  allora  diligen- 
temente raccogliendo  il  materiale  storico  e  studiando  i  tempi,  e  che  disegnò  delle  «  di- 
visioni cronologiche»  per  la  trama  drammatica  (V.  Opp.  in.  o  r.,  voi.  I,  pp.  275-88;. 


LA    GENESI    ETICO  -  RELIGIOSA  87 


Stesura  ne  saranno  dimostrazione  e  conferma  —  nella  concezione 
e  nella  dipintura  de'  caratteri  dei  personaggi,  nella  descrizione  di 
certe  situazioni,  nello  svolgimento  generale  dell'azione  e  nel  destino 
risolutivo  d'  alcuni  colpevoli. 

Già  io  stesso  in  alcuni  miei  saggi  (^)  ho  avuto  occasione  d'  accen- 
nare alla  piìi  alta  e  più  delicata  pietà  cristiana,  alla  più  serena  me- 
ditazione e  più  profonda  comprensione  etica  con  cui  il  Manzoni  ha 
riguardato,  riconcepito  e  riatteggiato  la  complessa  materia  del  ro- 
manzo nella  forma  definitiva;  più  di  recente  ne  ha  trattato  con 
maggior  larghezza  Attilio  Momigliano  (^),  il  quale  giustamente  os- 
serva, a  proposito  dell'atteggiamento  etico-religioso  negli  Sposi  pro- 
messi, che  «  qualche  volta  sembra  di  vederci,  come  negli  Inni  sacri 
minori,  più  che  il  credente  da  molti  anni  convinto,  il  neofita  entu- 
siasta e  quindi  anche  un  po'  insistente  e  non  sempre  animato  dalla 
fiamma  lucida  e  immobile  d'un  sentimento,  ormai  connaturato  col 
suo  spirito  »  (^),  e  fa  opportuni  rilievi  sui  personaggi  per  dimostrare 
che,  se  pur  negli  Sposi  promessi  «  la  religiosità  c'era,  e  profonda», 
era,  però,  «  insistente  e  frondosa  e  metteva  troppo  in  vista  lo  scopo 
edificante  »  {*)  :  dimostra,  insomma,  che  «  una  delle  differenze  prin- 
cipali fra  la  prima  minuta  e  la  prima  stampa  consiste  nell' elevarsi 
dei  pensieri,  dei  fatti,  dei  personaggi  —  anche  di  quelli  malvagi  — 
in  un'  atmosfera  morale  più  pura  e  più  vasta  »  (^). 

Vedremo  nello  studio  della  genesi  psicologica  e  poetica  de'  singoli 
personaggi,  pel  quale  ci  gioverà  massimamente  il  raffronto  analitico 
tra  la  minuta  e  la  stampa,  se  questo  processo  d'elevazione  più  no- 
bilmente religiosa  sia  stato  sempre,  per  tutti  i  casi  e  per  tutti  i 
personaggi,  mantenuto  dal  Manzoni.  Certo  h  che  il  primo  getto  del 
romanzo  risentiva  in  modo  più  suggestivo  e  immediato  il  contatto 
ideale  con  le  pagine  della  Morale  cattolica,  nutrite  di  così  austera 
fede  e  di  così  eloquente  dottrina;  attorno  alle  quali,  per  giunta,  il 
Manzoni  lavorava  ancora  nel  tempo  che  veniva  ideando  e  disegnando 
il  romanzo;  risentiva  —  ciò  che  più  importa  notare  —  del.  mede- 
simo appassionato  spirito  apologetico  e  polemico,  onde  quelle  erano 
informate,  e  non  rifletteva  ancora  quella  benigna  e  profonda  visione 
del  male  e  del  dolore,  ispiratrice  di  pietosa  e  sorridente  indulgenza. 


(1)  Saggi  manzoniani,  Napoli,  Studio   edit.  dell'*  Eco  della  cultura»,  1916,  pp.  26, 
28,  36,  39. 

(2)  La  trasformazione    degli    «  Sjjosi  promessi  »,  in    Giorn.  stor.  d.  lett.  ital., 
LXX,  61  e  segg. 

(3)  Op.  cit.,  pp.  76-7. 

(4)  Op.  Cit.,  p.  79. 

(5)  Op.  Cit.,  p.  64. 


88  PARTE   PRIMA 


che  ha  illuminato  il  poeta  nel  rinnovamento  spirituale  dell'opera 
sua.  La  tesi  etico-religiosa,  oltre  alla  tesi  storica,  come  vedremo  nel 
capitolo  seguente,  vi  si  rilevava  con  ostentata  premura;  né  c'è  da 
meravigliarsi,  giacche  quel  medesimo  spirito  rigoroso  e  accorato 
con  cui  il  moralista  cattolico  aveva  difeso  la  morale  religiosa  dalle 
accuse  dell'  acuto  storico  calvinista,  dimostrando  con  pertinace  dia- 
lettica che  la  cagione  de'  nostri  mali  ed  errori  non  è  ne'  precetti, 
nelle  istituzioni  e  nell'opera  della  Chiesa  saldamente  fondata  sul 
Vangelo,  ma  nell' aberrare  lontano  da  essa,  ne'  sofismi  della  ragione 
e  delle  passioni,  nella  violenza  degl'istinti,  nella  confusione  dell'  utile 
col  giusto  e  massime  nello  straniarsi  dalla  carità,  e  aveva  corag- 
giosamente sostenuta  la  necessità  che  si  svelino  e  combattano  — 
giacché  ci  sono  —  le  superstizioni  e  gli  abusi  nel  seno  stesso  del 
cattolicesimo  e  da  chi  ha  più  fervore  di  fede,  non  poteva  non  avere 
un'eco  profonda  nell'abbozzo  d' un'opera,  a  cui  concorreva  non  meno 
la  meditazione  religiosa  (^)  che  lo  sforzo  d'  analisi  psicologica  e  di 
rappresentazione  poetica  e  in  cui  appunto  le  verità  del  Vangelo  ve- 
nivan  messe  a  duro  cimento  con  le  passioni  del  mondo.  Di  qui  la 
mediocrità  artistica  —  salvo  pochi  casi  —  della  forma  primitiva, 
pojchè  qualunque  realtà,  che  diventi  materia  soggettiva  d'un  mondo 
poetico,  non  può  essere  compenetrata  d'umanità  profonda  né  illu- 
minarsi di  pura  luce  fantastica,  quando  ancora  la  soggioghi  ed  agiti 
una  tesi  dottrinale,  una  passione  civile,  insomma  una  preoccupazione 
pratica  e  intenzionale  dello  spirito. 

Insieme  con  lo  scritto  apologetico  per  la  morale  cattolica,  con- 
corrono opportunamente  ad  illustrare  l'influsso  del  rigorismo  reli- 
gioso sulla  genesi  primitiva  de'  Promessi  sposi  le  riflessioni  che  il 
Manzoni  faceva  sullo  stato  della  Chiesa  e  della  religione  in  Francia 
durante  il  suo  soggiorno,  non  breve,  a  Parigi,  dov'era  andato  intorno 
alla  metà  del  settembre  del  1819  e  donde  tornò  al  principio  d'au- 
tunno del  '20.  C'è  una  lettera  di  que'  giorni  al  can.  Tosi  ('),  nella 
quale,  oltre  ad  esser  visibile  V  influsso  del  padre  Gregoire  ne'  giu- 
dizi espressi  sullo  stato  e  il  problema  religioso  in  Francia  e  sul- 
l'opera dell' ab.  Lamennais,   sono  osservabili  il  pensiero  commosso 


(1)  che  tutto  il  suo  intelletto  fosse  pieno  e  dominato  dall' «  evidenza  della  reli- 
gione cattolica»  e  ne  dovessero  essere  conipenetrati  tutti  i  suoi  scritti,  confessava  lo 
stesso  Manzoni  alla  contessa  Diodata  Saluzzo  (lett.  dell' 11  genn.  1828,  in  Epist.  cit.,  voi. 
I  pp.  362-3);  che  le  intenzioni  cristiane,  anche  se  non  ispirarono  direttamente  il  romanzo, 
vi  prendessero  posto  per  compiacere  alla  sua  coscienza  e  per  rendere  omaggio  alla 
verità,  dichiarava  l'autore  stesso  al  suo  traduttore,  il  march.  G.  B.  de  Montgrand 
(lett.  del  31  genn.  1832,  in  Epist.  cit.,  voi.  I,  p.  433). 

(2)  Lett.  del  7  apr.  1820,  iu  Cari,  cit.,  p.  481  e  segg. 


LA    GENESI    ETICO  -  RELIGIOSA  89 

che  tutta  occupa  l'anima  del  giovine  credente,  il  calore  con  cui 
difende  Io  spirito  evangelico  e  la  verità  unica  della  religione  cat- 
tolica, le  dimostrazioni  di  dolore  per  le  aberrazioni  altrui  in  materia 
religiosa,  pel  discredito,  in  cui  era  caduto  colà  il  sentimento  reli- 
gioso, per  r  abuso  dello  stesso  clero,  che  adoperava  la  religione  come 
arma  d'assolutismo  politico,  per  la  confusione,  insomma,  irta  d'odi, 
di  contese,  d'  asprezze,  tra  la  politica  e  la  religione.  «  Del  resto  — 
scriveva  con  alto  movimento  lirico  il  Manzoni  —  i  grandi  libri  del 
secolo  decimosettimo  dimenticati  ;  la  memoria  dei  loro  autori  trat- 
tata come  Ella  ha  veduto  in  quel  libro  che  le  ha  dato  tanto  dolore, 
la  cattedra  evangelica  convertita  spesso  in  tribuna  politica,  le  lettere 
pastorali  divenule  spesso  «  pamphlets  »  politici  (e  che  pamphlets!), 
l'essenza  del  Cristianesimo,  l'amore  di  Dio  e  del  prossimo,  1' anne- 
gazione,  l'indulgenza,  il  perdono  divenute  cose  secondarie,  le  grandi 
massime  dimenticate,  l'ignoranza  crescente,  il  Pelagianismo  trion- 
fante ».  E  pochi  mesi  innanzi  allo  stesso  Tosi  (*)  e  sul  medesimo 
argomento  aveva  scritto  :  «  a  malgrado  degli  sforzi  di  alcuni  buoni 
ed  illuminati  cattolici  per  separare  la  religione  dagli  interessi  e  dalle 
passioni  del  secolo,  malgrado  le  disposizioni  di  molti  increduli  stessi 
a  riconoscere  questa  separazione,  e  a  lasciare  la  Religione  almeno 
in  pace,  sembra  che  prevalgano  gli  sforzi  di  altri  che  vogliono  as- 
solutamente tenerla  unita  ad  articoli  di  fede  politica,  ch'essi  hanno 
aggiunti  al  Simbolo,  Quando  la  Fede  si  presenta  al  popolo  così  ac- 
compagnata, si  può  mai  sperare  ch'egli  si  darà  la  pena  di  distin- 
guere ciò  che  viene  da  Dio,  da  ciò  che  è  l'immaginazione  degli 
uomini  »?  Ed  era  appunto  questo  il  tempo  che  il  Manzoni  lavorava 
seriamente  intorno  «  al  secondo  tomo  promesso  »  della  Morale  cat- 
tolica, proprio  in  Parigi^  dove  non  ne  aveva  portato  che  «  i  primi 
schizzi  »;  il  tempo  che  all'uopo  raccoglieva  materiale  abbondante 
e  ne  discuteva  e  vi  rimeditava  sopra,  tanto  che  il  Tosi  ripromet- 
tevasi  C^),  al  suo  ritorno,  la  compiuta  l'edazione  di  essa  parte  se- 
conda; la  quale  ne'  sette  capitoli  sparsi  e  ne'  frammenti  che  — 
come  si  sa  —  rimasero  inediti  conteneva  appunto  idee  e  discus- 
sioni, così  strettamente  connesse  con  le  amare  riflessioni  delle  due 
lettere  citate,  sui  rapporti  della  religione  cattolica  con  lo  spirito  del 


(1)  Lett.  del  1.  die.  1819,  in  Cart.  cit-,  p.  451  e  segg. 

(2)  Queste  notizie  si  desumono  dalla  lettera  già  cit.  del  can.  Tosi  all' ab.  La- 
mennais  e  a  Giulia  Manzoni,  le  quali  provano  che  il  lungo  discorso  sullo  Spirito  del 
secolo  non  può  essere  stato  composto  prima  del  '19,  come  congettura  il  Bonghi.  (Av- 
vertenza prem.  all'ediz.  della  Parte  seconda,  in  Opp.  in.  o.  r.,  voi.  Ili,  p.  238,  n.  1), 
prima,  cioè,  della  pubblicazione  della  Parte  prima,  e  che  il  maggior  numero  di  que' 
capitoli  furono  scritti,  o  almeno  abbozzati,  sul  finire  del  '19  e  nel  corso  del  '20. 


90  PARTE   PRIMA 


secolo,  con  le  idee  de'  filosofi  razionalisti,  massime  del  Settecento, 
con  le  istituzioni  e  le  vicende  politiche  della  società.  Dal  che 
possiamo  trarre  alcune  conclusioni  :  che  giammai  come  in  questi 
anni,  dal  suo  ritorno  alla  fede,  il  problema  religioso  occupò  tanto 
intensamente  il  cuore  e  l'intelletto  del  Manzoni  e  che  novello  inci- 
tamento a  rimeditarlo,  ad  approfondirlo  in  tutte  le  sue  parti  furono 
non  meno  le  accuse  d'uno  storico  di  tanta  autorità  e  rinomanza, 
qual  era  il  Sismondi,  che  lo  spettacolo  offertogli  dalle  agitazioni  po- 
litico-religiose del  pensiero  francese  contemporaneo;  che  lo  scopo 
onde  riceve  unità  d'intenti  e  di  dottrina  ogni  suo  scritto  su  materia 
religiosa,  compiuto  o  incompiuto  che  fosse  nel  giro  di  quel  fervido 
triennio  dal  '19  al  '21,  fu  di  distruggere  l'accusa  che  la  morale 
cattolica  fosse  stata  e  fosse  tuttavia  «  cagione  di  corruttela  per 
l'Italia  »,  di  provare  che  essa,  al  contrario,  «  è  la  sola  morale  santa  e 
ragionata  in  ogni  sua  parte  e  che  ogni  corruttela  viene  anzi  dal  tra- 
sgredirla, dal  non  conoscerla  o  dall' interpretarla  alla  rovescia»  (*); 
che,  infine,  nel  primo  trasmutarsi  agitato  e  alquanto  scomposto  della 
sostanza  etico-religiosa  nella  varietà  de'  motivi  sentimentali  del  ro- 
manzo in  cui  hanno  avuto  la  lor  genesi  il  dramma,  i  personaggi  e 
ogni  altra  rappresentazione  poetica,  il  moralista  prepotè  sul  poeta, 
la  passione  dell'apologista  cattolico,  non  ancora  riposata  dalle  re- 
centi discussioni  e  impressioni,  continuò,  per  dir  così,  a  fermentare 
nella  concezione  morale  di  quel  mondo  umaro,  in  parte  evocato 
dalla  storia  e  in  parte  fantasticamente  intuito. 


II.  Che  il  Manzoni  ponesse  mano  alla  prima  composizione  del 
romanzo  con  1'  animo,  se  non  dominato,  certamente  turbato  da  ten- 
denze polemiche  e  pessimistiche,  lo  prova  quel  suo  vigile  atteggia- 
mento di  commentatore  e,  spesse  volte,  di  censore  de'  fatti  che 
narrava  e  de'  personaggi  e  delle  situazioni  loro,  che  veniva  descri- 
vendo. Era  un  aspetto  di  quel  soggettivismo  critico  che  nella  prima 
stesura  preponderava,  perturbando  la  pura  contemplazione  artistica, 
nella  duplice  forma  del  moralismo  e  dell'intellettualismo,  e  che  per 
essere  una  tendenza  d'origine  e,  dirò  anzi,  un  abito  della  mentalità 
manzoniana,  ha  lasciato  —  non  ostante  il  successivo  lavoro  d'elimi- 
nazione e  di  affinamento  —  impronte  evidenti  nell'ultima  redazione. 
Quelle  ad  ogni  modo,  più  profonde  e  più  copiose,  della  prima  rive- 


(1)  V.  Prefazione  alle  Oss.  s.  mor.  catt.,  p.  123. 


LA    GENESI    ETICO  -  RELIGIOSA  91 


lano  un  momento  considerevole  nella  formazione  genetica  dell'opera, 
nel  quale  la  meditazione  storica,  ovverosia  l' analisi  dell'  indole  e 
de'  costumi  della  società  secentesca,  appassionava  l'animo  del  mo- 
ralista cattolico  e  1'  allettava  alla  meditazione  de'  motivi  e  de'  pro- 
blemi morali,  cosi  che  il  raziocinio  inframmettevasi  frequentemente 
nell'elaborazione  fantastica  della  materia  per  intesservi  apprezza- 
menti, giudizi  e  di  tanto  in  tanto  imprevedute  dissertazioni.  L'ab- 
bondante materiale  d' ispirazione  intellettualistica  e  moralistica, 
frammischiato  al  romanzo  e  alle  inevitabili  narrazioni  storiche,  è  la 
più  probatoria  testimonianza  di  quelle  predisposizioni  e  preoccupa- 
zioni intellettuali  e  morali  che  presiedettero  alla  preparazione  dei 
Promessi  sposi  e  alla  loro  prima  formazione.  Soffermiamoci,  per  ora, 
sulla  parte  moralistica  per  dimostrare  con  nuove  prove  come  la 
primitiva  genesi  del  romanzo  si  connettesse  agli  scritti  dottrinali 
del  poeta  e  a  certa  disposizione  pessimistica  del  suo  sentimento 
cristiano. 

Rude  ed  aspro  il  giudizio  della  perversità  degli  uomini  e  de'  loro 
difetti  morali,  quando  non  era  atrocemente  ironico;  spietata  l'ana- 
lisi delle  aberrazioni  sentimentali  e  mentali  del  Seicento  italiano; 
ostentatamente  rigoroso  l'esame  della  falsa  religiosità  di  que'  tempi  : 
dolce  il  riposare  la  mente  e  il  cuore  nel  ricordo  del  cardinal  Fe- 
derigo distraendosi  dalla  «  rude,  stolida,  schifosa  perversità  »  ('),  su 
cui  s'era  dovuto  trattenere  così  a  lungo.  Nel  descrivere  il  furore 
dì  Renzo  dopo  la  forzata  rivelazione  di  don  Abbondio,  osservava 
che  «  i  provocatori,  i  soperchiatori,  tutti  quelli  che  in  ogni  modo 
invadono  i  diritti  altrui,  sono  rei  non  solo  del  male  che  fanno,  ma 
del  pervertimento  a  cui  portano  gli  animi  dì  coloro  che  offen- 
dono »  (*);  alla  qual  riflessione  (importa  notarlo  pel  nostro  assunto) 
corrisponde  una  delle  Postille  alla  Histoire  des  empereurs  romains 
del  Crevier(^)  che  io  ritengo  scrìtte,  se  non  nel  '19,  almeno  prima 
della  composizione  del  romanzo.  L'  analisi  de'  vagheggiamenti  pec- 
caminosi della  signora  di  Monza  metteva  capo  a  questa  meditazione: 
«  le  consolazioni  della  mala  coscienza  profittano  altrui   come  al   fi- 


lli Sp.  prom.,  p.  354.  Più  mite  e  anche  più  esatto  ne'  Prom.  sp.:  «dopo  tante  im- 
magini di  dolore,  dopo  la  contemplazione  d'una  molteplice  e  fastidiosa  perversità» 
(cap.  XXII,  p.  3161. 

(2)  Sp.  proni..,  p.  41.  Cfr.  Prom.  sp.,  cap.  ITI,  p,  40. 

(3)  «  Les  injusiices  extrèmes  portent  souvcnl  ceux  qu' en  souffrent  à  un  grand 
degré  de  perversité;  la  cause  n'est  pas  ime  excuse  pour  eux,  mais  il  est  bon  de  1;l 
remarquer,  et  il  r('est  pas  juste  de  leur  atlribuer  tout  le  blàme  du  mal  qu'ils  font» 
(in  Opp.  in.  0  r.,  voi.  II,  p.  313).  Si  noti  che  il  Manzoni  postillava  un'edizione  pari- 
gina del  1818. 


92  PARTE   PRIMA 


gliuolo  di  famiglia  le  somme  ch'egli  tocca  dall'usuraio  »  (^)  ;  la  quale 
pare  rifiorita  di  su  una  pagina  eloquentissima  della  Morale  cattolica, 
dove  il  Manzoni  aveva  ragionato  delle  «  vantate  consolazioni  »  del- 
l' «  orgoglio  »  (^).  Nel  tratteggiare  il  cupo  e  amaro  scetticismo  della 
pervertita,  rifletteva  severo  e  doloroso  :  «  V  ha  nelle  teorie  del  vizio 
qualche  cosa  di  più  pensato,  di  più  profondo,  di  più  verosimile  che 
non  appaia  nelle  massime  del  dovere  espresse  in  un  modo  volgare 
e  talvolta  inesatto  j  di  modo  che  il  pervertimento  può  parere  facil- 
mente un  progresso  di  ragioni.  Ben  è  vero  che  al  di  là  di  quelle 
teorie  ve  n'ha  una  più  profonda  e  vera  che  mostra  la  loro  falla- 
cia; ma  questa  non  è  dato  trovarla  se  non  ad  una  meditazione  po- 
tente o  ad  un  sentimento  retto  »  (^). 

In  una  lunga  finissima  analisi  del  contegno  degli  onesti  in  cospetto 
de'  birboni,  a  proposito  della  visita  di  padre  Cristoforo  a  don  Ro- 
drigo, ne  studiava  la  diversità  nella  vita  e  nel  teatro:  qui,  dove  «  si 
vive  meglio  che  a  questo  mondo  »,  se  le  birbonerie,  le  scelleratezze 
sono  più  «  colossali  »,  per  compenso  i  difensoi'i  delle  cause  giuste 
hanno  «  in  faccia  dell'empio  ancor  che  trionfante  una  sicurezza, 
una  risoluzione,  una  superiorità  di  animo  e  di  linguaggio,  che  dà 
loro  la  buona  coscienza  »  ;  nella  vita,  invece,  dalla  considerazione 
de'  «  mezzi  »  da  adoperare,  degli  «  ostacoli  »,  da  affrontare,  dallo 
studio  di  cautela,  di  riguardo  derivante  dalla  responsabilità  della 
causa  assunta,  sono  messi  in  uno  stato  d'imbarazzo,  «d'angustia  e 
di  vergogna  che  si  crederebbe  rimorso  »  ;  onde,  ne'  fatti  e  ne'  di- 
scorsi, finiscono  con  l'essere  soverchiati  di  fronte  «  ai  loro  avversari 
risoluti  ed  incoraggiati  dalla  forza  e  dalla  abitudine  di  vincere  »  e 
«  spesse  volte,  convien  dirlo,  dal  favore  o  sciocco  o  perverso  degli 
spettatori  >  {*).  Non  è  chi  non  senta  il  fondo  amaro  di  queste  ri- 
flessioni, ispirate  dalla  realtà  della  vita,  e  la  fiera  angoscia  che 
stringe  il  cuore  al  moralista  al  pensiero  che  venga  meno  la  certezza 
e  r  ardore  nel  duro  contrasto:  «  pur  troppo,  tolti  alcuni  casi,  l'uomo 
che  non  ha  che  sé  per  testimonio  e  per  approvatore,  e  che  vede 
negli  altri  contraddizione  e  scherno,  perde  facilmente  fiducia  e 
quasi  quasi  è  disposto  a  dubitare  »  (^).  <  Fortunatamente  —  osser- 
vava in  altro  luogo  —  è  un  disegno  sapientissimo  della  Provvidenza 
regolatrice  del  mondo,  che  le  perfidie  le  più  studiate  a  danno  altrui 


(1)  Sp.  prom.,  p.  242. 

(2)  Oss.  s.  mor.  catt.,  p.  343. 

(3)  Sp.  prora.,  p.  243. 

(4)  Sp.  prom.,  pp.  87-8. 

(5)  Ivi. 


LA   GENESI   ETICO -RELIGIOSA  93 


non  sono  mai  tanto  bene  studiate,  tanto  bene  eseguite,  che  non  ri- 
manga sempre  qualche  traccia  della  mano  che  le  ha  ordite.  L' uomo, 
che  intraprende  una  buona  azione,  quando  sia  un  po'  avvezzo  a 
riflettere,  prevede  sovente^che  non  sarà  senza  inconvenienti:  i  bir- 
banti avrebbero  una  parte  troppo  buona  nelle  cose  di  questo  mondo, 
se  dovessero  nelle  loro  birberie  essere  esenti  da  ogni  perplessità  »  (^).  ' 
Consolante  certezza  de'  limiti  e  difetti  della  stessa  potenza  del  male 
nel  mondo,  che,  temperando  la  dolente  visione  del  [duro  contrasto 
dei  buoni  coi  tristi,  suggeriva,  fin  dal  primo  disegno  del  romanzo, 
i  modi  e  le  risoluzioni  del  dramma  morale  affacciatosi  alla  medita- 
zione del  poeta.  Ma  di  questo  dramma  prevalevano  pur  sempre  le 
impressioni  e  i  risalti  d'intonazione  pessimistica.  La  delicata  me- 
stizia, per  es.,  dell'  *  Addio,  monti»  dell'ultima  maniera  non  si  ri- 
trovava certamente  nella  prima  stesura  e  tanto  meno  in  quella  se- 
conda redazione  (non  meno  di  tre  ne  tentò  il  Manzoni  prima  di 
giungere  alla  definitiva),  in  cui  suonava  cupo  e  fremente  il  com- 
mento all'angosciosa  fuga  degli  sposi  già  in  quel  motivo  iniziale: 
«  L'uomo  sa  tormentare  l'uomo  nel  cuore;  e  amareggiargli  il  pen- 
siero di  modo  che  anche  la  memoria  dei  momenti  passati  lietamente 
affacciandosi  ad  esso,  perde  ogni  bellezza,  e  porta  un  rancore  non 
temperato  da  alcuna  compiacenza  »,  e  ripeteva  le  sconsolate  parole, 
già  messe  in  bocca  a  fra  Cristoforo  nella  prima  stesura  dell'opera^ 
nel  paragonare  al  serpente  usurpatore  delle  umane  abitazioni  l' uomo, 
che  «  pure  caccia  talvolta  l'uomo  sulla  terra,  come  se  gli  fosse 
destinato  per  preda»,  così  che  «il  debole  non  può  che  fuggire 
dalla  faccia  del  potente  oltraggioso  »  ;  al  che  seguiva  severa,  recisa 
la  predizione  evangelica:  «ma  i  passi  affannosi  del  debole  sono  con- 
tati, e  un  giorno  ne  sarà  chiesta  ragione  »  (■^). 

La  dottrina  del  coraggio  cristiano,  della  quale  abbiamo  visto 
quanta  parte  avesse  nel  pensiero  religioso  del  Manzoni  e  nell'  ispi- 
razione etica  del  romanzo,  lasciava  travedere  nella  prima  composi- 
zione dell'opera  lo  sfori. 0  della  tesi:  il  moralista  tentava  di  prendere 
la  mano  al  poeta.  Basterebbe  raffrontare  la  prima  e  1'  ultima  reda- 
zione del  colloquio  di  fra  Cristoforo  con  don  Rodrigo.  A  parte  la 
maggior  copia  di  modi  vivaci  (^),  eh'  era  nel  discorso   del   frate,    e 


(1)  Sp.  prom,  p.  335. 

(2)  Sp.  prom,  App.  F*  pp.  805-6. 

(3)  La  frase,  ad  es.,  della  stampa:  «per  soverchiare  due  innocenti»  {Prom.  sp., 
cap.  VI,  p.  75)  diceva  prima  cosi;  «per sopraflFare  indegnamente  due  poveri  inno- 
centi »  (Sp.  prom.,  p.  101)  -  Quel  «  non  s'ostini  a  negare  una  giustizia  così  facile,  e 
cosi  dovuta  a  de'  poverelli»  {Prorn.  sp.,  cap.  VI.  p.  76)   suonava:  «non  si  ostini  a 


94  PARTE    PRIMA 


la  risolutezza  più  spedita  nell'espressione  del  pensiero  (^),  uscivano 
dalle  sue  labbra  sentenze  minacciose  e  fieri  giudizi,  che  il  Manzoni, 
poi,  ha  corretto  o  addirittura  soppresso.  Così,  dopo  aver  detto  della 
vanità  della  gloria  mondana  dinanzi  agli  uomini  e,  tanto  più,  di- 
nanzi a  Dio,  l'ardito  difensore  di  Lucia  sermoneggiava  minaccioso 
come  dal  pulpito:  «  Fare  il  male  è  concesso  sovente  all'ultimo  degli 
uomini:  il  più  vile  dei  banditi  può  far  tremare.  Non  v' è  disonore 
a  ritrarsi  dall'iniquità:  la  codardia  sta  nel  fare  delle  azioni  inique 
per  timore  di  scomparire  dinanzi  ai  tristi.  Signor  Don  Rodrigo,  le 
parole  eh'  io  proferisco  ora  dinanzi  a  lei  sono  numerate,  un  giorno 
le  potrebbero  esser  fatte  scontare  ad  una  ad  una  da  Colui  che  me 
le  ispira  »  (*).  Dopo  lo  scoppio  di  sdegno  alla  turpe  proposta  del 
suo  interlocutore,  ammoniva  anche  più  rudemente,  franco  e  minac- 
cioso: «  Ne  ho  visti  di  più  potenti,  di  più  temuti  di  voi;  e  mentre 
agguatavano  la  loro  prèda,  mentre  non  avevano  altro  timore  che 
di  vederla  fuggire,  la  mano  di  Dio  si  allungava  in  silenzio  dietro 
alle  loro  spalle  per  coglierli  »  (^).  C'erano  pure  altri' luoghi  che  ri- 
velavano r  intenzione  apologetica  dello  scrittore  cristiano,  come 
quella  «  parenthèse  apologetique  »,  quale  la  definiva  il  Fauriel  con- 
sigliando di  sopprimerla:  «Quando  si  è  persuasi  d'una  verità  bi- 
sogna dirla;  l'adulazione  ad  una  opinione  predominante  ha  tutti  i 
caratteri  indegni  di  quella  che  si  usa  verso  i  potenti  »  (^). 

Era  questa  un'idea  viva  e  insistente  nel  pensiero  civile  e  religioso 
del  ]\Ianzoni  e  strettamente  congiunta  con  la  sua  dottrina  del  corag- 
gio cristiano:  ispiratrice  segreta  di  molta  parte  del  romanzo,  trovava 
la  più  efficace  conferma  nelle  aberrazioni  della  società  secentesca, 
movendo  e  appassionando  a  un  tempo  il  filosofo  della  storia  e  l'ar- 


volere  una  misera,  una  indegna  soddisfazione  a  spese  dell'anima  sua,  e  delle  lagrime 
dei  poverelli»  (S^ì.  proni,  p.  102).  Mandato  da  Dio  «a  pregare  per  una  innocente»: 
così  ora  fra  Cristoforo  dice  di  sé;  ma  prima  diceva:  «ad  avvertii'la  di  non  toccare 
una  innocente,  lasciare  in  libertà  una  innocente  »  (Sp.  ììvom.,  p.  103). 

(1)  La  delicata  reticenza  del  testo:  «Lo  può;  e  potendolo la  coscienza,  l'o- 
nore—  »  {Prom.  sp.,  cap.  VI,  p.  75)  non  e' era;  ma,  anzi,  e' erano  aperte  e  imperiose 
l)arole:  «  Lo  può  e  ardisco  dirle,  lo  deve.  La  sua  coscienza,  la  sua  .sicurezza,  il  suo 
onore,  sono  interessati  in  questo  sciagurato  affare»  (Sp.  prom.,  p.  101).  In  luogo  di 
quella  frase,  piena  di  senso  pauroso,  ma  pur  essa  sospesa;  «  li' innocenza  è  potente 
al  suo....  »  (Prom.  S2}.,  cap.  VI,  p.  76)  c'era  quasi  una  diretta  intimazione  :  «  risparmi 
l'innocenza»  (Sp.  prom.,  p.  102).  E  parimente  l'indefinito,  il  vago  di  quelle  parole: 
«Lei  può  molto  quaggiù,  ma —  »  è  una  novità  del  testo,  che  nella  prima  stesura 
c'era  un  preciso,  minaccioso  invito  «  a  ritrarsi  dall'iniquità»  (Protn.  sp.,  p.  76;  Sp. 
prom.,  p.  103). 

(2)  Sp.  proin.,  pp.  102-3.  ' 

(3)  Sp.  prom.,  pp.  104-5. 

(4)  Sp.  prom  ,  p.  60  e  n.  2. 


LA   GENESI    ETICO-RELIGIOSA  95 


tista  nella  descrizione  de'  tumulti  per  la  carestia,  nelle  narrazioni 
delle  vicende  connesse  e  nell'analisi  rigorosa  della  comune  follia.  11 
Manzoni  pensava  che  il  maggior  coraggio  è  appunto  nel  resistere 
e  opporsi  alle  false  opinioni  generali  ;  che  i  pregiudizi  e  gli  errori 
nascono  dalla  passione  e  prosperano  con  la  viltà.  Era  questo  il 
dramma  intellettuale  e  morale  del  Seicento,  che  egli  scrutava  con 
tanto  più  vivo  interesse,  in  quanto  sulle  opinioni  dominanti  nelle 
varie  età  veniva  in  quel  torno  di  tempo  meditando  e  scrivendo, 
come  abbiam  visto,  per  preparare  la  seconda  parte  della  Morale 
cattolica. 

Che  l'indagine,  rivolta  —  pur  tra  i  limiti  imposti  dalle  esigenze 
dell'  arte  —  alle  aberrazioni  non  meno  delle  idee  che  de'  sentimenti 
di  quell'età,  fosse  una  delle  sue  cure  maggiori  nell' accingersi  al- 
l'opera, non  v'ha  dubbio:  ad  alimentarla  vi  contribuì  in  parte,  come 
vedremo,  il  concetto  ch'egli  s'era  fatto  del  romanzo  storico;  ma 
valsero  massimamente  i  recenti  studi  religiosi  e  le  vivaci  discus- 
sioni apologetiche,  che  tuttavia  appassionavano  la  sua  coscienza. 
Gli  Sposi  promessi  sono  un'opera  di  transizione  nella  storia  mentale 
e  artistica  del  genio:  stanno  tra  la  florale  cattolica  e  i  Promessi 
sposi  a  significare  la  meravigliosa  fatica  interiore  sostenuta  dal  mo- 
ralista religioso  per  trasformarsi  nel  poeta  cristiano.  Il  Manzoni  non 
tralasciava  occasione  per  dare  il  più  severo  rilievo  non  meno  alla 
barbarie  intellettuale  che  alla  ferocia  delle  passioni  di  quella  troppo 
vilipesa  età  della  vita  italiana.  Si  veda,  per  es,,  come  esaminasse 
l'idea  e  il  sentimento  dell'onore  e  delle  derivate  costumanze  di  quel 
tempo.  «  Le  massime  di  puntiglio  e  di  vendetta  allora  si  conside- 
ravano come  leggi  eterne  e  naturali  di  onore  »  (*).  «  La  vendetta 
era  comunemente  stimata  non  solo  lecita  ma  onorevole  ».  Non  pote- 
va nulla  la  parola  del  Vangelo  contro  «  questa  massima  perversa  »  ? 
«  L'opinione  quasi  generale  sussisteva  col  favore  di  una  distinzione  », 
della  quale  scrive  il  Manzoni,  guardando  con  amarezza  al  «  vivere 
presente  »,  che  «  a  malgrado  della  sua  assurdità,  o  forse  a  cagione 
della  sua  assurdità,  non  è  ancora  del  tutto  caduta  in  disuso  ».  «  Si 
diceva  »  cioè,  «  che  i  preti  facevano  il  loro  dovere,  che  dicevano 
benissimo  che  la  vendetta  secondo  la  religione  era  viziosa,  ma  che 
ella  era  un  dovere  secondo  le  leggi  dell'onore  ;  così  si  diceva  e  non 
dai  più  perversi,  né  dai  più  stolti  ». 

Esse  «  domandavano  sangue  per  molti  casi  ;  senza  che  questo 
onore  cosi  delicato  si  stimasse  poi  offeso  se  per  necessità  il  sangue 


(1)  Sp.  prom.,  p.  72. 


96  PARTE   PRIMA 


si  fosse  dovuto  versare  a  tradimento  o  per  mano  di  sicari  ».  «  Al- 
lora v'erano  molti  casi  in  cui  l'avere  ucciso  o  fatto  uccidere,  non 
toglieva  alla  riputazione  d'  un  uomo  »  :  la  giustificazione,  resa  «  di- 
nanzi all'opinione  pubblica»,  che  piìi  spesso  era  «  un  leggero  in- 
teresse, una  picciola  passione  »,  bastava  «  dinanzi  ad  opinione  già 
tanto  perversamente  indulgente  »  (^),  Che  anche  i  meno  tristi  fra  i 
tristi  trascorressero  all'omicidio  per  una  falsa  idea  dell'onore  era  la 
dolorosa  verità  che  ritornava  nelle  parole  di  fra  Cristoforo,  ramme- 
morante a  Renzo  il  suo  delitto:  «  V'era  una  cosa  che  io  amavo 
troppo.  Sì,  figliuolo,  ciò  eh'  io  chiamavo  il  mio  onore,  io  lo  amava 
ardentemente,  sopra  ogni  cosa  come  avrei  dovuto  amar  Dio.  E 
quando  la  vita  d'un  uomo...  gran  Dio!  la  vita  d'uno  fatto  a  vostra 
immagine!  si  trovò  in  confronto  col  mio  onore,  io  gliel' ho  sacri- 
ficata »  (^).  In  questi  tristi  ricordi,  in  queste  sconsolate  riflessioni 
e  in  altre  che  seguivano  nel  colloquio  con  Renzo  il  Manzoni  aveva 
r  intenzione  di  svolgere  il  motivo  etico  di  quella  feroce  idea  del- 
l'onore che,  secondo  il  suo  giudizio  di  storico  e  di  moralista,  aveva 
pervertito  lo  spirito  e  i  costumi  della  società  del  Seicento:  la  tesi 
dottrinale  traspariva  da  quella  scena^  non  che  da  quella  svoltasi 
due  volte  in  casa  di  Lucia  tra  lo  stesso  padre  Cristoforo  e  Renzo 
furibondo  di  vendetta,  massime  la  seconda  volta  pel  modo  concitato 
e  quasi  violento  (^).  Ebbene,  il  Manzoni  se  ne  dovette  accorgere, 
dacché  le  rifece  radicalmente,  quella  del  lazzaretto  e  la  prima,  av- 
venuta nella  casa  della  sposa,  contenendo  in  modi  sobri  e  succinti, 
l'altra  addirittura  sopprimendo  (■•).  Dove  pure  il  Manzoni  scopriva 
il  pervertimento  del  secolo  era  nell'  «  iniquo  furore  »  contro  i  pre- 
sunti untori.  Parecchio  si  sofferma  su  questo  argomento  nell'ultima 
redazione;  ma  molto  di  più  ne  aveva  scritto  nella  prima  stesura. 
Ritrovava  la  maggiore  causa  del  fenomeno  non  tanto  nell'igno- 
ranza e  nella  «  falsa  scienza  delle  cose  fisiche  »  e  in  altre  circo- 
stanze, da  lui  accennate,  quanto  nell'  «irreligione»,  poiché  se  quelle 
«  poterono  far  ricevere  comunemente  l'opinione  astratta  di  unzioni 
e  di  congiure,  furono  certamente  —  osservava  —  le  disposizioni 
anticristiane  di  quel  popolo  corrotto  che  rendettero  quella  opinione 
attiva  e  feroce  nell'  applicazione.  Nessuna  ignoranza  avrebbe  bastato 
a  così  orrendi  effetti . . . ,  se  fosse  stata  insieme  congiunta  con  quella 
carità,  che  è  paziente,  benigna,  che  non  s'irrita,   che  non  pensa  il 

(1)  Sp,  prom.^  pp.  235-6.  V.  anche  App.  G.,  p.  818. 
(i)  Sp.  prom.,  pp.  716-7. 

(3)  Sp.  prom.,  pp.  83-4,  119-21. 

(4)  V.  i  miei  Saggi  manz.  cit.,  j)p.  6,  9-10. 


LA    GENESI   ETICO -RELIGIOSA  97 

male,  che  tutto  soffre  >  (*).  E  veramente  ciò  che  caratterizzava  il 
Seicento  agli  occhi  del  Manzoni  era  qualcosa  d'eccessivo,  di  fanta- 
stico nel  male  e  perfino  nel  bene  ;  onde  dopo  avere  descritta,  più 
ampiamente  nella  prima  redazione  (*)  che  nell'  ultima,  la  parte  eroica 
sostenuta  dalla  religione  al  tempo  della  peste,  rilevava  ìtltresì,  con 
manifesto  rimprovero,  l'eccesso  di  que'  religiosi  che  «  passando  dal 
disprezzo  della  morte  al  desiderio  e  dal  desiderio  alla  ricerca  >, 
trascurarono  «  le  cautele,  che  pure  erano  compatibili  con  l'opera, 
quasi  per  non  lasciarsi  sfuggire  il  premio  ».  «  Bell'eccesso  direbbe 
qualcuno,  se  non  riflettesse  —  soggiungeva  il  Manzoni  —  che  la 
religione  proscrive  tutti  gli  eccessi;  perchè  il  saggio,  il  temperato, 
il  ragionevole  ch'ella  comanda  o  consiglia,  è  più  nobile  e  più  bello 
di  qualunque  esaltazione  fantastica  »  (^).  Ma  più  orribile  e  funesta 
gli  appariva  quell'eccessività  passionale  nella  prepotenza  degli  errori 
e  delle  superstizioni  {*)  ;  come  nella  «  disposizione  universale  a  sup- 
porre cause  soprannaturali  »  nel  fenomeno  della  peste,  quali  «  l'in- 
tervenzione del  demonio  »  1'  €  esistenza  »  e  «  frequenza  delle  streghe 
e  degli  stregoni  »,  come  nella  «  corrività  a  creder  misfatti,  al  di  là 
delle  nozioni  dell'esperienza  »,  nell'  «orgoglio  »,  nella  «  stolta  riva- 
lità, talvolta  »,  neir  «  infame  politica  »  che  l'odio  degli  stranieri 
ispirava  (^).  E  se  c'eran  di  quelli  che  non  credevano  agli  attentati, 
erano  «  presi  essi  stessi  in  sospetto  di  complici  o  di  fautori,  giacché 
dal  non  credere  un  delitto  ad  approvarlo  il  salto  è  grande;  ma  la 
logica  delle  passioni  —  osservava  con  amara  ironia  il  Manzoni  — 
è  agile  e  sa  farne  senza  difficoltà  anche  dei  maggiori  >  (®).  Con  que- 
ste aberrazioni,  generate  nell'avvenimento  di  gravi  calamità  dal- 
l'ignoranza, dall' irrifiessione,  dall' «  esperienza  troppo  reale»  dei 
delitti,  si  congiungevano  ad  accrescere  «  il  pervertimento  quasi  ge- 
nerale nelle  idee»  «  i  mezzi  d'impunità...  vari  e  infiniti,  la  stessa 
frequenza  dei  delitti  »,  che  «  ne  aveva  diminuito  il  ribrezzo  e  la 
vergogna  »,  perfino  «  negli  uomini  che  non  erano  sanguinari  »,  e  quel 
«  sentimento  universale  che  una  certa  misura  di  animosità,  di  cru- 


(1)  Sp.  prom.,  p.  683. 

(2)  Sp.  prom.,  pp.  660-3. 

(3)  Sp.  prom.,  p.  736. 

(4)  Non  ne  manda  immune  neppure  il  card.  Federigo;  se  non  che  gli  «errori  stessi, 
che  la  prepotenza  dell'universale  consenso  aveva  imposti  alla  sua  mente,  sono  sem- 
pre accompagnati  e  quasi  scusati  da  una  intenzione  pura  ».  iSp.  prom.,  p.  355). 

(5)  Sp.  prora.,  pp.  665-6.  Di  strane  imputazioni  e  di  assurde  interpretazioni  s'oc- 
cupavano le  pp.  667-71.  Da  p.  652  a  p.  657  troviamo  un  abbozzo  d'una  vera  disserta- 
zione sulla  storia  delle  idee  presso  le  diverse  generazioni,  con  accenni  alle  idee  e  agli 
errori  contemporanei.  V.,  su  questo  proposito,  F.  Crispolti,  art.  cit. 

(6)  Sp.  prom.,  p.  672. 


Busetlo 


98  PARTE   PRIMA 


deità  e  di  delitti  fosse  una  condizione  necessaria  inevitabile  della 
società  »  (*). 

In  quell'altra,  poi,  non  meno  acuta  né  meno  ampia  analisi  delle 
cagioni  della  carestia  e  delle  storte  idee  e  degli  spropositati  discorsi 
pullulanti  tra  il  popolo,  osservava  parimente  che  i  ciarlatani  lusin- 
gatori delle  passioni  popolari  prevalgono  sul  veridico  assertore  delle 
cause  del  male,  e  che,  se  questi,  poi,  «  confessa  che  molto  è  senza 
rimedio,  e  raccomanda  la  rassegnazione,  può  difficilmente  far  cre- 
dere che  compatisce  »  ;  poiché  «  chi  nega  all'  addolorato  che  la  causa 
prima,  unica  del  suo  dolore  sia  nella  volontà  scellerata  di  alcuni, 
converrà  che  abbia  ben  fama  di  onesto  e  di  umano,  perchè  l'addo- 
lorato si  contenti  di  crederlo  cieco  e  insensato,  e  non  lo  chiami 
atroce  fautore,  complice  di  quelli  che  creano  il  dolore  »  (^)  ;  e  poco 
innanzi  scriveva  una  pagina  infocata  contro  coloro  che  nelle  gravi 
contingenze  pubbliche  potrebbero  «  procacciarsi  una  opinione  ra- 
gionata e  non  lo  fanno  mai  »  e  secondano,  «  al  momento  del  serra 
serra  »,  con  furiose  sentenze,  col  vilipendio  e  la  calunnia  delle 
teorie  meditate  e  razionali  «  i  giudizi  storti,  le  idee  appassionate 
del  popolo  »  (2). 

Altri  aspetti  della  società  del  Seicento  suggerivano  al  Manzoni 
considerazioni  che  talora  s'  estendevano  oltre  i  limiti  della  materia 
considerata  e  toccavano  verità  profonde  della  vita,  pur  sempre  do- 
minando la  nota  pessimistica  nella  concezione  morale  dell'  uomo,  a 
volte  con  impercettibili  sussulti  di  tremenda  ironia.  Toccando,  ad 
es.,  delle  aggregazioni,  com'erano  i  ceti  monastici,  «separate  dalla 
società  universale  degli  uomini  »  con  «un  vincolo  particolare  d'in- 
teressi, di  amor  proprio  comune  e  di  benevolenza  »,  diceva:  «vincolo 
talvolta  debole  assai  e  che  non  basta  ad  impedir  odi  accaniti  e 
mortali,  ma  forte  però  abbastanza  per  contenere  gli  odi  nell'interno 
della  piccola  società  e  per  dare  a  quegli  stessi  che  si  odiano  una 
apparenza  e  una  condotta  da  amici  ogni  volta  che  essi  si  trovino 
in  contrasto  con  gli  estranei  »  {*).  De'  rimedi,  talvolta  peggiori  de' 
mali,  osservava  col  medesimo  spirito,  tra  caustico  e  severo  :  «  Ci 
hanno  degli  inconvenienti  che  oltre  il  male  diretto  che  fanno,  ne 
producono  dei  grandissimi  forzando  quasi  gli  uomini  a  cercare  dei 
rimedi,  che  non  sono  né  ragionevoli  né  perfettamente  onesti,  e  che 


(1)  Sp.  prora.,  p.  235. 

(2)  Sp.  prvm.,  pp.  488-9.  V.  anche  pp.  484-5. 

(3)  Sp.  prom.,  pp.  485-6.  Circa  i  pregiudizi  sul  raccolto  e  l'abbondanza  del  grano 
e  gli  spropositi  de'  magistrati  v.  pp.  490-1. 

(4)  Sp.  proni.,  pp.  103-4. 


LA   GENESI   ETICO  -  RELIGIOSA  99 


oltre  l'effetto  per  cui  sono  sorti  in  opera  ne  producono  molti  altri 
impreveduti  e  pessimi  »  (*).  Questa  riflessione  si  connetteva  con  un 
lungo  discorso  precedente  sulla  zelante,  gelosa  attività  deplorevole, 
ma  inevitabile,  che  il  clero  spendeva  nel  pretendere  e  nell' assicurarsi 
immunità  e  privilegi  con  «  tribunali  civili  e  criminali,  con  minacce 
spirituali  e  temporali  »,  con  la  «  forza  »  stessa:  né  soltanto  «  gli  ec- 
clesiastici vuoti  di  spirito  sacerdotale,  ambiziosi,  violenti,  avari  », 
ma  con  pari  «  zelo  »  «  uomini  pii  e  d' una  virtìi  molto  superiore 
all'onestà,  uomini  certamente  di  alto  ingegno  »  ;  il  che  non  pareva 
al  Manzoni  si  potesse  spiegare  con  la  ragione  «  che  erano  idee  del 
tempo  »,  ma  con  la  ricerca  delle  cagioni  di  questa  stessa  affezione 
a  quelle  idee,  che  è  quanto  dire,  con  l'esame  dello  «  stato  della 
società  in  quei  tempi»;  donde  traeva  questa  conclusione,  che  è  sug- 
gello a  tutti  i  suoi  particolari  giudizi  più  tetri  e  severi  sulle  con- 
dizioni morali  e  sociali  del  secolo:  «Tante  erano  le  volontà  d'im- 
pedire ogni  esercizio  delle  facoltà  più  legittime,  d'inceppare  ogni 
diritto  e  queste  volontà  erano  così  potenti  che  il  clero  non  poteva 
concepire  come  avrebbe  potuto  agire  a  malgrado  di  esse,  senza  avere 
una  forza  propria  »  (^).  Non  erano  infrequenti  codeste  riflessioni  recise 
e  aspre  su  tutti  gli  uomini  del  secolo,  come  là  dove,  in  confronto  con 
la  prudenza  e  la  temperanza  eccezionali  del  card.  Federigo,  diceva 
essere  stata  quella  un'età  «  in  cui  opinioni,  fatti,  discussioni,  odi, 
amicizie,  delitti,  giudizi,  tutto  era  avvelenato  e  precipitoso,  in  cui 
le  virtù  stesse  avevano  qualche  cosa  per  dir  così  di  spiritato  e  di 
fantastico  »  (')  ;  in  cui  «  l' ignoranza  era  tanto  più  generale  e  la 
scienza,  che  era  pure  di  pochi,  consisteva  in  un  peripateticismo 
inteso  come  si  poteva  e  applicato  come  si  voleva  a  tutte  le  questioni 
possibili  di  ogni  genere  »  (*)  ;  in  cui  la  società  «  era  divisa  in  due 
classi,  di  circospetti  cioè  e  di  facinorosi,  e  d' uomini  che  avevano  e 
d'  uomini  che  facevano  paura  »  (^)  ;  in  cui,  infine,  pareva  al  Man- 
zoni singolare,  straordinario  zelo  quel  di  Federigo  di  voler  «  intro- 
duri'e  ogni  cultura  in  quella  rozza,  ostinata,  presuntuosa  barbarie  » 
(^).  Questo  quadro  orribilmente  fosco  della  vita  intellettuale,  morale 


(1)  Sp.  prom.,  pag.  25.  Nello  stesso  ordine  di  idee  cade  quell'osservazione  della 
"  Seconda  parte  ,,  della  Morale  cattolica  «  il  mondo  giustifica  talvolta  le  cagioni  che 
producono  i  mali  e  gli  aggravano,  e  colla  gravezza  dei  mali  giustifica  poi  le  violenze 
o  le  perfidie  commesse  per  liberarsene»  (p.  493). 

(2)  Sp.  proni,  pp.  24-5.  V.  anche  pp.  161-2. 

(3)  Sp.  proni.,  p.  358. 

(4)  Sp.  prom.,  p.  489. 

(5)  Sp.  proni.,  pp.  161-2. 

(6)  Sp.  prom.  p.  357. 


100  PARTE  PRIMA 


e  civile  della  Lombardia,  e  si  può  intendere  di  tutta  Italia,  nel 
Seicento  ritorna  nell'ultima  forma  de'  Promessi  sj)osl  di  molto  ridotto 
e  attenuato.  Come  spiegare  la  spietata  indagine,  la  sempre  vivace 
censura,  il  forte  colorito  della  prima  stesura  ?  Non  bisogna  certa- 
mente dimenticare  il  principio  teorico  del  Manzoni,  affermato  scri- 
vendo al  Fauriel  proprio  nel  tempo  del  primo  getto,  secondo  cui  il 
romanzo  storico  richiede  una  rappresentazione  veridica  della  materia 
e.  de'  personaggi  storici  «  de  la  manière  la  plus  strictement  histo- 
rique  »  (^),  ne  le  impressioni  e  i  giudizi  che  su  quella  società,  stu- 
diata con  tanto  zelo  e  tanta  diligenza,  il  Manzoni  comunicava,  pochi 
mesi  dopo,  allo  stesso  Fauriel  (*),  con  uno  spirito  e  quasi  con  pa- 
role conformi  alle  molte  pagine  degli  Sposi  promessi,  così  che  non 
possiamo  negare  una  preparazione  diretta,  e  direi  quasi  una  preoc- 
cupazione immediata,  che  sollecitava  lo  storico  e  il  letterato  a  sfrut- 
tare abbondantemente  e  fedelmente  le  fonti  e  a  inquadrare  le  ampie 
analisi  dell'  indole  e  de'  costumi  di  quella  società  entro  le  rigide 
forme  prescritte  dal  sistema  storico.  Se  non  che  la  qualità  de'  ca- 
ratteri rilevati,  che  non  sono  certamente  gli  unici  aspetti  della  vita 
lombarda  e  italiana  del  Seicento  ('),  e  l'assolutezza  de'  giudizi  e- 
spressi  lasciano  intravedere  una  predisposizioae  morale,  anche  più 
remota  e  suggestiva,  che  ha  influito  nella  scelta  della  materia  e  nel 
modo  di  ritrarla.  Se  infatti  osserviamo  come  il  Manzoni  insista  a 
segnalare  la  servilità  aizzatrice  o  adulatrice  alle  opinioni  dominanti, 
il  falso  concetto  dell'  onore  e  della  legittima  vendetta,  il  furioso  im- 
perversare degli  errori,  delle  superstizioni,  de'  pregiudizi,  il  preva- 
lere della  ferocia  sulla  carità,  dello  spirito  furioso  sull'  equanimità, 
dell'  intemperanza  e  dell'  avventatezza  sulla  moderazione  e  la  pru- 
denza, il  pervertimento  di  tutte  le  idee  e  la  presuntuosa  barbarie 
intellettuale,  l'abitudine  al  sangue  e  l'impassibilità  morale  dinanzi 
alla  frequenza  de'  delitti,  la  diffidenza  crudelmente  sospettosa,  la 
violenza  soverchiante  il  diritto  o  fatta  unico  strumento  di  esso  e, 
in  generale,  la  più  virulenta  tirannide  di  gruppi  e  ceti  sociali,  cia- 
scuno vincolato  da  passioni  e  interessi  propri;  se  ripensiamo  come 
codesto  mortificante  ritratto  del  Seicento  italiano  concordi  con  le 
idee  generali  del  Manzoni  sulla  natura  e  le  passioni  dell'uomo, 
dobbiamo  ritenere  che,  non  meno  della  meditazione  storica,  vi  ha 
contribuito   la  meditazione    morale    e  religiosa.    Anzitutto  è  certo 


(1)  Lett.  del  3  nov.  1821,  in  Epint.  cit,  voi.  1,  p.  214. 

(2)  Lett.  del  29  ma?.  1822,  in  Epist.  cit.  voi.  I,  pp.  241-2. 

(3)  Cfr.  A.  Belloni,  Il  Manzoni  e  il  Seicento,   in  Fanf.  d.  Dom.  XXXVIII,  n.  ;W. 


LA    GENESI   ETICO  -  RELIGIOSA  101 


ch'egli  s'era  fatta  un'idea  del  Seicento  come  di  secolo  grossolano 
e  barbaro,  prima  ancora  di  accingersi  ad  ampie  indagini  storiche 
per  la  composizione  de'  Pi-omessi  sposi,  prima  cioè  del  1821  o  giù 
di  lì  ('),  come  lo  comprova  una  postilla  ad  un  giudizio  piuttosto 
favorevole  a  quell'età,  dato  da  A.  G.  Schlegel  nel  suo  corso  di 
letteratura  drammatica  (*).  In  secondo  luogo,  che  vi  avesse  av- 
vertito l'orgoglio  e  la  presuntuosità  delle  idee  come  caratteri  do- 
minanti ('),  lo  conferma  un  forte  accenno  in  un  capitolo  della 
seconda  parte  della  Morale  cattolica,  che  è  del  '19  e  che  precisa- 
mente, come  più  addietro  abbiam  visto,  tratta  degli  errori  prevalenti 
nello  spirito  del  secolo  in  contrasto  co'  principi  della  religione.  A 
questo  proposito  rammentiamoci  quelle  sue  osservazioni  sulla  quasi 
universale  inclinazione  alle  opinioni  dominanti,  quando  siano  oppo- 
ste alla  religione,  e  suU'  attitudine  di  pochi  ad  «  uscire  dall'  atmo- 
sfera generale  delle  idee  »  ('),  de'  semplici,  cioè,  come  Lucia,  e  de' 
più  illuminati  di  dottrina,  come  Federigo,  e  teniamo  presente  che 
questi  nella  prima  stesura  è  ritratto  sotto  tutti  gli  aspetti,  morale, 
intellettuale  e  religioso,  come  una  personalità  eccezionale  e  anti- 
tetica allo  spirito  e  a'  costumi  de' tempi  suoi;  s'aggiunga,  poi,  che 
il  Manzoni  in  un  pensiero,  non  del  tutto  formato,  ma  sufficiente  per 
riconoscervi  una  sua  ferma  convinzione  e,  per  di  più,  collegato  con 
quel  suo  discorso  generale,  che  già  conosciamo,  sui  sistemi  abbrac- 
ciati con  passione  e  sul  perpetuo  contrasto  tra  la  legge  del  Vangelo 
e  le  nostre  vanità  e  i  nostri  errori,  fissava  quest'idea  profonda: 
«  nelle  grandi  commozioni  la  religione  è  più  contraddetta  e  più 
dimenticata  per  lo  più,  che  nei  tempi  ordinari  ».  Da  tutto  ciò  pos- 
siamo conchiudere  che  il  Manzoni  al  Seicento  da  tempo  rivolgeva 
la  mente  con  attitudini  e  intenzioni  cristiane;  che,  tra  le  ragioni 
dell'averlo  scelto  a  sfondo  storico  del  romanzo,  molto  potè  il  segreto 


(1)  Un  sentore  sulla  sua  preparazione  letteraria  è  in  Cart.,  p.  514  (lett.  del  29 
genn.  1821)  e  p.  541  (lett.  del  3  nov.  1821)  e  una  prova  delle  intense  ricerche  storiche 
che  in  quel  tempo  faceva,  sono  i  bigliettini,  che  allora  inviava  di  continuo,  chiedendo 
libri,  all'amico  G.  Cattaneo  (V.  Cart.,  p.  556  e  segg.) 

{21  «  Il  Seicento  fu  un  secolo  in  Italia  grossolano  e  barbaro  in  molte  cose  im- 
portantissime :  politica,  commercio,  polizia,  giurisprudenza  e  lettere  ecc.  ecc.  ».  {Opp. 
in  o  r.,  voi.  II.  p.  442).  Credo  fermamente  che  l'opera  dello  Schlegel,  il  Manzoni  la 
lesse  e  postillò  nella  traduzione  francese  del  1817,  e  perchè  essa  compare  in  un  elenco 
di  libri  inviatigli  dal  libraio  parigino  FayoUe  per  mezzo  del  Fauriel  proprio  in  quel- 
l'anno e  perchè  a  consultarla  e  meditarla  tosto  doveva  egli  essere  indotto  dal  disegno 
già  iniziato,  di  scrivere  sulla  tragedia.  (V.  Cart.,  pp.  397-8  e  401). 

(3)  «  Se  un  secolo  ha  avuto  un'  alta  e  ferma  idea  dell'  eccellenza  del  suo  spirito 
è  quello  sicuramente»  (p.  450). 

(4)  Ivi. 


102  PARTE  PRIMA 


proposito  d'offrire  un  solenne  esempio  di  profondo  contrasto  tra  lo 
spirito  del  secolo  e  le  verità  del  Vangelo,  di  attingere  dalla  realtà 
della  storia,  e  specialmente  de'  suoi  momenti  più  travagliati,  l' im- 
magine del  pervertimento,  morale  e  intellettuale  di  un  popolo,  che 
da  quel  contrasto  consegue;  che,  infine,  non  c'è  da  meravigliarsi 
se  il  moralista  congiunto  allo  storico,  —  con  le  prevenzioni,  per  di 
più,  e  le  avversioni  ereditate  dal  pensiero  critico  del  Settecento  — , 
nel  giudicare,  la  prima  volta,  la  vita  di  quel  secolo  acconsentisse  a 
quel  suo  pessimismo  tra  intellettuale  e  sentimentale  che,  sotto  gl'in- 
flussi della  recente  appassionata  discussione  de'  problemi  religiosi  e 
delle  impressionanti  rivelazioni  immediate  della  storia,  doveva  tanto 
più  prevalere  come  reazione  della  sua  coscienza  religiosa. 

* 
*     * 

III.  Non  posso  trattenermi  dal  raccogliere  altri  elementi,  sparsi 
negli  Sposi  promessi,  di  moralismo  pessimistico  e  taluni  di  pessi- 
mismo umoristico,  che,  poi,  il  Manzoni  ha  tolti  via  o  almen  mitigati 
nell'elaborazione  ulteriore  dell'opera  sua. 

Nel  raccontare  come  don  Abbondio  s'era  fatta  «  una  dottrina  sua 
propria  di  prudenza  e  di  probità,  la  quale  non  era  altro  che  la  sua 
condotta  pratica  ridotta  in  principio  »  ragionava  così  :  «  Vi  sono  nel 
cuore  dell'  uomo  due  benedette  disposizioni,  le  quali,  quando  non 
sieno  ben  combattute  ad  ogni  momento,  vanno  radicandosi  e  cre- 
scendo e  finiscono  per  deteriorare  anche  i  caratteri  più  felici. 

Una  di  queste  disposizioni  si  è  di  dedurre  da  un  principio  disin- 
teressato e  riguardevole  la  ragione  della  nostra  condotta.  L'  uomo 
che  non  è  perverso  non  vuol  essere  conscio  a  sé  stesso  di  operare 
per  motivi  di  passione,  non  vuol  credere  che  il  movente  [?]  delle 
sue  azioni  sia  un  interesse,  una  ambizione,  una  precauzione  timida 
e  servile;  si  fa  quindi  una  teoria  colla  quale  possa  esser  persuaso 
ch'egli  deve  fare  come  fa.  V'è,  poi,  nell'animo  umano  un'altra 
disposizione  che  ha  bisogno  assai  d'essere  combattuta  (^)  ad  ogni  mo- 
mento. Quando  l'uomo  s'è  messo  bastantemente  al  coperto  dalle  offese 
altrui  diviene  disposto  ad  attaccare  se  non  altro  con  biasimo  e  colle 
censure  (*)  ».  Le  quali  osservazioni  hanno  un  intimo  nesso  ideale  con 
ciò  che  nella  Seconda  parte  della  Morale  cattolica  il  Manzoni  aveva 


(1)  L'edizione  del   Lesca   ha  «consultata»,  ma  è  o  uu  lapsus  del  Manzoni  o  una 
svista  dell'editore. 

(2)  Sp.  proni.,  pp.  26-7,  n.  9. 


LA    GENESI   ETICO  -  RELIGIOSA  103 

dissertato  intorno  al  dedurre  conseguenze  storte  da  principi  retti, 
venendo  ad  essere  un'  applicazione  alla  psicologia  individuale  di  ciò 
che  colà  si  riferiva  alla  psicologia  collettiva  e  nel  tempo  stesso  ri- 
velando la  disposizione  pessimi&tica  e  parerietica,  che  pur  s'occultava 
dietro  la  concezione  umoristica  di  queir  immortai  personaggio:  sve- 
lano, anzi,  la  personalità  del  giudice  moralista  che  nella  prima 
stesura  e  ne'  primi  rifacimenti  del  romanzo  —  per  forza  della  du- 
plice tesi  etica  e  storica  —  compariva  con  troppa  insistenza  accanto 
al  poeta  creatore  d' umane  figure  ;  mentre  nella  redazione  definitiva 
quella,  se  non  è  del  tutto  scomparsa,  si  lascia  vedere  a  momenti 
radi  e  con  garbata  sobrietà  di  contegno. 

È  questo  uno  degli  interessanti  documenti  di  quell'intimo  processo 
attraverso  cui  la  materia,  le  tendenze  e  i  motivi  morali,  onde  il 
Manzoni  traeva  i  contenuti  psicologici  de'  suoi  personaggi  e  del- 
l'azione  generale,  si  sono  rifusi  e  sostanziati  nelle  concrete  forme 
dell'  arte. 

Pessimistico  altresì  era  il  tono  con  cui  commentava  negli  Sposi 
promessi  l'episodio  della  riprensione  toccata  a  fra  Cristoforo  da 
parte  del  padre  guardiano  :  «  questa  fu  la  mercede  che  il  nostro 
padre  Cristoforo  ebbe  della  sua  giornata .....  Tristo  chi  ne  aspetta 
altre  in  questo  mondo  »  (*)  ;  pessimistico  il  giudizio  perfino  su  quei 
saggi  (e  sono  i  più)  che,  disperando  di  persuadere  gli  altri  con  le 
loro  buone  ragioni,  sogliono  «  rodersi,  o  insuperbirsi  d'essere  stati 
saggi  indarno  »  ;  e  accorata  quant'  altra  mai  quella  lamentazione 
sull'orgogliosa  natura  dell'uomo:  «  di  quanto  scemerebbero  in  nu- 
mero gli  errori,  e  quanto  meno  sarebbero  funesti  nell'effetto  quegli 
errori  che  rimarebbero,  se  tutti  gli  uomini  osservassero  le  cose  con 
una  mente  disinteressata  d'orgoglio  »  !  (')  ;  di  paolina  fierezza  animata 
(non  ve  n'  ha  quasi  traccia  nel  testo  definitivo)  quella  sentenza  che 
il  Manzoni  dettava,  a  proposito  degli  adulatori  di  Federigo,  contro 
il  «  basso  corteggio  che  coglie  i  fortunati  del  secolo  alle  prime  porte 
della  vita,  per  corromperli,  per  cattivarli,  per  farli  fruttare  »  (^)  ; 
aperta  la  riprovazione,  echeggiante  talune  pagine,  a  noi  note,  della 
Morale  cattolica,  di  quei  «  pregiudizi  »  che  «  nella  mente  di  molti 
associano  all'idea  della  religione  quella  della  credulità  e  della  scioc- 
chezza »  (^)  ;  terribilmente  umoristica  quell'analisi  dell'ipocrita  in- 
gegnosità degli  uomini  neir  inventare  le  formalità  necessarie  perchè 


(1)  Sp.  prom.,  pp.  124-5. 

(2)  Sp.  prom.,  p.  678. 

(3)  Sp.  prom.,  p.  356. 

(4)  Sp.  prom.,  p.  183. 


104  PARTE   PRIMA 


una  cosa  si  ritenga  fatta  per  davvero,  com'era  il  caso  della  povera 
Gertrude,  la  cui  «  libera  e  reale  vocazione  al  chiostro  »  doveva  es- 
sere garantita  dall'essere  ella  stata  un  po'  in  mezzo  al  mondo;  ma 
più  trista  l'ironia  del  pensoso  moralista  serpeggiante  nel  lieve  sor- 
riso, quando  fra  altro  osservava  che  «  se  si  desse  retta  »  a  chi  si 
ostinasse  «  ad  esaminare  il  merito  »,  non  le  parvenze  della  cosa, 
«  non  si  finirebbe  mai  nulla,  e  si  andrebbe  a  pericolo  di  turbare  il 
bell'ordine  che  si  ammira  in  questo  mondo  >  (*);  apparentemente 
scherzosa  l'ironia  —  a  proposito  del  «prurito»  del  conte  zio  «di 
far  mostra  della  sua  profondità  nella  politica  »,  che  «  superava  nel 
suo  animo  la  circospezione  che  gli  consigliava  a  nasconderla  >  — 
ma  sostanzialmente  intesa  a  svalutare  la  presuntuosa  avvedutezza 
de'  «  furbi  »,  ai  quali  quel  «  prurito  quasi  invincibile  è  cagione  di 
scoprirsi  da  sé  e  di  rovinare  essi  i  loro  affari;  che  è  un  peccato»  (*); 
cupamente  umoristico  il  giudizio  sull'  incoerenza  del  pensiero  umano, 
ove  notava  che,  «  se  un  uomo  non  dovesse  star  tranquillo  che  dopo 
d'aver  messe  d'accordo  tutte  le  sue  idee^  non  vi  sarebbe  più  tran- 
quillità »  (^);  più  tremendo,  perchè  diretto  a  colpire  la  comune  follia, 
quest'  altro  :  «  è  uno  dei  diletti  di  questo  mondo  quello  di  potere 
odiare  ed  essere  odiato  senza  conoscersi  »  (*). 

Ci  colpiscono,  poi,  qua  e  là  nella  prima  stesura  altri  segni  di  quel 
pensiero  sociale  che  addietro  ho  sommariamente  esaminato,  e  massima- 
mente certi  atteggiamenti  originali  ed  arditi  di  evangelica  ispirazione. 
Si  veda  questo  commento  al  crudele  rigore  del  «  codice  fratesco  >,  a 
proposito  del  ritardo  di  fra  Cristoforo  a  rientrare  nel  convento  : 
«  Ogni  volta  che  gli  uomini  hanno  potuto  dividersi  in  classi,  in 
crocchi,  in  piccole  società,  e  farsi  leggi  particolari,  per  lo  più  in- 
vece di  approfittare  di  questa  esenzione  dalle  leggi  comuni  per  ista- 
bilire  una  certa  indipendenza  utile  a  tutti  i  contraenti,  hanno  aguz- 
zati gl'ingegni  per  trovare. rigori  e  pene  più  raffinati:  di  modo  che 
parrebbe  quasi  che  tormentare  altrui  sia  più  dolce  che  assicurar 
se  stessi  »  (^). 

Si  veda  con  che  superiorità  di  spirito  diffidente  e  canzonatorio 
rispetto  agli  accorgimenti  umani  giudicasse  de'  begli  effetti  che  le 
leggi  hanno  nel  mondo  a  proposito  dello  spesseggiare  delle  grida 
che,  contro  la  volontà  e  la  previsione  de'  legislatori,  avevano  il  bel 


(1)  Sp,  prom.,  p.  187. 

(2)  Sp.  prom.,  p.  304. 

(3)  Sp.  prom.,  p.  179. 

(4)  Sp.  prom.,  p.  68. 

(5)  Sp.  prom.,  p.  107. 


LA    GENESI   ETICO -RELIGIOSA  105 


successo  di  stringere  più  forti  e  sicuri  vincoli  tra  i  «  ribaldi  >  e  i 
«  tiranni  »,  «  Le  società  civili  sono  state  spesso  paragonate  al  corpo 
umano,  i  legislatori  ai  medici,  le  leggi  alle  medicine;  e  infatti  queste 
cose  si  somigliai!  molto,  se  non  altro  in  ciò,  che  son  tutte  cose 
assai  curiose.  Hanno  poi  altre  somiglianze  parziali  ;  eccone  una.  Un 
medico  amministra  un  rimedio  ad  intenzione  che  faccia  nel  corpo 
una  tale  operazione,  che  il  rimedio  fa  o  non  fa,  ma  ne  fa  poi  so- 
vente altre  che  il  medico  non  ha  volute  né  prevedute Lo  stesso 

accade  sovente  in  fatto  di  leggi  :  e  siccome  poi  le  società  civili  sono 
infermi  di  lunga  vita,  sono,  per  servirci  di  un  modo  proverbiale, 
quelle  conche  fesse  che  bastano  per  un  pezzo,  così  alle  volte,  ap- 
pena dopo  cento,  dugento,  trecent'anni,  si  comincia  a  sospettare, 
ad  aver  sentore,  che  certe  doglie  vecchie  d'un  corpo  sociale,  certi 
sintomi  stravaganti  e  non  mai  spiegati,  sono  effetti  d'uno  specifico 
mirabile  applicato  o  cacciato  giù  fin  da  quel  tempo  per  ordine  d'  un 
medico  valente  (parlo  in  metafora)  o  per  consulto  di  più  valenti 
medici  »  (*).  Del  resto  —  diceva  altrove  con  un  guizzo  d'ironia 
scetticamente  allegra  —  «  è  questo  »  del  far  leggi  e  leggi  «  forse  il 
genere  di  composizione  al  quale  gli  uomini  lavorano  con  più  diletto, 
e  che  perciò  non  manca  mai  dì  autori  »  (*).  E  a  proposito  del  mal 
uso  delle  bestemmie,  «  che  non  sono  sconosciute  nelle  sale  fastose 
e  che  formano  la  terza  parte  dei  colloqui  del  popolo,  al  quale  dicono 
i  sapienti  che  converrebbe  abbandonarle  »,  insorgeva  contro  codesto 
sprezzante  pregiudizio  di  classe,  ammonendo  :  «  questi  sapienti  non 
dicono  bene,  perchè  comunque  gli  uomini  siano  classificati,  non  ci 
ha  alcuna  classe  d'uomini  alla  quale  convenga  ciò  che  è  turpe  »  (^). 
A  Renzo,  reduce  dal  malaugurato  abboccamento  col  dottore,  il 
Manzoni  faceva  dire  fra  sé  e  sé  nella  prima  stesura  amare  parole, 
di  cui  non  é  rimasta  neppur  l'ombra  nell'ultima,  sulla  sorte  de* 
poveri,  bistrattati  dai  potenti  e  dai  loro  bassi  servitori  :  «  Tutti  così  : 
siete  fatti  tutti  così:  come  slam  dunque  fatti  noi  poverelli?  che  cosa 
pretendo  io  da  costoro?  andavo  forse  a  domandare  la  carità?  Pre- 
tendo la  giustizia  per  bacco  !  Pretendo  alla  fine  delle  fini  di  sposare 
una  donna  secondo  la  legge  di  Dio.  Birbi  tutti!  tutti  ad  un  modo! 
tutti  d'accordo  per  mandare  gli  stracci  all'aria»  (*).  Se,  però,  il 
Manzoni  soppresse  questo  tratto,  fu  perchè  gli  parve  superfluo  e, 
fors'anco,  di  troppo  vivo  colore,  ma  l'anima  del  poeta  non  ha  mu- 


ti) Sp.  prora.,  App.  G.,  pp.  S18-9. 

(2)  Sp.  protri.,  p.  22. 

(3)  Sp.  proni.,  p.  78. 

(4)  Sp.  prem.,  p.  61. 


106  PARTE   PRIMA 


tato:  la  coraggiosa  simpatia  per  gli  umili  oppressi,  che  circola  per 
entro  tutto  il  romanzo  ed  è  il  remoto  motivo  sentimentale  d' avere 
scelto  fra  quelli  i  protagonisti,  si  fa  sentire  altrove  piti  o  meno 
apertamente  (*):  apertamente,  per  es.,  nelle  parole  di  Agnese,  af- 
fannata a  placare  Renzo  :  «  contro  i  poveri  e'  è  sempre  giustizia  » 
(*)  e  in  quelle,  già  rammentate,  ch'ella  dice  nel  colloquio  col  car- 
dinale; «  i  poveri,  ci  vuol  poco  a  farli  comparir  birboni!  »  e,  meglio 
ancora,  nella  risposta  dell'  insigne  prelato,  che  è  la  voce  più  alta, 
più  meditata,  più  schietta  della  coscienza  cristiana  del  poeta  (^). 

È  codesto  un  aspetto  del  romanzo,  riflesso  dall'  evangelismo  de- 
mocratico del  Manzoni,  che  attraverso  i  profondi  rifacimenti  di 
tutta  l'opera,  non  ha  mutato  —  salvo  la  sapiente  cura  di  risecare 
il  superfluo  e  d'attenuare  per  ragioni  d'arte,  che  vedremo  a  suo 
luogo,  gli  eccessi  di  colore  —  né  spirito  né  intonazione. 

Lasciamo  altri  più  lievi  spunti  di  pessimistico  psicologismo,  {*), 
che  si  son  dileguati  per  rimaneggiamenti  successivi,  e  passiamo  a 
vedere  il  modo  tristo  e  fosco  o  aspro  e  inquieto,  onde  il  Manzoni 
concepì  e  atteggiò  taluni  personaggi  nel  primitivo  disegno. 

Don  Rodrigo  era,  oltre  che  ignobile,  vile,  e  moriva  in  un  impeto 
di  rabbia  e  di  follia,  dopo  aver  corso  all'impazzata  su  un  cavallaccio 
pel  lazzaretto,  come  se  lo  sfolgorasse,  di  colpo,  la  giustizia  puni- 
tiva di  Dio  (^)  ;  r  Innominato,  anzi  il  nominato  «  Conte  del  Sa- 
grato >,  aveva  qualcosa  di  triviale,  di  ribaldesco,  d'iroso,  —  viva 
figura  secentesca  di  capobandito  —  che  non  faceva  nemmeno  lon- 
tanamente presentire  quella  cupamente  grandiosa  de'  Promessi  sposi 
(®);  e  tra  i  minori,  tutti  più  sinistramente  ignobili,  il  podestà  era 
più  volgarmente  cortigiano  e  più  sfacciatamente  complice  de'  pre- 
potenti C)  di  quello  che,  poi,  lo  rappresentasse,  attenuando  le  tinte, 
il  Manzoni.  Anche  i  buoni,  in  generale,  si  risentivano  alquanto  d' uno 
spirito  turbato,  inquieto  e  talora  aspro  e  triviale,  destinato  a  svanire 


(1)  Trapela,  un  po'  più  in  là,  dal  resoconto  di  Renzo  alle  donne  e  dalla  risposta 
del  giovine  ai  conforti  di  fra  Cristoforo  (Prom.  sp.,  cap.  Ili,  p.  43;  cap.  V,  p.  63). 

(2)  Prom.  sp.,  cap.  VII,  p.  90. 

(3)  Prom.  sp.,  cap.  XXIV,  p.  359. 

(4)  Valgano,  ad  es.,  la  riflessione  sul  male  che  facciamo  a  noi  stessi  per  deficenza 
di  carattere  (Sp.  prom.,  p.  219),  quella  sulle  sventure  (pp.  211-12J  e  quella  sul  contegno 
degli  uomini  verso  le  donne  (p.  222). 

(5)  V.  sulla  trasformazione  di  questo  personaggio  un'acuta  analisi  di  A.  Momi- 
gliano, op.  cit.,  pp.  68-71. 

(6)  V.  i  miei  Saggi,  manz.  cit.,  pp.  16-23  e  Momigliano,  op.  cit.,  pp   71-3. 

(7)  Cfr.  Sp.  prom.,  pp.  272-4  e  Prom.  sp.,  cap.  XI,  p.  172. 


LA   GENESI   ETICO -RELIGIOSA  107 


alla  luce  purificatrice  del  rinnovamento  psicologico  e  artistico  del-, 
l'ultima  forma  (*). 

Ma  soffermiamoci  un  po'  sulla  tragica  morte  di  don  Rodrigo,  che 
rivela,  meglio  d'ogni  altro  episodio,  la  segreta  ispirazione  pessimi- 
stica della  prima  stesura.  Era  questa  una  scena  —  massime  se  la 
si  consideri  congiunta  con  la  circostanza  di  quella  «  confusione  di 
passioni  »  —  furore,  odio,  vendetta  —  che  aveva  spinto  il  forsennato 
a  mettersi  sulle  tracce  di  Renzo  e  di  fra  Cristoforo  da  lui  scorti  e 
a  comparire  sull'uscio  della  capanna  di  Lucia  —  era,  dico,  una 
tale  scena  da  non  lasciar  vivo  nemmeno  quel  barlume  di  speranza, 
brillata  poco  innalnzi  nelle  parole  di  fra  Cristoforo  (^),  che  lo  scia- 
gurato finisse  pentito  e  perdonato  dalla  misericordia  di  Dio,  come 
c'inducono,  nella  mutata  forma  dell'episodio,  ad  immaginare  la  lenta 
agonia,  vigilata  e  assistita  dal  mirabile  frate,  la  circostanza  pietosa 
della  visita  di  Renzo,  del  perdono  da  lui  dato  con  tanta  effusione, 
della  preghiera,  che  pur  fa  per  la  salvezza  di  quell'anima  con  tanto 
ardore  di  carità. 

Perchè  e  come  si  formò  primamente  nel  pensiero  del  Manzoni 
quella  severa  e  fosca  concezione  della  fine  del  peccatore? 

Per  un'interpretazione  conforme  all'insegnamento  della  Chiesa, 
che,  fra  altro,  riceveva  autorità  sommamente  suggestiva  dai  ragio- 
namenti de'  luminari  della  sacra  eloquenza,  quali  il  Bossuet,  il 
Bourdaloue,  il  Massillon,  il  Segneri,  da  lui  stesso  chiamati  in  testi- 
monio nel  IX  cap.  della  Morale  cattolica  per  combattere  l'accusa 
del  Sismondi  che  la  dottrina  e  l' insegnamento  della  Chiesa^  con 
r  ispirar  la  fiducia  nella  remissione  de'  peccati  in  ogni  momento, 
inducessero  il  peccatore  a  riservar  la  penitenza  in  punto  di  morte. 
Il  Bossuet  aveva  predicato  non  poter  l'anima  cristiana  accontentarsi 
«  di  una  penitenza  incominciata  all'agonia,  che  non  sarà  mai  stata 
preparata,  di  cui  non  si  sarà  mai  veduto  alcun  frutto...  ».  Il  Bour- 
daloue aveva  ammonito  :  «  questi  peccatori  inveterati  muoiono  come 
sono  vissuti.  Sono  vissuti  nel  peccato  e  muoiono  nel  peccato.  Sono 
vissuti  nell'odio  di  Dio,  e  muoiono  nell'odio  di  Dio  ».  «  Il  preten- 
dere . . .  che  in  un  momento  possa  allora  formarsi  un  altro  spirito, 
un  altro  cuore,  un'altra  volontà,  egli  è,  o  cristiani,  il  più  grossolano 


(1)  V.,  intanto,  alcune  fini  osservazioni  neU'op.  cit.  del  Momigliano,  pp.  73-75. 

(2)  Questi  alla  giurata  dichiarazione  di  Fermo  —  ovverosia  Renzo  —  clie  perdo- 
nava, aggiungeva:  «Sì,  Fermo,  a  don  Rodrigo:  è  un  nome  che  fu  posto  sul  fonte 
della  rigenerazione  ad  una  creatura  redenta  col  sangue  d'un  Dio;  è  un  nome  che  forse 
è  scritto  sul  libro  della  vita;  perchè  Dio  perdona:  guai  a  te  se  non  fosse!  »  (Sp.  prom., 
p.  748). 


108  PARTE    PRIMA 


di  tutti  gli  errori ...  Di  tutti  i  tempi  quello  in  cui  la  penitenza  vera 
è  più  difficile,  è  il  tempo  della  morte  ».  Il  Massillon  intonava  un 
suo  sermone  allo  stesso  modo,  e  il  Segneri  alla  vana  illusione  che 
è  necessario  solo  una  «  morte  buona  »  opponeva  il  monito  di  Cristo: 
«  In  peccato  vestro  moriemini  »  (*). 

Perchè,  poi,  il  Manzoni  abbia  mutate  le  circostanze  della  fine  di 
don  Rodrigo,  e  se  a  ciò  abbiano  concorso  con  le  ragioni  morali 
nuovi  motivi  e  nuove  ispirazioni  poetiche,  vedremo  a  suo  luogo; 
ora  mi  restringo  a  notare  che  l'ossequiente  proposito  di  rappre- 
sentarci la  parte  di  carità  della  Chiesa,  lasciata  sulla  minuta  quasi 
nell'ombra,  la  più  attenta  meditazione  di  quella  pagina  della  stessa 
Morale  cattolica  (^)  nella  quale  si  spiega  come  *  un  filo  di  speranza 
di  salvare  un  suo  figlio  basta  alla  Chiesa  per  non  abbandonarlo  >  e 
come  essa  abbia  non  meno  l'ufficio  della  severità  che  quello  mise- 
ricordioso «  d' ispirar  fiducia  a'  peccatori  moribondi  »  hanno  contri- 
buito a  trasformare  il  contenuto  etico-religioso  del  tragico  episodio. 

S'intravede  l'orma  del  pessimismo  cristiano  e  della  preoccupazione 
dottrinale  anche  nel  modo  come  il  Manzoni  nel  primitivo  disegno 
ritrasse  il  carattere  di  Gertrude  e  tratteggiò  i  delittuosi  precedenti 
di  lei  e  le  scene  stesse  che  hanno  diretta  attinenza  con  l'azione  del 
romanzo. 

L' analisi  del  colpevole  amore  di  quella  disgraziata,  lo  studio  evi- 
dente di  figurarne  l'animo  esagitato  dalla  mala  passione,  dall'im- 
belle sofferenza  di  quella  vita  peccaminosa,  dal  terrore  di  altre  colpe 
e  delitti,  a  cui  la  trascinava  il  diabolico  fascino  di  Egidio,  non  si 
trovano  —  come  ormai  tutti  sanno  —  se  non  nella  minuta.  Ne  do- 
vrò trattar  particolarmente  in  altra  parte  di  questo  lavoro;  qui  mi 
sia  lecito  osservare  che  le  notizie  raccolte  dal  buon  Ripamonti  non 
sarebbero  bastate  al  Manzoni  per  concepire,  anzi  per  decidersi  a 
rappresentare  con  arditezza  d'analisi  psicologica  e  di  drammatici 
colloqui  quelle  colpe  e  que'  delitti,  se  non  ve  l'avesse  indotto  la 
considerazione  triste  e  profonda  del  tragico  potere  che  hanno  le 
passioni  —  non  ostanti  gli  esempi  e  i  precetti  della  religione  — 
sulla  volontà  e  sul  sentimento  e  della  miseranda  abiezione  in  cui 
precipita  l' umana  natura,  quando  sia  sviata,  per  volontà  o  impotenza, 
fuori  della  legge  della  morale  religiosa,  istituita  appunto  «  per  la 
vittoria  dello  spirito  sulla  carne  »   (^). 


(1)  V.  Oss.  s.  mor.  catt.,  pp.  257-9. 

(2)  Il)id.,  p.  262, 

(3)  ma.,  p.  498. 


LA   GENESI   ETICO -RELIGIOSA  109 


Ma  la  figura  che  offre  il  più  cospicuo  documento  —  pel  modo 
come  parlava  e  agiva  nella  minuta  —  delle  inclinazioni  tra  morali- 
stiche e  apologetiche,  con  cui  il  Manzoni  si  accinse  al  grande  lavoro, 
e  del  tono  pessimistico  che  di  conseguenza  doveva  prevalere  nella 
rappresentazione  de'  fatti  e  nell'analisi  de'  caratteri,  è  quella  di 
padre  Cristoforo,  che  in  ogni  contingenza,  ne'  discorsi  in  casa  di 
Lucia,  nel  colloquio  con  don  Rodrigo,  in  quello  con  Renzo  nel  laz- 
zaretto, ne'  conforti  e  addii  stessi  che  dava  agli  sposi  e  ad  Agnese 
fuggiaschi  nella  chiesetta  del  convento,  era  come  agitato  da  certa 
fierezza  guerriera  e  violenta,  da  un  amaro  corruccio,  che  traversava 
di  foschi  balenìi  l'ardore  stesso  della  sua  carità. 

Nel  soliloquio  in  casa  di  Lucia  ravvolgeva  tra  sé  e  sé  accenti  piìi 
rozzi  e  turbati  di  quello  che  si  legge  nella  stampa,  ma  press'a  poco 
con  lo  stesso  spirito,  circa  il  modo  di  ridurre  al  dovere  don  Abbon- 
dio, di  «  mettere  un  freno  a  quel  birbante  »,  di  «  mettere  in  moto 
le  sue  barbe  di  Milano  »  ;  ma  poi  nell'osservare  che  «  costui  faceva 
il  protettore  dei  cappuccini  »,  s'abbandonava  a  queste  amare  rifles- 
sioni, che  non  traspaiono  più  nemmeno  dal  discorso  indiretto  del- 
l'ultima redazione:  «  e  chi  sa  come  si  rappresenterebbe  la  cosa?  e 
quando  si  vedesse  che  si  tratta  di  soccorrere  una  povera  figlia  che 
non  può  compensare  con  altrettanta  protezione!  Ah!  se  fosse  una 
gran  Signora  !  Ma  se  fosse  una  gran  signora,  non  sarebbe  in  questo 
caso.  Oh  poveretti  noi!  Oh  che  tempi!  Quando  io  credeva  che  fa- 
cendomi cappuccino  sarei  fuori  di  questo  mondo  infame  !  Eh  non 
se  ne  va'  fuori  che  quando  si  muore  »  (*)  !  Ma  e'  è  qualcosa  di  più 
significativo  in  una  scena  successiva.  Quando  Renzo,  agitato  dalla 
nera  idea  di  farsi  giustizia  da  sé,  lagnavasi  degli  amici,  un  tempo 
gran  prometti-tori  d'aiuto,  ma  che  ora,  da  lui  cercati,  si  ritiravano, 
il  frate,  nel  rimproverarlo  con  gran  forza,  faceva  questo  tristo  qua- 
dro della  bassezza  umana:  «  Come!  tu  speravi  soccorso  da  questi 
che  ta  chiami  amici?  Soccorso  per  liberarti  dalla  ingiustizia?  Po- 
veretto !  non  sapevi  che  ogni  uomo  ama  troppo  la  sua  vita  e  il  suo 
riposo  per  sacrificarlo  alla  giustizia,  alla  giustizia  altrui  ?  Si,  pel 
denaro,  per  la  vendetta,  pel  diletto  di  far  male,  l'uomo  disprezza 
il  pericolo  ;  si  allora  egli  sente  qualche  cosa  che  lo  porta  con  gioia 
ad  affrontare  il  suo  simile:  ma  perchè  uno  non  sia  oppresso,  ma 
perchè  non  s'impedisca  una  cosa  giusta,  ma  perché  le  cose  vadano 
come  dovrebbero  andare,  tranquillamente,  ordinatamente,  tu  credevi 
che  troveresti  chi  si  armerebbe  con  te  contro  un  potente?  Gli  uomini 


(1)  ò'p.  prom.,  p.  82. 


110  -  PARTE    PRIMA 


non  provano  per  questo  quella  gioia  feroce  che  fa  desiderare  di  af- 
frontarsi coir  uomo:  o  se  n'ha  di  tali  sono  tanto  rari;...  e...  e 
anche  questi  han  torto  »  (*). 

Nel  tumultuar  di  questi  rudi  e  cupi  sentimenti  e  giudizi  —  sde- 
gnosa sfiducia  de'  confratelli  dell'ordine  adulanti  i  potenti,  ribrezzo 
dell' universal  corruttela,  rampogna  fieramente  sconsolata  del  mondo, 
pronto  a  cooperare  per  l' ingiustizia,  vile  dinanzi  la  causa  della  giu- 
stizia —  fremono  la  tristezza  e  la  battagliera  generosità  di  che  ab- 
biamo visto  avvivarsi  il  pensiero  del  Manzoni  moralista  nel  ragionare 
delle  passioni  e  del  coraggio  cristiano:  i  confratelli,  amici  di  don  Ro- 
drigo, son  quelli  ai  quali  «  nei  casi  difficili  in  cui  bisogna  disubbi- 
dire a  Dio  0  agli  uomini,  sembra  di  essere  disobbligati  »  dalla 
«  proibizione,  che  fa  la  «  legge  di  Dio  »,  di  «  ogni  cooperazione 
volontaria  all'ingiustizia  »,  come  a  don  Abbondio  col  pretesto  della 
«necessità»,  con  quello  della  «prudenza»  (*);  sono  i  falsi  inter- 
preti nel  seno  stesso  della  Cliiesa  che  pur  «  non  parla  che  di  giu- 
stizia e  di  dignità,  di  ordine  e  di  coraggio,  che  proscrive  l'arbitrio 
e  la  rivolta  contro  le  leggi,  che  impone  l'obbedienza  ai  privati  e  la 
giustizia  ai  popoli  »,  che  rifiuta,  come  non  sue,  «  le  interpretazioni 
vili  per  adulare  i  potenti  i  (^);  quegli  altri,  del  mondo  —  e  sono  i 
più  —  attestano  con  la  loro  tristizia  quell'altra  amara  verità  che 
segnalava  il  Manzoni  nella  condotta  degli  uomini  :  «  purtroppo  vo- 
gliamo il  coraggio  soltanto  quando  è  necessario  per  secondare  una 
impresa,  per  tentare  un  vantaggio  ;  ma  soffrire  soli,  soffrire  tran- 
quillamente, e  col  solo  conforto  di  soffrire  per  la  giustizia,  e  senza 
applauso,  ci  sembra  quasi  una  virtù  chimerica;  tanto  siamo  affezio- 
nati alla  terra  »  (^)  !. 

La  stessa  cupa  tristezza  fremeva  sulle  labbra  di  fra  Cristoforo  nel 
congedare  gli  sposi  e  Agnese  la  notte  della  fuga:  «  per  ora  è  ne- 
cessario allontanarvi  di  qui  :  vi  siete  nati,  è  casa  vostra,  non  avete 
fatto  torto  a  nessuno,  ma  il  serpente  talvolta  fa  disertare  l'uomo 
dalla  sua  dimora,  e  gli  uomini  pure  si  cacciano  su  questa  terra, 
come  se  fossero  destinati  a  divorarsi  l' un  l' altro  »  (^).  E  più  dolo- 
rosa, più  tetra,  quasi  direi  col  tono  del  salmista  gemente  e  fremente, 
sonava  la  sua  parola  sul  finire  del  drammatico  colloquio  con  Renzo 
nel  lazzaretto  :  «  Tu  rimani  a  vivere  in  un  secolo  doloroso  :  i  giorni 


(li  Sp.  proni.,  p.  84. 

(2)  Oss.  s.  tnor.  catt.,  p.  492. 

(3)  Opp.  in.  o  r.,  voi.  Ili,  p.  356. 

(4)  Oss.  s.  mor.  catt.,  loc.  cit. 

(5)  Sp.  prora.,  p.  148. 


LA    GENESI    ETICO  -  RELIGIOSA  111 

che  noi  veggiamo  sono  cattivi  ;  quei  che  si  preparano,  saranno  peg- 
giori: i  figli  dei  provocatori,  dei  superbi,  dei  violenti,  lo  saranno 
più  dei  padri  loro.  Gran  Dio  !  questo  flagello  non  corregge  il  mondo  : 
è  una  grandine  che  percuote  una  vigna  già  maledetta  :  tanti  grap- 
poli abbatte;  e  quei  che  rimangono,  son  più  tristi,  più  guasti  di 
prima  »  (^). 

IV.  Il  pessimismo  cristiano  del  Manzoni,  esuberante  nella  primiera 
concezione  del  suo  alto  lavoro,  assumeva  dunque  forma  e  voce  e 
significazione  più  profonda  nel  carattere  di  fra  Cristoforo,  così  come 
il  suo  idealismo  religioso  —  eh'  era  in  quella  ancora  discreto  e  con- 
tenuto —  trovava  la  sua  più  cospicua  espressione  nel  carattere  di 
Federigo:  l'uno  poi,  nel  processo  evolutivo  della  meditazione  reli 
giosa  e  della  ricomposizione  psicologica  e  fantastica,  è  riescito  più 
composto,  più  mite,  e,  quasi  direi,  circonfuso  di  dolce  mestizia  evan- 
gelica; l'altro  è  cresciuto  di  forza  e  di  luce. 

Certamente  queste  due  potenti  energie  del  pensiero  cristiano  hanno, 
dirò  così,  fecondato  tutta  1'  opera  poetica  del  Manzoni,  dal  carme 
In  morte  di  Carlo  Imbonati  ai  Promessi  sposi;  ma  non  sempre 
con  egual  forza  e  con  perfetto  equilibrio  d'ispirazione:  che  di  quella 
giovanile  visione  il  motivo  etico,  piuttosto  che  da  un'interpretazione 
pessimistica  della  vita,  proviene  da  un  atteggiamento  stoico  del 
pensiero  civile  ;  negli  Inni,  nelle  tragedie,  nel  Cinque  maggio  e  nel 
romanzo  quelle  due  forti  correnti  della  coscienza  cristiana  premono 
e  involgono  la  concezione  morale  e  civile  del  poeta,  s' incontrano, 
anzi,  ne'  sostrati  etico-religiosi  della  creazione  poetica,  ma  non  sem- 
pre si  fondono  in  quella  giusta  armonia  che  è  la  forza  viva  e  pro- 
fonda del  cristianesimo.  E  precisamente  in  codesta  armonia  superiore 
si  contemperano  la  triste  meditazione  della  nostra  ingenita  debolezza, 
del  perpetuo  contrasto  degl'istinti  e  delle  passioni  con  la  legge 
di  Dio,  e  la  confidente  valutazione  delle  congiunte  virtù  segrete, 
onde  la  creatura,  fatta  ad  immagine  di  Dio,  può  redimersi  e  perfe- 
zionarsi, quando  la  soccorra  la  Grazia;  appunto  nello  sforzo  eroico 
di  ricomporre  le  dlsarmonie  della  vita  e  della  storia  in  una  visione 
illuminata  dall'operosa  confidenza  nel  bene  e  dalla  speranza  d'una 
giustizia  migliore  il  Manzoni  è  venuto  ricostruendo  quell'idealismo 
cristiano  che  ispira  la  concezione  della   morente  Ermengarda,   cer- 


(3)  Sp.  pruni.,  pp.  71S-9. 


112  PARTE   PRIMA 


cante  col  «  tremulo  sguardo  »  il  cielo,  e  quella  di  Napoleone,  sol- 
levato alla  fede  consolatrice  nella  pace  celeste  ;  che  intona  alla  spe- 
ranza nella  misericordia  divina  le  ultime  stanze  della  Passione;  che 
ravviva  di  santo  giubilo  i  giusti  nelle  ultime  strofe  della  Risurre- 
zione ;  che  dà  r ansia  della  fiduciosa  preghiera  nel  Nome  di  Maria; 
che  tutta  pervade  la  Pentecoste,  rinnovata  e  compita,  dopo  un  in- 
tenso lavorio  d' intelletto  e  di  fantasia  (*)  ;  che,  infine,  solleva,  pu- 
rificandolo e  ritemprandolo  di  più  serena  spiritualità,  il  mondo  del 
romanzo,  qual  era  uscito  dal  primo  getto,  nella  forma  de'  Promessi 
sposi. 

I  manifesti  segni  di  rigorismo  etico  e  di  pessimismo  tra  intellet- 
tivo e  sentimentale,  che  abbiamo  rilevato  nella  prima  forma  del 
romanzo,  e  altri  che  potremo  ritrovare  nello  studio  della  composi- 
zione psicologica  ed  estetica  de'  singoli  personaggi,  sono  stati  atte- 
nuati 0  addirittura  dispersi  via  via  che  il  poeta  procedeva  nell'  ela- 
borazione e  trasformazione  dell'opera  sua,  conformando  quel  mondo, 
che  pareva  ancora  echeggiasse  dello  spirito  apologetico  della  Morale 
cattolica  e  delle  cupe  moralità  dell'Adelchi,  ad  una  visione  psicologica 
del  male  e  del  dolore  più  compiuta  ed  organica,  con  uno  spirito  di 
più  calma  e  profonda  meditazione  cristiana, 

II  fosco  e  truce  quadro  della  vita  del  Seicento  è  stato  ricomposto 
con  la  severa  pensosità  dello  storico  e  del  moralista  che  da  una  più 
equa  comprensione  delle  aberrazioni  umane  attinge  tale  disciplina 
e  sobrietà  di  giudizio  e  di  rappresentazione  da  persuadere  il  lettore 
alla  riflessione  dolorosa  senza  eccitarne  l'orrore  e  il  disprezzo  ;  quel 
senso  amaro  e  acre  eh'  era  diffuso  qua  e  là  nel  romanzo,  sia  che  il 
poeta  ritraesse  la  tristizia  umana  sia  che  mirasse  a  cogliere  quel 
che  di  torbido  può  essere  nell'animo  risentito  de'  buoni,  s'è  dile- 
guato con  la  soppressione  o  con  la  modificazione  di  talune  scene  e 
situazioni  psicologiche  (*);  quella  propensione  a  rilevare  nell'atti- 
vità degli  uomini,  ove  non  sia  ispirata  dalla  legge  del  Vangelo, 
non  altro  che  effetti  disordinati   e   ingiusti,   è   rimasta,  ih  quanto  è 


(1)  Cfr.  il  mio  studio  cit.  su  La  cumposiz.  della  «  PeiUecoste  ». 

(2)  Sono  stati,  ad  es.,  soppressi  il  consiglio  che  don  Rodrigo  teneva  col  conte 
Attilio  e  col  Griso  per  cercare  il  modo  di  sbarazzarsi  di  Renzo  {Sp.  prom.,  pp.  267-9) 
e  quell'adunata,  fatta  a  questo  scopo,  del  podestà,  del  dottore  e  del  cugino  alla  tavola 
di  don  Rodrigo,  in  cui  la  birboneria  de'  potenti  e  la  cortigianeria  de'  magistrati  e 
de'  legulei  s'incontravano  in  un  accordo  d'ipocrita  ostentata  premura  del  pubblico 
bene  sulla  via  dell'iniquità.  {Sp.  prom.,  pp.  271-4).  È  stato  mutato  —  per  citare 
un  altro  esempio  —  nello  spirito  e  ne'  modi  l'incontro  di  Renzo  con  don  Abbondio 
dopo  la  peste;  i  quali  erano  nella  minuta  l'uno,  così  nelle  parole  come  ne'  tratti, 
aspro,  brusco,  eccitato,  l'altro  piagnucoloso  e  convulso  (Sp.  proni.,  pp.  700-3). 


LA   GENESI   ETICO -RELIGIOSA  113 


ragione  e  misura  della  meditazione  religiosa  e  morale  dello  scrit- 
tore cristiano,  senza,  dirò  così,  le  accentuazioni  moralistiche  (*)  o 
la  severità  critica,  velata  talora  di  fredda  ironia  (*),  della  prima 
maniera;  quell'intervento,  tanto  poco  necessario  quanto  troppo  fre- 
quente, dell'appassionata,  e  spesso  arcigna,  censura  morale  non  solo 
degli  atti  umani,  ma  degli  avvenimenti  storici  —  cosa  che  potrebbe 
dar  forza  a  talune  osservazioni  recenti  del  Croce  sul  Manzoni  storico 
(^)  —  come  a  proposito  della  furiosa  superstizione  collettiva  contro 
gli  untori  {*),  s'è  fatto  rado  ne'  successivi  rimaneggiamenti  e  ha 
smesso  il  primitivo  tòno  di  rimbrotto  e  di  sdegnoso  compatimento; 
queir  insistere  sulle  idee  e  sui  pregiudizi  del  secolo  (*)  con  tanta 
foga  che  ci  sovviene  delle  pagine  polemiche  sullo  stesso  argomento 
dettate  per  la  seconda  parte  della  Morale  cattolica,  ha  ceduto,  per 
via  di  stralci  e  d' alleggerimenti  nell'analisi  storica,  ad  una  conte- 
nuta e  meno  astiosa  rappresentazione  del  male. 


(1)  si  vedano  le  impressioni  di  Renzo  nel  trovar  Milano  in  rivolta  (Sp.  prom., 
pp.  479-80  e  507).  Sebbene  attruibite  a  Renzo,  erano  piuttosto  del  Manzoni  (glielo  os- 
servava anche  l'amico  Visconti)  quelle  riflessioni  sul  saccheggio  de'  forni,  che  «quella 
cuccagna  non  sarebbe  stata  che  per  i  birboni  più  vigorosi  e  più  svergognati,  che  i 
veri  languenti  per  fame  non  si  sarebbero  gettati  in  quel  tumulto  :  e  cosi  la  parte  più 
debole  e  la  più  degna  di  soccorso  avrebbe  continuato  a  patire,  e  in  quel  giorno  prin- 
cipalmente sarebbe  stata  forzatamente  priva  anche  dei  soccorsi  della  carità  volonte- 
rosa, ma  impotente»  (pp.  479-80). 

(2)  È  uno  spiccato  esempio  d'intransigenza  quel  lungo  ragionamento  sulla  pro- 
messa di  mettere  sotto  processo  il  vicario,  fatta  al  popolo  da  Antonio  Ferrer  e  poi 
niente  affatto  mantenuta:  osservabile  per  la  vivacità  con  cui  il  Manzoni  risponde 
all'obiezione  di  chi  vorrebbe  separare  gli  espedienti  politici  dalla  morale  :  «  Tanto 
peggio  per  un  sistema  che  mette  i  suoi  autori  e  i  suoi  agenti  in  impicci,  dai  quali  non 
si  possono  cavare  che  dando  una  parola,  che  il  sistema  poi  impedisce  di  maturare  » 
(Sp.  prom.,  pp.  525-6)  ;  più  osservabile  per  la  finta  rassegnazione  alle  parole  del  suo 
immaginario  contraddittore:  «il  fondamento  della  vera  sapienza  pratica  consiste  nel 
prendere  gli  uomini  come  sono»;  le  quali  parole  —  dice  ironicamente  il  Manzoni,  — 

«proferite  così  spesso,  e  sempre  così  a  proposito che  non  hanno  mai  perduta  la 

loro  forza,  e  sciolgono  tutte  le  questioni,  troncano  meravigliosamente  anche  la  pre- 
sente» (p.  526).  V.,  addietro,  con  che  austerità  giudicasse  della  comoda  teoria  del 
prender  gli  uomini  come  sono. 

(3)  V.  B.  Croce,  La  storiografia  in  Italia  ecc.,  VII:  gli  sviati  della  scuola  cat- 
tolico-liberale, in  Critica,  a  XIV,  fase.  IV  (20  luglio  1916),  pp.  247-54  e  fase.  V,  p.  325; 
ma  si  veda  anche  F.  Crispolti,  Il  Manzoni  storiografo  secondo  B.  Croce  (Lett.  al- 
l'autore), estr.  da  Vita  e  Pensiero,  a.  II,  voi.  IV,  fase.  2  (31  ag.  1916). 

(4)  Sprezzante  quel  tratto,  a  proposito  della  gente  accorsa  al  grido  della  vecchia 
contro  Renzo;  «  gente  che  forse  a  qual  si  fosse  più  pietoso  chiamar  di  soccorso  non 
sarebbe  uscita  dalle  tane,  dove  si  stava  rimpiattata  per  paura,  ma  per  graffiare  e  per 
prendere  un  untore  era  pronta  »  (Sp.  prom.,  p.  725). 

(5)  Si  veda,  ad  es.,  la  disputa  di  don  Ferraute  e  del  Signor  Lucio  in  «  una  bri- 
gata signorile  »  sul  contagio  e  gl'influssi  maligni  degli  astri  e  quel  saggio,  che  segue, 
di  una  vera  dissertazione  sulle  «  origini  »  i  «  progressi  »  e  la  «  caduta  »  delle  idee 
«  false  e  credule  »  «  nelle  diverse  età  »  (Sp.  prom.,  pp.  646-57). 


Busetto  —  8 


114  PARTE   PRIMA 


Concorda  con  questo  processo  di  riduzione  e  d'attenuazione  del 
soverchiante  razionalismo  e  moralismo  rigoroso  la  rifusione  psico- 
logica e  fantastica  —  derivante  da  una  comprensione  etica  e  reli- 
giosa, più  delicata  e  serena,  del  mondo  osservato  — ,  con  cui  il  poeta 
ha  riformato  la  materia  tutta  del  romanzo,  i  caratteri  tutti  de'  per- 
sonaggi e  le  situazioni  loro,  la  dipintura  della  natura  stessa  che  è 
teatro  alla  drammatica  storia. 

Le  analisi  ulteriori  confermeranno  questo  giudizio,  ma  or  conviene 
riguardare  per  poco  talune  differenze  profonde  tra  la  minuta  e  l' ul- 
tima redazione  a  questo  riguardo:  scegliamo,  fra  altri  punti,  la  de- 
scrizione della  notte  che  Renzo  passa  nel  bosco  dopo  la  sua  fuga 
da  Milano,  lo  studio  dell'  anima  dell'  Innominato  prima  e  dopo  la 
conversione,  l'atteggiamento  che  prende  sulla  coscienza  di  fra  Cri- 
stoforo il  ricordo  sempre  vivo  dell'  omicidio  commesso  quand'era 
Lodovico  e  il  colloquio  di  don  Abbondio  col  card.  Federigo, 

L' animo  di  Renzo  co'  suoi  pensieri  ed  affetti,  co'  suoi  risentimenti 
e  ricordi,  con  le  sue  trepidazioni  e  speranze,  e  gli  aspetti  stessi  delle 
cose  circostanti  non  avevano  nel  primitivo  disegno  che  tocchi  scarsi 
e  superficiali  :  il  ribollir  pronto  della  coscienza  onesta  del  giovine 
ripensando  alle  cabale  calunniatrici  del  mercante  nell'osteria  di  Gor- 
gonzola, l'uggia,  il  terrore  indefinito  e  le  molteplici  impressioni  di 
sbigottimento,  che  il  bosco,  le  tenebre,  il  rumor  de'  suoi  passi  gli 
mettono  nell'animo,  il  disperato  smarrimento  che  quasi  lo  perde; 
r  amica  voce  dell'Adda,  che  lo  rianima  e  fa  «  svanire  in  gran  parte 
quell'incertezza  e  gravità  delle  cose,  »  e  poi  il  ricovero  nella  capanna 
di  paglia,  i  ringraziamenti  che  rende  a  Dio,  le  devozioni  che  dice^ 
i  pensieri  e  le  immagini  che  gli  si  destano  in  mente  in  quel  racco- 
glimento, i  discorsi  interiori  che  fa  con  sé,  il  risveglio  sull'  alba,  la 
pittura  di  quel  cielo  di  Lombardia,  tutto  ciò  è  stato  nuovamente 
pensato  e  analizzato  e  ritratto  così  che  i  grami,  informi  ed  embrio- 
nali elementi  descrittivi  e  narrativi  della  prima  stesura  si  sono  svolti, 
purificati  ed  elevati  in  un  armonico  quadro,  donde,  tra  quel  vago 
misterioso  senso,  tutt'  intorno  diffuso,  della  natura  avvolta  ne'  silenzi 
tenebrosi  della  notte,  balza  nella  sua  pienezza  morale  ed  affettiva, 
nella  sua  potente  evidenza  fantastica  il  carattere  del  povero  sposo, 
immeritamente  ramingo  e  incerto  del  suo  destino  (*). 

L' Innominato,  da  quello  che  era  nella  prima  redazione,  una  figura, 
cioè,  concepita  e  atteggiata  a  specchio  della  storia  del  Seicento  lom- 
bardo e  secondo  le  ispirazioni  dirette  delle  fonti  contemporanee,  s' è 


(1)  Cfr.  Sp.  prom.  pp.  564-7;  Prom.  sp.,  cap.  XVII,  pp.  248-55. 


LA    GENESI    ETICO -RELIGIOSA  115 

trasformato  via  via,  per  non  meno  di  tre  rifacimenti,  sino  ad  ele- 
varsi, in  virtù  dell'  idealizzazione  etica  e  fantastica  dell'  ultima  forma, 
di  sul  fondo  fosco  e  volgare  delle  testimonianze,  delle  narrazioni  e 
de'  giudizi  dei  biografi,  a  tal  carattere  che  nulla  più  ha  dell'  indole 
rozza,  brigantesca,  brutalmente  truce  della  prima  maniera,  ma  s'ac- 
campa cupo  e  misterioso,  solenne  nel  suo  intimo  travaglio  compresso 
non  meno  che  nella  sua  vasta  volontà  dominatrice.  Quand'era  più 
prossimo  all'immagine  della  realtà  storica,  co'  suoi  misfatti  e  con 
la  sua  conversione,  tal  personaggio  aveva  piuttosto  un  vivo  risalto 
romanzesco  nella  trama  delle  vicende  di  Lucia:  era  una  poetica 
figurazione  dello  spirito  fazioso,  vendicativo,  sanguinario  del  secolo, 
e  la  sua  conversione  aveva  qualcosa  di  brusco,  di  superciale,  d'aned- 
dotico e  d' inesplicabile,  come  fu  di  molte  conversioni  segnalate  dai 
cronisti  del  tempo  (^);  ma  nella  rinnovata  concezione  e  rappresen- 
tazione della  sua  anima  e  del  suo  intimo  dramma,  pare  incarni, 
piuttosto^  lo  spirito  appassionato  del  male  che  vige  in  tutti  i  tempi 
nella  perpetua  lotta  con  la  legge  del  bene,  assurgendo,  per  tal  modo, 
nella  coscienza  morale  e  poetica  del  Manzoni,  all'eterna  concretezza 
d'  un  simbolo.  La  sua  conversione,  per  essere  la  risoluzione  d' una 
profonda  crisi  d'  anima  gagliarda  e  complessa,  attinge  un  alto  signi- 
ficato umano;  per  essere  la  vittoria  del  bene  sul  male,  della  giu- 
stizia sull'empietà,  della  luce  di  Dio  sulla  tenebra  del  peccato  — 
tanto  più  solenne  in  quanto  s'aderge  sul  fondo  d'istinti,  di  tendenze, 
d'abitudini,  di  sentimenti  non  superficiali,  capricciosi,  volgari,  ma 
possenti  e  coerenti  nella  salda  compagine  d'una  volontà  superiore  — 
ha  la  gravità  austera  d' un'epopea  religiosa. 

La  stessa  descrizione  della  vita  dell'Innominato  dopo  la  conver- 
sione, osservata  nella  prima  e  nell'  ultima  redazione,  riflette  con  ri- 
levante contrasto  la  vicenda  per  cui  è  passata  la  concezione  etico- 
religiosa  dell'  insigne  personaggio  :  il  facinoroso  capobandito  ci 
tornava  dinanzi  mutato  in  un  brav'uomo,  pio,  umile,  servizievole, 
come  un  decente  esempio  di  riabilitazione  morale  ;  ma  nell'  ultima 
forma  il  rinnovato  carattere  del  potente  signore  assume  gli  atteg- 
giamenti di  una  santità  impavida  e  ardente,  consapevole  dell'eroica 
missione  a  cui  l'ha  chiamato  la  Grazia:  il  suo  mutamento  è,  più 
-che  la  riabilitazione  d'  un  malvagio,  la  trasfigurazione  di  un  invin- 
cibile nemico  della  legge  e  dell'  umanità  in  un  eroico  cavaliere  della 
giustizia  e  della  pietà  (*).  Basta  riguardarlo   quando   finalmente   si 


(1)  V.  i  miei  Saggi  manz.  cit.,  p.  21. 

(2)  Ibid.,  p.  23  e  segg. 


116  PARTE   PRIMA 


ritira  a  dormire,  la  sera  di  quella  giornata  così  piena  di  prodi- 
giosi avvenimenti.  11  suo  ritorno  al  castello,  la  radunata  de'  bravi, 
il  discorso  e  il  contegno  di  lui,  le  impressioni  che  quelli  ne  rice- 
vono, sono  tratteggiati  nella  nuova  stesura  con  un  tòno  di  severa 
spiritualità,  con  una  rapidità  vigorosa  d'analisi,  che  la  prima  sof- 
focava sotto  l'affastellamento  de'  particolari  e  il  peso  di  uno  psico- 
logismo minuto,  discontinuo,  frastagliato  :  in  questa  c'era  unicamente 
la  cura  d'interpretare  la  condotta  del  convertito  secondo  gli  svelti 
e  gagliardi  cenni  che  ne  aveva  lasciati  il  Ripamonti;  in  quella  c'è 
la  meditazione  religiosa  che,  assorbendo  le  preoccupazioni  della 
storico,  ispira  e  regge  la  fantasia  deì  poeta  nell'icastica  rappresen- 
tazione di  una  nuova  coscienza  (*).  Ma  piti  e'  interessa  ciò  che 
segue  a  quella  solenne  professione  dell'uomo  nuovo  dinanzi  a'  suoi 
bravi,  come,  cioè,  si  raccogliesse  a  meditar  su  sé  stesso  nel  silenzio 
della  sua  camera,  tornasse,  dopo  tant'anni,  alle  orazioni  dell'infan- 
zia con  una  dolcezza  ineffabile,  un  inasprimento  di  rimorso,  un 
santo  zelo  di  bene,  una  riconoscenza,  una  fiducia  in  Dio,  e  trovas- 
se «  immediatamente  »  riposo  nel  sonno  «  in  quel  letto  in  cui  la 
notte  avanti  aveva  trovate  tante  spine  »  (*).  È  un  tratto  nuovo,  che 
aggiunge  forza  e  gravità  alla  conversione,  integra  e  svolge  quel- 
l'ingenita nobiltà  morale,  occulta  nell'animo  superbo  e  violento, 
che  abitudini  delittuose  avevano  traviato,  ma  che  un  oscuro  trava- 
glio e  circostanze  straordinarie  hanno  ormai  risollevato  al  dramma 
del  rimorso  e  dell'espiazione;  e  su  questo  irradia  tale  austerità  re- 
ligiosa, tale  umiltà  eroica,  tale  fiducia  operosa  di  redenzione  che 
già  intravediamo  la  magnanima  figura  cristiana  che  Federigo  nel 
memorando  colloquio  vaticina  con  tanto  ardore  di  carità. 

E  in  piena  luce  ce  la  presenta  il  poeta  nel  narrare  come  l' Inno- 
minato accogliesse  nel  suo  ben  difeso  castello  i  fuggiaschi  al  pas- 
saggio delle  bande  alemanne.  È  tutta  nuova  anche  questa  pittura  (^) 
della  vita  penitente  e  benefica  di  colui  eh'  era  stato  il  terrore  della 
contrada,  mentre  le  vaghe  e  smilze  notizie  del  primo  disegno  lascia- 
vano nell'ombra  quella  nuova  spiritualità  magnifica. 

Medesimamente  quel  restringersi  —  subito  dopo  il  racconto  della 
conversione  —  a  riportare  il  passo  del  buon  Ripamonti,  che  ne  toccò 
«  in  termini  generali  »  (*),tconferma  quanto  addietro  osservavo,  es- 


(1)  Cfr.  Sp.  prom.,  pp.  411-15;  Prom.  sp.,  cap.  XXIV,  pp.  360-3. 
(8)  JMd.,  p.  363. 

(3)  Prom.  sp.,  cap.  XXIX,  pp.  433-6. 

(4)  Sp.  prom.,  pp.  410-11.  V.  un  magro  cenno  della  vita  del  Conte  dopo  la  conver- 
sione a  p.  622. 


LA    GENESI   ETICO  -  RELIGIOSA  117 


sere,  cioè,  prevalsa  la  concezione  storica  su  quella  umana  e  morale 
nel  modo  come  il  Manzoni  la  prima  volta  evocò  e  tratteggiò  il  grande 
peccatore.  L'aggiunto  ritratto  della  novella  vita  piamente  operosa 
e  l'analisi  lucidissima  e,  per  ogni  aspetto,  compiuta  de'  vari  senti- 
menti d' ammirazione,  di  compiacenza,  di  rispetto,  che  nel  popolo, 
ne'  magistrati,  ne'  grandi,  negli  stessi  offesi  aveva  fatto  nascere 
quella  gran  conversione,  di  quello  spirito  di  gioia  e  di  pace  de' 
buoni,  d' acquietamento  o  almeno  di  remissione  delle  più  rabbiose 
passioni  non  solo  concorrono  necessariamente  allo  svolgimento  psi- 
cologico e  morale  del  nuovo  carattere  del  personaggio,  ma  offrono 
un'immagine  della  molteplice  anima  sociale,  su  cui  il  grandeggiante 
spirito  del  convertito  riverbera  la  sua  carità  e  mansuetudine,  susci- 
tandovi segreti  istinti  d' inconscia  bontà  e  impeti  d'allegrezza,  anche 
di  dolore  e  di  stizza,  ma  non  «  disprezzo  né  odio  »  (*).  Cosi  la 
trasfigurazione  morale  d' una  singola  anima  attrae  nella  sua  spirale 
ascendente  —  tolti  i  casi  scarsi  di  riottosità  caparbia  e  d'invincibile 
abitudine  al  malefizio  —  il  multanime  mondo  che  le  palpita  intorno: 
l'uomo  e  la  società,  riconciliatisi,  si  ricompongono  in  una  vita  mi- 
gliore ;  imperfetta,  si,  e  inquieta,  come  comporta  la  nostra  fragile 
natura,  ma  animata  dall'  ansia  del  bene,  ma  illuminata  dalla  spe- 
ranza di  un  più  riposato  domani.  In  nessun  altro  punto  del  romanzo 
è  cosi  significativo^  come  in  questo,  quel  giusto  contemperamento 
di  pessimismo  e  d'idealismo  cristiano  nella  concezione  etica  del- 
l'uomo a  cui  il  Manzoni  è  pervenuto,  meditando,  con  lo  sguardo 
sempre  più  profondo  e  sereno,  il  male  e  il  bene  della  vita. 

Alla  purificazione  ed  elevazione  del  mondo  manzoniano,  quale 
usci  dal  primo  getto,  hanno  concorso  non  meno  la  coscienza  reli- 
giosa che  la  coscienza  poetica  :  1'  elaborazione  fantastica  e  il  pro- 
gressivo perfezionamento  artistico  del  capolavoro  han  proceduto  di 
pari  passo  —  nota  giustamente  il  Momigliano  —  col  «  rinvigorirsi  » 
e  1' «  allargarsi  delle  convinzioni  morali»  del  pensatore  cattolico: 
«  r  edizione  definitiva  dei  Promessi  sposi  »  (e  tanto  più  limpida- 
mente quella  del  '42)  «  rappresenta  1'  assetto  definitivo  e  più  com- 
plesso della  coscienza  cristiana  del  poeta  »  (^). 

Che  altro  è  codesto  assetto  se  non  quell'armonia  superiore  che  il 
pensiero  religioso  del  Manzoni  ha  raggiunto  correggendo,  limitando 
e  fondendo  in  una  sintesi  lucida  e  tranquilla  le  opposte  concezioni 


(1)  Prora,  sp.,  cap.  XXIX,  p.  434. 

(2)  Op.  cu.,  p.  65. 


118  PARTE   PRIMA 


dell'  uomo,  secondo  che  lo  riguardi  nella  sua  ingenita  debolezza  o 
nelle  sue  attitudini  ad  elevarsi  a  Dio  ? 

Frutto  di  questa  sintesi  superiore  della  meditazione  cristiana  è 
anche  la  figura  morale  di  fra  Cristoforo,  come  il  Manzoni  la  venne 
rielaborando  nell'ultima  forma  del  romanzo. 

Ne'  due  contrasti  vivacissimi  che  il  frate  ha  con  Renzo  nella  ca- 
setta di  Lucia  e  al  lazzaretto  ciò  che  caratterizzava  il  suo  contegno 
primitivo  era  l' insistere  sull'  omicidio  commesso  in  gioventù  con 
particolari  di  fatti  e  con  passione  di  ricordi;  era  la  spietata  analisi 
che  il  fiero  esaminator  di  se  stesso  faceva  della  colpa  di  un  passato 
tanto  lontano  (^).  Il  primo  fra  Cristoforo  appariva  tutto  preso  da 
quella  tragedia  giovanile,  con  un'ombra  tetra  nell'anima  e  sul  volto 
che  soverchiava  smoderatamente  1'  intensa  e  sempre  viva  luce 
d'una  lunga  vita  eroicamente  espiatrice  :  la  qual  composizione  di- 
sarmonica e  inorganica  del  carattere  era  forse  dovuta  alla  malfor- 
mata intenzione  d'accrescergli  grandezza  con  l'accentuarne  le  punte 
del  perenne  rimorso,  ma  pareva,  piuttosto,  conseguire  dal  dissidio 
tra  r  interpretazione  pessimistica  e  la  visione  idealistica  della  vita, 
dal  prevalere,  anzi,  di  quella  su  questa  con  manifesti  perturbamenti 
nella  genesi  e  nella  formazione  etica  e  artistica  di  un  personaggio 
che  è,  certo,  de'  più  profondamente  sentiti  e  amorosamente  studiati 
dal  nostro  poeta.  Il  quale  ne'  Promessi  sposi  ne  ha  stinto  il  colorito 
tragico  e  abbellita  la  nobiltà  austera,  l' ha  rappresentato  memore  sì 
del  suo  tristo  caso,  ma  così  compostamente  pensoso  nel  ricordo  e 
nel  sentimento,  da  ritrarne,  nella  sua  nuova  vita,  fiamma  di  carità 
riparatrice. 

Il  medesimo  processo  di  ripensamento  etico-religioso  della  materia, 
dovuto  ad  un'  ispirazione  più  armonica  dell'  ideale  cristiano,  si  os- 
serva nel  rimaneggiamento  del  colloquio  di  Federigo  con  don  Ab- 
bondio (*).  La  parola  del  magnanimo  vescovo,  severa,  pietosa, 
ardentissima  aveva  spesso  i  bagliori  e  i  fremiti  d'un  cupo  dolore: 
i  sentimenti,  che  ne  erano  espressi  e,  a  un  tempo,  accresciuti,  eran 


(1)  V.  Sp.  prom.,  pp.  83,  120-1,  in  cui  il  frate  perfino  negli  ammonimenti  fatti  a 
Renzo  rifletteva  molto  del  suo  intimo  affanno,  e  pp.  746-8,  tutte  pervase  dall'amarezza 
del  ricordo  e  del  pentimento.  E  cfr.  quelle  parole  che  diceva  al  giovine  :  «  Son  qua- 
rant'anni  ch'io  vi  penso,  e  grazie  a  Dio,  per  quarant'anni  ne  ho  avuto  dolore,  e  mi 

sono  accusato Non'creder  tu  ora  dunque  di  poter  consolarmi  :  consolati  piuttosto  di 

essere  tu  in  tempo  di  perdonare:  non  ispender  vane  parole;  ascolta  piuttosto  le  mie: 
v'è  dentro  il  pensiero  di  tutta  la  mia  vita,  della  men  trista  parte  di  essa»...  (Sp. 
prom.,  p.  746)  con  queste  de'  Prom.  sp.,  più  misurate  e  profonde:  «  Ah  !  s'io  potessi  ora 
metterti  in  cuore  il  sentimento  che  dopo  ho  avuto  sempre,  e  che  ho  ancora  per  l'uomo 
ch'io  odiavo»!  (cap.  XXX v.  p.  527). 

(2)  Sp.  prom..  pp.  439-53;  Prom.  sp.,  cap.  XXV.  pp.  373-6;  cap.  XXVI.  pp.  376-82. 


LA   GENESI   ETICO  -  RELIGIOSA  119 


proprio  quelli  che  il  poeta  scorgeva  dipinti  e  nel  vólto  composto  al 
silenzio:  »  «  l'ira  senza  peccato,  la  commiserazione,  un  riflesso  di 
terrore  sopra  se  stesso  al  ricordo  di  quei  doveri,  che  gli  erano  co- 
muni con  quello,  eh'  egli  riprendeva  d'  averli  sconosciuti  >  (^). 
Tutta  la  scena  era  dominata  da  una  viva  apprensione  della  tristezza 
del  mondo  (*),  dell'  angosciosa  infermità  della  carne  {^),  de'  duri 
contrasti  del  debole  con  l' iniquità  (*),  del  pervertimento  a  cui 
l'ingiustizia  patita  trascina  gli  onesti  (*)  :  nel  suo  acceso  discorso 
Federigo  univa  anche  una  «  pietà  rispettosa  »  per  la  debolezza 
carnale  del  curato  ai  rimproveri  per  l'abbandono  in  cui  egli  aveva 
lasciato  gì'  innocenti,  ma  lo  richiamava,  a  un  tempo,  con  asce- 
tica rudezza   al   dovere  di  sacrificare   la  vita  (^),  e  delle  sentenze 


(1)  Sp.  prom.,  p.  449. 
^^t2F«  L' uomo  —  diceva  —  è  tanto  artificioso  per  giustificare  i  mezzi  che  lo  possono 
condurre  ai  suoi  desiderj  :  che  debb'essere  quando  i  desider j  son  giusti  ?..  Ah  !  tutti 
errano  pur  troppo,  anche  quelli  che  dovrebbero  raddrizzare  gli  errori  altrui:  v'ha 
tanti  scellerati  impuniti,  Dio  volesse  che  la  paura,  che  il  terrore  della  pena  non  ca- 
desse mai  sugli  innocenti  »  !  (Sp.  prom.,  p.  447).  E  dei  poveri  diceva  :  «  Ah  !  per  quanto 
l'iniquità  trionfi,  s'è  pure  annessa  un  po'  di  forza  per  la  giustizia;  ma  i  poverelli, 
inesperti,  ignari,  diffidati,  non  sanno  dove  andarla  a  cercare:  bussano  alla  prima 
porta  ;  e,  se  la  trovano  chiusa,  sorda,  crudele,  si  disanimano  affatto,  e  non  sanno  come 
adoprarsi  »  (p.  446). 

(3)  Al  confessato  spavento  di  don  Abbondio  Federigo  ripigliava  :  «  La  carne  in- 
ferma, ed  è  questa  la  nostra  miserabile  condizione  »•,  e  poi  :  «  Il  vostro  corpo  si  abbattè 
sotto  lo  spavento:  guai  al  tristo  superbo,  che  ne  pigliasse  argomento  di  befi"a  e  di  di- 
spregio :  per  questa  debolezza,  che  non  è  della  vostra  volontà,  non  sento  altro  che  una 
pietà  rispettosa;  ma  nella  umiliazione  del  vostro  terrore,  ma  nelle  angosce  della 
nostra  infermità,  come  non  avete  pensato  alle  angosce,  che  erano  minacciate  a  quelli 
pei  quali  voi  dovevate  vegliare»*  'Sp.  protri.,  pp.  444,  445). 

(4)  «  Pur  troppo  —  osservava  amaramente  —  io  l' ho  più  volte  esperimentato  in 
questa  diffìcile  altezza:  il  debole  che  si  richiama  al  superiore,  che  gli  fa  conoscere  la 
sua  ragione,  che  ottiene  una  giustizia,  troppo  spesso  momentanea,  peggiora  spesso  la 
la  sua  condizione.  Quegli,  che  è  stato  ripreso  per  sua  cagione,  tace  dinanzi  alla  ri- 
prensione, cede  al  suo  maggiore  ;  ma  trova  poi  il  mezzo  di  fare  espiare  al  debole  quel 
breve  trionfo.  Son  tanti  i  mezzi  di  fare  anche  torto  al  debole  »...  (Sp.  prom.,  pp.  451-2). 

(5)  Del  presunto  pervertimento  di  Renzo  «  profugo,  esacerbato,  col  sentimento  della 
giustizia  negata  »,  Federigo  faceva  apertamente  carico  a  don  Abbondio,  dicendo  fra 
altro:  «I  poverelli  sanno,  devono  purtroppo  saperlo,  che  v'ha  dei  soverchiatori  vio- 
lenti:   hanno  appreso  ad  adorare  anche  nella  iniquità  degli  uomini  la  giustizia  e 

la  misericordia  di  Dio  entrambe  infallibili,  ma  riserbate  entrambe  a  momenti  eh'  Egli 
solo  conosce.  E  quante  volte  la  persecuzione  dell'empio  non  accresce  in  essi  la  fede? 
Ma  quello  che  la  turba,  quello  che  investe  la  loro  coscienza,  quello  che  travolge  il  loro 
proposito,  è  l'abbandono  per  parte  di  coloro  che  predicano  la  fede,  la  coscienza,  il  pro- 
posito   Quell'infelice  ha  veduta  e  ha  sentita  l'ingiustizia  sola:  l'ha  veduta  impu- 
nita, temuta;  ha  veduto  colui,  dal  quale  aveva  imparato  a  detestarla,  ritirarsi,  cedere, 
assecondarla,  quando  si  è  mostrata  nella  sua  forza;  dopo  averla  abborrita,  egli  ne  è 
stato  abbagliato,  ne  ha  fatto  il  suo  Dio».  {Sp.  prom.,  pp.  448-9). 

(6)  «  Offeritela  —  incalzava  il  cardinale  —  per  le  mani  dei  violenti  in  sacrificio 
alla  fede  e  alla  carità,  e  la  Chiesa  la  raccoglierà  come  un  nobile  tesoro,  la  conserverà 
di  generazione  in  generazione,  di  sacerdozio  in  sacerdozio,  come  un  oggetto  di  culto, 


120  PARTE  PRIMA 


del  divino  Maestro  ripeteva  contro  il  pusillanime  la  più  fiera  e  ter- 
ribile (*). 

Nella  nuova  stesura  il  tòno  è  grave,  austero,  accorato,  ma  non 
<ì09ì  cupamente  doloroso  come  nella  prima:  Federigo  interroga  e 
scruta,  incita  e  contuta,  rimprovera  e  giudica  più  con  l'ansia  di  ri- 
durre il  curato  alla  confessione,  al  pentimento,  alla  promessa  di  ca- 
rità che  di  suscitargli  nell'animo  l'orrore  dell'iniquità  commessa, 
senza  perturbarlo,  come  faceva  negli  Sposi  promessi,  con  la  visione 
della  sciagurata  vita  di  Renzo:  nella  sua  voce  vibra  piuttosto  la 
gentile  energia  di  Paolo  che  il  fremito  minaccioso  del  veggente  di 
Patmos  :  pensoso  delle  umane  passioni  non  meno  che  lo  fosse  nella 
primitiva  redazione  del  colloquio,  è  tuttavia  parco  nel  dipingerle  e 
nel  deplorarle  (*);  più  che  il  cruccio  per  la  tristizia  de'  potenti, 
per  l'oppressura  degli  umili  e  l' infermità  della  carne,  erompe  dal 
suo  discorso  la  convinzione  cristiana  della  santità  del  ministero^ 
della  potenza  di  Dio,  che  largisce  infallibilmente  il  coraggio  a  chi 
glielo  chiede,  della  necessità  del  dovere  e  dell'amore  (^)  :  onde  in- 
siste con  penetrante  analisi  nell'esaminare  la  colpa  del  parroco  vile, 
nel  precisare  la  condotta  che  questi  avrebbe  dovuto  tenere  (*),  sor- 
volando sulle  funeste  conseguenze  del  suo  fallo  ('):  insomma  dal 
contegno  e  dalle  parole  dell'alto  prelato  traspira  un'indignazione 
profonda  sì,  ma  contenuta,  una  fierezza  evangelica  non  scompagnata 


■come  un  testimonio  della  forza  che  le  è  stata  data  dall'alto,  come  un  tempio  dove  lo 
spirito  avrà  operate  le  sue  meraviglie»  (Sp.  prom.,  pp.  441-2). 

(1)  «  Chi  non  ha  cura  dei  suoi  —  ripeteva  con  Gesù  il  cardinale  —  ha  negato  la 
fede,  è  peggiore  dell'infedele»  (Sp.  jjrom.,  p.  449). 

(2)  Sono  rapidi  accenni  o  giudizi  pacati:  «Non  sapevate  voi  che  e' eran  de'  vio- 
lenti, a  cui  potrebbe  dispiacere  ciò  che  a  voi  sarebbe  comandato*  »  (cap.  XXV,  p.  374). 

«  Perchè vi  siete  voi  impegnato  in  un  ministero  che  v'impone  di  stare  in  guerra 

con  le  passioni  del  secolo!»  (ibid.,  p.  376).  «  L'iniquità s'era  fatta  vedere  a  voi, 

per  intimarvi  il  suo  desiderio;  ma  voleva  rimanere  occulta  a  chi  avrebbe  potuto  ri- 
pararsi da  essa,  e  mettersi  in  guardia;  non  voleva  che  si  facesse  rumore,  voleva  il 
segreto,  per  maturare  a  suo  bell'agio  i  suoi  disegni  d'insidie  o  di  forza;  vi  comandò 
la  trasgressione  e  il  silenzio:  voi  avete  trasgredito,  e  non  parlavate»  (cap.  XXVI, 
p.  377).  «Non  sapevate  che,  se  l'uomo  promette  troppo  spesso  più  che  non  sia  per 
mantenere,  minaccia  anche  non  di  rado,  più  che  non  s'attenti  poi  di  commettere?  Non 
sapevate  che  l'iniquità  non  si  fonda  soltanto  sulle  sue  forze,  ma  anche  sulla  credulità 
e  sullo  spavento  altrui  ȓ  (ibid.,  p.  379). 

(3)  V.  specialmente  le  pp.  376  e  378. 

(4)  V.  pp..cit.  e  pp.  377,  379. 

ib)  Vi  allude  con  quelle  parole:  «avendone  presa  un'altra  [strada],  ne  restate 
mallevadore  voi  ;  e  di  quali  conseguenze  »  !  (ibid.,  p.  378)  e  un  po'  più  apertamente, 
ma  misuratamente,  con  quest'altre:  «Ora  uno  fuggitivo  da  casa  sua,  l'altra  in  pro- 
cinto d'abbandonarla,  tutt'e  due  con  troppo  forti  motivi  di  starne  lontani,  senza  pro- 
babilità di  riunirsi  mai  qui,  e  contenti  di  sperare  che  Dio  li  unisca  altrove  »  (ibid., 
pp.  381-2). 


LA    GENESI   ETICO -RELIGIOSA  121 


da  un  grande  ardore  di  carità,  un  vivo  dolore  per  le  aberrazioni 
umane,  ma  temperato  dalla  speranza.  Non  v'era  nella  prima  reda- 
zione la  magnifica  frase  di  don  Abbondio:  il  coraggio,  uno  non  se 
lo  può  dare  »  (*)  ;  né  all'  atto  del  colpevole  che  «  restò  lì  senza 
articolar  parola  >  alle  domande  di  Federigo:  «  cosa  v'ha  ispirato  il 
timore,  l'amore?  cosa  avete  fatto  per  loro?  cosa  avete  pensato  »  ?, 
seguiva  quella  curiosa  riflessione  del  Manzoni  :  «  anche  noi  sentiamo 
una  certa  ripugnanza  a  proseguire  :  troviamo  un  non  so  che  di 
strano  in  quel  mettere  in  campo,  con  così  poca  fatica,  tanti  bei 
precetti  di  fortezza  e  di  carità,  di  premura  operosa  per  gli  altri,  di 
sacrifizio  illimitato  di  se.  Ma  pensando  che  quelle  cose  erano  dette 
da  uno  che  poi  le  faceva,  tiriamo  avanti,  con  coraggio  »  (*). 

La  risposta  di  don  Abbondio  non  è  soltanto  una  magistrale  pen- 
nellata che  ne  mette  in  piena  luce  il  carattere,  ma  insieme  con  quel 
commento,  così  sapido  d'arguta  bontà,  rivela  un  aspetto,  che  nella 
prima  redazione  dell'episodio  rimaneva,  se  non  occulto,  oscurato, 
del  pensiero  etico  e  religioso  del  Manzoni:  quell'attitudine,  eserci- 
tata con  serena  indulgenza,  a  non  trascurare,  nel  giudizio  dell'  uomo, 
1  limiti  e  i  mezzi  della  nostra  natura,  a  valutare,  senza  querimonie 
o  recriminazioni,  la  distanza  tra  ciò  che  1'  uomo  è  nella  sua  realtà 
storica  e  1'  ideale  di  perfezione,  che  gli  si  offre  ne'  precetti  e  negli 
esempi  solenni.  Codesta  concezione  più  comprensiva  e  pili  profonda 
della  realtà  limitatrice  dell'  ideale,  ha  consentito  al  Manzoni  di  rag- 
giungere la  più  alta  vetta  della  coscienza  cristiana,  di  guardare, 
cioè,  la  vita,  temperando  con  la  sapiente  bontà,  ispirata  dall'espe- 
rienza e  dal  senso  del  reale,  1'  austero  pessimismo  germinante  dal 
fondo  stesso  dell'etica  religiosa;  ha,  di  conseguenza,  concorso  a 
quella  maggior  misura  e  sobrietà,  a  quella  concretezza  più  risentita 
e  vitale,  a  quella  più  universale  umanità  di  che  a  suo  tempo  ve- 
dremo la  fantasia  dello  scrittore  rinnovar  la  materia  del  primo  getto. 

Né  soltanto  nel  luogo  citato,  ma  in  altri  ancora,  che  nella  prima 
stesura  non  si  ritrovano,  vediamo  i  segni  di  cotale  attitudine  del 
pensiero  manzoniano.  Nel  rifare  la  biografia  di  Federigo  Borromeo 
il  Manzoni  ci  offriva  da  prima  un  ritratto  di  quasi  assoluta  perfe- 
zione, evidentemente  per  rendere,  in  forza  del  contrasto,  più  turpe 
e  obbrobrioso  il  quadro  della  corruttela  e  della  barbarie  della  so- 
cietà secentesca;  e,  se  pure  ammetteva  che  talune  superstizioni  uni- 
versali si  fossero  imposte  alla  mente  di  quel  magnanimo,  ne  esaltava 


(1)  Prom.  sp.,  cap.  XXV,  p.  375. 

(2)  Ibid.,  p.  376  e  cap.  XXVI,  377. 


122  PARTE   PRIMA 


la  somma  virtù  anche  nell'  applicazione  di  esse  (*).  Ma  ecco  l'osser- 
vato concetto  della  realtà  limitatrice  dell'ideale,  inducendo  il  Man- 
zoni ad  una  valutazione  più  esattamente  storica  di  quella  complessa 
personalità,  gli  suggerisce  la  notevole  aggiunta  che  si  legge  nel- 
l'ultima redazione:  <  Non  dobbiamo  però  dissimulare  che  tenne  con 
ferma  persuasione,  e  sostenne  in  pratica,  con  lunga  costanza,  opi- 
nioni, che  al  giorno  d'oggi  parrebbero  a  ognuno  piuttosto  strane 
che  mal  fondate  >,  e  gli  fa  lasciare,  con  arguto  riguardo,  insoluta 
la  questione  se  possa  valere  «  quella  scusa  così  corrente  e  ricevuta, 
ch'erano  errori  del  suo  tempo  piuttosto  che  suoi  »,  «  bastandoci  — 
soggiunge  —  d'  avere  accennato  così  alla  sfuggita  che,  d' un  uomo 
così  ammirabile  in  complesso,  noi  non  pretendiamo  che  ogni  cosa 
lo  fosse  ugualmente;  perchè  non  paia  che  abbiam  voluto  scrivere 
un'  orazion  funebre  »  (^). 

Nella  scena  stessa  dell'incontro  de'  bravi  la  paura  di  don  Ab- 
bondio non  aveva  nel  prima  getto  quello  sviluppo  organico,  quella 
determinazione  di  motivi  e  d'atteggiamenti  che  ha  ricevuto  di  poi. 
Dopo  le  prime  brevi  battute  di  divieto  circa  il  famoso  matrimonio 
e  d'intimidazione,  uno  de'  bravi  usciva  a  dire:  «  Signor  Curato,  ci 
ha  intesi:  l'illustrissimo  Signor  don  Rodrigo  nostro  padrone  le  fa 
i  suoi  complimenti».  Poi  seguiva  l'intimazione  del  segreto  e  tra 
questa  e  il  salato  significativo  da  parte  di  don  Rodrigo  non  corre- 
vano che  le  magre  parole  del  curato  :  «  Se  mi  sapessero  suggerire...  » 
e  quelle,  di  rimando,  del  bravo:  «Oh!  suggerire  a  lei  che  sa  il 
latino  »  (3)  !  Nel  rifacimento  ha  tutto  un  nuovo  vivido  risalto  l' im- 
pressione di  sgomento  che  colpisce  il  malcapitato  a  sentire  il  nome 
di  don  Rodrigo:  «  fu,  nella  mente  di  don  Abbondio,  come,  nel  forte 
d'un  temporale  notturno,  un  lampo  che  illumina  momentaneamente 
e  in  confuso  gli  oggetti,  e  accresce  il  terrore  ».  Il  dialogo,  dopo 
l'intimazione  del  silenzio,  prosegue  tra  quel  domandare  esigente 
del  bravo  :  «  Via,  che  vuol  che  si  dica  in  suo  nome  all'  illustrissimo 
signor  don  Rodrigo?..  »  e  il  titubare  del  curato  che  risponde:  «Il 
mio  rispetto...  »  ;  tra  l'incalzar  dell'  uno  con  quel  brusco:  «  Si  spie- 
ghi meglio  »  !  e  quella  disperata  dedizione  dell'altro:  «  Disposto... 
disposto  sempre  all'  ubbidienza  »  ;  e  ha  per  suggello  quel  commento, 
pieno  d' ironica  urbanità,  dell'autore:  «  proferendo  queste  parole,  non 
sapeva  nemmen  lui  se  faceva  una  promessa  o  un  complimento  »  {*). 


(1)  V.  n.  296. 

(2)  Prom.  sp.,  cap.  XXII,  pp.  323-4. 

(3)  Sp.  prom.,  p.  21. 

(4)  Prom.  sp.,  cap.  I,  pp.  12-13. 


LA    GENESI   ETICO  -  RELIGIOSA  123 

La  cura  con  cui  il  Manzoni  svolge,  e  arricchisce  di  motivazioni 
nuove,  l'azione  dialogica  nell'ultima  forma  dell'episodio,  risolve  la 
situazione,  ch'era  nella  primitiva  ancor  vaga  e  imprecisa,  dell'evi- 
dente contrasto  tra  la  natura  di  don  Abbondio  e  l'arduo  ufficio  del 
suo  ministero:  la  risolve  deliberatamente  con  una  catastrofe  così 
chiara  e  definitiva  che  non  solo  ne  vediamo  escire  ormai  nettamente 
segnato  il  profilo  psicologico  e  morale  del  personaggio,  ma  avver- 
tiamo con  quale  forza  immanente  e  irresistibile  la  realtà  delle  cose 
e  de'  temperamenti  umani  perturbi,  o  addirittura  soggioghi,  le  più 
alte  missioni  ideali  della  vita  :  sentiamo  che  l' ideale  è  grande  e 
degno,  altresì,  d'essere  esaltato  nella  parola  severa  e  ardente  d' un 
Federigo  Borromeo,  ma  che,  nella  realtà  dell'  azione,  urta  irrepa- 
rabilmente contro  il  limite  della  nostra  natura  finita. 

A  questa  semplice  verità  umana  pensava  il  Manzoni  nel  ritoccare 
il  contegno  degli  sposi  e  di  Agnese  fuggiaschi,  quando  fra  Cristo- 
foro mostra  di  credere  che  Menico  «  gli  avesse  trovati  tranquilli  in 
casa,  prima  che  arrivassero  i  malandrini  »  :  «  nessuno  lo  disingannò  — 
dice  il  Manzoni  ne'  Promessi  sposi  —  nemmeno  Lucia,  la  quale  però 
sentiva  un  rimorso  segreto  d'una  tale  dissimulazione,  con  un  tal 
uomo  ;  ma  era  la  notte  degl'  imbrogli  e  de'  sotterfugi  »  {}).  Questo 
tratto  non  si  leggeva  nella  minuta,  né  v'era  altro  che  un  cenno  della 
rivelazione,  fatta  dal  frate,  del  pericolo  corso  dalla  povera  Lucia  (^). 
Con  r  avere  circostanziato  e  precisato  quel  primo  incontro,  e  fatto 
commettere  ai  fuggiaschi,  a  Lucia  stessa,  un  altro  imbroglio  dopo 
quello,  più  grosso,  del  tentativo  di  matrimonio  per  sorpresa,  il  Man- 
zoni ha  voluto  riavvicinare  all'ordinaria  realtà  delle  cose  e  dello 
spirito  tali  personaggi,  come  son  questi,  pensati  e  plasmati  al  lume 
del  suo  ideale  religioso,  perfino  quella  sua  Lucia  in  cui  si  compiace 
specchiare  talune  delle  più  alte  virtù  cristiane:  ne  ha  sottoposto, 
per  così  dire,  la  genesi  idealistica  (né  in  questo  sol  punto,  né  di 
questi  personaggi  soltanto)  all'  «  acre  foco  »  del  realismo  psicologico, 
limitando,  sì,  l'ideale,  ma  approfondendo  l'umanità  delle  creature 
nate  dalla  sua  coscienza  morale  e  artistica.  Chi  non  sente  quanta 
vita  vera  palpiti  in  quella  notte  che  il  corso  del  destino  voleva  fosse 
«  la  notte  degl'  imbrogli  e  de'  sotterfugi  »  per  tutti,  —  e  buoni  e  cat- 
tivi, e  oppressi  e  oppressori,  e  piccoli  e  grandi,  —  e  come  natural- 
mente pervada  e  di  sé  colorisca  spiriti  e  cose  la  realtà  con  le  sue 
leggi  ferree  e  con  le  sue  imperfezioni  irrimediabili? 


(1)  Prom.  sp.,  cap.  Vili,  p.  120. 

(2)  Sp.  prom.,  p.  148.  Questo  era  tutto:  «E  qui  raccontò  ai  poveretti  il  pericolo  a 
cui  erano  sfuggiti  ». 


124  PARTE    PRIMA 


Alla  realtà,  limitatrice  delle  forze  morali  dell'uomo,  nessuno  sfugge 
de'  personaggi  manzoniani  :  non  Federigo,  non  Lucia,  non  fra  Cri- 
stoforo; tanto  meno  gli  altri:  essa  è  la  legge  eterna  della  vita,  dal 
poeta  assunta  nel  disegno  dell'  azione  generale  e  nella  creazione 
particolare  de'  caratteri  :  ancora  confusamente  intuita  e  incertamente 
applicata  nella  prima  forma  del  romanzo,  qualche  volta  rudemente 
applicata  per  eccesso  di  colorito  storico  e  di  psicologismo,  come 
nella  primitiva  figurazione  del  carattere  di  fra  Cristoforo,  s'è  fatta 
chiara,  armonica,  costante  nell'ultima  forma,  cooperando  a  tempe- 
rare, nel  gioco  delle  idee  etiche  e  de'  motivi  sentimentali  e  nel 
processo  stesso  di  ricreazione  e  trasfigurazione  fantastica,  gli  eccessi 
di  pessimismo  e  d' idealismo  moralistico  del  primo  getto  e  ad  uni- 
ficare le  due  contrastanti  tendenze  in  una  piti  cooerente  e  serena 
concezione  cristiana. 


PARTE    SECONDA 


LA  GENESI  LETTERARIA 


Capitolo  I. 
Fondamenti  dell'estetica  manzoniana 


I.  L'arte  come  rappresentazione  delle  verità  eterne  dello  spirito.  — 
II.  La  poesia  in  relazione  con  V  ideale  di  perfezione  e  con  la 
realtà  conosciuta.  —  III.  La  poesia  e  la  verità  storica. 

I.  Come  nella  prima  parte  di  questo  lavoro  ho  ricercato  e  illustrato 
la  genesi  e  la  trasformazione  del  romanzo  manzoniano  in  ordine  ai 
principi,  ai  motivi  e  agli  atteggiamenti  del  pensiero  etico-religioso, 
donde  il  poeta  trasse  la  più  remota  e  più  profonda  ispirazione,  così 
ora  devo  riguardare  dell'  una  e  dell'  altra  le  ragioni  e  le  vicende  in 
ordine  alle  sue  idee  letterarie  e  al  suo  sistema  del  romanzo  storico. 

E  impossibile  farsi  un'  idea  esatta  dell'  estetica  manzoniana,  se  non 
se  ne  studiino  le  relazioni  di  dipendenza  e  d'influsso  reciproco 
eh'  essa  ha  con  le  idee  morali  dello  scrittore  e  col  suo  concetto  del 
vero  e  della  storia. 

Pel  Manzoni  1'  attività  poetica  e  il  sentimento  e  il  giudizio  mo- 
rale sono  inscindibili  nell'unità  dello  spirito.  Solo  quando  si  fondi 
su  quest'accordo,  la  poesia  è  consolatrice  della  vita  e  ausiliatrice 
della  missione  religiosa:  luce  benigna  riverberata  da  quell'ordine 
ideale  che  noi  vagheggiamo,  ma  che  non  ha  compimento  se  non 
oltre  il  nostro  vivere  terreno  (*).  Fermo  questo  concetto  che  la  poesia 
deva  essere  un'efficace  e  piena  rappresentazione  del  mondo  morale, 
il  Manzoni  non  si  perita  d'  asserire  :  «  la  perfezione  morale  è  la 
perfezione  dell'arte»;  onde  Shakespeare  sovrasta  a  tutti  i  poeti, 
«perchè  più  morale  »,  cioè  perchè  primeggia  in  quella  «  rappresen- 
tazione dei  dolori  profondi  e  dei  terrori  indeterminati  »  che^  secondo 


(1)  0%)p.  in.  0  r.,  voi.  Ili,  p.  198. 


128  PARTE   SECONDA 


il  Manzoni,  «  è  sostanzialmente   morale,    perchè  lascia  impressioni 
che  ci  avvicinano  alla  virtù  »  (*). 

Pensa  egli  che  «  più  si  va  in  fondo  del  cuore,  »  più  si  scopre 
r  uomo  nella  sua  intima  e  profonda  natura,  commosso  o  dal  dolore 
o  dal  terrore,  e  che  per  tal  via  «  più  vi  si  trovano  i  principi  eterni 
della  virtù  >,  Questi,  «nelle  circostanze  comuni,»  cioè  «nelle  pas- 
sioni più  attive  che  profonde  »,  più  sensuali  che  spirituali,  come  ne' 
desideri  e  conati  «  verso  un  intento,  sia  d'amore,  sia  d'ambizione, 
sia  d'altro»,  sono  dimenticati  dall'uomo.  L'arte  che  rappresenti  co- 
desta vita  superficiale  dello  spirito  non  ha  la  nostra  simpatia,  non 
genera  l'immedesimazione  dell'anima  nostra  con  la  rappresentazione 
poetica:  è  l'arte  delle  opere  teatrali  francesi,  guardando  esclusiva- 
mente le  quali  il  Bossuet,  il  Nicole  e  il  Rousseau  sentenziarono  es- 
sere il  teatro  essenzialmente  immorale.  Qual' è,  per  contro,  l'effetto 
della  rappresentazione  artistica  «  dei  dolori  e  dei  terrori  »  ?  Che 
r  uomo,  trasportandosi  con  l' immaginazione  fuori  delle  cose  note, 
degli  accidenti  comuni  della  vita  nella  «  regione  infinita  dei  possibili 
mali,  sente  la  sua  debolezza;  le  idee  ilari  di  vigore  e  di  difesa  l'ab- 
bandonano, e  pensa  che  in  quello  stato,  la  sola  virtù  e  la  retta  co- 
scienza e  l'aiuto  di  Dio  posson  dare  qualche  soccorso  alla  mente  »  (*). 

Ripensiamo  alla  notte  terribilmente  angosciosa  dell'  Innominato 
nel  suo  castello,  a  quella,  agitata  da  ben  altri  terrori  e  patimenti, 
di  Lucia,  al  pauroso  sogno  di  don  Rodrigo,  al  terrore  che  l' invade, 
quando  scorge  su  se  stesso  i  segni  mortali  della  peste,  e  all'agonia 
greve  silenziosa  di  lui  sul  giaciglio  nel  lazzaretto  :  sono  stati  d' a- 
nimo  e  scene  che  il  poeta  ha  vigorosamente  concepito  e  rappresen- 
tato conformi  a  quel  suo  ideale  d'arte  austeramente  edificativa. 

La  poesia  —  ammonisce  inoltre  il  Manzoni  —  deve  rendere  il 
lettore  o  lo  spettatore  non  complice  de'  personaggi  e  delle  passioni 
loro,  ma  giudice,  e  farlo  sentire  separatamente  da  essi:  cioè  la 
rappresentazione  delle  passioni  non  deve  eccitar  la  simpatia,  ma  la 
riflessione  sentita;  solo  in  questo  caso  è  veramente  poetica  (^).  E 
poetico  sempre  sarà  altresì  il  rappresentare  coi  mezzi  dell'arte  le 
inquietudini  e  i  patimenti  umani,  poiché  il  poeta  non  può  dare  che 
una  visione  pessimistica  della  vita:  dipingere  le  «  rimembranze  meste 
del  passato,  che  ci  sembra  essere  stato  più  felice  per  noi  »,  e  le 
«  speranze  dell'avvenire  »  è  far  poesia;  «  ma  deve  il  poeta  far  sentire 
la  vanità  di  questi  sentimenti  ».  Ed  ecco  il  Manzoni  chiarire  con 


(1)  ma.,  p.  163. 

(2)  Ibid.,  pp.  205-9. 

(3)  Jìiid.,  pp.  210,  212. 


LA   GENESI   LETTERARIA  129 


nuovo  acume  una  sua  idea  estetica,  già  in  altro  luogo  adombrata, 
con  questa  schietta  asserzione  :  «  A  chi  dicesse  che  la  poesia  è  fon- 
data sulla  immaginazione  e  sul  sentimento  e  che  la  riflessione  la 
rafiFredda,  si  può  rispondere  che  piti  si  va  addentro  a  scoprire  il 
vero  nel  cuore  dell'  uomo,  più  si  trova  poesia  vera  (*)  », 

Il  Manzoni  stringe  in  una  sola  unità  spirituale  il  «  bello  morale  » 
e  il  «  bello  poetico  »,  reputandone  assurda  la  distinzione,  perchè  la 
poesia  non  può  aver  fondamento  che  sulla  verità,  non  la  verità 
che  abbia  1'  approvazione  de'  contemporanei,  in  quanto  è  conforme 
alle  loro  idee  e  ai  loro  gusti,  ma  quella  che  ottiene  1'  assentimento 
de'  posteri:  unicamente  interessanti  sono  le  verità  che  non  soddi- 
sfano gli  spiriti  leggeri,  ma  quelli  che  cercano  di  comprendere  la 
natura  umana  ed  i  mali  della  vita  (*). 

Il  diletto  letterario  stesso  non  è  che  assentimento  alle  verità  mo- 
rali. E  non  può  essere  inteso  che  in  questo  senso  morale  ciò  che  il 
nostro  scrittore  dice  del  «  sentimento  vero  e  sincero  »  espresso  dalla 
poesia  cui  spetti  l'immortalità.  Ne  consegue  che  il  poeta  deve  ten- 
dere «  al  perfezionamento  della  società  »,  disobbligandosi  dalle  par- 
ticolari circostanze  del  suo  secolo,  per  avventura  opposte  a  quel 
fine,  giacché  «  le  cose  eternamente  vere  sono  le  più  sentite  e  le  più 
lodate^  se  non  dai  contemporanei,  dai  posteri  (^)  ;  con  ciò  il  Manzoni 
afferma  un  principio  che  supera  la  poetica  de'  romantici  italiani, 
quello  dell'universalità  e  perennità  della  poesia  in  ragione  diretta 
delle  leggi  e  degli  aspetti  eterni  della  vita,  che  l' arte  intuisce  e  si- 
gnifica nelle  sue  forme  concrete.  Egli  è  perciò  avverso  a  tutte  le 
censure  e  le  distinzioni  sistematiche  e  ai  pregiudizi  teorici,  che  vor- 
rebbero limitare  l'indipendenza  dell'arte;  onde  allo  stesso  A.  G. 
Schlegel,  tanto  caro  ai  romantici,  che  nel  suo  corso  di  letteratura 
drammatica  aveva  mosso  appunti  alle  tragedie  d'Euripide,  perchè 
non  vi  trovava  la  pura  essenza  del  dramma  greco  né  l'idea  domi- 
nante del  Fato,  il  Manzoni  osserva  che  Euripide  era  libero  di  con- 
cepire un'altra  specie  di  tragedia,  né  poteva  quell'idea,  in  quanto 
falsa  e  caduca,  costituire  il  carattere  esclusivo  della  poesia  dram- 
matica (*). 

Al  medesimo  Schlegel,  il  quale  aveva  detto  essere  l' ispirazione 
dell'Alfieri  piuttosto  politica  e  morale  che  poetica,  ribatte  che  tale 


(1)  Ibid.,  p.  197. 

(2)  «  11  n'  y  a  qu'  une  règie  pour  juger  des  peintures  de  caractère;  c'est  d'examiner 
si  elles  présentent  des  vérités  intéressants  ».  (Opp.  in.  o  r.,  voi.  II,  p.  440). 

(3)  Ibid.,  p.  441. 

(4)  Ibid.,  p.  433. 


Bu  setto  —  e 


130  PARTE    SECONDA 


distinzione,  all'analisi  dell'opera  alfleriana,  svanirebbe  (*),  appunto 
perchè  un  ideale  politico  ed  etico,  poeticamente  significato^  in  quanto 
è  una  verità  eterna  dello  spirito,  non  può  non  essere  l'essenza  stessa 
della  poesia  che  lo  rappresenta.  Posto  come  principio  dell'arte  l' in- 
scindibilità della  rappresentazione  artistica  dal  suo  contenuto  ideale, 
non  poteva  giudicare  che  sorgente  inesauribile  d'errori  la  distinzione, 
usata  nella  critica  anche  de'  suoi  giorni^  tra  le  idee  e  le  emozioni: 
non  si  può  fare  —  egli  osserva  —  poesia  senza  idee,  e  se  un'opera 
letteraria  produce  delicate  emozioni  in  chi  s'accosti  ad  intenderla  e 
a  gustarla,  bisogna  ammettere  eh'  essa  sia  l'espressione  di  un  ordine 
d'idee  dominanti  a  cui  si  sia  elevato  arditamente  11  poeta;  poiché 
che  fa  il  poeta  se  non  «  dare  espressione  ai  desideri,  ai  patimenti 
e  alle  convinzioni  della  società?  (*).  Ma  —  si  noti  bene  —  non 
perciò  il  poeta  ha  da  «  tener  conto  delle  norme  convenzionali  e  dei 
desideri,  per  lo  più  temporanei,  della  maggior  parte  dei  lettori  »  ; 
poiché,  se  è  l'interprete  d'un  mondo  ideale,  non  ha  «mezzo  mi- 
gliore >  pel  suo  alto  fine  che  «  di  fermarsi  nella  viva  e  tranquilla 
contemplazione  »  del  suo  argomento  {^). 

Questo  modo  di  considerar  la  poesia  come  lo  specchio  di  principi 
eterni,  come  uno  strumento  del  perfezionamento  morale  e  sociale 
dell'uomo  non  limita  lo  spirito  critico  del  Manzoni,  quando  gli  si 
offre  il  destro  di  valutare  l'organismo,  che  è  quanto  dire  l'unità 
estetica  dell'opera  d'arte.  In  una  lettera  a  Diodata-Saluzzo,  ben 
nota,  ma,  eh'  io  sappia,  non  del  tutto  apprezzata  per  le  idee  che  vi 
sono  espresse,  egli,  conformandosi  ad  un  principio  enunciato  da 
A.  G.  Schlegel,  dimostra  con  mirabile  chiarezza  che  il  valore  di  un 
componimento  letterario  consiste  nell'avere  una  forma  organica, 
individuata,  con  caratteri  suoi  propri,  con  una  sua  intima  armonia 
e  convenienza  della  rappresentazione  al  soggetto,  con  un  suo  svol- 
gimento interiore  e  una  tale  relazione  delle  parti  tra  loro  che  con- 
ferisca equilibrio  logico  e  unità  artistica  al  tutto  (*).  Ma  le  parti, 
—  avverte  il  Manzoni,  correggendo  un  altro  giudizio  dello  Schlegel 
a  proposito  di  una  situazione  del  coro  nell'Antigone  sofoclea  —  ab- 
biano ciascuna  la  propria  ragione  logica  e  compiutezza  poetica  in 
8è,  indipendentemente  dal  suo  rapporto  col  tutto  (^)  ;  onde  è  giu- 
sto —  soggiunge  contraddicendo  ancora  quel  critico  tedesco  —  che 


(1)  Ibid.,  p.  435. 

(2)  Ibid.,  p.  438. 

(3)  Lett.  al  Goethe  del  23  genn.  1821  (in  Cart.  cit.,  p.  520). 

(4)  Lett.  del  6  sett.  1827  (in  Epist.  cit.  voi.,  I,  pp.  355-7). 

(5)  Opp.  in.  o  r.,  voi.  II,  p.  432. 


LA   GENESI    LETTERARIA  131 

si  ammiri  la  parte,  che  sia  per  sé  bellissima,  di  un'opera,  anche  se 
le  altre  siano  difettose,  giacché  il  fatto  che  le  parti  coesistono  ne- 
cessariamente nel  tutto  non  legittima  il  pregiudizio  che  così  le  parti 
belle  come  le  brutte  abbiano  a  soggiacere  alla  stessa  critica  ne- 
gativa (^). 

Per  questa  rapida  ricostruzione  del  pensiero  critico  del  Manzoni 
intorno  all'essenza  dell'arte  mi  sono  servito  —  come  s'è  visto  — 
dei  cosidetti  Materiali  estetici  e  delle  tracce  e  de'  frammenti  di  un 
discorso,  vagheggiato  dal  Manzoni,  sulla  «  Moralità  delle  opere  dram- 
matiche •»,  non  che  delle  Postille  preziosissime;  i  quali  scritti  risal- 
gono tutti,  a  un  di  presso,  —  come  addietro  notavo  —  al  tempo 
della  composizione  del  Carmagnola,  à.Q\V Adelchi  e  dell'  ideazione  del 
romanzo,  tra  il  1816  all' incirca  e  il  '21,  o  giù  di  li.  Giova  infatti, 
al  fine  di  intendere  l'arte  d'uno  scrittore,  osservarne  lo  spirito  cri- 
tico nella  spontaneità  e  nel  fervore  della  sua  attività  giudicativa, 
mentre  egli  viene,  ad  un  tempo,  esplicando  quella  originalmente 
creatrice. 

* 
*     * 

II.  Su  questo  proposito,  e  proprio  di  questo  tempo  (*),  v'ha  una 
lettera  all'amico  ab.  Gaetano  Giudici,  nella  quale  il  Manzoni  rischiara 
di  nuova  luce  il  suo  concetto  della  poesia,  riguardata  come  espres-' 
sione  di  un  ideale  superiore  e  come  figurazione  realistica  del  vero. 
L'opera  poetica  —  dice  il  Manzoni  in  questo  suo  scritto,  tanto  più 
notevole  per  la  calda  spontaneità  e  la  lucidità  delle  idee  —  genera 
un  duplice  interesse  :  1'  uno,  diremo  così,  ammirativo  per  le  figure 
poetiche  conformate  a  un  tipo  di  perfezione,  qual'  è  nel  nostro  de- 
siderio; l'altro  consistente  nella  tendenza  «  di  conoscere  quello  che 
è  realmente  e  di  vedere  più  che  si  può,  in  noi  stessi  e  nel  nostro 
destino  su  questa  terra  ».  Se  ben  si  legge  nello  spirito  delle  parole, 
il  Manzoni  intende  che  il  poeta  perviene  al  primo  con  l'idealizza- 
zione della  personalità  umana,  al  secondo  con  l' interpretazione  psi- 
cologica della  verità  storica.  Circa  questa  verità  e  il  grande  valore 
morale  e  sociale  che  l'arte  consegue  facendosene  rappresentatrice, 
vedremo  fra  poco;  osservo  intanto  che,  d'accordo  coi  romantici 
lombardi,  giudica  il  secondo  interesse  «  il  più  profondo  ed  il  più 
utile  ad  eccitarsi  >  ;   ma  non   esclude  che  l' uno  e  l' altro  possano 


(1)  ma.,  p.  437. 

(2)  È  del  7  febbr.  1820  (in  Cart.  cit.,  pp.  466-7). 


132  PARTE   SECONDA 


trovarsi  riuniti  in  una  medesima  azione  e  in  un  medesimo  perso- 
naggio, come  appunto  egli  fece  nel  romanzo  rievocando  artistica- 
mente dalla  storia  (che  altro  è  l'interpretazione  psicologica  della 
storia  se  non  un'evocazione  artistica  di  essa?)  e  ingrandendo  alla 
luce  di  un'  alta  idealità  religiosa  la  figura  di   Federigo   Borromeo. 

D' altra  parte  chiama  «  metodo  vizioso  quello  di  trasportare  negli 
avvenimenti  la  perfezione  che  non  è  che  nella  idea,  e  che  quando 
sia  rappresentata  in  idea,  è  veramente  poetica  e  morale  ».  I  cori 
delle  tragedie  sono  appunto  la  rappresentazione  poetica  di  un  ideale 
di  perfezione,  che  è  nella  coscienza  del  poeta  o  dei  lettori  e  spet- 
tatori; medesimamente  alcune  parti  liriche  de'  Promessi  sposi  sono 
effusioni  di  codesto  bisogno  spirituale,  tributi  della  poesia  all'ideale 
della  perfezione  morale,  come  V  Addio,  monti,  —  sospiro  dell'anima 
all'  ideale  di  pace  domestica  nella  consolante  letizia  dell'amore  san- 
tificato da  Dio  — ,  come  quel  discorso  del  card.  Federigo  all'  Inno- 
minato pentito,  che  s' intona  solenne  e  ispirato  con  le  parole  :  «  cosa 
può  far  Dio  di  voi?  »,  ed  è  l'inno  fervido  e  devoto  dell'anima  cri- 
stiana alla  carità  divina,  come  la  sublime  celebrazione,  che  egli 
stesso  fa  nel  colloquio  con  don  Abbondio,  dell'ufficio  sacerdotale  e 
della  missione  religiosa  nel  mondo,  come  nelle  parole,  tutte  amore 
e  fierezza,  che  a  don  Rodrigo  rivolge  fra  Cristoforo,  esaltando,  nel 
vituperio  delle  nostre  passioni  vane  o  inique,  la  giustizia  divina. 

Non  che  il  Manzoni  confondesse  l'estetica  con  la  moralità,  il  sen- 
timento con  la  rappresentazione  artistica,  la  realtà,  divenuta  motivo 
di  commozione  affettiva,  con  l'arte  di  figurarla:  egli  osservava  che 
le  idealità  morali,  suscitate  in  noi  dal  travaglioso  desiderio  di  per- 
fezione, ricevono  una  lor  viva  incarnazione  nella  poesia,  in  guisa 
che  r  idea  e  la  forma  si  fondano  in  una  rappresentazione  poetica 
che  tocchi  le  più  alte  vette  della  lirica  ;  e  che  la  realtà  universa  (non 
esclusa  la  natura),  quel  «  misto  di  grande  e  di  meschino  »  che  è, 
alla  fin  fine,  la  storia,  è  traducibile  in  forme  d'arte  concrete,  in  cui 
il  reale,  l'accaduto,  il  contingente  si  specchi  riflettendo  la  vicenda 
delle  armonie  e  disarmonie  della  vita,  non  però  straordinarie,  ma, 
per  così  dire,  prodotte  e  governate  dalla  logica  delle  cose  e  dalle 
leggi  eterne  dello  spirito  umano  (*).  La  poesia  dunque  va  dall'effi- 
cace e  vivace  rappresentazione  di  ciò  che  è  reale,  ovverosia  storico, 
alla  celebrazione  lirica  di  ciò   che  è  idea,   come  aspirazione  a  un 


(1)  V.  anche  la  lett.  al  Fauriel  del  29  maggio  1822  (in  Epist.  cit.,  voi.  I,  p.  242), 
nella  quale  biasima  ne'  romanzi  contemporanei  «  l' unite  artificielle  que  l'on  ne  trouve 
pas  dans  la  vie  réelle  »  per  ciò  che  concerne  il  succedersi  degli  avvenimenti  e  il  loro 
influsso  sul  destino  de'  personaggi. 


LA   GENESI  LETTERARIA  133 

mondo  superiore:  è,  ad  un  tempo,  quadro  e  inno  della  vita  e  degli 
ideali  umani. 

In  queste  tendenze  critiche,  in  questi  concetti  della  poesia  e  del- 
l'arte,  che  è  lecito  scorgere  nella  lettera  del  1820  al  Giudici,  c'è 
qualche  cosa  che  s'inalza  sopra  la  schematica  regola,  che  il  Man- 
zoni enuncia  nella  celebre  lettera  sul  Romanticismo  inviata  tre  anni 
dopo  a  Cesare  d'Azeglio,  dover  cioè  proporsi  «  la  poesia  o  la  lette- 
ratura in  genere,  l'utile  per  iscopo,  il  vero  per  soggetto,  e  l'inte- 
ressante per  mezzo  »  (*),  In  quella  lettera,  nel  fervore  con  cui  vi 
esamina,  indaga  e  svela  le  ragioni  dell'arte  sua,  che  ha  sentite  e 
secondate  componendo  il  Carmagnola  e  che  certamente  operarono 
con  egual  forza  anche  nell'ideazione  e  composizione  dell'Adelchi  e 
de'  Promessi  sposi,  il  Manzoni  ci  si  presenta  in  un  aspetto  singolare 
e  definito  di  critico  meditante  sull'arte  propria  e  sulla  poesia  in 
genere,  esprime  concetti  acuti  e  ci  rischiara  la  via  a  intendere  la 
genesi  e  i  modi  delle  sue  creazioni  poetiche.  Del  resto,  che  la  poesia 
si  dovesse  ricondurre  alla  rappresentazione  della  vita  reale,  che  do- 
vesse essere,  a  un  tempo^  l' espressione  ammirativa  ed  educativa 
d' un'  idea  di  perfezione  morale  erano  codeste  idee  non  dissimili 
dalla  dottrina,  e  qualche  volta  dalla  pratica  della  scuola  roman- 
tica (*);  ma  è  merito  del  Manzoni  averle  pensate  e  professate  con 
vigore  nuovo  che  le  fa  apparire  in  lui  quasi  originali,  e  averle  fe- 
delmente osservate  (assai  più  fedelmente  di  tanti  romantici,  com- 
preso il  suo  dilettissimo  Grossi)  nel  fare  poesia,  ond'egli  —  più  loico 
de'  suoi  confratelli  in  arte  —  rifuggiva  dal  vago,  dall'  indeterminato, 
dal  favoloso,  e  anzi  metteva  una  buona  dose  della  sua  fine  ironia 
nel  citare  quel  «  beau  principe  »  (principio  essenzialmente  roman- 
tico!) che  il  vago,  l'indeterminato,  il  confuso  fosse  poetico  di  sua 
natura  (^). 

* 

III.  Le  idee  letterarie  del  Manzoni,  fin  qui  riguardate  ne'  rapporti 
con  la  sua  dottrina  etica,  hanno  altresì  una  intima  colleganza  col 
suo  concetto  del  vero  e  della  storia. 

È  principio  assiomatico  del  pensiero  manzoniano  che  nell'  opera 
letteraria  la  verità  storica  e   il  significato  morale  sono  nettamente 


(1)  Vedine  l'ediz.  data  nell'Epist.  cit.,  voi.  I,  p.  306. 

(2)'  Cosi  alla  stregua  di  quel  principio  il  Manzoni  lodava  i  Profughi  di  Parga  del 
Berchet  in  una  lett.  del  29  genn.  1821  al  Fauriel  (in  Cari,  cit.,  p.  513). 
(3)  V.  Cart.  cit.,  p.  528. 


134  PART2    SECONDA 


connessi,  poiché  quanto  più  i  personaggi,  le  loro  lotte  interiori,  i 
loro  delitti,  i  loro  caratteri  saranno  rappresentati  secondo  la  verità 
storica,  tanto  maggior  rilievo  e  significazione  morale  riceveranno. 
Nulla  è  tanto  possente  quanto  l'interesse  della  verità:  può  destar 
dolore,  ma  perfeziona  l'anima,  ed  ha  indubbiamente  effetti  morali, 
se  il  disgusto  che  eccita  è  disgusto  del  male  (*). 

Perchè  il  Manzoni  si  mise  risolutamente  sulla  via  del  dramma 
storico  e  fu  tanto  preso  dalla  questione  che  ferveva  intorno  ad  esso? 
Appunto  perchè  vi  trovava  una  forza  morale  purificatrice  (*).  La 
storia  è  un'  eterna  scuola  di  morale  (^)  :  eccita  in  noi  l' interesse 
coi  «  fatti  grandi  >  che  presenta,  ma  ci  lascia,  ad  un  tempo,  nel 
«  desiderio  di  conoscere  o  di  immaginare  i  sentimenti  reconditi,  i 
discorsi  ecc.  »  che  hanno  accompagnato  gli  avvenimenti  ;  ebbene, 
a  soddisfare  questo  desiderio  interviene  la  poesia,  inventando  quei 
sentimenti  «  nel  modo  il  più  verosimile,  commovente  e  istruttivo  ». 

Ciò  osserva  il  Manzoni  a  proposito  dell'ideale  drammatico,  che 
vede  attuato  al  più  alto  grado  in  molte  tragedie  dello  Shakespeare 
e  manifesto  anche  nello  Schiller  e  nel  Goethe;  ma  non  v'ha  dubbio 
ch'egli  vi  aderisce  per  una  ragione  morale.  Che  si  propone  infatti 
quel  genere  di  dramma?  «  Di  interessare  vivamente  colla  rappre- 
sentazione delle  passioni  degli  uomini,  e  dei  loro  intimi  sensi  svi- 
luppati da  una  serie  progressiva  di  circostanze  e  di  avvenimenti, 
di  dipingere  la  natura  umana,  e  di  creare  quell'interesse  che  nasce 
neir  uomo  al  vedere  rappresentare  gli  errori,  le  passioni,  le  virtù, 
l'entusiasmo  e  l'abbattimento  a  cui  gli  uomini  sono  trasportati  nei 
casi  più  gravi  della  vita,  e  a  considerare  nella  rappresentazione 
degli  altri  il  mistero  di  se  stessi  »  (*). 

Ciò  che  tace  la  storia  rivela  la  poesia  —  dice  altrove  il  Manzoni 
estendendo  il  suo  concetto  del  dramma  ai  componimenti  letterari 
in  generale:  —  lo  studio,  l'analisi,  la  rappresentazione  progressiva 
dei  mutamenti  di  un'anima^  de'  suoi  disegni,  delle  sue  illusioni, 
de'  combattimenti  intimi  che  hanno  preparato  la  sua  caduta  e  il 
suo   trionfo,   tutto   ciò   è   «  profond,   instructif  et  dramatique  »   ('). 

La  nostra  miseria  morale  non  può  essere  rappresentata  che  dalla 
poesia,  poiché  è  di  questa  appunto  una  delle  più  belle  facoltà  quella 


(1)  Lettre  à  M.  C.  sur  V unite  de  tonps  et  de  lieu  dans  la  tragèdie,  in  Opere 
varie  (ed.  cit.)  pp.  409-10. 

(2)  V.  A.  Galletti,  Studi  e  saggi  cit.,  p.  8  e  segg. 

(3)  Per  ciò  che  si  riferisce  alla  teoria   storica   rispetto  al  dramma,  v.  l'esposizione 
fattane  dal  Galletti  in  Studi  e  saggi  cit.,  pp.  16-20. 

(4)  Opp.  in.  0  r.,  voi.  Ili,  p.  155  e  Lettre  sur  l'unite  cit.,  p.  432. 

(5)  Lettre  cit.,  p.  409. 


LA    GENESI    LETTERARIA  135 


di  «  fermar  la  nostra  attenzione,  con  l' aiuto  di  un  grande  interesse, 
sopra  fenomeni  morali,  che  non  si  potrebbero  osservare  senza  re- 
pugnanza  »  (^).  «  L'essenza  della  poesia  non  consiste  nell'  inventare 
ì  fatti  »,  che  anzi  «  la  grande  poesia  ha  sempre  avuto  fondamento 
sulla  storia  o  su  ciò  che  è  stato  considerato  come  storia  »  (^)  :  la 
tragedia  greca,  ad  es.,  ha  tratto  i  soggetti  dalle  tradizioni  nazionali; 
ma  anche  i  tragici  moderni  hanno  voluto  (o  almeno  creduto)  tenersi 
fedeli  alla  storia,  come,  ad  es.,  il  Racine  e  il  Corneille.  La  relazione 
della  storia  con  la  poesia  consiste  in  questo,  che  la  poesia  compie 
r  interpretazione  psicologica  e  drammatica  de'  caratteri  umani,  offerti 
dalla  storia,  e  la  loro  figurazione  e  rappresentazione  artistica.  È 
questo  il  medesimo  procedimento  pel  quale  ne'  Promessi  sposi  la 
realtà  storica,  evocata  di  su  i  documenti  o  intuita  nello  spirito  della 
vita  e  de'  costumi  del  Seicento  italiano,  ha  assunto  le  forme  della 
poesia.  Posto  il  vero  storico  come  fondamento  della  concezione  poe- 
tica, sarà  la  storia  —  secondo  il  Manzoni  —  che  redimerà  l'arte 
dai  modi  convenzionali  e  falsi  delle  vecchie  scuole:  i  progressi  degli 
studi  storici,  rivelando  il  vero,  riscattandolo  da  intenzioni  parziali, 
da  sistematiche  astrazioni,  affezioneranno  le  menti  e  le  invoglieranno 
a  vedere  lo  svolgimento  de'  fatti  sulla  scena.  L'arte  troverà  i  suoi 
limiti  ne'  limiti  stessi  della  natura,  cioè  della  realtà,  cioè  della  ve- 
rità; né  cercherà  più  d'ispirare  le  passioni  negli  spettatori  o  lettori, 
ma  la  forza  morale  con  cui  dominarle  e  giudicarle.  L' ideale  della 
poesia  ispirata  dalla  storia  è  tutto  in  queste  calde  parole  che  val- 
gono non  più  per  la  tragedia  che  per  ogni  altra  forma  dello  spirito 
poetico:  «  C'est  de  l'histoire  que  le  poète  tragique  peut  faire  ressortir, 
sans  contrainte,  des  sentiments  humains  ;  ce  sont  toujours  les  plus 
nobles,  et  nous  en  avons  tant  besoin!  C'est  à  la  vue  des  passions 
qui  ont  tourmenté  les  hommes,  qu'  il  peut  nous  faire  sentir  ce  fond 
commun  de  misere  et  de  faiblesse,  qui  dispose  à  une  indulgence, 
non  de  lassitude  ou  de  mépris,  mais  de  raison  et  d'amour  »  {^). 

Testimoni,  non  attori,  degli  avvenimenti,  rievocati  poeticamente 
dalla  storia,  ci  abitueremo  alle  idee  calme  e  grandi  che  essa  pre- 
senta, e,  che,  se  si  affacciano  al  nostro  spirito  nell'urto  della  quo- 
tidiana realtà  delia  vita,  sono  disperse  ben  presto  :  così  l' arte  in- 
tegra la  vita,  e  le  può  conferire  saggezza  e  dignità,  o  meglio  assi- 
curargliele, vivificando  e  sviluppando  nelle  anime  l' ideale  di  bontà 
e  di  giustizia,  che  ciascuna  reca  in  se  stessa,  rintuzzando  le  tendenze 


(1)  IMd.,  p.  410. 

(2)  Ibid.,  p.  425. 

(3)  IMd.,  p.  449. 


136  PARTE    SECONDA 


alle  false  passioni,  sollevando   la  ragione   sulla  nostra  debolezza  e 
sui  nostri  pregiudizi. 

La  questione  della  rappresentazione  storica  nell'arte  e  massime 
nella  tragedia,  non  era  nuova;  e  s'era  convenuto  che  si  potessero 
inventar  circostanze  per  render  drammatica  l' azione  ma  tali  che 
non  contraddicessero  ai  fatti  più  conosciuti  e  più  importanti  del- 
l'azione rappresentata.  La  ragione  che  si  metteva  innanzi  comune- 
mente era  che  lo  spettatore  non  avrebbe  potuto  prestar  fede  a  ciò 
che  fosse  contrario  alla  verità  ch'egli  conosceva.  Ora,  a  vero  dire, 
non  era  questa  una  ragione  molto  inerente  né  essenziale  all'arte; 
il  Manzoni,  per  quanto  la  riconoscesse  giustissima,  non  poteva  ap- 
pagarsene, e  ne  trovò  un'  altra  più  valida,  che,  cioè,  «  les  causes 
historiques  d' une  action  sont  essentiellement  les  plus  dramatiques 
et  les  plus  intéressantes  >  (^)  :  in  altre  parole,  sono  i  fatti  che,  in  virtù 
della  loro  verità  essenziale,  possedono  in  più  alto  grado  il  carattere 
di  verità  poetica,  che  si  cerca  nel  dramma,  nel  romanzo  o  in  altro 
simile  genere  di  poesia:  la  rappresentazione  realistica  dell'uomo  ci 
fa  scoprire  e  valutare  ciò  che  v'  è  di  vero  e  d' intimo  nella  sua  na- 
tura, ci  fa  vedere  gli  effetti  de'  fenomeni  esteriori  sulla  sua  anima, 
il  fondo  de'  suoi  pensieri,  ond'ebbe  l'impulso  ad  operare;  a  più 
forte  ragione  assentiremo  all'analisi,  come  il  poeta  la  fa,  de'  carat- 
teri, alla  rappresentazione  di  essi  in  azione,  se  egli,  per  dare  del- 
l'uomo e  della  storia  un'idea  più  vera,  più  intera,  più  viva,  rappre- 
senterà de'  personaggi  sentimenti  veramente  provati,  azioni  effettiva- 
mente eseguite,  mezzi  realmente  adoperati  al  conseguimento  di  un 
fine  (^).  Nonché  alla  storia  sia  concesso  di  accamparsi  nel  dramma  o 
nel  romanzo  con  la  sua  rigida  somma  di  fatti  e  con  questa  sola;  così 
facendo,  l' arte  si  ridurrebbe  ad  una  meccanica  riproduzione  del  reale. 
No  :  il  poeta  —  pensa  il  Manzoni  —  non  riproduce,  ma  crea;  e  dare 
all'  azione,  scelta  in  una  serie  di  fatti,  e  ai  caratteri  de'  personaggi 
«  uno  sviluppo  armonico,  completare  la  storia,  ricostruendo,  per 
così  dire,  le  parti  perdute  di  essa,  immaginare  pur  anche  de'  fatti, 
ove  la  storia  non  offre  che  cenni,  inventare,  se  occorra,  de'  perso- 
naggi che  servano  a  figurare  i  costumi  conosciuti  di  una  data  epoca, 
prendere,  infine,  quanto  esiste  >,  ovverossia  è  storicamente  documen- 
tato, e  «  aggiungervi  quel  che  manca,  ma  in  maniera  che  l' invenzione 
s'accordi  con  la  realtà,  e  sia  anzi  un  mezzo  per  darle  più  vivo  ri- 
salto »  tutto  ciò  si  può  ragionevolmente  chiamare  creazione  poetica  (^). 


(1)  IMd.,  p.  450. 

(2)  IMd.,  p.  427. 

(3)  ma.,  p.  428. 


Capitolo  II. 

La  teoria  del  romanzo  storico 
e  la  primitiva  composizione  dei  Promessi  sposi 


I.  La  creazione  poetica  e  la  giustificazione  estetica  del  romanzo  storico. 

—  IL  La  teoria  letteraria  del  romanzo  storico  e  lo  storicismo 
degli  «  Sposi  promessi  ».  —  III.  I  reciproci  influssi  della  ten- 
denza storica  e  della  tendenza  etica  nella  prima  concezione  del 
romanzo  e  le  singolari  prove  della  preoccupazione  storica  del 
Manzoni,  rivelate  dalla  prima   stesura.  Le  digressioni  storiche. 

—  IV.  Le  rivelazioni  al  Fauriel  e  la  costruzione  storica  degli 
«  Sposi  promessi  >. 

Non  v'ha  dubbio  che  anche  la  teoria  del  romanzo  storico  deve 
rientrare  nella  generale  dottrina  della  poesia  e  dell'arte,  fondata 
suir  accordo  della  poesia  con  la  realtà  della  natura  e  col  vero  della 
storia. 

Se  non  che  l'applicazione  degli  osservati  principi  al  romanzo  pre- 
senta difficoltà  non  lievi  e  rischia  di  cadere  nel  falso.  Anche  co- 
struendo il  romanzo  —  osserva  acutamente  il  Manzoni  —  sulla  base 
larga  e  solida  delle  azioni  e  de'  discorsi  in  cui  gli  uomini  hanno 
manifestati  i  loro  pensieri,  di  rado  si  consegue  la  verità  nell'  espres- 
sione de'  sentimenti  umani,  nell'analisi  e  nell'interpretazione  del 
cuore  umano  :  troppe  idee  oscure,  artificiose  o  false  si  mischiano  alle 
poche  chiare,  semplici  e  vere;  la  massima  difficoltà,  che  ha  reso 
così  scarso  il  numero  de'  grandi  poeti,  è  nello  sceverare  le  une 
dalle  altre.  Il  pericolo  è  maggiore,  quando  il  romanziere  trascuri  o 
sdegni  la  realtà,  inventando  di  sua  testa  i  fatti  :  allora  la  verità  gli 
sfugge  ;  egli  non  si  cura  della  verosimiglianza  così  nelle  azioni  im- 
maginate come  ne'  caratteri  dai  quali  ha  fatto  derivare  le  azioni,  e. 


138  PARTE    SECONDA 


a  forza  d' inventare  casi  nuovi  e  situazioni  nuove,  rischi  inattesi, 
contrasti  singolari  di  passioni  e  d' interessi,  finisce  col  figurare  una 
natura  umana  che  non  somiglia  punto  a  quella  che  vive  e  palpita 
sotto  a'  suoi  occhi  o  che,  per  meglio  dire,  non  ha  saputo  vedere  e 
interpretare.  Questo  difetto  il  Manzoni  scorgeva  nella,  maggior  parte 
dei  romanzieri,  da  M.lle  Scudéry  a'  suoi  giorni  ;  onde  osservava  che 
l'epiteto  romanesque  aveva  assunto  un  significato  spregiativo  per 
denotare  a  proposito  de'  sentimenti  e  costumi,  quel  genere  partico- 
lare di  falsità,  quel  tono  artificioso,  quei  tratti  convenzionali  che  si 
riscontrano  ne'  personaggi  di  romanzo  (*).  Dal  che  è  lecito  dedurre 
che  una  delle  ragioni  per  cui  il  Manzoni  scelse  il  genere  del  ro- 
manzo storico  è  stata  la  preoccupazione  del  vero,  il  timore  di  cadere 
nei  falso  e  nell'artificioso,  ove  al  romanzo  fosse  mancata  una  base 
storica,  la  persuasione  che  la  conoscenza  storica  di  una  data  età  è 
freno  e  misura  per  la  retta  rappresentazione  della  realtà  umana: 
principi  e  tendenze  che  contengono  in  germe  la  teoria  del  realismo 
artistico,  in  quanto  additano  la  verità  storica  come  unica  via  per 
raggiungere  la  concretezza  e  l'efficacia  dell'arte:  d'un  realismo 
artistico,  però,  a  fondo  moralistico,  poiché  move  dal  presupposto 
che  soltanto  la  rappresentazione  dal  vero  serva  al  fine  morale  del- 
l' arte. 

In  quelle  sue  rapide  e  sommarie  riflessioni  sul  romanzo  moderno 
il  Manzoni  tuttavia  non  escludeva  che  vi  fossero  romanzi  degni 
d' essere  riguardati  come  modelli  di  verità  poetica,  e  certamente 
intendeva  assegnare  il  primo  posto  a  quelli  dello  Scott,  poiché,  dopo 
aver  concepiti  in  modo  preciso  e  sicuro  caratteri  e  costumi,  (e  come 
avrebbero  potuto  senza  la  ispirazione  storica?)  i  loro  autori  avevano 
inventato  azioni  e  situazioni  conformi  a  quelle  che  si  avevano  nella 
vita  reale,  per  poter  dare  sviluppo  a  quei  caratteri  e  costumi  se- 
condo verità  (*).  Questo  giudizio  che  il  Manzoili  dà  sul  romanzo 
nella  lettera  allo  Chauvet,  consacrata  alla  difesa  della  riforma  dram- 
matica e  del  suo  Carmagnola,  ha  importanza  non  solo  per  le  idee 
che  vi  sono  espresse  e  per  il  maturo  concetto  che  egli  s' era  già  fatto 
della  letteratura  narrativa,  ma  anche  per  l'esatta  corrispondenza  di 
esso  con  noti  giudizi  e  discussioni  su  cui  il  Manzoni  s'intratteneva 
in  quel  medesimo  tempo  con  1'  amico  Fauriel.  Nel  riprenderli  in 
esame  ci  verrà  fatto  di  trarne  argomenti  utili  ad  intender  l'origine 
e  la  elaborazione  de'  Promessi  sposi. 


(1)  ma.,  p.  431. 

(2)  Ivi. 


LA    GENESI   LETTERARIA  139 

Nel  1821  l'amico  Grossi  attendeva  al  suo  poema  sui  Lombardi 
alla  prima  crociata  e  il  Manzoni,  scrivendo  al  Fauriel,  si  compia- 
ceva, come  di  un  felicissimo  vantaggio  per  la  poesia  epica,  dell'idea 
d'introdurre  un  «  système  d'invention  des  faits  pour  développer 
des  moeurs  historiques  >,  quale  s'era  proposto  il  Grossi  con  lo  scopo 
«  de  peindre  une  epoque  par  le  moyen  d'une  faible  de  son  inven- 
tion  à  peu-près  comme  dans  Ivanhoe  ».  E  da  ciò  traendo  argomento 
ad  una  considerazione  generale,  mentre  conveniva  che  mescolare 
alla  storia,  per  sé  stessa  interessante,  invenzioni  poetiche  sarebbe 
stato  disgustoso  e  puerile,  soggiungeva  :  «  Mais  rassembler  les  traits 
caractèristiques  d'une  epoque  de  la  société  et  les  développer  dans 
une  action,  profiter  de  1'  histoire  sans  se  mettre  en  concurrence  avec 
elle^  sans  prétendre  faire  ce  qu'elle  fait  mieux,  voilà  ce  qui  me 
paraìt  encore  accordé  à  la  poesie,  et  ce  qu'  à  son  tour  elle  seule 
peut  faire  »  (^),  Qui  abbiamo  l'idea  fondamentale  del  romanzo  sto- 
rico, come  r  intese  e  1'  attuò  il  Manzoni:  la  lettera  è  del  gennaio  1821 
e  la  prima  pagina  della  minuta  del  romanzo  porta  la  data  del 
24  aprile  1821:  dunque  in  quel  tempo  il  Manzoni  e  il  Grossi  veni- 
vano tra  loro  studiando  e  disegnando  un  ideale  di  poesia  epico-sto- 
rica o  storico-romanzesca  con  lo  scopo  di  tradurlo  in  pratica  in  opere 
d'arte  concrete. 

Con  questa  attribuzione  che  il  Manzoni  conteriva  alla  poesia,  as- 
sunta come  rappresentazione  artistica  dello  spirito  e  della  vita  di 
epoche  storiche,  s'accorda  la  definizione  esplicita  e  chiara  del  ro- 
manzo storico,  come  componimento  letterario,  che  dava  alquanti 
mesi  dopo  che  aveva  già  avviata  la  prima  stesura  del  suo  :  «  Je  le 
con90Ìs  —  scriveva  al  Fauriel  —  comme  une  représentation  d'un 
état  donne  de  la  société  par  le  moyen  de  faits  et  de  caractères  si 
semblables  à  la  réalité,  qu'on  pouisse  les  croire  une  histoire  véri- 
table  qu'on  viendrait  de  découvrir.  Lorsque  des  événements  et  des 
personnages  historiques  y  sont  mélés,  je  crois  qu'  il  faut  les  repré- 
senter  de  la  manière  la  plus  strictement'historique  »  (^). 

Questa  enunciazione  del  modo  come  il  Manzoni  concepiva  il  ro- 
manzo storico,  è  osservabile  non  tanto  per  la  teoria  in  genere,  che 
non  era,  poi,  del  tutto  nuova  e  originale,  quanto  pel  proposito,  re- 
cisamente espresso,  di  volersi  attenere  strettamente  alla  realtà  sto- 
rica, sia  neir  immaginare  fatti  e  caratteri  così   da  ingenerar  l' im- 


(1)  Lett.  del  29  genn.  1821  (in  Cart.,  pp.  513-4).  V.  anche  la  notizia  del  Cousin  al 
Goethe  in  Cari,  cit.,  p.  518,  nota. 

(2)  Lett.  del  3  nov.  1821  (in  Cart.  cit.,  p.  541). 


140  PARTE   SECO^'DA 


pressione  che  appartengano  a  vera  storia  scoperta,  sia  nel  figurare 
i  personaggi  storici,  mischiati  »1  racconto,  con  scrupolosa  osservanza 
del  loro  carattere  storico,  che  è  quanto  dire  delle  fonti  e  de'  docu- 
menti, adoperati  per  interpetrarli  e  tratteggiarli.  È  questo  il  con- 
cetto, secondo  il  quale  aveva  già  tracciato  il  vasto  disegno  del  suo 
romanzo,  e  che  ne  impronta  profondamente  la  prima  stesura:  os- 
servare, interpetrare  fedelmente  la  storia,  anche  con  maggior  rigore, 
come  riferiva  il  Cousin  al  Goethe  in  un  suo  colloquio  del  1825  (*), 
di  quello  che  non  avesse  fatto  lo  Scott;  far  che  il  racconto  roman- 
zesco assuma  tutte  le  sembianze  e  il  colorito  della  realtà  storica  e 
che  la  storia  non  sia  menomata  nella  contenenza  e  ne'  caratteri 
suoi  propri. 

* 
»     * 

II.  Un  confronto  attento  e  particolareggiato  della  prima  con  l' ul- 
tima definitiva  redazione  potrebbe  provare  che  codesta  scrupolosa 
e,  diciamo  pure,  alquanto  angusta  interpretazione  psicologica  della 
storia,  come  il  Manzoni  la  intendeva  in  teoria,  influì  in  molte  parti 
del  romanzo  quale  gli  riuscì  fatto  nel  primo  getto,  nella  concezione 
de'  personaggi  immaginari,  come  Renzo  e  fra  Cristoforo,  don  Ab- 
jbondio  e  don  Rodrigo,  ma  più  fortemente  nella  figurazione  de'  per- 
jsonaggi  storici,  come  l'Innominato,  la  signora  di  Monza  e  Federigo 
t  Borromeo.  Gli  uni  e  gli  altri  sono  stati  nel  primo  momento  vera- 
mente concepiti  e  atteggiati  «  de  la  manière  la  plus  strictement 
historique  »,  quelli  conforme  la  piìi  pretta  interpretazione  dello  spi- 
rito del  loro  secolo  o  della  classe  a  cui  appartenevano,  questi  sia 
raccogliendo  con  arida  esattezza  e  svolgendo  la  materia  dalle  fonti 
e  perfino  le  parti  aneddotiche  delle  cronache  contemporanee,  sia 
conservando,  se  non  anche  aggiungendo,  alcune  note  che  vieppiù 
ne  individualizzassero  il  carattere  storico  in  relazione  con  le  abitu- 
dini e  le  passioni  del  tempo.  Abbiamo  insomma  nel  modo  come  i 
personaggi  sono  rappresentati  e  gli  stessi  avvenimenti  narrati  la 
figurazione  artistica,  ma  non  ancora  la  idealizzazione  epica  della 
storia  né  quella  che  può  dirsi  l'elevazione  purificatrice  di  ciò  che  è 
storico,  contingente  a  ciò  che  è  umano,  universale.  Questo  sforzo, 
che  è  evidente  nella  prima  composizione  del  romanzo,  di  attenersi 
strettamente  alla  storia,  di  dare  una  fisonomia  quanto  più  fedelmente 
storica  agli  stessi  fatti  e  caratteri  inventati,  era  dovuto  al  concetto 


(4)  Vedilo  riportato  in  Cart.  cit.,  pp.  517-8. 


LA   GENESI   LETTERARIA  141 

del  reale  che  già  abbiamo  osservato  nel  sistema  teorico  del  Man- 
zoni, essere,  cioè,  non  il  reale  artistico,  ma  il  reale  storico,  non  il 
vero  artistico,  ma  l'accaduto,  l'esistente,  in  una  parola,  la  storia. 

Inteso  il  romanzo  storico  come  una  rappresentazione  quanto  più 
realistica  sia  possibile  delle  condizioni  morali  e  civili  di  un  dato 
momento  della  società,  così  da  sembrare  vera  storia  scoperta,  era 
naturale  che  il  Manzoni,  tutto  preso  dalla  sua  teoria,  mirasse  a  fon- 
dere il  suo  mondo  in  un  tutto  che  avesse  l'apparenza  di  quel  reale 
positivo,  a  lui  tanto  caro':  sforzo  inane,  perchè  l'immaginario,  l'in- 
ventato, sia  nell'intreccio  dell'azione  che  nella  pittura  de'  carat- 
teri, non  poteva  non  avere  in  sé  le  impronte  e  il  colore  di  una 
creazione  poetica,  di  quella  creazione  che  il  Manzoni  stesso  nella 
lettera  allo  Chauvet  riconosceva  come  legittima  opera  del  poeta 
al  fine  di  integrare  e,  dirò  così,  drammatizzare  la  storia.  Ne  veniva 
che,  trattando  la  materia  storica  con  rigida  osservanza  del  vero  e 
con  prodigalità,  come  quella  che  —  secondo  il  suo  concetto  del  vero 
storico  —  era  necessaria  per  dare  ai  lettori  la  conoscenza  esatta  e 
piena  di  una  realtà  trapassata,  evocando  i  personaggi  storici  con  spiri- 
to artistico  sì,  ma  con  la  cura  angusta  che  fossero  vere  individuazioni 
concrete  della  società  loro;  costruendo,  poi,  di  sua  invenzione  per- 
sonaggi, un  intreccio  ed  episodi  che  s'avvicinassero  al  ristretto  vero 
della  storia,  il  Manzoni  né  conseguì  la  riproduzione  realistica  va- 
gheggiata, né  compì  un'  opera  armonica  in  tutte  le  sue  parti  e  pro- 
fondamente poetica.  Che  la  poesia  e'  è  sì,  per  quanto  torbida  e  grezza, 
anche  nella  prima  concezione  ed  esecuzione  de'  Promessi  sposi,  ma 
giustapposta  alla  storia  ;  la  verità  storica  e  la  verità  poetica  non 
sono  fuse  nell'unità  estetica  dell'opera,  ma  si  realizzano  in  modo 
discontinuo  e  frammentario  e  diffuso,  senza  un  intimo  legame  ideale 
tra  loro  ;  e  così  il  rigore  osservato  nel  riprodurre  il  reale  della 
storia,  neir  atteggiare  gli  stessi  personaggi  storici  come  il  mal  suc- 
cesso nel  tentar  di  ridurre  in  pretta  sembianza  storica  anche  i  fatti 
e  i  personaggi  inventati  fanno  sentire  piti  aperto  e  più  aspro  quel 
disaccordo  tra  l'ideale  e  il  reale,  tra  il  vero  e  l'inventato,  tra  la 
storia  insomma  e  il  verosimile,  che  al  Manzoni  stesso  (e  teoricamente 
aveva  ragione)  parve  insanabile.  Proprio  così:  se  l'arte  è,  non  meno 
pei  Romantici  che  per  i  Classici,  imitazione  del  vero,  non  può  esserne 
una  rigorosa  e  fedele  riproduzione,  e,  posto  che  al  vero,  al  positivo 
storico  si  voglia  intrecciare  l'immaginario  poetico,  l'arte  fallisce, 
se  restino  semplicemente  accostati  e,  sia  pure,  mescolati  ;  né  può 
salvarsi,  se  non  quando  la  materia  storica  si  trasformi  in  poesia,  e 
cioè  la  poesia  assorba  in  sé  la  storia,  idealizzandola;  se  non  quando 


142  PARTE   SECONDA 


la  fantasia  su  figure  ed  azioni,  che  le  siano  ispirate  da  sentimenti 
e  costumi  di  un'epoca  storica,  imprima  i  caratteri  della  realtà  umana 
di  tutti  i  tempi,  vi  rispecchi  con  immediatezza  e  concretezza  gli 
aspetti  della  vita,  le  vicende  eterne  delle  anime. 

Vero  è  che  ne'  Promessi  sposi  <  il  reale  positivo  —  come  dice  il 
De  Sanctis  —  non  ha  impedito  che  egli  raggiungesse  un  reale  più 
profondo  e  piti  succoso,  il  reale  dell'arte  »  (*),  ma  la  prima  forma  del 
romanzo  non  raggiungeva  ancora  questo  equilibrio  artistico  e  ad 
essa,  non  a  quella  che  ricevette  poi  il  suo  capolavoro,  poteva  il  Man- 
zoni appuntare  la  critica  che  fece  del  romanzo  storico:  critica,  che 
se  ben  guardiamo,  colpisce  giustamente  il  sistema,  quella  immediata 
e  grezza  filiazione  artistica  del  sistema  che  sono  appunto  gli  Sposi 
promessi.  I  quali,  se  nel  processo  di  rielaborazione  vennero  intima- 
mente trasformati  da  una  più  profonda  analisi  psicologica  e  da  un 
nuovo  vigore  di  poesia  che  vinsero  lo  scrupolo  dell'esattezza  e  della 
minutezza  storica,  non  è  da  meravigliarsi  che  di  questo  risentissero 
l'infiusso  e  gli  effetti,  perchè  in  prinao  luogo  non  era  corso  quasi 
il  menomo  intervallo  tra  l'elaborazione  della  teoria  e  la  prima  at- 
tuazione, tanto  è  vero  che  quel  discutere  sull'idea  del  romanzo  sto- 
rico e  quel  chieder  consigli  e  pareri  al  Fauriel  cadevano  nel  tempo 
stesso  che  il  Manzoni  veniva  avviando  la  stesura  dell'opera  sua;  in 
secondo  luogo  alla  rigidità  —  che  è  propria  di  tutti  i  sistemi,  mas- 
sime di  quelli  costruiti,  come  il  manzoniano,  con  tanta  convinzione 
e  dopo  viva  meditazione  sulle  ragioni  e  il  significato  della  poesia  — 
non  poteva  sfuggire  il  poeta  nella  prima  formazione  di  un'opera, 
la  cui  origine  ha  così  stretti  legami  con  le  idee  letterarie  dell'autore. 

* 
*     # 

III.  Cade  ora  in  acconcio  riesaminare  con  più  ampio  sguardo 
la  questione  che  ho  fatto  sulla  fine  della  prima  parte  di  questo 
lavoro,  circa  l'ispirazione  etico-religiosa  de'  caratteri  de'  personaggi 
manzoniani  e  il  loro  parziale  rinnovamento  psicologico  e  morale 
operato  dal  poeta  nella  rielaborazione  di  tutto  il  romanzo. 

Ora  mi  pare  che  il  problema  si  debba  prospettare  così.  Nel  figu- 
rare nella  prima  stesura  più  vili  o  più  turpi  i  disonesti  e  gli  scel- 
lerati e,  in  generale,  un  po'  turbati  di  certa  grossolanità  triviale  e 
fierezza  faziosa  anche  i  buoni,  il  Manzoni  risentì  esclusivamente  di 
quel  pessimismo  morale  che  abbiamo  a  suo  luogo   analizzato  o  fu 


(1)  In  Scritti  vara  ined.  o  rari,  a  cura  di  B.  Croce,  Napoli,  Morano,  1898,  p.  45. 


LA   GENESI   LETTERARIA  143 


piuttosto  dominato  dalla  tendenza  al  realismo  storico,  dal  concetto^ 
cioè,  positivo,  che  s'era  fatto  degli  uomini,  de'  costumi,  degli  avve- 
nimenti del  Seicento?  0  da  tutt'e  due  le  tendenze?  Non  v'ha  dub- 
bio che  di  storicità  è,  per  così  dire,  pregnante  il  mondo  del  romanzo 
quale  sin  dalla  prima  creazione  se  lo  formò  nella  sua  mente  il  Man- 
zoni, meditando  con  ricca  dottrina  sulle  condizioni  storiche  del  secolo  ; 
anzi  la  poesia  —  com'era  naturale  —  correva  rischio  d'essere  sopraf- 
fatta dalla  storia;  ma  quella  medesima  affezione  al  vero  storico, 
quello  studio  di  rivelare  veracemente  la  realtà  umana  conforme  il 
principio  che  la  storia  è  un'eterna  scuola  di  morale,  quella  disposi- 
zione stessa  a  portare  nella  considerazione  storica  il  biasimo  o  la 
lode  alla  stregua  dell'etica  religiosa,  dovevano  consociare  le  ragioni 
morali  e  le  ragioni  storiche  in  modo  indissolubile  e  allo  stesso  in- 
tento; onde  il  proposito,  così  inesorabilmente  rigoroso  nella  prima 
costruzione  del  romanzo,  di  riprodurvi  il  vero  storico,  trattandosi  di 
una  storia  che  offriva  più  di  tristizia  e  d' iniquità  che  non  di  virtù, 
vcDiva,  nel  tempo  stesso,  a  rafforzarvi  le  tendenze  moralistiche. 

Del  resto  la  preoccupazione  storica  nella  prima  stesura  del  romanzo 
era,  non  che  manifesta,  addirittura  ostentata  con  quell'arguzia  che 
rivela,  a  un  tempo,  la  superiorità  dell'  artista.  Eccone  qualche  saggio. 
Il  Manzoni,  dopo  aver  raccontato  come  Antonio  Ferrer  fosse  riuscito 
a  portare  in  salvo  il  Vicario  di  Provvisione,  soggiungeva:  «  Gli  sto- 
rici originali  contemporanei  non  parlano  più  di  lui;  ma  noi,  valen- 
doci del  privilegio  che  hanno  gli  storici  di  seconda  mano,  di  inven- 
tare qualche  cosa  di  verosimile,  per  rendere  compiuta  la  storia,  e 
supplire  alla  mancanza  dei  primi,  affermiamo,  come  se  fossimo  stati 
testimoni  :  che  il  Vicario,  uscito  dal  castello,  quando  la  sedizione  fu 
affatto  compressa,  continuò  ad  essere  Vicario  pel  tempo  che  gli  ri- 
maneva a  compire  la  sua  carica,  e  da  poi  procurò  di  diventare  tutto 
quello  che  potè  »  (*).  Questo  passo  lascia  perplesso  chi  conosca  la  fine 
ironia  e  1' arguta  sottilità  dell'ingegno  manzoniano:  dovremmo  pren- 
derlo sul  serio,  rammentando  un  luogo,  più  addietro  citato,  della 
Lettre  sur  l'unite  allo  Chauvet,  nel  quale  il  Manzoni  conferisce  al 
poeta  la  facoltà  di  «  compléter  l'histoire  »  di  «  en  restituer,  pour 
ainsi  dire,  la  partie  perdue  >  ;  ma,  d' altra  parte,  ci  ritorna  alla 
mente  quel!'  altra  celebre  riflessione,  piena  di  sorridente  arguzia, 
che  il  Manzoni  aggiunse  nella  stampa  alla  viva  descrizione  di  ciò 
che  faceva  lo  sbigottito  Vicario  in  quel  suo  nascondiglio,  mentre 
infuriava  la  tempesta  davanti  alla  sua  casa:  «  Del  resto,   quel  che 


(1)  Sp.  prom.,  p.  524. 


144  PARTE   SECONDA 


facesse  precisamente  non  sì  può  sapere,  giacché  era  solo  ;  e  la  storia 
è  costretta  a  indovinare.  Fortuna  che  e'  è  avvezza  »  (*). 

Immaginiamoci,  poi,  —  verrebbe  voglia  di  soggiungere  —  «  gli 
storici  di  seconda  mano  »  se  la  storia,  ovverosia  «  gli  storici  ori- 
ginali »  tirano  a  indovinare!  E  poi  c'è  un  altro  punto  nella  pri- 
ma stesura  del  romanzo,  in  cui  sono  tirate  in  ballo  la  storia  e  l' in- 
venzione con  r  aria  di  canzonar  le  leggi  della  rettorica,  le  poetiche 
della  scuola  classica,  ma  che  lascia  trasparire  anche  qualcosa  altro. 
A  proposito  della  seconda  entrata  di  Eenzo  in  Milano,  il  Manzoni 
si  scusa  di  dover  far  venire  una  seconda  volta  il  suo  personaggio 
nella  stessa  città,  col  dire  che,  se  avesse  «  ad  inventare  una  storia», 
se  ne  guarderebbe  bene,  «  che  sarebbe  un  meritarsi  l'accusa  di  ste- 
rilità di  invenzione,  una  delle  più  terribili  che  abbian  luogo  nella 
repubblica  delle  lettere,  la  quale,  come  ognun  sa,  si  distingue  fra 
tutte  per  la  saviezza  delle  sue  leggi,  »  «  Ma  —  prosegue  facetamente 
il  Manzoni  —  io  trascrivo  una  storia  quale  è  accaduta:  e  gli  avve- 
nimenti reali procedono  con  tutt'  altre  regole  »  da  quelle  «  pre- 
scritte all'invenzione»,  «senza  darsi  pensiero  di  soddisfare  alle 
persone  di  buon  gusto.  Se  fosse  possibile  assoggettarli  all'andamento 
voluto  dalle  poetiche,  il  mondo  ne  diverrebbe  forse  ancor  più  ame- 
no che  non  sia  ;  ma  non  è  cosa  da  potersi  sperare.  »  Ed  è  per 
colpa  di  «  questo  incolto  e  materiale  procedere  dei  fatti  »  —  dice  il 
Manzoni  —  che  Renzo  ci  si  presenta  due  volte  in  Milano  e  che  vi 
soggiorna  e  se  ne  va  in  un  modo  alquanto  somigliante  (*).  Sì,  il 
Manzoni  con  queste  amabili  facezie  vuol  burlarsi  de'  trattati  rettorici 
e  de'  classicisti  più  arrabbiati;  ma  noi  sappiamo  che  Renzo  è  uni 
personaggio  immaginario  e  che  le  sue  azioni  —  per  quanto  in  con-] 
formità  col  carattere,  concepito  secondo  lo  spirito  de'  tempi  —  sono 
inventate,  e  potremmo  a  questa  nuova  protesta  di  veridicità  e  di 
esattezza  storica  risponder  sorridendo  :  —  che  sì,  la  storia  tira  a 
indovinare  e  come  e'  è  avvezza  !  —  Se  fosse  vero  —  come  trapela 
tra  riga  e  riga  —  che  l'autore  volesse  scherzare  un  po'  anche  sulla 
storia,  sarebbe  questo  un  curioso  tratto  di  prosa  autoironizzante  dello 
storico  -  poeta,  un  guizzo  di  quello  spirito  d' autoironia  che  era  nel 
secolo  preso  a  descrivere,  e,  bonariamente  colorito,  anche  nel  tem- 
peramento del  Manzoni. 

Comunque,  i  due  passi  della  minuta,  de'  quali,  si  noti  bene,  non 
è  rimasta  traccia  nell'ultima  forma  del  romanzo,  riconfermano  un'os- 


(1)  Prom.  sp.^  cap.  XIII,  p.  192. 

(2)  Sp.  prom.,  pp.  709-10. 


LA   GENESI   LETTERARIA  145 

servazione  generale  già  fatta,  che  cioè  un  po'  sul  serio  per  reazione 
critica  a  quel  genere  di  romanzi,  che  abbiamo  già  sentito  il  Manzoni 
biasimare,  un  po'  per  finzione  gioconda,  s'industriò  di  dare,  la  pri- 
ma volta,  al  suo  mondo  un  colorito  storico  con  una  determinatezza 
scrupolosa^  tanto  da  compiacersi  di  far  rivelazioni  inutili,  per  quanto 
argute,  sui  suoi  intimi  procedimenti  di  narratore. 

Della  preoccupazione  storica  nelle  prime  prove  del  romanzo  ab- 
biamo anche  altri  saggi.  Si  veda,  per  es.,  l'Introduzione.  L'ultima 
redazione  definitiva,  fissata  dopo  due  o  tre  rifacimenti,  non  reca  che 
una  rapida  affermazione  della  veridicità  dell'Anonimo,  per  procacciar 
fede  a  taluni  fatti  e  costumi  che  potevano  sembrar  «  così  nuovi, 
cosi  strani  »  da  destar  qualche  dubbio:  un  cenno,  con  cui  il  Manzoni 
ad  altro  non  intende  se  non  a  farci  sapere  che  della  storia,  impresa 
a  narrare,  c'erano  documenti  e  testimonianze.  E  così  press' a  poco 
si  legge  in  una  copia  della  prima  stesura.  Ma  in  un  rifacimento, 
che  avrò  occasione  di  riprendere  in  esame  insieme  con  altri  due 
della  medesima  Introduzione  per  ciò  che  vi  si  dice  della  lingua  e 
de'  dialetti,  il  Manzoni  faceva  un'  ampia  difesa  del  carattere  storico 
del  suo  racconto,  con  tale  spìrito  e  tono  che  pur  qui  non  sappiamo 
quando  parli  sul  serio  e  quando  per  gioco.  Il  Manzoni  diceva  di 
voler  prevenire  l' accusa  che  il  suo  scritto  «  non  fosse  altrimenti 
fondato  sopra  una  storia  vera, ma  una  pura  invenzione  >,  l'ac- 
cusa, insomma,  «  di  aver  fatto  un  romanzo  ».  Un  romanzo?  Intanto 

—  soggiungeva  con  velata  ironia  —  è  questo  un  «  genere  proscritto 
nella  letteratura  italiana  moderna,  la  quale  ha  la  gloria  di  non  averne 
0  pochissimi.  E  benché  questa  non  sia  la  sola  gloria  negativa  di 
questa  nostra  letteratura,  pure  bisogna  conservarla  gelosamente  in- 
tatta, al  che  provvedono  quelle  migliaia  di  lettori  e  di  non  lettori 
che  leggono  volentieri  romanzi  stranieri  »  e  ♦:  si  occupano  a  dar  se 
non  altro  molti  disgusti  a  coloro  che  tentano  d'introdurre  qualche 
novità».  In  secondo  luogo  «  questo  genere,  quand'anche  non  sia 
altro  che  una  esposizione  di  costumi  veri  e  reali  per  mezzo  di  fatti 
inventati,  è  altrettanto  falso  e  frivolo,  quanto  vero  e  importante  era 
ed  è  il  poema  epico  e  il  romanzo  cavalleresco  in  versi  ».  Ma  viene 
fatto  di  domandare  :  Come  ?  I  vostri  Promessi  sposi  non  sono  un 
romanzo?  Non  avete  voluto  darci  una  pittura  «  di  costumi  veri  e| 
reali  »  per  mezzo  di  azioni  e  di  personaggi,  in  gran  parte,  inventati?;? 

—  E  voi  credete  veramente  falsa  e  frivola  l' opera  vostra  ?  Ma  ecco 
lo  stesso  Manzoni  promettere  al  lettore  una  lunga  nota  di  libri  e 
memorie,  da  lui  frugati  e  consultati,  per  dargli  la  riprova  della 
«  verità  nel  costume,  nei  fatti  e  nei  caratteri  del  tempo  rappresen- 

Busetto  —  10 


146  PARTE    SECONDA 


tato  ».  E  osservava:  «  se  si  venisse  a  concedere  che  questa  verità  si 
trova,  allora  il  dire  che  la  storia  è  inventata,  potrebbe  quasi  parere 
più  che  un  biasimo  una  lode,  dal  che  bisogna  guardarsi  ben  bene  (*)  >. 

Qui  —  se  non  m'inganno  —  si  rivela  l'intenzione  scherzosa  di 
tutto  questo  discorso  sulla  storia  vera  e  il  romanzo  inventato,  poiché 
lode  certa  spetterebbe  all'autore  che,  pure  inventando,  avesse  intuito 
e  colto  il  vero,  si  fosse,  cioè,  assimilato  così  lo  spirito  del  tempo  da 
rappresentarlo  veracemente  anche  per  mezzo  di  un  romanzo.  E  non 
era  questo  il  fine,  tante  volte  significato,  e  l'intimo  segreto  dell'arte 
del  Manzoni  ne'  Promessi  sposi  f  Dunque  era  proprio  quella  la  lode 
che  cercava,  ed  è  un  tratto  originale  d' arguta  modestia  il  fingere 
di  volersene  bene  guardare.  E  poi  ci  sono  le  lettere  al  Fauriel,  dove 
ragionando  seriamente  del  romanzo  storico  ne  dà  definizioni  e  chia- 
rimenti quali  poteva  suggerirgli  la  sua  retta  e  precisa  convinzione. 
E  e'  è,  infine,  quel  tratto  della  lettera  allo  Chauvet,  dove  dal  ro4j 
manzo  di  pura  invenzione  distingue  quelli  fondati  sulla  storia" 
com'era  il  suo.  Possiamo  dunque  concludere,  anche  sulla  scorta  di 
questo  passo  diéiV  Introduzione,  che  il  Manzoni  nella  prima  stesura 
era  dominato,  direi  quasi  assillato,  dalla  preoccupazione  di  convin- 
cere i  lettori  che  l'opera  sua  era  fondata  su  una  storia  esatta  e 
verace,  fino  ad  ostentare  scherzosamente  la  verità  storica  perfino  dei 
casi  e  dei  caratteri  inventati. 

Anche  questa  professione  di  realismo  storico,  che  sentiva  il  bi- 
sogno di  fare  neW  Introduzione  e  che  appare  di  tanto  in  tanto  nel 
pieno  del  racconto  (^),  era  un  effetto  di  quella  teoria  del  romanzo  e, 
in  genere,  della  dottrina  letteraria  sulla  rappresentazione  poetica 
della  storia,  che  abbiamo  visto  come  fosse  fondamento  e  sostanza 
della  poetica  manzoniana  e  che  nel  periodo  della  sua  operosità  ar- 
tistica tanto  l'appassionò  quanto  di  poi  la  questione  linguistica.  Sullo 
storicismo,  come  tendenza  prevalente  nella  prima  formazione  de' 
Promessi  sposi,  ha  scritto  in  questi  giorni  alcune  pagine  lucide  e 
acute  A.  Momigliano  il  quale  intende  dimostrare  come  l' intento  storico 
del  Manzoni  nello  scrivere  il  romanzo  dette  origine  a  «  difetti  di 
misura,  corretti  quasi  esclusivamente  per  ragioni  artistiche  »,  e  come 
«  la  tendenza  speculativa  fu  un  gran  pericolo  per  la  fantasia  del 
Manzoni  »  (^).  In  generale,  le  non  poche  digressioni,   che  il  critico 


(1)  Sp.  proni.,  App.  B.,  pp.  795-6. 

(2)  V.,  per  es.,  l'episodio  giovanile  di  Federigo,  che  nella  Chiesa  di  S.  Giovanni 
in  Conca  con  un'occhiata  confonde  de'  giovinastri  insolenti:  episodio  che  il  Manzoni 
intendeva  introdurre  nel  romanzo  per  diligenza  storica,  ma  che,  sollecitato  da  una 
nota  del  Visconti,  cancellò.  V.  sp.  proni.,  pp.  351-2,  n.  11. 

(3)  Op.  CU.,  pp.  84,  86. 


LA   GENESI   LETTERARIA  147 

rileva  negli  Sposi  promessi  come  quelle  d'economia  politica  a  pro- 
posito della  carestia,  e  le  altre  sulla  dimostrazione  di  don  Ferrante 
circa  la  peste  e  sul  secentismo  letterario  e  la  cultura  nel  Seicento, 
si  spiegano  col  soverchiare  di  quella  attitudine,  che  era  vivissima 
nel  Manzoni,  all'  indagine  storica  e  psicologica  e  allo  studio  de'  pro- 
blemi diversi  della  civiltà.  Piii  particolarmente,  possono  essere  con- 
siderate non  solo  come  una  riprova  dell'  intellettualismo  manzoniano, 
prevalente  nella  prima  fase  dell'opera,  ma  anche  come  una  conse- 
guenza, a  cui  il  teorico  obbligava  l'artista,  di  queir  idea  che  il  Man- 
zoni s'  era  fatta  del  romanzo  storico  e  del  modo  come  intendeva  la 
storia  ne'  rapporti  con  la  morale  e  con  1' arte.  Per  ciò  che  dianzi 
s'è  detto  su  questo  proposito,  quelle  notate  digressioni  e  altre  che 
sono  piuttosto  riflessioni  e  giudizi  d' indole  o  morale  o  storica  o 
letteraria^  secondo  la  natura  de'  personaggi  ritratti,  delle  situazioni 
analizzate  o  degli  avvenimenti  narrati,  pareva  al  Manzoni  doves- 
sero rientrare  logicamente  a  comporre  il  quadro  de'  tempi,  ad  illu- 
strare la  vita  e  i  costumi,  a  svelare,  massimamente,  l'intimo  spirito 
di  quella  società  in  mezzo  alla  quale  poneva  i  fatti  e  le  peripezie 
dei  due  poveri  sposi  promessi. 

*     * 

IV.  Nella  lettera  del  29  maggio  1822  al  Fauriel,  che  per  la  sua 
importanza  dovremo  rivedere  un'altra  volta,  il  Manzoni  discorrendo 
del  romanzo,  in  cui  era  allora,  com'ei  diceva  «  enfoncé  »,  rivelava 
all'amico  le  sue  impressioni  e  i  suoi  giudizi,  anzi  le  sue  scoperte 
su  quella  società  e  —  a  leggere  attentamente  —  preannunziava  il 
carattere  largamente  storico  che  gli  pareva  assumesse  l'opera  sua: 
«  Les  mémoires  —  scriveva  il  Manzoni  —  qui  nous  restent  de  cette 
epoque,  présentent  et  font  supposer  une  situation  de  la  société  fori 
extraordinaire.  Le  gouvernement  le  plus  arbitraire,  combine  avec 
r  anarchie  feudale  e  l' anarchie  populaire  ;  une  législation  étonnante, 
par  ce  qu'elle  présent  et  par  ce  qu'elle  fait  deviner,  ou  qu'elle  ra- 
conte;  une  ignorance  profonde,  feroce  et  prétentieuse  ;  des  classes 
ayant  des  intéréts  et  des  maximes  opposées  ;  quelques  anecdotes 
peu  connues,  mais  consignées  dans  des  écrits  trés  dignes  de  foi,  et 
qui  montrent  un  grand  développement  de  tout  cela  ;  enfin  une  peste 
qu'  a  donne  de  l'exercice  à  la  scélératesse  la  plus  consòmmée  et 
la  plus  déhontée,  aux  préjugés  les  plus  absurdes,  et  aux  vertus  les 

plus  touchantes  etc.  etc voilà  de  quoi   remplir  un  canevas ;   ou 

plùtot  voilà  des  materiaux,  qui  ne  feront  peut  étre   que   décéler   la 


148  PARTE    SECONDA 


malhabilité  de  celui  qui   va  les   mettre  en  oeuvre Je  faìs  ce 

que  je  puis  pour  me  pénétrer  de  l'esprit  du  temps,  que  j'ai  a 
décrire,  pour  y  vivre;  il  était  si  originai,  que  ce  sera  bien  ma  faute, 
si  cefte  qualité  ne  se  comunique  pas  à  la  déscription  >  (*). 

Nel  seguito  della  lettera  il  Manzoni  tocca  del  procedere  de'  fatti 
e  dell'intreccio,  cioè  della  parte  romanzesca;  me  ne  occuperò  più 
innanzi  ;  intanto  dal  passo  che  ho  riportato  argomento  non  solo 
r  inclinazione  del  Manzoni  a  dare  un  notevole  sviluppo  alla  parte 
storica  del  romanzo,  che  abbonda  —  se  non  proprio  eccede  —  pur 
nella  stesura  definitiva,  ma  altresì  la  sua  disposizione  mentale,  nel 
considerar  quello  stato  così  straordinario  della  società  lombarda  e 
quello  spirito  così  originale  dell'epoca,  da  sentirsi  invogliato  a  in- 
dagare e  giudicare  e  descrivere,  a  vivere  —  com'ei  dice  —  quei 
tempi  ;  il  che  lo  portava  logicamente,  non  che  ad  abbondare  nelle 
parti  strettamente  storiche^  a  mescolare  al  racconto,  digressioni  che, 
se  erano  inutili  all'intreccio  o  al  concetto  generale  del  romanzo, 
dovevano  convenire  —  secondo  il  suo  avviso  —  alla  conoscenza  dei 
costumi,  delle  istituzioni,  delle  tendenze  spirituali^  di  tutto  ciò,  in- 
somma, che  costituisce  la  tempra  storica  di  quella  società,  e,  per 
ciò  stesso,  la  ragione  giustificativa  dell'ordito  romanzesco  e  dell'in- 
dole de'  singoli  personaggi  in  azione.  Quella  stessa  aperta  dichia- 
razione espressa  nella  lettera  del  3  nov.  1821  al  Fauriel,  quando 
del  romanzo  aveva  tracciato  indubbiamente  il  disegno,  e  già  scritti 
i  primi  capitoli,  di  voler  raccoglier  fatti  e  caratteri  così  somiglianti 
alla  realtà  che  servirebbero  alla  rappresentazione  veridica  della  so- 
cietà lombarda  osservata  in  un  determinato  momento  storico,  onde 
facesse  l' impressione  d'essere  il  narratore  di  una  vera  storia  esu- 
mata dai  documenti,  che  significa,  alla  fin  fine,  se  non  la  preoccu- 
pazione di  comporre  un  romanzo  sì,  ma  materiato  di  quanta  più 
storia  potesse,  di  dare,  insomma,  e  col  reale  e  con  l'inventato,  unal  y 
immagine  netta  ed  esatta  della  vita  civile  e  morale  di  un'epocaj 
storica?  Lo  storicismo,  dunque,  nel  suo  duplice  aspetto  di  realismo 
storico  e  di  psicologismo  storico,  ha  invaso  —  dirò  così  —  il  ro- 
manzo nella  sua  prima  composizione  sia  —  se  vuoisi  —  per  le  tendenze 
intellettualistiche  che  prepoterono  allora  (e  ne  vedremo  il  perchè) 
sulla  fantasia,  sia,  altresì  —  com'  io  credo  —  per  l'effotto  immediato 
che  la  teoria  del  romanzo,  come  mezzo  di  rappresentazione  artistica 
della  storia,  esercitò  su  quel  primo  tentativo  d'arte  narrativa,  che 
sono  gli  Sposi  promessi.  I  quali,  in  un  certo  senso,  potrebbero  esser 


(1)  Epist.  cit.,  voi.  1,  pp.  241-2. 


LA   GENESI   LETTERARIA  149 


considerati  un  romanzo  a  tesi,  in  quanto  si  presentano  spiccatamente 
come  l'applicazione  di  una  tesi  letteraria  e  danno  a  divedere  le 
intenzioni  del  moralista  e  dello  storico;  mentre  i  Promessi  sposi, 
sebbene  di  queir  influsso  conservano  non  lievi  tracce,  si  presentano 
come  l'opera  rinnovata  da  un'  intima  rifusione  della  varia  materia 
al  fuoco  tranquillo,  ma  intenso  di  una  fantasia  paziente  e  possente  : 
quelli  sono  ancora  un'opera  di  costruzione,  questi  un'opera  di  con- 
templazione. 

Al  rinnovamento  intimo  del  romanzo  il  Manzoni  faticosamente, 
ma  vittoriosamente  pervenne  soprattutto  perchè  le  sue  osservate 
tendenze  del  rigore  etico  e  della  veridicità  storica,  nella  rimedita- 
zione morale  e  poetica  di  tutta  l'opera,  rimisero  di  quel  non  so 
che  di  aspro,  di  dogmatico  e  d'intransigente  che  è  in  tutti  i  prin- 
cipi ordinati  e  fissati  in  sistema.  La  tendenza  etica,  superando  i 
limiti  mal  sicuri,  in  cui  ci  appare  come  cristallizzata  la  storia  quando 
la  si  consideri  anzi  staticamente  nel  giro  chiuso  di  un  ciclo  storico 
che  dinamicamente  come  spirito  che  si  fa  e  si  trasforma  nel  con- 
trasto perpetuo  e  indefinito  delle  cose  e  degli  uomini,  inalzò  e  se- 
renò il  criterio  morale  del  poeta,  infondendovi  uno  spirito  di  piti 
meditata  poesia  e  di  più  pensosa  carità;  ond'egli,  penetrando  con 
più  profondo  sguardo  e  con  più  esperta  bontà  ne'  fatti,  né'  senti- 
menti, nelle  passioni  della  vita  di  un  popolo^  considerata  in  un  suo 
momento  storico,  li  vide,  dirò  così,  sub  specie  aeternitatis,  ne  risentì 
la  nota  eterna  del  bene  e  del  male,  delle  colpe  e  delle  virtù,  vi 
colse  la  perenne  vicenda  di  luci  e  di  ombre  in  cui  si  dibatte  il 
secolare  travaglio  dell'uomo,  condensò,  insomma,  nella  realtà  storica 
rappresentata  tanta  verità  e  tanta  umanità  da  rinnovare  le  figure, 
i  caratteri,  le  situazioni  e  le  azioni,  in  cui,  più  che  l'anima  e  i  co- 
stumi di  un  secolo,  vediamo  specchiarsi  gli  aspetti  e  gli  atteggiamenti 
universali  e  le  perpetue  vicende  dell'  anima  umana.  La  tendenza, 
che  deriva  nelle  forme  del  romanzo  il  vero  e  il  reale,  piegandosi 
alla  fantasia  del  poeta,  si  contemperò  con  le  esigenze  dell'  arte,  così 
che  la  pretta  realtà  storica  ne  uscì  parte  idealizzata  in  alte  forme 
epiche  e  drammatiche  e  parte  atteggiata  negli  aspetti  realistici 
della  vita. 

Del  resto,  per  quanto  il  Manzoni  volesse  attenersi  alla  storia  e  alla 
verità  storica  de'  suoi  personaggi,  non  potevano  gli  uomini  e  il  dramma 
di  quel  secolo  uscir  dal  cuore  e  dalla  fantasia  di  un  poeta  come  lui,  se 
non  recando  le  impronte  della  sua  soggettività  d'artista,  che  è  sempre 
l'unica  ed  efficace  energia  onde  la  grezza  materia  si  fa  poesia.  Di- 
ceva bene  il  Goethe,  accennando  appunto   al   carattere   più  umano 


150  PARTE   SECONDA 


che  Storico  dì  alcuni  personaggi  deìVAdelchi,  che  «  noi  non  popsiamo 
interessarci  se  non  a  chi  ci  somiglia  un  poco  »  (*)  e  viene  il  sospetto 
che  a  questa  verità  pensasse  anche  il  Manzoni,  non  ostante  il  suo 
attaccamento  alla  fedeltà  storica,  e  sorridesse,  non  che  degli  storici, 
anche  di  se  stesso  per  quella  gran  sicurezza  di  narrar  cose  storica- 
mente vere  e  reali. 


(1)  Nel  cit.  colloquio  col  Cousin  (in  Cart.,  p.  517-18,  nota). 


Capitolo  III. 

Il  romanticismo  teorico  e  la  genesi  e  la  trasformazione  artistica 
del  romanzo  manzoniano 


I.  La  dottrina  romantica  e  la  poesia  manzoniana:  affinità  e  diver- 
genze. —  II,  Il  ^crocchio*  romantico  milanese.  L' *.  Ildegonda  * 
del  Grossi  nel  giudizio  del  Manzoni.  L'  «  esprit  romanesque  » 
negli  *  Sposi  promessi».  —  III,  L'intima  disarmonia  classico- 
romantica  nella  stesura  primitiva  del  romanzo  e  l'unificazione 
estetica  raggiunta  nella  forma  rinnovata. 

I,  L'esame,  che  ho  fatto,  del  sistema  storico  manzoniano  messo 
a  base  del  romanzo,  mi  porta  a  discorrere  del  romanticismo  come 
dottrina  e  tendenza  in  relazione  con  l'idea  originaria  del  romanzo 
e  con  la  poetica  del  gruppo  lombardo,  a  cui  indubbiamente,  in 
quegli  anni  di  studio,  di  discussione  e  di  preparazione  il  Manzoni 
apparteneva. 

Quanti  e  quali  principi  della  dottrina  e  quanti  e  quali  caratteri 
dell'arte  romantica  accettasse  il  Manzoni  e  con  quali  esclusioni  e 
riserve  s'è  dai  critici  ricercato  e  discorso  in  vario  senso,  e  di  pro- 
posito, con  molto  senno  dal  Graf,  Col  quale  si  può  convenire  che 
la  «  costituzione  psichica  »  del  Manzoni,  «  la  sua  complessione  mo- 
rale furono  appunto  quali  si  richiedevano  a  intendere  appieno  e  ab- 
bracciare risolutamente  il  principio  sostanziale  del  romanticismo,  (*) 
cioè  «  quel  concetto  di  un'arte  che,  non  più  dell'antica,  ma  più  di 
quella  che  s'affanna  a  rifare  l'antica  scaturisca  dall'intimo  della 
psiche,  e  viva  del  vivo,  traendo  spirito  e  norma  dal  veramente  sen- 


fl)  A.  Graf,  Il  romanticismo  del  Manzoni,  in  Sugai  su  Foscolo,  M<iii:uui  <■  Leo- 
pardi, Torino,  Loesclier,  1898,  p.  41. 


152  PARTE   SECONDA 


tito  e  dal  veramente  pensato,  anzi  che  dagli  esempi  e  dai  precetti  »  ('); 
«  furono  solo  in  parte  quali  occorrevano  per  accondiscendere  ad 
alcuni  altri  principi,  importanti  ancor  essi,  ma  subordinati,  non  fu- 
rono in  nessum  modo  quali  ci  sarebbero  voluti  per  acconciarsi  a 
tutto  quel  guazzabuglio  d' idee,  d' immaginazioni,  di  sentimenti  che 
paiono  formar  parte  integrante  della  dottrina,  ma  che  della  dottrina 
propriamente  sono  o  negazione  o  caricatura  »  (*). 

Certamente  il  Manzoni  non  poneva,  come  il  Rousseau,  progeni- 
tore del  romanticismo,  il  sentimento  sopra  la  ragione,  e,  contraria- 
mente ai  romantici  della  fine  del  '700  e  del  primo  ventennio  del 
sec.  passato,  —  tutti,  piii  o  meno  palesemente  ostili  alla  ragione,  — 
egli,  con  quella  sua  mente  in  cui,  come  disse  il  Bonghi,  «  la  facoltà 
del  ragionare  esatto  er^  delle  migliori  »,  rendeva  il  massimo  ossequio 
alla  ragione,  onde  in  lui  il  sentimento  diremo  ancora  col  Graf  — 
«  è  vivo,  vario,  delicato,  eccitabile,  ma  vigilato  molto  da  presso  e 
tenuto  in  soggezione  ».  Non  faceva  egli  della  passione  un  idolo, 
come  tanti  romantici,  né  le  concedeva  troppo  dominio  nell'arte,  non 
indulgeva  alla  fantasia  sregolata,  vaga  di  sogno,  intollerante  della 
realtà,  com'era  quella  cara  a  molti  romantici  {^).  Ebbe  in  comune 
coi  romantici  l'amore  della  storia,  ma  non  l' infatuazione  pel  Medio 
evo,  ed  ebbe,  più  acuto  e  piìi  vivo,  che  non  forse  nella  maggior 
parte  di  loro,  il  senso  storico,  come,  del  resto,  credo  di  aver  dimo- 
strato io  pure  nelle  pagine  precedenti.  Non  si  piacque,  come  usarono 
e  si  gloriarono  i  romantici  «  di  dare  anima  e  sentimenti  alle  cose, 
e  di  chiamarle  a  intimo  colloquio  con  le  anime  umane  {*),  il  che 
vuol  dire  che  non  avesse  anch'egli  un  sentimento  della  natura,  me- 
ditativo e  vigoroso,  piti  di  quanto  non  sembrò  al  Graf  che  per  que- 
sta parte  —  indotto,  forse,  per  opposizione,  dalle  languide  pitture 
di  vecchi  e  nuovi  romantici  —  è  stato  troppo  reciso  nel  suo  giudizio. 
L'idea  democratica,  il  sentimento  democratico,  la  pietà  evangelica, 
la  disposizione  a  considerar  la  vita  e  l'anima  degli  umili,  la  sazietà 
«  dell' artiflziato,  dell'aulico,  dell'accademico  »  del  concetto  e  della 
figura  dell'uomo  «  alterato  e  travisato  dalle  raffinatezze  cortigiane 
e  non  cortigiane  »,  anche  questo  partecipò  con  l' intelletto  ed  espresse 
nell'arte  il  Manzoni  in  comune  coi  romantici,  ma  con  procedimento 
più  cauto  e  con  più  larga  comprensione  delle  differenze  e  de'  con- 
trasti umani;  ond'era  naturale"  che   desiderasse,   come  i  romantici, 


(1)  Ibid.,  p.  41. 

(2)  IMd.,  p.  38. 

(3)  Ibid.,  pp.  45-50. 

(4)  Ibid.,  p.  57. 


LA   GENESI   LETTERARIA  153 


una  letteratura  popolare.  Ma  per  contro  queir  «  esagerato  e  permaloso 
individualismo,  »  che  nelle  forme  della  fantastica  malinconia,  del- 
l' esacerbante  delirio  o  del  cupo  pessimismo,  ora  sentito,  ora  osten- 
tato, fu  essenzialmente  romantico  (/),  non  s'attaccò  al  Manzoni  che 
pur  ebbe  come  ho  dimostrato^  un  suo  pessimismo  filosofico  della 
vita,  attinto  al  suo  sentimento  religioso  e  alla  dottrina  del  cristia- 
nesimo. In  quanto  al  vero,  predicato  di  continuo  dalla  scuola  ro- 
mantica, fu  —  come  sappiamo  —  il  fondamento  dell'  arte  manzo- 
niana; ma  «  i  primi  e  secondi  romantici  »,  che  pur  «  lo  gridarono 
a'  quattro  venti  »,  «  veduto  come  a  voler  fondare  sul  vero  bisogni 
star  sodo  e  durar  fatica  molta,  ebbero  per  più  comodo  e  piìi  spe- 
diente  di  fabbricare  sul  falso,  e  di  quell'interessante,  che  avrebbe 
dovuto  essere  soltanto  il  mezzo,  fecero,  senz'altro,  bravamente  il 
fine  »  (^).  Materia  di  letteratura  interessante  erano  il  fantastico,  il 
lugubre,  il  mostruoso,  il  terribile  che  piacquero  anche  in  Italia  a 
preromantici  e  a  romantici  (^),  ma  ne  abboniva  il  Manzoni;  il  quale 
nella  lettera  a  Cesare  D'Azeglio  alludeva  certamente  a  quelle  forme, 
dicendo  che  s'era  comunemente  inteso  in  Italia  per  romanticismo 
«  un  non  so  qual  guazzabuglio  di  streghe,  di  spettri,  un  disordine 
sistematico,  una  ricerca  dello  stravagante,  una  abiura  in  termini  del 
senso  comune  »  {*);  il  che  —  intendiamoci  —  non  era  e  non  era 
stata  tutta  l'arte  romantica,  ma  una  tal  maniera  del  romanticismo, 
ormai  rifiutata  —  dice  lo  stesso  Manzoni  —  e  decaduta.  L'argomento 
potrebbe  tirarci  in  lungo,  e  potremmo  col  Graf  ripetere  che  il  Man- 
zoni fu  «  deliberatamente  romantico  nella  dottrina  romantica  »,  la 
quale  era  «  in  sostanza  non  diversa,  o  poco,  diversa  da  quella  di 
Guglielmo  Schlegel,  del  De  Vigny,  dell'Hugo»  nell'aver  voluto  so- 
stituire «  il  concreto  all'astratto,  il  particolare  al  generale,  l'uomo 
vero  al  fittizio»;  meno  risolutamente  romantico  nell'idea  della  me- 
scolanza del  tragico  e  del  comico,  dello  scherzevole  e  del  serio  — 
«  canone  principale  all' estetica  romantica  »,  benché,  come  vedremo, 
il  Manzoni,  l'abbia,  in  pratica,  effettuate  ne'  Promessi  sposi,  possia- 
mo infine  concludere  eh'  ei  si  tenne  «  stretto  e  fedele  ai  soli  principi 
fondamentali  del  romanticismo  italiano,  rimanendo  fuori  aff'atto  dei 


(1)  V.,  in  generale,  Voj).  cit.  del  Graf,  pp.  58-64. 

(2)  ma.,  p.  73. 

(3)  V.  A.  Galletti,  Introduz.  alla  Lett.  semiseria  di  Orisostomo  di  G.  Berchet, 
Lanciano,  Carabba,  1913,  pp.  70-75. 

(4)  Lett.  cit.  del  21   sett.  1823,  (in  Epist.  cit.,  voi.  I,  p.  312).  Per  l'avversione  del 
Manzoni  ad  ogni  l'orma  di  meraviglioso,  v.  Galletti,  Introduz.  cit.,  pp.  67-8. 


154  PARTE   SECONDA 


traviamenti  della  dottrina  romantica  e  dell'arte  romantica»  (*).  De 
resto,  si  può  dire  del  Manzoni  quel  che  dei  romantici  italiani  in 
genere,  che  «  giovò  loro  forse  a  mettersi  arditamente  per  vie  nuove 
il  non  aver  saputo  che  cosa  fosse  veramente  e  a  che  mirasse  il  ro- 
manticismo »  vero  e  proprio,  quello  cioè  originalmente  tedesco,  il 
quale  fu  difatti,  «  un  risveglio  e  una  sistemazione  del  sentimento 
nazionale,  del  germanesimo  armato  di  teoria,  di  precetti  e  di  di- 
sdegni.,., contro  l'arte,  la  cultura,  la  tradizione  latina».  In  Italia, 
invece,  come  in  Francia,  <  i  novatori  s'illusero  che  quello  fosse  un 
moto  disinteressato  dello  spirito  moderno,  desideroso  di  trovare  una 
poesia  nuova  e  adeguata  alla  complessità  morale  dell'uomo  »  (*), 
che  fosse  una  novella  rinascita  dello  spirito:  rivolsero  perciò  le  idee 
e  l'arte  romantica  ai  nobili  scopi  del  rinnovamento  della  coscienza 
nazionale  e  dell'educazione  popolare,  ma  altresì,  avvolgendosi  in 
incoerenze,  bizzarrie  e  contraddizioni,  non  intesero  il  medioevo  ita- 
liano e  secondarono  le  immaginazioni  esotiche  del  medioevo  tedesco. 
Qui  pure  vide  meglio  di  tutti  il  Manzoni,  il  meno  romantico  — 
dice  giustamente  il  Galletti  —  dei  romantici  nostri  :  che,  cioè  c'era 
«  bisogno,  per  creare  nuova  poesia,  di  rifarsi  dal  Medioevo  >  ;  che 
non  importava  «  cercare  nel  passato  un  ideale  politico  o  letterario  » 
che  «  a  migliorare  gli  Italiani  e  a  preparare  la  nuova  Italia  >  ba- 
stava «  il  Cristianesimo  »,  bastavano  «  quei  principi  di  democrazia 
che  vanno  d'  accordo  col  Vangelo  >  (^). 

Ora  dobbiamo  vedere  più  da  vicino  le  relazioni  del  Manzoni  col 
gruppo  lombardo  e  precisamente  con  quell'accolta  di  valentuomini 
che  Ermes  Visconti  chiamava  nel  1819,  con  intenzione,  credo  io, 
scherzosamente  bellicosa,  il  «  crocchio  supraromantico  della  contrada 
del  Morone  »  {*)  quella,  cioè,  che  soleva  adunarsi,  intorno  a  quel 
tempo,  in  casa  del  Manzoni.  Il  Graf,  pur  convenendo  che  le  parole 
del  Manzoni,  riguardo  agli  scrittori  del  Conciliatore  (*),  «  di  cui  erano 
stati  soppressi  i  fogli,  ma  non  le  idee  »,  proverebbero  il  pieno  e 
perfetto  accordo,  in  quegli  anni  tra  loro,  dubita  che  fosse  tale,   o 


(1)  Graf,  op.  cit.,  pp.  99-10.  Il  Manzoni  giustifica  la  mischianza  del  faceto  e  del 
serio  nelle  opere  di  genere  narrativo,  e  anche  di  quelle  di  genere  drammatico,  purché, 
come  in  Shakespeare,  essa  sia  stata  osservata  nella  realtà.  (Cfr.  Lettre  sur  V  unite 
cit.,  pp.  413-4.  V.  anche  la  lett.  al  Fauriel  del  1.»  sett.  1822,  in  Kpist.,  voi.  I,  pp.  257-8). 

(2)  A.  Galletti,  Introd.  cit.,  pp.  27-8,  52.  Si  veda  anche  il  mio  scritto  II  roman- 
ticismo e  il  carattere  nazionale  della  letter.  ital.,  Campobasso,  Giov.  Colitti  e  f., 
1919,  pp.  30-41. 

(3)  A.  Galletti,  Introd.  cit.,  pp.  80-1. 

(4)  Lett.  del  25  nov.  1819  al  Manzoni  (in  C'art.  cit.,  p.  445). 

(5)  Li  chiamava  suoi  «  amis  et  compagnons  de  souffrance  littéraire  »  nella  cit.  lett. 
al  Fauriel  del  29  gemi.  1821. 


LA    GENESI   LETTERARIA  155 


almeno  vorrebbe  indurre  che,  se  allora  il  disaccordo  era  leggero, 
andò  aggravandosi  col  tempo  (*).  Che  un  pieno  accordo  non  ci  fosse, 
l'asseriva  lo  stesso  Manzoni  in  un  luogo,  finora  inosservato,  di  una 
lettera  del  '20  al  Fauriel,  al  quale  inviava  una  nota  storica  sulle 
controversie  tra  romantici  e  classici  di  quegli  anni,  osservando 
«  Vous  devinerez  que  je  ne  suis  pas  en  tout  de  l'avis  du  rédacteur, 
mais  il  me  paraìt  en  gros  qu'  il  a  très  bien  vu  »  (*).  Quella  stessa 
lettera  al  D'Azeglio,  che  vorrebbe  essere  l'esposizione  riassuntiva 
del  romanticismo  teorico  italiano,  è  condotta  con  tale  spirito  critico 
e  con  tale  tono  da  aggiunger  forza  all'opinione  che  non  vi  fosse 
intero  e  assoluto  accordo  del  Manzoni  coi  suoi  amici  lombardi. 

Ma  su  questo  punto  bisogna  procedere  con  cautela,  e  distinguere 
i  tempi  e  le  circostanze  del  pensiero,  avendo  l'occhio  alle  date,  che, 
nella  storia  di  uno  spirito  meditativo  e  critico  della  forza  del  Man- 
zoni, segnano  atteggiamenti  e  sviluppi  di  idee  non  trascurabili.  Fin 
dal  1816,  quando  incominciò  il  Carmagnola,  il  Manzoni,  infervorato 
della  dottrina  romantica  massime  per  la  riforma  drammatica,  si 
professava,  scrivendone  al  Fauriel,  avverso  alle  regole,  ai  sistemi 
angusti  e  artificiali,  alla  lingua  retorica,  all'arte,  insomma,  classi- 
cheggiante che  più  s'allontanava  dalla  naturalezza  (^).  Seguiva  atten- 
tamente la  lenta  crisi  delle  idee  letterarie  e  i  dubbi  che  già  sorge- 
vano su  molte  idee  della  scuola  classica,  ritenute  fino  allora  sicure 
e  intangibili,  in  Lombardia,  dove,  per  opera  specialmente  di  Lodo- 
vico de  Breme,  del  Berchet  e  del  Borsieri  la  dottrina  romantica 
guadagnava  terreno  ;  si  lagnava  che  in  Italia,  di  idee  larghe  e  vere 
la  propagazione  fosse  minore  che  in  Francia  e  le  resistenze  dei 
pregiudizi  de'  classicisti  più  forti  :  anzi  in  un  raffronto  tra  i  poeti 
classicheggianti  francesi  e  quelli  italiani,  diceva  testualmente  cosi: 
«  Au  reste,  il  me  paraìt  que  la  Poesie  est  chez  nous  dans  un  état 
plus  pitoyable  qu'en  France.  J'envie  presque  le  ton  minaudier  des 
imitateurs  de  Delille.  Leur  poesie  porte  au  moins  l' empreinte  du 
caractère  de  la  conversation  des  boudoirs;  elle  est  plus  près  d'un 
genre  de  vie  que  la  nótre,  elle  est  plus  populaire  ;  mai  ce  style  savant 
(et  encore  de  quel  savoir),  ces  idées  et  ces  moeurs  tradì tionelles  de 
l'école  dont  est  encore  composée  à  peu-près  notre  Poesie,  sont  pour 
moi  bien  plus  anti-poétiques  »  {*). 


(1)  Op.  Git.,  p.  40. 

(2)  Cari,  cit.,  p.  497. 

(3)  Lett.  del  25  marzo  1816  (in  Cart.  cit.,  pp.  364-5). 

(4)  Lett.  al  Fauriel  del  13  luglio  1816  (in  Cart.  cit.,  p.  373). 


156  PARTE   SECONDA 


In  quel  tempo  il  Manzoni  —  come  appare  chiaro  dalle  parole 
sue  —  aderiva  pienamente  al  moto  romantico,  e  per  la  risolutezza 
con  cui  affermava  di  mettersi  col  Carmagnola  per  un  nuovo  cam- 
mino contro  tutti  i  pregiudizi  della  vecchia  scuola,  mostrava  di  vo- 
lervi efficacemente  contribuire.  La  istessa  lettera  del  Visconti  sul 
«  crocchio  »  romantico  milanese  fa  capire,  per  le  particolari  notizie 
circa  il  lavoro  de'  confratelli  in  arte  e  per  l'intera  confidenza  con 
cui  egli  comunica  le  sue  informazioni  e  ì  suoi  giudizi  al  Manzoni, 
che  questo  partecipasse  con  affezione  e  solidarietà  alle  idee  e  alle 
prove  de'  suoi  amici  romantici.  Uscito  il  Carmagnola,  parve  «  cosa 
divina  »  al  Pellico,  e,  mentre  il  Monti  ne  riteneva  «  trascurato  e 
prosaico  »  lo  stile,  piaceva  ai  romantici  appunto  per  lo  stile  «  schivo 
dei  modi  e  dei  vocaboli  non  simili  alla  prosa  »  così  da  rendersi 
accessibile  «  anche  a  coloro  che  non  sono  educati  al  linguaggio 
poetico  »  (')  :  popolare,  dunque,  comunicabile  ad  ogni  ordine  di 
lettori,  intonato  all'argomento,  non  antico,  della  tragedia.  Di  mag- 
giore importanza  è  ciò  che  il  Manzoni  scriveva  nel  '20  al  Fauriel 
SVLÌV Ildegonda  del  Grossi  e  novamente  sullo  stato  della  poesia  in 
Italia  :  sperava  che  il  critico  francese  trovasse  nel  «  petit  poème  » 
dell'  amico  ricchezza  di  poesia  originale  e  quei  caratteri  che  fanno 
la  vera  poesia;  deplorava,  per  contro,  che  di  tale  poesia  fosse  pe- 
nuria in  Italia,  dove  —  diceva  —  «  les  habitudes,  les  règles,  toutes 
les  idées  tendent  depuis  long-temps  à  éloigner  la  poesie  du  naturel, 
et  à  n'en  faire  qu'  un  langage  de  convention  >.  Non  trovava  nelle 
abitudini  e  ne'  gusti  degl'italiani  d'allora  la  disposizione  ad  appro- 
fondire i  sentimenti;  onde  gli  pareva  che  i  poeti  si  restringessero 
a  inventare  i  fatti,  a  concepire  situazioni  e  contrasti  con  rudimen- 
tale semplicità  e  a  risolverli  in  modo  troppo  superficialmente  netto 
e  reciso,  così  da  non  avere  che  a  descrivere  delle  passioni,  per 
così  dire,  elementari  (*).  Questo  giudizio  sulla  letteratura  narrativa 
contemporanea  concorda  con  ciò  che  dei  romanzi  e  del  romanzesco 
abbiam  visto  ragionar  nella  Lettera  sulle  unità  drammatiche  allo 
Chauvet  e  non  è  da  trascurare  per  lo  studio  delle  origini  de'  Pro- 
messi sposi:  resta  intanto  provato  che  sul  '20  il  Manzoni  non  trovava 
nulla  di  lodevole  nella  lettera  narrativa,  corrente  allora  in  Italia,  e 
si  doleva  che  il  pubblico  non  vi  cercasse,  secondato  dagli  autori, 
che  r  abilità  inventiva  e  le  facili  situazioni  sentimentali. 


(1)  Lett.  di  S.  Pellico  al  fratello  Luigi  dell' 8  gean.  1820  (in  Cart.  cit.,  pp.  457-8.) 

(2)  Lett.  del  17  ott.  1820  (in  Cart.  cit.,  pp.  496-7). 


LA    GENESI    LETTERARIA  157 


Ma  ciò  che  desta  meraviglia  è  la  lode  incondizionata  con  cui  il 
Manzoni  invia  V Ildegonda  all'amico,  il  trovarvi  «  plusieurs  de  ces 
caractères  importantes  qui  font  la  vraie  poesie  ».  Dunque  quel 
mondo  fantastico  e  sentimentale,  trasferito  dal  Medio  evo  in  una 
novella  romantica,  quella  serie  di  visioni,  lamenti,  svenimenti,  deliri, 
convulsioni  con  apparizioni  lugubri  di  fantasmi,  con  crudezza  di 
sentimenti  e  lunghe  descrizioni  e  monologhi,  appena  interrotti  da 
brevi  dialoghi,  tutto  questo,  che  è  la  sostanza  poetica  AeW Ildegonda, 
piaceva  allora  al  Manzoni?  Anzi,  oltre  il  fantastico,  c'è  il  patetico, 
che  di  quello  nasce  e  se  ne  alimenta,  e  e'  è  anche  il  romanzesco, 
come  la  fuga  della  giovinetta  dal  monastero  in  una  grotta,  dove 
s'incontra  con  Rizzardo,  il  giovane  ch'ella  ama  contro  la  volontà 
crudele  de'  parenti,  e  la  sorpresa  da  parte  del  fratello  di  lei,  e  il 
tentato  suicidio  dell'  infelice  che  si  gitta  da  un  parapetto  del  mona- 
stero, dove  è  stata  nuovamente  rinchiusa  (}). 

Sì,  la  concezione  àeW Ildegonda  è  originale:  è  —  come  dice  il 
De  Sanctis  —  «  il  solo  flore  romantico  che  abbia  l' Italia  >  ed  ha 
anche  finitezza  d'esecuzione,  che  ne  fa,  relativamente  al  resto,  il 
capolavoro  del  Grossi,  ma  è  pur  sempre  un  genere  d'arte  patetico, 
lugubre,  romanzesco,  acni  non  pare  dovesse  consentire  il  Manzoni 
se  si  consideri  ciò  che  della  parte  positiva  della  letteratura  roman- 
tica scriveva  tre  anni  dopo  a  Cesare  D'Azeglio.  Ora,  chi  sappia  la 
sua  dirittura,  la  sua  discrezione  né  giudizi  letterari  e  la  parsimonia 
ritrosa  nel  concederne  a  chi  glieli  richiedeva,  non  potrà,  supporre 
che  l'afifótto  quasi  fraterno,  ond'era  legato  al  Grossi,  facesse  velo 
al  suo  gusto  e  al  suo  giudizio.  Bisognerebbe  dunque  pensare  che 
neìì' Ildegonda  egli  trovasse  un  colorito  medievale,  riprodotto  con 
bravura^  una  complicazione  di  situazioni  e  d^affetti  non  elementari, 
come  —  r  abbiam  visto  —  desiderava  nella  novella  e  nel  romanzo, 
e  rappresentazione  di  contrasti  non  semplici  ne  recisi. 

Questo  può  esser  vero,  perchè  difatto  Vlldegonda  contiene  di  quelle 
situazioni  e  di  quei  contrasti  psicologici,  ma,  per  giudicarla  «  poesia 
originale  »  non  dovevano  spiacergli  gli  episodi  vivamente  roman- 
zeschi e  le  scene  pateticamente  drammatiche  che  pur  vi  sono. 

Tutto  ciò  induce  a  credere  che  il  Manzoni  nel  1820  —  per  quanto 
disdegnasse  il  falso  romanzesco,  che  inventava  i  fatti  per  adattarli 
a  sentimenti  fittizi  —  non  era  del  tutto  alieno  da  quel  romanzesco  — 


(1)  V.  la  vivida  analisi  che  deW  Ildegonda  ha  fatto  il  De  Sanctis  nelle  sue  lezioni 
sulla  Letter.  ital.  del  s.  XIX,  Napoli,  Morano,  1892,  pp.  27-36.  Si  veda  anche  O.  Bro- 
GNOLiGO,  T.  Grossi,  Vita  e  opere,  Messina,  Principato,  1916,  pp.  80  e  segg.,  93,95-6, 
126-7,  136-7. 


158  PARTE    SECONDA 


che  scaturisce  da  un  ordine  di  fatti  immaginati  con  verace  intui- 
zione dello  spirito  di  un'  epoca  storica  (non  cercava  infatti  il  Grossi 
di  ringiovanire  il  fantastico  così  naturale  e  consentaneo  al  Medio- 
evo?) e  che  s'intonasse  alla  complessità  e  profondità  di  certe  passioni. 

Si  è  detto  —  ed  è  ormai  opinione  comune  —  che  il  Manzoni  si 
differenzia  dai  romantici  lombardi  anche  perchè  questi  inclinavano 
all'adorazione  della  poesia  germanica  e  all'imitazione  di  essa  (^). 
Ciò  è  vero  ;  ed  è  pur  vero  che  nella  critica  manzoniana  «  non  ebbe 
parte  alcuna  il  sentimento  romantico  »,  perchè  «  non  gli  era  possibile 
introdurre  i  gusti  romantici  nella  critica,  dappoi  che  non  li  intro- 
dusse neir  arte  »  e  perchè,  da  ragionatore  sottile  e  sicuro,  era  por- 
tato a  costruire  solidamente  il  suo  sistema  sulla  ragione,  guardandosi 
dai  sentimenti  di  lor  natura  cangianti  e  fluttuanti  (*).  Il  Borgese, 
riproponendosi  il  quesito,  già  posto  e  assennatamente  ragionato  dal 
Graf:  —  fu  il  Manzoni  nel  sentimento  un  romantico?  — ,  lo  risol- 
vette, nettamente  affermando  che  in  lui  si  trova  «  un'anima  classica  » 
che  cercava  e  consigliava  «  l'equilibrio  del  giusto  mezzo,  incurioso 
delle  avventure  e  delle  emozioni  >,  sereno  anche  più  del  Goethe,  misu- 
rato anche  nel  suo  cristianesimo,  ispirato  da  una  placidità  benigna 
ne'  giudizi  e  nell'arte,  onde  «  quella  sua  abitudine  di  recedere  tutte 
le  volte  che  la  fantasia  lo  conduceva  un  po'  oltre  la  media  realtà  »  (^). 

C'è  del  vero  anche  in  questi  giudizi,  ma,  non  ostante  ciò,  vogliam 
fare  qualche  osservazione  non  inutile  per  la  conoscenza  dello  spirito 
manzoniano.  Anzitutto,  se  non  nella  dottrina,  certo  nella  pratica  i 
romantici  lombardi  —  intendiamo  il  gruppo  che  fiorì  attorno  al 
Manzoni  e  negli  anni  tra  il  '16  e  il  '21  che  veniamo  presentemente 
considerando  —  indulgevano  qualche  volta,  e  talora  troppo  —  come 
n'è  prova  l'esempio  del  Grossi  —  al  fantastico,  al  sentimentale,  al 
lunereo,  a  certo  gusto  romantico,  insomma,  che  sapeva  lontanamente 
d'imitazione  straniera.  Né  vorrei  affermare  che  ciò  dipendesse  as- 
solutamente dalla  loro  dottrina;  poiché  con  l'indirizzo  morale,  po- 
litico e  religioso,  prevalente  nelle  loro  idee  letterarie,  con  la  teoria 
dell'arte  adoperata  come  imitazione  del  vero,  al  fine  di  giovare 
dilettando,  con  l'intento  morale  e  civile,  proposto  alla  poesia,  si 
poteva  conciliare  l'uso  del  romanzesco,  del  patetico,  del  fantastico, 
quando  questi  modi  d'arte  fossero  stati  trattati  come  mezzi  a  destar 
l'interesse  (e  l'interessante  —  si  sa  —  era  un  canone,  accolto  pur 


(1)  V.  G.  A.  BOROKSE,  storia  (1.  critica  romant.  in  Italia,  Hiivi,  Laterza,  1905,  p.  99. 

(2)  BOROESK,  op.  cit.,  p.  152. 

(3)  Borgese,  op.  cit.,  pp.  150-1. 


LA   GENESI   LETTERARIA  «    159 


dal  Manzoni,  della  critica  romantica)  e  non  impedissero  la  manife- 
stazione del  sentimento  religioso  o  civile,  né  la  soluzione  prettamente 
cristiana,  cercata  dagli  autori  per  gli  stati  d'animo  complicati  e  il 
corso  degli  avvenimenti.  Con  tali  concetti,  per  es.,  il  Grossi  ha  ideata 
e  svolta  la  sua  novella:  il  delirio  d'Ildegonda,  con  le  visioni,  i  la- 
menti, gli  svenimenti,  i  fantasmi,  nasce  dal  sapere  eretico  Rizzardo 
ch'ella  ama:  quel  patetico  acuto,  che  vediamo  nelle  immaginazioni 
perturbatrici  della  sua  mente,  scaturisce  dal  contrasto  tra  l'amore 
per  Rizzardo,  che  ella  teme  morto  in  peccato,  e  il  sentimento  reli- 
gioso, e  infine  la  pia  e  placida  morte  di  lei,  comfortata  dalle  suore, 
proprio  come  Ermengarda,  succede  alla  lieta  novella  che  Rizzardo 
pure  è  morto  da  buon  cristiano.  Può  essere  stata  appunto  codesta 
soluzione  soavemente  religiosa  di  una  triste  storia  d'  amore  —  più, 
forse,  del  colorito  medievale  —  che  dovette  piacere  al  Manzoni  ; 
può  essere  stato  il  contrasto  tra  l'amore  e  la  fede,  cristianamente 
composto,  che  gli  fé'  trovare  poesia  vera  nell'opera  dell'amico  suo. 
Nessuna  meraviglia;  giacché  la  caratteristica  del  romanticismo  ita- 
liano —  significata,  nel  modo  più  alto  e  più  puro,  proprio  nel  pen- 
siero e  neir  arte  del  Manzoni  —  fu  di  elevare  la  poesia  alla  cele- 
brazione del  cristianesimo  e  delle  virtù  cristiane;  fu  il  modo  di 
sentire,  d'intendere  il  cristianesimo,  e  di  rappresentare  gli  aspetti 
e  le  vicende  dell'anima  umana,  in  accordo  o  in  contrasto  con  gli 
ideali  della  coscienza  cristiana:  ciò  che  contraddistinse  la  critica  e 
la  poesia  del  nostro  romanticismo  non  solo  dalla  teoria  e  dall'  arte 
della  scuola  classica,  ma  altresì  dal  romanticismo  tedesco. 

Ma  che  intorno  al  20  —  nel  tempo  che  precedette  di  poco  la 
prima  ideazione  de'  Promessi  sposi  —  il  Manzoni  non  fosse  del  tutto 
alieno  dal  concedere  all'arte  narrativa  un  certo  colorito  romanzesco 
e  pittoresco,  una  certa  vivacità  drammatica,  risultante  ne'  contrasti 
di  passioni  complicate,  é  confermato  dalla  minuta  del  romanzo, 
massimamente  per  il  modo  truculento  com'  é  rappresentata  la  morte 
di  don  Rodrigo,  per  1'  analisi  ardita  della  morbosa  passione  di  Ger- 
trude, per  la  descrizione  vivamente  realistica  della  torva  congiura 
che  contro  la  temuta  conversa  tengono  nel  notturno  silenzio  clau- 
strale la  signora  e  le  suore,  sue  complici  nel  peccato  e  nel  delitto, 
insieme  con  lo  scellerato  Egidio,  pel  racconto,  rapido  sì,  ma  dalle 
tinte  forti  e  fosche,  della  barbara  soppressione  di  quella  poveretta, 
per  il  pathos  che  vibra  di  un  lugubre  accoramento  ne'  colloqui  di 
quella  sciagurata  col  tristo  amante. 

E  romanticismo  rubesto,  di  quello  che  non  doveva  spiacere  al 
Grossi,  al  Visconti,  al  Berchet  ed  ad  altri  lombardi   del  crocchio 


160  PARTE   SECONDA 


che  si  radunava  in  casa  Manzoni,  aveva  egli  sparso  anche  in  altre 
parti  del  romanzo,  come  nel  primo  ritratto,  dall'aria  volgare  e  bri- 
gantesca, dell'Innominato;  nel  romanzesco,  tetro  e  drammatico, 
della  descrizione  di  alcuni  truci  delitti  di  lui,  nell'analisi  dell'anima 
di  Gertrude  giovinetta,  resa  nelle  parole  e  negli  atti  più  stranamente 
agitata  e  scomposta  e  febbrilmente  verbosa;  nella  dipintura  del  ter- 
rore e  del  dolore  di  Lucia  chiusa  nel  castello  dell'Innominato,  di- 
pintura che  ha  qualcosa  di  veemente,-  d'affannoso,  ;di  fantastico, 
per  colori  fortemente  accesi,  e  rilievi  aspramente  risentiti  ;  nelle 
figure  stesse  di  Renzo  e  di  fra  Cristoforo,  tutt'e  due  più  appassio- 
nate, ciascuno  secondo  la  propria  natura  e  il  proprio  stato,  e,  quasi 
direi,  agitate  da  una  virulenta  fierezza,  non  senz'ombra  di  quella 
rude  volgarità  che,  attinta  dallo  spirito  del  secolo,  accresce  il  pit- 
toresco dei  loro  caratteri,  ma  non  serve  all'intima  interpretazione 
delle  loro  anime  (*).  Mi  limito  per  ora  a  questi  accenni  sul  ro- 
manticismo artistico  della  prima  forma  de'  Promessi  sposi,  poiché 
avrò  occasione  di  ritornarvi  nello  studio  estetico  dell'azione  gene- 
rale del  romanzo  e  de'  caratteri  dei  personaggi;  pertanto,  da  ciò 
che  s'è  fin  qui  osservato,  con  riscontri  di  giudizi  suoi  e  d'esempi 
della  prima  stesura,  mi  pare  risulti  che  il  Manzoni  non  fosse  del 
tutto  fuori  —  come  comunemente  si  crede  —  della  corrente  roman- 
tica, fuori  cioè  di  quel  pittoresco,  drammatico  romanticismo  a  cui 
in  fondo  si  riduce  1'  «  esprit  romanesque  »  che  tuttavia,  scrivendo 
egli  stesso  nel  29  maggio  del  '22  al  Fauriel,  si  proponeva  di  evitare 
nello  studio  e  nella  rappresentazione  della  natura  e  de'  fatti  degli 
uomini  (*). 

Sì  pareva  volesse,  sin  da  allora,  seguire  il  criterio  d'escludere 
dell'opera  lo  spirito  romanzesco,  ma  proprio  in  quel  torno  di  tempo 
veniva  tratteggiando  nella  minuta  la  figura  dell'  Innominato  (^)  nel 
modo  che  s'è  detto.  Il  che  fa  pensare  che  l'accordo  della  teoria 
con  la  pratica  dell'  arte  non  fosse  ancora  serenamente  e  armonica- 
mente composto  nella  coscienza  del  poeta;  che  lo  spirito  de'  tempi, 
presi  a  descrivere,  di  quella  «  situation  de  la  société  fort  extraor- 
dinaire  >  lo  attraesse  e  commovesse  pe'  suoi  caratteri  originali  da 
non  potere  a  meno  di  assimilarne  nell'arte  sua  l'accesa  veemenza 


(1)  V.  i  miei  cit.  Saggi  mam.,  pp.  7-10. 

(2)  Diceva:  «  Quant  à  la  marche  des  évènements  et  à  l'intrigue,  jè  crois  que  le 
lueilleur  nioyen  de  ne  pas  faire  comme  les  autres,  est.  de  s'attacher  à  considcrer  dans 
la  réalité  la  manière  d'agir  des  hommes,  et  de  la  considérer  surtout  dans  ce  qu'elle 
a  d'oppose  à  l'esprit  romanesque».  {Epist.  cit.,  voi.  I,  p.  242). 

(3)  Infatti  l'autogr.  al  cap.  I  del  Tomo  III  porta  la  data  28  nov.  1822  tre  capitoli 
dopo  il  ritratto  dell'  Innominato. 


LA   GENESI   LETTERARIA  161 

e  la  tetra  drammaticità  (*);  che,  in  fine,  parendogli  il  vivo  colorito 
romanzesco  delle  scene  e  de'  caratteri,  via  via  rilevati,  un  riflesso 
verace  de'  sentimenti,  delle  passioni,  de'  costumi  di  quello  stato 
straordinario  della  società  italiana,  si  compiacesse  di  trovarsi  d'  ac- 
cordo, anche  per  quella  pane,  col  suo  rigido  criterio  della  verità 
storica. 

III.  Oltre  il  romanzesco,  è  qui  il  caso  di  ricordare  alcuni  atteg- 
giamenti dello  spirito  manzoniano  che  abbiamo  più  addietro  notato 
nella  prima  stesura  de'  Promessi  sposi  :  quella  religiosità  che  prende 
forme  e  toni  troppo  apologetici  e  polemici  ;  quella  scrupolosa  cura 
della  storia  che  costringe  l'autore  a  rappresentarci  caratteri  ed  epi- 
sodi in  un  modo  che  vuole  essere  veridico,  e  riesce,  sì,  ad  un'effi- 
cace evocazione  storica,  ma  non  ad  una  vasta  e  profonda  rappre- 
sentazione d'anime  e  di  vita  universe,  trasportandolo  a  corredare 
eccessivamente  d'informazioni  e  di  digressioni  storiche  il  racconto; 
quel  moralismo  che  si  riflette  nel  mondo  rappresentato  con  un'  aria 
di  severità  e  di  edificazione  alquanto  ostentata  ;  queir  intellettua- 
lismo che  fa  troppo  sentire  nel  romanzo  la  meditazione  del  ragio- 
natore per  l'abbondanza  de'  giudizi,  per  la  riflessione  analitica  de' 
fatti  e  la  disposizione  critica  della  satira  e  dell'  ironia.  Ora  codeste 
tendenze  dello  storicismo,  del  moralismo  e  del  criticismo  raziona- 
listico non  sono  appunto  i  tratti  essenziali  della  dottrina  romantica, 
come  l'avevano  ragionata  il  Berchet,  il  Visconti  e  altri  scrittori  del 
Conciliatore  ì 

«  Storia  »  e  «  cristianesimo  »,  il  «  vero  »  e  il  «  bene  »,  la  perfezione 
morale  dell'uomo  e  della  società  e  simili  principi  —  ben  lo  sap- 
piamo —  erano  la  materia  e  gl'intenti,  voluti  dai  romantici  italiani 
nella  poesia;  tutta  la  lora  critica  mirava  più  alla  materia  che  al- 
l'arte, che  in  quanto  a  questa,  predicando  l'imitazione  del  vero, 
non  si  dilungavano  dalle  teorie  de'  classici,  onde  la  loro  riforma 
essenzialmente  morale,  pratica,  didattica,  non  estetica.  Era  naturale 
che  tali  tendenze  pratiche  e  normative  dalla  discussione  dottrinaria 
fossero  portate  nell'uso  dell'arte.  Il  Manzoni,  il  cui  vangelo  roman- 
tico era  più  retto  e  sicuro  degli  altri,  perchè  non  voleva  nell'arte 
che  fedeltà  al  vero  e  servitù  al  bene,  perchè  anzi  subordinava  anche 
il  vero  storico  al  vero  morale,  quando  veniva  estendendo  la  minuta 
de'  tromessi  sposi,  era  manifestamente  portato  verso  quelle  tendenze 


(1)  «  Il  était  si  originai  —  scriveva  del  soggetto  al  Fauriel  —  que  ce  sera  bien 
ma  faute  si  cette  qualité  ne  se  communique  pas  à  la  description  »  (ivi). 


Busetto  —  11 


162  PARTE    SECONDA 


speculative  non  solo  pel  proposito,  eh'  egli  avesse,  di  reagire  all'an- 
dazzo frivolo  e  falso  della  prosa  narrativa  precedente,  non  solo  per 
quella,  dirò  cosi,  risonanza  immediata,  in  addietro  notata,  ch'ebbero 
nel  romanzo  le  questioni  di  morale  e  di  religione  trattate  in  con- 
traddizione al  Sismondi,  ma  anche  perchè  con  codeste  sue  disposi- 
zioni s'accordavano,  e  vi  aggiungevano  forza  e  autorità,  le  sue  idee 
sul  fine  morale  dell'  arte  e  il  forte  precettismo  etico  e  religioso  di 
quel  sistema  romantico  a'  cui  principi  essenziali,  anche  s'egli  non 
voleva  essere  il  capo  della  nuova  scuola,  aderiva  con  meditata  e 
risoluta  coscienza.  La  prima  redazione  del  romanzo  è,  appunto,  ri- 
spetto alla  forma  ultima  definitiva,  un'imperfetta  opera  d'arte,  che 
tramezza  tra  il  romanticismo  e  il  classicismo;  risente  dell'influsso 
della  critica  romantica  e,  di  conseguenza,  un  po'  de'  contatti  spiri- 
tuali che  con  la  scuola  lombarda  aveva  allora  il  Manzoni  (non  per 
nulla  vi  piglia  la  sua  brava  parte  il  Visconti  per  rivedere,  ammo- 
nire e  consigliare)  ;  rappresenta  un  primo  momento  dello  spirito 
artistico  del  Manzoni  messosi  alla  grande  opera,  un  momento  nel 
quale  la  tendenza  romantica  e  la  classica  non  hanno  ancora  trovato 
il  loro  punto  di  fusione  nel  sapiente  disegno  e  nella  perspicua  uni- 
ficazione del  sentimento  ispiratore  con  l' immagine  significativa.  Con- 
trasto tra  impulsi  d^arte  romantica  e  aspirazione  a  forme  classiche, 
che  spiega  e  giustifica  la  composizione  ancora  perplessa  e  confusa, 
nello  spirito  e  nelle  forme,  della  prima  stesura  e,  ad  un  tempo,  il 
fecondo  lavorìo  di  rinnovamento  non  solo  formale,  ma  in  molte  parti 
sostanziale,  a  cui  negli  anni  seguenti  il  Manzoni  sottopose  il  ro- 
manzo. Poiché  la  forma  de'  Promessi  sposi,  quale  uscì  maturata  nella 
stampa  degli  anni  '25-27,  è  veramente,  rispetto  alla  primitiva,  una 
nuova  creazione;  a  intender  la  quale  non  basta  pensare  all'influsso 
di  nuovi  0  più  puri  motivi  morali  e  religiosi  o  a  quello  di  un'esi- 
genza estetica,  non  infeconda,  ma  pur  essa  ancor  troppo  formali- 
stica, quale  può  esser  la  legge  della  proporzione,  della  sobrietà, 
della  misura. 

Da  una  parte,  il  pensiero  morale  e  religioso  del  Manzoni  tra  il 
24  aprile  1821  e  il  17  settembre  1823  —  nel  quale  periodo  scrisse 
la  minuta  del  romanzo  —  non  poteva  essere  sostanzialmente  diverso 
ne'  due  anni  successivi  in  cui  rifece  l'opera  sua;  ond'è  lecito  de- 
durre che  nelle  modificazioni  operate,  alle  quali  ho  accennato  nel 
capitolo  precedente,  ma  che  riprenderò  a  suo  luogo  in  esame  più 
attento  e  minuto,  non  poterono  già  nuovi  criteri  del  moralista  cat- 
tolico, ma,  tutt'  al  più,  un  motivo  sentimentale,  cioè  una  più  serena 
e  più  indulgente  pietà  cristiana.  D' altra  parte,  il  criterio  estetico  di 


LA    GENESI   LETTERARIA  163 

riordinare  l'opera  secondo  una  più  corretta  proporzione,  una  piìi 
sapiente  misura  e  sobrietà  nello  svolgimento  generale  della  trama, 
nell'armonia  delle  scene  e  degli  episodi  non  può  essere  una  ragion 
sufficiente  per  spiegarci  la  ritorma  operata,  e  perchè,  guidato  da 
quegli  accorgimenti  estetici,  poteva  —  come  fece  —  dare  miglior 
ordine  e  chiarezza  al  disegno,  isveltire  il  racconto,  riatteggiare  il 
tutto,  e  implicitamente  le  singole  parti,  a  maggior  compostezza,  ma 
non  maturare  quel!'  opera  di  più  profonda  comprensione  etica,  di 
ricostruzione  psicologica,  di  rifusione  e  purificazione  fantastica,  onde 
uscì  il  capolavoro  ;  e  perchè,  poi  —  come  potrò  dimostrare  più 
innanzi  per  via  di  analitici  raffronti  —  il  Manzoni,  se  fece  tagli  e 
scorciò  e  condensò  dove  gli  parve  opportuno,  anche  ampliò  e  svolse 
e  aggiunse  sia  nell'analisi  de'  caratteri  umani  che  nella  descrizione 
del  mondo  esteriore. 

Il  rinnovamento  via  via  si  venne  maturando  attraverso  un  lavoro 
mirabile  di  pazienza,  in  virtù  di  quel  gusto  classico,  di  quell'  intima 
classicità  che  era  nell'  intelletto  lucido  e  sereno  e  nella  fantasia  ar- 
moniosa e  meditativa  del  Manzoni;  si  compi  lento,  faticoso,  con  la 
pazienza  del  genio  e  l' invitta  incontentabilità  degli  artisti  di  tempra 
classica:  fu  profondo  sì,  ma  non  pienamente  perfetto,  perchè  non  era 
piccola  impresa  liberare  l'opera  del  primo  getto  dagli  elementi  roman- 
tici, germogliati  con  la  concezione  stessa  del  romanzo  storico,  cancel- 
lare le  impronte  impressevi  dalla  tendenza  romantica  e  dal  sistema 
teorico.  L'arte  del  romanziere  in  quelli  che  chiameremo  pur  noi  Gli 
sposi  promessi  oscilla  tra  la  corrente  del  romanticismo  e  quella  del 
classicismo,  ed  ora  pare  che  la  prima  prevalga  con  la  violenza  delle  ispi- 
razioni passionali,  il  colorito  acceso  degli  affetti,  la  drammaticità  pitto- 
resca delle  5cene  e  il  tono  talora  agitato  e  frammentario,  troppo  fosco 
o  troppo  languido  nell'analisi  delle  commozioni  straordinarie;  ed  ora 
le  attitudini  classiche  dell'ingegno  manzoniano,  che  sostanzialmente 
informano  1'  opera  in  via  di  formazione,  cercano  d' esercitare  sulla 
complessa  materia  psicologica  e  storica  il  lor  dominio  d'equilibrio 
e  di  disciplina,  di  chiarezza  e  d'armonia  nell'ordito  dell'azione,  nel- 
r  analisi  de'  caratteri,  nella  dipintura  delle  figure  umane  e  delle 
scene  naturali.  Ma  questo  classicismo  artistico  manzoniano  è  ancora 
piuttosto  un  sforzo  di  conquista  che  un  vittorioso  possesso,  perchè 
né  troviamo  nel  disegno  generale  dell' opera  la  compiuta  unità  este- 
tica vagheggiata,  né  vediamo  mantenuta  nello  studio  de'  caratteri 
e  nello  svolgimento  delle  scene  e  degli  episodi  quella  sobria,  coerente 
e  lucida  intonazione  di  linee,  di  colori,  d'immagini  né  quella  evi- 
denza plastica  della  realtà  umana  e  fisica,  che  poi  il  Manzoni  rag- 


164  PARTE   SECONDA 


giunse  nel  ripensamento  e  nella  rielaborazione  artistica  dell'  o- 
pera  sua. 

Tale  fermentazione  d'elementi  elassici  e  d'elementi  romantici, 
ancor  separati  ed  opposti  nel  fervore  del  primo  getto,  non  poteva 
durare  a  lungo,  né  era  possibile  che  la  vittoria  rimanesse  a  quel 
romanticismo  della  prima  maniera,  essendo  troppo  vigorose  le  atti- 
tudini del  poeta  all'arte  d'ispirazione  temperata  e  composta  e  di 
rappresentazione  netta,  lucida  e  armoniosa,  per  cedere  alla  sugge- 
stione del  gusto  e  delle  forme  arditamente  romantiche.  Così  fu  che, 
gettata  1'  opera  nella  gran  tela,  il  Manzoni  col  placido  senso,  che  è 
de'  grandi  scrittori,  rivisse  e  contemplò  il  suo  mondo  e  con  serenità 
disciplinatrice  lo  rifuse  di  nuovo  spirito  e  lo  riplasmò  in  nuova 
forma:  corresse  efficacemente  le  troppo  forti  tendenze  dello  stori- 
cismo, dell'  intellettualismo  e  del  moralismo,  e  purificò  l'analisi  psi- 
cologica e  la  lingua  di  tutto  ciò  che  avevano  d' approssimativo, 
d'informe,  di  rozzo,  di  sciatto. 

Che  erano  quelle  tendenze  se  non  esagerazioni,  e  quindi  degene- 
razioni artificiose,  dì  ciò  che  costituiva  la  legge,  la  disciplina,  lo 
spirito  originale  della  coscienza  manzoniana  e  dell'opera  sua?  Il 
colorito  storico,  onde  riluce  l' anima  sociale  del  Seicento  italiano, 
era  soverchiamente  carico  e  si  fé'  temperato  e  armonioso  ;  il  razio- 
nalismo preponderava  con  la  frequenza  del  sentenziare  e  con  le 
digressioni  ragionative  e  polemiche  su  argomenti  storici,  morali  e 
letterari,  e  poi  si  diradò  (tolta  qualche  digressioncella  inutile  rimasta) 
in  numerate  e  opportune  riflessioni,  acquistò  maggior  finezza  nelle 
sottili  forme  dell'  arguzia  e  dell'  ironia,  mentre  l' intransigenza  etica 
neir  intimo  giudizio  e  nella  rappresentazione  delle  colpe  e  de'  delitti 
cedette  —  come  già  dimostrai  —  a  un  sentimento  di  pensosa  pietà 
e  di  profonda  bontà,  esperta  de'  mali  e  delle  debolezze  dell'uomo, 
onde  si  diffuse  su  quel  mondo  di  personaggi  e  d'  avvenimenti,  tratti 
da  un'epoca  storica,  una  luce  morale  più  raccolta  e  tranquilla,  un 
più  puro  spirito  evangelico,  un  più  profondo  senso  d'umanità.  E 
cioè  sì  manifestarono,  dopo  un  faticoso  lavoro,  nella  loro  piena 
spontaneità,  sciolta  da  ogni  elemento  soverchio  ed  eterogeneo,  le 
originali  energie  della  coscienza  poetica  del  Manzoni  :  lo  spirito 
d' individuazione  e  di  drammatizzazione  della  storia,  il  sottile  umo- 
rismo dell'intelletto  avvezzo  all'osservazione  e  all'analisi,  la  fede, 
sorretta  dal  cuore  e  dalla  ragione,  nell'efficacia  morale  dell'esempio 
e  dell'insegnamento  evangelico.  Così  i  Promessi  sposi  si  ricomposero 
con  una  lor  salda  concezione  etica  ed  unità  estetica,  che  nella  prima 
forma  non  avevano;    poiché,   superata  quell'intima  contraddizione 


LA    GENESI   LETTERARIA  165 

artistica,  di  cui  s'è  ora  discorso,  lo  spìrito  del  poeta  che,  nel  primo 
travaglio  d'ideazione,  d'indagine  storica  e  psicologica  e  di  figura- 
zione artistica,  era  stato  dominato  dalla  materia,  dai  motivi  senti- 
mentali e  concettuali  della  realtà  immaginata,  se  ne  rese  dominatore 
e  contemplatore  placido  ed  acuto.  Non  perciò  la  genesi  sentimentale 
de'  caratteri,  delle  azioni  e  degli  avvenimenti  (non  c'è  rappresen- 
tazione di  realtà  storica  o  psicologica,  pertinente  l'uomo  o  la  na- 
tura, oggettiva  o  soggettiva,  che  non  germini  da  uno  stato  senti- 
mentale dell'artista,  cioè  dal  suo  modo  di  sentirla  e  di  vederla)  ne 
venne  turbata  o  raffreddata  ;  anzi  ne  fu  approfondita  e  arricchita  di 
nuova  gagliardia  e  di  più  calda  intimità:  la  novella  forma  del  ro- 
manzo riuscì,  per  tal  modo,  con  una  sua  tempra,  né  esclusivamente 
romantica,  né  esclusivamente  classica,  ma  romantica  e  classica  in- 
sieme, per  l'equilibrio,  quasi  sempre  raggiunto,  tra  l' ispirazione  del 
sentimento  più  raccolto  e  composto,  ma  anche  più  intenso  e  pro- 
fondo, e  la  rappresentazione  meno  concitata  e  colorita,  ma  più  deli- 
catamente commossa  e  più  limpidamente  precisa  e  luminosa.  Come 
il  Manzoni  abbia  raggiunto  quasi  sempre  quest'intima  armonia  este- 
tica nelle  ripetute  prove  dalla  prima  minuta  all'  ultima  forma  del 
romanzo  vedremo  nella  parte  seguente  di  questo  lavoro  dedicato 
allo  studio  dell'  azione  generale  e  di  taluni  personaggi. 


PARTE    TERZA 


IL  ROMANZO  IN  FORMAZIONE 


Capitolo  I. 
L'azione  generale  e  gii  episodi 


I.  Riordinamento  del  racconto  e  rimutamenti  di  scene.  —  II.  Soppres- 
sioni e  riduzioni  di  scene  e  d'episodi.  —  III.  Diversi  procedi- 
menti e  sviluppi  di  sceneggiatura  e  aggiunte  di  scene  e  d'elementi 
episodici. 

I.  L'esame  della  materia,  come  la  vediamo  ordinata  nella  prima 
stesura  del  romanzo  e  come  venne  rimutata  di  luogo  e  di  qualità 
ne'  rifacimenti  sostanziali  ulteriori,  ci  mette  in  grado  d'intendere 
per  quale  intimo  processo  dello  spirito  il  Manzoni  lavorò  a  tessere 
e  a  rifare  l'orditura  del  racconto  nelle  fila  principali  e  in  quelle 
secondarie,  al  fine  di  raggiungere  quell'  unità  logica  nell'  insieme 
degli  avvenimenti  legati  tra  loro,  quella  chiarezza  e  compattezza  nel 
disegno  generale  del  quadro,  quella  verosimiglianza  e  naturalezza 
nella  concatenazione  e  nello  svolgimento  de'  fatti  e  ne'  reciproci 
influssi  loro,  così  da  trasformare  il  grande  ritratto  storico  del  Sei- 
cento lombardo  in  una  armoniosa,  alta  e  complessa  rappresenta- 
zione della  realtà  umana  osservata  nell'eterna  vicenda  delle  sue 
passioni,  de'  suoi  istinti  e  dolori,  delle  sue  viltà  e  de'  suoi  eroismi. 
Questo  procedimento  d'inalzare  l'analisi  e  la  rappresentazione  di 
ciò  che  è  il  prodotto  della  nostra  ispirazione  soggettiva,  o  della  vi- 
sione storica  di  un'epoca  determinata,  al  significato  di  verità  umana, 
al  simbolo  non  solo  del  momento  che  si  coglie  e  si  ritrae,  ma  della 
vita,  alla  realizzazione,  insomma,  di  un  ideale  nel  presente  è  un 
procedimento  tutto  classico  della  poesia,  di  cui  offrono  esempi  in- 
signi la  tragedia  greca,  il  poema  di  Dante  e  i  drammi  di  Shake- 
speare. Intrecciare  avvenimenti  storici  e  casi  romanzeschi  in  una 
trama  così  solidamente  tessuta  e  nelle  parti  diverse  così  sapiente- 
mente aggiustata,  che  gli  uni   formino   un   tutto   armonico  con  gli 


170  PARTE   TERZA 


altri  ;  le  fila  della  storia  si  svolgano  e  s' annodino  con  l' interessante 
vivezza  del  romanzo  ;  l' ordito  romanzesco,  a  quelle  inframmesso, 
presenti  i  saldi  legami  e  i  naturali  svolgimenti  e  la  risentita  evi- 
denza degli  avvenimenti  storici,  e  ad  un  tempo  da  codesta  tela, 
tramata  sulla  storia,  si  rifletta  1'  immagine  perpetua  della  realtà 
vivente,  ecco  la  fatica  somma  del  Manzoni  nel  dar  colore  e  luce  al 
disegno  vastamente  concepito,  nel  rilavorare  attorno  all'orditura 
complessa  del  racconto  romanzesco,  nell'  accomodarlo,  senza  scon- 
nessure  logiche  e  dissonanze  psicologiche,  nell'  intelaiatura  del  rac- 
conto storico. 

Soffermiamoci  a  vedere  come  il  Manzoni  è  venuto  rimutando 
scene  ed  episodi  e  diversamente  distribuendo  la  materia  conservata 
nella  composizione  definitiva.  L'azione  del  romanzo,  dall'incontro  di 
don  Abbondio  coi  bravi  fino  alla  mattinata  de'  definitivi  concerti 
di  Renzo  con  le  donne  pel  tentato  matrimonio  e  della  visita  mi- 
steriosa di  mendicanti  sospetti  alla  casa  di  Lucia,  si  svolge  — 
salvo  alcune  modificazioni  episodiche  che  vedremo  —  secondo 
il  disegno  primitivo  (*),  Né  logicamente  poteva  il  Manzoni  intro- 
durvi sostanziali  mutamenti,  perchè  la  maggior  parte  de'  fatti 
narrati  fino  a  quel  punto  —  come  ognuno  rammenta  —  sono  or- 
dinati secondo  la  successione  cronologica  voluta  dalla  loro  stessa 
natura  e  dalle  leggi  di  causalità.  Sennonché  1'  ultimo  avvenimento 
di  quella  lunga  mattinata,  quello  de'  «  ronzatori  misteriosi  >  attorno 
alla  casa  di  Lucia,  è  predisposto  da  circostanze  e  risoluzioni,  av- 
venute nel  palazzotto  di  don  Rodrigo,  di  cui  il  narratore  non  ha 
toccato  per  seguitare  il  racconto  di  ciò  che  è  accaduto  nella  casetta 
di  Agnese  dopo  il  vano  tentativo  di  fra  Cristoforo.  L'intreccio  co- 
mincia ora  a  complicarsi,  perchè  ha  luogo  la  contemporaneità  di 
fatti  che  si  svolgono  diversamente  in  luoghi  separati,  ma  che  sono 
strettamente  legati  tra  loro  agli  effetti  di  nuove  condizioni  e  di 
nuovi  avvenimenti.  Era  un  carattere  proprio  della  letteratura  nar- 
rativa —  e  l'Ariosto  in  ciò  si  era  rivelato  maestro  —  sospendere 
le  fila  di  una  narrazione  per  riprenderne  altre,  pur  lasciate  sospese, 
al  fine  di  condurre  innanzi  la  trama  e  di  aggiungere,  con  la  ripresa 
di  quelle,  nuovi  intrecci  alla  tela  del  racconto.  Osserviamo  pertanto 
nel  romanzo  che  il  Manzoni,  dopo  aver  pennelleggiate  bravamente 
le  figure  di  quei  mendicanti  dalle  facce  sinistre  e  scure,  torna  un 
passo  addietro  nel  palazzotto  di  don  Rodrigo  :  la  collera,  che  mista 
ad  un  indefinibile  sgomento  per  l'esordio  dell'infausta  profezia  di 


(1)  Prom.  sp.,  capp.  I-VII,  pp.  7-94. 


IL   ROMANZO   IN    FORMAZIONE  171 


fra  Cristoforo,  fa  andar  concitato  su  e  giiì  il  signorotto  per  la  sala 
fra  i  ritratti  degli  antenati  ;  la  passeggiata  coi  bravi  in  gran  pompa, 
le  punzecchiature  del  cugino  Attilio  ;  la  rinnovazione  della  scom- 
messa; i  concerti  ch'egli  prende  col  Griso;  le  prime  disposizioni 
per  la  scellerata  impresa  notturna;  l'avviso  del  buon  vecchio  ser- 
vitore a  fra  Cristoforo,  tutto  ciò  (*)  interrompe  in  bel  modo  la  nar- 
razione precedente,  che  è  subito  dopo  ripresa  per  proseguire  con 
nuovi  fatti  e  casi:  il  pranzetto  e  i  discorsi,  all'osteria,  di  Renzo,  Tonio 
e  Gervaso,  l'incontro  con  quei  ceffl  di  bravi  travestiti,  il  convegno 
loro  alla  casa  di  Agnese  e  finalmente  la  segreta  spedizione  di  tutta 
la  brigata  alla  casa  di  don  Abbondio,  a  cui  seguono  il  fallito  ten- 
tativo del  matrimonio  per  sorpresa  e  il  primo  scompiglio  nel  paese 
alle  grida  del  curato  e  al  suono  della  campana  a  martello  (^).  Ed 
ecco  il  Manzoni  interrompe  un'altra  volta  la  peripezia  notturna  degli 
sposi,  per  narrare  ciò  che  avveniva,  contemporaneamente  a  quella 
loro  «  grand'  operazione  >,  nella  casetta  di  Lucia,  e  cioè  l' invasione 
e  le  vane  ricerche  de'  bravi;  accompagnati  dal  Griso,  il  sopraggiun- 
gere di  Menico,  la  confusione  de'  ribaldi  a  quello  scampanare  e  la 
faticosa  ritirata  del  Griso  alla  testa  della  masnada,  con  la  rabbia  in 
corpo  di  tornarsene  dal  suo  signore  a  mani  vuote  (^).  E  qui  l'autore 
pianta  in  asso  i  bravi  sul  cammino  del  ritorno,  per  ripigliare  a 
descrivere  il  tafferuglio  nella  casa  di  don  Abbondio,  l'accorrer  della 
gente  in  piazza  e  sotto  la  finestra  di  lui,  i  villani  raccolti  a  far 
commenti  e  consulte,  poi  avviati  alla  casa  di  Lucia  dietro  la  voce 
che  vi  fossero  andati  de'  banditi  e  avessero  catturato  un  pellegrino, 
la  vana  esplorazione  e  il  ritorno  di  tutti  a  casa  propria,  la  fuga 
degli  sposi  e  di  Agnese  con  Menico  fino  all'  arrivo  nella  chiesetta 
di  Pescarenico  {*).  Per  una  volta,  dunque,  nella  narrazione  de'  fatti 
che  necessariamente  si  svolgono  dal  disegno  e  dalla  tentata  attua- 
zione di  sorprendere  don  Abbondio,  s'intersecali  racconto  episodico 
delle  operazioni  macchinate  e  medesimamente  tentate  al  fine  di  ra- 
pire Lucia  :  dall'  una  parte  e  dall'altra  s' intrecciano  i  concerti  segreti 
e  le  operazioni  rischiose,  e  —  benché  di  natura  diversa  —  scoppiano 
egualmente  e  medesimamente  da  un  caldo  interesse  :  senonchè 
Eenzo,  Agnese  e  anche,  suo  malgrado.  Lucia  affrontano  il  rischio 
e  si  movono  a  far  pur  essi  un  po'  di  violenza  per  avere  un  po'  di 
giustizia  ;  don  Rodrigo  co'  suoi  sgherri   gioca  un  colpo  di  audacia 


(1)  Proni,  sp.,  cap.  VII,  pp.  04-99. 

(2)  Prom.  sp.,  capp.  VII-VIII,  pp.  99-110. 

(3)  Prom.  sp.,  cap.  VIII,  pp.  110-13. 

(4)  Ibid.,  pp.  113-19. 


172  PARTE   TERZA 


€  fa  la  violenza  per  sopraffare  la  giustizia  ;  anche  le  azioni  di  quelli 
e  di  questo  corrono  parallele,  ciascuna  verso  il  suo  fine  determinato, 
ne'  preparativi  del  giorno  e  della  sera  e  nelT  esecuzione  tentata  sulla 
prima  notte  quasi  ad  un  tempo  stesso,,  antitetiche  e  interferenti 
ì'una  nell'altra;  che  il  risultamento,  ne  predisposto  né  preveduto, 
dell'uscita  notturna  di  quei  poveri  oppressi  è  quello  di  avere  fru- 
strata la  scellerata  impresa  di  don  Rodrigo. 

Quest'  intima  connessione  logica  della  realtà  si  riflette,  lungo  il 
racconto,  nel  duplice  intreccio,  che  ho  rilevato,  d'avvenimenti  con- 
temporanei sì,  ma  diversi.  Nella  minuta,  al  contrario,  il  Manzoni, 
rimandando  la  narrazione  degli  accordi  di  don  Rodrigo  col  Griso 
assai  più  oltre,  continuava  a  raccontare  i  fatti  e  le  peripezie  della 
giornata,  che  precorse  la  famosa  notte,  fino  a  quando  Menico  tro- 
vava sbandati  Agnese  e  gli  sposi  dopo  la  cattiva  riuscita  e  li  faceva 
voltar  dalla  via  di  casa  per  viottoli  e  per  campi  a  Pescarenico  (*). 
A  questo  punto  il  Manzoni  tornava  indietro  per  descrivere  la  pas- 
seggiata di  don  Rodrigo  co'  bravi  e  le  canzonature  del  conte  Attilio, 
e  per  narrar,  quindi,  d'un  fiato  gli  accordi  del  signorotto  col  capo 
de'  bravi,  la  preparazione  della  spedizione  notturna^  l'esecuzione,  il 
ritorno  quasi  di  fuga  al  castellotto  (*).  Ma  è  chiaro  che  codesto 
assommare  distintamente  i  due  gruppi  di  fatti,  per  un  grande  arti- 
sta, non  ha  che  il  valore  di  una  prima  sbozzatura,  tanto  per  ordinar 
nella  tela  la  varia  e  intricata  materia  che  s'  agita  nella  sua  fantasia  ; 
nell'ultimo  momento  per  una  più  viva  penetrazione  della  realtà  e 
una  maggior  consapevolezza  de'  mezzi  artistici  il  Manzoni  ha  distri- 
buito in  altro  modo  la  materia,  cavando  effetti  d' arte  felicissimi 
dall' intrecciarsi  de*  preparativi  del  prepotente  con  quelli  de'  perse- 
guitati a  fini  diversi,  dallo  scompiglio  che  mettono  quei  disperati 
rintocchi  della  campana  così  nella  brigatella  che  assalta  il  curato 
come  nella  torma  brigantesca  che  invade  la  casa  di  Lucia,  dall' in- 
crociarsi delle  impressioni  de'  villani  destati  con  quelle  de'  ribaldi 
sorpresi,  delle  voci,  delle  supposizioni  e  astuzie,  agitanti  la  gente 
accorsa,  con  lo  sgomento  e  la  fuga  della  masnada  e  del  finto  pel- 
legrino fra  le  ombre  della  notte.  Il  ritmo  storico,  che  nelle  vicende 
umane  genera  talora,  per  un  singolare  gioco   di  forze  e  d' intenti, 


(1)  Sp.  prom.,  pp.  126-39. 

(2)  Sp.  prom.,  pp.  139-45;  ma  specialmente  p.  143  e  segg.,  n.  7.  La  scena  de'  con- 
certi di  don  Rodrigo  col  Griso  e  il  racconto  dell'  infruttuosa  spedizione  di  costui  erano 
assai  probabilmente  nella  prima  stesura;  ma  questa  manca  di  un  foglio  (l'Se»),  onde 
dobbiamo  ricorrere  al  rifacimento  o  sostituzione,  che  si  trova  nella  colonna  a  sinistra 
di  altri  fogli. 


IL   ROMANZO   IN    FORMAZIONE  173 


la  contemporaneità  di  avvenimenti  contrari,  anzi  contrae! ittori,  e  quel 
fine  senso  d'arte,  che  s'acuiva  vieppiù  nella  meditata  rielaborazione 
dell'opera,  hanno  suggerito  al  Manzoni  i  nuovi  accorgimenti  d'in- 
treccio. 

Dopo  la  fuga  degli  sposi  l'ordine  degli  avvenimenti,  come  li  tro- 
viamo disposti  nella  prima  stesura,  fino  al  viaggio  di  Renzo  a  Mi- 
lano, è  stato  conservato  nelle  successive  redazioni  del  romanzo:  la 
trama  —  come  ognuno  sa  —  si  allarga  con  le  accoglienze  e  i  con- 
sigli che  ricevono  i  fuggiaschi  da  parte  di  fra  Cristoforo,  con  la 
traversata  notturna  del  lago,  l'arrivo  a  Monza  e  la  dolorosa  sepa- 
razione di  Renzo  dalle  donne;  si  complica  con  l'allogamento  di 
Lucia  presso  la  signora  del  monastero  e  con  la  storia  della  vita  di 
quella  infelice  sino  a  quel  giorno  che  accoglie  sotto  la  sua  prote- 
zione la  povera  profuga;  si  riallaccia,  d'altra  parte,  con  nuovi  fili 
alle  cose  che  intanto  succedono  nel  paesello  degli  sposi:  il  ritorno 
del  Griso  a  mani  vuote,  la  sua  relazione  al  padrone,  le  ricerche  in 
paese  sulle  cause  della  fuga  dei  due  fidanzati  e  di  Agnese,  la  gira- 
tina  di  don  Rodrigo  in  costume  da  caccia  col  conte  Attilio  per  campi 
e  per  ville  e  le  impressioni,  le  congetture,  le  confidenze  de'  paesani 
circa  i  casi  di  quella  notte,  i  colloqui  di  don  Rodrigo  col  conte  At- 
tilio e  i  consigli  e  le  profferte  d'  aiuto  che  questo  gli  fa,  l' andata 
del  Griso  a  Monza  e  le  notizie  che  ne  riporta  sul  rifugio  di  Lucia^ 
i  divisamenti  del  signorotto  per  imbrogliar  Renzo  nelle  reti  della 
giustizia  con  l'aiuto  del  dottore  Azzeccagarbugli  e  del  Podestà  (*). 
Ma  a  questo  punto  il  Manzoni  nell'ultima  redazione  del  romanzo 
abbandona  don  Rodrigo  e  il  paese  degli  sposi  per  andar  dietro  a 
Renzo,  avviato  alla  volta  di  Milano,  e  per  dire  delle  disavventure 
del  giovane  colà,  della  sommossa  popolare,  della  fuga  di  lui  fuor 
dello  stato  milanese  (*);  dopo  di  che  don  Rodrigo  e  il  cugino  Attilio 
tornano  in  iscena,  questo  nel  colloquio  col  conte  zio  per  ottenerne 
r  autorevole  appoggio  nelle  persecuzioni  contro  fra  Cristoforo,  quello 
nella  visita  che  fa  all'Innominato  per  pregarlo  d'aiuto  nel  nuovo 
tentativo  di  rapire  Lucia:  incontri  ed  accordi  che  sono  narrati,  dopo 
che  Agnese  è  tornata  al  suo  paesello  e  ha  cercato  invano  fra  Cri- 
stoforo al  convento  di  Pescarenico  (^). 

Nella  minuta  il  racconto  delle  nuove  macchinazioni  di  don  Ro- 
drigo non  era  interrotto,  ma  alla  rapida  scena  del  ritorno  del  Griso 


(1)  Prom.  sp.,  capp.  VIII-XI,  pp.  119-72;  Sp.  prom.,  pp.  147-276. 

(2)  Prom.  sp.,  capp.  XI-XVII,  pp.  173-262. 

(3)  Prom.  sp.,  cap.  XVIII,  pp.  262-71. 


174  PARTE    TERZA 


da  Monza  e  della  sua  relazione  circa  le  informazioni  raccolte  sul 
rifugio  di  Lucia  si  saldavano  la  descrizione  della  vita  dell'  Innomi- 
nato e  la  notizia  del  viaggio  di  don  Eodrigo  con  pochi  bravi  su  al 
castello  di  costui,  e  seguivano,  di  continuo,  il  colloquio  di  lui  con 
quel  potente,  l' impegno  di  quest'  ultimo,  la  chiamata  di  Egidio  che 
assumeva  prontamente  il  carico  del  ratto,  l'incontrarsi  del  giovi- 
nastro, di  ritorno  dal  castello,  con  Agnese  che  tornava  a  casa  sua, 
contenta  d'  aver  lasciata  in  un  luogo  sicuro  la  figlia,  la  rapida  ese- 
cuzione ch'egli  dava  allo  scellerato  disegno  con  la  complicità  di 
Oertrude,  il  ratto  della  poveretta  sulla  via  del  convento  de'  cap- 
puccini, il  viaggio  sino  al  castello,  la  rapida  visita  dell'  Innominato 
alla  sua  prigioniera,  la  notte  angosciosa  dell'una  e  dell'altro,  l'in- 
contro, i  colloqui  del  terribile  uomo  col  cardinal  Federigo,  la  sua 
conversione,  la  liberazione  di  Lucia  accolta  nella  casa  del  sarto  (*). 
Ma  anche  in  quest'ordine  di  avvenimenti,  che  s'aggirano  attorno  a 
don  Eodrigo  e  a  Lucia,  non  collimano  perfettamente  la  prima  ste- 
sura e  l'ultima  redazione:  in  questa,  il  ribaldo,  infervorato  nella 
sua  passionacela  dall'ordine  di  esecuzione  contro  Renzo,  che  mette 
sottosopra  il  paese,  dopo  dubbi  e  tentennamenti  per  la  difficoltà  di 
strappar  Lucia  da  un  monastero,  si  risolve  pel  partito  rischioso  di 
chiedere  l'aiuto  del  terribile  bandito;  ma  il  Manzoni  interrompe 
anche  questo  racconto  per  informarci  degl'  intrighi  di  Attilio  e  del- 
l' allontanamento  di  fra  Cristoforo  con  le  complicità  del  conte  zio 
e  del  padre  provinciale,  de'  quali  sono  descritti  i  caratteri  e  i  col- 
loqui (*),  e  lo  riprende  col  ritratto  morale  dell'  Innominato  e  la  visita 
di  don  Eodrigo  al  suo  castello  (^)  ;  nella-  minuta  dall'informazione 
del  Griso  sul  ricovero  di  Lucia  sino  all'  impegno  preso  dall'  Inno- 
minato con  don  Eodrigo  e  agli  accordi,  poi,  che  quegli  stringe  con 
Egidio,  sino  cioè  all'  imbattersi  di  questo  scellerato  in  Agnese  reduce 
da  Monza,  è  tutto  un  racconto  difilato  (*). 

Ora,  il  Manzoni,  avviando  la  storia  di  Lucia  fino  al  punto  che  ella 
e  la  madre  trovano  asilo  e  protezione  nel  monastero  di  Monza,  av- 
viando poi  quella  di  don  Eodrigo  scornato  fino  quasi  al  giorno  che 
va  dall'  Innominato,  e  riprendendo  la  peripezia  di  Eenzo,  lasciato 
indietro  per  seguir  Lucia,  fino  al  giorno  che  giunge  al  paese  quel 
po'  po'  d'ordine  esecutorio  contro  la  sua  persona  e  i  suoi  beni,  ha 
fatto  —  diceva  lui  scherzosamente  —  come  quel  «  caro  fanciullo  » 


(1)  Sp.  prom.,  pp.  277-406. 

(2)  Prom.  sp.,  capp.  XVIII,  XIX,  pp.  271-84. 

(3)  Prora.' sp.,  capp.  XIX,  XX,  284-91. 

(4)  Sp.  prom.,  pp.  277-99. 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  175 

che  sulla  sera  raccoglieva  nel  covile  un  suo  gregge  di  porcellini 
d'India,  adattandosi  a  spingervi  «dentro  quelli  che  eran  più  vicini 
all'uscio»,  e  ad  andar  «  a  prendere  gli  altri,  a  uno,  a  due,  a  tre, 
come  gli  riusciva  »  (*)  :  amabilmente  arguto  paragone,  che  gli  venne 
in  mente  di  fare  fin  dalla  minuta  (^).  Ma  in  questa  egli  aveva  per- 
duto di  vista  «  Fermo  >.  (così  l'aveva  chiamato  prima  di  dargli  il 
nome  di  Renzo),  «  per  seguire  Lucia,  nelle  sue  dubbiose  vicende  t>  — 
il  tradimento  di  Gertrude,  il  ratto,  la  notte  nel  castello,  la  libera- 
zione — ,  e  si  rimetteva  «  sulle  tracce  »  di  lui  «  ora  che  Lucia  era 
uscita  dal  pericolo  e  posta  in  sicuro  »  (^).  Troppo  forte  distacco  de' 
casi  dell'uno  da  quelli  dell'altra:  non  conveniva  all'arte  di  un 
sagace  orditore  d'una  così  bella  trama  lasciare  abbandonato,  per 
così  lungo  tempo,  uno  de'  fili  principali,  per  addensarne  molti 
in  una  parte:  era  come  un  lavorare  a  pezzi,  un  ammucchiar  ma- 
teria di  qua  e  materia  di  là,  con  la  preoccupazione  di  fornir  l'opra 
da  una  parte,  prima  d'intesserne  un'altra:  ne  risultava  all'insieme 
un  non  so  che  dì  staccato,  di  afiastellato,  de'  grossi  nodi,  dirò 
così,  rilevati  nella  tela,  piuttosto  che  un  ben  congegnato  tessuto 
di  fili,  disegualmente  sottili,  ma  acconciamente  intrecciati  da  for- 
mare un'  impressione  di  equilibrio,  di  proporzione  e  d' armonia 
nel  disegno.  Non  era  eff'etto  d' arte  di  poco  conto  mischiare  alla 
descrizione  della  fuga  dei  due  sposi  l'analisi  dell'agitazione  di  don 
Eodrigo  e  de'  suoi  nuovi  divisamenti,  e  codesto  quadro  chiuder  tra 
il  racconto  del  modo  come  Lucia  e  la  madre  s'  allogano  a  Monza, 
alla  sua  volta  interrotto  per  dar  luogo  alla  storia  della  signora 
(storia  necessaria  a  intender  l' animo  e  la  parte  di  quella  sciagurata 
ne'  futuri  casi  di  Lucia),  e  il  racconto  de'  casi  occorsi  a  Renzo  in 
Milano.  Oltre  il  pregio  di  una  variata  narrazione  interessante,  oltre 
il  vantaggio  di  riprodurre  con  la  verosimiglianza  dell'arte  almeno 
una  parvenza  della  contemporaneità  e  interferenza  de'  fatti  umani, 
quali  troviamo  nella  realtà  della  vita,  il  Manzoni  ha  bellamente 
riprodotto,  co'  rimutamenti  fatti  nella  distribuzione  di  questa  ma- 
teria, quel  ferreo  ordine  logico  delle  cose  e  delle  azioni,  quella 
salda  concatenazione  di  cause  e  d'effetti,  manifesta  ed  occulta,  ma 
costantemente  generatrice  della  realtà,  che  lega  le  passioni,  gli 
interessi,  gli  atti  e  i  casi  fortuiti  de'  personaggi  contrari  d' indole 
e  d'intenti,  come  sono  Lucia,  Renzo  e  il  loro  persecutore  don  Ro- 
drigo.   Concatenazione   delle   reali  vicende  umane,   che  riceve  un 


(1)  Prom.  sp.,  cap.  XI,  pp.  172-3. 

(2)  Sp.  proni.,  p.  471. 

(3)  Ivi. 


176  PARTE   TERZA 


sapiente  rilievo  artistico  in  queir  annodar  che  fa  il  Manzoni,  nella 
nuova  tessitura  del  romanzo,  i  fatti  o  meglio  le  preparazioni  di  don 
Rodrigo  al  secondo  tentativo  scellerato  con  la  nuova  situazione  di 
Lucia  fuori  del  suo  paese  e  con  la  peripezia  di  Eenzo  a  Milano 
durante  e  dopo  i  tumulti  pel  prezzo  del  pane.  Per  ciò  che  riguarda 
Lucia,  riposa  l' animo  del  lettore  e  ne  accresce  la  curiosità  delle 
ulteriori  soluzioni  il  lungo  intervallo  che  corre  tra  il  suo  alloga- 
mento presso  la  strana  monaca  peccatrice  e  l'apparire  d'Egidio  in 
azione  per  aver  da  costei  consenso  e  aiuto  al  ratto  divisato:  inter- 
vallo, durante  il  quale  le  agitazioni  di  Milano^  con  Io  spettacolo  di 
folle  in  rivolta  e  de'  governanti  inetti  o  raggiratori,  e  le  intempe- 
ranze di  Renzo  all'osteria  della  Luna  piena,  la  sua  cattura,  la  sua 
fuga,  col  variar  di  scene  e  di  tipi  umani  e  di  commozioni  molte- 
plici nell'animo  del  fuggiasco,  ci  trasportano  in  un  ordine  di  im- 
pressioni di  tutt'altra  natura  da  quelle  dianzi  provate.  Dopo  le  quali 
è  logico  che  il  narratore  ci  richiami  a  Lucia  e  ad  Agnese,  all'  an- 
goscia delle  due  povere  donne,  per  le  voci  corse  sul  conto  di  Renzo, 
al  sollievo  che  dà  loro  fra  Cristoforo  con  l'assicurarle  ch'egli  s'era 
messo  in  salvo  nel  bergamasco:  e  così  il  lungo  episodio  milanese, 
nel  pigliar  posto  là  in  mezzo,  non  soltanto  risponde  all'esigenza  ar- 
tistica del  variare  il  racconto  e  alla  necessità  logica  d' intesservi 
anche  i  casi  di  Renzo,  ma  altresì  bellamente  si  ricollega  all'analisi 
del  soave  animo  di  Lucia,  alla  parte  di  benefattore  che  ancor  può 
fare  il  buon  frate,  e  ad  altre  circostanze  minori  :  donde  viene  una 
mirabile  saldezza  ai  nessi  logici  del  romanzo  nel  trapasso  da  un  or- 
dine all'altro  di  fatti,  o  almeno  ne  resta  di  molto  attenuato  quel 
senso  di  stacco  che  può  dare  codesto  procedimento  della  narrazione 
a  riprese  e  ad  intrecci. 

Ed  un  altro,  anche  piti  considerevole,  vantaggio  ne  consegue  per 
la  concatenazione  de'  fatti  e  lo  studio  delle  anime  ;  che  le  disgrazie 
di  Renzo,  il  suo  forzato  e  irreparabile  abbandono  del  paese  rinfo- 
colano la  caparbietà  di  don  Rodrigo,  gongolante  che  la  sorte  l'abbia 
sbarazzato  del  rivale  e  finalmente  risoluto  a  sfruttare  la  buona  oc- 
casione per  ritentar  la  vituperevole  impresa.  Così  la  nuova  azione  del 
signorotto  ha  pur  essa  un  qualche  addentellato  con  l'episodio  milanese 
intermesso;  e  lo  svolgimento  de'  fatti,  che  in  seguito  si  narrano, 
appare  governato  in  modo  evidente  dalla  ferrea  logica  delle  cose. 

Di  grandi  rimutamenti  nel  seguito  del  racconto  non  sono  da  no- 
tare (*)  e   dobbiamo  portarci   ai  fatti   che  conseguono  alla  conver- 


(1)  V.  D'Ovidio,  N.  st.  manz.  cit.,  p.  496  e  segg;  passim. 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  177 

eione  dell'  Innominato  per  trovar  qua  e  là  diversamente  disposta  la 
materia  nel  romanzo  in  raffronto  con  la  minuta.  Così,  in  questa  si 
descriveva,  dopo  l'arrivo  a  Chiuso  di  Lucia  liberata  sotto  la  scorta 
della  buona  donna,  del  conte  e  di  don  Abbondio,  un  semplice  pran- 
zetto del  cardinale  e  del  conte  in  casa  del  curato,  ed  un  altro  col- 
loquio tra  loro;  quindi  era  riferito  un  lungo  passo  del  Ripamonti 
e,  fra  osservazioncelle  digressive,  che  comprovano  insieme  con  quel 
richiamo  alla  fonte  il  soverchio  scrupolo  della  storia  ostentato  dal 
Manzoni  nella  prima  stesura,  vedevamo,  com'  è  rimasto  nel  romanzo, 
il  conte  tornare  al  castello,  e,  chiamati  a  raccolta  tutti  i  suoi  bravi, 
annunziar  loro  la  sua  risoluta  conversione  a  buona  vita,  indurre  i 
più  di  essi  a  mutar  con  lui  sentimento  e  costumi,  congedare  altri 
pochi,  incapaci  di  ravvedersi,  dando  loro  il  salario  e  una  gratifica- 
zione (*).  Questo  episodio  interrompeva  la  narrazione  delle  acco- 
glienze che  riceveva  Lucia  in  casa  del  sarto,  e  l'analisi  dei  pensieri 
e  delle  affezioni  di  lei  dopo  la  liberazione.  Che  ha  fatto  il  Manzoni 
nel  rivedere  questa  parte  del  romanzo?  11  contrario  di  quello  che 
abbiamo  riscontrato  in  parti  precedenti  :  ha,  cioè,  fatto  seguire,  senza 
interruzioni,  alla  breve  scena  delle  ospitali  accoglienze  l'analisi  del- 
l' animo  di  Lucia  (*),  ha  soppressa  la  descrizione  particolareggiata 
e  prolissa  del  pranzo  in  casa  del  curato  e  i  riferimenti  del  Ripamonti 
circa  il  secondo  colloquio  tenuto  dal  cardinale  con  l'Innominato;  e 
ha  colmati  questi  vuoti  con  le  belle  scene  domestiche  del  ritorno 
del  sarto  e  de'  figliuoletti  dalla  Chiesa  e  del  pranzo  che  fanno  in- 
sieme con  Lucia,  parlando  il  padre,  fra  le  interruzioni  vivaci  e  sa- 
putelle de'  bimbi,  intorno  alla  mirabile  predica  dell'arcivescovo: 
tutto  un  pittoresco  quadro  di  caratteri  e  di  costumi  fragranti  di 
semplice  e  pia  vita  cristiana  e  di  domestica  intimità,  condotto  con  viva 
arte  spontanea.  Così  facendo,  il  Manzoni  ha  dato  un  conveniente 
sfondo,  tutto  giocondità  e  purezza,  alla  nuova  situazione  di  Lucia, 
riposata  finalmente  dai  terrori  e  dall'  angoscia  di  quella  notte  e  lieta 
della  protezione  divina:  ciò  che  era  frammentario,  smilzo,  incolore 
e  tratteggiato,  dirò  così,  a  linee  spezzate,  ha  ceduto  ad  una  bella 
scena  d'ambiente  domestico  e  ad  una  compiuta,  chiara  ed  efficace 
dipintura  dell'animo  di  quella  poveretta  nella  sua  nuova  situazione. 
E  con  questa  è  collegato  un  altro  mutamento  che  concerne  il  tempo 
e  il  luogo  del  colloquio  di  lei  e  di  Agnese  col  cardinale.  Nella  prima 
stesura  l'incontro  aveva  luogo  in  casa  del  curato  di  Chiuso,  dove 


(1)  Sp.  prom.,  pp.  406-15. 

(2)  Prom.  sp.,  cap.  XXIV,  p.  348-50. 


Busetto  —  12 


178  PARTE  TERZA 


esse  erano  chiamate  insieme  con  la  moglie  del  sarto;  nell'ultima, 
invece,  è  Federigo  che  si  reca  in  persona  a  visitarle  e  a  interrogarle 
nella  casa  degli  ospiti:  il  quale  cambiamento,  dovuto  al  proposito 
di  dare  un  rilievo  di  singolare  pietà  e  carità  alla  parte  del  magna- 
nimo prelato  nella  dolorosa  storia  di  Lucia,  giova  altresì  a  mettere 
in  luce  il  carattere  del  sarto  e  della  moglie  presenti  al  colloquio, 
a  presentare  l'azione  e  gli  aspetti  de'  personaggi  in  forme  di  vita 
nuova,  anche  per  effetto  del  dialogo  sostituito  alla  magra  narrazione 
del  primo  getto.  E  tanto  più  la  scena,  così  rinnovata,  s'intona  ai 
caratteri  de'  personaggi,  alle  circostanze  degli  ultimi  drammatici 
avvenimenti  e  cresce  di  portata  e  di  valore  nell'  orditura  generale 
dell'  azione,  perchè  in  essa  la  rivelazione  di  Agnese  circa  il  mancato 
matrimonio  e  la  colpa  di  don  Abbondio  ha  un  ricco  svolgimento 
dialogico  che  non  e'  era  nella  minuta  e  vi  s' intrecciano  la  confes- 
sione di  Lucia  del  matrimonio  per  sorpresa  e  il  discorso  sulle  mi- 
steriose avventure  di  Renzo  :  rivelazioni  che  la  minuta  riportava  nel 
secondo  colloquio  delle  donne  con  Federigo,  quand'egli  giungeva, 
nella  sua  visita  pastorale,  al  loro  paese  (*).  In  due  altri  punti,  at- 
tinenti ai  casi  di  Lucia,  il  Manzoni  ha  modificato  il  racconto  con- 
ferendo all'  azione  romanzesca  un  andamento  e  un  tono  diversi  dalla 
prima  stesura.  L'uno  riguarda  il  dono  dei  duecento  scudi  d'oro  che 
in  questa  il  conte  in  persona,  recatosi  nella  casetta  di  Lucia  per 
umiliarsi  e  implorare  il  perdono,  le  faceva  in  presenza  di  Agnese 
e  di  don  Abbondio,  dopo  aver  vinta  la  riluttanza  di  lei  ad  accettarlo  ; 
al  che  seguiva  una  breve  scena,  quando,  rimaste  sole,  la  vecchia 
svolgeva  il  rotolo  e,  commossa  da  tanto  oro,  esponeva  i  suoi  bei 
progetti  alla  figlia.  Nella  nuova  redazione  gli  scudi  sono  cento  e 
viene  a  presentarli,  per  commissione  dell'Innominato,  il  parroco  di 
Chiuso  al  cardinale,  che,  alla  sua  volta,  fatta  chiamare  Agnese,  glieli 
consegna;  dopo  di  che  vediamo  costei  in  uno  schizzo,  fragrante  di 
tenera  comicità,  chiusa  tutta  sola  nella  sua  camera,  ammirare  e  con- 
tare quei  ruspi  e  dormirci  sopra  e  sognarli  (*). 

L' altro  punto  si  riferisce  al  modo  come  donna  Prassede  conobbe 
Lucia  e  1'  accolse  in  casa  sua.  Nel  primitivo  disegno  era  detto  che 
Federigo  tra  le  visite  che  riceveva  nel  suo  giro  pastorale,  ebbe 
quella  di  don  Ferrante  e  di  donna  Prassede  (*),  accompagnati  dal- 


(1)  Sp.  prom.,  pp.  421-2,  436-9;  Prom.  sp.,  cap.   XXIV   pp.  356-0,  cap.  XXV  p.  371-2. 

(2)  Sp.  prom.,  pp.  456-61;  Prom.  sp.,  cap.  XXVI  pp.  383-4. 

(3)  Si  noti  che  il  ritratto  morale  di  costei,  finemente  compiuto  fin  dalla  prima 
presentazione  nella  definitiva  forma  del  romanzo  (Prom.  sp.,  cap.  XXV,  pp.  369,  371) 
appariva  nella  minuta  assai  più  innanzi,  appena  abbozzato  e  mischiato  alla  descrizion 


IL   ROMANZO    IN   FORMAZIONE  179 


r  unica  loro  figliola  Ersilia  e  da  donna  Beatrice,  sorella  del  capo  di 
casa,  e  che  questo,  indovinando  dalle  parole  del  cardinale  le  sue 
intenzioni,  gli  offrì  di  prendere  con  sé  Lucia,  che  sarebbe  stata  ai 
servizi  della  figlia;  il  che  avveniva  con  piena  contentezza  di  tutti. 
Nella  nuova  redazione  donna  Prassede,  che  villeggiava  col  marito 
poco  distante  da  Chiuso,  al  sentire  il  gran  caso  di  Lucia,  è  punta 
dalla  «  curiosità  di  vederla  » ,  la  manda  a  prendere  insieme  con  la 
madre,  e,  lieta  di  «  secondare  e  di  prevenire  a  un  tratto  »  l'inten- 
zione del  cardinale  di  trovare  alla  giovane  un  ricovero,  s' esibisce 
di  prendersela  in  casa  e,  avuto  il  grato  consenso  delle  due  donne, 
per  mezzo  loro  manda  una  lettera  di  offerta  a  monsignore  che,  seb- 
bene non  sarebbe  stata  «  probabilmente  »  «  quella  la  persona  che 
avrebbe  scelta  a  un  tal  intento  »,  vi  aderisce  con  cuore  sicuro  (^), 
E  una  differenza  non  trascurabile  nell'ordine  de'  fatti  è  questa,  che 
nel  primo  getto  il  collocamento  di  Lucia  in  quella  «  famiglia  po- 
tente »  a  Milano  seguiva  al  colloquio  di  Federigo  con  don  Abbondio, 
sul  punto  che  l'autore  era  per  staccarsi  da  Lucia  e  dal  suo  magna- 
nimo liberatore  per  tornare  a  Fermo,  lasciato  sulla  via  alla  volta 
di  Milano,  mentre  nell'ultimo  rifacimento  precede,  anzi,  quel  col- 
loquio e  il  racconto  del  vistoso  donativo  dell'  Innominato,  né  ha 
luogo  subito  dopo  le  trattative  e  gli  accordi,  ma  donna  Prassede  in 
persona,  «  la  mattina  seguente  »,  viene  a  complimentare  il  cardinale 
e  a  prendere  la  sua  protetta,  che  resta  ancora  in  villa  co'  signori; 
onde  è  data  la  via  a  quella  novissima  scena  di  «  un  più  doloroso 
addio  »  tra  madre  e  figlia,  descritta  sulla  fine  del  XXVI  capitolo  (*). 
Il  medesimo  processo  di  più  logico  ordinamento  della  materia  av- 
vertiamo in  quel  vasto  quadro  storico  in  cui  sono  narrati  i  casi,  le 
vicende  e  descritte  le  scene  cospicue  della  peste  :  ciò  che  il  Manzoni 
aveva  raccolto  sin  dalla  prima  stesura,  ha  conservato  press' a  poco 
nell'ultima,  mantenendo  e  citando  le  medesime  fonti:  ma  durante 
l'opera  di  rifacimento  e  di  correzione  ha  messo  tutto  il  suo  studio 


della  vita  di  Lucia  in  quella  casa  patrizia  e  de'  mezzi  a  cui  donna  Prassede  ricorreva 
per  toglierle  di  mente  Fermo  (Sp.  prom.,  p.  580).  Di  don  Ferrante,  de'  suoi  studi,  gusti 
e  costumi  fa  il  Manzoni  la  nota  analisi  stupenda  dopo  aver  detto  di  quella  strana 
missione  di  donna  Prassede  e  delle  sue  occupazioni  (Prom.  sp.,  cap.  XXVII  pp.  339-403)  ; 
nella  minuta,  invece,  il  ritratto  di  don  Ferrante  precedeva  il  discorso  sulla  moglie 
(Sp.  prom.,  pp.  569-74).  Medesimamente  della  corrispondenza  epistolare  tra  Renzo  e 
Agnese  il  Manzoni  discorre  ampiamente  prima  di  trattar  della  vita  di  Lucia  nella 
casa  di  don  Ferrante  (Prom.  sp.,  cap.  XXVII,  pp.  393-6)  ;  nella  minuta,  invece,  ne  toc- 
cava dopo,  e  succintamente,  con  incluso  un  accenno  a  lettere  spedite  da  Fermo  a  Lucia 
e  naturalmente  cadute  in  mano  della  vigile  donna  Prassede.  (Sp.  prom,,  pp.  588-90). 

(1)  Sp.  prom.,  pp.  462-64;  Prom.  sp.,  cap.  XXV,  pp.  369-72. 

(2)  Prom.  sp.,  cap.  XXVI,  pp.  383,  384-87. 


180  PARTE   TERZA 


di  narratore  ordinato,  chiaro  ed  efficace  nel  dare  all'esposizione  di 
sì  copiosa  e  completa  materia  sempre  maggior  compostezza  e  ar- 
monia. Si  tratta,  per  lo  più,  di  spostamenti  materiali,  con  tendenza 
a  raggruppare  gli  aneddoti  dopo  i  discorsi  generali  su  quella  ter- 
ribile calamità. 

II.  Abbiamo  osservato  fin  qui  il  riordinamento  a  cui  andò  soggetta 
la  materia  del  romanzo,  e  dovremmo  ora  vedere  come  e  perchè 
taluni  episodi  della  minuta  siano  andati  soppressi  nelle  rielaborazioni 
successive  e  talune  parti  siano  state  dal  Manzoni  o  ridotte  e  con- 
densate o  diversamente  sceneggiate,  e,  in  qualche  luogo,  nuovi  ele- 
menti episodici  e  nuove  scene  abbia  egli  introdotto.  Dovendo  ritor- 
nare su  buona  parte  di  questa  materia  come  quella  che  rientra 
necessariamente  nello  studio  de'  personaggi,  delle  loro  situazioni 
psicologiche  e  drammatiche,  qui,  pertanto,  mi  restringerò  a  quelle 
parti  episodiche  che  sono  state  eliminate  o  aggiunte  per  ragioni  di- 
pendenti dalla  concezione  e  dal  disegno  generale  del  romanzo. 

La  scena,  in  cui  vediamo  il  povero  Renzo  accendersi  d' odio  e 
furore  contro  don  Rodrigo,  si  svolgeva  nella  minuta,  non  in  diretto 
contrasto  con  la  fidanzata  ed  Agnese,  ma  con  fra  Cristoforo,  il  quale, 
neir  uscire  dalla  casa  di  Lucia  per  tornare  al  convento,  alle  prime 
parole  minacciose  del  giovane  s'arrestava  sulla  soglia,  l'ammoniva 
vivamente  e  riesciva  finalmente  a  farlo  giurare  che  non  avrebbe 
tentato  di  farsi  giustizia  da  sé:  vi  riesciva,  dico,  ma,  più  che  per 
la  forza  de'  suoi  comandamenti  solenni  e  per  l'immagine  di  un 
avvenire  turbato  dal  terrore,  dall'angoscia,  dal  ribrezzo  d'essersi 
reso  omicida,  per  l'intervento  di  Lucia,  che  con  parole  coperte  gli 
faceva  intendere  d'  essere  disposta  a  secondarlo  nel  disegno  del 
matrimonio  clandestino. 

Nell'ultima  redazione  il  frate  non  appare  in  quel  colloquio,  non 
ha  parte  alcuna  nel  ravvedimento  di  Renzo,  ed  è  Lucia  che  cam- 
peggia di  fronte  al  giovine  furibondo  e  lo  placa  con  le  lagrime, 
con  le  preghiere  e  massimamente  col  consenso  al  sotterfugio  esco- 
gitato dalla  brava  Agnese  per  vedere  sposati  i  due  giovani.  Quanto 
codesto  episodio  abbia  guadagnato  di  verità  psicologica  e  d' efficacia 
drammatica  col  cambiamento  delle  parti  in  azione  ho  dimostrato 
altrove  (*),  e  gioverà  riesaminarlo  quando  tratterò  della  genesi  e 
della  composizione  poetica  dei  due  protagonisti  ;  ora  basti  osservare 
che  ha  contribuito  al  rimutamento  della  scena  la  considerazione,  a 


(1)  V.  Saggi  manz.  cit.,  p.  6  e  segg. 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  181 


cui  il  Fauriel  richiamava  il  Manzoni,  che  Renzo  aveva  fatta  quella 
promessa  a  fra  Cristoforo  in  un  precedente  contrasto  consimile,  av- 
venuto nella  stessa  casa  di  Lucia;  onde  l'aver  conservata  quella 
prima  scena  nel!'  ultima  redazione  con  lievi  differenze  di  tecnica 
formale  consigliava  di  non  ripetere  una  situazione  che,  sebbene  più 
vivace,  non  poteva  avere  alcuna  attrattiva.  Ragioni,  dunque,  di  so- 
brietà e  d'economia  nel  disegno  generale  dell'azione  hanno  indotto 
il  Manzoni  a  sopprimere  il  vivace  dibattito  di  Renzo  col  frate  e  a 
svolgere  in  nuovo  modo  l'episodio  delle  sfuriate  del  giovane  contro 
il    prepotente  persecutore  della  sua  sposa. 

Per  le  medesime  ragioni  principalmente,  un  altro  pittoresco  epi- 
sodio andò  soppresso  attraverso  il  lavoro  di  riduzione,  di  semplifi- 
cazione e  di  chiarezza,  per  cui  passò  la  trama,  già  nelle  sue  parti 
sostanziali  varia  e  complessa,  del  romanzo.  Secondo  il  consiglio  dato 
dal  Griso  di  far  colpire  Renzo  con  un'intimazione  di  ritorno  e  un 
ordine  di  cattura,  quale  lavoratore  di  seta  spatriatosi  in  contrav- 
venzione alle  grida,  il  podestà  nella  minuta  era  invitato  a  pranzo 
dal  signor  don  Rodrigo  insieme  col  conte  Attilio  e  il  dottor  Duplica 
(l'Azzeccagarbugli  della  stampa),  e  massime  per  le  arti  di  costoro 
e  il  grazioso  dono  di  una  bella  partita  di  vino,  inviatagli  a  casa 
dal  signorotto,  si  assumeva  l'incarico  di  accontentare  costui  nel- 
l'iniqua persecuzione  contro  il  povero  fuggiasco.  I  loro  discorsi  a 
tavola,  non  meno  di  quelli  a  cui  aveva  dovuto  assistere  padre  Cristo- 
forq,  ritraevano  con  icastica  efficacia  i  loro  caratteri,  e  si  colorivano, 
per  ciò  che  v'era  di  subdolo  e  di  cerimonioso,  de'  costumi  e  del 
linguaggio  del  tempo:  chi  primeggiava  nell'astuto  conversare,  ben 
fiancheggiato  dal  dottore,  era  il  beffardo  cugino  del  persecutore  di 
Lucia.  Considerata  a  sé,  piace  assai  codesta  finissima  dipintura  di 
anime  abbiette  (*),  in  cui  la  birboneria  de'  potenti  e  la  cortigia- 
neria de'  magistrati  e  de'  legulei  s' incontrano  sulla  via  dell'  iniquità 
in  un  accordo  d' ipocrita  ostentata  premura  del  pubblico  bene  : 
vigorosa  scena  d'ambiente  e  di  costumi  che  il  Manzoni  concepì 
nella  prima  composizione  del  romanzo  quando  lo  pungeva  la  solle- 
citudine di  ritrarre  lo  spirito  del  secolo,  attentamente  interpretato, 
in  quadri  storici  artisticamente  atteggiati,  e  la  concezione  de'  per- 
sonaggi cattivi  era  improntata  a  un  sentimento  di  severità  cristiana, 
onde,  come  abbiamo  avuto  occasione  d'osservare,  apparivano  più, 
ignobili  e  vili  di  quello  che  non  siano  nel  romanzo  trasformato.  Ma 
sulla  ragione  storica  e  su  quella  morale  prevalse  il  motivo  estetico 


CI)  Sp.  prom.,  pp.  271-4. 


182  PARTE   TERZA 


della  misura,  nemica  della  monotonia;  e  codesto  secondo  pranzo, 
che,  sebbene  dovesse  servire,  questa  volta,  ad  un  fine  collegato  con 
la  trama  del  romanzo,  pareva  una  reduplicazione  del  primo  (*),  in 
cui  già  lo  spirito  della  cortigianeria  parassitica  aveva  avuto  un'espres- 
sione di  grande  vigore  comico  e  satirico,  fu  inesorabilmente  sacri- 
ficato. Era  tuttavia  conveniente,  per  l'unità  e  l'interezza  del  carat- 
tere, conservare  in  don  Rodrigo  la  mala  voglia  di  far  nuovi  soprusi 
a  Renzo;  e  perciò  nel  romanzo  lo  vediamo  rimuginare  il  modo 
d'impedire  al  fuggitivo  il  ritorno  in  paese,  e,  alla  fine,  risolversi 
d'interessare  il  dottore  Azzeccagarbugli  perchè  gli  sia  appioppata, 
con  qualche  pretesto,  una  buona  cattura  ;  ma  non  v'  è  che  l'accenno 
a  questa  intenzione,  poiché  Renzo  medesimo  con  la  sua  disavven- 
tura di  Milano  offrirà  purtroppo  il  destro  al  suo  persecutore  meglio 
che  questo  non  possa  immaginare.  Non  servivano  parimente  allo 
sviluppo  logico  dell'azione  e  neppure  all'analisi  psicologica  del 
personaggi  altri  elementi  o  descrittivi  o  narrativi,  che  sparvero  o 
si  ridussero  a  un  cenno  nella  redazione  definitiva:  tali  il  ritratto 
di  prete  Serafino  Morazzone,  curato  di  Chiuso  {^),  che  rivelava 
troppo  spiccatamente  l'intenzione  pratica  di  adombrarvi  persona 
viva  e  moderna  e  cara  all'autore,  il  pranzetto  dell'Innominato  (ov- 
verosia conte  del  Sagrato)  e  del  cardinale  a  Chiuso  insieme  con 
quel  buon  curato  e  altri  preti  (^)  —  una  scenetta  sbiaditamente 
riuscita  che  appesantiva  inutilmente  l'ordine  delle  cose  seguite  alla 
conversione  del  potente  signore,  senza  aggiunger  qualche  pennellata 
di  vivo  colore  all'  ambiente  e  ai  personaggi  — ,  la  visita  che  donna 
Prassede  e  suo  marito,  villeggianti  nelle  vicinanze  del  paese  degli 
sposi,  facevano  al  cardinale  e  l'offerta  loro,  accettata  lietamente  dal 
prelato,  di  prendersi  in  casa  Lucia  (*)  ;  il  quale  incontro,  descritto 
con  tono  di  comicità  mediocre,  parve,  poi,  al  Manzoni,  superfluo  e 
ingombrante,  quando  nel  nuovo  magnifico  sviluppo  del  carattere  di 
donna  Prassede  immaginò  che  prima  le  venisse  la  curiosità  di  vedere 
la  giovine  miracolosamente  salvata  e  poi,  per  la  compiacenza  di 
secondare  e  prevenire  l'intenzione  del  cardinale  di  trovare  a  Lucia 
un  ricovero,  s'esibisse  di  prenderla  in  casa,  dandone  parte  a  Mon- 
signore con  quella  fiorita  lettera  di  don  Ferrante,  che  Agnese  stessa 
e  la  figlia  presentano,  per  suo  incarico,  al  loro  alto  protettore  ('), 


(1)  Prom.  sp.,  cap.  V,  pp.  66-74. 

(2)  Sp.  prom.,  pp.  378-9. 

(3)  JSp.  prom.,  pp.  407-9. 

(4)  Sp.  prom.,  pp.  369-71. 

(5)  Prom.  sp.,  cap.  XXV,  p.  369-71. 


IL    ROMANZO   IN   FORMAZIONE  183 

Quella  visita  e  quella  scena,  invero,  appesantivano  anch'esse  il  rac- 
conto, senz'altro  effetto  che  d'informare  come  il  buon  prelato  riu- 
scisse a  mettere  al  sicuro  Lucia,  mentre  la  nuova  narrazione  del 
modo  come  Lucia  finì  per  essere  accolta  nella  casa  della  dama  mi- 
lanese, è  di  un  grande  valore  psicologico  e  artistico,  perchè  serve 
alla  dipintura  del  carattere  di  donna  Prassede  e  prepara  quella 
situazione  umoristicamente  contradditoria  tra  la  giovine  protetta  e 
la  sua  protettrice,  che  il  grande  ironista  verrà  poi  lumeggiando 
ne'  loro  colloqui. 

L' aneddoto  della  gran  folla  di  gente,  mista  di  contadini  e  signori, 
di  bisognosi  e  di  ricchi,  che  segue  in  processione,  con  devota  per- 
tinacia, Federigo  nel  suo  giro  pastorale  per  la  valle  di  S.  Martino, 
e  l'esempio  preclaro  di  temperanza  ch'egli  dà  alla  moltitudine  me- 
ravigliata e  compunta,  ristorandosi  con  un  tozzo  di  pane  e  un  bic- 
chier d'acqua,  erano  entrati  nel  primo  disegno  del  romanzo  per  la 
ragione,  espressa  dall'autore  stesso,  che  gli  piaceva  trattenere  ancora 
il  lettore  sulla  bontà  e  gentilezza  del  grand' uomo  e  perchè  questo 
racconto  serviva  «  assai  a  dipingere  i  costumi  di  quel  tempo,  tanto 
lontani  dai  nostri  e  osservabilissimi  per  una  certa  pienezza  d'entu- 
siasmo, per  una  esplosione  di  sentimenti,  clamorosa,  per  un  impeto 
veemente,  come  troppo  spesso  al  male,  così  pure  qualche  volta  verso 
ciò  che  era  veramente  stimabile  »  (*).  Questo  episodio,  così  nel  rac- 
conto come  ne'  commenti  che  l' accompagnano,  oltre  il  rigore  asce- 
tico e,  per  di  più,  apologetico,  che  vi  senti,  «  non  ha  alcun  legame 
con  r  ai-ione  »  (')  principale,  svolgendosi  in  luoghi  che  sono  fuori 
del  teatro,  dirò  così,  di  quell'azione  e  avendo  sapore  di  un  puro 
aneddoto  biografico;  e  così  per  rispetto  alla  semplicità  e  sobrietà 
del  disegno  generale  del  romanzo  e  per  quella  minor  soggezione 
dell'autore  alla  storia  o,  meglio,  allo  scrupolo  storico,  che  avver- 
tiamo nell'opera  rifatta,  il  Manzoni  lo  lasciò  fuori,  e  fece  bene.  E 
per  le  medesime  ragioni  tralasciò  nel  rifacimento  la  celebrazione 
religiosa  del  cardinale  nella  chiesa  di  Chiuso  e  la  sua  predica  al 
popolo  (3),  tanto  più  che  l'idea  di  quella  solennità  e  di  quel  fervore 
di  devozione  balza  luminosa  dai  discorsi  del  sarto  e  de'  bimbi. 

Per  altre  parti  il  Manzoni  non  soppresse,  ma  —  come  addietro 
accennavo  —  ridusse  e  condensò  la  materia,  rielaborandola  per  l'as- 
setto definitivo.  Il  ritratto  de'  bravi,   sul  principio   del  romanzo,  è 


(1)  Sp.  proni.,  p.  465. 

(2^  V.  F.  D'Ovidio,  Nuovi  st.  manz.  cit.,  p.  580. 

(3)  Sp.  prora.,  pp.  384-6. 


184  PARTE   TERZA 


reso  più  svelto  e  composto,   senza  le  minuzie  dell'abbozzo,   senza 
certe  comparazioni  tra  scherzose  e  umoristiche  ('). 

Un  caso  d'abbreviamento,  dovuto  certamente  al  senso  della  misura 
che  governò  il  rifacimento  del  romanzo,  è  quello  della  fuga  di  don 
Rodrigo  e  dell'agitazione  del  paese  dopo  la  liberazione  di  Lucia. 
Questa  fuga  del  signorotto  dal  paesello  della  perseguitata,  le  im- 
pressioni diverse  e  opposte  di  lui  e  de'  paesani  per  gl'inaspettati 
avvenimenti,  il  mormorio  di  sdegno,  la  risolutezza  nuova  della  gente 
e  lo  scoraggiamento  del  prepotente  e  de'  suoi  bravi,  tutto  ciò  è 
descritto  con  tocchi  sobri  e  concisi  nel  romanzo  ;  ma  non  spiace  la 
piti  larga  analisi  che  il  Manzoni  aveva  fatto  nella  prima  stesura; 
nella  quale,  anzi,  olti'e  la  speditezza  del  fraseggio  e  la  chiarezza  e 
l'ordine  dell'esposizione,  —  troppo  spesso  difettosa  in  altri  luoghi  — 
v'Jia  un  certo  movimento  drammatico  e  un  attento  studio  delle 
impressioni  e  degli  affetti,  che  non  risaltano  dal  rifacimento  (').  È 
questo  uno  de'  tratti  del  romanzo  —  non  molti,  ma  neppure  raris- 
simi —  che  nel  rifacimento  non  hanno  guadagnato  se  non  per 
qualche  miglioramento  tecnico  di  forma. 


Ili,  Ma  sono  pur  notevoli,  in  confronto  con  la  minuta,  i  casi  di  mag- 
giore 0  di  diverso  sviluppo  nel  disegno,  nell'  intreccio  e  negli  stessi  epi- 
sodi, le  scene  e  gli  elementi  episodici  aggiunti,  che  riscontriamo  nella 
redazione  definitiva.  Si  veda  il  subbuglio  de'  villani  nella  notte  della 
fuga  di  Renzo  e  Lucia.  Il  loro  destarsi  e  accorrere  da  tutte  le  parti,  lo 
stupore  e  l'interrogarsi  a  vicenda,  le  nuove  consulte  dopo  la  notizia 
di  quel  vicino  di  casa  delle  donne  e  l' avviarsi,  come  sciame  confuso,  a 
vedere  che  diavolo  ci  fosse,  lo  sparpagliarsi  infine  e  il  tornar  d'ognuno 
a  casa  propria,  tutto  ciò  è  in  parte  appena  sbozzato  nella  minuta  e 
in  parte  manca  affatto  (^).  Opera,  dunque,  di  svolgimento  e  di  per- 
fezionamento è  quella  pittura,  così  vivida,  del  paese  messo  a  soq- 
quadro, che  rende  più  vasta  la  scena,  più  complicata  e  spettacolosa 
l'azione  col  mischiare  all'avventura  privata  de'  poveri  fuggiaschi  lo 
straordinario  tumulto  d'un  villaggio  alpestre  nel  cuor  della  notte, 


(1)  «  Il  corno  —  diceva  il  Manzoni  —  cascava  loro  sul  petto  »  «  come  i  vezzi  delle 
signore»;  portavano  «due  legacce  rosse  al  disotto  del  ginocchio,  a  un  di  presso  come 
i  cavalieri  della  giarrettiera:  una  specie  che  s'è  perduta,  come  tante  altre  buone 
istituzioni»  (Sp.  prom.,  p,  19). 

(2)  Sp.  prom.,  pp.  424-8. 

(3)  Sp.  prom.,  pp.  137-9;  Protn.  sp.,  cap.  Vili,  pp.  110,  115-17. 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  185 


alle  commozioni  diverse  de'  singoli  personaggi  in  contrasto  la  rap- 
presentazione molteplice  della  folla,  con  sobrio  e  amabile  spirito 
comico  osservata  e  ritratta,  e  accresce,  per  tal  modo^  calore  e  vigore 
al  romanzesco  e  al  drammatico  degli  avvenimenti,  senza,  tuttavia, 
trasmodare  nel  fantastico  de'  vecchi  romanzi  d' avventure. 

Mancava  altresì  nella  prima  stesura  l' intimazione  dei  due  bravi  al 
console  la  mattina  dopo  la  fallita  spedizione:  era  una  lacuna  nel  logico 
svolgimento  de'  fatti,  giacché  toccava  al  console,  che  appunto  ci  è  dal 
Manzoni  comicamente  figurato  in  atto  di  deliberar  sul  da  farsi,  toccava 
a  lui  far  deposizione  al  podestà  dell'  accaduto  :  rapida,  breve,  quella 
nuova  scena  che  il  Manzoni  tratteggia  con  un  vivo  color  locale  e 
un'ineffabile  potenza  comica,  ma  necessaria  all'ordito  dell'azione  (*). 

In  quella  parte  del  racconto  che  si  svolge  tra  il  ritorno  de'  bravi 
a  mani  vuote  al  palazzotto  di  don  Rodrigo  e  la  spedizione  del  Griso 
a  Monza,  l' azione,  se  attraverso  i  rifacimenti  è  stata  scorciata  con 
la  soppressione  della  passeggiata  che  quel  signorotto  faceva  col  conte 
Attilio  per  studiar  gli  umori  della  gente,  della  consulta  che  egli 
teneva  col  cugino  e  col  Griso,  dell'invito  a  pranzo  del  podestà 
e  de'  conciliaboli  ai  danni  di  Renzo,  s'è  accresciuta  de'  discorsi  che 
fanno  tra  loro,  sulla  mattina  e  a  colezione,  don  Rodrigo  e  il  conte 
Attilio  :  una  scena,  di  cui  qualche  elemento  era  sparso  in  quella  della 
confabulazione  col  Griso  e  nell' altra  de'  conversari  a  mensa  col  po- 
destà e  che  nella  nuova  redazione  cade  in  mezzo  tra  l' uscita  in 
campo  del  Griso  sul  mattino  e  le  notizie  che  raccoglie  in  paese  e 
la  prima  relazione  distinta  a  don  Rodrigo  (*).  In  questo  medesimo 
tratto  del  romanzo,  altre  volte  l'azione,  se  non  più  sciolta  o  abbre- 
viata, 'è  radicalmente  mutata,  come  nel  colloquio  che  tengono  da 
solo  il  padrone  e  il  servo  e  ne'  comuni  discorsi,  nelle  congetture, 
nelle  confidenze  de'  paesani  e  di  chi  ne  sapeva  qualche  cosa,  che 
il  Manzoni  riporta  e  analizza  con  sì  largo  spirito  d'osservazione, 
con  sì  bella  ricchezza  de'  particolari,  con  sì  acuta  e  bonariamente 
ironica  interpretazione  degli  umori  e  della  fantasia  delle  moltitudini 
che  vediamo  la  squallida  analisi  primitiva  trasformarsi  in  una  rap- 
presentazione del  tutto  nuova  e,  in  ben  diverso  modo,  efficace. 

Ma  anche  altre  circostanze,  di  minor  conto  di  quelle  osservate,  ma 
non  per  ciò  meno  legate  agli  avvenimenti  principali  di  quella  notte, 
ha  il  Manzoni  o  rimutato  o  sviluppato  con  ben  diversa  cura  de' 
particolari  e  precisione  osservativa.  Menico,  per  esempio,  nella  pri- 


(1)  Proni,  sp.,  cap.  Vili,  p.  U7. 

(2)  Sp.  prora.,  pp.  254-76;  Prom.  sp.,  cap.  XI,  pp.  164-71. 


186  PARTE   TERZA 


ma  stesura  giungeva  alla  casetta  di  Lucia,  metteva  piede  sull'uscio 
e,  sentendo  di  dentro  rumor  sordo  e  voci  d'estranei,  correva  indie- 
tro verso  la  chiesa  per  far  suonare  a  martello  ;  nell'  ultima  —  come 
si  sa  —  è  afferrato,  minacciato  dai  due  bravi  di  guardia;  caccia  un 
urlo,  che,  dopo  lo  «  sgangherato  grido  »  di  don  Abbondio,  colpisce 
«  più  acuto,  più  istantaneo  »  Agnese  e  Perpetua  ;  e  sguscia  dalle 
manacce  di  que'  manigoldi  alla  tempesta  de'  rintocchi  della  cam- 
pana. E  questa  disavventura  di  Menico  è  narrata  prima  eh'  egli  in- 
contri e  faccia  rivoltar  di  galoppo  Agnese  e  gli  sposi  alla  volta  di 
Pescarenico,  mentre  nella  minuta  se  ne  toccava  dopo  ('),  quando 
l'autore,  messi  ormai  i  perseguitati  sulla  via  dalla  fuga,  tornava 
indietro  per  narrare,  con  grossa  frettolosità,  dell'  invasione  de'  bravi 
e  della  loro  rapida  ritirata  ai  rintocchi  di  quella  campana  :  racconto 
che  di  poi,  condotto  su  più  ampio  disegno  e  con  altra  efficacia,  è 
stato  inframmezzato  abilmente  tra  il  primo  suonare  a  martello  e  la 
piccante  scenetta  de'  cicalecci  di  Perpetua  e  di  Agnese  dietro  la  can- 
tonata della  casa  parrocchiale.  Lo  stesso  Menico,  mentre  nell'  ultima 
stesura  accarezzato,  regalato,  ringraziato  dai  fuggiaschi  veniva,  a 
mezza  strada,  rimandato  a  casa,  perchè  i  suoi  non  avessero  a  stare 
più  in  pena  per  lui,  nella  prima  andava  con  loro  fin  dentro  la  chie- 
setta di  Pescarenico  ('),  poi  era  piantato  in  asso  dall'autore,  né  di 
lui  né  delle  promesse  «  parpagliole  »  si  faceva  più  parola  :  dimenti- 
canza curiosa,  dovuta  certamente  alla  foga  della  prima  composizione. 
Ma  più  innanzi  troviamo  nell'  ultima  forma  del  romanzo  aggiunte 
e  svolgimenti  anche  più  considerevoli.  L'episodio  milanese  di  Renzo, 
da  quando  egli  va  a  rifocillarsi  all'  osteria  della  Luna  piena  alla 
sua  fuga  nel  bergamasco,  s' è  arricchito  così  di  narrazioni  e  di  figure 
che  è  cresciuto  di  un  terzo  circa.  Un  mutamento  riguarda  la  miste- 
riosa guida  che  nella  minuta  si  offriva  ad  accompagnar  Renzo  non 
già  nel  momento  che  questo,  terminata  la  sua  «  predica  »,  chiedeva 
ai  presenti  chi  gli  volesse  insegnare  un'osteria,  ma  dopo  essergli 
stato  accanto  ad  osservarlo  e  dopo  averlo  seguito  nel  cammino, 
mentre  il  giovine,  congedatosi  dalla  brigata,  andava  innanzi  lenta- 
mente, cercando  «  qualche  insegna  »  {^).  Dell'  oste  della  Luna  piena 
non  una  linea,  nella  prima  stesura  (*),   che  ne  ritraesse   la   tipica 


(1)  Sp.  prora.,  p.  145,  n.  7. 

(2)  Sp.  prom.,  pp.  145-7;  Prom.  sp.,  cap.  Vili,  p.  118. 

(3)  Sp.  prom.,  p.  532;  Prom.  sp.,  cap.  XIV,  p.  208. 

(4)  Appena  un  vago  lampeggiamento:  «  fissò  gli  occhi  scrutatori  in  faccia  del  gui- 
dato »  (Sp.  prom.,  p.  533)  e  un  generico  tocco  là  dove  si  narrava  di  Renzo,  tirato  su 
nella  stanza,  che  tenta  invano  di  fare  un  ganascino  amorevole  alla  «  guancia  liscia 
e  rubiconda  dell'oste  »  (Ibid.,  p.  539). 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  187 

fisonomia,  così  bravamente  lumeggiata  ne'  successivi  ritocchi  (*); 
né  v'  era  queir  arguta  macchietta  del  garzone  che  a  Renzo,  sermo- 
neggiante  sul  ricolmo  bicchiere  lasciato  dalla  guida,  risponde  con 
tono  asciuttamente  canzonatorio  :  *  ho  inteso  »  (*)  ;  né  quello  scorcio 
Tivo  dell'  ostessa  ('),  su  cui  si  riverbera,  fugace,  ma  potente,  un 
fascio  di  luce  comica  dal  rapido  discorsetto  che  le  fa  il  marito  pri- 
ma di  uscire.  Renzo  non  dava  spiegazione  del  come  si  trovasse  in 
possesso  di  quel  pane  che  ne'  Promessi  sposi  tira  fuori  in  sul  prin- 
cipio della  mensa  (*):  umoristica  scenetta  tra  lui  e  la  brigata  de' 
bevitori,  che  non  solo  illumina  il  ritratto  morale  di  Renzo,  ma  ag- 
giunge movimento  e  comicità  al  quadro  d' insieme.  Quello  sciorinar 
della  grida,  che  l'oste  fa  sotto  gli  occhi  di  Renzo  ricalcitrante  a  dire 
il  suo  nome,  e  il  comico  discorso  che  questo  vi  fa  sopra  sono  pen- 
nellate nuove  con  che  il  Manzoni  ha  ravvivato  la  'scena  di  quel 
dibattito,  alquanto  sbiadito  nella  prima  stesura  (*).  E  che  vita,  che 
ricchezza  d' atteggiamenti,  di  cui  non  e'  era  nemmeno  un  vago  sen- 
tore ne'  succinti  elementi,  prevalentemente  narrativi,  del  primo  getto, 
ha  la  gente  che  gozzoviglia  e  gioca  nell'  osteria,  mischiando  balzani 
ragionari  e  arguzie  schernitrici  alle  parole  e  agli  atti,  sempre  più 
sconcertati,  di  Renzo  (®)  ! 

E  com'  è  diversa  la  notte  che  questo,  uscito  di  Gorgonzola,  passa 
nel  bosco  in  attesa  d'attraversar  l'Adda  la  mattina  dopo,  da  quella 
eh'  era  descritta  nella  minuta  ! 

Già  vi  ho  accennato  e  vi  ritornerò,  quando  in  altro  lavoro  stu- 
dierò  il  carattere  e  le  vicende  di  Renzo  ;  ma  pur  qui  conviene  no- 
tare che  la  trasformazione  di  ciò  che  nella  minuta  non  era  che 
traccia  frettolosa  e  scialba  sbozzatura  in  una  rappresentazione  vasta 
e  profonda  dell'anima  di  Renzo  e  della  natura  circostante,  così  ricca 
di  analisi  e  particolari  narrativi,  descrittivi  e  afiettivi,  in  gran  parte 
nuovi,  ha  conferito  tale  ampiezza  al  disegno  dell'  episodio  e  tale 
risalto  al  contenuto  psicologico  e  drammatico  di  esso  che  quella 
peripezia  del  povero  sposo  fuggiasco  acquista  un  posto  di  prim'or- 
dine  nella  proporzione  e  armonia  delle  varie  parti,   ond'è   ordita 


(1)  Proni,  sp.,  cap.  XIV,  p.  209. 

(2)  Ibid.,  p.  216. 

(3)  Non  c'era  che  questo  tratto  magro  e  grezzo  :  «  fece  un  cenno  con  l'occhio  al- 
l'ostessa, che  nella  sua  assenza  presiedeva  con  la  prudenza  e  l'imparzialità  del  me- 
stiere la  brigata»  (Sp.  prora.,  p.  542). 

(4)  Proni,  sp.,  cap.  XIV,  p.  210. 

(5)  Sp.  proni.,  p.  535-6;  Proni,  sp.,  ibid.,  p.  211-2. 

(6)  Sp.  prom.,  p.  536;  Prom.  sp.,  ibid.,  pp.  212,  213,  216,  217,  219. 


188  PARTE   TERZA 


r  azione  generale  del  romanzo  (*).  E  tutta  un'  altra,  in  confronto 
del  primo  getto,  è  la  descrizione  del  viaggio  di  Renzo  dalla  riva 
dell'Adda  a  Bergamo,  per  copia  di  fatti  e  scene  e  particolari  del 
tutto  nuovi  0  in  quella  appena  accennati  :  la  gioia  del  giovane  quando 
tocca  la  terra  di  S.  Marco,  il  pensiero  che  rivolge  al  ponte  del  suo 
paese,  lo  spettacolo  della  squallida  indigenza  che  in  varie  forme  gli 
si  presenta  allo  sguardo,  il  tragico  quadro  dell'  uomo  ritto  e  smunto 
e  delle  due  donne  con  quel  bambino  lattante  che  invano  succhia 
alle  mammelle  della  madre,  l' elemosina  che  Renzo  fa  de'  pochi  soldi 
che  gli  sono  rimasti,  l'incontro,  così  avvivato  di  festosa  accoglienza 
e  di  garruli  parlari,  col  cugino  Bortolo  (^). 

Il  vasto  episodio  che  descrive  il  passaggio  de'  lanzichenecchi  e 
la  fuga  di  don  Abbondio  con  Perpetua  ed  Agnese  alla  volta  del 
castello  dell'Innominato,  s'è  arricchito,  nell'ultima  redazione,  non 
solo  di  una  piti  viva  azione  dialogica,  non  solo  di  quelle  nuove 
pagine  che  ritraggono  la  vita  e  i  costumi  dell'Innominato,  divenuto 
penitente  e  benefico,  —  ampliamenti  che  servono,  più  che  all'azione, 
allo  sviluppo  de'  caratteri  —  ma  richiama  sulla  scena  il  sarto  del 
villaggio,  presso  il  quale  i  nostri  tre  fuggiaschi  si  fermano,  a  mezza 
strada,  per  rifocillarsi,  riponendo  in  luce  limpida  e  quieta  l'ingenua 
pietà  e  la  dolce  comicità  di  quel  brav'uomo,  ma  ad  un  tempo  ri- 
tessendo di  nuove  file  l' umoristica  narrazione  di  quel  viaggio  del 
curato  e  delle  due  donne,  che  dalla  complessità  e  varietà  delle  cir- 
costanze e  delle  impressioni,  tra  l'ansioso  cruccio  della  fuga  e  la 
mite  giocondezza  di  un'ospitalità  semplice  e  cordiale,  ritrae  vita  e 
movimento  e  colori  nuovissimi  {^). 

Dove  non  si  tratti  di  elementi  episodici  o  aneddotici,  nuovamente 
introdotti  nella  trama  dell'azione,  o  d'analisi,  affatto  nuove,  volte  a 
lumeggiare  ciò  che  prima  era  oscuro  e  informe  o  addirittura  ine- 
spresso, molti  sono  i  casi,  non  meno  rilevanti,  d' integrazione  psico- 
logica e  drammatica,  che  di  riflesso  influiscono  sul  disegno  e  la 
portata  dell'azione:  in  generale  il  Manzoni  nel  rifare  il  romanzo, 
se  ha  dato  d'accetta  al  superfluo,  all'accessorio  e  a  quello  che  — 
come  nel  caso  dell'  episodio  monzasco  —  non  conveniva  più  a'  suoi 
più  alti  e  sereni  criteri  morali  e  artistici,  ha  svolto  e  aggiunto  dove 
gli  è  parso  che  la  logica  e  l'arte  richiedessero  di  sviluppare  un  ca- 
rattere o  di  approfondire  una   situazione  o  di  analizzare  de'  senti- 


(1)  Sp.  prom.,  pp.  564-7;  Prom.  sp.,  cap.,  XVil,  pp.  248-55. 

(2)  Sp.  prom.,  pp.  567-8;  Prom.  sp.,  ibid.,  pp.  256-61. 

(3)  Negli  Sp.  prom.,  (pp.  621-2)  la  descrizioae  del  viaggio  si  riduceva  a  una  decina 
di  righe.  Cfr.,  invece,  Prom.  sp.,  cap.  XXIX,  pp.  427-31,  cap.  XXX,  p.  436-9. 


IL  ROMANZO  IN  FORMAZIONE  189 


menti  ed  affetti.  Il  dialogo  che  si  svolge,  nella  nuova  forma,  tra  don 
Abbondio  e  i  bravi  (*),  e  quello  del  curato  con  Perpetua,  dopo  il 
malaugurato  incontro  (');  le  consulte  e  i  propositi  del  pover'uomo 
per  tenere  a  bada  Renzo  {^),  lo  stato  d'animo  dello  sposo  dopo  la 
rivelazione  del  nome  di  don  Rodrigo  {*)  :  le  sue  sfuriate  in  casa  di 
Lucia  (5);  il  tentativo  di  ratto  («),  i  discorsi  di  don  Rodrigo  e  del 
Griso  dopo  la  fuga  degli  sposi  (');  la  cattura  di  Renzo  (*);  il  col- 
loquio dell'  Innominato  con  Federigo  Borromeo  (')  ;  il  soliloquio  e 
gli  atti  di  don  Abbondio  durante  il  viaggio  alla  volta  del  castello  (^°)  ; 
lo  stato  d'animo  di  Lucia  poco  prima  della  liberazione  (")  ;  la  parte 
della  «  buona  donna  »  nella  pietosa  impresa  (**);  il  primo  incontro 
di  Agnese  con  la  figlia  dopo  il  ratto  (")  ;  questi  tratti  e  altri  di 
minor  conto,  che  non  importa  notare,  sia  che  vi  si  riprenda  e  ap- 
profondisca r  analisi  de'  caratteri,  sia  che  elementi  descrittivi  e 
narrativi,  quasi  sempre  succinti  e  sbiaditi,  si  tramutino  in  vivo  dia- 
logo, sono  stati  nella  trasformazione  del  primo  getto  rielaborati  con 
tal  larghezza  e  rilievo  da  contribuire  pur  essi  alla  maggiore  pienezza 
e  intensità  dell'azione  generale. 


(1)  Sp.  prom.,  pp.  20-1;  Prom.  sp.,  cap.  I,  pp.  12-13. 

(2)  Sp.  prom.,  pp.  29-31;  Prom.  sp.,  cap.  I,  pp,  18-21. 

(3)  Sp.  prom.,  pp.  33-tì;  Prom.  sp.,  cap.  II,  pp.  23-6. 
y)  Sp.  prom.,  pp.  39-42;  Prom.  sp.,  cap.  II,  pp.  28-31. 

(5)  Sp.  prom.,  p.  47,  61-2,  83-4, 118-22;  Prom.  sp.,  cap.  Ili,  pp.  35,  47,  cap.  V,  pp.  63-4, 
cap.  VII,  pp.  88-91. 

(6)  Sp.  prom.,  pp.  143-5,  n.  7;  Prom.  sp.,  cap.  Vili,  pp.  110-13. 

(7)  Sp.  prom.,  p.  263;  Prom.  sp.,  cap.  XI,  pp.  163-4. 

(8)  Sp.  prom.,  pp.  546-53;  Prom.  sp.,  cap.  XV,  pp.  226-33. 

(9)  Sp.  prom.,  pp.  373-8;  Prom.  sp.,  cap.  XXIII,  pp.  327-30. 

(10)  Sp.  prom.,  pp.  386-8,  390-5;  Prom.  sp.,  cap.  XXIII,  pp.  334-41.  Il  secondo  soli- 
loquio, durante  il  cammino  di  ritorno,  mancava  affatto  nella  minuta:  c'era  un'informe 
sbozzatura  de'  sentimenti  di  don  Abbondio,  che  si  smarriva  nell'affrettata  descrizione 
del  viaggio;  per  contro  ne'  Prom.  sp.,  questa  è  così  viva  di  particolari  umoristici  e 
massimamente  risalta  in  tal  modo  nello  stupendo  monologo  del  curato  che  quello 
ch'era  squallida  notazione  nel  primo  testo  s'è  trasformato  in  una  scena  ricca  d'azione 
muta,  ma  profondamente  significativa. 

(11)  Sp.  prom.,  p.  402;  Prom.  sp.,  cap.  XXIV,  p.  341.  C'è  un  mutamento  notevole 
di  situazione  nella  scena  della  liberazione,  che,  modifica,  di  conseguenza,  l'andamento 
dell'azione.  Nella  prima  stesura  il  Conte  non  s'avanzava  nella  camera,  dov'era  Lucia, 
poco  dopo  don  Abbondio  e  la  «  buona  donna  »,  ma  attendeva  fuori  per  tutto  il  tempo, 
né  si  faceva  vedere  né  parlava  alla  sua  prigioniera.  Ne'  Prom.  sp.,  invece,  troviamo 
quell'indovinata  scena,  in  cui  Lucia  non  può  reprimere  un  subitaneo  ribrezzo  nel 
rivedere  il  terribile  uomo,  ed  egli  s'umilia  dinanzi  a  lei,  ed  ella  si  rincora,  espri- 
mendo con  convenienti  parole  la  riconoscenza  insieme  e  la  pietà  (Sp.  prom.,  pp.  403-4; 
Prom.  sp.,  cap.  XXIV,  pp.  342-3). 

(12)  Sp.  prom.,  pp.  403-6;  Prom.  sp.,  cap.  XXIV,  pp.  343-5,  348. 

(13)  Sp.  prom.,  p.  420;  Prom.  sp.,  cap.  XXIV,  pp.  354-5. 


Capitolo  IL 
La  genesi  e  la  composizione  poetica  di  Lucia 


I.  L' ideale  evangelico  del  Manzoni  e  la  genesi  ètico-religiosa  di  Lucia. 
—  IL  La  preoccupazione  storica  e  realistica  nella  primitiva  con- 
cezione del  carattere,  —  HI.  L' elevazione  poetica  del  carattere  in 
ragiona  diretta  del  progressivo  chiarirsi  e  illuminarsi  dell'idea 
di  carità  che  V  informa.  —  IV.  Mutamenti  nelle  situazioni  e 
rappresentazioni,  dovuti  alla  legge  della  convenienza  psicologica 
ed  artistica  de'  personaggi  ne'  loro  mutui  rapporti.  —  V.  L'eli- 
minazione  del  patetico  e  del  pittorescamente  drammatico  e  ancora 
dell'  idealizzazione  di  Lucia  nel  carattere  e  nelle  peripezie  :  [la 
separazione  dalla  madre;  il  ratto  e  il  viaggio  co'  bravi;  il  pri- 
m,o  incontro  con  l'Innominato  ;  la  notte  passata  al  castello],  — 
VI.  Ancora,  della  profonda  trasformazione  poetica  di  Lucia  nel 
rimaneggiamento  della  scena  del  perdono  che  l'Innominato  ottiene 
da  lei,  —  VII.  Nel  rinnovamento  d'analisi  e  di  rappresentazione 
della  vita  di  Lucia  dopo  il  voto  e  dopo  la  liberazione  :  [ospite  in 
casa  del  sarto  del  villaggio;  la  famiglia  del  sarto;  il  cuore  di 
Lucia  tra.  il  voto  e  l'amore;  il  primo  e  il  secondo  incontro  col 
card.  Federigo;  ancora  del  voto  e  de"  combattimenti  interni  di 
Lucia;  il  ritrovamento  della  madre  e  il  ritorno  al  paese  natio\. 
VIII.  Una  nuova  scena  nelV  ultima  redazione  del  romanzo:  la 
rivelazione  del  voto  alla  madre.  Com'è  stata  rimaneggiata  la 
scena  del  commiato.  —  IX.  /  rimutamenti  profondi  dal  primo 
getto  alla  forma  definitiva  nella  scena  dell'incontro  di  Lucia  con 
Renzo  nel  lazzaretto.  —  X.  Il  proscioglimento  dal  voto  e  le  va- 
riazioni nel  carattere  e  negli  atteggiamenti  di  Lucia. 

1.  Come   nel   capitolo   precedente  ho  seguito,   sulla  scorta  della 
prima  stesura  e  de'  successivi  rifacimenti  del  romanzo,  il  processo 


IL  ROMANZO   IN  FORMAZIONE  191 

di  riordinamento  e  di  chiarificazione  del  disegno  generale,  cosi  ora 
mi  propongo  di  studiare  i  personaggi  di  Lucia  e  di  Gertrude 
nel  loro  processo  formativo  attraverso  il  lavoro  intenso  e  paziente, 
che  il  Manzoni  venne  compiendo  intorno  all'  opera  sua.  Vogliamo, 
pertanto,  vedere  con  l'esempio  delle  due  principali  figure  femmi- 
nili com'egli  sia  pervenuto  alla  piena,  nitida  e  coerente  rappresen- 
tazione de'  veri  caratteri  de'  suoi  personaggi,  ritratti  e  illuminati  nel- 
l'orbita dell'azione  generale,  che  è  come  dire  da  quale  disposizione 
del  suo  spirito,  da  quale  suo  stato  d'animo,  in  cui  l'idea  di  quello 
o  questo  personaggio,  spogliatasi  d'ogni  elemento  astratto  o  volgare, 
s' è  concretata,  sia  venuta  generandosi  quella  perfetta  forma  fanta- 
stica che  è  appunto  il  personaggio  che  vive  nell'  opera  d' arte.  E  se 
è  vero  che  anche  il  romanzo,  come  qualsiasi  opera  d'arte,  è  lirica  nella 
sua  genesi  sentimentale  e  rappresentazione  epica  nella  sua  forma,  cioè 
rappresentazione  nitida  e  coerente  di  una  commozione  di  sentimenti 
intensa  e  profonda,  agitante  la  coscienza  dello  scrittore,  la  genesi 
del  carattere  di  un  personaggio,  ovverosia  delle  situazioni  e  delle 
azioni  in  cui  si  svolge,  non  può  essere  cercata  che  nell'animo  del- 
l'artista, nelle  sue  predisposizioni  aff'ettive,  morali  o  intellettuali, 
onde  vengono  quei  motivi  sentimentali  che,  inalzandosi  per  impulso 
di  gagliarda  aspirazione,  si  sono  trasfigurati  nelle  creature  concrete 
del  romanzo.  Né  si  può  considerare  e  valutar  1'  episodio,  la  scena, 
il  personaggio  separatamente  dell'azione  generale,  ne  questa  inten- 
dere se  non  la  si  guardi  come  l'espressione  armonica  di  un  vasto 
mondo  interiore  già  sorto  nella  coscienza  del  poeta. 

Perciò  nello  studiare  i  personaggi  del  romanzo  manzoniano  si 
determinerà  implicitamente  il  significato  e  il  valore  dell'azione,  che 
di  essi  si  forma  e  s' illumina. 

Nella  prima  parte  di  questo  lavoro,  illustrando  la  dottrina  etico- 
religiosa,  che  preparò  nella  mente  del  Manzoni  la  concezione  de' 
Promessi  sposi,  e  le  sue  idee  intorno  alla  poesia,  la  storia  e  parti- 
colarmente il  romanzo  storico,  che  influirono  suU'  origine  di  essi, 
ho  accennato  alla  presenza  ed  efficacia  di  quei  principi  nella  genesi 
de'  caratteri  dei  personaggi  e  all'  opportunità,  che  offre  la  prima 
stesura  del  romanzo,  di  cogliervi  le  segrete  intenzioni  dell'autore 
e  le  ispirazioni  derivate  dal  suo  mondo  morale. 

Lucia  è  un  personaggio  d'ispirazione  prettamente  evangelica  ed  \ 
è  il  più  puro  fiore  dell'idealismo  etico-religioso  del  Manzoni.  Non  ' 
s' intende  perchè  egli  abbia  scelta  come  eroina  del  romanzo  codesta 
povera  figlia  di  un  villaggio  lombardo,  se  non  si  tenga  presente  la 


192  PARTE   TERZA 


dottrina  difesa  e  predicata  nelle  Osservazioni  sulla  morale  cattolica. 
Non  tanto  per  la  tendenza,  già  manifesta  ne'  romanzi  scottianì,  a 
sostituire,  o  almeno  a  mischiare  ai  grandi  della  terra  gli  umili  e 
gli  oscuri,  quanto  pel  bisogno  di  concretare  nelle  forme  dell'  arte 
verità  caldamente  sentite,  ha  il  Manzoni  narrati  i  casi  di  Lucia.  Se 
Ermengarda  è  germinata  dal  concetto  della  fragilità  della  nostra 
natura,  cui  le  passioni  sono  cagione  di  traviamento  o  di  disinganno 
e  di  dolore,  Lucia  è  nata  dalla  fervida  consapevolezza  di  fede  in 
quelle  verità  fondamentali  della  rivelazione  che  piti  addietro  ab- 
biamo visto  luminosamente  intese  e  ragionate  dal  Manzoni:  Lucia  \ 
è  r  immagine  dell'  anima  che  accetta,  senza  transazioni  e  compro- 
messi, il  Vangelo  nella  sua  interezza  con  umiltà  di  cuore  ;  che  non 
concepisce  di  poter  fare  bene  senza  la  grazia  divina  ;  che  opera  la  , 
propria  salute  con  timore  e  tremore.  Lucia  accoglie  in  sé  queste 
idee  sublimi  che  Dio  nasconde  ai  prudenti  e  ai  sapienti,  perchè, 
senza  sforzo,  sa  farsi  picciola  per  intenderle  :  fra  la  gente  della  sua 
condizione,  co'  nobili  o  grandi  in  cui  s' imbatte,  in  tutte  le  vicende 
della  sua  storia  avventurosa,  rivela  nella  forma  piìi  semplice  e 
schietta  la  virtù  della  carità;  la  sua  anima,  i  suoi  dolori  e  la 
sua  salvezza  pare  facciano  testimonianza  alla  forte  convinzione  del 
poeta  che,  lungi  dalle  presunzioni  della  ragione  umana  e  della 
scienza,  non  si  può  piacere  a  Dio  se  non  con  la  fede,  e  a  quella, 
non  meno  sicura,  che  la  vita  quaggiù  è  travaglio,  è  miseria,  è  de- 
bolezza, onde  poco  o  nulla  possiamo  aspettarci  dalla  giustizia  degli 
uomini  e  tutto  dalla  giustizia  divina. 

Così  Lucia  come  fra  Cristoforo  sono  personaggi  ideati  e  atteggiati 
i  secondo  il  sentimento  e  il  concetto  delle  supreme  virtù  evangeliche, 
■  la  carità  e  la  giustizia  ;  e  perciò  nello  sviluppo  psicologico  de'  ri- 
1  spettivi  caratteri,  nello  svolgimento  dell'azione,  l' una  è  inseparabile 
dall'altro  e  insieme  incarnano  perfettamente  l' ideale  evangelico  del 
Manzoni:  Lucia  rafforzandosi  nella  carità  con  l'umiltà,  fra  Cristoforo 
con  la  devozione  alla  giustizia.  La  finissima  analisi  e  la  fervida  lode 
della  carità,  che  già  vedemmo  in  alcune  pagine  eloquenti  della 
Morale  cattolica,  tornano  in  mente  a  chi  osservi  il  carattere  e  il 
contegno  di  Lucia  :  l' amore  del  prossimo  non  è  in  lei  una  semplice  ) 
pietà  naturale,  ma  è  religiosa  inclinazione  ad  *  amarlo  in  Dio  e  per 
Dio  »  :  ella  non  odia  il  suo  persecutore,  non  muove  lagno  o  rimpro- 
vero al  debole  curato,  che  doveva  render  santo  e  benedetto  il  suo 
amore,  non  incolpa  mai  delle  sue  sventure  e  de'  suoi  patimenti  gli 
uomini  che  ne  sono  cagione.  Nel  modo  di  concepire  e  atteggiare  la 
modesta  e  gentile  anima  di  Lucia  il  Manzoni  ha  riflesso  quel  suo 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  193 

meditato  concetto  del  vero  cristiano  che  nel  sentimento  della  propria 
miseria,  della  carità  universale  e  dell'  anica  speranza  in  Gesù  Cristo 
attinge  indulgenza  e  compatimento  «  a  riguardo  d'  ogni  nostro  fra- 
tello, per  quanto  la  condotta  di  lui  possa  parere  a  noi  ed  essere  ab- 
bietta e  perversa  ».  E  nell'  amore  dovuto  a  tutti  gli  uomini  riposa 
la  ragione  dell'amor  di  sé  stessa,  che,  lungi  dall'essere  un  cieco 
istinto,  è  volontà  del  bene  sommo  assoluto,  a  cui  i  beni  finiti  del 
mondo,  come  mezzi  a  quel  fine,  sono  subordinati  :  codesto  retto 
amore  di  sé  riceve  conferma  nel  voto  risoluto  ch'ella  fa  la  notte 
durata  con  tanto  dolore  e  terrore  nel  castello  dell'  Innominato,  quan- 
do rinunzia  volontariamente  al  giovane  amato,  alle  gioie  della  no- 
vella famiglia,  vagheggiata  ne'  soavi  sogni  di  fanciulla,  per  ottenere 
la  grazia  di  sottrarre  all'onta  scellerata  la  sua  nativa  purezza; 
queir  offerta  di  ciò  che  ha  di  più  caro  fra  i  beni  terreni^  ma  che 
r  iniquità  non  le  consente  di  conseguire,  è  atto  d'amore  dell'anima 
per  sé  stessa  al  fine  della  sua  salvazione.  Nella  sua  religiosità  in- 
genua, ma  profonda.  Lucia  sente  esser  questo  un  «  grand'  obbligo  > 
che  le  è  imposto  dal  bisogno  stesso  d'  ottener  la  grazia  dalla  Ma- 
donna, e  con  quella  «  signoria  »  di  sé  stessa,  con  quella  «  serenità 
della  mente  »  che  le  dà  la  religione,  può  compiere  uno  di  quei  sa- 
crifizi «  ai  quali  il  senso  repugna  >.  Nell'atto  di  Lucia  la  morale 
religiosa,  come  il  Manzoni  l'aveva  bellamente  illustrata  nella  pole- 
mica col  Sismondi^  consegue  una  splendida  vittoria:  senza  la  ca- 
rità Lucia  non  potrebbe  superare  la  crisi  di  quella  notte,  poiché, 
se  la  morale  religiosa  le  chiede  «  un  grand' obbligo  »,  l'ha  «  messa 
in  caso  d'adempierlo».  Lucia,  nella  sua  umiltà  cristiana,  ha  la 
vaga  consapevolezza  che  il  compimento  della  vera  giustizia  è 
quaggiù  un  vano  sforzo,  onde  quel  tentativo  di  matrimonio  per 
sorpresa,  così  vivamente  caldeggiato  da  Agnese  e  da  Renzo,  ai 
quali  pareva  legittimo  mezzo  di  giustizia,  a  lei,  invece,  sembra  un 
disegno  ingiusto  e  inutile  e  quasi  una  presunzione  della  volontà 
umana,  in  confronto  delle  segrete  preparazioni  della  Provvidenza. 
E  di  fatto  quello  sforzo  dell'  uomo  di  ottener  giustizia  co'  suoi  mezzi 
non  riesce,  e  nell'odissea  dolorosa  degli  sposi,  separati  e  perse- 
guitati dalla  violenza  e  dalla  perfidia  umana,  s'  avvera  ciò  che 
della  giustizia  in  questa  vita  diceva  l'autore  della  Morale  cattolica, 
essere  «  decreto  di  sapienza  e  di  bontà  che  soffra  per  mondarsi  e 
combatta  per  crescere  ». 

La  concezione  del  carattere  di  Lucia  e  del  suo  dramma  spirituale, 
quale  si  svolge  tra  gli  urti  delle  peripezie  della  vita,  ha  notevoli 
rapporti  con  le  meditazioni  degli  scrittori  sacri  francesi,   sui  quali 

Busetto  —   13 


194  PARTE   TERZA 


il  Manzoni  —  come  abbiamo  più  volte  osservato  —  venne  formando 
la  sua  nuova  cultura  religiosa  dopo  la  conversione. 

L' animo  di  Lucia  che  dopo  il  voto,  dopo  cioè  il  più  grande  sa- 
crifizio che  spontaneamente  potesse  fare,  pur  tra  le  angosce  della 
prigionia  sente  entrare  in  sé  stessa  «  una  certa  tranquillità,  una 
più  larga  fiducia  >  (')  ed  è  «  così  preparata  da  una  vita  d'inno- 
cenza, di  rassegnazione  e  di  fiducia  >  che  resiste  all'  improvviso 
sgomento  suscitatole  dal  pensiero  del  voto  e  s'affida  alle  disposi- 
zioni della  Provvidenza  (*),  appartiene  ai  giusti  che  il  Massillon 
celebrava  per  «  un  calme  profond  >,  per  la  «  sérénité  de  coscience  >, 
la  «  simplicité  de  coeur  »,  la  «  égalité  d'esprit  >,  la  «  confiance  vive», 
la  «  résignation  paisible  » ,  con  cui  vincono  i  turbamenti,  i  disgusti, 
le  inquietudini  della  vita  (^). 

Lucia,  di  contro  don  Eodrigo  e  l' Innominato,  non  è  che  una 
«  povera  creatura  »,  una  «  meschina  »,  che  nulla  può  «  pretendere  »  (*), 
una  «  povera  figlia  »  derelitta  senza  protezione  —  come  rifletteva 
fra  Cristoforo  negli  Sposi  promessi  (^)  — ,  «  una  povera  innocente  » , 
che  la  prepotenza  può  «  tener  nell'  angoscia  e  nel  terrore  » ,  ma  su 
cui  vigila  lo  sguardo  di  Dio  (^),  che  «  non  turba  mai  la  gioia  de' 
suoi  figli,  se  non  per  prepararne  loro  una  più  certa  e  più  grande  »  (^); 
ma  —  quel  che  più  importa  —  essa  nella  sua  debolezza  è  —  se- 
Icondo  la  concezione  manzoniana  —  l'eletta  della  Provvidenza  divina, 
.    che  se  ne  serve  pe'  suoi  disegni   segreti.  Tutte  le  vicende  di  que- 

yì  st'  umile  creatura  convergono  nel  romanzo  a  fare  splendere  nella 
forma  della  poesia,  idealizzatrice  della  realtà,  la  verità  espressa  in 
quelle  parole  di  Federigo  :  «  Dio  ha  permesso  che  foste  messa  a 
una  gran  prova;  ma  v'ha  anche  fatto  vedere  che  non  aveva  levato 
l'occhio  da  voi,  che  non  v'aveva  dimenticata.  V'ha  messa  in  salvo  ; 
e  s'è  servito  di  voi  per  una  grand'opera,  per  fare  una  gran  mise- 
ricordia a  uno,  e  per  sollevare  molti  nello  stesso  tempo  »  (^), 

Questo  che  è  il  motivo  etico  essenziale  della  Lucia  manzoniana 
ha  una  viva  affinità  di  concetto  con  quelle  osservazioni  del  Mas- 
sillon: C'est  cette  foiblesse  méme  qui  est  glorieuse  à  la  foi  et  à  la 


(1)  Prom.  spé,  cap.  XXI,  p.  309. 

(2)  Prom.  sp.,  cap.  XXIV,  pp.  349-50. 

(3)  Serm.  sur  le  bonheur  des  Justes,  in  Oeuvres  (ed.  cit.)  voi.  I,  p.  29. 

(4)  Prom.  sp.,  cap.  XXI,  pp.  304,  305. 

(5)  Sp.  prom.,  p.  82. 

(6)  Prom.  sp.,  cap.  VI,  pp.  77,  78. 

(7)  Prom.  sp.,  cap.  Vili,  p.  123. 

(8)  Prom.  sp.,  cap.  XXI V,  p.  357. 


IL    ROMANZO   IN   FORMAZIONE  195 

religion  de  Jésns-Christ  ;  c'est  pour  cela  méme  que  le  Seigneur  vous 
a  choisi  pour  faire  connòitre  en  vous  combien  la  grace  est  plus 

forte  que  la  nature Plus  étes  foibles,   plus  devenez   un  istru- 

ment  propre  aux  desseins  et  à  la  gioire  du  Seigneur.  Il  n'a  jamais 
choisi  que  des  personnes  foibles,  quand'  il  a  voulu  appesantir  sa  main 

sur  elles,  a  fin  que  l'homme  ne  s'attribuàt  rien  à  lui-mème 

Plus  nos  afflictions  nous  paroissent  extraordinaires,  moins  nous  devona 
croire  qu'  il  y  entre  du  hasard  ;  plus  nous  devons  découvrir  les  ordres 
secrets  et  impénétrables  d'un  Dieu  singulièrement  attentif  sur  notre 
destinée  ;  plus  nous  devons  presumer  que  sous  des  évenements  si 
nouveaux  il  cache  sans  doute  des  vues  nouvelles,  et  des  desseins 
singuliers  de  miséricorde  sur  notre  àme  »  (*).  Nelle  quali  meditazioni 
del  grande  oratore  francese  e'  è,  per  così  dire,  il  sostrato  etico-reli- 
gioso de'  casi  di  Lucia,  ovverosia  di  quella  che  è  l'azione  princi- 
pale e  dominante  del  romanzo.  Ma  ciò  che  costituisce  dell'  immortale 
personaggio  manzoniano  il  carattere  costante,  originale,  attorno  a 
cui  il  Manzoni  lavorò  con  lena  infaticata  di  pensatore  e  d'  artista 
per  renderlo  sempre  più  coerente  e  più  limpido,  è  quella  forza 
semplice,  eppur  potentissima,  onde  Lucia  trae  dalle  sue  virtù  cri- 
stiane consolazione,  calma  e  dolcezza  anche  sotto  il  peso  de'  più 
grandi  patimenti.  È  questo  uno  degli  aspetti  dell'anima,  ardente 
di  pietà  religiosa,  che  il  Massillon  meglio  illustrò  nelle  sue  acute  e 
calde  analisi  del  cuore  umano  :  «  Si  la  vertu  —  ei  diceva  —  ne 
nous  garantit  pas  des  aflQictions  et  des  disgraces  inévitables  sur  la 

terre,  du  moins  elle  les  adoucit  ; >  E  poi  :  «  qu'  y-a-t-il  de  plus 

à  désirer  qu'  une  situation  qui  nous  console  dans  ces  évenements; 
qui  nous  soutienne  dans  ces  orages;  qui  nous  calme  dans  ces  agi- 
tations;  et  qui,  dans  changements  éternels  qui  se  passent  ici  —  bas 
autour  de  nous,  nous  laisse  du  moins  toujours  les  mémes  »  ? 

Lucia  nell'orrenda  notte  passata  al  castello  non  perde  la  spe- 
ranza, ma  si  ravviva  nella  fede  e  trova  la  calma  del  cuore,  perchè 
i  giusti  —  osservava  il  Massillon  —  non  s'abbandonano  alle  dispe- 


(1)  Serm.  sur  les  afflictions,  in  Oeuvres  (ed.  cit.),  voi.  I,  pp.  154-5,  157.  Cfr.  anche 
pp.  161,  162.  Come  e  perchè  il  Manzoni  tra  innumerevoli  nomi  di  santi  ha  scelto  quelli 
di  Lucia,  di  Agnese,  e  pur  quello  di  Cecilia  nel  noto  episodio  patetico  della  peste* 
Diflacile,  se  non  impossibile,  la  risposta;  ma  è  curioso  che  questi  tre  nomi  si  trovino 
riuniti  in  una  pagina  del  cit.  sermone  del  Massillon,  p.  (155)  e  a  mo'  d'esempio  di 
povere  umili  anime  illuminate  dalla  fede:  «Les  Agnès,  les  Luces,  les  Céciles  ren- 
doient  gioire  à  Dieu  dans  leur  foiblesse,  à  la  force  de  sa  grace,  et  à  la  vérité  de  sa 
doctrine.  Ce  sont  ces  de  vases  de  terre  que  le  Seigneur  prend  plaisir  de  briser,  comma 
oeux  de  Gédéon,  pour  faire  éclater  en  eux  avec  plus  magnificence,  la  lumière  et  la 
puissance  de  la  foi  ». 


196  PARTE   TERZA 


razioni  terribili  del  peccatore:  «  ils  soufifrent,  mais  la  mème  main 
qui  les  éprouve  les  soutient,  et  ils  ne  sont  pas  tentés  au-de  là  de 
leurs  forces;  ils  sentent  ce  que  vous  appelez  la  pesanteur  du  jug" 
de  Jésus-Christ  ;  mais  en  rappelant  le  poids  de  l'iniquité  sous  lequel 
ils  ont  gemi  si  long-temps,   ils  trouvent  leur  sort  heureux,  et  cet 

parallèle  les  calme  et  les  console Les  senses   peuvent  encore 

souflFrir  des  amertumes  de  la  vertu;  mais  du  moins  le  coeur  est 
tranquille.....  Les  graces,  dont  il  (Dio)  accompagno  nos  dégoùts, 
qui  soutiennent  notre  foi,  en  mème  temps  que  nos  violences  abattent 

r  amour-propre,  fortifìent  notre  coeur  dans  la  vérité ,  font  que 

notre  coeur  est  prompt  et  fervent,  quoique  la  chaire  soit  foible  et 
languissante  ;  de  sort  qu'  il  rend  notre  vertu  d'autant  plus  solide, 
qu'  elle  est  pour  nous,  ce  semble,  plus  triste  et  plus  pénible  »  (^). 
È  questa  la  vicenda  attraverso  cui  eran  passati  Lucia  e  Renzo 
«  co'  travagli  e  tra  le  miserie  »,  ma  per  essere  disposti  dal  cielo 
«  a  un'  allegrezza  raccolta  e  solenne  »  {^),  ed  è  nelle  parole  del- 
l' autore  francese,  esaltanti  i  frutti  della  sventura  sorretta  dalla  fede 
e  dalla  grazia,  il  «  sugo  di  tutta  la  storia  »  che  quella  «  povera 
gente  »  e  con  essa  il  Manzoni  traggono  alla  fine  di  tante  peripezie, 
che  cioè  1  guai  «  quando  vengono  o  per  colpa  o  senza  colpa,  la 
fiducia  in  Dio  li  raddolcisce  e  li  rende  utili  per  una  vita  migliore  »  (^). 

II.  Ora,  per  meglio  vedere  come  l'ispirazione  etico-religiosa  del 
carattere  di  Lucia  si  trasfigurasse  nella  coscienza  poetica  del  Man- 
zoni in  creatura  viva  e  concreta,  conviene  seguirne  lo  sviluppo 
psicologico  e  la  figurazione  e  rappresentazione  estetica  attraverso  i 
mutamenti  e  perfezionamenti  che  lo  scrittore  operò  nell'  assiduo 
processo  di  rielaborazione  di  tutto  il  romanzo. 

Vero  è  che  Lucia,  come  il  Manzoni  la  concepì  e  la  tratteggiò 
ne'  suoi  caratteri  psicologici  essenziali  e  nella  sua  significazione 
umana  fin  dalla  prima  stesura,  tale  rimase  ne'  rifacimenti  e  nella 
redazione  definitiva;  che,  anzi,  a  differenza  d'altri  personaggi  che 
subirono  una  non  lieve  trasformazione  rispetto  al  carattere  e  alle 
situazioni  loro,  tra  l'idea,  che  ne  ebbe  primamente  il  poeta,  il  mo- 
tivo sentimentale,  in  cui  il  concepimento  astratto  si  tradusse,  e  la 
fantastica  forma,  cioè  il  personaggio  in  azione,  in  cui  l'ispirazione 
del  sentimento  si  è  trasfigurata  e  concretata,  v'  ha  una  sicura  coe- 


(1)  Serm.  sur  les  dégouts  qui  accompagnent  la  pieté  en  cette  vie,  in  Oeuvres 
(ed.  cit.),  pp.  177,  178,  191,  195,  196. 

(2)  Prom.  sp.,  cap.  XXXVI,  p.  544. 

(3)  Prom.  sp.,  cap.  XXXVIII,  p.  574. 


IL    ROMANZO   IN   FORMAZIONE  197 

renza  che  ne  rende  chiara  e  precisa  l'unità  estetica;  ma  anche  at- 
torno alla  figura  di  Lucia  il  Manzoni  compì  un  lavorio  intenso  di 
purificazione  e  nobilitazione  poetica,  che,  se  non  modificò  la  tempra 
morale  del  personaggio,  ne  chiarì  via  via  l'idea  ispiratrice,  ne  ar- 
ricchì r  analisi  psicologica,  ne  rese  più  alta  e  più  decorosa  la  rap- 
presentazione artistica. 

Si  veda  la  scena  nella  quale  ella,  costretta  dalle  circostanze  nuovo, 
rivela  alla  madre  e  a  Renzo  le  insidie  di  don  Rodrigo.  Nella  prima 
stesura  raccontava  in  forma  diretta  e  con  ricchezza  di  particolari  e 
certa  crudezza  realistica  la  persecuzione  subita,  ritraeva  brevemente, 
ma  con  libera  vivacità,  il  contegno  del  signorotto  libertino,  che  era 
andato  fin  nella  filanda  a  molestar  lei  e  le  compagne  :  mentre  l' ul- 
tima ci  presenta  il  racconto  di  Lucia  in  modo  indiretto,  ed  ella  ri- 
ferisce con  raccolta  sobrietà  sorvolando  pudicamente  sui  particolari 
della  persecuzione,  non  dice  nulla  di  quella  visita  indiscreta  nella 
filanda,  ma  accenna  a  due  incontri  avuti  con  don  Rodrigo  sulla  via 
alla  presenza  di  un  altro  signore,  il  conte  Attilio,  e  alla  scommessa 
corsa  tra  i  due  scapestrati  ;  oltr'acciò,  allo  sfogo  di  Renzo  :  —  e  que- 
sta è  r  ultima  che  fa  quell'assassino  >  —  Lucia  esce  nel  grido  :  «Ah  1 
no,  Renzo,  per  amor  del  cielo  »!  — ;  né  a  queste  parole  accompagna 
atto  alcuno,  mentre  nella  minuta,  in  un  impeto  di  dolore  e  terrore, 
gittava  «  quasi  le  braccia  al  collo  >  del  giovine  furibondo  e  diceva 
d'averlo  pregato  d'affrettar  le  nozze,  immediatamente  dopo  la  nar- 
razione della  licenziosa  corte  fattale  da  don  Rodrigo,  senza  arrossire, 
senza  abbassare  gli  occhi,  e  non  si  giustificava  di  quella  sollecita- 
zione alquanto  ardita  con  l' attribuirla  al  consiglio  di  fra  Cristoforo, 
al  quale  s' era  confessata,  non  esprimeva  timore  di  aver  dovuto  far 
la  sfacciata  (*). 

La  medesima  facondia  nel  descrìvere  l' insolente  contegno  di  don 
Rodrigo  ritroviamo  nel  colloquio  di  Lucia  con  la  signora,  dopo  che 
questa  ha  congedati  il  padre  guardiano  ed  Agnese  (').  Ciò  che  ne' 
rifacimenti  successivi  il  Manzoni  riporta  in  forma  narrativa  e  in 
modo  succinto,  era  disteso,  nella  minuta,  in  un  dialogo  ampio  e 
vivace,  nel  quale  Lucia,  pressata  dalle  domande  stranamente  curiose 
di  Gertrude,  parlava  con  certa  abbondanza  di  ricordi  e  di  giudizi, 
sebbene  con  lo  stesso  ribrezzo  del  suo  persecutore  e  con  lo  stesso 
stupore  per  le  parole  imprudenti  e  sfrenate  della  signora  che  mani- 


li)  Sp.  prom.,  pp.  46-7;  Prom.  sp.,  cap.  Ili,  pp.  34,  35. 

(2)  Sp.  prom.,  pp.  254-9.  V.  SU  questo  dialogo  le  garbate  osservazioni  di  F.  D'Ovidio, 
in  N.  st.  manz.  cit.,  pp.  450-4. 


198  PARTE   TERZA 


festa  nell'ultima  redazione.  Poiché  è  bensì  vero  che  la  nativa  ve- 
recondia di  Lucia  non  ne  era  intaccata  e  che  la  meraviglia  sua  pel 
contegno  della  monaca  e  l'equivoco  d'attribuire,  di  primo  acchito, 
all'  ingenuità  e  all'  inesperta  innocenza  di  lei  queir  interrogare  au- 
dace e  talora  sboccato,  concorrevano,  secondo  l' intenzione  dello 
scrittore,  a  mettere  in  luce  quella  riservatezza  pudica,  che  caratte- 
rizza l'anima  di  Lucia,  ma  c'era  tuttavia,  nell'ampio  dialogo,  e 
massime  nel  racconto  eh'  ella  faceva  della  sua  compagna  Bettina, 
lusingata,  sedotta,  e  poi  abbandonata  da  don  Rodrigo  e  finita  col 
dover  lasciare  il  paese,  rivoltosele  contro,  e  col  girar  il  mondo, 
c'era,  dico,  una  nota  di  franchezza,  anche  se  misurata  da  voluta 
prudenza,  un  non  so  che  di  poco  contegnoso  e  di  garrulo,  che,  per 
dire  il  vero,  non  conferivano  a  quella  compostezza,  fatta  di  timidità 
ombrosa  e  di  delicato  riserbo,  che  nell'  idea  dell'artista  doveva  essere 
il  tratto  morale  caratteristico  del  suo  personaggio .  Quest'  idea,  dopo 
il  tumultuoso  lavoro  del  primo  getto,  si  chiarisce  e,  secondata  dalla 
forte  tendenza,  che  viene  prevalendo  ne'  rifacimenti  successivi,  ad 
elevare  poeticamente  tutta  la  materia  del  romanzo,  opera  efficace- 
mente nella  ricomposizione  psicologica  di  Lucia;  onde  quegli  ele- 
menti, crudemente  realistici,  scompaiono,  il  dialogo  con  la  signora 
addirittura  viene  soppresso  e  la  rivelazione  dell'  impudica  persecu- 
zione di  don  Eodrigo  ridotta,  contenuta  ne'  modi  sobri  e  verecondi, 
quali  s' addicono  a  <  quel  pudore  ombroso  —  dirò  con  le  belle  pa- 
role dei  D'Ovidio  —  fatto  di  scrupoli  pii  e  di  rusticana  riservatezza  », 
che  è  nella  natura  di  Lucia  (*). 

Né  io  saprei  rimpiangere  ciò  che  s' è  perduto  per  la  soppressione 
di  quel  dialogo  —  e  tanto  meno  per  la  riduzione  di  quella  scena  —, 
perchè  l' una  e  l' altra  son  dovute  alla  nuova  disposizione  di  spirito 
del  poeta  a  rivivere,  a  risentire  il  suo  personaggio,  con  più  delicata 
ispirazione  psicologica  e  più  efficace  impulso  d'elevazione  poetica. 
E  infatti,  non  si  tratta  —  a  mio  avviso  —  di  vedere  se  il  Manzoni 
fece  bene  o  male,  per  rispetto  all'arte  in  generale,  a  tagliar  via  o 
a  mutare  questo  o  quello  nel  romanzo,  ma  di  ricercare  quale  forma 
convenisse  secondo  la  concezione  del  carattere,  delle  situazioni  e 
via  dicendo  ;  onde,  nel  caso  presente  di  Lucia,  quel  dialogo  e  quelle 
particolareggiate  informazioni  s' attagliavano,  con  coerenza  artistica, 
all'  immagine  di  una  Lucia  ancora  un  po'  grezza,  un  po'  trivialmente 
ingenua  e  un  tantino  anche  goffamente  contadinesca  e,  per  effetto 
di  questi  caratteri,  alquanto  garrula  né  sempre  contenuta:  una  Lucia 


(1)  Prom.  sp.,  cap.  X,  pp.  160-1.  Cfr.  D'Ovidio,  loc.  cit. 


IL    ROMANZO   IN   FORMAZIONE  199 

di  cui  l'artista,  nel  primo  concepimento,  non  aveva  ancora  intuita  con 
piena  coscienza  la  semplicità,  cioè  quell'accordo  bellissimo  di  delicata 
ingenuità  e  di  attenta  saggezza;  ond'egli  oscillava  tra  analisi  e  scene 
appropriate  a  codesto  carattere  di  Lucia  e  altre  alquanto  dissonanti 
da  codesta  bella  intuizione,  perchè  nel  primo  getto  la  preoccupazione, 
comune  a  tutte  le  parti  del  romanzo,  di  tenersi  allo  spirito  de'  tempi, 
rappresentati  anche  pei  personaggi  immaginari,  e  di  riflettervi  con 
la  massima  attenzione  i  caratteri  della  realtà  umana  osservata,  — 
preoccupazione  storica  e  realistica  —  rallentava  quel  processo  di  idea- 
lizzazione da  cui  la  materia  —  sia  un  reale  passato  o  presente  —  è, 
quasi  direi,  investita  e  trasmutata  per  farsi  grande  e  duratura.  Lucia 
in  quei  tratti  che  testé  abbiamo  visti,  e  in  altri  che  esaminerò  sulla 
prima  stesura,  è  una  figura  analizzata  attraverso  la  visione  storica 
della  gente  campagnola  della  Lombardia  secentesca  e  sotto  l' influsso 
d'un  realismo  artistico,  alimentato  piuttosto  di  osservazione  che  di 
meditazione  fantastica.  Quel  tanto  che  della  minuta  ha  conservato 
il  Manzoni  nel  romanzo,  in  forma  narrativa,  e  rinnovato  con  tocchi 
sobri  delicatissimi,  quei  riferimenti  misurati  e  pudichi  sulla  corte 
fattale  da  don  Rodrigo,  quei  rapidi  cenni  ai  discorsi  strani,  indiscreti 
della  monaca,  quegli  scorci  psicologici,  quelle  pennellate  efficacissime 
nel  ritrarre  l'anima  di  Lucia,  che  sono  il  «  gran  ribrezzo  »  nel  dover 
parlare  di  don  Rodrigo,  lo  «  stupore  dispiacevole  *,  «  il  confuso  spa- 
vento »  nel  sentire  gli  «  svagamenti  »  e  le  «  ciarle  »  della  signora, 
e  r  ansia  d'  aprirsi  con  la  madre  ti  ricompongono  dinanzi  agli  occhi 
una  Lucia  decorosamente  raccolta  nel  suo  guardingo  pudore,  pen- 
sosamente atteggiata  nella  sua  candida,  ma  non  rozza  semplicità: 
è  una  Lucia  attinta  alla  realtà,  ma  idealizzata  dall'arte. 

*** 

III.  Codesta  idealizzazione  procede  principalmente  dal  progressivo 
chiarirsi  e  Illuminarsi  di  quella  idea  di  carità  in  cui  —  come  sopra 
dicevo  —  è  la  genesi  etica  del  personaggio.  Si  ripensi  alla  scena 
che  si  svolge  in  casa  di  Lucia,  quando  Renzo,  dopo  la  vana  spedi- 
zione di  fra  Cristoforo  al  palazzotto  di  don  Rodrigo,  scoppia  in  un 
nuovo  furore  contro  quel  prepotente  e  vuol  farsi  giustizia  da  sé  (*). 
Già  ho  osservato  come  dalla  minuta  all'  ultima  redazione  si  mutino 
le  parti  e  gli  affetti,  poiché  in  quella  é  fra  Cristoforo,  presente  alla 
scena,  che  combatte  la  collera  e  il  truce  proposito  del  giovine,  in 


(1)  Sp.  prom.,  pp.  118-22;  Prom.  sp.,  cap.  VII,  pp.  89-91. 


200  PARTE   TERZA 


questa  è  Lucia  che  lo  placa  con  le  lagrime  e  la  promessa  d'accon- 
sentire al  matrimonio  per  sorpresa.  «  Lucia  —  scrivevo  altrove  ana- 
lizzando le  differenze  dì  questo  episodio  —  (*)  ha  modo,  nella 
nuova  scena,  di  rivelare  il  suo  carattere  in  quell'accorata  ma  non 
fiacca  premura  che  mette  ne'  suoi  discorsi  e  nelle  sue  preghiere, 
in  quella  risolutezza  ispirata  da  una  magnanima  pietà  religiosa  con 
cui  dichiara  a  Renzo  che  non  potrebbe  sentire  nuli' altro  che  abbor- 
rimento  di  lui,  se  si  fosse  macchiato  di  un  assassinio  >. 

E,  osservando  che  così  nell'una  come  nell'altra  scena  è  la  riso- 
luzione dì  Lucia  che  cambia  l'animo  di  Renzo,  aggiungevo:  «  codesta 
parte  di  Lucia  ha  nella  prima  forma  qualche  cosa  di  grezzo  e  sten- 
tato, senza  svolgimento  psicologico,  senza  nitidezza  ed  efficacia  dì 
rappresentazione;  mediocre,  non  foss'altro,  per  quel  modo  di  met- 
tersi in  mezzo  al  concitato  colloquio  con  quelle  parole  dette  medi- 
tatamente, in  guisa  che  avessero  effetto  su  Renzo,  ma  il  padre  non 
ne  intendesse  il  senso  »  ;  mentre  nella  scena  dell'  episodio  rinnovato 
il  consenso  di  Lucia  «  è  in  ben  altro  modo  concesso,  e  cioè  in  un 
impeto  d'angoscia,  dì  spavento,  che  travolge  in  Lucia  ogni  dubbio 
ed  ogni  contrarietà  al  disegno  del  matrimonio  forzato.  La  verosi- 
miglianza che  a  questo  punto  gli  scrupoli  dì  un  animo  pio  e  forte 
come  quel  dì  Lucìa  cadessero  vinti,  assume  un  carattere  di  mag- 
giore efficacia  e  naturalezza,  e  il  colorito  modo  di  quel  consenso 
rivela  la  superata  battaglia  dei  sentimenti  in  più  vivida  luce  che 
non  sìa  nella  minuta,  dove  il  travaglio  interiore  dì  quel  momento 
che  precede  e  prepara  la  promessa,  eh'  ella  fa  a  Renzo,  è  come  av- 
volto neir  ombra  »  (*). 

Tra  le  ragioni  che  possono  aver  indotto  il  Manzoni  a  mutare  i 
personaggi  e  lo  svolgimento  di  questa  scena  notavo  l'opportuno  ri- 
lievo fattogli  dall'amico  Fauriel,  —  avere  egli,  cioè,  rappresentato 
in  un  capìtolo  precedente  qualche  cosa  dì  analogo  a  quel  contrasto 
tra  il  padre  Cristoforo  e  Renzo,  —  e  il  proposito  di  conservare  il 
vivace  colloquio  che  ha  luogo  tra  i  due  al  lazzaretto,  e  in  cui  si 
riproduce  una  situazione  consimile.  Ora,  oltre  il  fine  d'evitare  una 
ripetizione  dì  scena,  osservo  che  potè  non  meno  efficacemente  l'in- 
tento di  dare  un  maggiore  sviluppo  psicologico  e  drammatico  al 
carattere  non  solo  di  Renzo,  ma  soprattutto  dì  Lucia.  Come  già  il 
padre  in  quel  primo  scoppio  di  collera  del  giovine  (scena  conservata 
con  lievi  differenze  nella  redazione  definitiva)  ne  aveva  disarmato 


(1)  V.  Saggi  manz.,  cit.,  p.  7. 

(2)  Saggi  cit.,  p.  9. 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  201 


r  animo,  agitato  da  biechi  disegni  di  vendetta,  con  la  parola  della 
carità  e  della  fede,  cosi  Lucia  nel  secondo  e  più  veemente  accesso 
di  furore  lo  supplica  e  ammonisce  pur  lei  in  nome  di  quelle  ma- 
gnanime virtù  cristiane  ;  e  la  visione,  che  nella  seconda  scena  della 
minuta  fra  Cristoforo  gli  prospetta,  di  una  vita  avvenire  turbata 
dall'angoscia  e  dal  ribrezzo  dell'omicidio  commesso,  passa,  con  toni 
più  teneramente  commossi,  ma  non  meno  austeramente  risoluti,  ne' 
discorsi  di  Lucia.  E  mutare  lo  svolgimento  psicologico  e  dramma- 
tico della  scena  per  conferire  a  Lucia  la  parte  nobilmente  cristiana, 
sostenuta  nella  prima  stesura  da  fra  Cristoforo,  di  ridurre  Renzo 
a  più  miti  consigli,  mi  pare  convenisse  perfettamente  alla  coerenza 
morale  ed  estetica  de'  caratteri,  purché  si  pensi  che,  nella  coscienza 
del  Manzoni,  Lucia  e  il  frate  sono  due  personaggi  idealmente  con- 
giunti nel  concetto  della  carità  e  della  giustizia. 


* 
*     * 


IV.  Come  il  Manzoni  rilavorasse  dalla  prima  all'  ultima  stesura 
attorno  alla  figurazione  estetica  di  Lucia  con  più  profonda  compren- 
sione etica  e  maggior  vigore  d'indagine  psicologica  e  di  purifica- 
zione fantastica,  verrò  ora  dimostrando  mediante  l'esame  d'altre 
situazioni  ed  azioni,  in  cui  il  carattere  di  questo  personaggio  ha  il 
suo  svolgimento. 

È  bene,  anzitutto,  avvertire  che  a  modificare  sostanzialmente  un 
carattere  o  a  renderlo  almen  più  vigorosamente  poetico  contribui- 
scono in  parte  i  mutamenti  recati  nella  rappresentazione  dell'azione 
generale  e  degli  episodi  particolari,  di  cui  —  come  dicevo  —  esso 
è  un  fattore  necessario  e  un  rifiesso  luminoso  ;  coi  quali  mutamenti 
ha  stretto  rapporto  il  nuovo  modo  di  sentire  e  d'atteggiarsi  d'altri 
personaggi,  che  con  quello  si  trovano  ad  agire,  in  accordo  o  in 
conflitto  d' istinti,  d' interessi,  d'affetti;  onde  avviene  che  il  carattere  di 
ciascun  personaggio,  oltre  che  derivare  vita  e  colore  dalla  particolare 
concezione  etica  e  interpretazione  psicologica  con  cui  il  poeta  lo 
intuisce  e  riflette  nella  sua  coscienza  artistica,  assume  questo  o 
quell'aspetto  e  atteggiamento  secondo  la  natura  o  il  contegno  d'altri 
caratteri,  e  varia  col  variare  di  questi.  É,  come  a  dire,  una  legge 
di  proporzione  psicologica  e  di  mutua  reazione  drammatica  che  dalla 
vita  reale,  dove  ha  più  libero  gioco,  si  riflette  nell'arte. 

Valga,  per  esempio,  la  medesima  scena  della  collera  di  Renzo, 
testé  esaminata.  Lucia,  spettatrice  ansiosa  al  conflitto  tra  l'autorità 
di  fra  Cristoforo  e  la  veemente   passione  di  Renzo,  nella  primitiva 


202  PARTE   TERZA 


forma  della  scena  non  agisce  se  non  per  intervenire  con  quella  co- 
perta promessa  d'adesione  al  sotterfugio  del  matrimonio  per  forza; 
ma  nella  nuova  dell'ultima  redazione,  trovandosi  ella,  non  già  il 
padre,  in  conflitto  coi  discorsi  e  gli  atti  del  giovine,  ne  è,  per  così 
dire,  ripercossa,  e,  alla  sua  volta,  si  atteggia  in  conformità  della 
nuova  situazione,  svolgendo  quella  sua  accorata,  risoluta  magnani- 
mità per  reazione  immediata  al  furore  di  lui. 

Ma  anche  piìi  osservabile  è  codesta  convenienza  psicologica  ed 
artistica,  che  regola  i  mutui  rapporti  de'  personaggi  tra  loro,  nel 
modo  come  Lucia  si  lascia  indurre  dalla  signora  ad  uscire  dal  mo- 
nastero per  portare  un'imbasciata  al  padre  guardiano  :  è  osservabile, 
cioè,  come  il  Manzoni  abbia  ritoccato  il  contegno  dell'una,  avendo 
modificato  quello  dell'altra.  Si  leggeva  nella  minuta  che  Gertrude, 
chiamata  Lucia  nel  suo  parlatorio  privato,  «  per  comunicarle  cose 
molto  importanti  »,  «  ripetendo  la  lezione  del  suo  infernale  maestro, 
cominciò  ad  impastocchiarla  con  una  storia  misteriosa,  di  pericoli 
e  di  speranze,  di  mezzi  posti  in  opera  da  lei,  di  ostacoli,  di  aiuti: 
tutto  per  liberare  Lucia  dalla  persecuzione  di  don  Eodrigo,  e  per 
farla  essere  tranquillamente  sposa  di  Fermo  ».  Le  parlò  a  mezz'aria, 
per  motivi  di  prudenza,  sostenendo  calorosamente  che  occorreva 
«  un  po'  di  coraggio  e  molta  precauzione  »,  che  una  piccola  indi- 
screzione poteva  rovinar  tutto,  che,  perciò,  v'era  bisogno  d'  un  uomo 
«  da  cui  potesse  aspettarsi  un  consiglio  fidato  e  un  aiuto  operoso  > 
e  che  il  solo  uomo  da  fidarsene  era  il  padre  guardiano,  dal  quale 
Lucia  era  stata  condotta  al  monastero,  e  che  ella  non  aveva  persona, 
all' infuori  di  lei,  da  mandare  segretamente  a  quel  padre,  senza  ti- 
more e  pericolo  che  i  suoi  piani  per  renderla  felice  fossero  scoperti. 
Lucia,  come  pur  si  legge  nel  testo  definitivo,  rimaneva  sorpresa  e 
turbata  da  quella  proposta,  e  tergiversava  e  chiedeva  schiarimenti  ; 
ma  la  signora  si  lagnava  con  lei  che  «  pretendesse  farle  rivelare 
ciò  eh'  ella  non  poteva  »  e  le  rinfacciava  la  pietà  e  la  disinteressata 
premura  con  cui  s'adoprava  pel  bene  di  lei,  accorandosi  con  osten- 
tato dolore  sdegnoso  (*). 

Questa  diabolica  invenzione  di  un  pietoso  disegno  segreto,  da  lei 
concepito  per  porre  in  istato  di  sicurezza  e  di  felicità  la  sua  cara 
Lucia,  era  la  chiave  di  volta  di  tutta  la  scena  nella  forma  primitiva 
e  ne  conseguivano  sentimenti  e  atteggiamenti  in  Lucia,  che  non 
troviamo  nel  testo  definitivo.  Narrava  infatti  la  minuta  che  «  Lucia, 
commossa  in  un  punto  di  vergogna  e  di  timore,  stava  per  piangere  », 


(1)  Sp.  prora,,  pp.  321-2. 


IL    ROMANZO    IN   FORMAZIONE  203 

che  la  signora,  cogliendo  11  destro,  la  circuì  con  amorevole  ripren- 
sione, rassicurandola  per  sempre  della  sua  protezione  ;  dicendole  «  che 
pensasse  ai  rimproveri  che  ella  farebbe  un  giorno  a  sé  stessa  di 
avere  per  irresolutezza,  per  infingardaggine  rifiutato  il  mezzo  della 
salute,  e  rovinata  sé  stessa,  la  madre  e  l'uomo  a  cui  ella  s'era 
promessa  > .  E  proseguiva  :  «  Lucia  non  seppe  più  resistere,  si  accusò 
di  aver  resistito,  le  parve  che  avrebbe  rifiutato  il  soccorso  del  cielo, 
rifiutando  quello  che  le  era  ofi'erta;  piena  di  una  novella  fiducia,  disse: 
«  vado  tosto  >.  E  dopo  che  «  Geltrude,  1'  accomiatò,  lodandola,  facen- 
dole animo,  e  ripetendo  le   più  liete  promesse Lucia  ritenendo 

a  forza  il  pianto,  chiese  scusa  della  sua  ingratitudine.  «  Sono  una 
poveretta  senza  pratica  »  diss'ella;  «  ma  già  ella  tutte  queste  brighe 
non  se  le  deve  pigliar  per  me,  ma  per  quello  di  lassù,  che  gliele 
rimeriterà  tutte;  »  e  abbandonandosi  alla  grata,  colle  braccia  tese 
continuò  :  «  se  non  fossero  questi  ferri,  mi  pare  che  le  getterei  le 
braccia  al  collo,  ed  ella  non  se  lo  avrebbe  a  male,  poiché  è  tanto 
buona,  ed  io  lo  faccio  per  cuore  ».  Le  ultime  parole  di  quella  scena 
agitata  risonavano  così  :  «Sì,  sì.  Lucia,  addio  >  disse  Geltrude.  <  Dio 
la  benedica  »  rispose  Lucia.  E  la  poveretta  s' avviò  per  uscire  (*). 
Codesta  scena  é  stata  dal  poeta  profondamente  mutata  nell'  analisi 
psicologica  della  monaca  traditrice  e  della  sua  vittima:  tutto  quel 
misterioso  discorrere  che  fa  Gertrude  di  un'impresa  tanto  difficile, 
da  cui  dipendeva  la  salvezza  o  la  rovina  di  Lucia^  quello  scellerato 
infingimento  di  carità  e  di  zelo  si  riducono  al  semplice  cenno  ad 
«  un  affare  di  grand' importanza  »,  pel  quale  doveva  «  parlar  subito 
con  quel  padre  guardiano  »  e  in  cui  é  dubbio  se  c'entrasse  la  sorte 
di  Lucia;  dal  contegno  stesso  della  sciagurata  di  fronte  la  ritrosia 
della  giovine  traspirano  «  meraviglia  »  e  «  dispiacere  »,  stimando 
ella  Lucia  «  la  persona  di  cui  credeva  poter  far  più  conto  »  e  sem- 
brandole impresa  così  facile  e  tranquilla  1*  andar  «  di  giorno  chiaro  » 
al  vicino  convento.  Lucia  stessa  si  sente  «  punta  e  commossa  ad 
un  tempo  »  alle  prime  insistenze  della  monaca,  e,  alla  fine,  pe'  rim- 
proveri di  lei,  la  seconda,  sì,  è  vero,  «  commossa  più  che  mai  », 
ma  «  sbalordita  più  che  convinta  »  (*).  Reso  così  più  riservato  e 
meno  perfido  il  contegno  di  Gertrude,  venuto  meno  quel  motivo 
pateticamente  suggestivo,  ch'ella  metteva  innanzi  per  ingannar 
Lucia,  anche  questa  non  si  ripresenta  più,  nel  finale  svolgimento 
della  scena,  tutta  intenerita  di  riconoscenza  e  dogliosa  delle  prime 


(1)  Sp.  prona.,  pp.  322-3. 

(2)  Prom.  sp.,  cap.  XX,  pp.  293-4. 


204  PARTE   TERZA 


ripulse  e  sollecita  di  obbedire.  A  queste  variazioni  d'affetti  e  d'atteg- 
giamenti ha  contribuito  non  solo  il  proposito  di  conseguire  gli  stessi 
effetti  di  verosimiglianza  e  la  stessa  efficacia  di  rappresentazione 
con  modi  d'arte  più  sobri  e  sereni,  con  un  contrasto  e  un  graduale 
trapasso  di  sentimenti  più  chiaro  e  più  semplice,  ma  pur  quello  (e  lo 
vedremo  nell'analisi  del  carattere  di  Gertrude)  di  stingere  alquanto 
il  colorito  troppo  acceso,  ond'era  figurata  la  perfidia  della  monaca, 
di  attenuare  la  ripugnante  impressione  ch'ella  faceva  aggiungendo 
alla  complicità  del  tradimento,  in  cui  la  sua  debole  volontà  era  tra- 
scinata da  una  passione  più  forte  di  lei,  la  scellerata  suggestione  di 
una  falsa  carità.  E,  di  conseguenza,  ne  veniva  riformato  il  carattere 
di  Lucia  secondo  l' intento  di  effigiarlo  più  raccolto  e  contenuto  che 
non  fosse  nella  prima  concezione,  delicato,  ma  scevro  di  svenevo- 
lezza, puro  e  forte  negli  affetti,  ma  senza  appassionati  abbandoni. 

* 
*     * 

V.  Quell'intenerimento  lagrimoso  dì  Lucia,  quell'impetuosa  fiducia 
«sicura,  intera,  amorosa»,  mista  di  riconoscenza  e  d'umiltà,  che 
la  trasporterebbe,  se  potesse,  ad  abbracciarsi  la  perfida  complice 
di  Egidio  sono  tratti  eccessivi,  coi  quali,  se  il  Manzoni  ha  ottenuto 
di  dare  vivo  risalto  al  ritratto  di  due  anime  tanto  diverse  e  al  con- 
trasto tragicamente  doloroso  tra  l'ingenua  fiducia  di  Lucia  e  l'iniquo 
agguato  già  tesole,  non  ha  evitato,  però,  quella  patetica  dramma- 
ticità che  era  così  disforme  dalla  sua  estetica  e  così  aliena  dalle 
alte  e  serene  prove  della  sua  arte  meditata  e  matura. 

E  che  il  Manzoni  mirasse  nella  rielaborazione  del  carattere  di 
Lucia  a  spogliarlo  d'ogni  elemento  patetico  o  troppo  pittorescamente 
drammatico,  ne  fan  testimonianza  il  rapido  racconto  della  separa- 
zione di  lei  dalla  madre  a  Monza,  la  descrizione  del  viaggio  che 
le  fanno  fare  i  suoi  rapitori  sino  al  castello  dell'  Innominato,  quella 
dell'  angosciosa  notte  ch'ella  passa  chiusa  lassù  e  altri  episodi  che 
più  innanzi  esamineremo. 

La  scena  di  quella  separazione  è  un  piccolo  episodio  così  nella 
minuta  come  nell'ultima  redazione;  ma  in  questa  ha  il  poeta  effi- 
cacemente condensato  ciò  che  in  quella  aveva  analiticamente  diffuso: 
al  dolore  di  Lucia  ha  dato  un  più  composto  atteggiamento  che  non 
avesse  fatto  prima  dipingendolo  come  inquietudine  accorata,  tene- 
rezza dogliosa  e  convulsa  (*). 


(1)  Prima  leggevasi:  «Lucia,  alla  quale  i  pericoli  passati,   la  fuga,  il  trovarsi 
come  smarrita  lungi  dalla  sua  casa  fra  gente  nuova,  il  timore  continuo  di  peggio 


IL   ROMANZO    IN    FORMAZIONE  205 

Il  lungo  episodio  del  ratto  non  presenta  dì  gran  differenze  tra 
l'una  e  l'altra  redazione  nella  dipintura  dell'animo  di  Lucia  avviata 
al  convento,  nel  racconto  de'  terribili  patimenti  di  lei  durante  il 
viaggio  fra  i  bravi  dell'  Innominato,  ne'  dialoghi  della  poveretta  con 
quei  tristi  guardiani. 

Nella  minuta,  con  quell'arte  esuberante  e  diffusa  per  soverchio  di 
particolari  analitici  e  vivacità  di  colori  che  la  caratterizza,  il  Man- 
zoni ci  dipingeva  Lucia  incamminata  verso  la  porta  del  borgo  «  con 
grande  attenzione,  con  gran  riserbo,  con  gran  battito  al  cuore,  tutta 
raccolta  in  sé  »  e  poi,  nel  percorrer  la  strada  maestra,  pentita  «  quasi 
di  essersi  tanto  rischiata  >.  Quando  vide  in  mezzo  la  strada  solitaria 
una  carrozza  da  viaggio  ferma  e  accanto  ad  essa,  davanti  lo  spor- 
tello aperto,  due  «  uomini  che  guardavano  su  e  giù  per  la  via  incerti 
del  cammino  »,  Lucia  —  narrava  il  Manzoni  —  «  per  quella  pre- 
sunzione comune  che  coloro  i  quali  vanno  in  carrozza  sieno  galan- 
tuomini, si  sentì  tutta  rincorata,  e  le  parve  d'aver  trovata  una  sal- 
vaguardia, alla  metà  appunto  del  cammino,  nel  luogo  più  lontano 
dall'abitato,  e  dove  il  bisogno  era  più  grande.  Continuò  adunque 
più  animosamente  a  camminare  »  (*).  Nel  testo  definitivo  la  figura- 
zione di  Lucia  in  quella  contingenza  procede  con  tocchi  più  sobri 
e  con  più  ordinata  analisi  delle  affezioni  dell'  animo  suo  :  eccola 
uscita  dal  chiostro  «  con  gli  occhi  bassi,  rasente  il  muro  >  ;  eccola 
fuori  del  borgo  per  la  strada  solitaria:  e  allora  va  «  tutta  raccolta 
e  un  po'  tremante  »  e  la  paura  le  cresce  per  via  ;  vede  quella  car- 
rozza e  «  sì  rincora  alquanto  »  (*). 

Il  quadro  è  isveltito,  proporzionato  nel  disegno,  armonico  e  mi- 
surato ne'  rilievi:  la  figura  di  Lucia  in  naturale  atteggiamento  di 
trepidazione  crescente,  ma  senza  eccesso,  riconfortata  alquanto  alla 
vista  della  carrozza,  senza  sentirsi  rincorata  del  tutto,  come  portava 
la  minuta,  nella  quale  quello  spiegare  il  coraggio,  che  le  torna  al 
cuore,  col  volgare  pregiudìzio  sulla  gente  che  va  in  carrozza,  se 
vuol  servire,  nell'intenzione  dell'autore,  a  motteggiar  ironicamente 


avevan  restituita  quasi  tutta  la  timidezza  della  infanzia,  aveva  più  volte  afferrata  la 
gonna  della  madre  per  non  lasciarla  partire,  aveva  pianto,  pregato,  ma  finalmente 
stanca  essa  pure  dell'incertezza,  e  più  ansiosa  di  saper  qualche  cosa  di  quello  [chel 
non  ne  confessasse,  rassicurata  dal  trovarsi  in  un  asilo  così  guardato  e  santo  s'acquetò  » 
(Sp.  prom.,  p.  298).  E  ora  si  legge:  «  Per  Lucia  era  una  faccenda  seria  il  rimanere 
distaccata  dalla  gonnella  della  madre;  ma  la  smania  di  saper  qualche  cosa,  e  la  si- 
curezza che  trovava  in  quell'asilo  cosi  guardato  e  sacro,  vinsero  le  sue  ripugnanze» 
(Prom.  sp.,  cap.  XVIII,  p.  268). 

(1)  Sp.  prom.,  pp.  327-8. 

(2)  Prom.  sp.,  cap.  XX,  p.  295. 


206  PARTE   TERZA 


sui  signori  e  sull'ossequio  delle  folle,  conferisce  a  Lucia  una  nota 
d'ingenuità  contadinesca,  che  non  è  nella  natura  candida  si,  ma 
non  infantilmente  rozza  della  vera  Lucia,  che  sempre  meglio  si 
venne  chiarendo  nella  coscienza  poetica  del  Manzoni.  L'incontro 
con  quei  misteriosi  viaggiatori,  il  ratto,  il  terrore,  l'angoscia  di 
Lucia,  cacciata  nella  carrozza,  i  suoi  primi  sforzi  disperati  per  uscirne, 
la  perdita  de'  sensi,  tutto  ciò  è  sceneggiato  con  egual  gagliardia 
nell'una  e  nell'altra  stesura,  ma  con  più  rapida  speditezza  ed  effi- 
cace nitidezza  di  stile  nell'ultima  (^).  Il  risveglio,  le  affannate  in- 
terrogazioni e  preghiere  rivolte  a'  suoi  rapitori,  le  risposte  loro 
hanno  avuto  tocchi  d'arte  più  delicata,  senza  perdere  d'efficacia 
drammatica.  Eravi  nella  minuta  qualche  colorita  pennellata  alle 
parole  e  agli  atti  di  Lucia  e  de'  bravi,  che  non  ritroviamo  più  nel- 
l'ultima redazione:  tocchi  rapidi,  ma  vivi,  donde  risaltava  in  più 
lugubri  riflessi  il  dolore  della  vittima  e  lampeggiavano  strani  ba- 
gliori sull'anima  di  quei  malandrini. 

Lucia,  infatti,  dopo  il  ritorno  de'  sensi  implorava  «  con  voce  sof- 
focata dallo  sdegno  e  dallo  spavento  »,  e  usciva  contro  i  suoi  op- 
pressori in  questi  forti  accenti:  «  ricordatevi  dell' inferno,  ricordatevi 
della  morte  >  ;  poi  ritentava  gli  animi  degli  sgherri  in  tono  suppli- 
chevole ;  da  ultimo,  «  perduta  ogni  speranza  di  soccorso  umano  > , 
si  rivolgeva  a  Dio  (*).  Nella  definitiva  redazione  dell'episodio  il 
Manzoni  ha  abbreviato  il  dialogo,  senza  togliergli  vigorìa  ed  efficacia; 
ha  soppresso  quella  fugace  nota  psicologica  alla  voce  di  Lucia  e 
quel  triplice  «  ricordatevi  »,  facendo  balzare  dalla  stessa  vigoria 
drammatica  del  dialogo  l'anima  di  Lucia,  atteggiata  di  un  dolore 
fiero  senza  risonar  di  quel  minaccioso  memento,  non  meno  terribile 
del  «  verrà  un  giorno  »  di  fra  Cristoforo.  C'è  più  dignità  e  forza 
in  Lucia  nell'  ultima  sceneggiatura,  e  per  tutto  lo  svolgimento  della 
scena  è  conservata  l'austerità  tragica  della  situazione,  che  nella 
prima  stesura  era  turbata  da  qualche  nota  scurrilmente  comica. 
Lucia  diceva,  dopo  queir  interrogare  affannoso:  «  voglio  andare  al 
convento  dei  cappuccini  »  ;  e  il  capo  de'  ribaldi  rispondeva  sogghi- 
gnando: «  Ohibò  ohibò,  che  le  ragazze  non  istanno  bene  coi  cap- 
puccini ».  A  quell'impetuoso  memento  di  Lucia,  quello  stesso  mot- 
teggiava con  schernitrice  ironia:  «Pensieri  tristi,  voi  ci  volete  far 
malinconia,  e  noi  vi  conduciamo  a  stare  allegra».  C'era  qualcosa 
dello  spirito  pittorescamente  beffardo  de'  volgari  delinquenti  sha- 


(1)  Sp.  prom.,  p.  329;  Prora,  sp.,  cap.  XX,  pp.  295,  296. 

(2)  Sp.  prom.,  p.  337-9. 


IL    ROMANZO    IN    FORMAZIONE  207 

kespeariani  in  quelle  mosse  e  parole  dell'iniqua  masnada.  Poi  la 
compassione  pigliava  anche  le  loro  animacce  alle  supplicazioni  della 
poveretta  ;  ripetevano  :  «  —  non  possiamo  — ,  commossi  alquanto  da 
quel  lamento  »  ;  il  capo  «  si  stringeva  contro  la  carrozza,  lasciando 
più  spazio  a  Lucia,  perchè  stesse  meno  disagiata,  perchè  non  fosse 
oppressa  da  una  vicinanza  ch'egli  stesso  sentiva  in  quel  momento 
quanto  dovesse  essere  incomoda  e  ributtante.  Gli  altri  due,  si  an- 
davano pure  restringendo  dal  loro  lato,  facendo  luogo  a  Lucia,  e 
tenendosi  come  in  distanza  stornando  gli  occhi  da  quel  volto  acco- 
rato »,  per  quanto  fossero  «  fermi  nel  loro  atroce  proposito  di  ese- 
guire la  commissione  ;  come  il  villanello  —  soggiunge  con  bella  si- 
militudine il  Manzoni  —  che  a  fatica  si  è  arrampicato  suU'  albero 
per  togliere  un  uccelletto  dal  nido  e  lo  tiene  nelle  mani,  e  lo  sente 
dibattersi  e  tremare,  e  sente  il  cuore  della  povera  bestiola  battere 
affannosamente  contro  la  palma  che  lo  stringe,  prova  pure  qualche 
pietà:  allenta  le  dita  alquanto,  per  non  affogare  la  povera  bestiola, 
per  non  farle  male;  ma  aprire  il  pugno,  lasciarla  tornare  al  suo 
nido  :  oh  no  !  Il  figlio  del  padrone  gli  ha  chiesto  1'  uccelletto,  gli  ha 
promesso  una  bella  moneta,  s' egli  sapeva  snidarlo  e  portarglielo 
vivo  (*)  ».  E,  mentre  Lucia  recitava  sommessamente  il  rosario^  e  i 
bravi  tacevano,  guardando  di  tratto  in  tratto  quello  ch'ella  faceva, 
e  sospirando  tutti  il  fine  di  quella  spedizione  »  ('). 

Nel  rilavorare  codesta  scena  il  Manzoni  ha  avuto,  soprattutto,  la 
mira  di  raggiunger  maggiore  efficacia  col  rendere  più  sobrio  e  ra- 
pido il  dialogo,  più  stringata  l'analisi  psicologica  de'  personaggi 
in  azione.  Ha,  poi,  purgato  di  quelle  triviali  facezie  e  di  altre  con- 
simili (^)  i  discorsi  de'  bravi,  perchè  —  dice  un  maestro  di  studi 
manzoniani  —  «  turbavano  il  color  patetico  della  scena  »  e  ne  veniva 
intrecciato  «  troppo  crudamente  al  tragico  il  comico  »  {*).  Io  osservo, 
però,  che  quella  scurrilità  loquace  era  temperata  dall'  insolita  com- 
passione e  dall'impazienza,  non  ignobile,  di  veder  finita  la  pena  e 
lo  strazio  di  quel  lungo  viaggio  e  che  tale  contrasto  dell'  abitudi- 
nario cinismo  d'anime  rotte  ai  delitti  e  alle  soperchierie  con  quegli 
insoliti  atteggiamenti  di  riguardosa  pietà  non  solo  rispondeva  ad 


(1)  Sp.  prora.,  pp.  338-9.  Il  D'Ovidio  (N.  st.  manz.  cit.,  p.  520)  osserva  che  quel 
«  paragone  è  largamente  e  delicatamente  svolto,  e  ci  si  sente  il  poeta  ».  Giusto,  ma 
la  dizione  pecca  di  sovrabbondanza  e  di  prolissità. 

(2)  Ivi. 

(3)  Alludo  al  futile  scherzeggiare,  che  fanno  i  bravi,  sull'aceto  che  ci  vorrebbe, 
per  far  rinvenire  Lucia,  sul  bel  fiasco  di  vino  che  hanno  seco  e  sulle  mariuolerie 
degli  osti  che  danno  aceto  per  vino  (Sp.  proni-,  pp.  329-30). 

(4)  V.  F.  D'Ovidio,  N.  st.  manz.  cit.,  p.  517. 


208  PARTE   TERZA 


una  felice  intuizione  di  quel  guazzabuglio  interessante  che  è  il  cuore 
del  delinquente,  ma  ingrandiva  la  figura  di  Lucia,  se  il  suo  aspetto 
ineffabilmente  doloroso  smorzava  la  befiFa  sacrilega  sulle  labbra  de' 
suoi  carcerieri  per  ridurli  taciturni  e  pensosi.  Perchè  dunque  il 
Manzoni  ha  modificato  il  contegno  di  quella  gente,  sopprimendo 
ogni  nota  o  particolare,  che  ne  ritraesse  qualche  aspetto  o  momen- 
taneo sentimento  dell'anima?  Ai  sogghigni  e  ai  motti  triviali  die' 
un  frego  per  la  tendenza  —  da  me  altrove  già  notata  a  proposito 
della  figura  dell'  Innominato,  e  pur  testé  da  altri  rilevata  e  illu- 
strata acutamente  —  a  rendere  nella  nuova  forma  del  romanzo  an- 
che «  la  rappresentazione  dei  malvagi  più  composta  e  più  grave, 
per  quella  più  seria  »  e  quindi  «  più  artistica  considerazione  del 
male  » ,  per  quella  «  più  elevata  concezione  del  biasimo  morale  » 
onde  il  Manzoni  ha  nuovamente  meditato  e  riplasmato  il  suo  mondo, 
come  gli  si  presentava  uscito  dal  primo  getto  ('). 

Codesto  mutamento  psicologico  nel  ritratto  de'  bravi  portava  seco 
l'eliminazione  d'ogni  nota  di  pietà  analizzata  e  descritta,  che,  se 
fosse  rimasta  così  sola,  senza  il  contrasto  de'  cinici  motteggi,  avrebbe 
riflessa  in  quelle  contingenze  una  luce  troppo  bella  sui  rapitori  di 
Lucia,  superando  le  intenzioni  stesse  —  serenamente  severe  —  del 
poeta.  Ma  vi  contribuì  —  io  penso  —  anche  un'  altra  ragione  psi- 
cologica ed  artistica,  quella  di  riserbare  alla  scena,  in  cui  il  Nibbio 
rende  conto  del  ratto  e  del  viaggio  all'  Innominato,  la  vivacità  e 
freschezza  di  un  inatteso  sfogo  sentimentale  del  malandrino,  quan- 
d' egli  confessa  al  suo  signore  d' aver  provata  «  compassione  »  :  la 
quale  scena  avrebbe  perduto  d' interesse  se  il  Manzoni  —  come  aveva 
fatto  nella  prima  stesura  —  avesse  anticipata  l'analisi  della  pietà  sen- 
tita dai  bravi. 

La  descrizione  di  quel  viaggio  volge  rapida  alla  fine  nel  testo 
definitivo,  quando,  dopo  più  di  quattr'ore  di  trotto  serrato,  sul  tra- 
monto la  carrozza  spunta  nella  valle  ed  è  scorta  dall'  Innominato, 
che  attende  irrequieto  da  un'alta  finestra  del  suo  castellacelo  (*).  Ma, 
nel  primitivo  disegno,  era  diversamente  condotta:  dopo  due  ore  di 
viaggio,  quando  il  sole  declinava  verso  l'orizzonte,  la  carrozza  giun- 
geva alla  riva  dell'Adda;  tre  bravi  insieme  con  una  vecchia  usci- 
vano da  un  battello  fermo  presso  la  sponda;  la  vecchia  s'avvicinava 
a  Lucia  e  con  l' aiuto  de'  bravi  la  faceva  entrar  nella  barca,  che, 
dopo  due  ore  di  remeggio,   sul  precipitar  della  notte,  approdava 


(1)  Cfr.  i  miei  Saggi  cit.,  p.  26  e  segg.  e  A.  Momigliano,  op.  cit.,  pp.  68,  73. 

(2)  Prom.  sp.,  cap.  XX,  p.  298. 


IL    ROMANZO    IN   FORMAZIONE  209 

all'altra  riva,  e  Lucia  «  sbigottita  tremante»,  non  sapendo  «  più  in 
che  mondo  si  fosse  »,  era  messa  in  una  lettiga  e  portata  in  ca- 
stello (*).  Questa  seconda  e  diversa  parte  del  viaggio  non  fa  l' im- 
pressione di  superfluità  o  di  lungaggine,  che  il  freno  dell'  arte  con- 
sigliasse a  sopprimere,  perchè  variava  bellamente  il  racconto,  rilevava 
la  nuova  commozione  ond'era  scossa  la  povera  Lucia  ai  segni  scam- 
biati tra  loro  dai  bravi  della  barca  e  della  carrozza  e  al  loro  affac- 
cendarsi per  tirarla  fuori  ;  analizzava  con  felice  intuito  quella  nuova 
impressione  d'orrore  della  poveretta  al  pensiero  d'esser  trascinata, 
chi  sa  dove,  nell' uscire  dalla  carrozza,  che  «  per  quanto  orrenda 
le  fosse,  le  pareva  un  asilo  poiché  vi  aveva  passate  due  ore  »,  e 
accresceva  il  patetico  della  scena  con  quel  tocco  d'arte  efficace  al- 
l' «  accoramento  »  che  «  le  tolse  anco  la  forza  di  gridare  »  quando, 
all'entrar  nel  battello,  alzati  gli  occhi,  «  vide  al  disopra  della 
cima  dei  monti  la  cima  tagliata  a  sega  del  Resegone,  alle  falde  del 
quale  era  la  sua  casa,  dov'era  sua  madre,  dove  aveva  passati  i 
primi  suoi  anni  nella  pace  ».  E  perchè  dunque  il  Manzoni  ha  mu- 
tato nel  noto  modo  le  line  di  quel  viaggio?  Per  un  complesso  di 
motivi  e  di  circostanze  generali  connesse  col  rinnovamento  del  ca- 
rattere de'  personaggi  e  coi  procedimenti  narrativi  e  descrittivi 
dell'  arte  sua.  Nel  rifare  il  carattere  dell'  Innominato,  piacque  al 
Manzoni  presentarcelo  nella  scena  ritto  là,  alla  finestra  del  suo  ca- 
stello, in  aspettazione  inquieta  e  ansiosa,  turbato  in  modo  insolito 
all'avvicinarsi  della  carrozza,  già  quasi  disposto  a  dar  l'ordine  di 
voltare  e  condurre,  senz'altro,  la  rapita  al  palazzo  di  don  Rodrigo, 
ma  trattenuto  da  quel  primo  «  no  imperioso  »  che  gli  risuona  nella 
mente  (*)  ;  gli  premeva  di  tratteggiare,  in  quel  rapido  scultorio  col- 
loquio del  signore  con  la  vecchia,  l'agitazione  acre,  come  di  un 
monito  oscuro,  che  gli  dava  l'arrivo  di  quella  povera  vittima  (^); 
doveva,  per  conseguenza,  conferire  alla  vecchia  un  contegno  delicato 
e  benigno  (*),  più  che  non  era  nella  minuta,  conforme  l'ordine  di 
farle  coraggio,  datole  dal  padrone.  Essendo,  dunque,  l'episodio  del- 
l'incontro delia  vecchia  con  Lucia,  subordinato  alla  situazione  psi- 
cologica e  drammatica  che  il  Manzoni  creò  come  preludio  alla  grande 
scena  dell'incontro  dell'oppressore  con  l'oppressa  e  all'epica  descri- 
zione della  notte  tormentosa,  queir  incontro  e  le  parole  della  vecchia  e 
le  nuove  affezioni  dell'oppressa  e  le  sue  reiterate  preghiere  non  po- 


(1)  Sp.  prom.,  pp.  339-42. 

(2j  Prom.  sp.,  cap.  XX,  pp.  298-9. 

(3)  IMd.,  pp.  299-300. 

(4)  Prom.  sp.,  XXI,  pp.  301-2. 


Busetto  —  14 


210  PARTE   TERZA 


tevano  aver  luogo  che  nelle  circostanze  e  ne'  modi  che  osserviamo 
neir  ultimo  definitivo  disegno  del  racconto.  Conseguentemente  non 
poteva  più  reggersi  la  narrazione,  com'era  prima,  del  lungo  tragitto 
di  Lucia  in  barca  con  la  vecchia,  mandata  a  riceverla,  unitamente 
ai  bravi,  e  l'aspro,  duro  discorrerle  di  quella  megera,  e  tutto  il  resto 
che  ne  seguiva. 

C'era,  poi,  in  quell'episodio  del  lungo,  penoso  viaggio,  oltre  il 
senso  tragico  della  scena,  qualche  cosa  di  romanzesco  e  di  pittore- 
sco :  «  quel  rumore  crescente  »  come  «  d' acqua  rapidamente  cor- 
rente »,  quel  battello  alla  riva,  l'apparir  di  altri  ceffi  in  mezzo  alla 
deserta  campagna  boschiva,  l'inflessibilità  rude  della  vecchia,  la 
vista  de'  nativi  monti  lontani,  l'approdo  al  calar  delle  ombre  not- 
turne, tutti  elementi  d'arte  descrittivi  e  rappresentativi  che  per  quel 
più  sereno  e  più.  profondo  sentimento  poetico  con  cui  rivide  e  riat- 
teggiò ne'  posteriori  rifacimenti  le  anime  e  le  cose  del  suo  romanzo, 
il  Manzoni  non  esitò  di  cancellare,  e  solo  in  piccola  parte  ha  con- 
servato, come  il  trasporto  di  Lucia  accompagnata  dalla  vecchia  sino 
al  castello  e  i  loro  discorsi,  ma  con  più  nobile  concezione  e  più 
limpida  e  pacata  rappresentazione  e  de'  caratteri  e  de'  fatti. 

Neil'  incontro  di  Lucia  con  l' Innominato  e  nel  contegno  e  nelle 
parole  di  lei  di  fronte  al  suo  tiranno  (*)  il  carattere  —  a  guardar 
certe  sfumature  del  dialogo,  che  s'  anima  vivace  tra  i  due,  e  alcuni 
tocchi  che  ne  scolpiscono  i  moti  dell'  animo  —  ha  subito  una  lieve 
modificazione  ne'  rifacimenti  ulteriori,  conforme  la  concezione  dello 
spirito  di  carità  e  di  candore  di  questo  personaggio,  —  via  via  più 
chiara  e  più  alta^  —  che,  come  abbiam  visto,  s'era  venuta  formando 
nella  coscienza  poetica  del  Manzoni.  Al  comando,  detto  «  con  tuono 
minaccioso  »  dal  tiranno,  di  lasciarsi  vedere  nel  viso  che  l'infelice 
teneva  nascosto  tra  le  mani,  ella  aveva  un  immediato  scatto  d'  «  in- 
dignazione disperata  »,  mista  a  paura;  la  prima  forte  battuta  della 
scena  suonava  in  quelle  parole  :  —  «  Che  male  gli  ho  fatto  io  »  ?  — 
Quel  viso,  al  primo  incontrarsi  e  osservarsi  tra  l'oppressa  e  l'op- 
pressore, ci  ritorna  dinanzi,  nell'  ultima  forma  dell'  episodio,  ma 
«  turbato  dall'accoramento  e  dal  terrore  »,  e  le  prime  parole  di 
Lucia,  dette  con  lo  sguardo  atterrato,  suonano  diversamente  :  *  Son 
qui:  m'ammazzi».  Dirà,  sì,  anche  le  altre:  «  perchè  mi  fa  patire 
le  pene  dell'inferno?  Cosa  le  ho  fatto  io  »?  con  quel  medesimo 
misto  di  paura  e  di  «sicurezza  dell'indignazione  disperata»;  ma 
dopo  che  lo  sconosciuto   signore  le  avrà  ripetuto  «  con  voce  mili- 


ti) Sp.  proni.,  pp.  344-5;  Prom.  sii.,  cap.  XXI,  304-5. 


r^' 


IL    ROMANZO    IN   FORMAZIONE  211 


gata  »  :  «  non  voglio  farvi  del  male  > ,  È  una  sfumatura  :  ma  non 
isfugga,  nel  mutato  atteggiamento  di  Lucia  al  vedersi  dinanzi  il 
suo  tiranno,  quel  colorito  di  una  più  accorata  umiltà,  quel  più  forte 
abbandono  al  destino  che  viene  dalla  rassegnazione  cristiana;  e, 
considerando  come  quell'apostrofe  franca,  che  ha  il  suono  d'un' ac- 
cusa perturbatrice,  succede  alle  rassicuranti  parole  dell'oppressore, 
non  isfugga  neppure  la  gradazione  de'  sentimenti  e  delle  emozioni, 
osservata  con  fino  occhio  di  psicologo. 

Ma  che  nella  Lucia  del  primo  getto  ci  fosse  qualche  nota  aspra, 
qualche  lieve  tinta  torbida,  qualche  fuggevole  tono  d'austerità  mi- 
nacciosa che  soffogava  alquanto  quella  vivida,  candida  luce  di  carità, 
cosciente  e  operosa  anche  negl'ingiusti  patimenti,  che  emana  dalla 
rinnovellata  Lucia  del  capolavoro,  è  provato  da  un  altro,  non  meno 
drammatico,  dibattito   del  dialogo.    «  Oh  non  mi  faccia  più  patire 

così  >,  riprendeva  Lucia:  «  Dio  glielo  potrebbe  rendere  un  giorno ». 

L'Innominato  se  ne  risentiva,  intendendo  bene  in  quelle  parole  un 
rinfaccio,  una  minaccia  ;  e  Lucia  non  ne  distruggeva  l'impressione, 
poiché  alla  rude  domanda  di  lui:  «  Dov'è  questo  vostro  Dio?»  ri- 
spondeva, più  tenue  sì,  ma  non  meno  severamente  solenne  :  «  E 
da  per  tutto,  è  qui  :  è  qui  a  vedere  s' ella  si  muove  a  pietà  di  me^ 
per  usarle  pietà  in  ricambio^  un  giorno  ».  La  Lucia  de'  Promessi 
sposi,  più  moderata  e,  quasi  direi,  più  raccolta  nel  suo  dolore,  dice  : 
«  Sono  una  povera  creatura:  cosa  le  ho  fatto?  In  nome  di  Dio....»; 
r  Innominato  interrompe  con  parole  quasi  simili  a  quelle  della  pri- 
ma stesura,  turbato  solo  dal  sospetto  d'essere  minacciato  in  nome 
di  Dio:  «  Cosa  pretendete  con  codesta  vostra  parola?  Di  farmi»?. 
Al  che  la  poveretta  in  un  impeto  d'  umile  carità  per  sé  e  pel  suo 
oppressore  esce  in  quelle  sublimi  parole:  «  oh  Signore!  pretendere! 
Cosa  posso  pretendere  io  meschina,  se  non  che  lei  mi  usi  miseri- 
cordia? »  «  Dio  perdona  tante  cose,  per  un'opera  di  misericordia  »  ! 
Quell'ombra  di  profezia  ammonitrice,  quel  richiamo  aperto  a  Dio  e 
aspettante  la  pietà  ripatrice  dell'uomo,  si  sono  dileguati:  c'è  sì 
l'aspettazione  ansiosa  di  Lucia,  ma  quello  che  primo  suonava  am- 
monimento, sia  pur  benigno,  nelle  sue  parole,  si  è  sublimato  in 
promessa  ed  augurio  della  misericordia  divina  pel  suo  persecutore. 
La  figura,  dunque,  di  Lucia^  anche  in  questa  nuova  e  più  dolorosa 
vicenda  della  sua  storia,  s'  è  venuta  ingrandendo  e  purificando  at- 
traverso l'elaborazione  poetica  che  vi  esercitò  l'autore.  Ma  l'esempio 
più  osservabile  di  ricostruzione  psicologica  e  di  rifusione  e  purifi- 
cazione fantastica  è  la  descrizione  della  notte  di  Lucia  passata  nel 
castello  dell'Innominato,  Su  questo  proposito  scrivevo  altrove:  «  Il 


212  PARTE   TERZA 


Manzoni  rilavorò  attorno  alla  prima  figurazione  dell'  angoscia  e  della 
pia  offerta  di  Lucia  con  rinnovato  spirito  d'indagine  psicologica  e 
con  più  profonda  comprensione  etica  di  ciò  che  rappresentava....: 
non  ha  fatto  soltanto  un  lavoro  di  rifacimento  formale,  di  chiari- 
mento della  materia,  di  parziali  sviluppi  o  di  parziali  abbreviazioni  ; 
ma,  rivedendo  in  un  momento  di  più  serena  e  profonda  meditazione 
r  intimo  dramma  di  Lucia,  lo  ha  risentito  e  fantasticamente  ri- 
flesso in  un'armonia  nuova  di  sentimenti  e  d'atteggiamenti  (*).  Si 
veda  la  prima  parte  della  descrizione,  dove  la  poveretta  era  assa- 
lita dalle  memorie  de'  patimenti  dell'  «  orrenda  giornata  »  trascorsa 
e  alternatamente  sperando,  disperando,  pregando,  era  presa  da 
«  una  febbre  violenta  >  che  le  suscitava  un  rimescolio,  una  confu- 
sione d' idee,  ond'  era  temperata,  per  l' oscurarsi  della  coscienza, 
queir  angoscia  mortale  ;  e  si  confronti  con  la  nuova  e  definitiva  for- 
ma, che  ricevette  nel  romanzo  (*).  Il  poeta  —  notavo  —  «  ha  ri- 
composta e  rifusa,  rimartellata  e  rifoggìata  la  materia  del  primo 
getto,  così  da  raggiungere  un  armonico  svolgimento  ed  equilibrio 
d'impressioni,  d'immaginij  di  linee,  di  luci.  Nella  prima  foga  la 
fantasia,  più  agitata  dalla  materia  che  capace  di  dominarla,  ha  visto 
come  in  confuso  e  come  per  momenti  discontinui  e  aspetti  fram- 
mentari la  realtà  afiettiva,  presa  a  rappresentare,  cioè  il  terrore  e 
il  dolore  di  Lucia  ;  ha  intravisto,  sì,  il  ritmo  lirico  di  quell'angoscia^ 
ma  non  ne  ha  colta  la  vera  nota  dominante,  che  è  un  tragico  cre- 
scendo dalle  «  memorie  dell'orribile  giornata  trascorsa  >  ai  «  terrori 
dell'  avvenire  »  ;  ed  ecco  prevalere  nel  primo  disegno  del  quadro  i 
particolari  realistici,  l'enumerazione  analitica,  quell'ansito  lirico  vi- 
vace, sì,  ma  rotto,  frammentario  e  alquanto  melodrammatico  de* 
primi  periodi  e  quella  finale  rappresentazione  calda,  vorticosa,  con- 
densata, in  cui  s'accendono,  anzi  si  urtano  insieme,  lo  spavento,  la 
speranza,  la  disperazione,  la  preghiera  in  una  confusione,  quasi,  de' 
sensi,  agitati  da  febbre  violenta  (')  ». 

E  soggiungevo:  «  Ha  qualche  cosa  di  veemente,  di  violento,  nel 
giro  chiuso  di  un  affannoso  lirismo,  questa  pagina  del  primo  getto, 
che  descrive  l'animo  di  Lucia  poco  prima  del  voto.  Al  contrario  di 
moltissimi  luoghi  degli  Sposi  promessi,  non  ci  sono  stenti,  né  defi- 
cienze di  lingua,  non  fiacchezze  corrive  di  linguaggio,  nulla  di  qu«l 
non  so  che  d' informe,  di  grossolano  e  appczzato  che  comunemente 


(1)  V.  Saggi  cit.,  p.  36. 

(2)  Sp.  prom.,  pp.  346-7;  Prom.  sp.,  cap.  XXI,  pp.  308-9. 

(3)  Saggi  cit.,  pp.  37-8. 


IL   ROMANZO   IN  FORMAZIONE  213 

presentano  gli  abbozzi  de'  capolavori  e  anche  questo  del  romanzo 
manzoniano  nella  sua  forma  generale;  eppure  è  profonda,  più  che 
non  appaia,  la  differenza  tra  la  prima  dipintura  e  quella  rinnovata 
dall'ultima  fatica  dell'artista:  è  differenza  che  tocca  l'intima  spiri- 
tualità della  scena,  la  figurazione  estetica  di  Lucia  >.  In  quello  stato 
di  febbre  violenta  e  di  parziale  smarrimento  della  coscienza  Lucia 
ci  pare  «  ideata  al  soffio  di  un  romanticismo  lugubre  e  acceso,  di 
cui  non  v'  ha  quasi  traccia  nella  classicità  serena,  riflettentesi  dalla 
compiuta  e  definitiva  forma  »  de'  Promessi  sposi. 

E  veramente  in  raffronto  con  la  prima  maniera  la  descrizione  di 
quell'angoscia  notturna  ha  nel  romanzo  ordine,  spirito  e  splen- 
dore nuovi.  La  dirittura  logica  inflessibile,  propria  dell'arte  grande 
del  Manzoni,  ordina  e  conduce  i  trapassi  dall'  uno  all'  altro  stato 
d'animo,  dall'uno  all'altro  sentimento,  improntandone  l'analisi  di 
splendida  naturalezza.  In  quell'abbandono  de'  sensi,  che  quasi  sem- 
bra l'ultimo  guizzo  d'una  vita  mortale,  noi  sentiamo,  per  contro, 
una  preparazione  ai  solenni  richiami  dello  spirito  profondo  :  da  pri- 
ma una  voce  indefinita  come  «  una  chiamata  interna  »  riscuote  Lucia, 
le  fa  sentire  il  bisogno  di  ripigliare  la  sua  coscienza;  ma  che  ne 
può  seguire  se  non  una  più  lucida  visione  dell'orribile  suo  stato  e 
del  suo  forse  più  orribile  avvenire?  Ed  ecco  che  come  nel  primo 
momento  s'applicava  spontaneamente  ai  dolorosi  pensieri,  via  via 
con  distinta  vicenda  rampollanti  dall'  orrore  della  scorsa  giornata, 
dallo  spavento  di  quell'abbandono,  dal  terrore  dell'imminente  av- 
venire, e  si  dibatteva  contro  di  essi,  ora  è  assalita  da  tutti  «  in  una 
volta,  >  simultaneamente,  per  cresciuto  vigore  di  percezione  e  di 
immaginazione.  E'  una  gradazione  crescente  di  sentimenti  e  di 
commozioni  che  la  fantasia  meditativa  del  poeta  ha  intuita  appro- 
fondendo l'intimo  dramma  affannoso  di  Lucia.  Questo  è  giunto  al 
supremo  momento  di  una  risoluzione  necessaria:  ne  seguirà  che  o 
quel  cuore,  preso  da  nessun  altro  desiderio  che  di  morire,  si  spezzi, 
o,  risentendo  la  «  misteriosa  chiamata  interna  »  onde  prima  s'era 
scosso  alla  coscienza  della  realtà,  si  sollevi  ad  e  un'  improvvisa  spe- 
ranza »  neir  atto  di  raccogliersi  nella  preghiera.  E  Lucia  prega,  e 
pregando  sente  crescere  in  sé  la  fiducia,  finché  «  tutt'a  un  tratto"  > 
le  sorge  in  mente  l'idea  del  sacrifizio:  fatto  il  voto  con  la  nota  in- 
vocazione alla  Madonna,  si  rimette  a  sedere  a  terra,  più  fiduciosa, 
e  verso  l'alba  s'addormenta  tranquilla. 

La  prima  stesura  procedeva  nella  descrizione  con  fare  più  asciutto 
€  frettoloso.  Il  raffronto  delle  due  redazioni  anche  per  questa  parte 
comprova  —  dicevo  altrove  —  quale  «  opera  dì  ricostruzione,  di 


214  PARTE   TERZA 


svolgimento  psicologico  e  di  rinnovamento  fantastico  esercitasse  il 
vigile  e  paziente  poeta  attorno  a  queste  sue  pagine  migliori.  Ecco: 
la  preghiera,  che  è  come  l'alba  spirituale,  annunziatrice  della  spe- 
ranza, si  mescola,  nella  prima  stesura,  al  tremito  della  persona,  ai 
tentativi,  che  fa  Lucia,  di  ripigliare  animo,  agli  abbandoni  della  di- 
sperazione ;  è  come  lo  sfogo  di  un  abitudinario  bisogno  dello  spirito, 
che  partecipa  dello  stato  generale  di  turbamento  e  d'affanno,  né 
per  esso  cessa  il  combattimento  dell'  animo,  che  anzi  sopraffa  le 
forze  del  corpo,  e  la  coscienza  ne  resta  mezzo  oscurata.  Nell'ul- 
tima stesura  del  romanzo  quella  preghiera  di  Lucia  ha  una  conte- 
nenza e  una  portata  diversa:  non  accompagnata  da  altre  affezioni, 
interviene  per  prima  a  risolvere  la  crisi  tragica  di  quell'affanno 
che  non  lascia  nell'  animo  atterrito  altro  sentimento  che  il  desiderio 
di  morire:  è  veramente  una  luce  nuova  che  la  povera  oppressa 
accoglie  in  sé  con  piena  coscienza  risentendone  un  immediato  ri- 
storo neir  «  improvvisa  speranza  >.  Qui  la  preghiera  ha  la  forza  di 
un  motivo  psicologico  svolto  in  tutta  la  sua  pienezza,  come  non  è 
certamente  nella  minuta;  ha,  poi,  nell'ordine  armonico  de'  senti- 
menti e  delle  commozioni  che  Lucia  prova  in  quella  notte,  una 
significazione  morale  che,  se  pur  c'era  nella  mente  del  Manzoni, 
quando  immaginò  nel  primo  disegno  la  prigioniera  in  atto  di  pre- 
gare, vi  si  riflettette  in  modo  troppo  vago  ed  adombrato.  Il  significato 
morale,  a  cui  converge  questo  primo  momento  di  preparazione  allo 
scioglimento  del  dramma  mortalmente  affannoso,  è  in  quella  nuova 
forza  che  cresce  in  cuore  della  pregante,  in  quella  «  fiducia  inde- 
determinata  >  che  è  già  uno  stato  così  profondamente  diverso  dal 
desiderio,  poc'  anzi  sentito,  di  morire. 

E  —  notiamo  —  ancora  non  è  sorto  il  pensiero  del  voto. 

Nella  prima  redazione  nemmeno  questo  momento  psicologico,  della 
fiducia,  è  a  posto,  essendo  determinato  semplicemente  dal  proposito  di 
fare  il  sacrifizio  dell'  amore:  è  un'  impressione  riflessa  da  un  pio  pen- 
siero, logica  sì,  ma  senza  la  freschezza  sentimentale  che  le  sarebbe 
venuta  dall'  atto  compiuto,  e  cioè  dalla  preghiera  e  dal  voto  proferito. 

Dovette  il  Manzoni  meditare  o  almeno,  nella  ricreazione  fantastica, 
intuire  questa  verità  psicologica,  poiché  nel  rifacimento,  soppressa 
quella  relazione  della  fiduciosa  speranza  con  la  pura  idea  dell'offerta, 
fé'  procedre  per  gradazioni  il  mutamento  dell'  animo  di  Lucia  in 
accordo  con  gli  atti  ch'ella  compie:  così  dapprima  la  preghiera 
genera  una  fiducia  ancora  «  indeterminata  »,  ma  il  voto  adempiuto 
fa  nascere  poi  una  fiducia  «  più  larga  »,  riposando  l'anima  in  «  tran- 
quillità »  e  quiete. 


IL   ROMANZO   IN    FORMAZIONE  215 


Medesimamente  quelle  parole  di  speranza,  dettele  dal  signore  del 
castello  che  nella  prima  redazione  s'intromettevano  «  di  quando  in 
quando  »  fra  i  dolorosi  pensieri  per  svanire  davanti  alla  più  forte 
immaginazione  di  un  avvenire  orrendo,  ora  più  acconciamente  le 
tornano  alla  memoria  e  con  ben  altro  effetto.  Anche  questa  varia- 
zione ha  un  valore  psicologico  che  non  poteva  sfuggire  all'  acuto 
Manzoni:  non  che  sconvenisse  quel  ricordo  dov'era  nella  prima 
stesura,  perchè  fra  le  confuse  memorie  di  quella  giornata  e  come 
per  un  bisogno  di  refrigerio  in  quella  grande  angoscia  potevano 
ben  risorgere  in  mente  a  Lucia  le  parole  buone  dell'Innominato, 
ma  l'averne  collocato  il  ricordo,  nell'ultima  redazione,  dopo  la  di- 
chiarazione del  voto,  come  quello  che  con  più  viva  fiducia  poteva 
rifiorire  dall'  anima  tranquillata,  è  in  perfetta  coerenza  col  modo 
nuovo  con  cui  il  Manzoni  ha  descritto  il  precedente  stato  di  Lucia» 
tutta  dominata  dagli  «  orrori  veduti  e  sofferti  »  e  dai  «  terrori  del- 
l'avvenire  >,  e  conferisce  a  quella  pur  vaga,  ma  non  vana  promessa» 
pel  modo  e  il  momento  in  cui  è  rievocata,  un  significato  profondo, 
come  se  un  misterioso  vincolo,  preparato  dalla  Provvidenza,  legasse 
quel  «  domattina  >  con  la  solennità  del  voto  e  con  la  nuova  fiducia 
eh' è  entrata  nell'animo  di  Lucia.  E  che  a  questo  mirasse  il  grande 
poeta  cristiano  s'intende  da  ciò  ch'egli  ha  aggiunto:  «  le  parve  di 
sentire  in  quella  parola  una  promessa  di  salvazione  ». 

Il  finale  della  descrizione  è  anche  più  sostanzialmente  diverso 
nelle  due  redazioni.  Lucia,  nella  prima,  dopo  il  voto  si  sentiva,  sì, 
«  come  racconsolata  »,  ma  passava  *  il  resto  della  notte  in  un  le- 
targo febbrile,  interrotto  da  sussulti  e  da  vaneggiamenti  ».  E  questo 
un  tratto  d' impeccabile  coerenza  artistica  col  resto  della  rappresen- 
tazione, poiché  la  «  febbre  violenta  »,  ond'eran  prese  le  forze  del 
corpo,  e  la  sovraeccitazione  della  mente  non  potevano  che  spossarsi 
in  un  letargo  febbrile.  Ma  nell'  ultima  redazione,  modificato  lo  stato 
psicologico,  così  che  l' angoscia  di  quella  poveretta  non  si  acuisca 
nello  spasimo  della  febbre  e  delle  forti  immaginazioni,  ma  quasi 
s'acquieti  in  un  accorato  desiderio  di  morte,  il  Manzoni  sapiente- 
mente mutò  gli  effetti  della  preghiera  e  del  voto,  sostituendo  ai 
vaneggiamenti  e  ai  sussulti  un'improvvisa  e  quasi  sacra  pace  dello 
spirito,  un  lene  riposo  de'  sensi  in  «  un  sonno  perfetto  e  continuo  »  : 
pace  e  riposo  che  riempiono  di  pia  solennità  quel  luogo  e  quel- 
r  anima  nel  declinar  della  notte  e  fanno  presentire  la  maestà  divina 
di  un  grande  evento  al  levarsi  del  nuovo  sole  ». 

Il  risveglio  di  Lucia  è  descritto  nell'una  e  nell'altra  redazione  in 
modo  conforme  alla  rappresentazione  di  quell'orribile  notte:  nella 


216  PARTE   TERZA 


prima  ella  non  ci  appariva  desta  perfettamente  da  quel  e  letargo 
agitato  da  sogni  tormentosi  e  da  risvegliamenti  più  tormentosi  an- 
cora >  ;  nella  seconda  si  risente  a  poco  a  poco,  ma  infine  si  desta 
tutta  dal  «  sonno  »  e,  se  «  torbide  visioni  »  aveva  avuto  dormendo, 
tuttavia  ritorna  faticosamente  sì,  ma  con  chiara  e  viva  coscienza, 
alle  memorie  e  alle  immagini  della  trista  realtà,  mentre  nella  prima 
perdurava  la  sovraeccitazione  febbrile  anche  dopo  il  risveglio  — 
«  le  memorie,  i  timori,  le  speranze  si  agitavano  e  si  succedevano 
nella  sua  mente  con  quell'impeto  volubile,  con  quel  vigore  incerto 
dei  sogni  >  — ,  e  lo  stato  d'abbattimento  e  d'estenuazione  pei  «  tra- 
vagli», il  «  digiuno  >  e  la  «febbre»  «  non  concedevano  allo  spirito 
il  pieno  esercizio  della  coscienza,  È  codesta  una  Lucia,  ideata,  direi 
quasi,  al  soffio  di  un  romanticismo  lugubre  e  acceso,  figurata  con 
l'arte  piuttosto  ansiosa  di  gettar  nel  quadro  colori  forti  e  di  scolpire 
in  risentiti  rilievi  che  non  intesa  a  spargervi  fasci  di  luce  e  a  su- 
scitarne luminosi  riverberi. 

A  questo  intese  il  Manzoni  nel  riatteggiare  con  classica  arte  se- 
rena Lucia  destatasi  dal  sonno  «  continuo  e  perfetto  » ,  in  cui  dopo 
il  voto  s'erano  acquietati  i  sensi  «  afiaticati  da  tanta  guerra  ».  È  un 
soffio  nuovo  di  spiritualità  che,  involgendo  la  figura  dell'oppressa, 
la  rende  nella  sua  calma  dolorosa  più  alta  e  solenne.  A  fermare  in 
pieno  e  perfetto  rilievo  questa  più  pura  e  più  sacra  tragicità  di 
Lucia  il  Manzoni  non  riprodusse  più  nel  rifacimento  dell'  episodio 
le  sguaiataggini  triviali  con  cui  la  vecchia  nella  prima  stesura  la 
tentava  e  istigava  a  prendere  un  po'  di  cibo  e  la  scurrile  scena 
dell'allegro  banchettare  eh'  ella  faceva  al  sorger  del  giorno,  mentre 
Lucia  se  ne  stava  smarrita  e  rannicchiata  nel  suo  cantuccio  (*). 
Oltre  che  nuocere,  con  1'  effetto  di  un  troppo  stridente  e  volgare 
contrasto,  al  carattere  della  scena  profondamente  dolorosa,  erano 
inutili  particolarità  di  un  grossolano  e  crudo  realismo  che,  a  prima 
giunta,  il  Manzoni  aveva  immaginato  per  fare  ostentazione  di  scru- 
polosa osservanza  della  storia  e  di  fedeltà  al  finto  manoscritto  del- 
l'Anonimo, che  diceva  appunto,  quasi  a  discolpa  di  quelle  lungag- 
gini, di  voler  seguire  «  in  tutto  ciò  che  può  essere  una  rappresen- 
tazione del  costume  »  (').  E  medesimamente  quella  digressione  sui 
casi  passati  e  sull'animo  della  vecchia  —  acuta  e  robusta  analisi 
psicologica,  per  alcune  parti,  ma  in  altre  troppo  carica  di  dettagli 
biografici  e  folta  d'elementi  secondari  — ,  la  quale  cadeva  dopo  la 


(1)  Sp.  ptom.,  pp.  396-8,  402. 

(2)  Sp.  prom.,  p.  397. 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  217 

descrizione  del  risveglio  di  Lucia,  non  riappare  più  in  quel  luogo, 
ma,  ridotta  in  forma  più  succinta  e  più  limpida,  è  collocata  in  luogo 
più  opportuno,  alquante  pagine  addietro,  al  principio  del  cap.  XX, 
quando  l'Innominato  dà  alla  vecchia  serva  l'incarico  di  andare 
incontro  alla  carrozza  e  di  accogliere  con  sé  nella  lettiga  e  confor- 
tare la  giovane  rapita.  Così  che  il  cominciamento  della  scena  della 
liberazione,  sfrondato  di  quel  materiale  impacciante  e  faor  di  luogo, 
procede  breve  e  rapido  nel  testo  rinnovato,  portandoci  innanzi  netta 
e  dominante  la  figura  di  Lucia,  più  animata  di  speranza  e  di  fede 
nella  sua  salvezza  che  non  apparisse  nella  minata,  in  un  atteggia- 
mento vivamente  risoluto  («io  voglio  andar  via  da  mia  madre,  su- 
bito, subito  »  dice  Lucia  con  gran  forza),  che  le  conviene  perfetta- 
mente, ora  che  nel  chiaro  risveglio  de'  sensi  e  della  coscienza  si 
ricorda  di  quel  «  domattina  »,  dettole  dal  signore  la  sera  innanzi^ 
e  ode  le  nuove  parole  della  vecchia  che  non  leggiamo  nella  prima 
redazione:  «  È  uscito;  m'ha  detto  che  tornerà  presto,  e  che  farà  tutto 
quel  che  volete  »  (*). 

* 
*     * 

VL  La  scena  successiva  della  liberazione,  che  nel  testo  definitivo, 
spogliata  d'inutili  e  inopportuni  particolari  dialogici,  procede  rapida 
e  lucida  nella  figurazione  dello  stupore  e  dell'  ansia  di  Lucia,  della 
dolce  pietà  della  «  buona  donna  »,  della  discreta  premura  di  don 
Abbondio,  ci  presenta,  sulla  fine  —  com'è  noto  — ,  l'uno  di  fronte 
all'altra,  l'Innominato  e  Lucia:  delicato,  profondo  nella  sua  so- 
brietà d'atti  e  di  parole,  codesto  episodio  del  perdono,  nel  quale  il 
signore  convertito  grandeggia  nella  purificatrice  luce  d'  una  contri- 
zione latta  d'angoscia  e  d'umiltà  né  Lucia  é  meno  sapientemente 
ritratta  nell'  ingenua  vicenda  di  opposti  sentimenti  e  commozioni 
che  la  conturbano  e  l'esaltano  :  onde  ora  che  ha  «  veduti  visi  e  sen- 
tite voci  amiche  » ,  prova  un  «  subitaneo  ribrezzo  »  nel  ritrovarsi 
dinanzi  queir  uomo,  mentre  «  poco  prima  lo  desiderava,  anzi,  non 
avendo  speranza  in  altra  cosa  del  mondo,  non  desiderava  che  lui  », 
e  si  stringe  alla  donna  e  le  nasconde  il  viso  in  seno.  Ma,  poi,  sol- 
lecitata, incorata  dai  presenti,  alza  la  testa  e  guarda  il  grande  pentito; 
e,  «  vedendo  bassa  quella  fronte,  atterrato  e  confuso  quello  sguardo  », 
udendo  l'invocazione  accorata  di  lui:  «perdonatemi»!,  tutta  «presa 
da  un  misto  sentimento  di  conforto,  di  riconoscenza  e  di  pietà  », 


(1)  Prom.  sp.,  cap.  XXIV,  p.  341. 


218  PARTE   TERZA 


esclama:  «  oh,  il  mio  signore!  Dio  le  renda  merito  della  sua  mise- 
ricordia »  (*)  !  A  questo  punto  tornano  in  mente  la  implorazioni  di 
Lucia  rivolte  al  suo  tiranno  la  sera  innanzi,  e  quelle  sue  soavi  parole: 
«  Dio  perdona  tante  cose  per  un'  opera  di  misericordia  »  !,  dette  con 
accento  di  speranza  per  sé  e  di  carità  pel  suo  oppressore;  e  s'in- 
tende che  nella  mente  del  Manzoni  il  secondo  incontro  si  colléga 
idealmente  al  primo,  e  ne  è,  ad  un  tempo,  integrazione  ed  effetto 
nel  progressivo  svolgimento  psicologico  del  dramma  che  involge, 
indissolubilmente  connesse,  la  sorte  di  Lucia  e  quella  dell'Inno- 
minato e  che  culmina  nella  liberazione  dell'  oppressa  e  nella  con- 
versione dell'oppressore.  L'invocata  liberazione  é  conseguita:  ma, 
se  è  riparazione  a  un  grave  torto  nel  concetto  morale  della  giustizia 
umana  e  divina,  è  opera  di  misericordia  secondo  il  sentimento  di 
carità  che  irraggia  —  come  vedemmo  —  dall'anima  di  Lucia,  quale 
ci  appare  nell'ultima  forma  del  romanzo. 

Per  dare  compiutezza  estetica  a  codesto  fondamentale  carattere 
psicologico  del  suo  personaggio,  non  meno  che  per  la  ragione  ac- 
cennata di  stretta  colleganza  ideale  tra  la  scena  delle  implorazioni 
e  quella  del  perdono,  il  Manzoni  ha  immaginato  che  sulla  soglia 
stessa  della  prigione,  nell'atto  stesso  della  liberazione,  nel  punto 
solenne  che  il  voto  viene  esaudito  e  la  giustizia  trionfa^  Lucia  si 
trovi  dinanzi  il  suo  oppressore  confuso  e  invocante  perdono  e  che 
noo  solo  apra  il  cuore  al  consenso  del  perdono,  in  quelle  umili  e 
significative  parole  :  «  oh,  il  mio  signore  »  !,  ma  circonfonda  della  sua 
carità  il  pentito  esaltando  l'opera  riparatrice  come  adempimento  della 
misericordia  implorata. 

L'anima  bella  di  Lucia,  che,  vinto  l'umano  istinto  del  «  subitaneo 
ribrezzo»,  si  china,  ardente  di  «riconoscenza»  e  di  <  pietà»,  su 
quella  dell'Innominato,  travagliata  dall'orrore  del  peccato,  dall'ansia 
dell'espiazione,  è  la  sublime  immagine  della  carità,  che  non  s'inor- 
goglisce sul  potente  umiliato,  ma  la  circonda  di  letizia  e  di  gratitu- 
dine fraterna.  Se  il  Manzoni  rimeditando  l'opera  sua  ha  avvertito  — 
com'  io  penso  —  tra  i  due  momenti,  della  liberazione  di  Lucia  e  del 
richiesto  e  dato  perdono,  un  intimo  legame  di  dipendenza  immediata 
e  consecutiva  e  una  ragione  comune  di  opportuno  sviluppo  de'  ca- 
ratteri e  dell'azione,  avrà  rilevato  che  l'avere  posta,  come  aveva 
fatto  nella  prima  stesura,  la  scena  del  perdono  alquanti  giorni  dopo, 
quando  Lucia  era  ormai  tornfita  al  suo  paese,  ed  erano  intercorsi 
vari  avvenimenti,  spezzava  quell'unità  psicologica  e  drammatica  delle 


(1)  IMd.,  pp.  342-3. 


IL   ROMANZO  IN   FORMAZIONE  219 


due  scene  che,  per  contro,  nel  nuovo  testo  spicca  luminosamente. 
Quanta  spontaneità  e  semplicità  nel  contegno  di  ambedue  i  perso- 
naggi in  azione  presenta  la  scena  nuova!  nell'Innominato  che,  fer- 
mo dietro  l'uscio,  segue  col  cuore  ansioso,  quasi  direi,  intravede  le 
nuove  commozioni  di  Lucia,  colpita  dall'improvvisa  apparizione  di 
una  donna  dal  volto  pietoso  e  di  don  Abbondio,  «  anche  lui  tutto 
compassionevole  >,  poi  riconfortata  dall'annunzio  della  liberazione, 
e  che,  non  sapendo  contener  l'impeto  del  rimorso,  l'impulso  della 
compunzione,  s'avanza  anche  lui,  come  sospinto  da  una  divina  forza 
irresistibile,  e  scoppia  nell'  invocazione  accorata  del  perdono  ;  in 
Lucia,  che,  conturbata  da  opposte  affezioni,  guarda  l'Innominato, 
ne  intende  l'angoscia  profonda  e,  in  un  impeto  non  meno  irresistibile 
di  tenerezza  cristiana,  gli  ristora  l'anima  con  gli  accenti  della  pììi 
pura  carità.  Nulla  di  studiato  né  di  preconcetto  in  codesta  scena 
fragrante  d' umanità  :  non  vi  senti  alcuna  intenzione  manifesta  di 
edificazione  religiosa,  non  volute  tendenze  moraleggianti  :  è  lo  svol- 
gimento conseguente  di  una  situazione  naturale,  nella  forma  estetica 
consentanea  a  sentimenti  messi  in  moto  vivo  e  rapido  dallo  stesso 
rapido  corso  delle  cose. 

Quanto  diversamente  concepita  era  nella  prima  redazione! 

Il  conte,  (ovverosia  l' Innominato)  si  presentava  a  dire  a  Federigo 
che  in  quel  «  giorno  di  festa  singolare  »  pel  paese  di  Lucia,  a  lui 
neir  «  allegrezza  comune  »  conveniva  fare  una  «  parte  ben  diversa 
da  tutti  gli  altri  »,  quella  di  andare  ad  umiliarsi  dinanzi  alla  gio- 
vane, a  ricevere  dalla  «  bocca  innocente  »  di  lei  de'  rimproveri  che 
gli  servirebbero  «  in  parte  ad  espiare  »  la  sua  iniquità.  E  nella  ca- 
setta di  Lucia  aveva  luogo  la  scena  della  riparazione  e  del  perdono. 
Quale  ne  è  il  significato?  Quale  l'intenzione  dell'autore  nel  farla 
avvenir©  in  quel  luogo  e  in  quel  giorno?  Ce  lo  fa  sapere  per  bocca 
del  cardinal  Federigo,  che,  nell'  accogliere  con  gioia  la  proposta  del 
convertito,  rifletteva  che  conveniva  una  «  riparazione  pubblica  e 
clamorosa  » ,  come  quella  che  avrebbe  rassicurata  e  quasi  resa  sacra, 
dinanzi  al  mondo,  la  persona  di  Lucia,  se  mai  don  Rodrigo  fosse 
tornato  a'  suoi  scellerati  disegni;  sarebbe  stata  «  un  progresso  nel 
bene  e  una  consolazione  nello  stesso  tempo  »,  per  l'Innominato, 
un  «  conforto  »,  un  «  rincoramento  »  per  Lucia  allo  «  spettacolo  della 
forza  umiliata  volontariamente  »,  un  segno  «  del  trionfo  della  pietà» 
a  «  edificazione  dei  buoni  »  (*).  Troppo  influiva  in  codesta  primitiva 
concezione  dell'episodio  il  moralismo  religioso  dell'autore  più  che 


(1)  Sp.  prom.,  pp.  457-8. 


220  PARTE   TERZA 


ragioni  d' analisi  e  di  rappresentazione  drammatica  :  troppo  mani- 
festo era  lo  scopo  d'offrire  uno  spettacolo  solenne  della  superbia 
prostrata  dinanzi  all'innocenza;  troppo  insistente  la  cura,  quale 
appare  anche  da  altri  episodi  e  particolari,  di  ritrarre  in  ogni  sua 
contingenza  la  nuova  vita  di  espiazione  e  di  pietà  del  potente  ban- 
dito. La  tesi  morale  preoccupava  lo  scrittore  cristiano  più  che  lo 
studio  sereno  delle  anime;  anzi  dalla  soave  fragranza  del  breve 
colloquio  del  conte  col  cardinale,  dal  presentarci  il  conte  che  «  cam- 
minava »,  avviato  alla  casa  di  Lucia,  «  tra  una  folla  di  spettatori  » 
«  ad  occhi  bassi,  e  col  vólto  infiammato,  tutto  compunto  e  tutto 
esaltato  »  (*),  dalle  riflessioni  pie,  onde  l'autore  commentava  quel- 
r  avvenimento  (*),  da  una  nota  giudiziosa  del  Visconti  (')  risulta 
abbastanza  chiara  l'intenzione  ascetica  della  primitiva  redazione 
dell'episodio.  E  conforme  codesto  spirito  ascetico  era  svolta  la  scena 
del  perdono,  che  terminava  con  la  donazione  di  dugento  doppie 
d'oro  (il  prezzo  della  complicità,  pattuito  con  don  Rodrigo!),  fatta 
dal  conte  in  persona  a  Lucia.  Che  era  mai  quel  dialogo  a  quattro 
nel  quale  Lucia  e  il  conte  avevano  le  prime  parti  e  don  Abbondio 
e  Agnese  le  secondarie  ?  Una  scenetta  che  non  mancava  di  qualche 
dolcezza  e  di  un  po'  di  garbo,  metteva  discretamente  in  azione  i 
vari  caratteri  de'  personaggi,  e  dava  massimamente  un  colore  spic- 
cato all'  umiltà  e  alla  riguardosa  verecondia  di  Lucia;  ma  —  a  parte 
quel  non  so  che  di  fanciullesco,  di  peritoso,  di  languido  che  era 
nel  contegno  del  conte  —  Lucia  stessa  non  vi  faceva  che  la  figura 
di  una  buona  figliuola^  anche  troppo  loquace  nel  concedere  il  per- 


ii) Sp.  prora. ,  pp.  456,  457. 

(2)  «  La  forza  che,  spontanea  non  vinta,  non  trascinata,  non  minacciata,  si  abbassa 
dinanzi  alla  giustizia,  che  riconosce  nella  innocenza  debole  un  potere,  e  domanda 
grazia  da  essa,  è  un  fenomeno  tanto  bello  e  tanto  raro  che  beato  chi  può  ammirarlo 
una  volta  in  sua  vita.  Quei  buoni  terrieri  (in  quel  momento  erano  tutti  buoni)  non 
si  saziavano  di  guardare  il  Conte,  lo  seguivano,  lo  circondavano  in  tumulto,  lo  col- 
mavano di  benedizioni.  Tanta  è  la  bellezza  della  giustizia!  per  tarda  ch'ella  sia,  in- 
namora sempre  quando  è  volontaria:  quelli,  che  dopo  aver  fatti  patire  gli  uomini  si 
vendicano  dell'odio  loro  che  gli  tormenta  col  fargli  patire  ancor  più,  non  pensano 
che  quell'odio  è  pronto  a  cangiarsi  in  favore  [in  una  variante  leggesi  amore],  in  ri- 
conoscenza, al  momento  che  una  risoluzione  pietosa,  un  ravvedimento  anche  senza 
confessione  faccia  cessare  i  patimenti  »  (ivi).  In  queste  ultime  riflessioni  c'è  il  germe 
de'  sentimenti  e  delle  sublimi  parole  con  cui  Lucia  accoglie  il  pentimento  dell'Inno- 
minato nel  rinnovato  episodio  dell'ultima  redazione. 

(3)  A  proposito  del  colloquio  del  conte  con  Federigo  osservava:  «Lascerei  questi 
due  punti:  non  bisogna  poi  esser  prodigo  di  riflessioni  ascetiche  in  un  Romanzo. 
Anche  per  l'edificazione  de'  Lettori,  (non  ridere  tu,  sebbene  io  rida  di  me  stesso)  è 
meglio  presentare  più  che  si  può  con  disinvoltura  le  idee  cristiane  *  (Sp.  prom., 
p.  456,  n.  6). 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  221 


dono  (^),  e  gran  parte  dell'effetto  di  quella  gara  di  umiltà  tra  lei 
e  il  signore  del  castello  andava  perduta  pel  prolungarsi  di  quel- 
l'ameno contrasto  tra  il  conte  che  voleva  compensare  la  giovane 
con  un  benefizio,  questa  che  se  ne  schermiva,  Agnese  che,  al  con- 
trario, faceva  buon  viso  alla  fortuna  e  don  Abbondio  che  se  ne 
rallegrava,  augurandosi  qualcosa  di  simile  da  parte  del  suo  perse- 
cutore (').  Una  lieve  venatura  d'umorismo  s'infiltrava  nella  voluta 
gravità  della  scena,  ma  era  un  umorismo  alquanto  grossolano,  anche 
se  serviva  a  dipingere  il  carattere  di  Agnese,  più  positiva  della  figlia, 
e  di  don  Abbondio  sempre  piagnucoloso  per  le  sue  disavventure. 
Ma  non  era  questo  che  avrebbe  tolto  splendore  e  grandezza  alla 
scena  della  riparazione  e  del  perdono,  se  veramente  ne  avesse  avuto  ; 
gli  è  che  in  quel  novello  colloquio  di  Lucia  e  del  signore  non  ri- 
saltava in  potente  rilievo  né  la  forte  pietà  religiosa  dell'oppressa, 
né  l'ansiosa  passione  espiatrice  dell'oppressore.  Altro  sviluppo  de' 
caratteri,  altro  svolgimento  d'azione  drammatica  si  richiedevano  a 
rappresentar  l'epica  grandezza  di  un  così  bel  dramma  cristiano: 
questo  il  Manzoni  raggiunse  col  rimutar  radicalmente  l'episodio  nel 
modo  che  abbiamo  testé  esaminato. 

* 
*     * 

VII,  La  figura  morale  di  Lucia  nel  racconto  degli  avvenimenti 
che  seguirono  alla  sua  liberazione,  é  atteggiata  nel  romanzo  con 
poco  divario  dalla  primitiva  dipintura  dell'  abbozzo  ;  ma  variano 
alcune  circostanze  e  ha  nuovo  e  maggiore  sviluppo  l'analisi  de' 
suoi  sentimenti  ed  affetti  ;  ond'ella  ne  esce  —  come  ora  vedremo  — 
con  qualche  nota  in  piìi  di  gentile  nobiltà,  di  spontanea  delicatezza 


(1)  Rispondeva  al  conte:  «S'io  le  perdono!  Dio  s'è  servito  di  lei  per  salvarmi. 
Io  ero  nelle  unghie  di  chi  mi  voleva  perdere,  e  me  ne  sono  uscita  col  suo  aiuto.  Dal 
momento  ch'ella  m'è  parsa  innanzi,  sentiva  in  cuore  qualche  cosa  che  mi  diceva 
ch'ella  mi  avrebbe  fatto  del  bene.  Cosi  Dio  mi  perdoni,  come  io  le  perdono»  (Sp.  prom., 
p.  458). 

(2)  Agnese  consentiva  col  vólto  alle  insistenze  del  conte;  avuto  il  rotolo,  a  lui 
diceva:  «  Grazie  »  e  alla  figlia:  «  e  tu  ora  non  parli  bene.  Questo  signore  lo  fa  pel  bene 
dell'anima  sua;  e  noi  poveri  non  dobbiamo  essere  superbi».  Svolto  il  rotolo,  escla- 
mava: «Oro»!.  Don  Abbondio  soggiungeva:  «Vostra  madre  ha  ragione:  accettate 
quello  che  Dio  vi  manda,  e  se  vorrete  farne  del  bene,  non  mancheranno  occasioni. 
Così  facessero  tutti!  Così  Iddio  toccasse  il  cuore  a  qualchedun  altro,  e  gli  ispirasse 
di  compensare  anche  me  povero  prete,  delle  spese  che  ho  dovuto  fare  in  medicine  per 
quella  maledetta» Voleva  dire  —  paura  —  ma  ebbe  paura  di  parlare  imprudente- 
mente e  si  fermò  ».  (Sp.  prom.,  p.  459).  Cotale  uscita  del  curato  era  una  goffaggine 
insipida:  si  spiega  con  la  primitiva  concezione  eccessivamente  comica  di  questo  per- 
sonaggio. 


222  PARTE   TERZA 


e  di  austera  pietà.  Già  vi  era  un  difetto  capitale  nel  primo  disegno  : 
mancava  quel  piccolo  ambiente  vivo  e  vario  di  minori  figure,  quello 
sfondo  animato  di  colori  e  di  luci,  quel  tenue  affollarsi  di  cose  e 
d'anime  domesticamente  simpatiche  che  s'addiceva  alla  nuova  con- 
dizione di  Lucia,  passata  dall'angoscia  e  dalla  gioia  della  libera- 
zione, dalle  immagini  del  terrore  alle  sensazioni  del  riposo  e  della 
tenerezza  cordiale.  Il  pathos  tragico  delle  scene  precedenti  s'era 
dileguato  per  dar  luogo  a  più  riposate  e  dolci  visioni  e  il  giubilo 
universale  in  quel  giorno  festivo,  accresciuto  dalla  gran  conversione 
di  un  temuto  oppressore  e  dalla  salvezza  di  un'oppressa,  doveva 
fervere  intorno  alla  liberata  in  voci  e  atti  giocondi  e  gentili  :  alla 
crudele  tragedia  spiccante  nelle  tre  figure,  di  Lucia  «  squallida, 
sbattuta,  affannata  »,  dell'Innominato,  truce  e  inquieto,  della  vecchia 
carceriera,  brutta  e  ringhiosa,  era  logico  succedesse  la  commedia 
gioiosa  e  soave,  in  cui  è  legge  dell'  arte  suscitar  movimento  d'azione 
e  sceneggiare  la  vita  nella  sua  bella  varietà  di  temperamenti  e  di 
caratteri  e  a  tutto  dare  anima  e  luce  nell'abbondanza  vivace  del 
dialogo. 

Nella  prima  stesura  codesto  ambiente  non  e'  era,  e  la  «  buona 
donna  »  e  il  marito  di  lei,  un  Tommaso  Dalceppo  che  si  trasformerà 
poi  nella  immortale  macchietta  del  sarto  del  villaggio,  non  avevano 
anima  e  vita.  Succintamente  descritte  le  accoglienze  e  la  modesta 
refezione  che  Lucia  riceveva  da  quei  due  buoni  coniugi,  detto  in 
breve  come  il  Dalceppo,  tornato  tutto  entusiasta  della  predica  del 
cardinale,  godesse  dell'essere  stata  prescelta  sua  moglie  a  quel  pie- 
toso ufficio,  commovendosi  ai  casi  di  Lucia,  e  corresse,  dopo  aver 
ingollato  «  un  boccone  in  piedi  »,  al  paesello  di  Agnese,  per  con- 
durla dalla  figlia,  il  Manzoni  faceva  che  Lucia,  per  offerta  dell'ospite, 
si  ritirasse  in  un'altra  stanza,  rimanendo  «  soletta  »  co'  suoi  pensieri, 
fino  all'  arrivo  della  madre  (*).  Poi  con  quasi  eguale  frettolosità 
descriveva  il  sospirato  incontro  con  Agnese  e  il  loro  colloquio,  in- 
terrotto dall'avviso  che  il  cardinale  voleva  vedere  la  buona  donna 
e  Lucia  ;  proseguiva  col  riferire  le  inchieste  discrete,  fatte  alla 
giovine  da  Federigo  in  casa  del  curato  di  Chiuso  intorno  alle  sue 
vicende,  i  ringraziamenti  largiti,  insieme  col  dono  di  uh  ornato 
libretto  d'orazioni  e  di  un  rosario  prezioso  alla  buona  donna,  e  i 
conforti  dati  ad  Agnese  (*).  Se  si  tolga  un  buon  pezzo  di  dialogo, 
in  cui  Agnese  usciva  a  dire  :    «  Già  la  colpa  in  gran  parte  è   del 


(1)  Sp.  prom.,  pp.  41G-9. 

(2)  Sp.  proni.,  pp.  420-22. 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  223 

signor  Curato  »  e  il  Cardinale  domandava  :  «  Come  ?  di  che  Curato  ?  > 
e  quella  rispondeva  senz'altro:  «Oh  bella!  del  nostro  >,  tutto  il 
resto  era  narrato,  non  presentato  ne'  discorsi  e  ne'  dialoghi  de'  per- 
sonaggi come  nell'ultima  redazione;  il  che  toglieva  ogni  valore 
drammatico  alle  tre  scene  delle  accoglienze  di  Lucia  in  casa  del 
sarto,  dell'  incontro  di  Lucia  con  la  madre,  dell'  interrogatorio  del 
cardinale.  Queir  affaccendarsi  premuroso  della  buona  donna,  per 
preparar  qualche  cosa  da  ristorar  Lucia,  quella  «  certa  rustichezza 
cordiale  »  con  cui  questa  risponde,  il  cappone  al  fuoco,  la  scodella 
di  brodo,  il  riaversi  della  poveretta  a  ogni  cucchiaiata,  i  confidenti 
discorsi  della  padrona  di  casa  sulla  discreta  agiatezza  della  famiglia 
e  sui  poveri,  che  per  loro  in  quel  giorno  speravano  di  buscar  qual- 
cosa dalla  carità  di  Federigo  (*)  ;  tutto  ciò  —  altri  ha  detto  egregia- 
mente —  fa  «  un  po'  d'idillio  che  riposa  e  rallegra  il  lettore  »  (^). 
V'è  poi  il  ritorno  della  famigliola  dalla  chiesa,  il  modesto  pranzetto 
che  si  godono  insieme  con  l'ospite  cara,  l'atto  caritatevole  del  sarto 
di  mandare  un  po'  di  cibo  caldo  e  di  vino  alla  povera  vedova  Maria, 
il  pio  entusiasmo  di  lui  nel  descriver  la  festa  di  quel  giorno  e  mas- 
simamente la  predica  del  cardinale  fra  le  interruzioni  vivaci  e  sa- 
putelle de'  bambini:  è  codesto  un  pittoresco  quadro  di  caratteri  e 
di  costumi  condotto  con  viva  arte  spontanea,  nel  quale  —  secondo 
l'arguto  giudizio  del  medesimo  critico  —  «  l'umor  gaio  del  Man- 
zoni, il  suo  talento  d'osservatore,  la  sua  pittorica  fantasia,  il  suo 
buon  cuore,  fanno  veramente  baldoria  insieme  »  (^).  E  come  la 
stessa  intima  doglia  di  Lucia  dalla  felice  elaborazione  di  queste 
scene,  fragranti  di  domestica  intimità,  ha  guadagnato  di  perspicuità 
e  d'efficacia! 

Nella  prima  stesura,  all'  infuori  degli  aridi  accenni  alle  cure  pro- 
digatele dalla  buona  donna  e  alle  «  nuove  parole  di  riconoscenza  » 
con  cui  accetta  l' invito  di  ritirarsi  a  riposare,  Lucia  appare  quasi 
quasi  solitaria  in  quella  casa  ospitale,  tanto  è  smorto  e  vacuo  l'am- 
biente che  la  circonda,  sola  con  la  sua  gioia  «  alterata  continuamente 
dalle  rimembranza  recenti  e  dai  pensieri  dell'  avvenire  »  (^).  Si  vede 
che  il  Manzoni  nella  primitiva  concezione  dell'  episodio  non  era 
preso  che  dalla  cura  di  analizzare  lo  stato  d' animo  di  Lucia,  di 
studiarne  le  commozioni  nuove  in  confronto  coi  mali  passati,  il  tre- 
pido pensiero  che  don  Rodrigo   tornerebbe  forse  alle  persecuzioni, 


(1)  Prom.  sp.,  cap.  XXIV,  pp.  348-9. 

(2)  F.  D'Ovidio,  N.  st.  manz.  cit.,  p.  552. 

(3)  Ivi. 

(4)  Sp.  prom.,  p.  418. 


224  PARTE   TERZA 


il  ricordo,  non  meno  penoso,  del  voto,  misto  ad  un  senso  di  penti- 
mento^ che  non  voleva  confessare,  che  anzi  combatteva  come  «  or- 
ribile sconoscenza  »,  il  pensiero  di  Renzo,  che  la  tentava  come  un 
rimedio  a  tutte  le  difficoltà  e  le  amarezze  del  passato,  ma  che  do- 
veva sempre  respingere,  come  «  quasi  un  delitto  >  ('). 

Ma  anche  codesta  analisi  procedeva  alquanto  affastellata,  e  a  tinte 
torbide  e  gravi:  il  rammarico  pel  voto  e  il  rimorso  immediato  del 
rammaricarsene  dopo  la  grazia  ottenuta  erano  si  rappresentati  con 
vivo  rilievo,  ma  non  approfonditi  con  la  finezza  consueta  all'  arte 
matura  del  Manzoni,  né  erano  quelle,  come,  invece,  dovevano  essere, 
le  affezioni  più  vive  di  quel  momento,  poiché  con  pari  attenzione 
il  Manzoni  analizzava  la  parca  gioia  di  Lucia  per  1'  «  inaspettata 
salute  di  quel  giorno  »,  ma  turbata  dal  risorgere  di  amari  e  trepidi 
pensieri  rimasti  «  sepolti  e  come  soffocati  »  quando  l'animo  era  oc- 
cupato da  una  più  «  grande  sciagura  ».  Belle  riflessioni,  certamente, 
sul  variar  delle  nostre  gioie  a  seconda  de'  mali  e  de'  pericoli,  che 
attestavano  le  pronte  attitudini  del  Manzoni  all'osservazione  psico- 
logica e  la  sua  sicura  conoscenza  del  cuore  umano  ;  ma  ne  derivava 
che  in  minor  luce  risaltasse  quello  che,  per  riflesso  della  gioia  stessa 
della  liberazione  e  delle  nuove  sensazioni,  offerte  da  quell'idillica 
giocondità  d'ambiente,  doveva  essere  lo  stato  d'animo^  non  diremo 
unico,  ma  certamente  dominante  in  Lucia,  lo  sgomento  del  voto. 
S' accorse  il  Manzoni  di  tale  sproporzione  psicologica  ed  estetica 
nel  rielaborare  questa  pagina  del  romanzo  ?  Pare  di  sì,  poiché  in 
quella  profondamente  rinnovata  analisi  dell'inquietudine  di  Lucia 
non  campeggia  altro  sentimento,  altro  ricordo  che  quello  del  voto, 
non  r  amareggia  altra  commozione  che  il  combattuto  sentimento 
dell'  irreparabile  offerta.  Dove  nella  prima  redazione  con  certa  in- 
cresciosa succession  cronologica  il  poeta  esaminava  da  prima  quel 
vago  stato  di  lei  tra  lieto  e  tristo  pei  dolori  sofferti,  poi  quell'appren- 
sione, acuita  da  sinistre  immaginazioni,  per  la  sicurezza  avvenire, 
quindi  il  rammarichio  del  voto  e  infine  la  rimembranza  di  Renzo, 
ond'ella  si  ritraeva  sgomenta  come  da  un  malefizio,  e  ce  la  presentava 
in  questa  vicenda  di  ricordi  e  di  affetti  tutta  sola  —  come  dicevamo  — 
e  chiusa  nella  stanza  offertale  dalla  buona  donna,  nel  nuovo  testo,  per 
contro,  la  troviamo  in  mezzo  ai  famigliari  del  sarto,  commoversi  ai 
discorsi  e  agli  atti  loro,  ricevere  dalle  circostanze  esteriori,  che  viva- 
mente r  imprcHsionano,  eccitamenti  a  risentire  in  guise  diverse  la  me- 
moria del  voto  e  le  molteplici  affezioni  che  vi  si  accompagnano.  Nel 


(1)  Sp.  prom.,  pp.  418-9. 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  225 


rassettarsi  le  trecce  e  il  fazzoletto  sul  seno  e  intorno  al  collo,  le  dita 
s'intralciano  nella  corona  messaci  la  notte  avanti,  lo  sguardo  vi 
corre,  ed  ecco  si  fa  «  nella  mente  un  tumulto  istantaneo  ».  «  La 
memoria  del  voto,  oppressa  fino  allora  e  soffogata  da  tante  sensa- 
zioni presenti,  vi  si  suscitò  d'improvviso,  e  vi  comparve  chiara  e 
distinta  »  (*).  A  quella  memoria  la  corona  era  associata  indissolu- 
bilmente, poiché  Lucia  se  n'era  cinto  il  collo,  dopo  il  voto  in  quella 
notte  terribile,  «  quasi  come  un  segno  di  consacrazione,  e  una  sal- 
vaguardia a  un  tempo,  come  un'armatura  della  nuova  milizia  a  cui 
s' era  ascritta  »  ("^).  E  attorno  a  quel  pio  simbolo  della  fede  e  del 
sacrifizio  di  lei  fa  il  Manzoni  che  le  risorga  nella  memoria,  dopo 
il  ricordo  del  voto,  tutta  la  passione  di  quella  notte.  Non  subito 
però;  ma  dopo  che  quel  ricordo  le  ha  fatto  provare  tale  costerna- 
zione da  esclamar  tra  sé  :  «  oh  povera  me,  cos'  ho  fatto  »  ! 

Mirabile  svolgimento  ed  intreccio  di  motivi,  di  commozioni,  di 
rappresentazioni,  in  cui  si  rinnova  il  dramma  intimo  di  Lucia,  di 
tragico  fatto  elegiaco,  meno  grandiosamente  epico  che  nella  notte 
del  terrore,  ma  più  profondamente  delicato  e  irrimediabilmente  tor- 
mentoso. E  che  lo  stesso  Manzoni,  rimeditando  con  nuovo  vigore 
fantastico  il  tumulto  d'affetti  che  assale  Lucia  al  ridestarsi  del  pen- 
siero del  voto  in  quella  dolce  casa  ospitale,  v'intuisse  la  forza  di 
un  travaglio  d'alto  rilievo  drammatico,  lo  fa  intendere  da  quelle 
parole  :  «  se  queir  animo  non  fosse  stato  così  preparato  da  una  vita 
d'innocenza,  di  fiducia,  la  costernazione  che  provò  in  quel  momento, 
sarebbe  stata  disperazione  »  (^). 

Alla  Lucia  manzoniana,  massime  nella  forma  piti  nobilmente  ele- 
vata, a  cui  r  inalzò  il  poeta  nella  rielaborazione  successiva  alla  prima 
prova,  non  conviene  il  volto  tragico  delle  passioni  violente,  qua- 
lunque ne  sia  il  turbamento  dell'animo,  di  terrore  mortale,  come 
quand'  era  in  balìa  de'  perversi,  o  di  rimpianto  penoso,  cóme  è  ora 
che  non  la  tormenta  che  il  pentimento  del  voto.  L' arte  grande  del 
Manzoni  rifugge  dai  modi  patetici  e  fragorosi  e,  se  pur  anima  di 
.spirito  tragico  le  rappresentazioni  della  realtà  idealizzata,  ne  esprime 
i  fecondi  motivi  con  quella  temperata  e  composta  energia  che  suole 
esser  più  efficace  che  appariscente.  Ecco  perchè  la  costernazione  di 
Lucia  in  quel  momento  non  ha  la  veemenza  de'  dolori  disperati. 
Osserviamo  le  gradazioni  e  le  vicende  dell'  intima  lotta  ch'ella  com- 


(1)  Prom.  sp.,  cap.  XXIV,  p.  349. 

(2)  Prom.  sp.,  XXI,  p.  309. 

(3)  Prom.  sp.,  cap.  XXIV,  p.  349. 


Busetto  —  15 


226  PARTE   TERZA 


batte.  Alla  vista  della  corona,  conservatrice  della  pia  offerta  fatta 
alla  Madonna,  non  le  si  suscita  in  mente  che  la  memoria  dell'atto 
eh'  ella  aveva  compiuto  :  è  una  prima  e  immediata  rappresentazione 
del  fatto;  nulla  più:  è  naturale,  quindi,  che  le  ravvivate  potenze 
della  sua  giovane  vita,  il  raccolto  godimento  della  libertà  riacqui- 
stata, le  grate  e  tenere  impressioni  della  pietà  ond'è  circondata 
reagiscano  a  quel  ricordo  doloroso,  poiché  nel  rifiorir  della  vita  ci 
repugna  l' idea  di  dover  perdere  ciò  che  si  ha  di  più  caro  al  mondo. 
Ma  poi  a  quella  rappresentazione  nel  pensiero  s'associano  le  conco- 
mitanti condizioni  del  solenne  sacrifizio:  «l'angoscia  intollerabile,  il 
non  avere  una  speranza  di  soccorso,  il  fervore  della  preghiera,  la 
pienezza  del  sentimento  con  cui  la  promessa  era  stata  fatta  >  ;  e 
allora,  pel  concorso  di  nuovi  motivi  psicologici,  quel  voto  è  da  lei 
risentito  anche  nel  valore  morale  che  vi  aveva  aggiunto  nel  farlo. 
Il  primitivo  moto  tumultuoso  del  cuore  si  placa  in  una  profonda  e 
calda  meditazione:  la  coscienza  morale  s'aderge  sull'onda  de'  sen- 
timenti e  perciò  il  pentirsi  del  voto  le  pare  ingratitudine  sacrilega, 
e  motivo  «  di  nuove  e  più  terribili  sventure  »,  e  la  volontà,  deliberata 
a  vincere  gì'  impulsi  del  cuore,  devotamente  conferma,  rinnova  il 
voto.  Ma  se  la  volontà,  così  nuovamente  agguerrita,  tiene  il  campo, 
non  è  vinto  ancora  il  sentimento  doloroso  del  grande  sacrifizio, 
onde  la  poveretta  fa  quella  supplicazione  accorata  che  le  sia  con- 
cessa «  la  forza  d'adempierlo»,  che  le  siano  «  risparmiati  i  pensieri 
e  r  occasioni  »,  le  quali  potrebbero,  «  se  non  ismovere  il  suo  animo, 
agitarlo  troppo  »  (*).  Come  si  vede,  il  Manzoni  ha  intuito  con  sguar- 
do profondo  e  rappresentato  con  sapiente  varietà  d'ombre  e  di  luci 
il  graduale  trapasso  dell'animo  di  Lucia  dalla  subitanea  e  sgomen- 
tatrice  memoria  del  voto  alla  riconferma  piamente  risoluta  di  esso  ; 
ma  in  quell'accoramento  della  preghiera  ha  nel  tempo  stesso  la- 
sciato intravedere  che  il  cuore  non  concederà  lunga  tregua  alla 
coscienza  fortificata.  Divinazione  stupenda,  che  l'anima,  la  quale, 
per  quanto  presidiata  di  cristiana  virtù,  non  ha  potuto,  al  ricordo 
di  un  obbligo,  tenuto  per  sacro,  trattenere  la  voce  del  rammarico, 
invano  s'illude  d'essere  uscita  dal  combattimento.  È  un  moto  del- 
l'animo, che,  mentre  ella  trova  buon  motivo  di  fiducia  e  rassegna- 
zione nel  considerare  che  la  lontananza  di  Renzo,  senza  probabilità 
di  ritorno,  fosse  una  disposizione  della  Provvidenza  coordinata  al 
fine  del  mantenimento  del  voto,  erompe  e  ripiglia  il  vigore  del  pri- 
mo sgomento,  appena  che  ella  vorrebbe  confidare  che  Renzo  non. 


(1)  Ivi. 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  227 

pensasse  più  a  lei.  L'immagine  del  fidanzato,  i  ricordi  di  un  fido 
amore,  lo  strazio  di  quel  poveretto  rifluiscono  dal  cuore  e  urtano 
contro  la  volontà,  raflFermatrice  del  voto  :  non  la  sopraffanno,  ma  la 
lotta  —  noi  ben  l'avvertiamo  —  non  è  finita.  Questo  stato  di  sospen- 
sione e  di  contenuta  amarezza  che  vedremo  perpetuarsi  come  uno 
stato  cronico  in  Lucia,  è  tutto  in  quella  finale  pennellata  gagliarda 
e  armoniosa  :  «  la  povera  Lucia,  sentendo  che  il  cuore  era  lì  lì  per 
pentirsi,  ritornò  alla  preghiera,  alla  conferma,  al  combattimento,  dal 
quale  s'alzò,  se  ci  si  passa  quest'espressione,  come  il  vincitore 
stanco  e  ferito,  di  sopra  il  nemico  abbattuto  :   non  dico   ucciso  >  (*). 

Né  il  Manzoni  cessa,  a  questo  punto,  dalla  mirabile  analisi.  Egli, 
come  dicevo,  atteggia  l' animo  combattuto  di  Lucia  in  relazione  con 
le  impressioni  d' ambiente  :  il  piccolo,  ma  intenso  dramma  di  quel- 
l' anima  si  svolge  entro  la  sfera  di  cose  così  belle  e  varie  e  com- 
moventi, che  ne  viene  esso  Stesso  penetrato  e  colorito:  è,  così  per 
r  indole  del  personaggio  come  per  la  natura  della  sua  intima  lotta, 
una  di  quelle  situazioni  psicologiche  in  cui  la  vicenda  di  una  nostra 
passione  seconda,  per  così  dire,  i  movimenti  del  mondo  esterno, 
anche  se  questi  non  siano  diretti  consapevolmente  a  modificarla: 
entra  in  gioco  il  potere  suggestivo  del  male  o  del  bene,  quello  sulle 
anime  fiacche  e  grette,  questo  sulle  anime  forti  e  pure.  Ecco  Lucia  : 
i  discorsi  piamente  entusiastici  del  buon  sarto  le  danno  un  grande 
«sollievo»,  l'atto  caritatevole  di  lui  le  inonda  il  cuore  di  «  tene- 
rezza ricreatrice  »,  ond'ella,  tornando  sopra  i  «  pensieri  dolorosi 
di  se  »,  si  trova  *  piti  forte  contro  di  essi  »  ;  anzi,  presa  «  dall'entu- 
siasmo medesimo  del  narratore  » ,  risente  nel  «  pensiero  stesso  del 
gran  sacrifizio  »,  insieme  con  l'amaro,  «  un  non  so  che  d'una  gioia 
austera  e  solenne  ».  L'annunzio,  poi,  del  prossimo  arrivo  della  madre 
opera  con  pari  potenza  suggestiva  di  tenerezza  e  di  calma  sul  suo 
travaglio  segreto.  Si  ricorda  «  che  quella  consolazione  allora  così 
vicina,  di  riveder  la  madre,  una  consolazione  così  inaspettata  poche 
ore  prima,  era  stata  da  lei  espressamente  implorata  in  quell'ore  terri- 
bili, e  messa  quasi  come  una  condizione  al  voto  »  (*):  dal  che  riceve 
impulso  e  conforto  a  confermare  un'altra  volta  la  promessa  e  a 
rinnegare  un'altra  volta  il  momentaneo  pentimento. 

Se  ora  poniamo  a  faccia  a  faccia  la  Lucia  della  prima  redazione 
dell'episodio  fin  qui  esaminato  e  la  Lucia  dell'ultima  definitiva,  e 
ne  riassumiamo  mentalmente  le  differenze,  risultanti  dalla  duplice 


(1)  Ibid.,  p.  350. 

(2)  Ibid.,  pp.  352-3. 


228  PARTE    TERZA 


analisi  fatta,  potremo  concludere,  come  già  ho  rilevato  esaminando 
l'angoscia  di  Lucia  prigioniera  nel  castello  dell'Innominato,  che  il 
Manzoni  è  pervenuto  alla  forma  piena,  nitida  e  coerente  dell'ultima 
rappresentazione,  approfondendo  nella  sua  coscienza  di  osservatore 
e  di  poeta  il  motivo  etico-religioso,  ond'egli  ha  tratto  la  concezione 
e  la  figurazione  del  carattere  del  suo  personaggio,  intendo  la  carità 
e  la  fede,  che  ne  sono  gli  elementi  costitutivi  essenziali. 

Via  via  illuminandosi,  per  vigore  di  meditazione,  codesto  motivo, 
vi  si  è  appassionato  il  sentimento,  nel  quale  è  la  genesi  primordiale 
d'ogni  creazione  artistica;  e  così,  per  quel  misterioso  processo  onde 
l'idea  si  trasforma  in  uno  stato  sentimentale,  il  Manzoni  rivide  Lucia, 
chiusa  nel  suo  trepido  ricordo  del  voto,  con  più  pura  ed  austera  ispi- 
razione nella  rinnovata  analisi  psicologica  e,  seguendone  il  gagliardo 
impulso,  diede  alla  dolente  figura  un  atteggiamento  di  piìi  solenne 
pietà  religiosa.  Questo  ripensamento  del  motivo  etico-religioso  del 
suo  personaggio  portava,  per  conseguenza,  un  maggiore  sviluppo 
psicologico  e  drammatico  del  carattere;  il  che  dà  ragione  della  piti 
profonda  e  sottile  analisi  a  cui  il  Manzoni  ha  sottoposto  nel  rifaci- 
mento dell'episodio  l'interno  combattimento  di  Lucia,  e,  d'altra 
parte,  spiega  perchè  ne  abbia  eliminati  certi  elementi  secondari  ed 
eterogenei  (*),  che  distraevano  dalla  contemplazione  di  quello  che 
era  il  punto  centrale  del  piccolo  dramma  :  lo  sgomento  del  voto. 
Non  voglio  negare  che  la  situazione,  nella  prima  stesura,  era  stata 
tracciata  e  scolpita  con  acume  e  vigore;  ma  aveva  ancora  qualche 
cosa  di  appena  sbozzato,  senza  quel  gioco  di  luci  e  di  ombre  che 
formano  la  vita  perfetta  del  fantasma  poetico.  Il  pensiero  doloroso 
del  voto  non  assaliva  d'improvviso  Lucia,  ma  di  continuo  «  si  me- 
sceva a  tutti  gli  altri  »  ed  era  «  invano  respinto  »  :  era  come  una 
preoccupazione  stabile,  immobile,  inflessibile  :  il  penoso  rammarico 
di  essersi  obbligata  con  quella  promessa  non  era  da  lei  confessato, 
ma  durava  insistente  :  ella  lo  «  riprovava,  ma  non  poteva  farlo  scom- 
parire »  (*).  Lucia  appariva  piuttosto  vinta  che  vincitrice  nel  com- 
battimento ;  così  che  la  bella  e  nuova  immagine,  con  cui  il  Manzoni 


(1)  Alludo  all'amarezza  di  Lucia  nel  riflettere  sui  mezzi  infami  adoperati  da  don 
Rodrigo,  a'  suoi  timori  e  alle  sue  angustie  nel  pensare  come  ripararsi  da  nuove  per- 
secuzioni  e  vivere  fuor  del  paese,  alle  considerazioni  del  Manzoni  sulla  nullità  di 
«quella  promessa,  fatta  in  un'agitazione  febbrile,  senza  meditazione  »  e  sull'indisso- 
lubilità della  precedente  «  promessa  solenne  »,  con  cui  Lucia  era  legata  a  Renzo:  con- 
siderazioni che  snervavano  il  carattere  di-ammatico  dell'inquieto  stato  di  Lucia  e, 
preparandoci  in  certo  modo  alla  scena  dello  scioglimento  dal  voto,  ne  indebolivano 
l'effetto. 

(2)  Sp.  prom.,  p.  419. 


IL   ROMANZO   IN  FORMAZIONE  229 

chiude,  nell'ultima  stesura,  la  descrizione  dell'intimo  travaglio  di 
lei,  si  sarebbe  applicata  con  le  parti  invertite,  soprastando  il  penti- 
mento del  voto,  vincitore,  anche  se  «  stanco  e  ferito  »,  sul  sentimento 
religioso,  che  ne  restava,  se  non  del  tutto  sopraffatto,  «  abbattuto  ». 
Perchè  il  Manzoni  ha  rimutata  in  senso  opposto  la  situazione  psi- 
cologica? Perchè  ha  immaginato,  in  nuovo  modo,  che  l'idea  del 
voto  insorga  con  la  subitaneità  di  una  ricordanza  eccitata  da  un 
motivo  esterno,  onde  l'anima,  colpita  all'improvviso,  fosse  tratta 
ineluttabilmente  a  pentirsi  della  promessa  fatta?  Perchè  Lucia  quasi 
-immediatamente  risente  «  come  uno  spavento  »  di  quel  rammarico 
e  s'affretta  a  rinnegare  la  sua  debolezza  con  un  solenne  rinnova- 
mento del  voto,  e,  al  sentirsi  poi  nuovamente  vacillare  il  cuore, 
torna  «  alla  preghiera,  alle  conferme,  al  combattimento  »  contro  il 
nemico,  e  se  ne  rileva,  ferita,  ma  vittoriosa?  Questa  più  alta  e  au- 
stera rappresentazione  di  Lucia  nasce  dall'averla  il  Manzoni  ripen- 
sata con  più  profonda  coscienza  etica  e  religiosa,  dall'avere  voluto 
dare  —  non  meno  che  in  altre  situazioni  già  rilevate  —  maggiore 
sviluppo  e  più  elevata  significazione  alle  virtù  della  carità  e  della 
fede,  ond'  è  fatta  la  tempra  di  Lucia. 

C'era  nella  Lucia  della  primitiva  concezione  un  non  so  che  d'in- 
quieto, di  appassionato,  di  fragile,  che,  senza  oscurarne  la  bella  luce 
morale  e  religiosa,  raggiante  dalla  sua  figura,  vi  diffondeva  sopra 
un  lievissimo  velo,  che  ne  attenuava  alquanto  il  fulgore:  c'era  come 
un  vago  moto  di  sensibilità  e  di  sentimentalità  che  scuoteva  il  suo 
essere  e  vi  suscitava  qualche  vibrazione  romantica  o  qualche  crudo 
risalto  realistico.  Il  Manzoni  ne  purificò  e  rattemprò  la  religiosità 
e  ne  rese  di  conseguenza  più  composto,  delicato,  soave  e  forte 
il  carattere  e  più  altamente  poetica  la  figura.  Anche  su  questo, 
come  su  altri  personaggi  a  cui  rivolgeremo  la  nostra  attenzione  a 
suo  tempo,  operò  quel  processo  d' idealizzazione  attraverso  il  quale 
il  Manzoni  ha  rilavorata  tutta  la  materia  del  romanzo. 

Si  veda  anche  il  diverso  contegno  di  Lucia  nell' incontro  con  sua 
madre  dall'una  all'altra  redazione. 

Lo  scarno,  frettoloso,  sbiadito  racconto  della  prima  stesura  ha 
ricevuto  ampiezza,  vivacità  e  squisitezza  nuove  nell'  ultima.  Nella 
quale  vediamo  radicalmente  mutata  la  circostanza  concernente  la 
fuga  di  Renzo  ;  il  che  ha  giovato  al  Manzoni  per  dare  uno  sviluppo 
nuovo  ai  sentimenti  e  al  carattere  di  Lucia,  fin  da  quando  questa 
ripensa  a  lui  nel  confermare  il  voto.  «  Lucia  non  sapeva  nulla  — 
sì  legge  nella  prima  redazione  —  della  fuga  di  Fermo  e  questa 
notizia  che  la  madre  le  diede,  le  cagionò  le  più  varie  e  opposte 


230  PARTE    TERZA 


commozioni.  L'assenza  di  Fermo  era  certo  dolorosa  per  lei;  ma 
quando  seppe  ch'egli  era  in  sicuro,  provò  quasi  una  torbida  con- 
solazione al  pensiero  che  la  tentazione  era  lontana,  che  l'esecuzione 
del  suo  voto  diveniva  più  facile,  che  se  non  altro  non  avrebbe  cosi 
presto  la  necessità  di  parlarne  >  (^).  Nell'ultima  redazione  Lucia 
sa^  quanto  la  madre,  del  tristo  caso  di  Renzo  e  della  fuga  del  gio- 
vane nel  bergamasco  fin  da  quando,  a  Monza,  ne  avevan  potuto 
trarre  qualche  cosa  dai  discorsi  della  fattoressa  e  dalle  notizie,  man- 
date loro  da  fra  Cristoforo  per  mezzo  del  pesciaiolo  di  Pescarenico. 
Giova  esaminare  con  un  po'  d'attenzione  questo  piccolo  episodio 
aggiunto  nella  rielaborazione  del  romanzo.  È  una  di  quelle  raris- 
sime pagine  in  cui  il  Manzoni  con  la  pudica  sobrietà  che  è  una 
sua  caratteristica  nella  rappresentazione  dell'  amore,  fa  sentire  con 
maggior  vivezza  di  tocchi  quanto  forte  e  profondo  fosse  quello  di 
Lucia  per  Renzo.  Quando  le  due  donne  sentono  dire  dalla  fattoressa 
che  dei  facinorosi  catturati  dopo  la  sommossa  di  Milano,  uno,  che 
se  l'era  battuta  per  non  essere  impiccato,  era  un  filatore  di  seta 
proprio  del  loro  paese  e  si  chiamava  Tramaglino,  a  Lucia  cade  il 
lavoro  di  mano,  impallidisce,  si  cambia  tutta;  poi  la  «  desolata  fan- 
ciulla »  vive  più  d' un  giorno  in  affannosa  incertezza  sulla  sorte  di 
Renzo,  finché  viene  la  buona  notizia  di  fra  Cristoforo  che  «  si  sa- 
peva di  certo  che  s'era  messo  in  salvo  sul  bergamasco  >.  «  Una 
tale  certezza  —  soggiunge  il  Manzoni  —  fu  un  gran  balsamo  per 
Lucia  :  d' allora  in  poi  le  sue  lagrime  scorsero  più  facili  e  più  dolci  ; 
provò  maggior  conforto  negli  sfoghi  segreti  con  la  madre;  e  in  tutte 
le  sue  preghiere,  c'era  mescolato  un  ringraziamento  »  (').  Ecco  in 
pochi  tratti  tutto  l' amore  di  Lucia,  riflesso  «  nell'  inquietudine  > 
alle  prime  vaghe  notizie,  in  quel  subitaneo  pallore  e  rimescolamento, 
al  nome  di  Tramaglino  pronunziato  dalla  fattoressa,  ne'  commenti 
tra  sé,  o  sottovoce  con  Agnese,  sulle  «  terribili  parole  >  udite,  nel 
grande  sollievo,  che  le  dà  la  certezza  dell'essersi  Renzo  messo  in 
salvo,  in  quelle  lagrime  più  facili  e  più  dolci,  ne'  segreti  sfoghi  con 
la  madre,  nel  render  grazie,  pregando,  a  Dio.  Chi  trova  troppo  tie- 
pida 0  sbiadita  la  maniera  come  il  Manzoni  rappresenta  l' amore  di 
Lucia  veda  se  egli,  fermo  nel  proposito  (piuttosto  morale  che  este- 


(1)  Sp.  proni.,  p.  420.  È  certo  che  a  questo  punto  il  Manzoni  aveva  in  mente 
d'introdurre  nel  precedente  racconto  de'  fatti  qualche  cenno  sulle  notizie  che  Agnese 
aveva  avute  circa  i  casi  e  la  fuga  di  Renzo,  poiché,  mentre  qui  leggiamo  ch'ella  ne 
era  informata,  non  troviamo  nulla,  nelle  pagine  precedenti,  che  ci  dica  il  modo 
com'era  riuscita  a  saperne  qualche  cosa. 

(2)  Prom.  sp.,  cap.  XVIII,  pp.  266,  267. 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  231 

tico)  di  evitare  i  quadri  troppo  vivi  e  suggestivi,  non  abbia  voluto 
sostituire  alle  analisi  e  alle  scene  dirette  dell'  amore  la  rappresen- 
tazione indiretta  di  esso,  rivelando  nelle  circostanze  più  dolorose  e 
più  decisive  quanto  profondo  e  saldo  fosse  nel  cuore  di  Lucia. 
Poiché  c'è  un  modo  intimo  delicato  per  significare  l'ardore  di  una 
nobile  passione,  ed  è  quello  di  scrutare  qual  forza  di  dolore  o  di 
gioia,  d' apprensione  angosciosa  o  di  soave  conforto  suscitino  le 
vicende  e  le  sorti  della  persona  amata;  di  raffigurare  quel  dolore 
e  quella  gioia  con  l'arte  sapiente  che  invita  il  lettore  e  lo  spet- 
tatore a  indurre  dagli  effetti  efficacemente  espressi  T  intensità  vi* 
gorosa  de'  motivi. 

Osserviamo  questo  stato  d'animo  di  Lucia,  su  cui  s'abbatte  il  fiero 
annunzio  de'  pericoli  di  Renzo;  consideriamo,  insieme,  il  tormento 
del  suo  povero  cuore,  dopo  la  liberazione  nel  sentirsi  vincolata  dal 
voto,  i  teneri  ricordi  che  la  commovono  nel  doloroso  addio  a'  suoi 
monti,  quel  sentimento  misto  d'angoscia  e  d'orrore  che  l'agita  nel 
vedere  il  suo  Renzo  in  pericolo  di  macchiarsi  del  sangue  dell'of- 
fensore; ne  vedremo  il  dolore  che  le  fanno  le  prediche  di  donna 
Prassede  e  il  dibattito  penoso  con  Renzo,  quand' ei  la  trova  al  laz- 
zaretto :  sono  queste  tutte  manifestazioni  indirette  di  quell'amore, 
del  quale  il  Manzoni  non  descrisse  di  proposito  «  i  principi,  gli 
aumenti,  le  comunicazioni  >  (');  che  è  quanto  dire,  non  volle  dare 
un'  artistica  rappresentazione  diretta. 

Alle  apprensioni  di  Lucia  per  la  vita  di  Renzo  non  aveva  pensato 
il  Manzoni  nella  prima  stesura;  l'avervi  fatta  parte  nel  rifacimento 
dell'  opera  non  solo  è  servito  a  collegare  i  fatti  tra  loro  con  maggior 
chiarezza,  a  svilupparne  i  racconti,  ad  offrire  un  bell'intreccio  d'im- 
pressioni e  di  sentimenti,  ma  è  giovato  massimamente  ad  ingenti- 
lire l'affetto  di  Lucia  di  tenerezza  soave,  ad  illuminarne  la  tempra 
nelle  vicende  dell'  ambascia  e  del  giubilo  ;  il  che  nella  prima  prova 
non  aveva  ricevuto  piena  e  chiara  espressione.  Per  contro,  il  Man- 
zoni s'  era  abbandonato  negli  Sposi  promessi  a  qualche  pennellata 
colorita,  che  rivelava  in  modo  più  appariscente  che  nel  testo  defi- 
nitivo l'anima  innamorata  di  Lucia. 

Chi  raffronti  i  due  rifacimenti  AelVAddio^  monti,  che  precedettero 
r  ultima  e  definitiva  redazione  ('),  osserverà  con  qual  cura  il  Manzoni 
è  venuto  via  via  eliminando  da  quella  pagina  altamente  lirica  ogni 
elemento  erotico,  che  turbasse  anche  menomamente  l'immagine  di 


(1)  Sp.  prom.,  p.  156. 

(2)  Sp.  prom.,  App.  F^  F^,  pp.  806,  807,  808;  Prom.  sp.,  cap.  Vili,  p.  123. 


232  PARTE   TERZA 


candore  e  di  compostezza  pudica  ch'ei  vagheggiava  rimeditando  il 
suo  noto  principio  dell'amore  nell'arte.  «  Chi  aveva  composti  in  essi 
tutti  i  disegni  dell'  avvenire  »  —  commenta  il  poeta  nel  figurare  il 
dolore  del  distacco  di  Lucia  da'  suoi  monti  ;  ma  con  più  caldezza 
d'espressione  e  più  ardita  intimità  di  sentimento  dapprima  aveva 
scritto  :  «  chi  aveva  composti  e  intrecciati  con  l' immagine  di  quelli 
tutti  i  desideri  dell'avvenire,  d'un  avvenire  sospirato  segretamente  >. 
Il  passo  di  Renzo  è  il  «  passo  aspettato»,  ed  è  frase  temperata  che 
dice  la  fede  del  cuore,  la  sicurezza  della  dolce  attesa  ;  ma  nelle 
precedenti  redazioni  era  «l'orma  desiderata»  ch'esprimeva,  piut- 
tosto, il  palpito  ansioso  dell'anima  innamorata.  Sulla  «  casa  ancora 
straniera,  —  diceva  un  rifacimento  più  antico  —  la  fantasia  si  sof- 
fermava «  commossa  »,  «  intenta  »  e  si  figurava  «  sicura  »  un  sog- 
giorno di  sposa;  ma  poi  il  colorito  di  questa  frase,  in  cui  era  di- 
pinto il  caldo  sogno  dell'avvenire,  fu  via  via  stinto  e  finalmente 
scomparve  per  dar  luogo  a  quel  tocco  nuovo  dell'ultima  redazione: 
«  casa  sogguardata  tante  volte  alla  sfuggita,  passando,  e  non  senza 
rossore  »  ;  nel  quale  non  senti  che  il  pudore  delicato  dell'  anima 
amante.  Né  senza  qualche  arditezza  suonava  queir  ultimo  commento 
al  devoto  addio  rivolto  alla  chiesa,  «  dove  1'  approvazione  e  la  be- 
nedizione di  Dio  doveva  aggiungere  all'ebbrezza  della  gioia  il  gaudio 
tranquillo  e  solenne  della  santità  ».  Vedi  con  qual  leggerezza  di 
tocco,  con  che  pudor  guardingo  di  sentimento  e  di  stile  il  poeta  ha 
rimutato  «  l'ebbrezza  della  gioia  »  nel  «  sospiro  segreto  del  cuore  »  ! 

Ma  più  rilevante,  forse,  è  il  modo  come  Lucia,  legata  dal  voto, 
risente  in  cuor  suo  la  lontananza  di  Renzo. 

Già  le  circostanze  concomitanti  e  la  stessa  disposizione  di  spirito 
di  Lucia  —  come  abbiam  visto  —  non  erano  le  stesse:  dapprima 
le  riflessioni  sul  fidanzato  lontano  venivano  dopo  la  notizia  inaspet- 
tata della  fuga  di  lui  (^)  ;  nel  romanzo  rifatto  le  vediamo,  invece, 
intrecciarsi  al  pensiero  e  alla  rinnovazione  del  voto.  Mutate  così  le 
condizioni  psicologiche,  ne  risultava  modificato  anche  l'atteggia- 
mento di  Lucia.  Ma  e'  e  qualcosa  di  più  :  la  devota  rassegnazione, 
r  umile  accettazione  della  sapiente  opera  della  Provvidenza,  l'austero 
acquietarsi  dell'anima  nelle  ragioni  imperscrutabili  di  essa,  la  fiducia 
ne'  compimenti  di  Dio,  conferiscono  a  Lucia  un  carattere  di  forte 
e  gentile  religiosità,  di  pensoso  raccoglimento,  di  pia  magnanimità, 
che  mancava  affatto  nella  prima  stesura.  V'era,  al  contrario,  in 
questa,  quel  non  so  che  d' inquieto,  di  torbido,  d' appassionato  che 


(1)  Sp.  prom.,  p.  420;  Prom.  sp.,  cap.  XXIV,  pp.  349-50. 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  233 


già  abbiamo  avuto  occasione  di  rilevare  in  altri  punti  del  romanzo. 
Perchè  l'assenza  di  Renzo  doveva  esserle  «  certo  dolorosa?  >.  Ci  stu- 
pisce questa  troppo  viva  commozione  in  Lucia,  che  ormai  si  sentiva 
cosi  indissolubilmente  stretta  al  voto  e  deliberata  alla  rinunzia  del 
suo  amore:  mentre  è  logico  che  le  fosse  «  così  amara»,  come  si 
legge  ne'  Promessi  sposi,  prima  di  aver  rinunziato  a  «  quel  suo 
poveretto  »  con  la  promessa  alla  Madonna.  È  una  nota  fuggevole 
quest'empito  di  dolore  pel  giovine  assente,  ma,  messa  insieme  con 
altri  tocchi  particolari  dianzi  osservati,  comprova  che  il  Manzoni 
non  aveva  ancora  scorto  nel  carattere  di  Lucia,  agitata  tra  l'amore 
e  l'obbligo  religioso,  quel  motivo  etico  di  profonda  ed  umile  reli- 
giosità, pel  quale  l'amore  di  Renzo,  senz'essere  punto  spento  dalla 
nuova  promessa,  veniva,  dirò  così,  umiliato  nella  compunzione  su- 
blime dell'anima,  che  aveva  ricevuta  una  nuova  tempra  dalla  con- 
sacrazione di  quella  terribile  notte.  Era  una  banale  stonatura  quella 
così  chiaramente  espressa  sofferenza  di  Lucia  —  effetto  della  preva- 
lente passione  d'amore  —  anche  rispetto  all'analisi  precedente  della 
stessa  minuta,  dove  «  il  pensiero  di  Fermo  —  diceva  il  Manzoni  — 
era  per  lei  una  tentazione,  quasi  un  delitto  ».  Gli  è  che  il  fantasma 
poetico  di  questo  personaggio  (per  dire  11  vero,  il  più  difficile  a 
fissarsi,  a  illuminarsi  fra  quanti  balzarono  dalla  sua  serena  e  me- 
ditativa fantasia)  nella  prima  concezione  e  anche  attraverso  le  prove 
successive  balenò  alla  mente  del  Manzoni  alquanto  indefinito  e  in- 
coerente, in  una  tal  forma  ansiosa,  sì,  di  armonizzare  coi  motivi 
etici  e  sentimentali  che  l'avevano  ispirata,  ma  non  ancora  lirica- 
mente fusa  con  essi. 

La  determinatezza,  la  compattezza  e  la  lucidità  che  venne  acqui- 
stando nello  sforzo  artistico  ulteriore  sono,  in  gran  parte,  l'effetto 
di  una  più  pura  idealizzazione  poetica  di  quei  medesimi  motivi, 
onde  primamente  l' aveva  attinto  la  coscienza  cristiana  del  Manzoni. 
Vedete  come  si  trasfigura  Lucia  attraverso  questo  lavorio  dell'artista 
inteso  ad  approfondirne  i  motivi  interiori  del  carattere.  La  «  torbida 
consolazione  »  che  le  dava  il  sapere  lontano  e  al  sicuro  Renzo,  si 
trasforma  nel  devoto  assenso  al  volere  sapiente  di  Dio.  La  mente, 
a  cui  quella  lontananza  non  suggeriva  che  la  considerazione  di 
poter  con  questo  mezzo  vincer  la  tentazione  di  rinnegare  il  voto, 
si  eleva,  in  un  ineffabile  impeto  di  pietà  religiosa,  a  riconoscervi, 
piuttosto,  un  motivo  di  persuasione,  offertole  dalla  Provvidenza,  circa 
la  necessità  e  la  santità  del  voto.  È  vero  che  ne  traeva  argomento 
a  sperare  più  facile  l'esecuzione  del  pio  sacrifizio,  ma  anche  in  que- 
sta speranza  trepidava  il  vago  sgomento  della  tentazione  che  avesse 


234  PARTE   TERZA 


a  sorgere  e  a  prevalere.  E  finiva  col  raagro  conforto  che  per  allora 
non  la  stringeva  la  necessità  di  rivelare  il  suo  segreto,  com'è  di 
chi  —  temendo  la  battaglia  —  si  consola,  intanto,  che  sia  differita. 
La  minuta  ci  presentava  Lucia  in  un  aspetto  certamente  consentaneo 
alla  natura  di  morigerata  e  pia  fanciulla,  com'  ella  era  e  come  molte 
possono  essere  nella  realtà  della  vita;  ma  dalla  successiva  trasfor- 
mazione di  quelle  pagine  è  uscita  un'alta  figura  poeticamente  idea- 
lizzata, in  cui  con  la  candida  luce  di  carità  e  di  umiltà  si  confon- 
dono le  fiamme  purissime  d'-un  amore  profondo,  calmo,  tenace. 

Il  dramma  religioso,  che  si  desta  nel  cuore  di  Lucia  tornata  alla 
libertà,  ma  legata  dal  voto,  non  aveva  quella  solenne  grandezza  a 
cui  lo  portò  il  Manzoni  spiritualizzando  con  un  nuovo  soffio  di  poesia 
le  creature  e  gli  avvenimenti  del  suo  mondo  storico  -  romanzesco  ; 
quel  segreto  travaglio  d'un  amore,  troppo  profondo  per  darsi  vinto 
del  tutto  nel  conflitto  col  dovere  religioso,  ma  fiorito  in  una  co- 
scienza cristiana,  che  non  vive  che  nella  legge  di  Dio  ed  è  pronta 
a  tutte  le  abnegazioni,  a  tutti  i  sacrifizi  per  rimanervi  costante,  non 
aveva  quel  vigore  di  raccoglimento,  quella  pensosa  intimità  di  pas- 
sione, guardinga  di  sé  stessa,  quella  schietta  sobrietà,  attinta  dalla 
religione  sentita  candidamente,  quel  diffuso  senso  elegiaco  che  danno 
alla  nuova  Lucia  manzoniana  una  singoiar  tempra  di  accorata  soavità 
e  di  semplicità  delicata  e  gentile.  Questa  profonda  idealizzazione 
poetica  —  come  più  addietro  osservavo  —  comincia  dalla  descri- 
zione della  notte  dei  terrori  e  del  gran  sacrifizio.  Nelle  peripezie 
e  nelle  situazioni  psicologiche  precedenti  —  salvo  alcuni  ritocchi 
d' intonazione  più  decorosa  e  più  franca  —  non  vi  ha  gran  divario 
nella  pittura  morale  di  Lucia  tra  l'una  e  l'altra  redazione;  ma  dove 
il  Manzoni  si  die'  a  rilavorarla  con  nuovo  vigore  d'arte,  con  più 
alto  e  largo  spirito  di  meditazione,  è  nel  punto  in  cui  s' inizia  il 
vero  dramma  della  protagonista.  L'impedimento  delle  nozze,  il  fal- 
lito tentativo  di  fra  Cristoforo,  la  fuga  dal  paesello  natio,  la  sepa- 
razione da  Renzo  erano  stati  casi  dolorosi,  che  avevano  perturbata 
la  sua  tranquilla  letizia,  contristati  i  suoi  santi  affetti  ;  ma  ella  con- 
fidava in  Dio  ;  avea  anzi  motivo  di  ringraziarlo  per  essere  sfuggita 
agli  sgherri  di  don  Rodrigo,  e,  pur  guardando  con  tristezza  all'av- 
venire incerto,  sentiva  nella  fermezza  e  sicurezza  del  suo  amore  e 
nella  speranza  de'  rimedi  che  «uole  offrire  il  corso  del  tempo,  un 
conforto  bastevole  a  sopportare  le  sue  disavventure.  Ma  dopo  il 
ratto,  dopo  la  desolazione  di  quella  notte,  dopo  il  voto  e  il  sacrifizio 
supremo  del  suo  nobile  amore,  l'anima  di  Lucia  reca  il  solco  di  una 
profonda  sventura:  è  cessata,  forse,  la  minaccia  de'  nemici  esterni, 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  235 


dell'iniquità  prepotente,  ma  ora  la  lotta  più  penosa  e  più  terribile 
si  concentra  nell'ambito  della  coscienza:  quell'amore  che  doveva 
venir  benedetto  e  «  comandato  e  chiamarsi  santo  »,  ora  è  un  pen- 
siero che  spaventa,  è  un  sentimento  che  strazia  senza  rimedio,  è, 
anzi,  «  un'  ingratitudine  sacrilega,  una  perfidia  verso  Dio  e  la  Ma- 
donna »  ;  la  coscienza  del  dovere  religioso  s'accampa  imperiosa;  ma 
questo  potrà  soggiogarlo,  non  sradicarlo  ;  l' anima  assume  l' aspetto 
d'una  rassegnazione  mesta  e  tranquilla;  ma  l'armarsi  di  pia  fortezza 
non  le  restituirà  più  la  pace  piena  e  lieta  ;  e  non  le  saranno  risparmiati 
ricordi,  pensieri,  occasioni  formidabili  di  conturbamento  e  di  strazio, 
fino  all'  ultimo,  fino  a  quando  interverrà  la  parola  liberatrice  di  fra 
Cristoforo. 

Il  Manzoni  capì  che  aveva  posto  con  l'episodio  del  voto  il  germe 
di  un  intimo  dramma  di  coscienza  ;  che  d'ora  innanzi  doveva  tener 
fisso  lo  sguardo  sul  segreto  tumulto  de'  sentimenti  e  degli  affetti, 
dominato  dalla  disciplina  della  sacra  promessa,  seguire  le  vicende 
di  quel  dolore  raccolto,  ritrarre  con  arte  misurata  e  armoniosa,  tutta 
concretezza  e  immediatezza^  —  guardandosi  come  dalle  esagerazioni 
della  tendenza  etico -religiosa  così  dalle  seduzioni  del  patetico  ro- 
mantico —  gli  abiti  e  gli  aspetti  semplici  e  forti  d'un' ingenua  co- 
scienza religiosa,  lottante  contro  i  rinascenti  impulsi  del  cuore.  È 
stata  là  gravità  stessa  della  nuova  situazione  psicologica  e  dram- 
matica, in  cui  doveva  spiccare  nella  sua  individualità  singolare  il 
carattere  di  Lucia,  che  indusse  il  Manzoni  ad  una  nuova  e  più  pura 
elaborazione  del  personaggio,  come  gli  avvenne  di  fare  del  carattere 
e  della  storia  di  Gertrude  e  dell'  Innominato. 

Nella  prima  stesura  quel  conflitto  non  era  fatto  sentire  con  lar- 
ghezza e  precisione;  la  elevazione  religiosa  (che  è,  ad  un  tempo, 
elevazione  poetica)  di  Lucia,  dopo  la  preghiera,  dopo  la  promessa 
e  la  grazia  ricevuta,  non  appariva  nella  sua  mesta  grandezza  ;  quelle 
sue  virtù  di  fede,  di  carità,  d' umiltà,  onde  trae  la  fortezza  e  la  ras- 
segnazione a  tenersi  ferma  nel  volo  tra  gli  urti  della  vita  e  degli 
affetti  ancor  vivi,  non  si  rivelavano  attraverso  il  dramma  della  sua 
coscienza  con  la  splendida  coerenza  e  naturalezza  confacenti  al  ca- 
rattere di  lei.  Questa  più  alta  e  più  pura  vita  psicologica  e  morale 
a  cui  assurge  la  figura  di  Lucia  nell'  ultima  redazione  del  romanzo, 
è  dovuta  ad  una  più  attenta  e  profonda  meditazione  del  delicato 
problema  dello  spirito,  che  la  nuova  situazione  implicava;  medesi- 
mamente il  Manzoni  inalzò  ad  una  possente  rappresentazione  epica 
la  figura  dell'  Innominato,  approfondendo  il  gran  problema  spirituale 
della  conversione,  e  del  pari  circonfuse  di  maggior  decoro  morale 


236  PARTE   TERZA 


l'infelice  storia  di  Gertrude  e  le  diede  artisticamente  un  più  rac- 
colto e  pensoso  atteggiamento,  rivivendo  con  più  serena  e  benigna 
coscienza  il  dramma  della  debolezza  e  della  colpa  di  quella  «  sven- 
turata ». 

Sappiamo  bene  che  queste  tre  grandi  creature  del  mondo  man- 
zoniano hanno- un  sostrato  etico  e  speculativo  profondamente  diverso; 
ma  non  è  meno  vero  che  alla  meditazione  e  all'  arte  del  Manzoni 
s' affacciavano  sotto  la  luce  del  medesimo  problema  umano  e  reli- 
gioso ad  un  tempo  ;  il  quale  non  fu  senza  efficacia  nella  loro  com- 
posizione psicologica  e  artistica.  Non  ci  sfuggano  le  riflessioni  del 
poeta  sulle  consolazioni  della  religione  cristiana  a  proposito  della 
monacazione  forzata  di  Gertrude  (^).  Perchè  Gertrude  si  travaglia 
di  continuo  «  sotto  il  giogo  »  nel  rancore  contro  i  suoi  tiranni,  nel 
cupo  «rammarico  della  libertà  perduta»,  nell'inquieto  «  abborri- 
mento  dello  stato  presente  >  e,  alla  fatale  occasione,  precipita  nella 
colpa?  Perchè  non  aveva  l'indole  e  la  forza  di  santificare  il  suo 
martirio  con  la  fede  e  la  speranza  in  Dio.  Perchè,  l'Innominato  si 
riscatta  dal  peso  mortale  di  tante  scelleraggini  e  iniquità?  Perchè, 
pur  attraverso  una  formidabile  tempesta  di  coscienza,  ha  la  forza 
di  risalire  dall'  abiezione  alla  speranza  del  perdono  divino,  di  vol- 
gersi «  con  un  lieto  abbandono  »  alle  consolazioni  della  religione. 
Perchè  Lucia,  dopo  il  voto,  si  riconferma  nel  proposito  del  sacri- 
fizio, conseguendo  una  cotal  calma  dello  spirito,  che,  se  pur  vi  tre- 
pida un  segreto  dolore,  ha  la  solennità  di  una  rassegnazione  tenace 
né  di  altro  pensosa  che  di  aderire  con  sicurezza  e  letizia  alla  nuova 
vita  «  che  si  è  scelta  nella  tragica  congiuntura  »  di  quella  notte  ? 
Appunto  perchè  sa  trarre  dalla  religione  il  vigore  e  la  consolazione 
che  le  abbisognano  a  vincere  tutte  le  inquietudini,  a  fare  «  di  ne- 
cessità virtù  » ,  a  santificare  l' irrevocabile  col  balsamo  della  costante 
pietà  religiosa. 

Così  è  :  abbandonarsi  a  Dio  ;  tornare  a  Dio  ;  confidare  in  Dio  : 
ecco  i  tre  aspetti  del  medesimo  problema,  umano  e  religioso,  che 
s'agita  in  fondo  alla  genesi  morale  e  poetica  di  Gertrude,  dell'In- 
nominato, di  Lucia,  e  di  contro  il  quale  stanno  l'iniquità  e  le  pas- 
sioni :  dal  contrasto  di  questi  termini  nasce  il  dramma,  cosi  diverso, 
di  quelle  tre  anime. 

Via  via  che  il  Manzoni  viene  meditando  e  penetrando  i  motivi  e 
le  forme  di  questo  grande  dramma  cristiano,  variamente  riflesso 
neir  indole  e  nelle  vicende  di  quei  tre   personaggi,   le  figure  loro, 


(1)  Prom.  sp.,  cap.  X,  p.  156. 


IL   ROMANZO   IN    FORMAZIONE  237 


nella  sua  fantasia,  s'accrescono  d'una  spiritualità  più  intensa,  si 
illuminano  di  una  luce  più  chiara  e  più  raccolta,  si  concretano  con 
più  sicuri  rilievi,  balzano,  finalmente,  dalle  pagine  dell'  ultima  rie- 
laborazione artistica  nell'  armonia  nuova  de'  loro  lineamenti  coi 
caratteri  di  creature  universali  ed  eterne.  Ma  torniamo  a  Lucia. 

Vi  sono  due  episodi  abbastanza  ragguardevoli  nel  seguito  del 
romanzo,  e  cioè  i  due  incontri  e  i  colloqui  della  giovane  liberata 
col  cardinale.  Nella  prima  stesura  il  primo  incontro  aveva  luogo 
in  casa  del  curato  di  Chiuso,  dove  Lucia  andava  con  la  madre  e 
con  la  moglie  del  sarto,  chiamata  dal  prelato  ;  nel  romanzo  a  stampa, 
invece,  è  Federigo  che  si  reca  in  persona  a  visitarla  nella  casa  degli 
ospiti  (*);  il  qual  mutamento  è  dovuto  certamente  al  proposito  di 
porre  sotto  più  viva  luce  la  singolare  pietà  e  carità  del  magnanimo 
prelato.  Oltr'  acciò  il  Manzoni  aveva  dapprima  succintamente  de- 
scritto quell'incontro  e  narrate  le  cose  che  vi  furon  dette;  fra  le 
quali  era  curiosa  l'inchiesta,  eliminata  nell'ultima  redazione,  che 
il  cardinale  faceva  sulla  condotta  della  signora  in  relazione  coi  casi 
di  Lucia;  nell'ultimo  testo,  invece,  alla  forma  narrativa  è  sostituita 
la  dialogica  e  accresciuti  e  ravvivati  di  colori  e  di  movimento  i 
particolari  della  scena  e  le  parti  de'  personaggi  presenti.  Ciò  che 
interessa,  intanto,  rilevare  è  che  in  quel  primo  colloquio  Agnese 
accusava  don  Abbondio  del  mancato  matrimonio,  e  Lucia  taceva; 
e  che  questa  confessava,  a  sua  volta,  il  tentativo  del  matrimonio 
clandestino  nel  secondo  colloquio,  più  a  lungo  e  più  vivo,  ch'ella 
e  la  madre  ebbero,  di  poi,  col  cardinale  nel  loro  paesello,  in  casa 
di  don  Abbondio,  dove  monsignore  s'era  recato  nel  suo  giro  pasto- 
rale per  le  parrocchie  del  territorio  di  Lecco  (*).  È  noto,  invece, 
che  neir ultima  redazione  l'accusa  di  Agnese  e  la  rivelazione  della 
figlia  hanno  luogo,  ad  un  tempo,  la  prima  volta  che  le  due  donne 
si  trovano  a  parlare  con  Federigo  in  casa  del  sarto  ;  onde  il  secondo 
incontro  che  hanno  con  lui,  appena  arrivate  al  paese,  si  riduce  a 
poca  cosa  e,  nell'ordine  de'  fatti,  serve,  più  che  altro,  a  far  che 
Agnese  gli  consegni  la  lettera  con  la  quale  donna  Prassede  si  offriva 
di  ricevere  e  custodire  Lucia  in  casa  sua  a  Milano  (^). 

È  chiaro  che  il  Manzoni  nella  rielaborazione  di  questi  episodi  ha 
voluto  trasferire  nel  primo  incontro  la  massima  parte  de'  discorsi 
avvenuti  nel  secondo,  parendogli  che,  se  per  un  verso  poteva  con- 


ili Sp.  prom.,  pp.  421-2;  Prom.  sp.,  cap.  XXIV,  pp.  356-9, 

(2)  Sp.  prora.,  pp.  437-9. 

(3)  Prom.  sp.,  cap.  XXV,  p.  372. 


238  PARTE   TERZA 


venire,  come  aveva  immaginato  nella  minuta,  che  il  cardinale  dise- 
gnasse «  di  parlare  altra  volta  con  Lucia  »  e  non  volesse  «  in  quel 
giorno  così  burrascoso  per  lei  tenerla  più  a  lungo»,  per  l'altro 
verso,  poteva  anche  figurar  troppo  asciutta  quella  scena  del  primo 
incontro  e  più  verosimile  che  Federigo  in  esso  fosse  trasportato  dai 
lieti  avvenimenti  di  quella  giornata,  dal  paterno  affetto  per  la  po- 
veretta miracolosamente  salvata,  dalla  nobile  curiosità  di  conoscerla 
e  di  sentirla  parlare,  a  trattenersi  con  lei  in  più  lungo  discorso  sui 
dolorosi  casi  passati  e  sulle  circostanze  avvenire  della  sua  vita.  Ecco 
perchè  in  quel  colloquio  egli  assume  notizie  anche  di  Eenzo,  e  pro- 
mette di  indagare  la  verità  sul  suo  conto.  Ma  per  lo  studio  del  ca- 
rattere di  Lucia  è  osservabile  il  modo,  alquanto  differente,  come 
ella  s'induce  a  confessare  alla  presenza  del  cardinale  la  storia  del 
matrimonio  di  sorpresa.  Nella  minuta  egli,  memore  degli  accenni, 
fatti  da  Agnese  nel  primo  incontro,  alla  colpa  di  don  Abbondio, 
interrogava  minutamente  Lucia  «  sull'affare  del  matrimonio  >;  e  Lucia 
raccontava,  ma,  giunta  al  punto  del  tentativo  fatto  in  casa  del  cu- 
rato, si  fermava,  <  come  un  cavallo  che  ha  veduto  un'ombra,  e  rista 
con  una  sosta  improvvisa  e  singolare,  che  none  quella  solita  d'al- 
lora che  è  giunto  al  termine  del  suo  viaggio  ».  Il  cardinale,  sor- 
preso di  quella  titubanza,  voleva  sapere  il  resto;  Agnese  faceva 
visacci  così  manifesti  da  costringerlo  a  redarguirla,  tranquillamente, 
ma  seriamente,  e  Lucia  stava  interdetta  »,  ma,  alle  parole  del  car- 
dinale: €  Dio  vi  assista:  dategli  gloria  col  dire  la  verità  »,  spiattel- 
lava «  la  storia  del  clandestino  ».  Era,  poi,  il  cardinale  stesso  che 
compiacevasi  dell'aver  ella  confessata  una  colpa,  e  ammoniva  pa- 
ternamente che  non  si  dovrebbero  fare  di  quelle  cose  che  spiacesse 
poi  raccontare.  Era  una  scena  disegnata  e  colorita  con  vivo  spirito 
di  osservazione  e  con  una  lieve  nota  di  piacevole  umorismo  ;  ma, 
come  la  trasformò  e  rabbellì  di  poi  il  Manzoni,  presenta  in,  nuovo 
rilievo  la  delicatezza  e  l' ingenua  bontà  di  Lucia  e  la  indulgente 
magnanimità  del  prelato.  Agnese  —  come  dicevo  —  denunzia  don 
Abbondio.  Ma  Lucia,  «  non  contenta  di  quella  maniera  di  raccontar 
la  storia  »,  soggiunge:  «  anche  noi  abbiamo  fatto  del  male:  si  vede 
che  non  era  nella  volontà  del  Signore  che  la  cosa  dovesse  riuscire  ». 
E  Federigo  :  «  Che  male  avete  potuto  far  voi,  povera  giovine  »?  E 
allora  Lucia  —  dice  il  Manzoni  — ,  «  malgrado  gli  occhiacci  che  la 
madre  cercava  di  farle  alla  sfuggita,  raccontò  la  storia  del  tentativo 
fatto  in  casa  di  don  Abbondio  ;  e  concluse  dicendo  :  «  abbiam  fatto 
male:  e  Dio  ci  ha  castigati  ».  E  Federigo  con  paterna  soavità: 
'«  Prendete  dalla  sua  mano  i  patimenti  che  avete  sofferti,  e  state  di 


IL    ROMANZO   IN    FORMAZIONE  239 


buon  animo:  perchè,  chi  avrà  ragione  di  rallegrarsi  e  di  sperare, 
se  non  chi  ha  patito,  e  pensa  ad  accusar  se  medesimo  »?  (*). 

Tutti  e  tre  i  nostri  personaggi  esprimono  in  questa  conversazione 
i  loro  sentimenti  con  più  gentile  compunzione:  anche  Agnese,  che 
non  vorrebbe  che  il  cardinale  facesse  l' intemerata  al  curato  e,  nel 
tentar  di  trattenere  Lucia  dal  rilevare  la  loro  marachella,  è  più 
misurata  e  più  rispettosa  verso  l' insigne  visitatore.  Ma  di  nuova 
luce  s'avviva  la  figura  di  Lucia,  che  non  ha  i  tentennamenti  della 
minuta,  né  fa  la  rivelazione  per  incitamento,  direi  quasi,  per  co- 
mando dell'  autorevole  interlocutore  e  commenta  il  picciol  fallo  con 
un'umiltà,  un  candore,  una  nobile  [compunzione  quali  può  sentire 
una  coscienza  —  diremo  con  Dante  —  «  dignitosa  e  netta  ».  Anche 
questo  luogo,  che  presenta  di  tanto  più  elevato  il  carattere  di  Lucia, 
conferma  come  il  Manzoni  ne  venisse  rimeditando  i  motivi  etici  con 
più  fine  e  pensosa  attitudine  nella  ricomposizione  psicologica  ed 
artistica.  E  c'è,  altresì,  nel  contegno  di  lei,  una  nota  quasi  nuova, 
certo  più  evidente  che  non  fosse  nella  prima  redazione.  Qui  ella  a 
quei  «  visacci  »  della  madre  titubava,  ricalcitrava:  era  una  debo- 
lezza d'  animo  mediocre,  che  offuscava  il  nativo  candore  di  Lucia  : 
era,  specialmente,  un'  irragionevole  soggezione  alla  madre,  dalla 
quale  aveva  pur  l'animo  di  dissentire  ne'  casi  di  coscienza  e  nelle 
deliberazioni  pensate  a  fin  di  bene,  come  quando  fece  di  sua  testa 
l'abbondante  elemosina  delle  noci  a  fra  Galdino  e  resistette  con  tanta 
tenacia  alla  proposta  del  matrimonio  di  sorpresa.  Questo  spirito  di 
onesta  fierezza  e  indipendenza,  quest'  avversione  ai  sotterfugi  e  alle 
dissimulazioni  sono  lumeggiati  così  nell'  una  come  nell'altra  reda- 
zione del  romanzo  ;  onde  quel  ricalcitrar  di  Lucia  nell'  interrogatorio, 
che  il  cardinale  le  fa,  sul  matrimonio,  era  una  manifestazione  d'in- 
coerenza psicologica  e  morale  del  carattere:  il  Manzoni,  ripensan- 
doci, rimutò  la  situazione  in  modo  che  Lucia  figura  non  solo  indi- 
pendente dalla  volontà  della  madre,  ma  rammaricata  del  parziale 
racconto  di  lei  e  franca  nel  secondare  gì'  impulsi  della  sua  ingenua 
coscienza.  Questa  è  la  vera  anima  di  Lucia,  semplice,  pura  e  fiera, 
che  il  Manzoni  veniva  effigiando  secondo  quell'  austera  ispirazione 
cristiana,  sempre  più  operosa  e  più  chiara,  in  cui  abbiam  visto  con- 
sistere la  genesi  sentimentale  del  carattere  di  questo  personaggio. 

C'era  nel  colloquio  nella  casa  del  curato  qualcosa  altro,  che  ci 
richiama  ad  osservare  l'anima  di  Lucia  rispetto  al  voto.  Ella  mani- 
festava il  proposito  di  rinunciare  al  matrimonio  ed  esprimeva  il  de- 


(1)  Prom.  sp.,  cap.  XXIV,  pp.  357-8. 


240  PARTE    TERZA 


siderio  di  farsi  conversa  in  un  monastero:  precipitosa  risoluzione, 
da  cui  lo  stesso  Federigo  la  sconsigliava  facendole  osservare  che, 
se  la  sua  promessa  a  Eenzo  era  stata  meditata  seriamente,  non  po- 
teva ritrarsene.  Era  la  seconda  volta  che  il  Manzoni  faceva  in- 
tervenire l'autorità  della  chiesa  nel  giudizio  suU'  indissolubilità'  di 
quella  promessa  (*)  ;  il  che  dovette,  poi,  essersi  accorto  essere  non 
solo  superfluo,  ,ma  nocivo  all'interesse  del  racconto  generale  de' 
fatti,  che  consigliava  di  tener  sospeso  l'animo  de'  lettori  fino  al- 
l'atto solenne  di  fra  Cristoforo  nel  lazzaretto.  E  «  Lucia  —  prose- 
guiva il  Manzoni  —  fu  tentata  più  d'una  volta  di  rivelare  il  voto, 
ma  una  vergogna  insuperabile  la  ritenne  »  (*).  Era  un'altra  sto- 
natura psicologica  e  una  sconvenienza  nello  sviluppo  drammatico 
della  scena.  Immaginare  che  Lucia,  quale  ci  era  rappresentata  nella 
prima  redazione,  piuttosto  dominata  dal  pentimento  del  voto  che 
non  rassegnata  all'  imperscrutabile  volere  della  Provvidenza,  fosse 
presa,  d'un  subito,  dal  mistico  desiderio  d'abbandonare  il  mondo 
e  sollecitasse  quasi  il  cardinale  ad  aiutarla  in  questo  adempimento; 
Lucia,  che  ne'  colloqui  con  la  madre  non  aveva  avuto  la  forza  d'aprire 
il  cuore  al  suo  gran  segreto,  immaginare  ciò  non  si  confaceva  né 
al  suo  stato  d'animo  né. al  suo  carattere  ritroso.  La  tristezza  amara, 
che  occupava  l'animo  suo,  non  giustificava  un  atteggiamento  così 
risoluto.  Per  dare  un  diverso  tono  al  colloquio  e  per  dipingere  in 
altro  modo  il  contegno  di  Lucia  il  Manzoni,  nel  porre  quel  dialogo 
come  avvenuto  nel  primo  incontro  del  cardinale  con  le  donne  in 
casa  del  sarto,  fa  raccontare  ad  Agnese  quel  poco  che  sapevano 
sul  conto  di  Renzo,  immaginando  «  zitta,  con  la  testa  e  gli  occhi 
bassi  »  Lucia,  che,  invece,  nella  prima  relazione,  doveva  sostenere 
un  interrogatorio  diretto  su  questo  per  lei  scabroso  e  doloroso  ar- 
gomento; cosicché  ella,  standosene  raccolta  e  pensosa,  mentre  la 
madre  parla,  non  ha  occasione  di  rivelare  troppo  il  suo  intimo 
affanno. 

È  assai  probabile  che  il  Manzoni  nella  redazione  primitiva  rap- 
presentasse a  quel  modo  Lucia  quando  il  cardinale  fa  cadere  il  di- 
scorso su  Renzo  e  sul  loro  avvenire,  per  colorire  l'animo  della  po- 
veretta, ^combattuta  dalla  memoria  del  voto,  per  dare,  insomma,  uno 
sviluppo  psicologico  e  drammatico  —  che  doveva  essere  uno  de' 
punti  principali  uel  piano  generale  del  suo  romanzo  —  ai  nuovi 
sentimenti  ed  affetti,  e  al  loro  contrasto  co'   vecchi.  E  che  il  Man- 


li) Sp.  prom.,  p.  419. 
(2)  Sp.  proni.,  p.  439. 


ROMANZO   IN   FORMAZIONE  241 


zoni  sentisse  la  convenienza  d'approfondire  l'analisi  variandola  di 
vive  scene  drammatiche,  appare  evidente  dal  lavorio  con  che  venne, 
attraverso  i  rifacimenti  dell'opera,  innovando  e  ampliando  codesta 
parte  che  si  riferisce  al  suo  personaggio.  Non  ha  espulso,  dunque, 
senz'altro,  come  superfluo,  quel  tratto  psicologico  del  dialogo  e  quel- 
l'accenno al  titubar  di  Lucia  sul  punto  di  rivelare  il  voto,  ma  li  ha 
trasferiti  ne'  colloqui  che  Lucia  ha  con  la  madre,  svolgendone,  con 
più  chiaro  intento,  i  motivi  e  gli  atteggiamenti  della  segreta  am- 
bascia. 

La  minuta  era  smilza  e  sbiadita  in  questa  parte.  Vedemmo  già  che 
descriveva  alla  lesta  il  primo  incontro  con  Agnese:  nel  romanzo,  inve- 
ce, i  caratteri  delle  due  donne  sono  sviluppati  con  larghezza  e  finezza 
nuove.  Lucia  interrompe  le  maledizioni  della  madre  contro  don  Ro- 
drigo, anzi  supplica  di  pregar  per  lui,  che  Iddio  gli  tocchi  il  cuore; 
è  una  pennellata  delicata,  onde  si  riverbera  una  soave  luce  di  ca- 
rità sulla  figura  dell'innocente  oppressa.  Quando  nel  racconto  affan- 
noso che  fa  della  sua  storia,  è  al  punto  del  voto,  resta  sospesa,  pel 
timore  che  la  madre  le  dia  della  precipitosa,  che  le  voglia  contrad- 
dire, o  se  ne  confidi  con  altri,  e  anche  per  «  una  ripugnanza  inespli- 
cabile a  entrare  in  quella  materia».  Quest'analisi  del  povero  cuore 
di  Lucia  è  ripresa  piti  innanzi,  in  quella  svelta  e  colorita  dipintura 
de'  discorsi,  tristi  e  affettuosi  insieme,  che  le  due  donne  fanno  di 
frequente  tra  loro  ne'  pochi  giorni  che  passano  nella  casuccia  ospi- 
tale del  sarto:  alle  allegre  congetture,  alle  belle  speranze  di  Agnese 
sul  conto  di  Renzo  e  sull'  avvenire  de'  due  promessi.  Lucia;  o  che 
ascolti  o  che  risponda,  ha  l'anima  in  pena;  ma  tiene  ancora  in  sé 
il  «  suo  gran  segreto  »,  cercando  prudentemente  di  mutar  discorso. 
«  I  suoi  disegni  —  dice  il  Manzoni  —  eran  ben  diversi  da  quelli 
della  madre,  o,  per  dir  meglio,  non  n'aveva  ;  s'  era  abbandonata  alla 
Provvidenza  »  (*).  È  questo  il  costante  motivo  psicologico  e  reli- 
gioso dal  quale  il  poeta,  nel  nobilitar  la  figura  morale  di  Lucia,  ne 
ha  svolto  tutto  l'intimo  dramma.  Tenerezza,  accortezza  e  dolore  fanno 
una  bell'armonia  in  quel  dire  vago  e  accorato  ch'ella  non  aveva 
«  più  speranza,  né  desiderio  di  cosa  di  questo  mondo,  tuorchè  di 
poter  presto  riunirsi  con  sua  madre  ».  Agnese  non  si  persuade  che 
la  figlia  non  pensi  più  nulla,  attribuisce  quello  stato  d'animo  sfidu- 
ciato all'amarezza  de'  patimenti  sofferti  e  la  incora  a  confidare  nella 
rinascita  delle  belle  speranze.  Lucia  non  risponde  che  coi  baci  e 
col  pianto. 


(1)  Prom.  sp.,  cap.  XXV,  p.  368. 


Busetto  —  16 


242       ,  PARTE   TERZA 


Questa  efficace  dipintura  dell'umor  speranzoso  di  Agnese,  della 
raccolta  tristezza  di  Lucia,  che  è  uno  de'  piti  bei  saggi  dello  stile 
lucido,  pacato  e  armonioso  del  Manzoni,  si  ricompone,  rinnovellata 
nello  spirito  e  nella  forma,  di  su  pochi  tratti  della  minuta,  che  era- 
no le  meste  parole  dette  da  Lucia  al  cardinale,  quando  questo  la 
interrogò  circa  i  suoi  propositi  per  l'avvenire,  i  brevi  cenni  alla 
gaiezza  di  Agnese  nel  tornare  al  suo  paese  insieme  con  la'  figlia  e 
lo  stupore  sospetto  e  curioso  ond'  ella  era  colpita  per  «  la  nuova 
rassegnazione  di  Lucia  all'  assenza  del  suo  promesso  sposo  »  nel 
trattar  con  la  figlia  del  modo  di  disporre  de'  dugento  scudi  donati 
dall'Innominato  alla  giovane,  che  proponeva  d'inviarne  una  metà 
a  Renzo.  Ma  questi  non  erano  che  tentativi  d'arte  rudimentale,  ab- 
bozzaticci grezzi:  il  Manzoni  non  solo  ha  svolto,  ma  ha  addirittura 
con  nuovo  vigore  d'  osservazione  rifatto  lo  studio  e  il  ritratto  de' 
sentimenti  e  degli  affetti. 

È  questo  uno  de'  casi  più  notevoli  che  sieno  nel  romanzo,  di  ri- 
costruzione psicologica  e  di  rifusione  fantastica;  e  mette  conto  esa- 
minarlo attentamente  quale  documento  cospicuo  del  modo  come 
venne  compiendosi  la  formazione  artistica  de'  Promessi  sposi.  Il 
Manzoni  nella  prima  redazione  non  aveva  concepito  in  tutta  la  sua 
estensione  e  profondità  l'intimo  conflitto  di  Lucia:  ne  aveva  fatto 
una  descrizione,  alquanto  diffusa  e  turbata  da  elementi  superflui  o, 
come  vedemmo  inopportuni,  ritraendo  Lucia  raccolta  a  pensare  a' 
casi  suoi  in  una  stanza  appartata  nella  casuccia  del  sarto  ;  poi,  di 
tanto  in  tanto,  l'autore  ce  lo  rappresentava  di  scorcio  alla  brava, 
secondo  le  circostanze  del  racconto,  ma  in  modo  frammentario,  di- 
scontinuo, occasionale,  senza  nuovi  sviluppi,  ricorrendo  di  rado  al 
sapiente  uso  de'  dialoghi,  che  rivelano  i  sentimenti  e  le  loro  sfu- 
mature in  azione.  De'  colloqui  con  la  madre  non  ne  tratteggiava 
che  uno,  ove  i  contrari  affetti  venissero  messi  alla  prova  e  appa- 
risse lumeggiato  con  qualche  vivezza  il  penoso  stato  di  Lucia:  ed 
era  quello,  già  rammentato,  che  s'accendeva  tra  loro  a  proposito 
degli  scudi  d'oro  da  dividere  con  Renzo.  Dopo,  non  c'era  più  nulla 
nella  minuta,  nemmeno  qualche  tratto  patetico,  che  non  sarebbe 
stato  male  appropriato  per  descriver  la  separazione  di  Lucia  dalla 
madre,  quand'ella  era  C9nsegnata  in  custodia  a  donna  Prassede. 
Più  addietro  il  primo  incontro  con  la  madre  non  era  figurato  in 
dialogo  vivo,  ma  affrettatamente  descritto  :  poi  seguiva  un'  altra 
descrizioncella  del  loro  viaggio  da  Chiuso  al  paese,  nella  quale  era 
figurata  Agnese  più  loquace  del  solito,  e  «  la  sua  gioia  pel  ritorno 
trionfale,  la  gioia  di  ricondurre   salva  a  casa  la   figlia  da  tanti  pe- 


IL    ROMANZO   IN   FORMAZIONE  243 

ricoli,  quella  d'esser  divenuta  conoscenza  di  Monsignore  illustrissimo, 
l'aspettazione  dell'accoglimento  che  le  farebbero  i  parenti,  i  cono- 
scenti, tutti  i  paesani  »  ;  e  in  contrapposizione  a  questi  «sentimenti 
espansivi   e   distinti»  della  madre,   s'accennava  ai  «  sentimenti  di 

Lucia misti,    intralciati,    ripugnanti;....   di   quelli,    sui   quali  la 

mente  s' appoggia  con  una  insistenza  dolorosa,  per  distinguerli  e 
dominarli,  di  quei  sentimenti  che  non  cercano  di  essere  comunicati, 
né  trovano  ancora  la  parola,  che  li  rappresenti»  (^).  Quest'ultimo 
scorcio  d'analisi  non  è  senza  valore  per  l'acume  con  cui  è  colto  nel 
vivo  quel  particolare  rammarichio,  quella  confusa  oppressione  morale 
di  Lucia,  ma  non  è  piti  che  una  sbozzatura  di  primo  getto,  che 
pare  aspetti  dalla  mano  esperta  dell'artefice  precisione  e  sicurezza 
di  linee  e  di  rilievi,  armonia  di  luci  e  colori.  Il  tornar  tumultuoso 
delle  memorie  e  delle  commozioni  contrastanti  tra  loro  s' intrecciava 
alle  impressioni  di  Lucia  nel  riveder  la  sua  casa  e  le  care  cose  do- 
mestiche. Era  una  situazione  bene  indovinata  e  ritratta  con  discreta 
evidenza  fantastica.  «  Rivedeva  ella  la  sua  casa,  quella  dove  aveva 
passati  tanti  anni  tranquilli,  clie  aveva  tanto  desiderato  e  sì  poco 
sperato  di  rivedere;  ma  quella  casa,  che  non  era  stata  per  lei  un 
asilo,  quella  casa  dove  aveva  data  una  promessa,  che  non  credeva 
di  poter  piìi  attenere,  dove  aveva  tante  volte  fantasticato  un  avve- 
nire, divenuto  ora  impossibile  ».  Ritiratasi  nella  sua  stanza,  «  dopo 
aver  ringraziato  Dio  dell'averla  ricondotta  quivi  oltre  e  contra  la 
speranza,  si  mise  a  rivisitare  tutte  le  sue  masserizie,  come  per  pro- 
vare se  potesse  ricominciare  la  sua  vita  passata;  ma  non  v'era  og- 
getto nella  casa,  non  v'era  angolo,  al  quale  non  fossero  associate 
idee  divenute  dolorose  e  ripugnanti.  Lucia  prese  come  macchinal- 
mente il  suo  arcolaio,  e  sedette  a  dipanare  la  matassa  di  seta,  che 
aveva  lasciata  a  mezzo,  quando  Fermo  venne  a  pigliarla  per  la 
spedizione  del  matrimonio  clandestino  »,  È  codesta  una  pittura  viva 
e  chiara,  a  cui  qualche  pili  gagliardo  rilievo,  qualche  nuovo  linea- 
mento  piìi  agile  e  un  po'  di  colore  avi-ebbero  data  l'immediatezza 
e  r  efficacia  d'un  piccolo  capolavoro  :  eppure  il  Manzoni  le  die'  ri- 
solutamente un  frego,  riducendola  a  un  cenno  lì  dove  dice  che  le 
festose  e  premurose  accoglienze  de'  compaesani  la  distraevano  «  al- 
quanto da'  pensieri  e  dalle  rimembranze,  che,  purtroppo,  anche  in 
mezzo  al  frastono,  le  si  risvegliarono,  su  queir  uscio,  in  quelle  stan- 
zucce,  alla  vista  d'ogni  oggetto  »  (^). 


(1)  Sp.  protri.,  pp.  434-5. 

(2)  Sp.  prom.,  pp.  435,  436;  Pì'om.  sp.,  cap.  XXV,  p.  373. 


244  PARTE    TERZA 


Il  motivo  di  questa  soppressione   quasi  totale  di  un  patetico  epi- 
sodio,  che  serviva  a   illuminare   la   interna   lotta   di   Lucia,  risulta 
dallo   stesso   principio   di  radicale   trasformazione,  a  cui  andò  sog- 
getta tutta  la  parte  del  romanzo  che  comprende  la  vita  e  i  casi  di 
Lucia  dopo  la  liberazione  fino  a  quando  ritorna  in  iscena  nell'  ina- 
spettato incontro  con  Renzo  nel  lazzaretto.  Il  Manzoni  nelle  pagine 
precedenti  —  come  già  ho  fatto   vedere  —  aveva   tratteggiato  con 
ricchezza  d'osservazioni  e  di  mezzi  artistici  lo  stato  morale  di  Lucia; 
e  a  questo  riservava  nuove  analisi  acute   nel   seguito  del  racconto, 
nella  scena,  cioè,  della  rivelazione  del  voto,  fatta  alla  madre,  e  ne' 
frequenti  dibattiti  penosi  che  la  poveretta  avrebbe  avuto  con  donna 
Prassede.  Materiale,  dunque,  già  artisticamente   evolto  o  pronto  ad 
essere  svolto,  ce  n'era,  al  fine  di   dare   una  compiuta  rappresenta- 
zione di  quel  grande  affanno  morale  conforme  la  concezione  sempre 
più  chiara  e  profonda  che   se  ne   veniva  formando  nella  coscienza 
del  poeta  cristiano  durante  il  processo  di  elaborazione  della  sostanza 
etico-religiosa  e  delle  forme  artistiche  del  romanzo.  E  poi,  se  quella 
breve  descrizione  del   ritorno   nella   casetta  paterna  con  le  rimem- 
branze domestiche  e  i  tristi  pensieri,  nati   dallo  stato  presente,  era 
d' ispirazione  gentile,  e  di  non  volgare  efficacia  rappresentativa,  en- 
trava —  a  vero  dire  —  nel  repertorio  usuale  delle  rappresentazioni 
romantiche,  pallidamente  fiorite  dal  sentimentalismo  di  moda;  aveva 
anzi,  nella  forma  ancora  alquanto  grezza   del   primo  getto,  un  non 
so  che  di  patetico,  di  mollemente  melanconico,  che  forse  non  piacque 
più  al  Manzoni  nel  tornare  sull'  opera   sua   con  più  sicuri  intenti  e 
con  rinvigorite  attitudini   a   sostituire   al   pittoresco  appariscente  la 
naturalezza  che  rende   con   più  chiara   luce  il   reale,  a  foggiare  le 
immagini  della  fantasia  in  forme  d'arte   temperate,  composte,  clas- 
sicamente armoniose.  Il  Manzoni   ha   rielaborato,  dicevo,  profonda- 
mente codesta  parte  che  illustra  l'animo  di  Lucia.  Ecco,  infatti,  fin 
dal  primo  trovarsi  con  la  madre,   la    caritatevole  sollecitudine  del- 
l' altrui  bene,  che  è  la  forma  sostanziale   del   suo   carattere,  espan- 
dersi nell'ansia  per  la   sorte   di   Renzo   e   nel   giubilo   per  la   sal- 
vezza   di    lui.    E   cerca    di    cambiar    discorso.    Ferma   nel    recente 
proponimento  di  tenersi  austeramente  al  voto,  assume  un  atteggia- 
mento congruo  all'animo  sollevatosi  dalla  lotta  interna:  non  la  preoc- 
cupa che  la  salvezza  dello  sposo,  da  lei  sicuramente  tenuto  per  in- 
nocente, non  la  lontananza.  In  quei  «  loro  discorsi  tanto  più  tristi, 
quanto  più  affettuosi  »  che  fanno   in   casa  del   sarto,  vedemmo  già 
com'  ella  «  disegni  suoi  propri  »  non  ne  avesse,  e  vivesse  abbando- 
nata alla  Provvidenza,  in  quello   stato   d'  animo,  più  piamente  rac- 


IL    ROMANZO   IN   FORMAZIONE  245 

colto,  che  è  subentrato  in  lei  allo  sgomento  del  voto.  È  quel  fecondo 
motivo  religioso,  posto  dal  Manzoni  con  affatto  nuova  evidenza  ad 
operare  fra  i  sentimenti  di  Lucia,  che  si  svolge  e  influisce  e  di  sé 
colorisce  tutte  le  scene,  in  cui  il  poeta  viene  sviluppando  il  forte 
dramma  di  quell'anima  combattuta  tra  l'amore  e  il  dovere. 

Vili.  Veniamo  alla  grande  scena  della  rivelazione  del  voto. 

Agnese,  tutta  giuliva  ed  espansiva  pei  cento  scudi  d'oro  dell'In- 
nominato, s' abbandona  a  quella  mirabile  parlata  che  esamineremo 
a  suo  luogo,  facendo  i  più  bei  progetti  per  l'avvenire:  di  discorso 
in  discorso  viene  a  dire  che  il  matrimonio  si  sarebbe  potuto  fare 
anche  in  altro  luogo  fuori  del  loro  paese,  ch'ella  sarebbe  andata  a 
Milano  a  rilevar  la  figlia.  Lucia  non  s'anima  a  que'  bei  disegni, 
anzi,  vieppiù  s'accora,  non  dimostrando  «che  una  tenerezza  senza 
allegria  »  ;  allo  stupor  di  Agnese  che  lascia  a  mezzo  il  discorso, 
non  fa  che  esclamare:  «  Povera  mamma  »  !  e  gettarle  un  braccio 
al  collo,  «  nascondendo  il  viso  nel  seno  di  lei  »  ;  alle  sollecitazioni 
della  madre  ansiosa  di  sapere  la  verità,  chiestole  di  compatirla,  per 
non  averle  confidato  il  suo  doloroso  segreto,  «  col  capo  basso,  col 
petto  ansante,  lacrimando  senza  piangere,  come  chi  racconta  una 
cosa  che,  quand'anche  dispiacesse,  non  si  può  cambiare,  rivela  il 
voto;  e  insieme  giungendo  le  mani,  chiede  di  nuovo  perdono  alla 
madre,  di  non  aver  parlato  fin  allora;  la  prega  di  non  ridir  la  cosa 
ad  anima  vivente,  e  d'  aiutarla  ad  adempire  »  la  solenne  promessa. 
Al  dialogo,  che  è  un  capolavoro  di  pittura  psicologica  e  di  rappre- 
sentazione drammatica,  s'alternano,  rilevate  in  isvelti  lucidi  scorci, 
le  commozioni  varie  di  Agnese  e  di  Lucia  che  torna  a  dipinger, 
«  co'  più  vivi  colori  quella  notte,  la  desolazione  così  nera,  e  la  libe- 
razione così  impreveduta,  tra  le  quali  la  promessa  era  stata  fatta, 
così  espressa,  così  solenne  ».  Poi  1'  accorato  colloquio  si  ravviva  con 
le  sublimi  parole  di  Lucia,  piene  della  speranza  nell'aiuto  divino  e 
del  desiderio  di  tornar  con  sua  madre,  rievocanti  in  confuso  le  me- 
morie dell'orribile  giornata  del  ratto,  tenere  di  devota  meraviglia 
d'  aver  avuta  la  salvezza  e  la  libertà  proprio  da  colui  che  l' aveva 
comandato  ;  si  acuisce  in  accenti  di  rassegnazione,  di  fede,  di  carità, 
quando,  alla  domanda  di  Agnese:  «E  Renzo»?  Lucia  «  riscoten- 
dosi  »  esclama  di  non  doverci  pensare  più  «  a  quel  poverino  » ,  di 
aver  accettato  come  un  provvedimento  sapiente  di  Dio  la  loro  se- 
parazione, e  s'augura  che  Iddio  stesso  l'abbia  preservato  «da  peri- 
coli »,  e  che  «  lo  farà  esser  fortunato  anche  di  più,  senza  di  lei  ». 
Lucia  domina  il  commovente  colloquio:  lei  incora  la  madre  ad  ac- 


246  PARTE   TERZA 


cogliere  «  di  buon  animo  »  la  «  volontà  »  del  Signore,  raccoman- 
dandosi alle  sue  preghiere;  lei  le  suggerisce  di  far  sapere,  in  qualche 
modo,  a  Renzo  il  voto,  persuadendolo  a  mettere  «  il  cuore  in  pace»  ; 
lei,  con  mal  frenata  angoscia,  la  prega  che,  quando  avesse  nuove 
di  lui,  le  facesse  sapere  che  è  sano,  e  poi  non  le  facesse  piti  saper 
nulla. 

Ancora  un  ultimo  tocco  di  tenera  carità,  in  cui  trepidano  i  fug- 
gitivi ricordi  di  un  soave  passato  e  la  segreta  voce  dell'amore  ab- 
battuto, ma  non  estinto;  ed  è  quei  pregare  vivace  e  insistente  che 
dei  cento  scudi  Agnese  facesse  mezzo  per  uno  con  Renzo,  per  risar- 
cirlo de'  patimenti  e  de'  danni,  che  non  gli  sarebbero  accaduti,  se  — 
dice  Lucia  con  abnegazione  infinita  —  «  non  avesse  avuto  la  disgrazia 
di  pensare  a  me  ». 

Agnese  accondiscende,  e  Lucia  la  ringrazia  —  osserva  in  tono 
tra  il  serio  e  1'  arguto  il  Manzoni  —  «  con  una  gratitudine,  con  un 
affetto,  da  far  capire  a  chi  l'avesse  osservata,  che  il  suo  cuore  fa- 
ceva ancora  a  mezzo  con  Renzo,  forse  più  che  lei  medesima  non 
lo  credesse  »  (*).  Questo  dialogo  è  ricco  di  bellezze,  talune  delle 
quali  non  sono  sfuggite  all'attenzione  de'  commentatori  ('). 

Che  cosa  c'era  nella  prima  stesura  ?  Mancava,  intanto,  la  rivela- 
zione del  voto,  che  ha  una  parte  essenziale  nella  nuova  scena;  del 
colloquio  eravi  riportata  in  forma  diretta  soltanto  ciò  che  le  donne 
si  dicono.  Lucia  per  persuader  la  madre  a  dividere  il  dono  degli 
scudi  d'oro,  (eran  dugento  nel  primo  testo)  con  Renzo,  che,  secondo 
lei,  ne  doveva  aver  bisogno,  Agnese  per  osservarle  che  glieli  avrebbe 
portati  in  dote  qu  indo  fosse  tornato,  meravigliandosi  che  Lucia  pa- 
resse rassegnata  alla  lontananza  dello  sposo.  In  forma  narrativa, 
poi,  s'accennava  all' acconseiitimento  di  Agnese  e  a'  suoi  tentativi 
per  veder  chiaro  in  quel  contegno  rassegnato  della  figlia.  «  Agnese 
era  rimasta  colpita  —  scriveva  il  Manzoni  —  di  quella  nuova  ras- 
segnazione di  Lucia  all'assenza  del  suo  promesso  sposo,  e  non  lasciò 
di  tentarla  con  interrogazioni,  dirette,  tortuose,  incalzanti,  subdole 
per  venirne  all'acqua  chiara.  Lucia  però  seppe  per  allora  e  per 
qualche  tempo  schermirsi  dal  soddisfare  alla  curiosità  materna,  al- 
legando sempre  che  era  inutile  il  pensare  a  cose,  che  le  circostanze 
rendevano  impossibili  »  (^). 

Con  la  rivelazione  del  voto,  che,  come  vedremo  fra  poco,  il  Man- 
zoni ha  pensato  di  togliere  dal  colloquio   di   Lucia  con   Renzo  nel 


(1)  Prom.  sp.,  cap.  XX vi,  pp.  384-7. 

(2)  V.,  fra  altri,  G.  Negri,  Commenti  cit.,  pp.  190-203. 

(3)  Sp.  prom,.,  pp.  460-1. 


IL    ROMANZO   IN   FORMAZIONE  247 

lazzaretto  per  farla  avvenire  ora  nella  scena  della  separazione  dalla 
madre,  questa  è  venuta  a  tramutarsi  profondamente:  lo  spirito  de' 
motivi,  onde  si  svolge,  è  diverso;  sono  approfonditi  con  nuovo  vi- 
gore psicologico  ed  efiicacia  drammatica  i  caratteri,  compenetrati 
essi  e  i  loro  discorsi  d'una  spiritualità  nuova,  di  un  nuovo  senso 
di  carità  e  di  rassegnato  dolore.  Lucia  nel  primitivo  colloquio,  a 
sentir  la  madre  accennare  alle  nozze,  aveva  un  sospiro  e  le  diceva: 
«  Non  parliamo  di  queste  cose,   mamma,    non  ne  parliamo.   Se   Dio 

avesse  voluto ah!  le  cose  non  sarebbero  accadute  a  quel  modo. 

Non  era  destinato  che   fossimo non    ci   pensiamo   per   carità  ». 

La  madre  incalzava:  «  Ma  s'egli  torna  »  ;  e  Lucia,  che  già  l'aveva 
pregata  di  cercar  di  fare  avere  una  metà  degli  scudi  a  Renzo,  sog- 
giungeva: «  lontano,  è  profugo,  ramingo ah!  c'è  altro  da  pen- 
sare: forse  egli  stenta,  forse  non  ha  pane  da  mangiare.  Forse  con 
questo  aiuto,  egli  potrà  collocarsi  ben  alti-ove,  farsi  un  avviamento, 

uno  stato ».  E  Agnese:  «  Ohe!   tu  non   pensi   più  a  lui? »; 

al  che  Lucia  rispondeva  <  in  fretta  »  :  «  Penso  a  toglierlo  d'  an- 
gustia, e  di  bisogno.  Questo  lo  possiamo  fare,  al  resto  provvederà 
Iddio  ». 

Questo  breve  dialogo,  se  si  tolga  qualche  sciatteria  e  ingenuità  di 
stile,  non  difettava  di  vigore  poetico,  che  prenunziava  il  grande 
colloquio  dell'  ultima  redazione  :  del  quale,  se  non  aveva  il  dram- 
matico senso  religioso,  svolgeva  tuttavia  uno  degli  elementi  essen- 
ziali della  situazione,  questa  mal  dissimulata  lotta  di  Lucia  tra 
l'amore  e  il  proposito  di  tener  fermo  al  voto  fatto.  Ma  certamente 
lo  spirito  era  un  altro:  la  lontananza,  senza  evidente  probabilità  di 
ritorno,  del  fidanzato  fuggiasco,  era  il  lecito  motivo  della  scena  pri- 
mitiva: da  esso  traeva  argomento  Lucia  a  convincersi  e  a  convincere 
Agnese  che  era  destino  non  si  maritassero  ;  ora  si  faceva  forte  per 
immaginarlo  in  «  .bisogno  »,  in  «  angustia  »  e  per  rivolgere  alle  stret- 
tezze di  lui  il  pensiero  suo  e  quel  della  madre,  e  la  loro  apprensione; 
era  una  mirabile  movenza  dello  spirito  affannato  di  Lucia:  —  che 
s'aveva  a  pensare  pel  momento?  a  toglierlo  dalla  miseria,  a  ridargli, 
col  proprio  aiuto,  il  modo  di  rifare  il  suo  stato.  —  V'era  nelle  pa- 
role di  Lucia  della  premura,  della  carità,  forse  dell'amore;  ma  que- 
sto atteggiamento  a  lei  giovava  per  salvaguardarsi  dalla  rivelazione 
del  voto,  per  evitare  d'impegnarsi  a  fondo  nel  parlare  de'  suoi 
turbati  sentimenti.  La  lontananza  di  Renzo  era  lo  schermo,  dietro 
cui  Lucia  nascondeva  il  segreto  del  voto  affannandosi  a  persuadere 
sé  stessa  e  la  madre  che  era  vano  pensare  al  matrimonio  :  il  mo- 
tivo, dunque,   generatore   del    breve   dialogo  tra  le   due  donne  era 


248  PARTE   TERZA 


essenzialmente  psicologico.  Nel  colloquio,  invece,  dell'  ultima  reda- 
zione il  motivo  è  essenzialmente  morale,  come  quello  che  scaturisce 
dalla  coscienza  dell'inviolabilità  del  voto  rivelato.  Ne  è  compresa 
Agnese  stessa,  che  non  trova  più  argomenti  da  ribattere  alla  figlia. 
Che  cosa  ha  fatto  il  Manzoni  nel  rielaborare  codesta  scena?  Ha  ri- 
fusa e  ampliata  la  parte  dialogica  del  primo  testo  e  ne  ha  rimutata 
radicalmente  la  situazione  drammatica,  col  sostituire  al  contrasto  tra 
Agnese,  che  spende  tutto  il  suo  ingegno  per  far  parlare  chiaro  la 
figlia,  e  questa  che  se  ne  schermisce,  una  scena  di  dolore,  di  ras- 
segnazione religiosa,  di  carità  cristiana,  nella  quale  la  tempra  mo- 
rale di  Lucia  splende  in  tutta  la  sua  bellezza  dolce  e  austera.  E 
noto  che  nella  primitiva  concezione  Lucia,  la  quale  era  riuscita  a 
tener  celato  il  voto  alla  madre,  non  poteva  fare  a  meno  d'aprire  il 
suo  segreto  a  Renzo,  quand'ei  la  ritrovava  nel  lazzaretto.  Su  questa 
scena  dovremo  tra  poco  fermare  la  nostra  attenzione  ;  pertanto  giova 
osservare  che  l'avere  il  Manzoni  trasformato  così  profondamente  il 
racconto  nel  punto  che  veniamo  ora  esaminando,  non  è  stato  senza 
forti  ragioni.  Noto,  anzitutto,  che  il  colloquio  descritto  nella  minuta 
non  era  un  colloquio  d'addio,  qual  è  al  contrario  quello  dell'ultima 
redazione,  nella  quale  vediamo  Agnese  che  va  alla  villa  di  donna 
Prassede  per  abbracciare  la  sua  Lucia,  prossima  a  partire  per  Milano 
con  la  nobile  signora,  e  leggiamo,  prima  dell'incontro  delle  due 
donne,  che  in  quanto  al  voto  la  giovane  «  era  risoluta  di  farsi  forza, 
e  d'  aprirsene  con  la  madre  in  quell'abboccamento,  che  per  lungo 
tempo  doveva  chiamarsi  l'ultimo  »,  Non  ci  sfuggano  e  codesto  nuovo 
rilievo  dato  dal  Manzoni  alla  deliberazione  di  Lucia  e  le  circostanze 
diverse  in  cui  egli  immagina  avvenuto  il  colloquio  nella  prima  e 
neir  ultima  stesura.  L'  «  inaspettata  fortuna  »  di  que'  begli  scudi 
d' oro  è  in  ambedue  i  testi  argomento  de'  loro  discorsi  e  la  pre- 
ghiera che  Lucia  rivolge  alla  madre  di  mandarne  una  metà  a  Renzo 
ha  parimente  luogo  nell'uno  e  nell'altro.  La  differenza  grande  è 
nel  resto,  e  nel  modo  stesso  come  il  motivo  del  dono  è  svolto  e 
s' intreccia  alle  altre  parti  del  colloquio. 

Questo  nella  forma  primitiva  fa  l'impressione  d'essere  una  ripresa 
e  uno  svolgimento  de'  discorsi  fatti  tra  le  due  donne  al  primo  ri- 
vedersi in  casa  del  sarto  e  che  l'autore  aveva  indirettamente  e  suc- 
cintamente riferito  ;  anzi  ne'  sentimenti  e  nelle  parole  di  Lucia 
s'intravede  quell'aria  di  titubanza  e  di  circospezione  che  il  Manzoni 
con  aperta  e  chiara  analisi  descriverà  nella  scena  del  primo  incontro 
delle  due  donne,  quale  usci  rinnovellata  dalla  matura  elaborazione 
dell'episodio.  Cosicché,  riflettendo  sull'intenso  lavoro  esercitato  dal- 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  249 

l'autore  attorno  a  questa  parte  del  suo  romanzo,  io  scorgo  —  se 
non  m' inganno  —  un  processo  iniziale  di  scomposizione,  quindi 
una  ripresa  di  svolgimento  psicologico  e  drammatico  e  di  ricompo- 
sizione artistica  nuova.  Di  ciò  che  costituiva  la  materia  del  secondo 
colloquio,  la  parte  in  cui  era  rappresentata  l'apprensione  di  Lucia 
di  tener  segreto  il  voto  si  separa  dai  tratti  in  cui  erano  descritte 
l'angustia  per  la  sorte  di  Renzo,  la  premura  di  dividere  con  lui  il 
dono  dell'  Innominato  e  l'ansiosa  curiosità  della  madre  ;  questi  tratti 
ricompaiono  alcuni  sobriamente  scorciati,  altri  svolti  e  lumeggiati 
di  più  delicata  poesia  nell'ultimo  colloquio  della  separazione;  mentre 
quella  parte  è  stata  rifusa  nella  descrizione  del  primo  colloquio, 
donde  è  venuta  fuori  una  pittura  tutta  nuova  di  Lucia,  così  guar- 
dinga nel  nascondere  alla  madre  la  circostanza  del  voto. 

A  questo  punto  la  questione,  già  da  altri  trattata,  sulla  diversità 
che  offrono  la  prima  e  l'ultima  stesura  del  romanzo  circa  la  rivela- 
zione del  voto  mi  suggerisce  alcune  considerazioni,  con  le  quali  mi 
aprirò  la  via  a  rivedere  l'episodio  dell'incontro  con  Renzo  nel 
lazzaretto.  A.  Momigliano,  più  di  dieci  anni  or  sono,  in  un  suo 
studio  condotto  con  l' usato  acume  e  buon  gusto  intorno  la  scena 
della  rivelazione  del  voto,  si  faceva  a  dimostrare  che  nel  ritardare 
questa  rivelazione  sino  all'incontro  con  Renzo  non  ci  sarebbe  stata 
inverosimiglianza,  dopo  che  il  Manzoni  aveva  nel  testo  definitivo 
fatto  interrompere  il  primo  colloquio  di  Lucia  con  la  madre  dalla 
venuta  del  cardinale,  aveva  soppresso  un  brano  inedito,  poi  can- 
cellato, in  cui  Renzo  (ovverosia  Fermo)  si  domandava  perchè  Lucia 
non  venisse  a  lui  per  sposarlo  e  gli  mandasse  invece  la  metà  degli 
scudi  dell'  Innominato,  e  aveva  evitato  il  colloquio  tra  Fermo  e 
Agnese  durante  la  peste.  «  Le  tre  modificazioni  —  osservava  —  fu- 
rono fatte,  ma  non  ritardarono  la  rivelazione  »  ;  così  eliminata  la 
questione  principale,  quella  dell'inverosimiglianza,  vedeva  la  vera 
ragione  del  rimutamento  in  un  canone  estetico-morale  che  avrebbe 
consigliato  il  Manzoni  ad  evitare  il  «  colpo  di  scena  » ,  il  contrasto 
d'amore  »  la  scena,  insomma,  troppo  pittorescamente  drammatica, 
qual'è  quella  che  offriva  la  prima  stesura  nel  descrivere  la  rivela- 
zione del  voto  fatta  da  Lucia  direttamente  a  Renzo  (^).  Il  ragio- 
namento e  gli  argomenti  del  Momigliano  sono  sagaci  e  nel  motivo 
eh'  egli  addita,  chi  veramente  abbia  un  concetto  esatto  dell'  arte 
manzoniana,  può  convenire. 


(1)  A  Momigliano,  La  rivelazione  del  voto  di  Lucia,  in  Giorn.  stor.  d.  leti,  ital., 
L,  pp.l21  e  123. 


250  PARTE   TERZA 


Nel  riprendere  in  esame  codesta  questione,  credo  opportuno  di 
ricercare,  sulla  scorta  della  minuta,  se  l'anticipata  rivelazione  alla 
madre,  oltre  che  dalla  rag-ione  sostenuta  dal  Momigliano,  non  fosse 
suggerita  da  altri  motivi  e  se  veramente  dovesse  parere  allo  stesso 
Manzoni  non  essere  punto  inverosimile  che  «  la  madre  ignorasse  le 
ragioni  della  condotta  d'una  figliuola  che  non  le  nascondeva  mai 
niente  »  (*).  A  proposito  de'  sentimenti  di  Lucia  nel  raccontare  alla 
madre  la  sua  terribile  peripezia,  non  è  senza  importanza  un  parti- 
colare, affatto  nuovo  nell'ampio  svolgimento  dell'ultima  redazione, 
che,  cioè,  ella  nel  nasconderle  la  circostanza  del  voto,  si  proponeva 
«  di  farne  prima  la  confidenza  al  padre  Cristoforo  ».  Ma  il  buon 
frate  «non  c'era  piii  »:  «  era  stato  mandato  in  un  paese  lontano 
lontano  ».  La  prima  stesura,  che  in  questa  parte  relativa  ai  senti- 
menti e  alla  vita  di  Lucia  dopo  la  liberazione,  è  veramente  un  rac- 
conto frettolosamente  abbozzato  e  lacunoso,  non  aveva  alcun  cenno 
a  fra  Cristoforo;  ma  era  strano,  anzi  inverosimile,  che  Agnese  e 
Lucia  nel  discorrer  di  tante  cose  tristi  non  capitassero  a  parlare 
del  loro  protettore.  Pare  che  il  Manzoni,  dopo  aver  raccontate  le 
brutte  nuove  che  Agnese  aveva  ricevuto  al  convento  di  Pescarenico, 
si  dimenticasse  affatto  del  povero  frate  fino  all'incontro  di  lui  con 
Renzo  nel  lazzaretto.  Era  dunque  ovvio  che  nel  rivedere  e  correg- 
gere l'opera  sua,  il  Manzoni  sentisse  la  convenienza  di  far  che  Lucia 
chiedesse  notizie  del  padre;  onde  viene  ampiezza,  varietà  e  genti- 
lezza nuova  al  colloquio  e  risalta  la  devota  premura  di  Lucia. 

Ma  non  è  meno  importante  dell'aggiunto  proposito,  ch'ella  fa  tra 
sé  stessa,  di  confidare,  prima  che  ad  altri,  il  suo  segreto  a  fra  Cri- 
stoforo, la  dolorosa  disillusione  di  non  poterlo  piti  fare;  poiché, 
venuta  a  mancare  codesta  buona  ragione  per  nascondere  alla  madre 
il  voto.  Lucia  troverà  meno  forza  per  resistervi,  e,  necessitata  dalle 
circostanze,  in  un  momento  di  accorata  tenerezza,  riverserà  nel 
cuore  di  lei  il  delicato  segreto.  Tutto  ciò  è  affatto  coerente;  risponde, 
anzi,  alla  logica  de'  sentimenti;  mentre  era,  nella  minuta,  illogico 
il  contegno  di  Lucia  verso  la  madre,  dalla  quale  si  separava  una 
seconda  volta  senza  confidarle  nulla,  senza  avere  nemmeno  la  giu- 
stificazione del  confermato  proponimento  di  aprirsene  col  frate.  Di 
conseguenza  io  propendo  a  credere  che  al  Manzoni  non  paresse  più 
verosimile  la  riservatezza  di  Lucia  rispetto  alla  madre  al  momento 
di  lasciarsi  chissà  per  quanto  tempo,  massime  dopo  ch'ella  aveva 
perduta  la  speranza  di  confidarsi  prima  col  buon  frate;  gli  paresse, 


(1)  Op.  cu.,  p.  121. 


IL   ROMANZO    IN   FORMAZIONE  251 

per  contro,  derivar  necessariamente  dalle  circostanze  stesse  e  dallo 
stato  d'animo  di  Lucia  nel  doloroso  momento  della  separazione 
ch'ella,  «  quantunque  non  le  fosse  diminuita  quella  gran  ripugnanza 
a  parlar  del  voto  »,  risolvesse  d'aprirsene  con  la  madre.  La  succes- 
sione de'  casi,  il  sopravvento  de'  nuovi  sentimenti  e  delle  nuove 
apprensioni  portavano  inesorabilmente  alla  rivelazione  nella  scena 
del  commiato;  il  Manzoni  nel  circostanziarla  con  quel  sapiente  cenno 
a  fra  Cristoforo,  che  già  indebolisce  le  opposte  ragioni  del  riserbo, 
col  vivo  e  quasi  nuovo  svolgimento  dell'  ultimo  colloquio,  in  cui  è 
la  foga  stessa  d'Agnese,  nel  far  tanti  bei  progetti  per  l'avvenire, 
che  trascina  Lucia,  in  un  abbandono  di  dogliosa  tenerezza,  a  sve- 
lare il  segreto,  lascia  intendere  com'egli  sentisse  l'opjioi'tunità,  -per 
non  dire  la  convenienza  psicologica,  di  quella  rivelazione.  In  ciò 
—  a  mio  avviso  —  consiste  la  ragione  principale  del  mutamento 
operato  dalla  prima  all'ultima  stesura. 

Ma  e'  è  qualche  altra  considerazione  da  fare.  Il  Manzoni  nel  la- 
vorare al  riordinamento  generale  del  racconto  dovette  avvertire  che 
troppo  gramo  e  lacunosa  era  quanto  aveva  scritto  nella  prima  ste- 
sura circa  il  collocamento  di  Lucia  presso  donna  Prassede.  circa  il 
nuovo  distacco  dal  suo  paese  e  la  separazione  dalla  madre.  A  che 
servivano  quelle  povere  e  aride  pagine,  se  non  per  informare  fret- 
tolosamente che  Lucia  aveva  "trovato  «  una  destinazione,  che  la  to- 
glieva da  quel  contrasto  doloroso  tra  il  voto  e  il  cuore?  »  (*).  Erano 
pagine  di  cronistoria,  non  di  psicologia  e  d'arte:  i  caratteiù  non  ri- 
cevevano sviluppo  alcuno,  la  delicata  sentimentalità  di  Lucia,  la  ma- 
terna bontà  d'Agnese  eran  lasciate  nell'ombra,  la  nuova  angoscia 
di  dover  lasciare  una  seconda  volta  il  paese  e  la  madre  nemmeno 
avvertita.  È  possibile  che  il  Manzoni  non  s'accorgesse  che  bisogna- 
vano analisi  e  scene  nuove,  in  cui  le  sopraggiunte  circostanze  aves- 
sero il  debito  rilievo  e  gli  animi  fossero  messi  in  luce  piena  e  viva? 
Ed  eccolo  a  ritoccare,  ad  ampliare,  ad  aggiungere  secondo  una  piìi 
robusta  e  più  pensosa  meditazione  della  materia  rappresentata.  Il 
primo  congedo,  quando  «  venne  donna  Prassede,  secondo  il  fissato, 
a  prender  Lucia  •»,  affidatale  con  lodi  e  calde  raccomandazioni  dal 
cardinale,  è  descritto  con  tocchi  sobri  sì,  ma  intonati  al  carattere  di 
Lucia  e  alle  affezioni  di  quel  momento.  «  Lucia  si  staccò  dalla  ma- 
dre, potete  pensare  con  che  pianti,  e  uscì  dalla  sua  casetta;  disse 
per  la  seconda  volta  addio  al  paese,  con  quel  senso  di  doppia  ama- 


ti) Sp.  prora.,  p.  464. 


252  PARTE   TERZA 


rezza,  che  si  prova  lasciando  un  luogo  che  fu  unicamente  caro,  e 
€  che  non  può  esserlo  più  ». 

Lucia  andava  a  passare  alcuni  giorni  in  una  villa  poco  lontana 
dal  suo  paesello  ;  colà  sarebbe  andata  Agnese  «  a  dare  e  a  ricevere 
un  più  doloroso  addio  >  (*). 

Quella  dipintura  de'*  primi  congedi,  che,  pur  nella  sua  luce  mo- 
desta, è  sofiTasa  di  tenerezza  e  dolore,  prenunzia  la  scena,  più 
ricca  di  motivi  sentimentali  e  di  movimento  drammatico,  dell'  ulti- 
mo congedo  ;  la  quale,  nel  grande  quadro  del  racconto,  s'arricchisce 
di  tanto  più  ampio  svolgimento  artistico  di  quanto  è  venuta  via  via 
crescendo  1'  amarezza  del  distacco  e  più  intenerisce  il  cuore  1'  ora 
suprema  in  cui  è  forza  dire  «  a'  dolci  amici,  addio  ».  Mirabile  sce- 
na, in  cui  vediamo  la  rappresentazione  poetica  attinger  vigore  e 
luce  dal  medesimo  motivo  psicologico  sentito  e  svolto  in  modo  più 
intenso  e  profondo  e,  seguendo  le  vicende  dell'  interior  meditazione 
della  realtà  intuita  o  osservata,  trasmutarsi,  dilatarsi  di  breve  nar- 
razione lucida,  serrata,  densa  in  un  dialogo  grandioso,  che,  movendo 
da  stati  d'animo  già  accennati,  ne  effonde  tutta  l'inespressa  sostanza 
affettiva  nell'  onda  delle  parole  dolci  e  tristi,  ora  rapide  e  pronte, 
ora  lente  e  reticenti,  secondo  il  fluttuar  degli  animi  tra  il  «  lamen- 
to», «  il  conforto  »,  «  il  rammarico  »  e  <  la  rassegnazione  »  nelle 
due  poverette. 

Tra  la  triste  necessità  di  lasciare  il  paese,  la  casa  e  la  dolorosa 
certezza  di  non  poter  vedere  per  lungo  tempo  la  madre  s'  aggrava 
l'angoscia,  si  fa  sentire  più  tormentoso  il  nostalgico  desiderio  de' 
begli  anni  placidi  e  tranquilli,  vissuti  con  la  madre  prima  che  la 
violenta  iniquità  degli  uomini  s'abbattesse  sulla  loro  umile  casa.  E 
codesto  il  dramma  della  tenerezza  filiale  che  si  desta  al  primo 
distacco,  quando  Agnese  lascia  la  figliuola  a  Monza  per  tornare  al 
paese,  e  s'acuisce  penoso,  straziante  attraverso  l'orribile  peripezia 
del  ratto,  della  prigionia  nel  castello  dell'Innominato;  si  mitiga  con 
mesto  abbandono  nella  consacrazione  di  tutta  se  stessa  alla  Madonna, 
s'acquieta  nella  gioia  della  ricuperata  salvezza,  nella  consolazione 
di  riabbracciarsi  alla  madre,  si  ridesta  nell'ora  di  un'altra  separa- 
zione egualmente  amareggiata  dalla  trepida  visione  dell'  increscioso 
incerto  avvenire.  Il  Manzoni  ha  sentito  che  tutta  1'  anima  di  Lucia 
gravitava  attorno  a  questo  nostalgico  desiderio  di  riunirsi  alla  madre  ; 
e  ne  ha  fatto  il  motivo  sentimentale  dell'  ultimo  dialogo.  Ma  attorno 
a  questo  motivo  fondamentale  del  dialogo,  l'addio  doloroso,  di  fronte 


(1)  Prom.  sp.,  cap.  XXVI,  p.  383. 


IL   ROMANZO   IN    FORMAZIONE  253 


il  sempre  oscuro  avvenire,  ha  fatto  germogliare,  dirò  così,  altri 
due  forti  motivi,  la  rivelazione  del  voto  e  la  premura  di  soccorrere 
Renzo  esule  e  ramingo;  onde  alle  patetiche  note  di  quel  più  dolo- 
roso addio  s'intrecciano  i  pensosi  ricordi  d'una  sacra  promessa,  i 
trepidi  accenti  d'  una  carità  umana,  in  cui  tremola  la  fiamma  del 
non  spento  amore.  Quest'armonia  di  motivi  interiori,  così  feconda 
di  poesia,  poteva  non  essere  avvertita  dal  Manzoni?  Poteva  sfug- 
girgli il  significato  di  quella  separazione  che  non  era  la  prima  per 
le  due  donne  nella  fortunosa  successione  de'  loro  casi,  e  alla  quale 
sarebbe  seguito  il  flagello  della  peste  e  l'angoscia  d'ignorare  l'una 
la  sorte  dell'altra?  E  poteva  il  Manzoni  immaginare  che  la  nativa 
ritrosia  della  figlia,  e  que'  motivi  che  le  avevan  fatto  tacere  la  storia 
del  voto  nel  primo  ritrovarsi  con  la  madre,  fossero  egualmente  forti 
e  resistenti  nel  suo  cuore  ora  che  doveva  separarsene  per  lunga 
tempo?  Io  penso,  dunque,  che  quell'ampia  scena  della  separazione  e 
della  rivelazione  del  voto  non  solo  convenga  all'ordine  logico  degli 
avvenimenti,  ma  sia  stata  ispirata  da  una  più  lucida  e  vasta  intui- 
zione, ch'ebbe  il  Manzoni,  rilavorando  l'episodio,  di  quello  che  era 
il  tenero  dramma  filiale  di  Lucia. 


IX.  Con  questa  scena  —  come  dicevo  —  ha  stretta  relazione 
quella  dell'incontro  di  Lucia  con  Renzo  nel  lazzaretto,  che  nella 
minuta  contiene  la  rivelazione  del  voto  (*).  Il  poeta,  nel  rielaborare 
la  materia  del  romanzo,  le  ha  certamente  meditate  e  raffrontate, 
riguardandole  come  due  aspetti  o  momenti  successivi  nello  sviluppo 
del  dramma  intimo  di  Lucia,  cioè  dell'interno  combattimento  tra  il 
dovere  religioso  e  l'indomito  amore,  che  —  per  quanto  ho  di- 
mostrato —  si  riveste  di  una  pensosa  serenità  e  pacata  fiducia  ne*^ 
voleri  della  Provvidenza  soltanto  nell'ultima  forma,  a  cui  l' ha  inal- 
zato il  Manzoni  in  virtù  di  quel  più  puro  e  profondo  spirito  reli- 
gioso, ond'  è  pervaso  e  rinnovato  tutto  il  capolavoro. 

Dell'episodio  del  lazzaretto,  quale  si  legge  negli  Sposi  promessi, 
ha  fatto  una  finissima  analisi  il  Momigliano  (*),  rivelandone  le  in- 
negabili bellezze,  che  rifulgono  nel  modo  come  il  Manzoni  tratteg- 
giava con  vigore  e  delicatezza  i  caratteri  de'  due  giovini.  Lo  stupore 
di  Lucia  all'  improvvisa  apparizione  di  Renzo,  «  la  piena  coscienza  », 
che  poco  dopo  ella  acquista,  «  della  penosità  della  sua  situazione  »,. 


(1)  Sp.  prom.,  pp.  756,  759-63;  Prom.  Sp  ,  cap.  XXXVI,  535-40. 

(2)  A  Momigliano,  op.  cit.,  pp.  126-34.  Cfr.  Anche  F.  D'Ovidio,  op.  cit.,  pp.  608-11. 


"254  PARTE    TERZA 


il  ricordo  del  voto,  che  torna  a  signoregg-iarla,  le  memorie  di  tacite 
sofferenze  che,  ridestandosi  in  doloroso  tumulto,  le  rinnovano  l'an- 
goscia, le  ridipingono  sul  volto  «  una  terribile,  misteriosa  incertezza  », 
il  lento  trapasso  dai  tumultuosi  ricordi  alla  comprensione  del  mo- 
mento presente,  agli  sforzi,  eh'  ella  fa,  a  grado  a  grado,  per  vincere 
il  dubitoso  pudore,  più  forte  anche  dell'amore,  per  tenersi  ferma 
sotto  la  tempesta  delle  appassionate  domande  di  Renzo,  per  racco- 
glier tutte  le  forze,  tutta  la  rassegnazione,  di  contro  l'amore  che 
risorge  più- straziante,  per  trovare  finalmente  nella  serenità  gagliarda 
del  sentimento  religioso  l'aiuto  necessario  a  far  la  rivelazione  del 
voto;  la  meraviglia^  la  trepidazione,  lo  spasimo  mal  contenuto  di 
Eenzo,  fluttuante  tra  il  timore  d'  aver  perduta  la  buona  fiducia  di 
Lucia  pe'  brutti  casi  occorsigli  e  «  l'angoscioso  dubbio  che  ella,  fra 
tante  sciagure,  abbia  dimenticato  tutto  il  sue  passato  d'amore*,  lo 
strazia  di  così  vive  commozioni  contrastanti  nell'animo  dell'inna- 
morato, quella  sua  ansia  violenta  di  sapere  tutto,  con  un  abbandono 
d'nmore  e  d' ira  insieme,  il  rimprovero  crucciosamente  appassionato 
pel  voto,  «  la  gioia  amara  »  che  egli  vuol  procurarsi  coll'accertarsi 
che  Lucia,,  se  non  fosse  il  voto,  sarebbe  stata  per  lui  ;  tutto  questo 
conflitto  di  sentimenti  e  d'affezioni,  acutamente  rilevato  nell'analisi 
del  Momigliano,  conferisce  un  carattere  appassionato  e  pittoresca- 
mente drammatico  all'episodio  come  il  Manzoni  l'aveva  concepito 
nella  prima  stesura.  Confrontata  con  esso,  la  scena  dell'  ultima  re- 
dazione presenta  —  oltre  alcune  modificazioni  d'elementi^  sostan- 
zialmente conservati,  —  un  tono  lirico  intimamente  diverso,  man- 
candovi la  rivelazione  del  voto,  che  da  prima  colpiva  inattesa  l'animo 
di  Renzo.  Il  Momigliano  giudica  che  quel  colloquio  il  Manzoni  lo 
abbia  nell'ultima  redazione  «  per  più  rispetti  guastato,  »  e  afferma 
che  r  «  avrebbe  dovuto  mantenere  con  poche  mutazioni  (*)  »  quale 
era  nella  forma  primitiva.  Mi  consenta  il  nostro  critico  valoroso 
di  dissentire  alquanto  dal  suo  reciso  giudizio.  La  valutazione  com- 
parativa delle  due  forme  dell'episodio  è  strettameute  connessa  con 
le  ragioni  del  profondo  mutamento  operato. 

Che  il  motivo,  non  solo  morale,  ma,  ad  un  tempo,  artistico  d'evi- 
tare il  troppo  forte  contrasto,  nascente  dalla  diretta  rivelazione  del 
voto  di  Lucia  a  Renzo  in  quel  luogo  di  dolore  e  di  morte,  d'evitare 
—  cioè,  l'inatteso,  il  romanzesco,  l'esprit  romanesque,  teorica- 
mente ripudiato  —  come  sappiamo  —  dal  Manzoni  stesso,  abbia 
influito  nel  rimaneggiamento  della  scena  è  lecito  convenire;  ma  che 


(1)  Op.  cu.,  p.  118. 


IL   ROMANZO    IN   FORMAZIONE  255 

nel  medesimo  tempo  vi  contribuisse  una  più  profonda  concezione 
etica  e  poetica  di  Lucia,  e  l'intento  di  armonizzare  anche  quell'ap- 
passionato colloquio  col  carattere  di  lei  più  raccolto,  più  pensoso, 
più  delicato,  quale  ormai  il  Manzoni  era  venuto  sviluppando  nel 
grande  lavorìo  di  meditazione  e  di  ricostruzione  psicologica  e  arti- 
stica dalle  pagine  primitive  della  minuta,  credo  risulti  non  meno 
evidente,  dopo  quanto  abbiamo  osservato  intorno  alla  genesi  di  que- 
sto personaggio.  Ciò  non  toglie  che  il  colloquio  dell'ultima  redazione 
abbia  parimente  una  sua  vivezza  drammatica  ;  diversa  da  quella 
del  primitivo,  in  solo  quanto  sono  diversi  i  motivi  immediati  della 
contesa.  E  su  questi  motivi  dobbiamo  insistere  con  particolare  atten- 
zione. Nel  primo  il  conflitto  de'  sentimenti  e  de'  caratteri  era  de- 
terminato dalla  rivelazione  per  sé  stessa,  dal  doloroso  sforzo  che 
durava  Lucia  nel  farla,  dall'angoscia  fremente  di  Renzo  che  doveva 
sostenere  l'urto  di  un  ostacolo  impreveduto  e  lo  strazio  di  combat- 
tere, ora,  quando  gli  pareva  d'aver  ritrovata  la  sua  felicità,  un  così 
grave  impedimento  ;  al  quale,  per  contro,  nell'  ultima  redazione,  ha 
l'animo  preparato  e  può  opporre  premeditati  argomenti.  E  in  que- 
sto, dacché  al  Manzoni  era  parso  più  conforme  alla  logica  de'  sen- 
timenti e  alla  situazione  psicologica  della  lunga,  dolorosa  separa- 
zione dalla  madre,  far  che  Lucia  s'  aprisse  con  lei  su  quel  grave 
segreto  che  le  tormentava  il  cuore,  riceve  piuttosto  un  nuovo  svi- 
luppo psicologico  il  contrasto  de'  due  giovani  nel  modo  di  sentire 
e  di  valutare  il  voto  fatto  in  quella  terribile  notte,  spiccando  in 
Lucia  il  sentimento  religioso,  che  è  più  forte  dell'amore,  e  in  Renzo 
l'amore,  che  è  più  forte  del  rispetto  all'obbligazione  religiosa.  Così 
—  secondo  l'intenzione  dell'autore  —  il  nuovo  dialogo,  diverso,  ma 
non  meno  vario  e  animato  del  primitivo,  s'inalza  a  grado  a  grado 
ad  un  significato  morale,  che  in  quello  non  aveva  che  scarso  rilievo. 
Nella  prima  concezione  il  poeta  aveva  impresso  alla  scena  un  ca- 
rattere squisitamente  umano,  risultante  dall'  affanno  di  Lucia,  che, 
conturbata  all'  apparire  di  Renzo,  è  costretta  a  confessargli  la  cru- 
dele verità,  e  dal  dolore  atroce  del  giovane  :  dramma  d'  anime  ga- 
gliardo sì,  e  bello  nella  sua  gentile  umanità,  ma  non  così  profon- 
damente morale,  come  in  un  progressivo  momento  di  più  intensa 
religiosità  piacque  al  Manzoni  di  trasformarlo.  Vi  conservo  il  carat- 
tere essenzialmente  umano  originario,  ma  lo  rese,  ad  un  tempo,  più 
grave  e  grandioso,  lumeggiandovi  con  nuova  efflcacia  l'intima  lotta 
di  Lucia  tra  la  devozione  religiosa  e  1'  amore  e  quella,  più  aperta, 
di  Renzo  tra  i  diritti  del  suo  amore  e  la  validità  del  voto.  Per  ciò 
che  riguarda  Lucia  quel  colloquio,  nella  sua  forma  nuova,   rappre- 


256  PARTE    TERZA 


senta,  nell'  ordine  psicologico  e  drammatico  degli  avvenimenti  on- 
d' è  ordita  la  fortunosa  vicenda  dei  due  sposi,  il  momento  supremo 
di  un  diuturno  contrasto  tra  lo  scrupolo  della  coscienza  e  il  senti- 
mento :  avvia  dinamicamente  alla  risoluzione  necessaria  la  situa- 
zione penosa  in  cui  s'  agitava  Lucia  sin  dal  giorno  della  libertà  ri- 
cuperata, portando  il  combattimento  del  suo  animo  religioso  con 
l'amore  vinto,  ma  non  domo,  dal  chiuso  della  coscienza  in  un  campo 
più  aperto  e  piìi  pericoloso,  di  fronte  a  Eenzo  che  s'affaccia  non 
più  in  immagine  nel  segreto  pensiero,  ma  vivo  ed  «  eloquente  » 
col  suo  cuore,  col  suo  amore,  col  suo  dolore. 

È  ormai  chiaro  che  il  Manzoni,  nel  lavoro  di  rifacimento  e  di 
correzione,  ebbe  cura  di  ordire  con  maggior  ordine  e  chiarezza  e 
più  rigorosa  coerenza  la  tela  del  travagliato  amore  di  Lucia,  che  è 
certamente  il  fatto  centrale,  a  cui  convergono  e  —  se  pur  se  ne  di- 
lungano —  finiscono  col  ricongiungersi  tutte  le  fila  del  romanzo  ; 
nel  quale  la  trista  vicenda  di  Lucia  si  svolge  per  due,  dirò  così, 
ampie  spire  riflettenti  l'odissea  cristiana  di  chi  cerca  con  puro  cuore 
la  giustizia  e  la  pace  tra  gli  uomini  :  1'  una,  che  move  dall'  iniqua 
perturbazione  delle  nozze,  sale  coi  tremuli  riflessi  dell'  incerta  spe- 
ranza e  si  converte  per  ferrea  necessità  del  destino  nel  pietoso  av- 
venimento del  ratto;  l'altra,  che  move  dalla  liberazione  miracolosa, 
ma  segue  il  giro  affannoso  di  un  nuovo  e  non  meno  fiero  contra- 
sto, finché  si  rinchiude  in  sé  stessa  con  la  liberazione  dal  voto:  due 
grandi  momenti  nella  storia  di  Lucia,  frammezzo  i  quali  sorge  il 
voto,  che  pronunzia  la  vittoria  dell'innocenza  sull'iniquità  violenta, 
di  Dio  su  Satana,  ma  che,  se  chiude  la  lotta  con  le  malefiche 
forze  del  mondo,  apre  un  più  profondo  conflitto  della  coscienza 
con  sé  stessa.  Ora  il  poeta,  giunto  all'  episodio  del  lazzaretto,  ha 
voluto  approfondire,  più  che  non  avesse  fatto  nella  prima  stesura, 
alcuni  potenti  motivi  psicologici  intrecciati  ad  uno  straordinario 
caso  di  coscienza,  rendere  più  complicata  la  situazione  drammatica 
che  ne  deriva,  svolgendola  dal  contrasto  de'  sentimenti  e  giudizi 
diversi,  per  essere  diversi  il  carattere  e  le  preoccupazioni  morali 
dei  due  personaggi  contendenti. 

Questo  mutamento  e  sviluppo  di  motivi  e,  conseguentemente,  d'at- 
teggiamenti è  conforme  un  suo  criterio  letterario,  che  appare  chiaro 
in  quella  lettera  al  Fauriel  nella  quale  si  lagna  che  in  Italia  non 
si  mirasse  ad  «  approfondir  les  sentiments  >  e  i  poeti  s'accontentas- 
sero volentieri  «de  l' invention  d' évènements,  de  situations  et  de 
contrastes  simpUs  et  tranchants,   ed  qui  ne  donnent   lieu  qu'  à  de- 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  257 

crire  des  passions,  pour  ainsi  dire,  élementaires  »  (*).  E  veramente 
il  modo  come  il  Manzoni  ha  concepita  la  situazione  di  Renzo  e 
Lucia  nel  colloquio  del  lazzaretto  non  si  presta  all'accusa  di  rudi- 
mentale semplicità,  non  lascia  prevedere  che  ne  possa  derivare  fa- 
cilmente una  soluzione  netta  e  recisa,  tanto  che  essi  due  col  loro 
sentimento  e  coi  loro  ragionamenti  non  riuscirebbero  a  superare 
quella  crisi  penosa,  se  non  intervenisse  l' autorità  di  fra  Cristoforo. 
E  implicitamente  da  una  parte  lo  scrupolo  della  coscienza  religiosa 
e  l'attaccamento  all'obbligatorietà  del  voto  in  Lucia,  dall'altra  il 
timore  di  Renzo  che  i  tanti  casi  occorsi  abbiano  mutato  1'  animo 
della  sua  promessa  sposa,  la  pervicace  opinione  che  il  voto  non 
possa  distruggere  il  vincolo  ond'  ella  è  legata  al  suo  cuore,  non  sono 
passioni  e  sentimenti  di  natura  elementare.  Nella  prima  redazione  il 
contrasto  dei  due  giovani  sposi,  generato  —  come  dicevo  —  massi- 
mamente dair  improvvisa  rivelazione  del  voto,  aveva  tutta  l'appa- 
renza d'un  colpo  di  scena;  si  svolgeva  ;poi  per  due  momenti,  nel 
primo  de'  quali  combatteva  il  riserbo  misterioso  di  Lucia  con  l'ansia 
sospettosa  di  Renzo,  nel  secondo  lo  scrupolo  religioso  dell'  amata 
con  la  speranza  del  giovine  nell'aiuto  di  fra  Cristoforo.  Era  una 
scena,  invero,  altamente  appassionata,  tanto  da  far  dire  al  Momi- 
gliano che  «  questo  conflitto  tragico,  sorto  e  finito  in  pochi  istanti, 
aveva,  per  se  e  pel  luogo  in  cui  avveniva,  per  i  toni  ora  contra- 
stanti ora  concordi  con  l'ambiente,  una  grandezza  che  il  Manzoni 
avrebbe  dovuto  vedere  (^)  ;  ma  —  a  guardar  bene  —  la  situazione 
fondamentale  di  quella  scena,  appunto  per  essere  imperniata  sulla 
rivelazione  del  voto  —  causa  di  commozioni  imprevedute  — ,  ap- 
punto per  esservi  in  contrasto  l'angoscia  di  Lucia,  che,  suo  mal- 
grado, deve  finalmente  svelare  il  suo  segreto,  e  il  dolore  di  Renzo, 
colpito  mentre  piìi  giubilava  di  speranza,  aveva,  nella  sua  dramma- 
tica rapidità,  qualche  cosa  di  semplice  e  di  reciso,  né  consentiva 
per  ciò  stesso,  una  lunga  analisi  de'  sentimenti.  Per  contro,  nella 
seconda  redazione,  l'una  sapendo  che  ormai  il  voto  non  è  più  un 
segreto  per  l'altro,  e  questo  essendo  preparato  a  rimuovere  con  le 
ragioni  del  cuore  e  le  argomentazioni  della  mente  quell'ostacolo  che 
s'  era  frapposto  tra  lui  e  il  suo  amore,  ne  viene  un'analisi  più  de- 
licata e  complessa  dello  stato  d'animo  dei  due  contendenti,  una  più 
elevata  complicanza  d'elementi  passionali,  una  situazione,  insomma, 
in  cui  hanno  maggior  rilievo  gli  scrupoli  religiosi  di  Lucia,  la  sua 


(1)  Lett.  cit.  del  17  ott.  1820,  in  Cart.  cit.,  pp.  496-7. 

(2)  Op.  cit.,  pp.  136-7. 


Busetto  —  17 


258  PARTE   TERZA 


fermezza  a  sottomettervi  le  esigenze  del  cuore  e  la  sua  speranza, 
cresciuta  col  tempo,  che  Eenzo  non  dovesse  più  pensare  a  lei,  e, 
all'opposto,  i  ben  diversi  sentimenti  del  fidanzato  che,  sebbene  in- 
formato del  voto,  si  ribella  a  sacrificarvi  il  suo  amore,  ha  la  co- 
scienza che  il  vincolo  del  cuore  valga  pili  d' una  promessa  fatta  in 
un  impeto  di  disperata  angoscia,  e  non  si  rassegna  a  vivere  ar- 
rabbiato per  tutta  la  vita,  a  subire  il  male  fattogli  da  don  Rodrigo, 
dopo  avergli  perdonato  e  aver  pregato  accanto  al  suo  letto  di  morte. 
Che  nel  rifare  e  ampliare  il  dialogo,  il  Manzoni  mirasse  a  sostituire 
all'  effetto,  pateticamente  vivace,  dell'  inattesa  rivelazione  quello  di 
di  un  dibattito  complesso,  intricato  e  inestricabile  fra  la  coscienza 
religiosa  di  Lucia  e  il  forte  amore  di  Renzo,  s'intende  anche  dal- 
l'avere svolto  il  rapido  e  breve  accenno  di  Renzo  al  buon  consiglio 
del  padre  Cristoforo  in  una  più  aperta  e  più  sostenuta  speranza  che 
il  giovane  mostra  di  riporre  nell'  intervento  autorevole  di  quel  san- 
t'uomo;  s'intende,  altresì,  dal  frammischiare  ch'egli  fa  alle  molte 
parole  di  tenerezza  e  di  cruccio  accorti  argomenti,  quali  il  richiamo 
a  don  Rodrigo  morente,  fattogli  vedere  dal  frate,  e  alla  volontà,  espressa 
da  questo,  che  pregassero  insieme.  Lucia  e  lui,  per  1'*  anima  di  quel 
poverino»,  l'amorevole  ammonimento  che  il  loro  persecutore  non 
possa  avere  la  grazia  della  salvazione,  forse  destinatagli  da  Dio,  se 
non  sia  «  disfatto  il  male  che  ha  fatto  »  nel  mondo,  se  non  sia  cioè 
consacrato  e  benedetto  il  loro  amore  che  colui  aveva  scellerata- 
mente offeso,  l'oscura  minaccia,  fremente  nelle  ultime  parole  prorom- 
penti con  disperata  eloquenza  dal  cuore  senza  pace,  di  dovere  forse, 
a  cagion  di  Lucia,  maledire  per   tutta  la  vita  «  quel  disgraziato  », 

Il  Manzoni,  nel  rielaborare  la  materia  del  dialogo,  ha  svolto  e 
nobilitato,  a  un  tempo,  —  come  meglio  vedremo  a  suo  luogo  —  il 
carattere  di  Renzo,  ingegno  destro,  indole  focosa  e  cuor  generoso  ; 
ha  riatteggiata  Lucia  conforme  quella  più  alta  e  pura  concezione 
etico-psicologica  a  cui  il  Manzoni  era.  pervenuto  —  come  abbiamo 
più  volte  osservato  —  approfondendone  con  nuovo  vigor  religioso  i 
motivi  e  i  caratteri  morali. 

Lucia  —  come  il  poeta  l' aveva  ideata  la  prima  volta  —  non 
supera  le  proporzioni  di  una  buona  sì,  ma  inquieta  creatura  terrena, 
in  cui  la  passionalità  e  la  pietà  religiosa  coesistono  in  giusto  equi- 
librio, ma  non  sone  fuse  in  quell'armonia  spirituale  che  tempra 
d'umiltà  e  di  fortezza  cristiana  anche  il  cuore  commosso  da  senti- 
menti de'  più  teneri  e  de'  più  angosciosi. 

La  scena  del  lazzaretto  pur  rifletteva  l'anima  religiosa  di  lei  nella 
rivelazione  del  voto,   nell'orrore  con  cui  respingeva  ogni  idea  di 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  259 

pentimento,  nella  riposata  fiducia  che  suonava  per  entro  quelle  sue 
parole:  «  Ho  ottenuto  il  miracolo,  la  Madonna  mi  ha  salvata  ».  Ma 
—  se  ben  si  guardi  —  era  un  pio  moto  del  cuore,  una  commossa 
riconferma  di  gratitudine,  rinvigorita  dal  ricordo  di  quella  notte 
desolata  e  della  grazia  ricevuta:  la  brevità  stessa  e  lo  scopo  del 
colloquio  che  si  svolgeva  senza  forte  dibattito  di  sentimenti  e  d' idee, 
non  concedevano  uno  svolgimento  largo  e  complesso  al  carattere 
religioso  della  protagonista  e  ai  motivi  passionali  della  scena.  La 
coscienza  religiosa  di  Lucia  ha  ben  altro  rilievo  nell'ultima  reda- 
zione dell'episodio:  il  dibattito  è  gagliardo,  lungo  e  pertinace:  non 
vengono  a  conflitto  soltanto  i  sentimenti,  ma  le  idee.  Quel!' interro- 
gare: «  voi?  che  cosa  è  questa?  in  che  maniera?  perchè?  »,  quel 
replicare,  dopo  le  tenere  parole  di  premura  del  giovane  nel  vederla 
ancora  tanto  pallida:  «  Ah  Eenzo!  perchè  siete  voi  qui?  »,  quel  tor- 
nare sul  medesimo  pensiero  :  «  Ma  Renzo  !  Eenzo  !  giacché  sapevate, 
perchè  venire  ?  perchè  ?  »  non  solo  denotano  lo  stupore  e  l'afifanno 
per  r  incontro  inaspettato,  ma  lasciano  intendere  la  sua  ferma  con- 
vinzione circa  r  irrevocabilità  del  voto  e  la  sua  meraviglia  che  Renzo 
non  ne  fosse  egualmente  persuaso. 

La  logica  di  Lucia  è  diritta  e  conseguente  e  opera  fin  dalle  prime 
battute  del  dialogo  con  franco  vigore.  Donde  questo  spedito  atteg- 
giamento, che  durerà  senza  tentennare,  non  ostante  i  battaglieri  ar- 
gomenti di  Renzo,  sino  alla  fine,  se  non  dalla  coscienza  religiosa, 
che  è  il  fondamento  delle  sue  idee  morali,  la  scorta  sicura  di  tutti  i 
suoi  atti? 

A  me  sembra  cosa  vana  e  superflua  proporre  il  problema  se  una 
Lucia  più  inquieta,  più  perplessa,  meno  resistente  al  combattimento 
che  le  dà  Renzo  in  nome  del  loro  amore,  sarebbe  più  vera,  più  u- 
mana,  più  artisticamente  compiuta.  Quando  mai  l'arte  —  e  massime 
l'arte  de'  grandi  —  è  stata  l' immagine  esatta  della  realtà  comune 
e  ordinaria  che  ci  palpita  attorno  ?  E  che  è  il  mondo  poetico  di  uno 
scrittore  se  non  la  rappresentazione  artistica  delle  sue  idee  e  de' 
suoi  fantasmi,  in  cui  la  realtà  si  trasfigura,  si  idealizza  e  assume 
le  forme  della  spiritualità  stessa  dello  scrittore?  Noi  dobbiamo  cer- 
care e  valutare  la  verità  artistica  delle  figurazioni  e  delle  rappre- 
sentazioni, non  più;  e  cioè  la  concretezza  e  l'immediatezza  con  cui 
il  poeta  esprime  il  suo  mondo  interiore.  La  Lucia  del  romanzo  rin- 
novellato riflette  lo  sforzo  più  profondo  e  più  severo  che  la  reli- 
giosità del  Manzoni  abbia  compiuto  per  rivelare  tutta  se  stessa  nel- 
r  elaborazione  del  capolavoro:  vedere  se  il  carattere,  l'azione  di 
questo  personaggio,  che  s'estrinsecano  nelle  forme  liriche  e  dram 


260  PARTE   TERZA 


matiche  dell'analisi  descrittiva  e  del  dialogo,  rispondano  alla  verace 
concezione  del  poeta  ;  vedere  se  egli  1'  abbia  espressa  con  schietta 
ispirazione  affettiva,  con  lucido  vigore  di  fantasia,  con  serena  ar- 
monia di  colori  e  di  toni  ;  vedere  se  il  nuovo  carattere  esca  segnato 
della  nuova  impronta  senza  discontinuità  di  lineamenti,  senza  oscil- 
lazioni confuse  di  luci,  questo,  non  altro,  è  debito  dell'  interprete 
dell  opera  d'arte. 

Sì,  il  Manzoni  ha  inteso  ad  inalzare  col  rifacimento  della  scena 
il  dramma  sentimentale  a  dramma  morale,  a  diffondere  sul  se- 
greto dolore  di  Lucia  un  fascio  di  luce  religiosa:  vigoreggia,  non 
meno  che  nella  primitiva  situazione,  una  grande  angoscia,  ma  è 
veramente  angoscia  d'anima  cristiana,  ferma  nella  sua  fede,  con- 
vinta dell' infrangibilità  d'un  patto  stretto  con  Dio;  che  sente  dal- 
l'interno suo  risollevarsi  l'onda  de'  dolci  ricordi  e  del  commosso 
amore,  ma  non  transige,  perchè  il  senso  del  divino  l'ha  pervasa, 
perchè  l'imperativo  morale  la  disciplina  e  la  regge. 

Lucia  emana  una  calda  e  vivida  religiosità  da  tutto  il  suo  essere: 
non  ode,  non  vede,  non  sente,  non  giudica  che  attraverso  quella 
fede  potente  e  fiduciosa  e  severa,  che  le  ha  dato  la  forza  di  fare  il 
grande  sacrifizio  del  suo  amore,  di  sopportare  e  di  vincere  gli  sgo- 
menti e  i  combattimenti  del  cuore.  Lucia  ha  vissuto  secoli  di  vita 
in  quel  momento  supremo  del  suo  destino,  come  in  altro  senso  e 
con  altra  sorte  l'Innominato,  trasfigurato  dal  pianto  e  dalle  parole 
dì  lei,  risonanti  nella  fosca  coscienza  come  gemito  d'umanità,  che 
invoca  e  ama,  come  giudizio  di  Dio,  che  redime  e  perdona.  Lucia 
dalla  lotta  con  gli  uomini,  in  cui  il  vero  vincitore  è  stato  Dio  col 
salvare  l'innocente  insieme  e  il  reprobo,  è  uscita  pur  lei  trasfigurata: 
l'offerta,  che  le  è  parsa  accetta,  del  suo  bene  più  caro  ha  ingigan- 
tita la  sua  fede  ;  prima  di  quella  notte,  prima  del  voto,  era  la  buona 
e  pudica  fanciulla,  aspettante  la  santificazione  dell'amore;  dopo, 
ritemprata  dal  dolore  ineffabile,  sublimata  dal  sacrifizio,  illuminata 
dalla  grazia,  s' è  sentita  come  compenetrata  d'  una  nuova  pietà  e 
carità,  r  anima  piena  di  un  non  so  che  d'  austeramente  divino.  La 
voce  di  Dio  copre  i  battiti  del  cuore;  la  coscienza  religiosa  riempie 
tutta  la  sua  vita;  il  solenne  olocausto,  la  grazia  ricevuta  hanno  se- 
gnato un  solco  profondo  nel  suo  cuore:  il  tumulto  degli  affetti  può 
invaderla,  non  scuoterla  :  ella,  da  sola  con  le  sue  forze  morali,  non 
può  piti  tornare  quella  d'una  volta:  la  sua  volontà  s'è  legata  a  Dio. 
Come  la  nativa  schiettezza  di  fede  e  d'  umiltà  1'  ha  resa  capace  di 
offrire  a  Dio  tutta  se  stessa,  così  la  medesima  virtù  la  sorregge  e 
difende  nel  conflitto  coi  rinascenti  affetti  della  vita;  il  voto  le  ha 


IL    ROMANZO   IN   FORMAZIONE  261 

infuso  uno  spinto  sacro:  ella  ne  ha  coscienza;  codesta  coscienza, 
temprata  di  rassegnazione  e  d'abnegazione,  è  la  nuova  energia  mo- 
rale, che  ne  informa  ii  carattere.  L'amore  le  può  dare  nuovo  e  piti 
straziante  combattimento;  ma  non  preverrà;  se  Lucia  vacillasse  tra 
sgomenti  e  improvvise  speranze,  ne  sarebbe  menomato  il  suo  ca- 
rattere religioso  :  la  grandezza  sacra  di  quel  voto  ne  sarebbe  oscu- 
rata e  il  profondo  effetto  morale  di  esso  sperduto,  e  parrebbe  vana 
la  saldezza  di  quella  convinzione  d'  essere  stata  salvata  dalla  grazia 
divjna  solo  in  virtù  del  suo  sacrifizio. 

Il  Manzoni  intuì  quest'ardua  situazione  morale  della  coscienza  re- 
ligiosa di  Lucia  ;  vide  che  il  centro  vitale  della  trama  avventurosa, 
ond'  egli  iiitesseva  il  romanzo  della  sua  umile  eroina,  era  lì,  in  quel 
nuovo  stato  di  coscienza,  generato  dal  voto;  s'avvide  che  nella  for- 
ma del  primo  getto  codesto  dramma  morale  non  aveva  la  profon- 
dità e  la  magnificenza  che  la  saa  natura  comportava;  che,  per  espri- 
mere r  una  e  1'  altra  in  tutta  la  loro  pienezza,  per  dare  all'  ultimo 
e  più  grave  combattimento  il  significato  non  di  un  contrasto  d'a- 
more, ma  di  una  lotta  di  coscienza,  di  un  conflitto  tra  ciò  che  è 
stato  assunto  come  dovere  religioso  e  ciò  che  si  protesta  come  di- 
ritto del  cuore,  bisognava  rattemprare  il  carattere  morale  di  Lucia, 
infonderle  uno  spirito  di  più  austera  religiosità. 

E  a  questo  intese  con  assidua  cura  nella  ricomposizione  del  ro- 
manzo. Dalle  prime  parole,  dalle  prime  scene  alle  ultime,  Lucia  si 
ripresenta  nel  romanzo  atteggiata  ad  una  cotal  grazia  più  dignitosa 
ed  eletta  e  splendida  di  una  più  pura  e  forte  spiritualità:  ne'  di- 
scorsi accorati  con  Renzo  furibondo  contro  don  Rodrigo,  ne'  mesti 
pensieri  d'addio  durante  la  traversata  notturna  del  lago,  ne'  collo- 
qui con  la  strana  signora  di  Monza,  nelle  separazioni  dolorose,  nelle 
invocazioni  affannose  ai  bravi  che  l'avevano  rapita,  nel  pietoso  col- 
loquio con  r  Innominato,  nel  travaglio  della  terribile  notte,  nella 
fiduciosa  preghiera,  nel  suo  pieno  abbandono  a  Dio,  nella  promessa 
solenne,  negl'  interni  combattimenti  dopo  la  liberazione,  ne'  colloqui 
col  cardinale,  nella  grandiosa  scena,  in  cui  rivela  il  voto  alla  ma- 
dre, nella  penosa  lotta  che  il  suo  cuore  sostiene  con  donna  Pras- 
sede.  Di  vicenda  in  vicenda,  di  dolore  in  dolore,  via  via  che  si 
svolge  la  fortunosa  vita  di  quest'umile  figlia  de'  campi,  inalzata  ai 
fastigi  del  romanzo,  attraverso  i  dolori  della  persecuzione,  lo  sbi- 
gottimento della  fuga,  il  terrore  dell'  onta  estrema,  il  fervore  della 
fede  cristiana,  la  gioia  della  salvezza,  i  dibattiti  della  coscienza,  i 
palpiti  indomabili  del  cuore,  nella  comunione  dell'universale  dolore, 
la  figara  di  Lucia  s'inalza  progressivamente,  attingendo  dalla  sven- 


262  PARTE  TERZA 


tura  e  dal  sacrifizio  uno  spirito  di  raccoglimento  pensoso,  di  rasse- 
gnazione, di  fortezza  cristiana,  che  le  conferisce  un  non  so  che  di 
semplice  e  profondo,  d'  umile  e  d'  alto  a  un  tempo. 

Il  voto  e  il  grande  colloquio  nel  lazzaretto  sono  i  supremi  gradi, 
a  cui  s'aderge  lo  spirito  di  lei:  non  so  se  il  Manzoni  abbia  sapien- 
temente premeditato  di  creare  un'  intima  correlazione  delle  due 
scene;  ma  io  ne  ricevo  l'impressione  che  una  segreta  ispirazione 
comune  le  unisca,  le  mova,  le  faccia  convergere  nella  medesima 
significazione  spirituale.  Quel  grandeggiar  della  figura  religiosa  di 
Lucia  di  fronte  all'uomo  appassionato,  lottante  per  l'amore  e  per 
la  vita,  ha  origine  da  quella  medesima  fede  con  cui  ella  si  votò  alla 
Madonna.  Tanta  coscienza  del  nuovo  dovere  non  può  aver  fonda- 
mento che  nella  consapevolezza  d'averlo  contratto  con  intento  chiaro 
e  risoluto.  L'anima  di  Lucia  davanti  a  Renzo  è  tutta  dominata  dai 
ricordi  di  quella  notte:  il  disperato  abbandono  fino  a  desiderar  di 
morire,  la  consolante  preghiera,  la  ravvivata  speranza,  la  subitanea 
idea,  che  l'era  passata  per  la  mente  come  raggio  improvviso,  di  of- 
frire a  Dio,  nella  sua  desolazione,  quello  che  aveva  di  più  caro,  la 
solennità  sacra  dell'  offerta  ;  la  «  più  larga  fiducia  »  che  le  aveva 
inondato  l'animo,  il  presentimento  della  grazia,  che,  poi,  le  venne 
concessa.  Quel  voto^  nella  sua  semplice  e  ingenua  pietà,  era  diven- 
tato l'imperativo  categorico  della  sua  coscienza;  era  come  un  roveto 
ardente,  che  nessun  vento  di  passione  poteva  disperdere  ed  estin- 
guere. Il  Manzoni,  dopo  avere  rifusa  e  ritemprata  la  scena  del  voto 
nel  modo  che  vedemmo,  doveva,  per  la  logica  inesorabile  della  ve- 
rità psicologica  e  artistica,  presentarci  Lucia,  nel  colloquio  con  Renzo, 
non  meno  grande  e  austera,  non  meno  ferma  e  incrollabile  di  quello 
che  fosse  nella  notte  del  sacrifizio  ;  tra  queir  atto  di  speranza,  di 
fede,  di  pia  dedizione  e  il  contegno  che  tiene  di  fronte  a  Renzo 
corre  un  intimo  nesso  spirituale,  così  che  l'uno  non  è  che  svolgi- 
mento e  compimento  dell'altro,  e  ambedue  sono  i  riflessi  indifettibili 
di  un'anima  in  cui  la  religione  si  fonde  in  uno  con  la  moralità. 
L'alta  figura  cristiana  di  Lucia,  quale  il  poeta  venne  ricostruendo 
con  più  commossa  coscienza  religiosa^  spicca  tutta  in  queste  tre 
scene,  del  voto,  della  rivelazione  alla  madre,  del  dissidio  con  Renzo. 
E  non  senza  ragione  sono  state  così  profondamente  mutate  dalla 
minuta  alla  redazione  definitiva,  e  la  seconda  è  nuova  di  spirito  e 
di  forme  :  gli  è  che  servono  tutt'  e  tre  allo  sviluppo  del  carattere 
religioso  di  Lucia;  tutt' e  tre  sono  come  le  tappe  drammatiche  della 
dura  e  mesta  milizia,  che  l'innocente  in  terra  sostiene,  passando  tra 
le  iniquità  degli  uomini  e  le  forti  passioni  della  vita.  Prima  del  voto 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  263 

la  Storia  di  Lucia  è  massimamente  romanzesca  e  l' intreccio,  che  ne 
deriva,  non  richiede  analisi  sottili  e  profonde  di  complicati  stati  di 
coscienza;  dal  voto  all'incontro  con  Renzo  la  sua  storia  si  fa  fine- 
mente psicologica  e  altamente  drammatica:  il  contenuto  morale  e 
religioso  del  suo  carattere,  di  cui  presentiamo  l' inesauribile  ardore 
e  vigore,  ma  che  contingenze  antecedenti  non  avevano  eccitato  e 
provato  in  supremi  cimenti,  si  esplica  nell'urto  de'  nuovi  più  ter- 
ribili casi  e  massimamente  nel  conflitto  interiore  della  coscienza.  Il 
romanzo  s' inalza  a  dramma  e  la  figura  di  Lucia  assume  una  gran- 
dezza etica  e  uno  splendore  nuovo  di  poesia.  Ecco  perchè,  mentre 
nella  prima  parte  della  lagrimosa  odissea  —  salvo  fugaci  ritocchi 
qua  e  là,  che  ne  illuminano  di  più  gentile  e  soave  luce  la  pittura 
morale  —  non  abbiamo  dovuto  rilevare  mutamenti  radicali  attra- 
verso le  progressive  redazioni  ;  nella  seconda,  al  contrario,  il  poeta 
ha  quasi  tutto  rinnovato,  o  descriva  la  vita  di  Lucia  fra  gli  ospiti 
di  Chiuso,  fra  i  suoi  compaesani  accanto  alla  madre,  in  casa  di  donna 
Prassede,  o  ne  analizzi  i  sentimenti,  gli  affetti,  i  segreti  commossi 
pensieri,  o  ne  rappresenti  nella  viva  azione  dialogica  il  carattere 
morale  e  religioso.  Il  meraviglioso  lavorio  di  rimeditazione  etica,  di 
ricostruzione  psicologica  e  di  figurazione  artistica  che  il  Manzoni  è 
venuto  compiendo  sopra  le  pagine  della  minuta,  più  spesso  frettolose 
e  sbiadite  che  meditate  ed  efficaci,  è  proceduto  dall'intuizione  vi- 
gorosa e  serena  del  grande  problema  spirituale  che  il  voto  in  se 
stesso  involgeva  :  a  rappresentarlo  nella  sua  vicenda  complicata  e 
travagliata  occorreva  volgere  in  forme  più  elevate  la  spiritualità  di 
Lucia,  approfondirne  con  potenza  di  luminosi  rilievi  le  situazioni 
psicologiche  e  drammatiche,  portarne,  insomma,  a  più  alto  grado 
r  idealizzazione  poetica.  L'unità  morale  ed  estetica  che  regge  e  lega 
in  un  nodo  indissolubile  le  tre  scene,  dianzi  riavvicinate  tra  loro, 
non  apparirebbe  a  noi  così  evidente,  se  il  Manzoni  non  avesse  dato 
all'anima  religiosa  di  Lucia  una  vita  più  intensa  e  un  maggiore 
sviluppo  di  atteggiamenti,  accrescenjdo  di  valore  e  di  energia  la  co- 
scienza del  voto  e  facendola  operare  come  una  potente  forza  morale 
nel  conflitto  coi  ricordi  d'  un  soave  passato  e  con  gli  affetti  radicati 
nel  cuore. 

Questo  —  se  non  m'  inganno  —  ha  voluto  il  Manzoni  porre  in 
più  splendida  luce;  l'esame  comparativo  delle  tre  scene  può  darne 
conferma. 

Nella  tragica  notte,  seguita  al  ratto,  l'ineffabile  travaglio  di  Lu- 
cia si  placa  alla  fine  nel  voto,  che  è  l'unica  risoluzione  suprema  di 
uno  stato  quasi  mortale,    l' unico    argomento,   in  tanta  desolazione, 


264  PARTE   TERZA 


di  speranza,  di  fede,  l'unico  balsamo  allo  spirito  e  a'  sensi,  che 
s'  acquietano  nel  sonno  continuo  e  tranquillo.  Neil'  ultimo  doloroso 
colloquio  con  la  madre,  il  sentimento,  l' idea  dominante  è  l' invio- 
labilità di  quella  promessa  «  così  espressa,  così  solenne  »,  suffra- 
gata dalla  «  liberazione  così  impreveduta  »,  dalla  certezza  della 
divina  grazia  largita,  dalla  convinzione  incrollabile  che  in  tutta  la 
vicenda  de'  suoi  casi,  compresa  la  separazione  da  Eenzo,  «  sia  da 
vedere  un  chiaro  segno  della  volontà  di  Dio  »  (^).  Nel  formidabile 
colloquio  con  Kenzo  è  la  stessa  idea  morale  che  appassiona  Lucia, 
ne  investe  tutti  i  sentimenti,  ne  invigorisce  le  parole  con  cui  con- 
trasta al  cruccio,  agi'  impeti  eloquenti,  alle  argomentazioni  fiera- 
mente rigorose  di  Renzo. 

Renzo,  allo  stupore  di  Lucia  per  l'ardita  impresa,  da  lui  compiuta 
tra  tante  miserie  e  spettacoli  di  morte,  con  dogliosa  gravità  risponde 
che  pei  morti  s'ha  a  pregar  Dio  e  sperar  bene  della  loro  sorte,  ma 
che  «  non  è  giusto,  né  anche  per  questo,  che  quelli  che  vivono  ab- 
biano a  viver  disperati  ».  E  Lucia  insorge  angosciosamente  :  «  Ma 
Renzo!  Renzo!  voi  non  pensate  a  quel  che  dite.  Una  promessa  alla 
Madonna!...  Un  voto!  ».  Insiste  il  giovane  nel  tentar  di  scuotere  la 
sicurezza  di  Lucia;  ma  ella  pronta  e  severa:  «  ....non  sapete  quello 
che  vi  dite:  non  lo  sapete  voi  cosa  sia  fare  un  voto:  non  ci  siete 
stato  voi  in  quel  caso,  non  avete  provato  ».  Lucia,  nel  contrasto  con 
l'uomo,  si  accende  sempre  più  di  un  fiero  spirito  religioso.  Ecco:  a 
Renzo  dice  forte  :  «  Andate,  andate,  per  amor  del  cielo  !»  e  si  sco- 
sta «  impetuosamente  da  lui,  tornando  verso  il  lettuccio  »  ;  e  poi 
rinforza:  «  Andate,  oh  andate!  dimenticatevi  di  me:  si  vede  che 
non  eravamo  destinati  !»  ;  e  poi  ancora  :  «  Andate,  per  amor  del 
cielo,  e  non  pensate  a  me....  se  non  quando  pregherete  il  Signore  », 
e  al  «  sentite.  Lucia,  sentite!  »  che  fa  Renzo,  insiste,  dopo  essersi 
ancor  più  accostata  al  lettuccio,  «  come  chi  non  ha  più  altro  da 
dire,  né  vuol  sentir  altro,  come  chi  vuol  sottrarsi  a  un  pericolo  »  : 
«  No,  no;  andate  per  carità!  ». 

La  sua  anima,  nel  grande  sforzo  morale,  si  vela  di  mestizia  cri- 
stiana: «  Ci  rivedremo  lassù:  già  non  ci  si  deve  star  molto  in  que- 
sto mondo Cercate  di  far  sapere  a  mia  madre  che  son  guarita  ; 


(1)  Lucia  su  questa  sua  idea  torna  a  più  riprese  n«l  colloquio:  —  «Vedete  come 
pare  che  il  Signore  ci  abbia  voluti  proprio  tener  separati  ».  —  «  È  il  Signore  che  ha 
voluto  che  tutto  andasse  così:  sia  fatta  la  sua  volontà  ».—  «  Fategli  scrivere...  la 
cosa...  com'è  andata.,    e  che  Dio  ha  voluto  cosici.  (Prora,  sp.,  cap.  XXVI,  p.  386). 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  265 

ditele  che  spero  che  lei  sarà  preservata  da  questo  male,  e  che  ci 
rivedremo  quando  Dio  vorrà,  e  come  vorrà ...» 

Per  Eenzo  la  causa  è  quasi  perduta;  ma  l'uomo  non  indietreggia 
ed  eccolo  mettere  in  mezzo  qualcosa  che  poteva  toccare  il  cuore  di 
Lucia:  la  figura  veneranda,  le  parole  amorevoli  e  incoraggianti  di 
fra  Cristoforo.  Lucia  è  scossa  dal  sentire  che  il  buon  padre  è  lì, 
poco  lungi  da  lei  ;  ma,  se  si  stacca  «  di  nuovo  dal  lettuccio  »  e  si 
riavvicina  a  Renzo,  gli  è  (notate  bene)  perchè,  vedendo  il  giovine 
esitare  a  dirle  che  pur  troppo  il  padre  l'ha  addosso  la  peste,  è  invo- 
lontariamente sospinta  dall'ansia  ancora  verso  di  lui.  La  presenza, 
in  quei  luoghi,  di  fra  Cristoforo  non  le  desta  in  cuore  che  un  senso 
di  devozione,  di  premura,  di  pena  nel  saperlo  malato  :  nessuna,  sia 
pur  vaga,  speranza  —  quale  il  Manzoni  attribuiva  Lucia  (lo  vedremo 
fra  poco)  nella  primitiva  concezione  dell'episodio  —  che  potesse  il 
padre  intervenire  a  scioglierla  dal  voto.  C'è,  sì,  un'apprensione  an- 
che per  sé  in  quel  «  poveri  noi!  »,  ripetuto,  ma,  tutt'altra  da  quel 
sentimento,  lascia  trapelare  1'  angoscioso  timore  di  perdere  col  san- 
t'uomo il  più  valido  conforto  a  tenersi  ferma  nel  voto. 

Difatto  Renzo  ha  un  bel  riferirle  che  il  frate  aveva  approvato 
che  andasse  a  cercar  lei  e  aveagli  promesso  d'aiutarlo  a  trovarla; 
Lucia  risponde,  senza  scuotersi  :  «  Ma,  se  ha  parlato  così,  è  perchè 
lui  non  sa....  »  e  compirebbe  il  senso  della  frase,  se  Renzo  non  la 
interrompesse  bruscamente.  Renzo  s'  affanna  a  farle  intendere  che 
è  proprio  fra  Cristoforo  che  vuole  che  loro  preghino  insieme  per 
l'anima  di  don  Rodrigo  ;  Lucia  conviene  che  si  debba  pregare  il 
Signore,  ciascuno,  però,  nel  proprio  posto,  e  alle  insistenze  del  gio- 
vine, ribadisce  :  «  Ma  Renzo,  lui  non  sa....  ». 

Mancare  al  voto,  fare  il  matrimonio,  perchè  sia  «  disfatto  il  male 
che  ha  fatto  »  don  Rodrigo,  e  a  questo  possa  esser  così  agevolata 
la  misericordia  divina?  «No,  Renzo,  no  »  insorge  Lucia  con  risolu- 
tezza: «  Il  Signore  non  vuole  che  facciamo  del  male,  per  far  Lui 
la  misericordia  ».  Renzo  ricorre  da  ultimo  al  presunto  giudizio  di 
Agnese:  «  non  ve  l'ha  detto  anche  lei  che  l'è  un'idea  storta?  »; 
ma  Lucia,  tra  stupita  e  sdegnata,  risponde:  «  Mia  madre!  volete 
che  mia  madre  mi  desse  il  parere  di  mancare  a  un  voto!  »  E  quan- 
to a  fra  Cristoforo,  è  tanto  sicura  d'avere  anzi  da  lui  una  convali- 
dazione della  sacra  promessa,  che  congeda  Renzo  col  dire:  «  Sì,  sì, 
andate  da  quel  sant'  uomo  »  ;  «  lui  saprà  spiegarvi  le  cose,  e  farvi 
tornare  in  voi  ;  lui  vi  farà  mettere  il  cuore  in  pace  »  (*). 


(1)  Prom.  sp.,  cap.  XXXVI,  pp.  536,  537,  538,  539. 


266  PARTE   TERZA 


È  curioso  notare  che  nella  scena  primitiva  la  segreta  passione  di 
Lucia  e  il  conflitto  interno  de'  suoi  sentimenti  non  avevano  un  vivo 
e  manifesto  rilievo,  benché  fosse  nell'  intenzione  dell'autore  di  pre- 
sentarci in  lei  una  naturale  perplessità  tra  l'amore  e  il  voto,  un'in- 
clinazione, anzi,  alla  speranza  che  fra  Cristoforo  potesse  toglierla 
da  quel  penoso  imbarazzo.  E  dico  nell'intenzione,  poiché  non  già 
•lampeggiava  chiaramente  dal  dialogo  il  vago  sentimento  nuovo,  ma 
era  l'autore  che  ce  ne  voleva  informare  con  un'aggiunta  analitica 
dopo  il  colloquio.  Lucia  a  Renzo,  già  avviato  a  ricercar  del  padre 
per  averne  aiuto  e  conforto,  rivolgeva  quest'  ultime  parole  :  «  Di- 
tegli che  io  ho  sempre  pregato  per  lui;  che  se  può,  venga  a  tro- 
varmi, a  consolarmi,  e  voi...  voi...  ».  A  questa  trepida  reticenza  il 
Manzoni  soggiungeva:  «  —  Non  tornate  più  qui  per  amor  del  cielo! 
—  voleva  ella  dire,  ma  non  lo  disse.  Dopo  fatto  quel  voto,  Lucia 
aveva  sempre  creduto  di  essersi  legata  irrevocabilmente,  e  non  aveva 
supposto  mai,  che  alcuna  autorità  potesse  annullare  un  patto  col 
cielo;  aveva  respinto  come  colpevole  il  pensiero  stesso^  e  non  aveva 
mai  confidato  a  persona  il  suo  doloroso  segreto.  Ma  quando  Fermo 
parlò  di  una  speranza  nel  padre  Cristoforo,  quella  stessa  speranza 
confusa  entrò  nel  cuore  di  Lucia;  le  balenò  nella  mente  un:  —  chi 
sa?  — ,  intravide  come  non  impossibile  che  il  padre  Cristoforo  po- 
trebbe trovare  qualche  mezzo ...  e  in  quel  dubbio  ella  stimò  inutile 
di  dire  risolutamente  a  Fermo:  «  non  tornate  ». 

Codesta  dilucidazione,  non  assolutamente  necessaria  all'  intelligenza 
del  dramma,  .smorzava  la  potente  efficacia  di  quel  «  e  voi...  voi...  », 
a  cui  restava  sospesa  la  voce,  l'anima  di  Lucia,  mentre  Renzo,  che 
forse  non  ne  aveva  intesa  1'  occulta  ansia  mista  di  pena  e  di  dol- 
cezza, germogliata  nel  cuore  di  lei,  correva  via  tutto  preso  dal  pen- 
siero di  «  tornar  ben  tosto  »  col  frate.  Ma,  se  possono  esser  superflue 
le  parole  dell'autore  alla  rappresentazione  artistica,  giovano  a  il- 
luminare la  concezione  primitiva,  che  della  situazione  psicologica^ 
creata  dall'  inaspettata  visita  di  Renzo  e  dalle  affezioni  di  Lucia  in 
quel  momento,  s'era  fatto  il  Manzoni.  Il  quale  —  conviene  dirlo  — 
non  riesci  a  darci  con  gli  effetti  del  dialogo  la  netta  immagine  di 
Lucia,  quale  ei  vagheggiava,  d'anima  agitata  tra  l'amore  e  il  voto, 
tra  la  volontà  legata  alla  solenne  promessa  e  la  confusa  speranza 
di  liberarsene  con  l'aiuto  di  fra  Cristoforo,  onde  cercò  di  rimediarvi 
con  un  po'  d'analisi  introspettiva.  Non  vi  riuscì  con  efficace  imme- 
diatezza d'arte,  ma  certamente  ne  ebbe  il  proposito,  e  si  aff'aticò  a 
chiarirla,  come  attesta  il  tormentoso  lavorio  di  correzione,  a  cui  sot- 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  267 

topose  il  passo  sopra  riportato  (*).  In  effetto  l'amore  di  Lucia  nella 
prima  redazione  del  dialogo  non  appariva  evidente,  ma  ella  lo  la- 
sciava intravedere  piuttosto  dallo  sforzo  aff"annoso  della  rivelazione 
che  da  aperte  espressioni,  e  non  riusciva  più  a  nasconderlo  se  non 
quando  Renzo  le  chiedeva  risoluto  e  accorato  :  «  Lucia  !,  se  non  fosse 
il  voto...?  dite:  sareste  la  stessa  per  me?  »;  nell'ultima  quell'in- 
timo tormento  del  cuore  è  manifesto  per  più  segni  e  più  efficace- 
mente vivaci  :  e  trepida  nelle  parole  di  lei  con  altro  spirito  e  suono 
dalla  forma  primitiva.  Sarebbe  dunque  parso  al  Manzoni,  nel  ripen- 
sare il  comportamento  di  Lucia  in  codesto  drammatico  incontro  con 
Renzo,  di  dover  rendere  in  modi  più  rilevati  e  coloriti  l'inquieto 
agitarsi  della  passione  combattuta,  ma  non  doma?  di  dovere  dare 
una  forma  più  franca,  più  aperta  all'espressione  dell'amore?  Se 
così  fosse,  se  in  realtà  Lucia  apparisse  più  appassionatamente  inna- 
morata nell'ultima  dipintura,  dovremmo  ammettere  che  il  Manzoni 
ha  qui  modificato  quel  criterio  —  dominante  nel  processo  d'elabo- 
razione artistica  di  questo  personaggio  —  d'una  rappresentazione 
più  decorosa,  più  composta  e  più  sobria,  d'una  idealizzazione  poetica, 
più  profondamente  pensosa,  del  carattere  e  dell'amore  di  Lucia.  Nel 
fatto,  chi  non  si  lasci  ingannare  dall'apparenza  vedrà  che  certi  toni 
di  una  più  espressiva  trepidazione  d'amore  della  nuova  scena  non 
sono  dovuti  all'intenzione  di  tratteggiare  con  maggior  vivezza  l'a- 
nima innamorata  di  Lucia,  ma  si  riflettono,  piuttosto,  dallo  stesso 
fervore  religioso,  con  che  ella  difende  l'inviolabilità  del  voto. 

Nel  principio  del  colloquio  Renzo,  fremente  di  dolore,  incalza  ap- 
passionato: «  Oh  Lucia!  perchè  venire,  mi  dite?  Dopo  tante  pro- 
messe! Non  Siam  più  noi?  Non  vi  ricordate  più?  Che  cosa  ci  mancava?». 
E  un  gran  momento  d'angoscia  per  Lucia:  giunge  le  mani  e  alza 
gli  occhi  al  cielo  esclamando  :  «  Oh  Signore  !  perchè  non  m' avete 
fatta  la  grazia  di  tirarmi  a  Voi...!  »  e,  rivolta  a  Renzo,  dice  sgo- 
menta :  «  Oh  Renzo  !  cos'  avete  mai  fatto  ?  Ecco  ;  cominciavo  a  spe- 
rare che...  col  tempo...  mi  sarei  dimenticata,..». 

Sublimi  parole  d'anima  ingenua  e  forte  insieme,  che  alla  presenza 
dell'uomo,  di  cui  non  avrebbe  voluto  «  più  saper  nulla  »,  teme  non 
ritorni  l'antico  aff'etto,  come  al  tempo  de'  primi  sgomenti  e  combat- 
timenti, a  turbarla  nelle  prove  di  fede  e  di  abnegazione  durate  con 


(1)  Qu«l  «dubbio»  che  trattiene  Lucia  dal  dire  a  Renzo:  «non  tornate»  era,  nelle 
varianti,  «pungente,  ma  non  senza  una  dolcezza»;  poi  il  Manzoni  corresse  in  «pe- 
noso, ma  d'una  pena  che  Lucia  non  aveva  sentita  da  gran  tempo  »  (Sp.  proni.,  p.  763, 
ji.  9).  È  evidente  lo  sforzo  per  cogliere  e  fissare  in  lucide  forme  lo  stato  inquieto  di 
Lucia. 


268  PARTE    TERZA 


assiduo  sforzo  per  mantenere  la  solenne  promessa,  per  obliare  un 
passato  pur  tanto  soave.  L'amore  lampeggia,  è  vero,  in  quelle  altre 
parole  vibranti  d'  accorata  eloquenza  :  «  Uomo  senza  cuore  !  quando 
m'aveste  fatte  dir  delle  parole  inutili,  delle  parole  che  mi  farebbero 
male,  delle  parole  che  sarebbero  forse  peccati,  sareste  contento? 
Andate,  oh  andate!  dimenticatevi  di  me;  si  vede  che  non  eravamo 
destinati!  ».  Ma  voi  sentite  nel  pianto  di  Lucia,  in  cui  l'obbligo  al 
voto,  da  lei  sentito  con  religiosità  profonda,  non  può  soffocare  del 
tutto  l'amore,  voi  sentite  che  è  la  sua  coscienza  candidamente  cri- 
stiana che  soffre  e  che,  mentre  non  sa  rinnegare  il  tenero  affetto, 
radicato  nel  cuore,  si  rafferma  nella  santità  di  quell'obbligo  contratto 
con  Dio.  Parole  «  inutili  »  parole  forse  peccaminose  sarebbero  le 
sue:  allora  e  sempre.  A  che  prò?  Più  forte  dell'amore  è  il  destino 
che  è  in  mano  di  Dio  :  così,  tra  lampeggiamenti  d'  affetto,  s'aderge 
ognora  —  come  torre  che  non  crolla  —  l' alta  coscienza  del  suo 
nuovo  dovere:  giacché  ha  avuta  la  grazia,  la  salvezza  in  virtù  del 
voto,  come,  perchè  scuotere  la  fedeltà  d'una  promessa  coi  pensieri 
d'una  volta?  Ricordate  la  «  supplicazione  accorata  »  con  cui  Lucia, 
rilevandosi  dallo  sgomento  della  memoria  del  voto,  il  primo  giorno 
della  sua  liberazione,  e  riconfermando  la  promessa  alla  Madonna, 
aveva  chiesto  che  «  le  fossero  risparmiati  i  pensieri  e  l'occasioni,  le 
quali  avrebbero  potuto,  se  non  ismuovere  il  suo  animo,  agitarlo 
troppo?  (*)  ».  Il  medesimo  accoramento  religioso  palpita  ora  nel- 
l'anima combattuta  dalle  parole  di  Renzo;  la  medesima  appren- 
sione per  quella  più  temibile  fra  le  occasioni  deprecate  nella  pre- 
ghiera, le  tortura  l'anima  pia,  ora  che  la  Provvidenza  non  gliel'ha 
voluta  risparmiare,  e  le  riaccende  il  fervore  d'implorazione  di  quella 
giornata.  Renzo,  nel  dire  che  fra  Cristoforo  era  poco  lontano  di  lì, 
insinua  tra  destro  e  tenero  :  «  poco  più  che  da  casa  vostra  a  casa 
mia...  se  vi  ricordate..!».  Un  fiotto  di  soavi  ricordi  si  risolleva 
dal  cuore  dì  Lucia  che  geme:  «  Oh  Vergine  santissima!  »  Un  grido, 
un'invocazione,  non  più.  Ma  quante  cose  espresse  in  quelle  due 
semplici  parole  !  E  quando  Renzo  al  sentirsi  dire  che  padre  Cristo- 
foro gli  farà  «mettere  il  cuore  in  pace  »  sfoga  l'animo  in  quella 
parlata  splendida  di  amore  e  di  dolore,  Lucia,  quasi  travolta  dal- 
l'onda incalzante  degli  argomenti  appassionati  e  acuti  del  giovine, 
quando  «  il  pianto  »  le  permette  «  di  formar  parole  »,  invoca  ancora 
la  Madonna  :  «  0  Vergine  santissima,  aiutatemi  voi  !  Voi  sapete  che, 


(1)  Prom.  s'p.,  cap.  XXIV,  p.  350. 


IL   ROMANZO   IN    FORMAZIONE  269 


dopo  quella  notte,  un  momento  come  questo  non  l'ho  mai  passato. 
M'avete  soccorsa  allora;  soccorretemi  anche  adesso!  ». 

E,  insistendo  Renzo  con  quelle  parole:  «  Se  è  ch'io  vi  sia  venuto 
in  odio.,.,  ditemelo....  parlate  chiaro  »,  che  sono  un  nuovo  abile  ten- 
tativo per  strappare  a  Lucia  una  confessione  aperta  dell'amore  com- 
battuto, ma  non  vinto,  ella  con  tragici  accenti  lo  scongiura:  «  Per 
carità,  Renzo,  per  carità,  per  i  vostri  poveri  morti,  finitela,  finitela; 
non  mi  fate  morire....  »  ;  e,  dopo  una  pausa  grave  di  disperato  do- 
lore, singhiozza:  «  Non  sarebbe  un  buon  momento  >.  Atti  e  parole, 
rivelanti  non  già  il  risorto  conflitto,  del  tempo  addietro,  tra  il  do- 
vere e  l'amore,  ma  il  turbamento  profondo  dell'anima  religiosa, 
messa  a  quella  terribile  dura  prova,  affannata  nel  ricercare  nuovo 
vigore  e  calore  a  raffermarsi  nel  voto  e  nell'  adempimento  di  esso. 

Uno  degli  aspetti  della  nuova  figura  psicologica  e  morale  di  Lu- 
cia è  codesto  progressivo  rafforzamento  della  sua  coscienza  reli- 
giosa rispetto  al  voto,  in  ragione  diretta  delle  vicende  eh'  ella  su- 
bisce e  del  chiarirsi  via  via  nella  sua  anima,  umile  e  alta  ad  un 
tempo,  dei  motivi  e  delle  circostanze  del  suo  sacrifizio,  della  «  pie- 
nezza del  sentimento  »  con  cui  l'aveva  fatto,  della  mirabile  rispon- 
denza della  grazia  divina  al  suo  grande  fervore  di  fede  e  dì  spe- 
ranza, messo  nella  preghiera  e  nella  promessa  di  quella  notte. 
Nella  prima  concezione  balenò  alla  mente  del  Manzoni,  piuttosto, 
il  contrasto  tra  1'  antico  inestinguibile  affetto  e  la  nuova  obbliga- 
zione morale  :  dramma  umano,  fecondo  di  grandi  bellezze,  ma  che 
il  Manzoni  —  sebbene  l'abbia  pensato  —  non  svolse  ed  attuò,  come 
pur  la  situazione  avrebbe  comportato,  con  ardita  analisi  psicologica 
e  lussureggiante  dovizia  di  rappresentazione  artistica,  trattenuto  dal 
timore,  forse,  di  precipitare  in  quel  genere  romantico  che  non  gli 
doveva  piacere  neppure  al  tempo  del  primo  dtsegno  e  della  prima 
stesura  del  romanzo,  benché  per  allora  non  sapesse  sottrarvisi  del 
tutto  per  ragioni  dì  pensiero  e  d'arte,  che  abbiamo  già  esaminate; 
preoccupato  certamente  dal  proposito,  perfino  teoricamente  discusso 
e  difeso,  d'evitare  una  troppa  manifesta  e  minuta  rappresentazione 
dell'  amore^  alla  quale  non  sarebbe  potuto  sfuggire  se  avesse  dato 
ampio  sviluppo  di  analisi  alla  lotta,  con  pari  forza  combattuta,  tra 
il  cuore  amante  di  Lucia  e  la  coscienza  del  dovere  religioso;  agi- 
tato e  impacciato  infine  (che  è  anche  piìi  probabile)  nel  delineare, 
nel  primo  fervido  getto  della  figura,  con  compiutezza  e  sicurezza 
di  concezione  e  d'espressione  il  carattere  del  suo  personaggio. 

Si  veda,  per  contro,  come  il  Manzoni  abbia  elaborato  e  trasfor- 
mato il  dramma  di  Lucia  nell'ultima  redazione.  Nei  primi  combat- 


270  PARTE    TERZA 


timenti,  suscitati  dalla  memoria  del  voto,  l'idea  che  Renzo  si  ras- 
segnasse, non  pensasse  più  a  lei  metteva  e  sottosopra  la  mente 
ch'era  andata  a  cercarla  »,  «  il  cuore  era  lì  lì  per  pentirsi  »,  un'al- 
tra volta,  pur  dopo  la  nuova  preghiera  e  la  conferma  nella  sacra 
promessa  del  voto.  Eppure  la  memoria  di  questo  erale  comparsa 
«  così  chiara  e  distinta  »  con  tutte  le  circostanze  e  i  sentimenti 
che  r  avevano  accompagnato  ;  eppure,  se  aveva  avuto  un  «  penti- 
mento momentaneo  »,  l'aveva  subito  rinnegato,  tant'era  la  ricono- 
scenza della  grazia  ricevuta;  e  aveva,  poco  prima,  riposata  l'anima 
nella  pia  credenza  che  fosse  stata  la  Provvidenza  a  disporre  tutto 
per  il  meglio.  Sarebbe  estrema  leggerezza  tentar  di  cogliere  una 
contraddizione  o  una  discontinuità  psicologica  in  quella  prima  fi- 
gurazione dello  stato  d'animo  in  cui  il  poeta  ci  rappresenta  Lucia, 
il  giorno  della  liberazione;  e  già  su  questo  argomento  qualcosa  s'è 
detto  più  addietro.  E,  invece,  naturale  che  in  Lucia,  anche  dopo  la 
rinnovazione  della  promessa  e  quella  certa  calma  ispiratale  dalla 
fede,  si  ridestasse  il  tumulto  degli  afifefti,  e  che,  al  primo  pensare 
a  Renzo  e  alla  difficoltà  d'indurlo  a  dimenticarla,  si  sentisse  ripren- 
der dall'affanno  di  poco  innanzi.  Era  il  giorno  della  liberazione,  in- 
vocato con  tanta  angoscia  :  lo  spirito,  l' essere  tutto  tornava  alla 
vita,  alla  gioia  del  vivere  senz'onta,  in  salvezza,  presidiata  da  ina- 
spettati e  potenti  soccorsi.  E  che  tempo  era  intercorso  tra  1'  uscita 
dal  monastero  di  Monza  e  quell'  ora  di  ospitale  riposo  ?  Un  giorno 
e  una  notte,  e  un  dramma  rapido,  ma  intenso,  complicato  e  straor- 
dinario: il  ratto,  la  grazia,  il  pentimento  dell'oppressore,  l'intervento 
di  un  grande  religioso,  il  ritorno  alla  libertà.  Poteva  parere  un  so- 
gno ad  anima  che  non  attingesse  dalla  fede  candida  e  profonda  la 
spiegazione  dell'evento  straordinario;  mail  cuore  di  Lucia,  appunto 
per  questo  fulmineo  trapasso  dal  sicuro  ricovero  all'  orrendo  peri- 
colo, e  da  questo  alla  libertà,  non  poteva  essere  domato  del  tutto, 
in  cosi  breve  giro  di  tempo,  dalla  solenne  virtù  del  voto.  Non  v'ha 
potenza  d'eventi  umani,  non  efficacia  d'atti  solenni  e  risolutivi  che 
valga  a  scancellare  d'  un  tratto  sentimenti,  affetti,  intime  abitudini 
dello  spirito,  profondamente  radicati.  La  coscienza  della  gravità  del 
voto,  allora  in  sul  principio  d'una  lunga  penosa  lotta  col  cuore,  non 
poteva  vincere  in  Lucia  il  pensiero  di  Renzo,  l'onda  dell'affetto  an- 
cor vivo,  la  riluttanza  a  chiedere  pure  a  lui  la  rinunzia  suprema. 
Tutto  ciò  è  psicologicamente  vero;  e  il  Manzoni  con  giusto  intuito 
r  ha  colto  e  splendidamente  rappresentato. 

Ma  il  tempo   trascorre  ;   e   col  tempo   Lucia  s' adusa  alle  interne 
battaglie  ;  dalla  ricognizione,  fatta  in  lei  più  chiara,  di  una  partico- 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  271 

lare  grazia  ottenuta,  dal  convincimento,  sempre  meglio  ribadito,  di 
dovere  la  invocata  salvezza  alla  risolutezza  del  suo  sacrifizio  attinge 
via  via  nuovo  vigore  di  devozione  e  di  riconoscenza,  di  costanza 
nell'adempimento  della  promessa;  soffre,  tuttavia,  ma  ogni  giorno 
più  rafforza  la  coscienza  contro  gli  stimoli  del  cuore;  dai  nuovi  casi 
suoi,  dalle  fortunose  vicende  di  Renzo  trae  un  monito  a  perseverare 
nell'obbligo  contratto  con  Dio.  Con  tale  animo,  quando  si  separa 
dalla  madre,  il  giorno  innanzi  la  partenza  da  Milano,  non  solo  trova 
la  forza  di  rivelarle  il  voto,  ma  di  sostenere,  altresì,  le  alte  ragioni 
di  volerlo  adempiere  senza  pentimenti  od  esitazioni:  allora  Lucia, 
non  che  lasciarsi  sconvolgere  dall'  idea  che  Renzo  «  metta  il  cuore 
in  pace  »,  sollecita  la  madre  a  fargli  sapere  i  patimenti  da  lei  sof- 
ferti, il  pericolo  corso  e  l' inviolabile  promessa,  a  persuaderlo  ch'ella 
non  può  «  mai  mai  esser  di  nessuno  »;  allora  —  per  quell'ingenuo 
moto  dell'  animo  concitato  da  una  grande  passione  o  rinvigorito  da 
una  sicura  convinzione  che  ci  fa  immaginare  in  altri  una  disposi- 
zione consimile  —  s'  abbandona  quasi  alla  certezza  che  Renzo  abbia 
a  rassegnarsi  (*). 

Ne'  lunghi  mesi  passati  in  casa  di  donna  Prassede,  Lucia  non 
perde  terreno:  sì,  è  vero  che  l'immagine  di  Renzo  le  si  presenta 
più  spesso  ch'ella  non  voglia,  ma  perchè  è  essa  attaccata  a  «  tutte 
le  memorie  del  passato  >,  alle  quali  torna  la  mente  di  Lucia.  «  Non 
desiderava  —  scrive  il  Manzoni  —  più  altro,  se  non  che  si  dimen- 
ticasse di  lei  ;  0,  per  dir  la  cosa  proprio  a  un  puntino,  che  pensasse 
a  dimenticarla.  Dal  canto  suo,  faceva  cento  volte  al  giorno  una 
risoluzione  simile  riguardo  a  lui  ;  e  adoprava  anche  ogni  mezzo^ 
per  mandarla  ad  effetto  »  (*).  Che,  dopo  «  così  lunga  consuetudine  » 
d' amore,  il  cuore  potesse  del  tutto  tacere  e  la  buona  volontà  le  ba- 
stasse per  riuscir  a  non  pensare  più  affatto  a  Renzo,  non  varrebbe 
nemmeno  la  forte  ragione  del  voto  per  ammetterlo;  e  il  Manzoni, 
da  ottimo  psicologo,  si  guardò  bene  dal  rappresentarci  1'  anima  re- 
ligiosa di  Lucia  capace  di  così  assoluta  austerità  da  seppellire  im- 
perturbabilmente nell'oblio  il  tenero  ricordo  dell'uomo  già  prossimo 
ad  essere  suo  sposo  e  che  in  nulla  aveva  demeritato  di  lei.  Ma  non 
ci  sfugga  —  oltre  che  la  concezione  umoristica  di  quei  dibattiti  tra 
Lucia  e  donna  Prassede  sui  casi  e  sull'indole  di  Renzo  —  la  situa- 
zione vera  in  cui  ella  trapassa,  dopo  la  confessione  del  voto  (che  è 


(1)  In  quelle  parole:   «Quando  saprà  che  ho  promesso  alla  Madonna ha  sempre 

avuto  il  timor  di  Dio»  la  reticenza,   la  sospensione  è  indizio  d'affannoso  discorso 
interiore,  non  di  sicura  speranza  (Proni,  sp.,  cap.  XXVI,  p.  386). 

(2)  Prom.  sp.,  cap.  XXVI,  p.  397. 


272  PARTE    TERZA 


è  una  riconferma  a  sé  stessa)  fatta  alla  madre:  che,  cioè,  non  ha 
luogo  un  vero  contrasto  della  coscienza  col  cuore,  non  l'adombra 
pentimento  e  rammarico  della  nuova  promessa,  ma  anzi  vi  è  così 
ferma  che  si  studia  di  cancellare  perfino  dalla  memoria  la  figura 
dell'  uomo  amato.  È  la  fase  più  operosa  del  promesso  adempimento 
del  voto:  cercar  di  dimenticare,  desiderando  d'essere  dimenticata; 
la  coscienza's'è  di  tanto  afforzata  che  «  a  pensarci  meno  »  al  pas- 
sato, «  fino  a  un  certo  segno  »  ci  riesce.  Osserva  il  Manzoni  con 
calma  sorridente:  «  ci  sarebbe  anche  riusciuta  meglio  se  fosse  stata 
sola  a  volerlo.  Ma  c'era  donna  Prassede,  la  quale,  tutta  impegnata  dal 
canto  suo  a  levarle  dall'animo  colui,  non  aveva  trovato  miglior 
espediente  che  di  parlargliene  spesso  »  (*).  Oh  se  non  ci  fosse  stata 
queir  «  acerba  predicatrice  »  a  suscitare  con  «  l' indegno  ritratto  > 
ch'ella  faceva  del  povero  Renzo,  le  «  rimembranze»  d'un  tempo, 
«  tanti  antichi  motivi  di  stima  »  e  «  più  forte  la  pietà  »  pel  giovane 
perseguitato,  dietro  «  a  quegli  affetti  »  l'amore,  come  suole,  non  si 
sarebbe  sollevato  a  turbare  «  quella  qualunque  calma  »  (*)  in  cui 
Lucia,  armata  di  fede,  di  rassegnazione,  di  riconoscenza  verso  Dio, 
veniva  componendo  l'anima  sua. 

Quando  dunque  vuole  il  destino  che  Renzo  ritrovi  nel  lazzaretto 
la  giovine  amata  e  che  questa  sostenga  con  lui  il  tremendo  contra- 
sto che  abbiamo  analizzato,  ella  ha  superato  la  crisi  del  cuore,  né 
vi  ha  voce  o  atto  di  lei  nel  dramma  potente  che  accenni  al  risolle- 
varsi dell'affetto,  compresso  a  forza,  sopra  le  ragioni  del  voto,  o  al 
tentennar  dell'anima,  compresa  del  suo  doloroso  dovere,  o  al  for- 
marsi, come  lasciava  intravedere  il  poeta  nella  prima  stesura,  d'una 
vaga  speranza  di  poter  sciogliersi  dalla  sacra  promessa. 

L'angoscia  di  Lucia  non  è  tanto  lo  sgomento  del  cuore,  perchè 
l'antico  affetto  lo  riagiti^  quanto  il  travaglio  della  coscienza,  scossa, 
combattuta  nel  suo  proposito  dolorosamente  fiero,  ma  ansiosa  —  ora, 
più  che  inai,  in  quella  suprema  contesa  -r-  di  tenersi  ferma:  «fi- 
nitela, finitela;  non  mi  fate  morire  >  —  sono  le  ultime  parole  — 
«  Andate  dal  padre  Cristoforo,  raccomandatemi  a  lui,  non  tornate 
più  qui,  non  tornate  più  qui  ». 

Parole  semplici  e  grandi,  di  preghiera,  d'_^ammonimento,  di  co- 
mando, che  scolpiscono  il  carattere  religioso  di  quel  forte  travaglio, 
su  cui  non  ha  potuto  la  voce  accorata  e  fiera  di  Renzo,  non  il  suo 
amore  imperioso,  ma  potrà  una  parola  più  alta  e  più  pura,  quella 
di  Dio,  detta  da  un  interprete  insigne  e  venerando. 

(1)  IMd.,  p.  3y8. 

(2)  Ivi. 


IL    ROMANZO   IN   FORMAZIONE  273 


X.  Ed  eccoci  alla  scena  del  proscioglimento  del  voto  (*).  Nel- 
l'insieme essa  è  rimasta  come  il  Manzoni  1'  aveva  concepita  e  rap- 
presentata nel  primo  getto  ;  ma  i  caratteri  di  fra  Cristoforo  e  di 
Lucia  hanno  avuto  sapienti  ritocchi  che  ora  vedremo. 

Codesta  scena,  l'ultima  che  richiami  la  mia  attenzione  nello  studio 
che  sono  venuto  facendo  attorno  alla  formazione  del  celebre  per- 
sonaggio manzoniano,  ha  subito  soltanto  quei  mutamenti  che  com- 
portava la  più  elevata  concezione  morale  e  religiosa^  onde  il  Man- 
zoni —  come  ormai  ho  largamente  dimostrato  —  ne  ha  rifatta  la 
figura  psicologica.  Fin  dal  primo  tratto,  fin  dalle  prime  parole,  il 
tono  è  mutato.  Aveva  scritto  il  Manzoni:  «  Al  riveder  Fermo  ella 
trasalì,  e  al  vedere  il  padre  Cristoforo  balzò  dal  saccone  di  paglia, 
ov'  era  seduta,  e  gli  si  gettò  incontro  sulla  porta.  «  Oh  padre  ! .  .  . 
Signore  Iddio!  come  sta  ella?  »  soggiunse  poi  tosto,  vedendogli  i 
segni  della  morte  in  vólto  ». 

Quel  trasalire  di  Lucia  non  torna  più  nella  scena  rinnovata,  ed 
ella,  andando  incontro  al  vecchio,  grida  non  altro  che:  «  Oh  chi 
vedo!  0  padre  Cristoforo!  ».  Il  ritocco  è  stato  opportuno,  perchè 
quell'emozione  ogni  lettore  intelligente  l'intravede  nell'alzarsi  pre- 
cipitosamente che  fa  Lucia  e  perchè  acquista  più  rilievo  di  pietà  e 
gentilezza  quell'unico  sentimento  espresso  di  meraviglia  e  premura 
pel  frate  ;  le  poche  parole,  poi,  che  le  escono  spontanee  dalle  lab- 
bra, rispecchiano  la  prima  impressione  che  doveva  provare  Lucia 
alla  vista  del  venerando  uomo.  Parla  il  frate,  e  Lucia,  ormai  giun- 
tagli vicino,  lo  guarda  attentamente,  e  allora,  dominata  da  un  senso 
di  pietà  devota,  dice:  «  Ma  lei,  padre  ?  Povera  me,  com'è  cambiato  ! 
Come  sta?  dica:  come  sta?  >:  parole  che  nella  fervida  loro  abbon- 
danza coloriscono  di  più  calda  gentilezza  il  comportamento  di  lei. 

Nel  seguito  del  dialogo  c'erano  delle  esclamazioni  oziose  :  «  Oh  pa- 
dre! quanto  tempo!  quante  cose!»  Più  delicatamente  atteggiata  è  la 
nuova  Lucia  che  non  s'abbandona  alle  memorie  del  passato,  alle  quali 
più  acconciamente  accenna  il  frate  con  premura  paterna  e  con  gra- 
titudine religiosa,  né  ha  in  quel  momento  altra  affezione  che  non  sia  di 
pena  e  di  trepidazione  per  lo  squallido  aspetto  del  suo  protettore. 

La  discussione  sul  voto  procedeva  meno  alta  e  meno  ampia;  e 
Lucia  alle  parole  scrutatrici  del  padre  appariva  remissiva  e  pronta 
a  secondare  quella  vaga  speranza   eh'  era   già  nata  in  lei.   Vedete 


(1)  Sp.  prom..,  pp.  767-9;  Prora,  sp.,  cap,  XXXVI,  pp.  542-4. 


Busetto  —  18 


274  PARTE    TERZA 


quanto  rapidamente  si  rivolgeva  l'animo  suo.  Facendole  osservare 
fra  Cristoforo,  come  pur  si  legge  press'  a  poco  nel  testo  definitivo, 
eh'  ella  non  poteva  offrire  alla  Vergine  «  una  libertà,  della  quale 
aveva  già  disposto  »,  non  riprendersi  una  parola  già  data  «  senza 
sapere,  se  quegli  che  1'  aveva  ricevuta,  avrebbe  consentito  a  resti- 
tuirgliela »,  Lucia  faceva  quella  naturale  domanda,  che  è  rimasta 
nel  romanzo:  «  Ho  fatto  male?  »,  ma  l'autore  lumeggiava  il  nuovo 
stato  d'animo  di  lei,  soggiungendo  che  la  domanda  era  fatta  «  con 
sorpresa,  e  con  un  rimorso  che  non  era  tutto  doloroso  »,  mentre 
poi,  omesso  codesto  significativo  commento  psicologico,  non  risuo- 
nano che  quelle  semplici  parole  interrogative  denotanti  lo  stupore, 
senza  il  pentimento  mondano,  il  dubbio,  senza  la  compiacenza  d'a- 
verne un  profitto.  Ne  guadagna  la  pura  e  alta  coscienza  religiosa 
di  Lucia.  Poi  la  scena  continuava:  «  Ed  ora,  prosegui  egli,  che  vi 
dice  il  vostro  cuore  di  quel  voto  ?»  «  Che  vuol  ella  che  me  ne 
dica?  »  rispose  Lucia  arrossendo  più  che  mai  e  chiudendo  quasi  del 
tutto  gli  occhi,  eh'  erano  già  chini  a  terra  ». 

«  Se  non  lo  aveste  fatto,  lo  fareste?  »  «  Se,.,  non  fossi  in  quel 
pericolo ...  in  un  grande  pericolo...  e  poi.  se  non  è  permesso . . .  non 
lo  farei  ». 

«  Se  non  lo  aveste  fatto,  sareste  tuttavia  risoluta  di  sposare  quel- 
l'uomo, a  cui  avevate  promesso?  »  «  Io  credeva...  che  fosse  male 
il  pensarvi...  ma  poiché  Ella  me  lo  domanda...  ah,  padre,  sì!  ». 

Non  faremo  un  appunto  al  Manzoni  d'  aver  fatto  parlare  così  la 
sua  Lucia  nella  prima  stesura:  che  anzi  in  quel  discorso  rotto,  so- 
speso, incerto,  e'  è  tutta  l'anima  che,  sentendo  allentarsi  il  vincolo 
religioso,  torna  ai  palpiti  d'una  volta:  c'è  tutta  l'anima  combattuta 
con  egual  forza  dall'affetto  e  dal  sentimento  del  dovere,  quale  l'a- 
veva pensata  e  figurata  il  poeta  nella  prima  concezione. 

Secondo  l'ultima,  più  profonda  e  severa,  Lucia,  anche  nel  collo- 
quio col  frate,  non  cede  alla  persuasiva  autorità  delle  solenni  ar- 
gomentazioni e  dichiarazioni  di  lui  se  non  attraverso  un  laborioso 
e  contrastato  rivolgimento  della  coscienza.  Ella  è  ferma  e  sicura  di 
sé,  da  quando  il  frate  l'invita  a  confidarsi  in  lui.  Nel  testo  primitivo, 
alle  parole  del  suo  interlocutore:  «  Fermo  mi  ha  detto  che  avete 
fatto  voto  di  non  maritarvi  »,  rispondeva:  «  È  vero  »  arrossendo: 
e  c'era  in  quest'  atteggiamento  qualcosa  di  confuso,  di  trepido,  di 
pudibondo.  Più  netto  e  preciso  è  nel  nuovo  testo  il  tono  della  ri- 
sposta, che  alla  domanda  vaga  del  padre:  «  Cos'è  codesto  voto  che 
m'ha  detto  Renzo?»  ella  dà  con  espressa  compiutezza  di  pensiero: 
«  E  un  voto  che  ho  fatto  alla  Madonna ...  oh  !  in  una  gran  tribola- 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  275 

zione!...  di  non  maritarmi»,  dove  senti  in  quella  sospensione  di 
mezzo  non  una  nota  di  trepidazione  pudica,  ma  la  commozione  af- 
fannosa de'  ricordi. 

Lucia  non  tentenna,  «  Ma  avete  pensato,  allora,  ch'eravate  legata 
da  una  promessa  »?  le  chiede  fra  Cristoforo;  ed  ella,  con  candida 
meraviglia,  che  rivela  la  fermezza  della  sua  fede,  risponde:  «Trat- 
tandosi del  Signore  e  della  Madonna  ! . . .  non  ci  ho  pensato  » ,  E 
richiesta  se  si  fosse  consigliata  con  nessun  religioso  sul  voto,  con 
altrettanta  sicurezza  soggiunge:  «  Io  non  pensavo  che  fosse  male, 
da  dovermene  confessare  :  e  quel  poco  di  bene  che  si  può  fare,  si 
sa  che  non  bisogna  raccontarlo  ».  Si  confronti  l'accento  vivo  di  gra- 
vità religiosa  che  il  Manzoni  ha  dato  a  questo  punto  del  dialogo, 
col  passo  sopra  riportato  della  prima  stesura,  dove  il  frate-  procede 
con  tono  un  po'  casistico  a  scrutare  il  cuore  di  Lucia,  prima  di  ve- 
nire alle  formule  preparatorie  del  proscioglimento. 

Più  sobrio,  più  conciso  e  penetrante  procede  il  dialogo  nella  nuova 
forma. 

«  Non  avete  nessun  altro  motivo  che  vi  trattenga  dal  mantenere  la 
promessa  che  avete  fatta  a  Renzo  »  ? 

«  In  quanto  a  questo  . . .  per  me  . . .  che  motivo  ? . . .  Non  potrei  proprio 
dire...»  rispose  Lucia,  con  un  esitazione  che  indicava  tutt'altro  che 
un'incertezza  del  pensiero;  e  il  suo  viso,  ancora  scolorito  dalla  ma- 
lattia, fiorì  tutt'  a  un  tratto  del  più  vivo  rossore  » . 

E  notevole  codesta  tinta  di  soave  pudore  con  che  il  Manzoni  rav- 
viva la  pittura  delicata  di  queir  esitazione  che  si  riapre  alla  confi- 
denza e  alla  gioia  dell'amore.  Anche  prima  Lucia  arrossiva:  un  po' 
troppo  anzi,  così  nella  conferma  della  notizia  del  voto,  come  nella 
titubanza  a  dire  cosa  ne  sentisse  nel  cuore,  e  chinava  spesso  gli 
occhi  a  terra.  Esagerazione  di  toni  e  di  sfumature,  tanto  più  disdi- 
cevole a  quel  non  so  che  di  gaiezza  che  serpeggia  nelle  parole  di 
lei.  La  nuova  Lucia  arrossisce  una  sola  volta  e  «  del  più  vivo  ros- 
sore »,  ma  in  un  momento  di  gran  commozione  del  cuore  innamo- 
rato; ed  è  questa  una  pennellata  che,  armonizzando  con  la  raccolta 
e  sobria  luce  del  ritratto  morale,  la  tinge  di  gentile  umanità  e  di 
delicata  passione.  Il  cuore  ripalpita  come  ne'  tempi  della  gioia  tran- 
quilla, ma  la  coscienza  ancora  nou  s'acquieta:  l'autorità  di  fra  Cri- 
stoforo è  grande,  ma  troppo  vivida  e  pura  fiamma  è  la  fede  di  Lucia, 
troppo  rigorosa  la  sua  logica  spirituale  perchè  si  giocondi,  senz'altro, 
della  nuova  speranza.  E  uno  de'  più  luminosi  esempi  del  modo  come 
il  Manzoni  ha  elevato  il  carattere  di  Lucia  è  nell' esitante  e  ancor 
battagliero  atteggiarsi   di  lei  "alle   risolutive  parole  del  padre:  «io 


276  PARTE   TERZA 


posso,  quando  voi  lo  chiediate,  sciogliervi  dall' obbligo  ».  «  Ma  non 
è  peccato  tornare  indietro,  pentirsi  d'una  promessa  fatta  alla  Ma- 
donna? Io  allora  l'ho  fatta  proprio  di  cuore...  »  soggiunge  Lucia. 
In  quest'atto  la  Lucia  dell'ultima  forma  ci  si  presenta  con  quell'im- 
pronta di  religiosità  pura  e  forte,  ond'ella  uscì  nobilitata  dalla  ela- 
borazione del  romanzo.  Il  poeta,  secondando  il  suo  spirito  d' inda- 
gine introspettiva,  non  s'accontenfa  di  quell'efficace  rappresentazione 
e  la  illumina  d'analisi,  dicendo  che  Lucia  era  «  violentemente  agi- 
tata dall'assalto  d'  una  tale  inaspettata,  bisogna  pur  dire  speranza, 
e  dall' insorgere  opposto  d'un  terrore  fortificato  da  tutti  i  pensieri 
che,  da  tanto  tempo,  eran  la  principale  occupazione  dell'animo  suo  ». 

Quando  finalmente  il  frate  le  ribatte  con  cresciuta  vivacità  di 
persuasione  che  non  fa  peccato  col  ricorrere  all'autorità  della  Chiesa, 
perchè  le  sia  resa  la  parola  data  a  Eenzo,  e  la  sollecita,  anzi  desi- 
dera, eh'  ella  gli  chieda  d' essere  sciolta  dal  voto.  Lucia,  facendo 
forza  a'  suoi  scrupoli,  dice  :  «  Allora. . .  !  Allora. . .  !  lo  chiedo  »  «  con  un 
volto  —  aggiunge  il  Manzoni  —  non  turbato  più  che  di  pudore  ». 
E  codesto  un  altro  bel  tratto  di  soave  verecondia  a  un  tempo  e  di 
commossa  tenerezza,  che  Lucia  prima  non  aveva.  Era,  anzi,  pre- 
sentata in  questo  momento  delicatissimo  sotto  tutt'altra  luce,  avendo 
il  poeta  più  la  mente  alla  gravità  ieratica  della  scena  che  agl'intimi 
moti  di  Lucia.  Dettole  il  frate  se  domandasse  alla  Chiesa  d'essere 
sciolta  dal  voto.  Lucia  rispondeva  :  «  Lo  domando  »  «  con  una  pron- 
tezza, alla  quale  Fermo  non  ebbe  nulla  a  desiderare,  e  che  potrà 
parere  forse  troppa  a  chi,  non  essendo  stato  presente  a  quell'atto, 
non  rifletta  che  la  solennità  della  richiesta^  l'aria  autorevole  di  chi 
l'ha  fatta  non  lasciavan  luogo  a  titubamenti  leziosi,  e  che  ivi  la  ve- 
recondia doveva  essere  tutta  nella  sincerità  » . 

Se  il  proposito  di  studiare  solo  nelle  linee  sostanziali  la  forma- 
zione di  questo  personaggio  manzoniano  attraverso  i  tentativi,  gli 
sforzi,  i  rifacimenti  e  i  ritocchi,  con  cui  il  poeta  l'ha  via  via  ideato, 
ricomposto  e  immutabilmente  effigiato  nell'ultima  forma,  non  mi 
distogliesse  da  analisi  minute,  sarebbe  interessante  osservare  anche 
le  particolarità  e  le  sfumature  di  quest'arte,  non  meno  grande  che 
laboriosa,  che  la  fortunata  conoscenza  delle  prime  prove  ci  mette 
in  grado  d'indagare  intimamente  e  d'intendere  perspicacemente. 

C'è  ne'  grandi  scrittori  de'  fuggevoli  tratti,  che,  in  ragione  diretta 
della  unità  organica  di  comprensione  e  di  rappresentazione,  rivelano 
la  visione  interiore  dell'artista  non  meno  de'  rilievi  più  risentiti  ed 
evidenti.  Vedete  il  modo  come  Lucia  domanda  d'essere  sciolta  dal- 
l'obbligo  del  voto  nel  primo  getto  e  neir  ultima  forma  del  romanzo. 


IL  ROMANZO  IN   FORMAZIONE  277 


Era  parso,  da  prima,  al  Manzoni  di  doverla  atteggiare  animata 
da  una  sollecita  prontezza  qual'  era  richiesta  dalla  forza  di  quel- 
l'autorità che  le  offriva,  come  ministro  di  Dio,  fra  Cristoforo.  Chi 
avrebbe  mai  pensato  che  il  Manzoni,  dopo  avere  anzi  argomentata 
questa  che  a  lui  doveva  parere  una  convenienza  non  meno  artistica 
che  psicologica  e  morale,  modificasse  una  concezione  così  chiara- 
mente e  saldamente  formata  e  atteggiasse  in  modo  quasi  opposto 
l'anima  di  Lucia  nell'estremo  di  quella  situazione?  Eppure  è  così: 
in  quel  ripetere  ad  intervalli  non  lievi  queir  «  allora  >  con  grande 
commozione,  mista  di  trepidanza  e  d'obbedienza,  c'è  tutt' altra  aria 
di  sentimento  da  quel  reciso  «  lo  domando  »  della  primitiva  reda- 
zione ;  e  il  grigio  periodo,  nel  quale  1'  autore  aveva  voluto  ragionar 
a  bello  studio  su  quella  prontezza  di  Lucia,  è  dileguato  per  dar 
luogo  alla  pennellata  luminosa  di  quel  «  volto  »  (chi  non  l'ha  sem- 
pre presente  il  volto  di  Lucia,  durante  la  scena,  non  troppo  chino 
per  eccesso  di  pudore,  ma  umilmente  attento  agli  occhi,  alle  parole 
del  frate?)  di  quel  «  volto  »   «non  turbato  più  che  di  pudore  ». 

L'episodio  s'intrecciava,  nella  minuta,  ad  una  scena  improvvisa, 
che  destava  in  Lucia  «  una  grande  paura  »,  in  fra  Cristoforo  e  in 
Renzo  «una  grande  compassione»:  l'apparire,  cioè,  di  don  Rodrigo 
«  ritto  sul  mezzo  dell'uscio  »,  «  smorto  »,  «  rabbuffato  »,  mezzo 
ignudo,  con  lo  sguardo  attento  e  insensato  e  con  nel  viso  i  segni 
d'una  paura  mista  a  furore,  a  curiosità,  a  sospetto.  Fosco  spettacolo, 
d' un  colorito  crudamente  romanzesco  non  meno  di  quello  che  of- 
friva, di  poi,  la  fuga  forsennata  dell'  infelice  su  un  cavallo  di  mo- 
natti fino  a  che,  caduto  giù  morto,  veniva  gettato  su  un  carro 
«  per  andarsene  alla  fossa  »  (*).  Lucia  inquieta,  sgomenta,  poi  rassicu- 
rata dal  padre,  mentre  gli  veniva  dietro  «  1  agri  man  do  »  «  sulla 
grande  strada  »,  assisteva  alla  triste  fine  del  suo  persecutore;  quin- 
di,  con  nel  cuore  la  pia  esortazione  del  padre  a  pregare  e  a  far 
pregare  Renzo  e  i  lor  figliuoli  per  quella  «  povera  anima  »,  se  ne 
tornava  «  compunta  di  quella  separazione,  e  atterrita  dallo  spetta- 
colo, a  capo  basso  e  col  petto  ansante  alla  sua  capanna  ». 

Queste  due  scene  —  come  ognuno  sa  —  andarono  soppresse  ne' 
rifacimenti  ulteriori,  o  che  spiacesse  al  Manzoni  il  troppo  risentito 
«  esprit  romanesque  »  che  le  pervadeva^  o  che  un  motivo  di  più 
alta  pietà  religiosa  lo  dissuadesse  dal  far  morire  a  quel  modo  don 
Rodrigo,  o,  meglio,  per  tutt'e  due  insieme  queste  ragioni. 

Anche  a  Lucìa,  di  riflesso,  il  poeta  ha  creata  una  diversa  situa- 
zione psicologica  e  drammatica,  svolgendo  con  nuova  copia  di  mo- 


(1)  Sp.  prom.,  pp.  770-5. 


278  PARTE   TERZA 


tivi  e  maggior  larghezza  d'analisi  i  sentimenti  e  gli  atti  dei  due 
giovani  e  di  fra  Cristoforo  in  queir  estrema  separazione.  Oltre  il 
dono  del  pane  del  perdono,  che  il  vecchio  lascia  loro  in  ricordo, 
più  ricco  è  il  dialogo  e  meglio  studiata  ed  espressa  1'  apprensione 
di  Lucia  pel  venerando  suo  protettore,  consunto  dalla  peste  (*). 

C'era  nella  minuta,  dopo  la  benedizione  del  padre,  che  finiva  col 
raccomandarsi  alle  preghiere  dei  due  sposi,  questo  tratto:  «Queste 
parole,  che  richiudevano  come  un  presentimento,  e  un  tristo  addio, 
rinnovarono  nell'animo  di  Lucia  l'impressione  dolorosa,  che  le  aveva 
prodotto  l'aspetto  di  chi  le  proferiva.  Levò  ella  gli  occhi  quasi  in- 
volontariamente, tutta  commossa,  a  riguardarlo  di  nuovo...»   (^). 

Il  motivo  non  ne  è  andato  perduto,  ma  anzi  ritorna,  ritemprato 
di  pili  viva  tenerezza  devota,  due  volte  nel  proseguo  del  colloquio, 
quando  all'  «  andiamo  »  che  il  frate  rivolge  a  Renzo,  Lucia  dice  : 
«  Oh  padre!  Ja  vedrò  ancora?  Io  sono  guarita,  io  che  non  fo  nulla 
di  bene  a  questo  mondo;  e  lei..,!  »  e  quando  all' «  Arrivederci, 
Lucia...!  »  di  Renzo,  già  avviato  col  padre,  ella  esclama:  «  Chi 
sa  se  il  Signore  ci  faccia  la  grazia  di  rivederci  ancora  tutti!  »  (^). 

Così  la  Lucia  della  minuta,  che  passava  dall'  «  impressione  dolo- 
rosa »,  ridestatale  in  cuore  dalle  pie  raccomandazioni  del  frate,  allo 
sbigottimento,  allo  «  strido  repentino  >  nello  scorgere  sulla  porta 
della  capanna  don  Rodrigo  ;  che  restava  «  ancora  tutta  tremante  » 
dopo  la  fuga  del  disgraziato  ;  che  <  mista  alla  commozione  »  rive- 
lava sul  viso  «  una  grande  inquietudine  »  per  quell'orribile  appari- 
zione e  seguiva  il  frate  «  lagrimando  »  ;  finché  se  ne  tornava  nel 
modo  che  abbiam  visto  alla  sua  capanna,  questa  Lucia,  inquieta  e 
lagrimosa,  s'è  ricomposta,  nell'ultima  forma  dell'episodio,  in  una 
cotal  dogliosa  mestizia  pacata,  che  forti  emozioni  improvvise  non 
interrompono  né  perturbano  ;  ond'  è  resa  più  piena  e  armoniosa  la 
rappresentazione  di  quel  rassegnato  dolore,  accomunante  le  anime 
degl'interlocutori,  ma  che,  se  non  si  esprime  in  atteggiamenti  di  com- 
punzione e  di  pianto,  s'eifonde  tuttavia  nell'azione  del  dialogo,  nelle 
parole,  che  dice  al  frate,  così  piene  d'umiltà,  di  carità,  di  speranza. 

Fino  all'ultimo,  fino  all'estreme  battute  delle  grandi  scene  ideate,  il 
Manzoni  non  ha  cessato  dal  riconcepire  e  dal  riatteggiare,  con  rin- 
novato vigor  religioso  e  più  delicata  armonia  di  luci  e  di  colori,  questa 
purissima  creatura  del,  suo  cuore  e  della  sua  fantasia  di  poeta  cristiano. 


(1)  Prora,  sp.,  cap.  XXXVI,  pp.  544-6. 
;2)  Sp.  prom.,  p.  770. 
(3)  Proni.  Sì3.,  ivi. 


Capitolo  III. 
La  genesi  e  la  composizione  poetica  di  Gertrude 


I.  Il  motivo  delle  vocazioni  forzate  e  la  genesi  etico-religiosa  della 
«  storia  »  di  Gertrude.  —  II.  Effetti  della  rigida  interpretazione 
storica  de'  personaggi  nella  prima  redazione  e  la  maggiore  indi- 
pendenza del  poeta  nell'ultima:  [la  famiglia  di  Gertrude;  il 
comico  nella  primitiva  concezione  de' personaggi  m-inori].  —  III. 
Rinnovamenti  e  sviluppi  d'analisi  nell'ultima  redazione  al  fine 
di  raggiungere  maggiore  unità  e  coerenza  psicologica  ed  estetica 
del  carattere  di  Gertrude  adolescenle  [il  primo  fallo  ;  la  prigio- 
nia ;  la  vergogna  e  il  pentimento;  la  sottomissione].  —  IV.  Pro- 
cedimenti di  chiarificazione  e  di  condensazione  al  medesimo  fìne. 
[il  perdono  ;  la  conciliazione  ;  il  breve  giro  tra  gli  splendori  m.on- 
dani  prima  della  vestizione  ;  il  principe  e  Gertrude  neW avviarsi 
al  monastero  per  la  richiesta].  — "V.  La  progressiva  idealizza- 
zione poetica  di  Gertrude  negli  episodi  anteriori  alla  monaca- 
zione [Za  visita  al  monastero  ;  la  richiesta;  il  vicario  delle  mona- 
che e  la  scena  dell'esame  ;  dopo  il  colloquio].  —  VI.  La  correzione, 
dovuta  a  questo  processo  d' idealizzazione  poetica,  delle  troppo 
forti  tendenze  della  prima  stesura  al  psicologismo  sottile,  al  rea- 
lismo comico,  allo  storicismo  e  al  moralismo  satirico.  —  VII.  Il 
dileguarsi  del  romanticismo  patetico  e  pittoresco  della  prima  ste- 
sura al  sóffio  viqoroso  di  classicità  che  penetra  e  rinnova  l'arte 
del  poeta  [la  vigilia  della  professione  de'  voti;  la  vita  nel  chio- 
stro]. —  Vili.  Gli  splendidi  segni  di  questo  rinnovamento  clas- 
sico nell'analisi  del  colpevole  amore  di  Gertrude  e  nella  rappre- 
sentazione de'  suoi  delitti.  —  IX.  Le  fosche  scene  della  prima 
stesura,  disignate  sotto  gV  influssi  delle  tendenze  suaccennate,  e 
la  nuova  umanità  onde  il  poeta  ha  rifuso  il  carattere  tragico  di 
Gertrude.  —  X.  Airi  riflessi  di  quella  classicità  artistica  rinno- 


280  PARTE   TERZA 


vatrice  [il  ritratto  di  Gertrude;  la  scena  della  presentazione  di 
Lucia  alla  signora;  il  contegno  di  questa  nel  colloquio  successivo 
e  di  poi,  fino  al  giorno  del  tradimento^  —  XI.  La  scena  in  cui 
Egidio  trascina  Gertrude  alla  complicità  7iel  ratto  di  Lucia: 
genesi  di  essa  e  ragioni  della  soppressione  fattane  dal  Manzoni 
nel  rifacimento  dell'  episodio.  La  rapida  narrazione  che  vi  ha 
sostituita:  suo  alto  valore  poetico.  —  XII.  Discussione  conclusiva 
sulla  trasformazione  totale  dell'episodio  monzasco  e  sui  motivi 
e  i  fini  del  poeta. 

I.  Il  Massillon  in  un  suo  vivace  ed  acuto  sermone  Sur  la  vocation 
prende  in  esame  gli  errori  nella  scelta  dello  stato  e  il  nefasto  uso 
delle  monacazioni  e  de'  sacerdozi  forzati,  ricercandone  le  cause  e 
descrivendone  le  conseguenze  con  tale  rigore  d'argomentazioni,  con 
tanto  zelo  religioso  e  con  sì  franca  comprensione  della  vastità  del 
male,  imperversante  nel  suo  secolo,  che  propendo  a  credere  non 
fosse  sfuggito  così  bel  sermone  all'assidua  meditazione  del  Manzoni 
nel  concepire  e  disegnare  la  storia  della  forzata  vocazione  di  Ger- 
trude. Il  grave  problema  morale,  che  il  Manzoni  fa  scaturire  dai 
casi  di  questa  infelice  attraverso  le  riflessioni  sulla  cronistoria  con- 
temporanea, è  quel  medesimo  che  s'era  proposto  il  Massillon,  il  più 
acuto  e  il  più  fine,  nelle  analisi  psicologiche,  degli  oratori  sacri 
francesi  così  familiari  allo  scrittore  lombardo;  e  i  motivi  etici  e 
sentimentali,  che  si  svolgono  trasfigurandosi  in  risentite  e  lucide 
forme  di  vita  nella  mirabile  analisi  manzoniana,  presentano  una 
rilevante  affinità  con  quelli  onde  fluisce  la  calda  parola  del  facondo 
vescovo  di  Clermont.  Nel  sentire  quei  biasimi  delle  arti  della  men- 
zogna e  della  perfldia  usate  dai  padri  verso  i  figli:  «  on  leur  exa- 
gère  tous  le  jours  les  inconvenients  d'un  état  ou  l'intérét  d'une 
maison  ne  les  demande  pas  ;  on  leur  enfle  les  avantages  et  les  agré- 
ments  de  celui  auquel  on  les  destine  ;  et  l'on  ne  se  sert  que  de 
leurs  passions,  pour  leur  inspirer  un  choix,  qui  doit  les  conduire  à 
combattre  »  ('),  ripensiamo  alle  ipocrite  parole  del  principe,  dopo 
il  primo  fallo  di  Gertrude  :  «  eh'  essa  doveva  vedere  in  questo 
triste  accidente,  come  un  avviso  che  la  vita  del  secolo  era  troppo 
piena  di  pericoli  per  lei  »  (*)  ;  al  gran  conversare  che  fanno  il 
principe,  la  principessa  e  il  principino,  durante  il  tragitto  al  mona- 
stero di  Monza,  su  «  gì'  impicci  e  le  noie  del  mondo  e  la  vita  beata 


(1)  Serm.  cit.,  in  Oeuvres,  voi.  Ili,  p.  138. 

(2)  Prom.  sp.,  cap.  X,  p.  143. 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  281 

del  chiostro,  principalmente  per  le  giovani  di  sangue  nobilissimo  »  (*); 
ripensiamo  ai  discorsi  frequenti  in  famiglia  sui  «  destini  futuri  » 
della  fanciulla,  che  «  stampavano  nel  cervello  »  della  poveretta 
«  r  idea  che  già  lei  doveva  esser  monaca  »  (=^),  alle  arti  de'  «  pa- 
renti »  e  delle  «  educatrici  »  che  «  avevan  coltivata  e  accresciuta  in 
lei  la  vanità  naturale  per  farle  piacere  il  chiostro  »  (^). 

Quella  figura  del  principe,  non  d'altro  smanioso  che  di  «  conser- 
vare »  le  sostanze,  «  almeno  quali  erano  unite  in  perpetuo  »  onde 
«  aveva  destinato  al  chiostro  tutti  i  cadetti  dell'uno  e  dell'altro 
sesso  »,  figura  «  di  ricco  signore,  avaro,  superbo,  ignorante  »,  com'era 
ritratto,  con  più  vivo  color  locale  nella  primitiva  pittura  degli  Sposi 
Promessi  {*),  ha  un'adeguata  illustrazione  ne' fieri  ragionamenti  del 
Massillon  contro  il  feroce  pregiudizio  di  scambiare  l'ordine  della 
natura  coi  disegni  di  Dio,  onde  «  on  n'attend  point  d'autre  marque 
de  vocation  quc  le  rang  de  la  naissance,  ou  la  situation  de  la  for- 
tune   ;  qu'  étre  né  le  premier  dans  une  famille,  c'est  étre  choisi 

du  ciel  pour  succèder  aux  titres  et  aux  dignités  de  nos  ancétres  »  (^), 
contro  il  pregiudizio  dell'unità  de'  patrimoni  e  del  fastoso  decoro 
nobilisco  (^). 

Diceva  il  Massilon  delle  destinazioni  irrevocabili:  «  Une  démar- 
che  ou  la  circonspection  la  plus  attentive  devroit  encore  craindre 
de'  se  méprendre,  est  toujours  l' ouvrage  des  amusements  et  des 
goùts  puérils  de  l'enfance:  à  peine  commence-t-on  à  bégayer,  qu'on 
décide  déja  de  l'affaire  la  plus  sériuse  de  la  vie;  et  ces  paroles  ir- 
revocables  qui  prononcent   sur   notre    destinée,    son    les   premières 


(1)  JMd.,  p.  148. 

(2)  Proni,  sp.,  cap.  IX,  pp.  132,  133. 

(3)  Ibid.,  p.  134.  Nella  minuta  più  distesamente  si  toccava  delle  passioni  che  ve- 
nivano fomentate  e  favorite  nella  fanciulla,  massime  «  l'orgoglio  »,  «  gli  alti  spiriti, 
la  dignità,  il  sussiego:  qualità  tutte  che  manifestavano  un'anima  nata  a  governare 
qualunque  monastero»  (Sp.  proni.,  p.  178). 

(4)  Sp.  prom.,  p.  177;  Proni,  sp.,  cap.  IX,  p.  132. 

(5)  Serm.  cit.,  in  Oeuvres,  voi.  Ili,  p.  138. 

(6)  «Eh!  quoi,  mes  Frères  —rimbrotta  il  Massillon  —  pour  ne  partager  vos 
biens,  vous  sacrifiez  vos  enfants,  et  le  fruit  de  vos  entrailles*  Mais,  ajoutez  vous,  il 
seroit  desagréable  de  les  voir  trainer  leur  nom,  et  prendre  des  partis  peu  convena- 
bles  à  leur  naissance  ».  Ma  —  incalza  l' ardente  oratore  —  «  une  fortune  mediocre 
parottelle  plus  affreuse  à  vos  yeux  que  leur  infortune  éternelle  »  i  (Ibid.,  p.  140).  Eli 
Manzoni  scriveva  del  Marchese  Matteo,  divenuto,  poi,  il  principe  de'  Proìnessi  sposi: 

«  Avaro,  egli  non  avrebbe  mai  potuto  persuadersi   che  una  figlia  dovesse  costargli\.^ 

una  parte  delle  sue  ricchezze :  superbo,  non  avrebbe   creduto  che  nemmeno  il  ri-  >r 

sparmio  fosse  una  ragione  bastante  per  collocare  una  figlia  in  luogo  men  degno  della 
nobiltà  della  famiglia;  ignorante,  egli  credeva  che  tutto  ciò  che  potesse  mettere  in 
salvo  nello  stesso  tempo  i  denari  e  la  convenienza  fosse  lecito,  anzi  doveroso  »  (Sp. 
proni.,  p.  177). 


282  PARTE    TERZA 


qu'  on  nous  apprend  à  former,  avant  méme  qu'  on  nous  ait  appris 
à  les  entendre.  On  accoutume  de  loin  notre  esprit  naissant  k  ces 
images  suggérées;  le  choix  d'un  état  n'est  plus  qu'une  impression 
portée  de  l' enfance ...»  (*). 

Sulla  trama  di  queste  coraggiose  riflessioni  par  che  rifiorisca 
quella  frase  manzoniana,  vibrante  preludio  al  racconto  della  triste 
vita  di  Gertrude:  «  La  nostra  infelice  era  ancor  nascosta  nel  ventre 
della  madre  che  la  sua  condizione  era  già  irrevocabilmente  stabilita  »; 
e  le  «  bambole  vestite  da  monaca  »,?  «  i  primi  balocchi  che  le  si 
diedero  in  mano  »  e  poi  i  «  santini  otc  rappresentavano  monache» 
e  quella  frequente  esclamazione  di  tutti  :  «  che  madre  badessa!  »  nel 
«  voler  lodare  l'aspetto  prosperoso  della  fanciullina  »  e  gl'insinuanti 
discorsi  sul  tema  della  prefissa  vocazione  e  quelli  della  piccola  Ger- 
trude, fra  le  sue  compagne  d'educandato,  su  «  i  suoi  destini  futuri 
di  badessa,  di  principessa  del  monastero  »  (^)  par  che  diano  vita 
e  movimento  di  forme  concrete  e  precise  alle  morali  meditazioni 
del  Massillon. 

Ma  queste  non  sono  che  somiglianze  di  particolari  episodici.  Dove 
il  contenuto  etico  e  psicologico  dell'infausto  sacrifizio  di  Gertrude 
e  principalmente  del  suo  carattere,  pervertito  dall'altrui  perfidia  cru- 
dele, e  di  quello  del  principe  ha  una  più  viva  affinità  d'ispira- 
zione e  di  concezione  col  sermone  del  Massillon^  è  nell'analisi  di 
quella  paurosa  e  suggestiva  potenza  che  il  tiranno  esercitava  sulla 
sua  vittima  e  di  quella  vita  d'amarezze,  di  dispetti  e  di  crucci  in  cui  è 
travolto  l'animo  della  sacrificata.  «  Des  parents  barbares  et  inhumains 
—  esclama  l'oratore  francese  —  pour  élever  un  seul  de  leurs  en- 
fants  plus  haut  que  ses  ancétres  et  en  faire  V  idole  de  leur  vanite, 
ne  comptent  pour  rien  de  sacrifier  tous  les  autres  et  de  les  précipiter 
dans  l'abìme;  ils  arranchent  du  monde  des  enfants  à  qui  l'autorite 
seule  tien  lieu  d'attrait  et  de  vocation  pour  la  retraite  (^),  ils  con- 
duisent  à  l'autel  dea  victimes  in fortunées  qui  vont  s' y  immoler  d  la 
cupidité  de  leurs  pères,  plutót  qu'à  la  grandeur  du  Dieu  qu'on  y 
adore;  il  donnent  à  l'Église  des  ministres  que  l'Église  n'appelle 
point  et  qui  n'acceptent  le  saint  ministère  qu'  un  jouq  odieux,  qu'une 
injuste  loi  leur  impose;  enfin,  pourvu  que  ce  qui  paroìt  d'une  fa-' 
mille  éclate,  brille,    et   fasse  honneur   dans   le  monde,   on  ne  se  m,et 


(1)  Serm.  cit,  p.  135. 

(2)  Proni,  sp.,  loc.  cit. 

(3)  Serm.  cit.,   p.  147.  E  più  innanzi,  fra  le  conseguenze  delle  vocazioni   forzate 
nota  «  tant  de  révolte,  d'ennui,  d'araertume  dans  les  cloitres  »,(iMd.,  p.  148). 


IL    ROMANZO   IN    FORMAZIONE  283 

point  en  peine  que  des  ténébres  sacrées  cachent  les  chagrins,  les  dé- 
goMs,  les  larmes,  le  désespolr  de  ce  qui  ne  paroìt  qu'aux  yeux  de 
Dieu  ». 

Sono  sparsi  in  questa  pagina  eloquente  i  medesimi  motivi  ricor- 
renti neir  episodio  manzoniano  :  il  terribile  potere  del  principe  sul- 
r animo  della  figlia,  l'empietà  del  sacrifizio,  l'abborrimento  del  giogo 
subito.fLa  suggestiva  autorità  paterna  si  sostituiva  ad  ogni  senti- 
mento e  affetto  contrario  della  figlia  predestinata  al  sacrifizio  :  au- 
torità cupa,  imperiosa,  minacciosa  in  tutte  le  circostanze  fino  all'ul- 
timo, così  che  quel  padre  nell'animo  di  Gertrude  fanciulletta  «  im- 
primeva il  sentimento  d'una  necessità  fatale  »,ne  legava  la  volontà 
al  prefisso  destino  col  perdono  condizionato,  lasciandola  «  sbalordita  » 
e  muta;  l'incatenava  con  lo  sguardo  mentr' ella  si  presentava  al  mo- 
nastero per  fare  la  richiesta  alla  badessa  e  ne  troncava  gl'interni 
combattimenti,  quando  la  poveretta  «  scorse  »  sulla  faccia  del  padre 
«  un'  inquietudine  così  cupa,  un'  impazienza  così  minaccevole  che, 
risoluta  per  paura,  con  la  stessa  prontezza  che  avrebbe  preso  la 
fuga  dinanzi  un  oggetto  terribile  »,  precipitava  dopo  il  perplesso 
«  son  qui  »  a  chiedere  da  sé  stessa  la  sua  condanna  (*). 

L'  empietà  del  sacrifizio  preparato  dalla  cupidità  e  dal  terrore  sug- 
geriva al  Manzoni  nella  prima  composizione  quell'ascetico  commento 
che  arieggia  appunto  il  fare  dell'oratore  francese:  «  Il  sacrificio  fu 
consumato,  il  dono  fu  posto  sull'altare,  ma  era  di  frutti  della  terra; 
la  mano  che  lo  aveva  posto  non  era  monda  ;  il  cuore  non  l'offriva; 
e  lo  sguardo  del  cielo  non  discese  sovr'  esso  »  (*). 

Infine  l'odiosità  del  giogo,  le  torbide  rivolte  dello  spirito,  la  nera 
noia,  la  disperazione,  quali  sentiamo  descritte  o  accennate  dal  ma- 
gniloquente oratore,  ritornano  con  piìi  potente  vigore  rappresenta- 
tivo in  quell'analisi  manzoniana: 

«  L'infelice  si  dibatteva  sotto  il  giogo,  e  così  ne  sentiva  più  forte 
il  peso  e  le  scosse.  Un  rammaricò  incessante  della  libertà  perduta, 
l'abborrimento  dello  stato  presente,  un  vagar  faticoso  dietro  a  de- 
sideri che  non  sarebbero  mai  soddisfatti  (^),  tali  erano  le  princi- 
pali occupazioni  dell'animo    suo»  (^).   E   quelle  conseguenze  delle 


(1)  Prom.  sp.,  cap.  IX,  pp.  143,  148.  V.  anche  a  p.  155:  «Tutte  quelle  risoluzioni 
sfumavano  alla  considerazione  più  riposata  delle  difficoltà,  al  solo  fissar  gli  occhi  in 
viso  al  padre  ». 

(2)  Sp.  prom.,  p.  227. 

(3)  Un  somigliante   concetto  è  in  quel   luogo  del  Massillon:  «  l'épouse  de  Jesus 
Christ  insensée  ne  forme  des  désirs  que  pour  ressembler  à  la  femme  du  monde  »  (toc.  cit). 

(4)  Prom.  sp.,  cap.  X,  p,  156. 


284  PAETE   TEKZA 


false  vocazioni  che  il  Massillon  notava  osservando:  «  il  apporte  pour 

,  '^   tonte  maro  uè  de  vocatìon  à  un  ministère  d'humilité,  des  vues  d'éle- 

C\^'     '^^^''^^  *^^  ^^  gioire  ;  à  un  ministère  de  travail  et   de  sollicitude,  des 

^S       espérances  de  ripos  et  de  mollesse;  à  un  ministère  de  désintèresse- 

fment,  de  modestie  et  de  charité,  des  projets  de  luxe,  de  profusion 
et  d'abondance  »  (*)  sono  della  stessa  specie  dì  quelle  fallaci  «  con- 
solazioni »  che  a  Gertrude  «  pareva  talvolta  di  trovare  nel  coman- 
dare, neir  esser  corteggiata  in  monastero,  nel  ricever  visite  di  com- 
plimento da  persone  di  fuori,  nello  spuntar  qualche  impegno,  nello 
spendere   la   sua  protezione,   nel  sentirsi   chiamar   la  signora  »  (^). 

Ma  un  ritratto  pieno  e  complesso  d'anima  forzata  alla  vita  del 
chiostro,  e  che  ci  richiama  alla  figura  di  Gertrude  e  alla  sto- 
ria della  sua  caduta,  ci  è  offerto  in  questa  vivida  pagina:  «Le 
solitaire,  ou  la  vierge  consacrée  à  lésus  Christ,  s' étant  chargés  d'un 
fardeau  pesant,  et  n'ayant  pas  regu  1'  onction  sainte  qui  l'adoucit, 
traìnent  indolemment  et  ménte  avec  murmure  le  joug,  loin  de  le  por- 
ter  avec  allégresse;  rendent  au  monde  un  coeur  qu' ils  n'avoient 
jamais  bien  donne  au  seigneur,  cachent  sous  les  dehors  de  la  mor- 
V  tification  mille  désirs  profanes  ;  retrouvent   dans  le  silence  de  la  re- 

traite  les  images  dangereuses  des  plaisirs,  mille  fois  plus  à  craindre 
pour  le  coeur  que  les  plaisirs  mèmes  :  aim.ent  ce  qu'  ils  ne  peuvent 
plus  posseder  ;  tombent  loin  des  périls  et  d'un  lieu  de  sùreté  se 
font  une  occasion  de  chute  (^).  ». 

Così  è  la  celebre  signora,  nel  cruccioso  rimpianto  del  passato,  nel- 
r  inquieto  fantasticare  in  preda  alle  sue  passioni,  negli  scoppi  di 
rabbia  iraconda  e  tanto  più  ne'  tratti  crudemente  risentiti  che  — 
come  vedremo  —  il  Manzoni  aveva  conferito  al  primitivo  disegno 
dell'  indole  e  della  vita  di  lei  negli  Sposi  promessi  {*). 

In  questi,  come  ne'  Promessi  sposi,  asseriva  il  grande  credente 
lombardo  che  «  Gertrude  avrebbe  potuto  essere  una  monaca  santa 
e  contenta,  comunque  lo  fosse  divenuta  »,  se  avesse  potuto  vera- 
mente sentire  le  consolazioni  e  le  gioie  della  religione.  È  la  verità 
etica  positiva  che  il  pensiero  manzoniano  deduce  dalla  trista  vicenda 


(1)  Serm.  cit.,  p.  144. 

(2)  Prom.  sp.,  cap.  X,  p.  157.  E  v.  negli  Sp.  prom.,  (pp.  229-30)  la  magra  consola- 
zione che  traeva  dalla  contemplazione  e  dalla  cura  della  sua  bellezza. 

(3)  Serm.  cit.,  pp.  158-9. 

(4)  Cfr.  gl'intemperanti  discorsi  di  lei  ne'  colloqui  col  padre  guardiano,  con 
Lucia,  con  Agnese,  e  poi  da  sola  con  Lucia  (Sp.  prom.,  pp.  172,  173;  254-9).  «La  bel- 
lezza —  scriveva  altrove  (p.  230)  il  Manzoni  —  era  per  Geltrude  un  rodimento  conti- 
nuo, una  occasione  di  regressi  affannosi  nel  passato,  e  di  sguardi  disperati  nell'av- 
venire ». 


IL    ROMANZO    IN   FORMAZIONE  285 

del  sacrifizio  di  Gertrude  :  verità  che  sfolgora  alla  luce  del  suo  vi- 
goroso idealismo  cristiano  in  quella  lode  piena  di  carità  e  di  sa- 
pienza. «  È  una  delle  facoltà  singolari  e  incomunicabili  della  reli- 
gione cristiana,  il  poter  indirizzare  e  consolare  chiunque  in  qualsi- 
voglia congiuntura,  a  qualsivoglia  termine  ricorra  ad  essa.  Se  al 
passato  c'è  rimedio,  esso  lo  prescrive,  lo  somministra,  dà  lume  e 
vigore  per  metterlo  in  opera  a  qualunque  costo  ;  se  non  e'  è,  essa 
dà  il  modo  di  far  realmente  e  in  effetto,  ciò  che  si  dice  in  prover- 
bio, di  necessità  virtù.  Insegna  a  continuare  con  sapienza  ciò  che 
è  stato  intrapreso  per  leggerezza;  piega  l'animo  ad  abbracciar  con 
propensione  ciò  che  è  stato  imposto  dalla  prepotenza,  e  dà  ad  una 
scelta  che  fu  temeraria,  ma  che  è  irrevocabile,  tutta  la  santità,  tutta 
la  saviezza,  diciamolo  pur  francamente,  tutte  le  gioie  della  voca- 
zione. È  una  strada  così  fatta  che  da  qualunque  laberinto,  da  qua- 
lunque precipizio  1'  uomo  capiti  ad  essa,  e  vi  faccia  un  passo,  può 
d'allora  in  poi  camminare  con  fierezza  e  di  buona  voglia  e  arrivar 
lietamente  a  un  lieto  fine.  »  (*). 

L'austero  sentenziare  del  Manzoni  ha  forma  di  precetto  e  d'esor- 
tazione nelle  parole  del  Massillon,  ma  la  somiglianza  di  concetto  e 
d' intenzione  è  evidente  e  il  motivo  religioso  è  il  medesimo.  «  La 
vérité  —  diceva  1'  apologista  francese  —  ne  trouble  que  poui-  in- 
struire  ei  pour  consoler  ».  Se  la  vocazione  è  fatta  e  siete  in  dubbio 
se  più  vi  abbiano  potuto  i  motivi  umani  o  l' ispirazione  della  gra- 
zia, «  rendez  votre  vocation  certaine  par  vos  bonnes  oeuvres : 

changez  cette  tiedeur  dangereuse  où  vous  vivez,  en  une  sainte  vi- 
vacité,  cette  vie  toute  naturelle,  en  une  vie  de  la  foi;  ces  négligen- 
ces  coupables,  en  des  attentions  religieuses;  ce  mépris  de  vos  obli- 
gations  en  une  fidelité  qui  vous  fasse  respecter  ce  que  vous  devez 
aimer  »  ;  ma  «  si . . .  les  passions  seules  vous  ont  forme  un  état  de 
vie,  votre  sort  est  à  plaindre,  je  1'  avoue  ;  mais  il  n'  est  pas  déje- 
spéré....  Dieu  peut  accorder  à  la  douleur  d'un  choix  injust  les  gra- 
ces  qu' il  auroit  accordées  à  un  choix  légitime;  vous  n' ètes  pas 
extérieurement  dans  son  ordre  ;  mais  le  coeur  y  est  toujours  quand 
il  se  donne  à  lui  ;  vous  occupez  une  place  qu'  il  ne  vous  avait  pas 
destinée;  mais  une  foi  vive,  mais  un  amour  ardent,  mais  un  re- 
pentir  sincère  sanctifient  tous  les  états  •»  (*). 

Gli  é  che  a  Gertrude  non  noceva  tanto  d'  esser  nata  con  animo 
debole  (^)  quanto  il  non  aver  avuto   fin   dall'infanzia  quelli  che  il 


jjT 


(1)  Prom.  sp.,  cap.  X,  p.  156.      i-v,"^  ^ 

(2)  Serm.  cit.,  pp.  164,  165. 

(3)  Illustrano  la  situazione  di  Gertrude  anche  queste  parole  del  Massillon:  «  On 
pourrait  ajouter  que,  si  vous  étes  né  foibles,  la  bonté  de  Dieu  a  environné  votre  àme 


286  PARTE   TERZA 


Massilon  chiamava  «  les  secours  particuliers  d'une  éducation  sainte 
et  chrétienne  »  (*);  al  quale  concetto,  come  dì  riverbero,  risponde 
quello  del  Manzoni,  che  è  come  il  presupposto  etico  del  rovinoso 
dramma  di  Gertrude:  «La  religione,  come  l'avevano  insegnata  alla 
nostra  poveretta,  e  come  essa  l'aveva  ricevuta,  non  bandiva  l'or- 
goglio, anzi  lo  santificava  e  lo  proponeva  come  mezzo  per  ottenere 
una  felicità  terrena  »  (*). 

Nel  concorso  di  tali  ispirazioni  e  meditazioni,  che  occuparono  la 
coscienza  del  Manzoni  inteso  a  ricostruire  di  su  le  cronache  con- 
temporanee la  trista  storia  di  Gertrude,  ha  la  sua  origine  la  conce- 
zione etica  fondamentale  del  carattere  di  questo  personaggio. 

* 
*      * 

II.  Dicevo  nella  prima  parte  di  questo  lavoro  che  la  figura  di 
Gertrude,  come  la  concepì  e  la  tratteggiò  il  Manzoni  nel  primo 
disegno,  recava  le  impronte  d' un  forte  pessimismo  etico,  che 
si  rifletteva  dalla  trista  considerazione  della  vita  umana  do- 
minata dalle  passioni  e  dagli  istinti  piti  forti,  spesse  volte^  della 
volontà,  del  sentimento,  degli  esempì  e  precetti  della  stessa  religione. 
Ora  sulle  tracce  della  minuta  e  in  raffronto  con  le  correzioni  e  i 
mutamenti  della  stampa,  riprenderò  in  esame  codesto  personaggio 
manzoniano  e  confido  di  dimostrare,  con  lo  studio  della  sua  genesi 
complessa  e  de'  suoi  aspetti  particolari,  che  nella  ricostruzione  psi- 
cologica e  neir  elaborazione  fantastica,  a  cui  andò  soggetto,  influi- 
rono ad  un  tempo  quel  pensoso  e  profondo  senso  di  decoro  morale 
e  di  pietà  religiosa  che  ha  ispirato  la  trasformazione  intima  del  ro- 
manzo in  ogni  sua  parte,  quella  maggiore  indipendenza  dal  rigido 
sistema  storico  che  il  Manzoni  venne  via  via  acquistando  ne'  rifa- 
cimenti dell'opera  per  una  più  chiara  coscienza  delle  ragioni  dell'arte, 


de  mille  secours ;  que  votre  àme  a  été  corame  défendue  dès  sa  naissance,  par  les 

secours  des  sacreraents,  par  la  lumière  de  la  doctrine,  par  la  force  des  exemples, 
par  les  inspirations  continuelles  de  la  gràce  ».  (Serm.  sur  la  fausse  conflance,  in 
Oeuvres,  voi.  V,  p.  451). 

(irivt. 

(2)  Prom.  sp.,  cap.  IX,  p.  136.  Più  distesamente  negli  Si),  proni.:  «Quanto  alla 
religione,  ciò  che  è  in  essa  di  più  essenziale,  di  più  intimo,  ciò  che  fa  resistere  alle 
passioni  e  vincerle  con  una  dolcezza  superiore  d'assai  a  quella  che  le  passioni  sod- 
disfatte possono  arrecare,  ciò  che  preserva  dalla  corruttela,  e  mette  in  avvertenza 
anche  contra  i  pericoli  non  conosciuti,  non  era  stato  mai  istillato,  nemmeno  insegnato 
alla  piccola  Geltrude Ma i  parenti  l'avevano  educata  all'orgoglio,  a  quel  sen- 
timento cioè  che  chiude  i  primi  aditi  del  cuore  ad  ogni  sentimento  cristiano,  e  gli 
apre  a  tutte  le  passioni  »  (p.  183). 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  287 

e  quella  vagheggiata  armonia  dell'  ispirazione  romantica  con  la  rap- 
presentazione classica  che  egli  conseguì  quasi  sempre  epurando  l'o- 
pera di  tutto  ciò  che  gli  era  venuto  fatto  troppo  vivamente  roman- 
zesco 0  troppo  crudamente  realistico  o  pittorescamente  drammatico. 
Quella  stessa  maggiore  abbondanza  d'osservazioni  storiche  e  morali 
e  d'elementi  comici  e  satirici  che  ci  avverrà  di  trovare  nella  minuta 
va  considerata  come  una  conseguenza  della  commozione  morale  e 
della  tendenza  ragionatrice  e  polemica  che  ancora  agitavano  il  Man- 
zoni, come  addietro  osservavo,  nel  passare  dalla  eloquente  difesa 
della  Morale  cattolica  alla  stesura  dieW Adelchi  e  del  romanzo;  e  una 
conseguenza,  altresì,  di  quella  che  chiamerei  realistica  interpreta- 
zione della  storia,  giacché  l'una  e  l'altra  disposizione  favorivano  la 
riflessione  giudicatrice  che  si  manifesta  nell'indagine  e  nel  ragio- 
namento o  nella  censura  e  nella  derisione,  r^ 

Osserviamo  per  un  momento  il  piccolo  mondo  familiare  in  cui 
cresce  la  trista  fanciullezza  di  Gertrude.  Il  padre,  nella  minuta,  era 
un  Marchese  Matteo  che  fin  dalle  prime  battute  ci  si  presentava 
«  avaro,  superbo,  ignorante  »,  «  giacché  riguardava  come  il  primo 
dovere  del  suo  stato  il  conservare  l'opulenza  e  lo  splendore  ».  Era 
costui  un  riccone,  un  nobilone  di  quattro  cotte  ;  che  al  sentirsi  an- 
nunziare, nella  nascita  di  Gertrude,  da  una  donzella  della  Marchesa  : 
—  è  una  femmina  —  rispondeva  mentalmente:  —  è  una  monaca  — 
e  si  poneva  a  frugare  nel  Leggendario  il  nome  di  una  santa,  di 
jaobilissima  stirpe  e  stata  monaca  (*).  C'era  in  codesto  tratto  del 
padre  di  Gertrude  una  certa  goffaggine,  donde  trapelava  l' inten- 
zione comica  del  poeta,  meglio  manifesta  nell'analisi  umoristica 
che  seguiva  al  primo  rapido  schizzo:  il  contrasto  infatti  tra  il  ve- 
dercelo argutamente  presentato  come  un  uomo  positivo,  alieno  dalle 
metafisicherie,  un  «  uomo  di  pratica  »,  di  «  buon  senso  »,  che  diceva 
doversi  «  prendere  gli  uomini  come  sono  e  trattarli  dal  lato  del- 
l'interesse »  e  il  vederlo  'fomentare  nella  figlia  l'orgoglio  per  de- 
stare il  desiderio  «  della  potenza  e  del  dominio  claustrale  »,  genera 
l'impressione  di  una  potente  ironia;  perchè  quella  passione,  al  con- 
trario, infiammava  vieppiìi  nell'animo  della  giovinetta  le  immagini 
e  i  desideri  fastosi  e  giocondi  della  vita  del  secolo;  onde  l'ironica 
riflessione  del  Manzoni  stesso  ch'egli  «  aveva  pensato  e  operato  con 
la  dirittura  e  la  squisita  sapienza  »  di  chi  dà  fuoco  alla  casa  attigua 
del  suo  nemico,  illudendosi  con  l' intenzione  che  quella  sola  bruci 
e  l'incendio  non  tocchi  la  sua  (*). 


(1)  Sp.  prom.,  p.  177. 

(2)  Sp.  prom.,  p.  184. 


288  PARTE   TERZA 


Tale  era  il  padre  di  Gertrude  nella  minuta,  perchè  il  poeta  lo  ■ 
concepì  attraverso  l'immediata  visione  storica  di  quella  nobiltà  se- 
centesca che  mischiava  in  sé  la  ferocia  oltracotante  o  sordida  con 
certa  pretensiosità  goffa  o  grossolana  ;  noi  da  tutto  il  suo  contegno, 
che  ha  un  non  so  che  di  affaccendato,  di  loquace,  di  burbanzoso  e 
ilare  insieme,  non  riceviamo  che  l'impressione  di  una  sordida  coc- 
ciutaggine, legata  ai  pregiudizi  di  casta.  Effetto  dell'interpretazione 
dello  spirito  di  quel  secolo,  che  il  Manzoni  stesso  con  eccessivo  giu- 
dizio chiamò  «  barbaro  e  grossolano  »,  effetti,  che,  come  altrove  ho 
dimostrato,  si  riscontra  nella  prima  concezione  dell'  Innominato  e 
di  altri  personaggi. 

Nella  rielaborazione  psicologica  e  fantastica  di  quel  suo  mondo 
primamente  abbozzato  il  Manzoni  spiritualizzò  uomini  e  cose,  rin- 
novò in  epiche  forme  le  figure  stesse  della  storia  atteggiandole  in 
creature  ideali,  in  cui  vediamo,  dirò  così^  rispecchiato  un  aspetto 
eterno  della  vita,  un  dramma  universale  dell'anima  umana.  Così  fu 
phe  quel  mediocre  Marchese  Matteo  si  trasformò  nell'alta  figura  del 
principe,  più  superbamente  dignitoso,  più  cupo,  più  misurato  e  mi- 
sterioso nelle  parole:  incarnazione  d'una  feroce  volontà  imperiosa 
e  suggestiva,  a  cui  è  destino  ineluttabile  che  la  debole  e  contrad- 
dittoria anima  di  Gertrude  soccomba. 

La  principessa  nel  romanzo  è  un'  evanescente  figura,  muta,  im- 
mobile, chp  non  ha  parte  alcuna  efficace  e  manifesta,  press'  a  poco 
come  il  principino,  nel  pietoso  dramma  di  Gertrude  :  l'una  e  l'altro 
non  sono  che  le  ombre  seguaci  della  volontà  fattiva  del  principe. 
Ma  nella  minuta  il  Manzoni  aveva  tracciato  un  profilo  morale 
della  Marchesa  e  del  Marchesino  attardandosi  ad  analizzar  1'  anima 
d'ambedue:  quella,  sottomessa  alla  volontà  del  marito,  «  meno  i  due 
o  tre  capi  pei  quali  aveva  combattuto,  e  ne  era  uscita  vittoriosa  *  (*), 
questo,  aspi'o  e  prepotente  ne'  modi,  con  sempre  «  il  monastero  in 
bocca  »  e  privilegiato  di  «  compiacenze  e  distinzioni  »  dai  parenti, 
in  confronto  della  sorella,  «  tenuta  in  uno  stato  continuo  di  paragone 
umiliante  »;  meno  pronto  «di  lingua  e  d'ingegno»,  ma  dopo  quella 
ragazzata  da  lei  commessa  col  paggio,  pieno  d'un' aria  nuova  di 
superiorità,  a  cui  la  poveretta,  «  carica  d'un  fallo  e  di  un  perdono  » 
soggiaceva  per  sempre  (*). 

Spender  1'  arte  a  ritrar  personaggi  vuoti  d'ogni  passionalità  buona 
o  cattiva  e  a  metterli  sotto  un  po'   di   luce   non   valeva   la   pena  e 


(1)  Sp.  prom.,  p.  197. 

(2)  Sp.  prom.,  pp.  205-6. 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  289 

perciò  il  Manzoni,  tutto  intento,  nel  rifare,  all'  essenziale,  tagliò  via 
tutte  le  analisi  e  le  osservazioni  che  riguardavano  quelle  due  figure 
secondarie.  Se  non  che  la  pagina  sul  fratello  della  sventurata  poteva 
essere  scorciata  e  resa  più  franca  e  lucida,  ma  conservata,  come 
quella  che  serviva  a  illustrare  1'  ambiente  psicologico,  in  cui  matu- 
ravasi  il  tristo  destino  della  fanciulla,  e  faceva  intendere  che  la 
grettezza  fredda  e  maligna  de'  rapporti  familiari  doveva  contribuire 
non  poco  ad  isterilire  ogni  buon  seme  nell'animo  di  lei  e  a  fer- 
mentarvi, per  contro,  il  permaloso  orgoglio  di  razza.  La  madre  di 
Gertrude,  invece,  sta  bene,  com'  è  nel  romanzo,  appena  rilevata 
sullo  sfondo  del  quadro,  dove  campeggia  il  principe,  senza  un  pal- 
pito morale  suo  proprio,  senza  alcun  moto  d'  affezione  materna,  che 
al  Manzoni  era  piaciuto  di  ritrar  fugacemente  nella  prima  stesura 
in  un  tratto  tra  il  lievemente  scherzoso  e  il  delicatamente  pensoso, 
ma  senza,  altresì,  quell'aspetto  di  grossolana  comicità  in  cui  figu- 
rava la  Marchesa  dormire  saporitamente,  non  ostante  i  trabalzi  del 
cigolante  carrozzone,  di  ritorno  dal  monastero  d6f)o  la  richiesta  della 
figlia  (*).  Compressa  quella  velleità  d'un  realismo  comico  che  stri- 
deva bizzarramente  nel  dramma  di  Gertrude,  il  Manzoni  di  tal 
madre  non  ne  ha  fatta  che  un'ombra  spoglia  di  sentimento  e  di 
pensiero;  ma  quel  torbido  fantasma  lunghesso  la  compatta  figura 
imperiosa  e  minacciosa  del  principe  serve,  più  assai  che  nel  primi- 
tivo profilo,  al  significato  morale  e  alla  rappresentazione  poetica 
della  storia  dolorosa. 

Per  questa  tendenza,  allettato,  com' io  credo,  dal  senso  storico  del 
secolo,  a  comicizzare  il  reale  osservato  o  intuito  nella  storia,  il  Man- 
zoni aveva  figurata  anche  la  badessa  del  monastero  «  in  atto  di 
goffaggine,  d'adulazione  e  di  leziosità  >,  come  si  rivela  nella  risposta 
secentisticamente  ingegnosa  ed  ampollosa  che  dice  a  memoria  dopo 
la  richiesta  di  Gertrude  (^).  Certamente  ciò  serviva  al  colorito  sto- 
rico dello  sfondo,  ma  era  qualcosa  di  pedantescamente  comico,  che 
spezzava  l'unità  psicologica  e  poetica  di  quella  scena  così  grave, 
in  cui  si  decideva  del  sacrifizio  di  un'  anima,  concertato  perfida- 
mente dalla  famiglia  e  tacitamente  consentito  dalla  badessa. 


(1)  Sp.  prom.^  pp.  198,  216. 

(2)  Sp.  prom.,  p.  210. 


Busetto  —  19 


290  PARTE   TERZA 


* 
*       * 


III.  Ma  è  tempo  oramai  di  rivolgere  Io  studio  al  carattere  del 
principal  personaggio  e  di  seguirne  la  genesi  e  la  trasformazione 
poetica  dalla  minuta  alla  redazione  definitiva  del  romanzo. 

L'  attento  esame  comparativo  delle  due  stesure  mi  consentirà  di 
provare  con  quale  intenso  e  paziente  studio  di  meditazione  e  d'arte 
il  Manzoni  seppe  rendere  più  organica,  più  coerente  e  più  vigorosa 
la  pittura  del  carattere  di  Gertrude  ed  elevarne,  conforme  una  con- 
cezione più  decorosa  e  più  pietosa  dell'  indole  e  de'  drammatici  casi, 
la  figura  poetica. 

Un  cospicuo  esempio  della  maggiore  unità  e  coerenza  psicologica 
che  il  ritratto  morale  venne  acquistando  nell'  elaborazione  del  rac- 
conto della  prima  giovinezza  è  in  quella  mirabile  analisi  che  dello 
stato  d'animo  della  giovinetta,  rinchiusa  nella  camera  dopo  lo  scan- 
daluccio  col  paggio,  il  Manzoni  fa  sulla  fine  del  cap.  IX. 

Bisogna  procedere  con  molta  cautela  nel  raffronto  della  prima 
prova  con  1'  ultimo  ritratto  per  avvedersi  del  modo  come  dal  rifa- 
cimento uscisse  riplasmata  e  lumeggiata  di  nuova  luce  l'immortale 
figura  dell'  infelice  adolescente.  È  stato  tutto  un  lavorìo  di  rifusione^ 
di  condensazione,  di  riordinamento  e  di  rimartellamento  intorno  ai 
motivi  intimi  e  alle  forme  più  espressive  della  rappresentazione 
poetica. 

Ecco:  l'amoruccio  di  Gertrude  col  paggio  è  scoperto;  la  sua  fa- 
migerata letterina  è  passata  nelle  mani  del  padre,  che  viene  a  giu- 
dicarla e  a  punirla  della  sua  inconsapevole  leggerezza.  Diceva  la 
prima  stesura  :  «  Ma  il  temporale  più  scuro,  più  lungo,  più  terribile 
venne  a  scendere  sul  capo  di  Geltrude;  il  Marchese  Matteo  dopo 
d'averla  caricata  di  strapazzi,  che  ella  intese  con  tanto  più  di  tre- 
more quanto  si  sentiva  veramente  colpevole,  le  annunziò  una  pri- 
gione indeterminata  nella  sua  stanza  e  per  sopra  più  le  parlò  d'un 
castigo  proporzionato  alla  colpa,  senza  specificarlo  ;  e  così  la  lasciò 
in  guardia  alla  stessa  donna  che  aveva  scoperto  gli  affari  >  ('). 

Prima  di  questo  frettoloso  racconto,  di  stile,  per  vero  dire,  grezzo 
e  pesante,  si  leggeva  nella  minuta  come  il  paggio  fosse  sfrattato 
insieme  con  terribili  minacce  e  due  «  solennissimi  schiaffi  »  e  la 
cameriera  denunziatrice  colmata  di  lodi  non  senza  prescrizioni  co- 


(1)  Sp.  prom.,  p.  191. 


IL   ROMANZO  IN   FORMAZIONE  291 

pertamente  minacciose  di  segretezza:  ecco  perchè  nel  riprendere  la 
narrazione  principale,  che  si  riferiva  a  Gertrude,  il  Manzoni,  non 
potendo  trascui'ar  di  connetterla  a  quelle  due  secondarie,  vi  prelude 
col  mischiare,  sia  pure  con  la  denotazione  di  qualche  cosa  di  «  più 
scuro»  e  di  «  più  terribile»,  Gertrude  e  il  paggio  e  quella  donna 
nel  medesimo  tempo.  Il  mutamento  dell'  ultima  redazione  (^)  ha  un 
grande  valore  psicologico  e  drammatico,  ed  è  certamente  dovuto  al 
proposito  di  approfondire  l'analisi  e  di  sceneggiare  in  più  larghe 
linee  l' incontro  di  Gertrude  col  padre. 

Tra  il  cader  della  carta  amorosa  nelle  mani  del  principe  e  l'ap- 
parire di  costui  nella  camera  della  figlia  nessun  inciampo  di  secon- 
dari elementi  narrativi,  nessuna  interposizione  d'altra  materia  e  d'al- 
tre figure,  determinanti  pause  importune  e  sterili  d'ogni  accorgimento 
artistico  nel  veloce  svolgimento  degli  avvenimenti.  Pare  che  il  Man- 
zoni, compreso  della  necessità  di  dare  il  massimo  rilievo  alle  due 
figure  dominanti^  Gertrude  e  il  padre,  nella  tela  generale  del  rac- 
conto e  alla  prigionia  angosciosa  della  giovinetta,  volesse,  dirò  così, 
sgombrare  il  terreno  col  riferire  in  breve  sulla  sorte  toccata  al 
paggio  e  sul  contegno  tenuto  verso  la  cameriera  depositaria  di  un 
delicato  segreto.  Con  nuovo  vigoi*e  poetico,  con  più  serena  indipen- 
denza da  un  metodo  di  narrazione,  logico  ma  poco  efficace,  con  una 
più  profonda  visione  drammatica  della  situazione,  il  Manzoni  sop- 
prime quegli  ammenicoli,  d'  ordine  inferiore  e  trascurabile,  che 
riguardavano  la  cameriera,  relega  altrove,  e  con  più  opportuna 
disposizione,  la  breve  scena  del  rabbuffo  e  dello  sfratto  dati  al 
paggio,  e  pone  immediatamente  Gertrude  di  fronte  al  principe 
corrucciato  nella  camera  che  diverrà  la  sua  prigionia;  ciò  che  era 
arruffato  o  sovrapposto  nel  primo  testo,  ordina  e  chiarisce  con 
un  processo  psicologico,  che  genera  l'impressione  d'un  terrore,  di 
un'angoscia,  d'un  avvilimento  crescente.  Così  il  magro  racconto 
si  trasforma  in  una  vera  rappresentazione  di  caratteri  e  di  senti- 
menti, e  il  patetico  della  situazione  si  svolge,  per  sapienti  grada- 
zioni, nella  sua  totale  pienezza.  Gertrude  è  in  preda  al  terrore,  op- 
pressa dal  sentimento  della  colpa:  è  un  primo  momento  d'imma- 
ginazione e  d'ansia  mortalmente  penosa:  «  Il  terrore  di  Gertrude 
al  rumor  de'  passi  di  lui,  non  si  può  descrivere  né  immaginare: 
era  quel  padre,  era  irritato  e  lei  si  sentiva  colpevole  >,  Preludio  al 
drammatico  incontro,  dove  il  rumor  di  quei  passi,  —  non  ancora 
la  persona  imperiosa  e  sdegnata  —  è   già  un   motivo  di  perturba- 


ti) Prom.  sp.  cap.  IX,  p.  139. 


292  PARTE   TERZA 


zione  infinita.  «  Ma  quando  lo  vide  comparire  con  quel  cipiglio,  con 
quella  carta  in  mano  avrebbe  voluto  esser  cento  braccia  sotto  terra^ 
nonché  in  un  chiostro  »  :  è  un  secondo  momento  in  cui  la  realtà 
temuta,  preannunziata  si  accampa  inesorabile:  lo  sguardo  torvo  di 
chi  deciderà  del  destino  di  lei  è  presente,  la  fissa  negli  occhi^  le 
pesa  sul  capo  ;  e  la  lettera  funesta  è  nelle  mani  del  giudice  ineso- 
rabile. La  scena  è  tuttora  muta;  ma  il  principe,  ecco,  le  rivolge 
meditate  parole,  «  non  molte,  ma  terribili  ».  È  il  terzo  momento  della 
scena,  il  piìi  fieramente  straziante;  nel  quale  lo  sgomento  dell'attesa 
d'un  vago  gastigo  s'acuisce  nella  spaventosa  certezza  di  una  pena 
grave,  ineluttabile,  indeterminata  sì,  ma  ormai  così  immanente  che 
l'anima,  nella  sua  solitudine  angosciosa,  ne  prevede  già  il  colpo  e 
gli  effetti.  «  Il  gastigo  intimato  subito  non  fu  che  d'esser  rinchiusa 
in  quella  camera,  sotto  la  guardia  dalla  donna  che  (aveva  fatta  la 
scoperta;  ma  questo  non  era  che  un  principio,  che  un  ripiego  del 
momento:  si  prometteva,  si  lasciava  vedere  [per  aria,  un  altro  ga- 
stigo oscuro,  indeterminato  e  quindi  piti  spaventoso  ». 

Il  motivo  dell'interiore  lotta  che  Gertrude  combatte  sino  a  scri- 
vere al  padre  la  lettera  di  pentimento,  è  tutto  qui:  giacché  le  mi- 
rabili pagine  seguenti,  allacciandovisi,  non  fanno  che  tratteggiare 
con  vigorosa  coerenza  e  sapiente  sviluppo  l'anima  della  poveretta^ 
tormentata  da  quella  prigionia  avviliente  e  irritante,  oppressa  dal- 
l'incubo  di  un  pili  tremendo  gastigo. 

La  figurazione  dell'ambascia  di  Gertrude  rimasta  sola  con  l'in- 
cresciosa carceriera  è  venuta  acquistando  un  nuovo  movimento  ini- 
ziale d' ispirazione  e  di  tono  attraverso  i  rifacimenti  (*).  Nel  primo 
disegno  il  poeta  non  aveva  raggiunto  ancora  tanto  vigore  di  pene- 
trazione e  d'elevazione  fantastica  da  fissarne  in  una  sintesi  poetica 
limpida  e  ferma  la  complicata  situazione  psicologica.  C'era  qualche 
cosa  di  discontinuo,  d'unilaterale,  di  affastellato  in  quel  primo  ab- 
bozzo :  «  Geltrudé  aspreggiata,  rinchiusa,  minacciata,  in  una  situa- 
zione che  sarebbe  stata  dolorosa  anche  alla  coscienza  più  illibata, 
si  trovava  anche  con  la  memoria  del  fallo,  che  basta  a  rattristare 
la  situazione  più  gioconda;  e  l'animo  suo  fu  prostrato.  Non  sapeva 
prevedere  come  né  quando  la  cosa  sarebbe  finita,  si  aspettava  ad 
ogni  momento  il  castigo  incognito  e  perciò  più  temibile  ».  Il  Man- 
zoni non  aveva  visto  tutta  l' anima  di  Gertrude,  tutto  lo  sbigotti- 
mento di  quell'ora;  era,  direi  quasi,  impacciato  nelle  strettoie  d'uno 
psicologismo  analitico,  come  suole  accadere  o  a  scrittori  di  mediocre 


(1)  Sp.  prom.,  p.  191;  Prom.  sp.,  cap.  IX,  p.  140. 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  293 

fantasia,  anche  se  provati  all'osservazione  della  realtà,  o  a  scrittori 
potenti  sì,  ma,  ne'  primi  cimenti  con  la  materia  dell'arte,  non  ancor 
capaci  di  disciplinare  e  unificare  le  loro  impressioni;  onde  quella 
visione  malferma,  dissipata  si  tradusse  in  una  rappresentazione  in 
cui  era  mal  dissimulato  lo  schema  logico  di  una  fiacca  osservazione. 
Quel  ricalcare,  per  via  della  triplice  aggettivazione:  aspreggiata, 
rinchiusa,  minacciata,  —  i  tratti  già  risaltanti  dalla  tremenda  scena 
precedente  — ,  a  che  serviva  se  non  a  persuaderci  che  —  avesse  questo 
solo  patito  —  la  poveretta  non  poteva  essere  in  una  «  situazione  » 
più  «  dolorosa  »?  E  bastasse!;  ma  c'era  «  anche  »  (nota  l'effetto  di 
discontinuità  e  di  sovrapposizione  che  fa  codesto  arido  termine  lo- 
gico) «  la  memoria  del  fatto  »  (come  se  questo  non  fosse  un  elemento 
massimamente  essenziale  e  intrinseco  di  quella  situazione!);  quale 
conseguenza?  che  l'animo  ne  rimase  «prostrato  ».  Poi  l' afflitta  si 
sgomentava  vieppiìi  al  pensiero  dell'oscuro  gastigo. 

Ed  ora  raffrontate  a  questo  il  passo  nuovo  del  romanzo  :  «  Rimase 
essa  dunque  col  batticuore,  con  la  vergogna,  col  rimorso,  col  ter- 
rore dell'avvenire  e  con  la  sola  compagnia  di  quella  donna  odiata 
da  lei,  come  il  testimonio  della  sua  colpa,  e  la  cagione  della  sua- 
di  sgrazi  a  ». 

Non  la  frammentarietà  di  un'  analisi  fiaccamente  osservativa,  non 
la  sovrapposizione  de'  momenti  psicologici  artificiosamente  discon- 
tinui; nulla  di  schematico,  di  raziocinativo,  di  diffluente,  di  super- 
fluo nello  stile;  ma  la  delineazione  intera,  armonica  di  quell'anima 
in  preda  al  «  primo  confuso  tumulto  »  di  sentimenti  che  la  fantasia 
dell'  artista  guarda  e  rispecchia  con  limpida  e  vigorosa  sobrietà  di 
stile,  inalzandosi  dall'analisi  psicologica  all'unificazione  poetica. 
Ve  riflessa  tutta  l'anima  di  Gertrude,  non  un  aspetto  di  essa;  v' è 
condensata  con  rapida  efficacia  rappresentativa  1'  agitazione  tempe- 
stosa in  cui  ella  è  stata  quasi  improvvisamente  travolta  dal  malau- 
gurato accidente  della  lettera,  dallo  sguardo  e  dai  detti  tremendi 
del  padre.  Questo  potente  tratto  iniziale  da  gran  maestro  contiene 
in  germe  gli  elementi  essenziali  della  dolorosa  lotta  da  cui  la  povera 
rinchiusa  sarà  trascinata  ad  offrirsi  vittima  alla  feroce  volontà,  che 
attende  sicura  l'ora  del  suo  sacrifizio. 

La  minuta  continuava  raccogliendo  materiale  acutamente  osser- 
vato, ma  senza  cercare,  con  una  sapiente  distribuzione,  quella  gra- 
dazione di  luce  e  di  colori,  quello  svolgimento  e  concerto  armonioso 
di  linee  che  ammiriamo  nell'ultima  redazione.  «  L'essere  come  sban- 
dita dalla  famiglia  le  era  un  peso  insopportabile  e  nello  stesso  tem- 
po l'idea  di  rivedere  il  padre  o  di  vedere  la  madre,   il   fratello,  la 


294  PARTE   TERZA 


prima  volta  dopo  il  suo  fallo,  la  faceva  trasalire  di  spavento.  In 
questa  agitazione  continua  si  svolse  e  si  accrebbe  nell'  animo  suo 
un  sentimento  nativo  in  tutti,  ma  più  forte  in  lei  per  indole  e  reso 
ancor  più  forte  dalla  educazione,  il  timore  della  vergogna  :  senti' 
mento  non  solo  onesto,  ma  bello,  ma  essenziale;  sentimento,  però, 
che,  come  tutti  gli  altri,  può  diventare  passione  violenta  e  perni- 
ciosa quando  non  sia  diretto  dalla  ragione,  ma  nutrito  di  orgoglio. 
La  sola  idea  del  pericolo  che  la  sua  debolezza,  la  sua  debolezza  per 
un  paggio,  per  una  persona  meccanica,  fosse  risaputa  da  alcuna 
delle  sue  antiche  superiore,  da  una  sua  compagna,  da  un  congiunto 
di  casa:  questa  idea  le  era  più  terribile,  più  odiosa,  della  prigione, 
dell'ira  dei  parenti,  del  fallo  stesso  »  (*). 

Come  nella  prima  parte  di  codesta  analisi  aveva  l'acuto  psicologo 
voluto  dare  risalto  al  motivo  della  memoria  del  fallo,  cosi  in  que- 
sto secondo  tratto  veniva  svolgendo  quello  della  vergogna  che  sa- 
rebbe seguita  alla  colpa,  se  questa  fosse  stata  risaputa  dagli  estranei 
alla  casa.  Era  dunque  il  medesimo  procedimento,  metodicamente 
analitico,  di  rappresentare  gli  stati  d'animo  per  successione  discon- 
tinua e  figurazione  statica,  come  se  la  fantasia  osservatrice  si  mo- 
vesse ora  a  contemplare  una  faccia  ed  ora  un'altra  della  travagliata 
coscienza;  era  la  medesima  preoccupazione,  già  rilevata,  di  mostrare 
una  saliente  affezione  dell'animo;  nel  qual  modo  d'osservare  e  fi- 
gurare faceva  bella  prova  la  diligenza  di  un  intelletto  che  scruta 
e  riflette,  non  la  potenza  d'  una  fantasia  che  intuisce  e  sintetizza. 
Come  e  perchè  si  svolgesse  e  crescesse  il  sentimento  della  vergo- 
gna in  Gertrude  il  Manzoni  non  interpretava;  ma  s'indugiava  con 
certa  intenzione  didascalica  intorno  alla  natura  e  forma  varia  di 
quel  sentimento  per  caricar  le  tinte  sul  nativo  orgoglio  che  lo  fo- 
mentava. Così  la  figura  di  colei  eh'  era  piuttosto  vittima  che  colpe- 
vole, risaltava  inopportunamente  in  una  luce  alquanto  sinistra. 

Vedete,  al  contrario,  come  la  nuova  dipintura  secondi  con  maggior 
naturalezza  ed  efficacia  i  moti  di  quell'anima  e  ne  svolga  e  prose- 
gua con  decorosa  temperanza  di  tocchi  e  gentile  aggiustatezza  di 
ben  fatte  motivazioni  e  circostanze  la  dominante  apprensione  della 
vergogna. 

L'animo  umano,  dopo  un  forte  e  confuso  tumultuar  di  emozioni, 
come  avviene  dell'aere  e  del  mare  che,  percossi  e  sconvolti  dal 
rapido  cozzar  di  venti  contrari,  trapassano  in  uno  stato  di  calma 
precorritrice  di  urti  più  impetuosi,    suole    allentarsi   in   una  quiete 


(1)  Sp.  prom.,  p.  191 


IL    ROMANZO   IN   FORMAZIONE  295 

che  è  feconda  di  commozioni  meno  confuse,  ma  più  vive.  Così  me- 
ditando, il  Manzoni  ha  tratto  con  nuova  arte  1'  animo  di  Gertrude 
dopo  la  tempesta  suscitata  dal  colloquio  coi  padre.  «  Il  primo  con- 
fuso tumulto  di  quei  sentimenti  s'acquietò  a  poco  a  poco:  ma  tor- 
nando essi  poi  uno  per  volta  nell'  animo_,  vi  s' ingrandivano,  e  si 
fermavano  a  tormentarlo  più  distintamente  e  a  bell'agio  ».  Ma  noi 
intravediamo  che  il  motivo  dominante  nella  rampogna  del  padre, 
ripercosso  nell'  animo  di  lei  come  un  «  terror  »  confuso  e  oscuro 
«  dell'avvenire  »,  vi  s'è  fitto  e  diventa  il  fulcro  di  tutti  i  suoi  tor- 
mentosi pensieri.  «  Che  poteva  mai  essere  quella  punizione  minac- 
ciata in  enimma?»  (*).  Ecco  la  ragione  profonda  dell'inquietudine 
presente,  dell'  amarezza  che  s'  accompagna  «  alle  liete  e  brillanti 
fantasie  d'una  volta  »,  della  vergogna  stessa,  dell'abbandonarsi,  a 
grado  a  grado,  dell'  animo,  combattuto  tra  1'  antica  avversione  al 
chiostro  e  il  bisogno  d'uscire  da  quello  stato  di  penoso  struggimen- 
to, all'  implorazione  del  perdono  paterno.  Fra  le  punizioni  «  quella 
che  pareva  più  probabile  era  di  venir  ricondotta  al  monastero  di 
Monza,  di  ricomparirvi,  non  più  come  la  signorina,  ma  in  forma 
di  colpevole  e  di  starvi  rinchiusa  chi  sa  fino  a  quando  !  chi  sa  con 
quali  trattamenti!  Ciò  che  una  tale  immaginazione,  tutta  piena  dì 
dolori,  aveva  forse  di  più  doloroso  per  lei,  era  l'apprensione  della 
vergogna.  Le  frasi,  le  parole,  le  virgole  di  quel  foglio  sciagurato, 
passavano  e  ripassavano  nella  sua  memoria:  le  immaginava  osser- 
vate, pesate  da  un  lettore  tanto  impreveduto,  tanto  diverso  da  quello 
a  cui  eran  destinate;  si  figurava  che  avesser  potuto  cader  sotto  gli 
occhi  anche  della  madre  o  del  fratello  o  di  chi  sa  altri  :  e,  al  pa- 
ragon  di  ciò,  tutto  il  rimanente  le  pareva  quasi  un  nulla  »  (*). 

Più  trista  e  più  grave  è  codesta  immaginazione,  codesta  appren- 
sione del  gastigo,  ma  quanto  meno  volgare  di  quel  temere  che  nel 
monastero  o  presso  il  parentado  sì  sapesse  il  suo  fallo!  Nel  passo 
primitivo  non  vi  era  che  meschinità  d'orgoglio  ferito,  tanto  più  im- 
meserita  da  quegli  scialbi  elementi  realìstici  (il  paggio,  la  superiora, 
la  compagna,  il  congiunto)  che  pullulavano  nella  fantasia  della  di- 
sgraziata con  un  senso  di  odiosa  molestia. 

Nella  forma  nuova  è  tutto  un  altro  sentire,  fantasticare  e  soffrire  ; 
l'apprensione,  che  appassiona  Gertrude,  è  più  nobile  e  seria  :  un'ap- 
prensione di  squallido  abbandono  là  in  quel  monastero,  già  tanto 
increscioso,  dì  sgomento  al  pensiero  di  dover    espiare  la  sua  colpa 


(1)  Proni,  sp.,  loc.  cit. 

(2)  Ivi. 


296  PARTE   TERZA 


chi  sa  quanto  tempo  lontana  dalla  famiglia  e  in  uno  stato  di  di- 
sprezzo e  d'avvilimento. 

Da  tale  immaginazione  dolorosa  scaturisce  nell'  animo  di  Gertrude, 
com'è  naturale,  la  vergogna;  ma  più  che  l'esser  rinchiusa  come 
colpevole  nel  monastero  è  cagione  di  vergogna  il  figurarsi  il  padre 
e  gli  altri  familiari  intenti  a  leggere  e  a  pesare  la  lettera  sciagu- 
rata ;  e  la  vergogna  non  è  che  un  fluttuar  dell'  anima  tra  la  paura 
del  gastigo  e  il  cordoglio  d'  aver  perduta  la  stima  altrui  e  d'  aver 
peggiorata  la  sua  condizione,  ora  tanto  piti  difficile  per  poter  resi- 
stere alle  finte  blandizie  e  all'  imperiosa  violenza  de'  suoi  oppres- 
sori ;  donde  si  riflette  il  carattere  vero  della  Gertrude  manzoniana, 
misto  d'orgoglio  e  di  bontà,  debole  e  fantasioso,  bisognevole  d'affetto, 
d'aiuto  e  di  compatimento.  Ciò  che  importava  nel  proseguo  della 
finissima  e  difficile  analisi  era  mostrar  come  Gertrude,  pel  concorso 
di  vari  motivi,  dopo  lungo  combattimento  cedesse  all'impulso  di 
scrivere  al  padre  «  una  lettera  —  come  dice  il  Manzoni  —  piena 
d'entusiasmo  e  d'abbattimento,  d' afiìizione  e  di  speranza,  implo- 
rando il  perdono  e  mostrandosi  indeterminatamente  pronta  a  tutto 
ciò  che  potesse  piacere  a  chi  doveva  accordarlo  »  (*). 

Come  veniva  il  poeta  preparando  la  dolorosa  catarsi  nella  reda- 
zione primitiva? 

È  osservabile  lo  sforzo  durato  dall'autore  per  presentarla  come 
un  intimo  rivolgimento  della  coscienza,  ora  esagerando  quel  poco 
di  energia  morale  che  poteva  operare  nell'animo  del  suo  personag- 
gio, ora  cercando  d'  attenuare  l' impressione,  che  il  contegno  di  esso 
destava,  come  di  un  pentimento  sicuro  e  di  una  risoluzione  deter- 
minata e  cosciente.  Il  grande  interprete  delle  segrete  lotte  dello 
spirito  umano  cercava  di  risolvere  nelle  forme  dell'  arte  il  delicato 
problema  psicologico  d'un  cuore  che  nel  sommo  dell'ambascia  fa 
dedizione  di  sé  stesso  a  ciò  che  più  gli  ripugna. 

Postosi  tale  problema,  come  il  Manzoni  lo  risolvette  la  prima 
volta?  Presentava  l'anima  di  Gertrude  nemmeno  più  occupato  dalla 
«  trista  e  funesta  consolazione  dei  sog'  splendidi  della  fantasia; 
perchè  questi  sogni  erano  tanto  in  opposizione  col  suo  stato  reale 
e  con  l'avvenire  il  più  probabile  e  quelle  immagini  erano  tanto 
legate  con  la  sciagura,  che  la  mente  le  respingeva  con  incredula 
avversione  ».  Mostrava  poi  come  dal  ricadere  «  nella  considerazione 
delle  circostanze  reali  >  cominciasse  Gertrude  «  a  dolersi  davvero 
di  ciò  che  aveva  fatto,  a  paragonare  la  vita  che  menava  prima  del 

(  )  Ibi    .,  p.  141. 


IL    ROMANZO   IN    FORMAZIONE  297 

SUO  fallo  con  quella  che  strascinava  in  allora  e  a  trovare  la  prima 
soave,  a  rammaricarsi  di  non  averla  saputa  conoscere  »;  come  in 
tale  stato  d' animo  l' immagine  del  paggio  le  «  comparisse  accompa- 
gnata di  tanti  dispiaceri  che  aveva  perduta  ogni  forza  nella  sua 
fantasia  ».  Atteggiava  quindi  la  fanciulla  così  che,  «  raffreddata 
l'ira  dalla  tristezza  e  dal  timore  del  peggio  e  dal  pensar  che  al 
fine  il  castigo  era  meritato,  il  pentimento  cominciò  ad  essere  più 
dolce,  divenne  un  sollievo  ».  Anzi  nel  nuovo  stato  ella  trovava  già 
delle  rallegranti  consolazioni  che  invero  non  ci  aspetteremmo  fos- 
sero così  pronte  e  operose  in  un  animo  inquieto  come  il  suo:  «  pensò 
ella  al  perdono  che  si  ottiene  con  quello  e  si  rallegrò,  pensò  che 
ciò  ch'ella  soffriva  poteva  essere  un'espiazione  e  tutto  le  parve  piti 
leggero  ».  Ed  eccole  spuntare  in  cuore  tal  compunzione  religiosa 
che,  a  vero  dire,  non  ne  avremmo  facilmente  supposta  tanta  pie- 
nezza e  tanto  abbandono.  Q.'^^^'^^^^ 

«  Si  diede  quindi  tutta  ad  una  divozione  la  quale  in  parte  era  un  !>^ 
sentimento  intimo  e  retto  .dell'  animo,  in  parte  un  fervore  di  fan-'«^  » 
tasia  ».  «  Le  tornava  allora  alla  mente  il  chiostro,  ma  in  un  aspetto 
tutt' altro  che  increscioso:  «  la  dignità  di  monaca  e  quella  benedetta 
pompa  di  badessa»  le  allietava  la  fantasia;  «e  quella  benedetta 
boria  di  essere  la  piìi  nobile  dei  monastero,  ultimo  rifugio  della  sua  ^j 
superbiuzza,  le  parve  un  zucchero  al  paragone  dello  stato  d' umi 
liazione,  di  prigionia,  di  disprezzo  nel  quale  si  trovava  ».  E  così 
infervorandosi  la  piccola  Gertrude  prendeva  addirittura  posizione 
di  battaglia  (chi  lo  crederebbe?)  contro  la  sua  antica  e  radicata  av- 
versione al  chiostro.  «  Le  risorgeva  »  sì,  codesta  avversione  «  con 
tutte  le  sue  immagini,  ma  ella  le  pigliava  per  tentazioni  e  le  com- 
batteva. In  questa  incertezza  ella  desiderava  di  rivedere  il  padre, 
di  rivederlo  con  una  faccia  diversa  da  quella  di  cui  le  rimaneva 
una  immagine  terribile,  e  dolorosa,  di  avere  il  suo  perdono,  di  es- 
sere riammessa  nella  sua  famiglia  »  (*), 

Il  difetto  capitale  di  questa  rappresentazione  dell'  anima  di  Ger- 
trude è  in  ciò  che  può  sembrare,  a  chi  la  guardi  indipendentemente 
dalla  complessa  visione  di  quella  trista  giovinezza,  piuttosto  un  pre- 
gio di  chiarezza,  di  semplicità,  di  ordine  nel  figurare  il  trapasso 
dalla  confusione,  dalla  vergogna  al  rincrudito  dolore  dell'avviliente 
prigionia,  da  questo  al  pentimento,  al  confortevole  pensiero  del  per- 
dono paterno  e  delle  superbe  seddisfazioni  nel  monastero. 


O- 


r 


(1)  Sp.  prora.,  pp.  193-4. 


298  PARTE    TERZA 


Ma  chi  abbia  presente  l' immagine  della  sventurata  adolescente, 
quale  lampeggiò  fin  dalla  stessa  prima  concezione  alla  meditativa 
fantasia  del  Manzoni,  s'accorge  che  quei  tratti  che  abbiamo  raccolti 
e  riassunti  si  svolgevano  secondo,  dirò  così,  un  semplicismo  psi- 
cologico, di  cui  non  è  questo  il  solo  esempio  che  offra  la  prima 
stesura.  Se  ne  riceve  l'impressione  come  di  una  deduzione,  scola- 
sticamente metodica,  di  un  fatto  dall'altro,  di  un' ostentata  chia- 
rificazione del  modo  come  s'avveravano  i  mutamenti  e  i  progressi 
nell'anima  agitata,  quasi  volesse  l'autore  dimostrare  più  che  rap- 
presentare, persuadere  più  che  commuovere. 

L' intonazione  logica  piuttosto  che  estetica  della  descrizione  si  fa- 
ceva sentire  ne'  trapassi  e  legamenti  sintattici  {cominciò  quindi  — ■ 
scacciato  questo  nimico  [l'amore]  dal  cuore...  il  pentimento  cominciò  — 
Si  diede  quindi  tutta  ad  una  divozione  —  Le  tornava  allora  alla 
mente)',  e  di  riflesso  il  sentimento  del  fallo,  il  bisogno  del  perdono, 
il  proposito  d'ottenerlo  spiccavano  in  linee  seccamente  tagliate,  senza 
sfumature  che  denotassero  l'ondeggiar  dell'anima  travagliata,  senza 
un  variar  di  luci  e  d'ombre  che  rivelasse  la  pena  di  quella  umiliante 
relegazione,  resa  più  odiosa  dalle  angherie  della  cameriera,  l'accorato 
desiderio  d' un  po'  di  benevolenza,  la  trepidanza  tra  la  prospettiva, 
che  unicamente  le  rimaneva,  di  un  rifugio  onorevole  nel  monastero- 
e  l'invincibile  avversione  a  rinchiudervisi.  C'era  una  troppo  su- 
perficiale agevolezza,  come  ne'  casi  di  conAcrsioni  che  si  compiono 
senza  contrasto,  in  quel  passar  rapido  di  Gertrude  al  sentimento, 
alle  immaginazioni  delle  grate  conseguenze  del  perdono,  alla  riso- 
luzione di  scrivere  al  padre  ;  e  e'  era,  d'altra  parte,  in  cosiffatta  di- 
pintura qualcosa  di  inorganico,  di  diffiuente,  di  unilaterale,  che  non 
rendeva  chiaramente  l'ineluttabilità  di  quella  risoluzione  da"  cui  do- 
veva esser  deciso  il  suo  destino.  Lo  stesso  Visconti  —  non  ostante 
che  il  Manzoni  in  fine  al  capitolo  quasi  cercasse  di  mitigar  l'im- 
pressione della  descrizione  precedente  (*)  —  aveva  osservato,  a  pro- 
posito di  quel  pronto  combatter,  come  «  tentazioni  >,  le  attraenti 
immagini  del  passato,  che  conveniva  «  indicare  più  chiaramente  che 
per  altro  non  erasi  ancor  piegata  alla  risoluzione  di  farsi  monaca  »  (*). 

Non  che  parergli  giusto  l'avvertimento  dell'amico,  il  Manzoni 
stimò  opportuno  di  rivedere  e  rifar  totalmente  l'analisi  della  com- 
plessa situazione.  Che  il  penoso   stato   in   cui  Gertrude  era  caduta. 


(1)  «  Non  già  ch'ella  avesse  presa  una  risoluzione,  ma  non  poteva  più  reggere 
alla  solitudine  e  alla  proscrizione,  e  sperava  confusamente  che  in  quel  colloquio  la 
risoluzione  si  sarebbe  fatta  per  lo  meglio»  (ivi). 

(2)  Ivi,  n.  jj. 


IL   ROMANZO    IN   FORMAZIONE  299 


e  il  pentimento  del  fallo  e  il  bisog-no  d'un  po'  di  misericordia  e 
d'  amore  potessero  indurla  a  mostrarsi  «  indeterminatamente  pronta  > 
a  ciò  che  poteva  piacere  al  padre  e  contribuire  a  scemare  quella 
sua  antica  avversione,  è  consentaneo  all'indole  sua  fantasiosa  e  in- 
quieta; ma  che  ne  derivasse  senz'altro  la  risoluzione  di  combatterla 
era  troppo  e,  per  giunta,  mal  s'accordava  con  l'ingenita  fiacchezza 
morale  di  lei.  Il  poeta  ha  dunque  affisato  lo  sguardo  sulla  prima 
figurazione  di  Gertrude  con  più  sicuro  intuito  di  quel  temperamento 
fantasioso  e  ardente  e  con  più  grave  e  delicata  pietà  del  suo  dolo- 
roso destino:  onde  ne  ha  ritoccati  i  tratti  salienti  e  ombreggiata  e 
ricolorita  la  patetica  situazione  con  gentilezza  di  toni  nuovi,  con 
ricchezza  di  sfumature  sapienti  e  sviluppo  opportuno  d'elementi  da 
prima  scarsi  o  lasciati  nell'ombra;  così  da  rispecchiare  lucidamente 
l'ondeggiante  sensibilità  —  nota  essenziale  d^l  carattere  di  Grertrude 
—  che,  affiorando  dai  misteriosi  istinti  del  suo  essere  e  dalle  con- 
genite tendenze  ereditarie  della  sua  stirpe,  riempie  di  un  compa- 
timento pensoso  l'animo  dell'osservatore. 

Ecco:  il  paggio  non  torna  incresciosamente  alla  memoria  della 
poveretta  come  la  «  persona  meccanica  »  per  la  quale  altri  la  do- 
vessero svergognare  come  la  testimonianza  della  sua  «  debolezza  »  ; 
né  ella  si  libera  così  facilmente  di  quell'immagine,  come  con  certa 
intempestiva  baldanza  d'ironia  commentatrice  (^)  ci  raccontava  da 
prima  il  Manzoni.  Il  quale,  anzi,  purificati  i  motivi  della  vergogna, 
separa  da  codesta  apprensione  la  figura  del  giovinetto^  per  farne 
rivivere  la  gentile  immagine  mischiata  ad  altre  tormentatrici  nella 
fantasia  della  fanciulla:  -^  non  lasciava  di  venire  spesso  anch'essa 
ad  infestar  la  povera  rinchiusa;  e  pensate  che  strana  comparsa  do- 
veva far  quel  fantasma,  tra  quegli  altri  così  diversi  da  lui,  seri, 
freddi,  minacciosi  ». 

I  dolori  presenti  vincono  il  diletto  di  quella  memoria,  a  cui  sono 
troppo  strettamente  legati,  ma  il  brusco  e  grossolano  modo  di  rap- 
presentarne r  oblio,  che  abbiamo  rilevato  nella  minuta,  ha  ceduto 
nella  nuova  dipintura  ad  un  processo  delicatissimo  di  gradazioni, 
che  riproduce  fedelmente  lo  sforzo  durato  dalla  sentimentale  Ger- 
trude per  liberarsene:  «  appunto  perchè    non    poteva    separarlo  da 


(1)  Tanto  è  vero  che  «all'amore  per  signoreggiare  un  animo,  bisogna  un  poco  di 
buon  tempo,  e  che  le  faccende  gravi, te  le  grandi  sciagure  gli  spennacchiano  le  ali 
e  gli  spezzano  i  dardi,  se  ci  si  permette  una  frase,  invero  troppo  poetica,  ma  che 
spiega  tanto  bene  ciò  che  accade  nell'animo»  {Sp.  proni-,  p.  193).  Ma  sconveniva 
far  del  brio  su  quel  piccolo  povero  amore  di  Gertrude,  per  cavarsi  il  gusto  di  can- 
zonare la  fraseologia  mitologica  de'  poeti  erotici  classicheggianti. 


300  PARTE   TERZA 


essi,  né  tornare  un  momento  a  quelle  fuggitive  compiacenze,  senza 
che  subito  non  le  si  affacciassero  i  dolori  presenti  che  n'  erano  la 
conseguenza,  cominciò  a  poco  a  poco  a  tornarci  più  di  rado,  a  re- 
spingerne la  rimembranza,  a  divezzarsene  ». 

Con  eguale  attenzione  seguita  il  poeta  a  smorzare  le  tinte  forti 
del  primo  disegno. 

Le  «  liete  e  brillanti  fantasie  d'una  volta  »  tornavano;  ma  non 
«  più  a  lungo  o  più  volentieri  »  che  nell'immagine  del  paggio,  vi 
«  si  fermava  »,  perchè  — dice  il  Manzoni  con  nuova  grazia  e  so- 
brietà —  «  erano  troppo  opposte  alle  circostanze  reali,  a  ogni  pro- 
babilità dell'avvenire  »,  A  questo  punto  la  nuova  redazione  esce 
dalle  tracce  della  prima  stesura  che  s'affaticava  a  descrivere  il  pen- 
timento, la  devozione,  il  combattimento  vittorioso  contro  le  antiche 
inclinazioni,  e  rifa  la  situazione  presentando  1'  animo  di  Gertrude 
agitato  attorno  all'immagine  del  monastero,  che  unico  le  si  offriva 
come  «  un  rifugio  tranquillo  e  onorevole  ». 

La  figura  psicologica  acquista  coerenza  e  unità  e  compostezza 
nuove;  l'anima,  deserta  dalle  liete  immaginazioni,  oppressa,  al  con- 
trario, e  assediata  da  tristi  e  minacciosi  fantasmi,  non  poteva  che 
abbandonarsi  a  quel  vago  pensiero,  e  confortarsene  per  la  gioia 
pregustata  di  veder  «  cambiata  in  un  attimo  la  sua  situazione».  Il 
Manzoni,  dirò  cosi,  ha  spostato  il  fòco  centrale  del  quadro:  il  senti- 
mento del  fallo  diventa  un  coefficiente  "del  dramma:  non  é,  però, 
tutto  il  dramma  stesso  ;  il  quale  piuttosto  si  concentra  nell'  affanno 
intollerabile  di  quella  vita,  chiusa  come  in  un  carcere,  disprezzata, 
perennemente  oppressa  dalla  minaccia  d'un  «  gastigo  »  —  già  fatto 
presentire  dal  padre  —  «  oscuro,  indeterminato  e  quindi  più  spaven- 
toso ».  Così  il  contenuto  e  il  significato  del  breve  dramma  di  Gertrude 
smettono  quella  compunzione  morale  che  prevaleva  nella  prima  rap- 
presentazione, per  atteggiarsi  nelle  forme  d'una  dolorosa  passiona- 
lità, più  confacenti  al  temperamento  e  al  carattere  della  giovanetta. 

Vedete  la  vicenda  in  che  s'aggira  l'animo  suo.  Non  che  si  risol- 
vesse d'entrar  per  sempre  nel  monastero,  ma  non  poteva  a  meno 
di  riflettere  —  in  quelle  ore  di  abbandono  doloroso  —  ai  vantaggi 
di  una  tale  risoluzione.  Se  non  che  <  contro  questo  proposito  insor- 
gevano i  pensieri  di  tutta  la  sua  vita  ».  Sarebbe  dunque  riuscita  a 
scacciare  quella  vaga  idea  del  chiostro  ?  Era  la  stessa  angoscia  dello 
stato  presente  che  ve  la  richiama  va..  Troppo  «  i  tempi  eran  mutati; 
e  nell'abisso  in  cui  era  caduta  e  al  paragone  di  ciò  che  poteva  te- 
mere in  certi  momenti,  la  condizione  di  monaca  festeggiata,  osse- 
quiata^ ubidita,  le  pareva  uno  zuccherino  ». 


IL   ROMANZO    IN   FORMAZIONE  301 

E  qui  abbiamo  un  bellissimo  saggio  del  lavoro  di  ricostruzione 
psicologica  e  di  rifusione  fantastica,  esercitato  dal  poeta  sul  primo 
getto.  Nel  quale  quell'immaginazione  di  una  vita  di  monaca  privi- 
legiata fioriva,  come  abbiamo  visto,  da  uno  stato  di  fantastica  com- 
punzion  religiosa;  e  sol  di  riflesso  appagava  anche  l'animo  superbo 
e  insofferente  della  presente  umiliazione  ;  mentre  nella  nuova  forma 
del  romanzo,  essa  nasce  per  diretto  contrasto  all'esasperazione  di 
quella  prigionia  e  al  terrore  dell'imminente  gastigo.  Il  processo 
psicologico  appare  così  più  conforme  alla  natura  di  Gertrude.  Che 
è  codesta  natura?  un  impasto  di  debolezza,  di  tenerezza,  d'orgoglio. 
Non  è  capace  di  raccogliersi  nel  confortevole  fervore  di  una  viva 
e  costante  devozione  religiosa  ;  può  sentirsene  accesa  di  tanto  in 
tanto,  non  assolutamente  dominata,  nello  stesso  modo  che  la  punge 
il  desiderio  d'appagare  il  suo  orgoglio,  ma  non  basterebbe  questa 
sola  passione  a  determinarla  ad  un  atto  decisivo.  Né,  d'  altra 
parte,  la  sete,  onde  brucia,  d'  affetto,  di  dolce  protezione,  o,  almeno, 
d'umane  parole  non  varrebbe  da  sola  ad  infiammare  la  sua  volontà. 
Istinti,  passioni,  che  scuotono  l'animo  urtandosi  insieme,  senza  che 
alcuno  s'  accampi,  come  suole  accadere  ne'  caratteri  di  viva  sensi- 
bilità e  di  scarsa  energia  volitiva:  concorrenti  insieme,  per  avven- 
tura, a  generare  l'azione,  perchè  vi  s'immischia  una  confusa  idea 
d'appagamento  e  di  sollievo. 

La  quale  situazione  complessa,  vista  e  approfondita  dal  Manzoni 
con  altro  sguardo  dalla  primitiva  figurazione,  è  tutta  in  questa  analisi 
delicatissima:  «  due  sentimenti  di  ben  diverso  genere  contribuivano 
pure  ad  intervalli  a  scemare  quella  sua  antica  avversione:  talvolta 
il  rimorso  del  fallo,  e  una  tenerezza  fantastica  di  devozione  :  tal- 
volta l'orgoglio  amareggiato  e  irritato  dalle  maniere  della  carceriera, 
la  quale  (spesso,  a  dire  il  vero,  provocata  da  lei)  si  vendicava  ora 
facendole  paura  di  quel  minacciato  gastigo,  ora  svergognandola  del 
fallo.  Quando  poi  voleva  mostrarsi  benigna,  prendeva  un  tono  di 
protezione,  più  odioso  ancora  dell'insulto.  In  tali  diverse  occasioni, 
il  desiderio  che  Gertrude  sentiva  d'uscir  dalle  unghie  di  colei,  e 
di  comparirle  in  uno  stato  al  di  sopra  della  sua  collera  e  della  sua 
pietà,  questo  desiderio  abituale  diveniva  tanto  vivo  e  pungente,  da 
far  parere  amabile  ogni  cosa  che  potesse  condurre  ad  appagarlo. 

In  capo  a  quattro  o  cinque  lunghi  giorni  di  prigionia,  una  mat- 
tina, Gertrude,  stuccata  ed  invelenita  all'  eccesso,  per  un  di  que' 
dispetti  della  sua  guardiana^  andò  a  cacciarsi  in  un  angolo  della 
camera,  e  lì,  con  la  faccia  nascosta  tra  la  mani^  stette  qualche 
tempo  a  divorar  la  sua  rabbia.   Sentì  allora  un  bisogno  prepotente 


302  PARTE   TERZA 


di  vedere  altri  visi,  di  sentire  altre  parole,  d'esser  trattata  diversa- 
mente. Pensò  al  padre,  alla  famiglia:  il  pensiero  se  ne  arretrava 
spaventato.  Ma  le  venne  in  mente  che  dipendeva  da  lei  di  trovare 
in  loro  degli  amici:  e  provò  una  gioia  improvvisa.  Dietro  questa, 
una  confusione  e  un  pentimento  straordinario  del  suo  fallo  e  un 
egual  desiderio  d'espiarlo.  Non  già  che  la  sua  volontà  si  fermasse  in 
quel  proponimento,  ma  giammai  non  c'era  entrata  con  tanto  ardore  ». 

In  queste  pagine  dell'ultima  elaborazione  noi  vediamo  disporsi 
in  una  più  rigorosa  e  lucida  unità  estetica  e  svolgersi  con  nuovi 
effetti  psicologici  e  drammatici  ciò  che  di  ancor  frammentario  e 
grezzo  era  confluito  nel  primo  getto  :  la  donna  carceriera,  del  cui 
odioso  contegno  era  fatto  un  accenno  magro  e  scialbo  (*),  acquista 
uno  sviluppo  d'  azione,  un  significato  morale  e  un  colorito  poetico 
di  gran  rilievo,  come  quella  che,  amareggiando  ed  irritando  l'or- 
goglio di  Gertrude,  contribuisce  al  rivolgimento  interiore  della  po- 
veretta e  alla  risoluzione  disperata  di  scrivere  al  padre:  la  grigia 
ombra  silenziosa,  che  avvolgeva  nel  primitivo  disegno  quella  sua 
amaritudine  languente  nella  compunzione  del  pentimento,  si  scioglie 
negli  avvampanti  diverbi,  che  ogni  tanto  interrompono  il  fantasti- 
care affannoso  di  lei;  ne  sorgono  in  sinistra  luce,  l' una  di  fronte 
all'altra^  l'arcigna  figura  della  donna,  che  or  rimbrotta  per  atter- 
rire ora  blandisce  per  avvilire,  e  quella  corrucciata  della  giovinetta, 
che  freme  invelenita,  divorando  la  rabbia  nel  pianto  convulso. 

È  un  quadro  che  il  Manzoni  ha  ricreato  quasi  ex  novo  ai  fini  del- 
l'efficacia drammatica,  tratteggiandolo  con  quella  temperanza  di 
linee  e  di  colori  che  gli  suggeriva  il  suo  senòo  d'  arte  misurata  e 
armoniosa,  secondando  massimamente  quel  criterio  di  logica  vigo- 
rosa che  ha  presieduto  tutto  il  suo  lavoro  di  ricostruzione  e  di  tra- 
sformazione del  romanzo,  sia  nel  dedurre  e  collegare  gli  avveni- 
menti, sia  nel  motivare  le  azioni  de'  personaggi. 

È  in  quella  mattina  che  Gertrude,  piti  esasperata  del  solito,  sente 
il  prepotente  bisogno  d'uscire  di  là,  «  di  vedere  altri  visi,  di  sentire 
altre  parole,  d'esser  trattata  diversamente  ».  L'anima  trabocca  d'a- 
marezza e  di  rabbia;  l'ultimo  eccesso  produce  la  catastrofe:  in  un 
temperamento  di  sensibilità  morbosa,  coni'  è  quello  di  Gertrude,  non 
è  tanto  un'  intima  preparazione  di  sentimenti  e  di  pensieri,  quanto 
un  impeto  passionale  d'  un  momento  che  determina  lo  spasimo  di 
quel  bisogno.  Il  quale  è  qui  sapientemente  rilevato,  in  dipendenza 


(1)  «La  conversazione  era  fra  di  esse  quaile  può  risultare  dall'odio  reciproco» 
(Sp.  proni.,  p.  192). 


IL    ROMANZO   IN   FORMAZIONE  303 

diretta  da  uno  stato  di  agitazione  straordinaria,  mentre  nella  prima 
stesura  aveva  un  posto  inopportuno  dopo  il  colloquio  col  padre. 
Con  quel  sentimento  risorge  il  pensiero  del  padre,  della  famiglia, 
.€  lo  spavento  che  abitualmente  s'accompagnava  a  quelle  immagini, 
ma  questa  volta  la  paura  non  prevale^  e  l'anima,  oppressa  dall'in- 
sopportabile odio  e  fastidio  della  guardiana,  s'abbandona  a  teneri 
pensieri  di  riconciliazione,  di  benevolenza,  d' affetto  ;  e  così  fanta- 
sticando, prova  una  di  quelle  gioie  improvvise  che,  empiendola  di 
dolcezza  e  conforto,  la  dispongono  a  commozioni  straordinarie. 

Ora  s' intende  come  tale  stato  di  tenerezza  insolita  predisponga 
e  agevoli  in  Gertrude  «  un  pentimento  straordinario  del  suo  fallo 
e  un  egual  desiderio  d' espiarlo  »  :  movente  psicologico  di  prim'  or- 
dine, che  pur  s' insinuava  confusamente  tra  gli  affrettati  periodi 
della  prima  redazione  (*),  ma  senza  quella  concretezza  e  coerenza 
drammatica  che  vi  ha  impresso  di  poi  il  genio  paziente  poeta. 

Dopo  queste  considerazioni  non  posso  consentire  ne'  sottili  appunti 
mossi  di  recente  da  Nicola  Scarano  (*)  all'analisi  manzoniana  degli 
stati  d'animo  di  Gertrude.  «  Un  po'  monotona  —  gli  pare  —  per 
qualche  ripetizione  e  per  non  aver  saputo  l'artista  fare  nuove  sco- 
verte ».  Ripetizioni  possono  parere  i  tratti  in  cui  è  ripresentata  la 
figura  della  guardiana  ed  è  ritoccato  lo  stato  di  sbigottimento  del- 
l'adolescente  dinanzi  all'avvenire  e  di  rammarico  del  fallo  com- 
messo: ma  in  ciò  non  c'è  vuota  reduplicazione  di  motivi^  bensì  ri- 
prese, svolgimenti  di  essi,  che  secondano  e  scolpiscono  con  efficacia 
di  nuovi  rilievi  la  travagliata  vicenda  e  il  faticoso  rivolgimento  in- 
teriore di  queir  anima,  della  quale  il  Manzoni  deve  pur  dire  per 
quali  impulsi  e  in  quali  modi  si  risolvesse  a  scrivere  al  padre  la  let- 
tera famosa.  Che  «  nuove  scoperte  »  dovesse  fare  l' artista,  non  so, 
eccetto  quella  di  studiare  e  ritrarre  l' intimo  nuovo  travaglio  di  Ger- 
trude ne'  tristi  giorni  della  prigionia  ;  il  che  il  Manzoni  ha  fatto 
e  —  a  mio  avviso  —  egregiamente.  Ma  più  severo  è  il  giudizio 
dello  Scarano  in  queste  parole  :  «  sono  inoltre  stati  di  animo  cam- 
pati in  aria,  senza  quasi  nulla  che  li  determini  di  fuori,  senza  che 
sorgano  per  lavorìo  nuovo  su  i  ricordi  del  passato.  Qui  l'analisi 
psicologica,  non  sorretta  da  fatti  o  da  elementi  reali,  diviene  un'a- 


(1)  Detto  che  Gertrude  combatteva  le  liete  immagini  del  passato  come  tentazioni, 
il  Manzoni  proseguiva:  «In  questa  incertezza,  ella  desiderava  di  rivedere  il  padre, 
di  rivederlo  con  una  faccia  diversa  da  quella,  di  cui  le  rimaneva  una  immagine  ter- 
ribile e  dolorosa,  di  avere  il  suo  perdono,  di  essere  riammessa  nella  famiglia  »  (Sp. 
proni.,  p.  194). 

(2)  N.  Scarano,  La  Gertrude  del  Manzoni,  in  N.  Ant.  del  16  die.  1916,  pp.  460  segg. 


304  PARTE   TERZA 


Stratta  parodia».  Rimando  all'esame  da  me  fatto  dell'analisi  man- 
zoniana, nel  quale  —  se  non  m'inganno  —  è  implicita  la  confuta- 
zione di  così  aspro  e  strano  giudizio.  Ma  non  posso  a  meno  di  ri- 
battere, qui,  che  gli  stati  d'animo  di  Gertrude,  non  che  campati  in 
aria  e,  come  a  dire,  presentati  senza  un  fondamento,  una  ragione 
propria,  una  motivazione  interna  e  un'eccitazione  esteriore,  sono 
propriamente  determinati  da  fatti  ed  elementi  reali,  cioè  dalla  sco- 
perta di  quel  suo  amoruccio  per  via  della  lettera  caduta  in  mano  del  pa- 
dre (di  quel  padre  !),  dall'apparizione  improvvisa  di  lui  venuto  a  rim- 
proverarla, con  quel  cipiglio,  a  minacciarla  di  un  indeterminato, 
ma  certo  gastigo,  che  può  anche  essere  le  chiusura  nel  monastero, 
dal  trovarsi  guardata  da  quella  cameriera  che  la  tortura  con  di- 
scorsi, con  minacce  e  fintaggini  e  dispetti.  E  quanto  ai  ricordi  del 
passato,  ce  n'è  di  lieti,  ormai  così  lontani,  e  di  tristi,  così  vicinij 
che  sono  anzi  d' incentivo  e  di  tormento  alla  fantasia  della  giovi- 
vinelta,  generano  in  lei  il  conflitto  de'  sentimenti,  fermentano  il  vario 
tumulto  delle  passioni.  E  lasciamo  andare  l'appunto  per  i  quattro  o 
cinque  giorni,  messi  là  dal  Manzoni,  che  lo  Scarano  si  maraviglia 
non  potessero  essere  anche  «  tre  o  sei  »^  osservando  che  è  un  nu- 
mero «  preso  a  caso,  perchè  esso  rappresenta  una  lacuna  nel  lavoro 
della  creazione  »,  come  se  proprio  quella  espressione  numerica  in- 
determinata non  volesse  significare  in  modo  vago  e  indefinito,  con- 
forme alle  leggi  della  poesia,  la  vita  di  resistenza,  di  sofferenza, 
di  struggimento  della  piccola  rinchiusa,  finché  non  giunga  all'estre- 
mo dell'esasperazione.  «  Dopo  quei  quattro  o  cinque  giorni  —  pro- 
segue spietato  lo  Scarano  —  le  è  fatto,  come  idea  nuovissima,  venir 
in  mente  che  dipendeva  da  lei  di  trovare  nel  padre  e  nella  famiglia 
degli  amici,  sì  che  viene  a  provare  per  ciò  una  gioia  improvvisa. 
Ma  questo  era  come  l'altro  corno  del  dilemma;  e  avendo  Gertrude 
r  un  corno  presente,  non  aveva  da  aspettar  cinque  giorni  per  veder 
l'altro  ». 

Tralasciando  che  è  difficile  consentire  in  questa  forma  rigidamente 
logica  in  cui  lo  Scarano  ama  figurarsi  gl'interni  combattimenti  di 
quell'anima  debole  e  inquieta,  mi  richiamo  anche  per  questo  all'a- 
nalisi che  addietro  ne  ho  fatto;  soltanto  aggiungo  che  quel  pensiero 
che  il  rabbonirsi  de'  suoi  avversari  dipendeva  da  lei,  cioè  dalla  sua 
condiscendenza  a  far  la  volontà  del  padre  implorando  il  perdono, 
sorgeva  per  antitesi  e  con  suggestiva  attraenza  dallo  spavento  stesso 
di  quei  «  fantasmi  seri,  freddi,  minacciosi  »,  risorgenti  troppo  spesso 
nella  sua  mente,  e  che  attingeva  tanto  più  forza  dall'  intenso  esa- 
sperante bisogno  d'uscir   da   quel  luogo,   d'ottener   dal   mondo  un 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  305 

po'  di  benevolenza.  Il  processo  psicologico  è  condotto  con  sicuro 
intuito  e  magistrale  coerenza  poetica.  E  quella  «  gioia  improvvisa  », 
chi  ben  guardi  nella  delicata  trama  psicologica  onde  il  potente  ar- 
tista ha  intessuto  l'animo  di  Gertrude,  non  è  che  la  conseguenza 
straordinaria  di  quel  figurarsi  visi  benigni  e  parole  carezzevoli,  che 
l'anima  sovreccitata  vede  e  sente  come  in  viva  realtà  e  a  cui  s'ap- 
piglia disperatamente,  perchè  ha  un  estremo  bisogno  di  consola- 
zione e  di  sollievo. 

Lo  stato  d'animo  di  Gertrude  nel  comparire  dinanzi  al  padre, 
che  al  legger  quella  lettera  ho  visto  subito  «  lo  spiraglio  aperto  alle 
sue  antiche  e  costanti  mire  >  (*),  è  raffigurato  in  quella  leggiadra 
similitudine  del  fiore  con  cui  s'apre  il  cap.  X.  Convengo  con  lo 
Scarano  che  ad  essa  e  a  ciò  che  colà  si  dice  di  certi  momenti  del- 
l'animo giovanile  non  s'attaglia  perfettamente  il  caso  di  Gertrude, 
la  quale  è  ben  vero  che  non  cede  mollemente  alla  crudele  insidia 
del  principe  e  ch'ella  è  un  fiore  piuttosto  abbattuto  dall'uragano 
che  «  pronto  a  concedere  la  sua  fragranza  alla  prim'  aria  che  gli 
aliti  punto  d'intorno».  Se  non  che  quell'  «abbandonarsi  (*)  sul 
fragile  stelo  »  con  ciò  che  segue,  ove  sia  riferito  ai  più  benigni  di- 
scorsi che,  dopo  averla  nuovamente  aspreggiata,  le  rivolge  il  padre 
«  raddolcendo  a  grado  a  grado  la  voce  e  le  parole  » ,  può  reggere 
sol  che  si  consideri  lo  stato  di  Gertrude,  «  scossa  dal  timore,  pre- 
parata dalla  vergogna  e  mossa  in  quel  punto  da  una  tenerezza 
istantanea  ».  A  questo  proposito  v'erano  nella  prima  redazione  due 
tratti,  andati  poi  soppressi^  che  chiarivano  il  segreto  sentire  di 
Gertrude  in  quel  momento  di  abbandono  e  la  nota  caratteristica 
dell'indole  sua.  Dopo  la  similitudine  del  fiore  il  Manzoni  proseguiva; 
«  L'  animo  vorrebbe  perpetuare  questi  momenti^  e  diffidando  della 
sua  costanza,  corre  con  alacrità  a  formar  disegni  irrevocabili  :  felice 
se  la  tarda  riflessione  non  gli  rivela  col  tempo  che  ciò  che  gli  era 
sembrato  una  ferma  e  pura  volontà  non  era  altro  che  una  illusione 
della  fantasia  »  (^).  Ed  era  pur  detto  di  questi  momenti  non  solo 
«  che  si  dovrebbero  dagli  altri  ammirare  cOn  timido  rispetto  »  (*) 
ma  «  coltivare  dal  prudente  consiglio  in  modo  che  si  mostrassero 
colla  prova  e  col  tempo  »,  e  che  in  essi  «  tanto  più  si  dovrebbe 
tremar  e  vergognarsi  di  chiedere   quanto   più   grande  è  la  disposi- 


li) Prom.  sp„  cap.  X,  p.  142. 

(2)  La  prima  stesura  (p.  195)  non  ha  il   «mollemente»,   il    che  rende  più   accetta- 
bile l'immagine. 

(3)  Sp.  prom.,  p.  195. 

(4)  Così  pur  ne'  Prom.  sp.,  Ice.  cit. 


Busetto  —  20 


306  PARTE  TERZA 


zione  ad  accordare  »  (*).  E  quel  «  Ah  !  sì,  »  con  cui  G-ertrude  nella 
prima  redazione  interrompeva  «  incontanente  »  il  discorso  del  padre 
prospettante  i  pericoli  del  secolo,  ella  lo  pronunciava  «  mossa  ad 
un  punto  dal  timore,  dal  ravvedimento,  e  da  una  certa  tenerezza  e 
sopra  tutto  dalla  corrività  della  sua  fantasia  »  (^). 

Quest'ultimo  piti  forte  motivo,  che  il  Manzoni  ha  poi  tralasciato 
di  rilevare  o  per  rendere  più  sobria  1'  analisi  o  per  dare  unicamente 
risalto  agV  impulsi  morali  ed  affettivi  o  piuttosto  così  per  l' una  come 
per  l'altra  ragione  (^),  e  quel  tratto  dell'osservazione  iniziale,  me- 
desimamente soppresso,  gettano  un  po'  di  luce  nella  primigenia 
concezione  del  carattere  di  Gertrude  e,  in  particolare,  del  suo  con- 
tegno in  presenza  del  padre.  Ella  è  insomma  in  uno  stato  d'illu- 
sione sentimentale  e  fantastica,  che,  mentre  le  fa  parer  di  volere 
con  consapevolezza,  lascia  di  fatto  indifesa  la  volontà.  Di  questa  più 
manifesta  situazione,  com'era  lumeggiata  nella  prima  stesura,  del- 
l' animo  di  Gertrude  è  rimasta  una  traccia  significativa  nel  romanzo 
là  dove  è  detto  che  il  padre  volle  cogliere  a  volo  quel  momento 
«  per  legare  una  volontà  che  non  si  guarda  >  {*). 

* 
*     * 

IV.  Se  nell'episodio  della  prigionia  testé  esaminato  il  Manzoni  è 
riuscito  a  rendere  più  compatta,  più  piena  e  più  profonda  la  rap- 
presentazione del  carattere  di  Gertrude  col  rifare  in  modo  più  de- 
licato e  più  complesso  la  dipintura  de'  sentimenti  e  coli' avvivare 
r  analisi  psicologica  e  la  situazione  di  nuovi  motivi  drammatici,  in 
altre  parti  ha  inteso  al  medesimo  fine  ora  col  sopprimere  quel  che 


(1)  Sp.  proni.,  loc.  cit. 

(2)  Sp.  proni.,  p.  197. 

(3)  Può  essere  per  sobrietà,  parendogli  sufficienti  motivi  a  prorompere  in  quel 
«ah  sì»!  il  timore,  la  vergogna,  la  tenerezza  istantanea;  può  essere,  ad  un  tempo, 
pel  proponimento  di  non  caricar  troppo  sull'indole  fantastica  della  fanciulla  al  fine 
di  rappresentare  una  scena  d'insidiosa  oppressione,  in  cui  tutto  il  biasimo  spetta  al- 
l'insinuante perfidia  del  principe. 

(4)  Prom.  sp.,  cap.  X,  p.  143.  Lo  Scarano  condanna  questa  fra^e,  perchè  Gertrude 
«  cedevole  divenne  per  paura  e  non  perchè  non  si  guardasse  »  e  aggiunge  che  «  non 
fu  un  dolce  inganno  quello  che  la  vinse;  ma  una  costrizione,  una  violenza  bella  e 
buona»  (art.  cit.  p.  461).  Questo  s'intende  anche  dal  romanzo;  ma  che  Gertrude  avesse 
dinanzi  al  padre  una  volontà  ferma  e  chiara  si  da  guardarsi  dagli  agguati  dell' «astu- 
zia interessata»,  io  escludo  affatto.  Che  l'autore,  piuttosto,  immaginasse  in  lei  uno 
stato  di  fantastica  sentimentalità  predisponente  alle  più  straordinarie  accondiscendenze, 
è  provato  anche  dall'esame  dell'abbozzo,  che  lascia  scoprire  i  segreti  intenti  e  proce- 
dimenti del  poeta. 


IL   ROMANZO    IN   FORMAZIONE  307 

gli  paresse  accessorio  o  eterogeneo  e  con  lo  scorciare  ne'  tratti  ri- 
dondanti, ora  col  rinvigorire  o  sviluppare  gli  elementi  essenziali 
all'  analisi  e  qualche  volta  con  1'  aggiungerne  di  nuovi.  Processo  di 
chiarificazione  e  di  condensazione  che,  sebbene  non  importi  un  vigor 
nuovo  d' intuito  psicologico,  una  più  penetrante  meditazione  fanta- 
stica, richiede  tuttavia  il  vigile  senso  dell'evidenza  concisa,  la  scal- 
trita attitudine  a  purificare  la  visione  poetica  d'ogni  elemento  su- 
perficiale, triviale,  contingente,  a  rifare  in  sobrio  e  limpido  disegno 
ciò  che  prima  era  prolisso  o  grossolano. 

Dopo  quel  «sì»  disgraziato,  padre  e  figlia  stanno  l'una  di-  fronte 
all'  altro  con  sentimenti  e  contegno  mutati.  La  prima  stesura  riferiva 
indirettamente  con  fare  sbiadito,  or  generico,  or  troppo  caricato,  il 
discorso  plaudente  del  vincitore  (*);  descriveva  con  sforzo  d'analisi 
mal  contenuta  lo  stato  dubbioso  e  confuso  della  vinta  (*).  Dai  rifa- 
cimenti le  due  figure  sono  balzate  nette  e  precise  ne'  lor  caratteri 
essenziali  :  il  padre  in  quella  parlata  breve,  rapida,  densa,  che  è  un 
capolavoro  d'ostentata  benevolenza  e  di  tortuosa  coazione  ;  la  figlia 
in  quella  chiara  dipintura  del  nuovo  combattimento  in  cui  è  presa 
tra  il  rammarico  di  quel  «  sì  »  «  che  le  era  scappato  >  e  la  sugge- 
stione deprimente  delle  parole  del  principe. 

Dove  l'autore,  con  un  fraseggiar  povero  di  vigore  fantastico  e 
frondeggiante  di  verbalismo,  s' attardava  sulla  confusione  de'  pensieri 
di  Gertrude,  ha  tatto  risaltare  con  lucida  scioltezza  di  tocchi  il  tor- 
mentìo  di  quel  «  sì  »  impegnativo  ;  dove  aveva  sbiaditamente  colorito 
uno  stato  d' inerzia  paurosa,  ha  dato  nuova  vita  e  colore  al  contrasto 
tra  quelle  due  volontà,  l'una  inerme  ed  abbattuta  e  l'altra  agguer- 
rita di  forza  e  scaltrezza  e  fervorosa  del  suo  trionfo.  Così  nell'ordi- 
nata e  sobria  dipintura  dell'ultima  mano  ha  nuovo  rilievo  quella 
che  è  la  caratteristica  psicologica  della  Gertrude  manzoniana,  un 
agitarsi  cioè  tra  il  pentìmento  de'  passi  a  cui  la  trascina  la  sua  ir- 
requieta sensibilità  e  l'impotenza  di  porvi  rimedio  ('). 

Nella  scena  che  succede  immediatamente  a  questa  del  perdono  e 
della  riconciliazione,  compariva  nel  primitivo  disegno,  oltre  la  madre 
e  il  fratello,  il  segretario  del  Marchese,  incaricato  di  stendere  lì  su 
due  piedi  la  domanda  formale  pel  vicario  delle  monache:  gustosa 
figura  che  conferiva  peculiare  vivezza  al  quadro  secentesco  di  quella 
famiglia  patrizia  (*),  ma  che  il  poeta  ha  poi  tolta  via,  preferendo  di 


(1)  Sp.  prom.,  p.  197. 

(2)  Ivi. 

(3)  Cfr.  i  due  passi  in  Sp.  prom.,  ivi  e  Prom.  sp.,  cap.  X,  p.  143. 

(4)  Sp.  prom,.  p.  199. 


308  PARTE   TERZA 


sacrificare  il  colorito  storico  della  scena  e  l'umor  satirico  che  gli 
aveva  ispirato  un  tipo  di  cortigiano  all'  esigenza  poetica,  più  pro- 
fondamente sentita,  di  porre  in  stacco  vivo  i  due  personaggi  cospicui, 
r  oppressore  e  la  vittima,  d'infondere  con  la  rapida  sobrietà  del 
racconto  e  la  vivacità  del  dialogo,  in  cui  domina  quasi  da  sola  con 
la  sua  voce  la  figura  del  principe,  un  senso  di  più  alta  e  paurosa 
drammaticità  alla  scena,  d'imprimervi  un  più  universale  carattere 
umano. 

Nel  seguito  del  racconto,  da  quella  scena  fino  alla  visita  al  mo- 
nastero, assistiamo  al  lavoro  intenso  di  tagli  e  scorci  e  mondature, 
che  rendono  più  netta  e  distinta  1'  essenziale  figurazione  del  carat- 
tere di  Gertrude  :  sparita  una  similitudine  ingombrante  e  poco  con- 
veniente (*)  ;  eliminati  alcuni  particolari  dell'  acconciatura  (*)  che 
perturbavano  l'unità  psicologica  ed  estetica  della  rappresentazione 
di  queir  aS^annoso  sbalordimento  crescente,  in  cui  la  vittima  era 
come  rapita  dall'affaccendamento  degli  astuti  oppressori;  cancellate 
certe  dimostrazioni  d'ossequente  amorevolezza  che  caricavano  trop- 
po il  colore  de'  caratteri  (^),  soppressa,  o  meglio,  condensata  in 
uno  scorcio  sobrio  ed  efficace,  entro  le  linee  svelte  dell'azione,  l'a- 
nalisi dell'animo  di  Gertrude,  oppressa  dalle  congratulazioni  e  dai 
complimenti  della  gente  di  casa  e  de'  parenti  più  prossimi  (*); 
bandite  le  dimostrazioni  di  premura  de'  suoi  familiari  durante  la 
trottata  pel  Corso  e  sostituite  dai  garruli  discorsi  di  due  zìi,  un  de' 
quali,  col  far  del  brio  sulla  vita  beata  della  prossima  monaca,  non 
solo  ravviva  il  quadro  d'  ambiente,  ma  dà  anche  risalto  alla  silen- 
ziosa ambascia  della  festeggiata  (')  ;  più  serrato  e  conciso  e,  dirò 
così,  rammorbidito  nei  toni  con  l'estinguere  alcuni  tratti  che  immi- 
serivano il  ritratto  morale  di  Gertrude,  il  racconto  della  vendetta 
che  ella  si  prende  sulla  cameriera  col  farla  allontanare  da  sé;  e 
svolta,  per  contro,  per  una  più  acuta  intuizione  de'  caratteri,  l'a- 
nalisi della  trista  soddisfazione  che  non  appaga  la  fanciulla  e  della 


(1)  «La  mente  di  Geltrude  era  come  il  lavorìo  d'una  povera  fante,  che  serva  ad 
una  numerosa  famiglia  e  che  in  un  giorno  di  faccende  chiamata  di  qua  di  là  non 
può  venire  a  capo  di  nulla»  (Sp.  prom..  p.  200). 

(2)  «La  Marchesa^  presiedeva  all'acconciamento,  e  parte  lodando,  parte  ripren- 
dendo, parte  consigliando,  parte  interrogando  Geltrude  di  cose  estranee,  non  le  lasciò 
il  tempo  di  raccozzar  due  idee.  Del  resto,  a  misura  che  l'opera  procedeva  verso  la  sua 
perfezione,  Geltrude  stessa  vi  prese  un  po'  d'affetto,  e  vi  occupò  quel  poco  di  pensiero 
che  le  rimaneva  »  (p.  201). 

(3)  «A  tavola  Geltrude  fu  la  regina:  servita  la  prima,  trattenuta,  corteggiata, 
ella  doveva  corrispondere  a  tante  gentilezze,  e  faceva  ogni  sforzo  per  riuscirvi  »  (ivi). 

(4)  Ivi. 

(5)  Sp.  prom.,  pp.  201-2;  Prom.  sp.,  cap.  X,  p.  145. 


IL    ROMANZO    lìT  FORMAZIONE  309 

pena  che  la  tormenta  al  pensiero  de'  grandi  progressi  fatti,  in 
quella  giornata,  sulla  via  del  chiostro  e  ravvivata  in  dialogo,  come 
suole  spesso  il  Manzoni,  la  parte  ipocritamente  premurosa  del  pa- 
dre, ch'era  prima  succintamente  descritta;  ridotta,  in  fine,  a  pochi 
tratti,  vivi  e  concisi,  la  descrizione  dello  svegliarsi  di  Gertrude  la 
mattina  seguente  che  deve  recarsi  a  far  la  richiesta  al  monastero. 
La  minuta  si  soffermava  a  ritrar  quel  risveglio  in  codesto  quadro 
di  acuta  e  lucida  fantasia,  che  il  Manzoni  avrebbe  potuto  conser- 
vare con  lievi  ritocchi  nel  testo  definitivo:  «  Geltrude  desta  per 
forza,  non  ancor  ben  certa  di  vegliare,  assalita  ad  un  punto  dalle 
memorie  del  giorno  trascorso,  dal  pensiero  di  ciò  che  si  doveva 
fare  in  quello  che  cominciava  e  dal  cinguettio  della  governante, 
stava  con  gli  occhi  socchiusi  ed  intenti  come  trasognata:  quel  de- 
starsi era  por  la  sua  mente  come  il  dubbio  barlume  di  un  mattino 
tempestoso,  quando  un  leggero  diradamento  nelle  tenebre  appena 
annunzia  che  il  sole  è  nell'  orizzonte,  e  a  chi  guarda  più  attenta- 
mente il  sole  stesso  appare  come  un  disco  bianco  sfumato  e  leg- 
giero sospeso  dietro  le  nuvole  trasparenti  »  (^). 

Un'altra  vigorosa  pennellata,  che  nella  minuta  ritraeva  al  vivo  la 
penosa  situazione  di  Gertrude,  assediata,  appena  scendeva  nella 
sala  a  prender  la  cioccolata  di  rito,  dalle  nuove  cerimonie  de'  ge- 
nitori e  del  fratello^  le  quali  erano  «  piccoli  fili  che  legavano  sem- 
pre più  »  la  poveretta,  è  scomparsa  dal  romanzo  ;  ma  pur  di  que- 
sto tratto,  non  men  che  del  precedente,  non  sapremmo  giustificar 
la  soppressione  neppure  col  più  rigoroso  criterio  di  sobrietà,  poiché 
ne  veniva  luce  e  colore,  in  un  punto  dei  più  cospicui  del  racconto, 
alla  figurazione  dell'indole  complessa  e  ombrosa  della  sventurata. 
Conviene  riportarlo  per  disteso  :  «  Essa  non  confermava  con  parole 
la  risoluzione  che  tutte  quelle  dimostrazioni  supponevano;  non  di- 
ceva nulla,  non  faceva  nulla,  ma  tutto  ciò  che  si  faceva  intorno  a 
lei,  la  poneva  in  una  situazione  nella  quale  il  disdirsi,  appena  il 
mover  dubbio  sulla  sua  risoluzione,  il  fermarsi  un  momento  avrebbe 


(1)  Sp.  prom.,  p.  205.  La  minuta,  poi,  raccontava  press'a  poco  come  l'ultima  re- 
dazione:  «Il  nome  del  Marchesino  aveva  già  fermata  l'attenzione  di  Geltrude,  ma 
quando  dalle  parole  della  governante  l'immagine  del  Marchesino  in  collera  passò 
nella  mente  di  Geltrude,  tutti  i  pensieri  onde  questa  era  affollata,  si  levarono  a  volo 
come  uno  stormo  di  passere  alla  vista  d'uno  spauracchio,  e  non  restò  più  a  Geltrude 
che  la  voglia  di  disbrigarsi  e  di  schivare  quella  collera».  Osserva,  però  che,  agilità 
nuova  e  che  precision  di  rilievo  abbia  ricevuto  il  passo  elaborato  in  quest'  altra 
forma:  «  All'immagine  del  principino  impaziente,  tutti  gli  altri  pensieri  che  s'erano 
affollati  alla  mente  risvegliata  di  Gertrude,  si  levaron  subito,  come  uno  stormo  di 
passere  all'apparire  del  nibbio»  (Prom.  sp.,  cap.  X,  p.  147). 


310  PARTE   TERZA 


avuto  sempre  più  apparenza  di  stranezza  scandalosa  »  (*).  E  giac- 
ché siamo  su  questo  proposito,  dirò  che  la  preoccupazione  della  so- 
brietà s'è  fatta  sentire  anche  in  altri  luoghi  del  racconto,  ne'  quali 
lo  sguardo  del  poeta  non  si  perdeva  dietro  a  superficiali  superfluità 
di  disegno,  ma  penetrava,  acuto  e  profondo,  nello  spirito  doloroso 
di  quel  fosco  dramma  domestico. 

E  noto  che  l'autore  nell' accingersi  a  descrivere  il  giro  d'addio 
a'  beni  mondani,  fatto  da  Gertrude  dopo  la  visita  al  monastero,  e  il 
colloquio  col  vicario,  dichiara  così  nella  prima  come  nell'ultima 
stesura  del  romanzo  di  non  voler  soffermarsi  su  quella  descrizione 
per  evitare  «  una  storia  di  dolori  e  di  fluttuazioni,  troppo  monotona, 
e  troppo  somigliante  —  ha  aggiunto  nel  testo  definitivo  —  alle  cose 
già  dette  »  (*).  Eppure  tra  le  due  redazioni  c'è  differenza;  ed  è  da 
credere  che  la  considerazione  che  troviamo  dichiarata  nella  giunta 
dell'ultima,  abbia  spinto  la  mano  del  rigido  revisore  a  scorciare 
con  speditezza  anche  eccessiva  la  densa  e  particolareggiata  descri- 
zione che  gli  era  venuta  fatta  nel  primo  getto.  A  dire  il  vero,  non 
si  tratta  solo  di  soppressioni  e  di  emendamenti  dovuti  al  «  fren 
dell'arte  >,  ma  altresì  di  sostituzioni  e  di  mutamenti  sostanziali  così 
nella  rappresentazione  degli  oggetti  ed  aspetti  del  mondo,  a  cui 
Gertrude  s'affacciava  per  l'ultima  volta,  come  nell'analisi  de'  suoi 
sentimenti.  Lo  stato  di  Gertrude  appare  nell'ultima  forma  più  dolo- 
roso che  nella  primitiva,  ma  anche  meno  agitato  e  involuto;  più 
decorosa  la  sua  intima  tragedia,  più  semplice  e,  ad  un  tempo,  più 
delicata,  la  descrizione  de'  suoi  patimenti.  E  così,  pur  conservando 
gl'intimi  contrasti,  il  carattere  ne  esce  ricostruito  e  lumeggiato  in 
una  forma  più  raccolta,  più  organica,  più  profonda.  È  il  segreto 
procedimento  che  di  continuo  s' intravede  nella  pertinace  elabora- 
zione psicologica  e  fantastica,  attraverso  la  quale  il  Manzoni  è  venuto 
riatteggiando  i  suoi  personaggi.  Ho  detto  che  Gertrude  anche  dalle 
pagine  ritoccate  non  figura  meno  dominata  di  quel  che  fosse  prima, 
dai  segreti  contrasti  dell'animo;  e  aggiungo  che,  anzi,  il  Manzoni 
ha  reso  più  vivace  e  più  cospicuo  il  travaglio  della  fanciulla  tra 
le  impressioni  della  splendida  vita  mondana  e  l'idea  della  vita  del 
chiostro,  tra  il  desiderio  inquieto  di  poter  vivere  per  sempre  an- 
ch'ella  nel  mondo  e  il  pauroso  pensiero,  che  guastava  ogni  altra 
inclinazione  contraria,  delle  difficoltà  sempre  più  ardue  e  intricate 
dell'attuale  sua  condizione. 


(1)  S'p.  prom.,  p.  207. 

(2)  Sp.  prom.,  p.  217;  Prom.  sp.,  cap.  X,  p.  155. 


IL   ROMANZO   IN    FORMAZIONE  311 

Per  ottener  ciò,  senza  tuttavia  venir  meno  all'intento  di  render 
più  sobrio  e  conciso  il  racconto  de'  casi  della  disgraziata  signora  — 
che  minacciava  di  diventare  un  romanzo  nel  romanzo  —  il  Manzoni 
di  tanto  ha  ampliata  la  rappresentazione  poetica  di  quel  mondo 
fastoso,  pur  toccando  in  modo  succinto  delle  impressioni  e  de'  sen- 
timenti suscitati  in  lei  giovinetta,  di  quanto  ha  ristretta  la  descri- 
zione dell'  affannosa  alternativa  d' impronte  risoluzioni^  di  scompi- 
glianti  pentimenti,  di  quella  profonda  contraddizione  tra  ciò  ch'essa 
sentiva  dentro  di  sé  e  ciò  che  faceva  e  diceva,  impigliandosi  sempre 
pili  nella  rete  orditale  dal  suo  tristo  destino.  Sono  nuove  pennellate 
d'ambiente  codeste:  «  1'  amenità  de'  luoghi,  la  varietà  degli  oggetti, 
quello  svago  che  pur  trovava  nello  scorrere  in  qua  e  in  là  all'aria 
aperta  le  rendevano  più  odiosa  l' idea  del  luogo  dove  alla  fine  ri- 
smonterebbe per  r  ultima  volta,  per  sempre  >  ;  nuovo  quel  tocco, 
per  quanto  fugace:  «la  visita  delle  spose  le  cagionava  un'invidia, 
un  rodimento  intollerabile  »  ;  nuovo  quel  rilievo  genialissimo  di  un 
singolare,  eppur  tanto  vero,  disagio  morale:  «  talvolta  anche  il  pen- 
siero di  dover  abbandonare  per  sempre  que'  godimenti  glie  ne  ren- 
deva amaro  e  penoso  quel  piccolo  saggio  ;  come  l' infermo  assetato 
(nuova  pur  questa  comparazione  efficacemente  significativa)  guarda 
con  rabbia,  e  quasi  respinge  con  dispetto  il  cucchiaio  d' acqua  che 
il  medico  gli  concede  a  fatica  ». 

La  dipintura  di  quel  mondo  splendido  e  rumoroso  rimase  tal 
quale  —  salvo  qualche  efficace  ritocco  —  l'aveva  concepita  il  poeta 
la  prima  volta,  cioè  a  larghi  e  rapidi  tratti,  sollecitandolo  più  che 
la  cura  di  ritrarre  le  figure  e  gli  spettacoli,  on d'era  circondata  Ger- 
trude, quella  di  significarne  gli  effetti  nell'animo  eccitato  di  lei. 
Dell'  avere,  di  proposito,  tralasciata  una  più  minuta  e  viva  rappre- 
sentazione di  quel  mondo,  è  stata  mossa  accusa  anche  di  recente 
al  poeta  con  argomentazioni  desunte  da  una  teoria  generale  del- 
l' arte  che  per  sé  stessa  ha  il  suo  ragionevole  fondamento.  E  stato 
detto  che  «  più  poetico,  più  ricco,  più  vario  sarebbe  stato  l'addio 
di  Gertrude  a  ciò  che  più  ardentemente  1'  anima  sua  bramava  »,  se 
l'analisi  de'  suoi  turbamenti  e  contrasti  sì  fosse  accompagnata  alla 
pittura  di  tutto  ciò  che  brillava  e  giulivamente  ferveva  attorno  a 
lei  {^).  Può  essere.  Ma  —  a  parte  che  uno  scrittore  grande  va  stu- 
diato e  valutato  in  ciò  che  di  concreto,  d'immediato,  di  caratteri- 
stico ha  l'arte  sua  —  non  dimentichiamo  che  quella  sommaria  ras- 
segna de'   godimenti  mondani,  a  cai  è  ammessa  la  giovane  ormai 


(1)  SCARANO,  art.  cit.,  p.  463. 


312  PARTE   TERZA 


destinata  al  chiostro  dopo  il  colloquio  col  vicario,  non  ha  che  un 
valore  episodico  nella  trama  del  racconto  e  che  il  Manzoni  aveva 
con  la  sua  lesta  concinnità  qua  e  la  rievocato  quel  mondo  aristocra- 
tico non  dico  di  proposito  e  in  un  quadro  compiuto,  ma  a  luoghi 
opportuni  e  a  grandi  linee,  come  per  dare  uno  sfondo  scenico  alla 
rappresentazione  della  rapida  vicenda  di  fatti  e  di  commozioni  in 
cui  è  presa  ineluttabilmente  Gertrude  dalla  sua  prima  entrata  nel 
monastero  al  decisivo  colloquio  col  vicario  delle  monache.  Sfondo 
scenico  che  non  ha  — ^  è  vero  —  risentiti,  rilevati  e  coloriti  contorni 
né  varietà  di  figure  profilate  in  vivida  luce  né  dovizia  di  colori 
fastosi;  ma  conviene  non  perder  d'occhio  (e  a  ciò  la  minuta  è  di 
gran  giovamento)  la  concezione  fondamentale  di  questo  personaggio, 
l'intimo  disegno  che  la  meditante  fantasia  del  poeta  venne  entro  sé 
componendo  di  quella  dolorosa  giovinezza,  il  significato  morale  di 
tal  sacrifizio  infecondo  di  bene.  Poiché  é  chiaro  che  il  Manzoni  in- 
tese di  far  risaltare*  in  codesta  storia  di  Gertrude  il  carattere  e  il 
valore  d' un  dramina  familiare,  d'ombreggiarne  a  tocchi  brevi  e  lievi 
r  ambiente,  appunto  per  dare  rilievo  alto,  complesso,  morale  insieme 
ed  artistico,  all'  impari  lotta  d' un'  anima,  fantasiosamente  sentimen- 
tale per  natura  e  morbosamente  orgogliosa  per  razza  ed  educazione, 
con  la  volontà  fredda,  astuta,  potentemente  suggestiva  d'un  padre 
tirannico  per  indole  e  privilegio  di  casta. 

Avesse  avuto  il  Manzoni  la  mente  sgombra  di  quello  che  troppo 
eccessivamente  si  son  chiamate  le  «  ubbie  della  morale  »  e  meno 
avesse  temuto  «  di  dipingere  quadri  che  potessero  aver  contrario 
effetto  a  quello  dell'edificazione  »  (*),  non  per  questo  ci  avrebbe 
data  una  rappresentazione,  più  particolareggiata  e  lussureggiante, 
degli  spettacoli  e  de'  divertimenti  che  in  Gertrude  suscitavano  «  eb- 
brezza »,  «  ardore  »  di  vita  lieta  e  brillante,  orrore  dell'  «ombra 
fredda  e  morta  del  chiostro  ». 

Eppure,  a  rigor  di  logica,  non  si  può  nemmeno  dire  che  in  que- 
ste pagine  il  Manzoni  abbia  di  proposito  trascurata  la  serie  de'  fatti 
esterni  o  scompagnatane  la  rappresentazione  dall'analisi  psicologica 
degli  interni  di  Gertrude;  né  che  non  abbia  visto  «  col  divino  oc- 
chio della  sua  mente  que'  divertimeati  e  quegli  spettacoli  quali  si 
potevano  presentare  all'occhio  di  Gertrade  »,  né  che  egli  si  meriti 
il  rimprovero  di  non  aver  «  tenuto  per  altissimo  canone  d'arte  che 
le   due    serie  di  cui  si    é    parlato  sono  in  poesia  inscindibili  »  ('), 


(1)  SCARANO,    ivi. 

(2)  ScARANO,  art.   cit.,  pp.  462,  463. 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  313 

quando  lo  studio  dello  scrittore  è  manifestamente  inteso  a  farle 
andare  proprio  insieme,  armonicamente  disponendo  in  salda,  coerente 
e  lucida  unità  estetica  gli  aspetti  di  quel  mondo  e  le  impressioni 
di  Gertrude,  così  da  riflettervi  quell'intimo  rapporto  di  suggestioni 
e  di  reazioni  tra  l'esterno  e  T interno  che  costituisce  l'inscindibile 
unità  psicologica  della  rapida  sì,  ma  densa  rappresentazione.  Alla 
quale  anzi  il  poeta,  elaborandone  il  primitivo  disegno,  ha  infuso 
maggior  copia  di  motivi  e  d'  impressioni,  che  compongono  un  qua- 
dro bensì  temperato  e  sobrio,  ma  da  cui  par  che  movano  riverberi 
tanto  più  luminosi  e  una  spiritualità  tanto  più  suggestiva  pel  modo, 
felicemente  seguito,  di  suscitarvi  immagini,  colori,  movimento  in 
corrispondenza  viva  e  continua  con  le  interne  affezioni  di  Gertrude, 
per  l'arte,  insomma,  di  animarlo  quel  quadro,  non  al  fine  di  un'e- 
vocazione storica,  ma  in  contrasto  co'  patimenti  e  con  l'irrevocabile 
destino  della  giovinetta  infelice. 

Nella  visione  di  quel  piccolo  mondo  ipocritamente  feroce  e  fasto- 
samente cortigianesco  il  poeta  raccoglie  lo  sguardo  pensoso  sull'  a- 
nimo  e  sul  funesto  sacrifizio  di  colei  che  il  pervertimento  morale 
trascinerà  a  tradire  Lucia  ;  di  contro  scorge  la  figura  grandeggiante 
del  primo  e  più  vero  autore  di  tanti  casi  sinistri,  il  principe,  e,  por- 
tato dalle  pronte  sue  attitudini  all'analisi  de'  sentimenti  e  alla  figu- 
razione piuttosto  della  vita  morale  che  delle  condizioni  e  degli  a- 
spetti  esteriori,  condensa,  quanto  più  può,  il  racconto  nello  studio 
di  quei  due  caratteri,  nella  rappresentazione  di  ciò  che  dia  moto  e 
rilievo  alla  natura  e  alle  passioni  loro,  così  opposte  e  diverse.  Po- 
stosi il  problema  psicologico  e  morale  della  rovina  morale  d' un'a- 
nima, di  cui  son  causa' r  egoismo  domestico,  i  pregiudizi  di  casta, 
la  debolezza  morale  e  la  mancanza  di  un  puro  e  alto  sentimento  re- 
ligioso, il  Manzoni  lo  risolve  nelle  forme  dell' arte- consentanee  alla 
sua  ispirazione  e  alla  sintesi  ideale  a  cui  mira:  ne  viene  di  conse- 
guenza che  la  storia  di  Gertrude  riesce  ad  una  analisi  psicologica, 
in  cui  è  sempre  vigile  il  senso  di  quel  conflitto  morale  che  è  l'unica 
e  grande  ragione  poetica  del  racconto.  Così  il  poeta  ha  visto,  medi- 
tato, sentito  ;  entro  codesti  confini  spirituali  ha  circoscritto  il  dramma 
di  Gertrude:  noi  non  possiamo  chiedergli  più  di  quello  che  egli 
ha  raccolto  nella  sua  visione  interiore,  più  di  quello  che  ha  appas- 
sionato la  sua  coscienza  poetica.  Non  è  questione  d' esitanza  che 
il  Manzoni  sentisse  a  colorir  quadri  di  seducente  vivacità  mondana; 
né  di  scrupoli   morali  o  religiosi  né  d'estro  frenato  (*);   il    fatto   é 

(1)  Ivi. 


314  PARTE   TERZA 


che  la  coerenza  artistica,  la  quale  altro  non  è  che  armonica  concor- 
danza del  fantasma  col  sentimento,  della  forma  rappresentativa  con 
i  motivi,  con  le  ispirazioni  della  sensibilità  o  della  passionalità  in- 
tima d'un  poeta,  non  gli  consentiva  d'attardarsi  a  destare  attorno 
a  Gertrude  quella  che  allo  Scarano  piacque  chiamar  «  cinemato- 
grafìa degli  spettacoli  ridenti  e  splendenti  »,  ma  gli  consigliava  la 
misura  e  la  sobrietà  nel  tratteggiare  ciò  che,  pur  collegandosi  a 
quel  dramma,  non  avesse  che  officio  di  sfondo  da  cui  si  dovevano 
staccar  vive  ie  figure  di  Gertrude  e  del  padre  tra  fasci  di  luce  ri- 
verberati dalla  concezione  morale  di  quell'intima  storia  di  sopraf- 
fazione e  di  dolore. 

Eliminare  ciò  che  non  sia  strettamente  necessario  a  lumeggiar  le 
situazioni,  condensarle  in  pochi  tratti  salienti  con  vigorosa  sobrietà 
espressiva,  riordinare  in  modo  più  logico  i  lineamenti  psicologici  e 
morali  de'  caratteri  in  azione  sono  i  procedimenti  che  avvertiamo 
di  cbntinuo  nel  lavorìo  di  ricomposizione  e  di  raffinamento  dell'e- 
pisodio monzasco. 

Il  discorso  del  principe  alla  figlia  poco  prima  di  condurla  a  far 
la  richiesta  al  monastero  è  condotto  nell'ultima  redazione  con  più 
tatto  e  con  più  vivo  eccitamento  dell'orgoglio  nobilesco;  la  scena 
stessa  si  svolge  in  un  tempo  più  rapido  che  non  fosse  nella  minuta 
e  ha  un  colore  e  un  vigor  nuovo  che  le  imprime  una  svelta  e  fosca 
drammaticità.  Il  padre  parla  con  un  tono  di  fierezza,  di  mal  con- 
tenuto comando  e  di  mal  coperta  minaccia,  con  lucida  e  concisa 
energia  suggestiva.  Che  fa,  che  dice  Gertrude?  Nulla:  ascolta,  do- 
minata da  quella  voce  e  da  quello  sguardo,  irrigidita  dallo  sforzo" 
interno  dell'anima  turbata.  Non  una  frase,  non  una  parola  a  ritrarne 
l'aspetto  in  quell'amara  vigilia,  a  farne  lampeggiare  dal  volto  l'af- 
fanno interiore. 

Kiservate  all'ultimo  le  parole  della  vanità  e  dell'orgoglio:  «fate 
vedere  di  che  sangue  uscite:  manierosa,  modesta;  ma  ricordatevi 
che  in  quel  luogo,  fuor  della  famiglia,  non  ci  sarà  nessuno  sopra 
di  voi  »,  non  succede  nessun  atto  o  moto  di  sospensione  o  d'attesa 
che  complichi  la  situazione:  «  Senza  aspettar  risposta  il  principe 
si  mosse;  Gertrude,  la  principessa  e  il  principinolo  seguirono;  sce- 
sero tutti  le  scale  e  montarono  in  carrozza».  La  concisione  poetica 
di  questa  scena  genera  un'intensità  drammatica  di  grande  efficacia: 
non  v'ha  forse  altro  luogo  dell'episodio  in  cui  il  Manzoni  con  singo- 
lare sobrietà  di  mezzi  ne  risvegli  con  sì  potente  evidenza  fantastica 
il  tragico  senso  :  quell'immediata,  brusca,  imperiosa  mossa  del  prin- 
cipe, seguito  sommessamente  dagli  altri,    dopo  le  ultime  altere  pa- 


IL   ROMANZO    IN   FORMAZIONE  315 

role,  è  un  colpo  da  gran  maestro:  vi  senti  il  carattere  dell'uomo, 
la  sommissione  della  sua  vittima  e  delle  sue  ombre,  l'arida  cupezza 
di  quelle  grandi  case  patrizie.  Che  è  quel  silenzio  rigido  di  Gertrude? 
È  la  maschera  del  suo  dolore.  C'è  in  poesia  il  silenzioso,  il  sotto- 
inteso, l'inespresso,  che  ha  talvolta  l'eloquenza  illuminatrice  del- 
l'arte pili  calda  e  colorita:  il  Manzoni  ne  ha  di  tali  momenti  divini, 
in  cui  l'arte  che  tutto  fa  nulla  si  scopre  :  questo  è  uno. 

Nella  prima  stesura  non  aveva  avuta  la  felice  intuizione  della 
drammatica  profondità  di  quella  scena.  Vedete:  perfino  le  circo- 
stanze, i  toni  iniziali  ne  impedivano  la  visione  vera  e  forte.  Men- 
tre ora  leggiamo:  «  Quando  vennero  ad  avvertir  ch'era  attaccato,  il 
principe  tirò  la  figlia  in  disparte  e  le  disse:  «orsù,  Gertrude...  », 
prima  era  detto:  «  Preso  il  fatai  cioccolatte,  il  Marchese  si  alzò, 
pigliò  Gertrude  in  disparte  e  con  aria  di  consiglio  amorevole  le 
disse:  «  Orsù,  figlia  mia...  ».  È  mutamento  questo  di  gradazione, 
ma  d'effetto  mirabile:  quel  pigliarsi  in  disparte  con  fare  risoluto 
ed  impassibile  la  figlia  proprio  quando  si  annunzia  che  la  carrozza 
è  pronta,  conferisce  alla  scena  un  non  so  che  di  vibrato  e  di  pau- 
roso, che  mozza  il  respiro  e  dà  risalto  alla  diabolica  arte  di  non 
lasciar  tempo  e  mezzo  alla  poveretta  di  liberamente  pensare,  deli- 
berare e  agire. 

Tra  quell'atto  e  l'impronto  avviarsi  del  principe  «  senza  aspettar 
risposta  »  non  risuonano  che  le  sollecitanti  parole  di  lui,  chiudendo 
come  in  un  vortice  l' anima  muta  di  Gertrude  :  il  drammatico  svol- 
gimento non  potrebbe  avere  maggiore  rapidità.  Quest'impressione 
non  faceva  la  minuta,  dove  l' avviso  dato  da  un  servo  che  il  «  coc- 
chio era  pronto  »  veniva  dopo  il  discorsetto  del  padre  e,  insieme  con  un 
«  via,  via  »,  detto  da  costui  alla  figlia  commossa,  la  costringeva  «  a  farsi 
forza  e  a  ricomporsi».  Codesto  circostanziar  fiaccamente  l'azione 
ne  scemava  il  vigore  drammatico  ;  quell'  «  aria  di  consiglio  amore- 
vole »  e  quell'ostentato  «  figlia  mia  »  colorivano,  se  vogliamo,  di 
perfida  ipocrisia  la  figura  dell'  interlocutore,  ma  rallentavano  l'effetto 
di  fosca  imperiosità,  che  pur  andava  cercando  il  poeta. 

L'inerire,  poi,  nel  discorso  un  tratto  a  forma  indiretta  («  E  qui 
le  diede  le  istruzioni  su  quello  che  doveva  fare  e  dire  »)  e  il  farle 
€  ripetere  la  formola  della  domanda  »  e  quel  volgare  «  Benissimo, 
a  meraviglia  »  che  il  tiranno  pronuncia  con  un'  ilarità  da  commedia, 
r  intonazione  del  discorsetto,  in  cui  scoppietta  Io  spirito  di  una  volgare 
e  garrula  intimidazione,  immiserivano  la  scena,  ne  dissipavano 
l'ideale  unità,  soffocavano  con  la  fastidiosa  superfiuità  delle  parole 
la  gran  luce  sinistra  che  dalla   parlata  continuata,    piena,   solenne. 


316  PARTE   TERZA 


tagliente  del  rifacimento  divampa  ed  avvolge  la  figlia  muta  ed  im- 
mobile. La  quale,  per  contro,  movevasi,  da  prima,  a  ripetere  mec- 
canicamente la  formula  imboccatale;  poi  la  vedevamo  commoversi 
(«  Ella  arrossò,  non  rispose  nulla,  chinò  il  capo,  gli  occhi  le  si  gon- 
fiarono »)  e,  con  grande  sforzo,  ricomporsi  e  da  ultimo,  nello  scen- 
der le  scale,  esser  «  servita  da  un  bracciere  ».  La  scena  volgeva  al 
patetico;  il  dramma  tra  la  garrulità  acre  del  padre  e  i  lucciconi 
mal  contenuti  della  figlia  precipitava  nella  commedia  lagrimosa; 
l'accessorio,  il  caratteristico,  l'analitico,  perfino  quella  preziosità  del 
bracciere  di  colore  storico,  disperdevano  la  solennità  sinistra  di 
quella  vigilia  fatale,  ne  snervavano  il  semplice  e  profondo  signifi- 
cato morale,  ne  sciupavano  il  valore  poetico. 

A  tramutare  lo  spirito  della  scena,  a  renderla  altamente  dram- 
matica e  profondamente  poetica,  valse  lasciar  nell'ombra  del  suo 
muto  dolore  la  fanciulla  e  raccoglier  tutta  la  luce  suU' uomo  altero, 
dando  a  lui  unicamente  voce  e  moto  :  spettacolo  di  grandeggiante 
energia  sopraflfatrice,  da  cui,  assai  più  spiccatamente  che  dai  dipinti 
turbamenti  del  primo  disegno,  si  riflette  nel  grigiore  diff'uso  dello 
sfondo  il  segreto  tormentìo  dell'  adolescente  oppressa. 

Così  quest'atteggiamento  di  concentrata  e  muta  angoscia,  che 
s' indovina  più  che  non  si  veda,  rende  con  maggior  coeren>.a  e 
profondità  che  non  fosse  ne'  particolari  patetici  e  discorsivi  della 
minuta.  Li  situazione  psicologica  di  quel  terribile  momento  del 
dramma. 

* 

*     *  

V.  Con  lo  studio  dell'  episodio  della  richiesta,  che  si  svolge  nel 
monastero  davanti  la  madre  badessa  e  alle  monache  radunate  per 
la  solenne  cerimonia,  rivolgerò  l'indagine,  che  mi  sono  proposto  di 
condurre  intorno  la  formazione  del  carattere  di  Gertrude,  a  consi- 
derare per  quali  prove  e  sforzi  vittoriosi  1'  autore  è  venuto  matu- 
randone l'idealizzazione  psicologica,  l'elevazione  poetica. 

Il  principe  e  Gertrude  con  la  madre  e  il  fratello  entrano  in  Mon- 
za; si  giunge  alla  porta  del  monastero;  si  smonta  e  si  trapassa  fino 
a  quella  del  chiostro  interno;  qui  file  di  monache  acclamano  *  in 
segno  d'accoglienza  e  di  gioia  >,  e  Gertrude  si  trova  «  a  viso  a 
viso  con  la  madre  badessa,  »,  alla  cui  richiesta  risponde:  «Son  qui...»  ; 
poi,  esita  alquanto,  infine  prosegue  a  dire  tutta  la  formula  della  ri- 
sposta. 

È  questo  uno  de'  momenti  più  drammatici  del  racconto  :  sotto 
quelle  parvenze  di  festa  e  tenerezza  giuliva,  ossequiente  e  rumorosa 


7 


IL   ROMANZO    IN   FORMAZIONE  317 


si  matura  il  destino  doloroso  d'una  giovinezza  ingannata  ed  oppressa.. 
Come  vide  il  Manzoni  questa  situazione  nella  foga  della  prima  crea- 
zione? Gli  lampeggiò  nella  fantasia  sin  dal  primo  momento,  in  una 
naturai  forma  severa  e  decorosamente  composta,  il  tragico  giuoco 
di  quella  scena,  dove  la  debolezza  della  vergogna,  la  violenza  del- 
l'arbitrio, la  complicità  dell'  ossequio  gareggiano  a  nascondersi  e  a 
ingannarsi  a  vicenda?  La  minuta  rivela  il  tentativo,  lo  sforzo  di 
raggiungere  la  figurazione  perfetta  dell'idea,  ma  si  sente  che  ne 
conturbano  la  serena  chiarezza  e  la  composta  gravità  elementi  di- 
versi, non  ancora  consumati  nell'  elaborazione  fantastica  della  sce- 
na: e  cioè  quel  logicismo  analitico,  che  è  un  abito  spiccatissimo 
della  mentalità  manzoniana,  frenato,  attenuato,  ma  tuttavia  evidente 
anche  nella  forma  profondamente  rinnovata  del  romanzo  ;  quella 
appassionatezza  per  la  materia  rappresentata  che  scopre  il  disac- 
cordo, non  ancor  superato,  tra  l'ispirazione  romantica  e  l'espres- 
sione classica:  quella  tendenza,  razionalistica  e  moralistica  insieme, 
che  aduggia  il  carattere  lirico  del  gran  quadro  con  immagini  di 
studiata  comicità  e  con  riflessioni  ritardatrici  e  fuorvianti;  quel  pro- 
posito, infine,  di  colorire  1'  indole  e  i  costumi  de'  tempi  con  figure, 
aneddoti  e  atteggiamenti  di  storica  ispirazione. 

La  commozione  di  Gertrude  nell'entrare  in  Monza,  nell 'avvicinarsi 
al  monastero,  nell' avviarsi  fino  alla  porta  del  chiostro  interno  dove 
l'aspettava  la  badessa  con  le  suore,  era  piuttosto  scrutata  e  analiz- 
zata che  poeticamente  espressa,  e  la  folla  di  curiosi  si  disponeva 
attorno  alla  vittima,  senza  colore,  senza  vita.  Una  sola  nota  affettuosa: 
«  All'  entrare  nel  borgo,  al  vedere  la  porta  de)  chiostro  Geltrude 
si  sentì  stringere  il  cuore,  ma  gli  occhi  della  famiglia  erano  sopra 
di  lei  »  ;  poi  nulla  che  esprimesse  la  trepidazione  crescente  e  lo 
sforzo  di  contenerla.  «  Guardando  alla  porta,  la  vide  già  piena  di 
curiosi  »:  una  notazione,  messa  là  come  quell'altra:  «  il  cocchio  si 
fermò  »,  a  servizio  della  materiale  enumerazione  de'  fatti,  senza 
commozione  fantastica.  Che  sentiva,  che  faceva  in  quel  momento 
Gertrude?  Ecco  tutto:  <  lo  studio  di  non  far  nulla  di  sconvenevole 
la  occupava  tanto  ch'ella  scese,  e  s'avviò  quasi  senza  altro  pensiero  ». 
Vorrebbero  queste  parole  dipingere  l'apprensione  di  quel  momento, 
ma  non  danno  che  l' impressione  di  un  particolare  informativo  :  ed 
esse  e  le  precedenti,  accennanti  al  luogo  e  ai  curiosi,  non  sono  che 
aridi  elementi  logici  analitici  e  discontinui  :  e'  è  la  costruzione  delle 
idee,  non  l'anima,  non   la  luce  dell'arte  (*).  Vedete  ora  nell'ultima 


(1)  Sp.  prora.,  p.  208. 


318  PARTE   TERZA 


forma  corretta  del  medesimo  passo,  come  quello  stringimento  al  cuore 
perduri  e  cresca  via  via  che  la  poveretta  s'  avvicina  al  punto  de- 
■cisivo  ;  come  quel  fermarsi  della  carrozza,  quelle  mura,  quella  porta 
si  avvivino  di  trista  luce  nel  cuore  dolorante  della  vittima  ;  come 
quella  curiosità  abbia  senso  e  vita  negli  occhi  della  folla  assediante 
e  operi  —  quasi  nuova  tiranna  —  sul  contegno  della  poveretta,  ma 
<ìome  s'aggiunga  un  nuovo  e  più  pesante  motivo  di  suggestione, 
cioè  quello  sguardo  fiero,  grave,  energico  del  padre;  come  infine 
tutte  le  parti  della  scena  si  svolgano  con  lucida  sobrietà  e  trovino 
armonicamente  ciascuna  il  proprio  posto  e  concorrano  con  sapiente 
processo  interativo  alla  significazione  umana,  ail'  unità  estetica  di 
quel  prologo  così  denso  di  terrore  e  d' impostura  ('). 

Gertrude  è  giunta  al  punto  del  colloquio.  Che  diceva  la  minuta? 
«  Geltrude,  come  incantata,  giunse  in  faccia  a  tanto  teatro,  condotta 
ed  animata  dai  parenti  e  si  fermò  nel  bel  mezzo  davanti  alla  madre 
badessa  »  (^).  Incantata  !  e  anche  nella  terribile  perplessità  della  ri- 
sposta avrebbe  guardata  «  come  incantata  la  badessa  e  la  folla  che 
la  circondava  >.  Espressione  di  folle  sbalordimento,  che  segnava 
d'un' impronta  spettrale  quel  volto,  quello  sguardo,  ne  irrigidiva  la 
persona  in  automa;  così  come  queir  essere  «  condotta  ed  animata 
dai  parenti  »  —  se  non  era  una  superfluità  di  dettaglio  —  ribadiva 
la  medesima  impressione.  La  situazione  si  coloriva  d'una  tinta  di 
romanzesco,  cui  aggiungeva  vivezza  il  contrasto  col  carattere  di 
teatralità  che  assumeva  quella  folla  aspettante.  Secco,  conciso,  com- 
posto, senza  coloriture  o  commenti,  il  tratto  nuovo  non  dice  che 
questo  :  «  Giunsero  alla  porta;  Gertrude  si  trovò  a  viso  a  viso  con 
la  madre  badessa  »  (^)  ;  ma  quanto  più  vigoroso  e  significativo  nel 
•drammatico  svolgimento  della  scena  !  Quel  «  si  trovò  viso  a  viso  » 
-condensa  la  tragicità  irrevocabile  del  destino  che  si  compie  e  segna 


(1)  «  All'entrare  in  Monza  Gertrude  si  sentì  stringere  il  cuore;  ma  la  sua  attenzione 
fu  attirata  per  un  istante  da  non  so  quali  signori  che,  fatta  fermare  la  carrozza,  re- 
•citarono  non  so  qual  complimento.  Ripreso  il  cammino,  s'andò  quasi  di  passo  al  mo- 
nastero,  tra  gli  sguardi  de'  curiosi  che  accorrevano  da  tutte  le  parti  sulla  strada.  Al 
fermarsi  della  carrozza,  davanti  a  quelle  mura,  davanti  a  quella  porta,  il  cuore  si 
strinse  ancor  più  a  Gertrude.  Si  smontò  tra  due  ale  di  popolo,  che  i  servitori  facevano 
stare  indietro.  Tutti  quegli  occhi  addosso  alla  poveretta  l'obbligavano  a  studiar  con- 
tinuamente il  suo  contegno:  ma  più  di  tutti  quelli  insieme,  la  tenevano  in  soggezione 
i  due  del  padre,  a'  quali  essa,  quantunque  ne  avesse  così  gran  paura,  non  poteva 
lasciar  di  rivolgere  i  suoi,  ogni  momento.  E  quegli  occhi  governavano  le  sue  mosse 
e  il  suo  volto,  come  per  mezzo  di  redini  invisibili  »  {Prom.  sp.,  cap.  X,  p.  148). 

(2)  Sp.  prom.,  p.  209. 

(3)  Prom.  sp.,  cap.  X,  149. 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  319 

potentemente  la  iniziale  battuta  di  quella  silenziosa  contesa  a  due, 
ammantata  di  simulata  premura. 

La  badessa  rivolgeva  a  Gertrude  il  discorso  «  nel  modo  con  cui 
si  fa  per  formalità  una  domanda,  della  quale  è  certa  la  risposta  ». 
Così  nella  minuta:  c'era  il  pensiero  indistinto  che  cercava  una  sua 
forma  fantastica,  non  l' immagine,  la  riflessione  logica,  non  la  linea 
luminosa  dell'ipocrita  figura.  Il  poeta  l'ha  riguardata  e,  con  impeto 
d'estro  nuovo,  ce  l'ha  scolpita  in  quell'atteggiamento  «  tra  il  giu- 
livo e  il  solenne  ».  Gertrude  comincia  a  dire  la  formula,  inculcatale 
dal  padre:  è  un  momento,  in  cui  la  difficoltà  massima  dell'artista 
è  quella  di  conciliare  con  la  necessaria  rapidità  del  descrivere  la 
complessità  della  situazione,  in  cui  vengono  in  conflitto  nell'animo 
di  Gertrude  lo  sforzo  del  piangere,  la  coscienza  della  gravità  delle 
sue  parole,  l'orgoglio,  l'orrore  del  chiostro,  la  paura  del  padre.  Eb- 
bene, nel  primo  disegno  il  poeta  non  era  riuscito  a  superare  questa 
prova,  facendogli  impaccio  le  abitudini  logiche  del  suo  pensiero,  il 
gusto  del  psicologismo  analitico,  l'impulso,  piuttosto  romantico,  a 
scrutare  (che  non  era  poi  necessario)  tutte  le  interne  fluttuazioni  e 
tumultuose  riflessioni  del  suo  personaggio.  S'abbandonava  ad  un 
fraseggiar  superfluo  nelle  motivazioni  della  istantanea  perplessità, 
a  dire  che  in  quel  momento  «  ella  doveva  manifestare  con  certezza 
un  desiderio  ch'era  tutt' altro  che  certo  nel  suo  cuore  »;  che  «ri- 
fletteva un  istante».  Procedeva  minuto  e  grave  nel  ritrar  hi  nota 
compagna,  anzi  le  note  compagne  :  «  Così  guatando,  ella  vide  distin- 
tamente alcune  delle  sue  compagne,  e  sulla  parte  che  appariva  di 
quelle  faccette  e  piti  agli  occhi  un'espressione  mista  di  malizia  e 
di  compassione,  che  diceva  chiaramente  :  «  Ah,  e'  è  incappata  la 
brava!».  Determinava  gli  effetti  di  quella  vista  con  la  descrizione 
di  sentimenti  troppo  noti,  perchè  non  si  dovesse  lasciarli  indovinare 
alla  fantasia  integratrice  di  chi  legge:  «  Questa  vista  le  risvegliò 
in  cuore  tutta  1'  avversione  al  chiostro,  l'orrore  per  la  violenza  che 
l'era  fatta,  e  con  questi  sentimenti  un  lampo  di  coraggio»  Qui  un' 
altra  riflessioncella,  intrusa  per  quella  solita  afifezion  logica  del  nostro 
autore,  e  uno  spezzamento  sintattico  infiacchivano  la  rappresenta- 
zione nel  punto  catastrofico  della  scena  :  «  E  già  ella  stava  cercando 
una  risposta  diversa  da  quella  che  si  aspettava  da  lei,  cosa  troppo 
difficile  a  trovarsi  in  quella  circostanza.  Alzò  un  momento  gli  occhi 
verso  il  padre  che  le  stava  al  fianco  per  indovinare  che  effetto  a- 
vrebbe  prodotto  la  sua  resistenza  e  come  per  sperimentare  le  pro- 
prie forze,  ma  vide  negli  sguardi  del  Marchese  una  espressione  sì 


320  PARTE   TERZA 


minacciosa  che  tutto  il  suo  coraggio  svanì  »  (^),  Continuava  il  Man- 
zoni l'analisi  psicologica  con  un  lungo  tratto,  di  cui  non  rimase 
neppur  l'ombra  nel  romanzo  e  in  luogo  del  quale  vedremo,  invece, 
una  pennellata  nuova,  di  ben  altro  valore  :  «  Pensò  che  la  resistenza, 
che  il  ritardo,  l' avrebbero  resa  innanzi  a  tanti  occhi  un  oggetto  di 
scandalo,  di  stupore  e  di  derisione;  pensò  al  padre,  al  fratello,  al  mon- 
do, al  paggio  ;  si  consolò,  riflettendo  che  dopo  quella  formalità  le  ri- 
rimaneva ancora  una  porta  aperta  per  tornare  indietro,  che  poteva 
guadagnar  tempo,  e  che  avrebbe  saputo  approfittarne,  e  il  partito, 
il  più  facile,  il  piti  sicuro,  il  meno  terribile  le  parve  di  dire,  come 
fece  :  «  Son  qui  a  domandare  d'essere  ammessa  a  vestir  l'abito  »  (^). 

È  verosimile  codesto  dibattito  dell'animo  di  Gertrude?  codesto  in- 
terno discutere  il  prò  e  il  contro  della  propria  situazione,  codesta 
consolante  conclusione  cui  arriva?  Non  c'è  da  meravigliarsi  di  que- 
sto —  diremo  con  lo  stesso  Manzoni  —  guazzabuglio  del  cuore  u- 
mano  ;  e  s' intende  che  nella  prima  concezione  o  stesura  dell'  epi- 
sodio di  Monza,  avendo  affisato  sul  carattere  di  Gertrude  piti  lo 
sguardo  scrutatore  del  psicologo,  che  non  quello  intuitivo,  luminoso 
e  sereno  del  poeta,  fosse  portato  all'  analisi  realistica,  sottile  e  ab- 
bondevole de'  fatti  interni  anziché  valesse  a  comprendere  e  fissare 
con  potenza  sintetica  e  immediatezza  e  concretezza  efficace  un  a- 
spetto  eterno  dell'animo  umano,  una  di  quelle  verità  profonde  che 
solo  l'energia  idealizzatrice  dell'arte,  inalzata  al  grado  di  contem- 
plazione, può  trarre  a  forma  immortale  di  su  la  molteplice  realtà 
della  vita. 

Ma  l'autore,  allettato  dal  psicologismo,  sciupò  una  situazione  poetica 
che  gli  offriva  da  sé  stessa  la  risoluzione  semplice  e  profonda  in 
quello  che  è  l' incessante  motivo  irresistibile  nelle  rovinose  vicende 
giovanili  del  suo  personaggio,  la  paura  del  padre.  Eppure  quel  mo- 
tivo r  aveva  scorto,  ne  aveva  sentito  la  portata  agli  effetti  del  dramma, 
se  scrisse  che  gli  sguardi  minacciosi  del  Marchese  fecero  svanire 
«  tutto  il  coraggio  »  rinato  nell'animo  della  poveretta;  se  non  che, 
lungi  dal  dare  ad  esso  pienezza  di  svolgimento  psicologico  e  dram- 
matico, l'aveva  ravvolto  nel  turbine  d'altre  affezioni  e  —  quel  che 
è  peggio  —  ne  aveva  fatto  un  fascio  col  timore  del  fratello,  col- 
l'apprensione  del  mondo,  con  la  vergogna  del  paggio. 

Ora  si  veda  l'intero  passo  nell'ultima  redazione:  «  Son  qui...,  » 
cominciò  Gertrude  ;  ma,  al  punto  di  proferir  le  parole  che  dovevano 


(1)  Sp.  prom.,  pp.  209-10. 

(2)  Prom.  sp.,  loc.  cit. 


IL   ROMANZO    IN   FORMAZIONE  321 


decidere  quasi  irrevocabilmente  del  suo  destino,  esitò  un  momento 
e  rimase  con  gli  occhi  fissi  sulla  folla  che  le  stava  davanti.  Vide, 
in  quel  momento,  una  di  quelle  sue  note  compagne,  che  la  guardava 
con  un'aria  di  compassione  e  di  malizia  insieme,  e  pareva  che  di- 
cesse: Ah!  la  c'è  cascata  la  brava.  Quella  vista,  risvegliando  più 
vivi  nell'animo  suo  tutti  gli  antichi  sentimenti,  le  restituì  anche  un 
po'  di  quel  poco  antico  coraggio  :  e  già  stava  cercando  una  ri- 
sposta qualunque,  diversa  da  quella  che  le  era  stata  dettata  ;  quan- 
do, alzato  lo  sguardo  alla  faccia  del  padre,  quasi  per  esperimentar 
le  sue  forze,  scorse  su  quella  un'inquietudine  così  cupa,  un'impa- 
zienza così  minaccevole,  che,  risoluta  per  paura,  con  la  stessa  pron- 
tezza che  avrebbe  preso  la  fuga  dinanzi  un  oggetto  terribile, 
proseguì:  «  sou  qui  a  chiedere  d'esser  ammessa  a  vestir  1'  abito 
religioso,  in  questo  monastero,  dove  sono  stata  allevata  così  amo- 
revolmente ».  Il  Manzoni  —  rimeditando  la  scena  —  ne  intuì  la 
verità  semplice  e  grande,  da  prima  confusamente  intraveduta  :  vide 
la  disarmata  volontà  di  Gertrude,  tutta  dominata  dalla  potenza  sug- 
gestiva e  minacciosa  di  quello  sguardo,  di  quel  volto  ;  vide  che  in 
quello  stato  non  poteva  ella  seguire  una  risoluzione  che  non  fosse 
fomentata  unicamente  dalla  paura  del  suo  giudice  e  condannatore. 

Ed  ecco  la  narrazione  mutarsi  nel  disegno,  nella  forma,  animarsi 
di  una  nuova  spiritualità:  ecco  grandeggiar  la  figura  del  principe  di 
fronte  alla  povera  anima  esitante  :  ecco  tutto  il  groviglio  psicologico 
del  primo  getto  diradarsi,  sciogliersi  nella  semplice  e  intera  figura- 
zione del  terrore  di  quella  faccia  cupa,  inquieta,  minacciosa.  La  psi- 
cologia —  per  chi  voglia  cercarla  —  e'  è,  ma  si  ravvolge  alle  radici 
del  dramma;  il  dramma  s'aderge  agile,  semplice,  conciso  nel  suo 
svolgimento  perspicuo,  nel  suo  significato  universalmente  umano: 
è  il  dramma  dei  deboli  a  cui  non  splende  il  conforto  della  luce 
morale  e  tocca  l' ineluttabile  destino  dell '.oppressione  e  della  scon- 
fitta. Che  il  Manzoni  mirasse  a  dare  vivo  spicco  al  trionfo  di  quel- 
l'egoismo paterno,  armato  d'arbitrio  e  di  terrore,  è  manifesto  anche 
dal  modo  come  ha  elaborato  l' intero  passo,  sfrondandolo  d'elementi 
concettosi,  scegliendo  con  nuovo  rilievo  le  immagini,  serrando  la 
sintassi.  (Quella  vista  le  restituì...  e  già  stava  cercando  una  risposta... 
quando...  scorse...)  nel  momento  saliente,  così  da;  riprodurre  con 
l'icastica  rapidità  del  racconto  la  breve  vicenda  de'  sentimenti  so- 
praffatti dall'impetuosa  paura. 

Lo  spirito  fine  e  gagliardo,  la  decorosa  gravità,  onde  s'è  ricom- 
posto r  episodio  nella  parte  fin  qui  esaminata,  hanno  rinnovato  il 
resto  in  modo  anche  più  sostanziale.  Già  la  figura  di  Gertrude,  ri- 

Busetto  —  21 


322  PARTE    TERZA 


dotta  l'analisi  de'  sentimenti  all'essenziale,  dato  rilievo  più  risentito 
e  sicuro  alla  contrapposta  figura  del  padre,  dal  cui  sguardo  dipen- 
deva ogni  moto,  ogni  atto  di  lei,  risulta  in  linee  più  semplici  e  vi- 
gorose, in  un  atteggiamento  di  più  profondo  e  raccolto  dolore,  che 
ne  rivela  tutta  la  fragile  umanità  di  creatura  debole  ed  oppressa. 
C'era  un  non  so  che  di  sforzato,  d'inquieto,  di  complicato  nel  pri- 
mitivo disegno  di  questa  poveretta,  costretta  a  chiedere  in  un  con- 
sesso ostentatamente  solenne  e  festoso  il  suo  sacrifizio;  ora,  nell'ul- 
tima forma,  la  figurazione  estetica  del  suo  contegno,  la  risoluzione 
drammatica  della  sua  disfatta  sono  più  conformi  alla  gravità  della 
situazione  psicologica,  che  per  ciò  stesso  s' illumina  d'una  più  nobile 
luce  di  poesia. 

Dopo  le  fatali  parole  pronunciate  sotto  la  pressione  della  paura 
Gertrude  si  perde  nella  folla  festeggiante  ;  poi  non  la  vediamo  se  non 
di  sfuggita,  o  invitata]  a  sceglier  per  prima  de'  dolci  da  una  gran 
guantiera  colma  o  presa  dalle  monache  che  fanno  a  rubarsela,  men- 
tre la  scena  si  svolge  frettolosamente  jverso  la  fine,  con  la  risposta 
garbatamente  diplomatica  che  dà  subito  la  badessa,  con  l'alzarsi, 
dopo  le  parole  di  lei,  d'un  frastuono  confuso  di  congratulazioni  e 
d'acclamazioni,  col  complimentar  che  fan  le  monache,  talune  la 
madre,  altre  il  principino,  col  breve  colloquio  —  capolavoro  d' ipo- 
crisia e  di  furbizia  —  al  parlatorio  tra  la  badessa  e  il  padre,  con 
gl'inchini,  gli  ultimi  complimenti,  la  partenza:  e  tutto  ciò  è  se- 
gnato con  nitidezza  di  sguardo,  con  sveltezza  di  tocchi.  La  minuta 
aveva  tutt'  altro  andamento  e  tono  :  garrula,  scherzosa,  con  intromessi 
commenti  e  richiami  ingombranti,  rivelava  un  non  so  qual  buon 
umore  dell'  artista  (*),  come  se  gli  piacesse  mischiarsi  col  suo  sor- 
riso ironico  a  quella  folla  dalle  facce  impiastricciate  di  dolciastra 
impostura,,  e  presentava  di  frequente  Gertrude  sballottata  come  una 


(1)  Nel  dire  che  alcune  educande  «  s'eran  trovate  un  cantuccio  per  vedere  an- 
ch'esse qualche  cosa  »,  osservava  ridendo:  «  il  che  era  in  verità  troppo  giusto  »  (p.  209). 
Ci  presentava  la  badessa  «  tutta  sorridente»  nel  porgere  a  memoria  la  risposta  «  che 
le  era  stata  data  in  iscritto  da  un  beli'  ingegno  di  Monza,  uomo  dotto,  che  aveva  letto 
i  celebri  romanzi  del  Pasta»  (p.  210).  Le  suora  per  l'acclamato  discorso  della  supe- 
riora «  sorrisero  di  compiacenza  »  —  raccontava  l'autore  con  mal  celata  canzonatura  — 
e  aggiungeva  con  serietà  ironica:  «  e  non  a  torto,  perchè  la  gloria  del  capo  si  diffonde 
sugli  inferiori  »  (p.  211).  Comici  quella  Marchesa,  quel  Marchesino  e  quelle  suore  che 
in  crocchio  «s'abbandonavano  alle  varie  riflessioni  che  può  far  nascere  un  bacile  di 
dolci»  (p.  213);  il  che,  insieme  con  la  secentesca  discorsa  della  badessa,  serviva,  nel- 
l'intenzione dell'autore,  alla  coloritura  satirica  del  concettismo  letterario  del  secolo. 
Di  tono  grossolanamente  scherzoso  era  quell'inizio  nella  descrizione  de' sentimenti  di 
Gertrude:  «  V'ha  due  modi  di  scendere  il  pendìo  della  sventura:  l'uno  è  di  capitom- 
bolare ad  un  tratto  nel  precipizio,  l'altro  d'andarvi  come  saltelloni  a  più  riprese;  in 
questo  secondo  caso,  ogni  fermata  è  una  specie  di  riposo...  »  (p.  211). 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  323 

pupattola  e  assediata  di  chiacchiere  e  di  complimenti  (').  Era  un 
tramestìo  di  piccole  cose  frivole,  che  voleva  riprodurre  lo  spirito  e 
il  costume  della  società  claustrale  di  quei  tempi  {^),  ma  che  non 
aveva  nemmeno  la  chiara  vivacità  d'  una  commedia  goldoniana  e 
in  cui,  per  contro,  andava  dissipato  lo  spirito  tragico  di  tutta  la 
scena,  troppo  alto  e  universale  per  esser  costretto  entro  la  cornice 
d'un  quadretto  secentistico.  Come  finiva?  Ecco:  «  Geltrude  colle 
tenere  espressioni  della  badessa,  con  le  istanze  delle  suore  di  venir 
presto,  fu  rimessa  in  cocchio  più  stordita,  più  incerta,  più  sopra  pen- 
siero di  quello  che  fosse  partita  la  mattina,  ma  con  un  anello  di 
più  alla  catena;  e  che  anello!  »  (^). 

È  fermata  con  chiarezza  di  sguardo  e  coerenza  rappresentativa 
la  situazione  vera  di  Gertrude?  No:  codesta  confusione  dell'animo, 
espressa  con  modi  di  stile  troppo  pesi  e  aggrovigliati,  discordava 
dai  sentimenti  provati  poco  prima,  da  quel  «  certo  sollievo  d'essere 
uscita  di  quella  stretta,  comunque  ne  fosse  uscita  >,  dal  proposito 
«  di  volere,  prima  di  fare  un  altro  passo,  meditar  ben  bene  se  le  con- 
veniva o  no  di  progredire  e  di  non  lasciarsi  cogliere  così  alla  sprov- 
veduta »  {*). 

Era  pur  questo  un  modo  strano  —  se  non  addirittura  falso  —  di 
rappresentare  la  sacrificata  giovinetta  in  tale  stato  d'idee  e  di  sen- 


(1)  Sp.  prom.,  p.  213. 

(2)  V.  la  tiritera,  con  1'  intrusione,  perfino,  d'  un  elemento  autobiografico,  sui  dolci 
offerti,  la  cui  fabbricazione  —  secondo  gli  ordini  ecclesiastici  —  era  proibita  (pp.  212-3). 
Diamo  solo  un  saggio  del  discorso,  secentisticamente  artificioso,  della  badessa:  «Se 
il  rispetto  non  ponesse  un  freno  agli  afi'etti,  io  accuserei  in  questa  circostatiza  di 
troppo  rigore  quelle  regole  sapientissime  che  ci  proibiscono  di  dare  alcuna  risposta 
a  domande  di  questa  natura,  prima  di  averne  ottenuta  licenza.  Bensì,  senza  riguardi, 
accuseremo  il  tempo  che  coi  suoi  lenti  passi  ci  ritarda  di  dare  questa  risposta  desi- 
derosa non  meno  che  desiderata  ecc.  ecc.  »  (pp.  210-11).  La  risposta  della  Superiora, 
ne'  Promessi  sposi,  ridotta  in  forma  indiretta,  non  serve  più  al  fine  d'offrire  un  esem- 
pio ridicolo  di  letteratura  concettosa  e  ampollosa  e  una  macchietta,  più  buffa  che  gu- 
stosa, della  vita  del  secolo,  ma  nella  sua  garbata  e  insinuante  compostezza,  colpisce 
un  carattere,  fissa  un  tipo:  nelle  sobrie,  ma  studiate  parole,  ne'  brevi  atti,  in  cui  il 
poeta  ci  ripresenta  la  badessa  spogliata  d'ogni  trivialità  ridanciana,  risalta  il  tratto 
vivo  di  un'astuzia  guardinga  nell'apparenza,  ma  ossequiente  nel  fatto,  che  ne  fa  una 
figura  meno  storica  che  non  fosse  nel  primo  getto,  ma  più  ricca  di  trista  umanità  e 
di  verità  poetica. 

(3)  Sp.  prom.,  p.  213. 

(4)  Sp.  prom.,  pp.  211-2.  Questa  breve  analisi  dell'animo  di  Gertrude  non  è  andata 
interamente  perduta  ;  ma  più  opportunamente  il  poeta  l' ha  trasferita  nella  narrazione  — 
anch'essa  più  spedita  e  sciolta  da  taluni  mediocri  particolari  comici  della  minuta 
(Sp.  proni.,  pp.  215-6)  —  del  ritorno  alla  casa,  riducendola  a  linee  più  raccolte  e  più 
temperate,  ma  con  più  penetrante  investigazione  del  singolare  stato  di  Gertrude  che, 
«  spaventata  del  passo  »  fatto,  «  vergognosa  della  sua  dappocaggine,  indispettita  contro 
gli  altri  e  contro  se  stessa,  faceva  tristamente  il  conto  dell'occasioni,  che  le  rimane- 
vano ancora  di  dir  di  no;  e  prometteva  debolmente  e  confusamente  a  se  stessa  che. 


324  PARTE   TERZA 


timentì  che  non  pare  fosse  d' abbattimento,  ma,  una  volta  posta 
sotto  eodesta  luce,  era  superfluo,  anzi  contraddittorio  rappresentarla 
poi  diversamente.  Gli  è  che  il  Manzoni  non  aveva  ancora  maturata 
con  sicuro  vigore  di  visione  e  d'  espressione  la  forma  fantastica  del 
suo  personaggio  nella  situazione  descritta,  perchè  l'idea  di  esso, 
ancora  avvolta  di  elementi  astratti,  quali  sono  il  psicologismo  mi- 
nuto e  le  riflessioni  a  mo'  di  commento,  non  erasi  sostanziata  in 
un  chiaro  e  puro  sentimento  d' ispirazione  o  motivo  sentimentale, 
che  si  trasfigurasse  nel  concreto  ordito  della  situazione  e  nella  con- 
creta fisionomia  del  personaggio  in  azione. 

Ogni  creatura  dell'  arte  non  è  che  la  forma  fantastica  che  assume 
uno  stato,  un  motivo  interiore  del  poeta:  ricercare  la  genesi  artistica 
di  un  carattere,  d' un'  azione,  d'  una  scena,  d' un  episodio  vuol  dire 
risolverla  ne'  motivi  sentimentali  in  cui  si  sono  come  trasfusi 
stati  intimi,  etici,  intellettuali,  aff'ettivi,  e  via  dicendo,  dell'autore 
stesso.  Il  Manzoni  come  rivide,  rielaborando  la  scena  che  veniamo 
esaminando,  la  situazione  generale  e  gli  atteggiamenti  particolari 
di  Gertrude  con  un'attitudine  più  triste  e  pietosa  verso  la  vittima 
dell'altrui  nequizia,  con  un  concetto  più  limpido  e  fermo  della  pau- 
rosa suggestione  del  padre,  risentì  del  suo  personaggio  un'ispira- 
zione sentimentale  conforme  alla  nuova  concezione  e  ne  trasse  mo- 
tivo a  rinnovarne  fantasticamente  le  fattezze  e  l'azione. 

Così  si  spiega  perchè  di  Gertrude,  dopo  la  richiesta,  che  suggella 
il  suo  destino,  non  dica  quasi  più  nulla,  e  del  móndo  circostante 
tracci,  a  grandi  linee,  con  tono  sobrio  e  severo,  figure  e  azioni,  at- 
tenuando negli  svelti  contorni  d'una  composta,  ossequiente  ipocrisia 
quella  madre  badessa  del  primitivo  disegno,  così  goffamente  comica 
nell'ampollosa  parlata,  così  grossolanamente  garrula  e  faccendona, 
respingendo  nello  sfondo  del  quadro  quel  brulichio  di  suore  rumo- 
rose e  chiacchierone  che  appesantiva  la  scena,  purgando  questa  di 
ogni  elemento  pedestre  o  giocoso,  tagliando  via  tutto  il  frascame 
di  frasi  superflue  che  adugglava  il  poetico  significato  di  quel  con- 
vegno fatale.  Per  tal  modo  Gertrude  resta,  per  dir  così,  fermata 
immutabilmente  nella  nostra  umanità  in  quel  suo  atteggiamento 
d'angoscia  e  di  paura,  dissimulate  nell'  espresse  parole  ;  e  la  scena, 
ond'ella  risalta,  per  essere  stato  ricomposta  in  linee  e  luci  più  mi- 


in  questa  o  in  quella,  o  in  quell'altra,  sarebbe  più  destra  e  più  forte»;  turbata  an- 
cora, però,  dal  «  terrore  di  quel  cipiglio  del  padre  »;  «per  un  istante,  tutta  contenta», 
come  di  una  bella  cosa,  quando  non  scorse  «  sul  volto  di  lui  più  alcun  vestigio  di 
collera  »  (Prom.  Sp.,  cap.  X,  pp.  150-1). 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  325 


fiurate  e  decorose  armonizza  efficacemente  con  la  situazione  psico- 
logica del  personaggio. 

Dobbiamo  soffermarci  un  momento  su  una  modificazione  d'intrec- 
cio —  l'unica  in  tutto  l'episodio  di  Monza  —  che  consiste  nell'avere 
il  Manzoni  trasportato  l'esame  del  vicario  immediatamente  dopo  la 
richiesta  fatta  al  monastero  e  dopo  la  scelta  della  madrina^  mentre 
nella  minuta  esso  seguiva  al  giro  d' addio  dato  ai  beni  mondani. 
Parve  logico  connettere  quell'esame  con  la  richiesta  senza  intermis- 
sione di  tempo  e  come  una  conseguenza  immediata  di  quella  (*), 
e  parve  altresì  cosa  opportuna  nell'ordine  psicologico  e  drammatico 
del  racconto.  Infatti  quella  postrema  rassegna  delle  belle  cose  del  mon- 
do, fatta  che  fosse  prima  dell'esame,  potrebbe  significare  come  una 
prova  del  fuoco  per  sperimentar  la  vocazione,  la  sicurezza  dell'  a- 
nima,  per  chiarirsi  il  proprio  vero  stato  di  coscienza.  Ed  era  lecito 
presumere  anche  questo  dalla  prima  stesura,  tanto  era  essa  incerta 
e  imprecisa  —  a  differenza  della  nuova  redazione  —  circa  il  tempo 
regolare  dell'  esame  (^)  e  la  ragione  vera  di  quel  giro  in  mezzo  al 
mondo  (^)  da  farsi  prima  del  noviziato.  Ma  siccome,  nel  fatto,  l'in- 
terrogatorio sulla  vocazione  era  collegato  col  capitolo  da  tenersi,  al 
quale  l'esaminatore  doveva  rilasciar  «  l'attestazione  necessaria»  {*) 
e  quel  po'  di  vita  tra  spettacoli  e  divertimenti  doveva  servire  per 
le  giovani  monacande  a  veder  «  bene  a  cosa  davano  un  calcio  » 
ed  era,  se  mai,  l'ultimo  esperimento  di  una  vocazione,  già  manife- 
sta, «  prima  di  proferire  un  voto  irrevocabile  »  (^),  1'  una  cosa  non 
aveva  relazione  con  l'altra  ;  il  che  nella  minuta  non  era  chiaro,  anzi 
per  la  precedenza  data  all'esame  poteva  far  pensare  che  una  rela- 
zione ci  fosse.  Così  anche  questo  mutamento  d'intreccio  rafibrza  la 
logica  degli  avvenimenti,  rende  perspicua  la  ragion  loro,  contribui- 
sce altresì  alla  coerenza  psicologica  e  all'  evidenza  fantastica  della 
situazione  e  de'  sentimenti.  Per  quest'ultimo  rispetto,  infatti,  quegli 
spettacoli  e  divertimenti  e  quell'impressioni  dolorose  di  Gertrude  a 
tocchi  vigorosi  descritte,  hanno  un  risalto  nuovo  nella  piena  inte- 
grità del  dramma,  per  esser  collocati  cosi  nell'  estremo  della  dolo- 
rosa storia,  poco  prima  della  vestizione  dell'abito,  e  la  figura  stessa 


(1)  Dice  infatti  il  principe  di  ritorno  dal  monastero:  «domani  vei'rà  il  vicario 
delle  monache,  per  la  formalità  dell'esame,  e  subito  dopo,  Gertrude  verrà  proposta 
in  capitolo  »  p.  151). 

(2)  Cfr.  n.  preced.  e  Sp.  proni.,  p.  219. 

(3)  Sp.  proni.,  p.  216. 

(4)  Proin.  sp.,  cap.  X,  p.  155. 

(5)  Ibid.,  p.  151. 


326  PARTE   TERZA 


della  povera  sposina,  colta  dalla  nostra  fantasia  in  quel  triste  trapassa 
dalla  pompa,  dallo  splendore,  dal  brulichio  clamoroso  e  gioconda 
del  bel  mondo  all'ombra  fredda  e  morta  del  chiostro,  spira  una  tal 
quale  mestizia  inquieta  e  stanca  che  la  rende  più  altamente  poetica. 

Nel  colloquio  stesso  di  Gertrude  col  vicario  e  ne'  discorsi  in  cui 
poco  prima  la  trattiene  il  padre  si  osservano  variazioni  notevoli  tra 
la  minuta  e  il  romanzo  rispetto  alla  dipintura  del  carattere  di  lei  ; 
alle  quali,  quantunque  non  si  tratti  di  sostanziali  differenze,  con- 
viene porre  un  po'  di  attenzione,  perché  il  Manzoni  nel  rivedere  le 
situazioni  e  le  scene  più  rilevanti  del  lungo  episodio  non  ha  trala- 
sciato occasione  per  elevare  la  figura  morale  della  sua  dolorosa 
eroina  con  uno  spirito  di  pietà  più  profonda  e  pensosa,  con  un  vi- 
gore d'analisi  più  raccolto  ed  intenso.  Costante  processo  di  quella 
idealizzazione  della  realtà,  attraverso  cui  ha  trasformato  l' opera 
uscita  dal  primo  getto,  imprimendole  il  suggello  della  verità  eterna, 
che  è  il  segno  della  grando  poesia.  Fra  le  molte  parole  d'ammoni- 
mento e  d' incitamento  del  padre,  e'  era  nella  minuta  qualche  ac- 
cento di  solenne  orgoglio  e  di  misteriosa  minaccia  (*),  che  non 
poteva  non  sconvolger  l'animo  della  misera  ascoltatrice  ;  della  quale 
il  Manzoni  indugiava  a  descriver  l'apprensione,  l'angoscia:  «  la 
gragnuola  assidua  e  crescente  di  quelle  parole  minacciose,  perco- 
tendola  la  abbattè  affatto  e  la  fé'  sciogliere  in  uno  scoppio  di  pian- 
to »  ;  dopo  molte  altre  parole,  dette  in  fretta  per  confortarla,  per 
rasserenarla,  ma  troppo  vane  e  grossolane  per  toglierla  da  quella 
«  agitazione  »,  ella,  rimasta  sola,  «  pianse  amaramente,  si  sdegnò, 
volle  meditare  su  quello  che  aveva  a  dire  ;  ma  questa  meditazione 
era  così  piena  di  dolori,  d'incertezze  e  d'angustie,  che  la  poveretta 
prescelse  di  divertirne  a  forza  il  pensiero,  di  rivolgerlo  a  qualche 
cosa  di  estraneo,  e  di  aspettare  il  consiglio  dalla  cosa  stessa  e  dal 
momento  »  (^). 

Si  preoccupava  poi,  la  disgraziata,  di  presentarsi  all'esaminatore 
«  in  un  aspetto  che  annunziasse  una  qualche  perturbazione  e  risol- 


(1)  Sono  tratti  che  non  si  leggono  più  nel  romanzo:  «Oggi  voi  dovete  fare  un 
gran  passo:  pensate  che  da  esso  dipende  l'onore  di  vostro  padre,  della  famiglia,  il 
vostro,  e  il  vostro  destino  di  tutta  la  vita  »  —  «  Io  mi  sono  impegnato,  in  faccia  al 
mondo,  e  mi  sono  impegnato  perchè  voi  mi  avete  dato  motivo  di  credere,  di  esser 
certo  che  poteva  impegnarmi  senza  rischio  di  avere  una  smentita»  —  «Astretto  di 
appigliarmi  al  secondo  [partito,  di  svelare  i  veri  motivi  della  richiesta  che  voi  avete 
fatta,  e  del  vostro  pentimento],  dovrei  anche  poi  trattarvi  come  una  figlia  colpevole, 
che  avrebbe  corrisposto  al  primo  perdono  con  un'altra  gravissima  colpa  »  (Sp.  proni., 
p.  220). 

(2)  Sp.  prom.,  p.  221. 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  327 


vette  di  avere  un  aspetto  tranquillo  e  decente;  e  lo  ebbe,  —  aggiun- 
geva pedestramente  l'autore  —  in  brevissimo  tempo  ».  Se  non  che 
all'annunzio  «  Il  Signor...!  »,  Gertrude  tornava  ad  apparir  «  ver- 
gognosa e  agitata»,  tanto  che  il  «  buon  uomo  »,  che  si  spiegava 
quelle  perturbazioni  in  modo  favorevole  alle  sue  presunzioni,  le  co- 
minciava a  dire  con  fare  scherzevole:  «  Signorina,  vedo  che  le  fo 
paura  » ,  ed  ella  alla  fine  si  sentiva  «  rincorata  dalle  parole  e  dal 
tono  »  del  suo  interlocutore.  Dai  rifacimenti  la  figura  di  Gertrude 
uscì  lineata  con  piìi  disciplina  d'arte  e  impressa  di  una  tristezza 
più  decorosa  e  raccolta  :  non  ne  vediamo  l' interna  angoscia  dai  segni 
esteriori,  se  non  quando,  alle  gravi  parole  del  padre:  «  o  svelare  il 
vero  motivo  della  vostra  risoluzione  »,  dice  il  poeta  che  «  era  di- 
ventata scarlatta  »  che  «  le  si  gonfiavan  gli  occhi  e  il  viso  si  con- 
traeva, come  le  foglie  di  un  fiore  nell'afa  che  precede  la  burrasca  »; 
non  le  scorgiamo  nel  volto  altri  moti  alle  parole  più  serene  del 
padre;  non  lacrime,  non  sussulti  di  sdegno,  non  agitazione  e  ver- 
gogna neir  aspetto  all'annunzio  del  vicario.  Il  poeta,  per  queir  in- 
tima energia  illuminatrice  e  disciplinatrice,  ritrovata  nella  calma 
della  contemplazione,  che  gli  valse  a  ricreare  e  a  rifoggiare  materia 
e  forma  del  primo  getto  trasfigurando  in  classiche  rappresentazioni 
anche  le  più  genuine  ispirazioni  romantiche  dell'opera  sua,  ha,  dirò 
così,  ritratta  la  sua  visione  poetica  dai  sensi  all'anima,  dalle  este- 
riorità patetiche  all'intimità  dolente  e  silenziosa;  ha  sostituito  al- 
l' ostentata  analisi  particolareggiata  delle  commozioni  varie  il  tratto 
sobrio,  fugace,  ma  bastevole  a  illuminare  l'immenso  affanno  di  un 
cuore,  il  sapiente  uso  del  chiaroscuro  e  di  quelle  che  direi  riverbe- 
razioni poetiche,  che,  riflettendosi  dalla  situazione  stessa,  dagli  at- 
teggiamenti e  dalle  parole  di  un  personaggio,  profilano  di  una  luce 
ferma  e  chiara  la  figura  dell'  altro.  Magistero  d'  arte  classica,  che 
rispecchia  non  le  parvenze  della  natura,  ma  lo  spirito,  non  la  serie 
caduca  delle  sensazioni,  me  l'unità  integrale  della  coscienza,  non 
gli  aspetti  ed  episodi  della  realtà  mutevole  e  discontinua,  ma  l'eterna 
umanità  palpitante  col  suo  ritmo  immutabile  non  meno  nel  mondo 
delle  cose  che  in  quello  degli  uomini. 

Vedete  che  differenza  di  visione  poetica  dall'abbozzo  al  romanzo. 
Diceva  il  primo  :  «  Un  bel  mattino  il  Marchese  annunziò  a  Ger- 
trude che  in  quel  giorno  il  Signor*,  ecclesiastico  mandato  dal 
vicario  delle  monache,  verrebbe  ad  esaminare  la  sua  vocazione  ». 
E  poi  :  «  Stimò  che  fosse  necessario  aggiungere  all'annunzio  qualche 
avvertimento,  che  lasciasse  un'impressione   nell'animo  della  figlia, 


328  PARTE   TERZA 


e  le  servisse  di  compagnia  e  di  guardia  nell'assenza  forzata  d'ogni 
altro  custode  ».  Quindi  cominciava  il  lungo  sermone  del  padre. 

Voleva  essere  il  preludio  della  grande  scena  dell'esame,  e  non 
aveva  che  le  battute  fiacche  d'una  musica  stonata  e  pedestre.  Che 
sentì  Gertrude  all'annunzio  di  quella  visita?  come  allora  vi  dispose 
l'animo?  Che  Gertrude  avesse  la  consapevolezza  di  quel  momento, 
che,  anzi,  nelle  inquiete  giornate  quando  la  conducevano  tra  le  feste 
e  gli  spettacoli  vi  riponesse  la  speranza  di  tentare  la  sua  salvezza, 
il  Manzoni  ce  l'aveva  fatto  sapere;  ma  l'averne  toccato  lì,  come 
di  un  sentimento  riflesso,  non  aveva  altro  fine  che  di  prolungare 
l'analisi  dell'animo  di  lei,  amareggiato  di  dover  lasciare  le  delizie 
del  mondo.. L' ultima  redazione  del  romanzo,  nella  quale,  come  di- 
cevo, sì  fa  seguire  la  scena  dell'esame  nel  giorno  dopo  la  visita  al 
monastero,  ti  prospetta  questo  stato  interno  di  Gertrude  il  giorno 
stesso  dell'interrogatorio  decisivo.  È  al  tutto  cambiata  la  mossa: 
ciò  che  era  analisi  diventa  dramma,  e  —  tratto  pur  nuovo  ed  ori- 
ginale —  la  chiamata  del  principe  cade  in  mezzo  ai  suoi  pensieri, 
quando  forse  non  se  l'aspettava  proprio  nell'ansia  della  breve  vi- 
gilia. Ecco  il  passo:  «  Il  giorno  dopo,  Gertrude  si  svegliò  col  pen- 
siero dell'esaminatore;  e  mentre  stava  ruminando  se  potesse  cogliere 
quell'occasione  così  decisiva,  per  tornare  indietro  e  in  qual  maniera, 
il  principe  la  fece  chiamare  >  (^).  A  noi  basta  questo  modo  alta- 
mente drammatico  (e  le  nuove  movenze  sintattiche  vi  aggiungono 
vigore  attrattivo)  d' introdurre  la  scena  di  quella  dolorosa  e  fatale 
giornata,  per  figurarci  l'animo  di  Gertrude,  che,  mentre  si  raccoglie 
a  preparare  l'estremo  tentativo,  improvvisamente  è  turbato  dalla 
chiamata  del  padre  e  chiuso  nel  ferreo  cerchio  de'  moniti,  delle 
minacce,  delle  lusinghe,  finché  ecco  si  annunzia  il  vicario,  e  Ger- 
trude resta  sola  con  lui.'  È  bastato  rinnovar  le  circostanze  conden- 
sandole di  suggestiva  terribilità,  prospettandole  vigorosamente  in 
una  percezione  immediata,  che  non  lascia  tempo  all'animo  di  uscire 
dalla  loro  rapida  vicenda,  è  bastato  rendere  più  evidente  il  contrasto 
tra  la  sinistra  eloquenza,  avvolgente,  opprimente,  del  principe  e  il 
mesto  silenzio  della  figlia,  rigida  nel  suo  dissimulato  dolore  dinanzi 
a  lui,  per  far  balzare  ai  nostri  occhi  la  figura  della  poveretta,  senza 
indugi  analitici,  senza  colorimentì  patetici,  nella  plastica  pienezza 
della  sua  umanità  dolorante,  negl'icastici  lineamenti  dell'ansia  mor- 
tale che  non  si  rivela,  ma  s' intuisce.  È  proprio  così  :  nell'  animo 
di  Gertrude  s'intuisce  più  che  non  si  legga,  s'indovina  molto  più  che 

(1)  Sp.  proni.,  p.  220;  Proni,  sp.,  cap    X,  p.  152. 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  329 


il  poeta  non  dica:  non  sempre  non  ci  guida  la  parola  di  lui,  ma 
penetriamo  in  quella  tormentata  coscienza  più  a  fondo  che  non  ci 
giovasse  la  particolareggiata  descrizione  della  prima  stesura. 

Quando  «l'uomo  dabbene»,  dopo  aver  chiarito  lo  scopo  di  quel 
colloquio,  soggiunge:  «  Si  contenti  che  io  le  faccia  qualche  interro- 
gazione», Gertrude  non  risponde  altro  che:  «Dica  pure».  Semplici 
e  sincere  parole^  che  possono  sembrare  una  magra  frase  di  con- 
venienza, e  sono  al  contrario  il  breve  respiro  d' un'anima,  uscita 
testé  dal  martellio  accasciante  de'  discorsi  del  padre,  che  si  dispone 
con  ansia  repressa.  Dio  sa  con  quanto  sforzo,  al  martirio  d'un  inter- 
rogatorio tanto  importante  e  che  presente  di  dover  raccogliere  tutte 
le  sue  forze  per  simulare  una  vocazione  non  sentita.  E  quand'anche 
quel  «  dica  pure  »  non  avesse  che  il  valore  estetico  di  non  lasciar 
trapelare  nulla  del  vero  stato  di  Gertrude,  è  pur  sempre,  nella  sua 
nuda  semplicità,  un  tratto  d'efficacia  drammatica,  come  sa  farel'arte 
grande  che  avvicenda  ombre  e  luci  nelle  sue  rappresentazioni. 

Nella  prima  stesura,  per  contro,  Gertrude  trovava  il  coraggio  di 
fare  codesta  dichiarazione  non  sapremmo  se  più  confidenziale  o  cir- 
cospetta: «  Signore,  io  ho  desiderato  ardentemente  questo  abbocca- 
mento. Da  questo  dipende  la  scelta  della  mia  vita,  e  io  spero  che 
da  ciò  che  io  le  risponderò,  verrò  io  stessa  a  conoscere  quale  sia 
la  mia  vocazione  »  (*).  Parole  che  rivelano  il  medesimo  stato  d'  a- 
nimo  di  Gertrude,  accennato  nella  descrizione  delle  feste  e  delle 
conversazioni  che  precedettero  la  sua  entrata  nel  monastero  :  se  non 
che  ivi  l'analisi  di  quella  vaga  estrema  speranza  che  Gertrude  ri- 
poneva nella  prova  dell'  esame  per  trovarvi  la  forza  e  la  calma  di 
prendere  più  liberamente  una  risoluzione  conforme  al  suo  desiderio, 
era  appropriata,  come  quella  che  lumeggiava  con  meditato  rilievo 
il  temperamento  di  lei,  debole  e  fantastico  e  perciò  facile  al  pro- 
crastinare ;  ed  era  anzi,  per  quel  che  osservammo,  uno  spunto  felice 
nella  dipintura  dell'animo  della  giovinetta,  che  poteva  essere  con- 
servato nel  romanzo;  qui,  al  contrario,  tal  discorsetto  serio  serio, 
equilibrato,  fatto  con  un'  aria  di  confessione  ad  un  tempo  e  di 
cautela,  non  si  adatta  alla  situazione  presente,  in  cui  ella  è  col  suo 
animo  combattuto  e  chiuso  a  viso  a  viso  coli'  interrogatore,  e  non 
le  si  addicono  parole  che  contengano  qualche  riflessione  sul  suo 
stato  e  su  i  suoi  propositi  senz'essere  l'immediata  protesta  di  ciò 
che  la  sua  povera  anima,  tutta  soggiogata  dalle  parole  del  padre, 
non  può  a  meno  di  dire  mentendo  a  sé  stessa. 


(1)  Sp.  proni.,  p.  224. 


330  PARTE  TERZA 


Come  il  Manzoni  nel  rifacimento  dell'episodio  condensò,  non  tanto 
per  la  preoccupazione  di  tirarlo  troppo  per  le  lunghe,  quanto  per 
quel  fren  dell'arte,  che  altro  non  è  se  non  equilibrio  e  profondità 
di  visione,  le  minute  e  particolareggiate  analisi  psicologiche  della 
prima  stesura  in  sobri  e  vigorosi  rilievi,  così  i  discorsi  e  ogni  altro 
atteggiamento  esteriore  di  Gertrude  temprò  e  contenne  con  la  mi- 
sura severa  dell'artista  che  cerca  nella  semplicità  e  nella  concisione 
espressiva  de'  mezzi  l'efficacia  rappresentativa  della  realtà  osservata 
e  idealizzata.  «  Dica  pure  »  risponde  Gertrude:  o  che  altro  può  dire? 
che  altro  deve  dire  in  quel  momento  d'aspettazione  angosciosa?  Due 
piccole  parole,  in  cui  senti  il  tremito  interiore  della  sventurata  che 
non  si  rivela,  il  preludio  d' un  dramma  che  si  svolgerà  tempe- 
stoso nell'ambito  chiuso  della  sua  coscienza,  ma  non  lampeggerà 
in  nessuna  parola  e  in  verun  atto  d'esitanza,  d'inquietudine,  di 
ripugnanza  o  di  ribellione  imprx)vvisa.  È  l'arte  rinnovatrice,  come 
già  osservavo,  con  che  il  Manzoni  ricompose,  dirò  così,  l'anima 
de'  suoi  personaggi  ritraendone  la  vita  dall'esterno  all'interno, 
dai  sensi  allo  spirito,  di  tanto  rendendo  parca  la  parola  nelle 
loro  labbra  e  composti  i  moti  della  loro  persona,  di  quanto  inten- 
sificò la  loro  intima  spiritualità.  È  quel  meraviglioso  processo  clas- 
sico, attraverso  il  quale  l'opera  manzoniana  è  venuta  liberandosi  dal 
romanticismo  artistico  della  prima  maniera.  Ma  per  intender  bene 
il  valore  del  dialogo,  che  veniamo  esaminando,  e  i  mutamenti  operati 
dal  poeta  nello  svolgimento  di  esso  e  nello  stesso  contegno  di  Ger- 
trude ci  conviene  soffermarci  un  po'  sulla  figura  del  suo  esaminatore, 
sostanzialmente  trasformata  anch'  essa  dalla  prima  stesura  all'ultima 
redazione  del  romanzo. 

Era  curioso  quella  specie  di  processo  che  l'autore  faceva  al  signor 
abate  che,  dopo  i  discorsi  del  Marchese,  esaltante  la  pura  e  calda 
vocazione  della  figliuola  per  la  vita  del  chiostro,  veniva  con  «  la 
prevenzione  dolcissima  »  che  fosse  vera  e  pregustava  la  consola- 
zione «  di  godere  dello  spettacolo  di  una  buona  risoluzione  »,  «  men- 
tre —  diceva  l'autore  —  avrebbe  dovuto  pensare  ad  accertarsi  se  la 
risoluzione  esisteva  »  :  e  preparava  «  l'animo  suo  nulla  più  che  ad 
adempiere  una  cerimonia,  una  formalità  »  mentre  —  ribadiva  il 
Manzoni  —  «  faceva  tutt'altro;  e  doveva  saperlo.  E  perchè  aveva 
ciecamente  creduto  al  padre  di  Geltrude?  Perchè  era  un  buon  uomo; 
e  la  bontà  gli  era  sì  naturale  che  gli  pareva  la  cosa  più  naturale 
del  mondo;  siccome  ve  n'aveva  sempre  nelle  sue  intenzioni  e  nelle 
sue  azioni,  egli  ne  supponeva  sempre  nelle  intenzioni  e  nelle  azioni 
degli  altri  >.  Era  insomma  un  «  sempliciotto  »,  come,  letta  questa 


IL    ROMANZO   IN   FORMAZIONE  331 


pagina,  ebbe  a  scrivere   il   Visconti,   il  quale  osservava  che,  «  per 
giudicar  bene  »,  non  doveva  esser  tale  (*), 

L'amico,  —  s'intende,  —  come  in  tutte  le  sue  postille,  guardava 
alla  verosimiglianza  de'  caratteri  ;  ma  io  che  vengo  indagando  la 
genesi  primitiva  de'  personaggi  manzoniani,  riconosco  nel  ritratto 
morale  di  codesto  «  buon  uomo  »  la  tendenza  al  realismo  comico 
e  al  moralismo  censorio  che  troppo  spesso  mosse  il  sentimento  e 
la  fantasia  del  poeta  nella  prima  formazione  del  romanzo,  onde, 
come  già  ho  rilevato  più  volte  e  avrò  a  comprovare  anche  nel  se- 
guito, taluni  caratteri  e  fatti  apparivano  nella  prima  stesura  in  un 
aspetto  troppo  spiccatamente  volgare  o  financo  buffonesco,  o  troppo 
tristo  0  financo  cinico  e  beffardo.  Quella  dabbenaggine  dell'esami- 
natore (perchè  poi  era  deputato  a  così  alto  uffizio  un  uomo  simile?), 
che  si  lascia  infinocchiare  dal  padre  di  Gertrude,  voleva  essere  la 
fertile  materia  di  un  ritratto  umoristico  e  di  umoristiche  movenze 
anche  nello  svolgimento  del  dialogo;  ma  né  quello  riuscì  fatto  in 
modo  coerente  e  perspicuo,  perchè  il  tono  rcquisitorio  e  gnomico, 
che  prevale,  guasta  la  lepida  pennellata  con  cui  è  ritratta  la  straor- 
dinaria bonarietà  del  nostro  uomo,  né  —  come  tosto  vedremo  —  la 
credula  gaiezza  di  lui  nell'  interrogare  e  ascoltare  Gertrude  desta 
in  noi  l'impressione  d'un  umorismo  felicemente  sentito  ed  espresso, 
ma  sì  piuttosto  d'  una  comicità  un  po'  grossa  e  stentata.  S'  accor- 
gesse il  poeta  di  non  essere  riuscito  nell'intento  o  riconoscesse  giu- 
sto (almeno  in  parte)  1'  appunto  dell'amico  Visconti  o  —  quel  che 
è  più  probabile  —  gli  paresse  —  come  già  nel  rifare  la  scena  della 
richiesta  al  monastero  e  il  ritratto  della  badessa  — ,  disconvenire 
alcuna  nota  comica  o  volgare,  perturbante  l'unità  estetica  della  gra- 
ve e  dolorosa  situazione  di  Gertrude,  o  volesse,  infine,  —  com'è  non 
meno  probabile  —  rendere  anche  questa  secondaria  figura  più  ele- 
vata e  più  decorosa  che  non  fosse  nella  minuta,  il  fatto  è  che  il 
carattere  del  vicario  ha  nel  romanzo  un  atteggiamento  più  serio, 
più  accorto,  più  guardingo.  Un  resticciolo  della  primitiva  tentata 
concezione  umoristica  è  in  quell'appellativo  d'  «  uomo  dabbene  »  che 
già  il  principe  aveva  adoperato  discorrendo  con  la  figlia  non  senza 
intenzione  d' impressionarla,  e  che  1'  autore  riprende,  nel  farne  il 
ritratto,  con  una  finezza  ironica,  non  facilmente  afferrabile,  river- 
berante piuttosto  il  suo  segreto  giudizio  sull'apprezzamento  interes- 
sato del  principe  che  non  una  disposizione  canzonatoria  verso  il 
nuovo  personaggio:  ma  i  lineamenti  essenziali  di  questo  hanno  una 


(1)  Sp.  proni.,  pp.  223-'!. 


332  PARTE   TERZA 


compostezza  e  una  lucida  sobrietà,  che  preludiano  convenientemente 
alla  scena  dell'interrogatorio.  Il  tratto  psicologico,  anzi,  della  rin- 
novata figura  rispetto  alla  protestata  vocazione  di  Gertrude  è  la 
«  diffidenza  »,  come  quella  che  «  era  una  delle  virtù  più  necessa- 
rie nel  suo  uffizio  »  l'aver  «  per  massima  d'andare  adagio  nel  cre- 
dere a  simili  proteste  e  di  stare  in  guardia  contro  le  preoccupazioni  >. 
È  vero,  sì,  ch'egli  «  veniva  con  un  po'  d'opinione  già  fatta  »  (ben 
altra  cosa  della  «  prevenzione  dolcissima  »  della  prima  stesura!) 
«  che  Gertrude  avesse  una  gran  vocazione  al  chiostro;  perchè  così 
gli  aveva  detto  il  principe  »  ;  ma  ciò  è  consentaneo  a  chiunque  non 
cada  neir  eccesso  opposto  di  supporre  il  male  in  chicchessia  e  per- 
chè —  osserva  acutamente  il  Manzoni  —  «  ben  di  rado  avviene  che 
le  parole  affermative  e  sicure  d'una  persona  autorevole,  in  qualsi- 
voglia genere,  non  tingano  del  loro  colore  la  mente  di  chi  le  ascol- 
ta »  (/),  Nel  delicato  profilo  di  questo  «  buon  prete  »  —  se  una  ve- 
rità umana  lampeggia  — ,  ella  è  questa,  che  anche  l'anima  più  no- 
bile, e  più  cauta,  più  devota  alla  santità  e  alla  giustizia  del  suo 
uffizio  nella  vita  sociale^  non  si  sottrae  del  tutto  alla  subdola  sug- 
gestione dell'  altrui  passioni,  quando  esse  si  presentino  rivestite  di 
autorità  e  ammantate  di  disinteressata  sincerità. 

La  scena  dell'esame,  come  la  leggiamo  ora  nel  romanzo,  procede 
concisa  nell'analisi,  svelta  e  sobria  nel  dialogo;  è  evidente  la  cura 
di  far  risaltare  i  caratteri  dall'  azione  viva,  impegnata  tra  il  prete, 
che,  calmo,  attento,  lucido  e  penetrante,  scruta  e  incalza  per  affer- 
rare la  verità  di  quella  vocazione,  e  Gertrude  che,  «  determinata 
d'ingannarlo  »,  «  rifugge  spaventata  »  dalla  «  vera  risposta»  che  le 
«  s'affaccia  subito  alla  mente  »  e  che,  non  d'altro  preoccupata  che 
di  togliersi  «  presto  e  sicuramente  da  quel  supplizio  »,  nasconde  il 
suo  turbamento  e  risponde  sempre  «  più  franca  a  mentire  contro 
sé  stessa».  Quand'ella  all'abile  interrogatore,  che,  accennando  alla 
possibilità  d'un  suo  capriccio  dopo  aver  sentita  smentir  quella  di 
«  minacce  »  o  «  lusinghe  »  altrui  e  toccando  con  finezza  delle  «  im- 
pressioni illusorie  »  e  de'  pentimenti  che  seguono  col  mutar  del- 
l'animo, s'è  avvicinato  di  tanto  alla  verità  dolorosa,  risponde  con 
forza,  anzi  «precipitosamente»,  tanto  la  sgomenta  quell'indagine 
così  terribilmente  appropriata  al  suo  caso  :  «  No,  no,  la  cagione  è 
quella  che  le  ho  detto  »,  il  dramma  è  finito.  Tacciono  le  note  del 
dialogo,  ed  è  ripresa  più  ampia  e  sottile  l' analisi  che  avvia  con 
fredda  calma  all'epilogo.  Stupenda  mossa  d'artista,  che  seconda  con 


(1)  Pì'om.  sp.,  cap.  X,  p.  153. 


IL   ROMANZO   IN    FORMAZIONE  33^ 


evidenza  fantastica  la  vicenda  de'  sentimenti  e  de'  modi  dei  due 
collocutori.  La  «  diffidenza  »  d'obbligo  dell'esaminatore  La  fatto  sua 
prova:  la  povera  vinta  ha  vinto,  alla  sua  volta,  colui  che  «  poteva 
bene  impedire  che  si  facesse  monaca  »  ;  ha  vinto,  pel  «  ribrezzo  » 
di  «  render  consapevole  della  sua  debolezza  quel  grave  e  dabben 
prete  >,  perchè,  «  partito  che  fosse  »,  finiva  «  la  sua  protezione  »  ed 
ella  sarebbe  rimasta  «  sola  col  principe  ». 

Quale  l'epilogo?  È  tutto  in  queste  parole,  che  rivelano  con  quale 
austera  e  pietosa  ispirazione  il  poeta  ricostruisse  e  rifoggiasse  co- 
desto breve  episodio:  «  L'esaminatore  fu  prima  stanco  d'interrogare 
che  la  sventurata  di  mentire  »  (*). 

Quando  il  Manzoni  concepì  e  stese  la  prima  volta  questa  scena 
dell'esame,  era  più  vivo  ed  operoso  in  lui  il  psicologo  che  il  poeta. 
Lo  si  deduce  dal  tenue  sviluppo  della  parte  dialogica,  dalla  poca 
cura  ed  evidenza  nell'ordine  delle  interrogazioni,  messe  in  bocca 
all'esaminatore,  e  massimamente  dall'analisi  minuta,  proprio  come 
nella  scena  del  monastero,  dello  stato  interno  di  Gertrude,  la  quale 
è  rappresentata  come  combattuta  da  opposte  apprensioni,  incapace 
della  risoluzione  più  schietta  e  più  propria,  trascinata  da  un'abitu- 
dine, ormai  acquisita,  a  mentire  a  se  stessa. 

Non  negherò  che  già  la  minuta  recasse  in  quelle  pagine  il  segno 
dell'arte  grande  del  Manzoni  per  vivo  risalto  dato  al  carattere  di 
Gertrude,  per  intuizione  lucida  e  precisa  di  quel  groviglio  di  fan- 
tasiosa ingenuità  e  di  complicata  finzione,  di  debolezza  nativa  e 
d'orgoglio  esasperato,  che  è  1'  anima  della  sventurata,  e  per  vigo- 
roso colorito  di  stile;  preferirei,  anzi,  di  leggere  nella  redazione 
definitiva,  ripulito  nella  dizione  e  attenuato  un  po'  nel  colorito  de' 
sentimenti,  questo  splendido  tratto:  «  Avvezza  com'era  a  trarsi  dalle 
circostanze  diffìcili  con  ripieghi  che  la  ponevano  in  circostanze  più 
difficili  ancora,  a  consumare  per  dir  così  il  tempo  avvenire  per 
vivere  in  quel  momento,  ella  cedette  all'abitudine  e  alla  difficoltà; 
mentì  contro  sé  stessa  e  disse:  «  È  la  mia  vocazione;  fin  dai  primi 
anni  io-  mi  son  sentita  inclinata  a  servir  Dio  nel  chiostro,  lontano 
dai  pericoli  e  dalle  cure  del  mondo  ».  Queste  parole  furono  porte 
con  l'apparenza  della  più  ferma  persuasione;  e  l'indugio,  ch'ella 
aveva  posto  al  rispondere,  parve  al  Signor...  un  segno,  una  prova 
di  riflessione  posata.  E  in  quel  momento  furono  contenti  ambedue  (*): 


(1)  IMd.,  pp.  153-4. 

(2)  Sp.  prom.,  pp.  225-6.  Ecco  un'espressione  alquanto  recisa,  che,  se  conviene  alla 
giuliva  semplicità  del  buon  uomo,  esagera  quel  certo  sollievo  che  Gertrude  ritrae  dalla 
fatta  dichiarazione.  Era  tuttavia  questa  una  sfumatura  di  sentimento  troppo  con- 


334  PARTE   TERZA 


egli  di  vedere  una  così  buona  disposizione,  ella  di  essere  uscita 
d' impaccio  come  che  fosse  »  (^).  Se  non  che  l' analisi  soverchiava, 
nel  primo  disegno,  la  rappresentazione;  il  dialogo,  che  col  suo  ra- 
pido moto  incalza  di  tanto  la  scena  nella  forma  attuale  del  romanzo, 
era  ora  turbato  dagl'  intermezzi  analitici,  ora  avvolto  ne'  riferimenti 
indiretti  della  materia  del  colloquio;  né  aveva  un  suo  ritmo  cre- 
scente, che  lo  rendesse,  come  l'ammiriamo  nella  nuova  redazione, 
veramente  drammatico  :  la  preconcetta  semplicità,  confinante  con  la 
dabbenaggine  dell'interrogatore  —  che  manifestamente  era  un  er- 
rore psicologico  nella  concezione  della  figura  —  non  poteva  agli 
effetti  dell'arte  se  non  sminuire  il  significato  ideale  di  tale  scena, 
che  lumeggia  l'ultima  e  più  funesta  sconfitta  di  un'anima  che  vi- 
veva di  finzioni  e  di  terrori  ;  non  poteva  di  rifiesso  se  non  toglier 
vigore  passionale  e  drammatico  al  contrasto  tra  l'interrogante  e 
r  interrogata  e  perturbarne,  con  la  comicità  —  per  quanto  discreta  — 
che  spunta  qua  e  là  dagli  atteggiamenti  e  dalle  parole  di  lui,  l'in- 
timo carattere  tragico. 

Come  appunto  codesta  concezione  alquanto  comica  del  secondo 
personaggio  aveva  impacciato  il  poeta  impedendogli  di  significare, 
—  ne'  composti  e  semplici  modi,  conformi  alla  sua  tempra  d'arti- 
sta —  il  pathos  della  scena  immaginata,  così  è  bastato  avere  rinno- 
vato il  carattere  del  buon  prete  nella  forma  che  abbiamo  visto,  per- 
chè lo  spirito,  lo  svolgimento,  il  tono  di  essa  acquistassero  profon- 
dità, vigoria,  e  chiarezza.  Il  carattere  stesso  di  Gertrude  dal  più 
austero  e  alto  modo  di  concepire  la  situazione  generale,  riceve  un'im- 
pronta di  più  nobile  dolore  e  di  più  pura  verità  poetica.  La  quale 
poco  era  mancato  non  si  smarrisse  nella  sottile  trama  dell'analisi  là 
dove  il  Manzoni  con  evidente  inverosimiglianza  aveva  rappresentata 
la  giovine  afflitta,  umiliata,  confusa  e  «  come  colpita  »  dalla  prima 
domanda  sulla  vocazione,  e  dove  con  non  minore  incoerenza  le 
faceva  pensare  che  <  violenze,  minacce...  non  ne  avevano  usate» 
i  parenti  e  dove,  infine  le  metteva  in  bocca  quelle  parole  intese 
ad  occultare  il  vero  con  soverchia  ostentazione:  «  i  miei  parenti 
desiderano  certo  che  io  sia  monaca;  ma  mi  hanno  lasciata  libera». 
Le  risposte  che  tra  felici  rilievi,  con  che  le  accompagna  il  poeta, 
dello  sforzo   durato  a  nascondere  l' interno   travaglio,  dà  Gertrude 


forme  all'indole  strana  della  giovinetta  perchè  il  Manzoni  la  trascurasse  e  perciò,  nel 
rimaneggiamento  dell'analisi,  l'ha  più  delicatamente  espressa  in  quella  frase:  «ne 
trovò  una  sola  [risposta]  che  potesse  liberarla  presto  e  sicuramente  da  quel  suppli- 
zio »  (Prom.  sp.,  loc.  cit.). 
(1)  Sp.  prom.,  pp.  225-6. 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  335 


nel  romanzo  con  quel  loro  tono  laconico,  diritto,  rigido  scolpiscono 
mirabilmente  l'ostinata  determinazione  di  mentire  sino  alla  fine, 
dopo  che  «  r  infelice  rifuggi  spaventata  >  dali'  idea  di  rivelare  tutto 
il  vero.  In  quel  momento  1'  orrore  di  dovere  umiliare  il  suo  orgo- 
glio, confessar  la  sua  vergogna  non  meno  che  la  paura  del  padre 
le  imprimevano  nel  volto  la  maschera  tragica  della  simulazione 
fredda  e  imperturbabile.  Il  Manzoni,  semplificando  l'analisi  e  rinvi- 
gorendo il  dramma  rappresentativo,  ha  espresso  tutta  la  verità  poe- 
tica della  sua  originale  creazione. 

L'aver  presentata  Gertrude,  cosi  nell'  attesa  come  durante  l'esame, 
dominata  dalla  paura  di  un  grande  pericolo  da  affrontare,  tanto 
sollecita  d'evitare  spiegazioni  e  rivelazioni,  quanto  contenta  d'uscire, 
come  che  fosse,  da  quella  difficoltà,  aveva  fatto  immaginare  al  Man- 
zoni, nella  prima  stesura,  che  ella  stessa  dopo  il  colloquio,  «ancor 
più  fortemente  compresa  dall'  idea  del  pericolo  che  aveva  passato, 
che  dal  pensiero  dell'impegno  che  aveva  preso»,  corresse  «tutta 
commossa  »  a  raccontare  al  padre  «  frettolosamente  l'esito  della 
conferenza  >  ;  mentre  nel  romanzo  è  il  padre  —  come  si  sa  —  che 
va  «  quasi  di  corsa  »  da  Gertrude,  tutto  giubilante  e  intenerito  dopo 
aver  sentito  il  vicario  compiacersi  delle  <  buone  disposizioni  >  da 
lei  dimostrate  (*).  È  un  mutamento  che,  se  conta  poco  o  nulla  per 
l'intreccio  e  la  disposizione  delle  parti  in  azioni,  ha  valore  rispetto 
ai  caratteri  e  alla  situazione  psicologica  loro;  ed  è  mutamento  do- 
vuto alla  concezione  più  pura^  più  austera  e  alla  figurazione,  più 
pensosamente  composta  e  sobria  che  abbiamo  rilevato,  del  carattere 
di  Gertrude.  È  più  verosimile  l'atto  spontaneo  del  principe,  poiché 
risponde  a  quello  stato  di  «  esasperazione  molto  penosa  »  che  bene 
ha  fatto  il  Manzoni  a  lumeggiare  con  nuova  efficacia  nel  romanzo  ; 
ed  è  più  consentaneo  alla  natura  e  all'ordine  de'  sentimenti  e  al 
particolare  stato  di  Gertrude  quel!'  atteggiamento  che  il  poeta  non 
descrive,  ma  lascia  intravedere,  di  raccoglimento  silenzioso,  d'im- 
mobilità d'atti  e  di  spirito,  di  occulta  prostrazione  pel  grande  sforzo 
compiuto,  mentre  il  padre  la  ricolma  «  di  lodi,  di  carezze  e  di 
promesse  >. 

VI.  Che  il  Manzoni  abbia  mirato  ad  elevare  poeticamente  la  fi- 
gura di  Gertrude,  a  conferire  un  tòno  più  nobile  e  serio  al  racconto 
de'  suoi  casi  dolorosi,  a  colorire  la  stessa  rappresentazione  d'  am- 
biente con  rinnovata  libertà  artistica  è  provato,  oltre  che  dai  raf- 


(1)  Provfi.  sp.,  cap.  X,  p.  155. 


336  PARTE   TERZA 

fronti  fatti  fin  qui,  da  altri  mutamenti  di  minor  conto,  che  tuttavia 
ritengo  di  non  dover  trascurare  ;  come  quelli  che  'attestano  lo 
sforzo  durato  dal  poeta  per  vincere  alcuno  tendenze  del  suo  inge- 
gno e  della  sua  cultura,  quali  la  soverchia  inclinazione  all'  analisi, 
il  psicologismo  sottile  e  talora  ardito,  il  realismo  comico,  troppo 
crudo  o  volgare,  lo  storicismo  e  il  moralismo  censorio  e  satirico  che 
già  ho  largamente  dimostrato  come  prevalessero  nella  prima  com- 
posizione del  romanzo. 

Tocchi  più  abbondanti  e  arditi  che  non  siano  nel  romanzo  per 
ritrar  la  bellezza  fisica  della  giovinetta  ('),  qualche  pennellata  più 
colorita  data  al  carattere  vivace,  superbo,  incline  alla  vita  monda- 
na (2),  un  tratto  di  precocità  raziocinativa  eh'  era  troppo  per  una 
fanciulletta  di  sei  anni  (^),  un'  analisi  vivace  e  sottile,  condita  di 
sapide  osservazioni,  che  l'arguto  psicologo  faceva  delle  competizioni 
di  Gertrude  con  le  sue  compagne  d'educandato  {*),  un'accesa  di- 
pintura della  passionalità  morbosa  di  lei  (^)  che  segna  spiccata- 
mente i  caratteri  essenziali  di  quella  che  sarà  l' inquieta  e  fosca 
anima  della  signora,  quale  vedremo  rappresentata  nelle  forti  scene 
della  colpa  e  del  delitto,  tutto  ciò  è  stato  o  soppresso  o  ridotto  con 
più  sobrietà  o,  più  spesso,  raddolcito  nelle  tinte  e  ricomposto  con 
un'  ispirazione  di  più  gentile  pietà  e  con  una  più  pacata  e  serena 
osservazione  di  quell'anima  giovanile. 

Erano  pagine  che,  uscendo  così  dal  primo  getto  lucide  e  vigorose, 
attestavano  le  fresche  attitudini  dello  scrittore  all'indagine  psicolo- 
gica e  che  sostanzialmente  sono  rimaste  nel  romanzo,  ma  risentivano 
di  quella  spiccata  tendenza  all'  analisi  sovrabbondante  che  il  Man- 
zoni adoprerà  ogni  sforzo  a  correggere  e  a  contenere,  rivelavano, 
anzi,  la  tendenza  già  osservata  più  addietro,  al  psicologismo  sottile 
e  talora  ardito,  che  medesimamente   1'  autore  verrà,   nella  riforma 


(1)  Sp.  prom.,  p.  178.  Ne'  Prom.  sp.  non  è  rimasto  che  un  cenno  dell' «aspetto 
prosperoso  della  fanciullina  »  (cap.  IX,  p.  132). 

(2)  Sp.  proni.,  loc.  cit. 

(3)  Era  !'«  idea...  che  per  esser  monaca  era  mestieri  del  suo  assenso  volontario» 
(Sp.  proni.,  p.  179). 

(4)  Sp.  prom-,  pp.  180,  181.  Più  limpida,  più  svelta  e  ordinata  ne'  Protn.  sp., 
cap.  IX,  pp.  134-5.  È  da  notare  che,  in  luogo  de'  pochi  cenni  squallidi  e  stenti  della 
minuta,  troviamo  ne'  Prom.  sp.,  un  accurato  e  vivo  studio  dell'esultanza  delle  mo- 
nache, nel  ricevere  l'educanda,  e  delle  arti  che  metton  subito  in  opera  per  secondare 
il  segreto  disegno  del  principe,  (cap.  IX,  pp.  133-4). 

(5)  Val  la  pena  di  riferirla  per  intero:  «Questa  sventurata  non  aveva  un  animo 
ostile,  non  si  dilettava  naturalmente  nell'odio;  ma  le  sue  passioni  erano  tanto  vio- 
lente e  tanto  delicate,  ella  le  idolatrava  tanto  che  tutto  ciò  che  poteva  essere  ad  esse 
di  ostacolo,  offenderle,  contristarle,  diveniva  per  lei  oggetto  di  avversione,  e  sarebbe 
stato  vittima  del  suo  furore,  quand'ella  avesse  potuto  impunemente  sfogarlo»  (pp.  181-2). 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  337 


dell'opera,  attenuando  mediante  quel  processo  d'idealizzazione  poe- 
tica a  cui,  come  più  volte  ebbi  ad  osservare,  sottopose  tutta  la  ma- 
teria del  romanzo. 

Ma  anche  più  osservabile,  per  questo  riguardo,  era  la  descrizione 
delle  immagini  mondane,  che  pullulavano  nella  mente  dell'  appas- 
sionata giovinetta.  Erano  esse  analizzate  e  figurate  in  qualche  sce- 
na, che  prendeva  concretezza  nella  fantasia  di  Gertrude.  *  L'orgo- 
glio di  giovane  vagheggiata  —  aveva  scritto  il  Manzoni  —  adorata, 
supplicata  con  umili  sospiri,  di  sposa  ricca  e  fastosa,  di  padrona 
che  comanda  a  damigelle  ed  a  paggi,  ben  vestiti,  era  ben  più  dolce 
che  l'orgoglio  di  madre  badessa  e  in  quello  tutta  s'immerse  la  fan- 
tasia orgogliosa  di  Geltrudina.  Cominciò  dunque  a  far  castelli  in 
aria,  a  figurarsi  un  giovane  ai  piedi^  a  levarsi  spaventata,  e  fuggire 
dicendo  :  «  come  ha  ella  ardito  di  venir  qui  ?  »  Ma  quella  fuga  e 
queir  asprezza  non  erano  a  fine  di  scacciarlo  daddovero  :  il  gio- 
vane non  perdeva  coraggio;  nascevano  nuovi  casi,  e  tutto  finiva  col 
matrimonio,  come  la  più  parte  delle  commedie.  Eichiamava  alla 
memoria  quel  poco  che  aveva  veduto  dei  passeggi  della  città  e  vi 
girava  in  carrozza  innanzi  indietro  ;  ripensava  la  casa  domestica,  le 
anticamere,  le  livree,  il  comando  e  rifaceva  tutto  per  suo  uso,  ma  in 
modo  più  splendido.  Questi  pensieri  l'assediavano  nel  dormitorio, 
nel  refettorio,  nell'orto,  nel  coro;  ella  confrontava  col  brillante  di 
essi  lo  squallido  che  aveva  sott' occhi  e  [si  confermava  sempre  più 
nel  proposito  di  non  dire  quel  «  si  »  che  si  aspettava  da  lei  »  (*). 
Ora  chi  raffronti  questo  passo  col  testo  definitivo,  in  cui  parte  di 
esso  è  caduto  e  parte  è  stato  notevolmente  trasformato, s' accorge 
che  il  Manzoni  ha  corretto  la  plastica  evidenza  delle  immaginazioni 
di  Gertrude,  ha  scancellato  quella  macchietta  tra  patetica  e  comica 
dell'  innamorato  rifondendo  e  ricolorendo  figure,  sentimenti  e  stile 
con  delicata  spiritualità,  cosi  che  le  fanciullesche  visioni  dell'  edu- 
canda vi  appaiono  in  un  aspetto  fantasticamente  vago  e  velatamente 
castigato.  Piccolo,  ma  notevole  esempio  del  lavorio  fatto  dall'autore 
per  idealizzare  il  suo  mondo  tra  storico  e  romanzesco,  per  infon- 
dervi una  più  pura  vita  di  poesia,  con  la  riduzione  o,  addirittura, 
l'eliminazione  di  tutto  ciò  che  eravi  entrato  di  troppo  pittorescamente 
realistico,  di  troppo  grossamente  caratteristico  e  circoscritto  nella 
rappresentazione  della  vita  e  de'  costumi  del  secolo. 

(1)  Sp.  proni.,  pp.  1S4-5.  Su  quel  giovane  fantastico  ritornava  il  Manzoni  a  p.  190, 
aggiungendo  che  «  bellezza,  grazia,  ricchezza,  nobiltà,  eloquenza,  sincerità,  costanza, 
e  sovra  tutto  appassionatezza,  nulla  gli  mancava  ».  «  Se  non  che  —  commentava  con 
amabile  ironia  l'autore  —  aveva  il  difetto  di  non  esistere». 

Busetto  —  22 


338  PARTE   TERZA 


In  altro  luogo,  una  piccola  scena,  disegnata  certamente  per  co- 
desta tendenza  al  realismo  comico  e  al  caratteristico  della  storia, 
presentava  nella  minuta,  assieme  con  la  madre  e  il  fratello  di  Ger- 
trude chiamati  dal  principe  dopo  la  scena  del  perdono,  il  segretario 
di  casa.  Già  vi  ho  accennato,  osservando  che  ben  altro  carattere  e 
significato  acquista  la  scena  com'  è  stata  rinnovata  nel  romanzo  : 
e  riconfermo  che  la  soppressione  di  quella  macchietta  è  dovuta  al 
motivo  di  purificare  il  quadro  d'elementi  burleschi  spiccatamente 
realistici,  col  fine  di  trarre  dall'  uso  della  supplica  al  vicario  la 
materia  per  una  situazione  poetica  che  giovasse,  piuttosto  che  al 
colorito  storico  de'  tempi,  all'analisi  di  passioni  e  di  sentimnti  u- 
mani.  È  la  comprensione  limpida  e  profonda  della  realtà  psicologica 
che  vince  lo  storicismo  ingenito  nell'intellettualità  manzoniana:  è 
r  umanità  che  s' inalza  sopra  il  costume  e  vi  si  specchia  co'  suoi 
eterni  riflessi. 

Parimente  il  Manzoni  in  quella  descrizione  della  vita  d'educan- 
dato, che  per  ogni  parte  ha  resa  più  agile  e  lucida  e  infusa  di  più 
pensosa  poesia  col  sopprimere  o  condensare,  avvivare,  ingentilire 
dovunque  vi  trovasse  qualche  cosa  di  trito,  di  verboso,  di  fiacco,  di 
volgare,  d' eterogeneo  alla  rappresentazione  artistica,  ci  presenta 
Gertrude  turbata  nelle  sue  «  brillanti  e  faticose  »  immaginazioni 
mondane  non  da  un  vero  e  caldo  e  gagliardo  sentimento  di  fede  — 
di  che  ella,  educata  all'orgoglio,  era  incapace  —  ma  da  «  una  larva, 
come  le  altre  »,  tale,  però,  che  quando  grandeggiava  nella  fantasia, 
«  r  infelice,  sopraffatta  dai  terrori  confusi  e  compresa  da  una  con- 
fusa idea  di  doveri,  s'immaginava  che  la  sua  ripugnanza  al  chiostro, 
e  la  resistenza  all'  insinuazioni  de'  suoi  maggiori,  nella  scelta  dello 
stato,  fossero  una  colpa;  e  prometteva  in  cuor  suo  d'espiarla,  chiu- 
dendosi volontariamente  nel  chiostro  >  (*).  È  questa  una  situazione 
complicata  e  delicata  ch'era  sfuggita  nella  fretta  della  prima  stesura 
allo  sguardo  penetrante  del  poeta  e  che  egli  accortamente  adope- 
ra per  predisporre,  diversamente  dal  modo  che  abbiamo  veduto, 
l'invio  della  supplica  al  vicario  delle  monache;  poiché  —  seguita 
a  narrare  l'autore  —  «  quelle  monache  che  avevan  preso  il  tristo 
incarico  di  far  che  Gertrude  s'obbligasse  per  sempre,  con  la  minor 
possìbile  cognizione  di  ciò  che  faceva,  colsero  »  appunto  «  uno  de' 
momenti  che  abbiam  detto,  per  farle  trascrivere  e  sottoscrivere  una 
tal  supplica».  Ora,  può  sembrare  più  felice  l'idea  d'avere  scelto 
il  momento  che  Gertrude,  abbattuta,  pentita,  bisognosa  di  perdono, 


(1)  Prom.  sp.,  cap.  IX,  p.  136. 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  339 

s'abbandonava  alla  volontà  del  padre  per  farle  compiere  un  atto 
di  tanta  importanza;  e  certamente,  rilavorata  con  più  acume  ed 
arte,  quella  scena  della  prima  stesura  sarebbe  potuta  rimanere  a 
rappresentazion  viva  ed  efficace  de'  caratteri  e  della  più  grave  si- 
tuazione, in  cui  era  precipitata  Gertrude  implorando  il  perdono. 
Ma  —  contrariamente  alla  minuta,  dove  il  Manzoni  non  aveva  cu- 
rato «  di  dare  determinazioni  precise  di  tempo  >  (*)  —  ei  dice  nel 
romanzo  che  1'*  esame  non  poteva  aver  luogo,  se  non  un  anno  dopo 
ch'ella  avesse  esposto  a  quel  vicario  il  suo  desiderio,  con  una  sup- 
plica in  iscritto  »  (*)  ;  né  poteva  essere  «  ammessa  a  quell'esame 
della  vocazione  se  non  dopo  aver  dimorato  almeno  un  mese  fuori 
del  monastero  ».  Di  conseguenza,  quando  Gertrude  fu  per  uscirne 
era  logico  che  fosse  scorso  un  anno  o  giù  di  li  dall'  invio  della 
supplica  (^).  Precisati  e  circoscritti  così,  per  l'esattezza  storica,  i 
termini  degli  avvenimenti,  non  poteva  l'autore  far  cadere  la  scena 
della  compilazione  e  della  sottoscrizione  di  quella  tal  supplica  nel 
mese  di  dimora  in  famiglia  antecedente  all'esame,  e  gli  fu  gioco- 
forza collocarla  nello  stesso  ambiente  monastico  un  anno  prima 
della  fine  dell'educandato.  Curiosissimo  caso  codesto,  in  cui  vediamo 
che  la  stessa  osservanza  del  costume  storico  (dal  quale,  per  contro, 
il  Manzoni,  inteso  a  rifare  il  romanzo,  venne  allontanandosi  tante 
volte  con  più  libera  fantasia,  nella  ricomposizione  poetica  de'  per- 
sonaggi e  de'  fatti)  costringe  il  poeta  ad  operare  un  sostanziale  mu- 
tamento nella  creazione  artistica.  Con  la  logica  della  storia  egli  ha, 
però,  conciliato  la  logica  della  poesia,  poiché  la  poveretta  Gertrude 
si  lascia  indurre  a  sottoscrivere  quella  malaugurata  supplica  in  uno 
stato  d'  animo  non  molto  distinto,  come  abbiamo  veduto,  da  quello 
figurato  nella  minuta  e  risalta  al  vivo  l' arte  coperta  e  insinuante 
delle  monache,  «  congiurate  a  tirar  la  poverina  nel  laccio  >  :  anzi 
quei  turbamenti  morali,  in  cui  la  repugnanza  al  chiostro  era  so- 
praffatta da  un  curioso  sentimento  di  dovere  e  d'espiazione,  quel- 
l'intrigo di  suore,  spianti  i  momenti  di  tenerezza  e  di  compunzione 
dell'adolescente  per  sacrificarla,  circonfondono  la  figura  di  Gertrude 
di  una  tal  luce  benigna  e  pietosa,  che,  armonizzando  coi  vivaci  ri- 
flessi di  quell'impetuosità  che  la  trasportava  talora  a  cercar  «  tutta 
buona  »  le  compagne,  «  ad  implorar  benevolenza,  consigli,  corag- 
gio >,  ne  rabbellisce  l'immagine  inquieta  e  dolorosa. 


(1)  Sp.  prom.,  pp.  186,  188. 

(2)  Prom.  sp.,  loc.  cit. 

(3)  Ibid.,  pp.  136-7. 


340  PARTE   TERZA 


Il  psico'ogo  e  il  moralista  —  già  l'abbiamo  più  volte  osservato  — 
col  suo  abituale  procedere  amabilmente  scherzoso  e  ironico  s'insi- 
nuava troppo  spesso  nel  racconto  della  triste  storia,  compiacendosi 
di  digressioni  riflessive,  come  se  la  materia  narrata  fosse  buona  oc- 
casione ai  ragionamenti  dell'autore.  Sdoppiamento  tra  la  fantasia  e 
l'intelletto,  tra  la  riflessione  storica  ed  etica  e  la  rappresentazione 
poetica,  del  quale  son  rimaste  tracce  nella  redazione  definitiva  del 
romanzo,  ma  che  nella  prima,  per  manco  di  vigore  fantastico,  era 
troppo  accentuato  e  grossolano. 

Erano  osservazioni  suggerite  dalla  conoscenza  storica  e  dal  giu- 
dizio morale  de'  tempi,  come  quella  sulla  coltura  universale  del  se- 
colo e  sulla  poverissima  e  storta  istruzione  che  si  riceveva  ne'  mo- 
nasteri (*);  altre,  suggerite  dall'acuto  studio  dell'anima  giovanile 
e  riflettenti  l' inclinazione  alla  derisione  dei  superiori  (^),  la  faci- 
lità del  dissimulare  (^),  dell'abbandonarsi  alle  fantasticherie  (^)  ;  altre 
argute  e  brillanti  sulla  stima  che  fanno  gli  uomini  de'  piaceri  e 
delle  ricchezze  (^),  e  sull'  invenzione  delle  formalità  e  gli  effetti 
contrari  che  ne  seguono  (^)  ;  altre,  infine,  serie  e  gravi,  sull'effica- 
cia morale  della  religione  e  su  i  pregiudizi  che  la  danneggiano  C), 
sulle  passioni  (*),  senza  contare  quelle  che  ho  riferite  o  indicate 
nelle  analisi  precedenti,  e  alcune  che,  isveltite  di  pensiero  e  di 
stile,  sono  rimaste  nel  romanzo. 


* 
*     * 


VII.  Con  quaie  ardore  paziente  il  Manzoni  cercasse  di  conseguire 
con  la  riduzione  dell'analisi  e  la  condensazione  dello  stile  una  mag- 
gior coerenza  poetica  e  una  più  pura  rappresentazione  artistica  del 
suo  personaggio  si  vede,  altresì,  dal  racconto  dell'  inquieta  vigilia, 
che  precedette  la  solenne  professione. 


(1)  Sp.  prom.,  pp.  179,  182,  183. 

(2)  Acutamente,  a  proposito  delle  «  superiore  »  del  monastero,  diceva  che  sono 
«sorta  di  persone  per  le  quali  la  puerizia  prova  così  facilmente  l'ammirazione  come 
lo  scherno»  (p.  180). 

(3)  «  Dissimulazione  profonda  che  è  data  a  quella  età,  e  che  forse  non  ritorna  più 
in  nessuna  altra  epoca  della  vita,  e  che  appena  appena  —  aggiungeva  con  sorridente 
ironia  —  potrà  aver  riconquistata  un  diplomatico  di  ottant'anni  »  (p.  186). 

(4)  «Nei  sogni  caldi  ed  ardili  della  pubertà  v'è  una  parte  di  stranio,  di  fanta- 
stico, d'individuale  che  non  si  confida,  né  s'indovina  »  (ivi). 

(5)  Sp.  proni.,  pp.  180-1. 

(6)  Jbid.,  pp.  186-8. 

(7)  Ibid.,  pp.  183,  184. 

(8)  Jbid.,  p.  184. 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  341 


S'attardava  egli^  nella  minuta,  a  descrivere  Gertrude  tutta  occu- 
p;ita  nel  persuader  sé  stessa  d'  esser  «  contenta  della  sua  scelta  > , 
nel  raccogliere  il  pensiero  sulle  «  immaginazioni  »  gradevoli  e  sulle 
«  consolazioni  celesti  o  mondane  »  che  s'aspettava  dalla  vita  del 
chiostro;  tutta  sollecita,  nel  tempo  stesso,  ad  affrettar  la  vestizione 
«  per  esser  chiusa  una  volta,  per  precludersi  ogni  strada  al  tornare 
addietro,  per  non  sentirsi  più  nascere  in  cuore  queir  intollerabile  : 
—  potrei  forse  ancora  —  »  ;  tutta  intenta,  durante  il  tempo  del  no- 
viziato, a  mostrare  una  «  risoluzione  sempre  più  spontanea  e  ferma, 
mentre  «  divorava  nel  suo  cuore  tutto  ciò  che  avrebbe  potuto  far 
credere  il  contrario  »  (*),  Ma  qui  il  Manzoni  aveva  sforzata  la  si- 
tuazione, esagerando,  nel  descrivere  il  contegno  di  Gertrude,  un'im- 
pazienza, che  in  realtà  era  angoscioso  sgomento,  di  entrare  nel  chio- 
stro, così  da  darle  tutta  1'  apparenza  d'un  desiderio  sicuro  e  spon- 
taneo. E,  in  fondo,  il  difetto  di  tutta  la  prima  stesura  del  romanzo 
così  neir  analisi  psicologica  come  nelle  situazioni  drammatiche,  di 
scolpire  cioè,  le  anime  in  modo  troppo  spiccato  e  tagliente,  di  co- 
struire le  scene  e  rappresentarne  lo  svolgimento  con  certa  vibra- 
tezza  di  movimento  e  colore  eccitante  di  sentimento  e  di  fantasia, 
che  confermano  —  e  ne  porterò  altre  prove  anche  più  convincenti  — 
come  agi'  influssi  del  romanticismo  patetico  e  pittoresco  non  abbia 
potuto  sottrarsi  il  Manzoni  nella  prima  composizione  del  suo  capo- 
lavoro. Come  egli  se  ne  liberasse  —  non  dico  nell'  ispirazione  che 
rimase,  per  talune  figure  e  situazioni,  prettamente  romantica  —  ma 
neir  artistica  rappresentazione,  con  lo  sforzo  maraviglioso  di  ripla- 
smare il  suo  mondo  poetico  nella  sobria  forma  d' una  classicità  ni- 
tida, armoniosa  e  ricca  d' umanità,  risalta  in  modo  perspicuo  dal 
rifacimento  del  tratto,  testé  riferito  ;  nel  quale  il  poeta^  non  contento 
di  scorciare  e  limare,  ha  rivissuto  addirittura  quell'  estrema  situa- 
zione della  sventurata  Gertrude^  1'  ha  avvolta  nell'  aura  di  un  più 
accorato  mistero,  ne  ha  risentita  e  più  potentemente  espressa  quella 
nota  dominante  in  tutte  le  sue  dolorose  vicende,  che  è  l' insoddi- 
sfatta perplessità,  sgomenta  d'un'anima  data  in  balia  dell'altrui  vo- 
lontà. Ed  ecco  il  poeta,  con  altra  gagliardia  d' ispirazione  e  con  più 
contenuto,  ma  anche  più  profondo  vigore  fantastico  ritrova  quei 
nuovi  tocchi,  ripercotenti  la  desolata  tristezza  d'  un'  ardente  natura 
ormai  sopraffatta  e  alterata:  «  Lei  medesima,  stanca  di  quel  lungo 
strazio,  chiese  allora  d'  entrare  più  presto  che  fosse  possibite,  nel 
monastero  —  Dopo  dodici  mesi  di  noviziato,  pieni  di  pentimenti  e 


(1)  Ibid.,  p.  227. 


342  -  PARTE    TERZA 


di  ripentimenti,  si  trovò  al  momento  della  professione,  al  momento 
cioè  in  cui  conveniva,  o  dire  un  no  più  strano,  più  inaspettato,  più 
scandaloso  che  mai,  o  ripetere  un  sì  tante  volte  detto:  lo  ripetè,  e 
fu  monaca  per  sempre  »  (^). 

«  Lo  ripetè  e  fu  monaca  per  sempre  »  :  sintesi  concettuale  e  fan- 
tastica, come  sa  far  l'arte  grande,  che  ne'  rintocchi  secchi  del  ritmo, 
nella  funerea  solennità  di  quel  «  sempre  »,  che  ti  echeggia  senza 
posa  nell'animo,  risuona  come  il  calar  pesante  d'un  coperchio  se- 
polcrale, destando  la  commozion  muta  e  pensosa  dell'irreparabile. 
E  una  di  quelle  rare  frasi  dense,  dirò  così,  di  passione  e  di  storia, 
come  la  dantesca 

«  quel  giorno  più  non  vi  leggemmo  avante  » 

e  r  altra,  non  meno  insigne  dello  stesso  Manzoni  :  «  La  sventurata 
rispose»,  che,  lampeggiando  al  colmo  d'una  situazione  concitata,  ti 
lasciano  intraveder  gli  abissi  d' un'  anima  e  la  paurosa  inesorabilità 
del  suo  destino.  Gli  è  che  il  Manzoni  attraverso  i  rifacimenti  è  per- 
venuto all'  ultima  forma  del  romanzo  risalendo  con  nuova  potenza 
fantastica  da  uno  stato  di  soggettività  commossa,  da  una  concezione 
ancor  dibattentesi  tra  il  lirismo  e  il  moralismo  (due  forme  inferiori 
deirarte,  anzi  due  forme  pseudoartistiche  che  spesso  nel  romanti- 
cismo così  de'  capiscuola  come  degli  adepti  si  sforzano  d' andare 
insieme)  ad  una  visione  resa  più  serena,  più  profonda  e  perspicua 
mercè  quell'  oggettivismo  artistico  nella  cui  disciplina  la  poesia  si 
fa  contemplazione^  cioè  da  psicologica,  umana,  da  romantica,  clas- 
sica. Confrontate,  infatti,  quel  finale  stupendo  nella  sua  tranquillità 
pensosa,  or  ora  osservato,  con  questo  che  si  leggeva  nella  prima 
stesura:  «Il  sacrificio  fu  consumato,  il  dono  fu  posto  sull'altare, 
ma  era  di  frutti  della  terra;  la  mano  che  ve  lo  aveva  posto  non 
era  monda;  e  lo  sguardo  del  cielo  non  discese  sovr'esso  »  ;  sforza 
lirico,  che  tutt'al  più  s'attaglia  all'apologeta  delle  Osservazioni  sulla 
morale  cattolica,  non  al  poeta  de'  Promessi  sposi  (*). 

Che  codesta  tendenza  a  correggere  il  facile  romanticismo  della 
prima  stesura  prevalesse  con  crescente  vigore  nell'elaborazione  del- 
l'episodio monzasco,  appare  evidente  dai  mutamenti  e  miglioramenti 
non  solo  di  lingua  e  di  tecnica  formale,  ma  di  disegno  e  di  sviluppo 


(1)  Prom.  sp.,  cap.  X,  p.  156. 

(2)  Lo  stesso  visconti  in  margine  annotò:  «  troppo  ascetismo»  (Sp.  prom-,  p.  227, 
n.  12). 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  343 

psicologico  e  morale  operato  dal  poeta  nello  studio  della  vita  mo- 
nastica di  Gertrude.  La  minuta,  dopo  le  osservazioni  sulla  virtù  dì 
rassegnazione,  di  ravvedimento  e  di  tranquilla  contentezza  che  ispira 
la  religione  cristiana  sinceramente  invocata  e  profondamente  sentita 
(anche  qui  il  Manzoni  nel  romanzo  ha  riordinato  e  ripulito,  or  con- 
densato e  ora  svolto,  congiungendo  ad  una  maggiore  semplicità  d'e- 
loquio una  più  viva  agilità  di  pensiero),  accennava  a  donne  che, 
chiuse  contro  lor  voglia  nel  chiostro,  vi  fecero  vita  santa  e  contenta, 
a  donne  anche  de'  tempi  di  Gertrude;  e  faceva,  in  modo  spiccio, 
allusione  all'  «  esempio  insigne  »  che  ne  oflFri  la  stessa  Gertrude  (la 
fonte  storica,  qui  sottintesa,  è  sempre  il  buon  Ripamonti);  «  ma  — 
soggiungeva  —  più  tardi  e  dopo  aver  [commessi]  ben  altri  errori, 
anzi  delitti,  dopo  sofferta  ben  altra  forza  che  quella  di  cui  abbiamo 
parlato  »  (*).  Notizia  storica,  inopportunamente  anticipata  ed  ete- 
rogeneamente mischiata  alla  visione  poetica  di  quella  vita  dispettosa 
e  trista,  della  quale,  dopo  il  solenne  preludio  intonato  con  lucida 
armonia  di  sentimenti  e  di  stile  in  lode  della  fede  religiosa  rassere- 
natrice  delle  anime  travagliate,  ii  poeta  descrive  le  prime  ombre 
crepuscolari.  Quell'  accenno  alla  conversione  della  disgraziata  di- 
sparve dal  romanzo  non  meno  che  una  consimile  notizia,  ma  assai 
più  particolareggiata  e  suffragata  da  citazioni  storiche,  che  troviamo 
dopo  il  racconto  degli  errori  e  dei  delitti  di  Gertrude  (*)  ;  sulla 
quale  ultima  dovrò  tornare  fra  poco  per  una  questione  più  grave. 
Cosicché  della  vita  d'  espiazione  di  lei  non  è  restato  nel  romanzo 
che  un  cenno  verso  la  fine  e  lasciato  cadere  indirettamente  ne'  di- 
scorsi della  mercantessa  a  Lucia. 

Da  ciò,  intanto,  vien  fatto  d'osservare  che  il  Manzoni  nella  prima 
stesura,  tutto  occupato  nell'  applicar  fedelmente  la  sua  teoria  del 
romanzo  storico^  oscillava  tra  la  storia  e  il  romanzo,  tra  le  preoc- 
cupazioni etiche  e  le  esigenze  dell'arte,  senza  poter  raggiungere  per 
impulso  di  fantasia  idealizzatrice  l' unità  poetica  della  rappresen- 
tazione. 

Soppresso  quel  passo,  il  Manzoni,  per  contro,  sviluppò  1'  analisi 
con  tale  profondità  di  sguardo  e  scolpitezza  di  tratti  che  la  dogliosa 
figura  della  giovine  sacrificata  s'aderge  a'  nostri  occhi,  per  la  prima 
volta,  in  tutta  la  pienezza  della  sua  tragica  umanità.  La  prima  ste 
sura  conteneva,  si,  l'idea  primigenia  del  meraviglioso  ritratto  in 
quel  luogo  dove   si   diceva  che  la  bellezza  era  per  Gertrude  «  un 


(1)  Sp.  proìn.,  p.  228. 

(2)  Ibid.,  pp.  324-6. 


344  PARTE   TERZA 


rodimento  continuo,  un'occasione  di  regressi  affannosi  nel  passato 
e  di  sguardi  disperati  nell'avvenire  »  ;  ma  non  era  che  uno  scorcio, 
senza  gradazioni  e  contrasti  di  luce,  senza  vigor  di  rilievi  :  un  iho- 
tivo  patetico  coordinato  a  quei  sentimenti  di  sterile  vanità  e  d'in- 
soddisfatto orgoglio  che,  come  vedremo,  ella  derivava  dalla  sua 
stessa  bellezza.  Il  Manzoni  riflette  con  tutta  la  forza  del  suo  genio 
su  queste  che  sono  fra  le  più  tormentate  pagine  del  romanzo  ;  l' ispi- 
razione gli  si  rinnova  nell' anima  dilatandosi  e  nobilitandosi;  il  do- 
minante motivo  della  bellezza  non  sparisce,  ma  si  tempera  nell'ana- 
lisi con  altri,  secondo  appunto  la  discreta  e  perciò  più  profonda  e 
pietosa  ispirazione  del  poeta;  l'impressionismo  psicologico  cede  al- 
l'oggettività drammatica;  i  particolari,  l'aneddotico,  il  realistico  si 
dileguano  al  soffio  vigoroso  di  una  poesia  che  dalla  natura  s'  inalza 
allo  spirito;  taluni  sparsi  frammenti,  caduti  fuor  di  luogo  nel  pro- 
lisso racconto,  si  radunano,  come  a  portar  materia  ed  alimento  per 
la  nuova  fuzione;  ed  ecco  uscire  da  questo  paziente  e  ardente  lavorio 
di  ricomposizione  e  di  sviluppo,  in  vivo  contrasto  con  la  precedente 
celebrazione  della  religione  cristiana,  quella  densa  lucida  e  gagliarda 
dipintura,  in  cui  la  coscienza  etica  e  la  potenza  fantastica  del  poeta 
cospirano  al  medesimo  fine  di  esprimere  tutto  il ^ai/io*  dell'infelice 
oppressa  dagli  uomini  e  incapace  di  fortezza,  di  rassegnazione,  di 
carità:  «  L'infelice  si  dibatteva...  sotto  il  giogo  e  così  ne  sentiva 
più  forte  il  peso  e  le  scosse.  Un  rammarico  incessante  della  libertà 
perduta,  l'abborimento  dello  stato  presente,  un  vagar  faticoso  dietro 
a  desideri  che  non  sarebbero  mai  soddisfatti,  tali  erano  le  principali 
occupazioni  dell'animo  suo.  Rimasticava  quell'amaro  passato,  ricom- 
poneva nella  memoria  tutte  le  circostanze  per  le  quali  si  trovava 
11;  e  disfaceva  mille  volte  inutilmente  col  pensiero  ciò  che  aveva 
fatto  con  l'opera;  accusava  sé  di  dappocaggine,  altri  di  tirannia  e 
di  perfidia;  e  si  rodeva.  Idolatrava  e  insieme  piangeva  la  sua  bel- 
lezza, deplorava  una  gioventù  destinata  a  struggersi  in  un  lento 
martirio,  e  invidiava,  in  certi  momenti,  qualunque  donna,  in  qualun- 
que condizione,  con  qualunque  coscienza,  potesse  liberamente  go- 
dei'si  nel  mondo  que'  doni  »  (*). 

Questo  ritratto  delF anima,  in  perpetuo  travaglio,  campeggia  nel 
quadro,  disegnato  con  agilità  nuova  di  tocchi,  della  vita  di  Gertrude 
nel  chiostro,  e  da  esso  la  luce  irradia  tutt'  intorno,  o  tratteggi  il 
poeta  la  crucciosa  avversione  della  disgraziata  per  le  monache  «  che 


(1)  Proni,  sp.,  cap.  X,  pp.  156-7. 


IL    ROMANZO   IN    FORMAZIONE  345 


avevano  tenuto  di  mano  a  tirarla  là  dentro  »  (*),  o  il  dispetto  e  la 
rabbia  che  le  suscita  1'  «  aria  di  pietà  e  di  contentezza  »  delle  altre, 
innocenti  (^) ,  o  metta  in  contrasto  con  le  «  consolazioni  »,  vana- 
mente desiate,  della  religione,  quelle  mondane  degli  ossequi  che 
riceveva  e  della  protezione  che,  per  esser  figlia  d'un  potente,  si 
scapricciava  ad  ostentare;  dalle  quali,  però,  ritraeva  così  poco  con- 
tento   (3).  .>r-  .    C.1''-'--- 

Ma  perchè  il  senso  tragico  di  quella  rappresentazione  dominasse  , 
la  mente  del  lettore,  come  aveva  ispirato  con  nuova  forza  la  co- 
scienza del  poeta,  bisognava  toglier  via  tutto  ciò  che  nella  prima 
stesura  rimpiccioliva  la  figura  morale  di  Gertrude  e  distraeva  dalla  jS 
visione  totale  ed  organica  del  suo  concitato  e  fosco  dolore.  Ecco 
perchè  non  troviamo  più  nel  romanzo  quella  lunga  pagina  in  cui 
il  Manzoni  ci  presentava  Gertrude  tutta  occupata  e  orgogliosa  della 
sua  bellezza,  irridente  agli  «  occhi  sciarpellati  della  madre  badessa  » 
e  al  «mento  incartocciato  della  madre  celleraria>,  o  intesa  ad 
«  adornarsi  come  poteva»  e  a  «  ridurre  l'abbigliamento  monastico 
alle  fogge  secolaresche  »  o  ad  «  accordarlo  all'aria  del  suo  volto  >  ; 
né  pili  vi  troviamo  il  particolare  dello  specchio,  che  Gertrude  inge- 
gnosamente s'era  procurato  ('').  Tratti  di  volgaruccia  fatuità  e  vanità 
che,  per  quanto  dica  il  Manzoni  che  da  quelle  mondane  compiacenze 
Gertrude  ritraeva  maggiore  inquietitudine,  perturbavano  con  intem- 
perante realismo  la  poetica  rappresentazione  del  carattere. 

Eppure  qualcuno  potrebbe  osservare  che  la  logica  della  conve- 
nienza psicologica  avrebbe  potuto  far  riflettere  al  Manzoni  che  il 
figurare  Gertrude  orgogliosa  della  sua  bellezza  e  occupata  in  certe 
cure  mondane  della  sua  persona  non  solo  s'accordava  all'analisi  del 
suo  temperamento    leggero,    stravagante,    appassionato,    ma   faceva 


(1)  Ivi.  Più  prolissamente  negli  Sp.  prom.,  (p.  229)  e  con  un'intonazione  scherzosa, 
ch'era  fuori  posto,  ma  che  comprova  l'eccessiva  disposizione  burlesca  e  umoristica 
del  Manzoni  nello  stendere  la  prima  volta  il  romanzo,  cosi  che  non  ne  andarono  im- 
muni neppure  le  concezioni  e  le  situazioni  gravi.  Diceva,  per  es.,  che  Gertrude  «  si 
sfogava  avventando  beccate  agli  uccelli  che  avevano  cantato  per  farla  venire  nella 
loro  gabbia  ». 

(2)  Queste  compaiono  per  la  prima  volta  ne'  rifacimenti;  ed  è  evocazione  oppor- 
tuna che  giova  allo  sviluppo  psicologico  del  carattere  di  Gertrude  e  aggiunge  rilievo 
al  contrasto  tra  quello  che  la  religione  avrebbe  potuto  su  lei  e  il  suo  animo  restìo  ai 
conforti  della  fede. 

(3)  Prom.  sp.,  loc.  cit. 

(4)  Sp.  proìn.,  pp.  229-30.  Narrava  il  Manzoni  che,  «essendo  gli  specchi  proibiti 
nei  chiostri  come  i  lumi  nelle  polveriere»,  Gertrude  «aveva  fatto  porre  dietro  ad  un 
quadretto,  ch'ella  teneva  appeso  nella  sua  camera,  una  lastra  di  latta  levigatissima, 
e  a  quella  si  consultava  segretamente  ». 


346  PARTE   TERZA 


quasi  presentire  la  fatalità  del  peccato  e  intender  la  disposizione 
—  ove  una  diabolica  volontà  l'avesse  afferrata  —  a  più  gravi  travia- 
menti. Forse  il  Manzoni  pensò  anche  a  questo,  ma  tuttavia  preferì  di 
sopprimere  quella  pagina,  poiché  non  meno  della  legge  dell'armo- 
nia e  della  convenienza,  non  meno  dell'esigenza  dell'abbreviare,  nel 
rifacimento  dell'episodio  monzasco  ha  influito  sul  suo  vigile  spirito 
un  motivo,  dirò  così,  di  decoro  morale,  che  nella  sua  mente  faceva 
tutt'uno  con  la  convenienza  poetica;  onde  l'elevazione  etica  del  per- 
sonaggio (e  non  solo  di  Gertrude,  ma  dì  tutti),  dovuta  alla  disposi- 
zione più  serena  e  pietosa  con  cui  la  coscienza  del  poeta  rielaborò 
il  suo  mondo  storico-romanzesco,  si  tradusse  in  forme  d'  arte  più 
temperate  e  pensose. 

Vili.  Questo  criterio  d'  un  maggior  decoro  morale,  riflettentesi 
nella  classica  compostezza  della  nuova  forma  che  assume  il  roman- 
zo, ha  modificato  anche  più  efficacemente  e  profondamente  la  de- 
scrizione del  colpevole  amore  di  Gertrude  e  dei  delitti  cui  la  so- 
spinse la  folle  passione.  Trattando  ora  questo  argomento,  entreremo 
nel  vivo  di  una  anche  troppo  rumorosa  questione  letteraria,  comin- 
ciata fin  dalla  prima  apparizione  de'  Brani  inediti  e  non  ancora  de- 
finitivamente risoluta. 

Descriveva  il  Manzoni  nella  prima  stesura  in  modo  particolareg- 
giato, sebbene  alquanto  confuso,  il  quartiere  dell'educande  e  di  Ger- 
trude, addetta  alla  loro  sorveglianza,  e  la  contigua  «  casa  privata  e 
signorile  »,  da  un  abbaino  della  quale,  sopra  i  tetti,  Egidio,  guar- 
dando nel  <  cortiletto  del  chiostro  »,  veniva  spesso  ad  occhieggiar 
le  giovanette  allieve.  Venendo  a  parlare  di  quel  «  giovane  scelle- 
rato »,  s'intratteneva  a  ritrarre  lo  spirito  facinoroso  e  sanguinario 
del  secolo,  l'impunità  dilagante  de'  delitti,  il  mal  presunto  senso 
d'onore  che  s'annetteva  alle  vendette  private,  la  perversa  indulgenza 
agli  omicidi  per  quel  «  sentimento  »-  divenuto  ormai  «  universale, 
che  una  certa  misura  di  animosità,  di  crudeltà  e  dì  delitto  fosse 
una  condizione  necessaria  ed  inevitabile  della  società  ».  Accortosi 
di  essersi  avviato  «  in  una  nuova  digressione  »,  s'affrettava  poi  il 
Manzoni  a  ritornare  alla  storia  de'  suoi  personaggi;  e,  nella  revi- 
sione del  romanzo,  avvedutosi  d'aver  fatto  nel  principio  dell'opera 
una  consimile  descrizione  della  società  secentesca  (*),  die'  un  gran 


(1)  Cfr.  Sp.  prora.,  pp.  22-5;  Prom.  sp.,  cap.  I,  pp.  13-15.  Del  quadro  nuovo,  che 
leggiamo  nel  luogo  dell'episodio  di  Gertrude,  non  conservò  alcuna  linea  nel  romanzo, 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  347 

frego  a  codesta  dissertazioncella  storica,  che,  oltre  ad  essere  digres- 
siva, era  addirittura  superflua.  Tornato  al  racconto,  schizzava  un 
magro  ritratto  del  padre  di  Egidio  e  ne  sbozzava  un  altro,  con  qual- 
che più  vivo  rilievo,  di  costui  (ci  servirà  piti  innanzi  per  ricostruire 
la  figura  psicologica  del  seduttore  di  Gertrude)  e  lo  metteva  quindi 
in  azione  di  sfacciato  curioso,  dedito  agli  amoreggiamenti,  che,  dopo 
essere  riuscito  a  civettare  con  una  delle  più  adulte  delle  educande, 
quando  costei  lasciò  il  monastero,  «  allettato  più  che  atterrito  dal- 
l'empietà »  del  nuovo  disegno,  «  si  diede  ad  agguatare  »  la  stessa 
Gertrude  (*).  Confrontando  a  questo  punto  l'ultimo  testo  definitivo, 
vi  troviamo  ridotte  ai  puri  cenni  necessari  la  descrizione  de'  luoghi 
e  la  figurazione  del  nuovo  personaggio,  segnata  a  tocchi  svelti  e  con- 
cisi l'improntitudine  con  cui  il  giovane  scellerato  osò  un  giorno  ri- 
volgere il  discorso  a  Gertrude,  e,  quindi,  risonante  come  una  battuta 
potente  e  improvvisa  la  grande  frase:  «  La  sventurata  rispose  »  (-). 

La  minuta  narrava  con  tutt' altro  spirito  e  stile  la  successione  de' 
fatti  e  il  cominciamento  della  tresca.  «  Un  giorno  »  —  vi  si  leggeva 
—  la  Signora  passeggiava  essa  sola  innanzi  e  indietro  nel  cortiletto 
del  chiostro  »,  senza  alcun  sospetto,  «  come  il  pettirosso  sbadato 
saltella  di  ramo  in  ramo  »  e  non  sa  neppure  immaginare  i  «  panioni  » 
e  il  «  cacciatore  »  nascosti,  quand'ecco  la  colpì  «  come  un  romore  di 
voce  non  articolata  >;  «  macchinalmente  »  levò  la  faccia  e  sogguardò 
qua  e  là;  «  una  chiamata  misteriosa  e  cauta  >  la  fece  rivolgere  a 
un  punto:  «  guardò  più  fissamente  »  e  «  i  cenni  che  vide  non  le 
lasciarono  dubbio  sull'intenzione  di  quella  chiamata  ». 

Fermiamoci  un  po'  e  immaginiamo  che,  a  questo  punto,  seguisse 
la  nota  frase:  «  La  sventurata  rispose».  Ogni  analisi  ulteriore  del- 
l'agitazion  di  Gertrude  sarebbe,  non  che  superflua,  contraddittoria; 
una  situazione  precisa  ci  si  prospetterebbe  dinanzi,  proprio  quella 
della  corrispondenza  immediata,  a  cui  s'  abbandona,  come  sospinta 
da  una  forza  irresistibile,  l'anima  inquieta  ed  esacerbata  di  Gertrude 


nemmeno  trasferendola  nella  dipintura  storica  delle  prime  pagine,  dove  anzi  condensò 
la  materia  trattata  nel  luogo  corrispondente  del  primo  testo.  Questo  punto,  per  quanto 
secondario,  andava  rilevato,  avendo  il  Manzoni  operato  quel  taglio,  non  perchè  inten- 
desse rifondere  alcun  che  della  nuova  analisi  storica  nella  descrizione  iniziale,  ma 
perchè  capì  d'aver  fatta  una  digressione  vera  e  propria  e  del  tutto  soverchia.  Ciò, 
piuttosto,  prova  un'altra  cosa;  come,  cioè,  l'autore  nella  prima  redazione  dell'opera, 
fosse  tutto  immerso  nella  storia  del  secolo  che  veniva  dipingendo,  e  fosse  dominato 
dall'interpretazione  etica  di  quella  società,  e  dall' impressicne  che  ne  riceveva,  come 
d'un  secolo  violento  e  sanguinario,  al  punto  d'abbandonarsi  a  dissertarne  di  nuovo, 
sul  medesimo  tono,  quand'era  ancora  a  poco  più  d'un  terzo  dell'opera. 

(1)  Sp.  prora.,  pp.  237-9. 

(2)  Prom.  sp.,  cap.  X,  p.  158. 


348  PARTE    TERZA 


nell'ultima  redazione  del  romanzo.  Invece  la  minuta  la  prospettava 
sotto  ben  altra  luce. 

«  Il  sentimento  eh'  ella  provò  in  quel  punto  fu  un  terrore  schietto 
e  forte:  chinò  tosto  lo  sguardo,  fece  un  cipiglio  severo  e  sprezzante, 
e  corse  come  a  rifuggirsi  »  sotto  il  portico  attiguo  a  quella  casa; 
quindi  «  tirando  lunghesso  il  muro,  rannicchiata  e  ristretta  come  se 
fosse  inseguita  »,  giunse  a  una  scaletta,  salì  nelle  sue  stanze  «  e  vi 
si  chiuse,  quasi  per  porsi  in  sicuro  >  (*).  Come  spiegare  quest'  at- 
teggiamento dell'infelice,  del  quale  non  rimarrà  neppur  l'ombra 
nella  rinnovata  dipintura  del  romanzo?  Certamente  esso  è  il  riflesso 
poetico  d'una  disposizione  pietosa  e  simpatica  del  Manzoni  verso  la 
singolare  creatura  della  sua  fantasia;  ma  soprattutto  è  il  segno  evi- 
dente del  modo  com'  egli,  la  prima  volta,  immaginò  la  genesi  psi- 
cologica di  quella  sciagurata  passione.  Gertrude  —  noi  lo  sappiamo  — 
non  è  una  perversa  di  natura,  ma  piuttosto  la  vittima  di  una  falsa 
educazione  e  d'una  perfida  violenza;  quel  suo  primo  impulso  di  ter- 
rore, quell'atteggiamento  di  sprezzante  disapprovazione  —  nonché 
accordare  alle  linee  essenziali  della  figura  psicologica  —  riflettevano 
i  suoi  naturali  sentimenti  della  vergogna  e  dell'orgoglio  (unici  forse 
in  lei)  che  più  le  nocquero  nella  lotta  co'  suoi  tiranni:  terrore  e 
disprezzo,  a  cui  il  Manzoni  dava  rilievo  anche  per  la  ragione,  come 
apparirà  meglio  fra  poco,  che  aveva  ormai  disegnato  nella  sua  mente 
di  rappresentare  la  colpa  di  Gertrude  attraverso  una  lotta  interiore, 
ch'ella  non  seppe  volgere  al  fine  della  propria  salvezza. 

Chiusa  nella  sua  stanza,  «  fu  assalita  da  una  folla  di  pensieri  »  : 
aveva  ella  dato  motivo  «all'arditezza  di  lui?  »  No,  si  sentì  inno- 
cente, e  «  se  ne  rallegrò  ».  Ma  mentre  detestava  ciò  che  aveva  ve- 
duto, «  se  lo  andava  raffigurando  e  rimettendo  nella  immagina- 
zione ».  Certo,  lo  faceva  per  venir  al  chiaro  ;  se  non  che,  intanto, 
a  furia  di  pensarci,  si  andava  «  famigliarizzando  con  quella  imma- 
gine, e  diminuiva  quel  primo  orrore  e  quella  prima  sorpresa  ».  Sì, 
era  la  coscienza  della  sua  innocenza  che  «  le  dava  una  certa  sicurtà 
a  tornare  su  quelle  immagini  »;  ma  intanto  s'abbandonava  in  balia 
d'una  «  curiosità  »  pericolosa  e  «  guardava  senza  rimorso  e  senza 
precauzione  una  colpa  che  non  era  la  sua  »  :  si  levò  di  là  «  stanca 
di  tanti  pensieri».  Noi  già  entriamo  nel  segreto  intento  dell'ana- 
lizzatore acuto  e  pensoso,  e  prevediamo  a  che  andrà  a  finire  tutta 
codesta  preparazione  psicologica.  Se  Gertrude  avesse  coltivato  con 
tutta  la  vigoria  possibile  del  suo  animo  quelle  prime  affezioni  d'or- 


(1)  Sp.  prom.,  p.  239. 


IL   ROMAKZO   IN    FORMAZIONE  349 


rore  e  di  disprezzo,  sarebbe  stata  salva.  È  il  tormentio  degli  opposti 
pensieri,  sono  le  fluttuazioni   e   gli   avvolgimenti  della   sua  mente 
inquieta,  a  cui  non  splende   un'  alta  e  pura   luce  morale,   che   così 
in  questo  nuovo  e  più  funesto  cimento  a  cui  la  trascina  il  suo  de- 
stino, come  già  nella  lunga  impari  lotta  col  padre,  la  ridurranno  in 
servitù  di  uno  più  forte  e  più  iniquo  di  lei.    Il   poeta,   mentre   ac- 
cresce l'ansia  in  noi  per  la  sorte  dell'infelice,  ci  fa  già  presentire 
il  non  lontano  trionfo  del  male.  Che  fece  poi  Gertrude?  Che  doveva 
fare?  Sottrarsi  per  sempre  dallo   sguardo   insidioso   del   nuovo  ne- 
mico;   denunziare  l'empia  temerità  ai  superiori.   Non  fece  nulla  di 
ciò.   Esitò  alquanto   tempo  :    la    «  curiosità  »    o    —    soggiungeva   il 
poeta  con  rapida  intuizione  —  «  qualche  cosa  di  peggio  >  la  voleva 
indurre  a  ripassare  il  cortiletto  per  lanciar  lassù  uno  sguardo...  Ma . 
a  qual  fine?  Oh,   solo  «per  saper  meglio  come  regolarsi!  »  rispon- 
deva a  sé  stessa  :  sofisma  di  mente  curiosa  e  fantastica  !  Se  ne  rav- 
vide e  prese  la  via  del  dormitorio  per  giungere  nella  stanza  del- 
l'educande. Ivi,  «  o  fosse   caso  o  un   resto   di   quell'esitazione,  ella 
s'affacciò  ad  una  finestra,  che  aveva  dirimpetto  appunto  quei  tetti, 
vi  guardò  e  vide  »  fermo  in  agguato,  come  prima,  il  «  temerario  ». 
Ora  crescono  i  turbamenti,   cui  non  varrà  a  colmare  nemmeno  la 
coscienza  di  riconoscersi  innocente.  Fuggì  anche  di  lì,  dicendo  brevi 
parole  all'educande  «  con  voce  commossa  ».   Nel  giardino  del  chio- 
stro, ove  scese  a  passeggiare,  «  stava  peggio  »  di  prima.  Nuovi  con- 
trastanti  pensieri  e   appassionate  consulte!     Avvertire  i  superiori? 
E  se  si  fosse  ingannata?  prima  di  parlare  doveva  esser  certa  !..  Era 
sua  colpa  se  quel  monastero   era  piantato  li  vicino  a  quella  casa? 
«  Così  non  foss'egli  stato  piantato  in  nessun  angolo   della  terra!  » 
E  in  uno  scatto  d'insolita  energia   disse  a  sé  stessa:   «Vada  come 
sa  andare  io  non  voglio  pensarvi  ».  Non  pensarvi?  con  quella  natura 
debole  e  contraddittoria  avrebbe  dovuto  sfuggir  per  sempre  all' «as- 
sedio dello  scellerato  Egidio  »,  che  «  non  rallentò  ».  Invece  il  primo 
impulso  d'orrore  e  sprezzo  era  fiaccato:   ella  accettò   la  lotta:  e  fu 
la  sua  rovina;   ecco   dal  disapprovare  le    «  istanze  »   di  colui,   alle 
dimostrazioni  di  «  noncuranza  »,  a  quella  più  pericolosa  di  «  tolle- 
ranza »  era  breve  il  passo:  dopo,  in  un'anima  fragile,  ardente,  non 
rassegnata  alla  sua  sorte  ineluttabile,  poteva  esserci  ancor  qualche 
esitazione  e  contrasto,  ma  ella  sarebbe  caduta  nella  colpa.  «  Final- 
mente dopo  un  doloroso   combattimento  si  diede  per  vinta  in  cuor 


(1)  ima.,  pp.  239-40. 


350  PARTE   TERZA 


SUO,  e,  con   quei  mezzi   che  lo   scellerato   aveva  saputo  trovare  e 
additarle,  lo  fece  certo  della  sua  infame  vittoria  »  (^). 

Ognuno  intende,  ormai,  la  differenza  profonda  tra  la  rappresenta- 
zione di  una  resistenza  che,  se  si  fiacca  all'ultimo,  dura  in  un  con- 
trasto d'alternate  passioni,  e  quel  risponder  pronto  al  primo  appello 
di  Egidio.  Che  cosa  rispose  Gertrude?  Parole  di  cortesia,  di  simpatia, 
di  consenso?  Tanto  è  significativo  l'atto,  quanto  è  misterioso  il 
senso,  lo  spirito,  la  portata  di  esso.  Ma  potevano  esser  parole  di  di- 
sapprovazione, come  quelle  che  indoviniamo  dagli  accenni  della 
minuta?  No,  se  guardiamo  il  nesso  logico  e  psicologico,  in  cui  la 
minuta  e  l' ultima  redazione,  dopo  il  lungo  divario  ora  osservato,  si 
congiungono  per  identità  di  situazione,  se  non  di  stile.  Di  fatto  quel 
che  leggevasi  dopo  i  segni  d'assenso  di  Gertrude  al  suo  tentatore: 
«  cessato  il  combattimento,  la  sventurata  provò  per  un  istante  una 
falsa  gioia»,  s'è  trasformato  in  queste  parole,  seguenti  immediata- 
mente alla  famosa  frase:  «  In  que'  primi  momenti,  provò  una  con- 
tentezza non  schietta  al  certo,  ma  viva  ».  Lo  stesso  avviamento  d'a- 
nima che  s'  abbandona  alle  lusinghe  d'emozioni  nuove  e  liete;  gli 
stessi  effetti  nel  sentire  e  nell'agire  di  lei^  salvo  lievi  ritocchi  di 
figurazione,  che  nel  primo  testo  era,  come  al  solito,  analitica  ed  al- 
quanto accesa.  ( —  «  Alla  noia,  alla  svogliatezza,  al  rancore  intimo, 
succedeva  tutto  ad  un  tratto  nel  suo  animo  un'occupazione,  forte, 
gradita,  continua,  una  vita  potente  si  trasfondeva  nel  vuoto  dei  suoi 
affetti.  Gertrude  ne  fu  come  inebbriata  »  — )  ed  è  più  sobria,  ma  non 
meno  robusta  nell'  ultimo  ( —  «  Nel  vóto  uggioso  dell'  animo  suo 
s' era  venuto  a  infondere  un'  occupazione  forte,  continua  e  direi  quasi 
una  vita  potente  »  — ). 

Se  non  che  la  serie  de'  sentimenti  e  degli  accidenti  descritta 
nella  minuta,  non  che  esser  sottintesa,  non  è  punto  concepibile: 
l'avvio  alla  passione  peccaminosa  è  Io  stesso;  ma  la  preparazione 
è  profondamente  diversa.  Non  nego  che  la  valutazione  compara- 
tiva, che  i  critici  vennero  facendo  tra  le  primitive  pagine,  analiz- 
zanti le  interne  vicende  per  cui  passa  Gertrude  prima  di  rispon- 
dere al  tentatore,  e  la  frase:  «La  sventurata  rispose»,  sia  stata 
destra  e  acuta  e,  sotto  un  certo  rispetto,  utile  altresì  all'intendimento 
dell'  arte  manzoniana  ;  ma  mi  sia  lecito  osservare  che  la  questione, 
qualora  miri  a  determinare  la  superiorità  artistica  ^dell'  un  passo 
sull'altro,  non  può  reggersi  se  non  in  quanto  si  tratti  di  rifacimento 
stilistico,  di  procedimento  più.  profondo  e  più   efficace  nel  figurare 


(1)  Ibid.,  pp.  240-1. 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  351 


un  medesimo  stato  d'  animo,  di  lineazione,  dirò  così,  più  risentita 
di  una  data  situazione,  che,  come  l' avesse  concepita  il  poeta  nel 
primitivo  disegno,  tale  fosse  rimasta  nel  romanzo. 

Gli  è  invece  che  abbiamo  due  situazioni  psicologiche  diverse,  due 
modi  diversi  d'immaginare  come  ebbe  cominciamento  la  colpa  d'a- 
more dell'infelice  reclusa. 

Nel  romanzo  Gertrude  non  sostiene  combattimenti  interni,  non  ha 
sentimenti  d'orrore,  dì  disapprovazione,  propositi  —  per  quanto  ca- 
duchi —  di  noncuranza,  trapassi  graduali  alla  tolleranza  e  da  ultimo 
alla  condiscendenza:  ella  all'appello  insinuante  risponde,  senza  esi- 
tazione, come  attratta  d'impeto  in  un  cerchio  magico.  Fondamento 
e  preparazione  a  questo  abbandono  immediato  sono  i  precedenti 
psicologici,  il  disordine  morale,  o  analizzati  o  drammatizzati  nelle 
pagine  consacrate  al  racconto  dell'adolescenza  di  lei  e  della  prima 
sua  vita  nel  monastero.  Quella  frase  è  un  passo  de'  piìi  breviloquenti 
che  siano  nel  romanzo:  lapidario  nella  sua  semplicità,  contenuto, 
vibrato,  conclusivo  nella  sua  concinnità;  se  ne  riceve  l'impressione 
come  d'  un  lampeggiamento  tanto  vasto  e  abbagliante  quanto  rapido 
e  fugace.  Non  c'è  che  un  epiteto  «  la  sventurata  »  ;  ma  non  scolpisce, 
non  colorisce  un  moto,  un  atto,  un  sentimento,  un  pensiero  di  lei, 
giacche  è,  piuttosto,  l'eco  riflessa  della  commiserazione  grave  del 
poeta.  Frase  nuda,  quasi  scheletrica;  epigrammatica,  senza  colore, 
senz'  ombra  e  luci,  in  cui  aliti  la  pena  dell'anima,  ma  che  tuttavia 
conquide  per  la  pienezza  di  realtà  ond'  è  materiata,  per  il  fulmineo 
avanzare  verso  la  catastrofe,  senza  svolgimento  o  contrasto,  di  quel 
breve  dramma  della  seduzione. 

Taluni  critici  hanno  insistito  anche  troppo  sul  modo  restrittivo 
con  cui  il  Manzoni  significò  i  primi  passi  di  Gertrude  nella  colpa, 
suir  eliminazione  assoluta  eh'  ei  venne  facendo  d'ogni  elemento  rap- 
presentativo della  passione  amorosa,  poiché  hanno  riguardato  quel 
«  rapido  e  asciutto  »  :  «  La  sventurata  rispose  »  come  il  residuo  sin- 
tetico della  più  lunga  storia  interna  descritta  nella  minuta.  Che  essa 
non  significhi  neppur  in  ombra  i  «  principi  »  dell'amore  quali  al- 
meno sono  analizzati  nella  prima  redazione,  è  un'impressione  che 
viene  spontanea  se  la  si  confronti  con  la  descrizione  primitiva:  ma 
che  rispetto  a  questa  sia  come  il  risultato  di  un  processo  di  corre- 
zione e  attenuazione,  imposto  al  Manzoni  dalla  sua  stessa  teoria  pro- 
fessata nella  «  Digressione  sull'amore»,  io  non  convengo.  Ecco  ap- 
punto lo  Zumbini  spiegare  il  fatto  del  mutamento  dall'una  all'altra 
stesura  pensando  che  da  principio  «  con  quegli  accenni,  rapidi  e 
quasi  fuggitivi,  all'  amore  di  Gertrude  »  dovè  parere  al  Manzoni  di 


352  PARTE    TERZA 


«rimaner  fedele  ai  suoi  rigorosi  concetti  etici»,  ma  che  poi  «  dovè 
persuadersi  »  che  fosse  ancor  troppo  ciò  che  aveva  scritto  nella  mi- 
nuta; onde  «nuove  eliminazioni  e  nuove  correzioni  e  sempre  in 
omaggio  a  quegli  stessi  criteri  etici  per  cui  erano  state  fatte  le 
prime  »  (^). 

10  penso,  al  contrario,  che  il  Manzoni  ritenesse  di  aver  poco  o 
male  applicati  e  interpretati,  nella  prima  analisi  della  colpevole  pas- 
sione di  Gertrude,  i  criteri  etici  esposti  fin  da  quando  gli  si  affac- 
ciò il  problema  se  doveva  descrivere  il  nascimento  e  i  progressi  del 
puro  amore  de'  due  promessi,  perchè  è  difficilmente  ammissibile  che 
uno  scrittore  della  logica  e  della  dirittura  del  Manzoni,  dopo  aver 
espresso  a  chiare  note  una  sua  dottrina  che  è  come  la  rivelazione 
de'  suoi  intenti  e  procedimenti  artistici  rispetto  ad  una  speciale  ma- 
teria d'arte,  se  ne  dilungasse  nel  fatto  e  poi,  correggendosi,  venisse 
a  confessare  a  sé  stesso  di  non  averla  fedelmente  osservata.  E  sa- 
rebbe anche  più  grave  il  trascorso  del  poeta,  secondo  l' interpreta- 
zione data  dai  critici  a  quelle  parole  eh'  egli  esciva  a  dire  in  un 
punto  della  descrizione:  «  Il  nostro  manoscritto  segue  qui  con  lun- 
ghi particolari  il  progresso  dei  falli  di  Geltrude  ;  noi  saltiamo  tutti 
questi  particolari  e  diremo  soltanto  ciò  che  è  necessario  a  fare  in- 
tendere in  che  abisso  ella  fosse  caduta  e  a  motivare  gli  orribili  ec- 
cessi d'  un  altro  genere,  ai  quali  la  trascinò  la  sua  caduta  »  (*). 
Protesta  «  tardiva  »  —  dice  lo  Zumbini  —  «  quando  già  aveva  de- 
scritto i  primi  e  i  piìi  potenti  effetti  dell'amore  »  e  soggiunge  che 
«  i  salti  che  il  Manzoni  disse  di  dover  fare,  qui  non  li  fece  »  e  che 
insomma  «  in  quei  rapidi  tocchi,  c'è  quanto  basta  per  farci  assiste- 
re, non  veramente  alle  «  comunicazioni  »  dell'amore  (oh,  questo  no  !), 
ma  certo  ai  «  principi  »  e  agli  «  aumenti  »  che,  pure  secondo  il  con- 
cetto manzoniano,  andavano  scartati  »  (^). 

Più.  drittamente  mostra  di  pensare  il  D'  Ovidio  lasciando  inten- 
dere, di  passata,  che  contraddizione  non  ci  fosse  tra  la  «  digressione 
sull'amore  »  e  l'analisi  della  prima  stesura;  nella  quale  ei  non  trova 
«nemmeno  i  «principi»  della  passione  amorosa»  {*). 

11  fatto  è  che  il  Manzoni  a  buon  diritto  poteva  asserire  di  aver 
saltati  e  di  esser  per  saltare  i  «  particolari  »  della  sciagurata  tresca 


(1)  B.  Zumbini,  L'episodio  della  monaca  di  Monza  nella  prima  minuta  dei  Pro- 
messi sposi,  nella  Misceli,  di  Scritti  di  storia  di  filologia  e  d'arte,  per  nozze  Fedele-De 
Fabritiis,  Napoli,  Ricciardi,  1908,  p.  269. 

(2)  Sp.  prom.,  p.  241. 

(3)  Scritto  cit.,  pp.  267-8. 

(4)  Nuovi  st.  nianz.  cit.,  p.  480. 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  353 


di  Gertrude;  che  s'attenne,  senza  contraddirsi,  ai  canoni  della  sua 
dottrina  nella  rappresentazione  artistica  dell'  amore,  descrivendo, 
così  nella  minuta  come  nel  romanzo,  solo  ciò  eh'  era  necessario  a 
intendere  la  rovinosa  caduta  di  quella  disgraziata  ;  e  che  se  un  cri- 
terio morale,  espressamente  dichiarato,  governò  e  contenne  l'analisi 
de'  primi  combattimenti  e  della  funesta  dedizione  nella  prima  ste- 
sura, è  stato  piuttosto  un  criterio  estetico  quello  che  suggerì  al 
poeta  di  tagliarla  via  per  sostituirvi  la  frase  famosa. 
)4  E  stata,  non  dico  —  come  valenti  studiosi  hanno  asserito  —  1'  e- 
sigenza  di  ridurre  e  di  coordinare,  che  per  vero  dire  quelle  appena 
quattro  pagine  non  avrebbero  nociuto  alla  proporzione  e  all'armonia 
dell'  episodio  (*),  ma  l' intuizione  nuova  che  del  carattere  del  suo 
personaggio  e  di  quella  situazione  particolare  ebbe  il  poeta,  rimedi- 
tando il  suo  lavoro,  e  che  dovè  parergli  più  rispondente  a  quel  pro- 
cedimento di  compostezza,  di  temperanza,  di  serenità  artistica,  con 
cui  era  venuto  rinnovando  e  si  preparava  a  rinnovare  tutto  l'episodio. 

La  frase  mirabile  non  sintetizza,  come  s'è  sentito  dire  più  volte 
nella  discussione  intorno  ai  Brani  Inediti,  l'analisi  della  prima  re- 
dazione: il  radicale  mutamento  di  disegno,  di  condotta,  di  stile  è 
dipeso  dalla  diversa  concezione  morale  e  dalla  diversa  attitudine 
psicologica  ed  artistica  del  poeta  nel  rimeditare  quella  situazione 
della  creatura  immortale  della  sua  fantasia. 

Gertrude  certamente  non  è  la  stessa  nelle  due  redazioni  e  ad 
osservarne  la  lotta  e  i  patimenti  ch'ella  sostiene  prima  di  darsi  per 
vinta  al  colpevole  amore,  può  apparire,  come  parve  allo  Zumbini, 
«  moralmente  migliore  »  e  «  più  drammatica  »  (*)  nella  prima  che 
nella  seconda.  Se  non  che  avviene  subito  di  domandarci  :  è  possi- 
bile che  il  Manzoni,  il  cui  studio  è  stato  finora,  nella  rielaborazione 
-  dell'episodio,  di  presentar  l'infelice  in  un  aspetto  più  decorosamente 
morale  e  più  altamente  poetico,  abbia  inteso,  in  questo  punto,  ad 
oscurare  anche  quel  po'  di  virtù  e  di  nobiltà  che,  secondo  il  giu- 
dizio dell'  insigne  critico  calabrese,  splendeva  ancora  nella  primitiva 
figura  della  sventurata  ?  0  non  dovette  piuttosto  il  Manzoni  sentirsi 
sollecitato  dalla  cura  contraria?  E  dove  gli  paresse  non  fosse  luogo 
a  pietà  nell'analisi  della  minuta,   cercasse  di  suscitarla   col   creare 


(1)  È  un'obiezione  che  può  servire  anche  a  que'  critici  i  quali  in  questo  come  in 
altri  mutamenti  dell'episodio  monzasco  hanno  scorto  l'influsso  di  scrupoli  morali  e 
religiosi,  e,  perfino,  di  consigli  altrui.  Per  me,  al  contrario,  essa  ha  valore  solo  in 
quanto  solleciti, lo  studioso  ad  approfondire  l'indagine  delle  ragioni  artistiche  de' 
mutamenti  operati. 

(2)  Scritto  CU.,  p.  268. 


Busetto  —  23 


354  PARTE   TERZA 

una  situazione  più  delicata,  più  densa  di  mistero,  più  dolorosamente 
tragica  ? 

E  vero  che  in  quella  descrizione  Gertrude  ha  un  primo  moto  di 
sorpresa  sdegnosa  e  di  schietto  orrore  pel  giovane  temerario;  ma 
ne'  dibattiti  de'  suoi  sentimenti  e  pensieri  rivela  una  fantasiosa  sen- 
sibilità, una  sofìstica  curiosità,  un  dispettoso  orgoglio,  che  sono 
propriamente  i  caratteri,  già  da  me  analizzati,  di  quel  suo  tempe- 
ramento quale  il  Manzoni  con  certa  crudezza  di  linee  e  di  toni  aveva 
ritratto  nella  prima  stesura.  Quegli  stessi  combattimenti  dell'anima 
agitata  da  opposte  passioni,  quel  primo  proposito,  forse  non  molto 
sicuro,  ma  insistente,  di  ritrarre  il  pensiero  da  ciò  eh'  aveva  veduto 
e  sentito,  di  sfuggire  alle  insidie,  danno  l'impressione  ch'ella  può 
durar  nella  lotta  e  vincerla,  purché  secondi  con  vigore  i  primi 
buoni  impulsi  della  coscienza.  Per  contro,  in  quel  digradare  dalla 
disapprovazione  alla  noncuranza  sforzata,  da  questa  alla  tolleranza, 
e  finalmente  al  consentimento,  si  manifesta  tutta  la  contaddittoria 
e  fragile  natura  di  Gertrude  e  il  gran  vuoto  ch'era  nella  sua  co- 
scienza morale.  Poiché  si  tenga  ben  presente  che  —  o  non  ci  sia 
riuscito  r  artista  psicologo  o  non  l' abbia  voluto  —  dall'  analisi 
fatta  non  traspare  che  un' inquietitudine  scomposta,  non  già  palpiti 
e  fremiti  di  una  passione,  che  cresca  e  divampi,  e  piuttosto  l'on- 
deggiar d'una  volontà  torbida  e  fiacca  che  il  turbamento  profondo 
d'una  coscienza. 

E  guardatela  quando  tira  in  campo  il  monastero  e  lo  maledice, 
e  quando  cerca  di  persuadersi  a  guardare  verso  1'  abbaino  se  colui 
sia  ancora  là  in  agguato,  col  pretesto  di  potersi,  poi,  regolar  meglio, 
e  ricalcitra,  pel  dubbio  (ma  poteva  esservi  più  dubbio?)  d'essersi 
ingannata,  dal  buon  consiglio,  che  le  si  «  presentava  »  pur  «  come  un 
dovere  >,  di  denunziar  l'accaduto  a  chi  l'avrebbe  potuto  proteggere 
e  liberare  da  ogni  fastidio.  Chi  non  scorge  in  codesti  suoi  atteggia- 
menti un'ombra  di  volgare  e  sofistica  debolezza?  Io,  dunque,  non 
trovo  nulla,  nella  rappresentazione  della  minuta,  che  raffiguri  una 
migliore  moralità  del  personaggio.  E  neppure  un  più  vivo  carattere 
drammatico.  Tutto  sta  intendersi  su  ciò  che  sia  e  che  valga  esteti- 
camente l'essenza  del  dramma. 

Se  è  dramma  vero  e  profondo  non  il  patetico  fluttuar  de'  senti- 
menti leggeri  e  fiacchi,  non  l'aggirarsi  dello  spirito  fra  immagina- 
zioni e  impressioni  confuse,  che  turbino  la  mente  più  che  sconvolgere 
il  cuore  o  la  coscienza,  ma  il  tumultuar  tempestoso  degli  affetti  e 
delle  passioni  in  contrasto  o  il  tra  volgimento  ed  offuscamento  di 
un'anima,  cui  trabalza  dalla  quiete  all'affanno,  dall'innocenza  alla 


IL   ROMANZO   IX   FORMAZIONE  355 

colpa  il  malig-no  istinto  invincibile  o  il  fato  inesorabile,  allora  io 
non  deduco  dalla  primitiva  analisi  manzoniana  alcun  senso  di  alta 
tragedia. 

E  c'è  del  vero  —  se  si  tolga  qualcosa  di  sottilmente  esagerato 
o  di  crudo  —  nel  giudizio  che  di  recente  ne  ha  dato  lo  Scarano, 
al  quale  è  parso  che  essa  «  abbia  la  dote  della  perfetta  regolarità  » 
e  che  «  il  processo  de'  fatti  psicologici  segua  troppo  l'ordine  lo- 
gico ».  Giustamente  e  bellamente  egli  si  chiede:  «  dove  i  pensieri 
dolci  e  il  molto  desìo  che  menarono  costei  al  passo  deUa  colpa? 
ove  le  incertezze,  le  fluttuazioni,  le  trepide  attese,  i  proponimenti 
fatti  e  disfatti,  la  prepotenza  de'  fantasmi  lusinghieri,  lo  scoppio 
della  passione?  »  (^).  Non  direi,  però,  che  in  Gertrude  «abbiamo! 
sentimenti  tipici,  la  logica  de'  sentimenti,  non  i  sentimenti  in  atto  », 
ne  pretenderei  di  trovare  rappresentata  fin  dal  primo  abbozzo  «  una 
lotta  tra  la  ragione  o  il  dovere  e  l'istinto  prepotente  della  sua  na- 
tura amorosa,  nutrita  d' immagini  seduttrici  »  (*),  perchè  non  si 
tratta  tanto  di  schemi  tipici  o  logici,  quanto  di  scarso  sviluppo 
d'analisi,  e  perchè,  infine,  ogni  autore  bisogna  accettarlo  e  valutarlo 
per  quello  che  è,  ovverosia  per  quello  che  si  è  proposto  di  dire 
secondo  la  natura  e  i  modi  della  sua  tempra  e  della  sua  arte;  ond'è 
vano  far  colpa  al  Manzoni  di  non  aver  figurata  «  la  fiumana  rapi- 
nosa della  voluttà  »  quand'egli  —  sia  che  affisi  lo  sguardo  sull'  a- 
more  puro  di  Lucia  o  sulla  passione  peccaminosa  di  Gertrude,  sia 
che  ne  dia  la  rappresentazione  per  analisi  o  per  sintesi  —  non  ne 
traccerà  che  le  linee  essenziali  con  vigorosa  idealizzazione  della 
realtà,  e  nelle  lucide  forme  della  sua  arte  sobria  e  decorosa  non 
svelerà  dell'una  se  non  la  delicata  umanità  e  dell'altra  il  tragico 
afi'anno. 

Tornando  al  confronto  della  descrizione  della  prima  stesura  con 
la  nuova  rappresentazione  rapida  e  concisa  del  romanzo,  non  solo 
possiamo  dire  che  il  Manzoni  non  ha  inteso  di  raccogliere  in  co- 
desta con  vigore  sintetico  l'analisi  primitiva,  ma  altresì  che  Gertrude 
ne  è  uscita  moralmente  migliore  ed  esteticamente  più  compiuta  e 
luminosa. 

Il  Manzoni  ha  risentito,  con  intuizione  mirabile  e  tutta  nuova, 
l'insorgere  di  un'umanità  ardente  e  folle  nel  cuore  e  ne'  sensi  della 
misera,  appena  la  toccasse  il  malefico  fascino  dell'  amore  e  della 
colpa.  È  appunto  per  rendere  con  immediatezza  artistica  il  prorom- 


(1)  Scritto  CU.,  p.  465. 

(2)  Ivi. 


356  PARTE   TERZA 


pere  della  natura  maldoma  che  ha  posti  l'un  di  fronte  all'altra,  con 
viva  azione  drammatica,  senza  alcun  processo  psicologico,  la  donna 
e  il  suo  tentatore.  Egli  osò  rivolgerle  il  discorso  ed  ella  rispose  ;  in 
questo  breve  giro  di  parole,  dove  non  e'  è  che  il  fatto  subitaneo, 
fulmineo,  il  poeta  ha  significato  il  rapimento  irrefrenabile  dell'ani- 
ma inquieta  e  fantasiosa^  che,  giovinetta,  pochi  anni  innanzi  con- 
dotta per  breve  tempo  nel  bel  mezzo  della  splendida  vita  mondana, 
si  sentiva  tutta  presa  da  «  un'ebbrezza  »,  da  «  un  ardor  tale  di  vi- 
ver lieto  »  da  giurare  a  sé  stessa  di  soffrire  tutti  i  patimenti  pur 
di  sfuggire  al  chiostro.  É  quella  medesima  «  ebbrezza  »  che  la  e- 
salta  e  conquide  all'  apparire  d'  un'  immagine  di  quello  splendido 
mondo.  Chi  è  Egidio  per  la  deserta  anima  di  Gertrude  ?  É  appunto 
una  sembianza  di  ciò  che  più  brillantemente  aveva  arriso  alla  sua 
fantasia  di  fanciulla,  di  ciò  ch'ella  aveva  contemplato  con  gli  occhi 
ebri  di  desiderio  nel  forzato  addio  ai  beni  del  mondo.  Il  sorriso 
procace,  lo  sguardo  carezzevole,  la  parola  amica  di  quel  profano, 
che  d' improvviso  appare  tra  le  ombre  fredde  e  fastidiose  della  vita 
claustrale,  l'attraggono,  l' inebbriano ;  né  l'esser  ormai  monaca  per 
sempre  la  perturba  o  la  fa  esitare,  perché  in  lei  è  cresciuto,  con 
r  amara  esperienza,  1'  orrore  del  chiostro,  perchè  il  conforto  della 
fede  o  il  severo  richiamo  alla  religione  non  hanno  presa  nella  sua 
anima  inaridita. 

«  La  sventurata  rispose  >  :  ecco  una  di  quelle  sintesi  semplici  e 
pur  dense  di  spiritualità  che  segnano  il  rapido  sopravvenire  della 
catastrofe  di  un  dramma  lungo  e  intenso:  di  quel  dramma  che  fu 
la  fanciullezza  di  Gertrude,  martoriata  e  trascinata  all'infausto  sa- 
crifizio, e  la  vita  vissuta  poi  entro  le  squallide  mura  del  monastero, 
tra  ii  rovello,  l'odio  e  la  sregolata  svagatezza  d'effimeri  tripudi. 
Nell'apparizione  di  Egidio  risorge  con  la  potente  attrattiva  della 
realtà  concreta  e  della  giovinezza  audace  il  mondo  tante  volte  va- 
gheggiato: da  questa  attrazione  magica  alla  colpa  non  sarà  lungo 
il  passo.  Il  Manzoni  rimutando  radicalmente  la  situazione  psicologica 
e  drammatica  dell'  innamoramento  di  Gertrude,  ha  sollevato  questa 
immortale  creatura  della  sua  fantasia  tra  le  figure  più  tragiche  della 
letteratura  antica  e  moderna;  e  v' è  riuscito  con  una  semplicità  di 
mezzi,  che  è  il  segreto  della  grande  arte  classica. 

Gertrude  porta  in  sé  il  germe  della  passione  irresistibile:  tocco, 
come  da  fugace  alito  primaverile,  dallo  sguardo  pensosamente  af- 
fettuoso d'  un  povero  paggio,  si  schiude  quasi  a  una  prima  tenera 
vita  ;  avvampato  dalle  fiamme  d'  un  allettamento  più  audace  e  ga- 
gliardo, scoppia  con  la  virulenza  de'  fremiti  latenti.  Questo  intese 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  357 

il  Manzoni,  spìngendo  lo  sguardo  con  rinvigorito  acume  in  quel- 
l'anima, e  al  nuovo  fantasma  poetico  die  vita  in  quella  grande  e 
semplice  frase. 

'  * 
*     * 

IX.  Nel  seguito  del  racconto  le  differenze  dalla  prima  all'  ultima  j^\ 
redazione  si  accentuano  in  modo  che,  pel  disegno,  la  condotta  della 
narrazione,  il  carattere  de'  personaggi,  ci  par  di  trovarci  dinanzi  a 
due  forme  d'arte,  se  non  essenzialmente  opposte  nell'  intima  ispira- 
zione romantica,  certo  spiccatamente  diverse  nella  concezione  delle  1 
singole  parti  e  ne'  modi  dell'  analisi  psicologica  e  della  rappresen-  J 
tazione. 

Fanno  impressione  i  tagli  profondi  operati  dal  poeta  nel  processo 
d'elaborazione,  l'eliminazione  d'alcuni  personaggi  e  d'alcune  scene 
di  grande  rilievo,  la  riduzione  a  figura  appena  lineata  di  scorcio, 
e  relegata  sullo  sfondo  scenico,  di  queir  Egidio,  che  nella  prima 
costruzione  del  grandioso  episodio  campeggiava  in  tratti  pieni  e  forti, 
nel  bel  mezzo  della  scena;  onde  non  possiamo  fare  a  meno  di  do- 
mandarci :  ma  perchè  il  Manzoni,  che  nel  corso  di  tutto  il  romanzo 
più  volte  s' è  mostrato  consapevole  e  preoccupato  di  narrazioni  e  di 
meditazioni,  che  gli  pareva  troppo  si  dilungassero  dalla  trama  so- 
stanziale della  sua  «  storia  »,  ha  speso  tanto  studio  d'analisi  e  tanta 
energia  di  sceneggiamenti  vivaci  attorno  non  solo  alla  figura  di 
Gertrude,  ma  a  quella  del  suo  tristo  amante  e  delle  due  converse, 
a  lei  unite  nella  colpa  e  nel  delitto?  E  perchè  e  per  quali  nuovi 
atteggiamenti  di  pensiero  e  ragioni  d'  arte  ha  così  profondamente 
rimutato  il  primitivo  disegno,  che  —  chi  conosca  la  dirittura  e  la 
lucidità  della  sua  mente  —  doveva  essere  stato  da  lui  ben  meditato 
ne'  motivi  etici  e  religiosi,  non  effimeri  o  superficiali  in  una  co- 
scienza come  la  sua,  e  negli  effetti  dell'arte?  A  queste  gravi  do- 
mande che,  quando  si  conobbero  le  pagine  inedite  nell'edizione 
sforzesca,  hanno  assillato  l'intelletto  critico  di  tanti  valentuomini, 
cercherò  di  dare  anch'  io  un'  adeguata  risposta.  Per  arrivare  alla 
quale,  devo  intanto  riprendere  in  esame  la  minuta  e  le  successive 
elaborazioni. 

L' innammoramento  di  Gertrude  e  il  suo  mutato  contegno  erano 
scrutati  e  ritratti,  nella  prima  stesura,  con  un'attitudine  morale  e 
psicologica,  di  cui  non  trbviamo  che  lievi  tracce  nel  romanzo.  Poco 
diceva  il  Manzoni  del  crescere  della  sciagurata  passione  di  lei  e  del 
modo  come  giunse  alla  colpa  ;  ma  in  queir  atteggiarla  intesa  a  con- 


358  PARTE   TERZA 


templare  «l'avvenire  come  piano  e  delizioso  »,  in  queir  accennare 
ai  «  momenti  della  giornata  spesi  »  nella  nuova  occupazione  «  forte, 
gradita,  continua  »,  tutta  piena  di  una  potente  vitalità  affettiva,  in 
quel  figurarla  raccolta  a  «  pensare  a  quelli,  ad  aspettarli,  a  prepa- 
rarli »  cullandosi  nell'  illusione  di  un'  «  esistenza  beata  che  non  la- 
scerebbe né  cure,  né  desideri  »  in  quel  tratto,  infine,  ov'era  detto 
che  «  r  accecamento  di  Geltrude  e  le  insidie  di  Egidio  s' avanza- 
vano di  pari  passo  al  punto  che  il  muro  divisorio  non  lo  fu  più 
che  di  nome  »  (*),  in  tutto  ciò  abbiamo  qualcosa  dì  più  del  tipo  o 
dello  schema,  qualche  linea  di  psicologia  femminile  che,  ripulita, 
affinata  e  alleggerita  del  superfluo  e  del  prolisso,  avrebbe  potuto, 
con  la  consueta  sobrietà  manzoniana,  caratterizzare  il  graduale  svi- 
luppo di  quell'accecante  amore. 

Ma  fin  da  codesti  primi  tratti  noi  intravediamo  il  motivo  senti- 
mentale che  s' é  trasfigurato  e  attuato  nella  dipintura  della  passione 
di  Gertrude  e  nelle  scene  di  sangue  e  di  terrore,  in  cui  spiccano 
Egidio  e  le  sue  complici:  motivo  d'arte,  la  cui  genesi  alla  fin  fine 
si  risolve  nella  disposizione  etica  del  poeta  durante  il  primo  con- 
cepimento e  disegno  della  fosca  e  truce  materia. 

Quale  fosse  codesta  disposizione  di  fronte  al  mondo  ch'ei  veniva 
creando  sulle  orme  della  storia  e  a  specchio  dell'eterna  realtà  umana, 
abbiamo  già  veduto  ragionando  delle  sue  idee  morali  nella  prima 
parte  di  questo  lavoro:  l'esame  particolareggiato  della  minuta  viene 
via  via  confermando  le  nostre  premesse. 

Un  severo  giudizio,  ovverosia  una  dolorosa  concezione  pessimi- 
stica della  storia  e  dell'uomo  governa  i  truci  episodi,  che  dovremo 
ora  analizzare:  giudizio  non  così  occulto  che  non  si  riveli  di  tanto 
in  tanto  in  aperti  atteggiamenti  fieramente  pensosi  o  sentenziosi 
dell'  autore  (*),  ma  che  anche  più  spiccatamente  s' afferma  nell'  aver 
segnalato  con  uno  studio  ed  un'eloquenza  non  consueta  il  risveglio 
de'  peggiori  istinti  dì  Gertrude  e  il  pervertimento  morale  e  intellet- 
tuale in  lei  operato  da  Egidio,  Erano  nella  minuta  certi  tratti  che  in- 
foscavano il  ritratto  della  sciagurata:  «  Tutte  le  inclinazioni  viziose, 
che  vi  erano  come  addormentate^  sì  risvegliarono  più  forti  e  più 
adulte  e  a  tutte  queste  s'aggiunse  l'ipocrisia»  (^):  dì  che  nell'ul- 
tima redazione  non  é  rimasta  che  una  nota  fugace  e  lieve  laddove 
il  poeta,  a  proposito  del  rallegrarsi  delle  suore  pel  nuovo  contegno 


(1)  Sp.  prom.,  p.  242. 

(2)  Ivi. 

(3)  Ivi. 


IL   ROMANZO    IN   FORMAZIONE  359 


regolare  e  manieroso  di  Gertrude,  dice  che  erano  lontane  dal  com- 
prendere che  «  quella  nuova  virtù  non  era  altro  che  ipocrisia  ag- 
giunta all'  antiche  magnagne  »  (*). 

Ma  quella  finzione  non  poteva  durare  ed  ecco  ripullulare  i  «  soliti 
dispetti  »  e  i  «  soliti  capricci»,  «  le  imprecazioni  e  gli  scherni  con- 
tro la  prigione  claustrale  e  talvolta  espressi  in  un  linguaggio  inso- 
lito in  quel  luogo,  e  anche  in  quella  bocca  »  :  ma  ecco  altresì  seguire 
a  quegli  sfoghi  i  pentimenti  e  le  «  moine  »  e  le  «  buone  parole  » 
per  far  dimenticare  gli  accessi  di  collera  (^).  Così  leggiamo  ora 
nel  romanzo,  e,  affisando  lo  sguardo  a  traverso  i  fitti  veli  che  il 
poeta  avvolge  attorno  alla  colpevole,  inseguiamo  sì  col  nostro  tre- 
pido pensiero  gli  avanzamenti  dell'  empia  tresca  e  gì'  impronti  effetti 
morali  della  contaminazione,  ma  quante  ombre  s'addensano  su  quelle 
poche  righe!  con  quanta  cura  tenta  il  poeta  di  distrarci  dalla  ri- 
flessione del  fallo  e  delle  sue  circostanze  per  occuparci  tutto  l'animo 
nella  visione  della  misera  peccatrice,  aggirantesi  dispettosa  e  triste 
nel  piccolo  mondo  del  monastero  ! 

È  evidente  l'apprensione  del  magnanimo  scrittore,  che  vuole  salva 
la  verità  sacra  della  storia  nel  tempo  stesso  che  aff'rena  l' ingegno 
nella  pittura  di  quell'animo,  pervertito  da  un  impuro  amore:  egli, 
dibattuto  tra  la  brutta  realtà  e  la  morale,  non  trova  altro  modo  di 
conciliarle  che  temprando  l' una  e  l' altra  all'  intimo  fuoco  di  quella 
pietà  che  gli  arde  nella  sua  pensosa  coscienza  cristiana.  In  quel- 
l'incessante vicenda  di  collere  e  di  pentimenti,  tracciati  con  agile 
mano  senza  particolari  e  con  grande  potenza  sintetica  di  fantasia, 
la  colpevole  si  ricompone  ai  nostri  occhi  in  una  figura  d'alta  tra- 
gedia, che  vagola  inquieta,  convulsa,  inseguita  sempre  dall'ombra 
del  suo  peccato. 

Nella  minuta  Gertrude  aveva  un'altra  sembianza,  e  il  poeta  ne 
studiava  l' anima  con  altro  intento  e  arte  diversa.  «  Quando  all'  60*6110 
naturale  del  fallo  —  vi  si  leggeva  —  si  aggiunse  la  scuola  viva  e 
diretta  dello  scellerato  giovane,  ognuno  può  immaginarsi  quali  diven- 
tassero le  idee  di  Geltrude.  Tutto  ciò  che  era  dovere,  pietà,  morigera- 
tezza era  già  da  gran  tempo  associato  nella  sua  mente  alla  violenza 
ed  alla  perfidia,  ed  aveva  un  lato  odioso  e  sospetto:  i  ragionamenti  che 
tendevano  a  mostrare  che  tutto  ciò  era  una  invenzione  dell'astu- 
zia, un'  arte  per  godere  a  spese  altrui,  accolti  dal  cuore  e  presentati 
dall'intelletto,  furono  ricevuti  in  essi  come  amici  savi  e  sinceri...  ». 


(1)  Prom.  sp.,  cap.  X,  p.  159. 

(2)  Ivi. 


360  PARTE   TERZA 


A  scorgere  la  fallacia  delle  lusingatrici  «  teorie  del  vizio  »  Gertrude 
non  aveva,  come  sarebbe  stato  necessario,  né  «  una  meditazione  po- 
tente >  né  «  un  sentimento  retto  »,  onde  «  fu  una  docile  e  cieca  di- 
scepola e  ricevè  e  conobbe  tutte  »  «  le  idee  generali  di  perversità  » 
che  il  suo  seduttore  le  instillava.  Intanto  «  aveva  a  poco  a  poco 
trasandate  quelle  cure  di  apparente  regolarità  che  si  era  prescritte: 
la  licenza  a  cui  s' era  abbandonata  le  rendeva  più  insopportabile 
ogni  contegno;  e  così  si  rilasciò  tanto  che  negli  atti  e  nei  discorsi 
divenne  più  libera  e  più  irregolare  di  prima.  Insieme  a  quelle  cure 
cominciò  senza  avvedersene  a  trascurare  anche  le  precauzioni,  che 
aveva  da  prima  messe  in  opera,  per  nascondere  quello  che  tanto 
le  importava  di  nascondere  >  (*).  Notate:  «inclinazioni  viziose», 
«sentimento»  non  «retto»,  insofferenza  d'ogni  «  contegno  »,  srego- 
latezza crescente,  abbandono  d' ogni  precauzione  e  quello  scetticismo 
cinico  che  rende  amaro  e  torvo  l'animo  di  Gertrude,  infastidito  e 
sospettoso  perfino  della  virtù  altrui  e  più  aizzato  a  odiare  il  dovere, 
la  pietà,  la  morigeratezza  dai  diabolici  insegnamenti  di  Egidio:  è 
un'analisi  cupa  e  spietata,  che  l'austera  coscienza  del  moralista  detta 
al  poeta,  imprimendo  all'accento,  all'epiteto,  al  giudizio  un' appas- 
sionatezza  amara  e  dogliosa  :  riflesso  artistico  di  quella  comprensione 
profonda  e  severa  del  male  che  informa  tante  pagine  della  Morale 
cattolica  e  le  due  tragedie  e  che  non  ha  ancora  trovate  le  forme 
benigne  e  serene  della  sorridente  pietà,  onde  splendono  rinnovati 
di  spirito  e  d' arte  i  Promessi  sposi. 

Dove  in  questi  1'  autore,  frenando  il  giudizio  morale,  lascia  nel- 
r ombra  i  segreti  motivi  de'  mutamenti  d'umore  e  di  contegno  della 
signora,  nella  minuta  li  persegue  e  li  svela  con  spirito  inquisitorio 
e,  mentre  in  essi  ne  risolve  in  un  ritratto,  perfetto  per  sapiente  ar- 
monia d'  ombre  e  di  luci,  l'  occulta  inquietitudine  che  ora  s'ammanta 
d'apparenze  benigne  e  tranquille,  ora  si  sferra  in  isfoghi  sinistri, 
ma  poi,  paurosa  di  scoprirsi  nel  suo  vero  essere,  riprende  la  ma- 
schera dell'  ostentata  mitezza,  nella  minuta,  invece,  v'  ha  tutT;'  altro 
processo  psicologico,  nel  quale  è  scolpito  con  minore  finezza,  ma 
con  eguale  gagliardia,  il  digradar  dell'  anima,  accecata  dalla  pas- 
sione, sino  alla  sfrenatezza. 

Son  due  profili  morali,  colti  e  fissati  con  differente  sguardo  :  non 
per  diseguale  vigore  di  penetrazione  psicologica,  ma  per  diversa 
disposizione  morale. 


(1)  Sp.  prom.,  pp.  242-3. 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  361 


Indagare  il  pervertimento,  in  cui  s'offusca  e  s' abietta  colei  che 
alla  sua  sventura  non  sapeva  trovar  lenimento  e  pace  ne'  divini  con- 
forti della  religione;  smascherare  i  funesti  cavilli,  che  l'intelletto 
unicamente  perverso  offre  a  giustificazione  della  colpa  ;  additare  gli 
eccessi  a  cui  trasporta  una  passione  morbosa  :  con  quest'  animo  d' a- 
nalizzatore  lucido  e  severo  il  Manzoni  veniva  preparando  le  scene 
tragiche,  che,  rifacendo  il  romanzo,  soppresse.  L'agitava  una  fiera 
moralità,  un  acuto  orrore  della  tristizia  umana,  insieme  col  desiderio 
di  destarlo  in  altrui:  guardava,  già  nel  primo  disegno,  dall'alto 
della  dottrina  e  della  fede  cattolica,  ma  per  ammonire  con  austero 
dolore  che  all'  infuori  di  esse  non  e'  è  salvezza  ;  ne'  Promessi  sposi, 
fermo  in  quella  religione,  eh'  è  per  lui  l' unica  e  vera  fonte  della 
moralità  umana,  ricontempla  la  creatura  uscita  dalla  sua  concezione 
morale  di  quel  che  sono  e  producono  gì'  istinti  e  le  passioni,  sottratti 
alla  disciplina  della  sana  volontà  e  della  fede  costante  ;  quel  caso, 
queir  esempio  di  pervertimento,  eh'  egli  aveva  tratto  dalla  storia 
ad  illustrazione  di  una  verità  morale  e  della  corruttela  di  un  secolo 
giudicato  barbaro  e  delittuoso,  gli  riappare,  dirò  cosi,  sostanziato 
dell'  universale  miseria  della  nostra  natura,  onde  si  fa  e  si  svolge 
la  storia  umana  ;  scorge  nella  tragedia  morale  di  Gertrude  il  segno 
di  una  vasta  tragedia  in  cui  l'umanità  si  dibatte,  tra  gl'impeti 
delle  passioni,  i  deliri  dell'orgoglio  intellettuale,  le  sopraffazioni 
dell'  iniquità  sui  deboli  e  i  pavidi  ;  e  allora  dalle  altezze  di  quella 
morale  religiosa  donde  guarda  il  suo  mondo,  attinge  una  pietosa 
mestizia,  una  larga  e  più  benigna  capacità  di  comprensione  del 
male.  L'aneddoto,  l'episodio,  il  bozzetto,  la  scena  cupamente  pit- 
toresca si  dissolvono  nel  chiaro  e  sereno  lume  della  nuova  fan- 
tasia, al  fuoco  purificatore  di  codesta  più  profonda  e  più  pensosa 
coscienza  de'  tralignamenti  umani;  sopra  e  oltre  il  ciclo  storico  di 
quella  società  italiana  del  Seicento,  entro  cui  s' aggirava  la  prima 
volta  che  si  mise  a  costruire  il  suo  mondo  con  passione  di  storico 
moralista^  il  poeta  inalza  e  dilata  lo  spirito  per  foggiare  a  specchio 
di  queir  età  storica  prescelti  caratteri  universali  e  rappresentazioni 
materiate  di  verità  e  d'umanità,  che  superano  i  confini,  lo  spirito, 
il  costume  d'  un  secolo. 

Perchè  e  a  che  fine  conservare,  in  questa  più  tranquilla  e  più  alta 
disposizione  di  spirito,  l'analisi  di  quel  pervertimento  «a  cui  l' igno- 
ranza e  r  irreflessione  di  quei  tempi  permetteva  d'  arrivare  »  (.*)  il 
racconto  dell' abbominevole  associazione  alla  tresca  delle  due  suore 

(])  Ivi. 


362  PARTE   TERZA 


addette  alla  signora,  la  scena  dell'  uccisione  della  conversa,  la 
descrizione  dell'  operazione  fatta  per  togliere  ogni  traccia  del  delitto, 
la  dipintura  del  freddo  spavento  che  incombe  sulle  tre  sciagurate 
dopo  il  misfatto,  e  delle  loro  consulte,  il  colloquio  di  Gertrude  con 
Egidio,  che  vuole  il  sacrifizio  di  Lucia? 

Di  tutto  ciò  non  è  rimasto  nel  romanzo  quasi  nulla,  se  si  tolga 
quel  fulmineo  accenno  all'  orrenda  verità  circa  la  scomparsa  della 
conversa  :  «  e  forse  se  ne  sarebbe  potuto  saper  di  piti,  se,  invece  di 
cercar  lontano,  si  fosse  scavato  vicino»  (*),  e  quella  svelta  e  ga- 
gliarda rappresentazione  de'  terrori  di  Gertrude,  assediata  dalla  larva 
dell'uccisa,  che  esamineremo  fra  poco,  e  infine,  quell'eco  vaga  e 
fugace  del  truce  delitto  che  risuona  lontano  da  questo  punto  del 
racconto,  là  dove,  detto  che  Egidio,  richiesto  d'  aiuto  dall'Innomi- 
nato per  rapire  Lucia,  pensa  di  valersi  senz'altro  della  complicità 
di  Gertrude,  il  Manzoni  soggiunge  «  Noi  ab])iamo  riferito  come  la 
sciagurata  signora  desse  una  volta  retta  alle  sue  parole  ;  e  il  lettore 
può  aver  inteso  che  quella  volta  non  fu  l'ultima,  non  fu  che  un 
primo  passo  in  una  strada  d'  abbominazione  e  di  sangue  »  (^) 

Non  mi  pare  che  dai  critici,  che  s'  occuparono  de'  Brani  inediti, 
sia  stato  rilevato  convenientemente  l'intimo  nesso  che  la  soppres- 
sione delle  fosche  scene  sumentovate  ha  col  rimutamento  profondo 
a  cui  il  Manzoni  sottopose,  come  abbiam  visto,  la  descrizione  del- 
l'innamoramento  di  Gertrude  e  il  ritratto  della  sua  anima  pervertita. 
Sollevata  la  figura  della  colpevole  dallo  stato  d'abiezione  e  di 
volgarità  in  cui  l' aveva  descritta  nella  prima  stesura,  circonfusa  la 
passione  di  lei  d'ombre  e  di  pudico  mistero,  fatto  silenzio  sulle  arti 
sottili,  onde  il  tristo  amante  l'ammaestrava  a  sprezzare  la  virtù,  il 
pudore  e  la  sfrenava  alla  licenza,  i  romanzeschi  episodi  che  dovevano 
servire  a  presentare  in  viva  e  manifesta  azione  l' animo  accecato 
dalla  passione  e  rotto  ai  misfatti,  non  potevano  più  sostenersi. 

È  stata  r  intima  revisione  morale  di  quel!'  anima,  non  so  se  più 
sventurata  o  più  colpevole,  è  stata,  cioè,  la  nuova  energia  idealiz- 
zatrice  della  realtà,  onde  il  poeta  ha  ricomposta  e  riatteggiata  tutta 
la  materia  del  romanzo,  attingendola  da  una  concezione  religiosa 
più  indulgente  e  più  serena  e  da  un'interpretazione  più  libera  e  più 
vasta  della  particolare  storia  d'un  secolo;  è  stato  insomma  un  più 
vivido  senso  d' umanità,  capace  d'abbracciare,  senza  orrore  fremente, 
anche  il  male  e  di  comprenderlo  e  di  coglierne  con  etica  sobrietà 


(1)  Prom.  sp.,  cap.  X,  pp.  259-60. 

(2)  Prorn.  sp.,  cap.  XX,  p,  293. 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  363 

la  sintesi  tragica,  che  ha  rinnovato,  di  conseguenza,  la  genesi 
poetica  e  la  rappresentazione  artistica  di  tutto  l'episodio  monzasco. 

Il  Manzoni,  quando  veniva  narrando  i  casi  di  Gertrude,  era 
dominato  da  due  sentimenti  :  da  un  profondo  stupore  e  orrore,  che 
gli  faceva  lo  spettacolo  del  Seicento  italiano,  quale  a  lui  s'era 
rivelato  attraverso  un'  indagine  incompiuta  de'  documenti  e  delle 
testimonianze,  e  da  un'austerità  etica  che  conferiva  al  giudizio  la 
voce  dell'  ammonitore,  alla  realtà  osservata  e  rappresentata  il  valore 
d'esempio  solenne;  che  è  a  quanto  dire  storicismo  e  moralismo 
governavano  la  creazione  artistica,  non  senza  danno  di  quella  eterna 
umanità  che  si  esprime  nella  vera  e  grande  poesia. 

A  riprova  di  ciò  esaminiamo  gli  ormai  famosi  episodi  della  pri- 
ma stesura.  Sentite  il  tono  di  chi  vuol  narrare  una  vera  storia  di 
corruzione  sempre  piìi  abbominevole:  «  Non  andò  molto  che  il  maestro 
ebbe  a  domandarle  o  ad  imporle  nuovi  passi  nella  carriera  ch'ella 
aveva  intrapresa»  (*).  Le  due  suore  dalla  trascuranza  d'ogni  precau- 
zione di  Gertrude  ebbero  qualche  sospetto  :  Gertrude,  accortasene, 
«  tutta  atterrita  comunicò  la  sua  scoperta  a  colui  eh'  era  il  suo  solo 
consigliere  >  ;  pur  lui  «atterrito  »  ma  assai  meno  di  lei,  né  così  da  non 
saper  disegnar  «  freddamente  »  un  riparo,  «  coltivò  il  terrore  di 
quella  poveretta,  le  fece  tanta  paura  del  male  che  nessun  rimedio 
le  paresse  troppo  doloroso:  e  finalmente  propose  di  render  partecipi 
del  segreto  e  di  associare  alla  colpa  le  due  che  la  sospettavano  ». 
L'astuzia,  il  potente  fascino  dell'amore,  le  malsane  «dottrine» 
ch'egli  adoperò  indussero  la  misera  a  trasfondere  «  prudentemente,  a 
gradi  a  gradi  nelle  menti  delle  due  suore  il  pervertimento  ch'era 
necessario,  per  renderle  sue  complici,  e  consumò  il  proprio  avvili- 
mento nella  loro  colpa  ».  Quale  ne  poteva  essere  la  conseguenza 
morale  ?  Che,  «  venuta  in  questo  fondo,  la  sventurata  perdette  con 
ogni  dignità  ogni  ritegno,  e,  agguerrita  contro  ogni  pudore^  si 
trovò  disposta  ad  agguerrirsi  ad  ogni  attentato  »  (j^).  Così  di  colpa 
in  colpa  Gertrude  s'avvia  al  delitto.  Il  meditato  disegno,  la  chiara 
intenzione  di  trattarne  in  una  compiuta  rappresentazione  rivolta  ad 
alto  significato  morale  ha  una  riprova  nel  fatto  che,  conforme  al 
metodo  usato  nel  preparare  la  narrazione  di  qualche  grande  avve- 
nimento morale  (corne,  ad  esempio,  il  colloquio  di  fra  Cristoforo  con 
don  Rodrigo,  il  voto  di  Lucia,  la  conversione  dell'Innominato),  il 
Manzoni  anche  a  questa,  cui  stava  per  accingersi,  mandava  innanzi 


(1)  Sp.  prom.i  loc.  cit. 

(2)  Sp.  prom.,  pp.  243-4. 


364  PARTE   TERZA 


un'analisi  psicologica  viva  ed  acuta,  per  segnalare  nel  progressivo 
pervertimento  della  sciagurata  i  motiyi  della  prossima  scena  di  san- 
gue e  della  sua  indiretta  partecipazione.  Codesta  analisi,  anche  se  è 
sommaria  come  comportavano  l' ardua  materia  e  la  norma  impostasi 
dal  poeta  nella  dipintura  dell'amore  e  delle  passioni  sensuali,  rivela 
il  movente  ascetico  del  moralista  nel  tratteggiare  le  triste  figure 
del  quadro,  come  s'intende  da  quelle  parole  che  hanno  il  tuono 
biblico  e  il  furore  austero  della  sacra  oratoria  :  «  L' albero  della 
scienza  aveva  maturato  un  frutto  amaro  e  schifoso,  ma  Geltrude 
aveva  la  passione  nell'  animo  e  il  serpente  al  fianco  ;  e  lo  colse  >  (*). 

Detto  frettolosamente  come  una  di  quelle  due  suore  avesse  con- 
fidato il  suo  sospetto  ad  una  terza  e  questa,  incuriosita,  non  cessasse 
dallo  spiare  il  vero,  anche  quando  1'  altra,  divenuta  complice  della 
tresca,  disdisse  ogni  cosa,  e  come  un  giorno  la  curiosa,  villanamente 
aspreggiata  dalla  signora,  minacciasse  una  denunzia  ai  superiori, 
il  Manzoni  descrive  «  l' orrenda  consulta  «  delle  «  tre  sciagurate  >  e 
del  «  loro  infernale  consigliero  »  sul  «  modo  d' imporre  silenzio  alla 
suora  » . 

Egli  propose  freddamente  ed  esse,  dopo  una  vana  resistenza,  ac- 
consentirono (^).  Gertrude,  piti  che  scellerata,  era  un'anima  fragile  e 
inquieta.  Com'è  che  si  determina  al  truce  delitto?  Nel  romanzo  fitte 
tenebre  avvolgono  la  parte  ch'ella  avesse  potuto  avervi  e  il  modo 
come  fu  consumato.  La  minuta  discopriva  i  precedenti  e  lo  svolgi- 
mento del  fatto  e  preparava,  così,  ad  intendere  il  terrore  e  1'  angoscia 
di  lei,  che  pur  nell'ultima  redazione  sono  descritti,  dopo  il  misfatto. 

«  Fece  più  resistenza  delle  altre,  protestò  più  volte  che  era  pronta 
a  tutto  soffrire  piuttosto  che  dar  mano  ad  una  tanta  scelleratezza  ; 
ma  finalmente,  vinta  dalle  istanze  di  Egidio  e  delle  due,  e  nello 
stesso  tempo  dal  suo  terrore»,  mise  come  condizione  di  non  prendervi 
parte  diretta:  «  transazione  »  con  cui  «  si  sforzò  di  fingere  a  sé  stessa 
che  sarebbe  men  rea  >  (').  La  suora  confidente  della  designata  alla 
morte  tornò  un  giorno  a  riaccenderle  i  sospetti  e  la  curiosità  ;  non 
volendo,  a  studio,  intrattenersi  a  dirle  di  più,  le  propose  di  venir 
la  notte  nella  sua  cella  dove  le  avrebbe  parlato  più  a  lungo  e  forse 
fatto  veder  «qualche  cosa».  «La  meschina  cadde  uel  laccio». 
Macchinatore   dell'  inganno   è   sempre  Egidio.   E  la    notte,    mentre 


(1)  Ivi.  Notevole  l' impressione  immediata  che  ne  riceveva  il  Visconti,  il  quale 
annotava  a  questo  luogo:  «  Qui  l'ascetismo  è  bellezza:  di  pensiero,  di  stile  {due  parole 
illeggibili]  alle  intenzioni  religiose  dello  scrittore  »  [ivi,  n.  4). 

(2)  Sp.  prora.,  p.  245. 

(3)  Ivi. 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  365 


quella  stava  nascosta  e  «  rannicchiata  »  «  tra  il  letticciuolo  e  la 
mura  »  ,  la  scellerata,  «  pig-liato  da  Egidio  l' orribile  coraggio  che  le 
abbisognava,  entrò  nella  cella  armata  d'uno  sgabello  con  la  sua 
compagna  »  e  alla  «  dubbia  luce  »  che  veniva  per  la  porta  aperta 
da  una  lume  nella  stanza  vicina,  le  si  avvicinò  pianamente,  «  le  si 
avventò,  e  prima  che  quella  potesse  né  difendersi,  né  gettare  un 
grido,  né  quasi  avvedersi,  con  un  colpo  la  lasciò  senza  vita». 

Consumato  il  delitto,  le  vediamo  le  due  colpevoli  affaccendarsi  a 
farne  sparire  ogni  vestigio,  prima  spaventate,  poi  rianimate  dalla 
calma  e  dal  freddo  impero  dell'  istigatore,  «  che  aveva  acquistata 
un'  orribile  autorità  sugli  animi  loro  »  e  «  che  faceva  loro  sempre 
paura  e  dava  loro  sempre  coraggio  »  (*). 

Gertrude  nella  sua  stanza  <  stava  nelle  angoscie  di  chi  sente 
l'orrore  del  delitto,  e  lo  vuole.  Sedeva,  si  alzava,  andava  ad  origliare 
alla  porta;  intese  il  colpo,  e  fuggì  ella  pure  a  rannicchiarsi  sull'angolo 
il  più  lontano  della  sua  stanza,  orribilmente  agitata  tra  il  terrore 
del  misfatto,  e  il  terrore  che  non  fosse  consumato  ».  Entra  1'  omicida 
a  chiamarla  per  aiutare  a  rimetter  le  cose  in  ordine.  Gertrude  si 
schermisce  inorridita  :  «  No,  no  per  1'  amor  del  cielo  !  »  esclama.  E 
l'altra  beffardamente:  «  Che  c'entra  il  cielo?».  Gertrude  supplica: 
«  Lasciami,  lasciami  »  ;  e  l'altra  rabbiosamente  :  «  Chi  ò  stata  quella  ?  »  ; 
ma  Gertrude  con  angoscia  :  «  Sì,  è  vero,  ma  tu  sai  eh'  io  sono  una 
povera  sciocca  nelle  faccende;  non  sono  buona  da  nulla;  lasciami 
stare  per  amor. . .  ». 

Traspare  «  in  modo  così  orribile  1'  orrore  del  fatto  »  dagli  «  atti  » 
e  dal  «  vólto  »  di  lei,  che  l'omicida  torna  in  fretta  presso  Egidio, 
dicendo:  «  non  vuol  venire:  é  una  dappoca  »  ,  «  con  un  moto  convulso 
delle  labbra^  che  avrebbe  voluto  essere  un  sorriso  di  scherno  ». 
Egidio  fa  un  motto  di  spregio;  poi,  con  l'aiuto  delle  due  donne  si 
carica  «  del  terribile  peso,  sale  »  per  una  scaletta  al  solaio  e,  giunto 
nella  sua  casa,  «  per  bugigattoli  e  andirivieni  »  discende  in  una 
«  cantina  abbandonata  »  e  in  una  «  buca  »,  già  da  lui  scavata,  depone 
«  il  testimonio  del  delitto»  ,  facendo  sopra  un  «  mucchio  »  di  rottami, 
«  un  monte  se  avesse  potuto  »  (*). 

A  questo  punto  del  racconto,  l' anima  del  poeta  ha  uno  scatto  di 
passione  morale,  indizio  costante  del  segreto  suo  intendimento,  e 
commenta  con  enfasi  tonante:  «  l'omicidio  uscì  per  la  porta  che 
era  stata  aperta  al  sacrilegio  ». 


(1)  Sp.  prom.,  pp.  245-7, 

(2)  Sp.  prom.,  pp.- 248-9. 


366  PARTE   TERZA 


Ora  alla  scena  del  sangue  succede  quella  de'  freddi  spaventi  e 
degl'  inquieti  dibattimenti  sulla  condotta  da  tenersi  il  giorno  seguente 
nel  monastero.  Le  donne  sono  rimaste  sole:  incombe  su  loro  un  si- 
lenzio tormentoso  ;  si  muovono  e  vanno  a  bussare  «  sommessamente  » 
alla  porta  di  Gertrude  che  vi  sta  «  in  agguato  »  ;  tirata  da  loro, 
questa  viene  «  nella  più  orrenda  stanza  di  quell'orrendo  quartiere»  ; 
volge  «in  giro  entrando  un'occhiata  sospettosa»  e  propone  quindi 
alle  triste  compagne  di  tornar  nella  sua.  Pronte  vi  s'avviano.  Poiché 
—  dice  il  Manzoni,  soffermandosi  a  scrutar  dentro  quell'anime  per- 
vertite, —  «  ognuna  delle  tre  sciagurate  sentiva  nella  sua  agitazione 
come  il  bisogno  di  far  qualche  cosa,  di  appigliarsi  ad  un  partito, 
che  avesse  qualche  cosa  di  opportuno;  e  nessuna  sapeva  pensare 
quello  che  fosse  da  farsi  ;  quando  una  faceva  una  proposta,  le  altre 
vi  si  arrendevano^  come  ad  una  risoluzione  »  (^). 

Il  racconto,  condotto  fino  a  questo  punto  con  aridità  e  regolarità 
di  cronistoria  e  con  sovrabbondanza  di  particolari  realistici  superflui, 
avvivato  solo  di  tanto  in  fanto  da  qualche  pennellata  rubesta  piut- 
tosto che  luminosa,  attinge,  per  profondità  di  visione  psicologica, 
le  forme  dell'  arte  grande  in  quel  quadro  delle  tre  colpevoli,  sedute 
attorno  al  lume  spento  della  stanza  :  «  Stavano  cosi  tacite,  guardan- 
dosi furtivamente  di  tratto  in  tratto  :  quando  gli  sguardi  si  incon- 
travano ognuna  abbassava  gli  occhi  come  se  temesse  un  giudice  e 
avesse  ribrezzo  d'un  colpevole.  Ma  l'omicida,  più  agitata,  e  agitata 
in  un  modo  diverso  dalle  altre,  cercava  ad  ogni  momento  comin- 
ciare un  discorso,  voleva  parlare  del  fatto  e  del  da  farsi,  come  di 
cosa  comune,  parlava  sempre  in  plurale,  come  per  tener  afferrate 
le  compagne  nella  colpa,  per  esser  nulla  più  che  una  loro  pari  »  (*). 
Concertarono  finalmente  d'annunziare,  il  giorno  dopo,  dalla  finestra 
un'  indisposizione  della  signora,  per  rimanere  ad  assisterla  e  cosi 
non  farsi  vedere,  perchè  «  il  delitto  aveva  loro  appreso  un'altra 
cosa:  che  il  sangue  si  sarebbe  rivelato  nei  loro  atti,  nel  loro  con- 
tegno, nel  loro  vólto  »   (^). 

Egidio  intanto  a  «notte  fitta»  esce  con  «alcuni  suoi  scherani», 
li  dispone  «  come  a  guardia  »  in  un  luogo  appartato,  «  lasciando  loro 
credere  che  andasse  ad  una  delle  sue  solite  avventure  »  e  «  per  lun- 
ghi circuiti  »  si  porta  in  un  <  campo  disabitato  »,  confinante  con 
l'orto  del  monastero,  «  dal  quale  era  diviso  da  un  muro;  con  certi 


(1)  Ivi. 

(2)  Sp.  protn.,  p.  250. 

(3)  Ivi. 


IL    ROMANZO   IN   FORMAZIONE  367 


suoi  ferri  fa  in  questo  un  «  pertugio  » ,  tanto  clie  possa  passarvi  una 
persona:  quindi  uscito  di  là,  «  camminando  non  senza  terrore,  mi- 
nacciato com'era  da  più  d'un  nemico  >,  raggiunge  i  suoi  bravi  e 
tra  motteggi  allusivi  ad  altre  sue  avventure,  torna  a  casa.  Ecco  di- 
stesamente spiegato  il  mistero  di  quella  «  buca  nel  muro  dell'orto  » 
che,  neir  ultima  redazione  del  romanzo,  dà  alle  suore  tutte  la  cer- 
tezza della  fuga  della  conversa,  e  suggerisce  al  poeta  quella  pen- 
sosa ironia  :  «  chi  sa  quali  congetture  si  sarebber  fatte  »  (*)^  se  non 
la  si  fosse  scoperta. 

«  E  facile  supporre  —  seguitava  il  Manzoni  nella  minuta  —  «  che 
da  quel  giorno  in  poi  il  carattere  di  Geltrude  (giacché  di  essa  sola 
esige  la  nostra  storia  che  ci  occupiamo)  fu  sempre  più  stravolto. 
Combattuta  continuamente  tra  il  rimorso  e  la  perversità,  tra  il  ter- 
rore d'  essere  scoverta,  e  un  certo  bisogno  di  lasciare  uno  sfogo  alle 
sue  tante  passioni,  e  tutte  tumultuose,  dominata  più  che  mai  da 
colui  eh'  ella  riguardava  come  l'origine  dei  suoi  più  gravi^  più  veri 
e  più  terribili  mali,  e  nello  stesso  tempo  come  il  suo  solo  soccorso, 
l'infelice  era  nel  suo  interno  ben  più  conturbata  e  confusa  che  non 
apparisse  nel  suo  discorso,  per  quanto  poco  ordinato  egli  fosse.  >  (*). 

Questo  tratto  riallaccia  la  minuta  all'  ultima  redazione  del  romanzo, 
vuotata  della  materia  tragica  e  pittoresca  che  ho  or  ora  riassun- 
ta. Se  esso  ancora  risente  dello  spìrito  e  della  forma  di  quella 
materia,  poiché  approfondisce  in  un  quadro,  artisticamente  non  ri- 
finito, ma  di  viva  ispirazione,  la  misera  vita  di  Gertrude  e  il  con- 
trasto tra  lo  sforzo  della  dissimulazione  e  l' angoscia  paurosa  che 
l'agitava;  se,  anzi,  difficilmente  avrebbe  l'autore  potuto  conservarlo 
così,  nel  suo  cupo  colorito  originario,  una  volta  che  erano  svanite 
al  sofiìo  potente  di  una  nuova  concezione  poetica  le  fosche  e  lugubri 
scene  del  delitto;  tuttavia  l'eco  di  quei  terrori  e  di  quell'angoscia 
tremola  anche  per  entro  la  trama  dell'  episodio  rinnovato. 

Ciò  che  di  diverso  é  entrato  a  questo  punto  nello  studio  del  ca- 
rattere dì  Gertrude  è  il  ritratto  del  contegno  guardingo  e  dissimu- 
latore di  lei  rispetto  alla  scomparsa  della  povera  conversa  ;  il  quale 
si  contrappone  e  si  sostituisce  a  quello  delle  tumultuose  e  paurose 
passioni,  che  leggiamo  nella  minuta;  1'  uno  composto  con  tanta  sem- 
plicità di  mezzi  quanto  l'altro  è  carico  di  colore,  concitato  ne'  toni 
e  tumultuante  di  passionalità  troppo  forzatamente  tragica.  La  qual 
differenza  si  spiega^    chi  consideri  la   diversità  de'  contenuti,  ma, 


(1)  Prom.  sp.,  cap.  X,  p.  159. 

(2)  Sp.  prom.,  p.  252. 


368  PARTE   TERZA 


soprattutto,  la  corretta  e  sobria  classicità,  che  il  Manzoni  si  propose 
di  raggiungere  rifacendo  d' ispirazione  e  di  stile  il  grandioso  episodio. 

«  Ma  quanto  meno  ne  parlava,  tanto  più  ci  pensava  »  — dice  il 
poeta  —  preludiando,  con  pacata  armonia,  a  quel  maraviglioso  cre- 
scendo di  passione,  d' immagini  e  d'accenti,  in  cui  rappresenta,  con 
impeto  lirico  contenuto  ma  gagliardo,  la  paurosa  lotta  dell'animo  di 
Gertrude  con  la  larva  dell'uccisa  che  l'opprime  senza  posa. 

La  trasandata  frase  della  minuta  :  «  Una  immagine  la  assediava 
perpetuamente  »  si  svolge  in  una  dipintura  drammatica  delle  più  ar- 
moniose, che  siano  nel  romanzo,  per  corretta  agilità  di  linee  e  per- 
fetta fusione  del  motivo  sentimentale  con  la  rappresentazione  di 
esso,  non  meno  che  per  1'  efficacia,  ond'  è  espresso  il  pathos  tragico 
nel  premere  sempre  più  minaccioso  di  quel  fantasma  dell'  uccisa 
su  r  anima  che  invano  si  dibatte  per  liberarsene. 

Tu  senti  l'agghiacciante  emozione  di  terrore  in  quel  «Quante 
volte  al  giorno  l' immagine  di  quella  donna  veniva  a  cacciarsi  d' im- 
provviso nella  sua  mente  e  si  piantava  lì  e  non  voleva  muoversi!  »; 
la  vanità  dell'angoscioso  sospiro  a  sottrarsi  alla  vista  interiore  del- 
l'irremovibile e  impassibile  immagine  del  delitto  in  quel  «Quante 
volte  avrebbe  desiderato  vedersela  dinanzi  viva  e  reale,  piuttosto  che 
averla  sempre  fissa  nel  pensiero,  piuttosto  che  dover  trovarsi,  gior- 
no e  notte,  in  compagnia  di  quella  forma  vana,  terribile,  impas- 
sibile !»  ;  la  crescente  disperazione  dell'  anima  di  continuo  percossa 
dalla  stessa  voce  dell'  uccisa,  tanto  più  assillante  quanto  più  irreale, 
in  quel  «  Quante  volte  avrebbe  voluto  sentir  davvero  la  voce  di 
colei,  qualunque  cosa  avesse  potuto  minacciare,  piuttosto  che  aver 
sempre  nell'intimo  dell'orecchio  mentale  il  susurro  fantastico  della 
stessa  voce,  e  sentirne  parole  ripetute  con  una  pertinacia,  con 
un'  insistenza  infaticabile,  che  nessuna  persona  vivente  non  ebbe 
mai  !  »  (*). 

Se  noi  riconduciamo  il  processo  analitico  di  codesta  rappresenta- 
zione alla  sua  unità  estetica,  che  consiste  nella  visione  lirica  del 
rimorso,  quei  tre  momenti  —  l'irrompere  improvviso  del  fantasma 
nella  mente,  il  persistervi  giorno  e  notte  con  immutabile  impassi- 
bilità, il  susurrìo  pertinace  di  esso  —  si  sciolgono  dall'  ordine  con- 
secutivo generato  dall'  attitudine  osservatrice  del  poeta  e  dalla 
natura  stessa  del  mezzo  artistico,  che  è  la  parola,  per  concretarsi 
neir  integrale  e  totale  figurazione  del  cruccioso  e  minaccioso  fantasma, 


(1)  Sp.  prora.,  ivi;  Prom.  sp.,  cap.  X,  p.  160. 


IL   ROMANZO    IN   FORMAZIONE  369 

dominante  nei  pensieri  della  colpevole,  e  per  convergere,  col  conci- 
tato movimento  lirico  ascendente  della  triplice  rappresentazione,  in 
una  sintesi  ideale  che  al  disopra  dei  limiti  dello  spazio  e  del  tempo 
rispecchia  tutto  il  carattere  tragico  di  quel  perpetuo  travaglio. 
Come  la  nuova  dipintura  mira  alla  visione  fantastica  del  rimorso, 
così  la  prima  della  minuta  scaturiva  da  quella  del  delitto.  Vi  si 
leggeva  infatti  :  «  Tentava  ella  di  rappresentarsi  alla  fantasia  la 
sventurata  suora,  quale  l' aveva  veduta,  infocata  di  collera  e  con  la 
minaccia  sul  labbro,  queir  ultimo  giorno.  Ma  l' immaginazione  s' im- 
pallidiva sempre  nella  sua  mente,  invano  ella  cercava  di  raffigurarla 
con  la  testa  alta,  con  1'  occhio  acceso,  con  una  mano  sul  fianco  ;  la 
vedeva  indebolirsi,  non  poter  reggere,  abbandonarsi,  cadere;  se  la 
sentiva  pesare  addosso  »  (*).  Era  tutt'  un'  altra  concezione  e,  di 
conseguenza,  tutt'  un'  altra  situazione.  Gertrude  ricostruiva  con  la 
sua  fantasia  inquieta  il  delitto,  da  lei  consentito,  ma  non  consumato  : 
il  suo  era  piìi  travaglio  di  sensi  che  d' anima  ;  risentiva  piuttosto  il 
rinnovarsi  del  terrore,  provato  quando  l'aveva  percossa  l'eco  del 
colpo  mortale,  piuttosto  che  la  passione  del  rimorso^  che  germina 
dalla  consapevolezza  della  colpa;  perciò  di  tanto  era  plasticamente 
teatrale  l'immaginazione  di  quel  trapasso  della  suora  dalla  collera 
al  pallore,  all'abbattimento  della  morte,  di  quanto  è,  nella  sua 
intensità  lirica,  intimamente  psicologica  la  nuova  fantasia  del  ro- 
manzo; in  quella  v' era  lo  sforzo  mentale  di  figurarsela  viva,  anche 
se  irata  e  minacciosa,  per  liberarsi  dal  terrore  che  le  suscitava  il 
ricordo  del  delitto  e  dall'  incubo  della  tragica  scena  intraveduta  ;  in 
questa  palpita  1'  anelito  della  coscienza  all'  irrevocabile  tempo  che 
l'aveva  vista  e  sentita  quella  fiera  suora  accusare  e^minacciare_,  ma 
con  la  sua  viva  voce  —  giorni  di  cruccio  e  di  paura,  ma  mille  volte 
migliori  della  vita  presente  e  avvenire,  perpetuamente  gravata  d'una 
nuova  e  più  abbominevole  colpa. 

Smorzate  le  tinte  della  penosa  fantasia,  messa  in  più  vivida  luce 
r  inquietudine  di  un  troppo  tardo  pentimento,  lasciata  nell'  ombra  la 
sua  parte  di  colpa  con  queir  arte  novella  che  pudica  e  pietosa 
sorvola  sui  particolari  del  delitto,  il  poeta  ci  presenta  Gertrude  più 
spiritualizzata  nella  sua  peccaminosa  umanità:  da  quel  tetro  tra- 
vaglio, più  profondo  nella  coscienza  che  manifesto  negli  atti  esteriori, 
da  quel  non  so  che  d'impreciso  e  dì  misterioso  ond'è  avvolta,  si 
proietta  un'  ombra  di  tragicità  grave  che  accresce  d' efficacia  la 
rappresentazione  artistica.  La  quale  nella  minuta  aveva  più  colorito 


(1)  Sp.  prom.,  ivi. 


Busetto  —  24 


370  .  PARTE    TERZA 


rilievo,  più  drammatica  appariscenza,  ma  assai  meno  di  poesia. 
Quelle  memorie  or  lugubri  ora  crucciose  che  «  si  gettavano  a  traverso 
alle  sue  idee  »  e  «  le  scompaginavano,  e  lasciavano  nelle  sue  parole 
un  indizio  del  disordine  che  regnava  nella  sua  mente  »  ;  quella 
stravaganza  e  sregolatezza  ch'era  nel  suo  contegno  e  che  sarebbe 
stato  uno  scandolo  insopportabile  in  un  secolo  meno  bestiale  »  (*) 
del  suo;  ciò  che  Lucia,  Agnese  e  il  padre  guardiano  osservano  nel 
comportamento  di  lei,  durante  il  colloquio  di  presentazione  —  «  s'al- 
zava ella  talora  con  impeto  a  mezzo  il  discorso  come  se  temesse  in 
quel  momento  d'  esser  tenuta,  e  passeggiava  pel  parlatorio,  talvolta 
dava  in  risa  smoderate,  talvolta  levando  gli  occhi^  senza  che  se 
nMntendesse  una  cagione,  prorompeva  in  sospiri;  talvolta,  dopo  una 
lunga  e  manifesta  distrazione,  si  risentiva  ed  approvava  con  negli- 
genza ragionamenti  che  la  sua  mente  non  aveva  avvertito  »  —  (^)  ;  ciò 
che  il  Manzoni  osservava,  facendo  il  ritratto  della  signora,  nei  neri 
occhi  di  lei,  cioè  «  un  non  so  che  di  inquieto  e  di  erratico,  una 
espressione  istantanea,  che  annunziava  qualche  cosa  di  più  vivo,  di 
più  recondito,  talvolta  di  opposto  a  quello  che  suonavano  le  parole 
che  quegli  sguardi  accompagnavano  »  {^)  ;  quel  sorriso,  con  cui  la 
signora  accompagnava  le  parole  di  complimento  ai  «  buoni  amici  i 
padri  cappuccini  » ,  «  che  ad  altri  avrebbe  potuto  parere  di  compia- 
cenza, ad  altri  di  scherno»  {*);  quel  «non  so  che  di  sinistro  e  di 
feroce  >  nell'  aspetto,  quando  diede  sulla  voce  alla  troppo  sollecita 
Agnese,  tenendo  sopra  di  lei  gli  sguardi  fissi  «  torvi  e  sospettosi, 
come  se  cercassero  a  raffigurare  un  nemicò  »  (^)  e  la  sfuriata  a  cui 
s' abbandonava  contro  la  violenza  e  l' ipocrisia  de'  genitori  nel 
sacrificare  i  figli  (*'),  tutto  ciò  e  altro  ancora,  che  verremo  notando, 
conferiva  contorni   precisi   e  rilevati  e  vivace  colore    alla    pittura 


(1)  Ivi.  ' 

(2\  Sp.  prora..,  p.  168. 

(3)  Sp.  prom.,  p.  169. 

(4)  Ivi. 

(5)  Sp.  prom.,  pp.  170-1. 

(6)  Valga  come  saggio  della  sua  lunga  sfuriata  questo  tratto:  «Certo,  lo  sposo 
che  i  parenti  destinano  ad  una  figlia  è  sempre  un  uomo  compito,  e  il  monastero  dove 
la  vogliono  rinchiudere  è  così  allegro  in  così  bella  situazione!  così  tranquillo!  è  un 
paradiso!  Poveretti!  portano  invidia  alla  loro  figlia:  vorrebbero  anch'essi  ritirarsi  in 

quel  porto  di  pace,  ah!  a  far  vita  beata;  ma purtroppo  son  legati  nel  mondo. 

Scusi  il  mio  caldo,  padre,  ma  ella  sa  meglio  di  me,  almeno  ella  deve  saper  troppo 
bene,  come  vanno  queste  cose,  la  menzogna  la  più  imperterrita,  la  più  persistente, 
la  più  solenne  è  quella  che  sta  sul  labbro  di  colui  che  vuole  sacrificare  i  suoi  figli  e 
far  loro  violenza.  Questi  sono  i  peccati,  contro  i  quali  si  dovrebbe  predicare:  a  costoro 
bisognerebbe  minacciare  l'inferno»  (Sp.  prom.,  p.  172). 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  371 

di  quel  carattere,  fantastico  di  natura  ed  appassionato,  sconvolto  e 
sovreccitato  dai  funesti  casi  della  vita.  Ma  v'  era  in  questo  sfarzo  di 
una  esteriorità  eccessiva  lo  studio  dell'  osservatore  curioso  ed  ansioso 
di  scoprire  tutta  la  singolare  natura  del  personaggio;  v'era  altresì 
la  preoccupazione  del  moralista  a  far  toccare  con  mano  i  torbidi 
pervertimenti  di  pensiero  e  di  parola  che  la  forzata  monacazione  e 
le  ciniche  teorie  d'Egidio  avevano  generato  in  quella  sventurata. 
Quel  sentenziare  tra  sarcastico  e  iracondo  di  Gertrude  può  avere 
forse  qualcosa  di  shakesperiano  (e  più  d'una  traccia  deil'arte  sha- 
kesperiana  c'è  veramente  nella  prima  concezione  e  figurazione  di 
taluni  personaggi  manzoniani),  ma  insieme  con  altri  atteggiamenti 
del  carattere  lascia  scoperta  con  troppa  viva  rudezza  il  realismo  e 
il  moralismo  della  prima  maniera.  Abbiamo  insomma  la  macchietta, 
il  bozzetto  ;  abbiamo  la  dimostrazione  in  atto  di  quello  che  1'  analisi 
psicologica  e  la  riflessione  morale  avevano,  dirò  così,  diagnosticato 
nello  studio  di  queir  anima  traviata,  ma  non  abbiamo  ancora  il 
carattere  tragico  dell'ultima  forma,  così  pieno  di  spiritualità  dolorosa 
e  misteriosa^  così  puramente  e  nitidamente  segnato  nelle  sue  linee 
essenziali,  così  ricco,  nella  gentile  finezza  di  disegno  e  di  colori, 
d'un' umanità  profonda  e  complessa,  che  lo  solleva  sopra  i  lìmiti 
storici  d'  un  episodio  secentesco,  sopra  il  mondo  della  natura,  cioè 
de'  sensi  e  delle  apparenze,  sopra  l'umile  orizzonte  della  realtà  caduca, 
e  ne  fa  una  creatura  universale  ed  immortale. 

Quell'analisi  d'ogni  mutabile  atteggiamento  della  psiche,  quel 
rappresentarcela  principalmente  ne'  gesti  e  nella  colorita  vivacità 
dell'  espressione  esteriore  ;  quel  soffermarsi  sugli  occulti  motivi  d' atti 
e  parole,  a  cui  ogni  commento  è  superfluo  (*),  sono  procedimenti 
d'  arte  romantica  oscillante  tra  le  forme  del  naturalismo  minuto  e 
superficiale  e  quelle  del  sentimentalismo  or  molleggiante  ne'  lan- 
guori or  sermoneggiante  nella  tesi  e  ne'  precetti  morali.  Gli  è  che  il 
Manzoni  nel  comporre  e  foggiare  la  prima  volta  il  suo  personaggio 
sullo  sfondo  storico  dell'  età  che  veniva  rievocando,  con  la  coscienza 


(1)  Era  inutile,  dopo  le  amare  parole  della  signora,  soggiungere:  «Sifpose  a  sedere, 
tutta  turbata,  ed  ognuno  si  sarebbe  avveduto  che  un  pensiero  che  i  discorsi  di  Agnese 
avevan  fatto  nascere,  dominava  allora  la  sua  mente,  e  che  gli  afTari  di  Lucia  non 
erano  che  un  oggetto  di  considerazione  secondaria  »  (ivi)  ;  giacché  quelle  parole  erano 
così  abbondanti  e  chiare  da  fare  intendere  anche  troppo  il  rancore  di  Gertrude  contro 
i  suoi  oppressori.  Nell'ultima  redazione  il  Manzoni,  non  che  sopprimere  la  notazione 
superflua,  ha  ristretto  il  pensiero  dell'oppressa  in  quei  detti  brevi  e  taglienti  :  «  già 
lo  so  che  i  parenti  hanno  sempre  una  risposta  da  dare  in  nome  de'  loro  figliuoli  »  ! 
(cap.  IX,  p.  130);  ne' quali  è  come  uno  sfolgorio  improvviso  e  fugace,  ma  potente  della 
torva  ambascia  di  quell'infelice. 


372  PARTS   TERZA 


agitata  dai  motivi  morali  della  sua  creazione,  con  l' apprensione  di 
rivelare  quanto  di  strano,  d'abnorme,  di  dissennato  s'affacciava  al 
suo  pensiero  meditante,  con  la  tendenza,  non  ancor  mortificata  da 
un  sentimento  più  austero  dell'  arte,  a  secondare  nell'  espressione 
l'intima  ispirazione  romantica  de'  suoi  fantasmi  poetici,  vedeva  in 
Gertrude  lo  spirito,  il  costume  del  secolo,  il  prodotto  d'una  funesta 
realtà  contingente,  il  simbolo  d'un' aberrazione  peculiare  di  casta, 
V  esempio  d'  una  verità  morale  da  lui  eloquentemente  predicata  nelle 
Osservazioni  sulla  Morale  cattolica:  partecipava  insomma  appas- 
sionatamente^ con  la  coscienza  di  storico  e  di  moralista,  all'  intima 
vita  del  suo  personaggio.  È  il  naturale  processo  d'  ogni  creazione 
artistica  nella  sua  primitiva  genesi  sentimentale. 

In  un  secondo  ed  ultimo  momento,  che  suole  esser  quello  della 
chiara  e  tranquilla  contemplazione,  rivide  in  Gertrude  più  che  il 
costume,  più  che  la  parvente  realtà,  più  che  la  singolare  passionalità, 
il  contenuto  umano  della  sua  sventura  e  delle  sue  colpe,  il  segno 
eterno  dell'  universale  follia,  il  documento  pietoso  della  perenne  tra- 
gedia dell'uomo,  mal  difeso  dalla  giustizia  terrena,  trascinato  al  male 
dagl'istinti  e  dalle  passioni.  Visione  più  austera  e  profonda,  onde 
il  poeta  trasse  vigore  per  riplasmare  la  figura  ;  minutezze  d' analisi, 
complicanza  di  linee,  esuberanze  pittoriche,  eccessività  etiche  o  sa- 
tiriche o  romantiche  disparvero  o  s'attenuarono  in  forme  sobrie  e 
delicate:  nel  misurato  e  nitido  disegno,  nel  fine  rilievo  de'  linea- 
menti più  intimamente  spirituali,  nella  sapiente  armonia  di  ìndi  e 
d'ombre  che  mitiga  l'orrore  di  quella  rovina  morale,  destandovi 
vibrazioni  d' un'  accorata  e  pensosa  pietà,  Gertrude  ne  esce  trasfor- 
mata in  un'altra  creatura,  il  cui  tormento  d'animo  e  di  sensi  ora 
s' intuisce  dal  lampeggiar  d' un  accento  o  d' un  atto  fugace,  ora  di 
riflesso  si  scorge  in  taluni  improvvisi  sprazzi  di  luce  con  che  il  psi- 
cologo illumina  l'abisso  di  quello  spirito, 

X.  Vedete  gli  occhi  della  nuova  Gertrude  :  il  poeta,  che  con  grande 
sforzo  aveva  cercato  di  cogliervi  1'  animo  nel  primitivo  ritratto,  ma 
non  ne  aveva  ricevuto  che  un'impressione  generica,  confusa,  su- 
perficiale, li  scruta,  li  penetra,  e  ne  ha  la  visione  integrale  e  com- 
plessa in  questa  nuova  dipintura  meravigliosa:  «  In  certi  momenti 
un  attento  osservatore  avrebbe  argomentato  che  chiedessero  affetto, 
corrispondenza,  pietà  ;  altre  volte  avrebbe  creduto  coglierci  la  rive- 
lazione istantanea  di  un  odio  inveterato  e  complesso,  un  non  so  che 
di  minaccioso  e  feroce  ;  quando  restavano  immobili  e  fissi  senza 
attenzione,  chi  ci  avrebbe  immaginato  una  svogliatezza  orgogliosa 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  373 


e  chi  avrebbe  potuto  sospettarci  il  travaglio  d' un  pensiero  nascosto, 
di  una  preoccupazione  familiare  all'animo  e  più  forte  su  quello  che 
gli  oggetti  circostanti  »  (*).  Quest'  analisi,  rivolta  più  all'  interno 
dello  spirito  che  ai  caratteri  esteriori,  riflette  quel  mirabile  equilibrio 
della  fantasia  e  della  coscienza  che  il  Manzoni  raggiunse  solo  nel- 
r  ultima  forma  del  romanzo  e  che  è  il  segno  immortale  della  grande 
arte  classica.  Altre  particolarità  del  ritratto,  per  quanto  sieno  state 
attenuate  e  ingentilite  (*),  potrebbero  togliersi  via  anche  dalla  re- 
dazione corretta,  e  la  linea  essenziale  che  segna  il  travaglio  del  mi- 
stero di  quell'anima  ne  risalterebbe  con  più  potente  vigore.  Io  credo 
che  il  Manzoni,  nel  rielaborarlo,  fosse  sospinto  dalla  medesima  cura, 
ma  che .  non  abbia  saputo  rinunciare  del  tutto  a  quella  tendenza 
analitica  che,  per  essere  un  abito  della  sua  mentalità,  non  poteva 
non  lasciar  traccia  di  sé  anche  nell'opera  rifusa  e  rifinita.  I  «moti» 
delle  labbra,  «  come  quelli  degli  occhi,  subitanei,  vivi,  pieni  di  espres- 
sione e  di  mistero»,  hanno  nell'analisi  di  quell'intimo  affanno  una 
significazione  poetica,  né  spiacciono  quello  scomparire  della  «  gran- 
dezza ben  formata  della  persona  »  «  in  un  certo  abbandono  del 
portamento  »  e  quel  comparire  «  sfigurata  in  certe  mosse  repentine, 
irregolari  e  troppo  risolute  »  e  anche  quel  «  qualcosa  di  studiato  o 
di  negletto  »  nel  «  vestire  stesso  della  monaca  »  :  elementi  utili  alla 
visione  sintetica  del  complesso  carattere  di  Gertrude. 

Quanto  al  resto,  se  il  Manzoni  avesse  coraggiosamente  ridotta  ad 
una  semplice  linea  fisica  i  particolari  del  viso  e  dell'abbigliamento, 
avrebbe  dato  un  ritratto  immortale.  Quello  che  abbiamo,  ad  ogni 
modo,  segna  rispetto  al  primitivo  un  notevole  progresso  di  spiri- 
tualizzazione della  figura  e  di  sobrietà  artistica  nel   rappresentarla. 

Nel  colloquio  col  padre  guardiano  e  con  le  due  fuggiasche,  la 
medesima  misura,  nitidezza  e  compostezza  e,  in  cambio,  una  maggior 
densità  e  finezza    spirituale    ha   ricevuto    la   rappresentazione    del 


(1)  Prom.  sp.,  cap.  IX,  p.  128. 

(2)  La  parte  visibile  della  fronte  bianca  come  «un  candido  avorio»,  «  liscia  ed 
elevata»;  le  «  labbra  regolarissime,  dolcemente  prominenti  »;  il  «  mento  rilevato  ap- 
pena come  quello  d'una  statua  greca»;  la  «striscia  di  collo  bianco  e  tornito»  che 
«  una  gorgiera  bianca,  increspata,  lasciava  intravedere  »;  le  «  forme  di  alta  e  regolare 
proporzione»,  che  il  «  portamento  disinvolto  e  risoluto  rivelava»;  il  «seno  succinto 
con  un  certo  garbo  secolaresco»  dovettero  parere  al  Manzoni  elementi  d'un  realismo 
troppo  vivo,  d'una  plasticità  troppo  rilevata;  e  pur  qui  corresse,  direi  quasi  mortificò 
la  sua  fantasia,  come  fece  nel  descrivere  la  bellezza  di  Gertrude  adolescente.  Se  qualche 
spunto  del  ritratto  fisico  rimase,  lo  ritoccò  per  rivolgerlo  ad  un  fine  psicologico,  come 
Dell'accennare  alla  «  ben  formata  grandezza  »,  o  per  suscitare  un'  impressione  dolorosa, 
come  nel  dipingere  «  alterato  e  reso  mancante  da  una  lenta  estenuazione  »  il  «  contorno 
delicato  e  grazioso»  delle  gote  «pallidissime»  (ivi). 


374  PARTE   TERZA 


carattere:  brevi  e  generose  (')  le  parole  d' acconsentimento  alla  ri- 
chiesta del  cappuccino,  dette  senza  1'  ambiguo  sorriso  della  minuta  ; 
pronto  l'interessamento  pel  «caso»  di  quella  «giovane»,  un  pò* 
più  corretta  quell'espressione  di  curiosità  che  la  signora  pur  non  sa 
trattenere,  circa  1  «  gravi  pericoli  »  di  Lucia  accennati  dal  frate  ;(') 
più  tenue  il  suo  rossore  e  più  composta  1'  espressione  del  volto  che 
r  accompagnava  (3)  nel  ricredersi  di  quella  curiosità;  più  temperata 
ne'  movimenti,  negli  atti,  nelle  parole  stesse  (^)  che  le  vengono  sulle 
labbra  alla  dipintura,  che  il  padre  ha  fatto  di  don  Rodrigo;  più 
contenuta  nella  collera  e  nel  rancore  (^)  da  cui  è  presa,  come  ab- 
biam  visto,  quando  Agnese  inopportunamente  s'intromette  a  narrar 
la  storia  della  figliuola;  meno  diffidente  uell' accogliere  sotto  la  sua 
protezione  Lucia  (^), 

Una  conseguenza  di  questa  più  nobile  e  più  composta  concezione 
del  carattere  di  Gertrude  si  avverte  altresì  nel  modo  come  si  com- 


(1)  Prima  diceva:  «I  servigi  fatti  agli  amici  hanno  con  sé  il  loro  guiderdone;  e 
del  resto  ad  ogni  evento  io  non  dubiterei  di  far  conto  sul  ricambio  dei  nostri  buoni 
padri.  11  mondo  è  pieno  di  tristi  e  d'individiosi:  e  nessuno  può  assicurarsi  che  non 
venga  un  momento  in  cui  possa  aver  bisogno  d'una  buona  testimonianza  e  d'aiuto» 
(Sp.  prom.,  p.  109).  Vero  è  che  anche  nell'ultima  redazione  dice:  «anch'io  in  un  caso, 
in  un  bisogno,  saprei  far  capitale  dell'assistenza  de'  padri  cappuccini»;  e  commenta 
con  «  un  sorriso  »  dal  quale  traspare  «  un  non  so  che  d' ironico  e  d'amaro  »  :  «  alla  fine 
non  Siam  noi  fratelli  e  sorelle  ?»;  ma  qui  è  così  occulto  il  proposito  di  valersi  della 
testimonianza  e  dell'assistenza  de^li  amici  cappuccini  nel  caso  che  cadesse  sotto  so- 
spetto od  accusa  pe'  suoi  segreti  amori  con  Egidio,  che  non  se  ne  ha  che  un'impres- 
sione vaga  e  indefinita;  mentre  nella  minuta  traluceva  troppo  evidentemente  dalle 
sue  molte  e  brusche  parole,  con  disdoro  non  lieve  del  carattere  di  Gertrude;  e  l'ironia 
di  quella  domanda  e  di  quel  sorriso  non  ha  la  nota  aspra  di  scherno,  che  il  primo 
testo  lasciava  trapelare. 

(2)  Sp.  prom.,  p.  170;  Prom.  sp.,  cap.  IX,  p.  129. 

(3)  Negli  Sp.  prom.:  «Si  fece  tutta  di  porpora.  Era  verecondia*  Chi  avesse  osser- 
vata una  subitanea,  ma  viva  espressione  di  scherno  e  di  dispetto  che  accompagnò 
quel  rossore  avrebbe  potuto  dubitarne»  (ìoi).  E  nei  Prom.  sp.:  «  arrossendo  alquanto. 
Era  verecondia*  Chi  avesse  osservata  una  rapida  espressione  di  dispetto  che  accom- 
pagnava quel  rossore,  avrebbe  potuto  dubitarne»  (ivi). 

(4)  Negli  Sp.  prom.:  «■  Ma  voi  —  disse  la  Signora,  rivolta  repentinamente  a  Lucia  — 
voi  che  dite  di  codesto  Signore?  A  voi  tocca  a  dirci  se  egli  era  un  persecutore,  e  se 
aveva  gli  artigli  sozzi»  (p.  171).  E  ne'  Prom.  sp.:  «Accostatevi,  quella  giovane  — 
disse  la  signora  a  Lucia,  facendole  cenno  col  dito  — .  So  che  il  padre  guardiano  è  la 
bocca  della  verità;  ma  nessuno  può  esser  meglio  informato  di  voi,  in  quest'affare. 
Tocca  a  voi  a  dirci  se  questo  cavaliere  era  un  persecutore  odioso  »  (ivi). 

(5)  I  Protri,  sp.,  non  accennano  che  ad  «  un  atto  altero  e  iracondo,  che  la  fece 
quasi  parer  brutta  »  (p.  130). 

(6)  Negli  Sp.  prom.:  «Voglio  sentirvi  da  sola  a  sola.  Padre  guardiano,  se  elja 
conoscesse  per  testimonianza  degli  occhi  suoi  i  casi  di  questa  giovane,  certo  eh'  io  non 
starei  ora  in  dubbio:  ma  ella  non  li  conosce  che  per  relazione:  e  per  me,  piuttosto 
che  servire  alla  violenza  fatta  ad  una  povera  giovane...  ».  E  ne'  Prom.  sp.:  «  Avrò 
piacere  di  sentirvi  da  solo  a  solo.  Non  ch'io  abbia  bisogno  d'altri  schiarimenti,  né 
d'altri  motivi,  per  servire  alle  premure  del  padre  guardiano...  »  pp.  130-1). 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  375 

porta  con  Lucia  e  le  si  aflfeziona  da  quando  rimane  a  solo  a  solo 
con  lei  fino  al  giorno  che,  accecata  dal  prepotente  volere  di  Egidio, 
la  tradisce. 

Nel  trattare  de'  mutamenti  che  subì  il  carattere  di  Lucia  attra- 
verso l'intensa  elaborazione  del  romanzo,  osservavo,  a  proposito 
dell'ultimo  colloquio  della  poveretta  con  la  signora  (il  colloquio 
del  tradimento),  come,  per  effetto  di  quella  convenienza  psicologica 
ed  artistica  che  regola  i  mutui  rapporti  de'  personaggi  tra  loro  e,  per 
riflesso,  de'  mutamenti  recati  nello  svolgimento  dell'azione  generale 
e  degli  episodi  particolari,  di  cui  i  personaggi  stessi  sono  i  fattori 
necessari,  abbia  il  Manzoni  variato  l'analisi  e  gli  atteggiamenti 
drammatici  dell'una  rispetto  all'altra. 

Quella  scena  del  tradimento  attesta  per  le  mutazioni  operate  — 
come  mi  pare  d' aver  dimostrato  —  il  proposito  del  poeta^  di  smor- 
zare il  troppo  vivace  colore  che  assumeva  nella  minufa  la  perfidia 
di  Gertrude  destando  un  senso  di  profonda  ripugnanza  per  quel- 
l'ostentazione d'una  falsa  carità;  comprova  altresì  con  quanta  cura 
e  con  quanto  coraggio  egli  sia  venuto  epurando  l'opera  sua  d'o- 
gni elemento  troppo  patetico  o  troppo  pittorescamente  drammatico, 
e,  quando  non  l'abbia  potuto  sopprimere  per  la  sua  intima  ispira- 
zione romantica  (ad  es.  il  ratto  di  Lucia  e  quell'orrenda  notte  nel 
castello  dell'Innominato),  ne  abbia  ingentilito  lo  spirito  e  il  colore 
con  classica  compostezza.  Ebbene:  quella  medesima  legge  di  rela- 
tività psicologica  de'  personaggi  in  azione  e  l' intento  d' idealizzare 
alquanto  il  carattere  della  signora  hanno  suggerito  al  Manzoni  di 
mutare  in  rapidi  riferimenti  indiretti  tutto  il  lungo  dialogo  vivace 
tra  Lucia  e  la  suora,  quale  aveva  egli  primamente  esteso  nella  mi- 
nuta. Non  si  dimentichi  che  il  Manzoni  aveva  voluto  notare  con 
speciale  rilievo  come  la  stravaganza  e  la  sregolatezza  fossero  diven- 
tate quasi  una  seconda  natura  nella  sciagurata  Gertrude,  che  una 
trista  educazione  e  la  consuetudine  di  sentimenti  e  d' idee  con  Egi- 
dio avevano  pervertito  (*)  ;  alla  qual  cosa  nel  romanzo  rifatto  egli 
non  dà  un  così  vivo  risalto  né  un  particolar  posto  nell'analisi  psi- 
cologica; e  solo  qua  e  là  ne  tocca  con  vaghi  e  rapidi  accenni  e  in 


(1)  «  Quella  regola  nei  discorsi,  quel  contegno  nei  modi,  ch'ella  non  poteva  avere 
naturalmente,  e  per  ispirazione  dalla  pace  dell'animo,  non  aveva  i  mezzi  per  trovarlo 
nella  esperienza  e  per  comandarselo.  La  sua  esperienza  non  era  altro  che  del  chiostro, 
di  quel  poco  che  aveva  veduto  nel  tempo  burrascoso  passato  nella  casa  paterna,  e  di 
ciò  che  aveva  imparato  dall'infame  suo  maestro;  le  sue  idee  erano  un  guazzabuglio 
composto  di  questi  elementi....»  (Sp.  prom.,  pp.  252-3). 


376  PARTE   TKRZA 


modi  più  contenuti  (*).  Effetti,  certamente,  di  quella  più  alta  con- 
cezione del  personaggio  che  abbiamo  tanto  spesso  notato,  ma,  per 
contrapposto,  le  maniere  e  le  parole,  più  che  capricciose,  sfrenate 
e  imprudenti  del  colloquio  con  Lucia  volevano  essere,  nell'  inten- 
zione prima  dell'  autore,  un  saggio,  che  deliberatamente  ci  metteva 
innanzi,  di  quella  strana  morbosità  scandalosa,  su  cui  s'era  soffer- 
mato con  la  serietà  dello  storico  che  vuol  documentare  l'animo  e 
i  costumi  di  un  secolo.  Gertrude  ne  era,  per  l'autore  degli  Sposi 
promessi,  uno  de'  documenti  più  singolari.  Come  non  sentirsi  at- 
tratto a  presentarla  in  azione  nell'abbandono,  anche  più  smodato 
e  più  strano  che  non  avesse  potuto  poco  prima  in  presenza  del  padre 
guardiano,  al  disordine,  in  lei  connaturale,  de'  pensieri  e  delle  parole? 
Da  queir  interrogazioni  curiose,  insistenti,  ardite,  da  queir  impres- 
sioni e  da  quei  giudizi  non  meno  stravaganti  riceveva  risalto  la 
scompigliata  mente  della  pervertita,  così  come  1'  angoscia,  il  terrore, 
la  debolezza  del  carattere,  l' abietta  schiavitù,  in  cui  l' aveva  ridotta 
il  peccato,  'avevano  avuto  una  rappresentazione  diretta  e  colorita 
nell'analisi  del  suo  pervertimento  e,  assai  più,  nella  scena  dell'uc- 
cisione della  conversa,  ne'  dialoghi  tenebrosi  con  le  altre  due  suore, 
e  —  come,  vedremo  —  nel  colloquio  con  Egidio  e  ne'  dibattiti 
con  quelle  sciagurate,  in  cui  si  ordisce  il  tradimento  della  povera 
Lucia.  Il  dialogo  è  lungo,  (*)  e  non  conviene  che  mi  attardi  a  ri- 
ferirne di  troppo,  ma  è  evidente  che  nel  primitivo  disegno  del  Man- 
zoni doveva  servire  all'  analisi  e  al  ritratto  de'  caratteri  e  non  solo 
della  sciagurata  reclusa,  ma  pur  di  Lucia  e  di  don  Rodrigo.  Quel- 
l'aria quasi  d'intimazione  di  dirle  il  «vero>,  d'esser  «sincera»,  di 
raccontarle  «  tutta  la  storia  >,  quel!'  «  affogare  Lucia  d'inchieste  »  per 
sapere  minutamente  e  del  fidanzato  e  del  vagheggiatore,  quelle  pa- 
role di  confessione  pel  «  poveretto  »  don  Rodrigo  che  «  pativa  »  per 
Lucia  e  ne  era  oggetto  di  «  tanto  orrore  »  —  al  qual  sentimento  si 
rimescolava  il  rancore  contro  i  cattivi  «  tiranni  »  suoi,  il  riso 
senz'ombra  di  pudore,  che  le  lampeggiava  tra  le  labbra  all'espresso 
timor  di  Lucia  di  quelle  cose  che  offendono  la  santa  ignoranza  di 


(1)  Ne  tocca  a  proposito  de'  giochi  e  discorsi  delle  educande,  ch'ella  eccitava  e 
rendeva  più  intemperanti  (Prom.  sp.,  cap.  X,  p.  158)  e  a  proposito  delle  «  imprecazioni  » 
e  degli  «scherni»  «espressi  in  un  linguaggio  insolito»  nel  tempo  che  —  possiamo 
arguirlo,  anche  se  il  guardingo  Manzoni  non  lo  dica  —  la  tresca  con  Egidio  doveva 
essere  di  molto  avanzata  (ibicl.,  p.  159). 

(2)  Sp.  proni.,  pp.  254-<j.  K  si  noli  che  rimane  incompiuto,  almeno  secondo  il  testo 
che  ne  ha  dato  il  Lesca,  il  qilale  trovò  a  questo  punto  l'autografo  mancante  di  fogli, 
dispersi  o  lacerati. 


IL    ROMANZO   IN   FORMAZIONE  377 


lei  — ,  tutto  ciò  e  qualche  altro  elemento  del  dialogo  svolgono  in  azio- 
ne l'analisi  già  fatta  dell'indole  e  del  contegno  morboso  e  sregolato 
di  Gertrude,  come,  del  pari,  ne  ritraggono  l' avvilimento  cruccioso 
che  la  rodeva  nel  sentirsi  sprezzata  dal  suo  seduttore  e  abiettamente 
accomunata  in  una  tresca  in  quattro^  i  ripetuti  scatti  di  sdegno  contro 
il  persecutore  di  Lucia,  dopo  il  racconto  fattole  dalla  giovane  del 
modo  come  la  sua  amica  Bettina  era  stata  sedotta  e  poi  abbandonata 
dal  prepotente  donnaiuolo;  come,  infine,  del  pari  si  riflette  l'abito 
da  lei  contratto  -della  simulazione  in  quel  tentar  di  stornare  il  so- 
spetto 0  almeno  Jo  stupore  della  giovine  col  mostrar  d'avere  equi- 
vocato sull'intenzione  del  signorotto.  In  codesto  dialogo  dunque 
c'è  tutta  la  primiera  Gertrude  manzoniana,  disordinata,  triviale, 
tetra,  impulsiva;  l'averlo  soppresso  è  dovuto  indubbiamente  alla 
nuova  concezione  del  personaggio.  Ma  non  a  questa  soltanto. 

C  era  pur  Lucia,  in  quella  singolare  conversazione,  che  faceva 
figura  non  dico  d' una  loquacità  scaltra  e  banale  (che  sarebbe 
troppo),  ma  certamente  di  una  vivacità  abbondevole  di  sentimenti 
€  di  giudizi  e  d'una  certa  esperienza  di  mondo  che  ne  mettevano 
in  luce  non  meno  la  sana  onestà  campagnuola  che  il  vigile  accor- 
gimento (*):  si  badi  massimamente  alla  storia,  ch'ella  racconta, 
dell'amica  sedotta  (*)  e  al  modo  come  la  racconta,  alla  sicurezza 
quasi  risentita  con  cui  risponde  allo  strano  compatimento  e  alla  piti 
strana   difesa  che  la   monaca  fa   di  don  Rodrigo  (^j,  al    ragionare 


(1)  V.  la  garbata  analisi  del  D'Ovidio  in  N.  st.  manz.  cit-,  pp.  450-1.  Il  D'Ovidio 
nell'esame  di  questo  colloquio  ritiene  che  il  Manzoni  «  coi  soliti  ritocchi  e  con  degli 
smorzi»  «l'avrebbe  potuto  rendere  più  che  ammissibile»;  che  «gli  eccessi»  della 
signora  «  nel  tu  per  tu  con  Lucia  »  «  potevano  andare  »  ;  che  insomma  non  ne  sarebbe 
rimasta  «snaturata  l'arte  del  Manzoni  o  turbata  sostanzialmente  la  figura  di  Lucia» 
(pp.  453,  454).  Troppo  mi  par  conceda  l'insigne  critico,  dopo  che  egli  stesso  ha  poco 
prima  osservato  che  l'impressione  che  fa  Gertrude  nella  nuova  redazione  dell'episodio 

è  «  più  consona  al  decoro  della  lugubre  storia»  (p.  451)  e  che  «il  velo messo  su 

quel  dialogo  e  tutto  il  risalto  dato  solo  allo  sgomento  »  dell'interrogarla  «sono  molto 
più  appropriati  alla  figurazione  di  Lucia,  quale  l'autore  stesso  se  la  proponeva»  (ivi). 
Dal  punto  di  vista,  sotto  cui  io  riguardo  l'elaborazione  poetica  e  artistica  de'  Pro- 
messi sposi,  come,  cioè,  spiritualizzazione  della  materia  plasmata  nel  primo  getto,  non 
ho  dubbio  alcuno  che  quel  dialogo  anche  con  de*  ritocchi  non  poteva  più  reggere  nella 
rinnovellata  compagine  del  romanzo. 

(2)  Sp.  prova.,  pp.  256-7.  Accennando  al  libertinaggio  di  don  Rodrigo,  scappava  a 
dire:  «  Eh!  le  cose  si  sanno  pur  troppo»:  e  raccontava  delle  «  lagrime  che  spargeva 
in  segreto  la  sedotta  »,  di  quanto  questa  «  soffriva  »,  senza  che  sapesse  «  staccarsi  da 
lui  »:  insomma  Lucia  sapeva  troppe  cose  di  quella  «  sua  povera  Bettina»! 

(3)  «  Ben  contenta  che  m'avesse  detto  ogni  sorta  d'ingiurie  —  s'accalorava  a  dire 
Lucia  —  piuttosto  che  quello  che  mi  è  toccato  sentire  da  lui. . .  Quanto  al  bene  ch'egli 
mi  poteva  volere Santissima  Vergine,  che  razza  di  bene!*  (pp.  255,  256). 


378  PARTE   TERZA 


arguto  intorno  alla  sorte  riserbata  all'amica  tradita  (*),  Insomma, 
tralasciando  altri  rilievi,  che  farei  se  non  temessi  di  dilungarmi 
troppo  dal  primo  proposito,  sprizzava  da  tutti  i  discorsi  e  gli  atti 
di  Lucia  (compreso  quel  procedere  guardingo  e  sospettoso  di  dir 
cose  sconvenienti  alla  «  reverenda  madre  »  e  quel  comportarsi  di 
fronte  alle  richieste  di  lei  «  come  si  fa  a  quelle  indiscretissime  dei 
ragazzi,  dalle  quali  uno  si  sbriga  alla  meglio,  cercando  di  non  ri- 
spondere direttamente  e  di  mandare  in  pace  l' interrogante  >)  (*), 
sprizzava,  dirò  così,  un  tal  quale  realismo  borghese,  vivo,  gradevo- 
lissimo, ma  di  cui  al  Manzoni,  nell' elevare  ad  una  semplicilà  più 
pudica  e  nobile  il  suo  personaggio,  parve  evidente  l' eterogeneità  e 
la  sconvenienza.  Cosi  per  nobilitare  non  meno  la  figura  di  Gertrude 
che  quella  di  Lucia,  indissolubilmente  congiunte  nell'ideale  d'una 
ricomposizione  poetica  del  mondo  del  suo  romanzo,  egli  fé  sacrifizio 
di  tutto  il  dialogo,  di  tutta  la  scena.  Nella  quale  indirettamente 
anche  don  Eodrigo  era  delineato  alla  brava  in  figura  di  vagheg- 
giatore e  di  seduttore  delle  ragazze  del  paese,  più  volgare  e  più 
odioso  che  non  sia  nel  romanzo,  dove  non  lo  vediamo  che  brutal- 
mente invaghito  di  Lucia:  anche  don  Eodrigo  era,  al  di  là  della 
sua  individualità  artistica,  il  tipo  storico  del  signorotto,  persecutore 
dell'  onor  femminile,  tanto  più  spadroneggiante  in  un  secolo  che  il 
Manzoni  reputava  «bestiale».  La  scena,  dunque,  nel  suo  complesso 
recava  le  tracce  di  quelle  tendenze  al  moralismo  censorio  e  satirico, 
al  realismo  minuto  pittorescamente  borghese,  allo  storicismo  inda- 
gatore dello  spirito  e  de'  costumi  della  società  rappresentata,  che, 
come  vengo  abbondantemente  provando,  predominavano  nella  pri- 
mitiva composizione  del  romanzo. 

Ciò  che  a  quel  dialogo  il  Manzoni  ha  sostituito  nell'  ultima  reda- 
zione, può  apparire,  di  primo  acchito,  un  sobrio  e  svelto  riassunto 
della  materia  primamente  dialogata;  ma,  nello  spirito  e  nel  fatto, 
è  qualcosa  di  più.  Che  vi  intravediamo  del  contenuto  de'  pensieri  e 
sentimenti  dell' interrogatrice  ?  che  delle  vivaci  risposte  e  delle  pic- 
canti narrazioni  di  Lucia? 

Dice  il  romanzo:  «Entrava  in  certi  particolari- cpn  un'intrepi- 
dezza che  riuscì  e  doveva  riuscire  più  che  nuova  a  Lucia  »  ;  «  fram- 
mischiava all'  interrogazione,  o  lasciava  trasparire  »  «  giudizi  »  «  non 


(1)  Suonavano  strane  queste  parole  in  bocca  a  Lucia:  «  spero  che  Dio  le  farà  mi- 
sericordia; perchè  poi  finalmente  è  stata  tradita.  Ma  per  me  dico  davvero,  che  se  per 
andare  in  Paradiso  bisognasse  fare  la  vita  di  quella  povera  figlia,  la  mi  parrebbe 
molto  dura»  (Ivi). 

(2)  Sp.  prora.,  p,  254. 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  379 

meno  strani  >.  Brevi  linee  che  scolpiscono  la  curiosità  inquieta  della 
monaca,  ma  non  lasciano  indovinar  facilmente  gli  sfrenati  discorsi 
della  prima  stesura. 

E,  al  confrario,  rilevante  codesto  tratto  :  «  pareva  quasi  che  ridesse 
del  gran  ribrezzo  che  Lucia  aveva  sempre  avuto  di  quel  signore  e 
domandava  se  era  un  mostro  da  far  tanta  paura:  pareva  quasi  che 
avrebbe  trovato  irragionevole  e  sciocca  la  ritrosia  della  giovine,  se 
non  avesse  avuto  per  ragione  la  preferenza  data  a  Eenzo  »  (^)  :  un 
tratto  a  cui  non  corrisponde  nulla  del  dialogo  della  minuta,  mate- 
riato d'altri  giudizi  e  d'altre  espressioni  riguardo  a  don  Rodrigo 
e  che,  per  essere  un  saggio  degli  «  svagamenti  >  di  quel  «  cervello  », 
dietro  cui  «  troppo  »  la  signora  lasciava  «  correr  la  lingua  » ,  piacque 
al  Manzoni  d'aggiungere,  per  raccoglier  1' attenzione  del  lettore  sul 
contrasto  tra  la  mondanità  loquace  della  misera  pervertita  e  l'om- 
broso pudore  della  fanciulla  innocente. 

E  che  altro  dice,  poi,  il  romanzo  ?  «  Cercò  di  correggere  e  d' in- 
terpretare in  meglio  quelle  sue  ciarle  ;  ma  non  potè  fare  che  a  Lucia 
non  ne  rimanesse  uno  stupore  dispiacevole  e  come  un  confuso  spa- 
vento >  Ciarle!  Ma  nel  primitivo  dialogo,  cosi  ricco  di  stati  d'animo 
diversi  e  appassionati,  e  vivace,  talora,  d'accenti  sinceri,  non  erano 
tutte  ciarle:  c'erano  impeti  di  convinzione  e  di  doglia  amara  che 
infoschivano  la  figura  della  strana  interrogatrice  (*). 

Il  vero  è  —  per  concludere  —  che  il  Manzoni  nella  sobria  ridu- 
zione di  quella  scena  non  ha  già  puramente  rifuso  i  tratti  essen- 
ziali del  colloquio,  ma  altresì  epurata  Gertrude  di  ciò  che  v'era  in 
lei  di  troppo  sensualisticamente  sentimentale  e  di  foscamente  dolo- 
roso ;  ha  riatteggiato  nel  medesimo  tempo  1'  anima  e  il  contegno  di 
Lucia,  il  cui  rilievo  psicologico,  cercato  con  gentile  studio  dal  poeta, 
è  in  quel  rossore  e  stupore,  che  l'agita  durante  l' interrogatorio, 
mischiato  alla  confusa  impressione  di  sgomento,  che  le  resta  nello 
spirito  semplice  e  puro. 


(1)  Prom.  sp.,  cap.  X,  p.  160. 

(2)  Ad  un  punto  la  signora  prorompeva:  »  Convien  dire  che  voi  non  abbiate  mai 
avuto  chi  vi  volesse  male,  giacché  sentite  tanto  orrore  per  chi  vi  ha  voluto  bene  — 

Birbone,  cattivo,  tiranno!  che  parolone,  figliuola E  la  carità  del  prossimo*.. .  Se 

gli  aveste  provati  i  tiranni  davvero — !  ».  (p.  255).  Ma  quando  sentì  dire  dell'abban- 
dono della  povera  Bettina,  scattò;  «  È  un  vile  birbante!...  Sì,  sì,  è  un  birbante:  son 

tutti  cosi  costoro.  Date  loro  retta  sul  principio:  voi,  voi  sola  siete  la  loro  vita .: 

voi  siete  la  sola  donna  di  questo  mondo,  e  poi fortunata  voi  che  potete  sbrigar- 

vene.  Vi  avrebbe  voluta  vedere  amica  di  Bettina amica!  e  sprezzarvi  tutte  e  due; 

e  vi  so  dire  io  come  vi  avrebbe  trattate:  peggio  che  serve.  Se  aveste  fatto  il  prima 
passo ,  (pp.  257,  258). 


380  PARTE   TERZA 


Mentre  nella  minuta  non  le  ritroviamo  più,  Gertrude  e  Lucia,  in 
confidente  colloquio  (*)  nel  romanzo  l'autore  ne  riprende  il  motivo, 
svolgendolo,  anzi,  in  nuovi,  più  gentili  e  composti  atteggiamenti  : 
«Gertrude  la  faceva  venire  spesso  in  un  suo  parlatorio  privato  e 
la  tratteneva,  talvolta  lungamente,  compiacendosi  dell'ingenuità  e 
della  dolcezza  della  poverina,  e  nel  sentirsi  ringraziare  e  benedire 
ogni  momento.  Le  raccontava  anche,  in  confidenza,  una  parte  (la 
parte  netta)  della  sua  storia,  di  ciò  che  aveva  patito  per  andare  a 
patire;  e  quella  prima  meraviglia  sospettosa  di  Lucia  s'andava  cam- 
biando in  compassione.  Trovava  in  quella  storia  ragioni  più  che 
sufficienti  a  spiegare  ciò  che  e'  era  d'  un  po'  strano  nelle  maniere 
•della  sua  benefattrice;  tanto  più  con  l'aiuto  di  quella  dottrina 
d'Agnese,  su'  cervelli  de'  signori  »  (*). 

Non  senza  intenzione  ha  aggiunto  il  Manzoni  questo  nuovo  qua- 
dretto lumeggiante  i  rapporti  della  signora  con  Lucia;  non  senza 
intenzione  ripiglia  il  motivo  delle  «  domande  curiose  di  quella  sulla 
storia  antecedente  alla  promessa»,  per  rappresentare  così  il  variar 
de'  sentimenti  e  delle  affezioni  nell'animo  della  sventurata:  «  Qualche 
volta  quasi  s'indispettiva  di  quello  star  così  sulle  difese,  ma  vi 
traspariva  tanta  amorevolezza,  tanto  rispetto,  tanta  riconoscenza,  e 
anche  tanta  fiducia!  Qualche  volta  forse,  quel  pudore  così  delicato 
le  dispiaceva  ancor  più  per  un  altro  verso  ;  ma  tutto  si  perdeva 
nella  soavità  d' un  pensiero  che  le  tornava  ogni  momento,  guar- 
dando   Lucia:    «a  questa  fo  del   bene  »  (^).  Svolgimenti   psicologici 


(1)  Veramente  leggiamo  questo  tratto  nella  minuta  poco  prima  del  colloquio  del 
tradimento:  «Dopo  la  partenza  della  madre,  rimasta  come  smarrita,  senza  consiglio, 
senz'altro  appoggio  che  quello  della  Signora,  non  si  sentiva  mai  tanto  sicura  come 
presso  di  lei.  Ben  è  vero  che  quel  non  so  che  d'inusitato  e  di  strano,  ch'ella  aveva 
trovato  nei  discorsi  e  nel  contegno  di  essa,  gli  (sic)  aveva  lasciata  una  impressione 
d'incertezza  e  quasi  di  timore;  ma  ella  era  tanto  lontana  dal  sospettar  pure  le  vere 
cagioni  di  quell'inusitato,  che  le  prime  rilles^ioni  della  madre  l'avevano  rassicurata» 
<p.  320).  Ma  è  un  tratto  che  solo  nel  giudizio  —  e  anche  questo  modificato  —  che  Lucia 
faceva  delle  stranezze  della  signora,  corrisponde  vagamente  al  nuovo  testo;  ed  è 
tutt' insieme  un  rimettiticcio  pedestre  che  serve  di  passaggio  alla  scena  del  tradimento 
e  da  cui  non  viene  luce  e  moto  alcuno  alla  figura  psicologica  di  Gertrude. 

(2)  Prom.  sp.,  cap.  XVIII,  p.  267. 

(3)  Ibid.,  pp.  2()7,  208:  Questo  moto  gentile  dell'animo  di  Gertrude  era  vagamente 
balenato  nella  fantasia  del  Manzoni  fin  dal  primo  getto,  ma  in  tutt'altra  circostanza 
■e  per  altro  fine,  nel  concitato  colloquio  ch'ella  aveva  con  Kgidio  prima  di  piegarsi 
a  sacrificargli  Lucia  (Sp.  proin.,  p.  316).  Se  non  che  in  quel  discorso  ella  esprime  anzi 
fastidio  e  quasi  odio  per  la  sua  protetta:  del  che  non  v'ha  neppur  l'ombra  nelle 
nuove  pagine  del  romanzo.  A  questo  proposito  è  interessante  la  nota,  scritta  in  mar- 
gine all'autografo  —  come  par  certo  —  dal  Visconti;  (ivi,  n.  4i  nella  quale  si  sugge- 
riva al  Manzoni  di  rappresentare  in  Gertrude  un  tumulto  d'affezioni  or  d'odio  e  or 
d'amore  verso  Lucia,  e  che  può  avere  influito  ne'  mutamenti  e  negli  atteggiamenti 
nuovi  in  cui  la  vediamo  ripresentata  nell'ultima  redazione. 


IL   ROMANZO   IN    FORMAZIONE  381 


e  abbellimenti  morali  che  hanno  servito  alla  ricomposizione  poetica 
del  meraviglioso  personaggio  manzoniano.  Oh,  su  quel  dialogo  della 
minuta,  che  pur  è  stato  giudicato  «  una  gemma  »  (*),  quanto  sovra- 
stano per  delicatezza  elegiaca  nell'  ispirazione  e  vigorosa  comples- 
sità di  motivi  e  di  gradazioni  spirituali  e  lucida  armonia  di  stile, 
queste  nuove  dipinture!  Una  curiosità  inquieta  d'anima  avvolta  nel 
peccato,  ansiosa  di  conoscere  una  pura  storia  d'amore,  così  diversa 
dalla  sua  ;  un  impronto  dispetto  di  quell'ingenuo  delicato  pudore  di 
Lucia,  che  era  come  un  inconsapevole  rimbrotto  alla  sensual  leg- 
gerezza e  sregolatezza  de'  suoi  occulti  costumi  ;  ma,  di  ricontro, 
un  insolito  intenerimento  per  quell'innocente  che  con  tanta  sempli- 
cità di  contegno  le  disarmava  l'animo  cruccioso  ;  anzi  una  dolcezza 
pura,  che  le  fluiva,  come  un  refrigerio  nel  cuore,  dal  pensiero  che 
quella  sua  protezione  esercitata  con  crescente  carità  era  —  come 
con  potente  frase  rivelerà  il  poeta  nel  dipingerci  lo  sgomento  di 
lei  all'imposizione  d'Egidio  di  sacrificargli  Lucia —  «  un  mezzo  d'e- 
spiazione »  :  questo  è  l'animo  nuovo  di  Gertrude;  questa  è  l'in- 
quieta, complessa,  ma  non  triviale  spiritualità  che  nasce  dalla  spe- 
cial situazione  d' essere  ella,  vittima  dolorosa  di  pregiudizi  e  pas- 
sioni, chiamata  dal  destino  a  ricoverare  e  proteggere  un'  oppressa, 
d'  esser  ella,  misteriosa  colpevole,  messa  a  contatto  con  la  purità 
innocente.  Spiritualità  nuova  diffusa  in  una  non  so  qual  malinconia 
grave  e  trepida  di  tenerezza  (ricordate  che  già  «  perder  Lucia  per 
un  caso  impreveduto,  senza  colpa,  le  sarebbe  parsa  una  sventura, 
una  punizione  amara  »  ('),  che  invano  cercheremmo  nelle  pagine 
della  prima  redazione  del  romanzo. 

XI.  Ora  dobbiamo  soffermarci  sur  un  passo  di  capitale  importanza, 
la  scena  della  sottomissione  di  Gertrude,  alla  imperiosa  richiesta 
del  sacrifizio  di  Lucia,  che  presenta  così  profondo  divario  tra  la 
minuta  e  l'ultima  redazione  del  romanzo.  Il  Manzoni  ha  operato 
non  solo  inesorabili  tagli  e  scorci,  ma  rimutamenti  sostanziali  d'ordine 
psicologico  ed  artistico.  Io,  nel  ricercarne  le  ragioni  e  il  processo, 
non  dimenticherò  quei  principi  generali  che  spesso  ho  dovuto  ri- 
chiamare nello  studio   del  carattere  di   Gertrude  e  delle  situazioni 


(1)  V.  F.  D'Ovidio,  N.  st.  manz.  cit.,  p.  452. 

(2)  Prom.  sp.,  cap.  XX,  p.  293.  Anche  il  D'Ovidio  {op.  cit.,  pp.  456  segg.)  ricerca 
il  divario  tra  il  libro  e  la  minuta  «  nel  pentimento  intimo  di  Gertrude  per  Lucia  », 
ma  sotto  un  punto  di  vista  diverso  dal  mio,  quello,  cioè,  dell'*  intreccio  dei  motivi 
interessati  coi  disinteressati  »  nell'  animo  della  monaca,  riguardato  nella  minuta  e 
nel  testo  definitivo. 


382  PARTE   TERZA 


psicologiche  e  drammatiche  che  il  Manzoni  venne  intorno  ad  essa 
disegnando  e  ricreando  con  la  coscienza  e  la  fantasia  tutte  tese  ad 
un  ideale  d'  arte  armoniosamente  serena  e  nitidamente  classica. 

La  tragica  scena,  che  rappresentava  primamente  l'aspettazione 
ansiosa  d'Egidio  da  parte  di  Gertrude,  poi  quella  «specie  di  con- 
solazione angosciosa,  e  di  rincoramento  agitato  »  che  le  si  dipinge 
nel  rosso  delle  guance  nell' andargli  incontro  e  s'esprime  in  con- 
vulse parole,  l' incubo  tormentoso  ch'ella  descrive  con  terrore  mach- 
betiano  dello  spettro  della  conversa  uccisa,  la  supplicazione  dispe- 
rata che  rivolge  e  ripete  al  tristo  amante  di  trasportarne  il  cadavere 
lontano  dalla  cantina  della  sua  casa  attigua,  il  finto  consentimento 
dello  scellerato  e  il  patto  che  imperiosamente  le  pone  d'aiutarlo  a 
rapire  Lucia,  il  nuovo  orrore  di  Gertrude,  riluttante  con  affanno 
indicibile  all'idea  di  un  nuovo  delitto,  è  senza  dubbio  uno  de'  luo- 
ghi più  altamente  drammatici  del  romanzo.  Ma  la  ragion  d'essere, 
il  valore  psicologico,  il  colorito  artistico  di  essa  non  si  possono  in- 
tendere se  non  in  relazione  col  primitivo  concepimento  della  tene- 
brosa storia  di  Monza  e  de'  personaggi  partecipanti  al  dramma. 

Critici  valorosi  hanno  lamentata,  fin  dalla  priiha  pubblicazione 
fatta  dell'episodio  ne'  Brani  inediti^  la  soppressione  di  esso  e  un 
maestro  di  studi  manzoniani  ha  perfino  concluso  col  chiamarla  «  per- 
dita grande  ed  irreparabile  »  (*).  E  perchè?  perchè  s'è  guardata  la 
scena  in  sé  stessa,  nella  sua  peculiare  bellezza,  nel  suo  intenso  vi- 
gore drammatico,  apprezzandola  a  tal  segno  che  molti  han  deplorato 
che  il  Manzoni  non  dispiegasse  l'attitudine,  che  pur  possedeva  po- 
tente e  di  cui  fan  fede  le  fosche  scene  soppresse,  alla  gagliarda  e 
colorita  drammatizzazione  delle  forti  e  accese  passioni. 

Esaminiamo  anzitutto  la  ormai  celebre  scena  ne'  suoi  caratteri 
intrinseci  e  ne'  rapporti  d' ispirazione  e  di  rappresentazione  che  essa 
ha  con  la  concezione  primitiva  del  romanzo. 

La  critica,  che  suole  essere  anche  troppo  studiosa  del  verosimile . 
«  del  razionale  nell'analisi  delle  opere  d'arte,  avrebbe  da  ridire  su 
quelle  prime  parole  del  dialogo  :  «  Sia  lodato  il  cielo^  vi  riveggo  ! 
Oh  che  giorni  ho  passati!  e  che  notti!  Che  paura  ho  avuto  questa 
volta!»  (*),  poiché  dall'intreccio  de'  tatti  risulta  che  Egidio  era  as- 
sente da  Monza  poco  più  d'una  notte   e  poco   più  d'un  giorno  (3). 


(1)  D'Ovidio,  N.  st.  manz.  cit.,  p.  460. 

(2)  Sp.  prom.,  p.  312. 

(3)  La  mattina  dopo  ch'ebbe  ricevuta  la  lettera  dal  Conte  di  Sagrato,  mosse,  di 
buon'ora,  alla  volta  del  castello;  all'indomani  era  di  ritorno  a  Monza  (Sp.  prom., 
pp.  292,  296). 


IL   ROMANZO    IN   FORMAZIONE  383 


Ma  son  quisquilie,  che  non  possono  intaccar  d'inverosimiglianza 
queir  agitazione,  più  spasmodica  del  solito,  che  è  uno  de'  motivi 
sentimentali  del  drammatico  colloquio.  Non  v'ha  nulla  di  determi- 
nato, di  congrao,  di  logico  in  una  psiche  disordinata  per  natura  e 
sconvolta  dalle  immaginazioni  del  proprio  delitto  e  della  propria 
colpa. 

Ma  il  motivo  piti  profondo  e  più  vero,  e  perciò  risultante  come 
il  precedente  psicologico  e  la  ragion  poetica  di  quel  dialogo,  il 
quale  può  apparire  inaspettato  e  forzato  solo  ad  un  osservatore  su- 
perficiale, è  nella  ripresa  di  queir  accorata  supplicazione  di  Gertrude, 
ripetuta  chi  sa  quant' altre  volte  senz'effetto,  per  liberarsi  dall'osses- 
sione dell'ombra  della  monaca  uccisa.  Quando  Egidio  seccato  chiama 
quelle  di  Gertrude  «sciocchezze»,  ella  sospira:  «>  Oh  sciocchezze! 
so  io  quel  che  soffro  :  e  fossero  anche  sciocchezze,  a  chi  tocca  aver 
compassione  di  me?  Mai,  mai  non  avete  voluto  compiacermi.  Se 
provaste  un'ora  quello  ch'io  sento  tutto  il  giorno!  tutta  la  notte! 
J^on  posso  più,  non  posso  più  vivere  con  colei  così  vicina  »  (*).  E 
quando  più  innanzi  Egidio,  per  le  lunghe  insistenze  della  donna, 
«  fingendo  d'acconsentire  alla  domanda,  risponde  «vi  compiacerò: 
è  un  impiccio,  è  un  fastidio,  ed  un  pericolo,  ma  per  voi  lo  farò  », 
ella  esce  in  queste  esitanti  parole  :  «  Oh,  davvero  !  non  lo  dite  per 
acquetarmi,  come  avete  fatto  altre  volte...  vi  ricordate?..  ».  Nulla 
di  strano  dunque  che  Gertrude  torni  a  dipingere  i  suoi  terrori  pur 
a  molta  distanza  dal  delitto,  dacché  pare  che  questo  fosse  il  motivo 
de'  suoi  discorsi  affannosi^  e  si  tenga,  piuttosto,  in  conto  al  Man- 
zoni l'avere  osservato  la  connession  logica  e  psicologica  di  que- 
st'altro colloquio  con  le  agitazioni  incessanti,  acuite  dall'assenza 
dell'amante  della  colpevole. 

Dalla  trama,  com'  era  distesamente  svolta  nella  minuta,  de'  truci 
casi  di  Gertrude  e  delle  terribili  e  discordi  passioni  tumultuanti 
neir  animo  suo,  originò  con  vigor  logico  anche  questa  situazione, 
la  quale  alla  sua  volta  doveva  preparare,  secondo  l'intendimento 
dell'accorto  psicologo-artista,  l'altra,  più  strettamente  connessa  con 
l'intreccio  generale  del  romanzo,  in  cui  Egidio  vuole  ad  ogni  costo 
la  complicità  della  suora  nel  ratto  di  Lucia.  Tutto  è  preordinato, 
concatenato  e  svolto  con  una  precisione  e  verosimiglianza  impeccabile. 
È  vero;  ma  codeste  due  situazioni,  in  cui  il  terrore,  l'angoscia,  il 
rimorso  della  donna,  1'  orror  suo  di  nuove  infamie  mal  combattono 


(1)  Sp.  prom.,  p.  313. 


384  PARTE   TEKZA 


col  perverso  amore,  che  la  incatena,  con  la  beffarda  risoluta  ferocia 
del  giovane  che  la  soggioga,  entrano  in  quel  medesimo  disegno 
generale  in  cui  abbiam  visto  pigliar  forma  piena  e  vivace  l' analisi 
delle  origini  della  tresca  e  del  pervertimento  di  Gertrude,  il  racconto 
dell'uccisione  della  conversa,  la  dipintura  dell'agitazione  delle  col- 
pevoli, radunate  a  consulta.  Che  il  Manzoni  nel  rappresentarci  la 
scena  del  fiero  colloquio  superasse  per  intento  psicologico  e  vigore 
artistico  le  altre  non  meno  foscamente  romanzesche  ora  accennate  ; 
che  in  esso  rivelasse  le  sue  pronte  attitudini  a  scrutare  le  passioni 
più  perverse  e  le  più  tragiche  inquietitudini  del  delitto  e  a  lumeg- 
giarle con  arte  gagliarda,  questo  è  vero,  ma  che,  perciò,  —  pur 
sopprimendo  tutte  le  altre  —  dovesse  conservare  almeno  codesta, 
in  cui  campeggiano  gli  opposti  caratteri  di  Gertrude,  e  del  suo 
seduttore,  in  questo,  poi,  mi  sia  lecito  dissentire. 

Noi  abbiamo  veduto  per  quali  ragioni  d' arte  il  Manzoni  rifece  1'  e- 
pisodio  di  Monza,  distruggendo  tutto  ciò  che  di  truce,  di  fosco,  di 
pittorescamente  realistico  vi  sovrabbondasse  sulla  prima  stesura: 
r  esprit  romanesque,  che  gli  aveva  preso  la  mano  nell'  ardore  impe- 
tuoso del  primo  getto,  là  dove  s' è  mantenuto  per  aver  salde  radici 
nell'ispirazione  romantica  stessa  della  materia,  riappare  nella  sobria 
e  lucida  correttezza  della  lirica  classica. 

Ora,  quel  medesimo  spirito  di  elevazione  poetica,  quel  medesimo 
impulso  a  rinnovar  la  rappresentazione  del  suo  mondo  in  forma 
d'arte  composta  e  armoniosa  che  travolse  e  distrusse  dipinture  e 
scene  di  forte  ispirazione  romantica,  perchè  avrebbe  dovuto  rispar- 
miare quel  colloquio  che  manifestamente  aveva  in  comune  con  esse 
la  medesima  genesi  sentimentale  ed  estetica?  Disparvero  o  si  ri- 
fusero di  novello  spirito  analisi  e  situazioni,  in  cui  fosse  figurato 
r  amore,  1'  odio  o  il  delitto,  non  già  per  sopravvenute  ragioni  mo- 
rali, che  è  impossibile  non  fossero  sentite  in  modo  chiaro,  deter- 
minato e  sicuro  dalla  coscienza  del  poeta  già  durante  la  prima 
composizione  dell'opera,  ma  per  motivi  d'arte,  vissuti,  dirò  così, 
con  quella  che  lo  stesso  Manzoni  —  come  in  altro  luogo  dimostram- 
mo —  chiamò  riflessione  sentita,  e  che  altro  non  è  che  attività  medi- 
tante e  ricreatrice  del  genio. 

Ma  analizziamo  più  a  fondo  tutta  la  scena  (*),  che  implica  una 
questione  estetica  di  tanta  importanza.  Che  cosa  rappresentava  il 
poeta  in  quel  dialogo?   Poneva,  anzi  riponeva,   in  azione   due  ca- 


ci) Sp.  prom.,  pp.  312-17. 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  385 


ratteri  che  già  aveva  con  vivo  colorito  tratteggiati  in  pagine  ante- 
riori della  minuta  e  di  cui  aveva  già  drammaticamente  espressa 
r  indole  e  atteggiati  ,i  costumi  :  di  Gertrude  queir  irrequietezza  fan- 
tastica, quell'impulsività  disordinata,  quel  fluttuar  tempestoso  tra 
opposte  passioni,  quella  perpetua  contraddizion  di  se  stessa  e  dedi- 
zione della  sua  volontà,  che  abbiamo  già  analizzato  nella  primitiva 
concezione  del  personaggio  ;  di  Egidio  i  tratti  psicologici  del  de- 
linquente rotto  ai  dissoluti  amori  e  ai  delitti.  Debole  schiava  d'  un 
abbominevole  amore,  la  sciagurata  cova  un  geloso  rancore  verso 
le  compagne  d' abiezione.  Leggiamo  :  «  Non  andate  in  collera,  per- 
chè chi  altri  ho  io  ?  a  chi  mi  posso  confidare  ?»  e  continuò  con 
voce  piìi  sommessa  :  «  quelle  altre  non  mi  consoleranno,  vedete,  se 
racconterò  loro  che  siete  in  collera  con  me . . .  Voi  sapete  pur  tante 
cose!  Non  sarete  piti  contento  quando  mi  vedrete  tranquilla?»  E 
poi  con  brusca  mossa  d' animo  insieme  pavida  e  volgare  :  «  Scen- 
dete una  notte  solo,  già  voi  non  avete  paura;  fortunati  gli  uomini! 
prendetela,  portatela  al  fiume,  gettatela  in  un  pozzo  abbandonato...» 
E,  dopo  le  parole  di  Egidio,  dette  «  con  un  sorriso  di  rabbia  e  di 
scherno  »  :  «  savio  disegno  !  sapete  voi  dirmi  un  luogo  dove  possa 
star  piti  nascosta  che  non  è  ?  »,  quelle  di  lei  miste  di  cinismo  e 
d'angoscia:  «È  vero,  gran  cosa  che  non  si  sappia  che  fare  d'un 
morto  !  » . 

Più  austeramente  doloroso  è  il  contrasto  fra  due  anime  così  di- 
verse in  quel  tratto  vivace  del  colloquio: 

«  Dimenticatela,  pensate  quello  che  pensano  tutte  le  vostre  suore  : 
è  andata  alle  Indie  su  una  nave  olandese  e  pensa  a  vivere  allegra- 
mente: lo  credono  tutte...» 

«Ma  non  è  vero»  rispose  Gertrude. 

«Che  fa  questo?»  disse  bruscamente  Egidio. 

«Fa  tutto»  replicò  tristamente  Geltrude;  e  proseguì:  «anch'io 
prima  credeva  che,  purché  lo  sapessimo  noi  soli,  la  cosa  sarebbe 
come  se  non  fosse  avvenuta,  ma  ora...» 

«  Ora  è  tempo  di  finirla!»  interruppe  sempre  aspramente  Egidio». 

L'angoscia  della  donna,  turbata  senza  tregua  dal  rimorso,  tocca 
qui  le  piti  alte  vette  del  dramma;  la  cìnica  indifferenza  dell'uomo 
che  r  ha  trascinata  alla  colpa,  la  stupisce,  l' atterrisce  : 

—  «  Oh  ecco  come  son  trattata  !  »  disse  con  accoramento  Geltrude  ; 
«  mi  strapazzate,  perchè  patisco  ;  siete  voi  quello  che  mi  strapazzate, 
voi...  che  colpa  ho  io  se  sono  una  poveretta?  Vorrei  anch'io  non 
curarmi  di  ouUa.  esser  come  voi . . .  voi  siete  un  uomo,  voi  mi  date 
animo,  ma  no  no...  voi  avete  troppo  coraggio,  troppa  presenza  di 

Busetto  —  25 


386  PARTE   TERZA 


spìrito...  mi  fate  quasi...  paura...  penso  che  se...  mi  odiaste... 
ah,  i  morti  non  vi  danno  travaglio!  » 

E  poi  ancora  in  tono  supplichevole  :  «  Compiacetemi,  levatemi 
questa  spina  dal  cuore,  allontanate  colei  da  questa  abitazione  >. 

Innegabile  è  la  bellezza  di  questi  tratti,  dove  spicca  l' aspetto 
meno  tristo  e  volgare  dell'anima  dell'infelice  colpevole,  ma  come 
non  sentirvi  l' irrequietezza  spasmodica,  il  terror  freddo,  l' esaltazione 
tragica  che  caratterizzano  l'immortale  creatura,  quale  è  uscita  dal 
primitivo  concepimento  e  dalle  prime  analisi  abbondanti  ed  ardite 
degli  Sposi  promessi  ?  Ma  il  correttore  paziente  e  inesorabile  dell'opera 
sua^  dopo  che  1'  aveva,  dirò  cosi,  rivissuta  quella  creatura  immortale 
con  più  alta  coscienza  religiosa,  ovverosia  con  più  serena  e  profonda 
comprensione  del  male,  studiandosi  d' indagare  e  d' esprimere  dalla 
dolorosa  storia  di  una  tale  anima,  tiranneggiata  non  meno  dagli 
uomini  che  da'  suoi  istinti  indocili  alle  consolazioni  rasserenatrici 
della  fede,  un  solenne  signijficato  morale,  più  che  un  vivace  dramma 
di  colpe  e  delitti  ;  dopo  che,  conforme  codesta  più  nobile  e  pensosa 
concezione  etica  del  personaggio,  spese  ogni  più  decorosa  sobrietà 
di  mezzi  d'  arte  e  studio  d' ombre  e  di  luci  in  una  ben  composta 
armonia  dell'  ispirazione  con  la  rappresentazione,  sollevando  la  figura 
con  classica  gagliardia  a  simbolo  d'  alta  e  solenne  tragedia  umana, 
come  poteva  conservare  una  cotal  scena,  dove  è  manifesta  l'espressa 
dovizia  d' arte  romantica  non  meno  che  lo  studio  di  gareggiare, 
sceneggiando  il  patetico  e  il  lugubre,  col  suo  grande  Shakespeare, 
tanto  caro  ai  Romantici  ;  dove  la  passionalità  complessa  di  Gertrude 
è  figurata  con  tale  pienezza  di  motivi,  di  movenze  e  sfumature  da 
non  dar  luogo  a  giochi  d'  ombre  e  di  luci  ;  dove  il  brutale  realismo 
del  delitto  traspira  da  ogni  tratto  e  la  scena  si  popola  delle  più 
sinistre  immagini  ;  dove  infine  la  rappresentazione  di  Gertrude  è 
tutta  animata  sì  di  pittoreschi  rilievi  e  fremiti  tragici,  ma  perciò 
stesso  non  consuona  più  con  l'ideai  figurazione  che  ne  ha  rifatta 
il  poeta  nelle  pagine  precedenti  del  romanzo  rinnovato  ? 

Oltr'  acciò  codesta  scena,  nel  motivo  suo  fondamentale  e  nello 
sviluppo  stesso  degli  elementi  psicologici  e  drammatici,  si  connette 
intimamente  con  quella  in  cui  avveniva  l'uccisione  della  conversa, 
con  quelle  che  rappresentavano  le  lugubri  operazioni  d'  Egidio  e 
delle  complici  per  far  sparire  le  tracce  del  delitto  e  le  tre  colpevoli 
strette  a  colloquio  attorno  al  lume  spento,  e  con  la  descrizione  del 
luogo  e  del  modo  del  funesto  seppellimento.  Che  è  rimasto  di  tutta 
questa  materia  romanzesca  nel  libro  ?  che  di  tanto  fosco  realismo  ? 
Nulla.  Pensate  a  quel  vago  cenno  fatto  là  nello  svelto  racco'  to  della 


IL   ROMANZO    IN   FORMAZIONE  387 


sparizion  della  suora  con  la  sollecitudine  di  non  lasciarvi  pensar 
troppo  al  lettore  :  «  Forse  se  ne  sarebbe  potuto  saper  di  più,  se 
invece  di  cercar  lontano  si  fosse  scavato  vicino  >  (*)  :  uno  spunto 
fugace,  da  cui  non  poteva  esimersi  il  narratore  più  sobrio  e  guar- 
dingo per  non  lasciare  il  lettore  nel  buio  fitto  di  quel  mistero,  per 
motivare,  con  perfetta  coerenza  sentimentale  ed  artistica,  la  dissi- 
mulazione circospetta  e,  l'affannoso  incubo  segreto  dì  Gertrude  che 
subito  dopo  descrive.  Ma  in  quel  cenno  lampeggiante,  in  quella 
potente  e  vigorosa  rappresentazione  del  terrore,  del  rimorso  di  lei 
c'è  quanto  basta  per  iscorgere  la  profondità  del  dramma  senza  di- 
lagare nell'analisi  e  ne'  sceneggiamenti  d'un  romanticisiho  tetro 
e  patetico. 

Per  contro,  senza  la  distesa  descrizione  del  modo  come  fu  uccisa 
la  vittima  designata,  come  ne  fu  trasportato  e  seppellito  il  cadavere, 
senza  la  rappresentazione  della  parte  indiretta  che  con  piena  con- 
sapevolezza di  tutto  vi  aveva  avuta  Gertrude,  non  intenderemmo 
quella  fantasia  che  insorge  nelle  turbate  parole  di  lei,  sin  dalle  prime 
battute  del  dialogo:  «  Qua  giù,  qua  sotto,  a  pochi  passi,  nella  vo- 
stra cantina  :  e  quando  voi  non  ci  siete  !..  l' ho  veduta  sempre, 
sempre;  l'ho  veduta  muovere  a  poco  a  poco  il  mucchio  di  sassi,  e 
poi  metter  fuori  il  capo,  e  poi  venir  su . . .  avrei  gridato  se  non 
avessi  temuto  di  far  correre  tutto  il  monastero ...  e  poi  entrare  qua 
dentro  per  questo  pertugio,  senza  mai  volersi  fermare  e  poi  sedersi 
qui . . .  quello  sgabello  son  ben  sicura  d' averlo  bruciato  :  e  pure  quan- 
do colei  arriva,  si  trova  sempre  a  quel  posto,  ed  ella  vi  si  adagia, 
e  non  vuol  partire  ».  Tragica  fantasia,  che,  sebbene  rozza  e  alquanto 
prolissa,  è  piaciuta  e  tutt'ora  piace  a  molti  ;  ma,  senza  quei  prece- 
denti romanzeschi  della  cui  soppressione  i  critici  pur  lodano  1'  au- 
tore, senza  quegli  altri  elementi  di  così  cupo  realismo,  come  potrebbe 
essa  reggersi  nel  vivo  del  dialogo?  Questo  è  materiato  d'immagina- 
zioni^ di  reminiscenze,  anche  di  riferimenti  realistici,  che  hanno 
il  lor  fonte,  la  loro  ragion  d'essere  nella  romanzesca  trama  primi- 
tiva dell'orrenda  storia  del  monastero  monzasco.  Conservarlo  dopo 
quel  po'  po'  di  tagli,  di  riduzione,  di  rifusione  della  materia,  di 
trasfigurazione  psicologica  ed  estetica  de'  personaggi  sarebbe  stato 
uno  strano  caso  d' incoerenza,  che  neppure  la  bellezza  intrinseca  di 
qualche  tratto  potrebbe  attenuare  o  scusare:  incoerenza  rispetto  ai 
nuovi  procedimenti  con  cui  il  Manzoni  è  venuto,  poi,  ideando  e 
intrecciando  alla  tela  generale  del  romanzo  la  storia  di  Gertrude; 


(1)  Prom.  sp.,  cap.  X,  pp.  159-60. 


388  PARTE  TERZA 


incoerenza  rispetto  a  quello  sforzo  potente  con  cui  tutta  l'agitata 
materia  della  prima  creazione  ha  egli  rifusa  e  rifoggiata  per  rifran- 
gerla in  novelle  forme  d' arte  d' una  classicità  nitida,  sobria,  serena. 

Se  non  risultasse  ormai  chiaro  dai  raffronti  fatti  che  il  Manzoni 
nel  riformare  1'  episodio  di  Monza  s'  era  proposto  di  lasciar  nell'  om- 
bra impenetrabile  de'  misteriosi  avvenimenti  che  ivi  si  compivano, 
le  due  suore,  che  pur  dal  processo  della  storia  apparvero  più  col- 
pevoli della  stessa  Gertrude,  di  restringere  nelle  svelte  linee  d'un 
profilo  la  figura  d'Egidio,  non  facendone  mai  sentire  la  voce  né 
atteggiandone  mai  l'anima  ne'  sinistri  lampeggiamenti  del  dialo- 
go, nell'azione  drammatizzata,  potrei  pur  io  desiderare  che  fosse 
ancor  vivo  nel  romanzo  il  dibattito  che  s'accendeva  nella  minuta 
fra  i  due  amanti,  quando  Egidio  chiede  alla  misera  donna  il  sacri- 
fizio di  Lucia. 

«  A  questa  proposta  Geltrude  incrocicchiò  le  mani  con  forza,  le 
presse  al  petto,  si  strinse  tutta,  levò  al  cielo  uno  sguardo  nel  quale 
brillava  momentaneamente  un  raggio  dell'antica  innocenza  e  con 
voce  supplichevole  e  commossa  disse  :  «  Ah  no  :  non  ne  facciamo 
più,  non  ne  facciamo  più  per  pietà.  Chi  sa  che  quel  che  abbiamo 
fatto  non  possa  ancora  esser  perdonato?  V'era  una  scusa,  ma  qui 
non  ve  n'è.  Perchè  fare  ancora  delle  cose  che  si  vorranno  dimen- 
ticare e  non  si  potrà?  Non  ne  abbiamo  abbastanza?». 

É  questo  uno  de'  tratti  più  vivi  e  profondi  del  dramma.  E  quando 
Egidio  con  affettato  sdegno  le  rinfaccia  di  far  più  conto  di  quella 
«  villana  »  che  di  lui,  dicendo  forte  :  «  Questa  è  quella  che  voi  a- 
mate  »,  Gertrude  si  ribella  all'insinuazione,  s'arrovella  anzi  contro 
Lucia,  ma  supplica  lo  scellerato  di  recedere  dalla  sua  richiesta  : 
«no,  ch'io  non  l'amo,  ma  lasciatemela  per  carità,  questa  lasciate- 
mela, mi  diventerà  cara  e  quando  un  altro  pensiero  verrà  a  tormen- 
tarmi, riposerò  i  miei  occhi  sopra  di  lei,  e  dirò  fra  di  me  :  «  ecco, 
anche  questa  l'avrei  dovuta  sagrificare  ;  ed  è  qui». 

Il  terribile  uomo  «  con  uno  sdegno  in  parte  vero,  in  parte  diabo- 
licamente affettato  »  minaccia  di  troncare  senz'  altro  la  tresca,  ma 
nella  donna  all'idea  dell'abbandono  riprende  il  sopravvento  la  mor- 
bosa passione  che  irrompe  in  quelle  poche  parole,  dense  di  vigore 
drammatico  :  «  No,  no,  no . . ,  dite,  che  volete  eh'  io  faccia  ?  »  La  scena 
volge  alla  fine  e  prepara  quella  del  tristo  conciliabolo,  in  cui  si  de-» 
cide  della  sorte  di  Lucia. 

Egidio  sa  il  debole  della  sua  schiava  e  tira  in  mezzo  le  altre  due 
suore:  «Quelle,  quelle  saranno  certamente  più  pronte  a  rendermi 
un  servizio  »  ;  e  a  Gertrude,  che  le  aborre  e  invano  ora  vorrebbe 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  389 


non  averle  partecipi  e  consapevoli  della  nuova  scelleraggine,  im- 
pone fieramente  di  chiamarle.  «  Geltrude  strascinata  ancora  una 
volta  un  passo  più  innanzi  nella  via  della  perversità,  avvezza  ad 
ubbidire,  ubbidì  e  andò  a  chiamare  le  sue  complici  >. 

Non  mi  soffermo  ne'  concerti  della  trista  compagnia  (*),  se  non 
per  segnalare  e  nella  viva  rappresentazione  che  ne  faceva  il  poeta 
e  neir  acuta  analisi  che  la  precedeva  un'  intuizione  potente  della 
criminalità  umana  e  di  talune  sue  varietà,  essendovi  scolpiti  non 
solo  in  Egidio,  ma  pur  nelle  due  suore,  «  più  tranquillamente  e  più 
risolutamente  perverse  di  Gertrude  »,  quei  tipi  di  delinquenti  cinici 
e  freddi  che  la  scienza  moderna  chiama  «  folli  morali  »  ;  e,  al  con- 
trario, un  tipo  di  delinquente  per  passione  in  Gertrude  che,  dopo 
aver  sentito  tanto  orrore  della  proposta,  «  risoluta  ora  di  obbedire 
allo  spirito  infernale,  che  la  possedeva,  non  avrebbe  voluto  che  altri 
mostrasse  più  ardore,  più  prontezza,  più  sagacità  nel  farlo  »  e,  *  av- 
vezza ad  essere  trascinata,  e  a  far  sempre  qualche  cosa  di  più  di 
ciò  che  sul  principio  aveva  ricusato  di  fare,  rispose  tosto  che  pigliava 
essa  l'impegno,  che  ne  aveva  i  mezzi  più  di  chicchessia >,  Discordi 
d'  indole  e  d'educazione,  ma  strette  insieme  dal  medesimo  destino 
e  cioè  «  la  partecipazione  d'un  sangue,  l' avere  una  sola  coscienza  » 
«  vivevano  insieme  —  scriveva  immaginoso  e  profondo  il  Manzoni 
—  come  lo  sbigottimento  e  1'  audacia,  il  desiderio  di  rimpiattarsi  e 
il  desiderio  di  assalire,  il  rimorso  e  il  delitto  vivono  insieme  nel- 
r  animo  d'un  masnadiere  ». 

Tutto  questo  è  sparito:  così  l'ultima  parte  del  colloquio  de'  due 
amanti  teste  esaminata,  come  la  scena  del  consulto.  Che  questa  do- 
vesse cadere  con  l'eliminazione  totale  delle  due  complici  dal  ro- 
manzo rifatto_,  è  ovvio  ;  che  quella,  al  contrario,  potesse  con  vantaggio 
dell'arte  rimanere,  l'han  pensato  non  pochi  studiosi  del  Manzoni. 
Ma  oltre  l'argomento,  che  non  mi  par  trascurabile,  del  manifesto 
proposito  eh'  ebbe  il  Manzoni,  come  sopra  dicevo,  di  tratteggiare 
in  altro  modo  i  suoi  personaggi,  quelle  medesime  ragioni  per  le 
quali  ho  dimostrato  l'incompatibilità  della  prima  parte  del  dialogo 
col  nuovo  spirito  e  la  nuova  forma  del  romanzo,  valgono  anche 
per  l'ultima.  L'una,  anzitutto,  procedeva  dall'altra,  che  è  chiaro 
avere  il  Manzoni  concepito  il  dibatiito  circa  il  cadavere  della  con- 
versa come  avviamento  alla  nuova  richiesta  scellerata  di  Egidio, 
e  il  finto  consentimento  di  lui  come   strumento    e   ragione   di  ado- 


ti) Sp.  prom.,  pp.  317-19. 


390  PARTE    TERZA 


prare  Gertrude  nelle  macchinazioni  del  ratto  di  Lucia,  volendo, 
nel  primo  disegno,  analiticamente  motivare  il  trapasso  della  sven- 
turata al  nuovo  delitto  ;  ma  appunto  perchè  le  due  parti  sono 
strettamente  dipendenti,  l'ultima  non  potrebbe  reggersi  senza  la 
prima.  Guardata  poi  nel  suo  intrinseco,  non  è,  checché  si  dica, 
una  scena  di  omogenea  bellezza  :  bello  sì  quello  scongiurare  di  Ger- 
trude che  non  se  ne  facesse  piìi;  ma  stona  e  decade  la  sua  figura, 
dopo  questo  momento  di  tragica  eroicità,  nel  dramma  borghese, 
quand'ella  scatta:  «Io  amarla!  io  colei!  non  la  posso  soffrire»,  fin- 
ché non  si  rialza  alquanto  di  tono  al  punto  che  é  minacciata  del- 
l' abbandono. 

Neil'  insieme  e'  é  anche  qui  il  romanzesco,  il  patetico,  il  colpo  dì 
scena:  c'è,  specialmente,  l'affannata,  contradditoria  e,  diciamolo 
pure,  melodrammatica  Gertrude  della  prima  maniera,  che  —  come 
sappiamo  —  il  Manzoni  trasformò  secondo  un  suo  più  vivo  e  chiaro 
concetto  di  decoro  morale,  che,  per  lui,  s"*  identificava  con  la  con- 
venienza poetica. 

La  figura  del  drudo  facinoroso,  tratteggiata  nella  minuta  con 
tanta  copia  di  particolari,  scolpita  con  tanta  vivezza  concreta  di 
risentiti  rilievi  così  nell'analisi  del  carattere  come  ne'  dialoghi,  é 
colta  e  segnata  soltanto  di  scorcio  nel  romanzo,  cioè  nella  sicura 
prontezza  con  cui  risponde,  come  vedremo,  alla  richiesta  dell'In- 
nominato e  nella  vittoriosa  imposizione  che  fa  a  Gertrude.  Prima 
di  conoscere  i  Brani  inediti  e,  più  compiutamente,  gli  Sposi  promessi, 
ne  indovinavamo  l'azione  potente  di  seduttore  e  di  complice,  non 
ne  udivamo  la  voce  di  malandrino  fiero  e  beffardo,  non  ne  scor- 
gevamo la  complessa  indole  in  atto.  Era  nella  minuta  un  personag- 
gio balzato  vivo  e  intero,  come  da  una  cronaca  del  Seicento:  il 
Manzoni  ne  descriveva  la  fanciullezza,  passata  per  volere  del  padre, 
uomo  delittuoso,  fra  gli  scherani,  e  la  giovinezza  divisa  fra  «  i  gar- 
bugli e  il  macello»,  il  suo  primo  delitto,  la  vendetta  presa  sul- 
l'uccisore di  suo  padre  (*)  e  l'amoreggiare,  che  era  anzi  la  sua 
passione  predominante»  e  più  temeraria (*) ;  ne  svelava  le  sottili 
arti  di  pervertimento  morale  operate  su  Gertrude  per  adusarla  al 
turpe  amore  segreto,  per  farla  pervertitrice,  alla  sua  volta,  delle 
due  suore  addette  al  suo  servizio  (^),  e  ne  rappresentava   la  diabo- 


li) Sp.  prom.,  p.  237.  Tantoera  vivo  il  senso  storico  del  Manzoni  nel  ricostruire  la 
figura  di  questo  personaggio  che  ne  prende  occasione  per  dissertare  sulla  delinquenza 
del  secolo  e  sull'indulgenza  dello  spirito  pubblico  verso  l'omicidio  (cfr.  pp.  234-7). 

(2)  Sp.  pfom.,  p.  2:^8. 

(3)  Sp.  prora.,  p.  242. 


IL   ROMANZO   IN    FORMAZIONE  391 

lica  azione  d'  istigatore  all'  uccisione  della  conversa  (^),  la  fred- 
da calma,  con  cui  attese  a  tutte  le  operazioni  necessarie  ed  opportune 
per  cancellare  le  tracce  del  delitto  e  per  stornare  ogni  sospetto  {^)  ; 
lo  rimetteva  ancora  in  i scena  in  un  fiero  e  spedito  colloquio  con 
l'Innominato,  tenuto  per  concertare  il  ratto  di  Lucia  (^)  ;  ne  de- 
scrìveva il  ritorno  a  Monza  in  mezzo  a'  suoi  bravi,  sospettoso  e 
guardingo,  come  dovevan  fare  allora  tutti  i  «facinorosi  e  sover- 
chiatori di  mestiere  »  {*),  pensieroso  intorno  al  modo  di  condurre  a 
compimento  senza  scandalo  l'iniqua  impresa,  preso  da  gioia  feroce 
quando  s'imbattè  in  Agnese,  che  ritornava  al  suo  paesello  (^);  gli 
assegnava  quindi  quella  parte  campeggiante  che  ora  abbiamo  visto, 
nel  colloquio  con  Gertrude  e  nel  consulto  con  le  suore;  lo  ripre- 
sentava occupato  neir  allestire  ii  ratto  e  nel  dare  istruzioni  ad  un 
suo  bravo  fidato  per  stornare  la  gente  dalle  congetture  che  pote- 
vano condurre  alla  verità;  e  raccontava  infine  come,  scoperta  la 
tresca  e  i  delitti  di  lui  e  delle  suore,  lo  scellerato  €  bandito  nella 
testa»  perisse  per  mano  di  un  suo  ospite  e  «la  testa  ne  fosse  pre- 
sentata al  giudice»  (®). 

Chi  non  avverte  come  la  cronistoria  avesse  preso  la  mano  al  poeta 
neir effigiare  cotesto  personaggio;  come  per  la  parte  rilevante  e  com- 
plessa, assegnatagli  dalla  prima  redazione,  il  racconto  si  colorisse 
d'un  romanzesco  forte  ed  acceso  e  dilagasse  in  una  cruda  dram- 
maticità ;  come,  di  riflesso,  si  accentuassero  i  tratti  lugubri  e  patetici 
della  stessa  Gertrude;  come,  insomma,  lo  zelo  della  verità  storica, 
ricercata,  riprodotta  quasi  con  l'animo  e  con  le  tinte  stesse  de' 
cronisti  contemporanei,  mortificasse  lo  spirito  della  grande  poesia, 
che  interpreta  la  storia  idealizzandola  e  ne  rifrange  con  vigore  di 
sintesi  epica  e  lirica  i  drammi  eterni  della  vita? 

E  il  Manzoni  tagliò  via  dove  potè  :  ciò  eh'  era  strettamente  essen- 
ziale alla  trama  ha  condensato,  rifuso,  riplasmato  :  le  due  suore 
complici  sono  scomparse,  Egidio  è  ridotto  ad  una  figura  di  scorcio; 
resta  in  piena  luce  Gertrude  con  la  sua  colpa,  i  suoi  terrori  e  ri- 
morsi, con  la  sua  debole  volontà  soffocata  dalla  trista  passione:  (")  la 
scenografia  ha  ceduto  alla  psicologia,   l'analisi  alla  sìntesi,  lo  ste- 


li) Sp.  proni.,  p.  245. 

(2)  Sp.  prora.,  pp.  247-9,  251. 

(3)  Sp.  prom.,  293-6. 

(4)  Sp.  prom.,  p.  297. 

(5)  Sp.  prom.,  pp.  297,  311-12. 

(6)  Sp.  prom.,  pp.  326-7. 

(7)  Prom.  sp.,  cap.  XX,  p.  293. 


392  PARTE   TERZA 


rìcismo  minuto  e  pittoresco  al  dramma,  il  romanzo  alla  poesia: 
proprio  così:  la  materia  e  la  prima  forma,  improntate  di  realismo 
storico  e  di  psicologismo  romantico,  passando  e  rifondendosi  at- 
traverso un  processo  di  idealizzazione  poetica,  ne  sono  uscite 
spiritualizzate,  e  la  riforma  poetica  ha  inalzato  il  dramma  di 
Gertrude  ad  un  significato  più  profondamente  morale.  La  scena  in 
cui  Egidio  faceva  di  Gertrude  la  sua  complice  nel  ratto  di  Lucia, 
così  circostanziata  ne'  motivi  e  ricca  di  particolari  concreti,  non  c'è 
più  nel  nuovo  assetto  del  romanzo^  ma  non  perciò  la  condensata  rap- 
presentazione che  r  ha  sostituita  è  fiacca,  incerta,  incoerente  e 
inverosimile.  Per  rendercene  ragione,  non  dobbiamo  dimenticare 
che  essa  è  della  medesima  struttura  e  del  medesimo  spirito  con  cui 
il  poeta  aveva  rifatto  il  racconto  dell'  innamoramento,  stringendolo 
nel  giro  d'  una  pittoresca  frase  e  d'  un'  analisi  contenuta  e  temprata 
di  drammatica  spiritualità,  e  aveva  rifuso  le  molteplici  scene  e  de- 
scrizioni del  delitto  e  dell'animo  della  colpevole  in  una  narrazione 
concisa,  vibrata,  densa  di  ombre  e  di  misteri,  donde  non  sorge 
in  tragico  aspetto  che  la  figura  di  Gertrude  travagliata  nell'intimo 
della  coscienza  dall'  ostinato  fantasma. 

Al  delitto,  con  rapido  movimento,  si  collega  la  nuova  iniquità. 

Quella  «.  strada  d'  abbominazione  e  di  sangue  »  che  è  la  vita  mi- 
steriosa della  infelice  colpevole,  non  ha  più  le  immagini  piene  e 
concrete  della  prima  rappresentazione,  ma  il  tratto  essenziale  di 
un'anima,  la  sintesi  poetica  d'una  situazione,  l'orma  luminosa  di 
un  dramma  che  si  consuma  ineluttabilmente;  ecco  ciò  che  ha  il 
poeta  ricreato  con  classica  misura  ed  armonia. 

La  voce    dello    scellerato    amante  —   dicevo   non   s'  ode   più 

nel  romanzo  :  prima  era  distinta  in  parole  brevi,  triviali,  minac- 
ciose, toccanti  il  senso  e  l'immaginazione;  ora  ha  qualche  cosa  di 
misterioso,  eppur  di  potente,  che  agisce  sulla  nostra  fantasia  me- 
ditante :  é  la  «  voce  che  aveva  acquistato  forza,  e  direi  quasi, 
autorità  dal  delitto  »,  e  «  quella  stessa  »  «  impose  ora  »  all'  amante 
«  il  sagrifizio  dell'  innocente  che  aveva  in  custodia  » .  Non  vediamo 
r  uomo  in  atto,  non  ne  vediamo  i  subdoli  o  imperiosi  discorsi  in 
concreto,  ma  sentiamo  la  fierezza  del  dominatore  vibrare  dal  contesto 
sintattico,  dal  crescente  tono  del  robusto  fraseggio,  non  solo  di 
questo,  ma  pur  de'  periodi  seguenti:  nulla  di  particolareggiato,  di 
realisticamente  caratteristico  in  quel  colloquio  tremendo,  ma  perciò 
stesso  un  alto  spirito  tragico,  tanto  più  pauroso  quanto  più  vago, 
lo  pervade  :  la  circoscritta  figura  secentesca  del  seduttore  facinoroso 
co'    suoi   lineamenti    concreti,   definiti,   precisi,    aveva   un    colorito 


IL    ROMANZO   IN   FORMAZIONE  393 

Storico  e,  sia  pure,  una  certa  compattezza  psicologica  non  sgradevole, 
ma  nel  romanzo  nell'indeterminatezza  stessa  de'  contorni  ha  qualche 
cosa  di  grandioso  e  profondo  che,  al  disopra  della  storia,  ne  scolpisce 
epicamente  la  perversa  umanità.  Non  vediamo  il  quadro,  il  bozzetto, 
la  macchietta,  ma  sentiamo  di  trovarci  davanti  ad  un  grande 
dramma  morale. 

E  il  dramma  di  Gertrude,  non  più  affastellato,  com'era  nella  mi- 
nuta, di  passioni  e  situazioni  di  natura  mediocre,  quali  l'ubbia  circa 
il  cadavere,  la  stizza  dell'uomo,  la  finta  prorcressa  e  il  baratto  che 
egli  impone,  col  sacrifizio  di  Lucia,  la  simulata  gelosia  dell'uno, 
l'esagerato  sfogo  dell'altra  riguardo  a  quella  poveretta;  ma  rico- 
struito con  una  comprensione  lucida  e  viva  del  suo  contenuto  sem- 
plice e  a  un  tempo  profondo.  Le  figure  sono  adombrate  e  tutta  la 
luce  è  raccolta  nel  conflitto  delle  anime.  La  prima  alta  battuta  di 
questo  morale  conflitto  è  nel  colorito  vigore  di  quella  frase  :  «  La 
proposta  riusci  spaventosa  a  Gertrude  »  ;  a  cui  segue  una  forte  pausa, 
durante  la  quale  il  poeta  analizza  con  concisione  mirabile  il  tumulto 
di  sentimenti  e  d'idee  destato  nel  cuor  della  donna.  «Perder  Lucia 
per  un  caso  impreveduto,  senza  colpa,  le  sarebbe  parsa  una  sven- 
tura, una  punizione  amara:  e  le  veniva  comandato  di  privarsene 
con  una  scellerata  perfidia,  di  cambiare  in  nuovo  rimorso  un  mezzo 
di  espiazione».  Il  poeta  la  contempla  con  dolorosa  pietà,  la  segna 
di  un  epiteto  pieno  di  misericordiosa  mestizia,  di  quel  medesimo 
usato  per  il  primo  rapimento  verso  la  colpa:  «  la  sventurata  ».  Dopo 
questo  risuona  la  seconda  battuta,  con  che  il  dramma  si  riprende 
disperato  e  precipitoso  verso  la  sua  fine  :  <  la  sventurata  tentò  tutte 
le  strade  per  esimersi  dall'orribile  comando  :  tutte,  fuorché  la  sola 
ch'era  sicura,  e  che  le  stava  pur  sempre  aperta  davanti  »  :  ombre 
e  luci  si  avvicendano  in  questa  corta  lotta,  descritta  dall'  artista  con 
lo  stesso  movimento  incalzante  e  quasi  vorticoso,  con  cui  si  svol- 
geva nella  intuita  realtà  dello  spirito  :  ma  noi  intravediamo  tutte  le 
vie,  tutti  i  mezzi  affannosamente  tentati  per  scuotere  quell'  «  orri- 
bile comando  »  che  pesa  superbamente  incrollabile  sulla  sciagurata 
coscienza  ;  vediamo  la  via  luminosa  e  sicura  per  la  quale  essa, 
staccatasi  dall'uomo,  avrebbe  trovato  l' intera  sua  redenzione.  Anche 
questo  secondo  momento  psicologico  del  dramma  è  seguito  da  una 
pausa,  durante  la  quale  trepida  il  presentimento  della  catastrofe  e 
il  poeta  ricontempla  la  *  sventurata  »  con  austera  amarezza.  E  sen- 
tenzia ed  ammonisce,  come  ammoniva  la  coscienza  religiosa  del 
popolo  ne'  solenni  cori  della  tragedia  greca:  «  il  delitto  è  un  pa- 
drone rigido,  e  inflessibile,  contro  cui  non  diviene  forte  se  non  chi 


394  PARTE   TERZA 


se  ne  ribella  interamente».  Rapido,  fulmineo  l'epilogo,  con  un  non 
so  che  d' abbattimento  per  stremo  di  forze  in  quel  suono  secco  e 
tronco  con  che  la  parola,  il  periodo  si  chiude,  e  par  che  si  spezzi: 
«  a  questo  Gertrude  non  voleva  risolversi  e  ubbidì».  È  uno  schianto 
che  riceve  tanto  più  potente  risalto  dalla  frase  calma  e  solenne  del 
nuovo  periodo:  «Era  il  giorno  stabilito;  l'ora  convenuta  s'avvici- 
nava »  :  pauroso  preludio  alla  scena  del  tradimento. 

*     * 

XII.  Di  questa  scena  ho  già  toccato  poche  pagine  addietro  e  pili 
distesamente  discorso  nell'analisi  del  carattere  di  Lucia,  onde  non 
mi  resta  da  aggiungere  che  attraverso  l'elaborazione  abbastanza 
profonda  di  quelle  pagine  anche  ciò  che  di  agitato,  di  scomposto, 
di  garrulo,  di  volgare  era  nel  contegno  della  signora,  s' è  consu- 
mato ;  onde  la  delicata  sobrietà  dell'analisi  psicologica  d'ambedue 
le  pagine  ha  conferito  alla  scena  un  tono  di  decoro  e  di  tragica 
gravità  più  consono  alla  situazione  morale  di  essa,  e  Gertrude,  che 
mentisce  e  incita  e  si  duole  come  in  preda  all'infernale  suggestione 
di  «  un  pensiero  »,  di  «  una  volontà  »  che  aveva  assoluto  impero  su 
lei,  lascia  dietro  a  sé,  nel  dileguarsi  per  sempre  dall'  azione  viva 
del  romanzo,  un'  impressione,  più  che  di  orrore,  di  tristezza  inef- 
fabile, rinnovando  in  noi  quella  meditazione  commossa  sull'eterna 
tragedia  dell'  umane  passioni,  onde  il  poeta  rifaceva  la  storia  e  il 
carattere  del  suo  immortai  personaggio. 

Dal  quale  ormai  dovrei  licenziarmi,  se  non  mi  convenisse  di  dire 
pur  io  una  parola  su  un  argomento  che  ha  affaticata  la  critica  man- 
zoniana negli  ultimi  anni. 

Rifare  la  storia  e  insieme  la  critica  degli  svariati  giudizi  che  fu- 
ron  dati  sulle  scene  tagliate  via  dal  romanzo  di  Gertrude,  mi  por- 
terebbe troppo  fuori  dal  rigoroso  proposito,  che  mi  sono  proposto, 
d'indagare  i  segreti  procedimenti  con  cui  il  genio  paziente  venne 
elaborando  la  materia  e  la  forma  del  romanzo  :  chi,  ad  ogni  modo, 
la  vuol  conoscere  per  disteso,  sa  di  poterla  trovare  ricostruita  con 
chiara  eleganza  da  uno  de'  più  giovani  e  più  battaglieri  studiosi 
del  Manzoni  ;  (*)  e  può,  altresì,  rimeditare  le  eloquenti  pagine  che 
uno  de'  maggiori   maestri   vi  ha  dedicate  (*).  Ma  varrà  tuttavia  te- 


li) A.   Pellizzari,  studi  manzoniani,  Napoli,  Perrella,    1914,  pp.   25-63,   95-140, 
177,  180,  183-5,  187-88,  190,  198-9. 

(2)  F.  D'Ovidio,  N.  st.  manz.  cit.,  pp.  461-96. 


IL    ROMANZO    IN    FORMAZIONE  395 

ner  presenti  le  conclusioni  ultime  de'  critici  per  tentar  di  risolvere 
codesta  questione,  che  coinvolge  tutta  l'arte  dello  scrittore  lombardo. 

C'è  chi  nella  soppressione  e  ne'  mutamenti  cui  andò  soggetto  il 
lungo  episodio  monzasco,  ha  visto  non  altro  che  motivi  religiosi  e 
morali  e  perfino  l'efficacia  de'  consigli  di  monsignor  Tosi  ;  chi  non 
altro  che  motivi  letterari  e  principalmente  il  senso  della  misura  e 
dell'armonia,  il  freno  dell'arte,  ma  piìi  specialmente,  come  il  Pel- 
lizzari,  l'intento  dell'autore  di  las(riar  indovinare  al  lettore,  di  la- 
sciargli «  ricostruire  »  con  la  sua  «  fantasia  »  la  colpa  della  signora 
sulla  traccia  de'  segni  da  lui  dati;  chi,  come  il  d'Ovidio,  tutt' in- 
sieme codesti  motivi,  pur  pensando  che  non  se  ne  possa  positivamente 
valutare  la  relativa  efficacia,  ma  con  propensione,  come  vedremo,  a 
scorgere  l' influsso  di  taluni  scrupoli  religiosi  del  Manzoni  nel  rive- 
dere personaggi  e  situazioni  dopo  il  primo  getto. 

Alla  questione  —  per  dire  sinceramente  il  mio  pensiero  —  mi 
pare  sia  stato  data  anche  soverchia  importanza  e  che  essa,  sotto 
un  certo  aspetto,  somigli  a  quella,  pur  messa  innanzi  e  dibattuta 
con  gran  calore,  se  il  Manzoni  credesse  ai  miracoli  o  no  a  pro- 
posito della  conversione  dell'Innominato;  tanto  è  vero  che  la 
critica,  più  volte  sviata,  dietro  la  ricerca  de'  motivi,  nella  biografia 
e  neir  aneddotica  manzoniana,  ha  perduto  di  vista  il  punto  centrale 
del  problema,  —  se  ha  da  essere,  come  dev'essere,  un  ^problema 
essenzialmente  letterario  —,  come  cioè  si  sia  venuto  trasmutando 
l'episodio  dall'una  all'  altra  redazione  e  siasi  arricchito  di  signifi- 
cativa bellezza.  Potrebbe  avere  tanto  grave  importanza,  per  Tesame 
e  la  valutazione  dell'  arte  manzoniana,  se  un  bel  giorno  saltasse 
fuori  un  documento  d'inconcussa  autorità,  che  desse  causa  vinta  a 
coloro  che  sostengono  avere  il  Manzoni  tagliato  e  mutato  per  con- 
sentire al  vescovo  dì  Pavia  ;  o  un  altro  documento,  che  valesse  per 
quelli  che  pensano  avere  1'  autore  spontaneamente  sentita  1'  oppor- 
tunità di  rifare  tutto  per  ragioni  morali  sue  proprie,  per  i  propri 
scrupoli  religiosi;  o  infine  venissimo  a  conoscere  le  ragioni  artistiche 
del  profondo  rifacimento,  confessate,  proclamate  in  qualche  lettera 
dallo  stesso  poeta?  Io  —  se  non  mi  sono  ingannato  —  nello  studio 
della  genesi  e  della  formazione  poetica  del  carattere  di  Gertrude, 
come  del  resto  si  potrà  fare  d'  ogni  altro  personaggio  manzoniano, 
ho,  quasi  senza  premeditazione,  adombrata  la  più  semplice  delle 
teorie  in  fatto  di  motivi  e  intenti,  che  sospingono  gli  artisti  a  rifare 
r  opera  propria,  quella,  cioè,  di  ricercarli  studiando  i  segreti  pro- 
cedimenti dell'  elaborazione  poetica  e  valutando  il  più  alto  grado  di 
bellezza  raggiunto  :  nel  qual  modo  o  sforzo  di  approfondire  i  motivi 


396  PARTE   TERZA 


sentimentali  ed  etici  della  propria  creazione  e  di  renderla  più  ni- 
tida, più  elevata,  più  armoniosa,  più  ricca  d'umanità  consiste  il 
vero,  e  forse  unico,  motivo  del  loro  paziente  lavorìo  di  rifusione  e 
di  trasformazione  artistica. 

Perchè,  infine,  tanti  valentuomini  hanno  discusso  su  questa  o  su 
quella  ragione,  che  abbia  mosso  il  poeta  a  rifare,  se  non  perchè  nel 
poter  determinare  la  giusta  e  la  vera  si  presumeva  di  possedere 
il  miglior  mezzo  e  strumento  per  l' interpretazione  critica  dell'  opera 
d' arte  ? 

Ma  se  la  ragione  trovata  fosse  estrinseca  alla  coscienza  artistica 
dell'autore,  se  si  riducesse  a  riguardi  morali  o  a  scrupoli  religiosi, 
ciò  sarebbe  un  buon  guadagno  per  la  biografia  morale  di  lui,  ma 
Ufto  scarso  vantaggio  per  la  critica  letteraria.  E  poi,  fossero  anche 
rdotivi  di  quel  genere,  non  da  essi  sarebbe  dipeso  il  più  o  il  meno 
di  poesia  che  avesse  1'  episodio  rimutato,  ma  dalla  comprensione 
etica,  dalla  organicità  di  visione  e  dalla  vigoria  fantastica  con  cui 
il  poeta  si  sarebbe  rimesso  all'  opera  rinnovatrice. 

E  fossero  pur  motivi  letterari,  come  quelli  che  abbiamo  accennato, 
non  sarebbe  bastato  al  Manzoni  di  proporsi  il  criterio  della  pro- 
porzione, della  sobrietà,  dell'armonia,  per  riuscir  nell'intento,  ma 
codeste  leggi  classiche  dell'arte  saranno  dovute  discendere  dall'or- 
dine teorico,  in  cui  ogni  mediocre  autore  potrebbe  concepirle,  nella 
realtà  della  poesia,  transustanziarsi,  direi  quasi,  con  la  coscienza 
creatrice,  diventare  esse  stesse  lo  spirito  e  la  forma  nuova  dell'u- 
manità palpitante  nella  materia  del  primo  getto.  E  questo  è  avve- 
nuto nel  Manzoni,  ma  non  questo  solo,  come  fra  breve  vedremo. 
Che  il  ricercare  i  motivi  religiosi,  morali  o  teorici  del  rifacimento 
anzi  che  proseguire,  nell'intimo  dell'opera  in  formazione,  il  processo 
per  il  quale  essa  si  è  perfezionata  non  basti  a  risolvere  la  questione, 
ne  son  riprova  la  stessa  abbondanza  delle  congetture  affacciate  e  il 
dispendio  d' acume  e  di  ragionamento  che  hanno  fatto  ingegni 
cospicui  ed  esperti.  Il  D'Ovidio,  per  esempio,  pur  procedendo  con 
cautela  tra  le  opposte  ragioni  de'  critici,  crede  tra  l'altro  che 
«  il  proposito  di  dar  di  bianco  >  alle  «  due  figure  ignobili  »  delle 
suore  addette  alla  signora,  «  sia  stato  uno  dei  motivi  della  risolu- 
zione di  ridurre  ad  un  misterioso  compendio  tutta  la  storia  delit- 
tuosa »  (^)  di  lei  :  lo  scrupolo  religioso,  dunque,  che  la  pittura  di 
una  corruttela  alquanto  diffusa  scandalizzasse  i  lettori  timidi  e  desse 


(1)  Op.  cit.,  p.  471.  V.  anche  pp.  472-3, 


IL    ROMANZO    IN    FORMAZIONE  397 


appìglio  a  condanne  ai  mal  disposti.  Forse  sì,  forse  no  :  e  tra  dubbi 
la  questione  rimarrà  eternamente  insoluta.  Poiché  può  sorgere  uno 
ad  obbiettare,  con  la  debita  riverenza  all'illustre  maeslro,  che  ben 
poteva  il  Manzoni  toglier  via  la  parte  turpissima  che  facevano 
Gertrude  e  le  suore  in  quel  «  ménage  à  quatre  »  come  argutamente 
dice  lo  stesso  d'  Ovidio,  lasciando  quelle  nell'ombra  più  fitta;  poteva, 
altresì,  narrare  diversamente  il  delitto,  cancellando  del  tutto  la 
complicità  delle  suore,  caricando  il  solo  Egidio;  ma  che  ciò  non 
importava  la  soppressione  dell'  analisi  del  colpevole  innamoramento 
di  Gertrude  ne  quella  del  colloquio  di  lei  coli' amante  prima  del 
tradimento  di  Lucia,  né  insomma  i  grandi  e  piccoli  mutamenti,  già 
da  me  esaminati,  che  quasi  in  ogni  parte  operò  in  quello  che 
s' apparteneva  al  carattere  della ,  signora  e  alla  sua  storia.  E  non 
dico  nulla  degli  altri  motivi  o  scrupoli  morali  e  religiosi  e  dei 
'consigli  estranei  che  sarebbero  —  secondo  taluni  critici  —  soprav- 
venuti dopo  la  prima  stesura  perchè  io  stimo  —  come  già  scrivevo 
altrove  —  (*)  che  il  pensiero  morale  e  religioso  del  Manzoni,  tra 
il  24  aprile  1821  e  il  settembre  1823  —  nel  quale  periodo  egli 
scrisse  la  minuta  del  romanzo  —  non  poteva  essere  sostanzialmente 
diverso  ne'  due  o  tre  anni  immediatamente  successivi,  in  cui  rifece 
l'opera  sua;  onde  l'ispirazione  etica  e  religiosa  che  lo  guidava 
nel  descrivere  il  colpevole  amore  di  Gertrude  e  il  delitto  a  cui  ella 
indirettamente  partecipò,  e  la  scena  de'  suoi  tetri  terrori  e  della 
sua  disperata  lotta  col  triste  amante,  (come  del  pari  la  selvaggia 
apparizione  e  la  forsennata  morte  di  don  Eodrigo)  non  poteva,  da 
un  anno  all'  altro,  essere  infirmata  e  riprovata  per  i  nuovi  criteri 
del  moralista  credente;  cosicché  si  può  ammettere  soltanto  che  un 
motivo  sentimentale,  e  cioè  una  più  serena  e  indulgente  pietà  cri- 
stiana —  come  del  resto  credo  d'aver  dimostrato  nella  prima  parte 
di  questo  lavoro  —  abbia  contribuito  alle  modificazioni  operate. 

Ma  ora,  dopo  la  minuta  analisi  fatta  dell'  episodio  di  Gertrude  e 
delle  trasformazioni  subite  dalla  prima  stesura  alla  stampa,  possiamo 
liberamente  concludere  secondo  più  sicuri  accertamenti. 

Giova  anzitutto  determinare  perché  il  Manzoni  l'abbia  disegnato 
e  colorito  la  prima  volta  nel  modo  cha  ormai  sappiamo.  Giacché  s'è 
parlato  di  scrupoli  morali  e  religiosi,  e'  è  da  osservare  che  l'autore 
li  ebbe  sì,  e  flnanco  li  manifestò  nell'accingersi  al  racconto  di  quei 
fatti  «  tristi   e   straordinari  >   (^).   Egli  non  avrebbe  narrato  nulla 


(1)  Saggi  manz.  cit.,  p.  39,  n.  1. 

(2)  Sp.  prom.,  p.  175.  Alludendo  «  alle   cose   più   forti  »,  narrate  dal  Ripamonti  e 
a  cui  era  ricorso  per  suffragar  l'Anonimo,  soggiungeva:  «Se  non  che  queste  cose. 


398  PARTE   TERZA 


della  vita  e  della  colpa  di  Gertrude  —  posto  pure  che  il  farlo  fosse 
essenziale  al  disegno  e  allo  svolg^imento  di  tutto  il  romanzo,  che  è 
a  quanto  dire  all'intelligenza  [delle  disavventure  di  Lucia,  —  o  a 
queste  avrebbe,  comunque,  intrecciati  altri  casi  e  altri  personaggi, 
se  la  ragione  etica  e  l'edificazione  religiosa  non  ne  fossero  uscite 
salve  e  cpnsolate  dal  «  grande  esempio  »  di  un  pentimento  e  d' un'e- 
spiazione. Infatti  alla  fine  del  lungo  episodio  manteneva  la  promessa, 
narrando  gli  ultimi  casi  della  sventurata,  collegati  con  le  ultime 
scelleraggini  di  Egidio,  il  mutamento  improvviso  dell'  animo  di  lei 
a  sentire  lo  scempio  che  egli  aveva  fatto  delle  due  converse,  l' or- 
rore di  tutto  il  male  commesso,  l'espiazione  ardente,  rigorosa  fin 
all'ultimo  respiro,  col  conforto  assiduo  del  cardinal  Borromeo  (*). 

Vero  è  che  codest'  ultima  narrazione  è  alquanto  spiccia  e  magra, 
come  osservò  accortamente  anche  il  d'  Ovidio,  e  non  contrappesa, 
perciò,  al  fine  dell'  efficacia  morale  ed  artistica,  la  particolareggiata 
e  vivace  rappresentazione  della  colpa,  ma  noi  dobbiamo  tenere  in 
conto  le  intenzioni  del  Manzoni  e  le  giustificazioni  ch'egli  volle  dare 
dell'  opera  e  dedurre  che  nella  sua  mente  e  ne'  suoi  propositi  l'una 
era  indissolubilmente  legata  coli'  altra;  che  la  ragione  logica  del  ro- 
manzo di  Gertrude,  qual  era  nella  minuta,  trovò  un  fondamento  nelle 
appagate  ragioni  morali  e  religiose  dell'autore,  secondo  il  quale  la 
descrizione  della  nobile  fine  espiatrice  della  colpevole  valeva  a  conci- 
liare la  descrizione  di  violenti  e  turpi  passsioni  co'  suoi  concetti  morali. 

Ma  al  Manzoni  sopravenne,  quasi  a  racconto  finito,  un  altro  pen- 
siero, quello  che,  alla  fin  fine,  i  lettori  ne  avrebbero  ricevuta 
«un'impressione  d'orrore»,  onde  l'aveva  conservato,  com'era  nel- 
r  anonimo,  sembrandogli  che  «  la  cognizione  del  male  quando  ne 
produce  l' orrore  sia  non  solo  innocua,  ma  utile  »  (*). 

Se  questa  è  la  ragione  piìi  vera  e  piìi  logica (3)  dell'aver  trovato 
il  coraggio  a  narrare  quelle  «turpi  e  atroci  avventure»,  non  credo 
tuttavia  che  non  fosse  sincero  e  valevole  anche  il  proposito  di 
narrare,  sìa  pure  in  stretto  compendio,  la  storia  della  redenzione 
così  di  Gertrude  come  delle  due  complici  e  la    fine    (anche  questo 


quantunque  rese  più  che  probabili  da  una  tale  testimonianza,  e  quantunque  essen- 
ziali al  filo  del  racconto,  noi  le  avremmo  taciute;  avremmo  anche  soppresso  tutto  il 
racconto,  se  non  avessimo  potuto  anche  raccontare  in  progresso  un  tale  mutamento 
d'animo  della  Signora,  che  non  solo  tempera  e  raddolcisce  l'impressione  che  deggiono 
farci  i  primi  fatti  della  Signora,  ima]  deve  crear  una  impressione  d'opposto  genere  e 
consolante  »  (p.  176). 

(1)  Sp.  prom.,  pp.  324-7. 

(2)  Sp.  prom.,  p.  253. 

^3)  Cfr.  D'Ovidio,  Op.  cit.,  pp.  468  segg. 


IL   ROMANZO   IN    FORMAZIONE     .  399 


premeva  al  Manzoni)  orribilmente  infame,  ma  meritata,  del  loro 
scellerato  pervertitore. 

In  fondo  il  concetto  che  la  rappresentazione  dell'  anima  perver- 
tita e  disillusa,  quando  desti  orrore,  sia  utile,  non  contraddiceva  a 
quello  di  suscitare^  poi,  anche  un  po'  di  pietà  e  di  consolare  la 
coscienza  cristiana  del  lettore  col  ripresentarla  profondamente  pen- 
tita e  tutta  dedita  alla  più  severa  espiazione. 

Questo  è  certo,  che  nel  primo  concepimento  e  disegno  il  motivo 
del  celebre  episodio  fu  di  destare  orrore  del  male;  dove  si  vede 
l'influsso  di  quella  teoria  che  egli  aveva  eloquentemente  ragionata 
a  proposito  della  tragedia,  l' applicazione,  cioè,  come  già  vedem- 
mo seguendo  le  acute  indagini  del  Galletti,  della  filosofia  storica 
del  Bossuet  ai  drammi  dello  Shakespeare  :  quella  stessa  moralità, 
quello  stesso  significato  cristiano  che  egli  trovava  nelle  grandiose 
e  fosche  rappresentazioni  shakesperiane  del  male,  scaturisce  dalla 
drammatica  storia  di  Gertrude  e  richiama  a  profondi  e  ad  austeri 
pensieri  sul  doloroso  destino  umano  e  sulla  necessità  di  una  morale 
religiosa,  disciplina  e  freno  degli  istinti  e  delle  violente  passioni. 

Questa  concezione  pessimistica  della  vita  morale  dell'  uomo  che 
già  ho  esaminato  a  suo  luogo,  e  che  informa  tutta  la  primitiva  vi- 
sione e  figurazione  del  mondo  romanzesco  e  storico  de'  Promessi 
sposi,  ha  influito  potentemente  sulla  fosca  plasticità  e  i  suggestivi 
particolari  di  quel  triste  dramma  monastico,  ha  sollecitato  il  poeta 
a  non  negare  vigore  e  larghezza  e  colore  d'  arte  all'  analisi  e  alla 
rappresentazione  di  folli  pervertimenti  e  di  sfrenate  passioni.  Con- 
cezione che  abbiamo  veduto  in  qual  modo  venne  formandosi  nella 
prima  stesura  del  romanzo,  nella  quale  ne  veniva  di  conseguenza 
che  troppo  acutamente  si  facesse  sentire  la  preoccupazione  etica 
del  poeta  nella  scelta  e  nella  dipintura  de'  fatti  e  de'  caratteri.  Ma 
oltr'  acciò,  il  romanzesco,  il  drammatico,  che  sovrabbonda  nella 
prima  redazione  dell'  episodio  scaturivano  da  quel  reale  storico 
al  quale  il  Manzoni  —  come  pure  ho  dimostrato  —  si  sentiva  rigi- 
damente obbligato  per  la  teoria  del  romanzo  storico.  Quel  rife- 
rirsi fin  dai  preliminari  alla  «storia»  dell'anonimo,  quell' andar 
«  frugando  per  vedere  se  altrove  si  trovasse  qualche  traccia  di  que- 
sta storia»,  la  lieta  solennità  con  cui  presenta  la  «testimonianza» 
del  canonico  Ripamonti,  «scrittore  di  quel  tempo,  che  per  le  sue 
circostanze  doveva  essere  informatissimo  »,  (*)  il   citarlo    così  sul 


(1)  Era  de'  familiari  del  card.  Federigo,  che  ebbe  tanta  parte  nel  ravvedimento 
della  signora.  "  • 


400  PARTE   TERZA 


principio  del  racconto  come  sulla  fine,  dove,  dichiarando  di  non 
poter  riferire  che  compendiosamente  gli  ultimi  casi  di  Gertrude, 
rimanda  alla  fonte  con  la  sua  brava  indicazione  del  libro  e  della 
decade,  tutto  ciò  costituisce  una  prova  esplicita  e  significativa  dello 
zelo  dello  storico^  e  conferma  ciò  che  nello  studio  introduttivo  affer- 
mavo circa  la  concessione  fatta  dal  Manzoni  all'elemento  fescamente 
romanzesco,  come  quello  che  gli  risultava  dalla  stessa  realtà  storica, 
dallo  stesso  racconto  de'  contemporanei,  che  gli  offrivano  con  non 
simulato  candore  e  in  pittoresco  linguaggio  larga  copia  di  delitti  e 
di  colpe.  Ma  la  prova  di  ciò,  anche  più  rilevante  per  essese  intrin- 
seca all'  ideazione  e  rappresentazione  stessa  de'  fatti  e  de'  perso- 
naggi, è  lo  studio  di  figurarli  nella  fosca  crudezza  e  nell'  appas- 
sionatezza  violenta  de'  loro  tempi,  ne'  quali,  diceva  commosso  il 
narratore,  eran  «  comuni  molte  cose  che  sarebbero  portentose  ai 
nostri  >  (*). 

Se  colali  sono  stati  i  motivi  e  i  modi  per  i  quali  l'episodio  di 
Monza  ricevette  la  primitiva  forma,  che  conosciamo,  la  via  mi- 
gliore per  determinare  le  ragioni  de'  mutamenti  dell'  ultima  defini- 
tiva redazione,  è  di  chiarire  con  quali  procedimenti  e  a  quali  effetti 
d'arte  questa  s'è  maturata. 

Io  li  ho  attentamente  seguiti  e  valutati,  e  in  essi,  secondo  me,  si 
risolvono  i  veri  intenti  che  ebbe  il  Manzoni  nell'ultima  revisione 
dell'episodio. 

La  professione  di  quel  principio  morale,  diremo  così,  di  compen- 
sazione tra  la  rappresentazione  sinistra  de'  delitti  e  quella  conso- 
lante dell'espiazione,  non  ricompare  più;  il  racconto,  sia  pure  affret- 
tato, ma  compiuto  e  particolareggiato  de'  nuovi  casi  e  della  fine  di 
Gertrude,  s'è  ridotto  ad  un  accenno,  ad  una  notizia  fuggevole  che 
cade  lontano,  in  tutt' altro  luogo  (*)  ;  il  Ripamonti,  non  più  solen- 
nemente presentato  come  fonte  di  notizie  raccolte  con  tanto  zelo 
«  per  render  più  compiuta  la  storia  particolare  della  signora»,  ma 
adoprato  con  arguta  ironia  per  venire  all'  induzione  erudita  del 
paese  di  lei  taciuto  dall'anonimo  (^)  e  citato  con  aria  sbrigativa 
per  chi  volesse  conoscere  tutta  la  «  trista  storia  »  delle  accuse,  del 
pentimento  e  dell'  espiazione  {*)  ;  le  due  suore  complici  sparite  ; 
Egidio  lasciato  quanto  più  è  possibile  nell'ombra;  sull'innamora- 
mento   di    Gertrude,   sulla  soppressione  della  conversa  un   rapido 


(1)  Sp.  prom.,  p.  175. 

(2)  Ne'  discorsi  della  mercantessa  a  Lucia  (Prom.  sp.,  cap.  XXXVII,  p.  556). 

(3)  Prom.  sp.,  cap.  IX,  p.  124. 

(4)  Prom.  sp.,  cap.  XXXVII,  p..  556. 


IL   ROMANZO   IN   FORMAZIONE  401 

tocco,  un  cenno  fuggitivo  ;  dispersa  la  scena  del  misfatto,  de'  ter- 
rori della  stessa  Gertrude;  reso  più  temprato  e  delicato  il  profilo 
psicologico,  più  misterioso  e  profondo  il  dramma  morale. 

In  questo  e  altro,  da  me  già  minutamente  esaminato,  splende 
gloriosamente  l'intento  e  la  virtù  dello  scrittore:  l'avere  cioè  con- 
seguita una  maggiore  indipendenza  dalle  fonti  storiche,  l' avere  poe- 
ticamente idealizzato  la  stessa  realtà  storica,  intuita  od  evocata, 
sollevandosi  con  più  pietosa  e  profonda  coscienza  di  poeta  cristiano 
e  con  più  libero  spirito  sulla  materia  episodica  e  anedottica  delle 
cronache  contemporanee,  per  rifonderla  nelle  linee  essenziali  e  fi- 
gurarvi il  simbolo  non  solo  de'  tempi,  ma  della  vita  umana  e  de' 
suoi  drammi  perpetui  ;  1'  avere  infine  purificato  de'  caduchi  elementi 
di  un  romanticismo  lugubre  e  fosco  la  figura  poetica  dell'  infelice 
colpevole,  ricomponendola  in  una  forma  dalle  linee  più  sobriamente 
corrette  e  più  nitidamente  vigorose,  donde  si  diffonde  un  senso  di 
doloroso  mistero,  che  ne  accresce  la  tragica  grandezza. 


Busetto  —  26 


APPENDICE 


Gertrude  e  La  vie  de  Marianne  del  MARIVEAUX 


Fonti  letterarie  vere  e  proprie  del  dramma  di  Gertrude  non  sarà  mai  possi- 
bile scoprire,  chi  intenda  la  meditativa  originalità  della  psicologia  manzoniana. 

Rilevante  è  tuttavia  il  raffronto  fatto  dal  Luzio  con  la  Religieuse  del  Di- 
derot {Manzoni  e  Diderot,  in  Studi  e  bozzetti  di  st.  letter.  e  polit.,  voi.  I, 
Milano,  Cogliati,  1910,  pp.  215  -  71);  vera,  altresì,  1'  osservazione  del  D'Ovidio 
{N.  st.  Manz,  cit.  p.  674)  che  se  «una  differenza  enorme»  c'è  tra  la  descri- 
zione della  vita  claustrale  di  Gertrude  e  quella  della  vita  di  suor  Susanna, 
«  la  differenza,  però,  era  minore  nella  prima  minuta,  perchè  gli  orrori  e  le 
violenze  ivi  descritte  determinavano  altri  punti  di  contatto  col  libro  del  Di- 
derot ». 

Io  non  stimo  opportuno  riprender  in  esame  la  questione,  perchè  essa  —  a 
rigore  —  non  rientra  nello  studio,  propostomi,  della  genesi  intima  del  dramma 
monzasco  e  perchè  a  buona  parte  dalle  conclusioni  del  Luzio  sottoscrivo  an- 
ch' io  senza  discussione. 

C'è  pur  un'altra  storia  —  una  lunga  storia  —  d'una  monacazione  forzata, 
che  una  «  religieuse  »  racconta  in  un  celebre  e  diffusissimo  romanzo  francese, 
Le  vie  de  Marianne  del  Marivaux  (in  Oeuvre»  complettes,  Paris,  Duschesne, 
DCCLXXXI,  voi.  VII,  pp.  395-635). 

L'ebbe  il  Manzoni  presente  al  pensiero  quando  lavorava  attorno  a  Gertrude? 
Non  oso  affermarlo,  che  le  confidenze  di  quella  povera  suora  a  Marianna 
contengono  fatti,  intrecci,  caratteri  di  personaggi,  una  trama,  insomma,  di- 
versa da  quella  dell'episodio  manzoniano:  ma  taluni  particolari  e  sparse  ri- 
flessioni del  racconto  francese  hanno  un'affinità  —  non  saprei  se  fortuita  o 
meno  —  con  luoghi  del  racconto  italiano. 

È  quell'incognita  «  religieuse  »   «  une  personue  de  vingt-cinque  à  vingt-six 

ans,  grand  fille  d'une   figure   aimable   et  intéressante plus  seriense   que 

les  autres  »,  con  dei  «  grands  yeux  languissants  »  (p.  395). 

Ne'  moniti  che  fa  a  Marianna  di  guardarsi  dalle  illusioni  del  chiostro  e 
dalle  lusinghe  delle  monache,  dice  di  sé:  «j'était  une  cadette,  tonte  ma  fa- 
mille  aidoit  au  charme  qui  m'attiroit  chez   elles  »  (p.  398).   Del   noviziato  e 


406  APPENDICE 


della  vestizione  racconta  :  «  j 'eus  cependant  des  ennuis  et  des  dégoxits  sur  la 
fin  de  mon  noviciat....  A  l'àge  ou  jetoit  on  n'a  pas  le  courage  de  resister 
à  toiit  le  monde,  je  cnis  ce  qu'on  me  disoit,  tant  par  docilité,  que  par  per- 
suasion;  le  jour  de  la  cérémonie  de  mes  voeux  arriva,  je  me  laissai  entraìner, 
je  fis  ce  qu'  on  me  disoit:  j'éloit  dans  une  émotion  qui  avoit  arreté  toutes 
mes  pensées:  les  autres  déciderent  de  mon  sort,  et  je  ne  fus  moi-mème  qu' 
une  spectatrice  stupide  de  l'engagement  éternel  que  je  pris  »  (p.  399). 

Non  è  una  peccatrice,  ma  pur  nella  sua  fiera  innocenza,  teme  di  non  saper 
resistere  al  corteggiamento  di  un  falso  abate  che  mira  a  sedurla  :  a  Marianna 
dà  l'incarico  di  dire  al  tentatore:  «  dites-lui  qu'il  doit  trembler  de  l'état  ou 
je  suis:  je  ne  réponds  de  rien,  sije  le  revois;  je  suis  capable  de  le  suivre,  je 
suis  capable  d'abréger  ma  vie,  je  suis  capable  de  tout:  je  ne  prévois  que  des 
horreurs,  je  n'imagine  que  des  abìmes,  et  il  est  sur  que  nous  péririons  tous 
deux  »  (p.  404). 

Marianna,  dopo  questo  primo  colloquio,  manifesta  a  Madame  de  S.ainte 
Hermieres,  che  l' ha  raccolta  fanciulla  per  prepararla  alla  vita  claustrale,  la 
sua  risoluzione  di  non  prendere  il  velo  :  di  qui  stupore,  freddezze  nella  dama 
protettrice  e  nella  piccola  società  che  la  circonda:  la  giovinetta,  come  Ger- 
trude dopo  la  lettera  di  ritrattazione,  è  trascurata  con  disdegno  :  «  je  déchus 
—  ella  dice  —  de  toutes  fagons;  et  pour  me  punir  de  l'importance  don 
j'avois  joui,  jousque  alors,  on  porta  si  loin  l'indifférence  et  l'inattention 
pour  moi  quand  j'étois  présente,  qu'à  peine  paroissoit-on  scavoir  que  j'etois 
là  »  (pp.  411-13). 

La  «  religieuse  »  in  altro  colloquio,  detto  com'ella  diventasse  monaca,  non 
ostante  un  suo  vivo  amore,  descrive  così  il  suo  stato  :  «  Cependant  ma  fiamme, 
qui  n'étoit  qu'  assoupie,  reprit  toute  son  activité;  mon  esclavage  m'eff"raja; 
la  dévotion  me  par  ut  fade  et  insipide;  j'envisageai  les  austérités  de  ma  regie 
comme  un  joug  pesent  et  insupport^ble  »  (p.  625):  parole  che  richiamano  al 
tormentoso  giogo  di  Gertrude  dopo  la  vestizione.  Ma  anche  quel  succinto  ri- 
tratto della  «  religieuse  •»  —  se  non  offre  precisi  punti  di  somiglianza  con 
quello  della  monaca  di  Monza  —  ha  tuttavia  in  comune  con  questo  la  segreta 
ispirazione,  onde  e  il  Marivaux  e  il  Manzoni  furon  mossi  a  comporlo,  di  rap- 
presentare, cioè,  nell'aspetto  delle  due  monache  l'intimo  affanno  di  un'infausta 
vocazione;  e  altresì  nel  breve  racconto  francese  della  monacazione  hanno  ri- 
lievo nen  meno  che  nella  altrettanto  rapida  narrazione  manzoniana  l'inconsa- 
pevolezza abulica  della  vittima  e  la  suggestiva  violenza  dell'altrui  volontà. 


Prefazione pag.      1 

PARTE  PRIMA 
LA  GENESI  ETICO-RELIGIOSA  , 

Capitolo  I. 
Presupposti  e  fondamenti  dell'etica  manzoniana 

I.  L'uomo  e  la  rivelazione pay.  9 

IL  L'etica  pagana  e  il  cristianesimo »  12 

III.  Lo  spirito  del  secolo  ed  il  Vangelo »  24 

IV.  La  religione  e  le  leggi »  39 

Capitolo  IL 
Problemi  e  motivi  etico-religiosi  del  mondo  manzoniano 

I.  Il  dominio  delle  passioni pag,  50 

IL         Umiltà  ed  orgoglio »  57 

III.       Carità  e  giustizia »  59 

IV.v/^(t1ì  umili  e  i  potenty,  ■     '     i  .     .     .     .     .     .    '.     ;  _^   *  ^^ 

V.  Il  coraggio  cristiano >  75 

Capitolo  IIL 

L'ispirazione  etico-religiosa  nella  genesi  primitiva  de'  «  Promessi  sposi  > 
e  ne'  successivi'  rinnovamenti 

l.  Le  predisposizioni  apologetiche  e  moralistiche pag.     84 

^tll.  y  La  visione  pessimistica  dell'uomo  e  della  società  del  Seicento 

^         nella  prima  stesura »       90 


408  INDICE  -  SOMMARIO 

y  III.       Altri  atteggiamenti  e  riflessi  di  forte  pessimismo  psicologico 

e  sociale  nell'originaria  concezione  del  romanzo   ....     pag.  102 

^  IV,  L'unificazione  della  duplice  tendenza  pessimistica  e  ideali- 
stica nella  più  alta  e  serena  concezione  cristiana  del  ro- 
manzo rinnovato »     111 

PARTE  SECONDA 
LA  GENESI  LETTERARIA 

Capitolo  I. 
Fondamenti  dell'estetica  manzoniana 

I.  L'arte  come  rappresentazione  della  verità  eterne  dello  spirito     pag.  127 

II.  La  poesia  in  relazione  con   l'ideale  di  perfezione   e  con   la 

realtà  conosciuta »     131 

III.  La  poesia  e  la  verità  storica »     133 

Capitolo  IL 
La  teoria  del  romanzo  storico  e  la  primitiva  composizione  de'  «  Promessi  sposi  » 

I.  La  creazione  poetica  e  la  giustificazione  estetica  del  romanzo 

storico pag.  137 

'  -  ltr~*    La  teoria  letteraria  del  romanzo  storico  e  lo  storicismo  degli 

i  Sposi  pì'omessi »     140 

III.  I  reciproci  influssi   della   tendenza   storica   e  della   tendenza 

etica  nella  prima  concezione  del  romanzo »     142 

IV.  Singolari  prove  della   preoccupazione  storica   del  Manzoni, 

rivelate  dalla  prima  stesura.  Le  digressioni  storiche     .     .         >;     147 

V.  Le  rivelazioni  al  Fauriel  e  la  costruzione  storica  degli  Sposi 

pì'omessi » 

Capitolo  III. 

il  romanticismo  teorico  e  la  genesi  e  la  trasformazione  de'  «  Promessi  sposi  » 

I.  Là  dottrina   romantica  e  la  poetica  manzoniana:   affinità  e 

/  divergenze pag.  151 

^V       II  «  crocchio  »  romantico  milanese.  L'  «  Ildegonda  »  del  Grossi 
/'  nel  giudizio   del  Manzoni.  L'  «  esprit  romanesque  »  negli 

Sposi  promessi » 

III.  L'intima  disarmonia  classico-romantica  nella  stesura  primi- 
tiva del  romanzo  e  l'unificazione  estetica  raggiunta  nella 
forma  rinnovata »     161 


INDICE  -  SOMMARIO  409 


PARTE  TERZA 
IL  ROMANZO  IN  FORMAZIONE 

Capitolo  I. 
L'azione  generale  e  gli  episodi 

I.  Riordinamento  del  racconto  e  rimutamenti  di  scene     .     .     .     pag.  169 

II.  Soppressioni  e  riduzioni  di  scene  e  di  episodi »     180 

III.  Diversi  procedimenti  e  sviluppi  di  sceneggiatura  e  aggiunte 

di  scene  e  di  elementi  episodici >     184 

Capitolo  II. 
La  genesi  e  la  composizione  poetica  di  Lucia 

I.  L'ideale  evangelico  del  Manzoni  e  la  genesi   etico  -  religiosa 

di  Lucia pag.  190 

II.  La  preoccupazione  storica  e  realistica   nella   primitiva   con- 

cezione del  carattere »     195 

III.  L'elevazione    poetica    del    carattere    in   ragione   diretta   del 

progressivo  chiarirsi  e  illuminarsi  dell'  idea  di  carità  che 

r  informa *     199 

IV.  Mutamenti   nelle  situazioni  e   rappresentazioni,   dovuti  alla 

legge  della  convenienza  psicologica  ed  artistica  de'  per- 
sonaggi ne'  loro  mutui  rapporti »     201 

V.  L'  eliminazione   del   patetico  e  del  pittorescamente   dramma- 

tico e  ancora  dell'idealizzazione  di  Lucia  nel  carattere 
e  nelle  peripezie:  [la  separazione  dalla  madre;  il  ratto 
e  il  viaggio  coi  bravi  ;  il  primo  incontro  con  l' Innomi- 
nato; la  notte  passata  al  castello] »     204 

y\.  Ancora  della  profonda  trasformazione  poetica  di  Lucia  nel 
rimaneggiamento  della  scena  del  perdono  che  l' Innominato 
ottiene  da  lei *     217 

YII.  Nel  rinnovamento  d'analisi  e  di  rappresentazione  della  vita 
di  Lucia  dopo  il  voto  e  dopo  la  liberazione:  [Ospite  in 
casa  del  sarto  del  villaggio  ;  la  famiglia  del  sarto  ;  il  cuo- 
re di  Lucia  fra  il  voto  e  l'amore;  il  primo  ed  il  secondo 
incontro  col  card.  Federigo:  ancora  del  voto  e  de'  com- 
battimenti interni  di  Lucia] »     221 

YIIL  Una  nuova  scena  nell'ultima  redazione  del  romanzo:  la  ri- 
velazione del  voto  alla  madre.  Com'è  stata  rimaneggiata 
la  scena  del  commiato *     245 


410  INDICE  -  SOMMARIO 


IX.  I  mutamenti  profondi  dal  primo  getto  alla  forma  definitiva 

nella  scena  dell'  incontro  di  Lucia  con  Renzo  nel  lazzaretto,     pag.  253 

X.  Il  proscioglimento  del  voto   e  le  variazioni  nel  carattere  e 

negli  atteggiamenti  di  Lucia »     273 

Capitolo  III. 
La  genesi  e  la  composizione  poetica  di  Gertrude 

I.  Il  motivo  delle  vocazioni  forzate  e  la  genesi  etico  -  religiosa 

della  «  storia  »  di   (lertrude ?..      pag.  280 

II.  Effetti   della    rigida    interpretazione    storica    de'  personaggi 

nella  prima  redazioire  e  la  maggiore  indipendenza  del  poeta 
nell'ultima  [la  famiglia  di  Oeltrude:  il  comico  nella  px'i- 
mitiva  concezione  de'  personaggi  minori] »     286 

III.  Rinnovamenti  e  sviluppi    d  analisi  nell'ultima  redazione  al 

fine  di  raggiungere  maggiore  unità  e  coerenza  psicologica 
ed  estetica  del  carattere  di  Gertrude  adolescente  [il  pri- 
mo fallo;  la  prigionia;  la  vergogna  e  il  pentimento;  la 
sottomissione] »     290 

IV.  Procedimenti  di  chiarificazione  e  di  condensazione  al   mede- 

simo fine  [il  perdono;  la  conciliazione;  il  breve  giro  tra 
gli  splendori  mondani  prima  della  vestizione;  il  principe 
e  Gertrude  nell' avviarsi  al  monastero  per  la  richiesta]      .         »     306 

V.  La  progressiva  idealizzazione  poetica  di  Gertrude  negli  epi- 

sodi auteriosi  alla  monacazione  [la  visita  al  monastero; 
la  richiesta:  il  vicario  delle  monache  e  la  scena  dell'esa- 
me: dopo  il  colloquio] >     316 

VI.  La  sua  efficacia  corrottrice  sulle  trojìpo  forti  tendenze  della 

prima  stesura  al  psicologismo  sottile,  al  realismo  comico, 

allo  storicismo  e  al  moralismo  satirico »     335 

VII.  Il  dileguarsi    del    romanticismo    patetico  e   pittoresco    della 

prima  stesura  al  soffio  vigoroso  di  classicità  che  penetra 
e  rinnova  l'arte  del  poeta  [la  vigilia  della  professione  dei 
voti;  la  vita  nel  chiostro] »     340 

VIII.  Gli  splendidi  segni  di  questo  rinnovamento   classico  nell'  a- 

nalisi  del  colpevole  amore  di  (Gertrude  e  nella  rappresen- 
tazione de'  suoi  delitti    .     .     • »     346 

IX.  Le  fosche  scene  della  prima  stesura,  disegnate   sotto   gl'in- 

fl\i88i    delle    tendenze    suaccennate,    e    la    nuova    umanità 

onde  il  poeta  ha  rifuso  il  carattere  tragico  di  (Gertrude  .         »     357 

X.  Altri  riflessi  di  quella  classicità  artistica  rinnovatrice  [il  ri- 

tratto di  Gertrude  :  la  scena  della  presentazione  di  Lucia 
alla, signora;  il  contegno  di  questa  nel  colloquio  succes- 
sivo e  di  poi,  fino  al  giorno  del  tradimento] »     372^ 


INDICE  -  SOMMARIO  411 


XI.  La  scena    in    cui  Egidio   trascina  Gertrude  alla   complicità 

nel  ratto  di  Lucia  :  genesi  di  essa  e  ragioni  della  soppres- 
sione fattane  dal  Manzoni  nel  rifacimento  dell'episodio. 
La  rapida  narrazione,  che  vi  ha  sostituita  :  suo  alto  valore 
poetico po.g.  381 

XII.  Discussione  conclusiva   sulla   trasformazione  totale  dell'epi- 

sodio monzasco  e  sui  motivi  e  fini  del  poeta >     394 

Appendice:  Gertrude  e  La  vie  de  Marianne  del  MARIVEAUX  .     .         >     403 


ERRATA-CORRIGE 


Pag.  52  (linea  24*)  :  scriuatura  —  incrinatura. 

»  61,  n.  1:   invece  di  «  alla  p.  23  »,  si  legga  «  alla  p.  34  >. 

»  89,  n.  2  :  dalla  lettera  —  dalle  lettere. 

»  114  (linea  13*):  sulla  —  nella. 

»  122,  n.  1  :  invece  di  «  n.  296  »  «  si  legga  :  n.  4  a  p.  97  ». 

»  133  (lin.  ult.)  :  nettamente  —  strettamente. 

»  149  (linea  4  )  :  conservano  —  conservino. 

»  151  (nel  Sommario)  :  poesia  manzoniana  —  poetica  manzoniana. 

»  152  (linea  26'^)  :  vuol  dire  —  non  vuol  dire. 

»  153  (linea  terzult.)  :  effettuate  —  effettuata. 

»  156  (linea  35*)  :  lettera  —  letteratura. 

»  157  (linea  23^^)  :  né  —  ne'. 

»  160  (linea  27*)  :  Si  —  Si. 

»  160  (linea  28*):  dell'opera  —  dall'opera. 

»  165  (linea  20*)  :  dedicato  —  dedicata. 

»  191  (linea  23'^):  dell'azione  —  dall'azione. 

>  243  (linea  ult.)  :  risvegliarono  —  risvegliavano. 

»  253  (linea  32*)  :  rivelandone  —  rilevandone. 

»  255  (linea  10*)  :  in  solo  —  solo  in. 

»  361  (linea  33*):  prescelti  —  prescelta. 

»  278  (linea  13*)  :  in  proseguo  —  nel  seguito 

»  295  (linea  2*)  :  tratto  —  ritratto. 

»  329  (linea  1*)  :  non  sempre  non  —  non  sempre, 

»  349  (linea  20*)  :  colmare  —  calmare. 

»  365  (Hnea  15*)  :  sull'  —  nell'. 

»  377,  u.  1:  dell'interrogarla  —  dell'interrogata. 

r>  381,  n.  2  :  pentimento  —  sentimento. 

»  384  (linea  21'):  lirica  —  linea. 

»  389  (linea  5*)  :  ne'  —  sui. 

»  395  (linea  16*):  stato  —  stata. 

»  401  (linea  9*)  :  anedottica  —  aneddotica. 


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Finito  di  stampare 

il  giorno  30  Giugno  1921 

nello  Stabilimento 

della  Società  Tipografica  Editrice  «Taddei, 

in  Ferrara 


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^713      La  genesi  e  la  formazione 

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