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NATALE BUSETTO
LA
GENESI E LA FORMAZIONE
DEI PROMESSI SPOSI
BOLOGNA
NICOLA ZANICHELLI
EDITOIIE
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I.' EDITORB ADEMPIUTI I DOVERI
ESERCITIOKÀ I DIRITTI SANCITI DALLE LEGGI
Tipografia A. Is'eppi - Ferrara - VI-1921
PREFAZIONE
Busetto — 1
3
La preziosa conoscenza della prima composizione de'
Promessi sposi, edita di recente di su Pantografo col titolo
di Sposi promessi e corredata di notevoli rifacimenti e va-
rianti, ci pone in grado di ricostruire la storia della genesi
e della formazione paziente e laboriosa del capolavoro man-
zoniano.
A tale storia compiuta de' Promessi sposi io mi sono ac-
cinto sin dal 1916, quando pubblicai tre primi saggi del
mio lavoro (Saggi Manzoniani, Napoli, Studio tipo-editoriale
dell' « Eco della cultura », 1916); e questo volume, che la ri-
nomata e benemerita Casa Editrice Zanichelli s'è assunta la
cura di dare alla stampa, sarebbe dovuto uscire da un paio
d'anni, se le note difficoltà dell'attuale produzione libraria
l'avessero consentito.
E nel suo insieme — coìue per varie ragioni l'ho dovuto
comporre — un volume unico e organico, a cui, se non
m'inganno, non disdice il titolo assegnatogli ; ma questo già
fa presumere che l'opera continuerà in altri volumi, che io
vo preparando e ne' quali saranno studiati altri gruppi di
personaggi manzoniani e altra materia pertinente al ro-
manzo.
In questo volume, intanto, mi sono proposto d' indagare
V ispirazione etico-religiosa, come venne operando nella ge-
nesi primitiva de' Promessi sposi e ne' successivi rifacimenti ;
di determinare i pì^ocedimenti e gl'influssi delle idee lette-
PREFAZIONE
varie del Manzoni e del suo spitnto critico e storico^ che
tanto poterono nella prima concezione e forma del romanzo,
e il processo di rinnovamento dell' opera, attraverso il quale
l'artista prevalse sul critico e raggiunse una nuova unità
estetica nella redazione definitiva; d' illustrare, infine, i ri-
mutamenti e gli svolgimenti a cui andò soggetta l'azione
generale del romanzo, dal primo getto all'ultima 7'icomposi-
zione, la genesi etica e psicologica e la progressiva trasfor-
mazione poetica dei due personaggi femminili che, insieme
con la figura dell' Innominato, pia affaticarono la mente
deli' artista e più profondamente uscirono rinnovati dall'in-
tensa rielaborazione di tutta l' opera, cioè di Lucia e di
Gertrude.
Mi sia lecito affermare che, sotto un certo aspetto — mas-
sime perciò che riguarda la genesi e la formazione de'
personaggi — è questo un genere alquanto nuovo d' indagine
e di critica. Io infatti mi pongo il concreto problema: —
Com'è nata quest'opera d'arte? come ha essa raggiunta
questa sua forma espressiva e compiuta? — E vi rispondo
non solo col metodo intuitivo, ma con un processo di studio
rigorosamente scientifico e positivo, condotto sul materiale
stesso che lo scrittore ci offre perchè ricostruiamo la storia
della formazione poetica dell' opera sua : il qual processo
consiste neW entrare, per così dire, nel laboratorio segreto,
dov' egli con assiduo ardore ha preparato, tentato, ritentato,
costruito, distrutto, ricostituito ; nel vedere coinè s'è formata
la vera figura poetica rispondente all' idea pura dell'artista,
com'ei la cercasse nel suo mondo interiore, ma nelle prime
prove non gli riuscisse fatta secondo il ritmo profondo del
suo spiìnto, secondo la tempra schietta della sua personalità,
perchè nel gioco degli elementi eterogenei, d'origine dottri-
nale 0 passionale, d'influsso esteriore piuttosto che d'ispira-
zione intima, quella forma era ancora oscurata e confusa;
nel vedere come infine questa uscisse depurata e coerente
con l'originalità schietta dello scrittore.
La ragione e i procedimenti di un simile lavoro m'hanno
— di necessità — imposto di proceder parco e spedito nelle
PREFAZIONE
discussioni a cui può facilmente dar luogo la fHcca biblio-
grafia manzoniana, e di non segnalare se non quegli scritti
critici che, per essere strettamente attinenti all' argomento e
al genere d'indagine ch'io tratto, era mio debito prendere
in attenta considerazione.
Napoli, 29 luglio i920.
Natale Busetto
-\
PARTE PRIMA
LA GENESI ETICO-RELIGIOSA
^
Capitolo I.
Presupposti e fondamenti dell'etica manzoniana
I. L'uomo e la Rivelazione. — IL L'etica pagana e il cristianesimo,
-^ III. Lo spirito del secolo e il Vangelo. — IV. La religione
e le leggi.
La costruzione d' un mondo cosi vasto e complesso, come sono
i Promessi sposi, ha necessariamente una sua intima storia morale
ed intellettuale e sue ragioni, della medesima specie, essenziali e
profonde. Analizzarle e chiarirne il significato e la portata ne' ri-
flessi di quel mondo così ricco d' umanità e di poesia è opportuno
avviamento all' indagine e alla valutazione di quei motivi e problemi
e molteplici aspetti della vita umana, che, attraverso un lungo e
tenace studio di meditazione morale e di elaborazione artistica, han-
no ricevuto carattere ed espressione di concreta vitalità nella forma
definitiva dell'opera: motivi e problemi che presuppongono talune
idee cardinali della coscienza religiosa del Manzoni, quali i rapporti
dell' uomo con la Rivelazione, dell' etica pagana col cristianesimo,
dello spirito del secolo col Vangelo, della religione con le leggi.
I. Delle molte pagine in cui il Manzoni ha trattato dottrinal-
mente de' problemi morali o da essi ha dedotto motivi d'ispirazione
e rappresentazione poetica, non ce n'è quasi alcuna, che non riba-
disca costantemente il principio dell' idea intera e perfetta della
moralità manifestata dalla Rivelazione, cosicché non possa l'anima
umana ritrovare « per dir così, la sua unità nel riconoscimento
dell' unità eterna del vero e del bene », se non mediante l' insegna-
mento evangelico, né vi sia « alcun sentimento di perfezione, al
quale col Vangelo non si possa assegnare una ragione assoluta e
un motivo preponderante, legati egualmente con tutta la Rivela-
10 PARTE PRIMA
zione (^)». Il Manzoni non concepisce atti di virtù, prove di sacri-
fizio e d' abnegazione, sublimazioni eroiche dello spirito, né ammette
che se ne possa intendere la ragionevolezza, se non coi precetti e
i motivi offerti dal Vangelo (*) ; all' infuori del quale non e' è per
lui sistema di filosofia morale che sappia «evitare l'inconveniente
e la vergogna di dar precetti e consigli, senza poter proporre dei
motivi proporzionati » ('). Tra i due termini di valutazione, 1' uno
che implica la lode delle virtìi disinteressate, l' altro che implica il
bisogno di determinarne la ragionevolezza, « le morali umane si a-
gitano, cercando invano di ravvicinarli». Or sull'una or sull'altra
tendenza della natura uraana^ « cioè o nella stima della virtù o nel
desiderio della felicità», si fondano i sistemi del pensiero, ma la
difficoltà che « consiste nel soddisfarle ugualmente^ nel trovare un
punto dove la bellezza e la ragionevolezza dell' azioni, de' voleri, del-
l'inclinazioni, si riuniscano necessariamente, in ogni caso e con piena
evidenza », non si supera se non al lume della dottrina rivelata {*).
Nel dibattito filosofico intorno all'utile e al giusto, che è indub-
biamente il più grave de' problemi morali che le scuole antiche e
moderne abbiano trattato, il Manzoni si pone contro la stessa ten-
denza intermedia della dottrina utilitarista (^), sostenendo con gran
vigore che la concordia finale dell' utilità con la giustizia, intra-
veduta cosi in astratto dalla ragione, è stata spiegata dalla Rivela-
zione né si può altrimenti che con la fede nella vita futura, « nella
quale abbia luogo una finale e infallibile retribuzione » ; scopre la
contraddizione degli utilitaristi, che vogliono conciliare il loro si-
stema, che è « un calcolo congetturale d' utili e di danni possìbili
nella vita presente » , con una tale credenza religiosa, che comporta
una «legge morale» superiore. Del resto -- conclude con fiero rigo-
rismo religioso — « in tutte le dottrine morali^ che non tengono conto
della Rivelazione,» non si nasconde che «incertezza», «diffidenza
di sé», «scetticismo» «sotto il linguaggio più affermativo e l'ap-
parato più solenne della dimostrazione » (^). « Inconsistente » chiama
il Manzoni la distinzione, che si suol fare tra « la morale del Van-
gelo » e «i dommi del Vangelo», tra, cioè, i precetti e i motivi.
(1) A. Manzoni, Osservazioni sulla inorale cattolica, Parte edita, Parte inedita e
« Pensieri religiosi » per cura di A. gojazzi, Torino, 1910, pp. 162, 163.
(2) Oss. s. mor. catt. (ed cit.), pp. 163-4.
(3) n)ld.,\i. 161.
(4) Iì)id., p. 162.
(5) Ibid., p. 383 e segg.
(6) ma., pp. 384, 388, 387.
LA GENESI ETICO -RELIGIOSA 11
non trovandosi — egli afferma esemplificando poi con calda elo-
quenza — « quasi un insegnamento morale del Redentore, che non
sia confermato da Lui con un insegnamento dommatico». Nessuna
condiscendenza, nessuna transazione ; « quando la ragione — soggiunge
con recisa e caustica dialettica — ammira la morale del Vangelo, alla
quale non si sarebbe potuta sollevare da sé, fa rettamente il suo
nobile uffizio; ma quando ne sconosce l'unità divina; quando in
ciò che il Vangelo prescrive e in ciò che annunzia non vuol vedere
una sola e medesima rivelazione; quando ricusa d'ammettere mo-
tivi soprannaturali, che confessa eccellenti, allora non può più chia-
marsi ragione, perchè discorda da sé medesima ». La « forza d' a-
dempire » i precetti « e d' adempirli per riguardo e secondo lo
spirito » di quei motivi non può esser data che dalla religione, ed
è « quella grazia, che non è mai dovuta, ma che non è mai negata
a chi la chiede con sincero desiderio e con umile fiducia » ; gì' in-
terni conflitti tra i « dettami della legge morale » e la « miserabile
fiacchezza » delle nostre forze e « l'indegna repugnanza a seguirli »
danno luogo a desolate domande e a sterili lamenti, se non inter-
viene la «divina risposta» che sorge dal seno del cristianesimo:
€ la grazia di Dio per Gesìi Cristo Signor nostro ». Per questo è
stata necessaria la Rivelazione; onde venne all'-uomo una « dottrina
morale e perfetta» «che sola potè farci conoscere quali noi siamo,
che sola dalla cognizione di mali umanamente irremediabili, potè
far nascere la speranza » ; dottrina che « Gesù Cristo ha consegnato
alla Chiesa ». Compimento, sanzione, unificazione di tutte le parziali
verità e gli sparsi precetti morali, trovati dalla ragione, la Rivelazio-
ne, altresì, portò con sé un nuovo motivo di virtù che da essa ha
ricevuto «il nome sovrumano di Carità», il quale «unendo con
l'amor di Dio l'amor degli uomini lo fa in qualche modo parteci-
pare della ragione infinita di quello; nome che contempla in essi,
non la sola natura quale si può riconoscere per mezzo della ragione,
ma l'origine che li fa essere figlioli di Dio; ma l'umanità assunta
dal Verbo, che li fa essere fratelli di Gesù Cristo; ma la natura
medesima quale è interamente manifestata dalla fede e che li fa
essere a immagine e similitudine dell'ineffabile Trinità» (^).
Che cosa vale l' uomo col suo pensiero^ con la sua ragione^ di
fronte alla morale rivelata? Non v'ha filosofia, non v'ha pensiero
che pur si elevi sopra le troppo fallaci « mete del raziocinio » e so-
pra i « vantaggi temporali » verso le regioni superiori della morale,
(1) IMd., pp. 165, 167, 169, 169-70, 170, 182. Cfr. anche p. 189.
12 PARTE PRIMA
che sia in piena conformità col Vangelo: non c'è altra via verace
che accettarlo nella sua interezza con piena umiltà di cuore. Verità
fondamentali della Eivelazione sono : « che sola cosa necessaria è
di salvare l'anima, che dobbiamo renderci conformi alla immagine
di Gesìi Cristo, che non possiamo fare alcun bene senza la sua gra-
zia, che bisogna operare la propria salute con timore e tremore,
che la fede è necessaria per piacere a Dio » : non porle « in cima al
nostri sistemi morali » e rendere omaggio al Vangelo « è una con-
traddiziono anche in coloro, come il Rousseau e Madama di Staèl,
ne' quali il Manzoni pur riconosce che 1' omaggio alla Rivelazione
deriva non da considerazioni di «vantaggi temporali», «ma da
ammirazione profonda della sua bellezza, e della sua conformità
colla parte più nobile e più vera della natura umana».
Parimente l' essere quelle « idee evangeliche escluse quasi del
tutto dai discorsi degli uomini», quando si tratti di applicarle ai
fatti e ai fini della vita, è assurda e superba aberrazione. « Ah queste
idee — esclama il Manzoni, rivelando apertamente la posizione an-
tiìntellettualistica della sua dottrina — sono di quelle che Dio ha
nascosto ai prudenti e ai sapienti; bisogna farsi piccioli per inten-
derle ». Non vi ha altezza intellettuale che eguagli 1' adesione del
sentimento e del raziocinio alle istituzioni e allo spirito della dot-
trina rivelata : « il punto di massima ragione^ il punto più certo,
più elevato dell' umano intelletto sarà il concordare col Vangelo :
r uomo sarà ragionevole ed illuminato in proporzione della sua
fede» (1).
IL Questa rigorosa interpretazione e applicazione del Vangelo
alla vita e al pensiero dell' uomo, implicando la negazione di tutti
i sistemi di morale indipendenti dalla religione, conduce necessaria-
mente il Manzoni a vedere nel paganesimo un'antitesi storica ed
etica ai princìpi e alla civiltà del cristianesimo. La stessa inclina-
zione, palese in più luoghi dell'opera sua, a considerare non solo
il contenuto dogmatico della rivelazione, ma anche il carattere sto-
rico d' iniziatrice d' un' èra nuova, lo porta alla critica della società
precristiana e delle sue dottrine e istituzioni. In questo suo atteg-
giamento polemico il Manzoni, del resto, si conforma alla tradizione
(1) n>id., pp., 483, 484, 485, 487, 489, 479.
LA GENESI ETICO - RELIGIOSA 13
dell' apologetica cattolica e, in modo particolare, come più oltre ve-
dremo, al metodo difensivo, seguito dagli apologisti e dai moralisti
del Seicento francese. E non è questa — come potrebbe sembrare
a prima vista — una questione secondaria, perchè la critica nega-
tiva della morale pagana o etnica, come pur si compiaceva di de-
nominarla il Manzoni, oltre ad essere una conseguenza del suo
pretto e rigido evangelismo, si connette con le idee generali ch'egli
aveva della natura, della condotta e del destino dell' uomo e con
taluni suoi princìpi fondamentali di estetica.
Nel considerare gli ultimi secoli del paganesimo lo colpisce so-
prattutto « la cieca perversità di venerare gì' idoli fatti da loro, e
di far morire i giusti » e, per contrapposto, la serena fermezza de'
martiri cristiani, per la quale «i fanciulli stessi sorridevano ai
carnefici » (^). Quanto alle idee morali professate dalle antiche scuole,
è raro che il Manzoni conceda loro qualche valore: quando non le
censuri con fiera austerità cristiana, non vi trova che < oscurità
e incertezza » e, se ammette che le « sante e solenni parole » di
« giustizia, dovere, virtù, benevolenza, diritto, coscienza, premio,
pena, bene, felicità » sono state « la parte essenziale del vocabolario
morale di tutti i tempi e di tutti i luoghi », avverte, tuttavia, che il
mondo prima di Cristo non vedeva tra le verità espresse da quelle
parole unità e concordia, ma «un escludersi a vicenda», « un con-
trasto doloroso » accresciuto dalla scienza che « per lo più » cam-
biava «in altrettanti sistemi quelle tristi oscillazioni delle menti»,
« sacrificando a una verità arbitrariamente prediletta delle altre > ,
talvolta « le più nobili e le più sante » .
Non che il Manzoni escluda che la ragione e 1 « sentimenti na-
turali retti » potessero predisporre all' avvento della legge di Dio.
Questa — egli dice — , se ha edificato un mondo nuovo, non poteva
però « distruggere le basi naturali della morale, cioè i sentimenti
retti», giacché questi «non possono mai essere in contraddizione
con la legge di Dio, dal Quale vengono anche essi », e « conformare
la morale a questa legge è un farla essere conforme al core retto
e alla ragione perfezionata». Conviene, anzi, che pur tra i gentili
alcuni, cioè gli stoici, abbiamo intuito « col solo lume naturale »
una verità profonda nel professare che « nessun bene finito poteva
essere per la virtù materia di compensazione », benché non risol-
vessero il grave problema morale « col dire che la virtù è premio
(1) Ibid., p. 205.
14 PARTE PRIMA
a sé stessa > ; ma in generale osserva che « i diversi sistemi de' filo-
sofi del gentilesimo non proponevano, almeno direttamente, a chi
li volesse adottare e seguire, altra felicità che la sua propria. La
virtù degli stoici era in fondo egoista, come la quiete degli epicurei
e la voluttà dei cirenaici» Q). Più reciso e fiero è nella censura il
Manzoni, quando riguarda la morale degli antichi nell' ordine de'
fatti e de' giudizi pratici.
Nessuna vera misura del giusto e dell' ingiusto presso i gentili:
il rispetto alla vita ignoto, purché si pensi alle « crudeltà incredibili
commesse » nelle persecuzioni contro i cristiani « senza un forte
impulso», a principi, che vediamo « senza fanatismo secondare il
trasporto del popolo per i supplizi, non per timore, non per ira,
ma direi quasi per indifferenza » ; « pace terribile » quella del gen-
tilesimo, « che non fu mai disturbata nemmeno dai gemiti » de'
primi cristiani condannati ai supplizi ; mentre intanto gli « odii nà
zionali duravano universali, radicati, perpetui » (^) e di fronte al cri-
stianesimo, che ci fa considerare la vita mortale « come vita di
preparazione », non altro che una grande e funesta follia il gen-
tilesimo che « la rappresentava come avente il principio e il fine
in sé stessa » (*).
Fra le Postille ai libri che il Manzoni leggeva, così utili a cono-
scere l'ingegno, le idee e l'arte di lui, ve n'ha di molte in cui
non solo raccomanda di procedere con molta cautela, come fa nel
r annotare un passo della « Drammaturgia » del Lessing, nell' ap-
plicazione de' principi morali degli scrittori pagani {*), ma li com-
batte talora con mordace asprezza, insolita ne' suoi scritti, biasimando
gli storici cristiani della vecchia scuola classica come il Rollin e il
Crevier, l'uno autore di una Histoire romaine e l'altro di una Hi-
stoire des empereurs romains, troppo ossequienti, a pai-er suo, alle
virtù degli antichi e alle loro istituzioni {^).
S'intende che il Manzoni disprezzi le superstizioni e i riti reli-
giosi de' pagani, in cui non vede che assurdità e furberia; s'intende,
altresì, che desideri maggiore circospezione morale ne' giudizi dei
(1) n>id., pp. 179, 176, 177, 187-8, 316, 389.
(2) n>id., pp. 155, 215, 205, 516. V. ciò che dice a pp. 449 e 155 delle guerre romane
di conquista, del trattamento degli schiavi fuggitivi, delle condizioni d'indegnità ci-
vile, che gli Spartani facevano agi' Iloti.
(3) A. Manzoni, Opere inedite e ì'are, pubblic. da R. Bonghi, Milano, Rechiedei,
1883-1891, voi. III., p. 194.
(4) Ivi.
(5) Le osservazioni a questi autori sono le più numerose della serie (in Ojjp. in.
e r., II, pp. 253-339).
LA GENESI ETICO - RELIGIOSA 15
due storici francesi, essendo i loro trattati stati composti per uso
de' giovani cattolici (^) ; ma ciò che più impressiona è il vedere con
che costante rigore giudichi i fatti della storia romana alla stregua
della morale evangelica. Il Rollin presenta il dibattito tra Catone e
Nasica circa il conservare o distrugger Cartagine, nel suo puro
aspetto politico, da spregiudicato storico settecentista ; il Manzoni
postilla sdegnato : « Caton et Nasica étaient deux héroiques coquins.
Ces gens là mettaient h part 1' èqui té parce qu'ils étaient ro-
mains, interessés, payens ; mais nous, qui n' avons aucun de ces
obstacles à porter un jugement plus juste sur cette affaire, pourquoi
nous mettrons nous volontairement dans la sphère des passions et
de l'erreur? pourquoi prendrons nous la question sur le terrain
d' une politique abominable et misérable » (*) ?
Tutta la simpatia del Manzoni è per gli schiavi e, in generale,
per la povera gente de' tempi di Roma (*), a tal punto che rimpro-
vera il Rollin di non portare il suo spirito cristiano, anzi di «prètre
chrétien » del sec. XVIII nella narrazione, di fatti antichi (*). Che
idea potevano avere della vera giustizia i pagani — si domanda il
Manzoni — se chiamavano giusto « ce qui était conforme aux dé-
crets et aux consuétudes d' une force, à des lois imposées par
quelques horames à quelques autres » (*) ? Chi è Bruto, « ce héros
du stoicisme», come l'aveva chiamato il Rollin? Pel Manzoni non
è che un ambizioso che rappresentò la causa d'un numero privile-
giato d' uomini e combattè per interessi umani ; giacché non e' è
vera virtù dove lo scopo non sia diretto alla giustizia e alla carità
universale (^). Ma a proposito di questo illustre campione del ro-
manesimo, è curioso il parallelo tra lui e Filippo II, che si legge
nella prima redazione de' Promessi sposi ('). Due uomini, due idee
(1) Opp. in e r., II, pp. 270, 272, 273 274.
(2) Ibid. , p. 269.
(3) Idid., pp. 291, 306, 309, 322. Ideava nel '21 una tragedia su Spartaco, per la quale
veniva raccogliendo diligentemente il materiale storico, disegnando la trama dram-
matica e studiando attentamente lo spirito morale e sociale di quell'età che vide la
prima grande insurrezione di schiavi (V. Opp. in. e r. , II, pp. 275-88)
(4) Ibid., p. 274.
(5) Ibid., p. 289. V. anche pp. 291-2.
(6) Ibid., p. 295. Sulla benevolenza verso tutti gii uomini, che solo la morale cat-
tolica può comunicare, v. le cit. Oss. s. moì\ catt. , p. 203.
(7) Gli Sposi promessi, per la pritna volta pubblicati nella loro integrità di
sulV antografu da Giuseppe Lesca, con quattro facsimili, Napoli, Perrella, 1916, pp.
508-9. Ik Manzoni trae argomento pel suo parallelo da una statua colossale che, a
tempo de' tumulti popolari descritti nel romanzo, raffigurava quel monarca e che « cir-
ca centosettant'anni » dopo (a tempo, dunque, della Repubblica cisalpina) venne « Ira-
sformata alla meglio in un Marco Bruto»,
16 PARTE PRIMA
« disparatissime » : eppure 1' arguto ragionatore ci trova « più punti
di rassomiglianza». «Tutti e due gravi e rigidi sermonatori, l'uno
di filosofia, l'altro di religione, tutti e due commisero senza rimorso,
con giattanza, di quelle azioni, che la morale comune e il senso
universale della umanità abbomina : tutti e due credettero che nel
loro caso una ragione profonda, un intento di perfezione rendesse
virtù ciò che è comunemente delitto. Tutti e due, con una opposi-
zione ardente e attiva, hanno promosse, rafforzate, estese le cose
che volevano impedire ed estinguere nei loro cominciamenti : e
tutti e due hanno avuti in vita e dopo morte fautori che hanno
approvata la loro condotta, gli hanno lodati d' aver fatti mali infi-
niti, per ottenere il contrario dei loro fini »
Chi è pel Manzoni lo stesso Catone, che il medioevo cristiano
idealizzò ; che Dante stesso redense ed esaltò a simbolo della libertà,
morale ? Pel Rollin è un « rigide observateur de la justice » per es-
sersi egli rifiutato di dare la libertà agli schiavi e di farne de'
soldati difensori di litica, adducendo di non voler far torto ai loro
padroni; è un sublime «héros» della giustizia per essersi presa
cura della vita e della salvezza de' suoi e degli Uticensi poco prima
di morire. Per contro il Manzoni, che in codesta ammirazione non
trova che servile stupidità e oscuramento de' sentimenti più natu-
rali a un cristiano, non si commòve punto dello stoico suicidio di
Catone e con spietata ironica sottigliezza chiama assurdo il conte-
gno di lui, « car si la vie était un mal sans cette liberté que voulait
Caton, il ne devait pas procurer aux autres ce mal que lui voulait
éviter» (^).
Altri consimili eroi del mondo romano non sfuggono alla critica
acerba e spesso causticamente schernitrice del moralista cattolico,
nel confronto con le virtù cristiane. La sobrietà del cardinal Fede-
rigo, di cui narrava un bello esempio negli Sposi promessi (*), gli
fa sovvenire di consimili esempi d'uomini pagani, come « le magre
cene di quel Curio mal pettinato» e il «salino di Fabricio» e il
«suo piattello sostenuto da un picciuoletto di corno», e lo induce a
ragionare amaramente sui motivi della celebrità di quest'ultimo ('),
(1) Op2K in. e r., II, pp. 292, 293, 294.
(2) Nella vallata di S. Martino, dopo una faticosa giornata, spesa in visite, discorsi
e benedizioni di villaggio in villaggio, Federigo, spossato dal lungo digiuno, si rifo-
cilla, iu mezzo alla gente ammirata e compunta, con un tozzo di pane e un bicchier
d'acqua (Sjì. pr., pp. 466-8).
(3) Sp. pr., p. 469. Anche nella II. P. della Mor. catt. biasima la « posterità », che
« esalta i trionfi dell'uomo sopra l'uomo, le gioie nate dai dolori altrui» (ed. cit., p.
520).
LA GENESI ETICO -RELIGIOSA 17
dando — come altri ha osservato — (^) nel paradosso e rivelando,
piuttosto, difetto di storiografo per l'unilateralità della ricerca (^).
Ma qui importa rilevare come l'appassionato giudizio che lo trasporta
a un confronto tra il cardinale Federigo e il romano Fabrizio, pro-
venga dalla manifesta intenzione polemica di contrapporre il cristia-
nesimo al gentilesimo, la morale religiosa, fondata sulla rivelazione,
alla morale umana fondata sulla filosofìa e la ragione. Quel tozzo
di pane — ammonisce il Manzoni — , «mangiato tra le fatiche d'un
ministero di misericordia, di pace, di pietà dovrebb' essere una ri-
membranza più cara agli uomini che non quel salino e quel piat-
tello, che copriva la mensa d'un uomo, che era sobrio per poter
essere forte contro gli uomini ; che si godeva di essere un povero
Fabricio, per essere un potente romano». E subito dopo svela il
fine vero di queir episodio digressivo concernente la vita di Fede-
rigo, con r istituire deliberatamente un' antitesi tra l' anima antica e
la cristiana, tra le due diverse concezioni dello spirito e del dove-
re. «Le idee, di cui si componeva il sentimento temperante» di
Fabrizio « erano superbe, ostili, sprezzanti, superficiali : quelle di
Federigo umane, gentili, benevole, profonde». Fabrizio, al frugale
banchetto di Pirro, nell' udire le dottrine epicuree esposte da (Tmea,
« disse quelle atroci parole tanto lodate dagli antichi e, chi lo cre-
derebbe?, dai moderni: — Oh Ercole (il santo era degno del vóto)
fa che queste dottrine sieno ricevute dai Sanniti e da Pirro fin tan-
to che saranno nemici del popolo romano — . Ma il nostro mangia-
tor di pane avrebbe avuto orrore di sé, se avesse potuto anche un
momento desiderare la perversità ai suoi nemici, ai nemici del suo
popolo. Egli desiderava la giustizia, la fortezza, la sobrietà a tutti :
la desiderava e tutta la sua vita fu spesa a promuoverla. La sua
benevolenza non era nazionale ne aristocratica (') ; egli non aveva
bisogno di odiare una parte del genere umano per amarne un'altra:
si faceva povero non per insultare, non per dominare, ma per di-
videre la condizione dei suoi fratelli poveri, e per migliorarla. A
dispetto di tutta la storia, di tutta la morale, di tutta la rettorica,
Federigo Borromeo era più grand' uomo che Fabricio, o per meglio
(1) V. le garbate osservaz. del D'Ovidio in yicovi studi' manz., Hoepli, Milano,
1908, pp. 575.
(2) Cfr. l'art, di F. Crispolti, Le rivelaz. dei Br. ined. sul M. istoriografo, nel Mo-
mento del 30 nov. 1914 e riassunto da \. Pellizzari in Studi manz., Napoli, Perrella,
1914, A'ol. I. pp. 115-21.
(3) V. contro l'erroneo concetto di «Religione .nazionale ».. Opp. in. e r., II., pp.
468-9.
Busetto — 2
18 PARTE PRIMA
dire: Federigo era veramente un grand' uomo, per quanto un sì
magniflco epiteto può stare con un sì misero sostantivo » .(^) Lo stesso
Manzoni spiega altrove, a proposito di Traiano, il formarsi e per-
petuarsi della riputazione delle virtù pagane e dà, a un tempo, la
ragione de' suoi sfavorevoli giudizi, osservando che « noi riceviamo
per lo più l'opinione fatta dagli altri; e i gentili, che stabilirono
quella di Traiano, non credevano che spargere il sangue cristiano
togliesse nulla all'umanità e alla giustizia d'un principe »; che «è
la religione che ci ha resi difficili a concedere il titolo d' umano e
di giusto; è essa che ci ha rivelato che nel dolore d'un' anima im-
mortale e' è qualche cosa d' ineffabile ; è essa che ci ha istruiti a
riconoscere e a rispettare in ogni uomo l'immagine di Dio, e il
prezzo della Redenzione. » (^)
« Voluttuosa, superba, feroce » la morale degli antichi — incal-
zava il Manzoni in un suo celebre scrìtto (') — , « circoscritta al tem-
po, e improvvida anche in questa sfera ; antisociale, dov' è patriottica,
e egoista, anche quando non è ostile»; « la morale dei classici » — più
particolarmente accennando agli scrittori del paganesimo, ribadiva
con parole che solo molti anni più tardi cancellò — essenzialmente
falsa: false idee di vizio e di virtù: idee false, incerte, esagerate,
contradditorie, difettive dei beni e dei mali, della vita e della morte,
di doveri e di speranze, di gloria e di sapienza; falsi giudizi dei
fatti, falsi consigli ; e ciò che non è falso in tutto, manca però di
quella prima ed ultima ragione, che è stato una grande sciagura il
non aver conosciuto, ma dalla quale è stoltezza il prescindere scien-
temente e volontariamente». (*) E più manifestamente rivelava le
sue intenzioni morali e religiose e, dirò così, le sue apprensioni
pedagogiche nel deplorare che i classici fossero — nonostante le
battaglie romantiche — proposti alla « imitazione dei giovinetti», nel
(ly Sjt. jir., pp. '109-70. Anche nelle Oss. s. ìitur. catt. esalta sugli Sfi'ittori del
gentilesimo, de' (inali pur «si parla come di uomini grandi,» gli Apostoli de' quali
« si è parlato anche pur troppo... come di uomini da nulla» (pp. 477-8; v. di questa
la n. 1). V., altresì, a pp. 211, 215 e segg., il severo giudizio su Traiano e Plinio per
il loro contegno verso i Cristiani. Eppure il primo — osserva il Manzoni — era ed
è «celebre per sapienza e mansuetudine,» e altrettanto il secondo «per coltura d'in-
gegno e dolcezza di carattere».
(2) Oss. s. mor. catt., p. 214.
(3) Nella Lett. sul Romanticismo a Cesare d'Azeglio del 22 sett. 1823. V. il passo
riportato nel voi. delle Prose minori con note di A. Bertoldi, Firenze, Sansoni, 1807,
l)p. 164-5.
(4) Questo passo, che il Manzoni soppresse nell'ediz. definitiva delle Opere varie
del 70, si legge neW Epistolario, raccolto da G. Sforza, Milano, Carrara, 1882-83, voi.
I., j?. 291.
LA GENESI ETICO -RELIGIOSA 19
desiderare « ardentemente » che si facesse sui classici « un esame
intento, risoluto, insistente», una specie di revisione epuratrice dei
valori morali del classicismo, nell' augurarsi che si perdesse «quella
venerazione per essi così profonda, così solenne, così magistrale » ,
nel volere per mezzo de' romantici o « per qualunque via ragione-
vole » «screditato il sistema dell'imitazione», con l'intento soprat-
tutto pratico che si cessasse dall' attingere dal mondo classico
« tanti sentimenti falsi » e dal perpetuare « nella letteratura e, per
mezzo della letteratura, nella vita giudizi irragionevoli e appas-
sionati ». (^)
Se, come a suo luogo dimostrerò con maggior larghezza d'in-
dagine, i luoghi citati e talune ironiche applicazioni d' ostentato
anticlassicismo, nella prima forma del romanzo, (*) rispondevano
al segreto intento letterario di contribuire al trionfo de' principi
più ragionevoli della poetica romantica in Italia, essi testimoniano,
a un tempo, quanto vivamente operasse l'ideale etico e religioso
nella prima ispirazione del grande capolavoro da assumere aperta-
mente fa forma polemica e satirica de' concetti morali e de' modi
d' arte adoperati dai classici e dai classicheggianti ; ai quali il Man-
zoni fece carico dell'uso delle favole mitologiche massime per la
ragione, essenzialmente religiosa, che esso era « idolatria », (')
Il Manzoni in codesta franca opposizione al paganesimo, che è
novella prova della sua dirittura logica e dell' indipendenza de'
suoi criteri intellettuali e morali rispetto a' suoi tempi, {*) — sol che
(1) Epist., I., pp. 291-2. Anche questi tratti il Manzoni omise nell'edi?:. del 70,
unicamente — non v'ha dubbio — per ragioni di temperanza polemica.
(2) V. negli Si), pr. pp. 417, 423, 496, 568, 613, di dove traspira la beffarda can-
zonatura di modi e detti, anche celebri, de' classici e delle loro teoriche letterarie.
(3) Nella Lett. sul Rom. (ed. Bertoldi), pp. 150-1.
(4) Indipendente anche dai Giansenisti, se, come avverte E. Rota (L'enigma del
'700 e il problema delle origini del nostro Risorgimento, in N. Riv. stor., a II.,
fase. IV., p. 390), è da studiare, fra le loro peculiari attitudini, «una singolare pre-
dilezione verso l'antichità classica». Importa, per contro, rilevare l'affinità de' giu-
dizi manzoniani col pensiero di A. Verri nelle Notti romane, ispirate, è vero, piut-
tosto da certa filosofia e moralità civile che dal Vangelo, ma intese, non meno degli
scritti del Manzoni, alla celebrazione della civiltà del cristianesimo. V., per es., quella
fine del VI colloquio della Notte terza: «volgendomi ora dietro a compendiare le sen-
tenze da me udite dai romani stessi sopra i meriti loro, conchiude la mente mia
ch'eglino furono grandi più che buoni, illustri più che felici, per instituto oppressori,
per fortuna mirabili, per indole distruttori, generosi nelle malvagità, eroi nelle in-
giustizie, magnanimi nelle atrocità. Per le quali funeste illusioni tanto ancora ne
rimbomba la fama, che lo strepito suo fa timido il giudizio di molti, e sommerge la
voce de' saggi. Io pertanto moderai quella eccelsa opinione ch'ebbi del popolo romano;
talché, senza diminuirsi in me l'ammirazione per le sue incredibili imprese, giudicai
però fosse un riposo del mondo che una gente, la quale tutto lo bramava e tutto
20 PARTE PRIMA
si pensi quale autorità e forza avessero conferito agi' ideali del
classicismo e il movimento filosofico della seconda metà del settecento
e il neoclassicismo artistico ancor vivace a' suoi giorni — , si ricon-
giunge, piuttosto, con gli apologisti e i moralisti del seicento fran-
cese, per certa affinità di concetti e di motivi, che torna opportuno
esaminare.
Della superiorità del cristianesimo sulla filosofia e i culti dell' an-
tichità ragiona in più luoghi il Massillon. Vano sforzo della ragione
umana, « la philosophie découvroit — egli osserva — la honte des pas-
sions, mais elle n'apprenoit pas à les vaincre; et ses preceptes
pompeux étoient plutót 1' éloge de la vertu que le remède du vico.
Ma è stata la grazia — soggiunge — qui a montré à la terre lo
veritable sage, que tout le faste et tout l' appareil de la raison
humaine nous annongoit depuis si long - temps» (^). Prima del-
l' avvento di Cristo le tendenze e le scuole filosofiche, pur dovendo
riconoscere al lume della ragione « un seul Étre supreme, en défi-
guroient la nature par mille opinions insensées. Les égarements de
la raison étoient alors la seule règie de la religion et de la cro-
yance de ceux qui passoient pour ètre les plus éclairés et les plus
sages > . Nel mistero dell' Uomo - Dio, nella Rivelazione è stata
offerta agli uomini « tonte leur science, toute leur vérité, tonte leur
philosophie, toute leur religion». Prima condizione della vera milizia
cristiana è « le sacrifice de la raison et de nos faibles lumières > {').
Che era allora la pace, assicurata dalle armi de Romani, da « ces
maìtres orgueilleux du monde »? « Une fausse paix » : passioni in-
giuste e violente, inquietudini incessanti, disordine morale nelle a-
zioni pubbliche e private. È evidente l'ispirazione tacitiana nella
pittura fosca che il Massillon fa del mondo romano, ma sono motivi
prettamente religiosi, come nel Manzoni, il discredito de' filosofi
sempre lo perturbò, fosse alfine vinta dal temf)0 ». E si veda, altresì, della Natte sesta
il colloq. VI., nel quale ai «trionfi» romani, «effetto di torrenti di sangue e di secoli
di sofferenze disastrose », è 0])posto il trionfo riportato dalla Chiesa « col solo ministtìrio
della sua divina favella ».
(1) Serm. sur le trioniphe de la religion, in Oeuvres de Massillon, Paris, Renouard
MDCCCX, voi. VI., pp. 221-2. V. anche le pp. 204-5 sull'oltretomba pagano, frutto di
fallaci super.stizioni, in confronto con le «espérances plus nobles et plus sublimes»
promesse'dalla religione cristiana.
(2) Serm. pour le jour de Noèl, in Oeuvres (ed. cit.), voi. I., pp. 341-3. Dell'abiettezza
e dell'empietà — come il facondo oratore sentenzia — de' culti idolatri, v. nel mede-
simo voi. vivaci descrizioni a pp. 331-3. — Roma stessa — egli osserva — vedeva
sorgere tra le sue mura «les idoles diverses de tant de peuples souniis, qui deve-
noient plutót les monuments publics de sa folle et de son aveuglenieiit que de ses
victoires» (p. 333). V. anche pp. 349-50, 354-5.
LA GENESI ÈTICO -RELIGIOSA 21
che si vantavano d' insegnare la disciplina delle passioni (^), il vi-
tuperio di quella «fiction aussi grossière» per cui con l'autorità
compiacente degli storici e de' poeti s' immaginavano saliti all' im-
mortalità dell'Olimpo gli eroi e si trascinava l' universo ad adorare
« des imposteurs» (*), l'accusa di far servire furbescamente a scopi
politici certi riti religiosi (*). In quel sermone, appunto, Sur la
vérité de la religion, che ha più stretta attinenza con le idee del
Manzoni, intende dimostrare « 1' anciennité, » la « perpetuité » « 1' u-
niformité», attraverso i secoli, della religione e colpisce ripetu-
tamente la morale pagana. « L' idolatrie — egli dice — inspiroit à
l'homme des sentiments insensés de la Divinité:la philosophie, des
sentiments peu raisonnables de lui - méme: la cupidité, des sen-
timents injustes envers les autres hommes » : è « la sagesse de la
religion qui remédie à ces trois plaies > (^). « Une vaine philosophie
— esclama 1' oratore francese — avoit dégradé 1' homme jusqu' au
rang des bètes, en lui faisant chercher sa félicité dans les sens ;
r avoit follement élevé jusqu' à la ressemblance de Dieu, en lui
persuadant qu' il pouvoit trouver son bonheur dans sa propre sa-
gesse » (^).
Ci ritornano in mente gli esempi d'orgoglio romano, quali Bruto,
Catone e Fabrizio, analizzati al lume del Vangelo dal Manzoni ,
quando leggiamo nel Massillon : « la philosophie n'apprenoit avec
faste à mépriser le monde, que pour s'attirer les applaudissements
du monde ; elle cherchait plus la glorie de la sagesse que la sagesse
elle - mème. En detruisant les autres passions, elle en élevoit tou-
jours une plus dangereuse sur leurs ruines: je veux dire, l' or-
gueil » C'). E, in particolare, ci sembra che quella fiera disamina
della celebrità di Fabrizio e del falso culto della gloria umana,
perpetuantesi ne' secoli cristiani, collimi perfettamente con queste
riflessioni dell'apologista francese :« Je sais que le monde se vante
d' un fantòme d' honneur et de probité indépendant de la religion:
il croit qu'on peut ètre fidèle aux hommes san étre fidèle à Dieu;
étre orné de toutes les vertus que demando la societé sans avo ir
celle qu' exige l' Evangile: et en un mot, étre honnète sans étre
chrétien». Questi « héros d' honneur et de probité», che il mondo
(1) Ibid., pp. 347-50.
(2) Semi, sur la divinité de lésus - Christ , in Oeuvres (ed cit.), voi. I., p. 387.
(3) Serm. sur la vérité de la religion, in Oeuvres (ed. cit.) voi. II., p. 93.
(4) Ibid. , p. 89.
(5) Tbid.. p. 90.
(6) Ibid. , p. 100.
22 PARTE PRIMA
esalta sopra i « véritables justes de 1' Évangile » — continua il Mas-
sillon — non sono mossi che dall'orgoglio e dall'ambizione di gloria,
della quale tanto più è prodigo il mondo, perchè si tratta di virtù
civili, di quelle « formées par les regards publics, » di quelle che
si coltivano per « décréditer un ennemi » o per « supplanter un
concurrent». (^) Anche il Massillon vede nel paganesimo, oltre che
la follia della ragione, la depravaziohe del cuore: « si de la religion
— ei soggiunge — vous passez à la morale, touts les principes de l'é-
quité naturelle etoient effacés, et l' homme ne portoit écrit dans son
coeur r ouvrage de cette loi que la nature y avoit gravée »: tutte le
scuole filosofiche dell'antichità corrompevano i costumi e degradavano
r umana natura, non meno la platonica per aver attentato alla san-
tità della famiglia che l'epicurea; «les plus honteuses dissolutions
devinrent des maximes de philosophie » ; i vizi stessi più abbomine-
voli ebbero culti divini ; imperversava non « seulement le dérègle-
ment des peuples, mais des sages et des philosophes ; » si molti-
plicavano le opinioni e le scuole della filosofia pagana, disputanti
erratamente sui più gravi problemi dello spirito. (*) Che erano le
stesse presunte virtù de' pagani in confronto di quelle cristiane?
Alla « vaine constance des sages et des philosophes » — risponde in
altro sermone il Massillon — si contrapponeva, tanto più pura ed eroica,
la «fermété» dimostrata da tante dfeboli fanciulle e da teneri gio-
vinetti e vecchi cadenti, fra i tormenti di un lungo martirio. (')
Degli altri scrittori cattolici francesi, assai familiari al Manzoni,
il Bossuet meno s'intrattiene sull'etica pagana, ma piuttosto sui
culti idolatri, il Bourdaloue, esaltando la pace cristiana, dimostra
come la filosofia e la ragione, con l' avvento del cristianesimo, do-
vessero sottomettersi alla fede^ il Nicole accenna^ senza lunghe
disquisizioni, alla superiorità della religione sulla filosofia morale; {*)
più largamente ne tratta il Pascal in taluni pensieri che certamente
il Manzoni conobbe e meditò non senza frutto. La critica sottile del
Pascal appunta ai culti religiosi del paganesimo il carattere unico
d'esteriorità, l'ignoranza del peccato originale, le «fausses divini-
(1) Semi, sur la fausseté de la gioire humaine, in Oeuvres, (ed. cit.) voi. VI., pp.
141 -2, 146.
(2) Serra, cit. sur la verlté de la relig., pag. 113-17.
(3) Semi, sur les afflictions, in Oeuvres (ed. cit.,) voi. I., pp. 153-4.
(4) Bossuet, Sermons pour le jour de la Pentecóte, in Oeuvres, Versailles, de
r imprimerie de I. A. Lebel, 1816, voi. XIV, pp. 128, 134. —Bourdaloue, Sur la paia;
chrétienne , in Sermons pour le Caréme, Lyon, Anisson et Posuel, MDCCVIII, voi. I.,
pp. 351, 366. - Nicole, Essais de morale, in Oeuvres, Paris, Desprez, MDCCC, voi. XI,
passim.
tA GENESI ETICO - RELIGIOSA 23
tés» adorate, le «diverses tliéologies » , le «mille sectes différentes > ,
0 fomentatrici d'orgoglio o dissolvitrici de' valori dell' umana natu-
ra, la conoscenza vaga, professata dai filosofi^ d'un «Dieu consi-
deré comuie grand, puissant et éternel,» d' un « Dieu simplement au-
teur de vérités géométriques et de l'ordre des éléments», — mise-
rabile e vana credenza, senza il conoscimento retto della miseria
dell'uomo, (^) senza il sentimento d'un «Dieu d'amour et de con-
solation» — , l'insufficienza assoluta a sostenere e consolare l'anima
nelle afiBizioni più gravi^ anche se sia un Socrate o un Seneca che
parli come nella considerazione della morte : vano insomma è giu-
dicato dal Pascal ogni principio o discorso, ove non splenda l'idea
del sacrifizio e la consolazione della grazia, né utile ad altro che
a mostrare « combien l' homme en general est foible, puisque les
plus hautes productions des plus grands d' entro le hommes son si
basses et si puériles » (*).
Del resto^ o dimostri con grande vigore polemico le verità cri-
stiane o analizzi con profondità singolare il cuore umano, noi sen-
tiamo sempre presente e operosa nel pensiero del grande moralista
francese^ anche quando non sia deliberata ed aperta^ l'antitesi tra
la morale, fondata sulla rivelazione^ e i vani sforzi del pensiero fi-
losofico, antico e moderno, intesi a risolvere i problemi dell' uomo
e del suo destino : i due termipi, entro cui medesimamente si svolge
la dottrina etica del Manzoni.
Anche questa rapida disamina de' sentimenti e giudizi, espressi
dal nostro poeta sul gentilesimo, ci permette di conchiudere che il
suo pensiero all' infuori della tradizione e della morale religiosa non
vedeva cbe aberrazione e oscuramento dell' umana coscienza ; e che,
apertamente ostile verso l' etica e la letteratura pagana^ se pur
trovava rafforzamenti e consensi ne' divulgati principi della dottri-
na romantica, derivò, — rielaborato con diretta e rigorosa medita-
zione, fin da quando probabilmente ideava gV Inni sacri — dalle
fresche fonti di quella letteratura apologetica de' grandi scrittori
sacri e moralisti francesi, che per molti segni manifesti e per altri,
che verremo rintracciando, dobbiamo considerare come il vivaio
intellettuale della sua. nuova coltura e coscienza cristiana.
(1) Pensées (ed. Flammarion), pp. 75, 76, 78, 81, 84-5, S9-90, 91, 17J.
(2) Op. CU., pp. 282-3. V. anche la Prière, in append. ai Pensieri (ed. cit.) p. 324.
Contro i Platonici, in particolare, Epitteto e i suoi seguaci si veda a pp. 278-7».
24 PARTE PRIMA
III. Il più grande conflitto che si agita nell'ordine delle idee e
delle azioni — tanto più nella pienezza della civiltà moderna —
il Manzoni lo scorge tra lo spirito del secolo e la morale religiosa;
che è, del resto, l'eterno contrasto del mondo con l' ideale. Il Man-
zoni in questo grave problema ha trovato incitamento e materia d-
lunghe e profonde meditazioni, — anche più di quello che non ap-
paia da' suoi scritti — , e ne ha dedotti principi, concetti e giudizi
che costituiscono uno de' fondamenti della sua visione morale del
mondo. Cercherò di ordinarli conformemente al fine che mi sono pro-
posto in questa prima parte del mio lavoro.
Bisogna distinguere. «Se per spirito del secolo — scrive il Man-
zoni — s'intende la tendenza violenta ad alcune cose transitorie
come beni da ricercarsi per sé, l'amore e l'odio insomma delle crea-
ture non diretto ai fini voluti da Dio», il Vangelo gli si protesta
nemico e non desisterà- mai dalla guerra intimata (^). Allora fra
Cristoforo si drizza in nome di Dio contro 1' abbominevole passione
di don Rodrigo ; Lucia^ turbata di terrore e di sdegno segreto, dice
all'Innominato: «perchè mi fa patire le pene dell'inferno? Cosale
ho fatto io?» e Federigo chiama dinanzi al tribunale della legge
evangelica la paura ingannatrice e mendace dì don Abbondio.
Ma lo spirito del secolo è^ altresì, secondo altri intende, somma
di «verità utili e generose», « risultato delle riflessioni degli uomini
più illuminati d'una generazione», patrimonio intellettuale e morale
«di tutti i popoli colti »^ conquista della ragione e testimonio della
«coscienza della dignità umana» (^).
Ora è proprio vero che lo spirito della Chiesa contrasti a così
fatto spirito del secolo? Il Manzoni non lo crede ed espone e ra-
giona alcuni principi. Ma è interessante quella premessa, involgente
la scettica condanna della vantata pubblica opinione : « Uno dei ca-
ratteri dello spirito predominante di tutti i secoli è una forte per-
suasione di alcune idee che degenera in tirannia d'opinione ,
precipitosa, impaziente d' ogni obbiezione e dì ogni esame, vaga di
parlare, nemica di ascoltare e di dare spiegazioni » (*) : violenza
(1) Oss. s. mor. catt. (ed cit.), p. 444.
(2) ma., pp. 444-5.
(3) Ibid. , 446.
LA GEx\ESI ETICO -RELIGIOSA 25
imperiosa del pensiero, che non ha rimosso la Chiesa dal « predicare
costantemente la follia della croce», ma a cui certamente pensava
il Manzoni, nell' osservare che «tutte le società cristiane sono ve-
nute a transazione col mondo, o per istanchezza o per genio, tutte
sono giunte a modellare le verità eterne sulla ragione del secolo» (^).
E pur nello spirito del secolo e' è sempre qualche cosa di labile,
di manchevole, di perturbato : o perchè abbia la più forte persua-
sione di sentire rettamente e sia, per contro, in errore; o perchè
esageri i principi giusti, su cui si fonda; o perchè li sostenga «per
motivi di passione e con passione»; o perchè travisi, non conoscen-
dola e non amandola, la religione stessa ne' suoi dogmi e nelle sue
massime; o perchè, infine, gli stessi difensori di lei ne sconoscano
lo spirito o per ignoranza o per fini particolari. Le opinioni umane
oggi trionfano e domani decadono : un secolo riconosce false quelle
che un altro stimava vere; i pensieri degli uomini non sono che
una «successione di certezza e di disinganno». La sola Chiesa, né
precipitosa, né servile, né incostante, non muta, « lascia scorrere
le opinioni, sicura che tutte quelle che le sono contrarie, svaniran-
no » e alla «mutabilità dei cervelli umani» oppone «l'immutabilità
delle verità rivelate». Ma la prova è grave e formidabile per la
società cristiana: «quando alcuna delle idee predominanti è con-
traria alla religione, la tentazione è forte per molti ; a pochi è dato
di volere e poter uscire, per dir cosi, dall' atmosfera generale delie
idee, e trasportarsi in un campo piìi tranquillo e sereno». Pel Man-
zoni non e' è via di mezzo : il nostro giudizio — egli dice nella
chiusa di una fervida e accorata perorazione — ci travia ogni qual-
volta si allontana da quella società, con cui Cristo starà fino alla
consumazione dei secoli: all' infuori della Chiesa e della sua «legge
divina» non c'è che follia e depravazione (*). Al lume di questi
principi e concetti il Manzoni scrutò e ricostruì il mondo storico-mo-
rale de' Promessi sposi, dove lo spirito del secolo, nella molteplice
varietà delle aberrazioni individuali e sociali, appare in più risen-
tito contrasto con lo spirito e i precetti della legge di Dio.
Certo, « nelle opinioni d' un secolo vi può essere del vero e del
falso»; in tal caso la religione s'accorda con quello e combatte
questo; ma non ammettendosi, per esser l'uomo «sistematico per
natura», distinzione tra l'uno e l'altro, l'opposizione tra il mondo
e il Vangelo durerà : « il mondo — pensa il Manzoni — non vuole
(1) ma., p. 445, n. 1.
(2) Ibid., pp. 446-55.
26 PARTE PRIMA
riconoscere la bellezza e la verità di tutto il sistema di morale cri-
stiana»; comunque sia, la Chiesa distingue, accetta o condanna, e,
ove disapprovi un principio — per esser creato da pregiudizi, da
fallaci sentimenti o interessi di una data epoca sociale, — ne con-
trappone sempre un altro «più alto, più perfetto, più eroico, più
universale, più liberale». (^)
Questa contrapposizione etica, generata da mischianza di giusto
e di falso nelle massime del mondo, è una delle segrete correnti
ideali del mondo poetico manzoniano, come quella, in fondo, che
riflette la mezzana attività spirituale dell' uomo e della società, la
consueta realtà della storia. La maggior parte delle creature, usci-
te od elaborate dalla meditativa fantasia del Manzoni, non sono
che incarnazioni dello spirito del secolo: personaggi individui o
gruppi sociali o folle che siano; buona parte, poi, riverberano
nella loro personalità psicologica, o almeno in certe circostanze e
situazioni, idee e stati d'animo mischiati di falso e di vero^ o che
nella loro condotta si scorgano « conseguenze storte » derivate da
«principi retti», o «conseguenze che sono verità», mentre sono
« storti » i principi prestabiliti. (*)
Ciò che il Manzoni osservava nell'ordine delle idee può esser con-
siderato anche nell' ordine de' sentimenti e delle azioni, tanto più
da un osservatore, come lui, che tra la logica del pensiero e la lo-
gica dell' azione trovava così intima connessione e reciprocanza.
Renzo strappa con la violenza, con la minaccia di morte, il segreto
a don Abbondio; eppure il motivo di voler conoscere i fatti, di
sventar l'inganno e la menzogna era «giusto». Medesimamente lui
con Lucia s' introduce in casa del curato « a tradimento » — come
questo diceva — «per fare un matrimonio contro le regole», (*)
eppure l' irregolarità nasceva da un sacrosanto diritto. Don Abbon-
dio accusa, per iscusarsi ; Federigo assolve nella sua generosa pietà ;
Agnese, consigliera dell' espediente, è proprio lei che incarna lo
spirito logico della situazione: non « istà bene»; sono «imbrogli»,
è contro la legge cattolica, ma ella sente che il motivo del suo con-
siglio e dell'impresa, riuscita poi come ognun sa, non è «contro
il timor di Dio »; {*) ed ha ragione. Il vecchio servitore, che è stato
a sentire all'uscio di don Rodrigo, e fra Cristoforo, che lo loda di
ciò, fanno una cosa, « secondo le regole più comuni e non contrad-
(1) ma., pp. 456-9.
(2) Jbid., p. 456.
(3) / promessi sposi, in Opere, voi. I., Hoepli, Milano, 1905, p. 380.
(4) Proni, sp., (ed. cit.) cap. VI, pp. 82, 83.
LA GENESI ETICO -RELIGIOSA 27
dette», «molto brutta», e il Manzoni fa scherzosamente l' indiano
nel ritrarsi dal darne giudizio; è, sì, « brutta », ma il motivo è santo.
E come no, se fra Cristoforo vede in queir inaspettato aiuto « un
segno visibile della protezione » del « cielo » ? (^) Cosi, ragionando
argutamente intorno al colpo tentato su don Abbondio, scusa Renzo
che «ha tutta l'apparenza d'un oppressore» ed è «l'oppresso»,
non compatisce don Abbondio, che pare «la vittima », ma nel fatto
commette « un sopruso ». (^) Qualche volta, dunque, nella sua bonaria
indulgenza il poeta assolve il mondo: non lo sentiamo compatire
la brigatella de' fuggiaschi, anche della dissimulazione usata con
fra Cristoforo, osservando — non senza uno spizzico d'ironia per
gli accorgimenti umani — , che quella « era la notte degl' imbrogli
e de' sotterfugi » ? (') Gli è che il Manzoni, se ha in mente il Van-
gelo e i comandamenti della Chiesa, non sempre, però, ne trae ar-
gomento per condannare e colpire : nel gioco vario, complicato,
misterioso degl' impulsi e delle affezioni del cuore umano, si guarda
dalle fiere antitesi, massime se si tratti d'anime buone e angustia-
te; le riserva, invece, dove e il motivo dell'azione e le sue con-
seguenze contrastano scelleratamente alla legge di Dio : e allora
sceglie taluni personaggi e li mette in azione, come fra Cristoforo
e Federigo, padre Felice, e li cerca pur tra gli umili devoti, come
Lucia, il sarto del villaggio e sua moglie, la madre di Cecilia, il
barcaiuolo del lago e il barocciaio di Monza, per incarnarvi i suoi alti
concetti morali e religiosi, per riflettervi ciò che dello spirito del secolo
la religione accetta come conforme al suo spirito e alla sua legge.
Ma la figura tipica, che riflette il non raro caso nel mondo di
cavar conseguenze storte da retti principi, è donna Prassede, la
«vecchia gentildonna molto inclinata a far del bene», ma con la
conseguenza di farlo servire a « molte idee storte » che ha in capo,
di adoperar mezzi, che fanno riuscire al fine contrario o che ella
crede leciti, e non lo sono. Non è retto quel principio: «dimmi
chi pratichi e ti dirò chi sei » ? (*) Ma voler raddrizzare il cervello
a Lucia, perchè s' è promessa a quello « scampaforca » di Renzo,
ma parlargliene spesso, con « avversione » e « disprezzo », con « odio
cieco e violento » (^) ha per effetto tutt' altro risultato da quello che
si propone di ottenere.
(1) ma., p. 80.
(2) Prom. sp. , cap. Vili p. 109.
(3) ma., p. 120.
(4) Prom. sp., cap. XXV, p. 370.
(5) md. , pp. 397, 398.
28 PARTE PRIMA
Don Abbondio stesso è stato mosso da una buona idea nel « met-
tersi in una classe riverita e forte», ma la conseguenza sarebbe di
esercitare, perciò, con intrepidezza il suo ministero; move da un
buon principio nel proporsi d'usar prudenza e cautela in una so-
cietà, come la sua, superba, torbida e violenta, ma è falsa la pra-
tica sua conseguenza di ubbidire all' « iniquità » , d' ingannare i de-
boli, di « mentire ai suoi figliuoli », come gli rimprovera Federigo (^).
Don Abbondio, infine, vorrebbe essere, o crede di essere, un buon
teorico, uno — direbbe non senza ironia il Manzoni — de' « galan-
tuomini del nequid nimis » (^), non meno degli « istitutori » di Fe-
derigo giovinetto, de' presentuosi moderatori delle sue singolari
virtù, di « que' prudenti — osserva il Manzoni — che s'adombra-
no delle virtù come de' vizi » e « predicano sempre che la perfe-
zione sta nel mezzo» (*): principio sostanzialmente giusto, ma bia-
simevole nella pratica, se ad attuarlo non seguiamo che il nostro
egoismo e la nostra comodità.
La rabbia, lo sdegno di Renzo contro l' iniquità prepotente di
don Rodrigo è giusto: lo sente fra Cristoforo (^), 1' ammette Fede-
rigo (^), incolpandone don Abbondio: ma la vendetta, il proditorio
omicidio, ma il voler far lui la giustizia {'^) è un' orribile conse-
guenza dello spirito del secolo, una sciagurata offesa al Vangelo (').
Questo sottile fluido che si mescola ai nostri sentimenti e pensieri
e atti, anche a' più gravi e solenni, creando, dirò così, le paralogie
e le antilogie della vita, circola per entro tutto il mondo de' Pro-
messi Sposi. Perfin Lucia, la prediletta creatura ideale del poeta,
non sfugge a questa strana forza di limitazione e di contraddizione :
quale pensiero più santo, più puro, qua! motivo più legittimo per
la propria salvezza che quello d'off'rire in sacrifizio, nella preghiera
alla Madonna, il suo bene più caro, in quella notte di « gran tribo-
lazione »? Il proponimento è sublime, ma le conseguenze stonano :
la stessa autorità della Chiesa, per la voce e 1' opera di fra Cristo-
foro, la scioglierà dal voto, che al Signore — le sarà detto — « non
potevate offrire la volontà d' un altro, al quale v' eravate già ob-
bligata » (*).
(1) Ibid. , p. 377. -
(2) Prom. sp., cap. XXII, p. 322.
(3) ma., p. 318.
(4) Prom. sp., cap. VII, p. 89.
(5) Prom. sp., cap. XXVI p. 381.
(6) Prom. sp. , cap. VII, p. 90.
(7) Prom. sp., cap. XXXV, p. 526.
(8) Prom. sp., cap. XXXVI, p, 543.
LA GENESI ETICO - RELIGIOSA 20
Se, poi, osserviamo le opinioni dominanti nella società di quel
secolo « eh' ebbe — secondo dice il Manzoni — quant' altro mai
un' alta e ferma idea dell' eccellenza del suo spirito » (^), vi troviamo
un gran concetto dell' onore, una gran cura di far leggi, una grande
idea della forza, che è in tutte le società — qualunque sia la con-
cezione politica 0 sociale del mondo — motivo potente di storia,
un grande spirito di organizzazione, e non di rado d'ardimento e
coraggio, un vivo senso di dignità e di decoro e via dicendo; e
altresì vediamo ostentare — come quelle ch'eran solite a venire
< trasmesse di generazione in generazione » — massime « d' abnegazio-
ne e d'umiltà», «massime intorno alla vanità de' piaceri, all'ingiustizia
dell'orgoglio, alla vera dignità e a' veri beni ». Ebbene, erano prin-
cipi e concetti ottimi in sé, ma se ne traevano le più strane e de-
littuose conseguenze, come, per esempio, dall' onore 1' ombrosa pre-
potente albagia ; dallo spesseggiar delle leggi le « vessazioni » dei
bonari e dei deboli; dal culto della forza e del coraggio personale
la violenza e la privata vendetta e spesso la prepotenza della stessa
giustizia, la voluttà de' soprusi ; dallo spirito d' associazione le leghe
oligarchiche, l'impunità più sfacciata, la solidarietà nelle soperchie-
rie; dalla, dignità la superbiosità e il fasto. In quanto, poi, a quelle
massime evangeliche, eran predicate, ma non sentite da quel mondo
sfarzoso e superbo, che la semplicità, la modestia, l'abnegazione,
l'avversione al predominare, l'unica dignità di fare il bene sempre
a tutti erano le virtù troppo singolari di un Federigo Borromeo,
pur nato « tra gli agi e le pompe, » perch' ei non spiccasse in mez-
zo alla sua società. L' umiltà ? Vedete il signor Marchese, un uomo
de' migliori di quel secolo, « aperto, cortese, placido, umile, digni-
toso » : fa compagnia agi' invitati nel palazzotto, eh' era stato di don
Rodrigo, li aiuta a servirli, ma non fa « una tavola sola » ; che
d'umiltà — osserva con allegrezza ironica il Manzoni — «n'aveva
quanta ne bisognava per mettersi al disotto di quella buona gente,
ma non per istar loro in pari» (*): era l'umiltà come la confezio-
nava, anche nel cuore de' buoni, lo spirito del secolo, non quella
del puro Vangelo: questa diceva al cuore di Federigo «non ci esser
giusta superiorità d' uomo sopra gli uomini, se non in loro ser-
vizio » (^).
C'è, poi, nelle idee dominanti d'un secolo de' « principi giusti »,
che si sostengono per « motivi di passione e con passione ; » di qui
(1) Oss. s. mor. catt., p. 450.
(2) Prom. sp., cap. XXXVIII, pp. 566, 569.
(3) Prom. sp., cap. XXII, p. 318.
30 PARTE PRIMA
«i ribollimenti di disprezzo »,« l'odio », il «furore» contro gì' im-
pugnatori. Per contro la religione — osserva il Manzoni — comanda
la carità in tutti i casi, e anche in questi: persuasione, pazienza,
fermezza, amore sono i suoi modi e precetti, ma tanto amari « al
senso corrotto, che si spezzano piuttosto tutte le tavole della legge
che riconoscer questa >. (') E c'è, altresì, «l'ammirazione eccessiva»,
« gli affetti troppo estesi » nel caldeggiare le proprie idee, i propri
giudizi per l'illusione di trovare ne' sistemi abbracciati la felicità:
r esperienza, poi, ammaestra dell' instabilità de' giudizi e delle cose,
e questa è « come un riposo dopo le agitazioni » : alla « ragionevo-
lezza » arriviamo, ma « per la stanchezza e per una specie di dispe-
razione », mentre al lume del Vangelo vi si giunge con moderazione,
senza dolori inutili, con « tranquilla riflessione », poiché — proclama
a gran voce il poeta cristiano — « tutto ciò che non è preparazione
alla vita futura, tutto ciò che ci può far dimenticare che siamo in
cammino, tutto ciò che prendiamo per dimora stabile, è vanità ed
errore » . (*)
Questo contrasto tra il mondo e il Vangelo anche nel campo del
bene si riflette nella duplice vita di colui che prima fu Lodovico e
poi fra Cristoforo : protettor degli oppressi e « vendicatore de' torti »
era Lodovico, come lo portava ad essere «la sua indole onesta in-
sieme e violenta»; ma che rovello di passioni e quanti nemici e
che impegni e pensieri e perfino « raggiri e violenze » con 1' aiuto
de' bravi scelti fra « i più ribaldi » ! « Vivere co' birboni, per amor
della giustizia», ecco la trista divisa della sua «guerra» contro i
prepotenti suoi sprezzatori. (^) Dove non splende la luce del Van-
gelo, anche la lotta pel bene allo sguardo acuto e pensoso del
Manzoni non appare feconda che di agitazioni e disinganni. Anche
Re Desiderio, violento, superbo, pur nella giusta difesa del suo re-
gno, incarna questa trista passione del mondo, spoglia d' ogni cri-
stiana virtù; e Carlo, del pari, che, se scende in campo come di-
fensor della Chiesa, s' avvolge di feroce cupidità e di freddezza
calcolatrice, di astuzia e d'inganno. Il solo Adelchi, che vive d'i-
deale e di spirito religioso, rivela, ne' suoi tratti più nobili, il
disinteressato amore del bene: egli assomiglia un po' al Carmagnola,
ma la concezione di questo personaggio è confusa e incoerente ; più
netta è la fisionomia psicologica del Doge e di Marino, che il giusto
(1) Gas. s. mor. coti., \>. -101.
(2) md. , pp. 402, 463.
(3) Proni, sp., cap. IV, pp. 'M, 51.
LA GENESI ETICO-RELIGIOSA 31
dovere di salvar la Repubblica oscurano col sospetto, l'inganno e la
fredda ferocia.
Fra Cristoforo è Lodovico purificato : sempre in campo per la giu-
stizia e gli oppressi contro i sopercliiatori, opera nella luce e con
la luce del Vangelo : l' aborrimento, il disprezzo, i raggiri e la vio-
lenza non sono più le passioni dell' anima sua, ma la carità, la mo-
derazione, la speranza cristiana. Se lo « spirito d' ira e d'entusiasmo >
infrange tutti i suoi « bei proponimenti di prudenza e di pazienza »
nel concitato discorso, che pur voleva essere di persuasione e pre-
ghiera, con don Rodrigo,- quest' è un'esagerazione simpatica del co-
raggio cristiano, 1' inaspettato trovarsi « d' accordo » « dell' uomo
vecchio» col «nuovo» (^). Ma quale ne è la conseguenza? Il vitu-
perio e poco manca la villania brutale dell'" avversario e — quel che
è peggio — il fallimento dell' impresa. Nobilissimo, ammirevolis-
simo quel giganteggiare del fiero difensore di Lucia di fronte al
persecutore cinico e caparbio, ma nel Dio del Vangelo, che pur
freme nel cuore e nella parola del frate, lampeggia un non so che
dell'antico leova, e il dialogo si spezza e si dissolve nel cozzo di
due forti, per quanto opposte, passioni. L'inflessibile logica della
situazione doveva produr l'insuccesso. Forse il Manzoni non ci pensò,
ma noi vi sentiamo la verità del suo assioma, che i principi anche
giusti, qualora s'infochino di passione, non danno i migliori risul-
tati. Appare, invece, fra Cristoforo in tutto il puro fulgore della sua
difesa cristiana, quando conforta di speranza e di fede le donne e
Renzo, dopo la « perduta battaglia » ; quando li esorta, nella chie-
setta di Pescarenico, a sopportar quella « prova » « con pazienza,
con fiducia, senza odio^> e prega e li fa pregare con tanta carità
anche per l' offensore, «nemico» di Dio; (*) quando redarguisce
Renzo, riacceso d' odio e di vendetta, con le sublimi parole : « tutto
sarà castigo, finché tu non abbia perdonato » e gì' infonde un «sen-
timento di perdono, di compassione, d'amore» (') pel suo offensore
morente. La personalità del frate è qui lo spirito del Vangelo in
azione, dove più la giustizia, la «verità», la bellezza di un' idea e
d'un diritto danno all'animo luce e forza.
Ma quante volte, come nelle passioni che si mischiano ai «gravi
avvenimenti politici», «gli uomini abbracciano un sistema per pas-
sione, veggiono in quello una bellezza e una perfezione al di là
(1) Pruìi. sp., cap. \'I, pp, 78, 77.
(•i) Pruni, sp., cap. Vili, pp. 120, 121.
(:',) Prora, sp., cap. XXXV, pp. 527, 529.
32 PARTE PRIMA
dal vero, e se ne promettono effetti esagerati ed impossibili >, e poi
per «la mutabilità naturale dell'uomo» o per l'avverarsi de' fatti
«o minori d'assai o contrari all'aspettazione», passano dalla «vee-
menza » al « raffreddamenfo », dall'idolatria allo sprezzo (^)! È legge
che tocca massimamente la psicologia delle folle : è il momento
che gli uomini si fan moltitudine e, « trasportati da una rabbia co-
mune», si sollevano a tumulto e Renzo stesso vive nell'opinione e
passione comune ; il momento che si sogna e si grida : « abbondan-
za » (*) in mezzo alla carestia e alla miseria, ci s' inebria del grido
«legge nuova» ('), mentre l'occhiuta tirannide prepara le esemplari
impiccagioni (*). Ma forse, dopo « i gran fatti » della prima giornata,
quella gente è contenta e concorde? Non pare da quella «babilonia
di discorsi» {^), a cui accenna il potente scrutatore di folle. E poi ?
Poi — a dire di quel mercante milanese nell'osteria di Gorgonzola —
Milano, quand'egli n'era uscito, «pareva un convento di frati» {^).
Esagerazioni, ! chò dopo la sedizione del giorno di S. Martino e
del seguente, il pane è rinvilito e si sciala in piena festa e bal-
danza. Passione per passione : come la moltitudine si è prefìssa di
aver l'abbondanza (ottimo scopo!) ma è ricorsa per passione al -sac-
cheggio e all' incendio (pessimi mezzi !), così con le tariffe violente
la passione caparbia di chi governa s' illude e illude ; ma quando
la carestia opera ormai « senza ritegno e con tutta la sua forza» ('),
queir umanità appassionata non offre che spettacolo di squallore e
miseria, d'abbattimento e di morte.
Ah! son giusti i principi di Renzo che predica alla gente e san-
tissimi quei suoi progetti, perchè « il mondo vada un po' più da
cristiano » (^), ma, per quella sua persuasione, nata « in mezzo al-
l'agitazione di tanti sentimenti, di tante immagini» di quel giorno,
che « ormai, per mandar ad effetto una cosa, bastasse farla entrare
in grazia a quelli che giravano per strade» (•'), fa quella tal pre-
dica, tanto ammirata e applaudita, ma che per poco non lo porta
sulla forca! Vedete: l'ingenua passione d'un uomo che ama la giu-
stizia, può darlo in pasto alla ferocia de' furbi. Se a qualche cosa
(1) Oss. s. mor. catt., pp. 463, 464.
(2) Proni, sp., cap. XI, p. 177.
(3) Proni, sp., cap. XIV, p. 212
(4) Piloni, sp., cap. XII p. 187, cap. XVI, p. 245.
(5) Proni, sp., cap. XÌV, p. 205.
(6) Proni, sp., cap. XVI, p. 245.
(7) Proni, sp., cap. XXVII, p. 407.
(8) Proni, sp., cap. XIV, p. 206.
(9) Ivi, p. 205.
LA GENESI ETICO -RELIGIOSA 3'J
valgono l'avvedimento, la moderazione e la prudenza, che sono poi le
virtù de' forti, non c'è causa che più ne abbisogni quanto quella
di raddrizzar le cose storte di questo mondo. Che le sue creature
fossero quasi tutte figliazioni del secolo, se si tolgano fra Cristoforo,
Federigo e Lucia — e, quasi, nemmeno questi del tutto i^)- — lo sapeva
bene il Manzoni, il quale pur di Renzo, che, al dir d'Agnese, « era
un giovane quieto, fin troppo » (*), dice che non era « punto un
uomo superiore al suo secolo » (-*).
Un altro punto d'opposizione tra lo spirito del secolo e il Vangelo
è « che la religione ha molte massime, che sembrano meschine al
mondo, perchè ella è detta follia»; che sono piene della «più pro-
fonda sapienza»; che, « non sono follia al senso corrotto dell'uomo
se non perchè vengono da un punto di perfezione » {*). E veramente
« follia » e veramente « massime » che paiono a' corrotti « mandar
il mondo sottosopra » sono quelle evangeliche pai'ole di fra Cristo-
foro, richiesto della sua « sentenza » nella nota disputa cavalleresca
alla mensa di don Rodrigo: «il mio debole parere sarebbe che non
vi fossero né sfide^ né portatori, né bastonate » (^). In altre circo-
stanze, per uno scapestrato furfante qual è quel conte Attilio, complice
de' neri disegni di don Rodrigo, il difensore di Lucia è un provo-
catore attaccabrighe (^), per il conte zio, stupenda incarnazione della
mondanità boriosa e politicante, l' idea che < il bordone di san Fran-
cesco » valesse a tener « legate anche le spade » {') è tale supposi-
zione « temeraria » da farlo andare in bestia e macchinare l' allon-
tanamento del padre da Pescarenico. Fra altre massime quelle sublimi
del perdono, della carità fraterna, dell'umiltà non sono sentite e
abbracciate dal mondo se non in mezzo alla sciagura comune e al-
l'universale dolore, (^) o solo quando la passione, che oscura la no-
biltà de' sentimenti, sia affrontata e atterrata dall'ispirata parola di
(1) Di fra Cristoforo alibianio visto vome talvolta risorg«».sse in lui 1" uomo mi-
tico aaaiito al nuovo; di Federigo dice lo stesso Manzoni die risentiva di leiii
«errori del suo tempo» (Proni, sp., eap. XXI 1, p. 323).
(2) Prora, sp., cap. XXIV, p. 359.
(3) Proni, sp., cap. XI, p. 177.
(4) O.VS. s. mar. oatt., p. 466.
(5) Proni, sp., cap. V, p. 70.
(6) Proni, sp., cap. XVIII, p. 272-3.
(7) Ivi.
(8) «Ne ho visti qui — esclama padre Cristoforo, additando a Rcmi/o « la ('mloicsa
scena all'interno» nel lazzaretto — degli offesi che perdonavano; degli offensori
che gemevano di non potersi umiliare davanti all'offeso » {Prom. sp., cap.
XXXV, p. 526).
Busetto — 3
34 PARTE FULVIA
Dio, com'è il caso di Renzo, clie si piega a perdonare e a pregare
nel lazzaretto per don Rodrigo.
La coerenza, la saldezza e l'austerità della dottrina etico - religiosa
del Manzoni non gli consentono d'accettare quella che è pur ge-
nerosa e utile morale del mondo. Lasciamo andare che il mondo
ha un suo codice di violenza e d'impero; che «fa anch'esso —
come dice Federigo nella sua intemerata a don Abbondio — le sue
leggi, che prescrivono il male come il bene; » che « ha il suo Vangelo
anch'esso, un vangelo di superbia e d'odio; e non vuol che si dica
che l'amore della vita sia una ragione per trasgredirne i coman-
damenti» ('); ma può esso pure comandare 1' astensione dai delitti,
l'esercizio delle «virtù utili temporalmente agli altri». Se nonché
la Chiesa non s'accontenta di questo genere di «bontà»; « mira ad
un ordine di santità che il mondo non conosce — ; vuole le virtù
che perfezionano chi le esercita, e non solamente quelle che sono
utili a chi le predica»; vuole che gli uomini «abbiano un core
fraterno l'uno per l'altro, vuole che s'amino in Gesù Cristo » (*).
Contro l'austerità del Vangelo il mondo parla d'eccessivo rigore
religioso e oppone «che bisogna prendere gli uomini come sono,
e non pretendere cose perfette da una natura debole». «Mala re-
ligione — ribatte il Manzoni — la munisce di soccorsi e di forza ;
appunto perchè il combattimento è terribile, vuole che 1' uomo ci
si prepari per tutta la vita ». « Vengono i momenti del contrasto
tra il dovere e 1' utile, tra l'abitudine e la regola » : « gli è stata di-
pinta » dalla dottrina del mondo « la strada della giustizia come piana
e sparsa di fiori ; gli è stato detto che non si trattava se non di
scegliere tra i piaceri, tra un gran dolore e una grande iniquità »;
la religione, per contro, « che ha reso il suo allievo forte contro i
sensi e guardingo contro le sorprese, la religione, che gli ha inse-
gnato a chieder sempre dei soccorsi, che non sono mai negati, gl'im-
pone ora un grand' obbligo, ma l'ha messo in caso d'adempirlo » (^).
In questi principi e concetti s' incardina la concezione etica fon-
damentale de' Promessi sposi e su di essi si svolge quella fiera
antitesi di spiriti, di forze e di valori che vi si dibatte costante,
senza manifestarsi nel pieno e severo vigore della sua ispirazione,
— se non ne' momenti più solennemente drammatici — e non già
per meditata transazione a temperamenti e accomodamenti del mo-
li) Prom. sp., cap. XXV. p. 375.
(2) Oss. s. mor. catt., p. 2y9.
(3) IbUl., pp. 307, 308.
LA GENESI ETICO - RELIGIOSA 35
ralista cristiano, ma per l'indole umoristica del poeta, per la ten-
denza realistica dell' osservatore psicologo e per la semplicità in-
sieme e naturalezza dell' artista. Tutte forze, codeste, che entrano
in quel fervido cerchio di ricorrenti ispirazioni e fantasmi, che è
la creazione artistica, a limitare, a circoscrivere, a smorzare la con-
cettualità de' motivi, intensificando di umanità, e concretezza la fi-
gurazione e la rappresentazione poetica. Ma su ciò dovremo tornare
a suo luogo. Certo è che la dottrina, ora riassunta, costituisce al-
cune delle linee maestre della concezione morale del romanzo.
Di quello strano vangelo del mondo, materiato di oltracotanza e
violenza, ne sa qualche cosa don Abbondio dopo il brutto incontro
de' bravi di don Rodrigo : avesse provato il povero prete a dire a
que' ceffi, che col rifiutarsi a far quel tal matrimonio, si sarebbe
tirato addosso il furore e le minacce mortali dello sposo ; gli avreb-
bero sghignazzato in faccia e ripetuto l'ordine del loro prepotente
signore. Tatta la società, che il Manzoni ritrae, ribolle di quello
spirito che porta le passioni e gì' interessi sopra 1' amor della vita,
o che s' inasprisca ne' pericolosi puntigli e nelle boriose questioni
di etichetta e di dritto cavalleresco, soliti a finire in zuffe sangui-
nose come nel tristo caso di Lodovico, o che prorompa nelle sel-
vagge vendette, nelle ribalderie de' bravi, nelle soperchierie anche
audaci de' potenti, o i.ella violenza e ferocia stessa della giustizia
che, a solo scopo di terrore, t' avrebbe impiccato davanti al forno
delle grucce, attraverso le cabale di un fantastico processo,, il
povero Renzo.
Ma c'è nel mondo anche la dottrina dell'interessata bontà, che è
quella che il Manzoni, in uno de' suoi Pensieri religiosi, fa entrare
nelle « virtù negative » caratterizzanti certi « stati di società » , come
proprio ai tempi di S. Carlo, ne' quali « non cooperare al male
sembrava il massimo delle virtù » (^). Don Abbondio ha l' istinto
di questa comoda dottrina : « consigliere e cooperatore dell' ini-
quità » (*) non è, né potrebbe mai essere: se nell'angoscia, dopo
r intimazione de' bravi, gliene viene l' idea, tosto vi ripugna : egli
non chiede « altro che d' esser lasciato vivere » : ma nella spe-
dizione al castello dell' Innominato per andare a prendere Lucia,
se la prende noumeno coi «santi» che co' «birboni», che devano
tirar proprio lui « ne' loro affari » ; e se s' intenerisce un po', pen-
sando ai patimenti di quella poveretta, non può fare a meno di so-
(1) Ibid., pp. 540, 541.
(2) Prom. sp., cap. I, p. 18.
36 " PARTE PRIMA
spirare : « è nata per la mia rovina .... » (i). Il Manzoni ammoni-
sce col Vangelo: — non basta non cooperare al male; « è male
che r uomo non agisca pel bene » (-) e impersona quest' alto con-
cetto cristiano della vita, di contro a don Abbondio, in contrapposto
alla inerzia colposa di costui e nello stesso cerchio d' azione, in fra
Cristoforo e in P^ederigo.
Lucia stessa s'è venuta formando nella fantasia del poeta sotto
r influsso di quest'antitesi etica tra il mondo e il Vangelo: ella,
che nasconde per prudenza e pudore alla madre le insidie di don
Rodrigo; che non ha parole se non di carità e di perdono pei suoi
persecutori e resiste alla proposta del matrimonio per sorpresa,
vedendo come 1' ombra di un espediente umano in cosa per lei
così sacra e pura ; che si consacra con un voto eroico alla Madon-
na, togliendosi all'amore; che se ne travaglia dopo la liberazione,,
ma per ricomporsi, con quell'animo «così preparato da una vita
d' innocenza, di rassegnazione e di fiducia » (^), nella mesta calma
del sacrifizio; che non consente, tanto è in lei l'ardore di fede e
la convinzione religiosa, alle appassionate ragioni di Renzo, là,
dopo la peste, nel lazzaretto e ancora si turba di « un terrore sa-
cro, fortificato da tanto tempo » -da- « pensieri » (^) di pietà, di ras-
segnazione, di fortezza, quando fra Cristoforo si accinge a proscio-
glierla dal voto ; questa così fatta e singolare creatura femminile
s' avvicina a queir ordine di virtù che perfezionano chi le esercita,
e con tutta la sua ricca umanità, alla quale vorremo a suo tempo
volger la nostra attenzione, porta i segni profondi di quell'austera
concezione etico-religiosa dell' uomo e della vita, che predispose e
ispirò il mondo del romanzo. Lucia, nel pensiero del Manzoni, ri-
flette una parte del Vangelo in azione: nella semplicità del suo
spirito religioso palpita quello «spirito di Gesù Cristo Crocifisso»,
che il Massillon, ricordato acconciamente dall'autore della Morale
cattolica, predicava essere la vera e unica essenza della vita cri-
stiana ('). Per contro, il mondo che circonda le eroiche figure del-
l' attività evangelica, è veramente conforme all' indulgente dottrina
della relatività delle nostre forze morali: se il poeta, guardando la
vita, r abbraccia tutto con sorridente pietà, non lo confonde, però,
con quelle; senza sforzo, senza ostentazione di rigide tesi morali,.
(1) Prom. sp., cap. XXIII, pp. 337, 339.
(2) Os$. s. ìHor. catt., loc. cit.
(3) Prom. sp., cap. XXIV, p. 349.
(1) Prom. sp., cap. XXXVII p. 513.
(5) Oss. s. nior. catt., p. 299.
LA GENESI ETICO - RELIGIOSA 37
l'analizza e rappresenta, creando tuttavia di tanto in tanto tali si-
tuazioni e contrasti che non paiono rispecchiare, nella loro conve-
nienza e naturalezza, se non il comune spettacolo de' variati tem-
peramenti e caratteri e affetti della vita, ma che nella segreta
ispirazione della sua coscienza religiosa assurgono al significato
dell' eterno dissidio tra gli abiti e la morale del mondo e la purità
e austerità della dottrina evangelica.
Vedete, ad esempio, ciò che pensano Agnese e don Abbondio e
dicono di don Rodrigo, quella davanti alla signora di Monza e con
Lucia nel ritrovarsi insieme dopo il ratto, e questo in tutte le oc-
casioni, e con gli altri e tra sé, fino a ringraziare il cielo che ab-
bia liberato il mondo di colui e di simili soggetti. Lucia e an-
che Renzo gli han perdonato di cuore, ma la madre e il curato
non pare. Ma con Agnese e don Abbondio anche Perpetua, fra Gal-
dino, fra Fazio, il padre guardiano del convento che diede asilo a
Lodovico, il padre provinciale, il cappellano crocifero, gli osti, i
paesani di Lucia, non tutti « bravi » (^) nella notte degl'imbrogli,
ma tutti animati di coraggio e di sdegno, dopo la strepitosa sconfitta
dì don Rodrigo, ed esaltati dalla gioia di riveder salva Lucia (*),
i « partigiani della pace » (^) nel tumulto alla casa del Vicario,
la stessa donna Prassede e quel buon paranoico di don Ferrante
e molte altre figure minori e parti e gruppi di quel mondo sociale
che il poeta evoca attorno al domestico dramma di due umili gio-
vani, tutti costoro, individui e folle, nella molteplice varietà de'
loro caratteri, sono gli uomini da prendersi come sono; de' quali,
se « il mondo non ha che dire», il Vangelo, però, non si accon-
tenta ("'). Vedete Renzo stesso nel dibattito che ha con Lucia nel
lazzaretto: la passione, l'amore non gli consente di misurare la
tremenda portata dell'obbligazione del voto: per lui è «un'idea
storta», «cose senza costrutto». C'è della spensieratezza ingenua
nel suo giudizio: se ne att'anna Lucia; e comparisce fra Cristoforo
e lo frena. Lo compatiamo anche noi, ma sentiamo nel suo conte-
gno non altro che la forza e la voce delle spontanee passioni e de'
giudizi umani. Per Renzo Agnese «pensa più giusto > (^) di Lucia;
tale è il mondo; tale il sentimento e il giudizio del mondo, pur di
(1) Prora, sp., cap. Vili, p. 110.
(2) I','oi,(. .sp.. i-ai). XXV, pii. :1G1. :'.72.3.
t3) l'rmn. s/j., tap. Xlll, p. IWi.
(Il Os.y. s. uior. mit., loc. cit.
tòi Pfuiit. sj>. cap. XXXVI, pp. 538,541
38 PARTE PRIMA
quelli che sono considerati « i migliori tra i suoi figli » (^). Lucia
è munita della forza religiosa e de' soccorsi divini e nell'ora più
terribile della sua vita sente il « grand' obbligo », che la coscienza
le ispira, di sacrificare a Dio gli affetti terreni, per poter confidare
nella protezione di lui. Gertrude, che « avrebbe potuto essere una
monaca santa e contenta», se dalla religione fosse stata preparata
a vincere il contrasto « tra un gran dolore e una grand' iniquità >
cede vittima della propria debolezza alle forze del male. Queste
due figure femminili del mondo manzoniano, così profondamente
diverse, sono rampollate insieme dalla coscienza e dalla fantasia
del poeta; sono l'immagine bifronte di quello che era il suo più
ardente e laborioso pensiero, dirò anzi l' idea centrale della sua
morale religiosa, come, cioè, nel perpetuo ondeggiare dell' uomo
tra le tendenze e resistenze e gl'infiussi della sua debole natura e
delle diverse epoche sociali, unica via di salute e di consolazione
sia la morale cristiana.
Non dobbiamo, tuttavia, disconoscere che il Manzoni, a differenza
di molti apologisti della religione (^) nel '700 e anche di quei
grandi oratori e moralisti, sui quali formò la sua cultura religiosa
(^}, deplora il fanatico disprezzo di tutto ciò che di buono venga
dal mondo. Quando questo — egli dice — ^ ha riconosciuto una
idea vera e magnanima, lungi dal contrastargliela, bisogna riven-
dicarla al Vangelo », giacché « nessuna idea morale è straniera al
Vangelo; ogni verità morale è di sua natura una verità religiosa >.
Chi è maestro e guida della Chiesa non deve trascurare o ignorare
lo spirito del secolo; «non condannarlo in monte, né abbandonarlo
a sé stesso». «La prevenzione, l'ostinazione, il fanatismo, l'impa-
zienza dell'esame sono spesse volte le armi con cui si combatte la
religione; bisogna ch'esse non si possano trovar mai nelle mani
di chi la difende» {*). A questo metodo il Manzoni non solo di-
spose l'intelletto nello studio de' problemi religiosi, ma si può dire
che conformò anche la coscienza e la fantasia nell'analisi, nella
comprensione e nella rappresentazione del male e del bene che
(1) Oss. s. mor. catt., loc. cit.
(2) ma., p. 469.
(3) Certamente allude al Bossuet. al Bourdaloue, al Massillon, al Nicole, al Pa.scal
là dove, ragionando di quelli che non giovarono alle « idee religiose » col sostenere n
lodare * tutto », dice; « Da lungo tempo la letteratura originale è in un sol luogo : là
bisogna cercare i grandi argomenti e i grandi modelli^ le grandi bellezze e i ijranUi
difetti, e spesso si trovano in un sol uomo e in un sol libro» {Ibid., pp. 472, 473).
(4) Ibid., pp. 468, 469, 473.
LA GENESI ETICO -RELIGIOSA 39
agitano la vita dell' uomo: è un modo imparziale, equo e sereno
che soddisfaceva non meno al suo rigore logico e alla sua probità
mentale che alla generosa pietà educata nella conoscenza profonda
del mondo. Questa benevola attenzione con cui guarda le cose del
mondo, ispira quel generoso aforisma: «la ragione e il torto non
si dividon mai con un taglio così netto, che ogni parte abbia sol-
tanto dell' una o dell' altro » (*) e quel modo simpatico con cui è ri-
tratta r anima della folla, accorsa al sanguinoso scontro di Lodo-
vico, ne' commenti che fa sull' accaduto (*) e negli atti di premu-
rosa giustificazione con cui consegna ai frati 1' uccisore ferito. Ad
essa è certamente dovuta la parte positiva e benefica che la stessa
ragione, alla quale, come più distesamente vedremo, il Manzoni non
risparmia né le punte della critica religiosa né quella della fine
ironia, assume nel gioco delle forze morali di quel mondo storico-
romanzesco, quando si tratti di levar 1' uomo da qualche impiccio
o di suggerirgli i mezzi giusti per la propria salvezza contro la
violenza e 1' iniquità altrui.
È altresì codesta larghezza di spirito del poeta che gli fa ricono-
scere talune potenti virtù segrete del popolo e lo induce non solo
a riflettere sulle due forze del bene e del male, contrastanti ne'
tumulti popolari, ma a rappresentare la lotta degli « umani » con-
tro i «furiosi ostinati» e a condurre magistralmente la scena così,
che la «causa del sangue» fosse «perduta»; a segnalare «ne'
pubblici infortuni», come nella peste di Milano, insieme con «un
aumento, e d'ordinario ben più generale, di perversità» «un au-
mento, una sublimazione di virtù » ; nel descriver la quale mette
non meno interesse di cuore e studio d' arte (*) che nel dipingere
le scene dell' abiezione umana. Anzi negli stessi cuori pervertiti e
feroci il mite sguardo del sereno poeta cerca e scopre inattesi pal-
piti d' umanità, com' è la confessata « compassione » del Nibbio e
la pietosa gentilezza del monatto nell'episodio della madre di Cecilia.
IV. In questa visione generale del mondo, osservato al lume e
sotto r ispirazione della dottrina evangelica, hanno una parte non
trascurabile le relazioni delle leggi e dell'istituzioni politiche con
(1) Prom. sp., cap, I, p. 17.
(2) « Chi cerca trova. Una le paga tutte », dice la gente [Proni, s^., cap. IV, p. r.:V).
i:)] Prom. .sp., cap. XIII, pp. 195, 196, 197.
(■1) Prom. sp., cap. XXXII, pp. 472-3.
40 PARTE PRIMA
la religione e quelle, conseguenti, della vita civile e sociale del-
l' uomo con la morale cristiana. Nella trattazione di questo argo-
mento avrò modo d'illustrare, a grandi scorci, le idee politicUe
e sociali del Manzoni, che, diciamolo subito, formano parte inte-
grante del suo pensiero morale e religioso.
La società — secondo il pensiero del Manzoni — è « quello stato
così naturale all' uomo e così violento, così voluto e così pieno di
dolori, che crea tanti scopi, dei quali rende impossibile I' adempi-
mento, che sopporta tutti i mali e tutti i rimedi^ piuttosto che ces-
sare un momento »; « quello stato che e un mistero di contraddizioni
in cui la mente si i)erde, se non lo considera come uno stato di
prova e di preparazione a un'altra esistenza» (^).
Questa concezione della vita sociale nasce da quel profondo con-
tenuto pessimistico del cristianesimo, di che più oltre vedremo so-
stanziarsi particolari concetti e giudizi manzoniani sulla natura del-
l'uomo; ora importa notare ch'essa si congiunge e s'integra con
.quella interpretazione religiosa della storia che il Manzoni ha de-
rivata — come ha potuto dimostrare il Galletti — dal celebre
jyiscours sour V Histoire universelle del Bossuet e che ha il suo
fondameiìto nel giudizio della vanità de' nostri desideri ruinosi,
delle nostre lotte mortali, delle nostre fragili aipbizioni e conquiste
e nella credenza In una volontà provvidenziale, che muova e ordini
segretamente le faticose e dolorose vicende de' popoli (*). Posto
questo principio filosofico della storia, è logico' il Manzoni nel de-
durre quella sua particolare dottrina, secondo cui i principi rego-
latori degli Stati e quelli generatori delie Rivoluzioni non possono
essere riconosciuti in sé e per sé, ma in quanto abbiano la loro
ragione d'essere in un principio «distinto dall'uomo e superiore
all'uomo», che, come tale, «non è possibile trovare fuori del cri-
stianesimo». Data una forma di potere, non può avere durevolezza
se non quando le si può « associare 1' idea del diritto» e « per ar-
rivare H questo, il mezzo necessario, assolutamente parlando, è il
riconoscere il principio del potere in qualcosa di anteriore e di su-
periore all'uomo», «il riconoscere questo principio nel Dio pre-
dicato da san Paolo ». Il cristianesimo non si obbliga a predilette
forme di potere, come le «teogonie particolari che servirono di fon-
(1) Dine, stiir. sopra alcuni punti della sfuria lunyob. in Italia, in Opere varie,
Milano, Rechiedfii, 1870, cap. II, p. 170.
(2) V. A. Oai.lktti, Sfifjgi e Studi; Manzoni, Shakespeare e Ho.s/iuet, Hologna, /a-
nuhelli, 1915, pp. 'M-'.
LA GENKSl KTICO- RELIGIOSA 41
(lamento agli Stati delle genti », ma è « una teologia universale ap-
plicabile alle più diverse forme di potere, come alle più diverse
condizioni delle società umane e, nello stesso tempo, efficacissima a
corregger l'uno e a mutar gradatamente in meglio l'altre». La so-
stanza dunque di questa dottrina, sussidiata dall' idea cristiana e
cattolica della provvidenzialità immanente nella storia^ è che tutti
i nostri principi e istituti della vita civile non possono avere la
loro giustificazione che nel principio divino (*),
DI qui quell'altra conseguenza, che il problema morale sta in-
nanzi ai problemi politici. « Kin tracciare l'occasione di certi vizi e
di certe virtù — osserva il Manzoni con imparzialità pari alla fran-
chezza — nella direzione data dalle cause politiche ad una nazione,
è una ricerca fondata che ha prodotte belle ed importanti scoperte,
le quali hanno finito e finiranno col distruggere molte istituzioni
cattive, ma supporre in una o più di queste cause tutta la mora-
lità degli uomini, immaginarsi che^ tolto quell'inciampo che si ha
sotto gli ocelli, tutta la via diverrà piana, ò dimenticare affatto la
natura dell'uomo* (^). È quosto un punto su cui torna il Manzoni
più volte e in più modi, avendo di mira le teorie de' sensisti e
degl'ideologi francesi, fermo nella convinzione che sia officio sa-
lutare delta religione combattere così i vizi particolari degli uomini
come quelli (;he portano a rovina gli stati e le istituzioni, ma che,
a un tempo, sia « uno dei suoi bei caratteri di sapienza e di per-
petuità » « la facoltà di operare sugli uomini indipendentemente
dalle relazioni politiche » (^). Non è propriamente fine della morale
cristiana di conservare o distruggere le istituzioni politiche, ma si
di perfezionare ^li uoiriini ; rimovere le cause politiche di certi
vizi e mali della società non è sufficiente a produrre mutamenti
profondi nella vita morale, finché è lasciato « intatto il principio
di corruttela» dell'uomo (*). « I sistemi politici — nota il Man-
zoni — sono tutti complicati, e il sostenerli o l'attaccarli è impresa
nella quale entrano troppo facilmente mezzi onesti e viziosi, e gli
effetti che ne vengono sono misti di bene e di male ». T.a reli-
tl) Questi eoneetti si trovano spar.si in una lunga nota, che è un vero exoursuH
politico-religioso interessantissimo, al cap. II del cit. Disc. stor. sopra alcuni punti
(iella Ht. lonficìh. in lUtlia (pp. 166-9). la mede.sima idea — es.sere. cioè, il cattolice-
simo adatto a tutti i governi — è espressa, in opposizione al Montesquieu, ne' Pensieri,
in Oììp. hi. o I-. (il., voi. II, p. -itìS.
Ì2) O.V.V. .V. ;*((//■. catt., p. rMi.
m Irx.
(4) lìii'l.. p. '.i^i.
41' FAUTE PRIMA
gione, al contrario, deve « essere una guida all' uomo per operare
rettamente in qualunque tempo e in qualunque sistema; essa deve
dare mezzi per cui l'uomo che vuole essere giusto, lo possa essere
benché gli altri si ostinino a non esserlo, benché esistano cause
che lo porterebbero al male; giacché queste cause non si possono
togliere ». Nel fatto 1' azione religiosa, « mentre é indipendente dalle
cause politiche, influisce, però, in bene sopra di esse, perchè portando
gli uomini alla giustizia, ogni qualvolta essa sarà, ascoltata^ cangerà
anche le istituzioni quando sieno dannose» (').
Del resto la distinzione tra la legge e la religione, tra la società
politica e r unione religiosa é concetto frequente nella tradizione
cattolica. Affinità di pensiero riscontro, per esempio, nel Massillon,
il quale, detto che altri sono i legami esteriori delia società e altri
i legami intimi della fede, della speranza, della carità, della reli-
gione, osserva: « Nous formons au milieu du monde une societé
toute intcrieure et tonte sainte, dont la charité est le lien iuvisible,
et toute séparée de la sociale civile que les législateurs ont établie » (*).
Queste idee generali, che illuminano l'aspetto politico -religioso
della dottrina manzoniana, si riflettono nella concezione etica del
romanzo, e talvolta irraggiano anzi, con manifesta chiarezza, dagli
stati, dalle situazioni, dalle vicende d'uomini e di cose che for-
mano lo sfondo storico e l'eterna umanità di quel mondo. Il con-
cetto, dianzi enunciato, della società umana informa tutto il ro-
manzo, dove r istinto volitivo delle aggregazioni sociali e delle te-
naci adesioni degl'individui alle caste e alle classi resiste pur nel
disordine della moralità e della legalità e nella tempesta perpetua
dei dolori privati e pubblici; dove vediamo, ad esempio, perflno
don Abbondio, espressiva incarnazione di paurosa abulia, istintiva-
mente portato ad aggregarsi ad una « classe riverita e forte » (*);
dove nell'attività inquieta, talvolta febbrile, dell'immaginazione e
della volontà, di che quasi tutti i personaggi sono investiti, gli
scopi falliscono, se non addirittura rovinano, per opera diretta o in-
diretta di quelli che se li propongono, come avviene m Gei'trude,
che si vede sfuggire per sempre la libertà, l' amore, il fasto mon-
dano per la sua stessa debolezza e i suoi errori, a don Kodrigo,
che col suo ricorso all'Innominato prepara inconsciamente la ro-
vina definitiva del suo scellerato disegno, ai due sposi, che Jl -de-
ll) Jbid.. pp. 503-1.
(2) Serm. Du pmclau des offensen, in Oeuvres (ed. cit.). p. 158.
(H) Pro-m. sj/., cap. I, p. 16.
LA GENESI ETICO -RELIGIOSA 4)i
Stino vuole rendano vano da se stessi lo scopo del matrimonio
clandestino, a Renzo, nelle vicende di poi, quando va a Milano col
proposito di trovar protezione e lavoro, e il « vortice » impreveduto
lo travolge e per poco non 1' affoga; dove, infine, vediamo la com-
pagine sociale, scossa, colpita, piagata da spaventose calamità, non
cessare, e i superstiti stringersi più uniti nel perdono delle comuni
colpe, nella fraternità e nel dolore, e intravediamo già nel fragorio
del temporale purificatore il ritorno alle opere e alle lotte primiere.
Che è codesta vita sociale se non una scena inquieta del mondo,
su cui, secondo l'interpretazione filosofica del pensiero religioso, è
arbitra la provvidenza divina? E dico del pensiero religioso, non
soltanto del Bossuet, ma di tutti gli scrittori cattolici, familiari al
Manzoni. Così, ad esempio, il monito severo di fra Cristoforo a Renzo
nel lazzaretto: «Guarda chi è colui che gastiga! Colui che giudica
e non è giudicato! Colui che flagella e che perdona! » (*), nel quale
ritorna il motivo della provvidenziale immanenza di Dio, altrove
liricamente svolto dal poeta {^) — dominante, del resto, in tutto
il suo mondo poetico, — trova un notevole riscontro concettuale e
perfino stilislico nel Massillon e una somiglianza, se non di stile,
di giudizio nel Nicole. L' uno ha quasi la stessa calda solennità del
personaggio manzoniano in quelle parole: < Cet esprit qui humilie
ou qui élève à son gre les personnes; qui se joue des grands et
dea puissants; qui renverse ou qui affermit les noms et les fortunes;
cet Esprit, source de tonte grandeur dans le ciel et sur la terre,
et devant lequel tout est néant, éléve une àme qu' il renipli, au
dessus d' elle-mème » (^); l'altro, con più pacato ragionamento, os-
serva: « Dieu étant infiniment puissant, ne manque jamais de force
pour punir les hommes quand il le veut ; et ainsi attend que leurs
iniquités soient consommées et il n'exerce ses vengeances que dans
(1) Prom. sp., cap. XXXV, p. 526.
(2) V. del Cinque maggio la str. 18":
Il Dio che atterra e su.stita,
Che affanna e che consola.
Cfr. anche /; proriama di lilmlni, st. 1', Il Conte di Cu rmug itola, A. II, coro,
str. 15":
Torna in pianto dell'empio il gioir:
Ben lalor nel superbo viaggio
Non l'abbatte l'eterna vendetta;
Ma lo segna ; ma veglia ed aspetta ;
Ma lo coglie all'estremo sospir.
(3) Semi, pour le jour de la Pentecóte, in Oeuvres (ed. eit.),'Vol. VII, p. 264.
44 l'AUTK PRIMA
les temps que sa sagesse choisit par rapport à tous les autres dea-
seins » (*).
Il principio della superiorità e indipendenza del cristianesimo
dalle forme di potere civile e dalle istituzioni e passioni politiche
si realizza in quella società del Seicento — dal Manzoni ricostruita
con r autorità della storia e la suggestiva efficacia della psicologia
umana — mediante un duplice processo: l'uno negativo, in quanto
non v' ha un principio divino che ivi informi e regga i poteri co-
stituiti, dissolvitori, più che conservatori, dello Stato, l'altro anti-
tetico, in quanto troppo spesso la podestà civile nel suo spirito e
ne' suoi organi è in conflitto con la legge del Vangelo, e questui,
se dalla debolezza e dalla vanità è sacrificata come fanno don Ab-
bondio e il padre provinciale, più spesso la vediamo affermarsi vi-
gorosa e intrepida, come nell'opera di fra Cristoforo, o soccorrere
e imperare magnanima e autorevole, come in quella di Federigo in
ogni contingenza e degli eroici suoi seguaci nell' imperversar della
carestia e della peste. Donde pur si vede che il disordine politico
non impedisce al principio cristiano di operare fruttuosamente, e che
nella tenebra dell' iniquità dominante possono rifulgere anime can-
dide e forti, come Lucia, austere e magnanime, come Federigo, eroiche
nel loro fervore apostolico, come fra Cristoforo e padre Felice, e con
queste figure eminenti altre ancora e non poche, di minor levatura,
ma tutte dolcemente cristiane, come ad esempio, il sarto del vil-
laggio e la sua famiglinola e le pietose lattanti del lazzaretto.
Alla teoria generale sopra esposta de' rapporti della politica con
la religione si connettono taluni giudizi manzoniani sulla moralità
delle leggi in confronto collo spirito della morale cristiana.
La società riposa sull'obbedienza alle leggi, ma esso — avverte
il Manzoni — « non possono creare un dovere senza far conoscere
un corrispondente diritto: bisogna quindi che ad ottenere il loro
effetto, armino l'uomo contro l'uomo»; e poiché «la legge non
deve parlare che quando abbia una qualche certezza di farsi ub-
bidire », « deve avere la forza con sé ; e in quanto impone cose che
non si farebbero spontaneamente, essa non comanda che ai più de-
boli ». Per contro, «la voce della religione è sempre viva: essa
parla ai più forti, a cui nessun' autorità umana potrebbe comandare
U) ExsUis de Morale, ^ed. cit.i, voi. XI, p. 127.
Cfr. quH.sto passo del Nicole co' versi cit. del coro del Carina y itola. V. anche il
colloquio di fra Cristoforo con don Rodrigo {Proni, sp., cap. VI pp. 76, 77, 78), la fine
dell'Addio, morUi (Ibid., cap- Vili p. 123) e consimili accenti in bocca a Federigo nel
colloquio con l'Innominato [IbUl., cap. XXIII, p. SJ»).
LA GENESI ETICO- RELIGIOSA 45
senza opprimerli od esserne oppressa, cioè senza disordini >. Quando
pure le leggi sono dettate-, da « rette intenzioni, non r;iggiungono
quasi mai il fine, che si propongono,» di conciliare la «giustizia»
con la < tranquillità » civile e « sono quindi forzate di sacrificare
il più sovente la prima alla seconda ». Anche in questo la religione
è superiore, in quanto « tende a condurre tranquillamente alla giu-
stizia », determina cioè gli uni «a fare de.i passi verso di essa»
senza trovar ostacoli, ma anzi benedizioni, gli altri « a cedere vo-
lontariamente »(').
Questa concezione pessimistica della forza morale delle leggi nel
mondo guida il Manzoni nella ricostruzione e interpretazione storica
della società del seicento e trapela dalla stessa rappresentazione
poetica de' caratteri e avvenimenti umani, che ne formano la so-
stanza romanzesca. Imperversano ivi le leggi innumerevoli e mi-
nacciose, ma vuote d'ogni spiritualità etica — esponenti dell' imperio
statale, — o cozzano contro l'impunità organizzata, generando la
lòtta degl'individui e delle caste contro il principio di conserva-
zione e giustizia sociale, o s'avventano con iniqua ferocia sai deboli
e bonari : giammai riescono ad imporsi ai forti. Le elude don
Kodrigo; le viola con sfidatrice audacia e se ne proclama superiore
l'Innominato; gli stessi custodi ed esecutori di esse, come il podestà,
le esautorano con la loro viltà. Ai forti non sa parlare che la voce del
Vangelo, come a don Rodrigo per bocca di fra Cristoforo, come
all' Innominato per bocca di Federigo. Se l' impero della legge riesce
a ricomporre il mondo in uno stato apparentemente tranquillo, come
dopo 1 tumulti popolari pel pane, si veda, però, con che iniquità
e stoltezza di provvedimenti ottiene l' intento ; mentre là, dove l' In-
nominato esercitava il regno della violenza e del terrore, s' afferma
e si diffonde lo spirito della pace e della fraternità cristiana senza
resistenza e sopraffazioni e il grande convertito, non meno che l'e-
letto ministro della sua conversione, non suscita attorno a sé che
benedizioni.
Dal principio che la religione è indipendente e superiore alle
istituzioni politiche dell'uomo pel suo carattere di sicurezza, perpe-
tuità e universalità, il Manzoni deriva le considerazioni sulle pre-
venzioni, sui pregiudizi, sulle avversità e sugli odi tra nazione e
nazione, che traggono origine dall'egoismo individuale, dall'orgoglio
(1). Oss. s. mar. catt.. pp. 505-6. V. simili rifleissioni in Opp. in. o r. cit., voi. Ili,
p. 331.
46 PARTE PRIMA
e dalla brama di preminenza, o sono fondati sopra motivi politici.
L'amor proprio e l'esclusivo amore di stima e di potenza indivi-
duale s'estendono alla società, di cui l'individuo fa parte e con cui
ha comuni l'interesse e l'orgoglio: e le rivalità nazionali hanno
dunque la loro origine nella corruttela della stessa natura umana.
Il Cristianesimo, operando sugli individui in particolare e predicando
la fratellanza universale degli uomini, educò ad attenuare e magari
a distruggere gli odi nazionali, che erano « così universali, radicati
e perpetui fra i gentili ». Come si vede, anche le questioni politiche
si risolvono, pel Manzoni, in una questione morale, anzi religiosa:
le rivalità e gli odi, i biasimi e discrediti dell'altrui nazione e le
parzialità per la propria, le prevenzioni ingiuste, la partecipazione
diretta e più viva degli scrittori nazionali nel fomentare o secondare
tali passioni, risguardati dal Manzoni sotto la luce della morale re-
ligiosa, non sono che traviamenti e sventure: « i prodigi politici >
che r Alfieri esalta in una prosa del « Misogallo » come nati dagli
«odi di una nazione contro l'altra», non meritano l'ammirazione
della posterità; ce n'è sì di « quelli fatti per una giusta difesa » ai
quali spetta l'cimmirazione de' posteri, ma questi pure sono crudeli,
« sono trionfi dell' uomo sopra l'uomo, gioie nate dai dolori altrui ».
Vedendo la posterità esaltarli, leggere « le stragi, spargendo lagrime
di ammirazione e di tenerezza », il Manzoni prorompe a dire con
profonda amarezza : « Quanto devono essere empie le aggressioni
ambiziose, se il sangue sparso per una giusta resistenza diventa un
oggetto di compiacenza e di dolce memoria! ». Dice l'Alfieri che
quegli odi sono « il necessario frutto dei danni vicendevolmente ri-
cevuti o temuti e che non possono per ciò esser mai né ingiusti,
né vili > ; — no, — ribatte il Manzoni — , anzi quei danni « producono
nelle nazioni l'avvilimento e la resistenza, due tristi frutti dell'in-
giustizia ». Se tuttavia è « giusta » la resistenza come quella che è
talvolta « un male inevitabile », senza di cui « non si può ottenere
la giustizia », chi negherà che sia un male — domanda il pensatore
cristiano — chi negherà che la giustizia sia più desiderabile, quando
non è la conquista della forza, ma il volontario consenso delle due
parti? (^). Ma gli odi politici, perpetuati fra le nazioni, altresì pro-
ducono le aggressioni ingiuste, « inaspriscono a segno le passioni »,
che si confonde l'off'esa con la difesa e l'innocenza si offusca, onde
il Manzoni non vede che aberrazione nella dottrina, che deriverebbe
(1) rnd., pp. 519-21.
LA GENESI ETICO -RELIGIOSA 47
dalle proposizioni alfìeriane, non poter « le nazioni essere prospere
che a spese l'una dell'altra». «La somiglianza che ci dà l'esser
d'uomo, è ben piìi forte che la diversità, di nazione » — conclude
iervorosamente il Manzoni — ; « il Vangelo ci ha fatto conoscere
che abbiamo un cuore grande abbastanza per amar tutti .gli uomini,
che gii sforzi di una nazione contro l'altra, quando non siano ne-
cessari, sono sempre piccioli, perchè fondati sulle passioni, e non
sulla ragione e sulla verità; sono inutili, perchè non ottengono sta-
bilmente nemmeno il fine che si propongono quelli che li fanno ;
sono impolitici, perchè producono spesso all'istante, e sempre nel-
l'avvenire l'indebolimento e il pervertimento dei popoli» (^).
È evidente la preoccupazione religiosa del Manzoni in tutte le
questioni o di filosofia o di politica, eh' ei tratti : ma è preoccupa-
zione di moralista, non di filosofo, d' uomo che cerca di trattare e
risolvere i problemi della morale e della religione e de' loro rapporti
con la vita civile e sociale per fissare criteri d'azione, norme di
vita, indirizzi di bene, non per approfondire o costruire sistemi
speculativi: del resto, che in fondo il suo pensiero si risolva in un
moralismo pratico, semplice e tutt' altro che dottrinario, é provato
dal fatto che, se oppugna la filosofia sensista del sec. XVIII e l'uti-
litarismo della scuola inglese, nemmeno consente al cattolicesimo
politico, mistico e reazionario del Bonald e del De Maitre, né al
neocattolicesimo antiintellettualistico del Lamennais (*), e tutte le
sue idee morali impernia sulla pura dottrina del Vangelo.
Questa equanime larghezza e discreta indipendenza di spirito gli
consente di riconoscere, — come s' intravede dalla discussione sugli
odi nazionali — nelle questioni, dove gì' interessi politici dell'uomo
e de' popoli non possono facilmente conciliarsi coi precetti evan-
gelici della rassegnazione, della pazienza, della fratellanza univer-
sale, le cause « giuste » di lotta, « le giuste resistenze », di ravvisare
nella succession de' tempi il diminuire e talora il cessare delle av-
(1) Ibid., pp. 522-3.
(2) Notevoli le riflessioni del Manzoni sulle dottrine politico-religiose correnti in
Francia durante il suo soggiorno a Parigi tra il '19 e il '20. Nella lett. al can. Tosi
del 7 apr. 1820 {Carteggio, a cura di G. Sforza e G. Gallavresi, nell'edizione hoepliana
delle Opere, Milano, 1912, p. 481 e segg.), giudicando l'opera dell'ab. Lamennais, di-
fende lo spirito evangelico e la verità unica della religione cattolica, si duole delle
aberrazioni altrui in materia religiosa, del discredito in cui il sentimento religioso
era caduto, dell'uso che lo stesso clero faceva della religione come di un'arma d'as-
solutismo politico, della confusione, insomma, irta d'odi, di contese, d'asprezze, della
politica con la religione. Le stesse deplorazioni si trovano nella lett. del 1" die. 1819
{Care, cit., p. 453).
46 PAKTE PRIMA
versioni politiche e una maggiore indipendenza di principi morali
nelle masse nazionali da quelli che possono essere gì' « interessi »
e le « passioni » « di un governo » (*) ; giunge ad ammettere una
conciliazione feconda della politica con la morale, osservando, con.
singolare percezione delle occulte correnti dell'anima collettiva, che
« a misura che le cognizioni politiche divengono generali, la politica
si avvicina alla morale, perchè diventa utile il far le cose giuste e
difficile e dannoso 1' appigliarsi alle ingiuste; poiché queste dispiac-
ciono ai più, i quali sanno giudicarne più che mai » (*); sostiene
la possibilità che per miglior direzione di ricerche, per più attento
ed esteso esame e maggior ponderazione di ragionamenti le scienze
morali, recedendo dalla « falsità e dal fanatismo » di canoni opposti
al Vangelo, vengano a stabilire « dottrine conformi ai precetti e allo
spirito > di esso, come egli osservava ai suoi giorni-, per esempio,
nell'economia politica (*).
In conclusione il Manzoni non conviene certamente nella dottrina
ideologica settecentesca della progressiva perfezione morale dell'uo-
mo con r aiuto della scienza e delle istituzioni ; neppure aderisce
— come bene osserva il Galletti — all'ottimismo etico di gran parte
del pensiero a luì contemporaneo, secondo cui la società umana
s'avvia verso una coscienza più alta e più pura della vita, ma tut-
tavia, movendo dal concetto dominante nella sua visione morale del
mondo, ove i precetti del Vangelo comprendono « tutto il possibile
svolgimento delle relazioni sociali » (*) accede — nonostante l'es-
senziale principio, più volte ribadito, dell'ingenita corruttela della
nostra natura — all'idea del progresso umano, inteso come sviluppo
e approfondimento dell'essenza morale del Vangelo.
E opportuno notare che il Manzoni nella discussione di tutta
questa materia sulla religione e la politica che sono venuto racco-
gliendo e ordinando dagli sparsi frammenti della Parte Seconda
della « Morale cattolica », non esce dalla via regia della tradizione
cristiana: il pensiero cattolico de' grandi scrittori francesi del se-
colo XVII, che in quegli anni deplorava fossero dimenticati dai
nuovi dottrinari della religione, è sempre vivo ed efficace anche in
questa parte della sua dottrina religiosa. Ci sono in un sermone del
Massillon riflessioni e ricordi che riappaiono nelle prose manzoniane,
come il rilievo, su cui spesso torna il Manzoni, degli odi nazionali
(1) Oss. s. mor. catt., pp. 517, 518.
{2} Opp. in. o r. oit., voi, III, p. 335.
(3) Lett. sul Romanticismo cjt., p. 1(55.
(4) lai.
LA GENESI ETICO-RELIGIOSA 49
degli antichi, istigati dall' idea di conquista ed estesi fino alla di-
struzione (*); la contrapposizione dello spirito di fratellanza del
cristianesimo, efficace, se non a toglierli del tutto, a diminuirli e
frenarli; la deplorazione che — non ostante i sacri legami stretti
dalla pace di Cristo — durino o si riaccendano ai tempi moderni
odi e rivalità e divisioni tra le nazioni (*).
Ne' Promessi sposi, che pur sono una rappresentazione minuta, e
a vivo fondo storico, della società italiana, dominata e governata
dallo straniero, non vediamo lampeggiar mai 1' odio politico, o sol-
levarsi la protesta nazionale, o, almeno, affiorare alla superficie della
vita civile quell'intimo dissidio, armato di roventi sdegni e di pre-
meditate riscosse, che pur e' era tra la nazione degli oppressi e la
nazione degli oppressori. E potrebbe stupire che il Manzoni, stu-
dioso diligente e conoscitore profondo di quel secolo, non siasi in-
vogliato di colorire codesto aspetto della società lombarda secentesca,
se, tenendo presenti gli esposti giudizi sugli odi nazionali, non do-
vessimo arguirne che egli evitò a bello studio di dar rilievo alle
risentite differenze e avversioni nazionali, per non perturbare la
severa visione morale di quel mondo, che rispecchia, più che un
tristo periodo di storia italiana, l'inesauribile dramma del Cristia-
nesimo, pili che la perturbazione morale di una nazione in balia
dello straniero, l'eterno contrasto tra la corruttela dell'uomo e la
legge di Dio. Ciò non toglie che nella segreta ispirazione de' Pro-
messi sposi, nella scelta stessa di quel momento storico della vita
italiana, la coscienza civile del Manzoni avvertisse come l' istinto,
r orgoglio della conquista e della dominazione e la sopraffazione
d'un popolo sull'altro non possano condurre che all'avvilimento o
alla resistenza, e perturbino e perfino distruggano il principio della
giustizia ; come, infine, sulla presunzione degli oppressori, sul la-
mento stesso o la rabbia degli oppressi vigoreggi il Vangelo, per-
petuo principio di civiltà progressiva.
(1) Ils fasoient consister leur gioire à dépeupler la terre de leurs semblables .... ;
oa aiiroit dit qu' ils tenoient leur étre de différents createurs irréconciliables, toujours
occupés à se detruire, et qui ne les avoient placés ici-bas que pour venger leur qua-
relle, et lerminer leur différent par l'extinction universelle de l'un des deux partis »
(Serm. pour le jour de Noei, in Oeuvres, ed cit., voi. I, p. 359).
(2) Cfr. nel cit. Serìu. le pp. 360-2 con passi, pur cit., della Mor. catt. (pp. .509,
521, 522).
liusetto — 4
Capitolo II.
Problemi e motivi etico-religiosi del mondo manzoniano
I. Il dominio delle passioni, — II. Umiltà e orgoglio. — III. Carità
e giustizia. — IV. Gli umili e i potenti. — V. Il coraggio
cristiano.
Ora dobbiamo vedere come il Manzoni^ sul fondamento de' prin-
cipi esaminati nel capitolo precedente, intenda e risolva i partico-
lari problemi della vita morale e interpreti la complessa e contrad-
dittoria realtà psicologica ed etica dell' uomo ne' suoi motivi ed
effetti alla stregua dell' ideale cristiano, e per quali procedimenti del
suo pensiero morale e religioso sia venuto costruendo il mondo de'
Promessi sposi.
I maggiori problemi dell'etica manzoniana toccano il dominio delle
passioni sul cuore dell'uomo, l'antitesi tra l'umiltà e l'orgoglio, la
faticosa missione della carità e della giustizia, 1' eterno dissidio tra
i potenti e gli umili, la necessità del coraggio cristiano e dell'eroica
difesa del vero e del giusto: dal modo come il Manzoni li sentì,
procedono le correnti pessimistiche e idealistiche del suo cristiane-
simo ; dalla sua singolare attitudine a meditarli e approfondirli per
trarne risoluzioni sempre più nobili e pure, deriva quell'intenso
lavoro di trasformazione interiore a cui andò soggetto il romanzo
attraverso due e forse tre redazioni. Trattarne partitamente vuol
dire ripercorrere la genesi etico-religiosa dell'opera immortale.
I. Già il Galletti, nella sua acuta e robusta analisi delle idee mo-
rali del Manzoni, drittamente avvertiva : «Chi esplora il fondo del
suo pensiero sente che egli è un avversario radicale dell'ottimismo
LA GENESI ETICO - RELIGIOSA 51
umanitario. Guardando alla miseria della nostra natura, alle allu-
cinazioni che assediano il povero cervello umano, ai nostri deliri
forsennati e alle nostre passioni ipocrite o brutali, egli non prorompe
come Pascal in sdegni veementi, non impreca come i Profeti, non
piange ; ma analizza ed espone, crollando il capo e sorridendo con
tristezza pietosa della comune follia » (*).
Codesta forma di pessimismo, che in gioventù fu il principale
motivo del suo ritorno alla fede, era germinata in lui dalla « co-
scienza dell'irrimediabile debolezza della ragione umana » e dal-
l'avere avvertito «nell'uomo la propensione a secondare i sofismi
della passione per sottrarsi al dovere e abbandonarsi all' istinto » (*).
Per quella sua vigile cura di scoprire le sofistiche giustificazioni
delle debolezze e de' traviamenti umani il moralista italiano fa pen-
sare al più acuto psicologo dei grandi oratori sacri francesi, al
Massillon, che ne tratta con larghezza e finezza. « Les prétextes
— egli dice — les intéréts, les inconvenients humains font toujours
pencher la balance de leur coté ; et le devoir et la loi de Dieu cède
toujours k la nécessité des temps et des conjonctures ». E pronto ri-
batte, come Federigo ai pretesti di don Abbondio : « la vie, la fortune,
la réputation, l'univers entier lui — méme, mis en parallele avec
notre àme, ne doit étre compté pour rien » ; i più gravi mali « se-
roient toujours infiniment moindres que la transgression de la loi
de Dieu » (^). « Nos passion seules » — esclama il fervido oratore
— « forment les inconvenients qui nous autorisent à chercher des
tempéraments à nos devoirs et à la loi de Dieu.... Les raisons ne
manquent jamais aux passions; l'amour propre est habile k mettre
toujours du moin les apparences de son coté : il change toujours
nos foiblesses en devoirs et nos penchants deviennent bientòt de
titres legitimes ; et ce qu' il y a ici de plus déplorable, dit saint -
Augustin, e' est que nous appelons la religi on mème aux secours de
nos passions; que nous prenons dans la piété des motifs pour violer
les règles de la piété méme ; et que nous recourrons à des prétextes
saints, pour autoriser des cupidités injustes » (*).
(1) Le idee morali del Manzoni e le Oss. s. mor. catt.\ nel Rinnovamento, voL
V, p. 27.
(2) Op. cit., pp. 14, 24. Sulle passioni, come l'onte di « tutte le dottrine false » e
di « tutti gli abusi delle vere » e sullo sforzo di volere conciliar quelle con « l'autorità
dèlia dottrina che le condanna » v. Oss. s. mor. catt., pp. 253-4.
(3) Semi, sur l'iriimutabilité de la loi de Dieu, in Oeuvres (ed. cit.), voi. V,
pp. 76-7.
(4) Ihld., pp. «0, 81.
52 PARTE PRIMA
Questo tremendo problema morale delle passioni sofisticate dalla
ragione ha un posto di prim' ordine tra le idee direttrici del ro-
manzo manzoniano : vi feconda il motivo psicologico e la figurazione
concreta di taluni caratteri. Don Abbondio sofistica la sua paura
con la dottrina della prudenza, col biasimo degli eccessi, anche se
questi sono le sublimi prove del bene ch'egli chiama « precipita-
zioni » ; ma il Manzoni da prima si beffa amabilmente di quella sua
interessata prudenza, de' suoi « tant'anni di studio e di pazienza >,
per crearsi quel suo bel «sistema di quieto vivere », col fargli fare
uno de' più « brutti incontri » che gli potesse capitare (') ; poi ne
svela r intima contraddizione, opponendo alla premura della vita
terrena il dovere della giustizia e del sacrifizio, mediante la solenne
parola di Federigo. Quando mai non spunta il sofisma nel pavido
cuore 0 nelle tortuose parole di don Abbondio ? Nelle tergiversazioni
con Renzo alla vigilia delle nozze, nel soliloquio mentre l'aspetta,
nello schermirsi dall'andare al castello a prendere Lucia, nel col-
loquio con Federigo, negli stupendi monologhi che fa viaggiando
in compagnia del signore convertito, negl' interessati consigli, che
dà a Renzo, di ritornare in salvo sul bergamasco, è sempre lui con
quella « mutria », come diceva Renzo, con quelle « ragioni >,
In don Abbondio il sofisma della passione ha, direi quasi, la so-
lidità d'un abito inveterato, è divenuto la sua perpetua fisionomia
spirituale: la calda voce del Vangelo, l'esperienza delle varie vi-
cende non vi han fatto una scrinatura. Don Abbondio in questa sua
fissità quasi glaciale è la tremenda ironia di quel compromesso tra
la debolezza e la ragione che in infinite forme invade la vita. Noi
sorridiamo col poeta; ma nel sorriso nostro e suo s'asconde una
profonda mestizia.
Anche don Rodrigo sofistica la sua turpe passione, ma a scatti,
disordinatamente, col pretesto dell' « impegno », dell' « onore suo»
dell' « onore di tutto il parentado » , delle canzonature degli amici.
Don Abbondio è un abulico che s' è fatta della sua paura una teoria
pratica: di qui il comico; don Rodrigo è abulico quasi quanto lui,
ma ha l' inquietudine de' delinquenti passionali ; non teorizza, ma
si ravvolge nella vergogna e nel rabbioso puntiglio: la sua strana
sofisticazione è in quelle parole che dice tra sé e sé in un'ora di
stizzosa perplessità: « un impegno un po' ignobile, a dire il vero:
ma, via, uno non può alle volte regolare i suoi capricci, il punto é
di soddisfarli. Ecco il sofisma: soddisfarli, perchè « bisognava render
(1) Pram. sp., cap. I. p; 17.
LA GENESI ETICO -RELIGIOSA 58
ragione » agli amici di Milano e non esser costretto e a non alzar
mai più il viso tra i galantuomini » (*). E questo pei sofisti della
debolezza e dell'iniquità è « un dovere ». Persino i dappoco e i fur-
fanti si vantano di fare il proprio dovere : don Abbondio, 11 Griso, il
podestà, il conte Attilio (*) e via dicendo. Tremenda ironia! E que' due
mirabili colloqui del cugino Attilio col conte zio e di questo col padre
provinciale non sono due capolavori della birboneria e dell' ipocrisia
soflsticatrici ? « E la passione che ho della riputazione del casato
che mi fa parlare », dice il primo, dopo aver impastocchiato tante
fandonie; e l'altro ostenta e insinua: « sarebbe un vero crepacuore
per me di dovere.... di trovarmi.... io che ho sempre avuta tanta
propensione per i padri cappuccini » (^) !
Ma dove non s'insinua il ragionamento interessato, l'espediente
ingegnoso, la capziosità avveduta dell' intelletto a servizio di sen-
timenti e passioni nel mondo de' Promessi sposi? Il Manzoni ha
scrutato il formidabile problema de' sofismi passionali con una pe-
netrazione e profondità, che nessuno psicologo o moralista o poeta
aveva raggiunto : coglie perfino i sofismi tratti dalla pietà religiosa,
dalla pratica del dovere, rivaleggia con sant'Agostino. È della pia
Prassede, « gentildonna molto inclinata a far del bene », quella mas-
sima, così poco evangelica: « chi fa piìi del suo dovere » può « far
più di quel che avrebbe diritto » (^). E spunta perfino sulle labbra
di Lucia un piccolo sofisma del cuore, ma quanto amabile e degno
della nostra sollecitudine!, quando vorrebbe convincere sé stessa e
r acerba predicatrice che, se difende Eenzo, lo fa « per puro dovere
di carità, per amore del vero.... come prossimo » (*). ^
Il Manzoni, per quella sua quasi appassionata disposizione Intel- )
lettuale a cogliere gli errori del ragionamento e a scoprirvi gl'im-/
pulsi di molti disordini morali C), riguarda le passioni, coi loro T
falsi entusiasmi, con le loro conseguenze d'odio e disprezzo verso \
i sentimenti e le opinioni altrui, con le loro caduche illusioni, non \
solo come un pericolo per la morale, una causa di perenne conflitto J
dell'animo coi termini irremovibili, posti « dalla religione » {') maX
(1) Prom. sp., cap. XI, p. 162; cap. XVIII, pp. 264-5; cap. XX, p. 290.
(2) Prom. sp., cap. II, p. 24; cap. XI, pp. 163, 166; cap. XVIII, p. 272.
(3) Prom. sp., cap. XVIII, pp. 272-5; cap. XIX. pp. 277-83.
(4) Prom. sp., cap. XXV, p. 369.
(5) Prom. sp., cap. XXVII, pp. 397-8.
(6) Cfr. F. Crispolti, L'origrine intima dei « Promessi sposi», Discorso proemiale
all'ediz. torinese del romanzo il913, Libr. editr. Internazionale) specialmente a pp.
XIII-XV.
(7) Oss. s. mor. catt., p. 472.
54 PARTE PRIMA
come un pericolo anche per la dottrina logica del ragionare (^).
A coloro che, come 1' Helvetius, rimproverano alla morale religiosa
i precetti di moderazione e di giustizia, perchè nel conflitto con la
violenza e la prepotenza rovinerebbero le nazioni che li adottassero,
il Manzoni risponde che non per questo la nazione moderata e giusta
sarebbe meno energica; che, per esser atti alla difesa, non ò neces-
sario esercitarsi all' ofl'esa. Chimera — dicevano i filosofi francesi —
codesta perfezione morale: — «chimera», purtroppo — soggiunge
il Manzoni con profonda tristezza — « per la renitenza degli uomini
che potrebbero e non vogliono adottarla » ; ma chimera altresì quella
felicità che voi credete « fondata sullo sviluppo delle passioni » ;
che giammai vera gioia — e lo prova la storia — è nata dalla vio-
lenza, ma le sono seguiti « inutile pentimento e lagrime senza con-
solazione » e disillusioni dietro lo sforzo e, anche dopo il raggiun-
gimento dello scopo, inquietudine e cruccio: è « la natura stessa
delle cose » che rende vana quella felicità vagheggiata (*).
11 Manzoni è un avversario deciso della teoria dell'assoluto diritto
della forza. Si stupisce sdegnosamente che austeri scrittori scusino
e lodino i longobardi, persecutori de' Romani quasi inermi e sco-
raggiati, « purché nel carattere di essi ci sia qualcosa di aspro e di
risoluto, che denoti una tempra robusta » « Eppure — ribatte il
Manzoni — il più forte sentimento d'avversione dovrebb' essere per la
volontà che si propone il male degli uomini; e per quanto profon-
damente essi siano caduti, un senso di gioia deve sorgere nel cuore
d' ogni umano quando veda per essi nascere una speranza di sol-
lievo se non di risorgimento » (^). La » debolezza umana » non è
una buona « scusa » — soggiunge in un notevolissimo frammento —
« per ridurre ad una misura d'equità la disapprovazione », « quando
si tratti di passione, di orgoglio, di cupidigia » (*), e sentenzia con
energia : « per quanto vergognosa appaia la paura di quelli che sta-
vano per essere oppressi, più odiosa, più turpe, più indegna appare
l'iniquità degli oppressori » ('). È, pel Manzoni, « una delle più
sacre e capitali nozioni della morale », « una delle regole principali
del giudizio umano », « quella che ci fa disapprovare i fatti e i sen-
ti) Ibid., p. 527. « È raro — rileva il Manzoni — che due persone di contrario pa-
rere si fermino nella questione, cerchino pazientemente d'illuminarsi a vicenda, non
sostituiscano le passioni agli argomenti ; e che sarà quando le dispute saranno trattate
da molti che non vi portano altro che le passioni, senza un solo argomento i ».
(2) Ibid., pp. 504-5.
(3) Disc. stor. sopra alcuni punti d. st. long, cit., cap. V, p. 257.
(4) Opp. in. o r., voi. Ili, p. 398.
(5) IMd., p. 402.
LA GENESI ETICO -RELIGIOSA 55
timenti, a misura del dolore che volontariamente apportano agli
uomini >: e il giudizio di quegli storici, piìi propenso alla « lode »
per gli aggressori vittoriosi e al « biasimo » per gli assaliti sgomenti
e vinti, non si perita di chiamarlo « falso, irreiiessivo, immorale,
fantastico » (*), tale da creare impressioni che « tendono a far di-
menticare, a rendere inutile una delle più preziose rivelazioni della
morale cristiana, che l'ingiustizia è sempre turpe, bassa, vile, spre-
gevole, tendono a ricondurci alla improvvida e inumana morale del
paganesimo, la quale perdonava, talvolta ammirava, i delitti che
nascevano più direttamente dall'orgoglio, perchè non sapeva che
l'orgoglio è una ignoranza perversa » (^). Da questi gravi appunti
ai ragionamenti de' filosofi e ai giudizi degli storici, gli uni e gli
altri propensi a scusare se non anche ad esaltare la violenza ani-
mosa, s' intende che il Manzoni attraverso la critica de' metodi
logici vuol colpire i principi morali, da cui potrebbe credersi de-
rivato quel loro modo di ragionare e di giudicare; in quell'accalo-
rarsi del critico e del moralista insieme è manifesta la preoccupa-
zione che il culto della forza brutale, l'approvazione della violenza,
ove questa vada congiunta con una natura risoluta e vigorosa, il di-
sprezzo degli oppressi, sol perchè meno forti e potenti d'altrui, siano
passioni capaci non solo di fuorviare la logica, ma altresì di per-
turbare la condotta morale. Cosi meditando, egli scopre nella vita
come una fosca trama d'aberrazioni e di sopraffazioni con cui la
ragione, la volontà e l'istinto tentano di soffocar l'innocenza e la
verità. E questo l' aspetto più tristo del mondo, rappresentato nel
(1) Ibid., p. 396.
(2) n>id., pp. 400-1. Notando negli Sposi promessi che gli esempi di frugalità e
d'astinenza valsero a procurar gloria al romano Fabrizio, ma non varrebbero a Fe-
derigo Borromeo, conchiude con estrema amarezza : " La più parte degli uomini, parlo
degli uomini cólti, non consente [ad] ammirare le virtù frugali ed astinenti che in
coloro i quali eccitano con virtù feroci un'altra ammirazione di terrore: non consi-
dera quelle come virtù, che quando siano unite ad un profondo sentimento d'orgoglio
e di disprezzo per qualche parte del genere umano ,, jp. 469). Le osservazioni del
Manzoni sull'orgoglio pagano collimano col pensiero del Massillon, che fa una spietata
analisi della società romana in un suo celebre sermone. " Oui, — egli dice — mes
Frères, je dis que l'orgueil avoit été la première source des troubles qui déchiroient
le coeur des hommes. Quelles guerres, quelles fureurs, cette fimeste passion n' avoit
elle pas allumées sur la terre „ ?
E dopo un fosco quadro di tutti i mali derivati dall'orgoglio, continua con una
riflessione che fa pensare all'esempio manzoniano di Fabrizio: " L'orgueil, devenu la
seule source de l'honneur et de la gioire humaine, étoit devenu l'écueil fatai du repos
et du bonheur des hommes,,. (Semi. cit. pour le jour de No^l, pp. 348-50).
Deplora, poi, che, nonostante la pace portata da Cristo, l'orgoglio domini il mondo
anche ne' secoli della redenzione: " l'orgueil qu' il est venu anéantir, en met — il —
moins le lumulte et la coufusion parmi les hommes ? ,, (p. 352).
56 PARTE PRIMA
romanzo. Ciò che pertanto importa notare è che nel Manzoni Ja
valutazione etica e l'analisi psicologica delle passioni, non meno che
delle virtù contrarie, non solo traggono vigore dal sentimento re-
ligioso, ma insieme si fondano su principi necessari e assoluti di
verità, ond'ei vi porta col fervore del sentimento, esperto dell'anima
umana, l'adesione del raziocinio; il che, del resto, è secondo un
principio, anzi un metodo — come egli stesso afferma — della mo-
rale religiosa, e ne è documento magnifico S. Paolo, apostolo di fede
e ragionatore formidabile. Basta esaminare quel lucido e acuto
capitolo della Morale cattolica — testimonianza singolare quant'altra
mai della dialettica manzoniana — « sulla modestia e sulla umiltà » ,
per convincersi che i problemi morali gli si presentano non solo
come fatti del cuore e della volontà^ ma altresì dell'intelletto e della
logica. E le risoluzioni ei le cerca e trova con processo psicologico
e logico ad un tempo. In fondo ad ogni suo esame e giudizio del
mondo morale sta assiomaticamente un principio di conoscenza : la
«doppia idea che la Rivelazione ci ha data di noi stessi», che cioè
«l'uomo è corrotto e inclinato al male e che tutto ciò che ha di
bene in sé, è un dono di Dio » ; principio, nel quale si riflette il
motivo, — così universale nella dottrina cattolica e così frequente
negli scritti di un Pascal, di un Massillon, d'un Bossuet e d'altri, —
dell'umana corruttela e della grazia divina. Tra questi due termini
il ritmo del cuore del mondo non può essere che l'inquietudine,
universale anche se varia, ne' cuori de' tristi non meno che ne' cuori
de' buoni.
« L' inquietudine — afferma il Manzoni — è connaturale'all'uomo > ;
essa domina in tutte le condizioni della vita; onde^ a proposito degli
uffici della poesia, osserva che « ogni finzione che mostri l'uomo in
riposo morale è dissimile dal vero » ; e che se pur « una certa tran-
quillità > si può « godere in questo mondo », essa viene da principi
soprannaturali, ed è falso che sia tolta dalla natura stessa delle cose
e dei desideri nostri » (*). Anche nel cuore de' buoni, giacché è
decreto di sapienza e bontà che la « giustizia » quaggiù, « non pura
né perfetta», « soffra per mondarsi e combatta per crescere » (*).
(1) Opp. in. 0 r., voi. Ili, pp. 196, 197-8. Similmente il Massillon: " La vie de la
plus part des hommes est une vie toujours occupée et toujours inutile; une vie toujours
laborieuse et toujours vuide: leurs passions forment tous leurs mouvements. Ce sont
là les grands ressorts qui agitent les hommes; qui les font courir ca et là, comme
des insensés; qui ne les laissent pas un moment tranquilles ecc. ,, (Serm. sur l'emploi
du temps, in Oeuvres, ed. cit., voi. V, p. 104)
(2) App. al cap. Ili della Mor. catt. (ed. cit.), p. 386.
LA (tENP^,si r:Tjri)-REtjr;iosA 57
Da questo concetto della missione dell'uomo sulla terra derivano
con temperanza di bonaria ironia la similitudine de' due letti, che
raffigura l'inquietezza d'ogni stato umano ('), e quella conclusione
del romanzo, messa lì come « il sugo di tutta la storia », che « i
guai vengono bensì spesso, perchè ci si è dato cagione ; ma che la
condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani; e
che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio
li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore » (*).
II. Se è legge per 1' uomo il riconoscBre « di esser soggetto al-
l'errore e al traviamento » e il riconoscere « ugualmente, che tutti
i suoi pregi sono doni che può perdere per la sua debolezza o per
la sua corruttela » (^), ne viene che della santa milizia della vita
è anima e guida l'umiltà, come sentimento, ovverosia la modestia,
come azione, e che fomite di corruzione e di perdizione è l'orgoglio :
quella è ragione e sostanza di tutti i beni e di tutte le virtù^ questo
di tutti i mali e di tutte le passioni. Queste due forze contrarie
dello spirito, intorno a cui s'aggira il massimo problema della mo-
rale religiosa, tengono il primo posto nella meditazione cristiana
del Manzoni, e sono il motivo etico fondamentale di quel mondo
poetico che via via si svolge dalla Risurrezione alla Pentecoste e si
matura, in piena concordia dell'intelletto con la fantasia, ne' Pro-
messi sposi. Che è, guardato nel suo intimo spirito morale, il romanzo
manzoniano, se non il poema dell'umiltà e dell'orgoglio? E non è
su queste due forze contrarie che sorge il dramma cristiano? Come
intendere la commossa eloquenza, il poderoso vigore dialettico, l'ac-
cento, l'aria, onde si avviva la meditazione manzoniana sull'umiltà e
l'orgoglio nelle ultime pagine del citato capitolo (*), se non pensando
che tra quei due termini il Manzoni vedeva svolgersi, faticosa e
perenne, la storia dell' uomo ? Da una parte S. Paolo che « costretto
a parlare di ciò che lo può elevare agli occhi altrui, ne restituisce
a Dio tutta la gloria e confessa spontaneamente le miserie più umi-
lianti in un apostolo»; dall'altra < l'uomo che osa promettere a
sé stesso che per la sua forza, sceglierà il bene nell'occasioni dif-
ficili », l'uomo che s'antepone agli altri ed « è parte e si fa giu-
(1) Proni, sp., cap. XXXVIII, p. 573.
(2) ma., p. 574.
(3) Oss. s. mor. catt., p. 338.
(4) ma., pp. 340-6.
56 partp: prima
dice » (*) : antitesi tra il Vangelo e lo spirito del mondo^ tra Dio e
l'umana corruttela. La stessa difesa dell'istituto della confessione,
che il Manzoni fa nel limpido e franco capitolo XVIII della Morale
cattolica, è tutta ispirata da un alto e puro concetto dell'umiltà
cristiana: pel Manzoni l'umiltà è ordine ed equilibrio, ilare fiducia
in Dio, libertà di spirito, mezzo di dignità, dì calma, di ragione;
elevazione dalla bassezza, liberazione dal giogo delle passioni, supe-
riorità sui timori umani ; è, insomma, la feconda virtù del Vangelo
fra gli eterni contrasti del mondo (*). È naturale che questo sia
uno de' motivi, anzi il principal motivo, della concezione morale e
poetica de' Promessi sposi. L'umiltà è incarnata in Lucia; è la virtù
cristiana che trionfa nella vicenda delle cose, nella lotta delle pas-
sioni: è il supremo ideale manzoniano. Dalla concezione dell' umiltà
intesa nel più puro senso religioso, in quello che vide ed espresse
Dante, quando si vestì l'anima d'umiltà nell' accingersi al viaggio
pel Purgatorio: — immagine della vita cristiana quaggiù, eh' è mi-
lizia, combattimento contro le passioni, sforzo di perfezionamento
morale, prova della nostra volontà, del nostro sentimento nella con-
quista della libertà dello spirito, — da codesta concezione dell'u-
miltà deriva il mondo morale del Manzoni e riceve luce il mondo
storico, ch'egli ricostruisce con intuito de' tempi e con conoscenza
profonda dell'anima umana.
Dall'umiltà e dalla sua antitesi e dalle gradazioni morali, che, se
non un vizio nettamente contrario, ne costituiscono un difetto (modi
del sentimento, condizioni di vita morale, difettive d'umiltà) pro-
viene la triplice serie de' principali caratteri manzoniani: nobilis-
simi, come Lucia, Federigo, fra Cristoforo; malvagi o iniqui o cor-
rotti, come don Rodrigo, l' Innominato, il padre di Gertrude, Gertrude
stessa, il conte Attilio; deboli o illusi o materialoni, anche se istin-
tivamente onesti, come don Abbondio, don Ferrante, donna Prassede,
Eenzo, Perpetua, Agnese. E quelle stesse infinite figure minori, —
come il sarto del villaggio, sua moglie, il barcaiolo del lago, padre
Casati, fra Galdiuo, fra Fazio, il podestà, il dottor Azzeccagarbugli,
il conte zio, il padre provinciale, Antonio Ferrer, la moltitudine
de' rivoltosi pel rincaro del pane, il notaio, gli osti, i monatti e via
dicendo, — che fanno da sfondo storico e umano al grande dramma
cristiano, attuato ne' caratteri e nelle azioni de' personaggi di mag-
gior rilievo, non sono che o i luminosi riverberi della gran luce
(1) Ibid., pp. 341-2. Sull'orgoglio v. anche le pp. 349-50, 355.
(2) ma., pp. 342-3.
LA GENESI ETICO -RP:LIGI()SA 59
d'umiltà che splende nelle maggiori, o le sinistre ombre dell'opposta
passione — l'orgoglio — e delle sue variazioni molteplici.
L'umiltà, come virtìi cristiana, che inalza l'animo a Dio e che,
perciò, non lo porta all'inerzia passiva, ma l'arma di fede, di spe-
ranza operosa, d'istintiva sicurezza nel trionfo del bene, è la segreta
fonte dell'ironia, dell'umorismo, del biasimo morale^ con cui il Man-
zoni ha concepito e atteggiato molti de' suoi personaggi e rappre-
sentati molti avvenimenti.
Si veda don Abbondio : egli ha una teoria pratica della vita e
una grande sicurezza nel suo tenore morale: che è codesto? Sover-
chia fiducia nelle teorie umane, tanto spesso generate dagl'istinti,
dalle passioni, dall'interesse. E la sua teoria resta frustrata dal
giorno dell'incontro co' bravi: s'è fatta una sua spicciola scienza,
per evitare i guai del mondo, e vi si trova impigliato; troppa
sicurezza, troppa confidenza nel suo sistema: c'era, anche in don
Abbondio, una specie d'orgoglio: quel costituirsi una sua dottrina
morale sulla base della paura e dell'egoistico interesse era proprio
il contrario dell'umiltà. Di qui l'umoristica concezione del suo ca-
rattere e delle sue azioni: l'ironia della sua troppo sicura scienza
della vita è costante: ironia di una dirò così . presuntuosità etica,
che lo faceva borbottare perfino sul conto di quell'alta, disinteres-
sata operosità cristiana, che si esprime da Federigo Borromeo.
Vedete don Ferrante: questi ha anche una sua soverchia sicurezza
nella sua interpretazione pseudo-scientifica delle cose del mondo: è
un orgoglioso cerebrale ; e di quella sua presuntuosità intellettuale
è continua l'ironia. Chi più di lui si sentiva sicuro nel giudicare
della peste? chi più di lui pretendeva di possedere la teoria scien-
tifica, esatta di quel morbo? E proprio di esso egli muore; e ne
muore perchè non si degnava, come un qualsiasi modesto mortale,
di circondarsi di precauzioni, di cautele. Che cosa vince l' Innomi-
nato? l'umiltà di Lucia. Come trapassa egli dal male al bene? Per
la via dell'umiltà, umiliando l'orgoglio in Dio, da quando è com-
mosso in modo insolito alle parole di Lucia, sino alla sua confes-
sione dinanzi a Federigo e in tutto ciò che fa dopo la conversione.
Don Rodrigo è altra antitesi dell'umiltà; e di grado in grado ne è
vinto.
IIL La certezza stessa della comune debolezza e miseria dev' es-
sere — ammonisce il Manzoni — ragione e impulso a seguire lo
spirito e le leggi del Vangelo, giacché ad una legge morale non
60 PARTE PRmA
possiamo sottrarci, e il sentimento e il principio della moralità è
l'unica energia salutare della vita. Così il Manzoni integra e supera
il tradizionale pessimismo cristiano, pervenendo, sulla scorta dello
stesso Vangelo, ad un discreto^ ma operoso idealismo morale, donde
trae le più serene concezioni nello studio de' fatti e caratteri umani
e del quale è principio e sostanza la dottrina della carità e della
giustizia. Acuta e originale è l' analisi manzoniana de' motivi e
dell'essenza della carità.
-< L' amore per tutti gli uomini » ha la sua vera « ragione » in
« ciò che è comune a tutti gli uomini e insieme degno d'amore»
cioè nella « natura umana medesima », nell' « essere nobilissimo di
creatura intelligente, formata a immagine di Dio e capace dì cono-
scerlo, d'amarlo e dì possederlo, vale a dire d'una altissima per-
fezione morale ». Amare il prossimo implica amar sé stessi retta-
mente : cioè per luì e per sé « volere il bene sommo e assoluto
prima di tutto, e i beni finiti e temporali, in quanto possono esser
mezzo a quello » (*). Così intesa, la carità non è semplice pietà
naturale, poiché chi non vede — esclama il Manzoni con l'infocato
fervore dell' apostolo — « quanto 1' inclinazione naturale a solle-
vare il suo simile deve acquistar di forza, di prevalenza, d' univer-
salità, dall' amarlo per Dio, in Dio, come fatto a di Lui immagine,
redento da Lui, come quello nel quale Egli ama d' abitare come in
suo tempio » (^) ? Ma la carità non solo é legame degli uomini
tra loro, ma dell' uomo con Dio; in quanto « unendo con l'amor di
Dio l'amor degli uomini, lo fa in qualche maniera partecipare della
ragione infinita di quello» (•^). La carità è il fulcro dell'idealismo
manzoniano, com'è di fatto l'idea generatrice di tutta la sua dottrina
sulla morale cattolica, derivata dal Vangelo. Quel XIV capitolo del
suo trattato apologetico sulla Maldicenza, che è veramente un capo-
lavoro d'an'alisi psicologica, sì svolge tutto dal sentimento e dal
concetto della carità, come l'intende il Manzoni; né soltanto riguarda,
come si suole ripetere, la maldicenza, ma abbraccia le questioni che
toccano la natura dell' uomo e i doveri.
L' abitudine a pensare e a dir male degli altri — osserva il Man-
zoni — prepara la via alle ire e alle violenze, quando gli « interessi
ci mettono a fronte l'uno dell'altro» e distrugge la carità. Certa-
mente il freno è duro e le prescrizioni della morale religiosa richie-
(1) /Mri., pp, 320-1.
(2) Ibld., p. 325.
(3) md., p. 182. V. anche p. 18y.
LA GENESI ETICO - RELIGIOSA 61
dono « sacrifizi che chiamiamo eroici » ; perchè ad essi il senso
ripugna; ma non è buona ragione opporre — come il mondo suol
fare — « che bisogna prender gli uomini come sono e non preten-
dere cose perfette da una natura debole » (*), poiché la religione,
esperta di questa debolezza, l' arma della sua forza e de' suoi con-
forti, addestra l'uomo a sostenere i combattimenti della vita, a
resistere alle vive impressioni perturbatrici, « impiega tutti i nostri
momenti ad abituarci alla signoria di noi stessi, al predominio della
ragione sulle passioni, alla serenità della mente » (^). La comunione
sociale non regge senza la delicatezza, il compatimento, l' indulgenza,
senza che gli uomini non solo « non pensino il male » ma « ne ge-
mano quando lo vedono » e degli assenti parlino con « quella deli-
cata attenzione > che si suole « usare verso i presenti ». Il coman-
damento della carità, è: « per regolare le azioni >, frenate « le parole
e, per regolare queste », mettete « la guardia al core » (^).
Perciò abbominevole è la predicazione dell'odio religioso, poiché
« è dottrina perpetua della Chiesa che si devano detestare gli errori
e amare gli erranti » (*). « E si può esser cristiano — domanda
con impeto mistico il Manzoni — quando il sentimento della propria
miseria, della carità universale e dell'unica speranza in Gesù Cristo,
morto per tutti gli uomini^ non vinca nell'animo nostro a riguardo
d'ogni nostro fratello, per quanto la condotta di lui possa parere a
noi ed essere abbietta e perversa -» (^)? « A tutte le vittorie morali
succede una calma consolatrice — sentenzia il grande moralista —
e amare in Dio quelli che si odierebbero secondo il mondo, è, nel-
r anima umana, nata ad amare, un sentimento d'inesprimibile gio-
condità » C^). Che è, in fondo, la carità? L'amore della giustizia, ed
è quella che lega i nostri sentimenti. E la giustizia? « È conformità
dell'intelletto e della volontà» e, conseguentemente, « dell'azione con
la legge di Dio » ("). Ma il compimento della vera giustizia nella
vita mortale è vano sforzo, doloroso per chi è fuori della legge
divina, non per chi ha la fede tranquilla e la consolatrice speranza:
(1) Loc. oit. alla p. 23 . Anche il Massillon, nell' inculcare la pratica del Vangelo
in tutti tempi, rammenta quella comune obiezione " qu' il faut prendre les hommes
tels qu' ils sont ,,. {Set-m. cit. sur V immutaMlité de la loi de Dieii, p. 56).
(2) Ibid., pp. 306-7.
(3) Ivi.
(4) Ibid., p. 200. V. anche p. 202.
(5) IMd., p. 486.
(6) Ibid., p. 203.
(7) Ibid., p. 248. Cfr. G. Negri, Connnenti critici, estetici e biblici sui Proni, sp.,
Scuola tip. salesiana, Milano, 1903, P. I, pp. 71-85.
62 PARTE PRIMA
cosicché un inizio di essa e' è pure nel presente, in misura limitata,
bensì, e come per saggio, manifesto in quel « gaudio » che nasce
dall' « adesione della volontà al Bene infinito » e che prevale « al
dolore cagionato dalla privazione di qualunque altro bene ». « Cosi
la giustizia misericordiosa di Dio predomina anche nel tempo, dove
non si compisce » (*). Il Manzoni, dunque, ammette non l'avve-
rarsi della giustizia intera nel mondo, ma segni ed esempi di essa,
che la Provvidenza realizza, quando voglia, nella sua misericordia;
non piena e perfetta, perchè anch'essa dev'essere mezzo d'edificazione
dello spirito e misura di premio o castigo: patimento, dunque, ma
mitigato dalla confidente tranquillità, nella vita mortale, compimento
del giudizio divino nella vita futura (*). Riprova il Manzoni per
ragioni logiche e per motivi morali — come abbiamo veduto —
« quella disposizione > — più universale di quel che non si creda —
«ad ammirare affettuosamente l'ingiustizia risoluta e animosa», a
guardare con orrore la debolezza de' sopraffatti, a considerare « le
pressure ch'essi hanno sofferte come una giusta retribuzione >, a
riguardare — come facevan certi storici — « la pusillanimità come
più turpe, più inescusabile della violenza ». « Santo è il dolore, so-
lamente quand' è volontario, quand' è una espiazione, quand' è offerto
dall'animo che soffre»; «nel dolore di un'anima immortale c'è
qualche cosa d'ineffabile », ed è secondo umanità e giustizia « ri-
conoscere e rispettare in ogni uomo l'immagine di Dio e il prezzo
della Redenzione » (^). «Perchè gl'innocenti non sanno difendersi,
non si desiderano che siano oppressi. Si desidera invece che alcuno
pigli la causa loro e quando questo accade, si prova un vivo inte-
resse, una gioia sincera nel vedere spiegarsi una forza materiale in
favore del diritto, e l'espressione del fatto porsi in armonia colle
idee morali > (^).
Il concetto della carità come di amore fraterno dell' uomo verso
l'uomo e di adesione dell'anima alla volontà di Dio, involge tutta
la sostanza etica de' Promessi sposi, e, in particolare, informa il
racconto della fuga degli sposi e di Agnese dal paesello natio al
rifugio di Lucia presso la signora di Monza. Oppressi, fuggitivi,
sgomenti, la carità fraterna li protegge e li aiuta: fra Cristoforo
vince e perfeziona il divieto della regola nell'ardore del beneficio
cristiano, ravviva nella preghiera i derelitti e li conforta della sua
(1) Ai)p. cit. al Clip. Ili della Mar. catt., p. 386.
(2) Ivi e passim.
(3.1 Ibid., pp. 189, 214.
(4) Opp. in. 0 r., voi. Ili, pp. 403-4.
LA GENESI ETICO -RELIGIOSA 63
benedizione e protezione; il barcaiolo li tragitta all'altra riva del-
l'Adda e il barocciaio li conduce a Monza, l' uno e l' altro non
cercando che il premio « divino » ; il padre guardiano di Monza
accoglie e colloca in sicuro rifugio le due donne con viva e pura
sollecitudine: nella trista via dell'esilio quegl' innocenti «che non
sanno difendersi », che sono dei deboli in confronto della prepotenza
del loro persecutore, non raccolgono che messe di carità. E la luce
di carità s'alza e si spande dal cuor de' tribolati, quando fanno
offerta a Dio del loro dolore e ne impetrano la misericordia anche
pel loro oppressore. Con che vigore e profondità e originale potenza
meditativa abbia ii Manzoni create queste scene della sollecitudine
cristiana risalta tanto più agli occhi dell'osservatore attento, se pensi
che seguono nella « notte degl'imbrogli e de' sotterfugi », la notte
che nel vortice della violenza, o perversa, o animosa, erano stati
presi personaggi cattivi e buoni, oppressori d'istinto e oppressori
d'occasione: don Rodrigo mosso da scellerata prepotenza, don Ab-
bondio da egoistico amor della vita, gli sposi dal disperato dolor
dell' offesa ; la notte che la presunzione degli accorgimenti umani è
stata vinta dalla mente segreta di Dio ; che 1' uomo non ha obbedito
che al cieco istinto e alla sua interessata passione ; che perfino i
buoni hanno insidiato il pastore e il pastore li ha ingannati e ab-
bandonati ; che tutti insomma hanno mancato al dovere e infranti
i vincoli della carità. Manifesta è l'antitesi ideale tra 1' una e l'altra
serie di fatti, tra lo sconvolto ordine della corruttela e della debo-
lezza e quello, superiore e misterioso, della provvidenza e dèlia
grazia, tra il ruinare d'ogni espediente e tentativo umano e il so-
pravvalere, nel colmo della sventura, delle uniche forze attinte dal
Vangelo, — 1' umiltà nel dolore, la pazienza ne' duri combattimenti
della vita, la confidenza in Dio, la carità abbracciante nell' amor
divino non meno gli autori che i compagni delle proprie sofferenze — ;
l'antitesi, insomma, tra lo spirito del mondo e lo spirito di Cristo.
Come nella vita, fioriscono nel romanzo tutte le forme di ca-
rità privata e pubblica, domestica e civile, di tutti i ceti sociali,
degli umili e de' poveri, de' grandi e doviziosi. Il poeta cristiano
guarda alto con la serenità di chi abbraccia l'umanità senza distin-
zione o preferenza di gradi o di classi. Tenerissima carità familiare,
che arde e s'espande oltre la morte in mezzo al desolante orrore
della peste e de' funebri trasporti, come nelle amorose cure della
madre di Cecilia (*), negli esempi di fermezza e di pietà, che
(1) l'i-om. ftp. L-ap. XXXIV, pp. 508-0.
M - PARTE PRIMA
« padri, madri, fratelli, figli, consorti » danno « in tanta confu-
sione » sostenendo e confortando i cari loro, e perfìn « ragazzetti »,
« fanciulline » verso « i fratellini più teneri » (*). Eroica carità
civile, che opera pronta e costantemente fedele al pubblico dolore
neir infuriar della peste, come dimostrano quegli animi che sono
« sempre desti alla carità » per missione e abito di bene e tra i
quali primeggiano gli ecclesiastici con a capo — magnifico esempio
di annegazione cristiana — il cardinal Federigo, quelli « in cui la
carità nacque al cessar d' ogni allegrezza terrena », que' pochi, ma
eletti, pubblici ufficiali che, « sani sempre di corpo, » « nella strage
e nella fuga » di tanti compagni sono rimasti « saldi di coraggio
al lor posto * (*). Dolcissima carità umana, sollecitata da quel che
di divino è nella nostra umanità, come quella delle umili donne
che si prodigano nello spedale degl' innocenti {^). Tuttavia, nel
vigore 0 almeno nella confidenza del vivere, questi esempi nobili,
queste prove belle, tanto più se adorne di spontanea semplicità,
non sono che di singole anime, di famiglie, di gruppi animati di
carità e di fede ; com' è di Renzo, che dà i suoi due pani alla madre
abbandonata co' figli languenti {*) e che nell' avviarsi al paese di
Bortolo si spoglia anche de' pochi soldi rimastigli per darli a de'
poverini, sfiniti sulla strada (^) ; com' è del sarto del villaggio, che
divide le vivande festive della sua famigliola con la povera Maria
vedova (^) ; com' è delle schiere accennate de' preti, che con Fe-
derigo vivono, assistendo e consolando, nel mezzo della pestilenza,
e di quelle coppie di validi preti, accorrenti con « una carità viva
e perseverante > tra le miserie e i patimenti della carestia (^) ; ma
nell'abbandono della vita, al cospetto della morte un'onda di carità
percorre e purifica i cuori di tutti : no)i si numerano i segnalati
esempi de' pochi, ma tutta l'umanità stempra gli istinti brutali, gli
odi, gli orgogli, le vendette del superbo e sicuro passato nell'ardente
fraternità universale.
« Ne ho visti morire qui — dice padre Cristoforo nel lazzaretto —
degli offesi che perdonavano; degli oflFensori che gemevano di non
potersi umiliare davanti all'offeso » (") : alto e solenne, nel mezzo
(1) Ibid., p. 510.
(2) Prom. sp., cap. XXXII, p. -172. V. anche pp. 457-8.
(31 Prom. sp., cap. XXXV, pp. 519-20.
(4) Prom. sp., Cap. XXXIV, p. 502.
(5) Prom. sp., cap. XVII, pp. 257-8.
(6) Prom. sp., cap. XXIV, p. 352.
(7) Prom. sp., cap. XXVIII, p. 430.
(8) Pì^om. sp., cap. XXXV, p. 526.
LA GENESI ETICO - RELIGIOSA 65
di COSÌ universale spettacolo di concordia nella pietà, nel perdono,
nell'amore, giganteggia lui, il magnanimo frate, , che infrena la
morte serpeggiante nel suo povero corpo con lo spirito, « quasi la
carità, sublimata nell'estremo dell'opera, ed esultante di sentirsi
vicina al suo principio, ci rimettesse un fuoco più ardente e più
di quello che l'infermità ci andava a poco a poco spegnendo » (*).
Non sempre la carità s'effonde franca ed animósa, ma la rallenta
o combatte la passione, l' interesse, il pregiudizio nella parola e
nell'azione. Il Manzoni — l'abbiamo visto testé — ha osservato a
lungo e pensosamente questo aspetto negativo della vita cristiana e
l'ha riflesso nel romanzo. Lasciamo le indubbie incarnazioni della
scelleraggine e della viltà, come don Rodrigo, don Abbondio, l'In-
nominato prima della conversione, il conte Attilio, il dottore Azzec-
cagarbugli, il Griso, i bravi, i monatti e altri ancora, ne' quali non
brilla raggio di virtù; ma i buoni o i mediocremente buoni, quelli
che un po' di Vangelo l'hanno nel cuore e non fanno male a nes-
suno, sono anch'essi tardi e a volte ribelli alla carità. Ad esempio,
Renzo^ che odia don Rodrigo e non cede alla pietà e al perdono se
non dinanzi alla morte, Agnese che scatta in accenti d'orrore e
d'ira contro il persecutore della sua figliuola e accusa don Abbon-
dio al cardinale, fra Galdino che non vede più in là della pro-
sperità del suo convento, donna Prassede, che mette così a mal
profitto la sua pietà religiosa, il viandante sospettoso, che respinge
minacciosamente il povero Renzo, bisognoso di farsi insegnar la
strada, rivelano stati d'animo e forme di coscienza, in cui al senti-
mento della carità contrasta l'ingenita debolezza dell'umana natura.
Dove ne ragiona in astratto il valore etico in raffronto al Vangelo,
l'austero spirito del moralista deplora ed ammonisce; dove ne ana-
lizza la concreta realtà psicologica nelle creature tratte dalla storia
o dalla sua fantasia, il cuor del poeta tempera il biasimo, più pensoso
di rappresentare la vita che di trarne argomento di severa dottrina.
Non meno della carità, informa la concezione morale de' Fromessi
sposi l'idea e il sentimento cristiano della giustizia, intesa come
adempimento della legge divina nell'azione. I giusti, nello stretto
senso religioso, sono pochi nel mondo manzoniano e rara quella
calma confidente e consolatrice che dalla giustizia discende: Lucia,
Federigo, fra Cristoforo, l'Innominato convertito e redento ne sono
tutti illuminati ; in altri, anche se buoni e pii, è come ombrata dalla
passione; ne' malvagi non vive, se non deformata o stravolta.
(1) ÌMd., p. 522.
Busetto
66 PARTE PRIMA
Lo spirito etico de' Promessi sposi è tutto nel conflitto tra la
giustizia, che tende faticosamente al suo compimento col mezzo della
carità, e le passioni del mondo che irrompono indisciplinate e ini-
que nella vita del secolo ; il dramma si risolve col prevalere, nei
limiti de' casi narrati e del momento storico descritto, di quella
su queste ; se non che il risultato è relativo e discreto, perchè il
poeta dall' interpretazione della vita traendo una conferma alla sua
lucida e sicura dottrina, non raccoglie e armonizza nel suo mondo
reale che le tendenze alla giustizia e i segni confortevoli, ma non
perfetti di essa: gli oppressori non prevalgono, ma anche gli oppressi
portano le tracce delle dure prove, delle sofferenze patite, e la stessa
conseguita giustizia non li esalta e insuperbisce, ma — come s'in-
tende dalle riflessioni stesse degli sposi sui loro casi — li ammae-
stra, li corregge, li lascia mestamente esperti del male e consci di
dover provvedersi in vita per una giustizia migliore. Ad ogni modo
quella consolante tranquillità e fiducia che rende men doloroso —
anzi trasforma in gaudio sereno — lo sforzo de' buoni verso la
giustizia, diventa la forza viva di quel mondo ove la vigilante mi-
sericordia divina e le grandi calamità pubbliche accomodano nel
miglior modo sperato le cose. Lucia dal voto trae una calma e fiducia
interiore che ha qualche cosa di eroico e divino : in noi lascia una
impressione di solennità religiosa l'offerta del suo sacrifizio, ma
anche lei si sente cresciuta di purezza, di nobiltà edificante, più
vicina al Bene infinito e sopporta e reprime, a volta a volta, il
dolore della rinunzia. Renzo non trova quiete, se non dopo dure
prove, nella fede che placa gli animi, nella speranza che dai disegni
terreni rivolge gli uomini alla sapienza di Dio; fraintende la giu-
stizia, quando vagheggia di farsela da sé sul suo persecutore; la
fraintende, per quanto non possa sentir diversamente con l'animo
esasperato dall' ingiustizia de' potenti, quando gode di trovar Milano
in rivolta; vorrebbe, da buon figliuolo, regolar la giustizia del mondo
con r aiuto di Ferrer, come se essa potesse andar d' accordo con la
giustizia di Dio. Ma quando, nell'orrore della solitudine e della fuga
notturna, avverte «l'amico rumore» dell'Adda, intende con chia-
rezza che la sola giustizia divina ha valore « anche nel tempo, dove
non si compisce », riconosce di dover la salvezza alla continua assi-
stenza di Dio e s'affida alla sua volontà. Da allora in poi l'anima
religiosa di Renzo risplende, purificata dalla sventura, nella sua
semplicità; s'annebbia un'altra volta per la crucciosa apprensione
di non ritrovare più in vita Lucia, ma infine, dileguata ogni ombra
di trista passione, l' anima sua si riempie tutta della giustizia cri-
LA GENESI ETICO -RELIGIOSA 67
stiana, non meno di fra Cristoforo e di Lucia, quando prega e per-
dona davanti al giaciglio di don Rodrigo morente. Il tragico gioco
della giustizia è in questi termini morali che il Manzoni ha con
lucidità e coerenza fissati: la giustizia, come sentimento e concetto
di necessità e di retribuzione, cioè di ricompensa e di gastigo, ò
verità insita nella coscienza comune; se non che è, «come tutte le
verità morali, una verità esposta nella pratica alle passioni e all'in-
coerenze parziali e accidentali degli uomini >. « E non c'è quindi
da meravigliarsi che i successi temporariamente prosperi di tante
azioni ingiuste, e gli avversi di tante giuste, e anche eroiche, ci
portino qualche volta > al dubbio sconsolato e financo alla nega-
zione iraconda di essa, « dimenticando che nell'idea di retribuzione
non c'è punto compreso che deva realizzarsi nel momento che può
parere a noi > (*).
L' ingiustizia di don Rodrigo, contro cui si spunta anche la
« giusta » eroica azione di fra Cristoforo, l' ingiustizia di don Ab-
bondio e quella del dottore convergono immediatamente, fin dal
primo momento dell'azione, a creare questo stato di turbamento nel
concetto e nella pratica della giustizia. È, per così dire, la protasi
morale del dramma: non ne possono derivare che più gravi ingiu-
stizie e falsi modi d'intendere e d'applicar la giustizia. Tutto vien
peggiorando : Lucia, rapita per la scellerata ostinatezza di don Ro-
drigo con la complicità della signora che l'aveva in custodia; Renzo,
« fuggitivo da casa sua » (*), insidiato dalla perfidia degli uomini,
non del tutto immune neppur lui dalle passioni mondane (^) ; padre
Cristoforo sfrattato da Pescarenico per l' intrigo de' suoi avversari ;
il popolo di Milano in tumulto pel rincaro del pane e il tentato ec-
cidio del Vicario ; i provvedimenti del Governo peggiori di prima e
r inevitabile carestia e miseria : il dominio,- insomma, della violenza
e dell'orrore e l'abbattimento generale. Da che tutto questo tumul-
tuare e irrompere di passioni ? Dall' oscuramento e, più spesso, dal-
l'annientamento del senso della giustizia. I prosperi successi del-
l'ingiustizia raggiungono il colmo; il mondo morale par vicino a
dissolversi, quand'ecco Iddio tocca il cuore all'Innominato, al più
violento cioè e al più potente nemico della giustizia. La conver-
sione di questo grande peccatore, maturata nel segreto di Dio, avvia
alla soluzione il dramma privato. Lucia è salva dalle insidie degli
(11 App. cit. al caxj. HI della Mor. citt., pp. 380, 381.
(2) Proni, sp., cap. XXVI, j). 3S1.
(3) Proììi. sp., cap. XVII, p. ;253: " pensando al buon frate, sentiva più vivamente
la vergogna delle proprie scappate, della turpe intemperanza ,,
68 PARTS PRIMA
uomini; la Provvidenza ha vigilato su Renzo; e il significato reli-
gioso delle peripezie dei due sposi è svelato in quelle parole di
Federigo a don Abbondio : « ora, purtroppo, non hanno bisogno di
voi » (*). Nuove incertezze e nuovi patimenti li attendono, ma di
altra origine da quello eh' è la cattiva volontà degli uomini.
Neil' ordine pubblico la disarmonia profonda tra la giustizia e le
passioni e gl'interessi del mondo non si compone. L'ingiustizia ha
creato l'ingiustizia; dal malgoverno la rivolta, da questa il cieco
empirismo e l'impoverimento: donde il dilagare della carestia. Le
guerre d'ambizione, di puntiglio, di cupidigia accrescono il male,
col passaggio de' lanzichenecchi, con le devastazioni, i saccheggi e
i germi del contagio. Il dramma sociale precipita: oltre al disordine
morale ed economico, sopra tante ire superbe e fratricide discordie
e prepotenti oppressioni^ sopraggiunge, preveduta, agevolata dalla
< pubblica follìa >, la strage della peste. E una grande giustizia di
Dio, di quelle che la pensosa anima cristiana del Manzoni scruta e
scorge ne' periodi piìi affannosi e torbidi della storia; di quelle che
a Desiderio, dopo la distruzione del regno e nell'accogliere Adelchi
morente, fanno esclamare:
« Oh! come grave
sei tu discesa sul mio capo antico,
Mano di Dio ! »
{Adelchi, a. V se. 7")
è r « ira tremenda», onde il «sangue» del «giusto»
« sulla misera prole ancor cade,
che mutata d'etade in etade,
scosso ancor dal suo capo non l'ha ».
{La Passione, st. 9).
Il significato religioso di quella solenne sanzione della giustizia
di Dio prorompe dal magnanimo discorso di padre Felice e più
precisamente da quelle sue parole: Benedetto il Signore! Benedetto
nella giustizia, benedetto nella misericordia ! benedetto nella morte,
benedetto nella salute! benedetto in quella scelta che ha voluto far
di noi! Oh! perchè l'ha voluto, figliuoli, se non per serbarsi un
piccol popolo corretto dall'afflizione, e infervorato dalla gratitu-
dine (^) ?
(1) Prom. 3p., cap. XXVI, p. 382.
(2) Proni, sp., cap. XXXVI, p. 530.
LA GENESI ETICO -RELIGIOSA
*
* *
IV. Ciò che nella Morale cattolica dice della Chiesa, « che co' suoi
primi insegnamenti, può innalzare il semplice, il quale ignora perfino
che ci sia una filosofia morale, al più alto punto, non di questa
filosofìa, ma della morale medesima; a quel punto a cui si trova
un Bossuet, dopo aver percorso un vasto circolo di meditazioni
sublimi » (*), il Manzoni ha rispecchiato nella realtà umana dei
Promessi sposi. Abbiam visto quale spirito evangelico abbia egli
infuso in Lucia, e più vedremo nel seguito ; ma i semplici che sen-
tono con « cuore fraterno » sono ivi una moltitudine : non solo il
barcaiolo e il barocciaio, devoti allievi di fra Cristoforo, ma la
« buona donna » e il sarto del villaggio, la folla raccolta alla predica
del cardinale, le frotte d'uomini, di donne, di bambini che con-
vengono da tutti i paesi d'intorno con « una alacrità straordinaria »
e, ne' gesti, « una gioia comune » (^), le comitive de' superstiti del
lazzaretto, inebriate di tenerezza e di carità dalla sublime predica
di padre Felice, e le donne ivi affaccendate a curare i bambini, alcune
allattanti «in tale atto d'amore» come le avesse attirate in quel
luogo non la paga, ma « quella carità spontanea che va in cerca
de' bisogni e de' dolori » (^). Chi son costoro ? Gente, — direbbe
il sarto del villaggio — che non « saprebbero ripetere le parole >
di un Borromeo, di un Bossuet ; « non ne ripescherebbero una ; ma
il sentimento lo hanno qui » (■*); gente che accetta e adempie col
cuore i precetti della Chiesa, « i quali non hanno valore che dal
core », e sente, nella semplicità della fede, — tanto quanto ne ra-
gionino gli alti maestri di dottrina — che « ogni atto di culto che
venga da un core privo di carità, è » agli « occhi » della Chiesa « su-
perstizioso e menzognero » (^).
Gli umili con la fede e la carità arrivano allo stesso punto, dove
giunge la dotta speculazione religiosa : questo concetto e sentimento
è così pienamente e schiettamente partecipato dal Manzoni che molte
volte nel romanzo fa trovare le verità più profonde della vita e
della religione ai personaggi più umili in perfetto accordo co' sa-
pienti. Già il Manzoni di codesto accordo offre un bell'esempio,
(1) Oss. s. mor. catt., p. 173.
(2) Prom. sp., cap. XXI, pp. 313, 314.
(3) Prom. sp., cap. XXXV, p. 520.
(4) Prom. sp., cap. XXIV, p. 352.
(5) Oss. s. mor. catt., p. 299.
70 PARTE f RIMA
quando fa dire a quel suo semplice e buon cristiano del sarto: « la
disgrazia non è patire e l'esser poveri; la disgrazia è il far del
male » (*), conformemente a quello che egli, il moralista e poeta,
in una eloquentissima pagina della Morale cattolica sentenzia: « il
vero male per 1' uomo non è quello che soffre, ma quello che fa »
(^), e a ciò che nel romanzo, a mo' di commento agli ultimi episodi
degli sposi, ammonisce, sotto la finzione dell'anonimo: « si dovrebbe
pensare piìi a far bene, che a star bene; e così si finirebbe anche
a star meglio » ^). Nel discorso delle inesplicabili disavventure
di Renzo a Milano il cardinal Federigo approva con un « è vero
purtroppo » la sapiente conclusione di Agnese : « i poveri ci vuol
poco a farli comparir birboni » (*). Lucia, nell' invocare dall' Inno-
minato la liberazione, dice quelle sublimi parole: « Dio perdona
tante cose, per un' opera di misericordia » (^) ; e quest' opera, che
il peccatore convertito si appresta a compiere, fa esclamare al grande
Federigo in modo conforme : « Beato voi ! Questo è pegno del per-
dono di Dio » C^)! Ciò che Renzo, dopo la notizia del voto di Lucia,
detta esasperato al suo « segretario », che « la Madonna c'entra per
aiutare i tribolati e per ottener delle, grazie, non per far dispetto e
mancar di parola > ('), è, in confuso, press' a poco quello che, se-
condo dottrina, dice fra Cristoforo nel lazzaretto a Lucia: « Il Si-
gnore gradisce i sacrifizi, l'offerte, quando le facciamo del nostro....;
ma voi non potevate offrirgli la volontà di un altro, al quale v' era-
vate già obbligata » (*).
Anche nel gioco de' calcoli e delle previsioni l'umile cuore non
è da meno della mente del saggio; o, piuttosto, questo non ne sa
più di quello. 11 cuore di fra Cristoforo, nel dare l'addio agli sposi,
gli dice che si sarebbero rivisti presto ; i fuggiaschi tacciono, e col
loro cuore consentono; ne' discorei precedenti, nelle istruzioni che
dà alle donne e a Renzo, il frate mostra addirittura di prevedere
nella sua mente che « i suoi poveri cari tribolati » avrebbero « presto »
« potuto ritornar sicuri a casa » loro. « Ma che sa il cuore ? Appena
un poco di quello che è già accaduto » osserva con pensosa ironia
(1) Prom. sp., loc. cit.
(2) Oss. s. tnor. catt., \). 178.
(3) Prom. sp., cap. XXXVIII, p. 573. V. anche il VII de' Pensieri reliaiosi in
Opp. in. o r., voi. Ut p. 472.
(4) Proni, sp., cap. XXIV, p. 359.
(5) Prom. sp., cap. XXI, p. 305.
(6) Prom. sp., cap. XXIII, p. 330.
(7) Prora, sp., cap. XXVII, p. 396.
(3) Proììi. sp., cap. XXXVI, p. 543.
LA GENESI ETICO - RELIGIOSA 71
il Manzoni ('). E la mente, la mente di un savio ed esperto e bat-
tagliero cristiano, qual è fra Cristoforo, che sa dell'avvenire? che
può congetturarvi ? Il sapiente uomo di Dio in quel momento non
vede più in là degli umili suoi protetti.
Bello, altresì, è sentire Agnese come viene ragionando e spiegando
alla figliuola lo strano contegno della signora. Quanta ironia in quel
tranquillo e liscio periodo : «Agnese, come più esperta, sciolse, con
poche parole, tutti quei dubbi, e spiegò tutto il mistero » (*) ! ; nei
quale il Manzoni, secondo un suo geniale accorgimento nell' accen-
nare a discorsi o nel descrivere affetti de' suoi personaggi, fa sen-
tire, con la scelta stessa delle parole, la bonaria saccenteria della
brava donna. Altro sono le verità profonde della vita e i terribili
misteri delle anime, altro là conoscenza che pretende averne il senso
comune. Chi ne sa di più, l'esperta Agnese o la semplice Lucia?
Il modo come il Manzoni presenta gli umili nel romanzo e dà
loro parti cospicue nell'azione, facendo, anzi, di due di loro i pro-
tagonisti di tutta la storia, deriva, come si sa, dal suo evangelismo
democratico e risponde a sentimenti e idee che si trovano nella
tradizione de' grandi scrittori della Chiesa. Mi sovviene, a questo
proposito^ di taluni pensieri del Pascal, dai quali può il Manzoni
aver ricevuto, se non la diretta ispirazione, almeno incitamento e
autorità ad infondere nell'anima d'umili personaggi, quali Lucia
in ogni suo atto e Renzo e Agnese, tutte le volte che tace in loro
la passione, e molti altri di minor rilievo, così viva e ricca spiri-
tualità cristiana da pareggiare i sapienti : « Ne vous étonnez pas —
ammonisce il Pascal — de voir de personnes simples croire sans
raisonnement. Dieu leur donne l'amour de sa justice et la baine
d'eux - mèmes ». E con rapida analisi ritrae l'anima di questi umili :
« Ceux qui croient sans avoir examiné les preuves de la Religion
c'est parce que' ils ont une disposition intérieure tonte sainte, et
que ce qu' ils entendent dire de notre religion y est conforme ».
Ma una più chiara e suggestiva attinenza hanno le idee del Manzoni
con questo pensiero: «Ceux que nous voyons Chrétiens sans la
connaissance des prophéties et des preuves, ne lassent pas d'en
juger aussi bien que ceux qui ont cette connaissance. Ils en jugent
par le coeur, comme les autres en jugent par l'esprit. C'est Dieu
lui meme qui les incline à croire, et ainsi ils sont très effìcacement
persuadés » (^).
(1) Prom. sp., cap. Vili, pp. 120, 121.
(2) Prom. sp., cap. X, p. 161.
(3) Pensées (ed. cit.), pp. 97-8.
?2 Parte prima
È schiettamente evangelica la preminenza data al cuore in con-
fronto della ragione nelle cose di fede. Il Pascal ribadisce più volte
questo concetto, sino a dire: « Le coeur a ses raison que la raison
ne connaìt point. C'est le coeur qui sent Dieu, et non la raison. Voilà
ce que c'est que la foi parfaite, Dieu sensible au coeur » (*). Così
il Manzoni eleva migliaia di cuori, ardenti di lede e di carità, sino
a Dio nell'opera di salvazione di un grande scellerato; ne esalta
l'efficace umiltà di fronte all'animo smarrito del potente, quando
Federigo, rispondendo all' Innominato, dice del popolo aspettante la
sua parola: « sono le pecorelle... in sicuro sul monte»; «forse lo
Spirito mette ne' loro cuori un ardore indistinto di carità, una pre-
ghiera ch'esaudisce per voi, un rendimento di grazie, di cui voi
siete l'oggetto non ancor conosciuto » f ).
Gli umili, come il Manzoni li guarda e figura secondo una con-
cezione tutta evangelica, portano nella loro vita e nel loro destino
i segni d'una rassegnata tristezza; ma nelle lor pene e sofferenze
traggono da ogni cosa, men grave^ argomento di serenità e d'alle-
grezza. Già codesti del romanzo sono anni di carestia e di miseria:
dallo spettacolo de' « mendichi laceri e macilenti » e de' lavoratori
sconfidati e pensierosi, che rattrista fra Cristoforo avviato alla ca-
setta di Lucia, ai quadri tragicamente pietosi dell' indigenza, del-
l'inedia e della morte dopo i tumulti di Milano, lo sfondo della
storia romanzesca di Lucia e di Renzo si colorisce con gradazione
crescente d'un aspetto cupo e doloroso. E poi per che vicenda di
casi e di sventure non passa la stessa vita degli umili personaggi,
che campeggiano nella vastissima scena!
Ma il dolore di tante umili anime non ha i disperati abbandoni
de' potenti, cui l' affanno o la sventura conturbi: Lucia, nel colmo
dell'angoscia e del terrore, trova una calma eroica nella preghiera
e nel voto, mentre l'Innominato, in quella medesima notte, s'agita
insonne in una cupa disperazione, e don Rodrigo, quando s'accorge
d' aver la peste e, poi, d'esser tradito dal Griso, è preso da terrore
e da rabbia anche più disperata. È questo il destino de' potenti, ove
non intervenga la Grazia. La mitezza degli umili, al contrario, e la
rassegnazione nelle disgrazie e nelle pene sono sempre state i temi
prediletti del pensiero religioso e della parola apostolica; col Man-
zoni sono diventati vivi contenuti d'eterna poesia: le grandi sue
liriche, i tratti delle minori di più schietta ispirazione ed efficace
(1) Ibid., p. 259. V. anche p. 264.
(2) Prom. sp., cap. XXIII, pp. 329-30.
LA GENESI ETICO - RELIGIOSA 73
espressione, molte delle pagine immortali del romanzo sono o deli-
cate analisi o scultorie rappresentazioni d' anime umili di natura o
umiliate dalle dolorose vicissitudini della vita e dalla Grazia mise-
ricordiosa di Dio : Ermengarda, Napoleone, l' Innominato ; Lucia, il
sarto e la sua famiglia; la Vergine e i pastori del Natale; le donne
della Risurrezione, i supplicanti della Pentecoste.
Il Massillon dice che le afflizioni preparano gli umili alla salute
e alla santificazione (*) ; ne esalta la pazienza con sentimenti e
concetti (^) conformi a quelli eh' abbiamo ricercato nella coscienza
del Manzoni ; ne descrive le semplici e pure gioie (^) come il Man-
zoni fa della pia e giuliva famigliuola del sarto. Per contro, spende
nelle analisi e ne' ritratti della vita tutta la dovizia della sua vivace
tavolozza a rappresentarne le ineluttabili inquietudini (^), non in
un solo, ma in piìi sermoni, la cui lettura, anche per questa parte,
non rimase forse senza effetto sullo scrittore lombardo, quando ideava
le travagliate figure di potenti, evocate dalla storia e idealizzate
dalla poesia, quali Desiderio, Adelchi, Napoleone e l'Innominato.
Se non che il Manzoni dalla meditazione sulla potenza mondana ha
tratto motivi e accenti di un pessimismo più profondo e doloroso
di quello del Massillon ; piti s' accosta, invece, al Bossuet e piti del-
l'uno e dell'altro rivive lo spirito del Vangelo. È la potenza non
altro che « silenzio e tenebre » (^) rispetto alla vita eterna e alla /
gloria di Dio ; non ad essa, non alle « vegliate porte » de' « potenti »
si volge r angelico annunzio della nascita del Redentore^ ma agli
umili, « al duro mondo ignoti » C^); contro essa son notate le la-
grime nel cielo, ove il nome de' potenti ascende « con l'imprecar
de' tribolati » (~) : nata pii^i spesso dalla « forza feroce » che « fa
nomarsi dritto » (*), genera
(1) V. Semi. cit. Sur les afftietions, p. 171 e segg.
(2) « Des infortunés, qui naissent et qui vivent dans la misere et dans l'acca-
blement, passent dans le silence et dans l'obloui presque de leurs pcines, leurs jours
rnalheureux : la plus petite lueur de soulagement et de repos, leur redonne la sérénité
et l'allegresse: les plus légères douceurs, dont on console leurs peines, les leur font
oublier: un moment de plaisir les dédommage d'une année entière de souffrances »
(ibia., p. 167).
(3) V. Serm..sur le malheur des grands qui abbandonnent Dieu, in Oeuvres
(ed. cit.), voi. VI, pp. 83-4.
(4) V., ad es., il Serm. ora cit., pp. 78, 81, tutto il Serm. sur les tentations des
Grands, tutto quello Sur les écueils de la piété des grands e, in parte, quello Sur
Vhumanité des grands envers les peuples, in Oeuvres (ed. cit.), voi. VI.
(5) Il cinque maggio, str. 16*.
(fl) Il Natale, str. 11".
(7) Adelchi, a. V, se. 8".
(8) Ivi.
74 PARTE PUIMA
i dolori onde il secolo atroce
fa de' boni più tristo l'esiglio (1) ;
è tal gloria che neppur dura dinanzi agli uomini e s'annienta dinanzi
a Dio; il quale ai grandi, riottosi nella loro superbia e opulenza
a' suoi moniti, « chiede conto della parola che fa loro sentire nelle
loro regge > (*). Non vi ha che una grandezza, quella dell' anima ;
non c'è « giusta superiorità d'uomo sopra gli uomini, se non in loro
servizio » (^) ; tra la nobiltà dell' anima e la presunta bassezza della
condizione sociale non v" è opposizione, e questa nasce da una con-
venzione assurda e ingiusta {*).
Queste le idee del Manzoni su ciò che sono le dignità e lo splen-
dore che vengono dal mondo. Non meno triste, anzi più foscamente
immaginoso, è il Bossuet nel rappresentare il dissolvimento di questi
valori mondani : vane le distinzioni superbe ; tutto si perde nell'oceano
dell'eternità (^): « tout ce qui est morte], quoi qu' on ajoute par
le dehors pour le faire paraìtre grand, est par son fond incapable
d' élévation » ; « toutes nos pensées, qui n'ont pas Dieu pour objet,
sont du domaine de la mort » {^).
?^ I veri grandi spiriti dinanzi a Dio sono gli umili: — « l'innocenza
è potente al suo cospetto » — pensa ed afferma fra Cristoforo nel ri-
chiedere al potente « un atto di giustizia » : « Dio ha sempre gli
occhi: sopra di loro » ; « le loro grida, i loro gemiti sono ascoltati
lassù » (^). Che è l'opulenza e la potenza dell' iniquo signore nella
parola indignata del frate, che riflette la parte più segreta e più
fiera della coscienza cristiana del poeta? Miserabile cosa: « quattro
pietre » e « quattro sgherri » , sopra cui « sta sospesa » la « maledi-
I li J.'i Pux.sk>iii\ str. 12".
(2) Proìn. sp., cap. VI, p. 7(5.
(3) Prorn. sp., cap. XXII, p. 318.
(4) V. Postille al RoLLiN, in 02Jp. iìi. o r., voi. II, p. 291. V. anche a p. 311 la
postilla 3».
(5) « De quelque superbe distinclion que se flattent les hommes, ils ont tous une
inéme origine; et cette origine est petite. Leurs années se poussent successivement
comme des flots: ils ne cessent de s'écouler; tant qu'enfin, apres avoir fait un peu plus
de bruit et traverse un peu i)lus de pays les uns que les autres, il vont tous ensemble
se confondre dans un abtme où l'on ne recònnaìt plus ni princes ni rois, ni toutes ces
autres qualités superbes qui distinguent les hommes; de méme que ces fleuves tant
vantés demeurent sans nom et sans gioire, mélés dans l'océan avec les rivières les
plus inconnues » {Oraìsons funèbres, ed. Flammarion, p. 47). V. anche pp. 52, 58,
60, 61, 75, 131.
(6) Ibld., p. 53.
(7) Prom. sp., cap. VI, p. 76.
LA GENESI ETICO - RELIGIOSA 75
zione ». E l'inerme trepidante innocenza degli umili buoni come si
riparerà dalla scelleratezza de' potenti? Essa — osserva alteramente
il, Manzoni per bocca di fra Cristoforo — « è sotto la protezione di
Dio » ('). Ma dove il Manzoni eleva al più alto grado i giusti di
umile vita di fronte ai potenti superbi — e lo fa in un impeto di
geniale ispirazione^ che solo Dante ebbe per la sua Beatrice — è
neir immaginare Lucia trasfigurata nella sconvolta coscienza dell'In-
nominato così che gli pareva di risentirne le parole non più proferite
« con accento d'umile preghiera», ma «con un suono pieno d'au-
torità, e che insieme induceva una lontana speranza » ; di vederla
« non come la sua prigioniera, non come una supplichevole, ma in
atto di chi dispensa grazie e consolazioni » (^).
*
V. Nella difesa della morale religiosa il Manzoni ribatte l'accusa
che effetto di essa sia la servilità, perchè propone in alcuni casi la
« pazienza ». Questa è virtù — egli soggiunge — che « educando
l'animo a superare i mali, Io rende più forte ad affrontarli, quando
sia necessario, per la giustizia ». « Patire piuttosto che farsi colpe-
vole » : ecco la divisa del forte cristiano ; ma quando la « legge di
Dio » proibisce « ogni coopcrazione volontaria all'ingiustizia » impli-
citamente prescrive il coraggio, « il coraggio più raro, il più tran-
quillo, e che non porta ordinariamente pericoli che a colui che lo
mostra » ; tanto più « nei casi diffìcili in cui bisogna disubbidire a
Dio o agli uomini ». Gli abusi stessi che si commettono e si giusti-
ficano con un pretesto religioso, non sono da coprire « per un rispetto
alla religione », ma da svelare e combattere con una continua guerra
nel seno stesso del cattolicismo. « Rimondate — dice apertamente il
nostro moralista ai ministri della Chiesa — l'albero dai rami secchi
e infruttuosi, prima che 1' uomo inimico possa porvi il ferro della
distruzione » (^).
Tra le parti che tengono opinioni estreme, ciascuna collegata da
vincoli di solidarietà difensiva, sorgono « i pochi e non arruolati
difensori del vero », esposti a tutte le ire, a tutti gli odi così de' « ne-
mici della fede » come de' « partigiani degli abusi ». « Felici se
essi amano e gli uni e gli altri — esclama il Manzoni, conchiudendo
quel suo discorso Degli abusi e delle superstizioni, che è de' più
(1) ma., p. 77.
(2) Prom, sp., cap. XXI, p. 312.
(3) Òss. s. mor. catt., pp. 497, 492; 441, 442.
76 PARTE PRIMA
rigorosamente dialettici e animosamente evangelici ch'abbia scritto
in materia religiosa — se, posti in una posizione così difficile, sen-
tono che non vi si possono sostenere che con l' aiuto di Dio, se dai
contrasti che soffrono cavano argomenti di speranza e non d'orgo-
glio, se li sopportano come pene meritate pei loro falli , se non
rivolgono un occhio di desiderio e d' invidia agli applausi del mondo,
se non li spregiano per un sentimento di superbia, se non desiderano
la confusione dei loro avversari di ogni genere, ma la loro concordia,
aspettando con ogni pazienza i momenti del Signore » (*).
Codesto coraggio, « francando la mente dalla perturbazione e dai
calcoli del timore », raff'erma le risoluzioni conformi al dovere; onde
in molti casi, non solo ispira « opere virtuose al di là dello stretto
dovere », ma in alcuni casi « è indispensabile all'adempimento del
dovere stesso ». La paura, al contrario, è « passione carnale », che
nel contrasto de' motivi delle azioni « introduce un elemento talvolta
estraneo^ inopportuno, appassionato, quale è il desiderio di conser-
vare la vita, di sfuggire il dolore, il pericolo », facendolo « prepon-
derare sui motivi di dovere e di ragione » : così, mentre i martiri
affrontavano « il dolore e la morte » con coraggio ch'era « santo »,
perchè s'esercitava nell'adempimento della legge di Dio », « perfe-
zionato », anzi, o anche « istantaneamente ispirato dalla grazia di
Lui»; quegli « infelici cristiani », per contro, che « amavano » la
verità, ma, più di essa, la vita, « alla minaccia del martirio » men-
tivano a Dio. « Ingiusto » è codesto amore — sentenzia il Manzoni —
« perchè la conservazione della vita, non essendo né un fine perpetuo,
né una condizione assoluta nella linea dei doveri, deve cedere a quei
precetti che hanno un tal carattere » (*).
La dottrina morale del Manzoni sulla paura ha una mira più alta
che quella di censurare la parte negativa di questa passione : egli
se ne preoccupa massimamente pei funesti effetti che ne vengono
nell'ordine della vita sociale, come quella che « può spingere e spinge
troppo sovente ad azioni positive, direttamente dannose agli altri,
può rendere e rende l'uomo stromento di violenza. Quanti oppres-
sori inflessibili troviamo nella storia, che non sarebbero stati tali, se
non avessero avuto una grande paura » ! Così osserva il Manzoni
con l'occhio rivolto alla storia e ai giudizi degli storici, de' quali
approva la « consuetudine sapiente e morale di associare fortemente
il biasimo, di far sentire ad ogni occasione la bruttezza delle azioni
(1) md., p. 443.
(2) Opp. in. 0 r., voi. Ili, p. 396.
LA GENESI ETICO -RELIGIOSA 77
pusillanimi che presenta la storia » , conchiudendo, — conforme alla
sua concezione pedagogica della storia, che a suo luogo esamine-
remo — che « è questo un mezzo potente per creare negli uomini
una specie di pudore, una disciplina di dignità, la quale rende nel
caso più superabili le impressioni del pericolo » (*).
Un punto capitale di questa parte della dottrina manzoniana è
che la morale religiosa, benché prescriva la delicatezza, il compati-
mento, r indulgenza, non impedisce la « sincera e spassionata espres-
sione della verità > né il « il fondato e giusto discernimento tra la
virtù e il vizio > ; anzi lo comanda « quando si tratti di preservare
il prossimo dall'insidie de' maligni; quando insomma sia richiesto
da giustizia e da utilità » ; lo comanda, condannando « i rispetti
umani » per « un obbligo e un motivo soprannaturale di non tacere
la verità », quando la « voce » di essa « sia mossa dalla carità ».
« Così ha prevenuto 1' animo debole contro il terrore che la forza,
che la moltitudine, che la derisione, che il possesso delle dottrine
mondane gli sogliono incutere ; così ha resa libera la parola in
bocca all'uomo retto » (^). Tanto più si rivela la grandezza del
coraggio cristiano negli uomihi della Chiesa, quand'essi, lungi dal
farsi adulatori de' potenti e predicatori di servilità fra i soggetti,
«sanno dire il vero con pericolo».
Il Manzoni scruta acutamente codesto aspetto morale della storia
della Chiesa ne' tempi del dispotismo politico e sociale. Ce ne sono
stati de' cortigiani che « hanno detto ai potenti che la Religione era
loro utile perché favoriva ogni esercizio della loro potenza » ; che
« hanno voluto far credere che non fosse destinata principalmente
che a far godere alcuni uomini, più tranquillamente, di un potere
che finisce al sepolcro » ; che hanno secondato il mondo nell' idea
di subordinare tutto, anche la religione, all' « idolo » della potenza.
Eppure dovevano, invece, dire ai potenti « che la religione è loro
utile, perché li può guidare alla salute, perchè, posti nella situazione
più pericolosa, hanno, più d'ogni altro, bisogno di guida e di soc-
corso, perchè, oltre la miseria loro propria, la bassezza degli altri
cospira ad ingannarli e a perderli », perché « i potenti hanno pur
troppo una tentazione più forte di tutti » « a considerare ogni cosa
come un mezzo ai desideri temporali » (^).
Anche il Massillon, trattando a lungo delle passioni de' grandi e
dell'adulazione che le seconda, rileva che « l'adulation le plus dan-
(1) IbuL, p. 397.
(2) ma., pp. 309-10.
(3) Oss. s. mar. catt., pp. 497, 498.
78 PARTE PRIMA
gereuse est dans la bouche de ceux qui, par sainteté de leur ca-
ractère, sont établis les ministres de la vérité » e deplora: « Quel
malheur pour les g-rands de trouver d'indìgnes apologistes de leurs
vices panni ceux qu' en auroient du étre les censeurs, d'entendre
autour de leur tròne les ministres et les interprètes de la religion
parler cornine le courtisan, et de trouver des adulateurs ou ils
auroient du trouver des Ambroises > (*).
Le idee del Manzoni sul dovere d'esercitare coraggiosamente l' apo-
stolato cristiano in mezzo al mondo, massime nel cospetto de' potenti
e contro gli abusi della stessa società religiosa, restano, nel loro
insieme, entro i confini della tradizione cattolica; per lo spirito
d' austerità pura e battagliera ond'egli incita a denunciare gli abusi
e le superstizioni e a scinderli coraggiosamente dal perpetuo con-
tenuto divino della fede, s'avvicina innegabilmente alle fonti del
giansenismo, di quello schietto degl'iniziatori francesi di Port-Royal,
fra i quali egli trova il suo « grande Nicole » e Biagio Pascal, tanto
più da lui prediletti perchè entrano nel novero di quegli apologisti
e moralisti francesi del secolo XVII, ai quali, come alla tradizione
più autorevole del pensiero cattolico moderno, sappiamo ormai ch'egli
è venuto conformando, durante e dopo la conversione, il suo pen-
siero morale e religioso.
Questa dottrina, così conforme allo spirito del Vangelo, « che è
tutto franchezza e dignità, che abboraina tutte le strade coperte per
le quali si nuoce senza esporsi ; e che ne' contrasti che si devono
pur troppo avere con gli uomini per la difesa della giustizta, co-
manda per lo più una condotta che suppone coraggio » (*), costi-
tuisce il problema massimo della coscienza religiosa del Manzoni,
ed è uno de' motivi etici più fecondi del romanzo. Essa ha preparato
r opposta concezione di don Abbondio e di fra Cristoforo. La suc-
cession de' fatti principali, che formano la trama dell'azione roman-
zesca, non è che la conseguenza dolorosa, ma logica, del fallimento
del coraggio cristiano in chi ne aveva chiesto e accettato il sacro
ministero, in chi, in una contingenza grave e pericolosa, ha preferito
d'ubbidire piuttosto agli uomini che a Dio. Il comico che si riflette
nella perfetta forma poetica di don Abbondio (e ne vedremo a suo
tempo il perchè) non impedisco di cogliervi dentro ciò che di serio
e di dolorosamente severo si associa nella segreta concezione del
poeta alle umoristiche impressioni della vita e dell'umana debolezza.
(1) Serm. cit. skv ics icutittions des Orands. pp. :ìi,
(a) Oss. s. mor. cuti., itp. Mi-i.
LA GENESI ETICO -RELIGIOSA 79
È difficile certamente sdoppiare il contenuto spirituale di don Ab-
bondio: lo stesso Manzoni nella finissima analisi che fa, in sul prin-
cipio, dell'indole e del tener di vita del suo personaggio, non ha
parole amare per lui, non gli fa il processo morale, non lo stacca,
per così dire, dalla sua realtà, relativa per porselo innanzi come un
problema del cristianesimo e della Chiesa ; neppure lo colpisce nel
seguito dell'azione, dopoché egli ha obliterata la solenne legge evan-
gelica: « patire piuttosto che farsi colpevole ». Questo riserbo, in cui
si è tenuto il moralista, è una delle ragioni della geniale creazione
a cui ha potuto giungere il poeta; ma l'alto giudizio morale su così
nociva deficenza del sentimento del dovere non può mancare in
un'opera che vuole essere, come 1' ha voluta il Manzoni, di poesia
insieme e di moralità religiosa, e quel giudizio lo pronunzia il car-
dinal Federigo attraverso una requisitoria solenne, che poeticamente
— per vero dire — non ha valore se non pel mirabile contrasto
scoppiettante in quel colloquio singolarissimo tra le ragioni dell' i-
deale puro e illimitato e gli argomenti della realtà guardinga e
positiva, ma per la sostanza etica e religiosa di cui è materiata, per
lo spirito polemico ed apologetico che la pervade, è un meditato
testamento di fede ed una patente lezione di coraggio cristiano.
L'aspetto etico della concezione donabbondiana è tutto rivelato nella
parola di Federigo: non avrebbe il Manzoni ideato quel colloquio
né vi avrebbe dato luogo — con tutte le variazioni e risorse dram-
matiche che la situazione stessa ispirava — a così fervoroso sermone,
se non avesse avuto in mente di servirsene per raccogliervi una
parte notevole delle idee religiose che hanno prodisposto e ispirato
l'opera letteraria; come, del pari, ha affidato alla parola dello stesso
Federigo, nel colloquio con l'Innominato, l'ufficio d'illustrare la
sua dottrina sulla potenza degli uomini e il segreto disegno della
Provvidenza d'adoperarla a' suoi fini; a quella di fra Cristoforo
l'ufficio di dimostrare, nel colloquio con don Rodrigo, la vanagloria
de' potenti superbi e l' imperturbato valore dell'innocenza e del-
l'umiltà dinanzi a Dio, e, ne' discorsi agli sposi fuggiaschi e a
Renzo nel lazzaretto, il pregio della carità e del perdono ; s' è,
infine, servito della parola di padre Felice^ per ammaestrare l'uma-
nità, percossa e decimata dal flagello d'un' immane calamità pub-
blica, a riconoscervi un segno della misteriosa volontà divina^ un
ammonimento all'amore e all'aiuto scambievole.
La parte positiva della dottrina ha vivo risalto nella figura e
neir opera di fra Cristoforo e di Federigo Borromeo. Nella parola
di questo torna la teoria del coraggio, sparsamente trattata dal Man-
80 PARTE PRIMA
zoili nella Morale cattolica; vi torna, anzi, piti svolta a, quasi di-
rei, esemplificata. Alla protesta della realtà, che ha tutta l'aria
di essere conforme al buon senso: « il coraggio, uno non se lo può
dare » (^), risponde la dottrina del Vangelo, che non si tratta
d'averlo « naturalmente» il coraggio, ma di sentirne la necessità,
di confidare in Dio che lo infonda e sorregga, di trarlo fuori dal-
l' « amore intrepido », dal « timor santo e nobile per gli altri ». Im-
possibile che non si faccia « naturalmente conto della vita », che
« la debolezza della carne » non ci faccia « tremare » per noi ; ma
più forte ha da essere la voce della carità e del dovere (^). « Sof-
frire per la giustizia è il nostro vincere » (^) risponde Federigo a
don Abbondio, a cui pare impossibile che non si debba desiderar
di conservare la vita, e sembra vana ogni resistenza alla forza in-
vincibile. Ma non è solo in questo dettame rigido e inesorabile tutto
r evangelismo pratico del Manzoni. Quando Federigo ribatte : « Ma
forse che tutti i ripari umani vi mancavano ? Non sapevate che l' ini-
quità non si fonda soltanto sulle sue forze, ma anche sulla credulità e
sullo spavento altrui {*) » ?, svolge con pienezza il contenuto della legge
di Dio e della sua Chiesa; che, se prescrive di soffrire, incita altresì
a combattere; che, se vuole l'amore, vuole altresì l'azione e la
difesa. È questo il carattere positivo del cristianesimo manzoniano
e, in particolare, della sua concezione morale del coraggio, consi-
derato come sovrana, indispensabile energia delle missione cattolica :
dalla qual concezione è balzata fuori, tutta d'un pezzo, la figura
di fra Cristoforo. Questo e don Abbondio sono nati simultaneamente
e per uno svolgimento dialettico di idee da quell'osservazione, che
addietro ho riferita, degli effetti della paura ne' rapporti sociali.
Tale problema pel Manzoni — benché ne abbia ragionato con bre-
vità — è di somma importanza, in quanto implica i vincoli della
carità e l'adempimento della giustizia. Quella di don Abbondio —
non ostante l'apparenza contraria — è azione positiva: strumento
di violenza nell' ubbidire all' iniquità con la trasgressione e il silenzio,
diventa violento ed oppressore lui stesso nell' « ingannare i deboli »,
nel « mentire ai figliuoli » (^). E che oppressore inflessibile —
s'intende ne' limiti della pusillanimità — fino all'ultimo, a cagione
di quella paura! fino a provare una « meraviglia scontenta » nel
(1) rbld., p. 375.
(2) Proìn. sp., cap. XXVI, pp. 378, 379.
(3) Ivi.
(4) Prom. sp., cap. XXV, p. 375.
(5) ma., p. 376 e cap. XXVI, p. 377.
LA GENESI ETICO - RELIGIOSA 81
riveder Renzo dopo la peste, a istizzirsi nell' indovinare ch'egli
pensa ancora a Lucia (^); fino a rifiutarsi, in un certo modo blando
e vago, ma sempre con « quella mutria », con « quelle ragioni », di
maritare lui, nel loro paesello, i due giovani, quando ormai è quasi
certo che don Rodrigo è morto di peste (^). Per contro fra Cristo-
foro è pronto e intrepido in campo fin dalla prima invocazione del-
l'innocenza oppressa e s'appiglia al partito d' « aff'rontare » il potente,
di « tentar di smuoverlo dal suo infame proposito, con le preghiere,
coi terrori dell'altra vita, anche di questa, se fosse possibile » (').
È il coraggio cristiano in azione : s' arma di pazienza, fin dalle
prime parole e maniere arroganti di don Rodrigo, stretto a colloquio
con lui, impegnandosi sempre « più alla sofferenza » dopo altre in-
terruzioni più ingiuriose ; gli dice le parole della verità e della giu-
stizia; s'indigna fieramente prorompendo nell'anatema del giudice
giusto sul peccatore caparbio, quando i mezzi della prudenza e della
pazienza non servono più {*).
Il coraggio neir adempimento della legge di Dio non ha limiti e
se urta contro regole e convenzioni, che i zelanti vogliono difendere
per riguardo alla religione, le supera con la forza della pura co-
scienza e a quelli risponde, come fra Cristoforo, la notte che rac-
coglie i suoi poveri profughi nella chiesetta di Pescarenico, a fra
Fazio, col motto di S. Paolo: « Omnia munda mundis ». Il coraggio,
speso in un'opera di carità e di giustizia, può trovare un'amara
« mercede » da parte di chi — sebbene congiunto dai medesimi voti
e fini nel servizio di Dio — dà più valore alla regola e alla disci-
plina esteriore che allo spirito e ai benefici effetti delle opere cri-
stiane, come capita a fra Cristoforo in una scena della prima stesura
del romanzo (^). Il Manzoni ivi narrava come il buon frate, rien-
trato, dopo quella giornata santamente laboriosa, nel convento « a
notte già fitta » oltre l'ora regolare, si vide anzitutto accolto dal
frate portinaio « con quel maledetto misto di sussiego, di soddisfa-
zione, di clemenza, di commiserazione e di mistero, che gli uomini
(tranne l'uno per milione) mostrano sempre in faccia di colui che
per qualche sventura sembra loro di stare in cattivi panni » ; poi,
giunto davanti « la faccia seria ■» del padre guardiano, si sentì da
costui un' intemerata solenne, e perchè avesse violata la regola e
(1) Prom. sp., cap. XXXIII, pp. 491-3.
(2) Prom. sp., cap. XXXVIII, pp. 560-1.
(3) Prom. sp., cap. V, p. 62.
(1) Prom. sp., cap. VI, p. 75-78.
(5) Sp. prom., pp. 122-5.
Buselto — 6
82 PARTE PRIMA
che « il preporre le opere volontarie di misericordia all'obbedienza
era segno di orgoglio e di amore alla propria volontà : che non era
bene quel bene che non è fatto secondo le regole: che bisogna prima
fare il dovere e poi attendere alle opere di surerogazione » ; da ul-
timo si ebbe ingiunta la penitenza di recitare per « questa volta *,
dacché era « il primo suo fallo contro la regola », « un miserere colle
braccia alzate ». Su tal « mercede » riflettendo, il Manzoni diceva
dolorosamente che è « tristo chi ne aspetta altre in questo mondo »
e poco prima, nel pennelleggiare, a tratti svelti, ma acuti, la figura
morale del padre guardiano, vanitosamente lieto di cogliere in fallo
r « irreprensibile » confratello e di poter finalmente « far uso sopra
di lui della sua autorità >, osservava che « i frati e il guardiano
avevano per lui più rispetto che amore » , perchè fra Cristoforo non
s'accordava sempre con la « condotta » e la « politica dei suoi con-
fratelli e del suo capo, e più d'una volta aveva ricusato di operare
di concerto con gli altri >. Non starò qui a riprendere la questione,
da altri egregiamente discussa (*), per quali motivi e sotto quali
influssi il Manzoni abbia da prima ideato e poi soppresso questo
episodio nella definitiva redazione del romanzo ; che ne vorrò trat-
tare in luogo più opportuno; per intanto mi sembra che quell'epi-
sodio — messo in relazione col tentativo di piegare la malvagia
volontà di don Rodrigo e col ritorno alla casa di Lucia per confer-
mare i suoi protetti, non ostante l' insuccesso della sua generosa
impresa, nella fede e nella speranza, — rifletta uno de' problemi
della vita cristiana, che più stavano a cuore al Manzoni (e il pen-
soso commento sulle compense del mondo ne è l'indizio più per-
suasivo), quanto sia ardua^ cioè, e mal retribuita quaggiù la corag-
giosa missione di coloro che tra l'iniquità, che non s'arrende alla
parola del Vangelo, e l'intransigenza zelatrice della religione, che può
scambiare per dovere ciò che, in certe circostanze, diventa pregiu-
dizio od abuso o uno dei tanti rispetti umani, nel conflitto impe-
gnato con r una, non tacciono né disarmano per la difesa del vero
e del giusto, e nel contrasto, che non possono evitare con l'altra,
non traggono argomento di disdegno e d'orgoglio dalla loro virtù,
ma sì di speranza, e si compongono in dignitosa e generosa umiltà,
come fa il nostro mirabile frate che recita « il suo buon miserere »
per sé e per tutti^ anche pel suo malizioso censore.
La virtù del coraggio cristiano negli uomini che hanno accettato
d'essere ministri della verità non può non grandeggiare in Federigo,
(1) V. L. Passò, Padre Cristoforo balordo, in Glorn. st. d. lett. ital., LI, 257-78.
LA GENESI ETICO -RELIGIOSA 83
che incarna nella forma più elevata e pura l'ideale religioso del
Manzoni, non solo per la gioiosa premura con che accoglie l'Inno-
minato e per quel suo rimproverarsi di non essere andato lui a
cercarlo, ma anche per il linguaggio grave, franco, < così insolito »
al terribile bandito, che usa nel mischiare all'effusione di carità e
di conforto la condanna della nefasta potenza dell'uomo, « Che il
mondo gridi da tanto tempo contro di voi, che mille e mille voci
detestino le vostre opere — , che gloria ne viene a Dio ? Son voci
di terrore, son voci d'interesse; voci forse anche di giustizia, ma
d' una giustizia, così facile, così naturale ! alcune forse, pur troppo,
d'invidia di codesta vostra sciagurata potenza, di codesta, fino ad
oggi, deplorabile sicurezza d'animo. Ma quando voi stesso sorgerete
a condannare la vostra vita ed accusar voi stesso, allora ! allora Dio
sarà glorificato » (*). Vogliono esser queste parole di Federigo il
lirico svolgimento del motivo fondamentale racchiuso nelle prime
parole ripercotenti quella disperata domanda dell'Innominato: «Ma
Dio!... cosa volete che faccia di me? » ; ma qui importa rilevare il
santo ardimento del ministro di Dio nel rappresentare al peccatore
potente gli effetti delle sue opere detestate, della nefasta potenza,
della ancor più nefasta imperturbabilità nel male.
— « Chi siete voi, pover'uomo, che vi pensiate d'aver saputo da
voi immaginare e fare cose più grandi nel male, che Dio non possa
farvene volere e operare nel bene » (*) ? — prosegue Federigo, con-
trapponendo alla potenza malefica dell'orrenda vita finora vissuta
dal grande scellerato la grazia illuminante di Dio nella sua vita
avvenire ; accennando alla quale non si perita di mettergli nel cuore
ferme, inesorabili quelle parole : -< nella nuova vita avrete tanto
da disfare, tanto da riparare, tanto da piangere » (^)!
Dall'esposizione de' principi della dottrina morale e religiosa del
Manzoni e dalla trattazione de' particolari problemi ch'egli ne fa
discendere, resta provato che il suo pessimismo etico, se derivò con
coerenza e fermezza dall'antitesi perpetua delle verità del Vangelo
con le condizioni della vita umana, lungi, però, dall' abbandonare
la sua mente alla sterile negazione del mondo, l'inalzò ad un'in-
dulgente comprensione del male e degli errori umani e ad un saldo
e operoso idealismo cristiano.
(1) Prom. sp., cap. XXIII, p. 328.
(2) Ivi.
(3) Ibid., p. 330.
Capitolo IH.
L'ispirazione etico religiosa nella genesi primitiva de' « Promessi sposi
e ne' successivi rinnovamenti
I. Le predisposizioni apologetiche e moralistiche. — II. La visione
pessimistica dell'uomo e della società del Seicento nella prima
stesura. — III. Altri atteggiamenti e riflessi di forte pessimismo
-psicologico e sociale ìielV originaria concezione del romanzo. —
IV. L'unificazione della duplice tendenza pessimistica e ideali-
stica nella più alta e serena concezione cristiana del romanzo
rinnovato.
I. La disamina, sin qui fatta, de' principi fondamentali e de' problemi
e motivi che costituiscono, dirò così, il sostrato etico- religioso de'
Promessi sposi può essere opportunamente integrata da uno studio
più intimo, che dal fortunato possesso del primo getto dell' opera
ci è ormai largamente consentito, di quella che potremmo dire la
storia genetica del mondo morale rispecchiato nelle forme di vita
e di poesia del capolavoro. Vedere, cioè, con quali disposizioni e
tendenze la coscienza cristiana del Manzoni si sia preparata all'opera
e l'abbia via via disegnata e ripensata e trasformata con laborioso
sforzo d'approfondimento e di purificazione della materia e de' mo-
tivi, derivati dalla sua concezione morale, ovverosia religiosa, del-
l'uomo e della sua storia, ecco quanto è lecito fare a compimento
della presente ricerca.
Gli anni tra il '19 e il '21 sono date solenni nella storia dello
spirito manzoniano. È allora che lo colpisce la nota censura del
Sismondi riguardo agli effetti della morale della Chiesa cattolica
sul carattere e la vita secolare degl' italiani e vi suscita quella
LA GENESI ETICO -RELIGIOSA 85
grave e profonda discussione dottrinale — 1' abbia o no sollecitato
al gran lavoro mons. Tosi — che si concreta in quell'opera, mode-
stamente intitolata « Osservazioni sulla morale cattolica » (*), in cui
rivive con la schietta spiritualità, del Vangelo or la gagliarda e
serrata eloquenza d' un Bossuet e ora la fervida analisi psicologica
d'un Massillon. Eccolo intanto a rimeditare il problema religioso in
Italia, ad approfondire i principi essenziali del cristianesimo, ad
illustrare con vivacità apologetica il contenuto morale dell'insegna-
mento evangelico e delle istituzioni e dottrine fondate dalla Chiesa,
ad esaltarne l'officio educativo nel mondo. E un ardore, codesto,
che non posa neppure dopo la composizione e la stampa della
« Parte prima », ma prosegue, tra la fine del '19 e il '20 in Milano
e durante il soggiorno parigino, nel serio e vasto disegno della
« Parte seconda » (■^), che, se non ottenne l'organica compiutezza di
quella, ha ricchezza di dottrina e vigor dialettico non minore e, a
tratti, pari eloquenza. Nel 1819 medesimamente dava compimento al
Carmagnola (^), ripigliava il soggetto della Pentecoste, secondo un
nuovo concetto e disegno (■•), e sulla fine dell' anno seguente si
metteva a lavorare attorno V Adelchi con l'intento di condurlo a
termine nella primavera dell' anno dopo (^) ; e, intanto, ne' primi
mesi di questo ideava e cominciava la prima stesura del romanzo
e componeva d'impeto, nel maggio, l'ode napoleonica. « Travaglio »
come scriveva in que' giorni Ermes Visconti {^) straordinario in
così breve giro di tempo. E s' aggiunga che nel novembre di quel
medesimo '21 poneva termine, non solo, come s'era ripromesso, alla
tragedia d'Adelchi, ma altresì al Discorso storico sui Longobardi e
veniva già correggendo l' una e l'altro per la stampa e in que' giorni
anche si proponeva di preparare un altro discorso, da lungo tempo
meditato, sull' influenza morale della tragedia; dopo di che avrebbe
ripreso il romanzo o dato principio ad una tragedia (ecco il tempo
delle vivaci Postille polemiche alla storia romana del Rollin) ad una
(1) Scritte e pubblicate in pochi mesi dalla fine del '18 (v. Cart. cit., p. 416) alla
primavera del '19, in cui furon date immediatamente alla stampa per cura del can.
Tosi (V. Cart. cit., p. 419).
(2) V. in Cart. cit. la lett. del can. Tosi all'ab. Lamennais del 28 die. 1819 e
quella a Giulia Manzoni del 29 apr. 1820 (pp. 455 e 489).
(3) V. Cart. cit., p. 455.
(4) V. il mio studio sulla Composizione della " Pentecoste „, Milano, Albrighi,
Segati e C, 1920.
(5) V. lett. dal 17 ottobre 1820 in Cart. cit., p. 499.
(6) L'amico scriveva allora al Fauriel che il Manzoni pareva " un altro uomo ,,
quando lavorò sul Caì-rnagnola e. poi, sull'Adelchi, e che il lavoro lo rianimava e
rallegrava (V. Cart. cit., p, 504).
86 PARTE PRIMA
tragedia su Spartaco (*), È questo, dunque, il periodo non solo della
maggiore fecondità del poeta, ma anche della più ardente e medi-
tativa attività del pensatore cristiano e del critico della storia.
Dacché il Manzoni, mentre maturava l'Adelchi, veniva disegnan-
do il romanzo degli Sposi promessi e tra il compimento di quello
e il proseguimento di questo vagheggiava medesimamente un dram-
ma d' oppressi e d' oppressori sullo sfondo storico della rivolta
spartachiana e sul motivo evidente del conflitto, tra la superba e
feroce, com'ei la giudicava, morale degli antichi e i presentimenti
della novella fede redentrice del mondo, ciò presuppone un pensiero
comune, una comune disposizione dell' intelletto e del sentimento,
una comune concezione morale dell' uomo e della storia; l'avere nel
medesimo tempo atteso all'indagine e alla meditazione storica e
ripreso in esame la questione della moralità delle opere tragiche,
è cosa parimente che indica un indirizzo di studi e di riflessioni che
con quelle tendenze e aspirazioni ha uno stretto legame.
All' inizio di questo rinnovato fervore di dottrina e d'arte sta la
Morale cattolica nella parte compiuta e nel materiale preparato per
la seconda. Di essa principalmente mi sono servito ne' precedenti
capitoli per ricostruire il pensiero morale, religioso e sociale del
Manzoni, al fine di determinare i principi informatori e i motivi,
suscettibili di trasfigurazione poetica, di quel mondo ch'egli ha ri-
flesso ne' Promessi sposi,' ad essa dobbiamo porre tuttavia piìi di-
retta attenzione, per illustrare la primitiva concezione morale del
romanzo, per indagare anzitutto in quale stato d'animo si mise al-
l'opera e come su questa si riverberasse lo spirito delle recenti
discussioni apologetiche ; nello stesso modo che degli studi storici,
delle idee letterarie, di lunga mano meditate, ma allora riordinate
ed esposte, e massimamente della concezione etica del dramma
storico, quale in quegli anni s'era formata meditando sullo Shake-
speare e sul Bossuet, vedremo a suo tempo gì' influssi nel primitivo
concetto e disegno dell'opera, ormai nota col nome di Sposi promessi.
La prima volta il romanzo uscì dalla coscienza e dalla fantasia del
Manzoni con le severe impronte della Morale cattolica, co' segni,
cioè, più risentiti ed espressi, di quel pessimismo cristiano, i cui
principi e motivi abbiamo potuto massimamente raccogliere appunto
dalla « Prima » e dalla « Seconda parte » di quella dissertazione
apologetica. Esso è manifesto — e le ulteriori analisi della prima
(1) V. Cari, cit., p. 517. Per questo soggetto sappiamo che veniva allora diligen-
temente raccogliendo il materiale storico e studiando i tempi, e che disegnò delle « di-
visioni cronologiche» per la trama drammatica (V. Opp. in. o r., voi. I, pp. 275-88;.
LA GENESI ETICO - RELIGIOSA 87
Stesura ne saranno dimostrazione e conferma — nella concezione
e nella dipintura de' caratteri dei personaggi, nella descrizione di
certe situazioni, nello svolgimento generale dell'azione e nel destino
risolutivo d' alcuni colpevoli.
Già io stesso in alcuni miei saggi (^) ho avuto occasione d' accen-
nare alla piìi alta e più delicata pietà cristiana, alla più serena me-
ditazione e più profonda comprensione etica con cui il Manzoni ha
riguardato, riconcepito e riatteggiato la complessa materia del ro-
manzo nella forma definitiva; più di recente ne ha trattato con
maggior larghezza Attilio Momigliano (^), il quale giustamente os-
serva, a proposito dell'atteggiamento etico-religioso negli Sposi pro-
messi, che « qualche volta sembra di vederci, come negli Inni sacri
minori, più che il credente da molti anni convinto, il neofita entu-
siasta e quindi anche un po' insistente e non sempre animato dalla
fiamma lucida e immobile d'un sentimento, ormai connaturato col
suo spirito » (^), e fa opportuni rilievi sui personaggi per dimostrare
che, se pur negli Sposi promessi « la religiosità c'era, e profonda»,
era, però, « insistente e frondosa e metteva troppo in vista lo scopo
edificante » {*) : dimostra, insomma, che « una delle differenze prin-
cipali fra la prima minuta e la prima stampa consiste nell' elevarsi
dei pensieri, dei fatti, dei personaggi — anche di quelli malvagi —
in un' atmosfera morale più pura e più vasta » (^).
Vedremo nello studio della genesi psicologica e poetica de' singoli
personaggi, pel quale ci gioverà massimamente il raffronto analitico
tra la minuta e la stampa, se questo processo d'elevazione più no-
bilmente religiosa sia stato sempre, per tutti i casi e per tutti i
personaggi, mantenuto dal Manzoni. Certo h che il primo getto del
romanzo risentiva in modo più suggestivo e immediato il contatto
ideale con le pagine della Morale cattolica, nutrite di così austera
fede e di così eloquente dottrina; attorno alle quali, per giunta, il
Manzoni lavorava ancora nel tempo che veniva ideando e disegnando
il romanzo; risentiva — ciò che più importa notare — del. mede-
simo appassionato spirito apologetico e polemico, onde quelle erano
informate, e non rifletteva ancora quella benigna e profonda visione
del male e del dolore, ispiratrice di pietosa e sorridente indulgenza.
(1) Saggi manzoniani, Napoli, Studio edit. dell'* Eco della cultura», 1916, pp. 26,
28, 36, 39.
(2) La trasformazione degli « Sjjosi promessi », in Giorn. stor. d. lett. ital.,
LXX, 61 e segg.
(3) Op. cit., pp. 76-7.
(4) Op. Cit., p. 79.
(5) Op. Cit., p. 64.
88 PARTE PRIMA
che ha illuminato il poeta nel rinnovamento spirituale dell'opera
sua. La tesi etico-religiosa, oltre alla tesi storica, come vedremo nel
capitolo seguente, vi si rilevava con ostentata premura; né c'è da
meravigliarsi, giacche quel medesimo spirito rigoroso e accorato
con cui il moralista cattolico aveva difeso la morale religiosa dalle
accuse dell' acuto storico calvinista, dimostrando con pertinace dia-
lettica che la cagione de' nostri mali ed errori non è ne' precetti,
nelle istituzioni e nell'opera della Chiesa saldamente fondata sul
Vangelo, ma nell' aberrare lontano da essa, ne' sofismi della ragione
e delle passioni, nella violenza degl'istinti, nella confusione dell' utile
col giusto e massime nello straniarsi dalla carità, e aveva corag-
giosamente sostenuta la necessità che si svelino e combattano —
giacché ci sono — le superstizioni e gli abusi nel seno stesso del
cattolicesimo e da chi ha più fervore di fede, non poteva non avere
un'eco profonda nell'abbozzo d' un'opera, a cui concorreva non meno
la meditazione religiosa (^) che lo sforzo d' analisi psicologica e di
rappresentazione poetica e in cui appunto le verità del Vangelo ve-
nivan messe a duro cimento con le passioni del mondo. Di qui la
mediocrità artistica — salvo pochi casi — della forma primitiva,
pojchè qualunque realtà, che diventi materia soggettiva d'un mondo
poetico, non può essere compenetrata d'umanità profonda né illu-
minarsi di pura luce fantastica, quando ancora la soggioghi ed agiti
una tesi dottrinale, una passione civile, insomma una preoccupazione
pratica e intenzionale dello spirito.
Insieme con lo scritto apologetico per la morale cattolica, con-
corrono opportunamente ad illustrare l'influsso del rigorismo reli-
gioso sulla genesi primitiva de' Promessi sposi le riflessioni che il
Manzoni faceva sullo stato della Chiesa e della religione in Francia
durante il suo soggiorno, non breve, a Parigi, dov'era andato intorno
alla metà del settembre del 1819 e donde tornò al principio d'au-
tunno del '20. C'è una lettera di que' giorni al can. Tosi ('), nella
quale, oltre ad esser visibile V influsso del padre Gregoire ne' giu-
dizi espressi sullo stato e il problema religioso in Francia e sul-
l'opera dell' ab. Lamennais, sono osservabili il pensiero commosso
(1) che tutto il suo intelletto fosse pieno e dominato dall' « evidenza della reli-
gione cattolica» e ne dovessero essere conipenetrati tutti i suoi scritti, confessava lo
stesso Manzoni alla contessa Diodata Saluzzo (lett. dell' 11 genn. 1828, in Epist. cit., voi.
I pp. 362-3); che le intenzioni cristiane, anche se non ispirarono direttamente il romanzo,
vi prendessero posto per compiacere alla sua coscienza e per rendere omaggio alla
verità, dichiarava l'autore stesso al suo traduttore, il march. G. B. de Montgrand
(lett. del 31 genn. 1832, in Epist. cit., voi. I, p. 433).
(2) Lett. del 7 apr. 1820, iu Cari, cit., p. 481 e segg.
LA GENESI ETICO - RELIGIOSA 89
che tutta occupa l'anima del giovine credente, il calore con cui
difende Io spirito evangelico e la verità unica della religione cat-
tolica, le dimostrazioni di dolore per le aberrazioni altrui in materia
religiosa, pel discredito, in cui era caduto colà il sentimento reli-
gioso, per r abuso dello stesso clero, che adoperava la religione come
arma d'assolutismo politico, per la confusione, insomma, irta d'odi,
di contese, d' asprezze, tra la politica e la religione. « Del resto —
scriveva con alto movimento lirico il Manzoni — i grandi libri del
secolo decimosettimo dimenticati ; la memoria dei loro autori trat-
tata come Ella ha veduto in quel libro che le ha dato tanto dolore,
la cattedra evangelica convertita spesso in tribuna politica, le lettere
pastorali divenule spesso « pamphlets » politici (e che pamphlets!),
l'essenza del Cristianesimo, l'amore di Dio e del prossimo, 1' anne-
gazione, l'indulgenza, il perdono divenute cose secondarie, le grandi
massime dimenticate, l'ignoranza crescente, il Pelagianismo trion-
fante ». E pochi mesi innanzi allo stesso Tosi (*) e sul medesimo
argomento aveva scritto : « a malgrado degli sforzi di alcuni buoni
ed illuminati cattolici per separare la religione dagli interessi e dalle
passioni del secolo, malgrado le disposizioni di molti increduli stessi
a riconoscere questa separazione, e a lasciare la Religione almeno
in pace, sembra che prevalgano gli sforzi di altri che vogliono as-
solutamente tenerla unita ad articoli di fede politica, ch'essi hanno
aggiunti al Simbolo, Quando la Fede si presenta al popolo così ac-
compagnata, si può mai sperare ch'egli si darà la pena di distin-
guere ciò che viene da Dio, da ciò che è l'immaginazione degli
uomini »? Ed era appunto questo il tempo che il Manzoni lavorava
seriamente intorno « al secondo tomo promesso » della Morale cat-
tolica, proprio in Parigi^ dove non ne aveva portato che « i primi
schizzi »; il tempo che all'uopo raccoglieva materiale abbondante
e ne discuteva e vi rimeditava sopra, tanto che il Tosi ripromet-
tevasi C^), al suo ritorno, la compiuta l'edazione di essa parte se-
conda; la quale ne' sette capitoli sparsi e ne' frammenti che —
come si sa — rimasero inediti conteneva appunto idee e discus-
sioni, così strettamente connesse con le amare riflessioni delle due
lettere citate, sui rapporti della religione cattolica con lo spirito del
(1) Lett. del 1. die. 1819, in Cart. cit-, p. 451 e segg.
(2) Queste notizie si desumono dalla lettera già cit. del can. Tosi all' ab. La-
mennais e a Giulia Manzoni, le quali provano che il lungo discorso sullo Spirito del
secolo non può essere stato composto prima del '19, come congettura il Bonghi. (Av-
vertenza prem. all'ediz. della Parte seconda, in Opp. in. o. r., voi. Ili, p. 238, n. 1),
prima, cioè, della pubblicazione della Parte prima, e che il maggior numero di que'
capitoli furono scritti, o almeno abbozzati, sul finire del '19 e nel corso del '20.
90 PARTE PRIMA
secolo, con le idee de' filosofi razionalisti, massime del Settecento,
con le istituzioni e le vicende politiche della società. Dal che
possiamo trarre alcune conclusioni : che giammai come in questi
anni, dal suo ritorno alla fede, il problema religioso occupò tanto
intensamente il cuore e l'intelletto del Manzoni e che novello inci-
tamento a rimeditarlo, ad approfondirlo in tutte le sue parti furono
non meno le accuse d'uno storico di tanta autorità e rinomanza,
qual era il Sismondi, che lo spettacolo offertogli dalle agitazioni po-
litico-religiose del pensiero francese contemporaneo; che lo scopo
onde riceve unità d'intenti e di dottrina ogni suo scritto su materia
religiosa, compiuto o incompiuto che fosse nel giro di quel fervido
triennio dal '19 al '21, fu di distruggere l'accusa che la morale
cattolica fosse stata e fosse tuttavia « cagione di corruttela per
l'Italia », di provare che essa, al contrario, « è la sola morale santa e
ragionata in ogni sua parte e che ogni corruttela viene anzi dal tra-
sgredirla, dal non conoscerla o dall' interpretarla alla rovescia» (*);
che, infine, nel primo trasmutarsi agitato e alquanto scomposto della
sostanza etico-religiosa nella varietà de' motivi sentimentali del ro-
manzo in cui hanno avuto la lor genesi il dramma, i personaggi e
ogni altra rappresentazione poetica, il moralista prepotè sul poeta,
la passione dell'apologista cattolico, non ancora riposata dalle re-
centi discussioni e impressioni, continuò, per dir così, a fermentare
nella concezione morale di quel mondo umaro, in parte evocato
dalla storia e in parte fantasticamente intuito.
II. Che il Manzoni ponesse mano alla prima composizione del
romanzo con 1' animo, se non dominato, certamente turbato da ten-
denze polemiche e pessimistiche, lo prova quel suo vigile atteggia-
mento di commentatore e, spesse volte, di censore de' fatti che
narrava e de' personaggi e delle situazioni loro, che veniva descri-
vendo. Era un aspetto di quel soggettivismo critico che nella prima
stesura preponderava, perturbando la pura contemplazione artistica,
nella duplice forma del moralismo e dell'intellettualismo, e che per
essere una tendenza d'origine e, dirò anzi, un abito della mentalità
manzoniana, ha lasciato — non ostante il successivo lavoro d'elimi-
nazione e di affinamento — impronte evidenti nell'ultima redazione.
Quelle ad ogni modo, più profonde e più copiose, della prima rive-
(1) V. Prefazione alle Oss. s. mor. catt., p. 123.
LA GENESI ETICO - RELIGIOSA 91
lano un momento considerevole nella formazione genetica dell'opera,
nel quale la meditazione storica, ovverosia l' analisi dell' indole e
de' costumi della società secentesca, appassionava l'animo del mo-
ralista cattolico e 1' allettava alla meditazione de' motivi e de' pro-
blemi morali, cosi che il raziocinio inframmettevasi frequentemente
nell'elaborazione fantastica della materia per intesservi apprezza-
menti, giudizi e di tanto in tanto imprevedute dissertazioni. L'ab-
bondante materiale d' ispirazione intellettualistica e moralistica,
frammischiato al romanzo e alle inevitabili narrazioni storiche, è la
più probatoria testimonianza di quelle predisposizioni e preoccupa-
zioni intellettuali e morali che presiedettero alla preparazione dei
Promessi sposi e alla loro prima formazione. Soffermiamoci, per ora,
sulla parte moralistica per dimostrare con nuove prove come la
primitiva genesi del romanzo si connettesse agli scritti dottrinali
del poeta e a certa disposizione pessimistica del suo sentimento
cristiano.
Rude ed aspro il giudizio della perversità degli uomini e de' loro
difetti morali, quando non era atrocemente ironico; spietata l'ana-
lisi delle aberrazioni sentimentali e mentali del Seicento italiano;
ostentatamente rigoroso l'esame della falsa religiosità di que' tempi :
dolce il riposare la mente e il cuore nel ricordo del cardinal Fe-
derigo distraendosi dalla « rude, stolida, schifosa perversità » ('), su
cui s'era dovuto trattenere così a lungo. Nel descrivere il furore
dì Renzo dopo la forzata rivelazione di don Abbondio, osservava
che « i provocatori, i soperchiatori, tutti quelli che in ogni modo
invadono i diritti altrui, sono rei non solo del male che fanno, ma
del pervertimento a cui portano gli animi dì coloro che offen-
dono » (*); alla qual riflessione (importa notarlo pel nostro assunto)
corrisponde una delle Postille alla Histoire des empereurs romains
del Crevier(^) che io ritengo scrìtte, se non nel '19, almeno prima
della composizione del romanzo. L' analisi de' vagheggiamenti pec-
caminosi della signora di Monza metteva capo a questa meditazione:
« le consolazioni della mala coscienza profittano altrui come al fi-
lli Sp. prom., p. 354. Più mite e anche più esatto ne' Prom. sp.: «dopo tante im-
magini di dolore, dopo la contemplazione d'una molteplice e fastidiosa perversità»
(cap. XXII, p. 3161.
(2) Sp. proni.., p. 41. Cfr. Prom. sp., cap. ITI, p, 40.
(3) « Les injusiices extrèmes portent souvcnl ceux qu' en souffrent à un grand
degré de perversité; la cause n'est pas ime excuse pour eux, mais il est bon de 1;l
remarquer, et il r('est pas juste de leur atlribuer tout le blàme du mal qu'ils font»
(in Opp. in. 0 r., voi. II, p. 313). Si noti che il Manzoni postillava un'edizione pari-
gina del 1818.
92 PARTE PRIMA
gliuolo di famiglia le somme ch'egli tocca dall'usuraio » (^) ; la quale
pare rifiorita di su una pagina eloquentissima della Morale cattolica,
dove il Manzoni aveva ragionato delle « vantate consolazioni » del-
l' « orgoglio » (^). Nel tratteggiare il cupo e amaro scetticismo della
pervertita, rifletteva severo e doloroso : « V ha nelle teorie del vizio
qualche cosa di più pensato, di più profondo, di più verosimile che
non appaia nelle massime del dovere espresse in un modo volgare
e talvolta inesatto j di modo che il pervertimento può parere facil-
mente un progresso di ragioni. Ben è vero che al di là di quelle
teorie ve n'ha una più profonda e vera che mostra la loro falla-
cia; ma questa non è dato trovarla se non ad una meditazione po-
tente o ad un sentimento retto » (^).
In una lunga finissima analisi del contegno degli onesti in cospetto
de' birboni, a proposito della visita di padre Cristoforo a don Ro-
drigo, ne studiava la diversità nella vita e nel teatro: qui, dove « si
vive meglio che a questo mondo », se le birbonerie, le scelleratezze
sono più « colossali », per compenso i difensoi'i delle cause giuste
hanno « in faccia dell'empio ancor che trionfante una sicurezza,
una risoluzione, una superiorità di animo e di linguaggio, che dà
loro la buona coscienza » ; nella vita, invece, dalla considerazione
de' « mezzi » da adoperare, degli « ostacoli », da affrontare, dallo
studio di cautela, di riguardo derivante dalla responsabilità della
causa assunta, sono messi in uno stato d'imbarazzo, «d'angustia e
di vergogna che si crederebbe rimorso » ; onde, ne' fatti e ne' di-
scorsi, finiscono con l'essere soverchiati di fronte « ai loro avversari
risoluti ed incoraggiati dalla forza e dalla abitudine di vincere » e
« spesse volte, convien dirlo, dal favore o sciocco o perverso degli
spettatori > {*). Non è chi non senta il fondo amaro di queste ri-
flessioni, ispirate dalla realtà della vita, e la fiera angoscia che
stringe il cuore al moralista al pensiero che venga meno la certezza
e r ardore nel duro contrasto: « pur troppo, tolti alcuni casi, l'uomo
che non ha che sé per testimonio e per approvatore, e che vede
negli altri contraddizione e scherno, perde facilmente fiducia e
quasi quasi è disposto a dubitare » (^). < Fortunatamente — osser-
vava in altro luogo — è un disegno sapientissimo della Provvidenza
regolatrice del mondo, che le perfidie le più studiate a danno altrui
(1) Sp. prom., p. 242.
(2) Oss. s. mor. catt., p. 343.
(3) Sp. prora., p. 243.
(4) Sp. prom., pp. 87-8.
(5) Ivi.
LA GENESI ETICO -RELIGIOSA 93
non sono mai tanto bene studiate, tanto bene eseguite, che non ri-
manga sempre qualche traccia della mano che le ha ordite. L' uomo,
che intraprende una buona azione, quando sia un po' avvezzo a
riflettere, prevede sovente^che non sarà senza inconvenienti: i bir-
banti avrebbero una parte troppo buona nelle cose di questo mondo,
se dovessero nelle loro birberie essere esenti da ogni perplessità » (^). '
Consolante certezza de' limiti e difetti della stessa potenza del male
nel mondo, che, temperando la dolente visione del [duro contrasto
dei buoni coi tristi, suggeriva, fin dal primo disegno del romanzo,
i modi e le risoluzioni del dramma morale affacciatosi alla medita-
zione del poeta. Ma di questo dramma prevalevano pur sempre le
impressioni e i risalti d'intonazione pessimistica. La delicata me-
stizia, per es., dell' * Addio, monti» dell'ultima maniera non si ri-
trovava certamente nella prima stesura e tanto meno in quella se-
conda redazione (non meno di tre ne tentò il Manzoni prima di
giungere alla definitiva), in cui suonava cupo e fremente il com-
mento all'angosciosa fuga degli sposi già in quel motivo iniziale:
« L'uomo sa tormentare l'uomo nel cuore; e amareggiargli il pen-
siero di modo che anche la memoria dei momenti passati lietamente
affacciandosi ad esso, perde ogni bellezza, e porta un rancore non
temperato da alcuna compiacenza », e ripeteva le sconsolate parole,
già messe in bocca a fra Cristoforo nella prima stesura dell'opera^
nel paragonare al serpente usurpatore delle umane abitazioni l' uomo,
che « pure caccia talvolta l'uomo sulla terra, come se gli fosse
destinato per preda», così che «il debole non può che fuggire
dalla faccia del potente oltraggioso » ; al che seguiva severa, recisa
la predizione evangelica: «ma i passi affannosi del debole sono con-
tati, e un giorno ne sarà chiesta ragione » (■^).
La dottrina del coraggio cristiano, della quale abbiamo visto
quanta parte avesse nel pensiero religioso del Manzoni e nell' ispi-
razione etica del romanzo, lasciava travedere nella prima composi-
zione dell'opera lo sfori. 0 della tesi: il moralista tentava di prendere
la mano al poeta. Basterebbe raffrontare la prima e 1' ultima reda-
zione del colloquio di fra Cristoforo con don Rodrigo. A parte la
maggior copia di modi vivaci (^), eh' era nel discorso del frate, e
(1) Sp. prom, p. 335.
(2) Sp. prom, App. F* pp. 805-6.
(3) La frase, ad es., della stampa: «per soverchiare due innocenti» {Prom. sp.,
cap. VI, p. 75) diceva prima cosi; «per sopraflFare indegnamente due poveri inno-
centi » (Sp. prom., p. 101) - Quel « non s'ostini a negare una giustizia così facile, e
cosi dovuta a de' poverelli» {Prorn. sp., cap. VI. p. 76) suonava: «non si ostini a
94 PARTE PRIMA
la risolutezza più spedita nell'espressione del pensiero (^), uscivano
dalle sue labbra sentenze minacciose e fieri giudizi, che il Manzoni,
poi, ha corretto o addirittura soppresso. Così, dopo aver detto della
vanità della gloria mondana dinanzi agli uomini e, tanto più, di-
nanzi a Dio, l'ardito difensore di Lucia sermoneggiava minaccioso
come dal pulpito: « Fare il male è concesso sovente all'ultimo degli
uomini: il più vile dei banditi può far tremare. Non v' è disonore
a ritrarsi dall'iniquità: la codardia sta nel fare delle azioni inique
per timore di scomparire dinanzi ai tristi. Signor Don Rodrigo, le
parole eh' io proferisco ora dinanzi a lei sono numerate, un giorno
le potrebbero esser fatte scontare ad una ad una da Colui che me
le ispira » (*). Dopo lo scoppio di sdegno alla turpe proposta del
suo interlocutore, ammoniva anche più rudemente, franco e minac-
cioso: « Ne ho visti di più potenti, di più temuti di voi; e mentre
agguatavano la loro prèda, mentre non avevano altro timore che
di vederla fuggire, la mano di Dio si allungava in silenzio dietro
alle loro spalle per coglierli » (^). C'erano pure altri' luoghi che ri-
velavano r intenzione apologetica dello scrittore cristiano, come
quella « parenthèse apologetique », quale la definiva il Fauriel con-
sigliando di sopprimerla: «Quando si è persuasi d'una verità bi-
sogna dirla; l'adulazione ad una opinione predominante ha tutti i
caratteri indegni di quella che si usa verso i potenti » (^).
Era questa un'idea viva e insistente nel pensiero civile e religioso
del ]\Ianzoni e strettamente congiunta con la sua dottrina del corag-
gio cristiano: ispiratrice segreta di molta parte del romanzo, trovava
la più efficace conferma nelle aberrazioni della società secentesca,
movendo e appassionando a un tempo il filosofo della storia e l'ar-
volere una misera, una indegna soddisfazione a spese dell'anima sua, e delle lagrime
dei poverelli» (S^ì. proni, p. 102). Mandato da Dio «a pregare per una innocente»:
così ora fra Cristoforo dice di sé; ma prima diceva: «ad avvertii'la di non toccare
una innocente, lasciare in libertà una innocente » (Sp. ììvom., p. 103).
(1) La delicata reticenza del testo: «Lo può; e potendolo la coscienza, l'o-
nore— » {Prom. sp., cap. VI, p. 75) non e' era; ma, anzi, e' erano aperte e imperiose
l)arole: « Lo può e ardisco dirle, lo deve. La sua coscienza, la sua .sicurezza, il suo
onore, sono interessati in questo sciagurato affare» (Sp. prom., p. 101). In luogo di
quella frase, piena di senso pauroso, ma pur essa sospesa; « li' innocenza è potente
al suo.... » (Prom. S2}., cap. VI, p. 76) c'era quasi una diretta intimazione : « risparmi
l'innocenza» (Sp. prom., p. 102). E parimente l'indefinito, il vago di quelle parole:
«Lei può molto quaggiù, ma — » è una novità del testo, che nella prima stesura
c'era un preciso, minaccioso invito « a ritrarsi dall'iniquità» (Protn. sp., p. 76; Sp.
prom., p. 103).
(2) Sp. proin., pp. 102-3. '
(3) Sp. prom., pp. 104-5.
(4) Sp. prom , p. 60 e n. 2.
LA GENESI ETICO-RELIGIOSA 95
tista nella descrizione de' tumulti per la carestia, nelle narrazioni
delle vicende connesse e nell'analisi rigorosa della comune follia. 11
Manzoni pensava che il maggior coraggio è appunto nel resistere
e opporsi alle false opinioni generali ; che i pregiudizi e gli errori
nascono dalla passione e prosperano con la viltà. Era questo il
dramma intellettuale e morale del Seicento, che egli scrutava con
tanto più vivo interesse, in quanto sulle opinioni dominanti nelle
varie età veniva in quel torno di tempo meditando e scrivendo,
come abbiam visto, per preparare la seconda parte della Morale
cattolica.
Che l'indagine, rivolta — pur tra i limiti imposti dalle esigenze
dell' arte — alle aberrazioni non meno delle idee che de' sentimenti
di quell'età, fosse una delle sue cure maggiori nell' accingersi al-
l'opera, non v'ha dubbio: ad alimentarla vi contribuì in parte, come
vedremo, il concetto ch'egli s'era fatto del romanzo storico; ma
valsero massimamente i recenti studi religiosi e le vivaci discus-
sioni apologetiche, che tuttavia appassionavano la sua coscienza.
Gli Sposi promessi sono un'opera di transizione nella storia mentale
e artistica del genio: stanno tra la florale cattolica e i Promessi
sposi a significare la meravigliosa fatica interiore sostenuta dal mo-
ralista religioso per trasformarsi nel poeta cristiano. Il Manzoni non
tralasciava occasione per dare il più severo rilievo non meno alla
barbarie intellettuale che alla ferocia delle passioni di quella troppo
vilipesa età della vita italiana. Si veda, per es,, come esaminasse
l'idea e il sentimento dell'onore e delle derivate costumanze di quel
tempo. « Le massime di puntiglio e di vendetta allora si conside-
ravano come leggi eterne e naturali di onore » (*). « La vendetta
era comunemente stimata non solo lecita ma onorevole ». Non pote-
va nulla la parola del Vangelo contro « questa massima perversa » ?
« L'opinione quasi generale sussisteva col favore di una distinzione »,
della quale scrive il Manzoni, guardando con amarezza al « vivere
presente », che « a malgrado della sua assurdità, o forse a cagione
della sua assurdità, non è ancora del tutto caduta in disuso ». « Si
diceva » cioè, « che i preti facevano il loro dovere, che dicevano
benissimo che la vendetta secondo la religione era viziosa, ma che
ella era un dovere secondo le leggi dell'onore ; così si diceva e non
dai più perversi, né dai più stolti ».
Esse « domandavano sangue per molti casi ; senza che questo
onore cosi delicato si stimasse poi offeso se per necessità il sangue
(1) Sp. prom., p. 72.
96 PARTE PRIMA
si fosse dovuto versare a tradimento o per mano di sicari ». « Al-
lora v'erano molti casi in cui l'avere ucciso o fatto uccidere, non
toglieva alla riputazione d' un uomo » : la giustificazione, resa « di-
nanzi all'opinione pubblica», che piìi spesso era « un leggero in-
teresse, una picciola passione », bastava « dinanzi ad opinione già
tanto perversamente indulgente » (^), Che anche i meno tristi fra i
tristi trascorressero all'omicidio per una falsa idea dell'onore era la
dolorosa verità che ritornava nelle parole di fra Cristoforo, ramme-
morante a Renzo il suo delitto: « V'era una cosa che io amavo
troppo. Sì, figliuolo, ciò eh' io chiamavo il mio onore, io lo amava
ardentemente, sopra ogni cosa come avrei dovuto amar Dio. E
quando la vita d'un uomo... gran Dio! la vita d'uno fatto a vostra
immagine! si trovò in confronto col mio onore, io gliel' ho sacri-
ficata » (^). In questi tristi ricordi, in queste sconsolate riflessioni
e in altre che seguivano nel colloquio con Renzo il Manzoni aveva
r intenzione di svolgere il motivo etico di quella feroce idea del-
l'onore che, secondo il suo giudizio di storico e di moralista, aveva
pervertito lo spirito e i costumi della società del Seicento: la tesi
dottrinale traspariva da quella scena^ non che da quella svoltasi
due volte in casa di Lucia tra lo stesso padre Cristoforo e Renzo
furibondo di vendetta, massime la seconda volta pel modo concitato
e quasi violento (^). Ebbene, il Manzoni se ne dovette accorgere,
dacché le rifece radicalmente, quella del lazzaretto e la prima, av-
venuta nella casa della sposa, contenendo in modi sobri e succinti,
l'altra addirittura sopprimendo (■•). Dove pure il Manzoni scopriva
il pervertimento del secolo era nell' « iniquo furore » contro i pre-
sunti untori. Parecchio si sofferma su questo argomento nell'ultima
redazione; ma molto di più ne aveva scritto nella prima stesura.
Ritrovava la maggiore causa del fenomeno non tanto nell'igno-
ranza e nella « falsa scienza delle cose fisiche » e in altre circo-
stanze, da lui accennate, quanto nell' «irreligione», poiché se quelle
« poterono far ricevere comunemente l'opinione astratta di unzioni
e di congiure, furono certamente — osservava — le disposizioni
anticristiane di quel popolo corrotto che rendettero quella opinione
attiva e feroce nell' applicazione. Nessuna ignoranza avrebbe bastato
a così orrendi effetti . . . , se fosse stata insieme congiunta con quella
carità, che è paziente, benigna, che non s'irrita, che non pensa il
(1) Sp, prom.^ pp. 235-6. V. anche App. G., p. 818.
(i) Sp. prom., pp. 716-7.
(3) Sp. prom., pp. 83-4, 119-21.
(4) V. i miei Saggi manz. cit., j)p. 6, 9-10.
LA GENESI ETICO -RELIGIOSA 97
male, che tutto soffre > (*). E veramente ciò che caratterizzava il
Seicento agli occhi del Manzoni era qualcosa d'eccessivo, di fanta-
stico nel male e perfino nel bene ; onde dopo avere descritta, più
ampiamente nella prima redazione (*) che nell' ultima, la parte eroica
sostenuta dalla religione al tempo della peste, rilevava ìtltresì, con
manifesto rimprovero, l'eccesso di que' religiosi che « passando dal
disprezzo della morte al desiderio e dal desiderio alla ricerca >,
trascurarono « le cautele, che pure erano compatibili con l'opera,
quasi per non lasciarsi sfuggire il premio ». « Bell'eccesso direbbe
qualcuno, se non riflettesse — soggiungeva il Manzoni — che la
religione proscrive tutti gli eccessi; perchè il saggio, il temperato,
il ragionevole ch'ella comanda o consiglia, è più nobile e più bello
di qualunque esaltazione fantastica » (^). Ma più orribile e funesta
gli appariva quell'eccessività passionale nella prepotenza degli errori
e delle superstizioni {*) ; come nella « disposizione universale a sup-
porre cause soprannaturali » nel fenomeno della peste, quali « l'in-
tervenzione del demonio » 1' € esistenza » e « frequenza delle streghe
e degli stregoni », come nella « corrività a creder misfatti, al di là
delle nozioni dell'esperienza », nell' «orgoglio », nella « stolta riva-
lità, talvolta », neir « infame politica » che l'odio degli stranieri
ispirava (^). E se c'eran di quelli che non credevano agli attentati,
erano « presi essi stessi in sospetto di complici o di fautori, giacché
dal non credere un delitto ad approvarlo il salto è grande; ma la
logica delle passioni — osservava con amara ironia il Manzoni —
è agile e sa farne senza difficoltà anche dei maggiori > (®). Con que-
ste aberrazioni, generate nell'avvenimento di gravi calamità dal-
l'ignoranza, dall' irrifiessione, dall' « esperienza troppo reale» dei
delitti, si congiungevano ad accrescere « il pervertimento quasi ge-
nerale nelle idee» « i mezzi d'impunità... vari e infiniti, la stessa
frequenza dei delitti », che « ne aveva diminuito il ribrezzo e la
vergogna », perfino « negli uomini che non erano sanguinari », e quel
« sentimento universale che una certa misura di animosità, di cru-
(1) Sp. prom., p. 683.
(2) Sp. prom., pp. 660-3.
(3) Sp. prom., p. 736.
(4) Non ne manda immune neppure il card. Federigo; se non che gli «errori stessi,
che la prepotenza dell'universale consenso aveva imposti alla sua mente, sono sem-
pre accompagnati e quasi scusati da una intenzione pura ». iSp. prom., p. 355).
(5) Sp. prora., pp. 665-6. Di strane imputazioni e di assurde interpretazioni s'oc-
cupavano le pp. 667-71. Da p. 652 a p. 657 troviamo un abbozzo d'una vera disserta-
zione sulla storia delle idee presso le diverse generazioni, con accenni alle idee e agli
errori contemporanei. V., su questo proposito, F. Crispolti, art. cit.
(6) Sp. prom., p. 672.
Busetlo
98 PARTE PRIMA
deità e di delitti fosse una condizione necessaria inevitabile della
società » (*).
In quell'altra, poi, non meno acuta né meno ampia analisi delle
cagioni della carestia e delle storte idee e degli spropositati discorsi
pullulanti tra il popolo, osservava parimente che i ciarlatani lusin-
gatori delle passioni popolari prevalgono sul veridico assertore delle
cause del male, e che, se questi, poi, « confessa che molto è senza
rimedio, e raccomanda la rassegnazione, può difficilmente far cre-
dere che compatisce » ; poiché « chi nega all' addolorato che la causa
prima, unica del suo dolore sia nella volontà scellerata di alcuni,
converrà che abbia ben fama di onesto e di umano, perchè l'addo-
lorato si contenti di crederlo cieco e insensato, e non lo chiami
atroce fautore, complice di quelli che creano il dolore » (^) ; e poco
innanzi scriveva una pagina infocata contro coloro che nelle gravi
contingenze pubbliche potrebbero « procacciarsi una opinione ra-
gionata e non lo fanno mai » e secondano, « al momento del serra
serra », con furiose sentenze, col vilipendio e la calunnia delle
teorie meditate e razionali « i giudizi storti, le idee appassionate
del popolo » (2).
Altri aspetti della società del Seicento suggerivano al Manzoni
considerazioni che talora s' estendevano oltre i limiti della materia
considerata e toccavano verità profonde della vita, pur sempre do-
minando la nota pessimistica nella concezione morale dell' uomo, a
volte con impercettibili sussulti di tremenda ironia. Toccando, ad
es., delle aggregazioni, com'erano i ceti monastici, «separate dalla
società universale degli uomini » con «un vincolo particolare d'in-
teressi, di amor proprio comune e di benevolenza », diceva: «vincolo
talvolta debole assai e che non basta ad impedir odi accaniti e
mortali, ma forte però abbastanza per contenere gli odi nell'interno
della piccola società e per dare a quegli stessi che si odiano una
apparenza e una condotta da amici ogni volta che essi si trovino
in contrasto con gli estranei » {*). De' rimedi, talvolta peggiori de'
mali, osservava col medesimo spirito, tra caustico e severo : « Ci
hanno degli inconvenienti che oltre il male diretto che fanno, ne
producono dei grandissimi forzando quasi gli uomini a cercare dei
rimedi, che non sono né ragionevoli né perfettamente onesti, e che
(1) Sp. prora., p. 235.
(2) Sp. prvm., pp. 488-9. V. anche pp. 484-5.
(3) Sp. prom., pp. 485-6. Circa i pregiudizi sul raccolto e l'abbondanza del grano
e gli spropositi de' magistrati v. pp. 490-1.
(4) Sp. proni., pp. 103-4.
LA GENESI ETICO - RELIGIOSA 99
oltre l'effetto per cui sono sorti in opera ne producono molti altri
impreveduti e pessimi » (*). Questa riflessione si connetteva con un
lungo discorso precedente sulla zelante, gelosa attività deplorevole,
ma inevitabile, che il clero spendeva nel pretendere e nell' assicurarsi
immunità e privilegi con « tribunali civili e criminali, con minacce
spirituali e temporali », con la « forza » stessa: né soltanto « gli ec-
clesiastici vuoti di spirito sacerdotale, ambiziosi, violenti, avari »,
ma con pari « zelo » « uomini pii e d' una virtìi molto superiore
all'onestà, uomini certamente di alto ingegno » ; il che non pareva
al Manzoni si potesse spiegare con la ragione « che erano idee del
tempo », ma con la ricerca delle cagioni di questa stessa affezione
a quelle idee, che è quanto dire, con l'esame dello « stato della
società in quei tempi»; donde traeva questa conclusione, che è sug-
gello a tutti i suoi particolari giudizi più tetri e severi sulle con-
dizioni morali e sociali del secolo: «Tante erano le volontà d'im-
pedire ogni esercizio delle facoltà più legittime, d'inceppare ogni
diritto e queste volontà erano così potenti che il clero non poteva
concepire come avrebbe potuto agire a malgrado di esse, senza avere
una forza propria » (^). Non erano infrequenti codeste riflessioni recise
e aspre su tutti gli uomini del secolo, come là dove, in confronto con
la prudenza e la temperanza eccezionali del card. Federigo, diceva
essere stata quella un'età « in cui opinioni, fatti, discussioni, odi,
amicizie, delitti, giudizi, tutto era avvelenato e precipitoso, in cui
le virtù stesse avevano qualche cosa per dir così di spiritato e di
fantastico » (') ; in cui « l' ignoranza era tanto più generale e la
scienza, che era pure di pochi, consisteva in un peripateticismo
inteso come si poteva e applicato come si voleva a tutte le questioni
possibili di ogni genere » (*) ; in cui la società « era divisa in due
classi, di circospetti cioè e di facinorosi, e d' uomini che avevano e
d' uomini che facevano paura » (^) ; in cui, infine, pareva al Man-
zoni singolare, straordinario zelo quel di Federigo di voler « intro-
duri'e ogni cultura in quella rozza, ostinata, presuntuosa barbarie »
(^). Questo quadro orribilmente fosco della vita intellettuale, morale
(1) Sp. prom., pag. 25. Nello stesso ordine di idee cade quell'osservazione della
" Seconda parte ,, della Morale cattolica « il mondo giustifica talvolta le cagioni che
producono i mali e gli aggravano, e colla gravezza dei mali giustifica poi le violenze
o le perfidie commesse per liberarsene» (p. 493).
(2) Sp. proni, pp. 24-5. V. anche pp. 161-2.
(3) Sp. proni., p. 358.
(4) Sp. prom., p. 489.
(5) Sp. proni., pp. 161-2.
(6) Sp. prom. p. 357.
100 PARTE PRIMA
e civile della Lombardia, e si può intendere di tutta Italia, nel
Seicento ritorna nell'ultima forma de' Promessi sj)osl di molto ridotto
e attenuato. Come spiegare la spietata indagine, la sempre vivace
censura, il forte colorito della prima stesura ? Non bisogna certa-
mente dimenticare il principio teorico del Manzoni, affermato scri-
vendo al Fauriel proprio nel tempo del primo getto, secondo cui il
romanzo storico richiede una rappresentazione veridica della materia
e. de' personaggi storici « de la manière la plus strictement histo-
rique » (^), ne le impressioni e i giudizi che su quella società, stu-
diata con tanto zelo e tanta diligenza, il Manzoni comunicava, pochi
mesi dopo, allo stesso Fauriel (*), con uno spirito e quasi con pa-
role conformi alle molte pagine degli Sposi promessi, così che non
possiamo negare una preparazione diretta, e direi quasi una preoc-
cupazione immediata, che sollecitava lo storico e il letterato a sfrut-
tare abbondantemente e fedelmente le fonti e a inquadrare le ampie
analisi dell' indole e de' costumi di quella società entro le rigide
forme prescritte dal sistema storico. Se non che la qualità de' ca-
ratteri rilevati, che non sono certamente gli unici aspetti della vita
lombarda e italiana del Seicento ('), e l'assolutezza de' giudizi e-
spressi lasciano intravedere una predisposizioae morale, anche più
remota e suggestiva, che ha influito nella scelta della materia e nel
modo di ritrarla. Se infatti osserviamo come il Manzoni insista a
segnalare la servilità aizzatrice o adulatrice alle opinioni dominanti,
il falso concetto dell' onore e della legittima vendetta, il furioso im-
perversare degli errori, delle superstizioni, de' pregiudizi, il preva-
lere della ferocia sulla carità, dello spirito furioso sull' equanimità,
dell' intemperanza e dell' avventatezza sulla moderazione e la pru-
denza, il pervertimento di tutte le idee e la presuntuosa barbarie
intellettuale, l'abitudine al sangue e l'impassibilità morale dinanzi
alla frequenza de' delitti, la diffidenza crudelmente sospettosa, la
violenza soverchiante il diritto o fatta unico strumento di esso e,
in generale, la più virulenta tirannide di gruppi e ceti sociali, cia-
scuno vincolato da passioni e interessi propri; se ripensiamo come
codesto mortificante ritratto del Seicento italiano concordi con le
idee generali del Manzoni sulla natura e le passioni dell'uomo,
dobbiamo ritenere che, non meno della meditazione storica, vi ha
contribuito la meditazione morale e religiosa. Anzitutto è certo
(1) Lett. del 3 nov. 1821, in Epint. cit, voi. 1, p. 214.
(2) Lett. del 29 ma?. 1822, in Epist. cit. voi. I, pp. 241-2.
(3) Cfr. A. Belloni, Il Manzoni e il Seicento, in Fanf. d. Dom. XXXVIII, n. ;W.
LA GENESI ETICO - RELIGIOSA 101
ch'egli s'era fatta un'idea del Seicento come di secolo grossolano
e barbaro, prima ancora di accingersi ad ampie indagini storiche
per la composizione de' Pi-omessi sposi, prima cioè del 1821 o giù
di lì ('), come lo comprova una postilla ad un giudizio piuttosto
favorevole a quell'età, dato da A. G. Schlegel nel suo corso di
letteratura drammatica (*). In secondo luogo, che vi avesse av-
vertito l'orgoglio e la presuntuosità delle idee come caratteri do-
minanti ('), lo conferma un forte accenno in un capitolo della
seconda parte della Morale cattolica, che è del '19 e che precisa-
mente, come più addietro abbiam visto, tratta degli errori prevalenti
nello spirito del secolo in contrasto co' principi della religione. A
questo proposito rammentiamoci quelle sue osservazioni sulla quasi
universale inclinazione alle opinioni dominanti, quando siano oppo-
ste alla religione, e suU' attitudine di pochi ad « uscire dall' atmo-
sfera generale delle idee » ('), de' semplici, cioè, come Lucia, e de'
più illuminati di dottrina, come Federigo, e teniamo presente che
questi nella prima stesura è ritratto sotto tutti gli aspetti, morale,
intellettuale e religioso, come una personalità eccezionale e anti-
tetica allo spirito e a' costumi de' tempi suoi; s'aggiunga, poi, che
il Manzoni in un pensiero, non del tutto formato, ma sufficiente per
riconoscervi una sua ferma convinzione e, per di più, collegato con
quel suo discorso generale, che già conosciamo, sui sistemi abbrac-
ciati con passione e sul perpetuo contrasto tra la legge del Vangelo
e le nostre vanità e i nostri errori, fissava quest'idea profonda:
« nelle grandi commozioni la religione è più contraddetta e più
dimenticata per lo più, che nei tempi ordinari ». Da tutto ciò pos-
siamo conchiudere che il Manzoni al Seicento da tempo rivolgeva
la mente con attitudini e intenzioni cristiane; che, tra le ragioni
dell'averlo scelto a sfondo storico del romanzo, molto potè il segreto
(1) Un sentore sulla sua preparazione letteraria è in Cart., p. 514 (lett. del 29
genn. 1821) e p. 541 (lett. del 3 nov. 1821) e una prova delle intense ricerche storiche
che in quel tempo faceva, sono i bigliettini, che allora inviava di continuo, chiedendo
libri, all'amico G. Cattaneo (V. Cart., p. 556 e segg.)
{21 « Il Seicento fu un secolo in Italia grossolano e barbaro in molte cose im-
portantissime : politica, commercio, polizia, giurisprudenza e lettere ecc. ecc. ». {Opp.
in o r., voi. II. p. 442). Credo fermamente che l'opera dello Schlegel, il Manzoni la
lesse e postillò nella traduzione francese del 1817, e perchè essa compare in un elenco
di libri inviatigli dal libraio parigino FayoUe per mezzo del Fauriel proprio in quel-
l'anno e perchè a consultarla e meditarla tosto doveva egli essere indotto dal disegno
già iniziato, di scrivere sulla tragedia. (V. Cart., pp. 397-8 e 401).
(3) « Se un secolo ha avuto un' alta e ferma idea dell' eccellenza del suo spirito
è quello sicuramente» (p. 450).
(4) Ivi.
102 PARTE PRIMA
proposito d'offrire un solenne esempio di profondo contrasto tra lo
spirito del secolo e le verità del Vangelo, di attingere dalla realtà
della storia, e specialmente de' suoi momenti più travagliati, l' im-
magine del pervertimento, morale e intellettuale di un popolo, che
da quel contrasto consegue; che, infine, non c'è da meravigliarsi
se il moralista congiunto allo storico, — con le prevenzioni, per di
più, e le avversioni ereditate dal pensiero critico del Settecento — ,
nel giudicare, la prima volta, la vita di quel secolo acconsentisse a
quel suo pessimismo tra intellettuale e sentimentale che, sotto gl'in-
flussi della recente appassionata discussione de' problemi religiosi e
delle impressionanti rivelazioni immediate della storia, doveva tanto
più prevalere come reazione della sua coscienza religiosa.
*
* *
III. Non posso trattenermi dal raccogliere altri elementi, sparsi
negli Sposi promessi, di moralismo pessimistico e taluni di pessi-
mismo umoristico, che, poi, il Manzoni ha tolti via o almen mitigati
nell'elaborazione ulteriore dell'opera sua.
Nel raccontare come don Abbondio s'era fatta « una dottrina sua
propria di prudenza e di probità, la quale non era altro che la sua
condotta pratica ridotta in principio » ragionava così : « Vi sono nel
cuore dell' uomo due benedette disposizioni, le quali, quando non
sieno ben combattute ad ogni momento, vanno radicandosi e cre-
scendo e finiscono per deteriorare anche i caratteri più felici.
Una di queste disposizioni si è di dedurre da un principio disin-
teressato e riguardevole la ragione della nostra condotta. L' uomo
che non è perverso non vuol essere conscio a sé stesso di operare
per motivi di passione, non vuol credere che il movente [?] delle
sue azioni sia un interesse, una ambizione, una precauzione timida
e servile; si fa quindi una teoria colla quale possa esser persuaso
ch'egli deve fare come fa. V'è, poi, nell'animo umano un'altra
disposizione che ha bisogno assai d'essere combattuta (^) ad ogni mo-
mento. Quando l'uomo s'è messo bastantemente al coperto dalle offese
altrui diviene disposto ad attaccare se non altro con biasimo e colle
censure (*) ». Le quali osservazioni hanno un intimo nesso ideale con
ciò che nella Seconda parte della Morale cattolica il Manzoni aveva
(1) L'edizione del Lesca ha «consultata», ma è o uu lapsus del Manzoni o una
svista dell'editore.
(2) Sp. proni., pp. 26-7, n. 9.
LA GENESI ETICO - RELIGIOSA 103
dissertato intorno al dedurre conseguenze storte da principi retti,
venendo ad essere un' applicazione alla psicologia individuale di ciò
che colà si riferiva alla psicologia collettiva e nel tempo stesso ri-
velando la disposizione pessimi&tica e parerietica, che pur s'occultava
dietro la concezione umoristica di queir immortai personaggio: sve-
lano, anzi, la personalità del giudice moralista che nella prima
stesura e ne' primi rifacimenti del romanzo — per forza della du-
plice tesi etica e storica — compariva con troppa insistenza accanto
al poeta creatore d' umane figure ; mentre nella redazione definitiva
quella, se non è del tutto scomparsa, si lascia vedere a momenti
radi e con garbata sobrietà di contegno.
È questo uno degli interessanti documenti di quell'intimo processo
attraverso cui la materia, le tendenze e i motivi morali, onde il
Manzoni traeva i contenuti psicologici de' suoi personaggi e del-
l'azione generale, si sono rifusi e sostanziati nelle concrete forme
dell' arte.
Pessimistico altresì era il tono con cui commentava negli Sposi
promessi l'episodio della riprensione toccata a fra Cristoforo da
parte del padre guardiano : « questa fu la mercede che il nostro
padre Cristoforo ebbe della sua giornata ..... Tristo chi ne aspetta
altre in questo mondo » (*) ; pessimistico il giudizio perfino su quei
saggi (e sono i più) che, disperando di persuadere gli altri con le
loro buone ragioni, sogliono « rodersi, o insuperbirsi d'essere stati
saggi indarno » ; e accorata quant' altra mai quella lamentazione
sull'orgogliosa natura dell'uomo: « di quanto scemerebbero in nu-
mero gli errori, e quanto meno sarebbero funesti nell'effetto quegli
errori che rimarebbero, se tutti gli uomini osservassero le cose con
una mente disinteressata d'orgoglio » ! (') ; di paolina fierezza animata
(non ve n' ha quasi traccia nel testo definitivo) quella sentenza che
il Manzoni dettava, a proposito degli adulatori di Federigo, contro
il « basso corteggio che coglie i fortunati del secolo alle prime porte
della vita, per corromperli, per cattivarli, per farli fruttare » (^) ;
aperta la riprovazione, echeggiante talune pagine, a noi note, della
Morale cattolica, di quei « pregiudizi » che « nella mente di molti
associano all'idea della religione quella della credulità e della scioc-
chezza » (^) ; terribilmente umoristica quell'analisi dell'ipocrita in-
gegnosità degli uomini neir inventare le formalità necessarie perchè
(1) Sp. prom., pp. 124-5.
(2) Sp. prom., p. 678.
(3) Sp. prom., p. 356.
(4) Sp. prom., p. 183.
104 PARTE PRIMA
una cosa si ritenga fatta per davvero, com'era il caso della povera
Gertrude, la cui « libera e reale vocazione al chiostro » doveva es-
sere garantita dall'essere ella stata un po' in mezzo al mondo; ma
più trista l'ironia del pensoso moralista serpeggiante nel lieve sor-
riso, quando fra altro osservava che « se si desse retta » a chi si
ostinasse « ad esaminare il merito », non le parvenze della cosa,
« non si finirebbe mai nulla, e si andrebbe a pericolo di turbare il
bell'ordine che si ammira in questo mondo > (*); apparentemente
scherzosa l'ironia — a proposito del «prurito» del conte zio «di
far mostra della sua profondità nella politica », che « superava nel
suo animo la circospezione che gli consigliava a nasconderla > —
ma sostanzialmente intesa a svalutare la presuntuosa avvedutezza
de' « furbi », ai quali quel « prurito quasi invincibile è cagione di
scoprirsi da sé e di rovinare essi i loro affari; che è un peccato» (*);
cupamente umoristico il giudizio sull' incoerenza del pensiero umano,
ove notava che, « se un uomo non dovesse star tranquillo che dopo
d'aver messe d'accordo tutte le sue idee^ non vi sarebbe più tran-
quillità » (^); più tremendo, perchè diretto a colpire la comune follia,
quest' altro : « è uno dei diletti di questo mondo quello di potere
odiare ed essere odiato senza conoscersi » (*).
Ci colpiscono, poi, qua e là nella prima stesura altri segni di quel
pensiero sociale che addietro ho sommariamente esaminato, e massima-
mente certi atteggiamenti originali ed arditi di evangelica ispirazione.
Si veda questo commento al crudele rigore del « codice fratesco >, a
proposito del ritardo di fra Cristoforo a rientrare nel convento :
« Ogni volta che gli uomini hanno potuto dividersi in classi, in
crocchi, in piccole società, e farsi leggi particolari, per lo più in-
vece di approfittare di questa esenzione dalle leggi comuni per ista-
bilire una certa indipendenza utile a tutti i contraenti, hanno aguz-
zati gl'ingegni per trovare. rigori e pene più raffinati: di modo che
parrebbe quasi che tormentare altrui sia più dolce che assicurar
se stessi » (^).
Si veda con che superiorità di spirito diffidente e canzonatorio
rispetto agli accorgimenti umani giudicasse de' begli effetti che le
leggi hanno nel mondo a proposito dello spesseggiare delle grida
che, contro la volontà e la previsione de' legislatori, avevano il bel
(1) Sp, prom., p. 187.
(2) Sp. prom., p. 304.
(3) Sp. prom., p. 179.
(4) Sp. prom., p. 68.
(5) Sp. prom., p. 107.
LA GENESI ETICO -RELIGIOSA 105
successo di stringere più forti e sicuri vincoli tra i « ribaldi > e i
« tiranni », « Le società civili sono state spesso paragonate al corpo
umano, i legislatori ai medici, le leggi alle medicine; e infatti queste
cose si somigliai! molto, se non altro in ciò, che son tutte cose
assai curiose. Hanno poi altre somiglianze parziali ; eccone una. Un
medico amministra un rimedio ad intenzione che faccia nel corpo
una tale operazione, che il rimedio fa o non fa, ma ne fa poi so-
vente altre che il medico non ha volute né prevedute Lo stesso
accade sovente in fatto di leggi : e siccome poi le società civili sono
infermi di lunga vita, sono, per servirci di un modo proverbiale,
quelle conche fesse che bastano per un pezzo, così alle volte, ap-
pena dopo cento, dugento, trecent'anni, si comincia a sospettare,
ad aver sentore, che certe doglie vecchie d'un corpo sociale, certi
sintomi stravaganti e non mai spiegati, sono effetti d'uno specifico
mirabile applicato o cacciato giù fin da quel tempo per ordine d' un
medico valente (parlo in metafora) o per consulto di più valenti
medici » (*). Del resto — diceva altrove con un guizzo d'ironia
scetticamente allegra — « è questo » del far leggi e leggi « forse il
genere di composizione al quale gli uomini lavorano con più diletto,
e che perciò non manca mai dì autori » (*). E a proposito del mal
uso delle bestemmie, « che non sono sconosciute nelle sale fastose
e che formano la terza parte dei colloqui del popolo, al quale dicono
i sapienti che converrebbe abbandonarle », insorgeva contro codesto
sprezzante pregiudizio di classe, ammonendo : « questi sapienti non
dicono bene, perchè comunque gli uomini siano classificati, non ci
ha alcuna classe d'uomini alla quale convenga ciò che è turpe » (^).
A Renzo, reduce dal malaugurato abboccamento col dottore, il
Manzoni faceva dire fra sé e sé nella prima stesura amare parole,
di cui non é rimasta neppur l'ombra nell'ultima, sulla sorte de*
poveri, bistrattati dai potenti e dai loro bassi servitori : « Tutti così :
siete fatti tutti così: come slam dunque fatti noi poverelli? che cosa
pretendo io da costoro? andavo forse a domandare la carità? Pre-
tendo la giustizia per bacco ! Pretendo alla fine delle fini di sposare
una donna secondo la legge di Dio. Birbi tutti! tutti ad un modo!
tutti d'accordo per mandare gli stracci all'aria» (*). Se, però, il
Manzoni soppresse questo tratto, fu perchè gli parve superfluo e,
fors'anco, di troppo vivo colore, ma l'anima del poeta non ha mu-
ti) Sp. prora., App. G., pp. S18-9.
(2) Sp. protri., p. 22.
(3) Sp. proni., p. 78.
(4) Sp. prem., p. 61.
106 PARTE PRIMA
tato: la coraggiosa simpatia per gli umili oppressi, che circola per
entro tutto il romanzo ed è il remoto motivo sentimentale d' avere
scelto fra quelli i protagonisti, si fa sentire altrove piti o meno
apertamente (*): apertamente, per es., nelle parole di Agnese, af-
fannata a placare Renzo : « contro i poveri e' è sempre giustizia »
(*) e in quelle, già rammentate, ch'ella dice nel colloquio col car-
dinale; « i poveri, ci vuol poco a farli comparir birboni! » e, meglio
ancora, nella risposta dell' insigne prelato, che è la voce più alta,
più meditata, più schietta della coscienza cristiana del poeta (^).
È codesto un aspetto del romanzo, riflesso dall' evangelismo de-
mocratico del Manzoni, che attraverso i profondi rifacimenti di
tutta l'opera, non ha mutato — salvo la sapiente cura di risecare
il superfluo e d'attenuare per ragioni d'arte, che vedremo a suo
luogo, gli eccessi di colore — né spirito né intonazione.
Lasciamo altri più lievi spunti di pessimistico psicologismo, {*),
che si son dileguati per rimaneggiamenti successivi, e passiamo a
vedere il modo tristo e fosco o aspro e inquieto, onde il Manzoni
concepì e atteggiò taluni personaggi nel primitivo disegno.
Don Rodrigo era, oltre che ignobile, vile, e moriva in un impeto
di rabbia e di follia, dopo aver corso all'impazzata su un cavallaccio
pel lazzaretto, come se lo sfolgorasse, di colpo, la giustizia puni-
tiva di Dio (^) ; r Innominato, anzi il nominato « Conte del Sa-
grato >, aveva qualcosa di triviale, di ribaldesco, d'iroso, — viva
figura secentesca di capobandito — che non faceva nemmeno lon-
tanamente presentire quella cupamente grandiosa de' Promessi sposi
(®); e tra i minori, tutti più sinistramente ignobili, il podestà era
più volgarmente cortigiano e più sfacciatamente complice de' pre-
potenti C) di quello che, poi, lo rappresentasse, attenuando le tinte,
il Manzoni. Anche i buoni, in generale, si risentivano alquanto d' uno
spirito turbato, inquieto e talora aspro e triviale, destinato a svanire
(1) Trapela, un po' più in là, dal resoconto di Renzo alle donne e dalla risposta
del giovine ai conforti di fra Cristoforo (Prom. sp., cap. Ili, p. 43; cap. V, p. 63).
(2) Prom. sp., cap. VII, p. 90.
(3) Prom. sp., cap. XXIV, p. 359.
(4) Valgano, ad es., la riflessione sul male che facciamo a noi stessi per deficenza
di carattere (Sp. prom., p. 219), quella sulle sventure (pp. 211-12J e quella sul contegno
degli uomini verso le donne (p. 222).
(5) V. sulla trasformazione di questo personaggio un'acuta analisi di A. Momi-
gliano, op. cit., pp. 68-71.
(6) V. i miei Saggi, manz. cit., pp. 16-23 e Momigliano, op. cit., pp 71-3.
(7) Cfr. Sp. prom., pp. 272-4 e Prom. sp., cap. XI, p. 172.
LA GENESI ETICO -RELIGIOSA 107
alla luce purificatrice del rinnovamento psicologico e artistico del-,
l'ultima forma (*).
Ma soffermiamoci un po' sulla tragica morte di don Rodrigo, che
rivela, meglio d'ogni altro episodio, la segreta ispirazione pessimi-
stica della prima stesura. Era questa una scena — massime se la
si consideri congiunta con la circostanza di quella « confusione di
passioni » — furore, odio, vendetta — che aveva spinto il forsennato
a mettersi sulle tracce di Renzo e di fra Cristoforo da lui scorti e
a comparire sull'uscio della capanna di Lucia — era, dico, una
tale scena da non lasciar vivo nemmeno quel barlume di speranza,
brillata poco innalnzi nelle parole di fra Cristoforo (^), che lo scia-
gurato finisse pentito e perdonato dalla misericordia di Dio, come
c'inducono, nella mutata forma dell'episodio, ad immaginare la lenta
agonia, vigilata e assistita dal mirabile frate, la circostanza pietosa
della visita di Renzo, del perdono da lui dato con tanta effusione,
della preghiera, che pur fa per la salvezza di quell'anima con tanto
ardore di carità.
Perchè e come si formò primamente nel pensiero del Manzoni
quella severa e fosca concezione della fine del peccatore?
Per un'interpretazione conforme all'insegnamento della Chiesa,
che, fra altro, riceveva autorità sommamente suggestiva dai ragio-
namenti de' luminari della sacra eloquenza, quali il Bossuet, il
Bourdaloue, il Massillon, il Segneri, da lui stesso chiamati in testi-
monio nel IX cap. della Morale cattolica per combattere l'accusa
del Sismondi che la dottrina e l' insegnamento della Chiesa^ con
r ispirar la fiducia nella remissione de' peccati in ogni momento,
inducessero il peccatore a riservar la penitenza in punto di morte.
Il Bossuet aveva predicato non poter l'anima cristiana accontentarsi
« di una penitenza incominciata all'agonia, che non sarà mai stata
preparata, di cui non si sarà mai veduto alcun frutto... ». Il Bour-
daloue aveva ammonito : « questi peccatori inveterati muoiono come
sono vissuti. Sono vissuti nel peccato e muoiono nel peccato. Sono
vissuti nell'odio di Dio, e muoiono nell'odio di Dio ». « Il preten-
dere . . . che in un momento possa allora formarsi un altro spirito,
un altro cuore, un'altra volontà, egli è, o cristiani, il più grossolano
(1) V., intanto, alcune fini osservazioni neU'op. cit. del Momigliano, pp. 73-75.
(2) Questi alla giurata dichiarazione di Fermo — ovverosia Renzo — clie perdo-
nava, aggiungeva: «Sì, Fermo, a don Rodrigo: è un nome che fu posto sul fonte
della rigenerazione ad una creatura redenta col sangue d'un Dio; è un nome che forse
è scritto sul libro della vita; perchè Dio perdona: guai a te se non fosse! » (Sp. prom.,
p. 748).
108 PARTE PRIMA
di tutti gli errori ... Di tutti i tempi quello in cui la penitenza vera
è più difficile, è il tempo della morte ». Il Massillon intonava un
suo sermone allo stesso modo, e il Segneri alla vana illusione che
è necessario solo una « morte buona » opponeva il monito di Cristo:
« In peccato vestro moriemini » (*).
Perchè, poi, il Manzoni abbia mutate le circostanze della fine di
don Rodrigo, e se a ciò abbiano concorso con le ragioni morali
nuovi motivi e nuove ispirazioni poetiche, vedremo a suo luogo;
ora mi restringo a notare che l'ossequiente proposito di rappre-
sentarci la parte di carità della Chiesa, lasciata sulla minuta quasi
nell'ombra, la più attenta meditazione di quella pagina della stessa
Morale cattolica (^) nella quale si spiega come * un filo di speranza
di salvare un suo figlio basta alla Chiesa per non abbandonarlo > e
come essa abbia non meno l'ufficio della severità che quello mise-
ricordioso « d' ispirar fiducia a' peccatori moribondi » hanno contri-
buito a trasformare il contenuto etico-religioso del tragico episodio.
S'intravede l'orma del pessimismo cristiano e della preoccupazione
dottrinale anche nel modo come il Manzoni nel primitivo disegno
ritrasse il carattere di Gertrude e tratteggiò i delittuosi precedenti
di lei e le scene stesse che hanno diretta attinenza con l'azione del
romanzo.
L' analisi del colpevole amore di quella disgraziata, lo studio evi-
dente di figurarne l'animo esagitato dalla mala passione, dall'im-
belle sofferenza di quella vita peccaminosa, dal terrore di altre colpe
e delitti, a cui la trascinava il diabolico fascino di Egidio, non si
trovano — come ormai tutti sanno — se non nella minuta. Ne do-
vrò trattar particolarmente in altra parte di questo lavoro; qui mi
sia lecito osservare che le notizie raccolte dal buon Ripamonti non
sarebbero bastate al Manzoni per concepire, anzi per decidersi a
rappresentare con arditezza d'analisi psicologica e di drammatici
colloqui quelle colpe e que' delitti, se non ve l'avesse indotto la
considerazione triste e profonda del tragico potere che hanno le
passioni — non ostanti gli esempi e i precetti della religione —
sulla volontà e sul sentimento e della miseranda abiezione in cui
precipita l' umana natura, quando sia sviata, per volontà o impotenza,
fuori della legge della morale religiosa, istituita appunto « per la
vittoria dello spirito sulla carne » (^).
(1) V. Oss. s. mor. catt., pp. 257-9.
(2) Il)id., p. 262,
(3) ma., p. 498.
LA GENESI ETICO -RELIGIOSA 109
Ma la figura che offre il più cospicuo documento — pel modo
come parlava e agiva nella minuta — delle inclinazioni tra morali-
stiche e apologetiche, con cui il Manzoni si accinse al grande lavoro,
e del tono pessimistico che di conseguenza doveva prevalere nella
rappresentazione de' fatti e nell'analisi de' caratteri, è quella di
padre Cristoforo, che in ogni contingenza, ne' discorsi in casa di
Lucia, nel colloquio con don Rodrigo, in quello con Renzo nel laz-
zaretto, ne' conforti e addii stessi che dava agli sposi e ad Agnese
fuggiaschi nella chiesetta del convento, era come agitato da certa
fierezza guerriera e violenta, da un amaro corruccio, che traversava
di foschi balenìi l'ardore stesso della sua carità.
Nel soliloquio in casa di Lucia ravvolgeva tra sé e sé accenti piìi
rozzi e turbati di quello che si legge nella stampa, ma press'a poco
con lo stesso spirito, circa il modo di ridurre al dovere don Abbon-
dio, di « mettere un freno a quel birbante », di « mettere in moto
le sue barbe di Milano » ; ma poi nell'osservare che « costui faceva
il protettore dei cappuccini », s'abbandonava a queste amare rifles-
sioni, che non traspaiono più nemmeno dal discorso indiretto del-
l'ultima redazione: « e chi sa come si rappresenterebbe la cosa? e
quando si vedesse che si tratta di soccorrere una povera figlia che
non può compensare con altrettanta protezione! Ah! se fosse una
gran Signora ! Ma se fosse una gran signora, non sarebbe in questo
caso. Oh poveretti noi! Oh che tempi! Quando io credeva che fa-
cendomi cappuccino sarei fuori di questo mondo infame ! Eh non
se ne va' fuori che quando si muore » (*) ! Ma e' è qualcosa di più
significativo in una scena successiva. Quando Renzo, agitato dalla
nera idea di farsi giustizia da sé, lagnavasi degli amici, un tempo
gran prometti-tori d'aiuto, ma che ora, da lui cercati, si ritiravano,
il frate, nel rimproverarlo con gran forza, faceva questo tristo qua-
dro della bassezza umana: « Come! tu speravi soccorso da questi
che ta chiami amici? Soccorso per liberarti dalla ingiustizia? Po-
veretto ! non sapevi che ogni uomo ama troppo la sua vita e il suo
riposo per sacrificarlo alla giustizia, alla giustizia altrui ? Si, pel
denaro, per la vendetta, pel diletto di far male, l'uomo disprezza
il pericolo ; si allora egli sente qualche cosa che lo porta con gioia
ad affrontare il suo simile: ma perchè uno non sia oppresso, ma
perchè non s'impedisca una cosa giusta, ma perché le cose vadano
come dovrebbero andare, tranquillamente, ordinatamente, tu credevi
che troveresti chi si armerebbe con te contro un potente? Gli uomini
(1) ò'p. prom., p. 82.
110 - PARTE PRIMA
non provano per questo quella gioia feroce che fa desiderare di af-
frontarsi coir uomo: o se n'ha di tali sono tanto rari;... e... e
anche questi han torto » (*).
Nel tumultuar di questi rudi e cupi sentimenti e giudizi — sde-
gnosa sfiducia de' confratelli dell'ordine adulanti i potenti, ribrezzo
dell' universal corruttela, rampogna fieramente sconsolata del mondo,
pronto a cooperare per l' ingiustizia, vile dinanzi la causa della giu-
stizia — fremono la tristezza e la battagliera generosità di che ab-
biamo visto avvivarsi il pensiero del Manzoni moralista nel ragionare
delle passioni e del coraggio cristiano: i confratelli, amici di don Ro-
drigo, son quelli ai quali « nei casi difficili in cui bisogna disubbi-
dire a Dio 0 agli uomini, sembra di essere disobbligati » dalla
« proibizione, che fa la « legge di Dio », di « ogni cooperazione
volontaria all'ingiustizia », come a don Abbondio col pretesto della
«necessità», con quello della «prudenza» (*); sono i falsi inter-
preti nel seno stesso della Cliiesa che pur « non parla che di giu-
stizia e di dignità, di ordine e di coraggio, che proscrive l'arbitrio
e la rivolta contro le leggi, che impone l'obbedienza ai privati e la
giustizia ai popoli », che rifiuta, come non sue, « le interpretazioni
vili per adulare i potenti i (^); quegli altri, del mondo — e sono i
più — attestano con la loro tristizia quell'altra amara verità che
segnalava il Manzoni nella condotta degli uomini : « purtroppo vo-
gliamo il coraggio soltanto quando è necessario per secondare una
impresa, per tentare un vantaggio ; ma soffrire soli, soffrire tran-
quillamente, e col solo conforto di soffrire per la giustizia, e senza
applauso, ci sembra quasi una virtù chimerica; tanto siamo affezio-
nati alla terra » (^) !.
La stessa cupa tristezza fremeva sulle labbra di fra Cristoforo nel
congedare gli sposi e Agnese la notte della fuga: « per ora è ne-
cessario allontanarvi di qui : vi siete nati, è casa vostra, non avete
fatto torto a nessuno, ma il serpente talvolta fa disertare l'uomo
dalla sua dimora, e gli uomini pure si cacciano su questa terra,
come se fossero destinati a divorarsi l' un l' altro » (^). E più dolo-
rosa, più tetra, quasi direi col tono del salmista gemente e fremente,
sonava la sua parola sul finire del drammatico colloquio con Renzo
nel lazzaretto : « Tu rimani a vivere in un secolo doloroso : i giorni
(li Sp. proni., p. 84.
(2) Oss. s. tnor. catt., p. 492.
(3) Opp. in. o r., voi. Ili, p. 356.
(4) Oss. s. mor. catt., loc. cit.
(5) Sp. prora., p. 148.
LA GENESI ETICO - RELIGIOSA 111
che noi veggiamo sono cattivi ; quei che si preparano, saranno peg-
giori: i figli dei provocatori, dei superbi, dei violenti, lo saranno
più dei padri loro. Gran Dio ! questo flagello non corregge il mondo :
è una grandine che percuote una vigna già maledetta : tanti grap-
poli abbatte; e quei che rimangono, son più tristi, più guasti di
prima » (^).
IV. Il pessimismo cristiano del Manzoni, esuberante nella primiera
concezione del suo alto lavoro, assumeva dunque forma e voce e
significazione più profonda nel carattere di fra Cristoforo, così come
il suo idealismo religioso — eh' era in quella ancora discreto e con-
tenuto — trovava la sua più cospicua espressione nel carattere di
Federigo: l'uno poi, nel processo evolutivo della meditazione reli
giosa e della ricomposizione psicologica e fantastica, è riescito più
composto, più mite, e, quasi direi, circonfuso di dolce mestizia evan-
gelica; l'altro è cresciuto di forza e di luce.
Certamente queste due potenti energie del pensiero cristiano hanno,
dirò così, fecondato tutta 1' opera poetica del Manzoni, dal carme
In morte di Carlo Imbonati ai Promessi sposi; ma non sempre
con egual forza e con perfetto equilibrio d'ispirazione: che di quella
giovanile visione il motivo etico, piuttosto che da un'interpretazione
pessimistica della vita, proviene da un atteggiamento stoico del
pensiero civile ; negli Inni, nelle tragedie, nel Cinque maggio e nel
romanzo quelle due forti correnti della coscienza cristiana premono
e involgono la concezione morale e civile del poeta, s' incontrano,
anzi, ne' sostrati etico-religiosi della creazione poetica, ma non sem-
pre si fondono in quella giusta armonia che è la forza viva e pro-
fonda del cristianesimo. E precisamente in codesta armonia superiore
si contemperano la triste meditazione della nostra ingenita debolezza,
del perpetuo contrasto degl'istinti e delle passioni con la legge
di Dio, e la confidente valutazione delle congiunte virtù segrete,
onde la creatura, fatta ad immagine di Dio, può redimersi e perfe-
zionarsi, quando la soccorra la Grazia; appunto nello sforzo eroico
di ricomporre le dlsarmonie della vita e della storia in una visione
illuminata dall'operosa confidenza nel bene e dalla speranza d'una
giustizia migliore il Manzoni è venuto ricostruendo quell'idealismo
cristiano che ispira la concezione della morente Ermengarda, cer-
(3) Sp. pruni., pp. 71S-9.
112 PARTE PRIMA
cante col « tremulo sguardo » il cielo, e quella di Napoleone, sol-
levato alla fede consolatrice nella pace celeste ; che intona alla spe-
ranza nella misericordia divina le ultime stanze della Passione; che
ravviva di santo giubilo i giusti nelle ultime strofe della Risurre-
zione ; che dà r ansia della fiduciosa preghiera nel Nome di Maria;
che tutta pervade la Pentecoste, rinnovata e compita, dopo un in-
tenso lavorio d' intelletto e di fantasia (*) ; che, infine, solleva, pu-
rificandolo e ritemprandolo di più serena spiritualità, il mondo del
romanzo, qual era uscito dal primo getto, nella forma de' Promessi
sposi.
I manifesti segni di rigorismo etico e di pessimismo tra intellet-
tivo e sentimentale, che abbiamo rilevato nella prima forma del
romanzo, e altri che potremo ritrovare nello studio della composi-
zione psicologica ed estetica de' singoli personaggi, sono stati atte-
nuati 0 addirittura dispersi via via che il poeta procedeva nell' ela-
borazione e trasformazione dell'opera sua, conformando quel mondo,
che pareva ancora echeggiasse dello spirito apologetico della Morale
cattolica e delle cupe moralità dell'Adelchi, ad una visione psicologica
del male e del dolore più compiuta ed organica, con uno spirito di
più calma e profonda meditazione cristiana,
II fosco e truce quadro della vita del Seicento è stato ricomposto
con la severa pensosità dello storico e del moralista che da una più
equa comprensione delle aberrazioni umane attinge tale disciplina
e sobrietà di giudizio e di rappresentazione da persuadere il lettore
alla riflessione dolorosa senza eccitarne l'orrore e il disprezzo ; quel
senso amaro e acre eh' era diffuso qua e là nel romanzo, sia che il
poeta ritraesse la tristizia umana sia che mirasse a cogliere quel
che di torbido può essere nell'animo risentito de' buoni, s'è dile-
guato con la soppressione o con la modificazione di talune scene e
situazioni psicologiche (*); quella propensione a rilevare nell'atti-
vità degli uomini, ove non sia ispirata dalla legge del Vangelo,
non altro che effetti disordinati e ingiusti, è rimasta, ih quanto è
(1) Cfr. il mio studio cit. su La cumposiz. della « PeiUecoste ».
(2) Sono stati, ad es., soppressi il consiglio che don Rodrigo teneva col conte
Attilio e col Griso per cercare il modo di sbarazzarsi di Renzo {Sp. prom., pp. 267-9)
e quell'adunata, fatta a questo scopo, del podestà, del dottore e del cugino alla tavola
di don Rodrigo, in cui la birboneria de' potenti e la cortigianeria de' magistrati e
de' legulei s'incontravano in un accordo d'ipocrita ostentata premura del pubblico
bene sulla via dell'iniquità. {Sp. prom., pp. 271-4). È stato mutato — per citare
un altro esempio — nello spirito e ne' modi l'incontro di Renzo con don Abbondio
dopo la peste; i quali erano nella minuta l'uno, così nelle parole come ne' tratti,
aspro, brusco, eccitato, l'altro piagnucoloso e convulso (Sp. proni., pp. 700-3).
LA GENESI ETICO -RELIGIOSA 113
ragione e misura della meditazione religiosa e morale dello scrit-
tore cristiano, senza, dirò così, le accentuazioni moralistiche (*) o
la severità critica, velata talora di fredda ironia (*), della prima
maniera; quell'intervento, tanto poco necessario quanto troppo fre-
quente, dell'appassionata, e spesso arcigna, censura morale non solo
degli atti umani, ma degli avvenimenti storici — cosa che potrebbe
dar forza a talune osservazioni recenti del Croce sul Manzoni storico
(^) — come a proposito della furiosa superstizione collettiva contro
gli untori {*), s'è fatto rado ne' successivi rimaneggiamenti e ha
smesso il primitivo tòno di rimbrotto e di sdegnoso compatimento;
queir insistere sulle idee e sui pregiudizi del secolo (*) con tanta
foga che ci sovviene delle pagine polemiche sullo stesso argomento
dettate per la seconda parte della Morale cattolica, ha ceduto, per
via di stralci e d' alleggerimenti nell'analisi storica, ad una conte-
nuta e meno astiosa rappresentazione del male.
(1) si vedano le impressioni di Renzo nel trovar Milano in rivolta (Sp. prom.,
pp. 479-80 e 507). Sebbene attruibite a Renzo, erano piuttosto del Manzoni (glielo os-
servava anche l'amico Visconti) quelle riflessioni sul saccheggio de' forni, che «quella
cuccagna non sarebbe stata che per i birboni più vigorosi e più svergognati, che i
veri languenti per fame non si sarebbero gettati in quel tumulto : e cosi la parte più
debole e la più degna di soccorso avrebbe continuato a patire, e in quel giorno prin-
cipalmente sarebbe stata forzatamente priva anche dei soccorsi della carità volonte-
rosa, ma impotente» (pp. 479-80).
(2) È uno spiccato esempio d'intransigenza quel lungo ragionamento sulla pro-
messa di mettere sotto processo il vicario, fatta al popolo da Antonio Ferrer e poi
niente affatto mantenuta: osservabile per la vivacità con cui il Manzoni risponde
all'obiezione di chi vorrebbe separare gli espedienti politici dalla morale : « Tanto
peggio per un sistema che mette i suoi autori e i suoi agenti in impicci, dai quali non
si possono cavare che dando una parola, che il sistema poi impedisce di maturare »
(Sp. prom., pp. 525-6) ; più osservabile per la finta rassegnazione alle parole del suo
immaginario contraddittore: «il fondamento della vera sapienza pratica consiste nel
prendere gli uomini come sono»; le quali parole — dice ironicamente il Manzoni, —
«proferite così spesso, e sempre così a proposito che non hanno mai perduta la
loro forza, e sciolgono tutte le questioni, troncano meravigliosamente anche la pre-
sente» (p. 526). V., addietro, con che austerità giudicasse della comoda teoria del
prender gli uomini come sono.
(3) V. B. Croce, La storiografia in Italia ecc., VII: gli sviati della scuola cat-
tolico-liberale, in Critica, a XIV, fase. IV (20 luglio 1916), pp. 247-54 e fase. V, p. 325;
ma si veda anche F. Crispolti, Il Manzoni storiografo secondo B. Croce (Lett. al-
l'autore), estr. da Vita e Pensiero, a. II, voi. IV, fase. 2 (31 ag. 1916).
(4) Sprezzante quel tratto, a proposito della gente accorsa al grido della vecchia
contro Renzo; « gente che forse a qual si fosse più pietoso chiamar di soccorso non
sarebbe uscita dalle tane, dove si stava rimpiattata per paura, ma per graffiare e per
prendere un untore era pronta » (Sp. prom., p. 725).
(5) Si veda, ad es., la disputa di don Ferraute e del Signor Lucio in « una bri-
gata signorile » sul contagio e gl'influssi maligni degli astri e quel saggio, che segue,
di una vera dissertazione sulle « origini » i « progressi » e la « caduta » delle idee
« false e credule » « nelle diverse età » (Sp. prom., pp. 646-57).
Busetto — 8
114 PARTE PRIMA
Concorda con questo processo di riduzione e d'attenuazione del
soverchiante razionalismo e moralismo rigoroso la rifusione psico-
logica e fantastica — derivante da una comprensione etica e reli-
giosa, più delicata e serena, del mondo osservato — , con cui il poeta
ha riformato la materia tutta del romanzo, i caratteri tutti de' per-
sonaggi e le situazioni loro, la dipintura della natura stessa che è
teatro alla drammatica storia.
Le analisi ulteriori confermeranno questo giudizio, ma or conviene
riguardare per poco talune differenze profonde tra la minuta e l' ul-
tima redazione a questo riguardo: scegliamo, fra altri punti, la de-
scrizione della notte che Renzo passa nel bosco dopo la sua fuga
da Milano, lo studio dell' anima dell' Innominato prima e dopo la
conversione, l'atteggiamento che prende sulla coscienza di fra Cri-
stoforo il ricordo sempre vivo dell' omicidio commesso quand'era
Lodovico e il colloquio di don Abbondio col card. Federigo,
L' animo di Renzo co' suoi pensieri ed affetti, co' suoi risentimenti
e ricordi, con le sue trepidazioni e speranze, e gli aspetti stessi delle
cose circostanti non avevano nel primitivo disegno che tocchi scarsi
e superficiali : il ribollir pronto della coscienza onesta del giovine
ripensando alle cabale calunniatrici del mercante nell'osteria di Gor-
gonzola, l'uggia, il terrore indefinito e le molteplici impressioni di
sbigottimento, che il bosco, le tenebre, il rumor de' suoi passi gli
mettono nell'animo, il disperato smarrimento che quasi lo perde;
r amica voce dell'Adda, che lo rianima e fa « svanire in gran parte
quell'incertezza e gravità delle cose, » e poi il ricovero nella capanna
di paglia, i ringraziamenti che rende a Dio, le devozioni che dice^
i pensieri e le immagini che gli si destano in mente in quel racco-
glimento, i discorsi interiori che fa con sé, il risveglio sull' alba, la
pittura di quel cielo di Lombardia, tutto ciò è stato nuovamente
pensato e analizzato e ritratto così che i grami, informi ed embrio-
nali elementi descrittivi e narrativi della prima stesura si sono svolti,
purificati ed elevati in un armonico quadro, donde, tra quel vago
misterioso senso, tutt' intorno diffuso, della natura avvolta ne' silenzi
tenebrosi della notte, balza nella sua pienezza morale ed affettiva,
nella sua potente evidenza fantastica il carattere del povero sposo,
immeritamente ramingo e incerto del suo destino (*).
L' Innominato, da quello che era nella prima redazione, una figura,
cioè, concepita e atteggiata a specchio della storia del Seicento lom-
bardo e secondo le ispirazioni dirette delle fonti contemporanee, s' è
(1) Cfr. Sp. prom. pp. 564-7; Prom. sp., cap. XVII, pp. 248-55.
LA GENESI ETICO -RELIGIOSA 115
trasformato via via, per non meno di tre rifacimenti, sino ad ele-
varsi, in virtù dell' idealizzazione etica e fantastica dell' ultima forma,
di sul fondo fosco e volgare delle testimonianze, delle narrazioni e
de' giudizi dei biografi, a tal carattere che nulla più ha dell' indole
rozza, brigantesca, brutalmente truce della prima maniera, ma s'ac-
campa cupo e misterioso, solenne nel suo intimo travaglio compresso
non meno che nella sua vasta volontà dominatrice. Quand'era più
prossimo all'immagine della realtà storica, co' suoi misfatti e con
la sua conversione, tal personaggio aveva piuttosto un vivo risalto
romanzesco nella trama delle vicende di Lucia: era una poetica
figurazione dello spirito fazioso, vendicativo, sanguinario del secolo,
e la sua conversione aveva qualcosa di brusco, di superciale, d'aned-
dotico e d' inesplicabile, come fu di molte conversioni segnalate dai
cronisti del tempo (^); ma nella rinnovata concezione e rappresen-
tazione della sua anima e del suo intimo dramma, pare incarni,
piuttosto^ lo spirito appassionato del male che vige in tutti i tempi
nella perpetua lotta con la legge del bene, assurgendo, per tal modo,
nella coscienza morale e poetica del Manzoni, all'eterna concretezza
d' un simbolo. La sua conversione, per essere la risoluzione d' una
profonda crisi d' anima gagliarda e complessa, attinge un alto signi-
ficato umano; per essere la vittoria del bene sul male, della giu-
stizia sull'empietà, della luce di Dio sulla tenebra del peccato —
tanto più solenne in quanto s'aderge sul fondo d'istinti, di tendenze,
d'abitudini, di sentimenti non superficiali, capricciosi, volgari, ma
possenti e coerenti nella salda compagine d'una volontà superiore —
ha la gravità austera d' un'epopea religiosa.
La stessa descrizione della vita dell'Innominato dopo la conver-
sione, osservata nella prima e nell' ultima redazione, riflette con ri-
levante contrasto la vicenda per cui è passata la concezione etico-
religiosa dell' insigne personaggio : il facinoroso capobandito ci
tornava dinanzi mutato in un brav'uomo, pio, umile, servizievole,
come un decente esempio di riabilitazione morale ; ma nell' ultima
forma il rinnovato carattere del potente signore assume gli atteg-
giamenti di una santità impavida e ardente, consapevole dell'eroica
missione a cui l'ha chiamato la Grazia: il suo mutamento è, più
-che la riabilitazione d' un malvagio, la trasfigurazione di un invin-
cibile nemico della legge e dell' umanità in un eroico cavaliere della
giustizia e della pietà (*). Basta riguardarlo quando finalmente si
(1) V. i miei Saggi manz. cit., p. 21.
(2) Ibid., p. 23 e segg.
116 PARTE PRIMA
ritira a dormire, la sera di quella giornata così piena di prodi-
giosi avvenimenti. 11 suo ritorno al castello, la radunata de' bravi,
il discorso e il contegno di lui, le impressioni che quelli ne rice-
vono, sono tratteggiati nella nuova stesura con un tòno di severa
spiritualità, con una rapidità vigorosa d'analisi, che la prima sof-
focava sotto l'affastellamento de' particolari e il peso di uno psico-
logismo minuto, discontinuo, frastagliato : in questa c'era unicamente
la cura d'interpretare la condotta del convertito secondo gli svelti
e gagliardi cenni che ne aveva lasciati il Ripamonti; in quella c'è
la meditazione religiosa che, assorbendo le preoccupazioni della
storico, ispira e regge la fantasia deì poeta nell'icastica rappresen-
tazione di una nuova coscienza (*). Ma piti e' interessa ciò che
segue a quella solenne professione dell'uomo nuovo dinanzi a' suoi
bravi, come, cioè, si raccogliesse a meditar su sé stesso nel silenzio
della sua camera, tornasse, dopo tant'anni, alle orazioni dell'infan-
zia con una dolcezza ineffabile, un inasprimento di rimorso, un
santo zelo di bene, una riconoscenza, una fiducia in Dio, e trovas-
se « immediatamente » riposo nel sonno « in quel letto in cui la
notte avanti aveva trovate tante spine » (*). È un tratto nuovo, che
aggiunge forza e gravità alla conversione, integra e svolge quel-
l'ingenita nobiltà morale, occulta nell'animo superbo e violento,
che abitudini delittuose avevano traviato, ma che un oscuro trava-
glio e circostanze straordinarie hanno ormai risollevato al dramma
del rimorso e dell'espiazione; e su questo irradia tale austerità re-
ligiosa, tale umiltà eroica, tale fiducia operosa di redenzione che
già intravediamo la magnanima figura cristiana che Federigo nel
memorando colloquio vaticina con tanto ardore di carità.
E in piena luce ce la presenta il poeta nel narrare come l' Inno-
minato accogliesse nel suo ben difeso castello i fuggiaschi al pas-
saggio delle bande alemanne. È tutta nuova anche questa pittura (^)
della vita penitente e benefica di colui eh' era stato il terrore della
contrada, mentre le vaghe e smilze notizie del primo disegno lascia-
vano nell'ombra quella nuova spiritualità magnifica.
Medesimamente quel restringersi — subito dopo il racconto della
conversione — a riportare il passo del buon Ripamonti, che ne toccò
« in termini generali » (*),tconferma quanto addietro osservavo, es-
(1) Cfr. Sp. prom., pp. 411-15; Prom. sp., cap. XXIV, pp. 360-3.
(8) JMd., p. 363.
(3) Prom. sp., cap. XXIX, pp. 433-6.
(4) Sp. prom., pp. 410-11. V. un magro cenno della vita del Conte dopo la conver-
sione a p. 622.
LA GENESI ETICO - RELIGIOSA 117
sere, cioè, prevalsa la concezione storica su quella umana e morale
nel modo come il Manzoni la prima volta evocò e tratteggiò il grande
peccatore. L'aggiunto ritratto della novella vita piamente operosa
e l'analisi lucidissima e, per ogni aspetto, compiuta de' vari senti-
menti d' ammirazione, di compiacenza, di rispetto, che nel popolo,
ne' magistrati, ne' grandi, negli stessi offesi aveva fatto nascere
quella gran conversione, di quello spirito di gioia e di pace de'
buoni, d' acquietamento o almeno di remissione delle più rabbiose
passioni non solo concorrono necessariamente allo svolgimento psi-
cologico e morale del nuovo carattere del personaggio, ma offrono
un'immagine della molteplice anima sociale, su cui il grandeggiante
spirito del convertito riverbera la sua carità e mansuetudine, susci-
tandovi segreti istinti d' inconscia bontà e impeti d'allegrezza, anche
di dolore e di stizza, ma non « disprezzo né odio » (*). Cosi la
trasfigurazione morale d' una singola anima attrae nella sua spirale
ascendente — tolti i casi scarsi di riottosità caparbia e d'invincibile
abitudine al malefizio — il multanime mondo che le palpita intorno:
l'uomo e la società, riconciliatisi, si ricompongono in una vita mi-
gliore ; imperfetta, si, e inquieta, come comporta la nostra fragile
natura, ma animata dall' ansia del bene, ma illuminata dalla spe-
ranza di un più riposato domani. In nessun altro punto del romanzo
è cosi significativo^ come in questo, quel giusto contemperamento
di pessimismo e d'idealismo cristiano nella concezione etica del-
l'uomo a cui il Manzoni è pervenuto, meditando, con lo sguardo
sempre più profondo e sereno, il male e il bene della vita.
Alla purificazione ed elevazione del mondo manzoniano, quale
usci dal primo getto, hanno concorso non meno la coscienza reli-
giosa che la coscienza poetica : 1' elaborazione fantastica e il pro-
gressivo perfezionamento artistico del capolavoro han proceduto di
pari passo — nota giustamente il Momigliano — col « rinvigorirsi »
e 1' « allargarsi delle convinzioni morali» del pensatore cattolico:
« r edizione definitiva dei Promessi sposi » (e tanto più limpida-
mente quella del '42) « rappresenta 1' assetto definitivo e più com-
plesso della coscienza cristiana del poeta » (^).
Che altro è codesto assetto se non quell'armonia superiore che il
pensiero religioso del Manzoni ha raggiunto correggendo, limitando
e fondendo in una sintesi lucida e tranquilla le opposte concezioni
(1) Prora, sp., cap. XXIX, p. 434.
(2) Op. cu., p. 65.
118 PARTE PRIMA
dell' uomo, secondo che lo riguardi nella sua ingenita debolezza o
nelle sue attitudini ad elevarsi a Dio ?
Frutto di questa sintesi superiore della meditazione cristiana è
anche la figura morale di fra Cristoforo, come il Manzoni la venne
rielaborando nell'ultima forma del romanzo.
Ne' due contrasti vivacissimi che il frate ha con Renzo nella ca-
setta di Lucia e al lazzaretto ciò che caratterizzava il suo contegno
primitivo era l' insistere sull' omicidio commesso in gioventù con
particolari di fatti e con passione di ricordi; era la spietata analisi
che il fiero esaminator di se stesso faceva della colpa di un passato
tanto lontano (^). Il primo fra Cristoforo appariva tutto preso da
quella tragedia giovanile, con un'ombra tetra nell'anima e sul volto
che soverchiava smoderatamente 1' intensa e sempre viva luce
d'una lunga vita eroicamente espiatrice : la qual composizione di-
sarmonica e inorganica del carattere era forse dovuta alla malfor-
mata intenzione d'accrescergli grandezza con l'accentuarne le punte
del perenne rimorso, ma pareva, piuttosto, conseguire dal dissidio
tra r interpretazione pessimistica e la visione idealistica della vita,
dal prevalere, anzi, di quella su questa con manifesti perturbamenti
nella genesi e nella formazione etica e artistica di un personaggio
che è, certo, de' più profondamente sentiti e amorosamente studiati
dal nostro poeta. Il quale ne' Promessi sposi ne ha stinto il colorito
tragico e abbellita la nobiltà austera, l' ha rappresentato memore sì
del suo tristo caso, ma così compostamente pensoso nel ricordo e
nel sentimento, da ritrarne, nella sua nuova vita, fiamma di carità
riparatrice.
Il medesimo processo di ripensamento etico-religioso della materia,
dovuto ad un' ispirazione più armonica dell' ideale cristiano, si os-
serva nel rimaneggiamento del colloquio di Federigo con don Ab-
bondio (*). La parola del magnanimo vescovo, severa, pietosa,
ardentissima aveva spesso i bagliori e i fremiti d'un cupo dolore:
i sentimenti, che ne erano espressi e, a un tempo, accresciuti, eran
(1) V. Sp. prom., pp. 83, 120-1, in cui il frate perfino negli ammonimenti fatti a
Renzo rifletteva molto del suo intimo affanno, e pp. 746-8, tutte pervase dall'amarezza
del ricordo e del pentimento. E cfr. quelle parole che diceva al giovine : « Son qua-
rant'anni ch'io vi penso, e grazie a Dio, per quarant'anni ne ho avuto dolore, e mi
sono accusato Non'creder tu ora dunque di poter consolarmi : consolati piuttosto di
essere tu in tempo di perdonare: non ispender vane parole; ascolta piuttosto le mie:
v'è dentro il pensiero di tutta la mia vita, della men trista parte di essa»... (Sp.
prom., p. 746) con queste de' Prom. sp., più misurate e profonde: « Ah ! s'io potessi ora
metterti in cuore il sentimento che dopo ho avuto sempre, e che ho ancora per l'uomo
ch'io odiavo»! (cap. XXX v. p. 527).
(2) Sp. prom.. pp. 439-53; Prom. sp., cap. XXV. pp. 373-6; cap. XXVI. pp. 376-82.
LA GENESI ETICO - RELIGIOSA 119
proprio quelli che il poeta scorgeva dipinti e nel vólto composto al
silenzio: » « l'ira senza peccato, la commiserazione, un riflesso di
terrore sopra se stesso al ricordo di quei doveri, che gli erano co-
muni con quello, eh' egli riprendeva d' averli sconosciuti > (^).
Tutta la scena era dominata da una viva apprensione della tristezza
del mondo (*), dell' angosciosa infermità della carne {^), de' duri
contrasti del debole con l' iniquità (*), del pervertimento a cui
l'ingiustizia patita trascina gli onesti (*) : nel suo acceso discorso
Federigo univa anche una « pietà rispettosa » per la debolezza
carnale del curato ai rimproveri per l'abbandono in cui egli aveva
lasciato gì' innocenti, ma lo richiamava, a un tempo, con asce-
tica rudezza al dovere di sacrificare la vita (^), e delle sentenze
(1) Sp. prom., p. 449.
^^t2F« L' uomo — diceva — è tanto artificioso per giustificare i mezzi che lo possono
condurre ai suoi desiderj : che debb'essere quando i desider j son giusti ?.. Ah ! tutti
errano pur troppo, anche quelli che dovrebbero raddrizzare gli errori altrui: v'ha
tanti scellerati impuniti, Dio volesse che la paura, che il terrore della pena non ca-
desse mai sugli innocenti » ! (Sp. prom., p. 447). E dei poveri diceva : « Ah ! per quanto
l'iniquità trionfi, s'è pure annessa un po' di forza per la giustizia; ma i poverelli,
inesperti, ignari, diffidati, non sanno dove andarla a cercare: bussano alla prima
porta ; e, se la trovano chiusa, sorda, crudele, si disanimano affatto, e non sanno come
adoprarsi » (p. 446).
(3) Al confessato spavento di don Abbondio Federigo ripigliava : « La carne in-
ferma, ed è questa la nostra miserabile condizione »•, e poi : « Il vostro corpo si abbattè
sotto lo spavento: guai al tristo superbo, che ne pigliasse argomento di befi"a e di di-
spregio : per questa debolezza, che non è della vostra volontà, non sento altro che una
pietà rispettosa; ma nella umiliazione del vostro terrore, ma nelle angosce della
nostra infermità, come non avete pensato alle angosce, che erano minacciate a quelli
pei quali voi dovevate vegliare»* 'Sp. protri., pp. 444, 445).
(4) « Pur troppo — osservava amaramente — io l' ho più volte esperimentato in
questa diffìcile altezza: il debole che si richiama al superiore, che gli fa conoscere la
sua ragione, che ottiene una giustizia, troppo spesso momentanea, peggiora spesso la
la sua condizione. Quegli, che è stato ripreso per sua cagione, tace dinanzi alla ri-
prensione, cede al suo maggiore ; ma trova poi il mezzo di fare espiare al debole quel
breve trionfo. Son tanti i mezzi di fare anche torto al debole »... (Sp. prom., pp. 451-2).
(5) Del presunto pervertimento di Renzo « profugo, esacerbato, col sentimento della
giustizia negata », Federigo faceva apertamente carico a don Abbondio, dicendo fra
altro: «I poverelli sanno, devono purtroppo saperlo, che v'ha dei soverchiatori vio-
lenti: hanno appreso ad adorare anche nella iniquità degli uomini la giustizia e
la misericordia di Dio entrambe infallibili, ma riserbate entrambe a momenti eh' Egli
solo conosce. E quante volte la persecuzione dell'empio non accresce in essi la fede?
Ma quello che la turba, quello che investe la loro coscienza, quello che travolge il loro
proposito, è l'abbandono per parte di coloro che predicano la fede, la coscienza, il pro-
posito Quell'infelice ha veduta e ha sentita l'ingiustizia sola: l'ha veduta impu-
nita, temuta; ha veduto colui, dal quale aveva imparato a detestarla, ritirarsi, cedere,
assecondarla, quando si è mostrata nella sua forza; dopo averla abborrita, egli ne è
stato abbagliato, ne ha fatto il suo Dio». {Sp. prom., pp. 448-9).
(6) « Offeritela — incalzava il cardinale — per le mani dei violenti in sacrificio
alla fede e alla carità, e la Chiesa la raccoglierà come un nobile tesoro, la conserverà
di generazione in generazione, di sacerdozio in sacerdozio, come un oggetto di culto,
120 PARTE PRIMA
del divino Maestro ripeteva contro il pusillanime la più fiera e ter-
ribile (*).
Nella nuova stesura il tòno è grave, austero, accorato, ma non
<ì09ì cupamente doloroso come nella prima: Federigo interroga e
scruta, incita e contuta, rimprovera e giudica più con l'ansia di ri-
durre il curato alla confessione, al pentimento, alla promessa di ca-
rità che di suscitargli nell'animo l'orrore dell'iniquità commessa,
senza perturbarlo, come faceva negli Sposi promessi, con la visione
della sciagurata vita di Renzo: nella sua voce vibra piuttosto la
gentile energia di Paolo che il fremito minaccioso del veggente di
Patmos : pensoso delle umane passioni non meno che lo fosse nella
primitiva redazione del colloquio, è tuttavia parco nel dipingerle e
nel deplorarle (*); più che il cruccio per la tristizia de' potenti,
per l'oppressura degli umili e l' infermità della carne, erompe dal
suo discorso la convinzione cristiana della santità del ministero^
della potenza di Dio, che largisce infallibilmente il coraggio a chi
glielo chiede, della necessità del dovere e dell'amore (^) : onde in-
siste con penetrante analisi nell'esaminare la colpa del parroco vile,
nel precisare la condotta che questi avrebbe dovuto tenere (*), sor-
volando sulle funeste conseguenze del suo fallo ('): insomma dal
contegno e dalle parole dell'alto prelato traspira un'indignazione
profonda sì, ma contenuta, una fierezza evangelica non scompagnata
■come un testimonio della forza che le è stata data dall'alto, come un tempio dove lo
spirito avrà operate le sue meraviglie» (Sp. prom., pp. 441-2).
(1) « Chi non ha cura dei suoi — ripeteva con Gesù il cardinale — ha negato la
fede, è peggiore dell'infedele» (Sp. jjrom., p. 449).
(2) Sono rapidi accenni o giudizi pacati: «Non sapevate voi che e' eran de' vio-
lenti, a cui potrebbe dispiacere ciò che a voi sarebbe comandato* » (cap. XXV, p. 374).
« Perchè vi siete voi impegnato in un ministero che v'impone di stare in guerra
con le passioni del secolo!» (ibid., p. 376). « L'iniquità s'era fatta vedere a voi,
per intimarvi il suo desiderio; ma voleva rimanere occulta a chi avrebbe potuto ri-
pararsi da essa, e mettersi in guardia; non voleva che si facesse rumore, voleva il
segreto, per maturare a suo bell'agio i suoi disegni d'insidie o di forza; vi comandò
la trasgressione e il silenzio: voi avete trasgredito, e non parlavate» (cap. XXVI,
p. 377). «Non sapevate che, se l'uomo promette troppo spesso più che non sia per
mantenere, minaccia anche non di rado, più che non s'attenti poi di commettere? Non
sapevate che l'iniquità non si fonda soltanto sulle sue forze, ma anche sulla credulità
e sullo spavento altrui ȓ (ibid., p. 379).
(3) V. specialmente le pp. 376 e 378.
(4) V. pp..cit. e pp. 377, 379.
ib) Vi allude con quelle parole: «avendone presa un'altra [strada], ne restate
mallevadore voi ; e di quali conseguenze » ! (ibid., p. 378) e un po' più apertamente,
ma misuratamente, con quest'altre: «Ora uno fuggitivo da casa sua, l'altra in pro-
cinto d'abbandonarla, tutt'e due con troppo forti motivi di starne lontani, senza pro-
babilità di riunirsi mai qui, e contenti di sperare che Dio li unisca altrove » (ibid.,
pp. 381-2).
LA GENESI ETICO -RELIGIOSA 121
da un grande ardore di carità, un vivo dolore per le aberrazioni
umane, ma temperato dalla speranza. Non v'era nella prima reda-
zione la magnifica frase di don Abbondio: il coraggio, uno non se
lo può dare » (*) ; né all' atto del colpevole che « restò lì senza
articolar parola > alle domande di Federigo: « cosa v'ha ispirato il
timore, l'amore? cosa avete fatto per loro? cosa avete pensato » ?,
seguiva quella curiosa riflessione del Manzoni : « anche noi sentiamo
una certa ripugnanza a proseguire : troviamo un non so che di
strano in quel mettere in campo, con così poca fatica, tanti bei
precetti di fortezza e di carità, di premura operosa per gli altri, di
sacrifizio illimitato di se. Ma pensando che quelle cose erano dette
da uno che poi le faceva, tiriamo avanti, con coraggio » (*).
La risposta di don Abbondio non è soltanto una magistrale pen-
nellata che ne mette in piena luce il carattere, ma insieme con quel
commento, così sapido d'arguta bontà, rivela un aspetto, che nella
prima redazione dell'episodio rimaneva, se non occulto, oscurato,
del pensiero etico e religioso del Manzoni: quell'attitudine, eserci-
tata con serena indulgenza, a non trascurare, nel giudizio dell' uomo,
1 limiti e i mezzi della nostra natura, a valutare, senza querimonie
o recriminazioni, la distanza tra ciò che 1' uomo è nella sua realtà
storica e 1' ideale di perfezione, che gli si offre ne' precetti e negli
esempi solenni. Codesta concezione più comprensiva e pili profonda
della realtà limitatrice dell' ideale, ha consentito al Manzoni di rag-
giungere la più alta vetta della coscienza cristiana, di guardare,
cioè, la vita, temperando con la sapiente bontà, ispirata dall'espe-
rienza e dal senso del reale, 1' austero pessimismo germinante dal
fondo stesso dell'etica religiosa; ha, di conseguenza, concorso a
quella maggior misura e sobrietà, a quella concretezza più risentita
e vitale, a quella più universale umanità di che a suo tempo ve-
dremo la fantasia dello scrittore rinnovar la materia del primo getto.
Né soltanto nel luogo citato, ma in altri ancora, che nella prima
stesura non si ritrovano, vediamo i segni di cotale attitudine del
pensiero manzoniano. Nel rifare la biografia di Federigo Borromeo
il Manzoni ci offriva da prima un ritratto di quasi assoluta perfe-
zione, evidentemente per rendere, in forza del contrasto, più turpe
e obbrobrioso il quadro della corruttela e della barbarie della so-
cietà secentesca; e, se pure ammetteva che talune superstizioni uni-
versali si fossero imposte alla mente di quel magnanimo, ne esaltava
(1) Prom. sp., cap. XXV, p. 375.
(2) Ibid., p. 376 e cap. XXVI, 377.
122 PARTE PRIMA
la somma virtù anche nell' applicazione di esse (*). Ma ecco l'osser-
vato concetto della realtà limitatrice dell'ideale, inducendo il Man-
zoni ad una valutazione più esattamente storica di quella complessa
personalità, gli suggerisce la notevole aggiunta che si legge nel-
l'ultima redazione: < Non dobbiamo però dissimulare che tenne con
ferma persuasione, e sostenne in pratica, con lunga costanza, opi-
nioni, che al giorno d'oggi parrebbero a ognuno piuttosto strane
che mal fondate >, e gli fa lasciare, con arguto riguardo, insoluta
la questione se possa valere « quella scusa così corrente e ricevuta,
ch'erano errori del suo tempo piuttosto che suoi », « bastandoci —
soggiunge — d' avere accennato così alla sfuggita che, d' un uomo
così ammirabile in complesso, noi non pretendiamo che ogni cosa
lo fosse ugualmente; perchè non paia che abbiam voluto scrivere
un' orazion funebre » (^).
Nella scena stessa dell'incontro de' bravi la paura di don Ab-
bondio non aveva nel prima getto quello sviluppo organico, quella
determinazione di motivi e d'atteggiamenti che ha ricevuto di poi.
Dopo le prime brevi battute di divieto circa il famoso matrimonio
e d'intimidazione, uno de' bravi usciva a dire: « Signor Curato, ci
ha intesi: l'illustrissimo Signor don Rodrigo nostro padrone le fa
i suoi complimenti». Poi seguiva l'intimazione del segreto e tra
questa e il salato significativo da parte di don Rodrigo non corre-
vano che le magre parole del curato : « Se mi sapessero suggerire... »
e quelle, di rimando, del bravo: «Oh! suggerire a lei che sa il
latino » (3) ! Nel rifacimento ha tutto un nuovo vivido risalto l' im-
pressione di sgomento che colpisce il malcapitato a sentire il nome
di don Rodrigo: « fu, nella mente di don Abbondio, come, nel forte
d'un temporale notturno, un lampo che illumina momentaneamente
e in confuso gli oggetti, e accresce il terrore ». Il dialogo, dopo
l'intimazione del silenzio, prosegue tra quel domandare esigente
del bravo : « Via, che vuol che si dica in suo nome all' illustrissimo
signor don Rodrigo?.. » e il titubare del curato che risponde: «Il
mio rispetto... » ; tra l'incalzar dell' uno con quel brusco: « Si spie-
ghi meglio » ! e quella disperata dedizione dell'altro: « Disposto...
disposto sempre all' ubbidienza » ; e ha per suggello quel commento,
pieno d' ironica urbanità, dell'autore: « proferendo queste parole, non
sapeva nemmen lui se faceva una promessa o un complimento » {*).
(1) V. n. 296.
(2) Prom. sp., cap. XXII, pp. 323-4.
(3) Sp. prom., p. 21.
(4) Prom. sp., cap. I, pp. 12-13.
LA GENESI ETICO - RELIGIOSA 123
La cura con cui il Manzoni svolge, e arricchisce di motivazioni
nuove, l'azione dialogica nell'ultima forma dell'episodio, risolve la
situazione, ch'era nella primitiva ancor vaga e imprecisa, dell'evi-
dente contrasto tra la natura di don Abbondio e l'arduo ufficio del
suo ministero: la risolve deliberatamente con una catastrofe così
chiara e definitiva che non solo ne vediamo escire ormai nettamente
segnato il profilo psicologico e morale del personaggio, ma avver-
tiamo con quale forza immanente e irresistibile la realtà delle cose
e de' temperamenti umani perturbi, o addirittura soggioghi, le più
alte missioni ideali della vita : sentiamo che l' ideale è grande e
degno, altresì, d'essere esaltato nella parola severa e ardente d' un
Federigo Borromeo, ma che, nella realtà dell' azione, urta irrepa-
rabilmente contro il limite della nostra natura finita.
A questa semplice verità umana pensava il Manzoni nel ritoccare
il contegno degli sposi e di Agnese fuggiaschi, quando fra Cristo-
foro mostra di credere che Menico « gli avesse trovati tranquilli in
casa, prima che arrivassero i malandrini » : « nessuno lo disingannò —
dice il Manzoni ne' Promessi sposi — nemmeno Lucia, la quale però
sentiva un rimorso segreto d'una tale dissimulazione, con un tal
uomo ; ma era la notte degl' imbrogli e de' sotterfugi » {}). Questo
tratto non si leggeva nella minuta, né v'era altro che un cenno della
rivelazione, fatta dal frate, del pericolo corso dalla povera Lucia (^).
Con r avere circostanziato e precisato quel primo incontro, e fatto
commettere ai fuggiaschi, a Lucia stessa, un altro imbroglio dopo
quello, più grosso, del tentativo di matrimonio per sorpresa, il Man-
zoni ha voluto riavvicinare all'ordinaria realtà delle cose e dello
spirito tali personaggi, come son questi, pensati e plasmati al lume
del suo ideale religioso, perfino quella sua Lucia in cui si compiace
specchiare talune delle più alte virtù cristiane: ne ha sottoposto,
per così dire, la genesi idealistica (né in questo sol punto, né di
questi personaggi soltanto) all' « acre foco » del realismo psicologico,
limitando, sì, l'ideale, ma approfondendo l'umanità delle creature
nate dalla sua coscienza morale e artistica. Chi non sente quanta
vita vera palpiti in quella notte che il corso del destino voleva fosse
« la notte degl' imbrogli e de' sotterfugi » per tutti, — e buoni e cat-
tivi, e oppressi e oppressori, e piccoli e grandi, — e come natural-
mente pervada e di sé colorisca spiriti e cose la realtà con le sue
leggi ferree e con le sue imperfezioni irrimediabili?
(1) Prom. sp., cap. Vili, p. 120.
(2) Sp. prom., p. 148. Questo era tutto: «E qui raccontò ai poveretti il pericolo a
cui erano sfuggiti ».
124 PARTE PRIMA
Alla realtà, limitatrice delle forze morali dell'uomo, nessuno sfugge
de' personaggi manzoniani : non Federigo, non Lucia, non fra Cri-
stoforo; tanto meno gli altri: essa è la legge eterna della vita, dal
poeta assunta nel disegno dell' azione generale e nella creazione
particolare de' caratteri : ancora confusamente intuita e incertamente
applicata nella prima forma del romanzo, qualche volta rudemente
applicata per eccesso di colorito storico e di psicologismo, come
nella primitiva figurazione del carattere di fra Cristoforo, s'è fatta
chiara, armonica, costante nell'ultima forma, cooperando a tempe-
rare, nel gioco delle idee etiche e de' motivi sentimentali e nel
processo stesso di ricreazione e trasfigurazione fantastica, gli eccessi
di pessimismo e d' idealismo moralistico del primo getto e ad uni-
ficare le due contrastanti tendenze in una piti cooerente e serena
concezione cristiana.
PARTE SECONDA
LA GENESI LETTERARIA
Capitolo I.
Fondamenti dell'estetica manzoniana
I. L'arte come rappresentazione delle verità eterne dello spirito. —
II. La poesia in relazione con V ideale di perfezione e con la
realtà conosciuta. — III. La poesia e la verità storica.
I. Come nella prima parte di questo lavoro ho ricercato e illustrato
la genesi e la trasformazione del romanzo manzoniano in ordine ai
principi, ai motivi e agli atteggiamenti del pensiero etico-religioso,
donde il poeta trasse la più remota e più profonda ispirazione, così
ora devo riguardare dell' una e dell' altra le ragioni e le vicende in
ordine alle sue idee letterarie e al suo sistema del romanzo storico.
E impossibile farsi un' idea esatta dell' estetica manzoniana, se non
se ne studiino le relazioni di dipendenza e d'influsso reciproco
eh' essa ha con le idee morali dello scrittore e col suo concetto del
vero e della storia.
Pel Manzoni 1' attività poetica e il sentimento e il giudizio mo-
rale sono inscindibili nell'unità dello spirito. Solo quando si fondi
su quest'accordo, la poesia è consolatrice della vita e ausiliatrice
della missione religiosa: luce benigna riverberata da quell'ordine
ideale che noi vagheggiamo, ma che non ha compimento se non
oltre il nostro vivere terreno (*). Fermo questo concetto che la poesia
deva essere un'efficace e piena rappresentazione del mondo morale,
il Manzoni non si perita d' asserire : « la perfezione morale è la
perfezione dell'arte»; onde Shakespeare sovrasta a tutti i poeti,
«perchè più morale », cioè perchè primeggia in quella « rappresen-
tazione dei dolori profondi e dei terrori indeterminati » che^ secondo
(1) 0%)p. in. 0 r., voi. Ili, p. 198.
128 PARTE SECONDA
il Manzoni, « è sostanzialmente morale, perchè lascia impressioni
che ci avvicinano alla virtù » (*).
Pensa egli che « più si va in fondo del cuore, » più si scopre
r uomo nella sua intima e profonda natura, commosso o dal dolore
o dal terrore, e che per tal via « più vi si trovano i principi eterni
della virtù >, Questi, «nelle circostanze comuni,» cioè «nelle pas-
sioni più attive che profonde », più sensuali che spirituali, come ne'
desideri e conati « verso un intento, sia d'amore, sia d'ambizione,
sia d'altro», sono dimenticati dall'uomo. L'arte che rappresenti co-
desta vita superficiale dello spirito non ha la nostra simpatia, non
genera l'immedesimazione dell'anima nostra con la rappresentazione
poetica: è l'arte delle opere teatrali francesi, guardando esclusiva-
mente le quali il Bossuet, il Nicole e il Rousseau sentenziarono es-
sere il teatro essenzialmente immorale. Qual' è, per contro, l'effetto
della rappresentazione artistica « dei dolori e dei terrori » ? Che
r uomo, trasportandosi con l' immaginazione fuori delle cose note,
degli accidenti comuni della vita nella « regione infinita dei possibili
mali, sente la sua debolezza; le idee ilari di vigore e di difesa l'ab-
bandonano, e pensa che in quello stato, la sola virtù e la retta co-
scienza e l'aiuto di Dio posson dare qualche soccorso alla mente » (*).
Ripensiamo alla notte terribilmente angosciosa dell' Innominato
nel suo castello, a quella, agitata da ben altri terrori e patimenti,
di Lucia, al pauroso sogno di don Rodrigo, al terrore che l' invade,
quando scorge su se stesso i segni mortali della peste, e all'agonia
greve silenziosa di lui sul giaciglio nel lazzaretto : sono stati d' a-
nimo e scene che il poeta ha vigorosamente concepito e rappresen-
tato conformi a quel suo ideale d'arte austeramente edificativa.
La poesia — ammonisce inoltre il Manzoni — deve rendere il
lettore o lo spettatore non complice de' personaggi e delle passioni
loro, ma giudice, e farlo sentire separatamente da essi: cioè la
rappresentazione delle passioni non deve eccitar la simpatia, ma la
riflessione sentita; solo in questo caso è veramente poetica (^). E
poetico sempre sarà altresì il rappresentare coi mezzi dell'arte le
inquietudini e i patimenti umani, poiché il poeta non può dare che
una visione pessimistica della vita: dipingere le « rimembranze meste
del passato, che ci sembra essere stato più felice per noi », e le
« speranze dell'avvenire » è far poesia; « ma deve il poeta far sentire
la vanità di questi sentimenti ». Ed ecco il Manzoni chiarire con
(1) ma., p. 163.
(2) Ibid., pp. 205-9.
(3) Jìiid., pp. 210, 212.
LA GENESI LETTERARIA 129
nuovo acume una sua idea estetica, già in altro luogo adombrata,
con questa schietta asserzione : « A chi dicesse che la poesia è fon-
data sulla immaginazione e sul sentimento e che la riflessione la
rafiFredda, si può rispondere che piti si va addentro a scoprire il
vero nel cuore dell' uomo, più si trova poesia vera (*) »,
Il Manzoni stringe in una sola unità spirituale il « bello morale »
e il « bello poetico », reputandone assurda la distinzione, perchè la
poesia non può aver fondamento che sulla verità, non la verità
che abbia 1' approvazione de' contemporanei, in quanto è conforme
alle loro idee e ai loro gusti, ma quella che ottiene 1' assentimento
de' posteri: unicamente interessanti sono le verità che non soddi-
sfano gli spiriti leggeri, ma quelli che cercano di comprendere la
natura umana ed i mali della vita (*).
Il diletto letterario stesso non è che assentimento alle verità mo-
rali. E non può essere inteso che in questo senso morale ciò che il
nostro scrittore dice del « sentimento vero e sincero » espresso dalla
poesia cui spetti l'immortalità. Ne consegue che il poeta deve ten-
dere « al perfezionamento della società », disobbligandosi dalle par-
ticolari circostanze del suo secolo, per avventura opposte a quel
fine, giacché « le cose eternamente vere sono le più sentite e le più
lodate^ se non dai contemporanei, dai posteri (^) ; con ciò il Manzoni
afferma un principio che supera la poetica de' romantici italiani,
quello dell'universalità e perennità della poesia in ragione diretta
delle leggi e degli aspetti eterni della vita, che l' arte intuisce e si-
gnifica nelle sue forme concrete. Egli è perciò avverso a tutte le
censure e le distinzioni sistematiche e ai pregiudizi teorici, che vor-
rebbero limitare l'indipendenza dell'arte; onde allo stesso A. G.
Schlegel, tanto caro ai romantici, che nel suo corso di letteratura
drammatica aveva mosso appunti alle tragedie d'Euripide, perchè
non vi trovava la pura essenza del dramma greco né l'idea domi-
nante del Fato, il Manzoni osserva che Euripide era libero di con-
cepire un'altra specie di tragedia, né poteva quell'idea, in quanto
falsa e caduca, costituire il carattere esclusivo della poesia dram-
matica (*).
Al medesimo Schlegel, il quale aveva detto essere l' ispirazione
dell'Alfieri piuttosto politica e morale che poetica, ribatte che tale
(1) Ibid., p. 197.
(2) « 11 n' y a qu' une règie pour juger des peintures de caractère; c'est d'examiner
si elles présentent des vérités intéressants ». (Opp. in. o r., voi. II, p. 440).
(3) Ibid., p. 441.
(4) Ibid., p. 433.
Bu setto — e
130 PARTE SECONDA
distinzione, all'analisi dell'opera alfleriana, svanirebbe (*), appunto
perchè un ideale politico ed etico, poeticamente significato^ in quanto
è una verità eterna dello spirito, non può non essere l'essenza stessa
della poesia che lo rappresenta. Posto come principio dell'arte l' in-
scindibilità della rappresentazione artistica dal suo contenuto ideale,
non poteva giudicare che sorgente inesauribile d'errori la distinzione,
usata nella critica anche de' suoi giorni^ tra le idee e le emozioni:
non si può fare — egli osserva — poesia senza idee, e se un'opera
letteraria produce delicate emozioni in chi s'accosti ad intenderla e
a gustarla, bisogna ammettere eh' essa sia l'espressione di un ordine
d'idee dominanti a cui si sia elevato arditamente 11 poeta; poiché
che fa il poeta se non « dare espressione ai desideri, ai patimenti
e alle convinzioni della società? (*). Ma — si noti bene — non
perciò il poeta ha da « tener conto delle norme convenzionali e dei
desideri, per lo più temporanei, della maggior parte dei lettori » ;
poiché, se è l'interprete d'un mondo ideale, non ha «mezzo mi-
gliore > pel suo alto fine che « di fermarsi nella viva e tranquilla
contemplazione » del suo argomento {^).
Questo modo di considerar la poesia come lo specchio di principi
eterni, come uno strumento del perfezionamento morale e sociale
dell'uomo non limita lo spirito critico del Manzoni, quando gli si
offre il destro di valutare l'organismo, che è quanto dire l'unità
estetica dell'opera d'arte. In una lettera a Diodata-Saluzzo, ben
nota, ma, eh' io sappia, non del tutto apprezzata per le idee che vi
sono espresse, egli, conformandosi ad un principio enunciato da
A. G. Schlegel, dimostra con mirabile chiarezza che il valore di un
componimento letterario consiste nell'avere una forma organica,
individuata, con caratteri suoi propri, con una sua intima armonia
e convenienza della rappresentazione al soggetto, con un suo svol-
gimento interiore e una tale relazione delle parti tra loro che con-
ferisca equilibrio logico e unità artistica al tutto (*). Ma le parti,
— avverte il Manzoni, correggendo un altro giudizio dello Schlegel
a proposito di una situazione del coro nell'Antigone sofoclea — ab-
biano ciascuna la propria ragione logica e compiutezza poetica in
8è, indipendentemente dal suo rapporto col tutto (^) ; onde è giu-
sto — soggiunge contraddicendo ancora quel critico tedesco — che
(1) Ibid., p. 435.
(2) Ibid., p. 438.
(3) Lett. al Goethe del 23 genn. 1821 (in Cart. cit., p. 520).
(4) Lett. del 6 sett. 1827 (in Epist. cit. voi., I, pp. 355-7).
(5) Opp. in. o r., voi. II, p. 432.
LA GENESI LETTERARIA 131
si ammiri la parte, che sia per sé bellissima, di un'opera, anche se
le altre siano difettose, giacché il fatto che le parti coesistono ne-
cessariamente nel tutto non legittima il pregiudizio che così le parti
belle come le brutte abbiano a soggiacere alla stessa critica ne-
gativa (^).
Per questa rapida ricostruzione del pensiero critico del Manzoni
intorno all'essenza dell'arte mi sono servito — come s'è visto —
dei cosidetti Materiali estetici e delle tracce e de' frammenti di un
discorso, vagheggiato dal Manzoni, sulla « Moralità delle opere dram-
matiche •», non che delle Postille preziosissime; i quali scritti risal-
gono tutti, a un di presso, — come addietro notavo — al tempo
della composizione del Carmagnola, à.Q\V Adelchi e dell' ideazione del
romanzo, tra il 1816 all' incirca e il '21, o giù di li. Giova infatti,
al fine di intendere l'arte d'uno scrittore, osservarne lo spirito cri-
tico nella spontaneità e nel fervore della sua attività giudicativa,
mentre egli viene, ad un tempo, esplicando quella originalmente
creatrice.
*
* *
II. Su questo proposito, e proprio di questo tempo (*), v'ha una
lettera all'amico ab. Gaetano Giudici, nella quale il Manzoni rischiara
di nuova luce il suo concetto della poesia, riguardata come espres-'
sione di un ideale superiore e come figurazione realistica del vero.
L'opera poetica — dice il Manzoni in questo suo scritto, tanto più
notevole per la calda spontaneità e la lucidità delle idee — genera
un duplice interesse : 1' uno, diremo così, ammirativo per le figure
poetiche conformate a un tipo di perfezione, qual' è nel nostro de-
siderio; l'altro consistente nella tendenza « di conoscere quello che
è realmente e di vedere più che si può, in noi stessi e nel nostro
destino su questa terra ». Se ben si legge nello spirito delle parole,
il Manzoni intende che il poeta perviene al primo con l'idealizza-
zione della personalità umana, al secondo con l' interpretazione psi-
cologica della verità storica. Circa questa verità e il grande valore
morale e sociale che l'arte consegue facendosene rappresentatrice,
vedremo fra poco; osservo intanto che, d'accordo coi romantici
lombardi, giudica il secondo interesse « il più profondo ed il più
utile ad eccitarsi > ; ma non esclude che l' uno e l' altro possano
(1) ma., p. 437.
(2) È del 7 febbr. 1820 (in Cart. cit., pp. 466-7).
132 PARTE SECONDA
trovarsi riuniti in una medesima azione e in un medesimo perso-
naggio, come appunto egli fece nel romanzo rievocando artistica-
mente dalla storia (che altro è l'interpretazione psicologica della
storia se non un'evocazione artistica di essa?) e ingrandendo alla
luce di un' alta idealità religiosa la figura di Federigo Borromeo.
D' altra parte chiama « metodo vizioso quello di trasportare negli
avvenimenti la perfezione che non è che nella idea, e che quando
sia rappresentata in idea, è veramente poetica e morale ». I cori
delle tragedie sono appunto la rappresentazione poetica di un ideale
di perfezione, che è nella coscienza del poeta o dei lettori e spet-
tatori; medesimamente alcune parti liriche de' Promessi sposi sono
effusioni di codesto bisogno spirituale, tributi della poesia all'ideale
della perfezione morale, come V Addio, monti, — sospiro dell'anima
all' ideale di pace domestica nella consolante letizia dell'amore san-
tificato da Dio — , come quel discorso del card. Federigo all' Inno-
minato pentito, che s' intona solenne e ispirato con le parole : « cosa
può far Dio di voi? », ed è l'inno fervido e devoto dell'anima cri-
stiana alla carità divina, come la sublime celebrazione, che egli
stesso fa nel colloquio con don Abbondio, dell'ufficio sacerdotale e
della missione religiosa nel mondo, come nelle parole, tutte amore
e fierezza, che a don Rodrigo rivolge fra Cristoforo, esaltando, nel
vituperio delle nostre passioni vane o inique, la giustizia divina.
Non che il Manzoni confondesse l'estetica con la moralità, il sen-
timento con la rappresentazione artistica, la realtà, divenuta motivo
di commozione affettiva, con l'arte di figurarla: egli osservava che
le idealità morali, suscitate in noi dal travaglioso desiderio di per-
fezione, ricevono una lor viva incarnazione nella poesia, in guisa
che r idea e la forma si fondano in una rappresentazione poetica
che tocchi le più alte vette della lirica ; e che la realtà universa (non
esclusa la natura), quel « misto di grande e di meschino » che è,
alla fin fine, la storia, è traducibile in forme d'arte concrete, in cui
il reale, l'accaduto, il contingente si specchi riflettendo la vicenda
delle armonie e disarmonie della vita, non però straordinarie, ma,
per così dire, prodotte e governate dalla logica delle cose e dalle
leggi eterne dello spirito umano (*). La poesia dunque va dall'effi-
cace e vivace rappresentazione di ciò che è reale, ovverosia storico,
alla celebrazione lirica di ciò che è idea, come aspirazione a un
(1) V. anche la lett. al Fauriel del 29 maggio 1822 (in Epist. cit., voi. I, p. 242),
nella quale biasima ne' romanzi contemporanei « l' unite artificielle que l'on ne trouve
pas dans la vie réelle » per ciò che concerne il succedersi degli avvenimenti e il loro
influsso sul destino de' personaggi.
LA GENESI LETTERARIA 133
mondo superiore: è, ad un tempo, quadro e inno della vita e degli
ideali umani.
In queste tendenze critiche, in questi concetti della poesia e del-
l'arte, che è lecito scorgere nella lettera del 1820 al Giudici, c'è
qualche cosa che s'inalza sopra la schematica regola, che il Man-
zoni enuncia nella celebre lettera sul Romanticismo inviata tre anni
dopo a Cesare d'Azeglio, dover cioè proporsi « la poesia o la lette-
ratura in genere, l'utile per iscopo, il vero per soggetto, e l'inte-
ressante per mezzo » (*), In quella lettera, nel fervore con cui vi
esamina, indaga e svela le ragioni dell'arte sua, che ha sentite e
secondate componendo il Carmagnola e che certamente operarono
con egual forza anche nell'ideazione e composizione dell'Adelchi e
de' Promessi sposi, il Manzoni ci si presenta in un aspetto singolare
e definito di critico meditante sull'arte propria e sulla poesia in
genere, esprime concetti acuti e ci rischiara la via a intendere la
genesi e i modi delle sue creazioni poetiche. Del resto, che la poesia
si dovesse ricondurre alla rappresentazione della vita reale, che do-
vesse essere, a un tempo^ l' espressione ammirativa ed educativa
d' un' idea di perfezione morale erano codeste idee non dissimili
dalla dottrina, e qualche volta dalla pratica della scuola roman-
tica (*); ma è merito del Manzoni averle pensate e professate con
vigore nuovo che le fa apparire in lui quasi originali, e averle fe-
delmente osservate (assai più fedelmente di tanti romantici, com-
preso il suo dilettissimo Grossi) nel fare poesia, ond'egli — più loico
de' suoi confratelli in arte — rifuggiva dal vago, dall' indeterminato,
dal favoloso, e anzi metteva una buona dose della sua fine ironia
nel citare quel « beau principe » (principio essenzialmente roman-
tico!) che il vago, l'indeterminato, il confuso fosse poetico di sua
natura (^).
*
III. Le idee letterarie del Manzoni, fin qui riguardate ne' rapporti
con la sua dottrina etica, hanno altresì una intima colleganza col
suo concetto del vero e della storia.
È principio assiomatico del pensiero manzoniano che nell' opera
letteraria la verità storica e il significato morale sono nettamente
(1) Vedine l'ediz. data nell'Epist. cit., voi. I, p. 306.
(2)' Cosi alla stregua di quel principio il Manzoni lodava i Profughi di Parga del
Berchet in una lett. del 29 genn. 1821 al Fauriel (in Cari, cit., p. 513).
(3) V. Cart. cit., p. 528.
134 PART2 SECONDA
connessi, poiché quanto più i personaggi, le loro lotte interiori, i
loro delitti, i loro caratteri saranno rappresentati secondo la verità
storica, tanto maggior rilievo e significazione morale riceveranno.
Nulla è tanto possente quanto l'interesse della verità: può destar
dolore, ma perfeziona l'anima, ed ha indubbiamente effetti morali,
se il disgusto che eccita è disgusto del male (*).
Perchè il Manzoni si mise risolutamente sulla via del dramma
storico e fu tanto preso dalla questione che ferveva intorno ad esso?
Appunto perchè vi trovava una forza morale purificatrice (*). La
storia è un' eterna scuola di morale (^) : eccita in noi l' interesse
coi « fatti grandi > che presenta, ma ci lascia, ad un tempo, nel
« desiderio di conoscere o di immaginare i sentimenti reconditi, i
discorsi ecc. » che hanno accompagnato gli avvenimenti ; ebbene,
a soddisfare questo desiderio interviene la poesia, inventando quei
sentimenti « nel modo il più verosimile, commovente e istruttivo ».
Ciò osserva il Manzoni a proposito dell'ideale drammatico, che
vede attuato al più alto grado in molte tragedie dello Shakespeare
e manifesto anche nello Schiller e nel Goethe; ma non v'ha dubbio
ch'egli vi aderisce per una ragione morale. Che si propone infatti
quel genere di dramma? « Di interessare vivamente colla rappre-
sentazione delle passioni degli uomini, e dei loro intimi sensi svi-
luppati da una serie progressiva di circostanze e di avvenimenti,
di dipingere la natura umana, e di creare quell'interesse che nasce
neir uomo al vedere rappresentare gli errori, le passioni, le virtù,
l'entusiasmo e l'abbattimento a cui gli uomini sono trasportati nei
casi più gravi della vita, e a considerare nella rappresentazione
degli altri il mistero di se stessi » (*).
Ciò che tace la storia rivela la poesia — dice altrove il Manzoni
estendendo il suo concetto del dramma ai componimenti letterari
in generale: — lo studio, l'analisi, la rappresentazione progressiva
dei mutamenti di un'anima^ de' suoi disegni, delle sue illusioni,
de' combattimenti intimi che hanno preparato la sua caduta e il
suo trionfo, tutto ciò è « profond, instructif et dramatique » (').
La nostra miseria morale non può essere rappresentata che dalla
poesia, poiché è di questa appunto una delle più belle facoltà quella
(1) Lettre à M. C. sur V unite de tonps et de lieu dans la tragèdie, in Opere
varie (ed. cit.) pp. 409-10.
(2) V. A. Galletti, Studi e saggi cit., p. 8 e segg.
(3) Per ciò che si riferisce alla teoria storica rispetto al dramma, v. l'esposizione
fattane dal Galletti in Studi e saggi cit., pp. 16-20.
(4) Opp. in. 0 r., voi. Ili, p. 155 e Lettre sur l'unite cit., p. 432.
(5) Lettre cit., p. 409.
LA GENESI LETTERARIA 135
di « fermar la nostra attenzione, con l' aiuto di un grande interesse,
sopra fenomeni morali, che non si potrebbero osservare senza re-
pugnanza » (^). « L'essenza della poesia non consiste nell' inventare
ì fatti », che anzi « la grande poesia ha sempre avuto fondamento
sulla storia o su ciò che è stato considerato come storia » (^) : la
tragedia greca, ad es., ha tratto i soggetti dalle tradizioni nazionali;
ma anche i tragici moderni hanno voluto (o almeno creduto) tenersi
fedeli alla storia, come, ad es., il Racine e il Corneille. La relazione
della storia con la poesia consiste in questo, che la poesia compie
r interpretazione psicologica e drammatica de' caratteri umani, offerti
dalla storia, e la loro figurazione e rappresentazione artistica. È
questo il medesimo procedimento pel quale ne' Promessi sposi la
realtà storica, evocata di su i documenti o intuita nello spirito della
vita e de' costumi del Seicento italiano, ha assunto le forme della
poesia. Posto il vero storico come fondamento della concezione poe-
tica, sarà la storia — secondo il Manzoni — che redimerà l'arte
dai modi convenzionali e falsi delle vecchie scuole: i progressi degli
studi storici, rivelando il vero, riscattandolo da intenzioni parziali,
da sistematiche astrazioni, affezioneranno le menti e le invoglieranno
a vedere lo svolgimento de' fatti sulla scena. L'arte troverà i suoi
limiti ne' limiti stessi della natura, cioè della realtà, cioè della ve-
rità; né cercherà più d'ispirare le passioni negli spettatori o lettori,
ma la forza morale con cui dominarle e giudicarle. L' ideale della
poesia ispirata dalla storia è tutto in queste calde parole che val-
gono non più per la tragedia che per ogni altra forma dello spirito
poetico: « C'est de l'histoire que le poète tragique peut faire ressortir,
sans contrainte, des sentiments humains ; ce sont toujours les plus
nobles, et nous en avons tant besoin! C'est à la vue des passions
qui ont tourmenté les hommes, qu' il peut nous faire sentir ce fond
commun de misere et de faiblesse, qui dispose à une indulgence,
non de lassitude ou de mépris, mais de raison et d'amour » {^).
Testimoni, non attori, degli avvenimenti, rievocati poeticamente
dalla storia, ci abitueremo alle idee calme e grandi che essa pre-
senta, e, che, se si affacciano al nostro spirito nell'urto della quo-
tidiana realtà delia vita, sono disperse ben presto : così l' arte in-
tegra la vita, e le può conferire saggezza e dignità, o meglio assi-
curargliele, vivificando e sviluppando nelle anime l' ideale di bontà
e di giustizia, che ciascuna reca in se stessa, rintuzzando le tendenze
(1) IMd., p. 410.
(2) Ibid., p. 425.
(3) IMd., p. 449.
136 PARTE SECONDA
alle false passioni, sollevando la ragione sulla nostra debolezza e
sui nostri pregiudizi.
La questione della rappresentazione storica nell'arte e massime
nella tragedia, non era nuova; e s'era convenuto che si potessero
inventar circostanze per render drammatica l' azione ma tali che
non contraddicessero ai fatti più conosciuti e più importanti del-
l'azione rappresentata. La ragione che si metteva innanzi comune-
mente era che lo spettatore non avrebbe potuto prestar fede a ciò
che fosse contrario alla verità ch'egli conosceva. Ora, a vero dire,
non era questa una ragione molto inerente né essenziale all'arte;
il Manzoni, per quanto la riconoscesse giustissima, non poteva ap-
pagarsene, e ne trovò un' altra più valida, che, cioè, « les causes
historiques d' une action sont essentiellement les plus dramatiques
et les plus intéressantes > (^) : in altre parole, sono i fatti che, in virtù
della loro verità essenziale, possedono in più alto grado il carattere
di verità poetica, che si cerca nel dramma, nel romanzo o in altro
simile genere di poesia: la rappresentazione realistica dell'uomo ci
fa scoprire e valutare ciò che v' è di vero e d' intimo nella sua na-
tura, ci fa vedere gli effetti de' fenomeni esteriori sulla sua anima,
il fondo de' suoi pensieri, ond'ebbe l'impulso ad operare; a più
forte ragione assentiremo all'analisi, come il poeta la fa, de' carat-
teri, alla rappresentazione di essi in azione, se egli, per dare del-
l'uomo e della storia un'idea più vera, più intera, più viva, rappre-
senterà de' personaggi sentimenti veramente provati, azioni effettiva-
mente eseguite, mezzi realmente adoperati al conseguimento di un
fine (^). Nonché alla storia sia concesso di accamparsi nel dramma o
nel romanzo con la sua rigida somma di fatti e con questa sola; così
facendo, l' arte si ridurrebbe ad una meccanica riproduzione del reale.
No : il poeta — pensa il Manzoni — non riproduce, ma crea; e dare
all' azione, scelta in una serie di fatti, e ai caratteri de' personaggi
« uno sviluppo armonico, completare la storia, ricostruendo, per
così dire, le parti perdute di essa, immaginare pur anche de' fatti,
ove la storia non offre che cenni, inventare, se occorra, de' perso-
naggi che servano a figurare i costumi conosciuti di una data epoca,
prendere, infine, quanto esiste >, ovverossia è storicamente documen-
tato, e « aggiungervi quel che manca, ma in maniera che l' invenzione
s'accordi con la realtà, e sia anzi un mezzo per darle più vivo ri-
salto » tutto ciò si può ragionevolmente chiamare creazione poetica (^).
(1) IMd., p. 450.
(2) IMd., p. 427.
(3) ma., p. 428.
Capitolo II.
La teoria del romanzo storico
e la primitiva composizione dei Promessi sposi
I. La creazione poetica e la giustificazione estetica del romanzo storico.
— IL La teoria letteraria del romanzo storico e lo storicismo
degli « Sposi promessi ». — III. I reciproci influssi della ten-
denza storica e della tendenza etica nella prima concezione del
romanzo e le singolari prove della preoccupazione storica del
Manzoni, rivelate dalla prima stesura. Le digressioni storiche.
— IV. Le rivelazioni al Fauriel e la costruzione storica degli
« Sposi promessi >.
Non v'ha dubbio che anche la teoria del romanzo storico deve
rientrare nella generale dottrina della poesia e dell'arte, fondata
suir accordo della poesia con la realtà della natura e col vero della
storia.
Se non che l'applicazione degli osservati principi al romanzo pre-
senta difficoltà non lievi e rischia di cadere nel falso. Anche co-
struendo il romanzo — osserva acutamente il Manzoni — sulla base
larga e solida delle azioni e de' discorsi in cui gli uomini hanno
manifestati i loro pensieri, di rado si consegue la verità nell' espres-
sione de' sentimenti umani, nell'analisi e nell'interpretazione del
cuore umano : troppe idee oscure, artificiose o false si mischiano alle
poche chiare, semplici e vere; la massima difficoltà, che ha reso
così scarso il numero de' grandi poeti, è nello sceverare le une
dalle altre. Il pericolo è maggiore, quando il romanziere trascuri o
sdegni la realtà, inventando di sua testa i fatti : allora la verità gli
sfugge ; egli non si cura della verosimiglianza così nelle azioni im-
maginate come ne' caratteri dai quali ha fatto derivare le azioni, e.
138 PARTE SECONDA
a forza d' inventare casi nuovi e situazioni nuove, rischi inattesi,
contrasti singolari di passioni e d' interessi, finisce col figurare una
natura umana che non somiglia punto a quella che vive e palpita
sotto a' suoi occhi o che, per meglio dire, non ha saputo vedere e
interpretare. Questo difetto il Manzoni scorgeva nella, maggior parte
dei romanzieri, da M.lle Scudéry a' suoi giorni ; onde osservava che
l'epiteto romanesque aveva assunto un significato spregiativo per
denotare a proposito de' sentimenti e costumi, quel genere partico-
lare di falsità, quel tono artificioso, quei tratti convenzionali che si
riscontrano ne' personaggi di romanzo (*). Dal che è lecito dedurre
che una delle ragioni per cui il Manzoni scelse il genere del ro-
manzo storico è stata la preoccupazione del vero, il timore di cadere
nei falso e nell'artificioso, ove al romanzo fosse mancata una base
storica, la persuasione che la conoscenza storica di una data età è
freno e misura per la retta rappresentazione della realtà umana:
principi e tendenze che contengono in germe la teoria del realismo
artistico, in quanto additano la verità storica come unica via per
raggiungere la concretezza e l'efficacia dell'arte: d'un realismo
artistico, però, a fondo moralistico, poiché move dal presupposto
che soltanto la rappresentazione dal vero serva al fine morale del-
l' arte.
In quelle sue rapide e sommarie riflessioni sul romanzo moderno
il Manzoni tuttavia non escludeva che vi fossero romanzi degni
d' essere riguardati come modelli di verità poetica, e certamente
intendeva assegnare il primo posto a quelli dello Scott, poiché, dopo
aver concepiti in modo preciso e sicuro caratteri e costumi, (e come
avrebbero potuto senza la ispirazione storica?) i loro autori avevano
inventato azioni e situazioni conformi a quelle che si avevano nella
vita reale, per poter dare sviluppo a quei caratteri e costumi se-
condo verità (*). Questo giudizio che il Manzoili dà sul romanzo
nella lettera allo Chauvet, consacrata alla difesa della riforma dram-
matica e del suo Carmagnola, ha importanza non solo per le idee
che vi sono espresse e per il maturo concetto che egli s' era già fatto
della letteratura narrativa, ma anche per l'esatta corrispondenza di
esso con noti giudizi e discussioni su cui il Manzoni s'intratteneva
in quel medesimo tempo con 1' amico Fauriel. Nel riprenderli in
esame ci verrà fatto di trarne argomenti utili ad intender l'origine
e la elaborazione de' Promessi sposi.
(1) ma., p. 431.
(2) Ivi.
LA GENESI LETTERARIA 139
Nel 1821 l'amico Grossi attendeva al suo poema sui Lombardi
alla prima crociata e il Manzoni, scrivendo al Fauriel, si compia-
ceva, come di un felicissimo vantaggio per la poesia epica, dell'idea
d'introdurre un « système d'invention des faits pour développer
des moeurs historiques >, quale s'era proposto il Grossi con lo scopo
« de peindre une epoque par le moyen d'une faible de son inven-
tion à peu-près comme dans Ivanhoe ». E da ciò traendo argomento
ad una considerazione generale, mentre conveniva che mescolare
alla storia, per sé stessa interessante, invenzioni poetiche sarebbe
stato disgustoso e puerile, soggiungeva : « Mais rassembler les traits
caractèristiques d'une epoque de la société et les développer dans
une action, profiter de 1' histoire sans se mettre en concurrence avec
elle^ sans prétendre faire ce qu'elle fait mieux, voilà ce qui me
paraìt encore accordé à la poesie, et ce qu' à son tour elle seule
peut faire » (^), Qui abbiamo l'idea fondamentale del romanzo sto-
rico, come r intese e 1' attuò il Manzoni: la lettera è del gennaio 1821
e la prima pagina della minuta del romanzo porta la data del
24 aprile 1821: dunque in quel tempo il Manzoni e il Grossi veni-
vano tra loro studiando e disegnando un ideale di poesia epico-sto-
rica o storico-romanzesca con lo scopo di tradurlo in pratica in opere
d'arte concrete.
Con questa attribuzione che il Manzoni conteriva alla poesia, as-
sunta come rappresentazione artistica dello spirito e della vita di
epoche storiche, s'accorda la definizione esplicita e chiara del ro-
manzo storico, come componimento letterario, che dava alquanti
mesi dopo che aveva già avviata la prima stesura del suo : « Je le
con90Ìs — scriveva al Fauriel — comme une représentation d'un
état donne de la société par le moyen de faits et de caractères si
semblables à la réalité, qu'on pouisse les croire une histoire véri-
table qu'on viendrait de découvrir. Lorsque des événements et des
personnages historiques y sont mélés, je crois qu' il faut les repré-
senter de la manière la plus strictement'historique » (^).
Questa enunciazione del modo come il Manzoni concepiva il ro-
manzo storico, è osservabile non tanto per la teoria in genere, che
non era, poi, del tutto nuova e originale, quanto pel proposito, re-
cisamente espresso, di volersi attenere strettamente alla realtà sto-
rica, sia neir immaginare fatti e caratteri così da ingenerar l' im-
(1) Lett. del 29 genn. 1821 (in Cart., pp. 513-4). V. anche la notizia del Cousin al
Goethe in Cari, cit., p. 518, nota.
(2) Lett. del 3 nov. 1821 (in Cart. cit., p. 541).
140 PARTE SECO^'DA
pressione che appartengano a vera storia scoperta, sia nel figurare
i personaggi storici, mischiati »1 racconto, con scrupolosa osservanza
del loro carattere storico, che è quanto dire delle fonti e de' docu-
menti, adoperati per interpetrarli e tratteggiarli. È questo il con-
cetto, secondo il quale aveva già tracciato il vasto disegno del suo
romanzo, e che ne impronta profondamente la prima stesura: os-
servare, interpetrare fedelmente la storia, anche con maggior rigore,
come riferiva il Cousin al Goethe in un suo colloquio del 1825 (*),
di quello che non avesse fatto lo Scott; far che il racconto roman-
zesco assuma tutte le sembianze e il colorito della realtà storica e
che la storia non sia menomata nella contenenza e ne' caratteri
suoi propri.
*
» *
II. Un confronto attento e particolareggiato della prima con l' ul-
tima definitiva redazione potrebbe provare che codesta scrupolosa
e, diciamo pure, alquanto angusta interpretazione psicologica della
storia, come il Manzoni la intendeva in teoria, influì in molte parti
del romanzo quale gli riuscì fatto nel primo getto, nella concezione
de' personaggi immaginari, come Renzo e fra Cristoforo, don Ab-
jbondio e don Rodrigo, ma più fortemente nella figurazione de' per-
jsonaggi storici, come l'Innominato, la signora di Monza e Federigo
t Borromeo. Gli uni e gli altri sono stati nel primo momento vera-
mente concepiti e atteggiati « de la manière la plus strictement
historique », quelli conforme la piìi pretta interpretazione dello spi-
rito del loro secolo o della classe a cui appartenevano, questi sia
raccogliendo con arida esattezza e svolgendo la materia dalle fonti
e perfino le parti aneddotiche delle cronache contemporanee, sia
conservando, se non anche aggiungendo, alcune note che vieppiù
ne individualizzassero il carattere storico in relazione con le abitu-
dini e le passioni del tempo. Abbiamo insomma nel modo come i
personaggi sono rappresentati e gli stessi avvenimenti narrati la
figurazione artistica, ma non ancora la idealizzazione epica della
storia né quella che può dirsi l'elevazione purificatrice di ciò che è
storico, contingente a ciò che è umano, universale. Questo sforzo,
che è evidente nella prima composizione del romanzo, di attenersi
strettamente alla storia, di dare una fisonomia quanto più fedelmente
storica agli stessi fatti e caratteri inventati, era dovuto al concetto
(4) Vedilo riportato in Cart. cit., pp. 517-8.
LA GENESI LETTERARIA 141
del reale che già abbiamo osservato nel sistema teorico del Man-
zoni, essere, cioè, non il reale artistico, ma il reale storico, non il
vero artistico, ma l'accaduto, l'esistente, in una parola, la storia.
Inteso il romanzo storico come una rappresentazione quanto più
realistica sia possibile delle condizioni morali e civili di un dato
momento della società, così da sembrare vera storia scoperta, era
naturale che il Manzoni, tutto preso dalla sua teoria, mirasse a fon-
dere il suo mondo in un tutto che avesse l'apparenza di quel reale
positivo, a lui tanto caro': sforzo inane, perchè l'immaginario, l'in-
ventato, sia nell'intreccio dell'azione che nella pittura de' carat-
teri, non poteva non avere in sé le impronte e il colore di una
creazione poetica, di quella creazione che il Manzoni stesso nella
lettera allo Chauvet riconosceva come legittima opera del poeta
al fine di integrare e, dirò così, drammatizzare la storia. Ne veniva
che, trattando la materia storica con rigida osservanza del vero e
con prodigalità, come quella che — secondo il suo concetto del vero
storico — era necessaria per dare ai lettori la conoscenza esatta e
piena di una realtà trapassata, evocando i personaggi storici con spiri-
to artistico sì, ma con la cura angusta che fossero vere individuazioni
concrete della società loro; costruendo, poi, di sua invenzione per-
sonaggi, un intreccio ed episodi che s'avvicinassero al ristretto vero
della storia, il Manzoni né conseguì la riproduzione realistica va-
gheggiata, né compì un' opera armonica in tutte le sue parti e pro-
fondamente poetica. Che la poesia e' è sì, per quanto torbida e grezza,
anche nella prima concezione ed esecuzione de' Promessi sposi, ma
giustapposta alla storia ; la verità storica e la verità poetica non
sono fuse nell'unità estetica dell'opera, ma si realizzano in modo
discontinuo e frammentario e diffuso, senza un intimo legame ideale
tra loro ; e così il rigore osservato nel riprodurre il reale della
storia, neir atteggiare gli stessi personaggi storici come il mal suc-
cesso nel tentar di ridurre in pretta sembianza storica anche i fatti
e i personaggi inventati fanno sentire piti aperto e più aspro quel
disaccordo tra l'ideale e il reale, tra il vero e l'inventato, tra la
storia insomma e il verosimile, che al Manzoni stesso (e teoricamente
aveva ragione) parve insanabile. Proprio così: se l'arte è, non meno
pei Romantici che per i Classici, imitazione del vero, non può esserne
una rigorosa e fedele riproduzione, e, posto che al vero, al positivo
storico si voglia intrecciare l'immaginario poetico, l'arte fallisce,
se restino semplicemente accostati e, sia pure, mescolati ; né può
salvarsi, se non quando la materia storica si trasformi in poesia, e
cioè la poesia assorba in sé la storia, idealizzandola; se non quando
142 PARTE SECONDA
la fantasia su figure ed azioni, che le siano ispirate da sentimenti
e costumi di un'epoca storica, imprima i caratteri della realtà umana
di tutti i tempi, vi rispecchi con immediatezza e concretezza gli
aspetti della vita, le vicende eterne delle anime.
Vero è che ne' Promessi sposi < il reale positivo — come dice il
De Sanctis — non ha impedito che egli raggiungesse un reale più
profondo e piti succoso, il reale dell'arte » (*), ma la prima forma del
romanzo non raggiungeva ancora questo equilibrio artistico e ad
essa, non a quella che ricevette poi il suo capolavoro, poteva il Man-
zoni appuntare la critica che fece del romanzo storico: critica, che
se ben guardiamo, colpisce giustamente il sistema, quella immediata
e grezza filiazione artistica del sistema che sono appunto gli Sposi
promessi. I quali, se nel processo di rielaborazione vennero intima-
mente trasformati da una più profonda analisi psicologica e da un
nuovo vigore di poesia che vinsero lo scrupolo dell'esattezza e della
minutezza storica, non è da meravigliarsi che di questo risentissero
l'infiusso e gli effetti, perchè in prinao luogo non era corso quasi
il menomo intervallo tra l'elaborazione della teoria e la prima at-
tuazione, tanto è vero che quel discutere sull'idea del romanzo sto-
rico e quel chieder consigli e pareri al Fauriel cadevano nel tempo
stesso che il Manzoni veniva avviando la stesura dell'opera sua; in
secondo luogo alla rigidità — che è propria di tutti i sistemi, mas-
sime di quelli costruiti, come il manzoniano, con tanta convinzione
e dopo viva meditazione sulle ragioni e il significato della poesia —
non poteva sfuggire il poeta nella prima formazione di un'opera,
la cui origine ha così stretti legami con le idee letterarie dell'autore.
*
* #
III. Cade ora in acconcio riesaminare con più ampio sguardo
la questione che ho fatto sulla fine della prima parte di questo
lavoro, circa l'ispirazione etico-religiosa de' caratteri de' personaggi
manzoniani e il loro parziale rinnovamento psicologico e morale
operato dal poeta nella rielaborazione di tutto il romanzo.
Ora mi pare che il problema si debba prospettare così. Nel figu-
rare nella prima stesura più vili o più turpi i disonesti e gli scel-
lerati e, in generale, un po' turbati di certa grossolanità triviale e
fierezza faziosa anche i buoni, il Manzoni risentì esclusivamente di
quel pessimismo morale che abbiamo a suo luogo analizzato o fu
(1) In Scritti vara ined. o rari, a cura di B. Croce, Napoli, Morano, 1898, p. 45.
LA GENESI LETTERARIA 143
piuttosto dominato dalla tendenza al realismo storico, dal concetto^
cioè, positivo, che s'era fatto degli uomini, de' costumi, degli avve-
nimenti del Seicento? 0 da tutt'e due le tendenze? Non v'ha dub-
bio che di storicità è, per così dire, pregnante il mondo del romanzo
quale sin dalla prima creazione se lo formò nella sua mente il Man-
zoni, meditando con ricca dottrina sulle condizioni storiche del secolo ;
anzi la poesia — com'era naturale — correva rischio d'essere sopraf-
fatta dalla storia; ma quella medesima affezione al vero storico,
quello studio di rivelare veracemente la realtà umana conforme il
principio che la storia è un'eterna scuola di morale, quella disposi-
zione stessa a portare nella considerazione storica il biasimo o la
lode alla stregua dell'etica religiosa, dovevano consociare le ragioni
morali e le ragioni storiche in modo indissolubile e allo stesso in-
tento; onde il proposito, così inesorabilmente rigoroso nella prima
costruzione del romanzo, di riprodurvi il vero storico, trattandosi di
una storia che offriva più di tristizia e d' iniquità che non di virtù,
vcDiva, nel tempo stesso, a rafforzarvi le tendenze moralistiche.
Del resto la preoccupazione storica nella prima stesura del romanzo
era, non che manifesta, addirittura ostentata con quell'arguzia che
rivela, a un tempo, la superiorità dell' artista. Eccone qualche saggio.
Il Manzoni, dopo aver raccontato come Antonio Ferrer fosse riuscito
a portare in salvo il Vicario di Provvisione, soggiungeva: « Gli sto-
rici originali contemporanei non parlano più di lui; ma noi, valen-
doci del privilegio che hanno gli storici di seconda mano, di inven-
tare qualche cosa di verosimile, per rendere compiuta la storia, e
supplire alla mancanza dei primi, affermiamo, come se fossimo stati
testimoni : che il Vicario, uscito dal castello, quando la sedizione fu
affatto compressa, continuò ad essere Vicario pel tempo che gli ri-
maneva a compire la sua carica, e da poi procurò di diventare tutto
quello che potè » (*). Questo passo lascia perplesso chi conosca la fine
ironia e 1' arguta sottilità dell'ingegno manzoniano: dovremmo pren-
derlo sul serio, rammentando un luogo, più addietro citato, della
Lettre sur l'unite allo Chauvet, nel quale il Manzoni conferisce al
poeta la facoltà di « compléter l'histoire » di « en restituer, pour
ainsi dire, la partie perdue > ; ma, d' altra parte, ci ritorna alla
mente quel!' altra celebre riflessione, piena di sorridente arguzia,
che il Manzoni aggiunse nella stampa alla viva descrizione di ciò
che faceva lo sbigottito Vicario in quel suo nascondiglio, mentre
infuriava la tempesta davanti alla sua casa: « Del resto, quel che
(1) Sp. prom., p. 524.
144 PARTE SECONDA
facesse precisamente non sì può sapere, giacché era solo ; e la storia
è costretta a indovinare. Fortuna che e' è avvezza » (*).
Immaginiamoci, poi, — verrebbe voglia di soggiungere — « gli
storici di seconda mano » se la storia, ovverosia « gli storici ori-
ginali » tirano a indovinare! E poi c'è un altro punto nella pri-
ma stesura del romanzo, in cui sono tirate in ballo la storia e l' in-
venzione con r aria di canzonar le leggi della rettorica, le poetiche
della scuola classica, ma che lascia trasparire anche qualcosa altro.
A proposito della seconda entrata di Eenzo in Milano, il Manzoni
si scusa di dover far venire una seconda volta il suo personaggio
nella stessa città, col dire che, se avesse « ad inventare una storia»,
se ne guarderebbe bene, « che sarebbe un meritarsi l'accusa di ste-
rilità di invenzione, una delle più terribili che abbian luogo nella
repubblica delle lettere, la quale, come ognun sa, si distingue fra
tutte per la saviezza delle sue leggi, » « Ma — prosegue facetamente
il Manzoni — io trascrivo una storia quale è accaduta: e gli avve-
nimenti reali procedono con tutt' altre regole » da quelle « pre-
scritte all'invenzione», «senza darsi pensiero di soddisfare alle
persone di buon gusto. Se fosse possibile assoggettarli all'andamento
voluto dalle poetiche, il mondo ne diverrebbe forse ancor più ame-
no che non sia ; ma non è cosa da potersi sperare. » Ed è per
colpa di « questo incolto e materiale procedere dei fatti » — dice il
Manzoni — che Renzo ci si presenta due volte in Milano e che vi
soggiorna e se ne va in un modo alquanto somigliante (*). Sì, il
Manzoni con queste amabili facezie vuol burlarsi de' trattati rettorici
e de' classicisti più arrabbiati; ma noi sappiamo che Renzo è uni
personaggio immaginario e che le sue azioni — per quanto in con-]
formità col carattere, concepito secondo lo spirito de' tempi — sono
inventate, e potremmo a questa nuova protesta di veridicità e di
esattezza storica risponder sorridendo : — che sì, la storia tira a
indovinare e come e' è avvezza ! — Se fosse vero — come trapela
tra riga e riga — che l'autore volesse scherzare un po' anche sulla
storia, sarebbe questo un curioso tratto di prosa autoironizzante dello
storico - poeta, un guizzo di quello spirito d' autoironia che era nel
secolo preso a descrivere, e, bonariamente colorito, anche nel tem-
peramento del Manzoni.
Comunque, i due passi della minuta, de' quali, si noti bene, non
è rimasta traccia nell'ultima forma del romanzo, riconfermano un'os-
(1) Prom. sp.^ cap. XIII, p. 192.
(2) Sp. prom., pp. 709-10.
LA GENESI LETTERARIA 145
servazione generale già fatta, che cioè un po' sul serio per reazione
critica a quel genere di romanzi, che abbiamo già sentito il Manzoni
biasimare, un po' per finzione gioconda, s'industriò di dare, la pri-
ma volta, al suo mondo un colorito storico con una determinatezza
scrupolosa^ tanto da compiacersi di far rivelazioni inutili, per quanto
argute, sui suoi intimi procedimenti di narratore.
Della preoccupazione storica nelle prime prove del romanzo ab-
biamo anche altri saggi. Si veda, per es., l'Introduzione. L'ultima
redazione definitiva, fissata dopo due o tre rifacimenti, non reca che
una rapida affermazione della veridicità dell'Anonimo, per procacciar
fede a taluni fatti e costumi che potevano sembrar « così nuovi,
cosi strani » da destar qualche dubbio: un cenno, con cui il Manzoni
ad altro non intende se non a farci sapere che della storia, impresa
a narrare, c'erano documenti e testimonianze. E così press' a poco
si legge in una copia della prima stesura. Ma in un rifacimento,
che avrò occasione di riprendere in esame insieme con altri due
della medesima Introduzione per ciò che vi si dice della lingua e
de' dialetti, il Manzoni faceva un' ampia difesa del carattere storico
del suo racconto, con tale spìrito e tono che pur qui non sappiamo
quando parli sul serio e quando per gioco. Il Manzoni diceva di
voler prevenire l' accusa che il suo scritto « non fosse altrimenti
fondato sopra una storia vera, ma una pura invenzione >, l'ac-
cusa, insomma, « di aver fatto un romanzo ». Un romanzo? Intanto
— soggiungeva con velata ironia — è questo un « genere proscritto
nella letteratura italiana moderna, la quale ha la gloria di non averne
0 pochissimi. E benché questa non sia la sola gloria negativa di
questa nostra letteratura, pure bisogna conservarla gelosamente in-
tatta, al che provvedono quelle migliaia di lettori e di non lettori
che leggono volentieri romanzi stranieri » e ♦: si occupano a dar se
non altro molti disgusti a coloro che tentano d'introdurre qualche
novità». In secondo luogo « questo genere, quand'anche non sia
altro che una esposizione di costumi veri e reali per mezzo di fatti
inventati, è altrettanto falso e frivolo, quanto vero e importante era
ed è il poema epico e il romanzo cavalleresco in versi ». Ma viene
fatto di domandare : Come ? I vostri Promessi sposi non sono un
romanzo? Non avete voluto darci una pittura « di costumi veri e|
reali » per mezzo di azioni e di personaggi, in gran parte, inventati?;?
— E voi credete veramente falsa e frivola l' opera vostra ? Ma ecco
lo stesso Manzoni promettere al lettore una lunga nota di libri e
memorie, da lui frugati e consultati, per dargli la riprova della
« verità nel costume, nei fatti e nei caratteri del tempo rappresen-
Busetto — 10
146 PARTE SECONDA
tato ». E osservava: « se si venisse a concedere che questa verità si
trova, allora il dire che la storia è inventata, potrebbe quasi parere
più che un biasimo una lode, dal che bisogna guardarsi ben bene (*) >.
Qui — se non m'inganno — si rivela l'intenzione scherzosa di
tutto questo discorso sulla storia vera e il romanzo inventato, poiché
lode certa spetterebbe all'autore che, pure inventando, avesse intuito
e colto il vero, si fosse, cioè, assimilato così lo spirito del tempo da
rappresentarlo veracemente anche per mezzo di un romanzo. E non
era questo il fine, tante volte significato, e l'intimo segreto dell'arte
del Manzoni ne' Promessi sposi f Dunque era proprio quella la lode
che cercava, ed è un tratto originale d' arguta modestia il fingere
di volersene bene guardare. E poi ci sono le lettere al Fauriel, dove
ragionando seriamente del romanzo storico ne dà definizioni e chia-
rimenti quali poteva suggerirgli la sua retta e precisa convinzione.
E e' è, infine, quel tratto della lettera allo Chauvet, dove dal ro4j
manzo di pura invenzione distingue quelli fondati sulla storia"
com'era il suo. Possiamo dunque concludere, anche sulla scorta di
questo passo diéiV Introduzione, che il Manzoni nella prima stesura
era dominato, direi quasi assillato, dalla preoccupazione di convin-
cere i lettori che l'opera sua era fondata su una storia esatta e
verace, fino ad ostentare scherzosamente la verità storica perfino dei
casi e dei caratteri inventati.
Anche questa professione di realismo storico, che sentiva il bi-
sogno di fare neW Introduzione e che appare di tanto in tanto nel
pieno del racconto (^), era un effetto di quella teoria del romanzo e,
in genere, della dottrina letteraria sulla rappresentazione poetica
della storia, che abbiamo visto come fosse fondamento e sostanza
della poetica manzoniana e che nel periodo della sua operosità ar-
tistica tanto l'appassionò quanto di poi la questione linguistica. Sullo
storicismo, come tendenza prevalente nella prima formazione de'
Promessi sposi, ha scritto in questi giorni alcune pagine lucide e
acute A. Momigliano il quale intende dimostrare come l' intento storico
del Manzoni nello scrivere il romanzo dette origine a « difetti di
misura, corretti quasi esclusivamente per ragioni artistiche », e come
« la tendenza speculativa fu un gran pericolo per la fantasia del
Manzoni » (^). In generale, le non poche digressioni, che il critico
(1) Sp. proni., App. B., pp. 795-6.
(2) V., per es., l'episodio giovanile di Federigo, che nella Chiesa di S. Giovanni
in Conca con un'occhiata confonde de' giovinastri insolenti: episodio che il Manzoni
intendeva introdurre nel romanzo per diligenza storica, ma che, sollecitato da una
nota del Visconti, cancellò. V. sp. proni., pp. 351-2, n. 11.
(3) Op. CU., pp. 84, 86.
LA GENESI LETTERARIA 147
rileva negli Sposi promessi come quelle d'economia politica a pro-
posito della carestia, e le altre sulla dimostrazione di don Ferrante
circa la peste e sul secentismo letterario e la cultura nel Seicento,
si spiegano col soverchiare di quella attitudine, che era vivissima
nel Manzoni, all' indagine storica e psicologica e allo studio de' pro-
blemi diversi della civiltà. Piii particolarmente, possono essere con-
siderate non solo come una riprova dell' intellettualismo manzoniano,
prevalente nella prima fase dell'opera, ma anche come una conse-
guenza, a cui il teorico obbligava l'artista, di queir idea che il Man-
zoni s' era fatta del romanzo storico e del modo come intendeva la
storia ne' rapporti con la morale e con 1' arte. Per ciò che dianzi
s'è detto su questo proposito, quelle notate digressioni e altre che
sono piuttosto riflessioni e giudizi d' indole o morale o storica o
letteraria^ secondo la natura de' personaggi ritratti, delle situazioni
analizzate o degli avvenimenti narrati, pareva al Manzoni doves-
sero rientrare logicamente a comporre il quadro de' tempi, ad illu-
strare la vita e i costumi, a svelare, massimamente, l'intimo spirito
di quella società in mezzo alla quale poneva i fatti e le peripezie
dei due poveri sposi promessi.
* *
IV. Nella lettera del 29 maggio 1822 al Fauriel, che per la sua
importanza dovremo rivedere un'altra volta, il Manzoni discorrendo
del romanzo, in cui era allora, com'ei diceva « enfoncé », rivelava
all'amico le sue impressioni e i suoi giudizi, anzi le sue scoperte
su quella società e — a leggere attentamente — preannunziava il
carattere largamente storico che gli pareva assumesse l'opera sua:
« Les mémoires — scriveva il Manzoni — qui nous restent de cette
epoque, présentent et font supposer une situation de la société fori
extraordinaire. Le gouvernement le plus arbitraire, combine avec
r anarchie feudale e l' anarchie populaire ; une législation étonnante,
par ce qu'elle présent et par ce qu'elle fait deviner, ou qu'elle ra-
conte; une ignorance profonde, feroce et prétentieuse ; des classes
ayant des intéréts et des maximes opposées ; quelques anecdotes
peu connues, mais consignées dans des écrits trés dignes de foi, et
qui montrent un grand développement de tout cela ; enfin une peste
qu' a donne de l'exercice à la scélératesse la plus consòmmée et
la plus déhontée, aux préjugés les plus absurdes, et aux vertus les
plus touchantes etc. etc voilà de quoi remplir un canevas ; ou
plùtot voilà des materiaux, qui ne feront peut étre que décéler la
148 PARTE SECONDA
malhabilité de celui qui va les mettre en oeuvre Je faìs ce
que je puis pour me pénétrer de l'esprit du temps, que j'ai a
décrire, pour y vivre; il était si originai, que ce sera bien ma faute,
si cefte qualité ne se comunique pas à la déscription > (*).
Nel seguito della lettera il Manzoni tocca del procedere de' fatti
e dell'intreccio, cioè della parte romanzesca; me ne occuperò più
innanzi ; intanto dal passo che ho riportato argomento non solo
r inclinazione del Manzoni a dare un notevole sviluppo alla parte
storica del romanzo, che abbonda — se non proprio eccede — pur
nella stesura definitiva, ma altresì la sua disposizione mentale, nel
considerar quello stato così straordinario della società lombarda e
quello spirito così originale dell'epoca, da sentirsi invogliato a in-
dagare e giudicare e descrivere, a vivere — com'ei dice — quei
tempi ; il che lo portava logicamente, non che ad abbondare nelle
parti strettamente storiche^ a mescolare al racconto, digressioni che,
se erano inutili all'intreccio o al concetto generale del romanzo,
dovevano convenire — secondo il suo avviso — alla conoscenza dei
costumi, delle istituzioni, delle tendenze spirituali^ di tutto ciò, in-
somma, che costituisce la tempra storica di quella società, e, per
ciò stesso, la ragione giustificativa dell'ordito romanzesco e dell'in-
dole de' singoli personaggi in azione. Quella stessa aperta dichia-
razione espressa nella lettera del 3 nov. 1821 al Fauriel, quando
del romanzo aveva tracciato indubbiamente il disegno, e già scritti
i primi capitoli, di voler raccoglier fatti e caratteri così somiglianti
alla realtà che servirebbero alla rappresentazione veridica della so-
cietà lombarda osservata in un determinato momento storico, onde
facesse l' impressione d'essere il narratore di una vera storia esu-
mata dai documenti, che significa, alla fin fine, se non la preoccu-
pazione di comporre un romanzo sì, ma materiato di quanta più
storia potesse, di dare, insomma, e col reale e con l'inventato, unal y
immagine netta ed esatta della vita civile e morale di un'epocaj
storica? Lo storicismo, dunque, nel suo duplice aspetto di realismo
storico e di psicologismo storico, ha invaso — dirò così — il ro-
manzo nella sua prima composizione sia — se vuoisi — per le tendenze
intellettualistiche che prepoterono allora (e ne vedremo il perchè)
sulla fantasia, sia, altresì — com' io credo — per l'effotto immediato
che la teoria del romanzo, come mezzo di rappresentazione artistica
della storia, esercitò su quel primo tentativo d'arte narrativa, che
sono gli Sposi promessi. I quali, in un certo senso, potrebbero esser
(1) Epist. cit., voi. 1, pp. 241-2.
LA GENESI LETTERARIA 149
considerati un romanzo a tesi, in quanto si presentano spiccatamente
come l'applicazione di una tesi letteraria e danno a divedere le
intenzioni del moralista e dello storico; mentre i Promessi sposi,
sebbene di queir influsso conservano non lievi tracce, si presentano
come l'opera rinnovata da un' intima rifusione della varia materia
al fuoco tranquillo, ma intenso di una fantasia paziente e possente :
quelli sono ancora un'opera di costruzione, questi un'opera di con-
templazione.
Al rinnovamento intimo del romanzo il Manzoni faticosamente,
ma vittoriosamente pervenne soprattutto perchè le sue osservate
tendenze del rigore etico e della veridicità storica, nella rimedita-
zione morale e poetica di tutta l'opera, rimisero di quel non so
che di aspro, di dogmatico e d'intransigente che è in tutti i prin-
cipi ordinati e fissati in sistema. La tendenza etica, superando i
limiti mal sicuri, in cui ci appare come cristallizzata la storia quando
la si consideri anzi staticamente nel giro chiuso di un ciclo storico
che dinamicamente come spirito che si fa e si trasforma nel con-
trasto perpetuo e indefinito delle cose e degli uomini, inalzò e se-
renò il criterio morale del poeta, infondendovi uno spirito di piti
meditata poesia e di più pensosa carità; ond'egli, penetrando con
più profondo sguardo e con più esperta bontà ne' fatti, né' senti-
menti, nelle passioni della vita di un popolo^ considerata in un suo
momento storico, li vide, dirò così, sub specie aeternitatis, ne risentì
la nota eterna del bene e del male, delle colpe e delle virtù, vi
colse la perenne vicenda di luci e di ombre in cui si dibatte il
secolare travaglio dell'uomo, condensò, insomma, nella realtà storica
rappresentata tanta verità e tanta umanità da rinnovare le figure,
i caratteri, le situazioni e le azioni, in cui, più che l'anima e i co-
stumi di un secolo, vediamo specchiarsi gli aspetti e gli atteggiamenti
universali e le perpetue vicende dell' anima umana. La tendenza,
che deriva nelle forme del romanzo il vero e il reale, piegandosi
alla fantasia del poeta, si contemperò con le esigenze dell' arte, così
che la pretta realtà storica ne uscì parte idealizzata in alte forme
epiche e drammatiche e parte atteggiata negli aspetti realistici
della vita.
Del resto, per quanto il Manzoni volesse attenersi alla storia e alla
verità storica de' suoi personaggi, non potevano gli uomini e il dramma
di quel secolo uscir dal cuore e dalla fantasia di un poeta come lui, se
non recando le impronte della sua soggettività d'artista, che è sempre
l'unica ed efficace energia onde la grezza materia si fa poesia. Di-
ceva bene il Goethe, accennando appunto al carattere più umano
150 PARTE SECONDA
che Storico dì alcuni personaggi deìVAdelchi, che « noi non popsiamo
interessarci se non a chi ci somiglia un poco » (*) e viene il sospetto
che a questa verità pensasse anche il Manzoni, non ostante il suo
attaccamento alla fedeltà storica, e sorridesse, non che degli storici,
anche di se stesso per quella gran sicurezza di narrar cose storica-
mente vere e reali.
(1) Nel cit. colloquio col Cousin (in Cart., p. 517-18, nota).
Capitolo III.
Il romanticismo teorico e la genesi e la trasformazione artistica
del romanzo manzoniano
I. La dottrina romantica e la poesia manzoniana: affinità e diver-
genze. — II, Il ^crocchio* romantico milanese. L' *. Ildegonda *
del Grossi nel giudizio del Manzoni. L' « esprit romanesque »
negli * Sposi promessi». — III, L'intima disarmonia classico-
romantica nella stesura primitiva del romanzo e l'unificazione
estetica raggiunta nella forma rinnovata.
I, L'esame, che ho fatto, del sistema storico manzoniano messo
a base del romanzo, mi porta a discorrere del romanticismo come
dottrina e tendenza in relazione con l'idea originaria del romanzo
e con la poetica del gruppo lombardo, a cui indubbiamente, in
quegli anni di studio, di discussione e di preparazione il Manzoni
apparteneva.
Quanti e quali principi della dottrina e quanti e quali caratteri
dell'arte romantica accettasse il Manzoni e con quali esclusioni e
riserve s'è dai critici ricercato e discorso in vario senso, e di pro-
posito, con molto senno dal Graf, Col quale si può convenire che
la « costituzione psichica » del Manzoni, « la sua complessione mo-
rale furono appunto quali si richiedevano a intendere appieno e ab-
bracciare risolutamente il principio sostanziale del romanticismo, (*)
cioè « quel concetto di un'arte che, non più dell'antica, ma più di
quella che s'affanna a rifare l'antica scaturisca dall'intimo della
psiche, e viva del vivo, traendo spirito e norma dal veramente sen-
fl) A. Graf, Il romanticismo del Manzoni, in Sugai su Foscolo, M<iii:uui <■ Leo-
pardi, Torino, Loesclier, 1898, p. 41.
152 PARTE SECONDA
tito e dal veramente pensato, anzi che dagli esempi e dai precetti » (');
« furono solo in parte quali occorrevano per accondiscendere ad
alcuni altri principi, importanti ancor essi, ma subordinati, non fu-
rono in nessum modo quali ci sarebbero voluti per acconciarsi a
tutto quel guazzabuglio d' idee, d' immaginazioni, di sentimenti che
paiono formar parte integrante della dottrina, ma che della dottrina
propriamente sono o negazione o caricatura » (*).
Certamente il Manzoni non poneva, come il Rousseau, progeni-
tore del romanticismo, il sentimento sopra la ragione, e, contraria-
mente ai romantici della fine del '700 e del primo ventennio del
sec. passato, — tutti, piii o meno palesemente ostili alla ragione, —
egli, con quella sua mente in cui, come disse il Bonghi, « la facoltà
del ragionare esatto er^ delle migliori », rendeva il massimo ossequio
alla ragione, onde in lui il sentimento diremo ancora col Graf —
« è vivo, vario, delicato, eccitabile, ma vigilato molto da presso e
tenuto in soggezione ». Non faceva egli della passione un idolo,
come tanti romantici, né le concedeva troppo dominio nell'arte, non
indulgeva alla fantasia sregolata, vaga di sogno, intollerante della
realtà, com'era quella cara a molti romantici {^). Ebbe in comune
coi romantici l'amore della storia, ma non l' infatuazione pel Medio
evo, ed ebbe, più acuto e piìi vivo, che non forse nella maggior
parte di loro, il senso storico, come, del resto, credo di aver dimo-
strato io pure nelle pagine precedenti. Non si piacque, come usarono
e si gloriarono i romantici « di dare anima e sentimenti alle cose,
e di chiamarle a intimo colloquio con le anime umane {*), il che
vuol dire che non avesse anch'egli un sentimento della natura, me-
ditativo e vigoroso, piti di quanto non sembrò al Graf che per que-
sta parte — indotto, forse, per opposizione, dalle languide pitture
di vecchi e nuovi romantici — è stato troppo reciso nel suo giudizio.
L'idea democratica, il sentimento democratico, la pietà evangelica,
la disposizione a considerar la vita e l'anima degli umili, la sazietà
« dell' artiflziato, dell'aulico, dell'accademico » del concetto e della
figura dell'uomo « alterato e travisato dalle raffinatezze cortigiane
e non cortigiane », anche questo partecipò con l' intelletto ed espresse
nell'arte il Manzoni in comune coi romantici, ma con procedimento
più cauto e con più larga comprensione delle differenze e de' con-
trasti umani; ond'era naturale" che desiderasse, come i romantici,
(1) Ibid., p. 41.
(2) IMd., p. 38.
(3) Ibid., pp. 45-50.
(4) Ibid., p. 57.
LA GENESI LETTERARIA 153
una letteratura popolare. Ma per contro queir « esagerato e permaloso
individualismo, » che nelle forme della fantastica malinconia, del-
l' esacerbante delirio o del cupo pessimismo, ora sentito, ora osten-
tato, fu essenzialmente romantico (/), non s'attaccò al Manzoni che
pur ebbe come ho dimostrato^ un suo pessimismo filosofico della
vita, attinto al suo sentimento religioso e alla dottrina del cristia-
nesimo. In quanto al vero, predicato di continuo dalla scuola ro-
mantica, fu — come sappiamo — il fondamento dell' arte manzo-
niana; ma « i primi e secondi romantici », che pur « lo gridarono
a' quattro venti », « veduto come a voler fondare sul vero bisogni
star sodo e durar fatica molta, ebbero per più comodo e piìi spe-
diente di fabbricare sul falso, e di quell'interessante, che avrebbe
dovuto essere soltanto il mezzo, fecero, senz'altro, bravamente il
fine » (^). Materia di letteratura interessante erano il fantastico, il
lugubre, il mostruoso, il terribile che piacquero anche in Italia a
preromantici e a romantici (^), ma ne abboniva il Manzoni; il quale
nella lettera a Cesare D'Azeglio alludeva certamente a quelle forme,
dicendo che s'era comunemente inteso in Italia per romanticismo
« un non so qual guazzabuglio di streghe, di spettri, un disordine
sistematico, una ricerca dello stravagante, una abiura in termini del
senso comune » {*); il che — intendiamoci — non era e non era
stata tutta l'arte romantica, ma una tal maniera del romanticismo,
ormai rifiutata — dice lo stesso Manzoni — e decaduta. L'argomento
potrebbe tirarci in lungo, e potremmo col Graf ripetere che il Man-
zoni fu « deliberatamente romantico nella dottrina romantica », la
quale era « in sostanza non diversa, o poco, diversa da quella di
Guglielmo Schlegel, del De Vigny, dell'Hugo» nell'aver voluto so-
stituire « il concreto all'astratto, il particolare al generale, l'uomo
vero al fittizio»; meno risolutamente romantico nell'idea della me-
scolanza del tragico e del comico, dello scherzevole e del serio —
« canone principale all' estetica romantica », benché, come vedremo,
il Manzoni, l'abbia, in pratica, effettuate ne' Promessi sposi, possia-
mo infine concludere eh' ei si tenne « stretto e fedele ai soli principi
fondamentali del romanticismo italiano, rimanendo fuori aff'atto dei
(1) V., in generale, Voj). cit. del Graf, pp. 58-64.
(2) ma., p. 73.
(3) V. A. Galletti, Introduz. alla Lett. semiseria di Orisostomo di G. Berchet,
Lanciano, Carabba, 1913, pp. 70-75.
(4) Lett. cit. del 21 sett. 1823, (in Epist. cit., voi. I, p. 312). Per l'avversione del
Manzoni ad ogni l'orma di meraviglioso, v. Galletti, Introduz. cit., pp. 67-8.
154 PARTE SECONDA
traviamenti della dottrina romantica e dell'arte romantica» (*). De
resto, si può dire del Manzoni quel che dei romantici italiani in
genere, che « giovò loro forse a mettersi arditamente per vie nuove
il non aver saputo che cosa fosse veramente e a che mirasse il ro-
manticismo » vero e proprio, quello cioè originalmente tedesco, il
quale fu difatti, « un risveglio e una sistemazione del sentimento
nazionale, del germanesimo armato di teoria, di precetti e di di-
sdegni.,., contro l'arte, la cultura, la tradizione latina». In Italia,
invece, come in Francia, < i novatori s'illusero che quello fosse un
moto disinteressato dello spirito moderno, desideroso di trovare una
poesia nuova e adeguata alla complessità morale dell'uomo » (*),
che fosse una novella rinascita dello spirito: rivolsero perciò le idee
e l'arte romantica ai nobili scopi del rinnovamento della coscienza
nazionale e dell'educazione popolare, ma altresì, avvolgendosi in
incoerenze, bizzarrie e contraddizioni, non intesero il medioevo ita-
liano e secondarono le immaginazioni esotiche del medioevo tedesco.
Qui pure vide meglio di tutti il Manzoni, il meno romantico —
dice giustamente il Galletti — dei romantici nostri : che, cioè c'era
« bisogno, per creare nuova poesia, di rifarsi dal Medioevo > ; che
non importava « cercare nel passato un ideale politico o letterario »
che « a migliorare gli Italiani e a preparare la nuova Italia > ba-
stava « il Cristianesimo », bastavano « quei principi di democrazia
che vanno d' accordo col Vangelo > (^).
Ora dobbiamo vedere più da vicino le relazioni del Manzoni col
gruppo lombardo e precisamente con quell'accolta di valentuomini
che Ermes Visconti chiamava nel 1819, con intenzione, credo io,
scherzosamente bellicosa, il « crocchio supraromantico della contrada
del Morone » {*) quella, cioè, che soleva adunarsi, intorno a quel
tempo, in casa del Manzoni. Il Graf, pur convenendo che le parole
del Manzoni, riguardo agli scrittori del Conciliatore (*), « di cui erano
stati soppressi i fogli, ma non le idee », proverebbero il pieno e
perfetto accordo, in quegli anni tra loro, dubita che fosse tale, o
(1) Graf, op. cit., pp. 99-10. Il Manzoni giustifica la mischianza del faceto e del
serio nelle opere di genere narrativo, e anche di quelle di genere drammatico, purché,
come in Shakespeare, essa sia stata osservata nella realtà. (Cfr. Lettre sur V unite
cit., pp. 413-4. V. anche la lett. al Fauriel del 1.» sett. 1822, in Kpist., voi. I, pp. 257-8).
(2) A. Galletti, Introd. cit., pp. 27-8, 52. Si veda anche il mio scritto II roman-
ticismo e il carattere nazionale della letter. ital., Campobasso, Giov. Colitti e f.,
1919, pp. 30-41.
(3) A. Galletti, Introd. cit., pp. 80-1.
(4) Lett. del 25 nov. 1819 al Manzoni (in C'art. cit., p. 445).
(5) Li chiamava suoi « amis et compagnons de souffrance littéraire » nella cit. lett.
al Fauriel del 29 gemi. 1821.
LA GENESI LETTERARIA 155
almeno vorrebbe indurre che, se allora il disaccordo era leggero,
andò aggravandosi col tempo (*). Che un pieno accordo non ci fosse,
l'asseriva lo stesso Manzoni in un luogo, finora inosservato, di una
lettera del '20 al Fauriel, al quale inviava una nota storica sulle
controversie tra romantici e classici di quegli anni, osservando
« Vous devinerez que je ne suis pas en tout de l'avis du rédacteur,
mais il me paraìt en gros qu' il a très bien vu » (*). Quella stessa
lettera al D'Azeglio, che vorrebbe essere l'esposizione riassuntiva
del romanticismo teorico italiano, è condotta con tale spirito critico
e con tale tono da aggiunger forza all'opinione che non vi fosse
intero e assoluto accordo del Manzoni coi suoi amici lombardi.
Ma su questo punto bisogna procedere con cautela, e distinguere
i tempi e le circostanze del pensiero, avendo l'occhio alle date, che,
nella storia di uno spirito meditativo e critico della forza del Man-
zoni, segnano atteggiamenti e sviluppi di idee non trascurabili. Fin
dal 1816, quando incominciò il Carmagnola, il Manzoni, infervorato
della dottrina romantica massime per la riforma drammatica, si
professava, scrivendone al Fauriel, avverso alle regole, ai sistemi
angusti e artificiali, alla lingua retorica, all'arte, insomma, classi-
cheggiante che più s'allontanava dalla naturalezza (^). Seguiva atten-
tamente la lenta crisi delle idee letterarie e i dubbi che già sorge-
vano su molte idee della scuola classica, ritenute fino allora sicure
e intangibili, in Lombardia, dove, per opera specialmente di Lodo-
vico de Breme, del Berchet e del Borsieri la dottrina romantica
guadagnava terreno ; si lagnava che in Italia, di idee larghe e vere
la propagazione fosse minore che in Francia e le resistenze dei
pregiudizi de' classicisti più forti : anzi in un raffronto tra i poeti
classicheggianti francesi e quelli italiani, diceva testualmente cosi:
« Au reste, il me paraìt que la Poesie est chez nous dans un état
plus pitoyable qu'en France. J'envie presque le ton minaudier des
imitateurs de Delille. Leur poesie porte au moins l' empreinte du
caractère de la conversation des boudoirs; elle est plus près d'un
genre de vie que la nótre, elle est plus populaire ; mai ce style savant
(et encore de quel savoir), ces idées et ces moeurs tradì tionelles de
l'école dont est encore composée à peu-près notre Poesie, sont pour
moi bien plus anti-poétiques » {*).
(1) Op. Git., p. 40.
(2) Cari, cit., p. 497.
(3) Lett. del 25 marzo 1816 (in Cart. cit., pp. 364-5).
(4) Lett. al Fauriel del 13 luglio 1816 (in Cart. cit., p. 373).
156 PARTE SECONDA
In quel tempo il Manzoni — come appare chiaro dalle parole
sue — aderiva pienamente al moto romantico, e per la risolutezza
con cui affermava di mettersi col Carmagnola per un nuovo cam-
mino contro tutti i pregiudizi della vecchia scuola, mostrava di vo-
lervi efficacemente contribuire. La istessa lettera del Visconti sul
« crocchio » romantico milanese fa capire, per le particolari notizie
circa il lavoro de' confratelli in arte e per l'intera confidenza con
cui egli comunica le sue informazioni e ì suoi giudizi al Manzoni,
che questo partecipasse con affezione e solidarietà alle idee e alle
prove de' suoi amici romantici. Uscito il Carmagnola, parve « cosa
divina » al Pellico, e, mentre il Monti ne riteneva « trascurato e
prosaico » lo stile, piaceva ai romantici appunto per lo stile « schivo
dei modi e dei vocaboli non simili alla prosa » così da rendersi
accessibile « anche a coloro che non sono educati al linguaggio
poetico » (') : popolare, dunque, comunicabile ad ogni ordine di
lettori, intonato all'argomento, non antico, della tragedia. Di mag-
giore importanza è ciò che il Manzoni scriveva nel '20 al Fauriel
SVLÌV Ildegonda del Grossi e novamente sullo stato della poesia in
Italia : sperava che il critico francese trovasse nel « petit poème »
dell' amico ricchezza di poesia originale e quei caratteri che fanno
la vera poesia; deplorava, per contro, che di tale poesia fosse pe-
nuria in Italia, dove — diceva — « les habitudes, les règles, toutes
les idées tendent depuis long-temps à éloigner la poesie du naturel,
et à n'en faire qu' un langage de convention >. Non trovava nelle
abitudini e ne' gusti degl'italiani d'allora la disposizione ad appro-
fondire i sentimenti; onde gli pareva che i poeti si restringessero
a inventare i fatti, a concepire situazioni e contrasti con rudimen-
tale semplicità e a risolverli in modo troppo superficialmente netto
e reciso, così da non avere che a descrivere delle passioni, per
così dire, elementari (*). Questo giudizio sulla letteratura narrativa
contemporanea concorda con ciò che dei romanzi e del romanzesco
abbiam visto ragionar nella Lettera sulle unità drammatiche allo
Chauvet e non è da trascurare per lo studio delle origini de' Pro-
messi sposi: resta intanto provato che sul '20 il Manzoni non trovava
nulla di lodevole nella lettera narrativa, corrente allora in Italia, e
si doleva che il pubblico non vi cercasse, secondato dagli autori,
che r abilità inventiva e le facili situazioni sentimentali.
(1) Lett. di S. Pellico al fratello Luigi dell' 8 gean. 1820 (in Cart. cit., pp. 457-8.)
(2) Lett. del 17 ott. 1820 (in Cart. cit., pp. 496-7).
LA GENESI LETTERARIA 157
Ma ciò che desta meraviglia è la lode incondizionata con cui il
Manzoni invia V Ildegonda all'amico, il trovarvi « plusieurs de ces
caractères importantes qui font la vraie poesie ». Dunque quel
mondo fantastico e sentimentale, trasferito dal Medio evo in una
novella romantica, quella serie di visioni, lamenti, svenimenti, deliri,
convulsioni con apparizioni lugubri di fantasmi, con crudezza di
sentimenti e lunghe descrizioni e monologhi, appena interrotti da
brevi dialoghi, tutto questo, che è la sostanza poetica AeW Ildegonda,
piaceva allora al Manzoni? Anzi, oltre il fantastico, c'è il patetico,
che di quello nasce e se ne alimenta, e e' è anche il romanzesco,
come la fuga della giovinetta dal monastero in una grotta, dove
s'incontra con Rizzardo, il giovane ch'ella ama contro la volontà
crudele de' parenti, e la sorpresa da parte del fratello di lei, e il
tentato suicidio dell' infelice che si gitta da un parapetto del mona-
stero, dove è stata nuovamente rinchiusa (}).
Sì, la concezione àeW Ildegonda è originale: è — come dice il
De Sanctis — « il solo flore romantico che abbia l' Italia > ed ha
anche finitezza d'esecuzione, che ne fa, relativamente al resto, il
capolavoro del Grossi, ma è pur sempre un genere d'arte patetico,
lugubre, romanzesco, acni non pare dovesse consentire il Manzoni
se si consideri ciò che della parte positiva della letteratura roman-
tica scriveva tre anni dopo a Cesare D'Azeglio. Ora, chi sappia la
sua dirittura, la sua discrezione né giudizi letterari e la parsimonia
ritrosa nel concederne a chi glieli richiedeva, non potrà, supporre
che l'afifótto quasi fraterno, ond'era legato al Grossi, facesse velo
al suo gusto e al suo giudizio. Bisognerebbe dunque pensare che
neìì' Ildegonda egli trovasse un colorito medievale, riprodotto con
bravura^ una complicazione di situazioni e d^affetti non elementari,
come — r abbiam visto — desiderava nella novella e nel romanzo,
e rappresentazione di contrasti non semplici ne recisi.
Questo può esser vero, perchè difatto Vlldegonda contiene di quelle
situazioni e di quei contrasti psicologici, ma, per giudicarla « poesia
originale » non dovevano spiacergli gli episodi vivamente roman-
zeschi e le scene pateticamente drammatiche che pur vi sono.
Tutto ciò induce a credere che il Manzoni nel 1820 — per quanto
disdegnasse il falso romanzesco, che inventava i fatti per adattarli
a sentimenti fittizi — non era del tutto alieno da quel romanzesco —
(1) V. la vivida analisi che deW Ildegonda ha fatto il De Sanctis nelle sue lezioni
sulla Letter. ital. del s. XIX, Napoli, Morano, 1892, pp. 27-36. Si veda anche O. Bro-
GNOLiGO, T. Grossi, Vita e opere, Messina, Principato, 1916, pp. 80 e segg., 93,95-6,
126-7, 136-7.
158 PARTE SECONDA
che scaturisce da un ordine di fatti immaginati con verace intui-
zione dello spirito di un' epoca storica (non cercava infatti il Grossi
di ringiovanire il fantastico così naturale e consentaneo al Medio-
evo?) e che s'intonasse alla complessità e profondità di certe passioni.
Si è detto — ed è ormai opinione comune — che il Manzoni si
differenzia dai romantici lombardi anche perchè questi inclinavano
all'adorazione della poesia germanica e all'imitazione di essa (^).
Ciò è vero ; ed è pur vero che nella critica manzoniana « non ebbe
parte alcuna il sentimento romantico », perchè « non gli era possibile
introdurre i gusti romantici nella critica, dappoi che non li intro-
dusse neir arte » e perchè, da ragionatore sottile e sicuro, era por-
tato a costruire solidamente il suo sistema sulla ragione, guardandosi
dai sentimenti di lor natura cangianti e fluttuanti (*). Il Borgese,
riproponendosi il quesito, già posto e assennatamente ragionato dal
Graf: — fu il Manzoni nel sentimento un romantico? — , lo risol-
vette, nettamente affermando che in lui si trova « un'anima classica »
che cercava e consigliava « l'equilibrio del giusto mezzo, incurioso
delle avventure e delle emozioni >, sereno anche più del Goethe, misu-
rato anche nel suo cristianesimo, ispirato da una placidità benigna
ne' giudizi e nell'arte, onde « quella sua abitudine di recedere tutte
le volte che la fantasia lo conduceva un po' oltre la media realtà » (^).
C'è del vero anche in questi giudizi, ma, non ostante ciò, vogliam
fare qualche osservazione non inutile per la conoscenza dello spirito
manzoniano. Anzitutto, se non nella dottrina, certo nella pratica i
romantici lombardi — intendiamo il gruppo che fiorì attorno al
Manzoni e negli anni tra il '16 e il '21 che veniamo presentemente
considerando — indulgevano qualche volta, e talora troppo — come
n'è prova l'esempio del Grossi — al fantastico, al sentimentale, al
lunereo, a certo gusto romantico, insomma, che sapeva lontanamente
d'imitazione straniera. Né vorrei affermare che ciò dipendesse as-
solutamente dalla loro dottrina; poiché con l'indirizzo morale, po-
litico e religioso, prevalente nelle loro idee letterarie, con la teoria
dell'arte adoperata come imitazione del vero, al fine di giovare
dilettando, con l'intento morale e civile, proposto alla poesia, si
poteva conciliare l'uso del romanzesco, del patetico, del fantastico,
quando questi modi d'arte fossero stati trattati come mezzi a destar
l'interesse (e l'interessante — si sa — era un canone, accolto pur
(1) V. G. A. BOROKSE, storia (1. critica romant. in Italia, Hiivi, Laterza, 1905, p. 99.
(2) BOROESK, op. cit., p. 152.
(3) Borgese, op. cit., pp. 150-1.
LA GENESI LETTERARIA « 159
dal Manzoni, della critica romantica) e non impedissero la manife-
stazione del sentimento religioso o civile, né la soluzione prettamente
cristiana, cercata dagli autori per gli stati d'animo complicati e il
corso degli avvenimenti. Con tali concetti, per es., il Grossi ha ideata
e svolta la sua novella: il delirio d'Ildegonda, con le visioni, i la-
menti, gli svenimenti, i fantasmi, nasce dal sapere eretico Rizzardo
ch'ella ama: quel patetico acuto, che vediamo nelle immaginazioni
perturbatrici della sua mente, scaturisce dal contrasto tra l'amore
per Rizzardo, che ella teme morto in peccato, e il sentimento reli-
gioso, e infine la pia e placida morte di lei, comfortata dalle suore,
proprio come Ermengarda, succede alla lieta novella che Rizzardo
pure è morto da buon cristiano. Può essere stata appunto codesta
soluzione soavemente religiosa di una triste storia d' amore — più,
forse, del colorito medievale — che dovette piacere al Manzoni ;
può essere stato il contrasto tra l'amore e la fede, cristianamente
composto, che gli fé' trovare poesia vera nell'opera dell'amico suo.
Nessuna meraviglia; giacché la caratteristica del romanticismo ita-
liano — significata, nel modo più alto e più puro, proprio nel pen-
siero e neir arte del Manzoni — fu di elevare la poesia alla cele-
brazione del cristianesimo e delle virtù cristiane; fu il modo di
sentire, d'intendere il cristianesimo, e di rappresentare gli aspetti
e le vicende dell'anima umana, in accordo o in contrasto con gli
ideali della coscienza cristiana: ciò che contraddistinse la critica e
la poesia del nostro romanticismo non solo dalla teoria e dall' arte
della scuola classica, ma altresì dal romanticismo tedesco.
Ma che intorno al 20 — nel tempo che precedette di poco la
prima ideazione de' Promessi sposi — il Manzoni non fosse del tutto
alieno dal concedere all'arte narrativa un certo colorito romanzesco
e pittoresco, una certa vivacità drammatica, risultante ne' contrasti
di passioni complicate, é confermato dalla minuta del romanzo,
massimamente per il modo truculento com' é rappresentata la morte
di don Rodrigo, per 1' analisi ardita della morbosa passione di Ger-
trude, per la descrizione vivamente realistica della torva congiura
che contro la temuta conversa tengono nel notturno silenzio clau-
strale la signora e le suore, sue complici nel peccato e nel delitto,
insieme con lo scellerato Egidio, pel racconto, rapido sì, ma dalle
tinte forti e fosche, della barbara soppressione di quella poveretta,
per il pathos che vibra di un lugubre accoramento ne' colloqui di
quella sciagurata col tristo amante.
E romanticismo rubesto, di quello che non doveva spiacere al
Grossi, al Visconti, al Berchet ed ad altri lombardi del crocchio
160 PARTE SECONDA
che si radunava in casa Manzoni, aveva egli sparso anche in altre
parti del romanzo, come nel primo ritratto, dall'aria volgare e bri-
gantesca, dell'Innominato; nel romanzesco, tetro e drammatico,
della descrizione di alcuni truci delitti di lui, nell'analisi dell'anima
di Gertrude giovinetta, resa nelle parole e negli atti più stranamente
agitata e scomposta e febbrilmente verbosa; nella dipintura del ter-
rore e del dolore di Lucia chiusa nel castello dell'Innominato, di-
pintura che ha qualcosa di veemente,- d'affannoso, ;di fantastico,
per colori fortemente accesi, e rilievi aspramente risentiti ; nelle
figure stesse di Renzo e di fra Cristoforo, tutt'e due più appassio-
nate, ciascuno secondo la propria natura e il proprio stato, e, quasi
direi, agitate da una virulenta fierezza, non senz'ombra di quella
rude volgarità che, attinta dallo spirito del secolo, accresce il pit-
toresco dei loro caratteri, ma non serve all'intima interpretazione
delle loro anime (*). Mi limito per ora a questi accenni sul ro-
manticismo artistico della prima forma de' Promessi sposi, poiché
avrò occasione di ritornarvi nello studio estetico dell'azione gene-
rale del romanzo e de' caratteri dei personaggi; pertanto, da ciò
che s'è fin qui osservato, con riscontri di giudizi suoi e d'esempi
della prima stesura, mi pare risulti che il Manzoni non fosse del
tutto fuori — come comunemente si crede — della corrente roman-
tica, fuori cioè di quel pittoresco, drammatico romanticismo a cui
in fondo si riduce 1' « esprit romanesque » che tuttavia, scrivendo
egli stesso nel 29 maggio del '22 al Fauriel, si proponeva di evitare
nello studio e nella rappresentazione della natura e de' fatti degli
uomini (*).
Sì pareva volesse, sin da allora, seguire il criterio d'escludere
dell'opera lo spirito romanzesco, ma proprio in quel torno di tempo
veniva tratteggiando nella minuta la figura dell' Innominato (^) nel
modo che s'è detto. Il che fa pensare che l'accordo della teoria
con la pratica dell' arte non fosse ancora serenamente e armonica-
mente composto nella coscienza del poeta; che lo spirito de' tempi,
presi a descrivere, di quella « situation de la société fort extraor-
dinaire > lo attraesse e commovesse pe' suoi caratteri originali da
non potere a meno di assimilarne nell'arte sua l'accesa veemenza
(1) V. i miei cit. Saggi mam., pp. 7-10.
(2) Diceva: « Quant à la marche des évènements et à l'intrigue, jè crois que le
lueilleur nioyen de ne pas faire comme les autres, est. de s'attacher à considcrer dans
la réalité la manière d'agir des hommes, et de la considérer surtout dans ce qu'elle
a d'oppose à l'esprit romanesque». {Epist. cit., voi. I, p. 242).
(3) Infatti l'autogr. al cap. I del Tomo III porta la data 28 nov. 1822 tre capitoli
dopo il ritratto dell' Innominato.
LA GENESI LETTERARIA 161
e la tetra drammaticità (*); che, in fine, parendogli il vivo colorito
romanzesco delle scene e de' caratteri, via via rilevati, un riflesso
verace de' sentimenti, delle passioni, de' costumi di quello stato
straordinario della società italiana, si compiacesse di trovarsi d' ac-
cordo, anche per quella pane, col suo rigido criterio della verità
storica.
III. Oltre il romanzesco, è qui il caso di ricordare alcuni atteg-
giamenti dello spirito manzoniano che abbiamo più addietro notato
nella prima stesura de' Promessi sposi : quella religiosità che prende
forme e toni troppo apologetici e polemici ; quella scrupolosa cura
della storia che costringe l'autore a rappresentarci caratteri ed epi-
sodi in un modo che vuole essere veridico, e riesce, sì, ad un'effi-
cace evocazione storica, ma non ad una vasta e profonda rappre-
sentazione d'anime e di vita universe, trasportandolo a corredare
eccessivamente d'informazioni e di digressioni storiche il racconto;
quel moralismo che si riflette nel mondo rappresentato con un' aria
di severità e di edificazione alquanto ostentata ; queir intellettua-
lismo che fa troppo sentire nel romanzo la meditazione del ragio-
natore per l'abbondanza de' giudizi, per la riflessione analitica de'
fatti e la disposizione critica della satira e dell' ironia. Ora codeste
tendenze dello storicismo, del moralismo e del criticismo raziona-
listico non sono appunto i tratti essenziali della dottrina romantica,
come l'avevano ragionata il Berchet, il Visconti e altri scrittori del
Conciliatore ì
« Storia » e « cristianesimo », il « vero » e il « bene », la perfezione
morale dell'uomo e della società e simili principi — ben lo sap-
piamo — erano la materia e gl'intenti, voluti dai romantici italiani
nella poesia; tutta la lora critica mirava più alla materia che al-
l'arte, che in quanto a questa, predicando l'imitazione del vero,
non si dilungavano dalle teorie de' classici, onde la loro riforma
essenzialmente morale, pratica, didattica, non estetica. Era naturale
che tali tendenze pratiche e normative dalla discussione dottrinaria
fossero portate nell'uso dell'arte. Il Manzoni, il cui vangelo roman-
tico era più retto e sicuro degli altri, perchè non voleva nell'arte
che fedeltà al vero e servitù al bene, perchè anzi subordinava anche
il vero storico al vero morale, quando veniva estendendo la minuta
de' tromessi sposi, era manifestamente portato verso quelle tendenze
(1) « Il était si originai — scriveva del soggetto al Fauriel — que ce sera bien
ma faute si cette qualité ne se communique pas à la description » (ivi).
Busetto — 11
162 PARTE SECONDA
speculative non solo pel proposito, eh' egli avesse, di reagire all'an-
dazzo frivolo e falso della prosa narrativa precedente, non solo per
quella, dirò cosi, risonanza immediata, in addietro notata, ch'ebbero
nel romanzo le questioni di morale e di religione trattate in con-
traddizione al Sismondi, ma anche perchè con codeste sue disposi-
zioni s'accordavano, e vi aggiungevano forza e autorità, le sue idee
sul fine morale dell' arte e il forte precettismo etico e religioso di
quel sistema romantico a' cui principi essenziali, anche s'egli non
voleva essere il capo della nuova scuola, aderiva con meditata e
risoluta coscienza. La prima redazione del romanzo è, appunto, ri-
spetto alla forma ultima definitiva, un'imperfetta opera d'arte, che
tramezza tra il romanticismo e il classicismo; risente dell'influsso
della critica romantica e, di conseguenza, un po' de' contatti spiri-
tuali che con la scuola lombarda aveva allora il Manzoni (non per
nulla vi piglia la sua brava parte il Visconti per rivedere, ammo-
nire e consigliare) ; rappresenta un primo momento dello spirito
artistico del Manzoni messosi alla grande opera, un momento nel
quale la tendenza romantica e la classica non hanno ancora trovato
il loro punto di fusione nel sapiente disegno e nella perspicua uni-
ficazione del sentimento ispiratore con l' immagine significativa. Con-
trasto tra impulsi d^arte romantica e aspirazione a forme classiche,
che spiega e giustifica la composizione ancora perplessa e confusa,
nello spirito e nelle forme, della prima stesura e, ad un tempo, il
fecondo lavorìo di rinnovamento non solo formale, ma in molte parti
sostanziale, a cui negli anni seguenti il Manzoni sottopose il ro-
manzo. Poiché la forma de' Promessi sposi, quale uscì maturata nella
stampa degli anni '25-27, è veramente, rispetto alla primitiva, una
nuova creazione; a intender la quale non basta pensare all'influsso
di nuovi 0 più puri motivi morali e religiosi o a quello di un'esi-
genza estetica, non infeconda, ma pur essa ancor troppo formali-
stica, quale può esser la legge della proporzione, della sobrietà,
della misura.
Da una parte, il pensiero morale e religioso del Manzoni tra il
24 aprile 1821 e il 17 settembre 1823 — nel quale periodo scrisse
la minuta del romanzo — non poteva essere sostanzialmente diverso
ne' due anni successivi in cui rifece l'opera sua; ond'è lecito de-
durre che nelle modificazioni operate, alle quali ho accennato nel
capitolo precedente, ma che riprenderò a suo luogo in esame più
attento e minuto, non poterono già nuovi criteri del moralista cat-
tolico, ma, tutt' al più, un motivo sentimentale, cioè una più serena
e più indulgente pietà cristiana. D' altra parte, il criterio estetico di
LA GENESI LETTERARIA 163
riordinare l'opera secondo una più corretta proporzione, una piìi
sapiente misura e sobrietà nello svolgimento generale della trama,
nell'armonia delle scene e degli episodi non può essere una ragion
sufficiente per spiegarci la ritorma operata, e perchè, guidato da
quegli accorgimenti estetici, poteva — come fece — dare miglior
ordine e chiarezza al disegno, isveltire il racconto, riatteggiare il
tutto, e implicitamente le singole parti, a maggior compostezza, ma
non maturare quel!' opera di più profonda comprensione etica, di
ricostruzione psicologica, di rifusione e purificazione fantastica, onde
uscì il capolavoro ; e perchè, poi — come potrò dimostrare più
innanzi per via di analitici raffronti — il Manzoni, se fece tagli e
scorciò e condensò dove gli parve opportuno, anche ampliò e svolse
e aggiunse sia nell'analisi de' caratteri umani che nella descrizione
del mondo esteriore.
Il rinnovamento via via si venne maturando attraverso un lavoro
mirabile di pazienza, in virtù di quel gusto classico, di quell' intima
classicità che era nell' intelletto lucido e sereno e nella fantasia ar-
moniosa e meditativa del Manzoni; si compi lento, faticoso, con la
pazienza del genio e l' invitta incontentabilità degli artisti di tempra
classica: fu profondo sì, ma non pienamente perfetto, perchè non era
piccola impresa liberare l'opera del primo getto dagli elementi roman-
tici, germogliati con la concezione stessa del romanzo storico, cancel-
lare le impronte impressevi dalla tendenza romantica e dal sistema
teorico. L'arte del romanziere in quelli che chiameremo pur noi Gli
sposi promessi oscilla tra la corrente del romanticismo e quella del
classicismo, ed ora pare che la prima prevalga con la violenza delle ispi-
razioni passionali, il colorito acceso degli affetti, la drammaticità pitto-
resca delle 5cene e il tono talora agitato e frammentario, troppo fosco
o troppo languido nell'analisi delle commozioni straordinarie; ed ora
le attitudini classiche dell'ingegno manzoniano, che sostanzialmente
informano 1' opera in via di formazione, cercano d' esercitare sulla
complessa materia psicologica e storica il lor dominio d'equilibrio
e di disciplina, di chiarezza e d'armonia nell'ordito dell'azione, nel-
r analisi de' caratteri, nella dipintura delle figure umane e delle
scene naturali. Ma questo classicismo artistico manzoniano è ancora
piuttosto un sforzo di conquista che un vittorioso possesso, perchè
né troviamo nel disegno generale dell' opera la compiuta unità este-
tica vagheggiata, né vediamo mantenuta nello studio de' caratteri
e nello svolgimento delle scene e degli episodi quella sobria, coerente
e lucida intonazione di linee, di colori, d'immagini né quella evi-
denza plastica della realtà umana e fisica, che poi il Manzoni rag-
164 PARTE SECONDA
giunse nel ripensamento e nella rielaborazione artistica dell' o-
pera sua.
Tale fermentazione d'elementi elassici e d'elementi romantici,
ancor separati ed opposti nel fervore del primo getto, non poteva
durare a lungo, né era possibile che la vittoria rimanesse a quel
romanticismo della prima maniera, essendo troppo vigorose le atti-
tudini del poeta all'arte d'ispirazione temperata e composta e di
rappresentazione netta, lucida e armoniosa, per cedere alla sugge-
stione del gusto e delle forme arditamente romantiche. Così fu che,
gettata 1' opera nella gran tela, il Manzoni col placido senso, che è
de' grandi scrittori, rivisse e contemplò il suo mondo e con serenità
disciplinatrice lo rifuse di nuovo spirito e lo riplasmò in nuova
forma: corresse efficacemente le troppo forti tendenze dello stori-
cismo, dell' intellettualismo e del moralismo, e purificò l'analisi psi-
cologica e la lingua di tutto ciò che avevano d' approssimativo,
d'informe, di rozzo, di sciatto.
Che erano quelle tendenze se non esagerazioni, e quindi degene-
razioni artificiose, dì ciò che costituiva la legge, la disciplina, lo
spirito originale della coscienza manzoniana e dell'opera sua? Il
colorito storico, onde riluce l' anima sociale del Seicento italiano,
era soverchiamente carico e si fé' temperato e armonioso ; il razio-
nalismo preponderava con la frequenza del sentenziare e con le
digressioni ragionative e polemiche su argomenti storici, morali e
letterari, e poi si diradò (tolta qualche digressioncella inutile rimasta)
in numerate e opportune riflessioni, acquistò maggior finezza nelle
sottili forme dell' arguzia e dell' ironia, mentre l' intransigenza etica
neir intimo giudizio e nella rappresentazione delle colpe e de' delitti
cedette — come già dimostrai — a un sentimento di pensosa pietà
e di profonda bontà, esperta de' mali e delle debolezze dell'uomo,
onde si diffuse su quel mondo di personaggi e d' avvenimenti, tratti
da un'epoca storica, una luce morale più raccolta e tranquilla, un
più puro spirito evangelico, un più profondo senso d'umanità. E
cioè sì manifestarono, dopo un faticoso lavoro, nella loro piena
spontaneità, sciolta da ogni elemento soverchio ed eterogeneo, le
originali energie della coscienza poetica del Manzoni : lo spirito
d' individuazione e di drammatizzazione della storia, il sottile umo-
rismo dell'intelletto avvezzo all'osservazione e all'analisi, la fede,
sorretta dal cuore e dalla ragione, nell'efficacia morale dell'esempio
e dell'insegnamento evangelico. Così i Promessi sposi si ricomposero
con una lor salda concezione etica ed unità estetica, che nella prima
forma non avevano; poiché, superata quell'intima contraddizione
LA GENESI LETTERARIA 165
artistica, di cui s'è ora discorso, lo spìrito del poeta che, nel primo
travaglio d'ideazione, d'indagine storica e psicologica e di figura-
zione artistica, era stato dominato dalla materia, dai motivi senti-
mentali e concettuali della realtà immaginata, se ne rese dominatore
e contemplatore placido ed acuto. Non perciò la genesi sentimentale
de' caratteri, delle azioni e degli avvenimenti (non c'è rappresen-
tazione di realtà storica o psicologica, pertinente l'uomo o la na-
tura, oggettiva o soggettiva, che non germini da uno stato senti-
mentale dell'artista, cioè dal suo modo di sentirla e di vederla) ne
venne turbata o raffreddata ; anzi ne fu approfondita e arricchita di
nuova gagliardia e di più calda intimità: la novella forma del ro-
manzo riuscì, per tal modo, con una sua tempra, né esclusivamente
romantica, né esclusivamente classica, ma romantica e classica in-
sieme, per l'equilibrio, quasi sempre raggiunto, tra l' ispirazione del
sentimento più raccolto e composto, ma anche più intenso e pro-
fondo, e la rappresentazione meno concitata e colorita, ma più deli-
catamente commossa e più limpidamente precisa e luminosa. Come
il Manzoni abbia raggiunto quasi sempre quest'intima armonia este-
tica nelle ripetute prove dalla prima minuta all' ultima forma del
romanzo vedremo nella parte seguente di questo lavoro dedicato
allo studio dell' azione generale e di taluni personaggi.
PARTE TERZA
IL ROMANZO IN FORMAZIONE
Capitolo I.
L'azione generale e gii episodi
I. Riordinamento del racconto e rimutamenti di scene. — II. Soppres-
sioni e riduzioni di scene e d'episodi. — III. Diversi procedi-
menti e sviluppi di sceneggiatura e aggiunte di scene e d'elementi
episodici.
I. L'esame della materia, come la vediamo ordinata nella prima
stesura del romanzo e come venne rimutata di luogo e di qualità
ne' rifacimenti sostanziali ulteriori, ci mette in grado d'intendere
per quale intimo processo dello spirito il Manzoni lavorò a tessere
e a rifare l'orditura del racconto nelle fila principali e in quelle
secondarie, al fine di raggiungere quell' unità logica nell' insieme
degli avvenimenti legati tra loro, quella chiarezza e compattezza nel
disegno generale del quadro, quella verosimiglianza e naturalezza
nella concatenazione e nello svolgimento de' fatti e ne' reciproci
influssi loro, così da trasformare il grande ritratto storico del Sei-
cento lombardo in una armoniosa, alta e complessa rappresenta-
zione della realtà umana osservata nell'eterna vicenda delle sue
passioni, de' suoi istinti e dolori, delle sue viltà e de' suoi eroismi.
Questo procedimento d'inalzare l'analisi e la rappresentazione di
ciò che è il prodotto della nostra ispirazione soggettiva, o della vi-
sione storica di un'epoca determinata, al significato di verità umana,
al simbolo non solo del momento che si coglie e si ritrae, ma della
vita, alla realizzazione, insomma, di un ideale nel presente è un
procedimento tutto classico della poesia, di cui offrono esempi in-
signi la tragedia greca, il poema di Dante e i drammi di Shake-
speare. Intrecciare avvenimenti storici e casi romanzeschi in una
trama così solidamente tessuta e nelle parti diverse così sapiente-
mente aggiustata, che gli uni formino un tutto armonico con gli
170 PARTE TERZA
altri ; le fila della storia si svolgano e s' annodino con l' interessante
vivezza del romanzo ; l' ordito romanzesco, a quelle inframmesso,
presenti i saldi legami e i naturali svolgimenti e la risentita evi-
denza degli avvenimenti storici, e ad un tempo da codesta tela,
tramata sulla storia, si rifletta 1' immagine perpetua della realtà
vivente, ecco la fatica somma del Manzoni nel dar colore e luce al
disegno vastamente concepito, nel rilavorare attorno all'orditura
complessa del racconto romanzesco, nell' accomodarlo, senza scon-
nessure logiche e dissonanze psicologiche, nell' intelaiatura del rac-
conto storico.
Soffermiamoci a vedere come il Manzoni è venuto rimutando
scene ed episodi e diversamente distribuendo la materia conservata
nella composizione definitiva. L'azione del romanzo, dall'incontro di
don Abbondio coi bravi fino alla mattinata de' definitivi concerti
di Renzo con le donne pel tentato matrimonio e della visita mi-
steriosa di mendicanti sospetti alla casa di Lucia, si svolge —
salvo alcune modificazioni episodiche che vedremo — secondo
il disegno primitivo (*), Né logicamente poteva il Manzoni intro-
durvi sostanziali mutamenti, perchè la maggior parte de' fatti
narrati fino a quel punto — come ognuno rammenta — sono or-
dinati secondo la successione cronologica voluta dalla loro stessa
natura e dalle leggi di causalità. Sennonché 1' ultimo avvenimento
di quella lunga mattinata, quello de' « ronzatori misteriosi > attorno
alla casa di Lucia, è predisposto da circostanze e risoluzioni, av-
venute nel palazzotto di don Rodrigo, di cui il narratore non ha
toccato per seguitare il racconto di ciò che è accaduto nella casetta
di Agnese dopo il vano tentativo di fra Cristoforo. L'intreccio co-
mincia ora a complicarsi, perchè ha luogo la contemporaneità di
fatti che si svolgono diversamente in luoghi separati, ma che sono
strettamente legati tra loro agli effetti di nuove condizioni e di
nuovi avvenimenti. Era un carattere proprio della letteratura nar-
rativa — e l'Ariosto in ciò si era rivelato maestro — sospendere
le fila di una narrazione per riprenderne altre, pur lasciate sospese,
al fine di condurre innanzi la trama e di aggiungere, con la ripresa
di quelle, nuovi intrecci alla tela del racconto. Osserviamo pertanto
nel romanzo che il Manzoni, dopo aver pennelleggiate bravamente
le figure di quei mendicanti dalle facce sinistre e scure, torna un
passo addietro nel palazzotto di don Rodrigo : la collera, che mista
ad un indefinibile sgomento per l'esordio dell'infausta profezia di
(1) Prom. sp., capp. I-VII, pp. 7-94.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 171
fra Cristoforo, fa andar concitato su e giiì il signorotto per la sala
fra i ritratti degli antenati ; la passeggiata coi bravi in gran pompa,
le punzecchiature del cugino Attilio ; la rinnovazione della scom-
messa; i concerti ch'egli prende col Griso; le prime disposizioni
per la scellerata impresa notturna; l'avviso del buon vecchio ser-
vitore a fra Cristoforo, tutto ciò (*) interrompe in bel modo la nar-
razione precedente, che è subito dopo ripresa per proseguire con
nuovi fatti e casi: il pranzetto e i discorsi, all'osteria, di Renzo, Tonio
e Gervaso, l'incontro con quei ceffl di bravi travestiti, il convegno
loro alla casa di Agnese e finalmente la segreta spedizione di tutta
la brigata alla casa di don Abbondio, a cui seguono il fallito ten-
tativo del matrimonio per sorpresa e il primo scompiglio nel paese
alle grida del curato e al suono della campana a martello (^). Ed
ecco il Manzoni interrompe un'altra volta la peripezia notturna degli
sposi, per narrare ciò che avveniva, contemporaneamente a quella
loro « grand' operazione >, nella casetta di Lucia, e cioè l' invasione
e le vane ricerche de' bravi; accompagnati dal Griso, il sopraggiun-
gere di Menico, la confusione de' ribaldi a quello scampanare e la
faticosa ritirata del Griso alla testa della masnada, con la rabbia in
corpo di tornarsene dal suo signore a mani vuote (^). E qui l'autore
pianta in asso i bravi sul cammino del ritorno, per ripigliare a
descrivere il tafferuglio nella casa di don Abbondio, l'accorrer della
gente in piazza e sotto la finestra di lui, i villani raccolti a far
commenti e consulte, poi avviati alla casa di Lucia dietro la voce
che vi fossero andati de' banditi e avessero catturato un pellegrino,
la vana esplorazione e il ritorno di tutti a casa propria, la fuga
degli sposi e di Agnese con Menico fino all' arrivo nella chiesetta
di Pescarenico {*). Per una volta, dunque, nella narrazione de' fatti
che necessariamente si svolgono dal disegno e dalla tentata attua-
zione di sorprendere don Abbondio, s'intersecali racconto episodico
delle operazioni macchinate e medesimamente tentate al fine di ra-
pire Lucia : dall' una parte e dall'altra s' intrecciano i concerti segreti
e le operazioni rischiose, e — benché di natura diversa — scoppiano
egualmente e medesimamente da un caldo interesse : senonchè
Eenzo, Agnese e anche, suo malgrado. Lucia affrontano il rischio
e si movono a far pur essi un po' di violenza per avere un po' di
giustizia ; don Rodrigo co' suoi sgherri gioca un colpo di audacia
(1) Proni, sp., cap. VII, pp. 04-99.
(2) Prom. sp., capp. VII-VIII, pp. 99-110.
(3) Prom. sp., cap. VIII, pp. 110-13.
(4) Ibid., pp. 113-19.
172 PARTE TERZA
€ fa la violenza per sopraffare la giustizia ; anche le azioni di quelli
e di questo corrono parallele, ciascuna verso il suo fine determinato,
ne' preparativi del giorno e della sera e nelT esecuzione tentata sulla
prima notte quasi ad un tempo stesso,, antitetiche e interferenti
ì'una nell'altra; che il risultamento, ne predisposto né preveduto,
dell'uscita notturna di quei poveri oppressi è quello di avere fru-
strata la scellerata impresa di don Rodrigo.
Quest' intima connessione logica della realtà si riflette, lungo il
racconto, nel duplice intreccio, che ho rilevato, d'avvenimenti con-
temporanei sì, ma diversi. Nella minuta, al contrario, il Manzoni,
rimandando la narrazione degli accordi di don Rodrigo col Griso
assai più oltre, continuava a raccontare i fatti e le peripezie della
giornata, che precorse la famosa notte, fino a quando Menico tro-
vava sbandati Agnese e gli sposi dopo la cattiva riuscita e li faceva
voltar dalla via di casa per viottoli e per campi a Pescarenico (*).
A questo punto il Manzoni tornava indietro per descrivere la pas-
seggiata di don Rodrigo co' bravi e le canzonature del conte Attilio,
e per narrar, quindi, d'un fiato gli accordi del signorotto col capo
de' bravi, la preparazione della spedizione notturna^ l'esecuzione, il
ritorno quasi di fuga al castellotto (*). Ma è chiaro che codesto
assommare distintamente i due gruppi di fatti, per un grande arti-
sta, non ha che il valore di una prima sbozzatura, tanto per ordinar
nella tela la varia e intricata materia che s' agita nella sua fantasia ;
nell'ultimo momento per una più viva penetrazione della realtà e
una maggior consapevolezza de' mezzi artistici il Manzoni ha distri-
buito in altro modo la materia, cavando effetti d' arte felicissimi
dall' intrecciarsi de* preparativi del prepotente con quelli de' perse-
guitati a fini diversi, dallo scompiglio che mettono quei disperati
rintocchi della campana così nella brigatella che assalta il curato
come nella torma brigantesca che invade la casa di Lucia, dall' in-
crociarsi delle impressioni de' villani destati con quelle de' ribaldi
sorpresi, delle voci, delle supposizioni e astuzie, agitanti la gente
accorsa, con lo sgomento e la fuga della masnada e del finto pel-
legrino fra le ombre della notte. Il ritmo storico, che nelle vicende
umane genera talora, per un singolare gioco di forze e d' intenti,
(1) Sp. prom., pp. 126-39.
(2) Sp. prom., pp. 139-45; ma specialmente p. 143 e segg., n. 7. La scena de' con-
certi di don Rodrigo col Griso e il racconto dell' infruttuosa spedizione di costui erano
assai probabilmente nella prima stesura; ma questa manca di un foglio (l'Se»), onde
dobbiamo ricorrere al rifacimento o sostituzione, che si trova nella colonna a sinistra
di altri fogli.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 173
la contemporaneità di avvenimenti contrari, anzi contrae! ittori, e quel
fine senso d'arte, che s'acuiva vieppiù nella meditata rielaborazione
dell'opera, hanno suggerito al Manzoni i nuovi accorgimenti d'in-
treccio.
Dopo la fuga degli sposi l'ordine degli avvenimenti, come li tro-
viamo disposti nella prima stesura, fino al viaggio di Renzo a Mi-
lano, è stato conservato nelle successive redazioni del romanzo: la
trama — come ognuno sa — si allarga con le accoglienze e i con-
sigli che ricevono i fuggiaschi da parte di fra Cristoforo, con la
traversata notturna del lago, l'arrivo a Monza e la dolorosa sepa-
razione di Renzo dalle donne; si complica con l'allogamento di
Lucia presso la signora del monastero e con la storia della vita di
quella infelice sino a quel giorno che accoglie sotto la sua prote-
zione la povera profuga; si riallaccia, d'altra parte, con nuovi fili
alle cose che intanto succedono nel paesello degli sposi: il ritorno
del Griso a mani vuote, la sua relazione al padrone, le ricerche in
paese sulle cause della fuga dei due fidanzati e di Agnese, la gira-
tina di don Rodrigo in costume da caccia col conte Attilio per campi
e per ville e le impressioni, le congetture, le confidenze de' paesani
circa i casi di quella notte, i colloqui di don Rodrigo col conte At-
tilio e i consigli e le profferte d' aiuto che questo gli fa, l' andata
del Griso a Monza e le notizie che ne riporta sul rifugio di Lucia^
i divisamenti del signorotto per imbrogliar Renzo nelle reti della
giustizia con l'aiuto del dottore Azzeccagarbugli e del Podestà (*).
Ma a questo punto il Manzoni nell'ultima redazione del romanzo
abbandona don Rodrigo e il paese degli sposi per andar dietro a
Renzo, avviato alla volta di Milano, e per dire delle disavventure
del giovane colà, della sommossa popolare, della fuga di lui fuor
dello stato milanese (*); dopo di che don Rodrigo e il cugino Attilio
tornano in iscena, questo nel colloquio col conte zio per ottenerne
r autorevole appoggio nelle persecuzioni contro fra Cristoforo, quello
nella visita che fa all'Innominato per pregarlo d'aiuto nel nuovo
tentativo di rapire Lucia: incontri ed accordi che sono narrati, dopo
che Agnese è tornata al suo paesello e ha cercato invano fra Cri-
stoforo al convento di Pescarenico (^).
Nella minuta il racconto delle nuove macchinazioni di don Ro-
drigo non era interrotto, ma alla rapida scena del ritorno del Griso
(1) Prom. sp., capp. VIII-XI, pp. 119-72; Sp. prom., pp. 147-276.
(2) Prom. sp., capp. XI-XVII, pp. 173-262.
(3) Prom. sp., cap. XVIII, pp. 262-71.
174 PARTE TERZA
da Monza e della sua relazione circa le informazioni raccolte sul
rifugio di Lucia si saldavano la descrizione della vita dell' Innomi-
nato e la notizia del viaggio di don Eodrigo con pochi bravi su al
castello di costui, e seguivano, di continuo, il colloquio di lui con
quel potente, l' impegno di quest' ultimo, la chiamata di Egidio che
assumeva prontamente il carico del ratto, l'incontrarsi del giovi-
nastro, di ritorno dal castello, con Agnese che tornava a casa sua,
contenta d' aver lasciata in un luogo sicuro la figlia, la rapida ese-
cuzione ch'egli dava allo scellerato disegno con la complicità di
Oertrude, il ratto della poveretta sulla via del convento de' cap-
puccini, il viaggio sino al castello, la rapida visita dell' Innominato
alla sua prigioniera, la notte angosciosa dell'una e dell'altro, l'in-
contro, i colloqui del terribile uomo col cardinal Federigo, la sua
conversione, la liberazione di Lucia accolta nella casa del sarto (*).
Ma anche in quest'ordine di avvenimenti, che s'aggirano attorno a
don Eodrigo e a Lucia, non collimano perfettamente la prima ste-
sura e l'ultima redazione: in questa, il ribaldo, infervorato nella
sua passionacela dall'ordine di esecuzione contro Renzo, che mette
sottosopra il paese, dopo dubbi e tentennamenti per la difficoltà di
strappar Lucia da un monastero, si risolve pel partito rischioso di
chiedere l'aiuto del terribile bandito; ma il Manzoni interrompe
anche questo racconto per informarci degl' intrighi di Attilio e del-
l' allontanamento di fra Cristoforo con le complicità del conte zio
e del padre provinciale, de' quali sono descritti i caratteri e i col-
loqui (*), e lo riprende col ritratto morale dell' Innominato e la visita
di don Eodrigo al suo castello (^) ; nella- minuta dall'informazione
del Griso sul ricovero di Lucia sino all' impegno preso dall' Inno-
minato con don Eodrigo e agli accordi, poi, che quegli stringe con
Egidio, sino cioè all' imbattersi di questo scellerato in Agnese reduce
da Monza, è tutto un racconto difilato (*).
Ora, il Manzoni, avviando la storia di Lucia fino al punto che ella
e la madre trovano asilo e protezione nel monastero di Monza, av-
viando poi quella di don Eodrigo scornato fino quasi al giorno che
va dall' Innominato, e riprendendo la peripezia di Eenzo, lasciato
indietro per seguir Lucia, fino al giorno che giunge al paese quel
po' po' d'ordine esecutorio contro la sua persona e i suoi beni, ha
fatto — diceva lui scherzosamente — come quel « caro fanciullo »
(1) Sp. prom., pp. 277-406.
(2) Prom. sp., capp. XVIII, XIX, pp. 271-84.
(3) Prora.' sp., capp. XIX, XX, 284-91.
(4) Sp. prom., pp. 277-99.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 175
che sulla sera raccoglieva nel covile un suo gregge di porcellini
d'India, adattandosi a spingervi «dentro quelli che eran più vicini
all'uscio», e ad andar « a prendere gli altri, a uno, a due, a tre,
come gli riusciva » (*) : amabilmente arguto paragone, che gli venne
in mente di fare fin dalla minuta (^). Ma in questa egli aveva per-
duto di vista « Fermo >. (così l'aveva chiamato prima di dargli il
nome di Renzo), « per seguire Lucia, nelle sue dubbiose vicende t> —
il tradimento di Gertrude, il ratto, la notte nel castello, la libera-
zione — , e si rimetteva « sulle tracce » di lui « ora che Lucia era
uscita dal pericolo e posta in sicuro » (^). Troppo forte distacco de'
casi dell'uno da quelli dell'altra: non conveniva all'arte di un
sagace orditore d'una così bella trama lasciare abbandonato, per
così lungo tempo, uno de' fili principali, per addensarne molti
in una parte: era come un lavorare a pezzi, un ammucchiar ma-
teria di qua e materia di là, con la preoccupazione di fornir l'opra
da una parte, prima d'intesserne un'altra: ne risultava all'insieme
un non so che dì staccato, di afiastellato, de' grossi nodi, dirò
così, rilevati nella tela, piuttosto che un ben congegnato tessuto
di fili, disegualmente sottili, ma acconciamente intrecciati da for-
mare un' impressione di equilibrio, di proporzione e d' armonia
nel disegno. Non era eff'etto d' arte di poco conto mischiare alla
descrizione della fuga dei due sposi l'analisi dell'agitazione di don
Eodrigo e de' suoi nuovi divisamenti, e codesto quadro chiuder tra
il racconto del modo come Lucia e la madre s' allogano a Monza,
alla sua volta interrotto per dar luogo alla storia della signora
(storia necessaria a intender l' animo e la parte di quella sciagurata
ne' futuri casi di Lucia), e il racconto de' casi occorsi a Renzo in
Milano. Oltre il pregio di una variata narrazione interessante, oltre
il vantaggio di riprodurre con la verosimiglianza dell'arte almeno
una parvenza della contemporaneità e interferenza de' fatti umani,
quali troviamo nella realtà della vita, il Manzoni ha bellamente
riprodotto, co' rimutamenti fatti nella distribuzione di questa ma-
teria, quel ferreo ordine logico delle cose e delle azioni, quella
salda concatenazione di cause e d'effetti, manifesta ed occulta, ma
costantemente generatrice della realtà, che lega le passioni, gli
interessi, gli atti e i casi fortuiti de' personaggi contrari d' indole
e d'intenti, come sono Lucia, Renzo e il loro persecutore don Ro-
drigo. Concatenazione delle reali vicende umane, che riceve un
(1) Prom. sp., cap. XI, pp. 172-3.
(2) Sp. proni., p. 471.
(3) Ivi.
176 PARTE TERZA
sapiente rilievo artistico in queir annodar che fa il Manzoni, nella
nuova tessitura del romanzo, i fatti o meglio le preparazioni di don
Rodrigo al secondo tentativo scellerato con la nuova situazione di
Lucia fuori del suo paese e con la peripezia di Eenzo a Milano
durante e dopo i tumulti pel prezzo del pane. Per ciò che riguarda
Lucia, riposa l' animo del lettore e ne accresce la curiosità delle
ulteriori soluzioni il lungo intervallo che corre tra il suo alloga-
mento presso la strana monaca peccatrice e l'apparire d'Egidio in
azione per aver da costei consenso e aiuto al ratto divisato: inter-
vallo, durante il quale le agitazioni di Milano^ con Io spettacolo di
folle in rivolta e de' governanti inetti o raggiratori, e le intempe-
ranze di Renzo all'osteria della Luna piena, la sua cattura, la sua
fuga, col variar di scene e di tipi umani e di commozioni molte-
plici nell'animo del fuggiasco, ci trasportano in un ordine di im-
pressioni di tutt'altra natura da quelle dianzi provate. Dopo le quali
è logico che il narratore ci richiami a Lucia e ad Agnese, all' an-
goscia delle due povere donne, per le voci corse sul conto di Renzo,
al sollievo che dà loro fra Cristoforo con l'assicurarle ch'egli s'era
messo in salvo nel bergamasco: e così il lungo episodio milanese,
nel pigliar posto là in mezzo, non soltanto risponde all'esigenza ar-
tistica del variare il racconto e alla necessità logica d' intesservi
anche i casi di Renzo, ma altresì bellamente si ricollega all'analisi
del soave animo di Lucia, alla parte di benefattore che ancor può
fare il buon frate, e ad altre circostanze minori : donde viene una
mirabile saldezza ai nessi logici del romanzo nel trapasso da un or-
dine all'altro di fatti, o almeno ne resta di molto attenuato quel
senso di stacco che può dare codesto procedimento della narrazione
a riprese e ad intrecci.
Ed un altro, anche piti considerevole, vantaggio ne consegue per
la concatenazione de' fatti e lo studio delle anime ; che le disgrazie
di Renzo, il suo forzato e irreparabile abbandono del paese rinfo-
colano la caparbietà di don Rodrigo, gongolante che la sorte l'abbia
sbarazzato del rivale e finalmente risoluto a sfruttare la buona oc-
casione per ritentar la vituperevole impresa. Così la nuova azione del
signorotto ha pur essa un qualche addentellato con l'episodio milanese
intermesso; e lo svolgimento de' fatti, che in seguito si narrano,
appare governato in modo evidente dalla ferrea logica delle cose.
Di grandi rimutamenti nel seguito del racconto non sono da no-
tare (*) e dobbiamo portarci ai fatti che conseguono alla conver-
(1) V. D'Ovidio, N. st. manz. cit., p. 496 e segg; passim.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 177
eione dell' Innominato per trovar qua e là diversamente disposta la
materia nel romanzo in raffronto con la minuta. Così, in questa si
descriveva, dopo l'arrivo a Chiuso di Lucia liberata sotto la scorta
della buona donna, del conte e di don Abbondio, un semplice pran-
zetto del cardinale e del conte in casa del curato, ed un altro col-
loquio tra loro; quindi era riferito un lungo passo del Ripamonti
e, fra osservazioncelle digressive, che comprovano insieme con quel
richiamo alla fonte il soverchio scrupolo della storia ostentato dal
Manzoni nella prima stesura, vedevamo, com' è rimasto nel romanzo,
il conte tornare al castello, e, chiamati a raccolta tutti i suoi bravi,
annunziar loro la sua risoluta conversione a buona vita, indurre i
più di essi a mutar con lui sentimento e costumi, congedare altri
pochi, incapaci di ravvedersi, dando loro il salario e una gratifica-
zione (*). Questo episodio interrompeva la narrazione delle acco-
glienze che riceveva Lucia in casa del sarto, e l'analisi dei pensieri
e delle affezioni di lei dopo la liberazione. Che ha fatto il Manzoni
nel rivedere questa parte del romanzo? 11 contrario di quello che
abbiamo riscontrato in parti precedenti : ha, cioè, fatto seguire, senza
interruzioni, alla breve scena delle ospitali accoglienze l'analisi del-
l' animo di Lucia (*), ha soppressa la descrizione particolareggiata
e prolissa del pranzo in casa del curato e i riferimenti del Ripamonti
circa il secondo colloquio tenuto dal cardinale con l'Innominato; e
ha colmati questi vuoti con le belle scene domestiche del ritorno
del sarto e de' figliuoletti dalla Chiesa e del pranzo che fanno in-
sieme con Lucia, parlando il padre, fra le interruzioni vivaci e sa-
putelle de' bimbi, intorno alla mirabile predica dell'arcivescovo:
tutto un pittoresco quadro di caratteri e di costumi fragranti di
semplice e pia vita cristiana e di domestica intimità, condotto con viva
arte spontanea. Così facendo, il Manzoni ha dato un conveniente
sfondo, tutto giocondità e purezza, alla nuova situazione di Lucia,
riposata finalmente dai terrori e dall' angoscia di quella notte e lieta
della protezione divina: ciò che era frammentario, smilzo, incolore
e tratteggiato, dirò così, a linee spezzate, ha ceduto ad una bella
scena d'ambiente domestico e ad una compiuta, chiara ed efficace
dipintura dell'animo di quella poveretta nella sua nuova situazione.
E con questa è collegato un altro mutamento che concerne il tempo
e il luogo del colloquio di lei e di Agnese col cardinale. Nella prima
stesura l'incontro aveva luogo in casa del curato di Chiuso, dove
(1) Sp. prom., pp. 406-15.
(2) Prom. sp., cap. XXIV, p. 348-50.
Busetto — 12
178 PARTE TERZA
esse erano chiamate insieme con la moglie del sarto; nell'ultima,
invece, è Federigo che si reca in persona a visitarle e a interrogarle
nella casa degli ospiti: il quale cambiamento, dovuto al proposito
di dare un rilievo di singolare pietà e carità alla parte del magna-
nimo prelato nella dolorosa storia di Lucia, giova altresì a mettere
in luce il carattere del sarto e della moglie presenti al colloquio,
a presentare l'azione e gli aspetti de' personaggi in forme di vita
nuova, anche per effetto del dialogo sostituito alla magra narrazione
del primo getto. E tanto più la scena, così rinnovata, s'intona ai
caratteri de' personaggi, alle circostanze degli ultimi drammatici
avvenimenti e cresce di portata e di valore nell' orditura generale
dell' azione, perchè in essa la rivelazione di Agnese circa il mancato
matrimonio e la colpa di don Abbondio ha un ricco svolgimento
dialogico che non e' era nella minuta e vi s' intrecciano la confes-
sione di Lucia del matrimonio per sorpresa e il discorso sulle mi-
steriose avventure di Renzo : rivelazioni che la minuta riportava nel
secondo colloquio delle donne con Federigo, quand'egli giungeva,
nella sua visita pastorale, al loro paese (*). In due altri punti, at-
tinenti ai casi di Lucia, il Manzoni ha modificato il racconto con-
ferendo all' azione romanzesca un andamento e un tono diversi dalla
prima stesura. L'uno riguarda il dono dei duecento scudi d'oro che
in questa il conte in persona, recatosi nella casetta di Lucia per
umiliarsi e implorare il perdono, le faceva in presenza di Agnese
e di don Abbondio, dopo aver vinta la riluttanza di lei ad accettarlo ;
al che seguiva una breve scena, quando, rimaste sole, la vecchia
svolgeva il rotolo e, commossa da tanto oro, esponeva i suoi bei
progetti alla figlia. Nella nuova redazione gli scudi sono cento e
viene a presentarli, per commissione dell'Innominato, il parroco di
Chiuso al cardinale, che, alla sua volta, fatta chiamare Agnese, glieli
consegna; dopo di che vediamo costei in uno schizzo, fragrante di
tenera comicità, chiusa tutta sola nella sua camera, ammirare e con-
tare quei ruspi e dormirci sopra e sognarli (*).
L' altro punto si riferisce al modo come donna Prassede conobbe
Lucia e 1' accolse in casa sua. Nel primitivo disegno era detto che
Federigo tra le visite che riceveva nel suo giro pastorale, ebbe
quella di don Ferrante e di donna Prassede (*), accompagnati dal-
(1) Sp. prom., pp. 421-2, 436-9; Prom. sp., cap. XXIV pp. 356-0, cap. XXV p. 371-2.
(2) Sp. prom., pp. 456-61; Prom. sp., cap. XXVI pp. 383-4.
(3) Si noti che il ritratto morale di costei, finemente compiuto fin dalla prima
presentazione nella definitiva forma del romanzo (Prom. sp., cap. XXV, pp. 369, 371)
appariva nella minuta assai più innanzi, appena abbozzato e mischiato alla descrizion
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 179
r unica loro figliola Ersilia e da donna Beatrice, sorella del capo di
casa, e che questo, indovinando dalle parole del cardinale le sue
intenzioni, gli offrì di prendere con sé Lucia, che sarebbe stata ai
servizi della figlia; il che avveniva con piena contentezza di tutti.
Nella nuova redazione donna Prassede, che villeggiava col marito
poco distante da Chiuso, al sentire il gran caso di Lucia, è punta
dalla « curiosità di vederla » , la manda a prendere insieme con la
madre, e, lieta di « secondare e di prevenire a un tratto » l'inten-
zione del cardinale di trovare alla giovane un ricovero, s' esibisce
di prendersela in casa e, avuto il grato consenso delle due donne,
per mezzo loro manda una lettera di offerta a monsignore che, seb-
bene non sarebbe stata « probabilmente » « quella la persona che
avrebbe scelta a un tal intento », vi aderisce con cuore sicuro (^),
E una differenza non trascurabile nell'ordine de' fatti è questa, che
nel primo getto il collocamento di Lucia in quella « famiglia po-
tente » a Milano seguiva al colloquio di Federigo con don Abbondio,
sul punto che l'autore era per staccarsi da Lucia e dal suo magna-
nimo liberatore per tornare a Fermo, lasciato sulla via alla volta
di Milano, mentre nell'ultimo rifacimento precede, anzi, quel col-
loquio e il racconto del vistoso donativo dell' Innominato, né ha
luogo subito dopo le trattative e gli accordi, ma donna Prassede in
persona, « la mattina seguente », viene a complimentare il cardinale
e a prendere la sua protetta, che resta ancora in villa co' signori;
onde è data la via a quella novissima scena di « un più doloroso
addio » tra madre e figlia, descritta sulla fine del XXVI capitolo (*).
Il medesimo processo di più logico ordinamento della materia av-
vertiamo in quel vasto quadro storico in cui sono narrati i casi, le
vicende e descritte le scene cospicue della peste : ciò che il Manzoni
aveva raccolto sin dalla prima stesura, ha conservato press' a poco
nell'ultima, mantenendo e citando le medesime fonti: ma durante
l'opera di rifacimento e di correzione ha messo tutto il suo studio
della vita di Lucia in quella casa patrizia e de' mezzi a cui donna Prassede ricorreva
per toglierle di mente Fermo (Sp. prom., p. 580). Di don Ferrante, de' suoi studi, gusti
e costumi fa il Manzoni la nota analisi stupenda dopo aver detto di quella strana
missione di donna Prassede e delle sue occupazioni (Prom. sp., cap. XXVII pp. 339-403) ;
nella minuta, invece, il ritratto di don Ferrante precedeva il discorso sulla moglie
(Sp. prom., pp. 569-74). Medesimamente della corrispondenza epistolare tra Renzo e
Agnese il Manzoni discorre ampiamente prima di trattar della vita di Lucia nella
casa di don Ferrante (Prom. sp., cap. XXVII, pp. 393-6) ; nella minuta, invece, ne toc-
cava dopo, e succintamente, con incluso un accenno a lettere spedite da Fermo a Lucia
e naturalmente cadute in mano della vigile donna Prassede. (Sp. prom,, pp. 588-90).
(1) Sp. prom., pp. 462-64; Prom. sp., cap. XXV, pp. 369-72.
(2) Prom. sp., cap. XXVI, pp. 383, 384-87.
180 PARTE TERZA
di narratore ordinato, chiaro ed efficace nel dare all'esposizione di
sì copiosa e completa materia sempre maggior compostezza e ar-
monia. Si tratta, per lo più, di spostamenti materiali, con tendenza
a raggruppare gli aneddoti dopo i discorsi generali su quella ter-
ribile calamità.
II. Abbiamo osservato fin qui il riordinamento a cui andò soggetta
la materia del romanzo, e dovremmo ora vedere come e perchè
taluni episodi della minuta siano andati soppressi nelle rielaborazioni
successive e talune parti siano state dal Manzoni o ridotte e con-
densate o diversamente sceneggiate, e, in qualche luogo, nuovi ele-
menti episodici e nuove scene abbia egli introdotto. Dovendo ritor-
nare su buona parte di questa materia come quella che rientra
necessariamente nello studio de' personaggi, delle loro situazioni
psicologiche e drammatiche, qui, pertanto, mi restringerò a quelle
parti episodiche che sono state eliminate o aggiunte per ragioni di-
pendenti dalla concezione e dal disegno generale del romanzo.
La scena, in cui vediamo il povero Renzo accendersi d' odio e
furore contro don Rodrigo, si svolgeva nella minuta, non in diretto
contrasto con la fidanzata ed Agnese, ma con fra Cristoforo, il quale,
neir uscire dalla casa di Lucia per tornare al convento, alle prime
parole minacciose del giovane s'arrestava sulla soglia, l'ammoniva
vivamente e riesciva finalmente a farlo giurare che non avrebbe
tentato di farsi giustizia da sé: vi riesciva, dico, ma, più che per
la forza de' suoi comandamenti solenni e per l'immagine di un
avvenire turbato dal terrore, dall'angoscia, dal ribrezzo d'essersi
reso omicida, per l'intervento di Lucia, che con parole coperte gli
faceva intendere d' essere disposta a secondarlo nel disegno del
matrimonio clandestino.
Nell'ultima redazione il frate non appare in quel colloquio, non
ha parte alcuna nel ravvedimento di Renzo, ed è Lucia che cam-
peggia di fronte al giovine furibondo e lo placa con le lagrime,
con le preghiere e massimamente col consenso al sotterfugio esco-
gitato dalla brava Agnese per vedere sposati i due giovani. Quanto
codesto episodio abbia guadagnato di verità psicologica e d' efficacia
drammatica col cambiamento delle parti in azione ho dimostrato
altrove (*), e gioverà riesaminarlo quando tratterò della genesi e
della composizione poetica dei due protagonisti ; ora basti osservare
che ha contribuito al rimutamento della scena la considerazione, a
(1) V. Saggi manz. cit., p. 6 e segg.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 181
cui il Fauriel richiamava il Manzoni, che Renzo aveva fatta quella
promessa a fra Cristoforo in un precedente contrasto consimile, av-
venuto nella stessa casa di Lucia; onde l'aver conservata quella
prima scena nel!' ultima redazione con lievi differenze di tecnica
formale consigliava di non ripetere una situazione che, sebbene più
vivace, non poteva avere alcuna attrattiva. Ragioni, dunque, di so-
brietà e d'economia nel disegno generale dell'azione hanno indotto
il Manzoni a sopprimere il vivace dibattito di Renzo col frate e a
svolgere in nuovo modo l'episodio delle sfuriate del giovane contro
il prepotente persecutore della sua sposa.
Per le medesime ragioni principalmente, un altro pittoresco epi-
sodio andò soppresso attraverso il lavoro di riduzione, di semplifi-
cazione e di chiarezza, per cui passò la trama, già nelle sue parti
sostanziali varia e complessa, del romanzo. Secondo il consiglio dato
dal Griso di far colpire Renzo con un'intimazione di ritorno e un
ordine di cattura, quale lavoratore di seta spatriatosi in contrav-
venzione alle grida, il podestà nella minuta era invitato a pranzo
dal signor don Rodrigo insieme col conte Attilio e il dottor Duplica
(l'Azzeccagarbugli della stampa), e massime per le arti di costoro
e il grazioso dono di una bella partita di vino, inviatagli a casa
dal signorotto, si assumeva l'incarico di accontentare costui nel-
l'iniqua persecuzione contro il povero fuggiasco. I loro discorsi a
tavola, non meno di quelli a cui aveva dovuto assistere padre Cristo-
forq, ritraevano con icastica efficacia i loro caratteri, e si colorivano,
per ciò che v'era di subdolo e di cerimonioso, de' costumi e del
linguaggio del tempo: chi primeggiava nell'astuto conversare, ben
fiancheggiato dal dottore, era il beffardo cugino del persecutore di
Lucia. Considerata a sé, piace assai codesta finissima dipintura di
anime abbiette (*), in cui la birboneria de' potenti e la cortigia-
neria de' magistrati e de' legulei s' incontrano sulla via dell' iniquità
in un accordo d' ipocrita ostentata premura del pubblico bene :
vigorosa scena d'ambiente e di costumi che il Manzoni concepì
nella prima composizione del romanzo quando lo pungeva la solle-
citudine di ritrarre lo spirito del secolo, attentamente interpretato,
in quadri storici artisticamente atteggiati, e la concezione de' per-
sonaggi cattivi era improntata a un sentimento di severità cristiana,
onde, come abbiamo avuto occasione d'osservare, apparivano più,
ignobili e vili di quello che non siano nel romanzo trasformato. Ma
sulla ragione storica e su quella morale prevalse il motivo estetico
CI) Sp. prom., pp. 271-4.
182 PARTE TERZA
della misura, nemica della monotonia; e codesto secondo pranzo,
che, sebbene dovesse servire, questa volta, ad un fine collegato con
la trama del romanzo, pareva una reduplicazione del primo (*), in
cui già lo spirito della cortigianeria parassitica aveva avuto un'espres-
sione di grande vigore comico e satirico, fu inesorabilmente sacri-
ficato. Era tuttavia conveniente, per l'unità e l'interezza del carat-
tere, conservare in don Rodrigo la mala voglia di far nuovi soprusi
a Renzo; e perciò nel romanzo lo vediamo rimuginare il modo
d'impedire al fuggitivo il ritorno in paese, e, alla fine, risolversi
d'interessare il dottore Azzeccagarbugli perchè gli sia appioppata,
con qualche pretesto, una buona cattura ; ma non v' è che l'accenno
a questa intenzione, poiché Renzo medesimo con la sua disavven-
tura di Milano offrirà purtroppo il destro al suo persecutore meglio
che questo non possa immaginare. Non servivano parimente allo
sviluppo logico dell'azione e neppure all'analisi psicologica del
personaggi altri elementi o descrittivi o narrativi, che sparvero o
si ridussero a un cenno nella redazione definitiva: tali il ritratto
di prete Serafino Morazzone, curato di Chiuso {^), che rivelava
troppo spiccatamente l'intenzione pratica di adombrarvi persona
viva e moderna e cara all'autore, il pranzetto dell'Innominato (ov-
verosia conte del Sagrato) e del cardinale a Chiuso insieme con
quel buon curato e altri preti (^) — una scenetta sbiaditamente
riuscita che appesantiva inutilmente l'ordine delle cose seguite alla
conversione del potente signore, senza aggiunger qualche pennellata
di vivo colore all' ambiente e ai personaggi — , la visita che donna
Prassede e suo marito, villeggianti nelle vicinanze del paese degli
sposi, facevano al cardinale e l'offerta loro, accettata lietamente dal
prelato, di prendersi in casa Lucia (*) ; il quale incontro, descritto
con tono di comicità mediocre, parve, poi, al Manzoni, superfluo e
ingombrante, quando nel nuovo magnifico sviluppo del carattere di
donna Prassede immaginò che prima le venisse la curiosità di vedere
la giovine miracolosamente salvata e poi, per la compiacenza di
secondare e prevenire l'intenzione del cardinale di trovare a Lucia
un ricovero, s'esibisse di prenderla in casa, dandone parte a Mon-
signore con quella fiorita lettera di don Ferrante, che Agnese stessa
e la figlia presentano, per suo incarico, al loro alto protettore ('),
(1) Prom. sp., cap. V, pp. 66-74.
(2) Sp. prom., pp. 378-9.
(3) JSp. prom., pp. 407-9.
(4) Sp. prom., pp. 369-71.
(5) Prom. sp., cap. XXV, p. 369-71.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 183
Quella visita e quella scena, invero, appesantivano anch'esse il rac-
conto, senz'altro effetto che d'informare come il buon prelato riu-
scisse a mettere al sicuro Lucia, mentre la nuova narrazione del
modo come Lucia finì per essere accolta nella casa della dama mi-
lanese, è di un grande valore psicologico e artistico, perchè serve
alla dipintura del carattere di donna Prassede e prepara quella
situazione umoristicamente contradditoria tra la giovine protetta e
la sua protettrice, che il grande ironista verrà poi lumeggiando
ne' loro colloqui.
L' aneddoto della gran folla di gente, mista di contadini e signori,
di bisognosi e di ricchi, che segue in processione, con devota per-
tinacia, Federigo nel suo giro pastorale per la valle di S. Martino,
e l'esempio preclaro di temperanza ch'egli dà alla moltitudine me-
ravigliata e compunta, ristorandosi con un tozzo di pane e un bic-
chier d'acqua, erano entrati nel primo disegno del romanzo per la
ragione, espressa dall'autore stesso, che gli piaceva trattenere ancora
il lettore sulla bontà e gentilezza del grand' uomo e perchè questo
racconto serviva « assai a dipingere i costumi di quel tempo, tanto
lontani dai nostri e osservabilissimi per una certa pienezza d'entu-
siasmo, per una esplosione di sentimenti, clamorosa, per un impeto
veemente, come troppo spesso al male, così pure qualche volta verso
ciò che era veramente stimabile » (*). Questo episodio, così nel rac-
conto come ne' commenti che l' accompagnano, oltre il rigore asce-
tico e, per di più, apologetico, che vi senti, « non ha alcun legame
con r ai-ione » (') principale, svolgendosi in luoghi che sono fuori
del teatro, dirò così, di quell'azione e avendo sapore di un puro
aneddoto biografico; e così per rispetto alla semplicità e sobrietà
del disegno generale del romanzo e per quella minor soggezione
dell'autore alla storia o, meglio, allo scrupolo storico, che avver-
tiamo nell'opera rifatta, il Manzoni lo lasciò fuori, e fece bene. E
per le medesime ragioni tralasciò nel rifacimento la celebrazione
religiosa del cardinale nella chiesa di Chiuso e la sua predica al
popolo (3), tanto più che l'idea di quella solennità e di quel fervore
di devozione balza luminosa dai discorsi del sarto e de' bimbi.
Per altre parti il Manzoni non soppresse, ma — come addietro
accennavo — ridusse e condensò la materia, rielaborandola per l'as-
setto definitivo. Il ritratto de' bravi, sul principio del romanzo, è
(1) Sp. proni., p. 465.
(2^ V. F. D'Ovidio, Nuovi st. manz. cit., p. 580.
(3) Sp. prora., pp. 384-6.
184 PARTE TERZA
reso più svelto e composto, senza le minuzie dell'abbozzo, senza
certe comparazioni tra scherzose e umoristiche (').
Un caso d'abbreviamento, dovuto certamente al senso della misura
che governò il rifacimento del romanzo, è quello della fuga di don
Rodrigo e dell'agitazione del paese dopo la liberazione di Lucia.
Questa fuga del signorotto dal paesello della perseguitata, le im-
pressioni diverse e opposte di lui e de' paesani per gl'inaspettati
avvenimenti, il mormorio di sdegno, la risolutezza nuova della gente
e lo scoraggiamento del prepotente e de' suoi bravi, tutto ciò è
descritto con tocchi sobri e concisi nel romanzo ; ma non spiace la
piti larga analisi che il Manzoni aveva fatto nella prima stesura;
nella quale, anzi, olti'e la speditezza del fraseggio e la chiarezza e
l'ordine dell'esposizione, — troppo spesso difettosa in altri luoghi —
v'Jia un certo movimento drammatico e un attento studio delle
impressioni e degli affetti, che non risaltano dal rifacimento ('). È
questo uno de' tratti del romanzo — non molti, ma neppure raris-
simi — che nel rifacimento non hanno guadagnato se non per
qualche miglioramento tecnico di forma.
Ili, Ma sono pur notevoli, in confronto con la minuta, i casi di mag-
giore 0 di diverso sviluppo nel disegno, nell' intreccio e negli stessi epi-
sodi, le scene e gli elementi episodici aggiunti, che riscontriamo nella
redazione definitiva. Si veda il subbuglio de' villani nella notte della
fuga di Renzo e Lucia. Il loro destarsi e accorrere da tutte le parti, lo
stupore e l'interrogarsi a vicenda, le nuove consulte dopo la notizia
di quel vicino di casa delle donne e l' avviarsi, come sciame confuso, a
vedere che diavolo ci fosse, lo sparpagliarsi infine e il tornar d'ognuno
a casa propria, tutto ciò è in parte appena sbozzato nella minuta e
in parte manca affatto (^). Opera, dunque, di svolgimento e di per-
fezionamento è quella pittura, così vivida, del paese messo a soq-
quadro, che rende più vasta la scena, più complicata e spettacolosa
l'azione col mischiare all'avventura privata de' poveri fuggiaschi lo
straordinario tumulto d'un villaggio alpestre nel cuor della notte,
(1) « Il corno — diceva il Manzoni — cascava loro sul petto » « come i vezzi delle
signore»; portavano «due legacce rosse al disotto del ginocchio, a un di presso come
i cavalieri della giarrettiera: una specie che s'è perduta, come tante altre buone
istituzioni» (Sp. prom., p, 19).
(2) Sp. prom., pp. 424-8.
(3) Sp. prom., pp. 137-9; Protn. sp., cap. Vili, pp. 110, 115-17.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 185
alle commozioni diverse de' singoli personaggi in contrasto la rap-
presentazione molteplice della folla, con sobrio e amabile spirito
comico osservata e ritratta, e accresce, per tal modo^ calore e vigore
al romanzesco e al drammatico degli avvenimenti, senza, tuttavia,
trasmodare nel fantastico de' vecchi romanzi d' avventure.
Mancava altresì nella prima stesura l' intimazione dei due bravi al
console la mattina dopo la fallita spedizione: era una lacuna nel logico
svolgimento de' fatti, giacché toccava al console, che appunto ci è dal
Manzoni comicamente figurato in atto di deliberar sul da farsi, toccava
a lui far deposizione al podestà dell' accaduto : rapida, breve, quella
nuova scena che il Manzoni tratteggia con un vivo color locale e
un'ineffabile potenza comica, ma necessaria all'ordito dell'azione (*).
In quella parte del racconto che si svolge tra il ritorno de' bravi
a mani vuote al palazzotto di don Rodrigo e la spedizione del Griso
a Monza, l' azione, se attraverso i rifacimenti è stata scorciata con
la soppressione della passeggiata che quel signorotto faceva col conte
Attilio per studiar gli umori della gente, della consulta che egli
teneva col cugino e col Griso, dell'invito a pranzo del podestà
e de' conciliaboli ai danni di Renzo, s'è accresciuta de' discorsi che
fanno tra loro, sulla mattina e a colezione, don Rodrigo e il conte
Attilio : una scena, di cui qualche elemento era sparso in quella della
confabulazione col Griso e nell' altra de' conversari a mensa col po-
destà e che nella nuova redazione cade in mezzo tra l' uscita in
campo del Griso sul mattino e le notizie che raccoglie in paese e
la prima relazione distinta a don Rodrigo (*). In questo medesimo
tratto del romanzo, altre volte l'azione, se non più sciolta o abbre-
viata, 'è radicalmente mutata, come nel colloquio che tengono da
solo il padrone e il servo e ne' comuni discorsi, nelle congetture,
nelle confidenze de' paesani e di chi ne sapeva qualche cosa, che
il Manzoni riporta e analizza con sì largo spirito d'osservazione,
con sì bella ricchezza de' particolari, con sì acuta e bonariamente
ironica interpretazione degli umori e della fantasia delle moltitudini
che vediamo la squallida analisi primitiva trasformarsi in una rap-
presentazione del tutto nuova e, in ben diverso modo, efficace.
Ma anche altre circostanze, di minor conto di quelle osservate, ma
non per ciò meno legate agli avvenimenti principali di quella notte,
ha il Manzoni o rimutato o sviluppato con ben diversa cura de'
particolari e precisione osservativa. Menico, per esempio, nella pri-
(1) Proni, sp., cap. Vili, p. U7.
(2) Sp. prora., pp. 254-76; Prom. sp., cap. XI, pp. 164-71.
186 PARTE TERZA
ma stesura giungeva alla casetta di Lucia, metteva piede sull'uscio
e, sentendo di dentro rumor sordo e voci d'estranei, correva indie-
tro verso la chiesa per far suonare a martello ; nell' ultima — come
si sa — è afferrato, minacciato dai due bravi di guardia; caccia un
urlo, che, dopo lo « sgangherato grido » di don Abbondio, colpisce
« più acuto, più istantaneo » Agnese e Perpetua ; e sguscia dalle
manacce di que' manigoldi alla tempesta de' rintocchi della cam-
pana. E questa disavventura di Menico è narrata prima eh' egli in-
contri e faccia rivoltar di galoppo Agnese e gli sposi alla volta di
Pescarenico, mentre nella minuta se ne toccava dopo ('), quando
l'autore, messi ormai i perseguitati sulla via dalla fuga, tornava
indietro per narrare, con grossa frettolosità, dell' invasione de' bravi
e della loro rapida ritirata ai rintocchi di quella campana : racconto
che di poi, condotto su più ampio disegno e con altra efficacia, è
stato inframmezzato abilmente tra il primo suonare a martello e la
piccante scenetta de' cicalecci di Perpetua e di Agnese dietro la can-
tonata della casa parrocchiale. Lo stesso Menico, mentre nell' ultima
stesura accarezzato, regalato, ringraziato dai fuggiaschi veniva, a
mezza strada, rimandato a casa, perchè i suoi non avessero a stare
più in pena per lui, nella prima andava con loro fin dentro la chie-
setta di Pescarenico ('), poi era piantato in asso dall'autore, né di
lui né delle promesse « parpagliole » si faceva più parola : dimenti-
canza curiosa, dovuta certamente alla foga della prima composizione.
Ma più innanzi troviamo nell' ultima forma del romanzo aggiunte
e svolgimenti anche più considerevoli. L'episodio milanese di Renzo,
da quando egli va a rifocillarsi all' osteria della Luna piena alla
sua fuga nel bergamasco, s' è arricchito così di narrazioni e di figure
che è cresciuto di un terzo circa. Un mutamento riguarda la miste-
riosa guida che nella minuta si offriva ad accompagnar Renzo non
già nel momento che questo, terminata la sua « predica », chiedeva
ai presenti chi gli volesse insegnare un'osteria, ma dopo essergli
stato accanto ad osservarlo e dopo averlo seguito nel cammino,
mentre il giovine, congedatosi dalla brigata, andava innanzi lenta-
mente, cercando « qualche insegna » {^). Dell' oste della Luna piena
non una linea, nella prima stesura (*), che ne ritraesse la tipica
(1) Sp. prora., p. 145, n. 7.
(2) Sp. prom., pp. 145-7; Prom. sp., cap. Vili, p. 118.
(3) Sp. prom., p. 532; Prom. sp., cap. XIV, p. 208.
(4) Appena un vago lampeggiamento: « fissò gli occhi scrutatori in faccia del gui-
dato » (Sp. prom., p. 533) e un generico tocco là dove si narrava di Renzo, tirato su
nella stanza, che tenta invano di fare un ganascino amorevole alla « guancia liscia
e rubiconda dell'oste » (Ibid., p. 539).
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 187
fisonomia, così bravamente lumeggiata ne' successivi ritocchi (*);
né v' era queir arguta macchietta del garzone che a Renzo, sermo-
neggiante sul ricolmo bicchiere lasciato dalla guida, risponde con
tono asciuttamente canzonatorio : * ho inteso » (*) ; né quello scorcio
Tivo dell' ostessa ('), su cui si riverbera, fugace, ma potente, un
fascio di luce comica dal rapido discorsetto che le fa il marito pri-
ma di uscire. Renzo non dava spiegazione del come si trovasse in
possesso di quel pane che ne' Promessi sposi tira fuori in sul prin-
cipio della mensa (*): umoristica scenetta tra lui e la brigata de'
bevitori, che non solo illumina il ritratto morale di Renzo, ma ag-
giunge movimento e comicità al quadro d' insieme. Quello sciorinar
della grida, che l'oste fa sotto gli occhi di Renzo ricalcitrante a dire
il suo nome, e il comico discorso che questo vi fa sopra sono pen-
nellate nuove con che il Manzoni ha ravvivato la 'scena di quel
dibattito, alquanto sbiadito nella prima stesura (*). E che vita, che
ricchezza d' atteggiamenti, di cui non e' era nemmeno un vago sen-
tore ne' succinti elementi, prevalentemente narrativi, del primo getto,
ha la gente che gozzoviglia e gioca nell' osteria, mischiando balzani
ragionari e arguzie schernitrici alle parole e agli atti, sempre più
sconcertati, di Renzo (®) !
E com' è diversa la notte che questo, uscito di Gorgonzola, passa
nel bosco in attesa d'attraversar l'Adda la mattina dopo, da quella
eh' era descritta nella minuta !
Già vi ho accennato e vi ritornerò, quando in altro lavoro stu-
dierò il carattere e le vicende di Renzo ; ma pur qui conviene no-
tare che la trasformazione di ciò che nella minuta non era che
traccia frettolosa e scialba sbozzatura in una rappresentazione vasta
e profonda dell'anima di Renzo e della natura circostante, così ricca
di analisi e particolari narrativi, descrittivi e afiettivi, in gran parte
nuovi, ha conferito tale ampiezza al disegno dell' episodio e tale
risalto al contenuto psicologico e drammatico di esso che quella
peripezia del povero sposo fuggiasco acquista un posto di prim'or-
dine nella proporzione e armonia delle varie parti, ond'è ordita
(1) Proni, sp., cap. XIV, p. 209.
(2) Ibid., p. 216.
(3) Non c'era che questo tratto magro e grezzo : « fece un cenno con l'occhio al-
l'ostessa, che nella sua assenza presiedeva con la prudenza e l'imparzialità del me-
stiere la brigata» (Sp. prora., p. 542).
(4) Proni, sp., cap. XIV, p. 210.
(5) Sp. proni., p. 535-6; Proni, sp., ibid., p. 211-2.
(6) Sp. prom., p. 536; Prom. sp., ibid., pp. 212, 213, 216, 217, 219.
188 PARTE TERZA
r azione generale del romanzo (*). E tutta un' altra, in confronto
del primo getto, è la descrizione del viaggio di Renzo dalla riva
dell'Adda a Bergamo, per copia di fatti e scene e particolari del
tutto nuovi 0 in quella appena accennati : la gioia del giovane quando
tocca la terra di S. Marco, il pensiero che rivolge al ponte del suo
paese, lo spettacolo della squallida indigenza che in varie forme gli
si presenta allo sguardo, il tragico quadro dell' uomo ritto e smunto
e delle due donne con quel bambino lattante che invano succhia
alle mammelle della madre, l' elemosina che Renzo fa de' pochi soldi
che gli sono rimasti, l'incontro, così avvivato di festosa accoglienza
e di garruli parlari, col cugino Bortolo (^).
Il vasto episodio che descrive il passaggio de' lanzichenecchi e
la fuga di don Abbondio con Perpetua ed Agnese alla volta del
castello dell'Innominato, s'è arricchito, nell'ultima redazione, non
solo di una piti viva azione dialogica, non solo di quelle nuove
pagine che ritraggono la vita e i costumi dell'Innominato, divenuto
penitente e benefico, — ampliamenti che servono, più che all'azione,
allo sviluppo de' caratteri — ma richiama sulla scena il sarto del
villaggio, presso il quale i nostri tre fuggiaschi si fermano, a mezza
strada, per rifocillarsi, riponendo in luce limpida e quieta l'ingenua
pietà e la dolce comicità di quel brav'uomo, ma ad un tempo ri-
tessendo di nuove file l' umoristica narrazione di quel viaggio del
curato e delle due donne, che dalla complessità e varietà delle cir-
costanze e delle impressioni, tra l'ansioso cruccio della fuga e la
mite giocondezza di un'ospitalità semplice e cordiale, ritrae vita e
movimento e colori nuovissimi {^).
Dove non si tratti di elementi episodici o aneddotici, nuovamente
introdotti nella trama dell'azione, o d'analisi, affatto nuove, volte a
lumeggiare ciò che prima era oscuro e informe o addirittura ine-
spresso, molti sono i casi, non meno rilevanti, d' integrazione psico-
logica e drammatica, che di riflesso influiscono sul disegno e la
portata dell'azione: in generale il Manzoni nel rifare il romanzo,
se ha dato d'accetta al superfluo, all'accessorio e a quello che —
come nel caso dell' episodio monzasco — non conveniva più a' suoi
più alti e sereni criteri morali e artistici, ha svolto e aggiunto dove
gli è parso che la logica e l'arte richiedessero di sviluppare un ca-
rattere o di approfondire una situazione o di analizzare de' senti-
(1) Sp. prom., pp. 564-7; Prom. sp., cap., XVil, pp. 248-55.
(2) Sp. prom., pp. 567-8; Prom. sp., ibid., pp. 256-61.
(3) Negli Sp. prom., (pp. 621-2) la descrizioae del viaggio si riduceva a una decina
di righe. Cfr., invece, Prom. sp., cap. XXIX, pp. 427-31, cap. XXX, p. 436-9.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 189
menti ed affetti. Il dialogo che si svolge, nella nuova forma, tra don
Abbondio e i bravi (*), e quello del curato con Perpetua, dopo il
malaugurato incontro ('); le consulte e i propositi del pover'uomo
per tenere a bada Renzo {^), lo stato d'animo dello sposo dopo la
rivelazione del nome di don Rodrigo {*) : le sue sfuriate in casa di
Lucia (5); il tentativo di ratto («), i discorsi di don Rodrigo e del
Griso dopo la fuga degli sposi ('); la cattura di Renzo (*); il col-
loquio dell' Innominato con Federigo Borromeo (') ; il soliloquio e
gli atti di don Abbondio durante il viaggio alla volta del castello (^°) ;
lo stato d'animo di Lucia poco prima della liberazione (") ; la parte
della « buona donna » nella pietosa impresa (**); il primo incontro
di Agnese con la figlia dopo il ratto (") ; questi tratti e altri di
minor conto, che non importa notare, sia che vi si riprenda e ap-
profondisca r analisi de' caratteri, sia che elementi descrittivi e
narrativi, quasi sempre succinti e sbiaditi, si tramutino in vivo dia-
logo, sono stati nella trasformazione del primo getto rielaborati con
tal larghezza e rilievo da contribuire pur essi alla maggiore pienezza
e intensità dell'azione generale.
(1) Sp. prom., pp. 20-1; Prom. sp., cap. I, pp. 12-13.
(2) Sp. prom., pp. 29-31; Prom. sp., cap. I, pp, 18-21.
(3) Sp. prom., pp. 33-tì; Prom. sp., cap. II, pp. 23-6.
y) Sp. prom., pp. 39-42; Prom. sp., cap. II, pp. 28-31.
(5) Sp. prom., p. 47, 61-2, 83-4, 118-22; Prom. sp., cap. Ili, pp. 35, 47, cap. V, pp. 63-4,
cap. VII, pp. 88-91.
(6) Sp. prom., pp. 143-5, n. 7; Prom. sp., cap. Vili, pp. 110-13.
(7) Sp. prom., p. 263; Prom. sp., cap. XI, pp. 163-4.
(8) Sp. prom., pp. 546-53; Prom. sp., cap. XV, pp. 226-33.
(9) Sp. prom., pp. 373-8; Prom. sp., cap. XXIII, pp. 327-30.
(10) Sp. prom., pp. 386-8, 390-5; Prom. sp., cap. XXIII, pp. 334-41. Il secondo soli-
loquio, durante il cammino di ritorno, mancava affatto nella minuta: c'era un'informe
sbozzatura de' sentimenti di don Abbondio, che si smarriva nell'affrettata descrizione
del viaggio; per contro ne' Prom. sp., questa è così viva di particolari umoristici e
massimamente risalta in tal modo nello stupendo monologo del curato che quello
ch'era squallida notazione nel primo testo s'è trasformato in una scena ricca d'azione
muta, ma profondamente significativa.
(11) Sp. prom., p. 402; Prom. sp., cap. XXIV, p. 341. C'è un mutamento notevole
di situazione nella scena della liberazione, che, modifica, di conseguenza, l'andamento
dell'azione. Nella prima stesura il Conte non s'avanzava nella camera, dov'era Lucia,
poco dopo don Abbondio e la « buona donna », ma attendeva fuori per tutto il tempo,
né si faceva vedere né parlava alla sua prigioniera. Ne' Prom. sp., invece, troviamo
quell'indovinata scena, in cui Lucia non può reprimere un subitaneo ribrezzo nel
rivedere il terribile uomo, ed egli s'umilia dinanzi a lei, ed ella si rincora, espri-
mendo con convenienti parole la riconoscenza insieme e la pietà (Sp. prom., pp. 403-4;
Prom. sp., cap. XXIV, pp. 342-3).
(12) Sp. prom., pp. 403-6; Prom. sp., cap. XXIV, pp. 343-5, 348.
(13) Sp. prom., p. 420; Prom. sp., cap. XXIV, pp. 354-5.
Capitolo IL
La genesi e la composizione poetica di Lucia
I. L' ideale evangelico del Manzoni e la genesi ètico-religiosa di Lucia.
— IL La preoccupazione storica e realistica nella primitiva con-
cezione del carattere, — HI. L' elevazione poetica del carattere in
ragiona diretta del progressivo chiarirsi e illuminarsi dell'idea
di carità che V informa. — IV. Mutamenti nelle situazioni e
rappresentazioni, dovuti alla legge della convenienza psicologica
ed artistica de' personaggi ne' loro mutui rapporti. — V. L'eli-
minazione del patetico e del pittorescamente drammatico e ancora
dell' idealizzazione di Lucia nel carattere e nelle peripezie : [la
separazione dalla madre; il ratto e il viaggio co' bravi; il pri-
m,o incontro con l'Innominato ; la notte passata al castello], —
VI. Ancora, della profonda trasformazione poetica di Lucia nel
rimaneggiamento della scena del perdono che l'Innominato ottiene
da lei, — VII. Nel rinnovamento d'analisi e di rappresentazione
della vita di Lucia dopo il voto e dopo la liberazione : [ospite in
casa del sarto del villaggio; la famiglia del sarto; il cuore di
Lucia tra. il voto e l'amore; il primo e il secondo incontro col
card. Federigo; ancora del voto e de" combattimenti interni di
Lucia; il ritrovamento della madre e il ritorno al paese natio\.
VIII. Una nuova scena nelV ultima redazione del romanzo: la
rivelazione del voto alla madre. Com'è stata rimaneggiata la
scena del commiato. — IX. / rimutamenti profondi dal primo
getto alla forma definitiva nella scena dell'incontro di Lucia con
Renzo nel lazzaretto. — X. Il proscioglimento dal voto e le va-
riazioni nel carattere e negli atteggiamenti di Lucia.
1. Come nel capitolo precedente ho seguito, sulla scorta della
prima stesura e de' successivi rifacimenti del romanzo, il processo
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 191
di riordinamento e di chiarificazione del disegno generale, cosi ora
mi propongo di studiare i personaggi di Lucia e di Gertrude
nel loro processo formativo attraverso il lavoro intenso e paziente,
che il Manzoni venne compiendo intorno all' opera sua. Vogliamo,
pertanto, vedere con l'esempio delle due principali figure femmi-
nili com'egli sia pervenuto alla piena, nitida e coerente rappresen-
tazione de' veri caratteri de' suoi personaggi, ritratti e illuminati nel-
l'orbita dell'azione generale, che è come dire da quale disposizione
del suo spirito, da quale suo stato d'animo, in cui l'idea di quello
o questo personaggio, spogliatasi d'ogni elemento astratto o volgare,
s' è concretata, sia venuta generandosi quella perfetta forma fanta-
stica che è appunto il personaggio che vive nell' opera d' arte. E se
è vero che anche il romanzo, come qualsiasi opera d'arte, è lirica nella
sua genesi sentimentale e rappresentazione epica nella sua forma, cioè
rappresentazione nitida e coerente di una commozione di sentimenti
intensa e profonda, agitante la coscienza dello scrittore, la genesi
del carattere di un personaggio, ovverosia delle situazioni e delle
azioni in cui si svolge, non può essere cercata che nell'animo del-
l'artista, nelle sue predisposizioni aff'ettive, morali o intellettuali,
onde vengono quei motivi sentimentali che, inalzandosi per impulso
di gagliarda aspirazione, si sono trasfigurati nelle creature concrete
del romanzo. Né si può considerare e valutar 1' episodio, la scena,
il personaggio separatamente dell'azione generale, ne questa inten-
dere se non la si guardi come l'espressione armonica di un vasto
mondo interiore già sorto nella coscienza del poeta.
Perciò nello studiare i personaggi del romanzo manzoniano si
determinerà implicitamente il significato e il valore dell'azione, che
di essi si forma e s' illumina.
Nella prima parte di questo lavoro, illustrando la dottrina etico-
religiosa, che preparò nella mente del Manzoni la concezione de'
Promessi sposi, e le sue idee intorno alla poesia, la storia e parti-
colarmente il romanzo storico, che influirono suU' origine di essi,
ho accennato alla presenza ed efficacia di quei principi nella genesi
de' caratteri dei personaggi e all' opportunità, che offre la prima
stesura del romanzo, di cogliervi le segrete intenzioni dell'autore
e le ispirazioni derivate dal suo mondo morale.
Lucia è un personaggio d'ispirazione prettamente evangelica ed \
è il più puro fiore dell'idealismo etico-religioso del Manzoni. Non '
s' intende perchè egli abbia scelta come eroina del romanzo codesta
povera figlia di un villaggio lombardo, se non si tenga presente la
192 PARTE TERZA
dottrina difesa e predicata nelle Osservazioni sulla morale cattolica.
Non tanto per la tendenza, già manifesta ne' romanzi scottianì, a
sostituire, o almeno a mischiare ai grandi della terra gli umili e
gli oscuri, quanto pel bisogno di concretare nelle forme dell' arte
verità caldamente sentite, ha il Manzoni narrati i casi di Lucia. Se
Ermengarda è germinata dal concetto della fragilità della nostra
natura, cui le passioni sono cagione di traviamento o di disinganno
e di dolore, Lucia è nata dalla fervida consapevolezza di fede in
quelle verità fondamentali della rivelazione che piti addietro ab-
biamo visto luminosamente intese e ragionate dal Manzoni: Lucia \
è r immagine dell' anima che accetta, senza transazioni e compro-
messi, il Vangelo nella sua interezza con umiltà di cuore ; che non
concepisce di poter fare bene senza la grazia divina ; che opera la ,
propria salute con timore e tremore. Lucia accoglie in sé queste
idee sublimi che Dio nasconde ai prudenti e ai sapienti, perchè,
senza sforzo, sa farsi picciola per intenderle : fra la gente della sua
condizione, co' nobili o grandi in cui s' imbatte, in tutte le vicende
della sua storia avventurosa, rivela nella forma piìi semplice e
schietta la virtù della carità; la sua anima, i suoi dolori e la
sua salvezza pare facciano testimonianza alla forte convinzione del
poeta che, lungi dalle presunzioni della ragione umana e della
scienza, non si può piacere a Dio se non con la fede, e a quella,
non meno sicura, che la vita quaggiù è travaglio, è miseria, è de-
bolezza, onde poco o nulla possiamo aspettarci dalla giustizia degli
uomini e tutto dalla giustizia divina.
Così Lucia come fra Cristoforo sono personaggi ideati e atteggiati
i secondo il sentimento e il concetto delle supreme virtù evangeliche,
■ la carità e la giustizia ; e perciò nello sviluppo psicologico de' ri-
1 spettivi caratteri, nello svolgimento dell'azione, l' una è inseparabile
dall'altro e insieme incarnano perfettamente l' ideale evangelico del
Manzoni: Lucia rafforzandosi nella carità con l'umiltà, fra Cristoforo
con la devozione alla giustizia. La finissima analisi e la fervida lode
della carità, che già vedemmo in alcune pagine eloquenti della
Morale cattolica, tornano in mente a chi osservi il carattere e il
contegno di Lucia : l' amore del prossimo non è in lei una semplice )
pietà naturale, ma è religiosa inclinazione ad * amarlo in Dio e per
Dio » : ella non odia il suo persecutore, non muove lagno o rimpro-
vero al debole curato, che doveva render santo e benedetto il suo
amore, non incolpa mai delle sue sventure e de' suoi patimenti gli
uomini che ne sono cagione. Nel modo di concepire e atteggiare la
modesta e gentile anima di Lucia il Manzoni ha riflesso quel suo
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 193
meditato concetto del vero cristiano che nel sentimento della propria
miseria, della carità universale e dell' anica speranza in Gesù Cristo
attinge indulgenza e compatimento « a riguardo d' ogni nostro fra-
tello, per quanto la condotta di lui possa parere a noi ed essere ab-
bietta e perversa ». E nell' amore dovuto a tutti gli uomini riposa
la ragione dell'amor di sé stessa, che, lungi dall'essere un cieco
istinto, è volontà del bene sommo assoluto, a cui i beni finiti del
mondo, come mezzi a quel fine, sono subordinati : codesto retto
amore di sé riceve conferma nel voto risoluto ch'ella fa la notte
durata con tanto dolore e terrore nel castello dell' Innominato, quan-
do rinunzia volontariamente al giovane amato, alle gioie della no-
vella famiglia, vagheggiata ne' soavi sogni di fanciulla, per ottenere
la grazia di sottrarre all'onta scellerata la sua nativa purezza;
queir offerta di ciò che ha di più caro fra i beni terreni^ ma che
r iniquità non le consente di conseguire, è atto d'amore dell'anima
per sé stessa al fine della sua salvazione. Nella sua religiosità in-
genua, ma profonda. Lucia sente esser questo un « grand' obbligo >
che le è imposto dal bisogno stesso d' ottener la grazia dalla Ma-
donna, e con quella « signoria » di sé stessa, con quella « serenità
della mente » che le dà la religione, può compiere uno di quei sa-
crifizi « ai quali il senso repugna >. Nell'atto di Lucia la morale
religiosa, come il Manzoni l'aveva bellamente illustrata nella pole-
mica col Sismondi^ consegue una splendida vittoria: senza la ca-
rità Lucia non potrebbe superare la crisi di quella notte, poiché,
se la morale religiosa le chiede « un grand' obbligo », l'ha « messa
in caso d'adempierlo». Lucia, nella sua umiltà cristiana, ha la
vaga consapevolezza che il compimento della vera giustizia è
quaggiù un vano sforzo, onde quel tentativo di matrimonio per
sorpresa, così vivamente caldeggiato da Agnese e da Renzo, ai
quali pareva legittimo mezzo di giustizia, a lei, invece, sembra un
disegno ingiusto e inutile e quasi una presunzione della volontà
umana, in confronto delle segrete preparazioni della Provvidenza.
E di fatto quello sforzo dell' uomo di ottener giustizia co' suoi mezzi
non riesce, e nell'odissea dolorosa degli sposi, separati e perse-
guitati dalla violenza e dalla perfidia umana, s' avvera ciò che
della giustizia in questa vita diceva l'autore della Morale cattolica,
essere « decreto di sapienza e di bontà che soffra per mondarsi e
combatta per crescere ».
La concezione del carattere di Lucia e del suo dramma spirituale,
quale si svolge tra gli urti delle peripezie della vita, ha notevoli
rapporti con le meditazioni degli scrittori sacri francesi, sui quali
Busetto — 13
194 PARTE TERZA
il Manzoni — come abbiamo più volte osservato — venne formando
la sua nuova cultura religiosa dopo la conversione.
L' animo di Lucia che dopo il voto, dopo cioè il più grande sa-
crifizio che spontaneamente potesse fare, pur tra le angosce della
prigionia sente entrare in sé stessa « una certa tranquillità, una
più larga fiducia > (') ed è « così preparata da una vita d'inno-
cenza, di rassegnazione e di fiducia > che resiste all' improvviso
sgomento suscitatole dal pensiero del voto e s'affida alle disposi-
zioni della Provvidenza (*), appartiene ai giusti che il Massillon
celebrava per « un calme profond >, per la « sérénité de coscience >,
la « simplicité de coeur », la « égalité d'esprit >, la « confiance vive»,
la « résignation paisible » , con cui vincono i turbamenti, i disgusti,
le inquietudini della vita (^).
Lucia, di contro don Eodrigo e l' Innominato, non è che una
« povera creatura », una « meschina », che nulla può « pretendere » (*),
una « povera figlia » derelitta senza protezione — come rifletteva
fra Cristoforo negli Sposi promessi (^) — , « una povera innocente » ,
che la prepotenza può « tener nell' angoscia e nel terrore » , ma su
cui vigila lo sguardo di Dio (^), che « non turba mai la gioia de'
suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande » (^);
ma — quel che più importa — essa nella sua debolezza è — se-
Icondo la concezione manzoniana — l'eletta della Provvidenza divina,
. che se ne serve pe' suoi disegni segreti. Tutte le vicende di que-
yì st' umile creatura convergono nel romanzo a fare splendere nella
forma della poesia, idealizzatrice della realtà, la verità espressa in
quelle parole di Federigo : « Dio ha permesso che foste messa a
una gran prova; ma v'ha anche fatto vedere che non aveva levato
l'occhio da voi, che non v'aveva dimenticata. V'ha messa in salvo ;
e s'è servito di voi per una grand'opera, per fare una gran mise-
ricordia a uno, e per sollevare molti nello stesso tempo » (^),
Questo che è il motivo etico essenziale della Lucia manzoniana
ha una viva affinità di concetto con quelle osservazioni del Mas-
sillon: C'est cette foiblesse méme qui est glorieuse à la foi et à la
(1) Prom. spé, cap. XXI, p. 309.
(2) Prom. sp., cap. XXIV, pp. 349-50.
(3) Serm. sur le bonheur des Justes, in Oeuvres (ed. cit.) voi. I, p. 29.
(4) Prom. sp., cap. XXI, pp. 304, 305.
(5) Sp. prom., p. 82.
(6) Prom. sp., cap. VI, pp. 77, 78.
(7) Prom. sp., cap. Vili, p. 123.
(8) Prom. sp., cap. XXI V, p. 357.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 195
religion de Jésns-Christ ; c'est pour cela méme que le Seigneur vous
a choisi pour faire connòitre en vous combien la grace est plus
forte que la nature Plus étes foibles, plus devenez un istru-
ment propre aux desseins et à la gioire du Seigneur. Il n'a jamais
choisi que des personnes foibles, quand' il a voulu appesantir sa main
sur elles, a fin que l'homme ne s'attribuàt rien à lui-mème
Plus nos afflictions nous paroissent extraordinaires, moins nous devona
croire qu' il y entre du hasard ; plus nous devons découvrir les ordres
secrets et impénétrables d'un Dieu singulièrement attentif sur notre
destinée ; plus nous devons presumer que sous des évenements si
nouveaux il cache sans doute des vues nouvelles, et des desseins
singuliers de miséricorde sur notre àme » (*). Nelle quali meditazioni
del grande oratore francese e' è, per così dire, il sostrato etico-reli-
gioso de' casi di Lucia, ovverosia di quella che è l'azione princi-
pale e dominante del romanzo. Ma ciò che costituisce dell' immortale
personaggio manzoniano il carattere costante, originale, attorno a
cui il Manzoni lavorò con lena infaticata di pensatore e d' artista
per renderlo sempre più coerente e più limpido, è quella forza
semplice, eppur potentissima, onde Lucia trae dalle sue virtù cri-
stiane consolazione, calma e dolcezza anche sotto il peso de' più
grandi patimenti. È questo uno degli aspetti dell'anima, ardente
di pietà religiosa, che il Massillon meglio illustrò nelle sue acute e
calde analisi del cuore umano : « Si la vertu — ei diceva — ne
nous garantit pas des aflQictions et des disgraces inévitables sur la
terre, du moins elle les adoucit ; > E poi : « qu' y-a-t-il de plus
à désirer qu' une situation qui nous console dans ces évenements;
qui nous soutienne dans ces orages; qui nous calme dans ces agi-
tations; et qui, dans changements éternels qui se passent ici — bas
autour de nous, nous laisse du moins toujours les mémes » ?
Lucia nell'orrenda notte passata al castello non perde la spe-
ranza, ma si ravviva nella fede e trova la calma del cuore, perchè
i giusti — osservava il Massillon — non s'abbandonano alle dispe-
(1) Serm. sur les afflictions, in Oeuvres (ed. cit.), voi. I, pp. 154-5, 157. Cfr. anche
pp. 161, 162. Come e perchè il Manzoni tra innumerevoli nomi di santi ha scelto quelli
di Lucia, di Agnese, e pur quello di Cecilia nel noto episodio patetico della peste*
Diflacile, se non impossibile, la risposta; ma è curioso che questi tre nomi si trovino
riuniti in una pagina del cit. sermone del Massillon, p. (155) e a mo' d'esempio di
povere umili anime illuminate dalla fede: «Les Agnès, les Luces, les Céciles ren-
doient gioire à Dieu dans leur foiblesse, à la force de sa grace, et à la vérité de sa
doctrine. Ce sont ces de vases de terre que le Seigneur prend plaisir de briser, comma
oeux de Gédéon, pour faire éclater en eux avec plus magnificence, la lumière et la
puissance de la foi ».
196 PARTE TERZA
razioni terribili del peccatore: « ils soufifrent, mais la mème main
qui les éprouve les soutient, et ils ne sont pas tentés au-de là de
leurs forces; ils sentent ce que vous appelez la pesanteur du jug"
de Jésus-Christ ; mais en rappelant le poids de l'iniquité sous lequel
ils ont gemi si long-temps, ils trouvent leur sort heureux, et cet
parallèle les calme et les console Les senses peuvent encore
souflFrir des amertumes de la vertu; mais du moins le coeur est
tranquille..... Les graces, dont il (Dio) accompagno nos dégoùts,
qui soutiennent notre foi, en mème temps que nos violences abattent
r amour-propre, fortifìent notre coeur dans la vérité , font que
notre coeur est prompt et fervent, quoique la chaire soit foible et
languissante ; de sort qu' il rend notre vertu d'autant plus solide,
qu' elle est pour nous, ce semble, plus triste et plus pénible » (^).
È questa la vicenda attraverso cui eran passati Lucia e Renzo
« co' travagli e tra le miserie », ma per essere disposti dal cielo
« a un' allegrezza raccolta e solenne » {^), ed è nelle parole del-
l' autore francese, esaltanti i frutti della sventura sorretta dalla fede
e dalla grazia, il « sugo di tutta la storia » che quella « povera
gente » e con essa il Manzoni traggono alla fine di tante peripezie,
che cioè 1 guai « quando vengono o per colpa o senza colpa, la
fiducia in Dio li raddolcisce e li rende utili per una vita migliore » (^).
II. Ora, per meglio vedere come l'ispirazione etico-religiosa del
carattere di Lucia si trasfigurasse nella coscienza poetica del Man-
zoni in creatura viva e concreta, conviene seguirne lo sviluppo
psicologico e la figurazione e rappresentazione estetica attraverso i
mutamenti e perfezionamenti che lo scrittore operò nell' assiduo
processo di rielaborazione di tutto il romanzo.
Vero è che Lucia, come il Manzoni la concepì e la tratteggiò
ne' suoi caratteri psicologici essenziali e nella sua significazione
umana fin dalla prima stesura, tale rimase ne' rifacimenti e nella
redazione definitiva; che, anzi, a differenza d'altri personaggi che
subirono una non lieve trasformazione rispetto al carattere e alle
situazioni loro, tra l'idea, che ne ebbe primamente il poeta, il mo-
tivo sentimentale, in cui il concepimento astratto si tradusse, e la
fantastica forma, cioè il personaggio in azione, in cui l'ispirazione
del sentimento si è trasfigurata e concretata, v' ha una sicura coe-
(1) Serm. sur les dégouts qui accompagnent la pieté en cette vie, in Oeuvres
(ed. cit.), pp. 177, 178, 191, 195, 196.
(2) Prom. sp., cap. XXXVI, p. 544.
(3) Prom. sp., cap. XXXVIII, p. 574.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 197
renza che ne rende chiara e precisa l'unità estetica; ma anche at-
torno alla figura di Lucia il Manzoni compì un lavorio intenso di
purificazione e nobilitazione poetica, che, se non modificò la tempra
morale del personaggio, ne chiarì via via l'idea ispiratrice, ne ar-
ricchì r analisi psicologica, ne rese più alta e più decorosa la rap-
presentazione artistica.
Si veda la scena nella quale ella, costretta dalle circostanze nuovo,
rivela alla madre e a Renzo le insidie di don Rodrigo. Nella prima
stesura raccontava in forma diretta e con ricchezza di particolari e
certa crudezza realistica la persecuzione subita, ritraeva brevemente,
ma con libera vivacità, il contegno del signorotto libertino, che era
andato fin nella filanda a molestar lei e le compagne : mentre l' ul-
tima ci presenta il racconto di Lucia in modo indiretto, ed ella ri-
ferisce con raccolta sobrietà sorvolando pudicamente sui particolari
della persecuzione, non dice nulla di quella visita indiscreta nella
filanda, ma accenna a due incontri avuti con don Rodrigo sulla via
alla presenza di un altro signore, il conte Attilio, e alla scommessa
corsa tra i due scapestrati ; oltr'acciò, allo sfogo di Renzo : — e que-
sta è r ultima che fa quell'assassino > — Lucia esce nel grido : «Ah 1
no, Renzo, per amor del cielo »! — ; né a queste parole accompagna
atto alcuno, mentre nella minuta, in un impeto di dolore e terrore,
gittava « quasi le braccia al collo > del giovine furibondo e diceva
d'averlo pregato d'affrettar le nozze, immediatamente dopo la nar-
razione della licenziosa corte fattale da don Rodrigo, senza arrossire,
senza abbassare gli occhi, e non si giustificava di quella sollecita-
zione alquanto ardita con l' attribuirla al consiglio di fra Cristoforo,
al quale s' era confessata, non esprimeva timore di aver dovuto far
la sfacciata (*).
La medesima facondia nel descrìvere l' insolente contegno di don
Rodrigo ritroviamo nel colloquio di Lucia con la signora, dopo che
questa ha congedati il padre guardiano ed Agnese ('). Ciò che ne'
rifacimenti successivi il Manzoni riporta in forma narrativa e in
modo succinto, era disteso, nella minuta, in un dialogo ampio e
vivace, nel quale Lucia, pressata dalle domande stranamente curiose
di Gertrude, parlava con certa abbondanza di ricordi e di giudizi,
sebbene con lo stesso ribrezzo del suo persecutore e con lo stesso
stupore per le parole imprudenti e sfrenate della signora che mani-
li) Sp. prom., pp. 46-7; Prom. sp., cap. Ili, pp. 34, 35.
(2) Sp. prom., pp. 254-9. V. SU questo dialogo le garbate osservazioni di F. D'Ovidio,
in N. st. manz. cit., pp. 450-4.
198 PARTE TERZA
festa nell'ultima redazione. Poiché è bensì vero che la nativa ve-
recondia di Lucia non ne era intaccata e che la meraviglia sua pel
contegno della monaca e l'equivoco d'attribuire, di primo acchito,
all' ingenuità e all' inesperta innocenza di lei queir interrogare au-
dace e talora sboccato, concorrevano, secondo l' intenzione dello
scrittore, a mettere in luce quella riservatezza pudica, che caratte-
rizza l'anima di Lucia, ma c'era tuttavia, nell'ampio dialogo, e
massime nel racconto eh' ella faceva della sua compagna Bettina,
lusingata, sedotta, e poi abbandonata da don Rodrigo e finita col
dover lasciare il paese, rivoltosele contro, e col girar il mondo,
c'era, dico, una nota di franchezza, anche se misurata da voluta
prudenza, un non so che di poco contegnoso e di garrulo, che, per
dire il vero, non conferivano a quella compostezza, fatta di timidità
ombrosa e di delicato riserbo, che nell' idea dell'artista doveva essere
il tratto morale caratteristico del suo personaggio . Quest' idea, dopo
il tumultuoso lavoro del primo getto, si chiarisce e, secondata dalla
forte tendenza, che viene prevalendo ne' rifacimenti successivi, ad
elevare poeticamente tutta la materia del romanzo, opera efficace-
mente nella ricomposizione psicologica di Lucia; onde quegli ele-
menti, crudemente realistici, scompaiono, il dialogo con la signora
addirittura viene soppresso e la rivelazione dell' impudica persecu-
zione di don Eodrigo ridotta, contenuta ne' modi sobri e verecondi,
quali s' addicono a < quel pudore ombroso — dirò con le belle pa-
role dei D'Ovidio — fatto di scrupoli pii e di rusticana riservatezza »,
che è nella natura di Lucia (*).
Né io saprei rimpiangere ciò che s' è perduto per la soppressione
di quel dialogo — e tanto meno per la riduzione di quella scena —,
perchè l' una e l' altra son dovute alla nuova disposizione di spirito
del poeta a rivivere, a risentire il suo personaggio, con più delicata
ispirazione psicologica e più efficace impulso d'elevazione poetica.
E infatti, non si tratta — a mio avviso — di vedere se il Manzoni
fece bene o male, per rispetto all'arte in generale, a tagliar via o
a mutare questo o quello nel romanzo, ma di ricercare quale forma
convenisse secondo la concezione del carattere, delle situazioni e
via dicendo ; onde, nel caso presente di Lucia, quel dialogo e quelle
particolareggiate informazioni s' attagliavano, con coerenza artistica,
all' immagine di una Lucia ancora un po' grezza, un po' trivialmente
ingenua e un tantino anche goffamente contadinesca e, per effetto
di questi caratteri, alquanto garrula né sempre contenuta: una Lucia
(1) Prom. sp., cap. X, pp. 160-1. Cfr. D'Ovidio, loc. cit.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 199
di cui l'artista, nel primo concepimento, non aveva ancora intuita con
piena coscienza la semplicità, cioè quell'accordo bellissimo di delicata
ingenuità e di attenta saggezza; ond'egli oscillava tra analisi e scene
appropriate a codesto carattere di Lucia e altre alquanto dissonanti
da codesta bella intuizione, perchè nel primo getto la preoccupazione,
comune a tutte le parti del romanzo, di tenersi allo spirito de' tempi,
rappresentati anche pei personaggi immaginari, e di riflettervi con
la massima attenzione i caratteri della realtà umana osservata, —
preoccupazione storica e realistica — rallentava quel processo di idea-
lizzazione da cui la materia — sia un reale passato o presente — è,
quasi direi, investita e trasmutata per farsi grande e duratura. Lucia
in quei tratti che testé abbiamo visti, e in altri che esaminerò sulla
prima stesura, è una figura analizzata attraverso la visione storica
della gente campagnola della Lombardia secentesca e sotto l' influsso
d'un realismo artistico, alimentato piuttosto di osservazione che di
meditazione fantastica. Quel tanto che della minuta ha conservato
il Manzoni nel romanzo, in forma narrativa, e rinnovato con tocchi
sobri delicatissimi, quei riferimenti misurati e pudichi sulla corte
fattale da don Rodrigo, quei rapidi cenni ai discorsi strani, indiscreti
della monaca, quegli scorci psicologici, quelle pennellate efficacissime
nel ritrarre l'anima di Lucia, che sono il « gran ribrezzo » nel dover
parlare di don Rodrigo, lo « stupore dispiacevole *, « il confuso spa-
vento » nel sentire gli « svagamenti » e le « ciarle » della signora,
e r ansia d' aprirsi con la madre ti ricompongono dinanzi agli occhi
una Lucia decorosamente raccolta nel suo guardingo pudore, pen-
sosamente atteggiata nella sua candida, ma non rozza semplicità:
è una Lucia attinta alla realtà, ma idealizzata dall'arte.
***
III. Codesta idealizzazione procede principalmente dal progressivo
chiarirsi e Illuminarsi di quella idea di carità in cui — come sopra
dicevo — è la genesi etica del personaggio. Si ripensi alla scena
che si svolge in casa di Lucia, quando Renzo, dopo la vana spedi-
zione di fra Cristoforo al palazzotto di don Rodrigo, scoppia in un
nuovo furore contro quel prepotente e vuol farsi giustizia da sé (*).
Già ho osservato come dalla minuta all' ultima redazione si mutino
le parti e gli affetti, poiché in quella é fra Cristoforo, presente alla
scena, che combatte la collera e il truce proposito del giovine, in
(1) Sp. prom., pp. 118-22; Prom. sp., cap. VII, pp. 89-91.
200 PARTE TERZA
questa è Lucia che lo placa con le lagrime e la promessa d'accon-
sentire al matrimonio per sorpresa. « Lucia — scrivevo altrove ana-
lizzando le differenze dì questo episodio — (*) ha modo, nella
nuova scena, di rivelare il suo carattere in quell'accorata ma non
fiacca premura che mette ne' suoi discorsi e nelle sue preghiere,
in quella risolutezza ispirata da una magnanima pietà religiosa con
cui dichiara a Renzo che non potrebbe sentire nuli' altro che abbor-
rimento di lui, se si fosse macchiato di un assassinio >.
E, osservando che così nell'una come nell'altra scena è la riso-
luzione dì Lucia che cambia l'animo di Renzo, aggiungevo: « codesta
parte di Lucia ha nella prima forma qualche cosa di grezzo e sten-
tato, senza svolgimento psicologico, senza nitidezza ed efficacia dì
rappresentazione; mediocre, non foss'altro, per quel modo di met-
tersi in mezzo al concitato colloquio con quelle parole dette medi-
tatamente, in guisa che avessero effetto su Renzo, ma il padre non
ne intendesse il senso » ; mentre nella scena dell' episodio rinnovato
il consenso di Lucia « è in ben altro modo concesso, e cioè in un
impeto d'angoscia, dì spavento, che travolge in Lucia ogni dubbio
ed ogni contrarietà al disegno del matrimonio forzato. La verosi-
miglianza che a questo punto gli scrupoli dì un animo pio e forte
come quel dì Lucìa cadessero vinti, assume un carattere di mag-
giore efficacia e naturalezza, e il colorito modo di quel consenso
rivela la superata battaglia dei sentimenti in più vivida luce che
non sìa nella minuta, dove il travaglio interiore dì quel momento
che precede e prepara la promessa, eh' ella fa a Renzo, è come av-
volto neir ombra » (*).
Tra le ragioni che possono aver indotto il Manzoni a mutare i
personaggi e lo svolgimento di questa scena notavo l'opportuno ri-
lievo fattogli dall'amico Fauriel, — avere egli, cioè, rappresentato
in un capìtolo precedente qualche cosa dì analogo a quel contrasto
tra il padre Cristoforo e Renzo, — e il proposito di conservare il
vivace colloquio che ha luogo tra i due al lazzaretto, e in cui si
riproduce una situazione consimile. Ora, oltre il fine d'evitare una
ripetizione dì scena, osservo che potè non meno efficacemente l'in-
tento di dare un maggiore sviluppo psicologico e drammatico al
carattere non solo di Renzo, ma soprattutto dì Lucia. Come già il
padre in quel primo scoppio di collera del giovine (scena conservata
con lievi differenze nella redazione definitiva) ne aveva disarmato
(1) V. Saggi manz., cit., p. 7.
(2) Saggi cit., p. 9.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 201
r animo, agitato da biechi disegni di vendetta, con la parola della
carità e della fede, cosi Lucia nel secondo e più veemente accesso
di furore lo supplica e ammonisce pur lei in nome di quelle ma-
gnanime virtù cristiane ; e la visione, che nella seconda scena della
minuta fra Cristoforo gli prospetta, di una vita avvenire turbata
dall'angoscia e dal ribrezzo dell'omicidio commesso, passa, con toni
più teneramente commossi, ma non meno austeramente risoluti, ne'
discorsi di Lucia. E mutare lo svolgimento psicologico e dramma-
tico della scena per conferire a Lucia la parte nobilmente cristiana,
sostenuta nella prima stesura da fra Cristoforo, di ridurre Renzo
a più miti consigli, mi pare convenisse perfettamente alla coerenza
morale ed estetica de' caratteri, purché si pensi che, nella coscienza
del Manzoni, Lucia e il frate sono due personaggi idealmente con-
giunti nel concetto della carità e della giustizia.
*
* *
IV. Come il Manzoni rilavorasse dalla prima all' ultima stesura
attorno alla figurazione estetica di Lucia con più profonda compren-
sione etica e maggior vigore d'indagine psicologica e di purifica-
zione fantastica, verrò ora dimostrando mediante l'esame d'altre
situazioni ed azioni, in cui il carattere di questo personaggio ha il
suo svolgimento.
È bene, anzitutto, avvertire che a modificare sostanzialmente un
carattere o a renderlo almen più vigorosamente poetico contribui-
scono in parte i mutamenti recati nella rappresentazione dell'azione
generale e degli episodi particolari, di cui — come dicevo — esso
è un fattore necessario e un rifiesso luminoso ; coi quali mutamenti
ha stretto rapporto il nuovo modo di sentire e d'atteggiarsi d'altri
personaggi, che con quello si trovano ad agire, in accordo o in
conflitto d' istinti, d' interessi, d'affetti; onde avviene che il carattere di
ciascun personaggio, oltre che derivare vita e colore dalla particolare
concezione etica e interpretazione psicologica con cui il poeta lo
intuisce e riflette nella sua coscienza artistica, assume questo o
quell'aspetto e atteggiamento secondo la natura o il contegno d'altri
caratteri, e varia col variare di questi. É, come a dire, una legge
di proporzione psicologica e di mutua reazione drammatica che dalla
vita reale, dove ha più libero gioco, si riflette nell'arte.
Valga, per esempio, la medesima scena della collera di Renzo,
testé esaminata. Lucia, spettatrice ansiosa al conflitto tra l'autorità
di fra Cristoforo e la veemente passione di Renzo, nella primitiva
202 PARTE TERZA
forma della scena non agisce se non per intervenire con quella co-
perta promessa d'adesione al sotterfugio del matrimonio per forza;
ma nella nuova dell'ultima redazione, trovandosi ella, non già il
padre, in conflitto coi discorsi e gli atti del giovine, ne è, per così
dire, ripercossa, e, alla sua volta, si atteggia in conformità della
nuova situazione, svolgendo quella sua accorata, risoluta magnani-
mità per reazione immediata al furore di lui.
Ma anche piìi osservabile è codesta convenienza psicologica ed
artistica, che regola i mutui rapporti de' personaggi tra loro, nel
modo come Lucia si lascia indurre dalla signora ad uscire dal mo-
nastero per portare un'imbasciata al padre guardiano : è osservabile,
cioè, come il Manzoni abbia ritoccato il contegno dell'una, avendo
modificato quello dell'altra. Si leggeva nella minuta che Gertrude,
chiamata Lucia nel suo parlatorio privato, « per comunicarle cose
molto importanti », « ripetendo la lezione del suo infernale maestro,
cominciò ad impastocchiarla con una storia misteriosa, di pericoli
e di speranze, di mezzi posti in opera da lei, di ostacoli, di aiuti:
tutto per liberare Lucia dalla persecuzione di don Eodrigo, e per
farla essere tranquillamente sposa di Fermo ». Le parlò a mezz'aria,
per motivi di prudenza, sostenendo calorosamente che occorreva
« un po' di coraggio e molta precauzione », che una piccola indi-
screzione poteva rovinar tutto, che, perciò, v'era bisogno d' un uomo
« da cui potesse aspettarsi un consiglio fidato e un aiuto operoso >
e che il solo uomo da fidarsene era il padre guardiano, dal quale
Lucia era stata condotta al monastero, e che ella non aveva persona,
all' infuori di lei, da mandare segretamente a quel padre, senza ti-
more e pericolo che i suoi piani per renderla felice fossero scoperti.
Lucia, come pur si legge nel testo definitivo, rimaneva sorpresa e
turbata da quella proposta, e tergiversava e chiedeva schiarimenti ;
ma la signora si lagnava con lei che « pretendesse farle rivelare
ciò eh' ella non poteva » e le rinfacciava la pietà e la disinteressata
premura con cui s'adoprava pel bene di lei, accorandosi con osten-
tato dolore sdegnoso (*).
Questa diabolica invenzione di un pietoso disegno segreto, da lei
concepito per porre in istato di sicurezza e di felicità la sua cara
Lucia, era la chiave di volta di tutta la scena nella forma primitiva
e ne conseguivano sentimenti e atteggiamenti in Lucia, che non
troviamo nel testo definitivo. Narrava infatti la minuta che « Lucia,
commossa in un punto di vergogna e di timore, stava per piangere »,
(1) Sp. prora,, pp. 321-2.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 203
che la signora, cogliendo 11 destro, la circuì con amorevole ripren-
sione, rassicurandola per sempre della sua protezione ; dicendole « che
pensasse ai rimproveri che ella farebbe un giorno a sé stessa di
avere per irresolutezza, per infingardaggine rifiutato il mezzo della
salute, e rovinata sé stessa, la madre e l'uomo a cui ella s'era
promessa > . E proseguiva : « Lucia non seppe più resistere, si accusò
di aver resistito, le parve che avrebbe rifiutato il soccorso del cielo,
rifiutando quello che le era ofi'erta; piena di una novella fiducia, disse:
« vado tosto >. E dopo che « Geltrude, 1' accomiatò, lodandola, facen-
dole animo, e ripetendo le più liete promesse Lucia ritenendo
a forza il pianto, chiese scusa della sua ingratitudine. « Sono una
poveretta senza pratica » diss'ella; « ma già ella tutte queste brighe
non se le deve pigliar per me, ma per quello di lassù, che gliele
rimeriterà tutte; » e abbandonandosi alla grata, colle braccia tese
continuò : « se non fossero questi ferri, mi pare che le getterei le
braccia al collo, ed ella non se lo avrebbe a male, poiché è tanto
buona, ed io lo faccio per cuore ». Le ultime parole di quella scena
agitata risonavano così : «Sì, sì. Lucia, addio > disse Geltrude. < Dio
la benedica » rispose Lucia. E la poveretta s' avviò per uscire (*).
Codesta scena é stata dal poeta profondamente mutata nell' analisi
psicologica della monaca traditrice e della sua vittima: tutto quel
misterioso discorrere che fa Gertrude di un'impresa tanto difficile,
da cui dipendeva la salvezza o la rovina di Lucia^ quello scellerato
infingimento di carità e di zelo si riducono al semplice cenno ad
« un affare di grand' importanza », pel quale doveva « parlar subito
con quel padre guardiano » e in cui é dubbio se c'entrasse la sorte
di Lucia; dal contegno stesso della sciagurata di fronte la ritrosia
della giovine traspirano « meraviglia » e « dispiacere », stimando
ella Lucia « la persona di cui credeva poter far più conto » e sem-
brandole impresa così facile e tranquilla 1* andar « di giorno chiaro »
al vicino convento. Lucia stessa si sente « punta e commossa ad
un tempo » alle prime insistenze della monaca, e, alla fine, pe' rim-
proveri di lei, la seconda, sì, è vero, « commossa più che mai »,
ma « sbalordita più che convinta » (*). Reso così più riservato e
meno perfido il contegno di Gertrude, venuto meno quel motivo
pateticamente suggestivo, ch'ella metteva innanzi per ingannar
Lucia, anche questa non si ripresenta più, nel finale svolgimento
della scena, tutta intenerita di riconoscenza e dogliosa delle prime
(1) Sp. prona., pp. 322-3.
(2) Prom. sp., cap. XX, pp. 293-4.
204 PARTE TERZA
ripulse e sollecita di obbedire. A queste variazioni d'affetti e d'atteg-
giamenti ha contribuito non solo il proposito di conseguire gli stessi
effetti di verosimiglianza e la stessa efficacia di rappresentazione
con modi d'arte più sobri e sereni, con un contrasto e un graduale
trapasso di sentimenti più chiaro e più semplice, ma pur quello (e lo
vedremo nell'analisi del carattere di Gertrude) di stingere alquanto
il colorito troppo acceso, ond'era figurata la perfidia della monaca,
di attenuare la ripugnante impressione ch'ella faceva aggiungendo
alla complicità del tradimento, in cui la sua debole volontà era tra-
scinata da una passione più forte di lei, la scellerata suggestione di
una falsa carità. E, di conseguenza, ne veniva riformato il carattere
di Lucia secondo l' intento di effigiarlo più raccolto e contenuto che
non fosse nella prima concezione, delicato, ma scevro di svenevo-
lezza, puro e forte negli affetti, ma senza appassionati abbandoni.
*
* *
V. Quell'intenerimento lagrimoso dì Lucia, quell'impetuosa fiducia
«sicura, intera, amorosa», mista di riconoscenza e d'umiltà, che
la trasporterebbe, se potesse, ad abbracciarsi la perfida complice
di Egidio sono tratti eccessivi, coi quali, se il Manzoni ha ottenuto
di dare vivo risalto al ritratto di due anime tanto diverse e al con-
trasto tragicamente doloroso tra l'ingenua fiducia di Lucia e l'iniquo
agguato già tesole, non ha evitato, però, quella patetica dramma-
ticità che era così disforme dalla sua estetica e così aliena dalle
alte e serene prove della sua arte meditata e matura.
E che il Manzoni mirasse nella rielaborazione del carattere di
Lucia a spogliarlo d'ogni elemento patetico o troppo pittorescamente
drammatico, ne fan testimonianza il rapido racconto della separa-
zione di lei dalla madre a Monza, la descrizione del viaggio che
le fanno fare i suoi rapitori sino al castello dell' Innominato, quella
dell' angosciosa notte ch'ella passa chiusa lassù e altri episodi che
più innanzi esamineremo.
La scena di quella separazione è un piccolo episodio così nella
minuta come nell'ultima redazione; ma in questa ha il poeta effi-
cacemente condensato ciò che in quella aveva analiticamente diffuso:
al dolore di Lucia ha dato un più composto atteggiamento che non
avesse fatto prima dipingendolo come inquietudine accorata, tene-
rezza dogliosa e convulsa (*).
(1) Prima leggevasi: «Lucia, alla quale i pericoli passati, la fuga, il trovarsi
come smarrita lungi dalla sua casa fra gente nuova, il timore continuo di peggio
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 205
Il lungo episodio del ratto non presenta dì gran differenze tra
l'una e l'altra redazione nella dipintura dell'animo di Lucia avviata
al convento, nel racconto de' terribili patimenti di lei durante il
viaggio fra i bravi dell' Innominato, ne' dialoghi della poveretta con
quei tristi guardiani.
Nella minuta, con quell'arte esuberante e diffusa per soverchio di
particolari analitici e vivacità di colori che la caratterizza, il Man-
zoni ci dipingeva Lucia incamminata verso la porta del borgo « con
grande attenzione, con gran riserbo, con gran battito al cuore, tutta
raccolta in sé » e poi, nel percorrer la strada maestra, pentita « quasi
di essersi tanto rischiata >. Quando vide in mezzo la strada solitaria
una carrozza da viaggio ferma e accanto ad essa, davanti lo spor-
tello aperto, due « uomini che guardavano su e giù per la via incerti
del cammino », Lucia — narrava il Manzoni — « per quella pre-
sunzione comune che coloro i quali vanno in carrozza sieno galan-
tuomini, si sentì tutta rincorata, e le parve d'aver trovata una sal-
vaguardia, alla metà appunto del cammino, nel luogo più lontano
dall'abitato, e dove il bisogno era più grande. Continuò adunque
più animosamente a camminare » (*). Nel testo definitivo la figura-
zione di Lucia in quella contingenza procede con tocchi più sobri
e con più ordinata analisi delle affezioni dell' animo suo : eccola
uscita dal chiostro « con gli occhi bassi, rasente il muro > ; eccola
fuori del borgo per la strada solitaria: e allora va « tutta raccolta
e un po' tremante » e la paura le cresce per via ; vede quella car-
rozza e « sì rincora alquanto » (*).
Il quadro è isveltito, proporzionato nel disegno, armonico e mi-
surato ne' rilievi: la figura di Lucia in naturale atteggiamento di
trepidazione crescente, ma senza eccesso, riconfortata alquanto alla
vista della carrozza, senza sentirsi rincorata del tutto, come portava
la minuta, nella quale quello spiegare il coraggio, che le torna al
cuore, col volgare pregiudìzio sulla gente che va in carrozza, se
vuol servire, nell'intenzione dell'autore, a motteggiar ironicamente
avevan restituita quasi tutta la timidezza della infanzia, aveva più volte afferrata la
gonna della madre per non lasciarla partire, aveva pianto, pregato, ma finalmente
stanca essa pure dell'incertezza, e più ansiosa di saper qualche cosa di quello [chel
non ne confessasse, rassicurata dal trovarsi in un asilo così guardato e santo s'acquetò »
(Sp. prom., p. 298). E ora si legge: « Per Lucia era una faccenda seria il rimanere
distaccata dalla gonnella della madre; ma la smania di saper qualche cosa, e la si-
curezza che trovava in quell'asilo cosi guardato e sacro, vinsero le sue ripugnanze»
(Prom. sp., cap. XVIII, p. 268).
(1) Sp. prom., pp. 327-8.
(2) Prom. sp., cap. XX, p. 295.
206 PARTE TERZA
sui signori e sull'ossequio delle folle, conferisce a Lucia una nota
d'ingenuità contadinesca, che non è nella natura candida si, ma
non infantilmente rozza della vera Lucia, che sempre meglio si
venne chiarendo nella coscienza poetica del Manzoni. L'incontro
con quei misteriosi viaggiatori, il ratto, il terrore, l'angoscia di
Lucia, cacciata nella carrozza, i suoi primi sforzi disperati per uscirne,
la perdita de' sensi, tutto ciò è sceneggiato con egual gagliardia
nell'una e nell'altra stesura, ma con più rapida speditezza ed effi-
cace nitidezza di stile nell'ultima (^). Il risveglio, le affannate in-
terrogazioni e preghiere rivolte a' suoi rapitori, le risposte loro
hanno avuto tocchi d'arte più delicata, senza perdere d'efficacia
drammatica. Eravi nella minuta qualche colorita pennellata alle
parole e agli atti di Lucia e de' bravi, che non ritroviamo più nel-
l'ultima redazione: tocchi rapidi, ma vivi, donde risaltava in più
lugubri riflessi il dolore della vittima e lampeggiavano strani ba-
gliori sull'anima di quei malandrini.
Lucia, infatti, dopo il ritorno de' sensi implorava « con voce sof-
focata dallo sdegno e dallo spavento », e usciva contro i suoi op-
pressori in questi forti accenti: « ricordatevi dell' inferno, ricordatevi
della morte > ; poi ritentava gli animi degli sgherri in tono suppli-
chevole ; da ultimo, « perduta ogni speranza di soccorso umano > ,
si rivolgeva a Dio (*). Nella definitiva redazione dell'episodio il
Manzoni ha abbreviato il dialogo, senza togliergli vigorìa ed efficacia;
ha soppresso quella fugace nota psicologica alla voce di Lucia e
quel triplice « ricordatevi », facendo balzare dalla stessa vigoria
drammatica del dialogo l'anima di Lucia, atteggiata di un dolore
fiero senza risonar di quel minaccioso memento, non meno terribile
del « verrà un giorno » di fra Cristoforo. C'è più dignità e forza
in Lucia nell' ultima sceneggiatura, e per tutto lo svolgimento della
scena è conservata l'austerità tragica della situazione, che nella
prima stesura era turbata da qualche nota scurrilmente comica.
Lucia diceva, dopo queir interrogare affannoso: « voglio andare al
convento dei cappuccini » ; e il capo de' ribaldi rispondeva sogghi-
gnando: « Ohibò ohibò, che le ragazze non istanno bene coi cap-
puccini ». A quell'impetuoso memento di Lucia, quello stesso mot-
teggiava con schernitrice ironia: «Pensieri tristi, voi ci volete far
malinconia, e noi vi conduciamo a stare allegra». C'era qualcosa
dello spirito pittorescamente beffardo de' volgari delinquenti sha-
(1) Sp. prom., p. 329; Prora, sp., cap. XX, pp. 295, 296.
(2) Sp. prom., p. 337-9.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 207
kespeariani in quelle mosse e parole dell'iniqua masnada. Poi la
compassione pigliava anche le loro animacce alle supplicazioni della
poveretta ; ripetevano : « — non possiamo — , commossi alquanto da
quel lamento » ; il capo « si stringeva contro la carrozza, lasciando
più spazio a Lucia, perchè stesse meno disagiata, perchè non fosse
oppressa da una vicinanza ch'egli stesso sentiva in quel momento
quanto dovesse essere incomoda e ributtante. Gli altri due, si an-
davano pure restringendo dal loro lato, facendo luogo a Lucia, e
tenendosi come in distanza stornando gli occhi da quel volto acco-
rato », per quanto fossero « fermi nel loro atroce proposito di ese-
guire la commissione ; come il villanello — soggiunge con bella si-
militudine il Manzoni — che a fatica si è arrampicato suU' albero
per togliere un uccelletto dal nido e lo tiene nelle mani, e lo sente
dibattersi e tremare, e sente il cuore della povera bestiola battere
affannosamente contro la palma che lo stringe, prova pure qualche
pietà: allenta le dita alquanto, per non affogare la povera bestiola,
per non farle male; ma aprire il pugno, lasciarla tornare al suo
nido : oh no ! Il figlio del padrone gli ha chiesto 1' uccelletto, gli ha
promesso una bella moneta, s' egli sapeva snidarlo e portarglielo
vivo (*) ». E, mentre Lucia recitava sommessamente il rosario^ e i
bravi tacevano, guardando di tratto in tratto quello ch'ella faceva,
e sospirando tutti il fine di quella spedizione » (').
Nel rilavorare codesta scena il Manzoni ha avuto, soprattutto, la
mira di raggiunger maggiore efficacia col rendere più sobrio e ra-
pido il dialogo, più stringata l'analisi psicologica de' personaggi
in azione. Ha, poi, purgato di quelle triviali facezie e di altre con-
simili (^) i discorsi de' bravi, perchè — dice un maestro di studi
manzoniani — « turbavano il color patetico della scena » e ne veniva
intrecciato « troppo crudamente al tragico il comico » {*). Io osservo,
però, che quella scurrilità loquace era temperata dall' insolita com-
passione e dall'impazienza, non ignobile, di veder finita la pena e
lo strazio di quel lungo viaggio e che tale contrasto dell' abitudi-
nario cinismo d'anime rotte ai delitti e alle soperchierie con quegli
insoliti atteggiamenti di riguardosa pietà non solo rispondeva ad
(1) Sp. prora., pp. 338-9. Il D'Ovidio (N. st. manz. cit., p. 520) osserva che quel
« paragone è largamente e delicatamente svolto, e ci si sente il poeta ». Giusto, ma
la dizione pecca di sovrabbondanza e di prolissità.
(2) Ivi.
(3) Alludo al futile scherzeggiare, che fanno i bravi, sull'aceto che ci vorrebbe,
per far rinvenire Lucia, sul bel fiasco di vino che hanno seco e sulle mariuolerie
degli osti che danno aceto per vino (Sp. proni-, pp. 329-30).
(4) V. F. D'Ovidio, N. st. manz. cit., p. 517.
208 PARTE TERZA
una felice intuizione di quel guazzabuglio interessante che è il cuore
del delinquente, ma ingrandiva la figura di Lucia, se il suo aspetto
ineffabilmente doloroso smorzava la befiFa sacrilega sulle labbra de'
suoi carcerieri per ridurli taciturni e pensosi. Perchè dunque il
Manzoni ha modificato il contegno di quella gente, sopprimendo
ogni nota o particolare, che ne ritraesse qualche aspetto o momen-
taneo sentimento dell'anima? Ai sogghigni e ai motti triviali die'
un frego per la tendenza — da me altrove già notata a proposito
della figura dell' Innominato, e pur testé da altri rilevata e illu-
strata acutamente — a rendere nella nuova forma del romanzo an-
che « la rappresentazione dei malvagi più composta e più grave,
per quella più seria » e quindi « più artistica considerazione del
male » , per quella « più elevata concezione del biasimo morale »
onde il Manzoni ha nuovamente meditato e riplasmato il suo mondo,
come gli si presentava uscito dal primo getto (').
Codesto mutamento psicologico nel ritratto de' bravi portava seco
l'eliminazione d'ogni nota di pietà analizzata e descritta, che, se
fosse rimasta così sola, senza il contrasto de' cinici motteggi, avrebbe
riflessa in quelle contingenze una luce troppo bella sui rapitori di
Lucia, superando le intenzioni stesse — serenamente severe — del
poeta. Ma vi contribuì — io penso — anche un' altra ragione psi-
cologica ed artistica, quella di riserbare alla scena, in cui il Nibbio
rende conto del ratto e del viaggio all' Innominato, la vivacità e
freschezza di un inatteso sfogo sentimentale del malandrino, quan-
d' egli confessa al suo signore d' aver provata « compassione » : la
quale scena avrebbe perduto d' interesse se il Manzoni — come aveva
fatto nella prima stesura — avesse anticipata l'analisi della pietà sen-
tita dai bravi.
La descrizione di quel viaggio volge rapida alla fine nel testo
definitivo, quando, dopo più di quattr'ore di trotto serrato, sul tra-
monto la carrozza spunta nella valle ed è scorta dall' Innominato,
che attende irrequieto da un'alta finestra del suo castellacelo (*). Ma,
nel primitivo disegno, era diversamente condotta: dopo due ore di
viaggio, quando il sole declinava verso l'orizzonte, la carrozza giun-
geva alla riva dell'Adda; tre bravi insieme con una vecchia usci-
vano da un battello fermo presso la sponda; la vecchia s'avvicinava
a Lucia e con l' aiuto de' bravi la faceva entrar nella barca, che,
dopo due ore di remeggio, sul precipitar della notte, approdava
(1) Cfr. i miei Saggi cit., p. 26 e segg. e A. Momigliano, op. cit., pp. 68, 73.
(2) Prom. sp., cap. XX, p. 298.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 209
all'altra riva, e Lucia « sbigottita tremante», non sapendo « più in
che mondo si fosse », era messa in una lettiga e portata in ca-
stello (*). Questa seconda e diversa parte del viaggio non fa l' im-
pressione di superfluità o di lungaggine, che il freno dell' arte con-
sigliasse a sopprimere, perchè variava bellamente il racconto, rilevava
la nuova commozione ond'era scossa la povera Lucia ai segni scam-
biati tra loro dai bravi della barca e della carrozza e al loro affac-
cendarsi per tirarla fuori ; analizzava con felice intuito quella nuova
impressione d'orrore della poveretta al pensiero d'esser trascinata,
chi sa dove, nell' uscire dalla carrozza, che « per quanto orrenda
le fosse, le pareva un asilo poiché vi aveva passate due ore », e
accresceva il patetico della scena con quel tocco d'arte efficace al-
l' « accoramento » che « le tolse anco la forza di gridare » quando,
all'entrar nel battello, alzati gli occhi, « vide al disopra della
cima dei monti la cima tagliata a sega del Resegone, alle falde del
quale era la sua casa, dov'era sua madre, dove aveva passati i
primi suoi anni nella pace ». E perchè dunque il Manzoni ha mu-
tato nel noto modo le line di quel viaggio? Per un complesso di
motivi e di circostanze generali connesse col rinnovamento del ca-
rattere de' personaggi e coi procedimenti narrativi e descrittivi
dell' arte sua. Nel rifare il carattere dell' Innominato, piacque al
Manzoni presentarcelo nella scena ritto là, alla finestra del suo ca-
stello, in aspettazione inquieta e ansiosa, turbato in modo insolito
all'avvicinarsi della carrozza, già quasi disposto a dar l'ordine di
voltare e condurre, senz'altro, la rapita al palazzo di don Rodrigo,
ma trattenuto da quel primo « no imperioso » che gli risuona nella
mente (*) ; gli premeva di tratteggiare, in quel rapido scultorio col-
loquio del signore con la vecchia, l'agitazione acre, come di un
monito oscuro, che gli dava l'arrivo di quella povera vittima (^);
doveva, per conseguenza, conferire alla vecchia un contegno delicato
e benigno (*), più che non era nella minuta, conforme l'ordine di
farle coraggio, datole dal padrone. Essendo, dunque, l'episodio del-
l'incontro delia vecchia con Lucia, subordinato alla situazione psi-
cologica e drammatica che il Manzoni creò come preludio alla grande
scena dell'incontro dell'oppressore con l'oppressa e all'epica descri-
zione della notte tormentosa, queir incontro e le parole della vecchia e
le nuove affezioni dell'oppressa e le sue reiterate preghiere non po-
(1) Sp. prom., pp. 339-42.
(2j Prom. sp., cap. XX, pp. 298-9.
(3) IMd., pp. 299-300.
(4) Prom. sp., XXI, pp. 301-2.
Busetto — 14
210 PARTE TERZA
tevano aver luogo che nelle circostanze e ne' modi che osserviamo
neir ultimo definitivo disegno del racconto. Conseguentemente non
poteva più reggersi la narrazione, com'era prima, del lungo tragitto
di Lucia in barca con la vecchia, mandata a riceverla, unitamente
ai bravi, e l'aspro, duro discorrerle di quella megera, e tutto il resto
che ne seguiva.
C'era, poi, in quell'episodio del lungo, penoso viaggio, oltre il
senso tragico della scena, qualche cosa di romanzesco e di pittore-
sco : « quel rumore crescente » come « d' acqua rapidamente cor-
rente », quel battello alla riva, l'apparir di altri ceffi in mezzo alla
deserta campagna boschiva, l'inflessibilità rude della vecchia, la
vista de' nativi monti lontani, l'approdo al calar delle ombre not-
turne, tutti elementi d'arte descrittivi e rappresentativi che per quel
più sereno e più. profondo sentimento poetico con cui rivide e riat-
teggiò ne' posteriori rifacimenti le anime e le cose del suo romanzo,
il Manzoni non esitò di cancellare, e solo in piccola parte ha con-
servato, come il trasporto di Lucia accompagnata dalla vecchia sino
al castello e i loro discorsi, ma con più nobile concezione e più
limpida e pacata rappresentazione e de' caratteri e de' fatti.
Neil' incontro di Lucia con l' Innominato e nel contegno e nelle
parole di lei di fronte al suo tiranno (*) il carattere — a guardar
certe sfumature del dialogo, che s' anima vivace tra i due, e alcuni
tocchi che ne scolpiscono i moti dell' animo — ha subito una lieve
modificazione ne' rifacimenti ulteriori, conforme la concezione dello
spirito di carità e di candore di questo personaggio, — via via più
chiara e più alta^ — che, come abbiam visto, s'era venuta formando
nella coscienza poetica del Manzoni. Al comando, detto « con tuono
minaccioso » dal tiranno, di lasciarsi vedere nel viso che l'infelice
teneva nascosto tra le mani, ella aveva un immediato scatto d' « in-
dignazione disperata », mista a paura; la prima forte battuta della
scena suonava in quelle parole : — « Che male gli ho fatto io » ? —
Quel viso, al primo incontrarsi e osservarsi tra l'oppressa e l'op-
pressore, ci ritorna dinanzi, nell' ultima forma dell' episodio, ma
« turbato dall'accoramento e dal terrore », e le prime parole di
Lucia, dette con lo sguardo atterrato, suonano diversamente : * Son
qui: m'ammazzi». Dirà, sì, anche le altre: « perchè mi fa patire
le pene dell'inferno? Cosa le ho fatto io »? con quel medesimo
misto di paura e di «sicurezza dell'indignazione disperata»; ma
dopo che lo sconosciuto signore le avrà ripetuto « con voce mili-
ti) Sp. proni., pp. 344-5; Prom. sii., cap. XXI, 304-5.
r^'
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 211
gata » : « non voglio farvi del male > , È una sfumatura : ma non
isfugga, nel mutato atteggiamento di Lucia al vedersi dinanzi il
suo tiranno, quel colorito di una più accorata umiltà, quel più forte
abbandono al destino che viene dalla rassegnazione cristiana; e,
considerando come quell'apostrofe franca, che ha il suono d'un' ac-
cusa perturbatrice, succede alle rassicuranti parole dell'oppressore,
non isfugga neppure la gradazione de' sentimenti e delle emozioni,
osservata con fino occhio di psicologo.
Ma che nella Lucia del primo getto ci fosse qualche nota aspra,
qualche lieve tinta torbida, qualche fuggevole tono d'austerità mi-
nacciosa che soffogava alquanto quella vivida, candida luce di carità,
cosciente e operosa anche negl'ingiusti patimenti, che emana dalla
rinnovellata Lucia del capolavoro, è provato da un altro, non meno
drammatico, dibattito del dialogo. « Oh non mi faccia più patire
così >, riprendeva Lucia: « Dio glielo potrebbe rendere un giorno ».
L'Innominato se ne risentiva, intendendo bene in quelle parole un
rinfaccio, una minaccia ; e Lucia non ne distruggeva l'impressione,
poiché alla rude domanda di lui: « Dov'è questo vostro Dio?» ri-
spondeva, più tenue sì, ma non meno severamente solenne : « E
da per tutto, è qui : è qui a vedere s' ella si muove a pietà di me^
per usarle pietà in ricambio^ un giorno ». La Lucia de' Promessi
sposi, più moderata e, quasi direi, più raccolta nel suo dolore, dice :
« Sono una povera creatura: cosa le ho fatto? In nome di Dio....»;
r Innominato interrompe con parole quasi simili a quelle della pri-
ma stesura, turbato solo dal sospetto d'essere minacciato in nome
di Dio: « Cosa pretendete con codesta vostra parola? Di farmi»?.
Al che la poveretta in un impeto d' umile carità per sé e pel suo
oppressore esce in quelle sublimi parole: « oh Signore! pretendere!
Cosa posso pretendere io meschina, se non che lei mi usi miseri-
cordia? » « Dio perdona tante cose, per un'opera di misericordia » !
Quell'ombra di profezia ammonitrice, quel richiamo aperto a Dio e
aspettante la pietà ripatrice dell'uomo, si sono dileguati: c'è sì
l'aspettazione ansiosa di Lucia, ma quello che primo suonava am-
monimento, sia pur benigno, nelle sue parole, si è sublimato in
promessa ed augurio della misericordia divina pel suo persecutore.
La figura, dunque, di Lucia^ anche in questa nuova e più dolorosa
vicenda della sua storia, s' è venuta ingrandendo e purificando at-
traverso l'elaborazione poetica che vi esercitò l'autore. Ma l'esempio
più osservabile di ricostruzione psicologica e di rifusione e purifi-
cazione fantastica è la descrizione della notte di Lucia passata nel
castello dell'Innominato, Su questo proposito scrivevo altrove: « Il
212 PARTE TERZA
Manzoni rilavorò attorno alla prima figurazione dell' angoscia e della
pia offerta di Lucia con rinnovato spirito d'indagine psicologica e
con più profonda comprensione etica di ciò che rappresentava....:
non ha fatto soltanto un lavoro di rifacimento formale, di chiari-
mento della materia, di parziali sviluppi o di parziali abbreviazioni ;
ma, rivedendo in un momento di più serena e profonda meditazione
r intimo dramma di Lucia, lo ha risentito e fantasticamente ri-
flesso in un'armonia nuova di sentimenti e d'atteggiamenti (*). Si
veda la prima parte della descrizione, dove la poveretta era assa-
lita dalle memorie de' patimenti dell' « orrenda giornata » trascorsa
e alternatamente sperando, disperando, pregando, era presa da
« una febbre violenta > che le suscitava un rimescolio, una confu-
sione d' idee, ond' era temperata, per l' oscurarsi della coscienza,
queir angoscia mortale ; e si confronti con la nuova e definitiva for-
ma, che ricevette nel romanzo (*). Il poeta — notavo — « ha ri-
composta e rifusa, rimartellata e rifoggìata la materia del primo
getto, così da raggiungere un armonico svolgimento ed equilibrio
d'impressioni, d'immaginij di linee, di luci. Nella prima foga la
fantasia, più agitata dalla materia che capace di dominarla, ha visto
come in confuso e come per momenti discontinui e aspetti fram-
mentari la realtà afiettiva, presa a rappresentare, cioè il terrore e
il dolore di Lucia ; ha intravisto, sì, il ritmo lirico di quell'angoscia^
ma non ne ha colta la vera nota dominante, che è un tragico cre-
scendo dalle « memorie dell'orribile giornata trascorsa > ai « terrori
dell' avvenire » ; ed ecco prevalere nel primo disegno del quadro i
particolari realistici, l'enumerazione analitica, quell'ansito lirico vi-
vace, sì, ma rotto, frammentario e alquanto melodrammatico de*
primi periodi e quella finale rappresentazione calda, vorticosa, con-
densata, in cui s'accendono, anzi si urtano insieme, lo spavento, la
speranza, la disperazione, la preghiera in una confusione, quasi, de'
sensi, agitati da febbre violenta (') ».
E soggiungevo: « Ha qualche cosa di veemente, di violento, nel
giro chiuso di un affannoso lirismo, questa pagina del primo getto,
che descrive l'animo di Lucia poco prima del voto. Al contrario di
moltissimi luoghi degli Sposi promessi, non ci sono stenti, né defi-
cienze di lingua, non fiacchezze corrive di linguaggio, nulla di qu«l
non so che d' informe, di grossolano e appczzato che comunemente
(1) V. Saggi cit., p. 36.
(2) Sp. prom., pp. 346-7; Prom. sp., cap. XXI, pp. 308-9.
(3) Saggi cit., pp. 37-8.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 213
presentano gli abbozzi de' capolavori e anche questo del romanzo
manzoniano nella sua forma generale; eppure è profonda, più che
non appaia, la differenza tra la prima dipintura e quella rinnovata
dall'ultima fatica dell'artista: è differenza che tocca l'intima spiri-
tualità della scena, la figurazione estetica di Lucia >. In quello stato
di febbre violenta e di parziale smarrimento della coscienza Lucia
ci pare « ideata al soffio di un romanticismo lugubre e acceso, di
cui non v' ha quasi traccia nella classicità serena, riflettentesi dalla
compiuta e definitiva forma » de' Promessi sposi.
E veramente in raffronto con la prima maniera la descrizione di
quell'angoscia notturna ha nel romanzo ordine, spirito e splen-
dore nuovi. La dirittura logica inflessibile, propria dell'arte grande
del Manzoni, ordina e conduce i trapassi dall' uno all' altro stato
d'animo, dall'uno all'altro sentimento, improntandone l'analisi di
splendida naturalezza. In quell'abbandono de' sensi, che quasi sem-
bra l'ultimo guizzo d'una vita mortale, noi sentiamo, per contro,
una preparazione ai solenni richiami dello spirito profondo : da pri-
ma una voce indefinita come « una chiamata interna » riscuote Lucia,
le fa sentire il bisogno di ripigliare la sua coscienza; ma che ne
può seguire se non una più lucida visione dell'orribile suo stato e
del suo forse più orribile avvenire? Ed ecco che come nel primo
momento s'applicava spontaneamente ai dolorosi pensieri, via via
con distinta vicenda rampollanti dall' orrore della scorsa giornata,
dallo spavento di quell'abbandono, dal terrore dell'imminente av-
venire, e si dibatteva contro di essi, ora è assalita da tutti « in una
volta, > simultaneamente, per cresciuto vigore di percezione e di
immaginazione. E' una gradazione crescente di sentimenti e di
commozioni che la fantasia meditativa del poeta ha intuita appro-
fondendo l'intimo dramma affannoso di Lucia. Questo è giunto al
supremo momento di una risoluzione necessaria: ne seguirà che o
quel cuore, preso da nessun altro desiderio che di morire, si spezzi,
o, risentendo la « misteriosa chiamata interna » onde prima s'era
scosso alla coscienza della realtà, si sollevi ad e un' improvvisa spe-
ranza » neir atto di raccogliersi nella preghiera. E Lucia prega, e
pregando sente crescere in sé la fiducia, finché « tutt'a un tratto" >
le sorge in mente l'idea del sacrifizio: fatto il voto con la nota in-
vocazione alla Madonna, si rimette a sedere a terra, più fiduciosa,
e verso l'alba s'addormenta tranquilla.
La prima stesura procedeva nella descrizione con fare più asciutto
€ frettoloso. Il raffronto delle due redazioni anche per questa parte
comprova — dicevo altrove — quale « opera dì ricostruzione, di
214 PARTE TERZA
svolgimento psicologico e di rinnovamento fantastico esercitasse il
vigile e paziente poeta attorno a queste sue pagine migliori. Ecco:
la preghiera, che è come l'alba spirituale, annunziatrice della spe-
ranza, si mescola, nella prima stesura, al tremito della persona, ai
tentativi, che fa Lucia, di ripigliare animo, agli abbandoni della di-
sperazione ; è come lo sfogo di un abitudinario bisogno dello spirito,
che partecipa dello stato generale di turbamento e d'affanno, né
per esso cessa il combattimento dell' animo, che anzi sopraffa le
forze del corpo, e la coscienza ne resta mezzo oscurata. Nell'ul-
tima stesura del romanzo quella preghiera di Lucia ha una conte-
nenza e una portata diversa: non accompagnata da altre affezioni,
interviene per prima a risolvere la crisi tragica di quell'affanno
che non lascia nell' animo atterrito altro sentimento che il desiderio
di morire: è veramente una luce nuova che la povera oppressa
accoglie in sé con piena coscienza risentendone un immediato ri-
storo neir « improvvisa speranza >. Qui la preghiera ha la forza di
un motivo psicologico svolto in tutta la sua pienezza, come non è
certamente nella minuta; ha, poi, nell'ordine armonico de' senti-
menti e delle commozioni che Lucia prova in quella notte, una
significazione morale che, se pur c'era nella mente del Manzoni,
quando immaginò nel primo disegno la prigioniera in atto di pre-
gare, vi si riflettette in modo troppo vago ed adombrato. Il significato
morale, a cui converge questo primo momento di preparazione allo
scioglimento del dramma mortalmente affannoso, è in quella nuova
forza che cresce in cuore della pregante, in quella « fiducia inde-
determinata > che è già uno stato così profondamente diverso dal
desiderio, poc' anzi sentito, di morire.
E — notiamo — ancora non è sorto il pensiero del voto.
Nella prima redazione nemmeno questo momento psicologico, della
fiducia, è a posto, essendo determinato semplicemente dal proposito di
fare il sacrifizio dell' amore: è un' impressione riflessa da un pio pen-
siero, logica sì, ma senza la freschezza sentimentale che le sarebbe
venuta dall' atto compiuto, e cioè dalla preghiera e dal voto proferito.
Dovette il Manzoni meditare o almeno, nella ricreazione fantastica,
intuire questa verità psicologica, poiché nel rifacimento, soppressa
quella relazione della fiduciosa speranza con la pura idea dell'offerta,
fé' procedre per gradazioni il mutamento dell' animo di Lucia in
accordo con gli atti ch'ella compie: così dapprima la preghiera
genera una fiducia ancora « indeterminata », ma il voto adempiuto
fa nascere poi una fiducia « più larga », riposando l'anima in « tran-
quillità » e quiete.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 215
Medesimamente quelle parole di speranza, dettele dal signore del
castello che nella prima redazione s'intromettevano « di quando in
quando » fra i dolorosi pensieri per svanire davanti alla più forte
immaginazione di un avvenire orrendo, ora più acconciamente le
tornano alla memoria e con ben altro effetto. Anche questa varia-
zione ha un valore psicologico che non poteva sfuggire all' acuto
Manzoni: non che sconvenisse quel ricordo dov'era nella prima
stesura, perchè fra le confuse memorie di quella giornata e come
per un bisogno di refrigerio in quella grande angoscia potevano
ben risorgere in mente a Lucia le parole buone dell'Innominato,
ma l'averne collocato il ricordo, nell'ultima redazione, dopo la di-
chiarazione del voto, come quello che con più viva fiducia poteva
rifiorire dall' anima tranquillata, è in perfetta coerenza col modo
nuovo con cui il Manzoni ha descritto il precedente stato di Lucia»
tutta dominata dagli « orrori veduti e sofferti » e dai « terrori del-
l'avvenire >, e conferisce a quella pur vaga, ma non vana promessa»
pel modo e il momento in cui è rievocata, un significato profondo,
come se un misterioso vincolo, preparato dalla Provvidenza, legasse
quel « domattina > con la solennità del voto e con la nuova fiducia
eh' è entrata nell'animo di Lucia. E che a questo mirasse il grande
poeta cristiano s'intende da ciò ch'egli ha aggiunto: « le parve di
sentire in quella parola una promessa di salvazione ».
Il finale della descrizione è anche più sostanzialmente diverso
nelle due redazioni. Lucia, nella prima, dopo il voto si sentiva, sì,
« come racconsolata », ma passava * il resto della notte in un le-
targo febbrile, interrotto da sussulti e da vaneggiamenti ». E questo
un tratto d' impeccabile coerenza artistica col resto della rappresen-
tazione, poiché la « febbre violenta », ond'eran prese le forze del
corpo, e la sovraeccitazione della mente non potevano che spossarsi
in un letargo febbrile. Ma nell' ultima redazione, modificato lo stato
psicologico, così che l' angoscia di quella poveretta non si acuisca
nello spasimo della febbre e delle forti immaginazioni, ma quasi
s'acquieti in un accorato desiderio di morte, il Manzoni sapiente-
mente mutò gli effetti della preghiera e del voto, sostituendo ai
vaneggiamenti e ai sussulti un'improvvisa e quasi sacra pace dello
spirito, un lene riposo de' sensi in « un sonno perfetto e continuo » :
pace e riposo che riempiono di pia solennità quel luogo e quel-
r anima nel declinar della notte e fanno presentire la maestà divina
di un grande evento al levarsi del nuovo sole ».
Il risveglio di Lucia è descritto nell'una e nell'altra redazione in
modo conforme alla rappresentazione di quell'orribile notte: nella
216 PARTE TERZA
prima ella non ci appariva desta perfettamente da quel e letargo
agitato da sogni tormentosi e da risvegliamenti più tormentosi an-
cora > ; nella seconda si risente a poco a poco, ma infine si desta
tutta dal « sonno » e, se « torbide visioni » aveva avuto dormendo,
tuttavia ritorna faticosamente sì, ma con chiara e viva coscienza,
alle memorie e alle immagini della trista realtà, mentre nella prima
perdurava la sovraeccitazione febbrile anche dopo il risveglio —
« le memorie, i timori, le speranze si agitavano e si succedevano
nella sua mente con quell'impeto volubile, con quel vigore incerto
dei sogni > — , e lo stato d'abbattimento e d'estenuazione pei « tra-
vagli», il « digiuno > e la «febbre» « non concedevano allo spirito
il pieno esercizio della coscienza, È codesta una Lucia, ideata, direi
quasi, al soffio di un romanticismo lugubre e acceso, figurata con
l'arte piuttosto ansiosa di gettar nel quadro colori forti e di scolpire
in risentiti rilievi che non intesa a spargervi fasci di luce e a su-
scitarne luminosi riverberi.
A questo intese il Manzoni nel riatteggiare con classica arte se-
rena Lucia destatasi dal sonno « continuo e perfetto » , in cui dopo
il voto s'erano acquietati i sensi « afiaticati da tanta guerra ». È un
soffio nuovo di spiritualità che, involgendo la figura dell'oppressa,
la rende nella sua calma dolorosa più alta e solenne. A fermare in
pieno e perfetto rilievo questa più pura e più sacra tragicità di
Lucia il Manzoni non riprodusse più nel rifacimento dell' episodio
le sguaiataggini triviali con cui la vecchia nella prima stesura la
tentava e istigava a prendere un po' di cibo e la scurrile scena
dell'allegro banchettare eh' ella faceva al sorger del giorno, mentre
Lucia se ne stava smarrita e rannicchiata nel suo cantuccio (*).
Oltre che nuocere, con 1' effetto di un troppo stridente e volgare
contrasto, al carattere della scena profondamente dolorosa, erano
inutili particolarità di un grossolano e crudo realismo che, a prima
giunta, il Manzoni aveva immaginato per fare ostentazione di scru-
polosa osservanza della storia e di fedeltà al finto manoscritto del-
l'Anonimo, che diceva appunto, quasi a discolpa di quelle lungag-
gini, di voler seguire « in tutto ciò che può essere una rappresen-
tazione del costume » ('). E medesimamente quella digressione sui
casi passati e sull'animo della vecchia — acuta e robusta analisi
psicologica, per alcune parti, ma in altre troppo carica di dettagli
biografici e folta d'elementi secondari — , la quale cadeva dopo la
(1) Sp. ptom., pp. 396-8, 402.
(2) Sp. prom., p. 397.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 217
descrizione del risveglio di Lucia, non riappare più in quel luogo,
ma, ridotta in forma più succinta e più limpida, è collocata in luogo
più opportuno, alquante pagine addietro, al principio del cap. XX,
quando l'Innominato dà alla vecchia serva l'incarico di andare
incontro alla carrozza e di accogliere con sé nella lettiga e confor-
tare la giovane rapita. Così che il cominciamento della scena della
liberazione, sfrondato di quel materiale impacciante e faor di luogo,
procede breve e rapido nel testo rinnovato, portandoci innanzi netta
e dominante la figura di Lucia, più animata di speranza e di fede
nella sua salvezza che non apparisse nella minata, in un atteggia-
mento vivamente risoluto («io voglio andar via da mia madre, su-
bito, subito » dice Lucia con gran forza), che le conviene perfetta-
mente, ora che nel chiaro risveglio de' sensi e della coscienza si
ricorda di quel « domattina », dettole dal signore la sera innanzi^
e ode le nuove parole della vecchia che non leggiamo nella prima
redazione: « È uscito; m'ha detto che tornerà presto, e che farà tutto
quel che volete » (*).
*
* *
VL La scena successiva della liberazione, che nel testo definitivo,
spogliata d'inutili e inopportuni particolari dialogici, procede rapida
e lucida nella figurazione dello stupore e dell' ansia di Lucia, della
dolce pietà della « buona donna », della discreta premura di don
Abbondio, ci presenta, sulla fine — com'è noto — , l'uno di fronte
all'altra, l'Innominato e Lucia: delicato, profondo nella sua so-
brietà d'atti e di parole, codesto episodio del perdono, nel quale il
signore convertito grandeggia nella purificatrice luce d' una contri-
zione latta d'angoscia e d'umiltà né Lucia é meno sapientemente
ritratta nell' ingenua vicenda di opposti sentimenti e commozioni
che la conturbano e l'esaltano : onde ora che ha « veduti visi e sen-
tite voci amiche » , prova un « subitaneo ribrezzo » nel ritrovarsi
dinanzi queir uomo, mentre « poco prima lo desiderava, anzi, non
avendo speranza in altra cosa del mondo, non desiderava che lui »,
e si stringe alla donna e le nasconde il viso in seno. Ma, poi, sol-
lecitata, incorata dai presenti, alza la testa e guarda il grande pentito;
e, « vedendo bassa quella fronte, atterrato e confuso quello sguardo »,
udendo l'invocazione accorata di lui: «perdonatemi»!, tutta «presa
da un misto sentimento di conforto, di riconoscenza e di pietà »,
(1) Prom. sp., cap. XXIV, p. 341.
218 PARTE TERZA
esclama: « oh, il mio signore! Dio le renda merito della sua mise-
ricordia » (*) ! A questo punto tornano in mente la implorazioni di
Lucia rivolte al suo tiranno la sera innanzi, e quelle sue soavi parole:
« Dio perdona tante cose per un' opera di misericordia » !, dette con
accento di speranza per sé e di carità pel suo oppressore; e s'in-
tende che nella mente del Manzoni il secondo incontro si colléga
idealmente al primo, e ne è, ad un tempo, integrazione ed effetto
nel progressivo svolgimento psicologico del dramma che involge,
indissolubilmente connesse, la sorte di Lucia e quella dell'Inno-
minato e che culmina nella liberazione dell' oppressa e nella con-
versione dell'oppressore. L'invocata liberazione é conseguita: ma,
se è riparazione a un grave torto nel concetto morale della giustizia
umana e divina, è opera di misericordia secondo il sentimento di
carità che irraggia — come vedemmo — dall'anima di Lucia, quale
ci appare nell'ultima forma del romanzo.
Per dare compiutezza estetica a codesto fondamentale carattere
psicologico del suo personaggio, non meno che per la ragione ac-
cennata di stretta colleganza ideale tra la scena delle implorazioni
e quella del perdono, il Manzoni ha immaginato che sulla soglia
stessa della prigione, nell'atto stesso della liberazione, nel punto
solenne che il voto viene esaudito e la giustizia trionfa^ Lucia si
trovi dinanzi il suo oppressore confuso e invocante perdono e che
noo solo apra il cuore al consenso del perdono, in quelle umili e
significative parole : « oh, il mio signore » !, ma circonfonda della sua
carità il pentito esaltando l'opera riparatrice come adempimento della
misericordia implorata.
L'anima bella di Lucia, che, vinto l'umano istinto del « subitaneo
ribrezzo», si china, ardente di «riconoscenza» e di < pietà», su
quella dell'Innominato, travagliata dall'orrore del peccato, dall'ansia
dell'espiazione, è la sublime immagine della carità, che non s'inor-
goglisce sul potente umiliato, ma la circonda di letizia e di gratitu-
dine fraterna. Se il Manzoni rimeditando l'opera sua ha avvertito —
com' io penso — tra i due momenti, della liberazione di Lucia e del
richiesto e dato perdono, un intimo legame di dipendenza immediata
e consecutiva e una ragione comune di opportuno sviluppo de' ca-
ratteri e dell'azione, avrà rilevato che l'avere posta, come aveva
fatto nella prima stesura, la scena del perdono alquanti giorni dopo,
quando Lucia era ormai tornfita al suo paese, ed erano intercorsi
vari avvenimenti, spezzava quell'unità psicologica e drammatica delle
(1) IMd., pp. 342-3.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 219
due scene che, per contro, nel nuovo testo spicca luminosamente.
Quanta spontaneità e semplicità nel contegno di ambedue i perso-
naggi in azione presenta la scena nuova! nell'Innominato che, fer-
mo dietro l'uscio, segue col cuore ansioso, quasi direi, intravede le
nuove commozioni di Lucia, colpita dall'improvvisa apparizione di
una donna dal volto pietoso e di don Abbondio, « anche lui tutto
compassionevole >, poi riconfortata dall'annunzio della liberazione,
e che, non sapendo contener l'impeto del rimorso, l'impulso della
compunzione, s'avanza anche lui, come sospinto da una divina forza
irresistibile, e scoppia nell' invocazione accorata del perdono ; in
Lucia, che, conturbata da opposte affezioni, guarda l'Innominato,
ne intende l'angoscia profonda e, in un impeto non meno irresistibile
di tenerezza cristiana, gli ristora l'anima con gli accenti della pììi
pura carità. Nulla di studiato né di preconcetto in codesta scena
fragrante d' umanità : non vi senti alcuna intenzione manifesta di
edificazione religiosa, non volute tendenze moraleggianti : è lo svol-
gimento conseguente di una situazione naturale, nella forma estetica
consentanea a sentimenti messi in moto vivo e rapido dallo stesso
rapido corso delle cose.
Quanto diversamente concepita era nella prima redazione!
Il conte, (ovverosia l' Innominato) si presentava a dire a Federigo
che in quel « giorno di festa singolare » pel paese di Lucia, a lui
neir « allegrezza comune » conveniva fare una « parte ben diversa
da tutti gli altri », quella di andare ad umiliarsi dinanzi alla gio-
vane, a ricevere dalla « bocca innocente » di lei de' rimproveri che
gli servirebbero « in parte ad espiare » la sua iniquità. E nella ca-
setta di Lucia aveva luogo la scena della riparazione e del perdono.
Quale ne è il significato? Quale l'intenzione dell'autore nel farla
avvenir© in quel luogo e in quel giorno? Ce lo fa sapere per bocca
del cardinal Federigo, che, nell' accogliere con gioia la proposta del
convertito, rifletteva che conveniva una « riparazione pubblica e
clamorosa » , come quella che avrebbe rassicurata e quasi resa sacra,
dinanzi al mondo, la persona di Lucia, se mai don Rodrigo fosse
tornato a' suoi scellerati disegni; sarebbe stata « un progresso nel
bene e una consolazione nello stesso tempo », per l'Innominato,
un « conforto », un « rincoramento » per Lucia allo « spettacolo della
forza umiliata volontariamente », un segno « del trionfo della pietà»
a « edificazione dei buoni » (*). Troppo influiva in codesta primitiva
concezione dell'episodio il moralismo religioso dell'autore più che
(1) Sp. prom., pp. 457-8.
220 PARTE TERZA
ragioni d' analisi e di rappresentazione drammatica : troppo mani-
festo era lo scopo d'offrire uno spettacolo solenne della superbia
prostrata dinanzi all'innocenza; troppo insistente la cura, quale
appare anche da altri episodi e particolari, di ritrarre in ogni sua
contingenza la nuova vita di espiazione e di pietà del potente ban-
dito. La tesi morale preoccupava lo scrittore cristiano più che lo
studio sereno delle anime; anzi dalla soave fragranza del breve
colloquio del conte col cardinale, dal presentarci il conte che « cam-
minava », avviato alla casa di Lucia, « tra una folla di spettatori »
« ad occhi bassi, e col vólto infiammato, tutto compunto e tutto
esaltato » (*), dalle riflessioni pie, onde l'autore commentava quel-
r avvenimento (*), da una nota giudiziosa del Visconti (') risulta
abbastanza chiara l'intenzione ascetica della primitiva redazione
dell'episodio. E conforme codesto spirito ascetico era svolta la scena
del perdono, che terminava con la donazione di dugento doppie
d'oro (il prezzo della complicità, pattuito con don Rodrigo!), fatta
dal conte in persona a Lucia. Che era mai quel dialogo a quattro
nel quale Lucia e il conte avevano le prime parti e don Abbondio
e Agnese le secondarie ? Una scenetta che non mancava di qualche
dolcezza e di un po' di garbo, metteva discretamente in azione i
vari caratteri de' personaggi, e dava massimamente un colore spic-
cato all' umiltà e alla riguardosa verecondia di Lucia; ma — a parte
quel non so che di fanciullesco, di peritoso, di languido che era
nel contegno del conte — Lucia stessa non vi faceva che la figura
di una buona figliuola^ anche troppo loquace nel concedere il per-
ii) Sp. prora. , pp. 456, 457.
(2) « La forza che, spontanea non vinta, non trascinata, non minacciata, si abbassa
dinanzi alla giustizia, che riconosce nella innocenza debole un potere, e domanda
grazia da essa, è un fenomeno tanto bello e tanto raro che beato chi può ammirarlo
una volta in sua vita. Quei buoni terrieri (in quel momento erano tutti buoni) non
si saziavano di guardare il Conte, lo seguivano, lo circondavano in tumulto, lo col-
mavano di benedizioni. Tanta è la bellezza della giustizia! per tarda ch'ella sia, in-
namora sempre quando è volontaria: quelli, che dopo aver fatti patire gli uomini si
vendicano dell'odio loro che gli tormenta col fargli patire ancor più, non pensano
che quell'odio è pronto a cangiarsi in favore [in una variante leggesi amore], in ri-
conoscenza, al momento che una risoluzione pietosa, un ravvedimento anche senza
confessione faccia cessare i patimenti » (ivi). In queste ultime riflessioni c'è il germe
de' sentimenti e delle sublimi parole con cui Lucia accoglie il pentimento dell'Inno-
minato nel rinnovato episodio dell'ultima redazione.
(3) A proposito del colloquio del conte con Federigo osservava: «Lascerei questi
due punti: non bisogna poi esser prodigo di riflessioni ascetiche in un Romanzo.
Anche per l'edificazione de' Lettori, (non ridere tu, sebbene io rida di me stesso) è
meglio presentare più che si può con disinvoltura le idee cristiane * (Sp. prom.,
p. 456, n. 6).
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 221
dono (^), e gran parte dell'effetto di quella gara di umiltà tra lei
e il signore del castello andava perduta pel prolungarsi di quel-
l'ameno contrasto tra il conte che voleva compensare la giovane
con un benefizio, questa che se ne schermiva, Agnese che, al con-
trario, faceva buon viso alla fortuna e don Abbondio che se ne
rallegrava, augurandosi qualcosa di simile da parte del suo perse-
cutore ('). Una lieve venatura d'umorismo s'infiltrava nella voluta
gravità della scena, ma era un umorismo alquanto grossolano, anche
se serviva a dipingere il carattere di Agnese, più positiva della figlia,
e di don Abbondio sempre piagnucoloso per le sue disavventure.
Ma non era questo che avrebbe tolto splendore e grandezza alla
scena della riparazione e del perdono, se veramente ne avesse avuto ;
gli è che in quel novello colloquio di Lucia e del signore non ri-
saltava in potente rilievo né la forte pietà religiosa dell'oppressa,
né l'ansiosa passione espiatrice dell'oppressore. Altro sviluppo de'
caratteri, altro svolgimento d'azione drammatica si richiedevano a
rappresentar l'epica grandezza di un così bel dramma cristiano:
questo il Manzoni raggiunse col rimutar radicalmente l'episodio nel
modo che abbiamo testé esaminato.
*
* *
VII, La figura morale di Lucia nel racconto degli avvenimenti
che seguirono alla sua liberazione, é atteggiata nel romanzo con
poco divario dalla primitiva dipintura dell' abbozzo ; ma variano
alcune circostanze e ha nuovo e maggiore sviluppo l'analisi de'
suoi sentimenti ed affetti ; ond'ella ne esce — come ora vedremo —
con qualche nota in piìi di gentile nobiltà, di spontanea delicatezza
(1) Rispondeva al conte: «S'io le perdono! Dio s'è servito di lei per salvarmi.
Io ero nelle unghie di chi mi voleva perdere, e me ne sono uscita col suo aiuto. Dal
momento ch'ella m'è parsa innanzi, sentiva in cuore qualche cosa che mi diceva
ch'ella mi avrebbe fatto del bene. Cosi Dio mi perdoni, come io le perdono» (Sp. prom.,
p. 458).
(2) Agnese consentiva col vólto alle insistenze del conte; avuto il rotolo, a lui
diceva: « Grazie » e alla figlia: « e tu ora non parli bene. Questo signore lo fa pel bene
dell'anima sua; e noi poveri non dobbiamo essere superbi». Svolto il rotolo, escla-
mava: «Oro»!. Don Abbondio soggiungeva: «Vostra madre ha ragione: accettate
quello che Dio vi manda, e se vorrete farne del bene, non mancheranno occasioni.
Così facessero tutti! Così Iddio toccasse il cuore a qualchedun altro, e gli ispirasse
di compensare anche me povero prete, delle spese che ho dovuto fare in medicine per
quella maledetta» Voleva dire — paura — ma ebbe paura di parlare imprudente-
mente e si fermò ». (Sp. prom., p. 459). Cotale uscita del curato era una goffaggine
insipida: si spiega con la primitiva concezione eccessivamente comica di questo per-
sonaggio.
222 PARTE TERZA
e di austera pietà. Già vi era un difetto capitale nel primo disegno :
mancava quel piccolo ambiente vivo e vario di minori figure, quello
sfondo animato di colori e di luci, quel tenue affollarsi di cose e
d'anime domesticamente simpatiche che s'addiceva alla nuova con-
dizione di Lucia, passata dall'angoscia e dalla gioia della libera-
zione, dalle immagini del terrore alle sensazioni del riposo e della
tenerezza cordiale. Il pathos tragico delle scene precedenti s'era
dileguato per dar luogo a più riposate e dolci visioni e il giubilo
universale in quel giorno festivo, accresciuto dalla gran conversione
di un temuto oppressore e dalla salvezza di un'oppressa, doveva
fervere intorno alla liberata in voci e atti giocondi e gentili : alla
crudele tragedia spiccante nelle tre figure, di Lucia « squallida,
sbattuta, affannata », dell'Innominato, truce e inquieto, della vecchia
carceriera, brutta e ringhiosa, era logico succedesse la commedia
gioiosa e soave, in cui è legge dell' arte suscitar movimento d'azione
e sceneggiare la vita nella sua bella varietà di temperamenti e di
caratteri e a tutto dare anima e luce nell'abbondanza vivace del
dialogo.
Nella prima stesura codesto ambiente non e' era, e la « buona
donna » e il marito di lei, un Tommaso Dalceppo che si trasformerà
poi nella immortale macchietta del sarto del villaggio, non avevano
anima e vita. Succintamente descritte le accoglienze e la modesta
refezione che Lucia riceveva da quei due buoni coniugi, detto in
breve come il Dalceppo, tornato tutto entusiasta della predica del
cardinale, godesse dell'essere stata prescelta sua moglie a quel pie-
toso ufficio, commovendosi ai casi di Lucia, e corresse, dopo aver
ingollato « un boccone in piedi », al paesello di Agnese, per con-
durla dalla figlia, il Manzoni faceva che Lucia, per offerta dell'ospite,
si ritirasse in un'altra stanza, rimanendo « soletta » co' suoi pensieri,
fino all' arrivo della madre (*). Poi con quasi eguale frettolosità
descriveva il sospirato incontro con Agnese e il loro colloquio, in-
terrotto dall'avviso che il cardinale voleva vedere la buona donna
e Lucia ; proseguiva col riferire le inchieste discrete, fatte alla
giovine da Federigo in casa del curato di Chiuso intorno alle sue
vicende, i ringraziamenti largiti, insieme col dono di uh ornato
libretto d'orazioni e di un rosario prezioso alla buona donna, e i
conforti dati ad Agnese (*). Se si tolga un buon pezzo di dialogo,
in cui Agnese usciva a dire : « Già la colpa in gran parte è del
(1) Sp. prom., pp. 41G-9.
(2) Sp. proni., pp. 420-22.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 223
signor Curato » e il Cardinale domandava : « Come ? di che Curato ? >
e quella rispondeva senz'altro: «Oh bella! del nostro >, tutto il
resto era narrato, non presentato ne' discorsi e ne' dialoghi de' per-
sonaggi come nell'ultima redazione; il che toglieva ogni valore
drammatico alle tre scene delle accoglienze di Lucia in casa del
sarto, dell' incontro di Lucia con la madre, dell' interrogatorio del
cardinale. Queir affaccendarsi premuroso della buona donna, per
preparar qualche cosa da ristorar Lucia, quella « certa rustichezza
cordiale » con cui questa risponde, il cappone al fuoco, la scodella
di brodo, il riaversi della poveretta a ogni cucchiaiata, i confidenti
discorsi della padrona di casa sulla discreta agiatezza della famiglia
e sui poveri, che per loro in quel giorno speravano di buscar qual-
cosa dalla carità di Federigo (*) ; tutto ciò — altri ha detto egregia-
mente — fa « un po' d'idillio che riposa e rallegra il lettore » (^).
V'è poi il ritorno della famigliola dalla chiesa, il modesto pranzetto
che si godono insieme con l'ospite cara, l'atto caritatevole del sarto
di mandare un po' di cibo caldo e di vino alla povera vedova Maria,
il pio entusiasmo di lui nel descriver la festa di quel giorno e mas-
simamente la predica del cardinale fra le interruzioni vivaci e sa-
putelle de' bambini: è codesto un pittoresco quadro di caratteri e
di costumi condotto con viva arte spontanea, nel quale — secondo
l'arguto giudizio del medesimo critico — « l'umor gaio del Man-
zoni, il suo talento d'osservatore, la sua pittorica fantasia, il suo
buon cuore, fanno veramente baldoria insieme » (^). E come la
stessa intima doglia di Lucia dalla felice elaborazione di queste
scene, fragranti di domestica intimità, ha guadagnato di perspicuità
e d'efficacia!
Nella prima stesura, all' infuori degli aridi accenni alle cure pro-
digatele dalla buona donna e alle « nuove parole di riconoscenza »
con cui accetta l' invito di ritirarsi a riposare, Lucia appare quasi
quasi solitaria in quella casa ospitale, tanto è smorto e vacuo l'am-
biente che la circonda, sola con la sua gioia « alterata continuamente
dalle rimembranza recenti e dai pensieri dell' avvenire » (^). Si vede
che il Manzoni nella primitiva concezione dell' episodio non era
preso che dalla cura di analizzare lo stato d' animo di Lucia, di
studiarne le commozioni nuove in confronto coi mali passati, il tre-
pido pensiero che don Rodrigo tornerebbe forse alle persecuzioni,
(1) Prom. sp., cap. XXIV, pp. 348-9.
(2) F. D'Ovidio, N. st. manz. cit., p. 552.
(3) Ivi.
(4) Sp. prom., p. 418.
224 PARTE TERZA
il ricordo, non meno penoso, del voto, misto ad un senso di penti-
mento^ che non voleva confessare, che anzi combatteva come « or-
ribile sconoscenza », il pensiero di Renzo, che la tentava come un
rimedio a tutte le difficoltà e le amarezze del passato, ma che do-
veva sempre respingere, come « quasi un delitto > (').
Ma anche codesta analisi procedeva alquanto affastellata, e a tinte
torbide e gravi: il rammarico pel voto e il rimorso immediato del
rammaricarsene dopo la grazia ottenuta erano si rappresentati con
vivo rilievo, ma non approfonditi con la finezza consueta all' arte
matura del Manzoni, né erano quelle, come, invece, dovevano essere,
le affezioni più vive di quel momento, poiché con pari attenzione
il Manzoni analizzava la parca gioia di Lucia per 1' « inaspettata
salute di quel giorno », ma turbata dal risorgere di amari e trepidi
pensieri rimasti « sepolti e come soffocati » quando l'animo era oc-
cupato da una più « grande sciagura ». Belle riflessioni, certamente,
sul variar delle nostre gioie a seconda de' mali e de' pericoli, che
attestavano le pronte attitudini del Manzoni all'osservazione psico-
logica e la sua sicura conoscenza del cuore umano ; ma ne derivava
che in minor luce risaltasse quello che, per riflesso della gioia stessa
della liberazione e delle nuove sensazioni, offerte da quell'idillica
giocondità d'ambiente, doveva essere lo stato d'animo^ non diremo
unico, ma certamente dominante in Lucia, lo sgomento del voto.
S' accorse il Manzoni di tale sproporzione psicologica ed estetica
nel rielaborare questa pagina del romanzo ? Pare di sì, poiché in
quella profondamente rinnovata analisi dell'inquietudine di Lucia
non campeggia altro sentimento, altro ricordo che quello del voto,
non r amareggia altra commozione che il combattuto sentimento
dell' irreparabile offerta. Dove nella prima redazione con certa in-
cresciosa succession cronologica il poeta esaminava da prima quel
vago stato di lei tra lieto e tristo pei dolori sofferti, poi quell'appren-
sione, acuita da sinistre immaginazioni, per la sicurezza avvenire,
quindi il rammarichio del voto e infine la rimembranza di Renzo,
ond'ella si ritraeva sgomenta come da un malefizio, e ce la presentava
in questa vicenda di ricordi e di affetti tutta sola — come dicevamo —
e chiusa nella stanza offertale dalla buona donna, nel nuovo testo, per
contro, la troviamo in mezzo ai famigliari del sarto, commoversi ai
discorsi e agli atti loro, ricevere dalle circostanze esteriori, che viva-
mente r imprcHsionano, eccitamenti a risentire in guise diverse la me-
moria del voto e le molteplici affezioni che vi si accompagnano. Nel
(1) Sp. prom., pp. 418-9.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 225
rassettarsi le trecce e il fazzoletto sul seno e intorno al collo, le dita
s'intralciano nella corona messaci la notte avanti, lo sguardo vi
corre, ed ecco si fa « nella mente un tumulto istantaneo ». « La
memoria del voto, oppressa fino allora e soffogata da tante sensa-
zioni presenti, vi si suscitò d'improvviso, e vi comparve chiara e
distinta » (*). A quella memoria la corona era associata indissolu-
bilmente, poiché Lucia se n'era cinto il collo, dopo il voto in quella
notte terribile, « quasi come un segno di consacrazione, e una sal-
vaguardia a un tempo, come un'armatura della nuova milizia a cui
s' era ascritta » ("^). E attorno a quel pio simbolo della fede e del
sacrifizio di lei fa il Manzoni che le risorga nella memoria, dopo
il ricordo del voto, tutta la passione di quella notte. Non subito
però; ma dopo che quel ricordo le ha fatto provare tale costerna-
zione da esclamar tra sé : « oh povera me, cos' ho fatto » !
Mirabile svolgimento ed intreccio di motivi, di commozioni, di
rappresentazioni, in cui si rinnova il dramma intimo di Lucia, di
tragico fatto elegiaco, meno grandiosamente epico che nella notte
del terrore, ma più profondamente delicato e irrimediabilmente tor-
mentoso. E che lo stesso Manzoni, rimeditando con nuovo vigore
fantastico il tumulto d'affetti che assale Lucia al ridestarsi del pen-
siero del voto in quella dolce casa ospitale, v'intuisse la forza di
un travaglio d'alto rilievo drammatico, lo fa intendere da quelle
parole : « se queir animo non fosse stato così preparato da una vita
d'innocenza, di fiducia, la costernazione che provò in quel momento,
sarebbe stata disperazione » (^).
Alla Lucia manzoniana, massime nella forma piti nobilmente ele-
vata, a cui r inalzò il poeta nella rielaborazione successiva alla prima
prova, non conviene il volto tragico delle passioni violente, qua-
lunque ne sia il turbamento dell'animo, di terrore mortale, come
quand' era in balìa de' perversi, o di rimpianto penoso, cóme è ora
che non la tormenta che il pentimento del voto. L' arte grande del
Manzoni rifugge dai modi patetici e fragorosi e, se pur anima di
.spirito tragico le rappresentazioni della realtà idealizzata, ne esprime
i fecondi motivi con quella temperata e composta energia che suole
esser più efficace che appariscente. Ecco perchè la costernazione di
Lucia in quel momento non ha la veemenza de' dolori disperati.
Osserviamo le gradazioni e le vicende dell' intima lotta ch'ella com-
(1) Prom. sp., cap. XXIV, p. 349.
(2) Prom. sp., XXI, p. 309.
(3) Prom. sp., cap. XXIV, p. 349.
Busetto — 15
226 PARTE TERZA
batte. Alla vista della corona, conservatrice della pia offerta fatta
alla Madonna, non le si suscita in mente che la memoria dell'atto
eh' ella aveva compiuto : è una prima e immediata rappresentazione
del fatto; nulla più: è naturale, quindi, che le ravvivate potenze
della sua giovane vita, il raccolto godimento della libertà riacqui-
stata, le grate e tenere impressioni della pietà ond'è circondata
reagiscano a quel ricordo doloroso, poiché nel rifiorir della vita ci
repugna l' idea di dover perdere ciò che si ha di più caro al mondo.
Ma poi a quella rappresentazione nel pensiero s'associano le conco-
mitanti condizioni del solenne sacrifizio: «l'angoscia intollerabile, il
non avere una speranza di soccorso, il fervore della preghiera, la
pienezza del sentimento con cui la promessa era stata fatta > ; e
allora, pel concorso di nuovi motivi psicologici, quel voto è da lei
risentito anche nel valore morale che vi aveva aggiunto nel farlo.
Il primitivo moto tumultuoso del cuore si placa in una profonda e
calda meditazione: la coscienza morale s'aderge sull'onda de' sen-
timenti e perciò il pentirsi del voto le pare ingratitudine sacrilega,
e motivo « di nuove e più terribili sventure », e la volontà, deliberata
a vincere gì' impulsi del cuore, devotamente conferma, rinnova il
voto. Ma se la volontà, così nuovamente agguerrita, tiene il campo,
non è vinto ancora il sentimento doloroso del grande sacrifizio,
onde la poveretta fa quella supplicazione accorata che le sia con-
cessa « la forza d'adempierlo», che le siano « risparmiati i pensieri
e r occasioni », le quali potrebbero, « se non ismovere il suo animo,
agitarlo troppo » (*). Come si vede, il Manzoni ha intuito con sguar-
do profondo e rappresentato con sapiente varietà d'ombre e di luci
il graduale trapasso dell'animo di Lucia dalla subitanea e sgomen-
tatrice memoria del voto alla riconferma piamente risoluta di esso ;
ma in quell'accoramento della preghiera ha nel tempo stesso la-
sciato intravedere che il cuore non concederà lunga tregua alla
coscienza fortificata. Divinazione stupenda, che l'anima, la quale,
per quanto presidiata di cristiana virtù, non ha potuto, al ricordo
di un obbligo, tenuto per sacro, trattenere la voce del rammarico,
invano s'illude d'essere uscita dal combattimento. È un moto del-
l'animo, che, mentre ella trova buon motivo di fiducia e rassegna-
zione nel considerare che la lontananza di Renzo, senza probabilità
di ritorno, fosse una disposizione della Provvidenza coordinata al
fine del mantenimento del voto, erompe e ripiglia il vigore del pri-
mo sgomento, appena che ella vorrebbe confidare che Renzo non.
(1) Ivi.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 227
pensasse più a lei. L'immagine del fidanzato, i ricordi di un fido
amore, lo strazio di quel poveretto rifluiscono dal cuore e urtano
contro la volontà, raflFermatrice del voto : non la sopraffanno, ma la
lotta — noi ben l'avvertiamo — non è finita. Questo stato di sospen-
sione e di contenuta amarezza che vedremo perpetuarsi come uno
stato cronico in Lucia, è tutto in quella finale pennellata gagliarda
e armoniosa : « la povera Lucia, sentendo che il cuore era lì lì per
pentirsi, ritornò alla preghiera, alla conferma, al combattimento, dal
quale s'alzò, se ci si passa quest'espressione, come il vincitore
stanco e ferito, di sopra il nemico abbattuto : non dico ucciso > (*).
Né il Manzoni cessa, a questo punto, dalla mirabile analisi. Egli,
come dicevo, atteggia l' animo combattuto di Lucia in relazione con
le impressioni d' ambiente : il piccolo, ma intenso dramma di quel-
l' anima si svolge entro la sfera di cose così belle e varie e com-
moventi, che ne viene esso Stesso penetrato e colorito: è, così per
r indole del personaggio come per la natura della sua intima lotta,
una di quelle situazioni psicologiche in cui la vicenda di una nostra
passione seconda, per così dire, i movimenti del mondo esterno,
anche se questi non siano diretti consapevolmente a modificarla:
entra in gioco il potere suggestivo del male o del bene, quello sulle
anime fiacche e grette, questo sulle anime forti e pure. Ecco Lucia :
i discorsi piamente entusiastici del buon sarto le danno un grande
«sollievo», l'atto caritatevole di lui le inonda il cuore di « tene-
rezza ricreatrice », ond'ella, tornando sopra i « pensieri dolorosi
di se », si trova * piti forte contro di essi » ; anzi, presa « dall'entu-
siasmo medesimo del narratore » , risente nel « pensiero stesso del
gran sacrifizio », insieme con l'amaro, « un non so che d'una gioia
austera e solenne ». L'annunzio, poi, del prossimo arrivo della madre
opera con pari potenza suggestiva di tenerezza e di calma sul suo
travaglio segreto. Si ricorda « che quella consolazione allora così
vicina, di riveder la madre, una consolazione così inaspettata poche
ore prima, era stata da lei espressamente implorata in quell'ore terri-
bili, e messa quasi come una condizione al voto » (*): dal che riceve
impulso e conforto a confermare un'altra volta la promessa e a
rinnegare un'altra volta il momentaneo pentimento.
Se ora poniamo a faccia a faccia la Lucia della prima redazione
dell'episodio fin qui esaminato e la Lucia dell'ultima definitiva, e
ne riassumiamo mentalmente le differenze, risultanti dalla duplice
(1) Ibid., p. 350.
(2) Ibid., pp. 352-3.
228 PARTE TERZA
analisi fatta, potremo concludere, come già ho rilevato esaminando
l'angoscia di Lucia prigioniera nel castello dell'Innominato, che il
Manzoni è pervenuto alla forma piena, nitida e coerente dell'ultima
rappresentazione, approfondendo nella sua coscienza di osservatore
e di poeta il motivo etico-religioso, ond'egli ha tratto la concezione
e la figurazione del carattere del suo personaggio, intendo la carità
e la fede, che ne sono gli elementi costitutivi essenziali.
Via via illuminandosi, per vigore di meditazione, codesto motivo,
vi si è appassionato il sentimento, nel quale è la genesi primordiale
d'ogni creazione artistica; e così, per quel misterioso processo onde
l'idea si trasforma in uno stato sentimentale, il Manzoni rivide Lucia,
chiusa nel suo trepido ricordo del voto, con più pura ed austera ispi-
razione nella rinnovata analisi psicologica e, seguendone il gagliardo
impulso, diede alla dolente figura un atteggiamento di piìi solenne
pietà religiosa. Questo ripensamento del motivo etico-religioso del
suo personaggio portava, per conseguenza, un maggiore sviluppo
psicologico e drammatico del carattere; il che dà ragione della piti
profonda e sottile analisi a cui il Manzoni ha sottoposto nel rifaci-
mento dell'episodio l'interno combattimento di Lucia, e, d'altra
parte, spiega perchè ne abbia eliminati certi elementi secondari ed
eterogenei (*), che distraevano dalla contemplazione di quello che
era il punto centrale del piccolo dramma : lo sgomento del voto.
Non voglio negare che la situazione, nella prima stesura, era stata
tracciata e scolpita con acume e vigore; ma aveva ancora qualche
cosa di appena sbozzato, senza quel gioco di luci e di ombre che
formano la vita perfetta del fantasma poetico. Il pensiero doloroso
del voto non assaliva d'improvviso Lucia, ma di continuo « si me-
sceva a tutti gli altri » ed era « invano respinto » : era come una
preoccupazione stabile, immobile, inflessibile : il penoso rammarico
di essersi obbligata con quella promessa non era da lei confessato,
ma durava insistente : ella lo « riprovava, ma non poteva farlo scom-
parire » (*). Lucia appariva piuttosto vinta che vincitrice nel com-
battimento ; così che la bella e nuova immagine, con cui il Manzoni
(1) Alludo all'amarezza di Lucia nel riflettere sui mezzi infami adoperati da don
Rodrigo, a' suoi timori e alle sue angustie nel pensare come ripararsi da nuove per-
secuzioni e vivere fuor del paese, alle considerazioni del Manzoni sulla nullità di
«quella promessa, fatta in un'agitazione febbrile, senza meditazione » e sull'indisso-
lubilità della precedente « promessa solenne », con cui Lucia era legata a Renzo: con-
siderazioni che snervavano il carattere di-ammatico dell'inquieto stato di Lucia e,
preparandoci in certo modo alla scena dello scioglimento dal voto, ne indebolivano
l'effetto.
(2) Sp. prom., p. 419.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 229
chiude, nell'ultima stesura, la descrizione dell'intimo travaglio di
lei, si sarebbe applicata con le parti invertite, soprastando il penti-
mento del voto, vincitore, anche se « stanco e ferito », sul sentimento
religioso, che ne restava, se non del tutto sopraffatto, « abbattuto ».
Perchè il Manzoni ha rimutata in senso opposto la situazione psi-
cologica? Perchè ha immaginato, in nuovo modo, che l'idea del
voto insorga con la subitaneità di una ricordanza eccitata da un
motivo esterno, onde l'anima, colpita all'improvviso, fosse tratta
ineluttabilmente a pentirsi della promessa fatta? Perchè Lucia quasi
-immediatamente risente « come uno spavento » di quel rammarico
e s'affretta a rinnegare la sua debolezza con un solenne rinnova-
mento del voto, e, al sentirsi poi nuovamente vacillare il cuore,
torna « alla preghiera, alle conferme, al combattimento » contro il
nemico, e se ne rileva, ferita, ma vittoriosa? Questa più alta e au-
stera rappresentazione di Lucia nasce dall'averla il Manzoni ripen-
sata con più profonda coscienza etica e religiosa, dall'avere voluto
dare — non meno che in altre situazioni già rilevate — maggiore
sviluppo e più elevata significazione alle virtù della carità e della
fede, ond' è fatta la tempra di Lucia.
C'era nella Lucia della primitiva concezione un non so che d'in-
quieto, di appassionato, di fragile, che, senza oscurarne la bella luce
morale e religiosa, raggiante dalla sua figura, vi diffondeva sopra
un lievissimo velo, che ne attenuava alquanto il fulgore: c'era come
un vago moto di sensibilità e di sentimentalità che scuoteva il suo
essere e vi suscitava qualche vibrazione romantica o qualche crudo
risalto realistico. Il Manzoni ne purificò e rattemprò la religiosità
e ne rese di conseguenza più composto, delicato, soave e forte
il carattere e più altamente poetica la figura. Anche su questo,
come su altri personaggi a cui rivolgeremo la nostra attenzione a
suo tempo, operò quel processo d' idealizzazione attraverso il quale
il Manzoni ha rilavorata tutta la materia del romanzo.
Si veda anche il diverso contegno di Lucia nell' incontro con sua
madre dall'una all'altra redazione.
Lo scarno, frettoloso, sbiadito racconto della prima stesura ha
ricevuto ampiezza, vivacità e squisitezza nuove nell' ultima. Nella
quale vediamo radicalmente mutata la circostanza concernente la
fuga di Renzo ; il che ha giovato al Manzoni per dare uno sviluppo
nuovo ai sentimenti e al carattere di Lucia, fin da quando questa
ripensa a lui nel confermare il voto. « Lucia non sapeva nulla —
sì legge nella prima redazione — della fuga di Fermo e questa
notizia che la madre le diede, le cagionò le più varie e opposte
230 PARTE TERZA
commozioni. L'assenza di Fermo era certo dolorosa per lei; ma
quando seppe ch'egli era in sicuro, provò quasi una torbida con-
solazione al pensiero che la tentazione era lontana, che l'esecuzione
del suo voto diveniva più facile, che se non altro non avrebbe cosi
presto la necessità di parlarne > (^). Nell'ultima redazione Lucia
sa^ quanto la madre, del tristo caso di Renzo e della fuga del gio-
vane nel bergamasco fin da quando, a Monza, ne avevan potuto
trarre qualche cosa dai discorsi della fattoressa e dalle notizie, man-
date loro da fra Cristoforo per mezzo del pesciaiolo di Pescarenico.
Giova esaminare con un po' d'attenzione questo piccolo episodio
aggiunto nella rielaborazione del romanzo. È una di quelle raris-
sime pagine in cui il Manzoni con la pudica sobrietà che è una
sua caratteristica nella rappresentazione dell' amore, fa sentire con
maggior vivezza di tocchi quanto forte e profondo fosse quello di
Lucia per Renzo. Quando le due donne sentono dire dalla fattoressa
che dei facinorosi catturati dopo la sommossa di Milano, uno, che
se l'era battuta per non essere impiccato, era un filatore di seta
proprio del loro paese e si chiamava Tramaglino, a Lucia cade il
lavoro di mano, impallidisce, si cambia tutta; poi la « desolata fan-
ciulla » vive più d' un giorno in affannosa incertezza sulla sorte di
Renzo, finché viene la buona notizia di fra Cristoforo che « si sa-
peva di certo che s'era messo in salvo sul bergamasco >. « Una
tale certezza — soggiunge il Manzoni — fu un gran balsamo per
Lucia : d' allora in poi le sue lagrime scorsero più facili e più dolci ;
provò maggior conforto negli sfoghi segreti con la madre; e in tutte
le sue preghiere, c'era mescolato un ringraziamento » ('). Ecco in
pochi tratti tutto l' amore di Lucia, riflesso « nell' inquietudine >
alle prime vaghe notizie, in quel subitaneo pallore e rimescolamento,
al nome di Tramaglino pronunziato dalla fattoressa, ne' commenti
tra sé, o sottovoce con Agnese, sulle « terribili parole > udite, nel
grande sollievo, che le dà la certezza dell'essersi Renzo messo in
salvo, in quelle lagrime più facili e più dolci, ne' segreti sfoghi con
la madre, nel render grazie, pregando, a Dio. Chi trova troppo tie-
pida 0 sbiadita la maniera come il Manzoni rappresenta l' amore di
Lucia veda se egli, fermo nel proposito (piuttosto morale che este-
(1) Sp. proni., p. 420. È certo che a questo punto il Manzoni aveva in mente
d'introdurre nel precedente racconto de' fatti qualche cenno sulle notizie che Agnese
aveva avute circa i casi e la fuga di Renzo, poiché, mentre qui leggiamo ch'ella ne
era informata, non troviamo nulla, nelle pagine precedenti, che ci dica il modo
com'era riuscita a saperne qualche cosa.
(2) Prom. sp., cap. XVIII, pp. 266, 267.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 231
tico) di evitare i quadri troppo vivi e suggestivi, non abbia voluto
sostituire alle analisi e alle scene dirette dell' amore la rappresen-
tazione indiretta di esso, rivelando nelle circostanze più dolorose e
più decisive quanto profondo e saldo fosse nel cuore di Lucia.
Poiché c'è un modo intimo delicato per significare l'ardore di una
nobile passione, ed è quello di scrutare qual forza di dolore o di
gioia, d' apprensione angosciosa o di soave conforto suscitino le
vicende e le sorti della persona amata; di raffigurare quel dolore
e quella gioia con l'arte sapiente che invita il lettore e lo spet-
tatore a indurre dagli effetti efficacemente espressi T intensità vi*
gorosa de' motivi.
Osserviamo questo stato d'animo di Lucia, su cui s'abbatte il fiero
annunzio de' pericoli di Renzo; consideriamo, insieme, il tormento
del suo povero cuore, dopo la liberazione nel sentirsi vincolata dal
voto, i teneri ricordi che la commovono nel doloroso addio a' suoi
monti, quel sentimento misto d'angoscia e d'orrore che l'agita nel
vedere il suo Renzo in pericolo di macchiarsi del sangue dell'of-
fensore; ne vedremo il dolore che le fanno le prediche di donna
Prassede e il dibattito penoso con Renzo, quand' ei la trova al laz-
zaretto : sono queste tutte manifestazioni indirette di quell'amore,
del quale il Manzoni non descrisse di proposito « i principi, gli
aumenti, le comunicazioni > ('); che è quanto dire, non volle dare
un' artistica rappresentazione diretta.
Alle apprensioni di Lucia per la vita di Renzo non aveva pensato
il Manzoni nella prima stesura; l'avervi fatta parte nel rifacimento
dell' opera non solo è servito a collegare i fatti tra loro con maggior
chiarezza, a svilupparne i racconti, ad offrire un bell'intreccio d'im-
pressioni e di sentimenti, ma è giovato massimamente ad ingenti-
lire l'affetto di Lucia di tenerezza soave, ad illuminarne la tempra
nelle vicende dell' ambascia e del giubilo ; il che nella prima prova
non aveva ricevuto piena e chiara espressione. Per contro, il Man-
zoni s' era abbandonato negli Sposi promessi a qualche pennellata
colorita, che rivelava in modo più appariscente che nel testo defi-
nitivo l'anima innamorata di Lucia.
Chi raffronti i due rifacimenti AelVAddio^ monti, che precedettero
r ultima e definitiva redazione ('), osserverà con qual cura il Manzoni
è venuto via via eliminando da quella pagina altamente lirica ogni
elemento erotico, che turbasse anche menomamente l'immagine di
(1) Sp. prom., p. 156.
(2) Sp. prom., App. F^ F^, pp. 806, 807, 808; Prom. sp., cap. Vili, p. 123.
232 PARTE TERZA
candore e di compostezza pudica ch'ei vagheggiava rimeditando il
suo noto principio dell'amore nell'arte. « Chi aveva composti in essi
tutti i disegni dell' avvenire » — commenta il poeta nel figurare il
dolore del distacco di Lucia da' suoi monti ; ma con più caldezza
d'espressione e più ardita intimità di sentimento dapprima aveva
scritto : « chi aveva composti e intrecciati con l' immagine di quelli
tutti i desideri dell'avvenire, d'un avvenire sospirato segretamente >.
Il passo di Renzo è il « passo aspettato», ed è frase temperata che
dice la fede del cuore, la sicurezza della dolce attesa ; ma nelle
precedenti redazioni era «l'orma desiderata» ch'esprimeva, piut-
tosto, il palpito ansioso dell'anima innamorata. Sulla « casa ancora
straniera, — diceva un rifacimento più antico — la fantasia si sof-
fermava « commossa », « intenta » e si figurava « sicura » un sog-
giorno di sposa; ma poi il colorito di questa frase, in cui era di-
pinto il caldo sogno dell'avvenire, fu via via stinto e finalmente
scomparve per dar luogo a quel tocco nuovo dell'ultima redazione:
« casa sogguardata tante volte alla sfuggita, passando, e non senza
rossore » ; nel quale non senti che il pudore delicato dell' anima
amante. Né senza qualche arditezza suonava queir ultimo commento
al devoto addio rivolto alla chiesa, « dove 1' approvazione e la be-
nedizione di Dio doveva aggiungere all'ebbrezza della gioia il gaudio
tranquillo e solenne della santità ». Vedi con qual leggerezza di
tocco, con che pudor guardingo di sentimento e di stile il poeta ha
rimutato « l'ebbrezza della gioia » nel « sospiro segreto del cuore » !
Ma più rilevante, forse, è il modo come Lucia, legata dal voto,
risente in cuor suo la lontananza di Renzo.
Già le circostanze concomitanti e la stessa disposizione di spirito
di Lucia — come abbiam visto — non erano le stesse: dapprima
le riflessioni sul fidanzato lontano venivano dopo la notizia inaspet-
tata della fuga di lui (^) ; nel romanzo rifatto le vediamo, invece,
intrecciarsi al pensiero e alla rinnovazione del voto. Mutate così le
condizioni psicologiche, ne risultava modificato anche l'atteggia-
mento di Lucia. Ma e' e qualcosa di più : la devota rassegnazione,
r umile accettazione della sapiente opera della Provvidenza, l'austero
acquietarsi dell'anima nelle ragioni imperscrutabili di essa, la fiducia
ne' compimenti di Dio, conferiscono a Lucia un carattere di forte
e gentile religiosità, di pensoso raccoglimento, di pia magnanimità,
che mancava affatto nella prima stesura. V'era, al contrario, in
questa, quel non so che d' inquieto, di torbido, d' appassionato che
(1) Sp. prom., p. 420; Prom. sp., cap. XXIV, pp. 349-50.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 233
già abbiamo avuto occasione di rilevare in altri punti del romanzo.
Perchè l'assenza di Renzo doveva esserle « certo dolorosa? >. Ci stu-
pisce questa troppo viva commozione in Lucia, che ormai si sentiva
cosi indissolubilmente stretta al voto e deliberata alla rinunzia del
suo amore: mentre è logico che le fosse « così amara», come si
legge ne' Promessi sposi, prima di aver rinunziato a « quel suo
poveretto » con la promessa alla Madonna. È una nota fuggevole
quest'empito di dolore pel giovine assente, ma, messa insieme con
altri tocchi particolari dianzi osservati, comprova che il Manzoni
non aveva ancora scorto nel carattere di Lucia, agitata tra l'amore
e l'obbligo religioso, quel motivo etico di profonda ed umile reli-
giosità, pel quale l'amore di Renzo, senz'essere punto spento dalla
nuova promessa, veniva, dirò così, umiliato nella compunzione su-
blime dell'anima, che aveva ricevuta una nuova tempra dalla con-
sacrazione di quella terribile notte. Era una banale stonatura quella
così chiaramente espressa sofferenza di Lucia — effetto della preva-
lente passione d'amore — anche rispetto all'analisi precedente della
stessa minuta, dove « il pensiero di Fermo — diceva il Manzoni —
era per lei una tentazione, quasi un delitto ». Gli è che il fantasma
poetico di questo personaggio (per dire 11 vero, il più difficile a
fissarsi, a illuminarsi fra quanti balzarono dalla sua serena e me-
ditativa fantasia) nella prima concezione e anche attraverso le prove
successive balenò alla mente del Manzoni alquanto indefinito e in-
coerente, in una tal forma ansiosa, sì, di armonizzare coi motivi
etici e sentimentali che l'avevano ispirata, ma non ancora lirica-
mente fusa con essi.
La determinatezza, la compattezza e la lucidità che venne acqui-
stando nello sforzo artistico ulteriore sono, in gran parte, l'effetto
di una più pura idealizzazione poetica di quei medesimi motivi,
onde primamente l' aveva attinto la coscienza cristiana del Manzoni.
Vedete come si trasfigura Lucia attraverso questo lavorio dell'artista
inteso ad approfondirne i motivi interiori del carattere. La « torbida
consolazione » che le dava il sapere lontano e al sicuro Renzo, si
trasforma nel devoto assenso al volere sapiente di Dio. La mente,
a cui quella lontananza non suggeriva che la considerazione di
poter con questo mezzo vincer la tentazione di rinnegare il voto,
si eleva, in un ineffabile impeto di pietà religiosa, a riconoscervi,
piuttosto, un motivo di persuasione, offertole dalla Provvidenza, circa
la necessità e la santità del voto. È vero che ne traeva argomento
a sperare più facile l'esecuzione del pio sacrifizio, ma anche in que-
sta speranza trepidava il vago sgomento della tentazione che avesse
234 PARTE TERZA
a sorgere e a prevalere. E finiva col raagro conforto che per allora
non la stringeva la necessità di rivelare il suo segreto, com'è di
chi — temendo la battaglia — si consola, intanto, che sia differita.
La minuta ci presentava Lucia in un aspetto certamente consentaneo
alla natura di morigerata e pia fanciulla, com' ella era e come molte
possono essere nella realtà della vita; ma dalla successiva trasfor-
mazione di quelle pagine è uscita un'alta figura poeticamente idea-
lizzata, in cui con la candida luce di carità e di umiltà si confon-
dono le fiamme purissime d'-un amore profondo, calmo, tenace.
Il dramma religioso, che si desta nel cuore di Lucia tornata alla
libertà, ma legata dal voto, non aveva quella solenne grandezza a
cui lo portò il Manzoni spiritualizzando con un nuovo soffio di poesia
le creature e gli avvenimenti del suo mondo storico - romanzesco ;
quel segreto travaglio d'un amore, troppo profondo per darsi vinto
del tutto nel conflitto col dovere religioso, ma fiorito in una co-
scienza cristiana, che non vive che nella legge di Dio ed è pronta
a tutte le abnegazioni, a tutti i sacrifizi per rimanervi costante, non
aveva quel vigore di raccoglimento, quella pensosa intimità di pas-
sione, guardinga di sé stessa, quella schietta sobrietà, attinta dalla
religione sentita candidamente, quel diffuso senso elegiaco che danno
alla nuova Lucia manzoniana una singoiar tempra di accorata soavità
e di semplicità delicata e gentile. Questa profonda idealizzazione
poetica — come più addietro osservavo — comincia dalla descri-
zione della notte dei terrori e del gran sacrifizio. Nelle peripezie
e nelle situazioni psicologiche precedenti — salvo alcuni ritocchi
d' intonazione più decorosa e più franca — non vi ha gran divario
nella pittura morale di Lucia tra l'una e l'altra redazione; ma dove
il Manzoni si die' a rilavorarla con nuovo vigore d'arte, con più
alto e largo spirito di meditazione, è nel punto in cui s' inizia il
vero dramma della protagonista. L'impedimento delle nozze, il fal-
lito tentativo di fra Cristoforo, la fuga dal paesello natio, la sepa-
razione da Renzo erano stati casi dolorosi, che avevano perturbata
la sua tranquilla letizia, contristati i suoi santi affetti ; ma ella con-
fidava in Dio ; avea anzi motivo di ringraziarlo per essere sfuggita
agli sgherri di don Rodrigo, e, pur guardando con tristezza all'av-
venire incerto, sentiva nella fermezza e sicurezza del suo amore e
nella speranza de' rimedi che «uole offrire il corso del tempo, un
conforto bastevole a sopportare le sue disavventure. Ma dopo il
ratto, dopo la desolazione di quella notte, dopo il voto e il sacrifizio
supremo del suo nobile amore, l'anima di Lucia reca il solco di una
profonda sventura: è cessata, forse, la minaccia de' nemici esterni,
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 235
dell'iniquità prepotente, ma ora la lotta più penosa e più terribile
si concentra nell'ambito della coscienza: quell'amore che doveva
venir benedetto e « comandato e chiamarsi santo », ora è un pen-
siero che spaventa, è un sentimento che strazia senza rimedio, è,
anzi, « un' ingratitudine sacrilega, una perfidia verso Dio e la Ma-
donna » ; la coscienza del dovere religioso s'accampa imperiosa; ma
questo potrà soggiogarlo, non sradicarlo ; l' anima assume l' aspetto
d'una rassegnazione mesta e tranquilla; ma l'armarsi di pia fortezza
non le restituirà più la pace piena e lieta ; e non le saranno risparmiati
ricordi, pensieri, occasioni formidabili di conturbamento e di strazio,
fino all' ultimo, fino a quando interverrà la parola liberatrice di fra
Cristoforo.
Il Manzoni capì che aveva posto con l'episodio del voto il germe
di un intimo dramma di coscienza ; che d'ora innanzi doveva tener
fisso lo sguardo sul segreto tumulto de' sentimenti e degli affetti,
dominato dalla disciplina della sacra promessa, seguire le vicende
di quel dolore raccolto, ritrarre con arte misurata e armoniosa, tutta
concretezza e immediatezza^ — guardandosi come dalle esagerazioni
della tendenza etico -religiosa così dalle seduzioni del patetico ro-
mantico — gli abiti e gli aspetti semplici e forti d'un' ingenua co-
scienza religiosa, lottante contro i rinascenti impulsi del cuore. È
stata là gravità stessa della nuova situazione psicologica e dram-
matica, in cui doveva spiccare nella sua individualità singolare il
carattere di Lucia, che indusse il Manzoni ad una nuova e più pura
elaborazione del personaggio, come gli avvenne di fare del carattere
e della storia di Gertrude e dell' Innominato.
Nella prima stesura quel conflitto non era fatto sentire con lar-
ghezza e precisione; la elevazione religiosa (che è, ad un tempo,
elevazione poetica) di Lucia, dopo la preghiera, dopo la promessa
e la grazia ricevuta, non appariva nella sua mesta grandezza ; quelle
sue virtù di fede, di carità, d' umiltà, onde trae la fortezza e la ras-
segnazione a tenersi ferma nel volo tra gli urti della vita e degli
affetti ancor vivi, non si rivelavano attraverso il dramma della sua
coscienza con la splendida coerenza e naturalezza confacenti al ca-
rattere di lei. Questa più alta e più pura vita psicologica e morale
a cui assurge la figura di Lucia nell' ultima redazione del romanzo,
è dovuta ad una più attenta e profonda meditazione del delicato
problema dello spirito, che la nuova situazione implicava; medesi-
mamente il Manzoni inalzò ad una possente rappresentazione epica
la figura dell' Innominato, approfondendo il gran problema spirituale
della conversione, e del pari circonfuse di maggior decoro morale
236 PARTE TERZA
l'infelice storia di Gertrude e le diede artisticamente un più rac-
colto e pensoso atteggiamento, rivivendo con più serena e benigna
coscienza il dramma della debolezza e della colpa di quella « sven-
turata ».
Sappiamo bene che queste tre grandi creature del mondo man-
zoniano hanno- un sostrato etico e speculativo profondamente diverso;
ma non è meno vero che alla meditazione e all' arte del Manzoni
s' affacciavano sotto la luce del medesimo problema umano e reli-
gioso ad un tempo ; il quale non fu senza efficacia nella loro com-
posizione psicologica e artistica. Non ci sfuggano le riflessioni del
poeta sulle consolazioni della religione cristiana a proposito della
monacazione forzata di Gertrude (^). Perchè Gertrude si travaglia
di continuo « sotto il giogo » nel rancore contro i suoi tiranni, nel
cupo «rammarico della libertà perduta», nell'inquieto « abborri-
mento dello stato presente > e, alla fatale occasione, precipita nella
colpa? Perchè non aveva l'indole e la forza di santificare il suo
martirio con la fede e la speranza in Dio. Perchè, l'Innominato si
riscatta dal peso mortale di tante scelleraggini e iniquità? Perchè,
pur attraverso una formidabile tempesta di coscienza, ha la forza
di risalire dall' abiezione alla speranza del perdono divino, di vol-
gersi « con un lieto abbandono » alle consolazioni della religione.
Perchè Lucia, dopo il voto, si riconferma nel proposito del sacri-
fizio, conseguendo una cotal calma dello spirito, che, se pur vi tre-
pida un segreto dolore, ha la solennità di una rassegnazione tenace
né di altro pensosa che di aderire con sicurezza e letizia alla nuova
vita « che si è scelta nella tragica congiuntura » di quella notte ?
Appunto perchè sa trarre dalla religione il vigore e la consolazione
che le abbisognano a vincere tutte le inquietudini, a fare « di ne-
cessità virtù » , a santificare l' irrevocabile col balsamo della costante
pietà religiosa.
Così è : abbandonarsi a Dio ; tornare a Dio ; confidare in Dio :
ecco i tre aspetti del medesimo problema, umano e religioso, che
s'agita in fondo alla genesi morale e poetica di Gertrude, dell'In-
nominato, di Lucia, e di contro il quale stanno l'iniquità e le pas-
sioni : dal contrasto di questi termini nasce il dramma, cosi diverso,
di quelle tre anime.
Via via che il Manzoni viene meditando e penetrando i motivi e
le forme di questo grande dramma cristiano, variamente riflesso
neir indole e nelle vicende di quei tre personaggi, le figure loro,
(1) Prom. sp., cap. X, p. 156.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 237
nella sua fantasia, s'accrescono d'una spiritualità più intensa, si
illuminano di una luce più chiara e più raccolta, si concretano con
più sicuri rilievi, balzano, finalmente, dalle pagine dell' ultima rie-
laborazione artistica nell' armonia nuova de' loro lineamenti coi
caratteri di creature universali ed eterne. Ma torniamo a Lucia.
Vi sono due episodi abbastanza ragguardevoli nel seguito del
romanzo, e cioè i due incontri e i colloqui della giovane liberata
col cardinale. Nella prima stesura il primo incontro aveva luogo
in casa del curato di Chiuso, dove Lucia andava con la madre e
con la moglie del sarto, chiamata dal prelato ; nel romanzo a stampa,
invece, è Federigo che si reca in persona a visitarla nella casa degli
ospiti (*); il qual mutamento è dovuto certamente al proposito di
porre sotto più viva luce la singolare pietà e carità del magnanimo
prelato. Oltr' acciò il Manzoni aveva dapprima succintamente de-
scritto quell'incontro e narrate le cose che vi furon dette; fra le
quali era curiosa l'inchiesta, eliminata nell'ultima redazione, che
il cardinale faceva sulla condotta della signora in relazione coi casi
di Lucia; nell'ultimo testo, invece, alla forma narrativa è sostituita
la dialogica e accresciuti e ravvivati di colori e di movimento i
particolari della scena e le parti de' personaggi presenti. Ciò che
interessa, intanto, rilevare è che in quel primo colloquio Agnese
accusava don Abbondio del mancato matrimonio, e Lucia taceva;
e che questa confessava, a sua volta, il tentativo del matrimonio
clandestino nel secondo colloquio, più a lungo e più vivo, ch'ella
e la madre ebbero, di poi, col cardinale nel loro paesello, in casa
di don Abbondio, dove monsignore s'era recato nel suo giro pasto-
rale per le parrocchie del territorio di Lecco (*). È noto, invece,
che neir ultima redazione l'accusa di Agnese e la rivelazione della
figlia hanno luogo, ad un tempo, la prima volta che le due donne
si trovano a parlare con Federigo in casa del sarto ; onde il secondo
incontro che hanno con lui, appena arrivate al paese, si riduce a
poca cosa e, nell'ordine de' fatti, serve, più che altro, a far che
Agnese gli consegni la lettera con la quale donna Prassede si offriva
di ricevere e custodire Lucia in casa sua a Milano (^).
È chiaro che il Manzoni nella rielaborazione di questi episodi ha
voluto trasferire nel primo incontro la massima parte de' discorsi
avvenuti nel secondo, parendogli che, se per un verso poteva con-
ili Sp. prom., pp. 421-2; Prom. sp., cap. XXIV, pp. 356-9,
(2) Sp. prora., pp. 437-9.
(3) Prom. sp., cap. XXV, p. 372.
238 PARTE TERZA
venire, come aveva immaginato nella minuta, che il cardinale dise-
gnasse « di parlare altra volta con Lucia » e non volesse « in quel
giorno così burrascoso per lei tenerla più a lungo», per l'altro
verso, poteva anche figurar troppo asciutta quella scena del primo
incontro e più verosimile che Federigo in esso fosse trasportato dai
lieti avvenimenti di quella giornata, dal paterno affetto per la po-
veretta miracolosamente salvata, dalla nobile curiosità di conoscerla
e di sentirla parlare, a trattenersi con lei in più lungo discorso sui
dolorosi casi passati e sulle circostanze avvenire della sua vita. Ecco
perchè in quel colloquio egli assume notizie anche di Eenzo, e pro-
mette di indagare la verità sul suo conto. Ma per lo studio del ca-
rattere di Lucia è osservabile il modo, alquanto differente, come
ella s'induce a confessare alla presenza del cardinale la storia del
matrimonio di sorpresa. Nella minuta egli, memore degli accenni,
fatti da Agnese nel primo incontro, alla colpa di don Abbondio,
interrogava minutamente Lucia « sull'affare del matrimonio >; e Lucia
raccontava, ma, giunta al punto del tentativo fatto in casa del cu-
rato, si fermava, < come un cavallo che ha veduto un'ombra, e rista
con una sosta improvvisa e singolare, che none quella solita d'al-
lora che è giunto al termine del suo viaggio ». Il cardinale, sor-
preso di quella titubanza, voleva sapere il resto; Agnese faceva
visacci così manifesti da costringerlo a redarguirla, tranquillamente,
ma seriamente, e Lucia stava interdetta », ma, alle parole del car-
dinale: € Dio vi assista: dategli gloria col dire la verità », spiattel-
lava « la storia del clandestino ». Era, poi, il cardinale stesso che
compiacevasi dell'aver ella confessata una colpa, e ammoniva pa-
ternamente che non si dovrebbero fare di quelle cose che spiacesse
poi raccontare. Era una scena disegnata e colorita con vivo spirito
di osservazione e con una lieve nota di piacevole umorismo ; ma,
come la trasformò e rabbellì di poi il Manzoni, presenta in, nuovo
rilievo la delicatezza e l' ingenua bontà di Lucia e la indulgente
magnanimità del prelato. Agnese — come dicevo — denunzia don
Abbondio. Ma Lucia, « non contenta di quella maniera di raccontar
la storia », soggiunge: « anche noi abbiamo fatto del male: si vede
che non era nella volontà del Signore che la cosa dovesse riuscire ».
E Federigo : « Che male avete potuto far voi, povera giovine »? E
allora Lucia — dice il Manzoni — , « malgrado gli occhiacci che la
madre cercava di farle alla sfuggita, raccontò la storia del tentativo
fatto in casa di don Abbondio ; e concluse dicendo : « abbiam fatto
male: e Dio ci ha castigati ». E Federigo con paterna soavità:
'« Prendete dalla sua mano i patimenti che avete sofferti, e state di
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 239
buon animo: perchè, chi avrà ragione di rallegrarsi e di sperare,
se non chi ha patito, e pensa ad accusar se medesimo »? (*).
Tutti e tre i nostri personaggi esprimono in questa conversazione
i loro sentimenti con più gentile compunzione: anche Agnese, che
non vorrebbe che il cardinale facesse l' intemerata al curato e, nel
tentar di trattenere Lucia dal rilevare la loro marachella, è più
misurata e più rispettosa verso l' insigne visitatore. Ma di nuova
luce s'avviva la figura di Lucia, che non ha i tentennamenti della
minuta, né fa la rivelazione per incitamento, direi quasi, per co-
mando dell' autorevole interlocutore e commenta il picciol fallo con
un'umiltà, un candore, una nobile [compunzione quali può sentire
una coscienza — diremo con Dante — « dignitosa e netta ». Anche
questo luogo, che presenta di tanto più elevato il carattere di Lucia,
conferma come il Manzoni ne venisse rimeditando i motivi etici con
più fine e pensosa attitudine nella ricomposizione psicologica ed
artistica. E c'è, altresì, nel contegno di lei, una nota quasi nuova,
certo più evidente che non fosse nella prima redazione. Qui ella a
quei « visacci » della madre titubava, ricalcitrava: era una debo-
lezza d' animo mediocre, che offuscava il nativo candore di Lucia :
era, specialmente, un' irragionevole soggezione alla madre, dalla
quale aveva pur l'animo di dissentire ne' casi di coscienza e nelle
deliberazioni pensate a fin di bene, come quando fece di sua testa
l'abbondante elemosina delle noci a fra Galdino e resistette con tanta
tenacia alla proposta del matrimonio di sorpresa. Questo spirito di
onesta fierezza e indipendenza, quest' avversione ai sotterfugi e alle
dissimulazioni sono lumeggiati così nell' una come nell'altra reda-
zione del romanzo ; onde quel ricalcitrar di Lucia nell' interrogatorio,
che il cardinale le fa, sul matrimonio, era una manifestazione d'in-
coerenza psicologica e morale del carattere: il Manzoni, ripensan-
doci, rimutò la situazione in modo che Lucia figura non solo indi-
pendente dalla volontà della madre, ma rammaricata del parziale
racconto di lei e franca nel secondare gì' impulsi della sua ingenua
coscienza. Questa è la vera anima di Lucia, semplice, pura e fiera,
che il Manzoni veniva effigiando secondo quell' austera ispirazione
cristiana, sempre più operosa e più chiara, in cui abbiam visto con-
sistere la genesi sentimentale del carattere di questo personaggio.
C'era nel colloquio nella casa del curato qualcosa altro, che ci
richiama ad osservare l'anima di Lucia rispetto al voto. Ella mani-
festava il proposito di rinunciare al matrimonio ed esprimeva il de-
(1) Prom. sp., cap. XXIV, pp. 357-8.
240 PARTE TERZA
siderio di farsi conversa in un monastero: precipitosa risoluzione,
da cui lo stesso Federigo la sconsigliava facendole osservare che,
se la sua promessa a Eenzo era stata meditata seriamente, non po-
teva ritrarsene. Era la seconda volta che il Manzoni faceva in-
tervenire l'autorità della chiesa nel giudizio suU' indissolubilità' di
quella promessa (*) ; il che dovette, poi, essersi accorto essere non
solo superfluo, ,ma nocivo all'interesse del racconto generale de'
fatti, che consigliava di tener sospeso l'animo de' lettori fino al-
l'atto solenne di fra Cristoforo nel lazzaretto. E « Lucia — prose-
guiva il Manzoni — fu tentata più d'una volta di rivelare il voto,
ma una vergogna insuperabile la ritenne » (*). Era un'altra sto-
natura psicologica e una sconvenienza nello sviluppo drammatico
della scena. Immaginare che Lucia, quale ci era rappresentata nella
prima redazione, piuttosto dominata dal pentimento del voto che
non rassegnata all' imperscrutabile volere della Provvidenza, fosse
presa, d'un subito, dal mistico desiderio d'abbandonare il mondo
e sollecitasse quasi il cardinale ad aiutarla in questo adempimento;
Lucia, che ne' colloqui con la madre non aveva avuto la forza d'aprire
il cuore al suo gran segreto, immaginare ciò non si confaceva né
al suo stato d'animo né. al suo carattere ritroso. La tristezza amara,
che occupava l'animo suo, non giustificava un atteggiamento così
risoluto. Per dare un diverso tono al colloquio e per dipingere in
altro modo il contegno di Lucia il Manzoni, nel porre quel dialogo
come avvenuto nel primo incontro del cardinale con le donne in
casa del sarto, fa raccontare ad Agnese quel poco che sapevano
sul conto di Renzo, immaginando « zitta, con la testa e gli occhi
bassi » Lucia, che, invece, nella prima relazione, doveva sostenere
un interrogatorio diretto su questo per lei scabroso e doloroso ar-
gomento; cosicché ella, standosene raccolta e pensosa, mentre la
madre parla, non ha occasione di rivelare troppo il suo intimo
affanno.
È assai probabile che il Manzoni nella redazione primitiva rap-
presentasse a quel modo Lucia quando il cardinale fa cadere il di-
scorso su Renzo e sul loro avvenire, per colorire l'animo della po-
veretta, ^combattuta dalla memoria del voto, per dare, insomma, uno
sviluppo psicologico e drammatico — che doveva essere uno de'
punti principali uel piano generale del suo romanzo — ai nuovi
sentimenti ed affetti, e al loro contrasto co' vecchi. E che il Man-
li) Sp. prom., p. 419.
(2) Sp. proni., p. 439.
ROMANZO IN FORMAZIONE 241
zoni sentisse la convenienza d'approfondire l'analisi variandola di
vive scene drammatiche, appare evidente dal lavorio con che venne,
attraverso i rifacimenti dell'opera, innovando e ampliando codesta
parte che si riferisce al suo personaggio. Non ha espulso, dunque,
senz'altro, come superfluo, quel tratto psicologico del dialogo e quel-
l'accenno al titubar di Lucia sul punto di rivelare il voto, ma li ha
trasferiti ne' colloqui che Lucia ha con la madre, svolgendone, con
più chiaro intento, i motivi e gli atteggiamenti della segreta am-
bascia.
La minuta era smilza e sbiadita in questa parte. Vedemmo già che
descriveva alla lesta il primo incontro con Agnese: nel romanzo, inve-
ce, i caratteri delle due donne sono sviluppati con larghezza e finezza
nuove. Lucia interrompe le maledizioni della madre contro don Ro-
drigo, anzi supplica di pregar per lui, che Iddio gli tocchi il cuore;
è una pennellata delicata, onde si riverbera una soave luce di ca-
rità sulla figura dell'innocente oppressa. Quando nel racconto affan-
noso che fa della sua storia, è al punto del voto, resta sospesa, pel
timore che la madre le dia della precipitosa, che le voglia contrad-
dire, o se ne confidi con altri, e anche per « una ripugnanza inespli-
cabile a entrare in quella materia». Quest'analisi del povero cuore
di Lucia è ripresa piti innanzi, in quella svelta e colorita dipintura
de' discorsi, tristi e affettuosi insieme, che le due donne fanno di
frequente tra loro ne' pochi giorni che passano nella casuccia ospi-
tale del sarto: alle allegre congetture, alle belle speranze di Agnese
sul conto di Renzo e sull' avvenire de' due promessi. Lucia; o che
ascolti o che risponda, ha l'anima in pena; ma tiene ancora in sé
il « suo gran segreto », cercando prudentemente di mutar discorso.
« I suoi disegni — dice il Manzoni — eran ben diversi da quelli
della madre, o, per dir meglio, non n'aveva ; s' era abbandonata alla
Provvidenza » (*). È questo il costante motivo psicologico e reli-
gioso dal quale il poeta, nel nobilitar la figura morale di Lucia, ne
ha svolto tutto l'intimo dramma. Tenerezza, accortezza e dolore fanno
una bell'armonia in quel dire vago e accorato ch'ella non aveva
« più speranza, né desiderio di cosa di questo mondo, tuorchè di
poter presto riunirsi con sua madre ». Agnese non si persuade che
la figlia non pensi più nulla, attribuisce quello stato d'animo sfidu-
ciato all'amarezza de' patimenti sofferti e la incora a confidare nella
rinascita delle belle speranze. Lucia non risponde che coi baci e
col pianto.
(1) Prom. sp., cap. XXV, p. 368.
Busetto — 16
242 , PARTE TERZA
Questa efficace dipintura dell'umor speranzoso di Agnese, della
raccolta tristezza di Lucia, che è uno de' piti bei saggi dello stile
lucido, pacato e armonioso del Manzoni, si ricompone, rinnovellata
nello spirito e nella forma, di su pochi tratti della minuta, che era-
no le meste parole dette da Lucia al cardinale, quando questo la
interrogò circa i suoi propositi per l'avvenire, i brevi cenni alla
gaiezza di Agnese nel tornare al suo paese insieme con la' figlia e
lo stupore sospetto e curioso ond' ella era colpita per « la nuova
rassegnazione di Lucia all' assenza del suo promesso sposo » nel
trattar con la figlia del modo di disporre de' dugento scudi donati
dall'Innominato alla giovane, che proponeva d'inviarne una metà
a Renzo. Ma questi non erano che tentativi d'arte rudimentale, ab-
bozzaticci grezzi: il Manzoni non solo ha svolto, ma ha addirittura
con nuovo vigore d' osservazione rifatto lo studio e il ritratto de'
sentimenti e degli affetti.
È questo uno de' casi più notevoli che sieno nel romanzo, di ri-
costruzione psicologica e di rifusione fantastica; e mette conto esa-
minarlo attentamente quale documento cospicuo del modo come
venne compiendosi la formazione artistica de' Promessi sposi. Il
Manzoni nella prima redazione non aveva concepito in tutta la sua
estensione e profondità l'intimo conflitto di Lucia: ne aveva fatto
una descrizione, alquanto diffusa e turbata da elementi superflui o,
come vedemmo inopportuni, ritraendo Lucia raccolta a pensare a'
casi suoi in una stanza appartata nella casuccia del sarto ; poi, di
tanto in tanto, l'autore ce lo rappresentava di scorcio alla brava,
secondo le circostanze del racconto, ma in modo frammentario, di-
scontinuo, occasionale, senza nuovi sviluppi, ricorrendo di rado al
sapiente uso de' dialoghi, che rivelano i sentimenti e le loro sfu-
mature in azione. De' colloqui con la madre non ne tratteggiava
che uno, ove i contrari affetti venissero messi alla prova e appa-
risse lumeggiato con qualche vivezza il penoso stato di Lucia: ed
era quello, già rammentato, che s'accendeva tra loro a proposito
degli scudi d'oro da dividere con Renzo. Dopo, non c'era più nulla
nella minuta, nemmeno qualche tratto patetico, che non sarebbe
stato male appropriato per descriver la separazione di Lucia dalla
madre, quand'ella era C9nsegnata in custodia a donna Prassede.
Più addietro il primo incontro con la madre non era figurato in
dialogo vivo, ma affrettatamente descritto : poi seguiva un' altra
descrizioncella del loro viaggio da Chiuso al paese, nella quale era
figurata Agnese più loquace del solito, e « la sua gioia pel ritorno
trionfale, la gioia di ricondurre salva a casa la figlia da tanti pe-
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 243
ricoli, quella d'esser divenuta conoscenza di Monsignore illustrissimo,
l'aspettazione dell'accoglimento che le farebbero i parenti, i cono-
scenti, tutti i paesani » ; e in contrapposizione a questi «sentimenti
espansivi e distinti» della madre, s'accennava ai « sentimenti di
Lucia misti, intralciati, ripugnanti;.... di quelli, sui quali la
mente s' appoggia con una insistenza dolorosa, per distinguerli e
dominarli, di quei sentimenti che non cercano di essere comunicati,
né trovano ancora la parola, che li rappresenti» (^). Quest'ultimo
scorcio d'analisi non è senza valore per l'acume con cui è colto nel
vivo quel particolare rammarichio, quella confusa oppressione morale
di Lucia, ma non è piti che una sbozzatura di primo getto, che
pare aspetti dalla mano esperta dell'artefice precisione e sicurezza
di linee e di rilievi, armonia di luci e colori. Il tornar tumultuoso
delle memorie e delle commozioni contrastanti tra loro s' intrecciava
alle impressioni di Lucia nel riveder la sua casa e le care cose do-
mestiche. Era una situazione bene indovinata e ritratta con discreta
evidenza fantastica. « Rivedeva ella la sua casa, quella dove aveva
passati tanti anni tranquilli, clie aveva tanto desiderato e sì poco
sperato di rivedere; ma quella casa, che non era stata per lei un
asilo, quella casa dove aveva data una promessa, che non credeva
di poter piìi attenere, dove aveva tante volte fantasticato un avve-
nire, divenuto ora impossibile ». Ritiratasi nella sua stanza, « dopo
aver ringraziato Dio dell'averla ricondotta quivi oltre e contra la
speranza, si mise a rivisitare tutte le sue masserizie, come per pro-
vare se potesse ricominciare la sua vita passata; ma non v'era og-
getto nella casa, non v'era angolo, al quale non fossero associate
idee divenute dolorose e ripugnanti. Lucia prese come macchinal-
mente il suo arcolaio, e sedette a dipanare la matassa di seta, che
aveva lasciata a mezzo, quando Fermo venne a pigliarla per la
spedizione del matrimonio clandestino », È codesta una pittura viva
e chiara, a cui qualche pili gagliardo rilievo, qualche nuovo linea-
mento piìi agile e un po' di colore avi-ebbero data l'immediatezza
e r efficacia d'un piccolo capolavoro : eppure il Manzoni le die' ri-
solutamente un frego, riducendola a un cenno lì dove dice che le
festose e premurose accoglienze de' compaesani la distraevano « al-
quanto da' pensieri e dalle rimembranze, che, purtroppo, anche in
mezzo al frastono, le si risvegliarono, su queir uscio, in quelle stan-
zucce, alla vista d'ogni oggetto » (^).
(1) Sp. protri., pp. 434-5.
(2) Sp. prom., pp. 435, 436; Pì'om. sp., cap. XXV, p. 373.
244 PARTE TERZA
Il motivo di questa soppressione quasi totale di un patetico epi-
sodio, che serviva a illuminare la interna lotta di Lucia, risulta
dallo stesso principio di radicale trasformazione, a cui andò sog-
getta tutta la parte del romanzo che comprende la vita e i casi di
Lucia dopo la liberazione fino a quando ritorna in iscena nell' ina-
spettato incontro con Renzo nel lazzaretto. Il Manzoni nelle pagine
precedenti — come già ho fatto vedere — aveva tratteggiato con
ricchezza d'osservazioni e di mezzi artistici lo stato morale di Lucia;
e a questo riservava nuove analisi acute nel seguito del racconto,
nella scena, cioè, della rivelazione del voto, fatta alla madre, e ne'
frequenti dibattiti penosi che la poveretta avrebbe avuto con donna
Prassede. Materiale, dunque, già artisticamente evolto o pronto ad
essere svolto, ce n'era, al fine di dare una compiuta rappresenta-
zione di quel grande affanno morale conforme la concezione sempre
più chiara e profonda che se ne veniva formando nella coscienza
del poeta cristiano durante il processo di elaborazione della sostanza
etico-religiosa e delle forme artistiche del romanzo. E poi, se quella
breve descrizione del ritorno nella casetta paterna con le rimem-
branze domestiche e i tristi pensieri, nati dallo stato presente, era
d' ispirazione gentile, e di non volgare efficacia rappresentativa, en-
trava — a vero dire — nel repertorio usuale delle rappresentazioni
romantiche, pallidamente fiorite dal sentimentalismo di moda; aveva
anzi, nella forma ancora alquanto grezza del primo getto, un non
so che di patetico, di mollemente melanconico, che forse non piacque
più al Manzoni nel tornare sull' opera sua con più sicuri intenti e
con rinvigorite attitudini a sostituire al pittoresco appariscente la
naturalezza che rende con più chiara luce il reale, a foggiare le
immagini della fantasia in forme d'arte temperate, composte, clas-
sicamente armoniose. Il Manzoni ha rielaborato, dicevo, profonda-
mente codesta parte che illustra l'animo di Lucia. Ecco, infatti, fin
dal primo trovarsi con la madre, la caritatevole sollecitudine del-
l' altrui bene, che è la forma sostanziale del suo carattere, espan-
dersi nell'ansia per la sorte di Renzo e nel giubilo per la sal-
vezza di lui. E cerca di cambiar discorso. Ferma nel recente
proponimento di tenersi austeramente al voto, assume un atteggia-
mento congruo all'animo sollevatosi dalla lotta interna: non la preoc-
cupa che la salvezza dello sposo, da lei sicuramente tenuto per in-
nocente, non la lontananza. In quei « loro discorsi tanto più tristi,
quanto più affettuosi » che fanno in casa del sarto, vedemmo già
com' ella « disegni suoi propri » non ne avesse, e vivesse abbando-
nata alla Provvidenza, in quello stato d' animo, più piamente rac-
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 245
colto, che è subentrato in lei allo sgomento del voto. È quel fecondo
motivo religioso, posto dal Manzoni con affatto nuova evidenza ad
operare fra i sentimenti di Lucia, che si svolge e influisce e di sé
colorisce tutte le scene, in cui il poeta viene sviluppando il forte
dramma di quell'anima combattuta tra l'amore e il dovere.
Vili. Veniamo alla grande scena della rivelazione del voto.
Agnese, tutta giuliva ed espansiva pei cento scudi d'oro dell'In-
nominato, s' abbandona a quella mirabile parlata che esamineremo
a suo luogo, facendo i più bei progetti per l'avvenire: di discorso
in discorso viene a dire che il matrimonio si sarebbe potuto fare
anche in altro luogo fuori del loro paese, ch'ella sarebbe andata a
Milano a rilevar la figlia. Lucia non s'anima a que' bei disegni,
anzi, vieppiù s'accora, non dimostrando «che una tenerezza senza
allegria » ; allo stupor di Agnese che lascia a mezzo il discorso,
non fa che esclamare: « Povera mamma » ! e gettarle un braccio
al collo, « nascondendo il viso nel seno di lei » ; alle sollecitazioni
della madre ansiosa di sapere la verità, chiestole di compatirla, per
non averle confidato il suo doloroso segreto, « col capo basso, col
petto ansante, lacrimando senza piangere, come chi racconta una
cosa che, quand'anche dispiacesse, non si può cambiare, rivela il
voto; e insieme giungendo le mani, chiede di nuovo perdono alla
madre, di non aver parlato fin allora; la prega di non ridir la cosa
ad anima vivente, e d' aiutarla ad adempire » la solenne promessa.
Al dialogo, che è un capolavoro di pittura psicologica e di rappre-
sentazione drammatica, s'alternano, rilevate in isvelti lucidi scorci,
le commozioni varie di Agnese e di Lucia che torna a dipinger,
« co' più vivi colori quella notte, la desolazione così nera, e la libe-
razione così impreveduta, tra le quali la promessa era stata fatta,
così espressa, così solenne ». Poi 1' accorato colloquio si ravviva con
le sublimi parole di Lucia, piene della speranza nell'aiuto divino e
del desiderio di tornar con sua madre, rievocanti in confuso le me-
morie dell'orribile giornata del ratto, tenere di devota meraviglia
d' aver avuta la salvezza e la libertà proprio da colui che l' aveva
comandato ; si acuisce in accenti di rassegnazione, di fede, di carità,
quando, alla domanda di Agnese: «E Renzo»? Lucia « riscoten-
dosi » esclama di non doverci pensare più « a quel poverino » , di
aver accettato come un provvedimento sapiente di Dio la loro se-
parazione, e s'augura che Iddio stesso l'abbia preservato «da peri-
coli », e che « lo farà esser fortunato anche di più, senza di lei ».
Lucia domina il commovente colloquio: lei incora la madre ad ac-
246 PARTE TERZA
cogliere « di buon animo » la « volontà » del Signore, raccoman-
dandosi alle sue preghiere; lei le suggerisce di far sapere, in qualche
modo, a Renzo il voto, persuadendolo a mettere « il cuore in pace» ;
lei, con mal frenata angoscia, la prega che, quando avesse nuove
di lui, le facesse sapere che è sano, e poi non le facesse piti saper
nulla.
Ancora un ultimo tocco di tenera carità, in cui trepidano i fug-
gitivi ricordi di un soave passato e la segreta voce dell'amore ab-
battuto, ma non estinto; ed è quei pregare vivace e insistente che
dei cento scudi Agnese facesse mezzo per uno con Renzo, per risar-
cirlo de' patimenti e de' danni, che non gli sarebbero accaduti, se —
dice Lucia con abnegazione infinita — « non avesse avuto la disgrazia
di pensare a me ».
Agnese accondiscende, e Lucia la ringrazia — osserva in tono
tra il serio e 1' arguto il Manzoni — « con una gratitudine, con un
affetto, da far capire a chi l'avesse osservata, che il suo cuore fa-
ceva ancora a mezzo con Renzo, forse più che lei medesima non
lo credesse » (*). Questo dialogo è ricco di bellezze, talune delle
quali non sono sfuggite all'attenzione de' commentatori (').
Che cosa c'era nella prima stesura ? Mancava, intanto, la rivela-
zione del voto, che ha una parte essenziale nella nuova scena; del
colloquio eravi riportata in forma diretta soltanto ciò che le donne
si dicono. Lucia per persuader la madre a dividere il dono degli
scudi d'oro, (eran dugento nel primo testo) con Renzo, che, secondo
lei, ne doveva aver bisogno, Agnese per osservarle che glieli avrebbe
portati in dote qu indo fosse tornato, meravigliandosi che Lucia pa-
resse rassegnata alla lontananza dello sposo. In forma narrativa,
poi, s'accennava all' acconseiitimento di Agnese e a' suoi tentativi
per veder chiaro in quel contegno rassegnato della figlia. « Agnese
era rimasta colpita — scriveva il Manzoni — di quella nuova ras-
segnazione di Lucia all'assenza del suo promesso sposo, e non lasciò
di tentarla con interrogazioni, dirette, tortuose, incalzanti, subdole
per venirne all'acqua chiara. Lucia però seppe per allora e per
qualche tempo schermirsi dal soddisfare alla curiosità materna, al-
legando sempre che era inutile il pensare a cose, che le circostanze
rendevano impossibili » (^).
Con la rivelazione del voto, che, come vedremo fra poco, il Man-
zoni ha pensato di togliere dal colloquio di Lucia con Renzo nel
(1) Prom. sp., cap. XX vi, pp. 384-7.
(2) V., fra altri, G. Negri, Commenti cit., pp. 190-203.
(3) Sp. prom,., pp. 460-1.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 247
lazzaretto per farla avvenire ora nella scena della separazione dalla
madre, questa è venuta a tramutarsi profondamente: lo spirito de'
motivi, onde si svolge, è diverso; sono approfonditi con nuovo vi-
gore psicologico ed efiicacia drammatica i caratteri, compenetrati
essi e i loro discorsi d'una spiritualità nuova, di un nuovo senso
di carità e di rassegnato dolore. Lucia nel primitivo colloquio, a
sentir la madre accennare alle nozze, aveva un sospiro e le diceva:
« Non parliamo di queste cose, mamma, non ne parliamo. Se Dio
avesse voluto ah! le cose non sarebbero accadute a quel modo.
Non era destinato che fossimo non ci pensiamo per carità ».
La madre incalzava: « Ma s'egli torna » ; e Lucia, che già l'aveva
pregata di cercar di fare avere una metà degli scudi a Renzo, sog-
giungeva: « lontano, è profugo, ramingo ah! c'è altro da pen-
sare: forse egli stenta, forse non ha pane da mangiare. Forse con
questo aiuto, egli potrà collocarsi ben alti-ove, farsi un avviamento,
uno stato ». E Agnese: « Ohe! tu non pensi più a lui? »;
al che Lucia rispondeva < in fretta » : « Penso a toglierlo d' an-
gustia, e di bisogno. Questo lo possiamo fare, al resto provvederà
Iddio ».
Questo breve dialogo, se si tolga qualche sciatteria e ingenuità di
stile, non difettava di vigore poetico, che prenunziava il grande
colloquio dell' ultima redazione : del quale, se non aveva il dram-
matico senso religioso, svolgeva tuttavia uno degli elementi essen-
ziali della situazione, questa mal dissimulata lotta di Lucia tra
l'amore e il proposito di tener fermo al voto fatto. Ma certamente
lo spirito era un altro: la lontananza, senza evidente probabilità di
ritorno, del fidanzato fuggiasco, era il lecito motivo della scena pri-
mitiva: da esso traeva argomento Lucia a convincersi e a convincere
Agnese che era destino non si maritassero ; ora si faceva forte per
immaginarlo in « .bisogno », in « angustia » e per rivolgere alle stret-
tezze di lui il pensiero suo e quel della madre, e la loro apprensione;
era una mirabile movenza dello spirito affannato di Lucia: — che
s'aveva a pensare pel momento? a toglierlo dalla miseria, a ridargli,
col proprio aiuto, il modo di rifare il suo stato. — V'era nelle pa-
role di Lucia della premura, della carità, forse dell'amore; ma que-
sto atteggiamento a lei giovava per salvaguardarsi dalla rivelazione
del voto, per evitare d'impegnarsi a fondo nel parlare de' suoi
turbati sentimenti. La lontananza di Renzo era lo schermo, dietro
cui Lucia nascondeva il segreto del voto affannandosi a persuadere
sé stessa e la madre che era vano pensare al matrimonio : il mo-
tivo, dunque, generatore del breve dialogo tra le due donne era
248 PARTE TERZA
essenzialmente psicologico. Nel colloquio, invece, dell' ultima reda-
zione il motivo è essenzialmente morale, come quello che scaturisce
dalla coscienza dell'inviolabilità del voto rivelato. Ne è compresa
Agnese stessa, che non trova più argomenti da ribattere alla figlia.
Che cosa ha fatto il Manzoni nel rielaborare codesta scena? Ha ri-
fusa e ampliata la parte dialogica del primo testo e ne ha rimutata
radicalmente la situazione drammatica, col sostituire al contrasto tra
Agnese, che spende tutto il suo ingegno per far parlare chiaro la
figlia, e questa che se ne schermisce, una scena di dolore, di ras-
segnazione religiosa, di carità cristiana, nella quale la tempra mo-
rale di Lucia splende in tutta la sua bellezza dolce e austera. E
noto che nella primitiva concezione Lucia, la quale era riuscita a
tener celato il voto alla madre, non poteva fare a meno d'aprire il
suo segreto a Renzo, quand'ei la ritrovava nel lazzaretto. Su questa
scena dovremo tra poco fermare la nostra attenzione ; pertanto giova
osservare che l'avere il Manzoni trasformato così profondamente il
racconto nel punto che veniamo ora esaminando, non è stato senza
forti ragioni. Noto, anzitutto, che il colloquio descritto nella minuta
non era un colloquio d'addio, qual è al contrario quello dell'ultima
redazione, nella quale vediamo Agnese che va alla villa di donna
Prassede per abbracciare la sua Lucia, prossima a partire per Milano
con la nobile signora, e leggiamo, prima dell'incontro delle due
donne, che in quanto al voto la giovane « era risoluta di farsi forza,
e d' aprirsene con la madre in quell'abboccamento, che per lungo
tempo doveva chiamarsi l'ultimo », Non ci sfuggano e codesto nuovo
rilievo dato dal Manzoni alla deliberazione di Lucia e le circostanze
diverse in cui egli immagina avvenuto il colloquio nella prima e
neir ultima stesura. L' « inaspettata fortuna » di que' begli scudi
d' oro è in ambedue i testi argomento de' loro discorsi e la pre-
ghiera che Lucia rivolge alla madre di mandarne una metà a Renzo
ha parimente luogo nell'uno e nell'altro. La differenza grande è
nel resto, e nel modo stesso come il motivo del dono è svolto e
s' intreccia alle altre parti del colloquio.
Questo nella forma primitiva fa l'impressione d'essere una ripresa
e uno svolgimento de' discorsi fatti tra le due donne al primo ri-
vedersi in casa del sarto e che l'autore aveva indirettamente e suc-
cintamente riferito ; anzi ne' sentimenti e nelle parole di Lucia
s'intravede quell'aria di titubanza e di circospezione che il Manzoni
con aperta e chiara analisi descriverà nella scena del primo incontro
delle due donne, quale usci rinnovellata dalla matura elaborazione
dell'episodio. Cosicché, riflettendo sull'intenso lavoro esercitato dal-
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 249
l'autore attorno a questa parte del suo romanzo, io scorgo — se
non m' inganno — un processo iniziale di scomposizione, quindi
una ripresa di svolgimento psicologico e drammatico e di ricompo-
sizione artistica nuova. Di ciò che costituiva la materia del secondo
colloquio, la parte in cui era rappresentata l'apprensione di Lucia
di tener segreto il voto si separa dai tratti in cui erano descritte
l'angustia per la sorte di Renzo, la premura di dividere con lui il
dono dell' Innominato e l'ansiosa curiosità della madre ; questi tratti
ricompaiono alcuni sobriamente scorciati, altri svolti e lumeggiati
di più delicata poesia nell'ultimo colloquio della separazione; mentre
quella parte è stata rifusa nella descrizione del primo colloquio,
donde è venuta fuori una pittura tutta nuova di Lucia, così guar-
dinga nel nascondere alla madre la circostanza del voto.
A questo punto la questione, già da altri trattata, sulla diversità
che offrono la prima e l'ultima stesura del romanzo circa la rivela-
zione del voto mi suggerisce alcune considerazioni, con le quali mi
aprirò la via a rivedere l'episodio dell'incontro con Renzo nel
lazzaretto. A. Momigliano, più di dieci anni or sono, in un suo
studio condotto con l' usato acume e buon gusto intorno la scena
della rivelazione del voto, si faceva a dimostrare che nel ritardare
questa rivelazione sino all'incontro con Renzo non ci sarebbe stata
inverosimiglianza, dopo che il Manzoni aveva nel testo definitivo
fatto interrompere il primo colloquio di Lucia con la madre dalla
venuta del cardinale, aveva soppresso un brano inedito, poi can-
cellato, in cui Renzo (ovverosia Fermo) si domandava perchè Lucia
non venisse a lui per sposarlo e gli mandasse invece la metà degli
scudi dell' Innominato, e aveva evitato il colloquio tra Fermo e
Agnese durante la peste. « Le tre modificazioni — osservava — fu-
rono fatte, ma non ritardarono la rivelazione » ; così eliminata la
questione principale, quella dell'inverosimiglianza, vedeva la vera
ragione del rimutamento in un canone estetico-morale che avrebbe
consigliato il Manzoni ad evitare il « colpo di scena » , il contrasto
d'amore » la scena, insomma, troppo pittorescamente drammatica,
qual'è quella che offriva la prima stesura nel descrivere la rivela-
zione del voto fatta da Lucia direttamente a Renzo (^). Il ragio-
namento e gli argomenti del Momigliano sono sagaci e nel motivo
eh' egli addita, chi veramente abbia un concetto esatto dell' arte
manzoniana, può convenire.
(1) A Momigliano, La rivelazione del voto di Lucia, in Giorn. stor. d. leti, ital.,
L, pp.l21 e 123.
250 PARTE TERZA
Nel riprendere in esame codesta questione, credo opportuno di
ricercare, sulla scorta della minuta, se l'anticipata rivelazione alla
madre, oltre che dalla rag-ione sostenuta dal Momigliano, non fosse
suggerita da altri motivi e se veramente dovesse parere allo stesso
Manzoni non essere punto inverosimile che « la madre ignorasse le
ragioni della condotta d'una figliuola che non le nascondeva mai
niente » (*). A proposito de' sentimenti di Lucia nel raccontare alla
madre la sua terribile peripezia, non è senza importanza un parti-
colare, affatto nuovo nell'ampio svolgimento dell'ultima redazione,
che, cioè, ella nel nasconderle la circostanza del voto, si proponeva
« di farne prima la confidenza al padre Cristoforo ». Ma il buon
frate «non c'era piii »: « era stato mandato in un paese lontano
lontano ». La prima stesura, che in questa parte relativa ai senti-
menti e alla vita di Lucia dopo la liberazione, è veramente un rac-
conto frettolosamente abbozzato e lacunoso, non aveva alcun cenno
a fra Cristoforo; ma era strano, anzi inverosimile, che Agnese e
Lucia nel discorrer di tante cose tristi non capitassero a parlare
del loro protettore. Pare che il Manzoni, dopo aver raccontate le
brutte nuove che Agnese aveva ricevuto al convento di Pescarenico,
si dimenticasse affatto del povero frate fino all'incontro di lui con
Renzo nel lazzaretto. Era dunque ovvio che nel rivedere e correg-
gere l'opera sua, il Manzoni sentisse la convenienza di far che Lucia
chiedesse notizie del padre; onde viene ampiezza, varietà e genti-
lezza nuova al colloquio e risalta la devota premura di Lucia.
Ma non è meno importante dell'aggiunto proposito, ch'ella fa tra
sé stessa, di confidare, prima che ad altri, il suo segreto a fra Cri-
stoforo, la dolorosa disillusione di non poterlo piti fare; poiché,
venuta a mancare codesta buona ragione per nascondere alla madre
il voto. Lucia troverà meno forza per resistervi, e, necessitata dalle
circostanze, in un momento di accorata tenerezza, riverserà nel
cuore di lei il delicato segreto. Tutto ciò è affatto coerente; risponde,
anzi, alla logica de' sentimenti; mentre era, nella minuta, illogico
il contegno di Lucia verso la madre, dalla quale si separava una
seconda volta senza confidarle nulla, senza avere nemmeno la giu-
stificazione del confermato proponimento di aprirsene col frate. Di
conseguenza io propendo a credere che al Manzoni non paresse più
verosimile la riservatezza di Lucia rispetto alla madre al momento
di lasciarsi chissà per quanto tempo, massime dopo ch'ella aveva
perduta la speranza di confidarsi prima col buon frate; gli paresse,
(1) Op. cu., p. 121.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 251
per contro, derivar necessariamente dalle circostanze stesse e dallo
stato d'animo di Lucia nel doloroso momento della separazione
ch'ella, « quantunque non le fosse diminuita quella gran ripugnanza
a parlar del voto », risolvesse d'aprirsene con la madre. La succes-
sione de' casi, il sopravvento de' nuovi sentimenti e delle nuove
apprensioni portavano inesorabilmente alla rivelazione nella scena
del commiato; il Manzoni nel circostanziarla con quel sapiente cenno
a fra Cristoforo, che già indebolisce le opposte ragioni del riserbo,
col vivo e quasi nuovo svolgimento dell' ultimo colloquio, in cui è
la foga stessa d'Agnese, nel far tanti bei progetti per l'avvenire,
che trascina Lucia, in un abbandono di dogliosa tenerezza, a sve-
lare il segreto, lascia intendere com'egli sentisse l'opjioi'tunità, -per
non dire la convenienza psicologica, di quella rivelazione. In ciò
— a mio avviso — consiste la ragione principale del mutamento
operato dalla prima all'ultima stesura.
Ma e' è qualche altra considerazione da fare. Il Manzoni nel la-
vorare al riordinamento generale del racconto dovette avvertire che
troppo gramo e lacunosa era quanto aveva scritto nella prima ste-
sura circa il collocamento di Lucia presso donna Prassede. circa il
nuovo distacco dal suo paese e la separazione dalla madre. A che
servivano quelle povere e aride pagine, se non per informare fret-
tolosamente che Lucia aveva "trovato « una destinazione, che la to-
glieva da quel contrasto doloroso tra il voto e il cuore? » (*). Erano
pagine di cronistoria, non di psicologia e d'arte: i caratteiù non ri-
cevevano sviluppo alcuno, la delicata sentimentalità di Lucia, la ma-
terna bontà d'Agnese eran lasciate nell'ombra, la nuova angoscia
di dover lasciare una seconda volta il paese e la madre nemmeno
avvertita. È possibile che il Manzoni non s'accorgesse che bisogna-
vano analisi e scene nuove, in cui le sopraggiunte circostanze aves-
sero il debito rilievo e gli animi fossero messi in luce piena e viva?
Ed eccolo a ritoccare, ad ampliare, ad aggiungere secondo una piìi
robusta e più pensosa meditazione della materia rappresentata. Il
primo congedo, quando « venne donna Prassede, secondo il fissato,
a prender Lucia •», affidatale con lodi e calde raccomandazioni dal
cardinale, è descritto con tocchi sobri sì, ma intonati al carattere di
Lucia e alle affezioni di quel momento. « Lucia si staccò dalla ma-
dre, potete pensare con che pianti, e uscì dalla sua casetta; disse
per la seconda volta addio al paese, con quel senso di doppia ama-
ti) Sp. prora., p. 464.
252 PARTE TERZA
rezza, che si prova lasciando un luogo che fu unicamente caro, e
€ che non può esserlo più ».
Lucia andava a passare alcuni giorni in una villa poco lontana
dal suo paesello ; colà sarebbe andata Agnese « a dare e a ricevere
un più doloroso addio > (*).
Quella dipintura de'* primi congedi, che, pur nella sua luce mo-
desta, è sofiTasa di tenerezza e dolore, prenunzia la scena, più
ricca di motivi sentimentali e di movimento drammatico, dell' ulti-
mo congedo ; la quale, nel grande quadro del racconto, s'arricchisce
di tanto più ampio svolgimento artistico di quanto è venuta via via
crescendo 1' amarezza del distacco e più intenerisce il cuore 1' ora
suprema in cui è forza dire « a' dolci amici, addio ». Mirabile sce-
na, in cui vediamo la rappresentazione poetica attinger vigore e
luce dal medesimo motivo psicologico sentito e svolto in modo più
intenso e profondo e, seguendo le vicende dell' interior meditazione
della realtà intuita o osservata, trasmutarsi, dilatarsi di breve nar-
razione lucida, serrata, densa in un dialogo grandioso, che, movendo
da stati d'animo già accennati, ne effonde tutta l'inespressa sostanza
affettiva nell' onda delle parole dolci e tristi, ora rapide e pronte,
ora lente e reticenti, secondo il fluttuar degli animi tra il « lamen-
to», « il conforto », « il rammarico » e < la rassegnazione » nelle
due poverette.
Tra la triste necessità di lasciare il paese, la casa e la dolorosa
certezza di non poter vedere per lungo tempo la madre s' aggrava
l'angoscia, si fa sentire più tormentoso il nostalgico desiderio de'
begli anni placidi e tranquilli, vissuti con la madre prima che la
violenta iniquità degli uomini s'abbattesse sulla loro umile casa. E
codesto il dramma della tenerezza filiale che si desta al primo
distacco, quando Agnese lascia la figliuola a Monza per tornare al
paese, e s'acuisce penoso, straziante attraverso l'orribile peripezia
del ratto, della prigionia nel castello dell'Innominato; si mitiga con
mesto abbandono nella consacrazione di tutta se stessa alla Madonna,
s'acquieta nella gioia della ricuperata salvezza, nella consolazione
di riabbracciarsi alla madre, si ridesta nell'ora di un'altra separa-
zione egualmente amareggiata dalla trepida visione dell' increscioso
incerto avvenire. Il Manzoni ha sentito che tutta 1' anima di Lucia
gravitava attorno a questo nostalgico desiderio di riunirsi alla madre ;
e ne ha fatto il motivo sentimentale dell' ultimo dialogo. Ma attorno
a questo motivo fondamentale del dialogo, l'addio doloroso, di fronte
(1) Prom. sp., cap. XXVI, p. 383.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 253
il sempre oscuro avvenire, ha fatto germogliare, dirò così, altri
due forti motivi, la rivelazione del voto e la premura di soccorrere
Renzo esule e ramingo; onde alle patetiche note di quel più dolo-
roso addio s'intrecciano i pensosi ricordi d'una sacra promessa, i
trepidi accenti d' una carità umana, in cui tremola la fiamma del
non spento amore. Quest'armonia di motivi interiori, così feconda
di poesia, poteva non essere avvertita dal Manzoni? Poteva sfug-
girgli il significato di quella separazione che non era la prima per
le due donne nella fortunosa successione de' loro casi, e alla quale
sarebbe seguito il flagello della peste e l'angoscia d'ignorare l'una
la sorte dell'altra? E poteva il Manzoni immaginare che la nativa
ritrosia della figlia, e que' motivi che le avevan fatto tacere la storia
del voto nel primo ritrovarsi con la madre, fossero egualmente forti
e resistenti nel suo cuore ora che doveva separarsene per lunga
tempo? Io penso, dunque, che quell'ampia scena della separazione e
della rivelazione del voto non solo convenga all'ordine logico degli
avvenimenti, ma sia stata ispirata da una più lucida e vasta intui-
zione, ch'ebbe il Manzoni, rilavorando l'episodio, di quello che era
il tenero dramma filiale di Lucia.
IX. Con questa scena — come dicevo — ha stretta relazione
quella dell'incontro di Lucia con Renzo nel lazzaretto, che nella
minuta contiene la rivelazione del voto (*). Il poeta, nel rielaborare
la materia del romanzo, le ha certamente meditate e raffrontate,
riguardandole come due aspetti o momenti successivi nello sviluppo
del dramma intimo di Lucia, cioè dell'interno combattimento tra il
dovere religioso e l'indomito amore, che — per quanto ho di-
mostrato — si riveste di una pensosa serenità e pacata fiducia ne*^
voleri della Provvidenza soltanto nell'ultima forma, a cui l' ha inal-
zato il Manzoni in virtù di quel più puro e profondo spirito reli-
gioso, ond' è pervaso e rinnovato tutto il capolavoro.
Dell'episodio del lazzaretto, quale si legge negli Sposi promessi,
ha fatto una finissima analisi il Momigliano (*), rivelandone le in-
negabili bellezze, che rifulgono nel modo come il Manzoni tratteg-
giava con vigore e delicatezza i caratteri de' due giovini. Lo stupore
di Lucia all' improvvisa apparizione di Renzo, « la piena coscienza »,
che poco dopo ella acquista, « della penosità della sua situazione »,.
(1) Sp. prom., pp. 756, 759-63; Prom. Sp , cap. XXXVI, 535-40.
(2) A Momigliano, op. cit., pp. 126-34. Cfr. Anche F. D'Ovidio, op. cit., pp. 608-11.
"254 PARTE TERZA
il ricordo del voto, che torna a signoregg-iarla, le memorie di tacite
sofferenze che, ridestandosi in doloroso tumulto, le rinnovano l'an-
goscia, le ridipingono sul volto « una terribile, misteriosa incertezza »,
il lento trapasso dai tumultuosi ricordi alla comprensione del mo-
mento presente, agli sforzi, eh' ella fa, a grado a grado, per vincere
il dubitoso pudore, più forte anche dell'amore, per tenersi ferma
sotto la tempesta delle appassionate domande di Renzo, per racco-
glier tutte le forze, tutta la rassegnazione, di contro l'amore che
risorge più- straziante, per trovare finalmente nella serenità gagliarda
del sentimento religioso l'aiuto necessario a far la rivelazione del
voto; la meraviglia^ la trepidazione, lo spasimo mal contenuto di
Eenzo, fluttuante tra il timore d' aver perduta la buona fiducia di
Lucia pe' brutti casi occorsigli e « l'angoscioso dubbio che ella, fra
tante sciagure, abbia dimenticato tutto il sue passato d'amore*, lo
strazia di così vive commozioni contrastanti nell'animo dell'inna-
morato, quella sua ansia violenta di sapere tutto, con un abbandono
d'nmore e d' ira insieme, il rimprovero crucciosamente appassionato
pel voto, « la gioia amara » che egli vuol procurarsi coll'accertarsi
che Lucia,, se non fosse il voto, sarebbe stata per lui ; tutto questo
conflitto di sentimenti e d'affezioni, acutamente rilevato nell'analisi
del Momigliano, conferisce un carattere appassionato e pittoresca-
mente drammatico all'episodio come il Manzoni l'aveva concepito
nella prima stesura. Confrontata con esso, la scena dell' ultima re-
dazione presenta — oltre alcune modificazioni d'elementi^ sostan-
zialmente conservati, — un tono lirico intimamente diverso, man-
candovi la rivelazione del voto, che da prima colpiva inattesa l'animo
di Renzo. Il Momigliano giudica che quel colloquio il Manzoni lo
abbia nell'ultima redazione « per più rispetti guastato, » e afferma
che r « avrebbe dovuto mantenere con poche mutazioni (*) » quale
era nella forma primitiva. Mi consenta il nostro critico valoroso
di dissentire alquanto dal suo reciso giudizio. La valutazione com-
parativa delle due forme dell'episodio è strettameute connessa con
le ragioni del profondo mutamento operato.
Che il motivo, non solo morale, ma, ad un tempo, artistico d'evi-
tare il troppo forte contrasto, nascente dalla diretta rivelazione del
voto di Lucia a Renzo in quel luogo di dolore e di morte, d'evitare
— cioè, l'inatteso, il romanzesco, l'esprit romanesque, teorica-
mente ripudiato — come sappiamo — dal Manzoni stesso, abbia
influito nel rimaneggiamento della scena è lecito convenire; ma che
(1) Op. cu., p. 118.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 255
nel medesimo tempo vi contribuisse una più profonda concezione
etica e poetica di Lucia, e l'intento di armonizzare anche quell'ap-
passionato colloquio col carattere di lei più raccolto, più pensoso,
più delicato, quale ormai il Manzoni era venuto sviluppando nel
grande lavorìo di meditazione e di ricostruzione psicologica e arti-
stica dalle pagine primitive della minuta, credo risulti non meno
evidente, dopo quanto abbiamo osservato intorno alla genesi di que-
sto personaggio. Ciò non toglie che il colloquio dell'ultima redazione
abbia parimente una sua vivezza drammatica ; diversa da quella
del primitivo, in solo quanto sono diversi i motivi immediati della
contesa. E su questi motivi dobbiamo insistere con particolare atten-
zione. Nel primo il conflitto de' sentimenti e de' caratteri era de-
terminato dalla rivelazione per sé stessa, dal doloroso sforzo che
durava Lucia nel farla, dall'angoscia fremente di Renzo che doveva
sostenere l'urto di un ostacolo impreveduto e lo strazio di combat-
tere, ora, quando gli pareva d'aver ritrovata la sua felicità, un così
grave impedimento ; al quale, per contro, nell' ultima redazione, ha
l'animo preparato e può opporre premeditati argomenti. E in que-
sto, dacché al Manzoni era parso più conforme alla logica de' sen-
timenti e alla situazione psicologica della lunga, dolorosa separa-
zione dalla madre, far che Lucia s' aprisse con lei su quel grave
segreto che le tormentava il cuore, riceve piuttosto un nuovo svi-
luppo psicologico il contrasto de' due giovani nel modo di sentire
e di valutare il voto fatto in quella terribile notte, spiccando in
Lucia il sentimento religioso, che è più forte dell'amore, e in Renzo
l'amore, che è più forte del rispetto all'obbligazione religiosa. Così
— secondo l'intenzione dell'autore — il nuovo dialogo, diverso, ma
non meno vario e animato del primitivo, s'inalza a grado a grado
ad un significato morale, che in quello non aveva che scarso rilievo.
Nella prima concezione il poeta aveva impresso alla scena un ca-
rattere squisitamente umano, risultante dall' affanno di Lucia, che,
conturbata all' apparire di Renzo, è costretta a confessargli la cru-
dele verità, e dal dolore atroce del giovane : dramma d' anime ga-
gliardo sì, e bello nella sua gentile umanità, ma non così profon-
damente morale, come in un progressivo momento di più intensa
religiosità piacque al Manzoni di trasformarlo. Vi conservo il carat-
tere essenzialmente umano originario, ma lo rese, ad un tempo, più
grave e grandioso, lumeggiandovi con nuova efflcacia l'intima lotta
di Lucia tra la devozione religiosa e 1' amore e quella, più aperta,
di Renzo tra i diritti del suo amore e la validità del voto. Per ciò
che riguarda Lucia quel colloquio, nella sua forma nuova, rappre-
256 PARTE TERZA
senta, nell' ordine psicologico e drammatico degli avvenimenti on-
d' è ordita la fortunosa vicenda dei due sposi, il momento supremo
di un diuturno contrasto tra lo scrupolo della coscienza e il senti-
mento : avvia dinamicamente alla risoluzione necessaria la situa-
zione penosa in cui s' agitava Lucia sin dal giorno della libertà ri-
cuperata, portando il combattimento del suo animo religioso con
l'amore vinto, ma non domo, dal chiuso della coscienza in un campo
più aperto e piìi pericoloso, di fronte a Eenzo che s'affaccia non
più in immagine nel segreto pensiero, ma vivo ed « eloquente »
col suo cuore, col suo amore, col suo dolore.
È ormai chiaro che il Manzoni, nel lavoro di rifacimento e di
correzione, ebbe cura di ordire con maggior ordine e chiarezza e
più rigorosa coerenza la tela del travagliato amore di Lucia, che è
certamente il fatto centrale, a cui convergono e — se pur se ne di-
lungano — finiscono col ricongiungersi tutte le fila del romanzo ;
nel quale la trista vicenda di Lucia si svolge per due, dirò così,
ampie spire riflettenti l'odissea cristiana di chi cerca con puro cuore
la giustizia e la pace tra gli uomini : 1' una, che move dall' iniqua
perturbazione delle nozze, sale coi tremuli riflessi dell' incerta spe-
ranza e si converte per ferrea necessità del destino nel pietoso av-
venimento del ratto; l'altra, che move dalla liberazione miracolosa,
ma segue il giro affannoso di un nuovo e non meno fiero contra-
sto, finché si rinchiude in sé stessa con la liberazione dal voto: due
grandi momenti nella storia di Lucia, frammezzo i quali sorge il
voto, che pronunzia la vittoria dell'innocenza sull'iniquità violenta,
di Dio su Satana, ma che, se chiude la lotta con le malefiche
forze del mondo, apre un più profondo conflitto della coscienza
con sé stessa. Ora il poeta, giunto all' episodio del lazzaretto, ha
voluto approfondire, più che non avesse fatto nella prima stesura,
alcuni potenti motivi psicologici intrecciati ad uno straordinario
caso di coscienza, rendere più complicata la situazione drammatica
che ne deriva, svolgendola dal contrasto de' sentimenti e giudizi
diversi, per essere diversi il carattere e le preoccupazioni morali
dei due personaggi contendenti.
Questo mutamento e sviluppo di motivi e, conseguentemente, d'at-
teggiamenti è conforme un suo criterio letterario, che appare chiaro
in quella lettera al Fauriel nella quale si lagna che in Italia non
si mirasse ad « approfondir les sentiments > e i poeti s'accontentas-
sero volentieri «de l' invention d' évènements, de situations et de
contrastes simpUs et tranchants, ed qui ne donnent lieu qu' à de-
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 257
crire des passions, pour ainsi dire, élementaires » (*). E veramente
il modo come il Manzoni ha concepita la situazione di Renzo e
Lucia nel colloquio del lazzaretto non si presta all'accusa di rudi-
mentale semplicità, non lascia prevedere che ne possa derivare fa-
cilmente una soluzione netta e recisa, tanto che essi due col loro
sentimento e coi loro ragionamenti non riuscirebbero a superare
quella crisi penosa, se non intervenisse l' autorità di fra Cristoforo.
E implicitamente da una parte lo scrupolo della coscienza religiosa
e l'attaccamento all'obbligatorietà del voto in Lucia, dall'altra il
timore di Renzo che i tanti casi occorsi abbiano mutato 1' animo
della sua promessa sposa, la pervicace opinione che il voto non
possa distruggere il vincolo ond' ella è legata al suo cuore, non sono
passioni e sentimenti di natura elementare. Nella prima redazione il
contrasto dei due giovani sposi, generato — come dicevo — massi-
mamente dair improvvisa rivelazione del voto, aveva tutta l'appa-
renza d'un colpo di scena; si svolgeva ;poi per due momenti, nel
primo de' quali combatteva il riserbo misterioso di Lucia con l'ansia
sospettosa di Renzo, nel secondo lo scrupolo religioso dell' amata
con la speranza del giovine nell'aiuto di fra Cristoforo. Era una
scena, invero, altamente appassionata, tanto da far dire al Momi-
gliano che « questo conflitto tragico, sorto e finito in pochi istanti,
aveva, per se e pel luogo in cui avveniva, per i toni ora contra-
stanti ora concordi con l'ambiente, una grandezza che il Manzoni
avrebbe dovuto vedere (^) ; ma — a guardar bene — la situazione
fondamentale di quella scena, appunto per essere imperniata sulla
rivelazione del voto — causa di commozioni imprevedute — , ap-
punto per esservi in contrasto l'angoscia di Lucia, che, suo mal-
grado, deve finalmente svelare il suo segreto, e il dolore di Renzo,
colpito mentre piìi giubilava di speranza, aveva, nella sua dramma-
tica rapidità, qualche cosa di semplice e di reciso, né consentiva
per ciò stesso, una lunga analisi de' sentimenti. Per contro, nella
seconda redazione, l'una sapendo che ormai il voto non è più un
segreto per l'altro, e questo essendo preparato a rimuovere con le
ragioni del cuore e le argomentazioni della mente quell'ostacolo che
s' era frapposto tra lui e il suo amore, ne viene un'analisi più de-
licata e complessa dello stato d'animo dei due contendenti, una più
elevata complicanza d'elementi passionali, una situazione, insomma,
in cui hanno maggior rilievo gli scrupoli religiosi di Lucia, la sua
(1) Lett. cit. del 17 ott. 1820, in Cart. cit., pp. 496-7.
(2) Op. cit., pp. 136-7.
Busetto — 17
258 PARTE TERZA
fermezza a sottomettervi le esigenze del cuore e la sua speranza,
cresciuta col tempo, che Eenzo non dovesse più pensare a lei, e,
all'opposto, i ben diversi sentimenti del fidanzato che, sebbene in-
formato del voto, si ribella a sacrificarvi il suo amore, ha la co-
scienza che il vincolo del cuore valga pili d' una promessa fatta in
un impeto di disperata angoscia, e non si rassegna a vivere ar-
rabbiato per tutta la vita, a subire il male fattogli da don Rodrigo,
dopo avergli perdonato e aver pregato accanto al suo letto di morte.
Che nel rifare e ampliare il dialogo, il Manzoni mirasse a sostituire
all' effetto, pateticamente vivace, dell' inattesa rivelazione quello di
di un dibattito complesso, intricato e inestricabile fra la coscienza
religiosa di Lucia e il forte amore di Renzo, s'intende anche dal-
l'avere svolto il rapido e breve accenno di Renzo al buon consiglio
del padre Cristoforo in una più aperta e più sostenuta speranza che
il giovane mostra di riporre nell' intervento autorevole di quel san-
t'uomo; s'intende, altresì, dal frammischiare ch'egli fa alle molte
parole di tenerezza e di cruccio accorti argomenti, quali il richiamo
a don Rodrigo morente, fattogli vedere dal frate, e alla volontà, espressa
da questo, che pregassero insieme. Lucia e lui, per 1'* anima di quel
poverino», l'amorevole ammonimento che il loro persecutore non
possa avere la grazia della salvazione, forse destinatagli da Dio, se
non sia « disfatto il male che ha fatto » nel mondo, se non sia cioè
consacrato e benedetto il loro amore che colui aveva scellerata-
mente offeso, l'oscura minaccia, fremente nelle ultime parole prorom-
penti con disperata eloquenza dal cuore senza pace, di dovere forse,
a cagion di Lucia, maledire per tutta la vita « quel disgraziato »,
Il Manzoni, nel rielaborare la materia del dialogo, ha svolto e
nobilitato, a un tempo, — come meglio vedremo a suo luogo — il
carattere di Renzo, ingegno destro, indole focosa e cuor generoso ;
ha riatteggiata Lucia conforme quella più alta e pura concezione
etico-psicologica a cui il Manzoni era. pervenuto — come abbiamo
più volte osservato — approfondendone con nuovo vigor religioso i
motivi e i caratteri morali.
Lucia — come il poeta l' aveva ideata la prima volta — non
supera le proporzioni di una buona sì, ma inquieta creatura terrena,
in cui la passionalità e la pietà religiosa coesistono in giusto equi-
librio, ma non sone fuse in quell'armonia spirituale che tempra
d'umiltà e di fortezza cristiana anche il cuore commosso da senti-
menti de' più teneri e de' più angosciosi.
La scena del lazzaretto pur rifletteva l'anima religiosa di lei nella
rivelazione del voto, nell'orrore con cui respingeva ogni idea di
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 259
pentimento, nella riposata fiducia che suonava per entro quelle sue
parole: « Ho ottenuto il miracolo, la Madonna mi ha salvata ». Ma
— se ben si guardi — era un pio moto del cuore, una commossa
riconferma di gratitudine, rinvigorita dal ricordo di quella notte
desolata e della grazia ricevuta: la brevità stessa e lo scopo del
colloquio che si svolgeva senza forte dibattito di sentimenti e d' idee,
non concedevano uno svolgimento largo e complesso al carattere
religioso della protagonista e ai motivi passionali della scena. La
coscienza religiosa di Lucia ha ben altro rilievo nell'ultima reda-
zione dell'episodio: il dibattito è gagliardo, lungo e pertinace: non
vengono a conflitto soltanto i sentimenti, ma le idee. Quel!' interro-
gare: « voi? che cosa è questa? in che maniera? perchè? », quel
replicare, dopo le tenere parole di premura del giovane nel vederla
ancora tanto pallida: « Ah Eenzo! perchè siete voi qui? », quel tor-
nare sul medesimo pensiero : « Ma Renzo ! Eenzo ! giacché sapevate,
perchè venire ? perchè ? » non solo denotano lo stupore e l'afifanno
per r incontro inaspettato, ma lasciano intendere la sua ferma con-
vinzione circa r irrevocabilità del voto e la sua meraviglia che Renzo
non ne fosse egualmente persuaso.
La logica di Lucia è diritta e conseguente e opera fin dalle prime
battute del dialogo con franco vigore. Donde questo spedito atteg-
giamento, che durerà senza tentennare, non ostante i battaglieri ar-
gomenti di Renzo, sino alla fine, se non dalla coscienza religiosa,
che è il fondamento delle sue idee morali, la scorta sicura di tutti i
suoi atti?
A me sembra cosa vana e superflua proporre il problema se una
Lucia più inquieta, più perplessa, meno resistente al combattimento
che le dà Renzo in nome del loro amore, sarebbe più vera, più u-
mana, più artisticamente compiuta. Quando mai l'arte — e massime
l'arte de' grandi — è stata l' immagine esatta della realtà comune
e ordinaria che ci palpita attorno ? E che è il mondo poetico di uno
scrittore se non la rappresentazione artistica delle sue idee e de'
suoi fantasmi, in cui la realtà si trasfigura, si idealizza e assume
le forme della spiritualità stessa dello scrittore? Noi dobbiamo cer-
care e valutare la verità artistica delle figurazioni e delle rappre-
sentazioni, non più; e cioè la concretezza e l'immediatezza con cui
il poeta esprime il suo mondo interiore. La Lucia del romanzo rin-
novellato riflette lo sforzo più profondo e più severo che la reli-
giosità del Manzoni abbia compiuto per rivelare tutta se stessa nel-
r elaborazione del capolavoro: vedere se il carattere, l'azione di
questo personaggio, che s'estrinsecano nelle forme liriche e dram
260 PARTE TERZA
matiche dell'analisi descrittiva e del dialogo, rispondano alla verace
concezione del poeta ; vedere se egli 1' abbia espressa con schietta
ispirazione affettiva, con lucido vigore di fantasia, con serena ar-
monia di colori e di toni ; vedere se il nuovo carattere esca segnato
della nuova impronta senza discontinuità di lineamenti, senza oscil-
lazioni confuse di luci, questo, non altro, è debito dell' interprete
dell opera d'arte.
Sì, il Manzoni ha inteso ad inalzare col rifacimento della scena
il dramma sentimentale a dramma morale, a diffondere sul se-
greto dolore di Lucia un fascio di luce religiosa: vigoreggia, non
meno che nella primitiva situazione, una grande angoscia, ma è
veramente angoscia d'anima cristiana, ferma nella sua fede, con-
vinta dell' infrangibilità d'un patto stretto con Dio; che sente dal-
l'interno suo risollevarsi l'onda de' dolci ricordi e del commosso
amore, ma non transige, perchè il senso del divino l'ha pervasa,
perchè l'imperativo morale la disciplina e la regge.
Lucia emana una calda e vivida religiosità da tutto il suo essere:
non ode, non vede, non sente, non giudica che attraverso quella
fede potente e fiduciosa e severa, che le ha dato la forza di fare il
grande sacrifizio del suo amore, di sopportare e di vincere gli sgo-
menti e i combattimenti del cuore. Lucia ha vissuto secoli di vita
in quel momento supremo del suo destino, come in altro senso e
con altra sorte l'Innominato, trasfigurato dal pianto e dalle parole
dì lei, risonanti nella fosca coscienza come gemito d'umanità, che
invoca e ama, come giudizio di Dio, che redime e perdona. Lucia
dalla lotta con gli uomini, in cui il vero vincitore è stato Dio col
salvare l'innocente insieme e il reprobo, è uscita pur lei trasfigurata:
l'offerta, che le è parsa accetta, del suo bene più caro ha ingigan-
tita la sua fede ; prima di quella notte, prima del voto, era la buona
e pudica fanciulla, aspettante la santificazione dell'amore; dopo,
ritemprata dal dolore ineffabile, sublimata dal sacrifizio, illuminata
dalla grazia, s' è sentita come compenetrata d' una nuova pietà e
carità, r anima piena di un non so che d' austeramente divino. La
voce di Dio copre i battiti del cuore; la coscienza religiosa riempie
tutta la sua vita; il solenne olocausto, la grazia ricevuta hanno se-
gnato un solco profondo nel suo cuore: il tumulto degli affetti può
invaderla, non scuoterla : ella, da sola con le sue forze morali, non
può piti tornare quella d'una volta: la sua volontà s'è legata a Dio.
Come la nativa schiettezza di fede e d' umiltà 1' ha resa capace di
offrire a Dio tutta se stessa, così la medesima virtù la sorregge e
difende nel conflitto coi rinascenti affetti della vita; il voto le ha
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 261
infuso uno spinto sacro: ella ne ha coscienza; codesta coscienza,
temprata di rassegnazione e d'abnegazione, è la nuova energia mo-
rale, che ne informa ii carattere. L'amore le può dare nuovo e piti
straziante combattimento; ma non preverrà; se Lucia vacillasse tra
sgomenti e improvvise speranze, ne sarebbe menomato il suo ca-
rattere religioso : la grandezza sacra di quel voto ne sarebbe oscu-
rata e il profondo effetto morale di esso sperduto, e parrebbe vana
la saldezza di quella convinzione d' essere stata salvata dalla grazia
divjna solo in virtù del suo sacrifizio.
Il Manzoni intuì quest'ardua situazione morale della coscienza re-
ligiosa di Lucia ; vide che il centro vitale della trama avventurosa,
ond' egli iiitesseva il romanzo della sua umile eroina, era lì, in quel
nuovo stato di coscienza, generato dal voto; s'avvide che nella for-
ma del primo getto codesto dramma morale non aveva la profon-
dità e la magnificenza che la saa natura comportava; che, per espri-
mere r una e 1' altra in tutta la loro pienezza, per dare all' ultimo
e più grave combattimento il significato non di un contrasto d'a-
more, ma di una lotta di coscienza, di un conflitto tra ciò che è
stato assunto come dovere religioso e ciò che si protesta come di-
ritto del cuore, bisognava rattemprare il carattere morale di Lucia,
infonderle uno spirito di più austera religiosità.
E a questo intese con assidua cura nella ricomposizione del ro-
manzo. Dalle prime parole, dalle prime scene alle ultime, Lucia si
ripresenta nel romanzo atteggiata ad una cotal grazia più dignitosa
ed eletta e splendida di una più pura e forte spiritualità: ne' di-
scorsi accorati con Renzo furibondo contro don Rodrigo, ne' mesti
pensieri d'addio durante la traversata notturna del lago, ne' collo-
qui con la strana signora di Monza, nelle separazioni dolorose, nelle
invocazioni affannose ai bravi che l'avevano rapita, nel pietoso col-
loquio con r Innominato, nel travaglio della terribile notte, nella
fiduciosa preghiera, nel suo pieno abbandono a Dio, nella promessa
solenne, negl' interni combattimenti dopo la liberazione, ne' colloqui
col cardinale, nella grandiosa scena, in cui rivela il voto alla ma-
dre, nella penosa lotta che il suo cuore sostiene con donna Pras-
sede. Di vicenda in vicenda, di dolore in dolore, via via che si
svolge la fortunosa vita di quest'umile figlia de' campi, inalzata ai
fastigi del romanzo, attraverso i dolori della persecuzione, lo sbi-
gottimento della fuga, il terrore dell' onta estrema, il fervore della
fede cristiana, la gioia della salvezza, i dibattiti della coscienza, i
palpiti indomabili del cuore, nella comunione dell'universale dolore,
la figara di Lucia s'inalza progressivamente, attingendo dalla sven-
262 PARTE TERZA
tura e dal sacrifizio uno spirito di raccoglimento pensoso, di rasse-
gnazione, di fortezza cristiana, che le conferisce un non so che di
semplice e profondo, d' umile e d' alto a un tempo.
Il voto e il grande colloquio nel lazzaretto sono i supremi gradi,
a cui s'aderge lo spirito di lei: non so se il Manzoni abbia sapien-
temente premeditato di creare un' intima correlazione delle due
scene; ma io ne ricevo l'impressione che una segreta ispirazione
comune le unisca, le mova, le faccia convergere nella medesima
significazione spirituale. Quel grandeggiar della figura religiosa di
Lucia di fronte all'uomo appassionato, lottante per l'amore e per
la vita, ha origine da quella medesima fede con cui ella si votò alla
Madonna. Tanta coscienza del nuovo dovere non può aver fonda-
mento che nella consapevolezza d'averlo contratto con intento chiaro
e risoluto. L'anima di Lucia davanti a Renzo è tutta dominata dai
ricordi di quella notte: il disperato abbandono fino a desiderar di
morire, la consolante preghiera, la ravvivata speranza, la subitanea
idea, che l'era passata per la mente come raggio improvviso, di of-
frire a Dio, nella sua desolazione, quello che aveva di più caro, la
solennità sacra dell' offerta ; la « più larga fiducia » che le aveva
inondato l'animo, il presentimento della grazia, che, poi, le venne
concessa. Quel voto^ nella sua semplice e ingenua pietà, era diven-
tato l'imperativo categorico della sua coscienza; era come un roveto
ardente, che nessun vento di passione poteva disperdere ed estin-
guere. Il Manzoni, dopo avere rifusa e ritemprata la scena del voto
nel modo che vedemmo, doveva, per la logica inesorabile della ve-
rità psicologica e artistica, presentarci Lucia, nel colloquio con Renzo,
non meno grande e austera, non meno ferma e incrollabile di quello
che fosse nella notte del sacrifizio ; tra queir atto di speranza, di
fede, di pia dedizione e il contegno che tiene di fronte a Renzo
corre un intimo nesso spirituale, così che l'uno non è che svolgi-
mento e compimento dell'altro, e ambedue sono i riflessi indifettibili
di un'anima in cui la religione si fonde in uno con la moralità.
L'alta figura cristiana di Lucia, quale il poeta venne ricostruendo
con più commossa coscienza religiosa^ spicca tutta in queste tre
scene, del voto, della rivelazione alla madre, del dissidio con Renzo.
E non senza ragione sono state così profondamente mutate dalla
minuta alla redazione definitiva, e la seconda è nuova di spirito e
di forme : gli è che servono tutt' e tre allo sviluppo del carattere
religioso di Lucia; tutt' e tre sono come le tappe drammatiche della
dura e mesta milizia, che l'innocente in terra sostiene, passando tra
le iniquità degli uomini e le forti passioni della vita. Prima del voto
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 263
la Storia di Lucia è massimamente romanzesca e l' intreccio, che ne
deriva, non richiede analisi sottili e profonde di complicati stati di
coscienza; dal voto all'incontro con Renzo la sua storia si fa fine-
mente psicologica e altamente drammatica: il contenuto morale e
religioso del suo carattere, di cui presentiamo l' inesauribile ardore
e vigore, ma che contingenze antecedenti non avevano eccitato e
provato in supremi cimenti, si esplica nell'urto de' nuovi più ter-
ribili casi e massimamente nel conflitto interiore della coscienza. Il
romanzo s' inalza a dramma e la figura di Lucia assume una gran-
dezza etica e uno splendore nuovo di poesia. Ecco perchè, mentre
nella prima parte della lagrimosa odissea — salvo fugaci ritocchi
qua e là, che ne illuminano di più gentile e soave luce la pittura
morale — non abbiamo dovuto rilevare mutamenti radicali attra-
verso le progressive redazioni ; nella seconda, al contrario, il poeta
ha quasi tutto rinnovato, o descriva la vita di Lucia fra gli ospiti
di Chiuso, fra i suoi compaesani accanto alla madre, in casa di donna
Prassede, o ne analizzi i sentimenti, gli affetti, i segreti commossi
pensieri, o ne rappresenti nella viva azione dialogica il carattere
morale e religioso. Il meraviglioso lavorio di rimeditazione etica, di
ricostruzione psicologica e di figurazione artistica che il Manzoni è
venuto compiendo sopra le pagine della minuta, più spesso frettolose
e sbiadite che meditate ed efficaci, è proceduto dall'intuizione vi-
gorosa e serena del grande problema spirituale che il voto in se
stesso involgeva : a rappresentarlo nella sua vicenda complicata e
travagliata occorreva volgere in forme più elevate la spiritualità di
Lucia, approfondirne con potenza di luminosi rilievi le situazioni
psicologiche e drammatiche, portarne, insomma, a più alto grado
r idealizzazione poetica. L'unità morale ed estetica che regge e lega
in un nodo indissolubile le tre scene, dianzi riavvicinate tra loro,
non apparirebbe a noi così evidente, se il Manzoni non avesse dato
all'anima religiosa di Lucia una vita più intensa e un maggiore
sviluppo di atteggiamenti, accrescenjdo di valore e di energia la co-
scienza del voto e facendola operare come una potente forza morale
nel conflitto coi ricordi d' un soave passato e con gli affetti radicati
nel cuore.
Questo — se non m' inganno — ha voluto il Manzoni porre in
più splendida luce; l'esame comparativo delle tre scene può darne
conferma.
Nella tragica notte, seguita al ratto, l'ineffabile travaglio di Lu-
cia si placa alla fine nel voto, che è l'unica risoluzione suprema di
uno stato quasi mortale, l' unico argomento, in tanta desolazione,
264 PARTE TERZA
di speranza, di fede, l'unico balsamo allo spirito e a' sensi, che
s' acquietano nel sonno continuo e tranquillo. Neil' ultimo doloroso
colloquio con la madre, il sentimento, l' idea dominante è l' invio-
labilità di quella promessa « così espressa, così solenne », suffra-
gata dalla « liberazione così impreveduta », dalla certezza della
divina grazia largita, dalla convinzione incrollabile che in tutta la
vicenda de' suoi casi, compresa la separazione da Eenzo, « sia da
vedere un chiaro segno della volontà di Dio » (^). Nel formidabile
colloquio con Kenzo è la stessa idea morale che appassiona Lucia,
ne investe tutti i sentimenti, ne invigorisce le parole con cui con-
trasta al cruccio, agi' impeti eloquenti, alle argomentazioni fiera-
mente rigorose di Renzo.
Renzo, allo stupore di Lucia per l'ardita impresa, da lui compiuta
tra tante miserie e spettacoli di morte, con dogliosa gravità risponde
che pei morti s'ha a pregar Dio e sperar bene della loro sorte, ma
che « non è giusto, né anche per questo, che quelli che vivono ab-
biano a viver disperati ». E Lucia insorge angosciosamente : « Ma
Renzo! Renzo! voi non pensate a quel che dite. Una promessa alla
Madonna!... Un voto! ». Insiste il giovane nel tentar di scuotere la
sicurezza di Lucia; ma ella pronta e severa: « ....non sapete quello
che vi dite: non lo sapete voi cosa sia fare un voto: non ci siete
stato voi in quel caso, non avete provato ». Lucia, nel contrasto con
l'uomo, si accende sempre più di un fiero spirito religioso. Ecco: a
Renzo dice forte : « Andate, andate, per amor del cielo !» e si sco-
sta « impetuosamente da lui, tornando verso il lettuccio » ; e poi
rinforza: « Andate, oh andate! dimenticatevi di me: si vede che
non eravamo destinati !» ; e poi ancora : « Andate, per amor del
cielo, e non pensate a me.... se non quando pregherete il Signore »,
e al « sentite. Lucia, sentite! » che fa Renzo, insiste, dopo essersi
ancor più accostata al lettuccio, « come chi non ha più altro da
dire, né vuol sentir altro, come chi vuol sottrarsi a un pericolo » :
« No, no; andate per carità! ».
La sua anima, nel grande sforzo morale, si vela di mestizia cri-
stiana: « Ci rivedremo lassù: già non ci si deve star molto in que-
sto mondo Cercate di far sapere a mia madre che son guarita ;
(1) Lucia su questa sua idea torna a più riprese n«l colloquio: — «Vedete come
pare che il Signore ci abbia voluti proprio tener separati ». — « È il Signore che ha
voluto che tutto andasse così: sia fatta la sua volontà ».— « Fategli scrivere... la
cosa... com'è andata., e che Dio ha voluto cosici. (Prora, sp., cap. XXVI, p. 386).
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 265
ditele che spero che lei sarà preservata da questo male, e che ci
rivedremo quando Dio vorrà, e come vorrà ...»
Per Eenzo la causa è quasi perduta; ma l'uomo non indietreggia
ed eccolo mettere in mezzo qualcosa che poteva toccare il cuore di
Lucia: la figura veneranda, le parole amorevoli e incoraggianti di
fra Cristoforo. Lucia è scossa dal sentire che il buon padre è lì,
poco lungi da lei ; ma, se si stacca « di nuovo dal lettuccio » e si
riavvicina a Renzo, gli è (notate bene) perchè, vedendo il giovine
esitare a dirle che pur troppo il padre l'ha addosso la peste, è invo-
lontariamente sospinta dall'ansia ancora verso di lui. La presenza,
in quei luoghi, di fra Cristoforo non le desta in cuore che un senso
di devozione, di premura, di pena nel saperlo malato : nessuna, sia
pur vaga, speranza — quale il Manzoni attribuiva Lucia (lo vedremo
fra poco) nella primitiva concezione dell'episodio — che potesse il
padre intervenire a scioglierla dal voto. C'è, sì, un'apprensione an-
che per sé in quel « poveri noi! », ripetuto, ma, tutt'altra da quel
sentimento, lascia trapelare 1' angoscioso timore di perdere col san-
t'uomo il più valido conforto a tenersi ferma nel voto.
Difatto Renzo ha un bel riferirle che il frate aveva approvato
che andasse a cercar lei e aveagli promesso d'aiutarlo a trovarla;
Lucia risponde, senza scuotersi : « Ma, se ha parlato così, è perchè
lui non sa.... » e compirebbe il senso della frase, se Renzo non la
interrompesse bruscamente. Renzo s' affanna a farle intendere che
è proprio fra Cristoforo che vuole che loro preghino insieme per
l'anima di don Rodrigo ; Lucia conviene che si debba pregare il
Signore, ciascuno, però, nel proprio posto, e alle insistenze del gio-
vine, ribadisce : « Ma Renzo, lui non sa.... ».
Mancare al voto, fare il matrimonio, perchè sia « disfatto il male
che ha fatto » don Rodrigo, e a questo possa esser così agevolata
la misericordia divina? «No, Renzo, no » insorge Lucia con risolu-
tezza: « Il Signore non vuole che facciamo del male, per far Lui
la misericordia ». Renzo ricorre da ultimo al presunto giudizio di
Agnese: « non ve l'ha detto anche lei che l'è un'idea storta? »;
ma Lucia, tra stupita e sdegnata, risponde: « Mia madre! volete
che mia madre mi desse il parere di mancare a un voto! » E quan-
to a fra Cristoforo, è tanto sicura d'avere anzi da lui una convali-
dazione della sacra promessa, che congeda Renzo col dire: « Sì, sì,
andate da quel sant' uomo » ; « lui saprà spiegarvi le cose, e farvi
tornare in voi ; lui vi farà mettere il cuore in pace » (*).
(1) Prom. sp., cap. XXXVI, pp. 536, 537, 538, 539.
266 PARTE TERZA
È curioso notare che nella scena primitiva la segreta passione di
Lucia e il conflitto interno de' suoi sentimenti non avevano un vivo
e manifesto rilievo, benché fosse nell' intenzione dell'autore di pre-
sentarci in lei una naturale perplessità tra l'amore e il voto, un'in-
clinazione, anzi, alla speranza che fra Cristoforo potesse toglierla
da quel penoso imbarazzo. E dico nell'intenzione, poiché non già
•lampeggiava chiaramente dal dialogo il vago sentimento nuovo, ma
era l'autore che ce ne voleva informare con un'aggiunta analitica
dopo il colloquio. Lucia a Renzo, già avviato a ricercar del padre
per averne aiuto e conforto, rivolgeva quest' ultime parole : « Di-
tegli che io ho sempre pregato per lui; che se può, venga a tro-
varmi, a consolarmi, e voi... voi... ». A questa trepida reticenza il
Manzoni soggiungeva: « — Non tornate più qui per amor del cielo!
— voleva ella dire, ma non lo disse. Dopo fatto quel voto, Lucia
aveva sempre creduto di essersi legata irrevocabilmente, e non aveva
supposto mai, che alcuna autorità potesse annullare un patto col
cielo; aveva respinto come colpevole il pensiero stesso^ e non aveva
mai confidato a persona il suo doloroso segreto. Ma quando Fermo
parlò di una speranza nel padre Cristoforo, quella stessa speranza
confusa entrò nel cuore di Lucia; le balenò nella mente un: — chi
sa? — , intravide come non impossibile che il padre Cristoforo po-
trebbe trovare qualche mezzo ... e in quel dubbio ella stimò inutile
di dire risolutamente a Fermo: « non tornate ».
Codesta dilucidazione, non assolutamente necessaria all' intelligenza
del dramma, .smorzava la potente efficacia di quel « e voi... voi... »,
a cui restava sospesa la voce, l'anima di Lucia, mentre Renzo, che
forse non ne aveva intesa 1' occulta ansia mista di pena e di dol-
cezza, germogliata nel cuore di lei, correva via tutto preso dal pen-
siero di « tornar ben tosto » col frate. Ma, se possono esser superflue
le parole dell'autore alla rappresentazione artistica, giovano a il-
luminare la concezione primitiva, che della situazione psicologica^
creata dall' inaspettata visita di Renzo e dalle affezioni di Lucia in
quel momento, s'era fatto il Manzoni. Il quale — conviene dirlo —
non riesci a darci con gli effetti del dialogo la netta immagine di
Lucia, quale ei vagheggiava, d'anima agitata tra l'amore e il voto,
tra la volontà legata alla solenne promessa e la confusa speranza
di liberarsene con l'aiuto di fra Cristoforo, onde cercò di rimediarvi
con un po' d'analisi introspettiva. Non vi riuscì con efficace imme-
diatezza d'arte, ma certamente ne ebbe il proposito, e si aff'aticò a
chiarirla, come attesta il tormentoso lavorio di correzione, a cui sot-
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 267
topose il passo sopra riportato (*). In effetto l'amore di Lucia nella
prima redazione del dialogo non appariva evidente, ma ella lo la-
sciava intravedere piuttosto dallo sforzo aff"annoso della rivelazione
che da aperte espressioni, e non riusciva più a nasconderlo se non
quando Renzo le chiedeva risoluto e accorato : « Lucia !, se non fosse
il voto...? dite: sareste la stessa per me? »; nell'ultima quell'in-
timo tormento del cuore è manifesto per più segni e più efficace-
mente vivaci : e trepida nelle parole di lei con altro spirito e suono
dalla forma primitiva. Sarebbe dunque parso al Manzoni, nel ripen-
sare il comportamento di Lucia in codesto drammatico incontro con
Renzo, di dover rendere in modi più rilevati e coloriti l'inquieto
agitarsi della passione combattuta, ma non doma? di dovere dare
una forma più franca, più aperta all'espressione dell'amore? Se
così fosse, se in realtà Lucia apparisse più appassionatamente inna-
morata nell'ultima dipintura, dovremmo ammettere che il Manzoni
ha qui modificato quel criterio — dominante nel processo d'elabo-
razione artistica di questo personaggio — d'una rappresentazione
più decorosa, più composta e più sobria, d'una idealizzazione poetica,
più profondamente pensosa, del carattere e dell'amore di Lucia. Nel
fatto, chi non si lasci ingannare dall'apparenza vedrà che certi toni
di una più espressiva trepidazione d'amore della nuova scena non
sono dovuti all'intenzione di tratteggiare con maggior vivezza l'a-
nima innamorata di Lucia, ma si riflettono, piuttosto, dallo stesso
fervore religioso, con che ella difende l'inviolabilità del voto.
Nel principio del colloquio Renzo, fremente di dolore, incalza ap-
passionato: « Oh Lucia! perchè venire, mi dite? Dopo tante pro-
messe! Non Siam più noi? Non vi ricordate più? Che cosa ci mancava?».
E un gran momento d'angoscia per Lucia: giunge le mani e alza
gli occhi al cielo esclamando : « Oh Signore ! perchè non m' avete
fatta la grazia di tirarmi a Voi...! » e, rivolta a Renzo, dice sgo-
menta : « Oh Renzo ! cos' avete mai fatto ? Ecco ; cominciavo a spe-
rare che... col tempo... mi sarei dimenticata,..».
Sublimi parole d'anima ingenua e forte insieme, che alla presenza
dell'uomo, di cui non avrebbe voluto « più saper nulla », teme non
ritorni l'antico aff'etto, come al tempo de' primi sgomenti e combat-
timenti, a turbarla nelle prove di fede e di abnegazione durate con
(1) Qu«l «dubbio» che trattiene Lucia dal dire a Renzo: «non tornate» era, nelle
varianti, «pungente, ma non senza una dolcezza»; poi il Manzoni corresse in «pe-
noso, ma d'una pena che Lucia non aveva sentita da gran tempo » (Sp. proni., p. 763,
ji. 9). È evidente lo sforzo per cogliere e fissare in lucide forme lo stato inquieto di
Lucia.
268 PARTE TERZA
assiduo sforzo per mantenere la solenne promessa, per obliare un
passato pur tanto soave. L'amore lampeggia, è vero, in quelle altre
parole vibranti d' accorata eloquenza : « Uomo senza cuore ! quando
m'aveste fatte dir delle parole inutili, delle parole che mi farebbero
male, delle parole che sarebbero forse peccati, sareste contento?
Andate, oh andate! dimenticatevi di me; si vede che non eravamo
destinati! ». Ma voi sentite nel pianto di Lucia, in cui l'obbligo al
voto, da lei sentito con religiosità profonda, non può soffocare del
tutto l'amore, voi sentite che è la sua coscienza candidamente cri-
stiana che soffre e che, mentre non sa rinnegare il tenero affetto,
radicato nel cuore, si rafferma nella santità di quell'obbligo contratto
con Dio. Parole « inutili » parole forse peccaminose sarebbero le
sue: allora e sempre. A che prò? Più forte dell'amore è il destino
che è in mano di Dio : così, tra lampeggiamenti d' affetto, s'aderge
ognora — come torre che non crolla — l' alta coscienza del suo
nuovo dovere: giacché ha avuta la grazia, la salvezza in virtù del
voto, come, perchè scuotere la fedeltà d'una promessa coi pensieri
d'una volta? Ricordate la « supplicazione accorata » con cui Lucia,
rilevandosi dallo sgomento della memoria del voto, il primo giorno
della sua liberazione, e riconfermando la promessa alla Madonna,
aveva chiesto che « le fossero risparmiati i pensieri e l'occasioni, le
quali avrebbero potuto, se non ismuovere il suo animo, agitarlo
troppo? (*) ». Il medesimo accoramento religioso palpita ora nel-
l'anima combattuta dalle parole di Renzo; la medesima appren-
sione per quella più temibile fra le occasioni deprecate nella pre-
ghiera, le tortura l'anima pia, ora che la Provvidenza non gliel'ha
voluta risparmiare, e le riaccende il fervore d'implorazione di quella
giornata. Renzo, nel dire che fra Cristoforo era poco lontano di lì,
insinua tra destro e tenero : « poco più che da casa vostra a casa
mia... se vi ricordate..!». Un fiotto di soavi ricordi si risolleva
dal cuore dì Lucia che geme: « Oh Vergine santissima! » Un grido,
un'invocazione, non più. Ma quante cose espresse in quelle due
semplici parole ! E quando Renzo al sentirsi dire che padre Cristo-
foro gli farà «mettere il cuore in pace » sfoga l'animo in quella
parlata splendida di amore e di dolore, Lucia, quasi travolta dal-
l'onda incalzante degli argomenti appassionati e acuti del giovine,
quando « il pianto » le permette « di formar parole », invoca ancora
la Madonna : « 0 Vergine santissima, aiutatemi voi ! Voi sapete che,
(1) Prom. s'p., cap. XXIV, p. 350.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 269
dopo quella notte, un momento come questo non l'ho mai passato.
M'avete soccorsa allora; soccorretemi anche adesso! ».
E, insistendo Renzo con quelle parole: « Se è ch'io vi sia venuto
in odio.,., ditemelo.... parlate chiaro », che sono un nuovo abile ten-
tativo per strappare a Lucia una confessione aperta dell'amore com-
battuto, ma non vinto, ella con tragici accenti lo scongiura: « Per
carità, Renzo, per carità, per i vostri poveri morti, finitela, finitela;
non mi fate morire.... » ; e, dopo una pausa grave di disperato do-
lore, singhiozza: « Non sarebbe un buon momento >. Atti e parole,
rivelanti non già il risorto conflitto, del tempo addietro, tra il do-
vere e l'amore, ma il turbamento profondo dell'anima religiosa,
messa a quella terribile dura prova, affannata nel ricercare nuovo
vigore e calore a raffermarsi nel voto e nell' adempimento di esso.
Uno degli aspetti della nuova figura psicologica e morale di Lu-
cia è codesto progressivo rafforzamento della sua coscienza reli-
giosa rispetto al voto, in ragione diretta delle vicende eh' ella su-
bisce e del chiarirsi via via nella sua anima, umile e alta ad un
tempo, dei motivi e delle circostanze del suo sacrifizio, della « pie-
nezza del sentimento » con cui l'aveva fatto, della mirabile rispon-
denza della grazia divina al suo grande fervore di fede e dì spe-
ranza, messo nella preghiera e nella promessa di quella notte.
Nella prima concezione balenò alla mente del Manzoni, piuttosto,
il contrasto tra 1' antico inestinguibile affetto e la nuova obbliga-
zione morale : dramma umano, fecondo di grandi bellezze, ma che
il Manzoni — sebbene l'abbia pensato — non svolse ed attuò, come
pur la situazione avrebbe comportato, con ardita analisi psicologica
e lussureggiante dovizia di rappresentazione artistica, trattenuto dal
timore, forse, di precipitare in quel genere romantico che non gli
doveva piacere neppure al tempo del primo dtsegno e della prima
stesura del romanzo, benché per allora non sapesse sottrarvisi del
tutto per ragioni dì pensiero e d'arte, che abbiamo già esaminate;
preoccupato certamente dal proposito, perfino teoricamente discusso
e difeso, d'evitare una troppa manifesta e minuta rappresentazione
dell' amore^ alla quale non sarebbe potuto sfuggire se avesse dato
ampio sviluppo di analisi alla lotta, con pari forza combattuta, tra
il cuore amante di Lucia e la coscienza del dovere religioso; agi-
tato e impacciato infine (che è anche piìi probabile) nel delineare,
nel primo fervido getto della figura, con compiutezza e sicurezza
di concezione e d'espressione il carattere del suo personaggio.
Si veda, per contro, come il Manzoni abbia elaborato e trasfor-
mato il dramma di Lucia nell'ultima redazione. Nei primi combat-
270 PARTE TERZA
timenti, suscitati dalla memoria del voto, l'idea che Renzo si ras-
segnasse, non pensasse più a lei metteva e sottosopra la mente
ch'era andata a cercarla », « il cuore era lì lì per pentirsi », un'al-
tra volta, pur dopo la nuova preghiera e la conferma nella sacra
promessa del voto. Eppure la memoria di questo erale comparsa
« così chiara e distinta » con tutte le circostanze e i sentimenti
che r avevano accompagnato ; eppure, se aveva avuto un « penti-
mento momentaneo », l'aveva subito rinnegato, tant'era la ricono-
scenza della grazia ricevuta; e aveva, poco prima, riposata l'anima
nella pia credenza che fosse stata la Provvidenza a disporre tutto
per il meglio. Sarebbe estrema leggerezza tentar di cogliere una
contraddizione o una discontinuità psicologica in quella prima fi-
gurazione dello stato d'animo in cui il poeta ci rappresenta Lucia,
il giorno della liberazione; e già su questo argomento qualcosa s'è
detto più addietro. E, invece, naturale che in Lucia, anche dopo la
rinnovazione della promessa e quella certa calma ispiratale dalla
fede, si ridestasse il tumulto degli afifefti, e che, al primo pensare
a Renzo e alla difficoltà d'indurlo a dimenticarla, si sentisse ripren-
der dall'affanno di poco innanzi. Era il giorno della liberazione, in-
vocato con tanta angoscia : lo spirito, l' essere tutto tornava alla
vita, alla gioia del vivere senz'onta, in salvezza, presidiata da ina-
spettati e potenti soccorsi. E che tempo era intercorso tra 1' uscita
dal monastero di Monza e quell' ora di ospitale riposo ? Un giorno
e una notte, e un dramma rapido, ma intenso, complicato e straor-
dinario: il ratto, la grazia, il pentimento dell'oppressore, l'intervento
di un grande religioso, il ritorno alla libertà. Poteva parere un so-
gno ad anima che non attingesse dalla fede candida e profonda la
spiegazione dell'evento straordinario; mail cuore di Lucia, appunto
per questo fulmineo trapasso dal sicuro ricovero all' orrendo peri-
colo, e da questo alla libertà, non poteva essere domato del tutto,
in cosi breve giro di tempo, dalla solenne virtù del voto. Non v'ha
potenza d'eventi umani, non efficacia d'atti solenni e risolutivi che
valga a scancellare d' un tratto sentimenti, affetti, intime abitudini
dello spirito, profondamente radicati. La coscienza della gravità del
voto, allora in sul principio d'una lunga penosa lotta col cuore, non
poteva vincere in Lucia il pensiero di Renzo, l'onda dell'affetto an-
cor vivo, la riluttanza a chiedere pure a lui la rinunzia suprema.
Tutto ciò è psicologicamente vero; e il Manzoni con giusto intuito
r ha colto e splendidamente rappresentato.
Ma il tempo trascorre ; e col tempo Lucia s' adusa alle interne
battaglie ; dalla ricognizione, fatta in lei più chiara, di una partico-
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 271
lare grazia ottenuta, dal convincimento, sempre meglio ribadito, di
dovere la invocata salvezza alla risolutezza del suo sacrifizio attinge
via via nuovo vigore di devozione e di riconoscenza, di costanza
nell'adempimento della promessa; soffre, tuttavia, ma ogni giorno
più rafforza la coscienza contro gli stimoli del cuore; dai nuovi casi
suoi, dalle fortunose vicende di Renzo trae un monito a perseverare
nell'obbligo contratto con Dio. Con tale animo, quando si separa
dalla madre, il giorno innanzi la partenza da Milano, non solo trova
la forza di rivelarle il voto, ma di sostenere, altresì, le alte ragioni
di volerlo adempiere senza pentimenti od esitazioni: allora Lucia,
non che lasciarsi sconvolgere dall' idea che Renzo « metta il cuore
in pace », sollecita la madre a fargli sapere i patimenti da lei sof-
ferti, il pericolo corso e l' inviolabile promessa, a persuaderlo ch'ella
non può « mai mai esser di nessuno »; allora — per quell'ingenuo
moto dell' animo concitato da una grande passione o rinvigorito da
una sicura convinzione che ci fa immaginare in altri una disposi-
zione consimile — s' abbandona quasi alla certezza che Renzo abbia
a rassegnarsi (*).
Ne' lunghi mesi passati in casa di donna Prassede, Lucia non
perde terreno: sì, è vero che l'immagine di Renzo le si presenta
più spesso ch'ella non voglia, ma perchè è essa attaccata a « tutte
le memorie del passato >, alle quali torna la mente di Lucia. « Non
desiderava — scrive il Manzoni — più altro, se non che si dimen-
ticasse di lei ; 0, per dir la cosa proprio a un puntino, che pensasse
a dimenticarla. Dal canto suo, faceva cento volte al giorno una
risoluzione simile riguardo a lui ; e adoprava anche ogni mezzo^
per mandarla ad effetto » (*). Che, dopo « così lunga consuetudine »
d' amore, il cuore potesse del tutto tacere e la buona volontà le ba-
stasse per riuscir a non pensare più affatto a Renzo, non varrebbe
nemmeno la forte ragione del voto per ammetterlo; e il Manzoni,
da ottimo psicologo, si guardò bene dal rappresentarci 1' anima re-
ligiosa di Lucia capace di così assoluta austerità da seppellire im-
perturbabilmente nell'oblio il tenero ricordo dell'uomo già prossimo
ad essere suo sposo e che in nulla aveva demeritato di lei. Ma non
ci sfugga — oltre che la concezione umoristica di quei dibattiti tra
Lucia e donna Prassede sui casi e sull'indole di Renzo — la situa-
zione vera in cui ella trapassa, dopo la confessione del voto (che è
(1) In quelle parole: «Quando saprà che ho promesso alla Madonna ha sempre
avuto il timor di Dio» la reticenza, la sospensione è indizio d'affannoso discorso
interiore, non di sicura speranza (Proni, sp., cap. XXVI, p. 386).
(2) Prom. sp., cap. XXVI, p. 397.
272 PARTE TERZA
è una riconferma a sé stessa) fatta alla madre: che, cioè, non ha
luogo un vero contrasto della coscienza col cuore, non l'adombra
pentimento e rammarico della nuova promessa, ma anzi vi è così
ferma che si studia di cancellare perfino dalla memoria la figura
dell' uomo amato. È la fase più operosa del promesso adempimento
del voto: cercar di dimenticare, desiderando d'essere dimenticata;
la coscienza's'è di tanto afforzata che « a pensarci meno » al pas-
sato, « fino a un certo segno » ci riesce. Osserva il Manzoni con
calma sorridente: « ci sarebbe anche riusciuta meglio se fosse stata
sola a volerlo. Ma c'era donna Prassede, la quale, tutta impegnata dal
canto suo a levarle dall'animo colui, non aveva trovato miglior
espediente che di parlargliene spesso » (*). Oh se non ci fosse stata
queir « acerba predicatrice » a suscitare con « l' indegno ritratto >
ch'ella faceva del povero Renzo, le « rimembranze» d'un tempo,
« tanti antichi motivi di stima » e « più forte la pietà » pel giovane
perseguitato, dietro « a quegli affetti » l'amore, come suole, non si
sarebbe sollevato a turbare « quella qualunque calma » (*) in cui
Lucia, armata di fede, di rassegnazione, di riconoscenza verso Dio,
veniva componendo l'anima sua.
Quando dunque vuole il destino che Renzo ritrovi nel lazzaretto
la giovine amata e che questa sostenga con lui il tremendo contra-
sto che abbiamo analizzato, ella ha superato la crisi del cuore, né
vi ha voce o atto di lei nel dramma potente che accenni al risolle-
varsi dell'affetto, compresso a forza, sopra le ragioni del voto, o al
tentennar dell'anima, compresa del suo doloroso dovere, o al for-
marsi, come lasciava intravedere il poeta nella prima stesura, d'una
vaga speranza di poter sciogliersi dalla sacra promessa.
L'angoscia di Lucia non è tanto lo sgomento del cuore, perchè
l'antico affetto lo riagiti^ quanto il travaglio della coscienza, scossa,
combattuta nel suo proposito dolorosamente fiero, ma ansiosa — ora,
più che inai, in quella suprema contesa -r- di tenersi ferma: «fi-
nitela, finitela; non mi fate morire > — sono le ultime parole —
« Andate dal padre Cristoforo, raccomandatemi a lui, non tornate
più qui, non tornate più qui ».
Parole semplici e grandi, di preghiera, d'_^ammonimento, di co-
mando, che scolpiscono il carattere religioso di quel forte travaglio,
su cui non ha potuto la voce accorata e fiera di Renzo, non il suo
amore imperioso, ma potrà una parola più alta e più pura, quella
di Dio, detta da un interprete insigne e venerando.
(1) IMd., p. 3y8.
(2) Ivi.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 273
X. Ed eccoci alla scena del proscioglimento del voto (*). Nel-
l'insieme essa è rimasta come il Manzoni 1' aveva concepita e rap-
presentata nel primo getto ; ma i caratteri di fra Cristoforo e di
Lucia hanno avuto sapienti ritocchi che ora vedremo.
Codesta scena, l'ultima che richiami la mia attenzione nello studio
che sono venuto facendo attorno alla formazione del celebre per-
sonaggio manzoniano, ha subito soltanto quei mutamenti che com-
portava la più elevata concezione morale e religiosa^ onde il Man-
zoni — come ormai ho largamente dimostrato — ne ha rifatta la
figura psicologica. Fin dal primo tratto, fin dalle prime parole, il
tono è mutato. Aveva scritto il Manzoni: « Al riveder Fermo ella
trasalì, e al vedere il padre Cristoforo balzò dal saccone di paglia,
ov' era seduta, e gli si gettò incontro sulla porta. « Oh padre ! . . .
Signore Iddio! come sta ella? » soggiunse poi tosto, vedendogli i
segni della morte in vólto ».
Quel trasalire di Lucia non torna più nella scena rinnovata, ed
ella, andando incontro al vecchio, grida non altro che: « Oh chi
vedo! 0 padre Cristoforo! ». Il ritocco è stato opportuno, perchè
quell'emozione ogni lettore intelligente l'intravede nell'alzarsi pre-
cipitosamente che fa Lucia e perchè acquista più rilievo di pietà e
gentilezza quell'unico sentimento espresso di meraviglia e premura
pel frate ; le poche parole, poi, che le escono spontanee dalle lab-
bra, rispecchiano la prima impressione che doveva provare Lucia
alla vista del venerando uomo. Parla il frate, e Lucia, ormai giun-
tagli vicino, lo guarda attentamente, e allora, dominata da un senso
di pietà devota, dice: « Ma lei, padre ? Povera me, com'è cambiato !
Come sta? dica: come sta? >: parole che nella fervida loro abbon-
danza coloriscono di più calda gentilezza il comportamento di lei.
Nel seguito del dialogo c'erano delle esclamazioni oziose : « Oh pa-
dre! quanto tempo! quante cose!» Più delicatamente atteggiata è la
nuova Lucia che non s'abbandona alle memorie del passato, alle quali
più acconciamente accenna il frate con premura paterna e con gra-
titudine religiosa, né ha in quel momento altra affezione che non sia di
pena e di trepidazione per lo squallido aspetto del suo protettore.
La discussione sul voto procedeva meno alta e meno ampia; e
Lucia alle parole scrutatrici del padre appariva remissiva e pronta
a secondare quella vaga speranza eh' era già nata in lei. Vedete
(1) Sp. prom.., pp. 767-9; Prora, sp., cap, XXXVI, pp. 542-4.
Busetto — 18
274 PARTE TERZA
quanto rapidamente si rivolgeva l'animo suo. Facendole osservare
fra Cristoforo, come pur si legge press' a poco nel testo definitivo,
eh' ella non poteva offrire alla Vergine « una libertà, della quale
aveva già disposto », non riprendersi una parola già data « senza
sapere, se quegli che 1' aveva ricevuta, avrebbe consentito a resti-
tuirgliela », Lucia faceva quella naturale domanda, che è rimasta
nel romanzo: « Ho fatto male? », ma l'autore lumeggiava il nuovo
stato d'animo di lei, soggiungendo che la domanda era fatta « con
sorpresa, e con un rimorso che non era tutto doloroso », mentre
poi, omesso codesto significativo commento psicologico, non risuo-
nano che quelle semplici parole interrogative denotanti lo stupore,
senza il pentimento mondano, il dubbio, senza la compiacenza d'a-
verne un profitto. Ne guadagna la pura e alta coscienza religiosa
di Lucia. Poi la scena continuava: « Ed ora, prosegui egli, che vi
dice il vostro cuore di quel voto ?» « Che vuol ella che me ne
dica? » rispose Lucia arrossendo più che mai e chiudendo quasi del
tutto gli occhi, eh' erano già chini a terra ».
« Se non lo aveste fatto, lo fareste? » « Se,., non fossi in quel
pericolo ... in un grande pericolo... e poi. se non è permesso . . . non
lo farei ».
« Se non lo aveste fatto, sareste tuttavia risoluta di sposare quel-
l'uomo, a cui avevate promesso? » « Io credeva... che fosse male
il pensarvi... ma poiché Ella me lo domanda... ah, padre, sì! ».
Non faremo un appunto al Manzoni d' aver fatto parlare così la
sua Lucia nella prima stesura: che anzi in quel discorso rotto, so-
speso, incerto, e' è tutta l'anima che, sentendo allentarsi il vincolo
religioso, torna ai palpiti d'una volta: c'è tutta l'anima combattuta
con egual forza dall'affetto e dal sentimento del dovere, quale l'a-
veva pensata e figurata il poeta nella prima concezione.
Secondo l'ultima, più profonda e severa, Lucia, anche nel collo-
quio col frate, non cede alla persuasiva autorità delle solenni ar-
gomentazioni e dichiarazioni di lui se non attraverso un laborioso
e contrastato rivolgimento della coscienza. Ella è ferma e sicura di
sé, da quando il frate l'invita a confidarsi in lui. Nel testo primitivo,
alle parole del suo interlocutore: « Fermo mi ha detto che avete
fatto voto di non maritarvi », rispondeva: « È vero » arrossendo:
e c'era in quest' atteggiamento qualcosa di confuso, di trepido, di
pudibondo. Più netto e preciso è nel nuovo testo il tono della ri-
sposta, che alla domanda vaga del padre: « Cos'è codesto voto che
m'ha detto Renzo?» ella dà con espressa compiutezza di pensiero:
« E un voto che ho fatto alla Madonna ... oh ! in una gran tribola-
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 275
zione!... di non maritarmi», dove senti in quella sospensione di
mezzo non una nota di trepidazione pudica, ma la commozione af-
fannosa de' ricordi.
Lucia non tentenna, « Ma avete pensato, allora, ch'eravate legata
da una promessa »? le chiede fra Cristoforo; ed ella, con candida
meraviglia, che rivela la fermezza della sua fede, risponde: «Trat-
tandosi del Signore e della Madonna ! . . . non ci ho pensato » , E
richiesta se si fosse consigliata con nessun religioso sul voto, con
altrettanta sicurezza soggiunge: « Io non pensavo che fosse male,
da dovermene confessare : e quel poco di bene che si può fare, si
sa che non bisogna raccontarlo ». Si confronti l'accento vivo di gra-
vità religiosa che il Manzoni ha dato a questo punto del dialogo,
col passo sopra riportato della prima stesura, dove il frate- procede
con tono un po' casistico a scrutare il cuore di Lucia, prima di ve-
nire alle formule preparatorie del proscioglimento.
Più sobrio, più conciso e penetrante procede il dialogo nella nuova
forma.
« Non avete nessun altro motivo che vi trattenga dal mantenere la
promessa che avete fatta a Renzo » ?
« In quanto a questo . . . per me . . . che motivo ? . . . Non potrei proprio
dire...» rispose Lucia, con un esitazione che indicava tutt'altro che
un'incertezza del pensiero; e il suo viso, ancora scolorito dalla ma-
lattia, fiorì tutt' a un tratto del più vivo rossore » .
E notevole codesta tinta di soave pudore con che il Manzoni rav-
viva la pittura delicata di queir esitazione che si riapre alla confi-
denza e alla gioia dell'amore. Anche prima Lucia arrossiva: un po'
troppo anzi, così nella conferma della notizia del voto, come nella
titubanza a dire cosa ne sentisse nel cuore, e chinava spesso gli
occhi a terra. Esagerazione di toni e di sfumature, tanto più disdi-
cevole a quel non so che di gaiezza che serpeggia nelle parole di
lei. La nuova Lucia arrossisce una sola volta e « del più vivo ros-
sore », ma in un momento di gran commozione del cuore innamo-
rato; ed è questa una pennellata che, armonizzando con la raccolta
e sobria luce del ritratto morale, la tinge di gentile umanità e di
delicata passione. Il cuore ripalpita come ne' tempi della gioia tran-
quilla, ma la coscienza ancora nou s'acquieta: l'autorità di fra Cri-
stoforo è grande, ma troppo vivida e pura fiamma è la fede di Lucia,
troppo rigorosa la sua logica spirituale perchè si giocondi, senz'altro,
della nuova speranza. E uno de' più luminosi esempi del modo come
il Manzoni ha elevato il carattere di Lucia è nell' esitante e ancor
battagliero atteggiarsi di lei "alle risolutive parole del padre: «io
276 PARTE TERZA
posso, quando voi lo chiediate, sciogliervi dall' obbligo ». « Ma non
è peccato tornare indietro, pentirsi d'una promessa fatta alla Ma-
donna? Io allora l'ho fatta proprio di cuore... » soggiunge Lucia.
In quest'atto la Lucia dell'ultima forma ci si presenta con quell'im-
pronta di religiosità pura e forte, ond'ella uscì nobilitata dalla ela-
borazione del romanzo. Il poeta, secondando il suo spirito d' inda-
gine introspettiva, non s'accontenfa di quell'efficace rappresentazione
e la illumina d'analisi, dicendo che Lucia era « violentemente agi-
tata dall'assalto d' una tale inaspettata, bisogna pur dire speranza,
e dall' insorgere opposto d'un terrore fortificato da tutti i pensieri
che, da tanto tempo, eran la principale occupazione dell'animo suo ».
Quando finalmente il frate le ribatte con cresciuta vivacità di
persuasione che non fa peccato col ricorrere all'autorità della Chiesa,
perchè le sia resa la parola data a Eenzo, e la sollecita, anzi desi-
dera, eh' ella gli chieda d' essere sciolta dal voto. Lucia, facendo
forza a' suoi scrupoli, dice : « Allora. . . ! Allora. . . ! lo chiedo » « con un
volto — aggiunge il Manzoni — non turbato più che di pudore ».
E codesto un altro bel tratto di soave verecondia a un tempo e di
commossa tenerezza, che Lucia prima non aveva. Era, anzi, pre-
sentata in questo momento delicatissimo sotto tutt'altra luce, avendo
il poeta più la mente alla gravità ieratica della scena che agl'intimi
moti di Lucia. Dettole il frate se domandasse alla Chiesa d'essere
sciolta dal voto. Lucia rispondeva : « Lo domando » « con una pron-
tezza, alla quale Fermo non ebbe nulla a desiderare, e che potrà
parere forse troppa a chi, non essendo stato presente a quell'atto,
non rifletta che la solennità della richiesta^ l'aria autorevole di chi
l'ha fatta non lasciavan luogo a titubamenti leziosi, e che ivi la ve-
recondia doveva essere tutta nella sincerità » .
Se il proposito di studiare solo nelle linee sostanziali la forma-
zione di questo personaggio manzoniano attraverso i tentativi, gli
sforzi, i rifacimenti e i ritocchi, con cui il poeta l'ha via via ideato,
ricomposto e immutabilmente effigiato nell'ultima forma, non mi
distogliesse da analisi minute, sarebbe interessante osservare anche
le particolarità e le sfumature di quest'arte, non meno grande che
laboriosa, che la fortunata conoscenza delle prime prove ci mette
in grado d'indagare intimamente e d'intendere perspicacemente.
C'è ne' grandi scrittori de' fuggevoli tratti, che, in ragione diretta
della unità organica di comprensione e di rappresentazione, rivelano
la visione interiore dell'artista non meno de' rilievi più risentiti ed
evidenti. Vedete il modo come Lucia domanda d'essere sciolta dal-
l'obbligo del voto nel primo getto e neir ultima forma del romanzo.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 277
Era parso, da prima, al Manzoni di doverla atteggiare animata
da una sollecita prontezza qual' era richiesta dalla forza di quel-
l'autorità che le offriva, come ministro di Dio, fra Cristoforo. Chi
avrebbe mai pensato che il Manzoni, dopo avere anzi argomentata
questa che a lui doveva parere una convenienza non meno artistica
che psicologica e morale, modificasse una concezione così chiara-
mente e saldamente formata e atteggiasse in modo quasi opposto
l'anima di Lucia nell'estremo di quella situazione? Eppure è così:
in quel ripetere ad intervalli non lievi queir « allora > con grande
commozione, mista di trepidanza e d'obbedienza, c'è tutt' altra aria
di sentimento da quel reciso « lo domando » della primitiva reda-
zione ; e il grigio periodo, nel quale 1' autore aveva voluto ragionar
a bello studio su quella prontezza di Lucia, è dileguato per dar
luogo alla pennellata luminosa di quel « volto » (chi non l'ha sem-
pre presente il volto di Lucia, durante la scena, non troppo chino
per eccesso di pudore, ma umilmente attento agli occhi, alle parole
del frate?) di quel « volto » «non turbato più che di pudore ».
L'episodio s'intrecciava, nella minuta, ad una scena improvvisa,
che destava in Lucia « una grande paura », in fra Cristoforo e in
Renzo «una grande compassione»: l'apparire, cioè, di don Rodrigo
« ritto sul mezzo dell'uscio », « smorto », « rabbuffato », mezzo
ignudo, con lo sguardo attento e insensato e con nel viso i segni
d'una paura mista a furore, a curiosità, a sospetto. Fosco spettacolo,
d' un colorito crudamente romanzesco non meno di quello che of-
friva, di poi, la fuga forsennata dell' infelice su un cavallo di mo-
natti fino a che, caduto giù morto, veniva gettato su un carro
« per andarsene alla fossa » (*). Lucia inquieta, sgomenta, poi rassicu-
rata dal padre, mentre gli veniva dietro « 1 agri man do » « sulla
grande strada », assisteva alla triste fine del suo persecutore; quin-
di, con nel cuore la pia esortazione del padre a pregare e a far
pregare Renzo e i lor figliuoli per quella « povera anima », se ne
tornava « compunta di quella separazione, e atterrita dallo spetta-
colo, a capo basso e col petto ansante alla sua capanna ».
Queste due scene — come ognuno sa — andarono soppresse ne'
rifacimenti ulteriori, o che spiacesse al Manzoni il troppo risentito
« esprit romanesque » che le pervadeva^ o che un motivo di più
alta pietà religiosa lo dissuadesse dal far morire a quel modo don
Rodrigo, o, meglio, per tutt'e due insieme queste ragioni.
Anche a Lucìa, di riflesso, il poeta ha creata una diversa situa-
zione psicologica e drammatica, svolgendo con nuova copia di mo-
(1) Sp. prom., pp. 770-5.
278 PARTE TERZA
tivi e maggior larghezza d'analisi i sentimenti e gli atti dei due
giovani e di fra Cristoforo in queir estrema separazione. Oltre il
dono del pane del perdono, che il vecchio lascia loro in ricordo,
più ricco è il dialogo e meglio studiata ed espressa 1' apprensione
di Lucia pel venerando suo protettore, consunto dalla peste (*).
C'era nella minuta, dopo la benedizione del padre, che finiva col
raccomandarsi alle preghiere dei due sposi, questo tratto: «Queste
parole, che richiudevano come un presentimento, e un tristo addio,
rinnovarono nell'animo di Lucia l'impressione dolorosa, che le aveva
prodotto l'aspetto di chi le proferiva. Levò ella gli occhi quasi in-
volontariamente, tutta commossa, a riguardarlo di nuovo...» (^).
Il motivo non ne è andato perduto, ma anzi ritorna, ritemprato
di pili viva tenerezza devota, due volte nel proseguo del colloquio,
quando all' « andiamo » che il frate rivolge a Renzo, Lucia dice :
« Oh padre! Ja vedrò ancora? Io sono guarita, io che non fo nulla
di bene a questo mondo; e lei..,! » e quando all' « Arrivederci,
Lucia...! » di Renzo, già avviato col padre, ella esclama: « Chi
sa se il Signore ci faccia la grazia di rivederci ancora tutti! » (^).
Così la Lucia della minuta, che passava dall' « impressione dolo-
rosa », ridestatale in cuore dalle pie raccomandazioni del frate, allo
sbigottimento, allo « strido repentino > nello scorgere sulla porta
della capanna don Rodrigo ; che restava « ancora tutta tremante »
dopo la fuga del disgraziato ; che < mista alla commozione » rive-
lava sul viso « una grande inquietudine » per quell'orribile appari-
zione e seguiva il frate « lagrimando » ; finché se ne tornava nel
modo che abbiam visto alla sua capanna, questa Lucia, inquieta e
lagrimosa, s'è ricomposta, nell'ultima forma dell'episodio, in una
cotal dogliosa mestizia pacata, che forti emozioni improvvise non
interrompono né perturbano ; ond' è resa più piena e armoniosa la
rappresentazione di quel rassegnato dolore, accomunante le anime
degl'interlocutori, ma che, se non si esprime in atteggiamenti di com-
punzione e di pianto, s'eifonde tuttavia nell'azione del dialogo, nelle
parole, che dice al frate, così piene d'umiltà, di carità, di speranza.
Fino all'ultimo, fino all'estreme battute delle grandi scene ideate, il
Manzoni non ha cessato dal riconcepire e dal riatteggiare, con rin-
novato vigor religioso e più delicata armonia di luci e di colori, questa
purissima creatura del, suo cuore e della sua fantasia di poeta cristiano.
(1) Prora, sp., cap. XXXVI, pp. 544-6.
;2) Sp. prom., p. 770.
(3) Proni. Sì3., ivi.
Capitolo III.
La genesi e la composizione poetica di Gertrude
I. Il motivo delle vocazioni forzate e la genesi etico-religiosa della
« storia » di Gertrude. — II. Effetti della rigida interpretazione
storica de' personaggi nella prima redazione e la maggiore indi-
pendenza del poeta nell'ultima: [la famiglia di Gertrude; il
comico nella primitiva concezione de' personaggi m-inori]. — III.
Rinnovamenti e sviluppi d'analisi nell'ultima redazione al fine
di raggiungere maggiore unità e coerenza psicologica ed estetica
del carattere di Gertrude adolescenle [il primo fallo ; la prigio-
nia ; la vergogna e il pentimento; la sottomissione]. — IV. Pro-
cedimenti di chiarificazione e di condensazione al medesimo fìne.
[il perdono ; la conciliazione ; il breve giro tra gli splendori m.on-
dani prima della vestizione ; il principe e Gertrude neW avviarsi
al monastero per la richiesta]. — "V. La progressiva idealizza-
zione poetica di Gertrude negli episodi anteriori alla monaca-
zione [Za visita al monastero ; la richiesta; il vicario delle mona-
che e la scena dell'esame ; dopo il colloquio]. — VI. La correzione,
dovuta a questo processo d' idealizzazione poetica, delle troppo
forti tendenze della prima stesura al psicologismo sottile, al rea-
lismo comico, allo storicismo e al moralismo satirico. — VII. Il
dileguarsi del romanticismo patetico e pittoresco della prima ste-
sura al sóffio viqoroso di classicità che penetra e rinnova l'arte
del poeta [la vigilia della professione de' voti; la vita nel chio-
stro]. — Vili. Gli splendidi segni di questo rinnovamento clas-
sico nell'analisi del colpevole amore di Gertrude e nella rappre-
sentazione de' suoi delitti. — IX. Le fosche scene della prima
stesura, disignate sotto gV influssi delle tendenze suaccennate, e
la nuova umanità onde il poeta ha rifuso il carattere tragico di
Gertrude. — X. Airi riflessi di quella classicità artistica rinno-
280 PARTE TERZA
vatrice [il ritratto di Gertrude; la scena della presentazione di
Lucia alla signora; il contegno di questa nel colloquio successivo
e di poi, fino al giorno del tradimento^ — XI. La scena in cui
Egidio trascina Gertrude alla complicità 7iel ratto di Lucia:
genesi di essa e ragioni della soppressione fattane dal Manzoni
nel rifacimento dell' episodio. La rapida narrazione che vi ha
sostituita: suo alto valore poetico. — XII. Discussione conclusiva
sulla trasformazione totale dell'episodio monzasco e sui motivi
e i fini del poeta.
I. Il Massillon in un suo vivace ed acuto sermone Sur la vocation
prende in esame gli errori nella scelta dello stato e il nefasto uso
delle monacazioni e de' sacerdozi forzati, ricercandone le cause e
descrivendone le conseguenze con tale rigore d'argomentazioni, con
tanto zelo religioso e con sì franca comprensione della vastità del
male, imperversante nel suo secolo, che propendo a credere non
fosse sfuggito così bel sermone all'assidua meditazione del Manzoni
nel concepire e disegnare la storia della forzata vocazione di Ger-
trude. Il grave problema morale, che il Manzoni fa scaturire dai
casi di questa infelice attraverso le riflessioni sulla cronistoria con-
temporanea, è quel medesimo che s'era proposto il Massillon, il più
acuto e il più fine, nelle analisi psicologiche, degli oratori sacri
francesi così familiari allo scrittore lombardo; e i motivi etici e
sentimentali, che si svolgono trasfigurandosi in risentite e lucide
forme di vita nella mirabile analisi manzoniana, presentano una
rilevante affinità con quelli onde fluisce la calda parola del facondo
vescovo di Clermont. Nel sentire quei biasimi delle arti della men-
zogna e della perfldia usate dai padri verso i figli: « on leur exa-
gère tous le jours les inconvenients d'un état ou l'intérét d'une
maison ne les demande pas ; on leur enfle les avantages et les agré-
ments de celui auquel on les destine ; et l'on ne se sert que de
leurs passions, pour leur inspirer un choix, qui doit les conduire à
combattre » ('), ripensiamo alle ipocrite parole del principe, dopo
il primo fallo di Gertrude : « eh' essa doveva vedere in questo
triste accidente, come un avviso che la vita del secolo era troppo
piena di pericoli per lei » (*) ; al gran conversare che fanno il
principe, la principessa e il principino, durante il tragitto al mona-
stero di Monza, su « gì' impicci e le noie del mondo e la vita beata
(1) Serm. cit., in Oeuvres, voi. Ili, p. 138.
(2) Prom. sp., cap. X, p. 143.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 281
del chiostro, principalmente per le giovani di sangue nobilissimo » (*);
ripensiamo ai discorsi frequenti in famiglia sui « destini futuri »
della fanciulla, che « stampavano nel cervello » della poveretta
« r idea che già lei doveva esser monaca » (=^), alle arti de' « pa-
renti » e delle « educatrici » che « avevan coltivata e accresciuta in
lei la vanità naturale per farle piacere il chiostro » (^).
Quella figura del principe, non d'altro smanioso che di « conser-
vare » le sostanze, « almeno quali erano unite in perpetuo » onde
« aveva destinato al chiostro tutti i cadetti dell'uno e dell'altro
sesso », figura « di ricco signore, avaro, superbo, ignorante », com'era
ritratto, con più vivo color locale nella primitiva pittura degli Sposi
Promessi {*), ha un'adeguata illustrazione ne' fieri ragionamenti del
Massillon contro il feroce pregiudizio di scambiare l'ordine della
natura coi disegni di Dio, onde « on n'attend point d'autre marque
de vocation quc le rang de la naissance, ou la situation de la for-
tune ; qu' étre né le premier dans une famille, c'est étre choisi
du ciel pour succèder aux titres et aux dignités de nos ancétres » (^),
contro il pregiudizio dell'unità de' patrimoni e del fastoso decoro
nobilisco (^).
Diceva il Massilon delle destinazioni irrevocabili: « Une démar-
che ou la circonspection la plus attentive devroit encore craindre
de' se méprendre, est toujours l' ouvrage des amusements et des
goùts puérils de l'enfance: à peine commence-t-on à bégayer, qu'on
décide déja de l'affaire la plus sériuse de la vie; et ces paroles ir-
revocables qui prononcent sur notre destinée, son les premières
(1) JMd., p. 148.
(2) Proni, sp., cap. IX, pp. 132, 133.
(3) Ibid., p. 134. Nella minuta più distesamente si toccava delle passioni che ve-
nivano fomentate e favorite nella fanciulla, massime « l'orgoglio », « gli alti spiriti,
la dignità, il sussiego: qualità tutte che manifestavano un'anima nata a governare
qualunque monastero» (Sp. proni., p. 178).
(4) Sp. prom., p. 177; Proni, sp., cap. IX, p. 132.
(5) Serm. cit., in Oeuvres, voi. Ili, p. 138.
(6) «Eh! quoi, mes Frères —rimbrotta il Massillon — pour ne partager vos
biens, vous sacrifiez vos enfants, et le fruit de vos entrailles* Mais, ajoutez vous, il
seroit desagréable de les voir trainer leur nom, et prendre des partis peu convena-
bles à leur naissance ». Ma — incalza l' ardente oratore — « une fortune mediocre
parottelle plus affreuse à vos yeux que leur infortune éternelle » i (Ibid., p. 140). Eli
Manzoni scriveva del Marchese Matteo, divenuto, poi, il principe de' Proìnessi sposi:
« Avaro, egli non avrebbe mai potuto persuadersi che una figlia dovesse costargli\.^
una parte delle sue ricchezze : superbo, non avrebbe creduto che nemmeno il ri- >r
sparmio fosse una ragione bastante per collocare una figlia in luogo men degno della
nobiltà della famiglia; ignorante, egli credeva che tutto ciò che potesse mettere in
salvo nello stesso tempo i denari e la convenienza fosse lecito, anzi doveroso » (Sp.
proni., p. 177).
282 PARTE TERZA
qu' on nous apprend à former, avant méme qu' on nous ait appris
à les entendre. On accoutume de loin notre esprit naissant k ces
images suggérées; le choix d'un état n'est plus qu'une impression
portée de l' enfance ...» (*).
Sulla trama di queste coraggiose riflessioni par che rifiorisca
quella frase manzoniana, vibrante preludio al racconto della triste
vita di Gertrude: « La nostra infelice era ancor nascosta nel ventre
della madre che la sua condizione era già irrevocabilmente stabilita »;
e le « bambole vestite da monaca »,? « i primi balocchi che le si
diedero in mano » e poi i « santini otc rappresentavano monache»
e quella frequente esclamazione di tutti : « che madre badessa! » nel
« voler lodare l'aspetto prosperoso della fanciullina » e gl'insinuanti
discorsi sul tema della prefissa vocazione e quelli della piccola Ger-
trude, fra le sue compagne d'educandato, su « i suoi destini futuri
di badessa, di principessa del monastero » (^) par che diano vita
e movimento di forme concrete e precise alle morali meditazioni
del Massillon.
Ma queste non sono che somiglianze di particolari episodici. Dove
il contenuto etico e psicologico dell'infausto sacrifizio di Gertrude
e principalmente del suo carattere, pervertito dall'altrui perfidia cru-
dele, e di quello del principe ha una più viva affinità d'ispira-
zione e di concezione col sermone del Massillon^ è nell'analisi di
quella paurosa e suggestiva potenza che il tiranno esercitava sulla
sua vittima e di quella vita d'amarezze, di dispetti e di crucci in cui è
travolto l'animo della sacrificata. « Des parents barbares et inhumains
— esclama l'oratore francese — pour élever un seul de leurs en-
fants plus haut que ses ancétres et en faire V idole de leur vanite,
ne comptent pour rien de sacrifier tous les autres et de les précipiter
dans l'abìme; ils arranchent du monde des enfants à qui l'autorite
seule tien lieu d'attrait et de vocation pour la retraite (^), ils con-
duisent à l'autel dea victimes in fortunées qui vont s' y immoler d la
cupidité de leurs pères, plutót qu'à la grandeur du Dieu qu'on y
adore; il donnent à l'Église des ministres que l'Église n'appelle
point et qui n'acceptent le saint ministère qu' un jouq odieux, qu'une
injuste loi leur impose; enfin, pourvu que ce qui paroìt d'une fa-'
mille éclate, brille, et fasse honneur dans le monde, on ne se m,et
(1) Serm. cit, p. 135.
(2) Proni, sp., loc. cit.
(3) Serm. cit., p. 147. E più innanzi, fra le conseguenze delle vocazioni forzate
nota « tant de révolte, d'ennui, d'araertume dans les cloitres »,(iMd., p. 148).
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 283
point en peine que des ténébres sacrées cachent les chagrins, les dé-
goMs, les larmes, le désespolr de ce qui ne paroìt qu'aux yeux de
Dieu ».
Sono sparsi in questa pagina eloquente i medesimi motivi ricor-
renti neir episodio manzoniano : il terribile potere del principe sul-
r animo della figlia, l'empietà del sacrifizio, l'abborrimento del giogo
subito.fLa suggestiva autorità paterna si sostituiva ad ogni senti-
mento e affetto contrario della figlia predestinata al sacrifizio : au-
torità cupa, imperiosa, minacciosa in tutte le circostanze fino all'ul-
timo, così che quel padre nell'animo di Gertrude fanciulletta « im-
primeva il sentimento d'una necessità fatale »,ne legava la volontà
al prefisso destino col perdono condizionato, lasciandola « sbalordita »
e muta; l'incatenava con lo sguardo mentr' ella si presentava al mo-
nastero per fare la richiesta alla badessa e ne troncava gl'interni
combattimenti, quando la poveretta « scorse » sulla faccia del padre
« un' inquietudine così cupa, un' impazienza così minaccevole che,
risoluta per paura, con la stessa prontezza che avrebbe preso la
fuga dinanzi un oggetto terribile », precipitava dopo il perplesso
« son qui » a chiedere da sé stessa la sua condanna (*).
L' empietà del sacrifizio preparato dalla cupidità e dal terrore sug-
geriva al Manzoni nella prima composizione quell'ascetico commento
che arieggia appunto il fare dell'oratore francese: « Il sacrificio fu
consumato, il dono fu posto sull'altare, ma era di frutti della terra;
la mano che lo aveva posto non era monda ; il cuore non l'offriva;
e lo sguardo del cielo non discese sovr' esso » (*).
Infine l'odiosità del giogo, le torbide rivolte dello spirito, la nera
noia, la disperazione, quali sentiamo descritte o accennate dal ma-
gniloquente oratore, ritornano con piìi potente vigore rappresenta-
tivo in quell'analisi manzoniana:
« L'infelice si dibatteva sotto il giogo, e così ne sentiva più forte
il peso e le scosse. Un rammaricò incessante della libertà perduta,
l'abborrimento dello stato presente, un vagar faticoso dietro a de-
sideri che non sarebbero mai soddisfatti (^), tali erano le princi-
pali occupazioni dell'animo suo» (^). E quelle conseguenze delle
(1) Prom. sp., cap. IX, pp. 143, 148. V. anche a p. 155: «Tutte quelle risoluzioni
sfumavano alla considerazione più riposata delle difficoltà, al solo fissar gli occhi in
viso al padre ».
(2) Sp. prom., p. 227.
(3) Un somigliante concetto è in quel luogo del Massillon: « l'épouse de Jesus
Christ insensée ne forme des désirs que pour ressembler à la femme du monde » (toc. cit).
(4) Prom. sp., cap. X, p, 156.
284 PAETE TEKZA
false vocazioni che il Massillon notava osservando: « il apporte pour
, '^ tonte maro uè de vocatìon à un ministère d'humilité, des vues d'éle-
C\^' '^^^''^^ *^^ ^^ gioire ; à un ministère de travail et de sollicitude, des
^S espérances de ripos et de mollesse; à un ministère de désintèresse-
fment, de modestie et de charité, des projets de luxe, de profusion
et d'abondance » (*) sono della stessa specie dì quelle fallaci « con-
solazioni » che a Gertrude « pareva talvolta di trovare nel coman-
dare, neir esser corteggiata in monastero, nel ricever visite di com-
plimento da persone di fuori, nello spuntar qualche impegno, nello
spendere la sua protezione, nel sentirsi chiamar la signora » (^).
Ma un ritratto pieno e complesso d'anima forzata alla vita del
chiostro, e che ci richiama alla figura di Gertrude e alla sto-
ria della sua caduta, ci è offerto in questa vivida pagina: «Le
solitaire, ou la vierge consacrée à lésus Christ, s' étant chargés d'un
fardeau pesant, et n'ayant pas regu 1' onction sainte qui l'adoucit,
traìnent indolemment et ménte avec murmure le joug, loin de le por-
ter avec allégresse; rendent au monde un coeur qu' ils n'avoient
jamais bien donne au seigneur, cachent sous les dehors de la mor-
V tification mille désirs profanes ; retrouvent dans le silence de la re-
traite les images dangereuses des plaisirs, mille fois plus à craindre
pour le coeur que les plaisirs mèmes : aim.ent ce qu' ils ne peuvent
plus posseder ; tombent loin des périls et d'un lieu de sùreté se
font une occasion de chute (^). ».
Così è la celebre signora, nel cruccioso rimpianto del passato, nel-
r inquieto fantasticare in preda alle sue passioni, negli scoppi di
rabbia iraconda e tanto più ne' tratti crudemente risentiti che —
come vedremo — il Manzoni aveva conferito al primitivo disegno
dell' indole e della vita di lei negli Sposi promessi {*).
In questi, come ne' Promessi sposi, asseriva il grande credente
lombardo che « Gertrude avrebbe potuto essere una monaca santa
e contenta, comunque lo fosse divenuta », se avesse potuto vera-
mente sentire le consolazioni e le gioie della religione. È la verità
etica positiva che il pensiero manzoniano deduce dalla trista vicenda
(1) Serm. cit., p. 144.
(2) Prom. sp., cap. X, p. 157. E v. negli Sp. prom., (pp. 229-30) la magra consola-
zione che traeva dalla contemplazione e dalla cura della sua bellezza.
(3) Serm. cit., pp. 158-9.
(4) Cfr. gl'intemperanti discorsi di lei ne' colloqui col padre guardiano, con
Lucia, con Agnese, e poi da sola con Lucia (Sp. prom., pp. 172, 173; 254-9). «La bel-
lezza — scriveva altrove (p. 230) il Manzoni — era per Geltrude un rodimento conti-
nuo, una occasione di regressi affannosi nel passato, e di sguardi disperati nell'av-
venire ».
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 285
del sacrifizio di Gertrude : verità che sfolgora alla luce del suo vi-
goroso idealismo cristiano in quella lode piena di carità e di sa-
pienza. « È una delle facoltà singolari e incomunicabili della reli-
gione cristiana, il poter indirizzare e consolare chiunque in qualsi-
voglia congiuntura, a qualsivoglia termine ricorra ad essa. Se al
passato c'è rimedio, esso lo prescrive, lo somministra, dà lume e
vigore per metterlo in opera a qualunque costo ; se non e' è, essa
dà il modo di far realmente e in effetto, ciò che si dice in prover-
bio, di necessità virtù. Insegna a continuare con sapienza ciò che
è stato intrapreso per leggerezza; piega l'animo ad abbracciar con
propensione ciò che è stato imposto dalla prepotenza, e dà ad una
scelta che fu temeraria, ma che è irrevocabile, tutta la santità, tutta
la saviezza, diciamolo pur francamente, tutte le gioie della voca-
zione. È una strada così fatta che da qualunque laberinto, da qua-
lunque precipizio 1' uomo capiti ad essa, e vi faccia un passo, può
d'allora in poi camminare con fierezza e di buona voglia e arrivar
lietamente a un lieto fine. » (*).
L'austero sentenziare del Manzoni ha forma di precetto e d'esor-
tazione nelle parole del Massillon, ma la somiglianza di concetto e
d' intenzione è evidente e il motivo religioso è il medesimo. « La
vérité — diceva 1' apologista francese — ne trouble que poui- in-
struire ei pour consoler ». Se la vocazione è fatta e siete in dubbio
se più vi abbiano potuto i motivi umani o l' ispirazione della gra-
zia, « rendez votre vocation certaine par vos bonnes oeuvres :
changez cette tiedeur dangereuse où vous vivez, en une sainte vi-
vacité, cette vie toute naturelle, en une vie de la foi; ces négligen-
ces coupables, en des attentions religieuses; ce mépris de vos obli-
gations en une fidelité qui vous fasse respecter ce que vous devez
aimer » ; ma « si . . . les passions seules vous ont forme un état de
vie, votre sort est à plaindre, je 1' avoue ; mais il n' est pas déje-
spéré.... Dieu peut accorder à la douleur d'un choix injust les gra-
ces qu' il auroit accordées à un choix légitime; vous n' ètes pas
extérieurement dans son ordre ; mais le coeur y est toujours quand
il se donne à lui ; vous occupez une place qu' il ne vous avait pas
destinée; mais une foi vive, mais un amour ardent, mais un re-
pentir sincère sanctifient tous les états •» (*).
Gli é che a Gertrude non noceva tanto d' esser nata con animo
debole (^) quanto il non aver avuto fin dall'infanzia quelli che il
jjT
(1) Prom. sp., cap. X, p. 156. i-v,"^ ^
(2) Serm. cit., pp. 164, 165.
(3) Illustrano la situazione di Gertrude anche queste parole del Massillon: « On
pourrait ajouter que, si vous étes né foibles, la bonté de Dieu a environné votre àme
286 PARTE TERZA
Massilon chiamava « les secours particuliers d'une éducation sainte
et chrétienne » (*); al quale concetto, come dì riverbero, risponde
quello del Manzoni, che è come il presupposto etico del rovinoso
dramma di Gertrude: «La religione, come l'avevano insegnata alla
nostra poveretta, e come essa l'aveva ricevuta, non bandiva l'or-
goglio, anzi lo santificava e lo proponeva come mezzo per ottenere
una felicità terrena » (*).
Nel concorso di tali ispirazioni e meditazioni, che occuparono la
coscienza del Manzoni inteso a ricostruire di su le cronache con-
temporanee la trista storia di Gertrude, ha la sua origine la conce-
zione etica fondamentale del carattere di questo personaggio.
*
* *
II. Dicevo nella prima parte di questo lavoro che la figura di
Gertrude, come la concepì e la tratteggiò il Manzoni nel primo
disegno, recava le impronte d' un forte pessimismo etico, che
si rifletteva dalla trista considerazione della vita umana do-
minata dalle passioni e dagli istinti piti forti, spesse volte^ della
volontà, del sentimento, degli esempì e precetti della stessa religione.
Ora sulle tracce della minuta e in raffronto con le correzioni e i
mutamenti della stampa, riprenderò in esame codesto personaggio
manzoniano e confido di dimostrare, con lo studio della sua genesi
complessa e de' suoi aspetti particolari, che nella ricostruzione psi-
cologica e neir elaborazione fantastica, a cui andò soggetto, influi-
rono ad un tempo quel pensoso e profondo senso di decoro morale
e di pietà religiosa che ha ispirato la trasformazione intima del ro-
manzo in ogni sua parte, quella maggiore indipendenza dal rigido
sistema storico che il Manzoni venne via via acquistando ne' rifa-
cimenti dell'opera per una più chiara coscienza delle ragioni dell'arte,
de mille secours ; que votre àme a été corame défendue dès sa naissance, par les
secours des sacreraents, par la lumière de la doctrine, par la force des exemples,
par les inspirations continuelles de la gràce ». (Serm. sur la fausse conflance, in
Oeuvres, voi. V, p. 451).
(irivt.
(2) Prom. sp., cap. IX, p. 136. Più distesamente negli Si), proni.: «Quanto alla
religione, ciò che è in essa di più essenziale, di più intimo, ciò che fa resistere alle
passioni e vincerle con una dolcezza superiore d'assai a quella che le passioni sod-
disfatte possono arrecare, ciò che preserva dalla corruttela, e mette in avvertenza
anche contra i pericoli non conosciuti, non era stato mai istillato, nemmeno insegnato
alla piccola Geltrude Ma i parenti l'avevano educata all'orgoglio, a quel sen-
timento cioè che chiude i primi aditi del cuore ad ogni sentimento cristiano, e gli
apre a tutte le passioni » (p. 183).
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 287
e quella vagheggiata armonia dell' ispirazione romantica con la rap-
presentazione classica che egli conseguì quasi sempre epurando l'o-
pera di tutto ciò che gli era venuto fatto troppo vivamente roman-
zesco 0 troppo crudamente realistico o pittorescamente drammatico.
Quella stessa maggiore abbondanza d'osservazioni storiche e morali
e d'elementi comici e satirici che ci avverrà di trovare nella minuta
va considerata come una conseguenza della commozione morale e
della tendenza ragionatrice e polemica che ancora agitavano il Man-
zoni, come addietro osservavo, nel passare dalla eloquente difesa
della Morale cattolica alla stesura dieW Adelchi e del romanzo; e una
conseguenza, altresì, di quella che chiamerei realistica interpreta-
zione della storia, giacché l'una e l'altra disposizione favorivano la
riflessione giudicatrice che si manifesta nell'indagine e nel ragio-
namento o nella censura e nella derisione, r^
Osserviamo per un momento il piccolo mondo familiare in cui
cresce la trista fanciullezza di Gertrude. Il padre, nella minuta, era
un Marchese Matteo che fin dalle prime battute ci si presentava
« avaro, superbo, ignorante », « giacché riguardava come il primo
dovere del suo stato il conservare l'opulenza e lo splendore ». Era
costui un riccone, un nobilone di quattro cotte ; che al sentirsi an-
nunziare, nella nascita di Gertrude, da una donzella della Marchesa :
— è una femmina — rispondeva mentalmente: — è una monaca —
e si poneva a frugare nel Leggendario il nome di una santa, di
jaobilissima stirpe e stata monaca (*). C'era in codesto tratto del
padre di Gertrude una certa goffaggine, donde trapelava l' inten-
zione comica del poeta, meglio manifesta nell'analisi umoristica
che seguiva al primo rapido schizzo: il contrasto infatti tra il ve-
dercelo argutamente presentato come un uomo positivo, alieno dalle
metafisicherie, un « uomo di pratica », di « buon senso », che diceva
doversi « prendere gli uomini come sono e trattarli dal lato del-
l'interesse » e il vederlo 'fomentare nella figlia l'orgoglio per de-
stare il desiderio « della potenza e del dominio claustrale », genera
l'impressione di una potente ironia; perchè quella passione, al con-
trario, infiammava vieppiìi nell'animo della giovinetta le immagini
e i desideri fastosi e giocondi della vita del secolo; onde l'ironica
riflessione del Manzoni stesso ch'egli « aveva pensato e operato con
la dirittura e la squisita sapienza » di chi dà fuoco alla casa attigua
del suo nemico, illudendosi con l' intenzione che quella sola bruci
e l'incendio non tocchi la sua (*).
(1) Sp. prom., p. 177.
(2) Sp. prom., p. 184.
288 PARTE TERZA
Tale era il padre di Gertrude nella minuta, perchè il poeta lo ■
concepì attraverso l'immediata visione storica di quella nobiltà se-
centesca che mischiava in sé la ferocia oltracotante o sordida con
certa pretensiosità goffa o grossolana ; noi da tutto il suo contegno,
che ha un non so che di affaccendato, di loquace, di burbanzoso e
ilare insieme, non riceviamo che l'impressione di una sordida coc-
ciutaggine, legata ai pregiudizi di casta. Effetto dell'interpretazione
dello spirito di quel secolo, che il Manzoni stesso con eccessivo giu-
dizio chiamò « barbaro e grossolano », effetti, che, come altrove ho
dimostrato, si riscontra nella prima concezione dell' Innominato e
di altri personaggi.
Nella rielaborazione psicologica e fantastica di quel suo mondo
primamente abbozzato il Manzoni spiritualizzò uomini e cose, rin-
novò in epiche forme le figure stesse della storia atteggiandole in
creature ideali, in cui vediamo, dirò così^ rispecchiato un aspetto
eterno della vita, un dramma universale dell'anima umana. Così fu
phe quel mediocre Marchese Matteo si trasformò nell'alta figura del
principe, più superbamente dignitoso, più cupo, più misurato e mi-
sterioso nelle parole: incarnazione d'una feroce volontà imperiosa
e suggestiva, a cui è destino ineluttabile che la debole e contrad-
dittoria anima di Gertrude soccomba.
La principessa nel romanzo è un' evanescente figura, muta, im-
mobile, chp non ha parte alcuna efficace e manifesta, press' a poco
come il principino, nel pietoso dramma di Gertrude : l'una e l'altro
non sono che le ombre seguaci della volontà fattiva del principe.
Ma nella minuta il Manzoni aveva tracciato un profilo morale
della Marchesa e del Marchesino attardandosi ad analizzar 1' anima
d'ambedue: quella, sottomessa alla volontà del marito, « meno i due
o tre capi pei quali aveva combattuto, e ne era uscita vittoriosa * (*),
questo, aspi'o e prepotente ne' modi, con sempre « il monastero in
bocca » e privilegiato di « compiacenze e distinzioni » dai parenti,
in confronto della sorella, « tenuta in uno stato continuo di paragone
umiliante »; meno pronto «di lingua e d'ingegno», ma dopo quella
ragazzata da lei commessa col paggio, pieno d'un' aria nuova di
superiorità, a cui la poveretta, « carica d'un fallo e di un perdono »
soggiaceva per sempre (*).
Spender 1' arte a ritrar personaggi vuoti d'ogni passionalità buona
o cattiva e a metterli sotto un po' di luce non valeva la pena e
(1) Sp. prom., p. 197.
(2) Sp. prom., pp. 205-6.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 289
perciò il Manzoni, tutto intento, nel rifare, all' essenziale, tagliò via
tutte le analisi e le osservazioni che riguardavano quelle due figure
secondarie. Se non che la pagina sul fratello della sventurata poteva
essere scorciata e resa più franca e lucida, ma conservata, come
quella che serviva a illustrare 1' ambiente psicologico, in cui matu-
ravasi il tristo destino della fanciulla, e faceva intendere che la
grettezza fredda e maligna de' rapporti familiari doveva contribuire
non poco ad isterilire ogni buon seme nell'animo di lei e a fer-
mentarvi, per contro, il permaloso orgoglio di razza. La madre di
Gertrude, invece, sta bene, com' è nel romanzo, appena rilevata
sullo sfondo del quadro, dove campeggia il principe, senza un pal-
pito morale suo proprio, senza alcun moto d' affezione materna, che
al Manzoni era piaciuto di ritrar fugacemente nella prima stesura
in un tratto tra il lievemente scherzoso e il delicatamente pensoso,
ma senza, altresì, quell'aspetto di grossolana comicità in cui figu-
rava la Marchesa dormire saporitamente, non ostante i trabalzi del
cigolante carrozzone, di ritorno dal monastero d6f)o la richiesta della
figlia (*). Compressa quella velleità d'un realismo comico che stri-
deva bizzarramente nel dramma di Gertrude, il Manzoni di tal
madre non ne ha fatta che un'ombra spoglia di sentimento e di
pensiero; ma quel torbido fantasma lunghesso la compatta figura
imperiosa e minacciosa del principe serve, più assai che nel primi-
tivo profilo, al significato morale e alla rappresentazione poetica
della storia dolorosa.
Per questa tendenza, allettato, com' io credo, dal senso storico del
secolo, a comicizzare il reale osservato o intuito nella storia, il Man-
zoni aveva figurata anche la badessa del monastero « in atto di
goffaggine, d'adulazione e di leziosità >, come si rivela nella risposta
secentisticamente ingegnosa ed ampollosa che dice a memoria dopo
la richiesta di Gertrude (^). Certamente ciò serviva al colorito sto-
rico dello sfondo, ma era qualcosa di pedantescamente comico, che
spezzava l'unità psicologica e poetica di quella scena così grave,
in cui si decideva del sacrifizio di un' anima, concertato perfida-
mente dalla famiglia e tacitamente consentito dalla badessa.
(1) Sp. prom.^ pp. 198, 216.
(2) Sp. prom., p. 210.
Busetto — 19
290 PARTE TERZA
*
* *
III. Ma è tempo oramai di rivolgere Io studio al carattere del
principal personaggio e di seguirne la genesi e la trasformazione
poetica dalla minuta alla redazione definitiva del romanzo.
L' attento esame comparativo delle due stesure mi consentirà di
provare con quale intenso e paziente studio di meditazione e d'arte
il Manzoni seppe rendere più organica, più coerente e più vigorosa
la pittura del carattere di Gertrude ed elevarne, conforme una con-
cezione più decorosa e più pietosa dell' indole e de' drammatici casi,
la figura poetica.
Un cospicuo esempio della maggiore unità e coerenza psicologica
che il ritratto morale venne acquistando nell' elaborazione del rac-
conto della prima giovinezza è in quella mirabile analisi che dello
stato d'animo della giovinetta, rinchiusa nella camera dopo lo scan-
daluccio col paggio, il Manzoni fa sulla fine del cap. IX.
Bisogna procedere con molta cautela nel raffronto della prima
prova con 1' ultimo ritratto per avvedersi del modo come dal rifa-
cimento uscisse riplasmata e lumeggiata di nuova luce l'immortale
figura dell' infelice adolescente. È stato tutto un lavorìo di rifusione^
di condensazione, di riordinamento e di rimartellamento intorno ai
motivi intimi e alle forme più espressive della rappresentazione
poetica.
Ecco: l'amoruccio di Gertrude col paggio è scoperto; la sua fa-
migerata letterina è passata nelle mani del padre, che viene a giu-
dicarla e a punirla della sua inconsapevole leggerezza. Diceva la
prima stesura : « Ma il temporale più scuro, più lungo, più terribile
venne a scendere sul capo di Geltrude; il Marchese Matteo dopo
d'averla caricata di strapazzi, che ella intese con tanto più di tre-
more quanto si sentiva veramente colpevole, le annunziò una pri-
gione indeterminata nella sua stanza e per sopra più le parlò d'un
castigo proporzionato alla colpa, senza specificarlo ; e così la lasciò
in guardia alla stessa donna che aveva scoperto gli affari > (').
Prima di questo frettoloso racconto, di stile, per vero dire, grezzo
e pesante, si leggeva nella minuta come il paggio fosse sfrattato
insieme con terribili minacce e due « solennissimi schiaffi » e la
cameriera denunziatrice colmata di lodi non senza prescrizioni co-
(1) Sp. prom., p. 191.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 291
pertamente minacciose di segretezza: ecco perchè nel riprendere la
narrazione principale, che si riferiva a Gertrude, il Manzoni, non
potendo trascui'ar di connetterla a quelle due secondarie, vi prelude
col mischiare, sia pure con la denotazione di qualche cosa di « più
scuro» e di « più terribile», Gertrude e il paggio e quella donna
nel medesimo tempo. Il mutamento dell' ultima redazione (^) ha un
grande valore psicologico e drammatico, ed è certamente dovuto al
proposito di approfondire l'analisi e di sceneggiare in più larghe
linee l' incontro di Gertrude col padre.
Tra il cader della carta amorosa nelle mani del principe e l'ap-
parire di costui nella camera della figlia nessun inciampo di secon-
dari elementi narrativi, nessuna interposizione d'altra materia e d'al-
tre figure, determinanti pause importune e sterili d'ogni accorgimento
artistico nel veloce svolgimento degli avvenimenti. Pare che il Man-
zoni, compreso della necessità di dare il massimo rilievo alle due
figure dominanti^ Gertrude e il padre, nella tela generale del rac-
conto e alla prigionia angosciosa della giovinetta, volesse, dirò così,
sgombrare il terreno col riferire in breve sulla sorte toccata al
paggio e sul contegno tenuto verso la cameriera depositaria di un
delicato segreto. Con nuovo vigoi*e poetico, con più serena indipen-
denza da un metodo di narrazione, logico ma poco efficace, con una
più profonda visione drammatica della situazione, il Manzoni sop-
prime quegli ammenicoli, d' ordine inferiore e trascurabile, che
riguardavano la cameriera, relega altrove, e con più opportuna
disposizione, la breve scena del rabbuffo e dello sfratto dati al
paggio, e pone immediatamente Gertrude di fronte al principe
corrucciato nella camera che diverrà la sua prigionia; ciò che era
arruffato o sovrapposto nel primo testo, ordina e chiarisce con
un processo psicologico, che genera l'impressione d'un terrore, di
un'angoscia, d'un avvilimento crescente. Così il magro racconto
si trasforma in una vera rappresentazione di caratteri e di senti-
menti, e il patetico della situazione si svolge, per sapienti grada-
zioni, nella sua totale pienezza. Gertrude è in preda al terrore, op-
pressa dal sentimento della colpa: è un primo momento d'imma-
ginazione e d'ansia mortalmente penosa: « Il terrore di Gertrude
al rumor de' passi di lui, non si può descrivere né immaginare:
era quel padre, era irritato e lei si sentiva colpevole >, Preludio al
drammatico incontro, dove il rumor di quei passi, — non ancora
la persona imperiosa e sdegnata — è già un motivo di perturba-
ti) Prom. sp. cap. IX, p. 139.
292 PARTE TERZA
zione infinita. « Ma quando lo vide comparire con quel cipiglio, con
quella carta in mano avrebbe voluto esser cento braccia sotto terra^
nonché in un chiostro » : è un secondo momento in cui la realtà
temuta, preannunziata si accampa inesorabile: lo sguardo torvo di
chi deciderà del destino di lei è presente, la fissa negli occhi^ le
pesa sul capo ; e la lettera funesta è nelle mani del giudice ineso-
rabile. La scena è tuttora muta; ma il principe, ecco, le rivolge
meditate parole, « non molte, ma terribili ». È il terzo momento della
scena, il piìi fieramente straziante; nel quale lo sgomento dell'attesa
d'un vago gastigo s'acuisce nella spaventosa certezza di una pena
grave, ineluttabile, indeterminata sì, ma ormai così immanente che
l'anima, nella sua solitudine angosciosa, ne prevede già il colpo e
gli effetti. « Il gastigo intimato subito non fu che d'esser rinchiusa
in quella camera, sotto la guardia dalla donna che (aveva fatta la
scoperta; ma questo non era che un principio, che un ripiego del
momento: si prometteva, si lasciava vedere [per aria, un altro ga-
stigo oscuro, indeterminato e quindi piti spaventoso ».
Il motivo dell'interiore lotta che Gertrude combatte sino a scri-
vere al padre la lettera di pentimento, è tutto qui: giacché le mi-
rabili pagine seguenti, allacciandovisi, non fanno che tratteggiare
con vigorosa coerenza e sapiente sviluppo l'anima della poveretta^
tormentata da quella prigionia avviliente e irritante, oppressa dal-
l'incubo di un pili tremendo gastigo.
La figurazione dell'ambascia di Gertrude rimasta sola con l'in-
cresciosa carceriera è venuta acquistando un nuovo movimento ini-
ziale d' ispirazione e di tono attraverso i rifacimenti (*). Nel primo
disegno il poeta non aveva raggiunto ancora tanto vigore di pene-
trazione e d'elevazione fantastica da fissarne in una sintesi poetica
limpida e ferma la complicata situazione psicologica. C'era qualche
cosa di discontinuo, d'unilaterale, di affastellato in quel primo ab-
bozzo : « Geltrudé aspreggiata, rinchiusa, minacciata, in una situa-
zione che sarebbe stata dolorosa anche alla coscienza più illibata,
si trovava anche con la memoria del fallo, che basta a rattristare
la situazione più gioconda; e l'animo suo fu prostrato. Non sapeva
prevedere come né quando la cosa sarebbe finita, si aspettava ad
ogni momento il castigo incognito e perciò più temibile ». Il Man-
zoni non aveva visto tutta l' anima di Gertrude, tutto lo sbigotti-
mento di quell'ora; era, direi quasi, impacciato nelle strettoie d'uno
psicologismo analitico, come suole accadere o a scrittori di mediocre
(1) Sp. prom., p. 191; Prom. sp., cap. IX, p. 140.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 293
fantasia, anche se provati all'osservazione della realtà, o a scrittori
potenti sì, ma, ne' primi cimenti con la materia dell'arte, non ancor
capaci di disciplinare e unificare le loro impressioni; onde quella
visione malferma, dissipata si tradusse in una rappresentazione in
cui era mal dissimulato lo schema logico di una fiacca osservazione.
Quel ricalcare, per via della triplice aggettivazione: aspreggiata,
rinchiusa, minacciata, — i tratti già risaltanti dalla tremenda scena
precedente — , a che serviva se non a persuaderci che — avesse questo
solo patito — la poveretta non poteva essere in una « situazione »
più « dolorosa »? E bastasse!; ma c'era « anche » (nota l'effetto di
discontinuità e di sovrapposizione che fa codesto arido termine lo-
gico) « la memoria del fatto » (come se questo non fosse un elemento
massimamente essenziale e intrinseco di quella situazione!); quale
conseguenza? che l'animo ne rimase «prostrato ». Poi l' afflitta si
sgomentava vieppiìi al pensiero dell'oscuro gastigo.
Ed ora raffrontate a questo il passo nuovo del romanzo : « Rimase
essa dunque col batticuore, con la vergogna, col rimorso, col ter-
rore dell'avvenire e con la sola compagnia di quella donna odiata
da lei, come il testimonio della sua colpa, e la cagione della sua-
di sgrazi a ».
Non la frammentarietà di un' analisi fiaccamente osservativa, non
la sovrapposizione de' momenti psicologici artificiosamente discon-
tinui; nulla di schematico, di raziocinativo, di diffluente, di super-
fluo nello stile; ma la delineazione intera, armonica di quell'anima
in preda al « primo confuso tumulto » di sentimenti che la fantasia
dell' artista guarda e rispecchia con limpida e vigorosa sobrietà di
stile, inalzandosi dall'analisi psicologica all'unificazione poetica.
Ve riflessa tutta l'anima di Gertrude, non un aspetto di essa; v' è
condensata con rapida efficacia rappresentativa 1' agitazione tempe-
stosa in cui ella è stata quasi improvvisamente travolta dal malau-
gurato accidente della lettera, dallo sguardo e dai detti tremendi
del padre. Questo potente tratto iniziale da gran maestro contiene
in germe gli elementi essenziali della dolorosa lotta da cui la povera
rinchiusa sarà trascinata ad offrirsi vittima alla feroce volontà, che
attende sicura l'ora del suo sacrifizio.
La minuta continuava raccogliendo materiale acutamente osser-
vato, ma senza cercare, con una sapiente distribuzione, quella gra-
dazione di luce e di colori, quello svolgimento e concerto armonioso
di linee che ammiriamo nell'ultima redazione. « L'essere come sban-
dita dalla famiglia le era un peso insopportabile e nello stesso tem-
po l'idea di rivedere il padre o di vedere la madre, il fratello, la
294 PARTE TERZA
prima volta dopo il suo fallo, la faceva trasalire di spavento. In
questa agitazione continua si svolse e si accrebbe nell' animo suo
un sentimento nativo in tutti, ma più forte in lei per indole e reso
ancor più forte dalla educazione, il timore della vergogna : senti'
mento non solo onesto, ma bello, ma essenziale; sentimento, però,
che, come tutti gli altri, può diventare passione violenta e perni-
ciosa quando non sia diretto dalla ragione, ma nutrito di orgoglio.
La sola idea del pericolo che la sua debolezza, la sua debolezza per
un paggio, per una persona meccanica, fosse risaputa da alcuna
delle sue antiche superiore, da una sua compagna, da un congiunto
di casa: questa idea le era più terribile, più odiosa, della prigione,
dell'ira dei parenti, del fallo stesso » (*).
Come nella prima parte di codesta analisi aveva l'acuto psicologo
voluto dare risalto al motivo della memoria del fallo, cosi in que-
sto secondo tratto veniva svolgendo quello della vergogna che sa-
rebbe seguita alla colpa, se questa fosse stata risaputa dagli estranei
alla casa. Era dunque il medesimo procedimento, metodicamente
analitico, di rappresentare gli stati d'animo per successione discon-
tinua e figurazione statica, come se la fantasia osservatrice si mo-
vesse ora a contemplare una faccia ed ora un'altra della travagliata
coscienza; era la medesima preoccupazione, già rilevata, di mostrare
una saliente affezione dell'animo; nel qual modo d'osservare e fi-
gurare faceva bella prova la diligenza di un intelletto che scruta
e riflette, non la potenza d' una fantasia che intuisce e sintetizza.
Come e perchè si svolgesse e crescesse il sentimento della vergo-
gna in Gertrude il Manzoni non interpretava; ma s'indugiava con
certa intenzione didascalica intorno alla natura e forma varia di
quel sentimento per caricar le tinte sul nativo orgoglio che lo fo-
mentava. Così la figura di colei eh' era piuttosto vittima che colpe-
vole, risaltava inopportunamente in una luce alquanto sinistra.
Vedete, al contrario, come la nuova dipintura secondi con maggior
naturalezza ed efficacia i moti di quell'anima e ne svolga e prose-
gua con decorosa temperanza di tocchi e gentile aggiustatezza di
ben fatte motivazioni e circostanze la dominante apprensione della
vergogna.
L'animo umano, dopo un forte e confuso tumultuar di emozioni,
come avviene dell'aere e del mare che, percossi e sconvolti dal
rapido cozzar di venti contrari, trapassano in uno stato di calma
precorritrice di urti più impetuosi, suole allentarsi in una quiete
(1) Sp. prom., p. 191
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 295
che è feconda di commozioni meno confuse, ma più vive. Così me-
ditando, il Manzoni ha tratto con nuova arte 1' animo di Gertrude
dopo la tempesta suscitata dal colloquio coi padre. « Il primo con-
fuso tumulto di quei sentimenti s'acquietò a poco a poco: ma tor-
nando essi poi uno per volta nell' animo_, vi s' ingrandivano, e si
fermavano a tormentarlo più distintamente e a bell'agio ». Ma noi
intravediamo che il motivo dominante nella rampogna del padre,
ripercosso nell' animo di lei come un « terror » confuso e oscuro
« dell'avvenire », vi s'è fitto e diventa il fulcro di tutti i suoi tor-
mentosi pensieri. « Che poteva mai essere quella punizione minac-
ciata in enimma?» (*). Ecco la ragione profonda dell'inquietudine
presente, dell' amarezza che s' accompagna « alle liete e brillanti
fantasie d'una volta », della vergogna stessa, dell'abbandonarsi, a
grado a grado, dell' animo, combattuto tra 1' antica avversione al
chiostro e il bisogno d'uscire da quello stato di penoso struggimen-
to, all' implorazione del perdono paterno. Fra le punizioni « quella
che pareva più probabile era di venir ricondotta al monastero di
Monza, di ricomparirvi, non più come la signorina, ma in forma
di colpevole e di starvi rinchiusa chi sa fino a quando ! chi sa con
quali trattamenti! Ciò che una tale immaginazione, tutta piena dì
dolori, aveva forse di più doloroso per lei, era l'apprensione della
vergogna. Le frasi, le parole, le virgole di quel foglio sciagurato,
passavano e ripassavano nella sua memoria: le immaginava osser-
vate, pesate da un lettore tanto impreveduto, tanto diverso da quello
a cui eran destinate; si figurava che avesser potuto cader sotto gli
occhi anche della madre o del fratello o di chi sa altri : e, al pa-
ragon di ciò, tutto il rimanente le pareva quasi un nulla » (*).
Più trista e più grave è codesta immaginazione, codesta appren-
sione del gastigo, ma quanto meno volgare di quel temere che nel
monastero o presso il parentado sì sapesse il suo fallo! Nel passo
primitivo non vi era che meschinità d'orgoglio ferito, tanto più im-
meserita da quegli scialbi elementi realìstici (il paggio, la superiora,
la compagna, il congiunto) che pullulavano nella fantasia della di-
sgraziata con un senso di odiosa molestia.
Nella forma nuova è tutto un altro sentire, fantasticare e soffrire ;
l'apprensione, che appassiona Gertrude, è più nobile e seria : un'ap-
prensione di squallido abbandono là in quel monastero, già tanto
increscioso, dì sgomento al pensiero di dover espiare la sua colpa
(1) Proni, sp., loc. cit.
(2) Ivi.
296 PARTE TERZA
chi sa quanto tempo lontana dalla famiglia e in uno stato di di-
sprezzo e d'avvilimento.
Da tale immaginazione dolorosa scaturisce nell' animo di Gertrude,
com'è naturale, la vergogna; ma più che l'esser rinchiusa come
colpevole nel monastero è cagione di vergogna il figurarsi il padre
e gli altri familiari intenti a leggere e a pesare la lettera sciagu-
rata ; e la vergogna non è che un fluttuar dell' anima tra la paura
del gastigo e il cordoglio d' aver perduta la stima altrui e d' aver
peggiorata la sua condizione, ora tanto piti difficile per poter resi-
stere alle finte blandizie e all' imperiosa violenza de' suoi oppres-
sori ; donde si riflette il carattere vero della Gertrude manzoniana,
misto d'orgoglio e di bontà, debole e fantasioso, bisognevole d'affetto,
d'aiuto e di compatimento. Ciò che importava nel proseguo della
finissima e difficile analisi era mostrar come Gertrude, pel concorso
di vari motivi, dopo lungo combattimento cedesse all'impulso di
scrivere al padre « una lettera — come dice il Manzoni — piena
d'entusiasmo e d'abbattimento, d' afiìizione e di speranza, implo-
rando il perdono e mostrandosi indeterminatamente pronta a tutto
ciò che potesse piacere a chi doveva accordarlo » (*).
Come veniva il poeta preparando la dolorosa catarsi nella reda-
zione primitiva?
È osservabile lo sforzo durato dall'autore per presentarla come
un intimo rivolgimento della coscienza, ora esagerando quel poco
di energia morale che poteva operare nell'animo del suo personag-
gio, ora cercando d' attenuare l' impressione, che il contegno di esso
destava, come di un pentimento sicuro e di una risoluzione deter-
minata e cosciente. Il grande interprete delle segrete lotte dello
spirito umano cercava di risolvere nelle forme dell' arte il delicato
problema psicologico d'un cuore che nel sommo dell'ambascia fa
dedizione di sé stesso a ciò che più gli ripugna.
Postosi tale problema, come il Manzoni lo risolvette la prima
volta? Presentava l'anima di Gertrude nemmeno più occupato dalla
« trista e funesta consolazione dei sog' splendidi della fantasia;
perchè questi sogni erano tanto in opposizione col suo stato reale
e con l'avvenire il più probabile e quelle immagini erano tanto
legate con la sciagura, che la mente le respingeva con incredula
avversione ». Mostrava poi come dal ricadere « nella considerazione
delle circostanze reali > cominciasse Gertrude « a dolersi davvero
di ciò che aveva fatto, a paragonare la vita che menava prima del
( ) Ibi ., p. 141.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 297
SUO fallo con quella che strascinava in allora e a trovare la prima
soave, a rammaricarsi di non averla saputa conoscere »; come in
tale stato d' animo l' immagine del paggio le « comparisse accompa-
gnata di tanti dispiaceri che aveva perduta ogni forza nella sua
fantasia ». Atteggiava quindi la fanciulla così che, « raffreddata
l'ira dalla tristezza e dal timore del peggio e dal pensar che al
fine il castigo era meritato, il pentimento cominciò ad essere più
dolce, divenne un sollievo ». Anzi nel nuovo stato ella trovava già
delle rallegranti consolazioni che invero non ci aspetteremmo fos-
sero così pronte e operose in un animo inquieto come il suo: « pensò
ella al perdono che si ottiene con quello e si rallegrò, pensò che
ciò ch'ella soffriva poteva essere un'espiazione e tutto le parve piti
leggero ». Ed eccole spuntare in cuore tal compunzione religiosa
che, a vero dire, non ne avremmo facilmente supposta tanta pie-
nezza e tanto abbandono. Q.'^^^'^^^^
« Si diede quindi tutta ad una divozione la quale in parte era un !>^
sentimento intimo e retto .dell' animo, in parte un fervore di fan-'«^ »
tasia ». « Le tornava allora alla mente il chiostro, ma in un aspetto
tutt' altro che increscioso: « la dignità di monaca e quella benedetta
pompa di badessa» le allietava la fantasia; «e quella benedetta
boria di essere la piìi nobile dei monastero, ultimo rifugio della sua ^j
superbiuzza, le parve un zucchero al paragone dello stato d' umi
liazione, di prigionia, di disprezzo nel quale si trovava ». E così
infervorandosi la piccola Gertrude prendeva addirittura posizione
di battaglia (chi lo crederebbe?) contro la sua antica e radicata av-
versione al chiostro. « Le risorgeva » sì, codesta avversione « con
tutte le sue immagini, ma ella le pigliava per tentazioni e le com-
batteva. In questa incertezza ella desiderava di rivedere il padre,
di rivederlo con una faccia diversa da quella di cui le rimaneva
una immagine terribile, e dolorosa, di avere il suo perdono, di es-
sere riammessa nella sua famiglia » (*),
Il difetto capitale di questa rappresentazione dell' anima di Ger-
trude è in ciò che può sembrare, a chi la guardi indipendentemente
dalla complessa visione di quella trista giovinezza, piuttosto un pre-
gio di chiarezza, di semplicità, di ordine nel figurare il trapasso
dalla confusione, dalla vergogna al rincrudito dolore dell'avviliente
prigionia, da questo al pentimento, al confortevole pensiero del per-
dono paterno e delle superbe seddisfazioni nel monastero.
O-
r
(1) Sp. prora., pp. 193-4.
298 PARTE TERZA
Ma chi abbia presente l' immagine della sventurata adolescente,
quale lampeggiò fin dalla stessa prima concezione alla meditativa
fantasia del Manzoni, s'accorge che quei tratti che abbiamo raccolti
e riassunti si svolgevano secondo, dirò così, un semplicismo psi-
cologico, di cui non è questo il solo esempio che offra la prima
stesura. Se ne riceve l'impressione come di una deduzione, scola-
sticamente metodica, di un fatto dall'altro, di un' ostentata chia-
rificazione del modo come s'avveravano i mutamenti e i progressi
nell'anima agitata, quasi volesse l'autore dimostrare più che rap-
presentare, persuadere più che commuovere.
L' intonazione logica piuttosto che estetica della descrizione si fa-
ceva sentire ne' trapassi e legamenti sintattici {cominciò quindi — ■
scacciato questo nimico [l'amore] dal cuore... il pentimento cominciò —
Si diede quindi tutta ad una divozione — Le tornava allora alla
mente)', e di riflesso il sentimento del fallo, il bisogno del perdono,
il proposito d'ottenerlo spiccavano in linee seccamente tagliate, senza
sfumature che denotassero l'ondeggiar dell'anima travagliata, senza
un variar di luci e d'ombre che rivelasse la pena di quella umiliante
relegazione, resa più odiosa dalle angherie della cameriera, l'accorato
desiderio d' un po' di benevolenza, la trepidanza tra la prospettiva,
che unicamente le rimaneva, di un rifugio onorevole nel monastero-
e l'invincibile avversione a rinchiudervisi. C'era una troppo su-
perficiale agevolezza, come ne' casi di conAcrsioni che si compiono
senza contrasto, in quel passar rapido di Gertrude al sentimento,
alle immaginazioni delle grate conseguenze del perdono, alla riso-
luzione di scrivere al padre ; e e' era, d'altra parte, in cosiffatta di-
pintura qualcosa di inorganico, di diffiuente, di unilaterale, che non
rendeva chiaramente l'ineluttabilità di quella risoluzione da" cui do-
veva esser deciso il suo destino. Lo stesso Visconti — non ostante
che il Manzoni in fine al capitolo quasi cercasse di mitigar l'im-
pressione della descrizione precedente (*) — aveva osservato, a pro-
posito di quel pronto combatter, come « tentazioni >, le attraenti
immagini del passato, che conveniva « indicare più chiaramente che
per altro non erasi ancor piegata alla risoluzione di farsi monaca » (*).
Non che parergli giusto l'avvertimento dell'amico, il Manzoni
stimò opportuno di rivedere e rifar totalmente l'analisi della com-
plessa situazione. Che il penoso stato in cui Gertrude era caduta.
(1) « Non già ch'ella avesse presa una risoluzione, ma non poteva più reggere
alla solitudine e alla proscrizione, e sperava confusamente che in quel colloquio la
risoluzione si sarebbe fatta per lo meglio» (ivi).
(2) Ivi, n. jj.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 299
e il pentimento del fallo e il bisog-no d'un po' di misericordia e
d' amore potessero indurla a mostrarsi « indeterminatamente pronta >
a ciò che poteva piacere al padre e contribuire a scemare quella
sua antica avversione, è consentaneo all'indole sua fantasiosa e in-
quieta; ma che ne derivasse senz'altro la risoluzione di combatterla
era troppo e, per giunta, mal s'accordava con l'ingenita fiacchezza
morale di lei. Il poeta ha dunque affisato lo sguardo sulla prima
figurazione di Gertrude con più sicuro intuito di quel temperamento
fantasioso e ardente e con più grave e delicata pietà del suo dolo-
roso destino: onde ne ha ritoccati i tratti salienti e ombreggiata e
ricolorita la patetica situazione con gentilezza di toni nuovi, con
ricchezza di sfumature sapienti e sviluppo opportuno d'elementi da
prima scarsi o lasciati nell'ombra; così da rispecchiare lucidamente
l'ondeggiante sensibilità — nota essenziale d^l carattere di Grertrude
— che, affiorando dai misteriosi istinti del suo essere e dalle con-
genite tendenze ereditarie della sua stirpe, riempie di un compa-
timento pensoso l'animo dell'osservatore.
Ecco: il paggio non torna incresciosamente alla memoria della
poveretta come la « persona meccanica » per la quale altri la do-
vessero svergognare come la testimonianza della sua « debolezza » ;
né ella si libera così facilmente di quell'immagine, come con certa
intempestiva baldanza d'ironia commentatrice (^) ci raccontava da
prima il Manzoni. Il quale, anzi, purificati i motivi della vergogna,
separa da codesta apprensione la figura del giovinetto^ per farne
rivivere la gentile immagine mischiata ad altre tormentatrici nella
fantasia della fanciulla: -^ non lasciava di venire spesso anch'essa
ad infestar la povera rinchiusa; e pensate che strana comparsa do-
veva far quel fantasma, tra quegli altri così diversi da lui, seri,
freddi, minacciosi ».
I dolori presenti vincono il diletto di quella memoria, a cui sono
troppo strettamente legati, ma il brusco e grossolano modo di rap-
presentarne r oblio, che abbiamo rilevato nella minuta, ha ceduto
nella nuova dipintura ad un processo delicatissimo di gradazioni,
che riproduce fedelmente lo sforzo durato dalla sentimentale Ger-
trude per liberarsene: « appunto perchè non poteva separarlo da
(1) Tanto è vero che «all'amore per signoreggiare un animo, bisogna un poco di
buon tempo, e che le faccende gravi, te le grandi sciagure gli spennacchiano le ali
e gli spezzano i dardi, se ci si permette una frase, invero troppo poetica, ma che
spiega tanto bene ciò che accade nell'animo» {Sp. proni-, p. 193). Ma sconveniva
far del brio su quel piccolo povero amore di Gertrude, per cavarsi il gusto di can-
zonare la fraseologia mitologica de' poeti erotici classicheggianti.
300 PARTE TERZA
essi, né tornare un momento a quelle fuggitive compiacenze, senza
che subito non le si affacciassero i dolori presenti che n' erano la
conseguenza, cominciò a poco a poco a tornarci più di rado, a re-
spingerne la rimembranza, a divezzarsene ».
Con eguale attenzione seguita il poeta a smorzare le tinte forti
del primo disegno.
Le « liete e brillanti fantasie d'una volta » tornavano; ma non
« più a lungo o più volentieri » che nell'immagine del paggio, vi
« si fermava », perchè — dice il Manzoni con nuova grazia e so-
brietà — « erano troppo opposte alle circostanze reali, a ogni pro-
babilità dell'avvenire », A questo punto la nuova redazione esce
dalle tracce della prima stesura che s'affaticava a descrivere il pen-
timento, la devozione, il combattimento vittorioso contro le antiche
inclinazioni, e rifa la situazione presentando 1' animo di Gertrude
agitato attorno all'immagine del monastero, che unico le si offriva
come « un rifugio tranquillo e onorevole ».
La figura psicologica acquista coerenza e unità e compostezza
nuove; l'anima, deserta dalle liete immaginazioni, oppressa, al con-
trario, e assediata da tristi e minacciosi fantasmi, non poteva che
abbandonarsi a quel vago pensiero, e confortarsene per la gioia
pregustata di veder « cambiata in un attimo la sua situazione». Il
Manzoni, dirò cosi, ha spostato il fòco centrale del quadro: il senti-
mento del fallo diventa un coefficiente "del dramma: non é, però,
tutto il dramma stesso ; il quale piuttosto si concentra nell' affanno
intollerabile di quella vita, chiusa come in un carcere, disprezzata,
perennemente oppressa dalla minaccia d'un « gastigo » — già fatto
presentire dal padre — « oscuro, indeterminato e quindi più spaven-
toso ». Così il contenuto e il significato del breve dramma di Gertrude
smettono quella compunzione morale che prevaleva nella prima rap-
presentazione, per atteggiarsi nelle forme d'una dolorosa passiona-
lità, più confacenti al temperamento e al carattere della giovanetta.
Vedete la vicenda in che s'aggira l'animo suo. Non che si risol-
vesse d'entrar per sempre nel monastero, ma non poteva a meno
di riflettere — in quelle ore di abbandono doloroso — ai vantaggi
di una tale risoluzione. Se non che < contro questo proposito insor-
gevano i pensieri di tutta la sua vita ». Sarebbe dunque riuscita a
scacciare quella vaga idea del chiostro ? Era la stessa angoscia dello
stato presente che ve la richiama va.. Troppo « i tempi eran mutati;
e nell'abisso in cui era caduta e al paragone di ciò che poteva te-
mere in certi momenti, la condizione di monaca festeggiata, osse-
quiata^ ubidita, le pareva uno zuccherino ».
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 301
E qui abbiamo un bellissimo saggio del lavoro di ricostruzione
psicologica e di rifusione fantastica, esercitato dal poeta sul primo
getto. Nel quale quell'immaginazione di una vita di monaca privi-
legiata fioriva, come abbiamo visto, da uno stato di fantastica com-
punzion religiosa; e sol di riflesso appagava anche l'animo superbo
e insofferente della presente umiliazione ; mentre nella nuova forma
del romanzo, essa nasce per diretto contrasto all'esasperazione di
quella prigionia e al terrore dell'imminente gastigo. Il processo
psicologico appare così più conforme alla natura di Gertrude. Che
è codesta natura? un impasto di debolezza, di tenerezza, d'orgoglio.
Non è capace di raccogliersi nel confortevole fervore di una viva
e costante devozione religiosa ; può sentirsene accesa di tanto in
tanto, non assolutamente dominata, nello stesso modo che la punge
il desiderio d'appagare il suo orgoglio, ma non basterebbe questa
sola passione a determinarla ad un atto decisivo. Né, d' altra
parte, la sete, onde brucia, d' affetto, di dolce protezione, o, almeno,
d'umane parole non varrebbe da sola ad infiammare la sua volontà.
Istinti, passioni, che scuotono l'animo urtandosi insieme, senza che
alcuno s' accampi, come suole accadere ne' caratteri di viva sensi-
bilità e di scarsa energia volitiva: concorrenti insieme, per avven-
tura, a generare l'azione, perchè vi s'immischia una confusa idea
d'appagamento e di sollievo.
La quale situazione complessa, vista e approfondita dal Manzoni
con altro sguardo dalla primitiva figurazione, è tutta in questa analisi
delicatissima: « due sentimenti di ben diverso genere contribuivano
pure ad intervalli a scemare quella sua antica avversione: talvolta
il rimorso del fallo, e una tenerezza fantastica di devozione : tal-
volta l'orgoglio amareggiato e irritato dalle maniere della carceriera,
la quale (spesso, a dire il vero, provocata da lei) si vendicava ora
facendole paura di quel minacciato gastigo, ora svergognandola del
fallo. Quando poi voleva mostrarsi benigna, prendeva un tono di
protezione, più odioso ancora dell'insulto. In tali diverse occasioni,
il desiderio che Gertrude sentiva d'uscir dalle unghie di colei, e
di comparirle in uno stato al di sopra della sua collera e della sua
pietà, questo desiderio abituale diveniva tanto vivo e pungente, da
far parere amabile ogni cosa che potesse condurre ad appagarlo.
In capo a quattro o cinque lunghi giorni di prigionia, una mat-
tina, Gertrude, stuccata ed invelenita all' eccesso, per un di que'
dispetti della sua guardiana^ andò a cacciarsi in un angolo della
camera, e lì, con la faccia nascosta tra la mani^ stette qualche
tempo a divorar la sua rabbia. Sentì allora un bisogno prepotente
302 PARTE TERZA
di vedere altri visi, di sentire altre parole, d'esser trattata diversa-
mente. Pensò al padre, alla famiglia: il pensiero se ne arretrava
spaventato. Ma le venne in mente che dipendeva da lei di trovare
in loro degli amici: e provò una gioia improvvisa. Dietro questa,
una confusione e un pentimento straordinario del suo fallo e un
egual desiderio d'espiarlo. Non già che la sua volontà si fermasse in
quel proponimento, ma giammai non c'era entrata con tanto ardore ».
In queste pagine dell'ultima elaborazione noi vediamo disporsi
in una più rigorosa e lucida unità estetica e svolgersi con nuovi
effetti psicologici e drammatici ciò che di ancor frammentario e
grezzo era confluito nel primo getto : la donna carceriera, del cui
odioso contegno era fatto un accenno magro e scialbo (*), acquista
uno sviluppo d' azione, un significato morale e un colorito poetico
di gran rilievo, come quella che, amareggiando ed irritando l'or-
goglio di Gertrude, contribuisce al rivolgimento interiore della po-
veretta e alla risoluzione disperata di scrivere al padre: la grigia
ombra silenziosa, che avvolgeva nel primitivo disegno quella sua
amaritudine languente nella compunzione del pentimento, si scioglie
negli avvampanti diverbi, che ogni tanto interrompono il fantasti-
care affannoso di lei; ne sorgono in sinistra luce, l' una di fronte
all'altra^ l'arcigna figura della donna, che or rimbrotta per atter-
rire ora blandisce per avvilire, e quella corrucciata della giovinetta,
che freme invelenita, divorando la rabbia nel pianto convulso.
È un quadro che il Manzoni ha ricreato quasi ex novo ai fini del-
l'efficacia drammatica, tratteggiandolo con quella temperanza di
linee e di colori che gli suggeriva il suo senòo d' arte misurata e
armoniosa, secondando massimamente quel criterio di logica vigo-
rosa che ha presieduto tutto il suo lavoro di ricostruzione e di tra-
sformazione del romanzo, sia nel dedurre e collegare gli avveni-
menti, sia nel motivare le azioni de' personaggi.
È in quella mattina che Gertrude, piti esasperata del solito, sente
il prepotente bisogno d'uscire di là, « di vedere altri visi, di sentire
altre parole, d'esser trattata diversamente ». L'anima trabocca d'a-
marezza e di rabbia; l'ultimo eccesso produce la catastrofe: in un
temperamento di sensibilità morbosa, coni' è quello di Gertrude, non
è tanto un' intima preparazione di sentimenti e di pensieri, quanto
un impeto passionale d' un momento che determina lo spasimo di
quel bisogno. Il quale è qui sapientemente rilevato, in dipendenza
(1) «La conversazione era fra di esse quaile può risultare dall'odio reciproco»
(Sp. proni., p. 192).
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 303
diretta da uno stato di agitazione straordinaria, mentre nella prima
stesura aveva un posto inopportuno dopo il colloquio col padre.
Con quel sentimento risorge il pensiero del padre, della famiglia,
.€ lo spavento che abitualmente s'accompagnava a quelle immagini,
ma questa volta la paura non prevale^ e l'anima, oppressa dall'in-
sopportabile odio e fastidio della guardiana, s'abbandona a teneri
pensieri di riconciliazione, di benevolenza, d' affetto ; e così fanta-
sticando, prova una di quelle gioie improvvise che, empiendola di
dolcezza e conforto, la dispongono a commozioni straordinarie.
Ora s' intende come tale stato di tenerezza insolita predisponga
e agevoli in Gertrude « un pentimento straordinario del suo fallo
e un egual desiderio d' espiarlo » : movente psicologico di prim' or-
dine, che pur s' insinuava confusamente tra gli affrettati periodi
della prima redazione (*), ma senza quella concretezza e coerenza
drammatica che vi ha impresso di poi il genio paziente poeta.
Dopo queste considerazioni non posso consentire ne' sottili appunti
mossi di recente da Nicola Scarano (*) all'analisi manzoniana degli
stati d'animo di Gertrude. « Un po' monotona — gli pare — per
qualche ripetizione e per non aver saputo l'artista fare nuove sco-
verte ». Ripetizioni possono parere i tratti in cui è ripresentata la
figura della guardiana ed è ritoccato lo stato di sbigottimento del-
l'adolescente dinanzi all'avvenire e di rammarico del fallo com-
messo: ma in ciò non c'è vuota reduplicazione di motivi^ bensì ri-
prese, svolgimenti di essi, che secondano e scolpiscono con efficacia
di nuovi rilievi la travagliata vicenda e il faticoso rivolgimento in-
teriore di queir anima, della quale il Manzoni deve pur dire per
quali impulsi e in quali modi si risolvesse a scrivere al padre la let-
tera famosa. Che « nuove scoperte » dovesse fare l' artista, non so,
eccetto quella di studiare e ritrarre l' intimo nuovo travaglio di Ger-
trude ne' tristi giorni della prigionia ; il che il Manzoni ha fatto
e — a mio avviso — egregiamente. Ma più severo è il giudizio
dello Scarano in queste parole : « sono inoltre stati di animo cam-
pati in aria, senza quasi nulla che li determini di fuori, senza che
sorgano per lavorìo nuovo su i ricordi del passato. Qui l'analisi
psicologica, non sorretta da fatti o da elementi reali, diviene un'a-
(1) Detto che Gertrude combatteva le liete immagini del passato come tentazioni,
il Manzoni proseguiva: «In questa incertezza, ella desiderava di rivedere il padre,
di rivederlo con una faccia diversa da quella, di cui le rimaneva una immagine ter-
ribile e dolorosa, di avere il suo perdono, di essere riammessa nella famiglia » (Sp.
proni., p. 194).
(2) N. Scarano, La Gertrude del Manzoni, in N. Ant. del 16 die. 1916, pp. 460 segg.
304 PARTE TERZA
Stratta parodia». Rimando all'esame da me fatto dell'analisi man-
zoniana, nel quale — se non m'inganno — è implicita la confuta-
zione di così aspro e strano giudizio. Ma non posso a meno di ri-
battere, qui, che gli stati d'animo di Gertrude, non che campati in
aria e, come a dire, presentati senza un fondamento, una ragione
propria, una motivazione interna e un'eccitazione esteriore, sono
propriamente determinati da fatti ed elementi reali, cioè dalla sco-
perta di quel suo amoruccio per via della lettera caduta in mano del pa-
dre (di quel padre !), dall'apparizione improvvisa di lui venuto a rim-
proverarla, con quel cipiglio, a minacciarla di un indeterminato,
ma certo gastigo, che può anche essere le chiusura nel monastero,
dal trovarsi guardata da quella cameriera che la tortura con di-
scorsi, con minacce e fintaggini e dispetti. E quanto ai ricordi del
passato, ce n'è di lieti, ormai così lontani, e di tristi, così vicinij
che sono anzi d' incentivo e di tormento alla fantasia della giovi-
vinelta, generano in lei il conflitto de' sentimenti, fermentano il vario
tumulto delle passioni. E lasciamo andare l'appunto per i quattro o
cinque giorni, messi là dal Manzoni, che lo Scarano si maraviglia
non potessero essere anche « tre o sei »^ osservando che è un nu-
mero « preso a caso, perchè esso rappresenta una lacuna nel lavoro
della creazione », come se proprio quella espressione numerica in-
determinata non volesse significare in modo vago e indefinito, con-
forme alle leggi della poesia, la vita di resistenza, di sofferenza,
di struggimento della piccola rinchiusa, finché non giunga all'estre-
mo dell'esasperazione. « Dopo quei quattro o cinque giorni — pro-
segue spietato lo Scarano — le è fatto, come idea nuovissima, venir
in mente che dipendeva da lei di trovare nel padre e nella famiglia
degli amici, sì che viene a provare per ciò una gioia improvvisa.
Ma questo era come l'altro corno del dilemma; e avendo Gertrude
r un corno presente, non aveva da aspettar cinque giorni per veder
l'altro ».
Tralasciando che è difficile consentire in questa forma rigidamente
logica in cui lo Scarano ama figurarsi gl'interni combattimenti di
quell'anima debole e inquieta, mi richiamo anche per questo all'a-
nalisi che addietro ne ho fatto; soltanto aggiungo che quel pensiero
che il rabbonirsi de' suoi avversari dipendeva da lei, cioè dalla sua
condiscendenza a far la volontà del padre implorando il perdono,
sorgeva per antitesi e con suggestiva attraenza dallo spavento stesso
di quei « fantasmi seri, freddi, minacciosi », risorgenti troppo spesso
nella sua mente, e che attingeva tanto più forza dall' intenso esa-
sperante bisogno d'uscir da quel luogo, d'ottener dal mondo un
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 305
po' di benevolenza. Il processo psicologico è condotto con sicuro
intuito e magistrale coerenza poetica. E quella « gioia improvvisa »,
chi ben guardi nella delicata trama psicologica onde il potente ar-
tista ha intessuto l'animo di Gertrude, non è che la conseguenza
straordinaria di quel figurarsi visi benigni e parole carezzevoli, che
l'anima sovreccitata vede e sente come in viva realtà e a cui s'ap-
piglia disperatamente, perchè ha un estremo bisogno di consola-
zione e di sollievo.
Lo stato d'animo di Gertrude nel comparire dinanzi al padre,
che al legger quella lettera ho visto subito « lo spiraglio aperto alle
sue antiche e costanti mire > (*), è raffigurato in quella leggiadra
similitudine del fiore con cui s'apre il cap. X. Convengo con lo
Scarano che ad essa e a ciò che colà si dice di certi momenti del-
l'animo giovanile non s'attaglia perfettamente il caso di Gertrude,
la quale è ben vero che non cede mollemente alla crudele insidia
del principe e ch'ella è un fiore piuttosto abbattuto dall'uragano
che « pronto a concedere la sua fragranza alla prim' aria che gli
aliti punto d'intorno». Se non che quell' «abbandonarsi (*) sul
fragile stelo » con ciò che segue, ove sia riferito ai più benigni di-
scorsi che, dopo averla nuovamente aspreggiata, le rivolge il padre
« raddolcendo a grado a grado la voce e le parole » , può reggere
sol che si consideri lo stato di Gertrude, « scossa dal timore, pre-
parata dalla vergogna e mossa in quel punto da una tenerezza
istantanea ». A questo proposito v'erano nella prima redazione due
tratti, andati poi soppressi^ che chiarivano il segreto sentire di
Gertrude in quel momento di abbandono e la nota caratteristica
dell'indole sua. Dopo la similitudine del fiore il Manzoni proseguiva;
« L' animo vorrebbe perpetuare questi momenti^ e diffidando della
sua costanza, corre con alacrità a formar disegni irrevocabili : felice
se la tarda riflessione non gli rivela col tempo che ciò che gli era
sembrato una ferma e pura volontà non era altro che una illusione
della fantasia » (^). Ed era pur detto di questi momenti non solo
« che si dovrebbero dagli altri ammirare cOn timido rispetto » (*)
ma « coltivare dal prudente consiglio in modo che si mostrassero
colla prova e col tempo », e che in essi « tanto più si dovrebbe
tremar e vergognarsi di chiedere quanto più grande è la disposi-
li) Prom. sp„ cap. X, p. 142.
(2) La prima stesura (p. 195) non ha il «mollemente», il che rende più accetta-
bile l'immagine.
(3) Sp. prom., p. 195.
(4) Così pur ne' Prom. sp., Ice. cit.
Busetto — 20
306 PARTE TERZA
zione ad accordare » (*). E quel « Ah ! sì, » con cui G-ertrude nella
prima redazione interrompeva « incontanente » il discorso del padre
prospettante i pericoli del secolo, ella lo pronunciava « mossa ad
un punto dal timore, dal ravvedimento, e da una certa tenerezza e
sopra tutto dalla corrività della sua fantasia » (^).
Quest'ultimo piti forte motivo, che il Manzoni ha poi tralasciato
di rilevare o per rendere più sobria 1' analisi o per dare unicamente
risalto agV impulsi morali ed affettivi o piuttosto così per l' una come
per l'altra ragione (^), e quel tratto dell'osservazione iniziale, me-
desimamente soppresso, gettano un po' di luce nella primigenia
concezione del carattere di Gertrude e, in particolare, del suo con-
tegno in presenza del padre. Ella è insomma in uno stato d'illu-
sione sentimentale e fantastica, che, mentre le fa parer di volere
con consapevolezza, lascia di fatto indifesa la volontà. Di questa più
manifesta situazione, com'era lumeggiata nella prima stesura, del-
l' animo di Gertrude è rimasta una traccia significativa nel romanzo
là dove è detto che il padre volle cogliere a volo quel momento
« per legare una volontà che non si guarda > {*).
*
* *
IV. Se nell'episodio della prigionia testé esaminato il Manzoni è
riuscito a rendere più compatta, più piena e più profonda la rap-
presentazione del carattere di Gertrude col rifare in modo più de-
licato e più complesso la dipintura de' sentimenti e coli' avvivare
r analisi psicologica e la situazione di nuovi motivi drammatici, in
altre parti ha inteso al medesimo fine ora col sopprimere quel che
(1) Sp. proni., loc. cit.
(2) Sp. proni., p. 197.
(3) Può essere per sobrietà, parendogli sufficienti motivi a prorompere in quel
«ah sì»! il timore, la vergogna, la tenerezza istantanea; può essere, ad un tempo,
pel proponimento di non caricar troppo sull'indole fantastica della fanciulla al fine
di rappresentare una scena d'insidiosa oppressione, in cui tutto il biasimo spetta al-
l'insinuante perfidia del principe.
(4) Prom. sp., cap. X, p. 143. Lo Scarano condanna questa fra^e, perchè Gertrude
« cedevole divenne per paura e non perchè non si guardasse » e aggiunge che « non
fu un dolce inganno quello che la vinse; ma una costrizione, una violenza bella e
buona» (art. cit. p. 461). Questo s'intende anche dal romanzo; ma che Gertrude avesse
dinanzi al padre una volontà ferma e chiara si da guardarsi dagli agguati dell' «astu-
zia interessata», io escludo affatto. Che l'autore, piuttosto, immaginasse in lei uno
stato di fantastica sentimentalità predisponente alle più straordinarie accondiscendenze,
è provato anche dall'esame dell'abbozzo, che lascia scoprire i segreti intenti e proce-
dimenti del poeta.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 307
gli paresse accessorio o eterogeneo e con lo scorciare ne' tratti ri-
dondanti, ora col rinvigorire o sviluppare gli elementi essenziali
all' analisi e qualche volta con 1' aggiungerne di nuovi. Processo di
chiarificazione e di condensazione che, sebbene non importi un vigor
nuovo d' intuito psicologico, una più penetrante meditazione fanta-
stica, richiede tuttavia il vigile senso dell'evidenza concisa, la scal-
trita attitudine a purificare la visione poetica d'ogni elemento su-
perficiale, triviale, contingente, a rifare in sobrio e limpido disegno
ciò che prima era prolisso o grossolano.
Dopo quel «sì» disgraziato, padre e figlia stanno l'una di- fronte
all' altro con sentimenti e contegno mutati. La prima stesura riferiva
indirettamente con fare sbiadito, or generico, or troppo caricato, il
discorso plaudente del vincitore (*); descriveva con sforzo d'analisi
mal contenuta lo stato dubbioso e confuso della vinta (*). Dai rifa-
cimenti le due figure sono balzate nette e precise ne' lor caratteri
essenziali : il padre in quella parlata breve, rapida, densa, che è un
capolavoro d'ostentata benevolenza e di tortuosa coazione ; la figlia
in quella chiara dipintura del nuovo combattimento in cui è presa
tra il rammarico di quel « sì » « che le era scappato > e la sugge-
stione deprimente delle parole del principe.
Dove l'autore, con un fraseggiar povero di vigore fantastico e
frondeggiante di verbalismo, s' attardava sulla confusione de' pensieri
di Gertrude, ha tatto risaltare con lucida scioltezza di tocchi il tor-
mentìo di quel « sì » impegnativo ; dove aveva sbiaditamente colorito
uno stato d' inerzia paurosa, ha dato nuova vita e colore al contrasto
tra quelle due volontà, l'una inerme ed abbattuta e l'altra agguer-
rita di forza e scaltrezza e fervorosa del suo trionfo. Così nell'ordi-
nata e sobria dipintura dell'ultima mano ha nuovo rilievo quella
che è la caratteristica psicologica della Gertrude manzoniana, un
agitarsi cioè tra il pentìmento de' passi a cui la trascina la sua ir-
requieta sensibilità e l'impotenza di porvi rimedio (').
Nella scena che succede immediatamente a questa del perdono e
della riconciliazione, compariva nel primitivo disegno, oltre la madre
e il fratello, il segretario del Marchese, incaricato di stendere lì su
due piedi la domanda formale pel vicario delle monache: gustosa
figura che conferiva peculiare vivezza al quadro secentesco di quella
famiglia patrizia (*), ma che il poeta ha poi tolta via, preferendo di
(1) Sp. prom., p. 197.
(2) Ivi.
(3) Cfr. i due passi in Sp. prom., ivi e Prom. sp., cap. X, p. 143.
(4) Sp. prom,. p. 199.
308 PARTE TERZA
sacrificare il colorito storico della scena e l'umor satirico che gli
aveva ispirato un tipo di cortigiano all' esigenza poetica, più pro-
fondamente sentita, di porre in stacco vivo i due personaggi cospicui,
r oppressore e la vittima, d'infondere con la rapida sobrietà del
racconto e la vivacità del dialogo, in cui domina quasi da sola con
la sua voce la figura del principe, un senso di più alta e paurosa
drammaticità alla scena, d'imprimervi un più universale carattere
umano.
Nel seguito del racconto, da quella scena fino alla visita al mo-
nastero, assistiamo al lavoro intenso di tagli e scorci e mondature,
che rendono più netta e distinta 1' essenziale figurazione del carat-
tere di Gertrude : sparita una similitudine ingombrante e poco con-
veniente (*) ; eliminati alcuni particolari dell' acconciatura (*) che
perturbavano l'unità psicologica ed estetica della rappresentazione
di queir aS^annoso sbalordimento crescente, in cui la vittima era
come rapita dall'affaccendamento degli astuti oppressori; cancellate
certe dimostrazioni d'ossequente amorevolezza che caricavano trop-
po il colore de' caratteri (^), soppressa, o meglio, condensata in
uno scorcio sobrio ed efficace, entro le linee svelte dell'azione, l'a-
nalisi dell'animo di Gertrude, oppressa dalle congratulazioni e dai
complimenti della gente di casa e de' parenti più prossimi (*);
bandite le dimostrazioni di premura de' suoi familiari durante la
trottata pel Corso e sostituite dai garruli discorsi di due zìi, un de'
quali, col far del brio sulla vita beata della prossima monaca, non
solo ravviva il quadro d' ambiente, ma dà anche risalto alla silen-
ziosa ambascia della festeggiata (') ; più serrato e conciso e, dirò
così, rammorbidito nei toni con l'estinguere alcuni tratti che immi-
serivano il ritratto morale di Gertrude, il racconto della vendetta
che ella si prende sulla cameriera col farla allontanare da sé; e
svolta, per contro, per una più acuta intuizione de' caratteri, l'a-
nalisi della trista soddisfazione che non appaga la fanciulla e della
(1) «La mente di Geltrude era come il lavorìo d'una povera fante, che serva ad
una numerosa famiglia e che in un giorno di faccende chiamata di qua di là non
può venire a capo di nulla» (Sp. prom.. p. 200).
(2) «La Marchesa^ presiedeva all'acconciamento, e parte lodando, parte ripren-
dendo, parte consigliando, parte interrogando Geltrude di cose estranee, non le lasciò
il tempo di raccozzar due idee. Del resto, a misura che l'opera procedeva verso la sua
perfezione, Geltrude stessa vi prese un po' d'affetto, e vi occupò quel poco di pensiero
che le rimaneva » (p. 201).
(3) «A tavola Geltrude fu la regina: servita la prima, trattenuta, corteggiata,
ella doveva corrispondere a tante gentilezze, e faceva ogni sforzo per riuscirvi » (ivi).
(4) Ivi.
(5) Sp. prom., pp. 201-2; Prom. sp., cap. X, p. 145.
IL ROMANZO lìT FORMAZIONE 309
pena che la tormenta al pensiero de' grandi progressi fatti, in
quella giornata, sulla via del chiostro e ravvivata in dialogo, come
suole spesso il Manzoni, la parte ipocritamente premurosa del pa-
dre, ch'era prima succintamente descritta; ridotta, in fine, a pochi
tratti, vivi e concisi, la descrizione dello svegliarsi di Gertrude la
mattina seguente che deve recarsi a far la richiesta al monastero.
La minuta si soffermava a ritrar quel risveglio in codesto quadro
di acuta e lucida fantasia, che il Manzoni avrebbe potuto conser-
vare con lievi ritocchi nel testo definitivo: « Geltrude desta per
forza, non ancor ben certa di vegliare, assalita ad un punto dalle
memorie del giorno trascorso, dal pensiero di ciò che si doveva
fare in quello che cominciava e dal cinguettio della governante,
stava con gli occhi socchiusi ed intenti come trasognata: quel de-
starsi era por la sua mente come il dubbio barlume di un mattino
tempestoso, quando un leggero diradamento nelle tenebre appena
annunzia che il sole è nell' orizzonte, e a chi guarda più attenta-
mente il sole stesso appare come un disco bianco sfumato e leg-
giero sospeso dietro le nuvole trasparenti » (^).
Un'altra vigorosa pennellata, che nella minuta ritraeva al vivo la
penosa situazione di Gertrude, assediata, appena scendeva nella
sala a prender la cioccolata di rito, dalle nuove cerimonie de' ge-
nitori e del fratello^ le quali erano « piccoli fili che legavano sem-
pre più » la poveretta, è scomparsa dal romanzo ; ma pur di que-
sto tratto, non men che del precedente, non sapremmo giustificar
la soppressione neppure col più rigoroso criterio di sobrietà, poiché
ne veniva luce e colore, in un punto dei più cospicui del racconto,
alla figurazione dell'indole complessa e ombrosa della sventurata.
Conviene riportarlo per disteso : « Essa non confermava con parole
la risoluzione che tutte quelle dimostrazioni supponevano; non di-
ceva nulla, non faceva nulla, ma tutto ciò che si faceva intorno a
lei, la poneva in una situazione nella quale il disdirsi, appena il
mover dubbio sulla sua risoluzione, il fermarsi un momento avrebbe
(1) Sp. prom., p. 205. La minuta, poi, raccontava press'a poco come l'ultima re-
dazione: «Il nome del Marchesino aveva già fermata l'attenzione di Geltrude, ma
quando dalle parole della governante l'immagine del Marchesino in collera passò
nella mente di Geltrude, tutti i pensieri onde questa era affollata, si levarono a volo
come uno stormo di passere alla vista d'uno spauracchio, e non restò più a Geltrude
che la voglia di disbrigarsi e di schivare quella collera». Osserva, però che, agilità
nuova e che precision di rilievo abbia ricevuto il passo elaborato in quest' altra
forma: « All'immagine del principino impaziente, tutti gli altri pensieri che s'erano
affollati alla mente risvegliata di Gertrude, si levaron subito, come uno stormo di
passere all'apparire del nibbio» (Prom. sp., cap. X, p. 147).
310 PARTE TERZA
avuto sempre più apparenza di stranezza scandalosa » (*). E giac-
ché siamo su questo proposito, dirò che la preoccupazione della so-
brietà s'è fatta sentire anche in altri luoghi del racconto, ne' quali
lo sguardo del poeta non si perdeva dietro a superficiali superfluità
di disegno, ma penetrava, acuto e profondo, nello spirito doloroso
di quel fosco dramma domestico.
E noto che l'autore nell' accingersi a descrivere il giro d'addio
a' beni mondani, fatto da Gertrude dopo la visita al monastero, e il
colloquio col vicario, dichiara così nella prima come nell'ultima
stesura del romanzo di non voler soffermarsi su quella descrizione
per evitare « una storia di dolori e di fluttuazioni, troppo monotona,
e troppo somigliante — ha aggiunto nel testo definitivo — alle cose
già dette » (*). Eppure tra le due redazioni c'è differenza; ed è da
credere che la considerazione che troviamo dichiarata nella giunta
dell'ultima, abbia spinto la mano del rigido revisore a scorciare
con speditezza anche eccessiva la densa e particolareggiata descri-
zione che gli era venuta fatta nel primo getto. A dire il vero, non
si tratta solo di soppressioni e di emendamenti dovuti al « fren
dell'arte >, ma altresì di sostituzioni e di mutamenti sostanziali così
nella rappresentazione degli oggetti ed aspetti del mondo, a cui
Gertrude s'affacciava per l'ultima volta, come nell'analisi de' suoi
sentimenti. Lo stato di Gertrude appare nell'ultima forma più dolo-
roso che nella primitiva, ma anche meno agitato e involuto; più
decorosa la sua intima tragedia, più semplice e, ad un tempo, più
delicata, la descrizione de' suoi patimenti. E così, pur conservando
gl'intimi contrasti, il carattere ne esce ricostruito e lumeggiato in
una forma più raccolta, più organica, più profonda. È il segreto
procedimento che di continuo s' intravede nella pertinace elabora-
zione psicologica e fantastica, attraverso la quale il Manzoni è venuto
riatteggiando i suoi personaggi. Ho detto che Gertrude anche dalle
pagine ritoccate non figura meno dominata di quel che fosse prima,
dai segreti contrasti dell'animo; e aggiungo che, anzi, il Manzoni
ha reso più vivace e più cospicuo il travaglio della fanciulla tra
le impressioni della splendida vita mondana e l'idea della vita del
chiostro, tra il desiderio inquieto di poter vivere per sempre an-
ch'ella nel mondo e il pauroso pensiero, che guastava ogni altra
inclinazione contraria, delle difficoltà sempre più ardue e intricate
dell'attuale sua condizione.
(1) S'p. prom., p. 207.
(2) Sp. prom., p. 217; Prom. sp., cap. X, p. 155.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 311
Per ottener ciò, senza tuttavia venir meno all'intento di render
più sobrio e conciso il racconto de' casi della disgraziata signora —
che minacciava di diventare un romanzo nel romanzo — il Manzoni
di tanto ha ampliata la rappresentazione poetica di quel mondo
fastoso, pur toccando in modo succinto delle impressioni e de' sen-
timenti suscitati in lei giovinetta, di quanto ha ristretta la descri-
zione dell' affannosa alternativa d' impronte risoluzioni^ di scompi-
glianti pentimenti, di quella profonda contraddizione tra ciò ch'essa
sentiva dentro di sé e ciò che faceva e diceva, impigliandosi sempre
pili nella rete orditale dal suo tristo destino. Sono nuove pennellate
d'ambiente codeste: « 1' amenità de' luoghi, la varietà degli oggetti,
quello svago che pur trovava nello scorrere in qua e in là all'aria
aperta le rendevano più odiosa l' idea del luogo dove alla fine ri-
smonterebbe per r ultima volta, per sempre > ; nuovo quel tocco,
per quanto fugace: «la visita delle spose le cagionava un'invidia,
un rodimento intollerabile » ; nuovo quel rilievo genialissimo di un
singolare, eppur tanto vero, disagio morale: « talvolta anche il pen-
siero di dover abbandonare per sempre que' godimenti glie ne ren-
deva amaro e penoso quel piccolo saggio ; come l' infermo assetato
(nuova pur questa comparazione efficacemente significativa) guarda
con rabbia, e quasi respinge con dispetto il cucchiaio d' acqua che
il medico gli concede a fatica ».
La dipintura di quel mondo splendido e rumoroso rimase tal
quale — salvo qualche efficace ritocco — l'aveva concepita il poeta
la prima volta, cioè a larghi e rapidi tratti, sollecitandolo più che
la cura di ritrarre le figure e gli spettacoli, on d'era circondata Ger-
trude, quella di significarne gli effetti nell'animo eccitato di lei.
Dell' avere, di proposito, tralasciata una più minuta e viva rappre-
sentazione di quel mondo, è stata mossa accusa anche di recente
al poeta con argomentazioni desunte da una teoria generale del-
l' arte che per sé stessa ha il suo ragionevole fondamento. E stato
detto che « più poetico, più ricco, più vario sarebbe stato l'addio
di Gertrude a ciò che più ardentemente 1' anima sua bramava », se
l'analisi de' suoi turbamenti e contrasti sì fosse accompagnata alla
pittura di tutto ciò che brillava e giulivamente ferveva attorno a
lei {^). Può essere. Ma — a parte che uno scrittore grande va stu-
diato e valutato in ciò che di concreto, d'immediato, di caratteri-
stico ha l'arte sua — non dimentichiamo che quella sommaria ras-
segna de' godimenti mondani, a cai è ammessa la giovane ormai
(1) SCARANO, art. cit., p. 463.
312 PARTE TERZA
destinata al chiostro dopo il colloquio col vicario, non ha che un
valore episodico nella trama del racconto e che il Manzoni aveva
con la sua lesta concinnità qua e la rievocato quel mondo aristocra-
tico non dico di proposito e in un quadro compiuto, ma a luoghi
opportuni e a grandi linee, come per dare uno sfondo scenico alla
rappresentazione della rapida vicenda di fatti e di commozioni in
cui è presa ineluttabilmente Gertrude dalla sua prima entrata nel
monastero al decisivo colloquio col vicario delle monache. Sfondo
scenico che non ha — ^ è vero — risentiti, rilevati e coloriti contorni
né varietà di figure profilate in vivida luce né dovizia di colori
fastosi; ma conviene non perder d'occhio (e a ciò la minuta è di
gran giovamento) la concezione fondamentale di questo personaggio,
l'intimo disegno che la meditante fantasia del poeta venne entro sé
componendo di quella dolorosa giovinezza, il significato morale di
tal sacrifizio infecondo di bene. Poiché é chiaro che il Manzoni in-
tese di far risaltare* in codesta storia di Gertrude il carattere e il
valore d' un dramina familiare, d'ombreggiarne a tocchi brevi e lievi
r ambiente, appunto per dare rilievo alto, complesso, morale insieme
ed artistico, all' impari lotta d' un' anima, fantasiosamente sentimen-
tale per natura e morbosamente orgogliosa per razza ed educazione,
con la volontà fredda, astuta, potentemente suggestiva d'un padre
tirannico per indole e privilegio di casta.
Avesse avuto il Manzoni la mente sgombra di quello che troppo
eccessivamente si son chiamate le « ubbie della morale » e meno
avesse temuto « di dipingere quadri che potessero aver contrario
effetto a quello dell'edificazione » (*), non per questo ci avrebbe
data una rappresentazione, più particolareggiata e lussureggiante,
degli spettacoli e de' divertimenti che in Gertrude suscitavano « eb-
brezza », « ardore » di vita lieta e brillante, orrore dell' «ombra
fredda e morta del chiostro ».
Eppure, a rigor di logica, non si può nemmeno dire che in que-
ste pagine il Manzoni abbia di proposito trascurata la serie de' fatti
esterni o scompagnatane la rappresentazione dall'analisi psicologica
degli interni di Gertrude; né che non abbia visto « col divino oc-
chio della sua mente que' divertimeati e quegli spettacoli quali si
potevano presentare all'occhio di Gertrade », né che egli si meriti
il rimprovero di non aver « tenuto per altissimo canone d'arte che
le due serie di cui si é parlato sono in poesia inscindibili » ('),
(1) SCARANO, ivi.
(2) ScARANO, art. cit., pp. 462, 463.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 313
quando lo studio dello scrittore è manifestamente inteso a farle
andare proprio insieme, armonicamente disponendo in salda, coerente
e lucida unità estetica gli aspetti di quel mondo e le impressioni
di Gertrude, così da riflettervi quell'intimo rapporto di suggestioni
e di reazioni tra l'esterno e T interno che costituisce l'inscindibile
unità psicologica della rapida sì, ma densa rappresentazione. Alla
quale anzi il poeta, elaborandone il primitivo disegno, ha infuso
maggior copia di motivi e d' impressioni, che compongono un qua-
dro bensì temperato e sobrio, ma da cui par che movano riverberi
tanto più luminosi e una spiritualità tanto più suggestiva pel modo,
felicemente seguito, di suscitarvi immagini, colori, movimento in
corrispondenza viva e continua con le interne affezioni di Gertrude,
per l'arte, insomma, di animarlo quel quadro, non al fine di un'e-
vocazione storica, ma in contrasto co' patimenti e con l'irrevocabile
destino della giovinetta infelice.
Nella visione di quel piccolo mondo ipocritamente feroce e fasto-
samente cortigianesco il poeta raccoglie lo sguardo pensoso sull' a-
nimo e sul funesto sacrifizio di colei che il pervertimento morale
trascinerà a tradire Lucia ; di contro scorge la figura grandeggiante
del primo e più vero autore di tanti casi sinistri, il principe, e, por-
tato dalle pronte sue attitudini all'analisi de' sentimenti e alla figu-
razione piuttosto della vita morale che delle condizioni e degli a-
spetti esteriori, condensa, quanto più può, il racconto nello studio
di quei due caratteri, nella rappresentazione di ciò che dia moto e
rilievo alla natura e alle passioni loro, così opposte e diverse. Po-
stosi il problema psicologico e morale della rovina morale d' un'a-
nima, di cui son causa' r egoismo domestico, i pregiudizi di casta,
la debolezza morale e la mancanza di un puro e alto sentimento re-
ligioso, il Manzoni lo risolve nelle forme dell' arte- consentanee alla
sua ispirazione e alla sintesi ideale a cui mira: ne viene di conse-
guenza che la storia di Gertrude riesce ad una analisi psicologica,
in cui è sempre vigile il senso di quel conflitto morale che è l'unica
e grande ragione poetica del racconto. Così il poeta ha visto, medi-
tato, sentito ; entro codesti confini spirituali ha circoscritto il dramma
di Gertrude: noi non possiamo chiedergli più di quello che egli
ha raccolto nella sua visione interiore, più di quello che ha appas-
sionato la sua coscienza poetica. Non è questione d' esitanza che
il Manzoni sentisse a colorir quadri di seducente vivacità mondana;
né di scrupoli morali o religiosi né d'estro frenato (*); il fatto é
(1) Ivi.
314 PARTE TERZA
che la coerenza artistica, la quale altro non è che armonica concor-
danza del fantasma col sentimento, della forma rappresentativa con
i motivi, con le ispirazioni della sensibilità o della passionalità in-
tima d'un poeta, non gli consentiva d'attardarsi a destare attorno
a Gertrude quella che allo Scarano piacque chiamar « cinemato-
grafìa degli spettacoli ridenti e splendenti », ma gli consigliava la
misura e la sobrietà nel tratteggiare ciò che, pur collegandosi a
quel dramma, non avesse che officio di sfondo da cui si dovevano
staccar vive ie figure di Gertrude e del padre tra fasci di luce ri-
verberati dalla concezione morale di quell'intima storia di sopraf-
fazione e di dolore.
Eliminare ciò che non sia strettamente necessario a lumeggiar le
situazioni, condensarle in pochi tratti salienti con vigorosa sobrietà
espressiva, riordinare in modo più logico i lineamenti psicologici e
morali de' caratteri in azione sono i procedimenti che avvertiamo
di cbntinuo nel lavorìo di ricomposizione e di raffinamento dell'e-
pisodio monzasco.
Il discorso del principe alla figlia poco prima di condurla a far
la richiesta al monastero è condotto nell'ultima redazione con più
tatto e con più vivo eccitamento dell'orgoglio nobilesco; la scena
stessa si svolge in un tempo più rapido che non fosse nella minuta
e ha un colore e un vigor nuovo che le imprime una svelta e fosca
drammaticità. Il padre parla con un tono di fierezza, di mal con-
tenuto comando e di mal coperta minaccia, con lucida e concisa
energia suggestiva. Che fa, che dice Gertrude? Nulla: ascolta, do-
minata da quella voce e da quello sguardo, irrigidita dallo sforzo"
interno dell'anima turbata. Non una frase, non una parola a ritrarne
l'aspetto in quell'amara vigilia, a farne lampeggiare dal volto l'af-
fanno interiore.
Kiservate all'ultimo le parole della vanità e dell'orgoglio: «fate
vedere di che sangue uscite: manierosa, modesta; ma ricordatevi
che in quel luogo, fuor della famiglia, non ci sarà nessuno sopra
di voi », non succede nessun atto o moto di sospensione o d'attesa
che complichi la situazione: « Senza aspettar risposta il principe
si mosse; Gertrude, la principessa e il principinolo seguirono; sce-
sero tutti le scale e montarono in carrozza». La concisione poetica
di questa scena genera un'intensità drammatica di grande efficacia:
non v'ha forse altro luogo dell'episodio in cui il Manzoni con singo-
lare sobrietà di mezzi ne risvegli con sì potente evidenza fantastica
il tragico senso : quell'immediata, brusca, imperiosa mossa del prin-
cipe, seguito sommessamente dagli altri, dopo le ultime altere pa-
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 315
role, è un colpo da gran maestro: vi senti il carattere dell'uomo,
la sommissione della sua vittima e delle sue ombre, l'arida cupezza
di quelle grandi case patrizie. Che è quel silenzio rigido di Gertrude?
È la maschera del suo dolore. C'è in poesia il silenzioso, il sotto-
inteso, l'inespresso, che ha talvolta l'eloquenza illuminatrice del-
l'arte pili calda e colorita: il Manzoni ne ha di tali momenti divini,
in cui l'arte che tutto fa nulla si scopre : questo è uno.
Nella prima stesura non aveva avuta la felice intuizione della
drammatica profondità di quella scena. Vedete: perfino le circo-
stanze, i toni iniziali ne impedivano la visione vera e forte. Men-
tre ora leggiamo: « Quando vennero ad avvertir ch'era attaccato, il
principe tirò la figlia in disparte e le disse: «orsù, Gertrude... »,
prima era detto: « Preso il fatai cioccolatte, il Marchese si alzò,
pigliò Gertrude in disparte e con aria di consiglio amorevole le
disse: « Orsù, figlia mia... ». È mutamento questo di gradazione,
ma d'effetto mirabile: quel pigliarsi in disparte con fare risoluto
ed impassibile la figlia proprio quando si annunzia che la carrozza
è pronta, conferisce alla scena un non so che di vibrato e di pau-
roso, che mozza il respiro e dà risalto alla diabolica arte di non
lasciar tempo e mezzo alla poveretta di liberamente pensare, deli-
berare e agire.
Tra quell'atto e l'impronto avviarsi del principe « senza aspettar
risposta » non risuonano che le sollecitanti parole di lui, chiudendo
come in un vortice l' anima muta di Gertrude : il drammatico svol-
gimento non potrebbe avere maggiore rapidità. Quest'impressione
non faceva la minuta, dove l' avviso dato da un servo che il « coc-
chio era pronto » veniva dopo il discorsetto del padre e, insieme con un
« via, via », detto da costui alla figlia commossa, la costringeva « a farsi
forza e a ricomporsi». Codesto circostanziar fiaccamente l'azione
ne scemava il vigore drammatico ; quell' « aria di consiglio amore-
vole » e quell'ostentato « figlia mia » colorivano, se vogliamo, di
perfida ipocrisia la figura dell' interlocutore, ma rallentavano l'effetto
di fosca imperiosità, che pur andava cercando il poeta.
L'inerire, poi, nel discorso un tratto a forma indiretta (« E qui
le diede le istruzioni su quello che doveva fare e dire ») e il farle
€ ripetere la formola della domanda » e quel volgare « Benissimo,
a meraviglia » che il tiranno pronuncia con un' ilarità da commedia,
r intonazione del discorsetto, in cui scoppietta Io spirito di una volgare
e garrula intimidazione, immiserivano la scena, ne dissipavano
l'ideale unità, soffocavano con la fastidiosa superfiuità delle parole
la gran luce sinistra che dalla parlata continuata, piena, solenne.
316 PARTE TERZA
tagliente del rifacimento divampa ed avvolge la figlia muta ed im-
mobile. La quale, per contro, movevasi, da prima, a ripetere mec-
canicamente la formula imboccatale; poi la vedevamo commoversi
(« Ella arrossò, non rispose nulla, chinò il capo, gli occhi le si gon-
fiarono ») e, con grande sforzo, ricomporsi e da ultimo, nello scen-
der le scale, esser « servita da un bracciere ». La scena volgeva al
patetico; il dramma tra la garrulità acre del padre e i lucciconi
mal contenuti della figlia precipitava nella commedia lagrimosa;
l'accessorio, il caratteristico, l'analitico, perfino quella preziosità del
bracciere di colore storico, disperdevano la solennità sinistra di
quella vigilia fatale, ne snervavano il semplice e profondo signifi-
cato morale, ne sciupavano il valore poetico.
A tramutare lo spirito della scena, a renderla altamente dram-
matica e profondamente poetica, valse lasciar nell'ombra del suo
muto dolore la fanciulla e raccoglier tutta la luce suU' uomo altero,
dando a lui unicamente voce e moto : spettacolo di grandeggiante
energia sopraflfatrice, da cui, assai più spiccatamente che dai dipinti
turbamenti del primo disegno, si riflette nel grigiore diff'uso dello
sfondo il segreto tormentìo dell' adolescente oppressa.
Così quest'atteggiamento di concentrata e muta angoscia, che
s' indovina più che non si veda, rende con maggior coeren>.a e
profondità che non fosse ne' particolari patetici e discorsivi della
minuta. Li situazione psicologica di quel terribile momento del
dramma.
*
* *
V. Con lo studio dell' episodio della richiesta, che si svolge nel
monastero davanti la madre badessa e alle monache radunate per
la solenne cerimonia, rivolgerò l'indagine, che mi sono proposto di
condurre intorno la formazione del carattere di Gertrude, a consi-
derare per quali prove e sforzi vittoriosi 1' autore è venuto matu-
randone l'idealizzazione psicologica, l'elevazione poetica.
Il principe e Gertrude con la madre e il fratello entrano in Mon-
za; si giunge alla porta del monastero; si smonta e si trapassa fino
a quella del chiostro interno; qui file di monache acclamano * in
segno d'accoglienza e di gioia >, e Gertrude si trova « a viso a
viso con la madre badessa, », alla cui richiesta risponde: «Son qui...» ;
poi, esita alquanto, infine prosegue a dire tutta la formula della ri-
sposta.
È questo uno de' momenti più drammatici del racconto : sotto
quelle parvenze di festa e tenerezza giuliva, ossequiente e rumorosa
7
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 317
si matura il destino doloroso d'una giovinezza ingannata ed oppressa..
Come vide il Manzoni questa situazione nella foga della prima crea-
zione? Gli lampeggiò nella fantasia sin dal primo momento, in una
naturai forma severa e decorosamente composta, il tragico giuoco
di quella scena, dove la debolezza della vergogna, la violenza del-
l'arbitrio, la complicità dell' ossequio gareggiano a nascondersi e a
ingannarsi a vicenda? La minuta rivela il tentativo, lo sforzo di
raggiungere la figurazione perfetta dell'idea, ma si sente che ne
conturbano la serena chiarezza e la composta gravità elementi di-
versi, non ancora consumati nell' elaborazione fantastica della sce-
na: e cioè quel logicismo analitico, che è un abito spiccatissimo
della mentalità manzoniana, frenato, attenuato, ma tuttavia evidente
anche nella forma profondamente rinnovata del romanzo ; quella
appassionatezza per la materia rappresentata che scopre il disac-
cordo, non ancor superato, tra l'ispirazione romantica e l'espres-
sione classica: quella tendenza, razionalistica e moralistica insieme,
che aduggia il carattere lirico del gran quadro con immagini di
studiata comicità e con riflessioni ritardatrici e fuorvianti; quel pro-
posito, infine, di colorire 1' indole e i costumi de' tempi con figure,
aneddoti e atteggiamenti di storica ispirazione.
La commozione di Gertrude nell'entrare in Monza, nell 'avvicinarsi
al monastero, nell' avviarsi fino alla porta del chiostro interno dove
l'aspettava la badessa con le suore, era piuttosto scrutata e analiz-
zata che poeticamente espressa, e la folla di curiosi si disponeva
attorno alla vittima, senza colore, senza vita. Una sola nota affettuosa:
« All' entrare nel borgo, al vedere la porta de) chiostro Geltrude
si sentì stringere il cuore, ma gli occhi della famiglia erano sopra
di lei » ; poi nulla che esprimesse la trepidazione crescente e lo
sforzo di contenerla. « Guardando alla porta, la vide già piena di
curiosi »: una notazione, messa là come quell'altra: « il cocchio si
fermò », a servizio della materiale enumerazione de' fatti, senza
commozione fantastica. Che sentiva, che faceva in quel momento
Gertrude? Ecco tutto: < lo studio di non far nulla di sconvenevole
la occupava tanto ch'ella scese, e s'avviò quasi senza altro pensiero ».
Vorrebbero queste parole dipingere l'apprensione di quel momento,
ma non danno che l' impressione di un particolare informativo : ed
esse e le precedenti, accennanti al luogo e ai curiosi, non sono che
aridi elementi logici analitici e discontinui : e' è la costruzione delle
idee, non l'anima, non la luce dell'arte (*). Vedete ora nell'ultima
(1) Sp. prora., p. 208.
318 PARTE TERZA
forma corretta del medesimo passo, come quello stringimento al cuore
perduri e cresca via via che la poveretta s' avvicina al punto de-
■cisivo ; come quel fermarsi della carrozza, quelle mura, quella porta
si avvivino di trista luce nel cuore dolorante della vittima ; come
quella curiosità abbia senso e vita negli occhi della folla assediante
e operi — quasi nuova tiranna — sul contegno della poveretta, ma
<ìome s'aggiunga un nuovo e più pesante motivo di suggestione,
cioè quello sguardo fiero, grave, energico del padre; come infine
tutte le parti della scena si svolgano con lucida sobrietà e trovino
armonicamente ciascuna il proprio posto e concorrano con sapiente
processo interativo alla significazione umana, ail' unità estetica di
quel prologo così denso di terrore e d' impostura (').
Gertrude è giunta al punto del colloquio. Che diceva la minuta?
« Geltrude, come incantata, giunse in faccia a tanto teatro, condotta
ed animata dai parenti e si fermò nel bel mezzo davanti alla madre
badessa » (^). Incantata ! e anche nella terribile perplessità della ri-
sposta avrebbe guardata « come incantata la badessa e la folla che
la circondava >. Espressione di folle sbalordimento, che segnava
d'un' impronta spettrale quel volto, quello sguardo, ne irrigidiva la
persona in automa; così come queir essere « condotta ed animata
dai parenti » — se non era una superfluità di dettaglio — ribadiva
la medesima impressione. La situazione si coloriva d'una tinta di
romanzesco, cui aggiungeva vivezza il contrasto col carattere di
teatralità che assumeva quella folla aspettante. Secco, conciso, com-
posto, senza coloriture o commenti, il tratto nuovo non dice che
questo : « Giunsero alla porta; Gertrude si trovò a viso a viso con
la madre badessa » (^) ; ma quanto più vigoroso e significativo nel
•drammatico svolgimento della scena ! Quel « si trovò viso a viso »
-condensa la tragicità irrevocabile del destino che si compie e segna
(1) « All'entrare in Monza Gertrude si sentì stringere il cuore; ma la sua attenzione
fu attirata per un istante da non so quali signori che, fatta fermare la carrozza, re-
•citarono non so qual complimento. Ripreso il cammino, s'andò quasi di passo al mo-
nastero, tra gli sguardi de' curiosi che accorrevano da tutte le parti sulla strada. Al
fermarsi della carrozza, davanti a quelle mura, davanti a quella porta, il cuore si
strinse ancor più a Gertrude. Si smontò tra due ale di popolo, che i servitori facevano
stare indietro. Tutti quegli occhi addosso alla poveretta l'obbligavano a studiar con-
tinuamente il suo contegno: ma più di tutti quelli insieme, la tenevano in soggezione
i due del padre, a' quali essa, quantunque ne avesse così gran paura, non poteva
lasciar di rivolgere i suoi, ogni momento. E quegli occhi governavano le sue mosse
e il suo volto, come per mezzo di redini invisibili » {Prom. sp., cap. X, p. 148).
(2) Sp. prom., p. 209.
(3) Prom. sp., cap. X, 149.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 319
potentemente la iniziale battuta di quella silenziosa contesa a due,
ammantata di simulata premura.
La badessa rivolgeva a Gertrude il discorso « nel modo con cui
si fa per formalità una domanda, della quale è certa la risposta ».
Così nella minuta: c'era il pensiero indistinto che cercava una sua
forma fantastica, non l' immagine, la riflessione logica, non la linea
luminosa dell'ipocrita figura. Il poeta l'ha riguardata e, con impeto
d'estro nuovo, ce l'ha scolpita in quell'atteggiamento « tra il giu-
livo e il solenne ». Gertrude comincia a dire la formula, inculcatale
dal padre: è un momento, in cui la difficoltà massima dell'artista
è quella di conciliare con la necessaria rapidità del descrivere la
complessità della situazione, in cui vengono in conflitto nell'animo
di Gertrude lo sforzo del piangere, la coscienza della gravità delle
sue parole, l'orgoglio, l'orrore del chiostro, la paura del padre. Eb-
bene, nel primo disegno il poeta non era riuscito a superare questa
prova, facendogli impaccio le abitudini logiche del suo pensiero, il
gusto del psicologismo analitico, l'impulso, piuttosto romantico, a
scrutare (che non era poi necessario) tutte le interne fluttuazioni e
tumultuose riflessioni del suo personaggio. S'abbandonava ad un
fraseggiar superfluo nelle motivazioni della istantanea perplessità,
a dire che in quel momento « ella doveva manifestare con certezza
un desiderio ch'era tutt' altro che certo nel suo cuore »; che «ri-
fletteva un istante». Procedeva minuto e grave nel ritrar hi nota
compagna, anzi le note compagne : « Così guatando, ella vide distin-
tamente alcune delle sue compagne, e sulla parte che appariva di
quelle faccette e piti agli occhi un'espressione mista di malizia e
di compassione, che diceva chiaramente : « Ah, e' è incappata la
brava!». Determinava gli effetti di quella vista con la descrizione
di sentimenti troppo noti, perchè non si dovesse lasciarli indovinare
alla fantasia integratrice di chi legge: « Questa vista le risvegliò
in cuore tutta 1' avversione al chiostro, l'orrore per la violenza che
l'era fatta, e con questi sentimenti un lampo di coraggio» Qui un'
altra riflessioncella, intrusa per quella solita afifezion logica del nostro
autore, e uno spezzamento sintattico infiacchivano la rappresenta-
zione nel punto catastrofico della scena : « E già ella stava cercando
una risposta diversa da quella che si aspettava da lei, cosa troppo
difficile a trovarsi in quella circostanza. Alzò un momento gli occhi
verso il padre che le stava al fianco per indovinare che effetto a-
vrebbe prodotto la sua resistenza e come per sperimentare le pro-
prie forze, ma vide negli sguardi del Marchese una espressione sì
320 PARTE TERZA
minacciosa che tutto il suo coraggio svanì » (^), Continuava il Man-
zoni l'analisi psicologica con un lungo tratto, di cui non rimase
neppur l'ombra nel romanzo e in luogo del quale vedremo, invece,
una pennellata nuova, di ben altro valore : « Pensò che la resistenza,
che il ritardo, l' avrebbero resa innanzi a tanti occhi un oggetto di
scandalo, di stupore e di derisione; pensò al padre, al fratello, al mon-
do, al paggio ; si consolò, riflettendo che dopo quella formalità le ri-
rimaneva ancora una porta aperta per tornare indietro, che poteva
guadagnar tempo, e che avrebbe saputo approfittarne, e il partito,
il più facile, il piti sicuro, il meno terribile le parve di dire, come
fece : « Son qui a domandare d'essere ammessa a vestir l'abito » (^).
È verosimile codesto dibattito dell'animo di Gertrude? codesto in-
terno discutere il prò e il contro della propria situazione, codesta
consolante conclusione cui arriva? Non c'è da meravigliarsi di que-
sto — diremo con lo stesso Manzoni — guazzabuglio del cuore u-
mano ; e s' intende che nella prima concezione o stesura dell' epi-
sodio di Monza, avendo affisato sul carattere di Gertrude piti lo
sguardo scrutatore del psicologo, che non quello intuitivo, luminoso
e sereno del poeta, fosse portato all' analisi realistica, sottile e ab-
bondevole de' fatti interni anziché valesse a comprendere e fissare
con potenza sintetica e immediatezza e concretezza efficace un a-
spetto eterno dell'animo umano, una di quelle verità profonde che
solo l'energia idealizzatrice dell'arte, inalzata al grado di contem-
plazione, può trarre a forma immortale di su la molteplice realtà
della vita.
Ma l'autore, allettato dal psicologismo, sciupò una situazione poetica
che gli offriva da sé stessa la risoluzione semplice e profonda in
quello che è l' incessante motivo irresistibile nelle rovinose vicende
giovanili del suo personaggio, la paura del padre. Eppure quel mo-
tivo r aveva scorto, ne aveva sentito la portata agli effetti del dramma,
se scrisse che gli sguardi minacciosi del Marchese fecero svanire
« tutto il coraggio » rinato nell'animo della poveretta; se non che,
lungi dal dare ad esso pienezza di svolgimento psicologico e dram-
matico, l'aveva ravvolto nel turbine d'altre affezioni e — quel che
è peggio — ne aveva fatto un fascio col timore del fratello, col-
l'apprensione del mondo, con la vergogna del paggio.
Ora si veda l'intero passo nell'ultima redazione: « Son qui..., »
cominciò Gertrude ; ma, al punto di proferir le parole che dovevano
(1) Sp. prom., pp. 209-10.
(2) Prom. sp., loc. cit.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 321
decidere quasi irrevocabilmente del suo destino, esitò un momento
e rimase con gli occhi fissi sulla folla che le stava davanti. Vide,
in quel momento, una di quelle sue note compagne, che la guardava
con un'aria di compassione e di malizia insieme, e pareva che di-
cesse: Ah! la c'è cascata la brava. Quella vista, risvegliando più
vivi nell'animo suo tutti gli antichi sentimenti, le restituì anche un
po' di quel poco antico coraggio : e già stava cercando una ri-
sposta qualunque, diversa da quella che le era stata dettata ; quan-
do, alzato lo sguardo alla faccia del padre, quasi per esperimentar
le sue forze, scorse su quella un'inquietudine così cupa, un'impa-
zienza così minaccevole, che, risoluta per paura, con la stessa pron-
tezza che avrebbe preso la fuga dinanzi un oggetto terribile,
proseguì: « sou qui a chiedere d'esser ammessa a vestir 1' abito
religioso, in questo monastero, dove sono stata allevata così amo-
revolmente ». Il Manzoni — rimeditando la scena — ne intuì la
verità semplice e grande, da prima confusamente intraveduta : vide
la disarmata volontà di Gertrude, tutta dominata dalla potenza sug-
gestiva e minacciosa di quello sguardo, di quel volto ; vide che in
quello stato non poteva ella seguire una risoluzione che non fosse
fomentata unicamente dalla paura del suo giudice e condannatore.
Ed ecco la narrazione mutarsi nel disegno, nella forma, animarsi
di una nuova spiritualità: ecco grandeggiar la figura del principe di
fronte alla povera anima esitante : ecco tutto il groviglio psicologico
del primo getto diradarsi, sciogliersi nella semplice e intera figura-
zione del terrore di quella faccia cupa, inquieta, minacciosa. La psi-
cologia — per chi voglia cercarla — e' è, ma si ravvolge alle radici
del dramma; il dramma s'aderge agile, semplice, conciso nel suo
svolgimento perspicuo, nel suo significato universalmente umano:
è il dramma dei deboli a cui non splende il conforto della luce
morale e tocca l' ineluttabile destino dell '.oppressione e della scon-
fitta. Che il Manzoni mirasse a dare vivo spicco al trionfo di quel-
l'egoismo paterno, armato d'arbitrio e di terrore, è manifesto anche
dal modo come ha elaborato l' intero passo, sfrondandolo d'elementi
concettosi, scegliendo con nuovo rilievo le immagini, serrando la
sintassi. (Quella vista le restituì... e già stava cercando una risposta...
quando... scorse...) nel momento saliente, così da; riprodurre con
l'icastica rapidità del racconto la breve vicenda de' sentimenti so-
praffatti dall'impetuosa paura.
Lo spirito fine e gagliardo, la decorosa gravità, onde s'è ricom-
posto r episodio nella parte fin qui esaminata, hanno rinnovato il
resto in modo anche più sostanziale. Già la figura di Gertrude, ri-
Busetto — 21
322 PARTE TERZA
dotta l'analisi de' sentimenti all'essenziale, dato rilievo più risentito
e sicuro alla contrapposta figura del padre, dal cui sguardo dipen-
deva ogni moto, ogni atto di lei, risulta in linee più semplici e vi-
gorose, in un atteggiamento di più profondo e raccolto dolore, che
ne rivela tutta la fragile umanità di creatura debole ed oppressa.
C'era un non so che di sforzato, d'inquieto, di complicato nel pri-
mitivo disegno di questa poveretta, costretta a chiedere in un con-
sesso ostentatamente solenne e festoso il suo sacrifizio; ora, nell'ul-
tima forma, la figurazione estetica del suo contegno, la risoluzione
drammatica della sua disfatta sono più conformi alla gravità della
situazione psicologica, che per ciò stesso s' illumina d'una più nobile
luce di poesia.
Dopo le fatali parole pronunciate sotto la pressione della paura
Gertrude si perde nella folla festeggiante ; poi non la vediamo se non
di sfuggita, o invitata] a sceglier per prima de' dolci da una gran
guantiera colma o presa dalle monache che fanno a rubarsela, men-
tre la scena si svolge frettolosamente jverso la fine, con la risposta
garbatamente diplomatica che dà subito la badessa, con l'alzarsi,
dopo le parole di lei, d'un frastuono confuso di congratulazioni e
d'acclamazioni, col complimentar che fan le monache, talune la
madre, altre il principino, col breve colloquio — capolavoro d' ipo-
crisia e di furbizia — al parlatorio tra la badessa e il padre, con
gl'inchini, gli ultimi complimenti, la partenza: e tutto ciò è se-
gnato con nitidezza di sguardo, con sveltezza di tocchi. La minuta
aveva tutt' altro andamento e tono : garrula, scherzosa, con intromessi
commenti e richiami ingombranti, rivelava un non so qual buon
umore dell' artista (*), come se gli piacesse mischiarsi col suo sor-
riso ironico a quella folla dalle facce impiastricciate di dolciastra
impostura,, e presentava di frequente Gertrude sballottata come una
(1) Nel dire che alcune educande « s'eran trovate un cantuccio per vedere an-
ch'esse qualche cosa », osservava ridendo: « il che era in verità troppo giusto » (p. 209).
Ci presentava la badessa « tutta sorridente» nel porgere a memoria la risposta « che
le era stata data in iscritto da un beli' ingegno di Monza, uomo dotto, che aveva letto
i celebri romanzi del Pasta» (p. 210). Le suora per l'acclamato discorso della supe-
riora « sorrisero di compiacenza » — raccontava l'autore con mal celata canzonatura —
e aggiungeva con serietà ironica: « e non a torto, perchè la gloria del capo si diffonde
sugli inferiori » (p. 211). Comici quella Marchesa, quel Marchesino e quelle suore che
in crocchio «s'abbandonavano alle varie riflessioni che può far nascere un bacile di
dolci» (p. 213); il che, insieme con la secentesca discorsa della badessa, serviva, nel-
l'intenzione dell'autore, alla coloritura satirica del concettismo letterario del secolo.
Di tono grossolanamente scherzoso era quell'inizio nella descrizione de' sentimenti di
Gertrude: « V'ha due modi di scendere il pendìo della sventura: l'uno è di capitom-
bolare ad un tratto nel precipizio, l'altro d'andarvi come saltelloni a più riprese; in
questo secondo caso, ogni fermata è una specie di riposo... » (p. 211).
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 323
pupattola e assediata di chiacchiere e di complimenti ('). Era un
tramestìo di piccole cose frivole, che voleva riprodurre lo spirito e
il costume della società claustrale di quei tempi {^), ma che non
aveva nemmeno la chiara vivacità d' una commedia goldoniana e
in cui, per contro, andava dissipato lo spirito tragico di tutta la
scena, troppo alto e universale per esser costretto entro la cornice
d'un quadretto secentistico. Come finiva? Ecco: « Geltrude colle
tenere espressioni della badessa, con le istanze delle suore di venir
presto, fu rimessa in cocchio più stordita, più incerta, più sopra pen-
siero di quello che fosse partita la mattina, ma con un anello di
più alla catena; e che anello! » (^).
È fermata con chiarezza di sguardo e coerenza rappresentativa
la situazione vera di Gertrude? No: codesta confusione dell'animo,
espressa con modi di stile troppo pesi e aggrovigliati, discordava
dai sentimenti provati poco prima, da quel « certo sollievo d'essere
uscita di quella stretta, comunque ne fosse uscita >, dal proposito
« di volere, prima di fare un altro passo, meditar ben bene se le con-
veniva o no di progredire e di non lasciarsi cogliere così alla sprov-
veduta » {*).
Era pur questo un modo strano — se non addirittura falso — di
rappresentare la sacrificata giovinetta in tale stato d'idee e di sen-
(1) Sp. prom., p. 213.
(2) V. la tiritera, con 1' intrusione, perfino, d' un elemento autobiografico, sui dolci
offerti, la cui fabbricazione — secondo gli ordini ecclesiastici — era proibita (pp. 212-3).
Diamo solo un saggio del discorso, secentisticamente artificioso, della badessa: «Se
il rispetto non ponesse un freno agli afi'etti, io accuserei in questa circostatiza di
troppo rigore quelle regole sapientissime che ci proibiscono di dare alcuna risposta
a domande di questa natura, prima di averne ottenuta licenza. Bensì, senza riguardi,
accuseremo il tempo che coi suoi lenti passi ci ritarda di dare questa risposta desi-
derosa non meno che desiderata ecc. ecc. » (pp. 210-11). La risposta della Superiora,
ne' Promessi sposi, ridotta in forma indiretta, non serve più al fine d'offrire un esem-
pio ridicolo di letteratura concettosa e ampollosa e una macchietta, più buffa che gu-
stosa, della vita del secolo, ma nella sua garbata e insinuante compostezza, colpisce
un carattere, fissa un tipo: nelle sobrie, ma studiate parole, ne' brevi atti, in cui il
poeta ci ripresenta la badessa spogliata d'ogni trivialità ridanciana, risalta il tratto
vivo di un'astuzia guardinga nell'apparenza, ma ossequiente nel fatto, che ne fa una
figura meno storica che non fosse nel primo getto, ma più ricca di trista umanità e
di verità poetica.
(3) Sp. prom., p. 213.
(4) Sp. prom., pp. 211-2. Questa breve analisi dell'animo di Gertrude non è andata
interamente perduta ; ma più opportunamente il poeta l' ha trasferita nella narrazione —
anch'essa più spedita e sciolta da taluni mediocri particolari comici della minuta
(Sp. proni., pp. 215-6) — del ritorno alla casa, riducendola a linee più raccolte e più
temperate, ma con più penetrante investigazione del singolare stato di Gertrude che,
« spaventata del passo » fatto, « vergognosa della sua dappocaggine, indispettita contro
gli altri e contro se stessa, faceva tristamente il conto dell'occasioni, che le rimane-
vano ancora di dir di no; e prometteva debolmente e confusamente a se stessa che.
324 PARTE TERZA
timentì che non pare fosse d' abbattimento, ma, una volta posta
sotto eodesta luce, era superfluo, anzi contraddittorio rappresentarla
poi diversamente. Gli è che il Manzoni non aveva ancora maturata
con sicuro vigore di visione e d' espressione la forma fantastica del
suo personaggio nella situazione descritta, perchè l'idea di esso,
ancora avvolta di elementi astratti, quali sono il psicologismo mi-
nuto e le riflessioni a mo' di commento, non erasi sostanziata in
un chiaro e puro sentimento d' ispirazione o motivo sentimentale,
che si trasfigurasse nel concreto ordito della situazione e nella con-
creta fisionomia del personaggio in azione.
Ogni creatura dell' arte non è che la forma fantastica che assume
uno stato, un motivo interiore del poeta: ricercare la genesi artistica
di un carattere, d' un' azione, d' una scena, d' un episodio vuol dire
risolverla ne' motivi sentimentali in cui si sono come trasfusi
stati intimi, etici, intellettuali, aff'ettivi, e via dicendo, dell'autore
stesso. Il Manzoni come rivide, rielaborando la scena che veniamo
esaminando, la situazione generale e gli atteggiamenti particolari
di Gertrude con un'attitudine più triste e pietosa verso la vittima
dell'altrui nequizia, con un concetto più limpido e fermo della pau-
rosa suggestione del padre, risentì del suo personaggio un'ispira-
zione sentimentale conforme alla nuova concezione e ne trasse mo-
tivo a rinnovarne fantasticamente le fattezze e l'azione.
Così si spiega perchè di Gertrude, dopo la richiesta, che suggella
il suo destino, non dica quasi più nulla, e del móndo circostante
tracci, a grandi linee, con tono sobrio e severo, figure e azioni, at-
tenuando negli svelti contorni d'una composta, ossequiente ipocrisia
quella madre badessa del primitivo disegno, così goffamente comica
nell'ampollosa parlata, così grossolanamente garrula e faccendona,
respingendo nello sfondo del quadro quel brulichio di suore rumo-
rose e chiacchierone che appesantiva la scena, purgando questa di
ogni elemento pedestre o giocoso, tagliando via tutto il frascame
di frasi superflue che adugglava il poetico significato di quel con-
vegno fatale. Per tal modo Gertrude resta, per dir così, fermata
immutabilmente nella nostra umanità in quel suo atteggiamento
d'angoscia e di paura, dissimulate nell' espresse parole ; e la scena,
ond'ella risalta, per essere stato ricomposta in linee e luci più mi-
in questa o in quella, o in quell'altra, sarebbe più destra e più forte»; turbata an-
cora, però, dal « terrore di quel cipiglio del padre »; «per un istante, tutta contenta»,
come di una bella cosa, quando non scorse « sul volto di lui più alcun vestigio di
collera » (Prom. Sp., cap. X, pp. 150-1).
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 325
fiurate e decorose armonizza efficacemente con la situazione psico-
logica del personaggio.
Dobbiamo soffermarci un momento su una modificazione d'intrec-
cio — l'unica in tutto l'episodio di Monza — che consiste nell'avere
il Manzoni trasportato l'esame del vicario immediatamente dopo la
richiesta fatta al monastero e dopo la scelta della madrina^ mentre
nella minuta esso seguiva al giro d' addio dato ai beni mondani.
Parve logico connettere quell'esame con la richiesta senza intermis-
sione di tempo e come una conseguenza immediata di quella (*),
e parve altresì cosa opportuna nell'ordine psicologico e drammatico
del racconto. Infatti quella postrema rassegna delle belle cose del mon-
do, fatta che fosse prima dell'esame, potrebbe significare come una
prova del fuoco per sperimentar la vocazione, la sicurezza dell' a-
nima, per chiarirsi il proprio vero stato di coscienza. Ed era lecito
presumere anche questo dalla prima stesura, tanto era essa incerta
e imprecisa — a differenza della nuova redazione — circa il tempo
regolare dell' esame (^) e la ragione vera di quel giro in mezzo al
mondo (^) da farsi prima del noviziato. Ma siccome, nel fatto, l'in-
terrogatorio sulla vocazione era collegato col capitolo da tenersi, al
quale l'esaminatore doveva rilasciar « l'attestazione necessaria» {*)
e quel po' di vita tra spettacoli e divertimenti doveva servire per
le giovani monacande a veder « bene a cosa davano un calcio »
ed era, se mai, l'ultimo esperimento di una vocazione, già manife-
sta, « prima di proferire un voto irrevocabile » (^), 1' una cosa non
aveva relazione con l'altra ; il che nella minuta non era chiaro, anzi
per la precedenza data all'esame poteva far pensare che una rela-
zione ci fosse. Così anche questo mutamento d'intreccio rafibrza la
logica degli avvenimenti, rende perspicua la ragion loro, contribui-
sce altresì alla coerenza psicologica e all' evidenza fantastica della
situazione e de' sentimenti. Per quest'ultimo rispetto, infatti, quegli
spettacoli e divertimenti e quell'impressioni dolorose di Gertrude a
tocchi vigorosi descritte, hanno un risalto nuovo nella piena inte-
grità del dramma, per esser collocati cosi nell' estremo della dolo-
rosa storia, poco prima della vestizione dell'abito, e la figura stessa
(1) Dice infatti il principe di ritorno dal monastero: «domani vei'rà il vicario
delle monache, per la formalità dell'esame, e subito dopo, Gertrude verrà proposta
in capitolo » p. 151).
(2) Cfr. n. preced. e Sp. proni., p. 219.
(3) Sp. proni., p. 216.
(4) Proin. sp., cap. X, p. 155.
(5) Ibid., p. 151.
326 PARTE TERZA
della povera sposina, colta dalla nostra fantasia in quel triste trapassa
dalla pompa, dallo splendore, dal brulichio clamoroso e gioconda
del bel mondo all'ombra fredda e morta del chiostro, spira una tal
quale mestizia inquieta e stanca che la rende più altamente poetica.
Nel colloquio stesso di Gertrude col vicario e ne' discorsi in cui
poco prima la trattiene il padre si osservano variazioni notevoli tra
la minuta e il romanzo rispetto alla dipintura del carattere di lei ;
alle quali, quantunque non si tratti di sostanziali differenze, con-
viene porre un po' di attenzione, perché il Manzoni nel rivedere le
situazioni e le scene più rilevanti del lungo episodio non ha trala-
sciato occasione per elevare la figura morale della sua dolorosa
eroina con uno spirito di pietà più profonda e pensosa, con un vi-
gore d'analisi più raccolto ed intenso. Costante processo di quella
idealizzazione della realtà, attraverso cui ha trasformato l' opera
uscita dal primo getto, imprimendole il suggello della verità eterna,
che è il segno della grando poesia. Fra le molte parole d'ammoni-
mento e d' incitamento del padre, e' era nella minuta qualche ac-
cento di solenne orgoglio e di misteriosa minaccia (*), che non
poteva non sconvolger l'animo della misera ascoltatrice ; della quale
il Manzoni indugiava a descriver l'apprensione, l'angoscia: « la
gragnuola assidua e crescente di quelle parole minacciose, perco-
tendola la abbattè affatto e la fé' sciogliere in uno scoppio di pian-
to » ; dopo molte altre parole, dette in fretta per confortarla, per
rasserenarla, ma troppo vane e grossolane per toglierla da quella
« agitazione », ella, rimasta sola, « pianse amaramente, si sdegnò,
volle meditare su quello che aveva a dire ; ma questa meditazione
era così piena di dolori, d'incertezze e d'angustie, che la poveretta
prescelse di divertirne a forza il pensiero, di rivolgerlo a qualche
cosa di estraneo, e di aspettare il consiglio dalla cosa stessa e dal
momento » (^).
Si preoccupava poi, la disgraziata, di presentarsi all'esaminatore
« in un aspetto che annunziasse una qualche perturbazione e risol-
(1) Sono tratti che non si leggono più nel romanzo: «Oggi voi dovete fare un
gran passo: pensate che da esso dipende l'onore di vostro padre, della famiglia, il
vostro, e il vostro destino di tutta la vita » — « Io mi sono impegnato, in faccia al
mondo, e mi sono impegnato perchè voi mi avete dato motivo di credere, di esser
certo che poteva impegnarmi senza rischio di avere una smentita» — «Astretto di
appigliarmi al secondo [partito, di svelare i veri motivi della richiesta che voi avete
fatta, e del vostro pentimento], dovrei anche poi trattarvi come una figlia colpevole,
che avrebbe corrisposto al primo perdono con un'altra gravissima colpa » (Sp. proni.,
p. 220).
(2) Sp. prom., p. 221.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 327
vette di avere un aspetto tranquillo e decente; e lo ebbe, — aggiun-
geva pedestramente l'autore — in brevissimo tempo ». Se non che
all'annunzio « Il Signor...! », Gertrude tornava ad apparir « ver-
gognosa e agitata», tanto che il « buon uomo », che si spiegava
quelle perturbazioni in modo favorevole alle sue presunzioni, le co-
minciava a dire con fare scherzevole: « Signorina, vedo che le fo
paura » , ed ella alla fine si sentiva « rincorata dalle parole e dal
tono » del suo interlocutore. Dai rifacimenti la figura di Gertrude
uscì lineata con piìi disciplina d'arte e impressa di una tristezza
più decorosa e raccolta : non ne vediamo l' interna angoscia dai segni
esteriori, se non quando, alle gravi parole del padre: « o svelare il
vero motivo della vostra risoluzione », dice il poeta che « era di-
ventata scarlatta » che « le si gonfiavan gli occhi e il viso si con-
traeva, come le foglie di un fiore nell'afa che precede la burrasca »;
non le scorgiamo nel volto altri moti alle parole più serene del
padre; non lacrime, non sussulti di sdegno, non agitazione e ver-
gogna neir aspetto all'annunzio del vicario. Il poeta, per queir in-
tima energia illuminatrice e disciplinatrice, ritrovata nella calma
della contemplazione, che gli valse a ricreare e a rifoggiare materia
e forma del primo getto trasfigurando in classiche rappresentazioni
anche le più genuine ispirazioni romantiche dell'opera sua, ha, dirò
così, ritratta la sua visione poetica dai sensi all'anima, dalle este-
riorità patetiche all'intimità dolente e silenziosa; ha sostituito al-
l' ostentata analisi particolareggiata delle commozioni varie il tratto
sobrio, fugace, ma bastevole a illuminare l'immenso affanno di un
cuore, il sapiente uso del chiaroscuro e di quelle che direi riverbe-
razioni poetiche, che, riflettendosi dalla situazione stessa, dagli at-
teggiamenti e dalle parole di un personaggio, profilano di una luce
ferma e chiara la figura dell' altro. Magistero d' arte classica, che
rispecchia non le parvenze della natura, ma lo spirito, non la serie
caduca delle sensazioni, me l'unità integrale della coscienza, non
gli aspetti ed episodi della realtà mutevole e discontinua, ma l'eterna
umanità palpitante col suo ritmo immutabile non meno nel mondo
delle cose che in quello degli uomini.
Vedete che differenza di visione poetica dall'abbozzo al romanzo.
Diceva il primo : « Un bel mattino il Marchese annunziò a Ger-
trude che in quel giorno il Signor*, ecclesiastico mandato dal
vicario delle monache, verrebbe ad esaminare la sua vocazione ».
E poi : « Stimò che fosse necessario aggiungere all'annunzio qualche
avvertimento, che lasciasse un'impressione nell'animo della figlia,
328 PARTE TERZA
e le servisse di compagnia e di guardia nell'assenza forzata d'ogni
altro custode ». Quindi cominciava il lungo sermone del padre.
Voleva essere il preludio della grande scena dell'esame, e non
aveva che le battute fiacche d'una musica stonata e pedestre. Che
sentì Gertrude all'annunzio di quella visita? come allora vi dispose
l'animo? Che Gertrude avesse la consapevolezza di quel momento,
che, anzi, nelle inquiete giornate quando la conducevano tra le feste
e gli spettacoli vi riponesse la speranza di tentare la sua salvezza,
il Manzoni ce l'aveva fatto sapere; ma l'averne toccato lì, come
di un sentimento riflesso, non aveva altro fine che di prolungare
l'analisi dell'animo di lei, amareggiato di dover lasciare le delizie
del mondo.. L' ultima redazione del romanzo, nella quale, come di-
cevo, sì fa seguire la scena dell'esame nel giorno dopo la visita al
monastero, ti prospetta questo stato interno di Gertrude il giorno
stesso dell'interrogatorio decisivo. È al tutto cambiata la mossa:
ciò che era analisi diventa dramma, e — tratto pur nuovo ed ori-
ginale — la chiamata del principe cade in mezzo ai suoi pensieri,
quando forse non se l'aspettava proprio nell'ansia della breve vi-
gilia. Ecco il passo: « Il giorno dopo, Gertrude si svegliò col pen-
siero dell'esaminatore; e mentre stava ruminando se potesse cogliere
quell'occasione così decisiva, per tornare indietro e in qual maniera,
il principe la fece chiamare > (^). A noi basta questo modo alta-
mente drammatico (e le nuove movenze sintattiche vi aggiungono
vigore attrattivo) d' introdurre la scena di quella dolorosa e fatale
giornata, per figurarci l'animo di Gertrude, che, mentre si raccoglie
a preparare l'estremo tentativo, improvvisamente è turbato dalla
chiamata del padre e chiuso nel ferreo cerchio de' moniti, delle
minacce, delle lusinghe, finché ecco si annunzia il vicario, e Ger-
trude resta sola con lui.' È bastato rinnovar le circostanze conden-
sandole di suggestiva terribilità, prospettandole vigorosamente in
una percezione immediata, che non lascia tempo all'animo di uscire
dalla loro rapida vicenda, è bastato rendere più evidente il contrasto
tra la sinistra eloquenza, avvolgente, opprimente, del principe e il
mesto silenzio della figlia, rigida nel suo dissimulato dolore dinanzi
a lui, per far balzare ai nostri occhi la figura della poveretta, senza
indugi analitici, senza colorimentì patetici, nella plastica pienezza
della sua umanità dolorante, negl'icastici lineamenti dell'ansia mor-
tale che non si rivela, ma s' intuisce. È proprio così : nell' animo
di Gertrude s'intuisce più che non si legga, s'indovina molto più che
(1) Sp. proni., p. 220; Proni, sp., cap X, p. 152.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 329
il poeta non dica: non sempre non ci guida la parola di lui, ma
penetriamo in quella tormentata coscienza più a fondo che non ci
giovasse la particolareggiata descrizione della prima stesura.
Quando «l'uomo dabbene», dopo aver chiarito lo scopo di quel
colloquio, soggiunge: « Si contenti che io le faccia qualche interro-
gazione», Gertrude non risponde altro che: «Dica pure». Semplici
e sincere parole^ che possono sembrare una magra frase di con-
venienza, e sono al contrario il breve respiro d' un'anima, uscita
testé dal martellio accasciante de' discorsi del padre, che si dispone
con ansia repressa. Dio sa con quanto sforzo, al martirio d'un inter-
rogatorio tanto importante e che presente di dover raccogliere tutte
le sue forze per simulare una vocazione non sentita. E quand'anche
quel « dica pure » non avesse che il valore estetico di non lasciar
trapelare nulla del vero stato di Gertrude, è pur sempre, nella sua
nuda semplicità, un tratto d'efficacia drammatica, come sa farel'arte
grande che avvicenda ombre e luci nelle sue rappresentazioni.
Nella prima stesura, per contro, Gertrude trovava il coraggio di
fare codesta dichiarazione non sapremmo se più confidenziale o cir-
cospetta: « Signore, io ho desiderato ardentemente questo abbocca-
mento. Da questo dipende la scelta della mia vita, e io spero che
da ciò che io le risponderò, verrò io stessa a conoscere quale sia
la mia vocazione » (*). Parole che rivelano il medesimo stato d' a-
nimo di Gertrude, accennato nella descrizione delle feste e delle
conversazioni che precedettero la sua entrata nel monastero : se non
che ivi l'analisi di quella vaga estrema speranza che Gertrude ri-
poneva nella prova dell' esame per trovarvi la forza e la calma di
prendere più liberamente una risoluzione conforme al suo desiderio,
era appropriata, come quella che lumeggiava con meditato rilievo
il temperamento di lei, debole e fantastico e perciò facile al pro-
crastinare ; ed era anzi, per quel che osservammo, uno spunto felice
nella dipintura dell'animo della giovinetta, che poteva essere con-
servato nel romanzo; qui, al contrario, tal discorsetto serio serio,
equilibrato, fatto con un' aria di confessione ad un tempo e di
cautela, non si adatta alla situazione presente, in cui ella è col suo
animo combattuto e chiuso a viso a viso coli' interrogatore, e non
le si addicono parole che contengano qualche riflessione sul suo
stato e su i suoi propositi senz'essere l'immediata protesta di ciò
che la sua povera anima, tutta soggiogata dalle parole del padre,
non può a meno di dire mentendo a sé stessa.
(1) Sp. proni., p. 224.
330 PARTE TERZA
Come il Manzoni nel rifacimento dell'episodio condensò, non tanto
per la preoccupazione di tirarlo troppo per le lunghe, quanto per
quel fren dell'arte, che altro non è se non equilibrio e profondità
di visione, le minute e particolareggiate analisi psicologiche della
prima stesura in sobri e vigorosi rilievi, così i discorsi e ogni altro
atteggiamento esteriore di Gertrude temprò e contenne con la mi-
sura severa dell'artista che cerca nella semplicità e nella concisione
espressiva de' mezzi l'efficacia rappresentativa della realtà osservata
e idealizzata. « Dica pure » risponde Gertrude: o che altro può dire?
che altro deve dire in quel momento d'aspettazione angosciosa? Due
piccole parole, in cui senti il tremito interiore della sventurata che
non si rivela, il preludio d' un dramma che si svolgerà tempe-
stoso nell'ambito chiuso della sua coscienza, ma non lampeggerà
in nessuna parola e in verun atto d'esitanza, d'inquietudine, di
ripugnanza o di ribellione imprx)vvisa. È l'arte rinnovatrice, come
già osservavo, con che il Manzoni ricompose, dirò così, l'anima
de' suoi personaggi ritraendone la vita dall'esterno all'interno,
dai sensi allo spirito, di tanto rendendo parca la parola nelle
loro labbra e composti i moti della loro persona, di quanto inten-
sificò la loro intima spiritualità. È quel meraviglioso processo clas-
sico, attraverso il quale l'opera manzoniana è venuta liberandosi dal
romanticismo artistico della prima maniera. Ma per intender bene
il valore del dialogo, che veniamo esaminando, e i mutamenti operati
dal poeta nello svolgimento di esso e nello stesso contegno di Ger-
trude ci conviene soffermarci un po' sulla figura del suo esaminatore,
sostanzialmente trasformata anch' essa dalla prima stesura all'ultima
redazione del romanzo.
Era curioso quella specie di processo che l'autore faceva al signor
abate che, dopo i discorsi del Marchese, esaltante la pura e calda
vocazione della figliuola per la vita del chiostro, veniva con « la
prevenzione dolcissima » che fosse vera e pregustava la consola-
zione « di godere dello spettacolo di una buona risoluzione », « men-
tre — diceva l'autore — avrebbe dovuto pensare ad accertarsi se la
risoluzione esisteva » : e preparava « l'animo suo nulla più che ad
adempiere una cerimonia, una formalità » mentre — ribadiva il
Manzoni — « faceva tutt'altro; e doveva saperlo. E perchè aveva
ciecamente creduto al padre di Geltrude? Perchè era un buon uomo;
e la bontà gli era sì naturale che gli pareva la cosa più naturale
del mondo; siccome ve n'aveva sempre nelle sue intenzioni e nelle
sue azioni, egli ne supponeva sempre nelle intenzioni e nelle azioni
degli altri >. Era insomma un « sempliciotto », come, letta questa
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 331
pagina, ebbe a scrivere il Visconti, il quale osservava che, « per
giudicar bene », non doveva esser tale (*),
L'amico, — s'intende, — come in tutte le sue postille, guardava
alla verosimiglianza de' caratteri ; ma io che vengo indagando la
genesi primitiva de' personaggi manzoniani, riconosco nel ritratto
morale di codesto « buon uomo » la tendenza al realismo comico
e al moralismo censorio che troppo spesso mosse il sentimento e
la fantasia del poeta nella prima formazione del romanzo, onde,
come già ho rilevato più volte e avrò a comprovare anche nel se-
guito, taluni caratteri e fatti apparivano nella prima stesura in un
aspetto troppo spiccatamente volgare o financo buffonesco, o troppo
tristo 0 financo cinico e beffardo. Quella dabbenaggine dell'esami-
natore (perchè poi era deputato a così alto uffizio un uomo simile?),
che si lascia infinocchiare dal padre di Gertrude, voleva essere la
fertile materia di un ritratto umoristico e di umoristiche movenze
anche nello svolgimento del dialogo; ma né quello riuscì fatto in
modo coerente e perspicuo, perchè il tono rcquisitorio e gnomico,
che prevale, guasta la lepida pennellata con cui è ritratta la straor-
dinaria bonarietà del nostro uomo, né — come tosto vedremo — la
credula gaiezza di lui nell' interrogare e ascoltare Gertrude desta
in noi l'impressione d'un umorismo felicemente sentito ed espresso,
ma sì piuttosto d' una comicità un po' grossa e stentata. S' accor-
gesse il poeta di non essere riuscito nell'intento o riconoscesse giu-
sto (almeno in parte) 1' appunto dell'amico Visconti o — quel che
è più probabile — gli paresse — come già nel rifare la scena della
richiesta al monastero e il ritratto della badessa — , disconvenire
alcuna nota comica o volgare, perturbante l'unità estetica della gra-
ve e dolorosa situazione di Gertrude, o volesse, infine, — com'è non
meno probabile — rendere anche questa secondaria figura più ele-
vata e più decorosa che non fosse nella minuta, il fatto è che il
carattere del vicario ha nel romanzo un atteggiamento più serio,
più accorto, più guardingo. Un resticciolo della primitiva tentata
concezione umoristica è in quell'appellativo d' « uomo dabbene » che
già il principe aveva adoperato discorrendo con la figlia non senza
intenzione d' impressionarla, e che 1' autore riprende, nel farne il
ritratto, con una finezza ironica, non facilmente afferrabile, river-
berante piuttosto il suo segreto giudizio sull'apprezzamento interes-
sato del principe che non una disposizione canzonatoria verso il
nuovo personaggio: ma i lineamenti essenziali di questo hanno una
(1) Sp. proni., pp. 223-'!.
332 PARTE TERZA
compostezza e una lucida sobrietà, che preludiano convenientemente
alla scena dell'interrogatorio. Il tratto psicologico, anzi, della rin-
novata figura rispetto alla protestata vocazione di Gertrude è la
« diffidenza », come quella che « era una delle virtù più necessa-
rie nel suo uffizio » l'aver « per massima d'andare adagio nel cre-
dere a simili proteste e di stare in guardia contro le preoccupazioni >.
È vero, sì, ch'egli « veniva con un po' d'opinione già fatta » (ben
altra cosa della « prevenzione dolcissima » della prima stesura!)
« che Gertrude avesse una gran vocazione al chiostro; perchè così
gli aveva detto il principe » ; ma ciò è consentaneo a chiunque non
cada neir eccesso opposto di supporre il male in chicchessia e per-
chè — osserva acutamente il Manzoni — « ben di rado avviene che
le parole affermative e sicure d'una persona autorevole, in qualsi-
voglia genere, non tingano del loro colore la mente di chi le ascol-
ta » (/), Nel delicato profilo di questo « buon prete » — se una ve-
rità umana lampeggia — , ella è questa, che anche l'anima più no-
bile, e più cauta, più devota alla santità e alla giustizia del suo
uffizio nella vita sociale^ non si sottrae del tutto alla subdola sug-
gestione dell' altrui passioni, quando esse si presentino rivestite di
autorità e ammantate di disinteressata sincerità.
La scena dell'esame, come la leggiamo ora nel romanzo, procede
concisa nell'analisi, svelta e sobria nel dialogo; è evidente la cura
di far risaltare i caratteri dall' azione viva, impegnata tra il prete,
che, calmo, attento, lucido e penetrante, scruta e incalza per affer-
rare la verità di quella vocazione, e Gertrude che, « determinata
d'ingannarlo », « rifugge spaventata » dalla « vera risposta» che le
« s'affaccia subito alla mente » e che, non d'altro preoccupata che
di togliersi « presto e sicuramente da quel supplizio », nasconde il
suo turbamento e risponde sempre « più franca a mentire contro
sé stessa». Quand'ella all'abile interrogatore, che, accennando alla
possibilità d'un suo capriccio dopo aver sentita smentir quella di
« minacce » o « lusinghe » altrui e toccando con finezza delle « im-
pressioni illusorie » e de' pentimenti che seguono col mutar del-
l'animo, s'è avvicinato di tanto alla verità dolorosa, risponde con
forza, anzi «precipitosamente», tanto la sgomenta quell'indagine
così terribilmente appropriata al suo caso : « No, no, la cagione è
quella che le ho detto », il dramma è finito. Tacciono le note del
dialogo, ed è ripresa più ampia e sottile l' analisi che avvia con
fredda calma all'epilogo. Stupenda mossa d'artista, che seconda con
(1) Pì'om. sp., cap. X, p. 153.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 33^
evidenza fantastica la vicenda de' sentimenti e de' modi dei due
collocutori. La « diffidenza » d'obbligo dell'esaminatore La fatto sua
prova: la povera vinta ha vinto, alla sua volta, colui che « poteva
bene impedire che si facesse monaca » ; ha vinto, pel « ribrezzo »
di « render consapevole della sua debolezza quel grave e dabben
prete >, perchè, « partito che fosse », finiva « la sua protezione » ed
ella sarebbe rimasta « sola col principe ».
Quale l'epilogo? È tutto in queste parole, che rivelano con quale
austera e pietosa ispirazione il poeta ricostruisse e rifoggiasse co-
desto breve episodio: « L'esaminatore fu prima stanco d'interrogare
che la sventurata di mentire » (*).
Quando il Manzoni concepì e stese la prima volta questa scena
dell'esame, era più vivo ed operoso in lui il psicologo che il poeta.
Lo si deduce dal tenue sviluppo della parte dialogica, dalla poca
cura ed evidenza nell'ordine delle interrogazioni, messe in bocca
all'esaminatore, e massimamente dall'analisi minuta, proprio come
nella scena del monastero, dello stato interno di Gertrude, la quale
è rappresentata come combattuta da opposte apprensioni, incapace
della risoluzione più schietta e più propria, trascinata da un'abitu-
dine, ormai acquisita, a mentire a se stessa.
Non negherò che già la minuta recasse in quelle pagine il segno
dell'arte grande del Manzoni per vivo risalto dato al carattere di
Gertrude, per intuizione lucida e precisa di quel groviglio di fan-
tasiosa ingenuità e di complicata finzione, di debolezza nativa e
d'orgoglio esasperato, che è 1' anima della sventurata, e per vigo-
roso colorito di stile; preferirei, anzi, di leggere nella redazione
definitiva, ripulito nella dizione e attenuato un po' nel colorito de'
sentimenti, questo splendido tratto: « Avvezza com'era a trarsi dalle
circostanze diffìcili con ripieghi che la ponevano in circostanze più
difficili ancora, a consumare per dir così il tempo avvenire per
vivere in quel momento, ella cedette all'abitudine e alla difficoltà;
mentì contro sé stessa e disse: « È la mia vocazione; fin dai primi
anni io- mi son sentita inclinata a servir Dio nel chiostro, lontano
dai pericoli e dalle cure del mondo ». Queste parole furono porte
con l'apparenza della più ferma persuasione; e l'indugio, ch'ella
aveva posto al rispondere, parve al Signor... un segno, una prova
di riflessione posata. E in quel momento furono contenti ambedue (*):
(1) IMd., pp. 153-4.
(2) Sp. prom., pp. 225-6. Ecco un'espressione alquanto recisa, che, se conviene alla
giuliva semplicità del buon uomo, esagera quel certo sollievo che Gertrude ritrae dalla
fatta dichiarazione. Era tuttavia questa una sfumatura di sentimento troppo con-
334 PARTE TERZA
egli di vedere una così buona disposizione, ella di essere uscita
d' impaccio come che fosse » (^). Se non che l' analisi soverchiava,
nel primo disegno, la rappresentazione; il dialogo, che col suo ra-
pido moto incalza di tanto la scena nella forma attuale del romanzo,
era ora turbato dagl' intermezzi analitici, ora avvolto ne' riferimenti
indiretti della materia del colloquio; né aveva un suo ritmo cre-
scente, che lo rendesse, come l'ammiriamo nella nuova redazione,
veramente drammatico : la preconcetta semplicità, confinante con la
dabbenaggine dell'interrogatore — che manifestamente era un er-
rore psicologico nella concezione della figura — non poteva agli
effetti dell'arte se non sminuire il significato ideale di tale scena,
che lumeggia l'ultima e più funesta sconfitta di un'anima che vi-
veva di finzioni e di terrori ; non poteva di rifiesso se non toglier
vigore passionale e drammatico al contrasto tra l'interrogante e
r interrogata e perturbarne, con la comicità — per quanto discreta —
che spunta qua e là dagli atteggiamenti e dalle parole di lui, l'in-
timo carattere tragico.
Come appunto codesta concezione alquanto comica del secondo
personaggio aveva impacciato il poeta impedendogli di significare,
— ne' composti e semplici modi, conformi alla sua tempra d'arti-
sta — il pathos della scena immaginata, così è bastato avere rinno-
vato il carattere del buon prete nella forma che abbiamo visto, per-
chè lo spirito, lo svolgimento, il tono di essa acquistassero profon-
dità, vigoria, e chiarezza. Il carattere stesso di Gertrude dal più
austero e alto modo di concepire la situazione generale, riceve un'im-
pronta di più nobile dolore e di più pura verità poetica. La quale
poco era mancato non si smarrisse nella sottile trama dell'analisi là
dove il Manzoni con evidente inverosimiglianza aveva rappresentata
la giovine afflitta, umiliata, confusa e « come colpita » dalla prima
domanda sulla vocazione, e dove con non minore incoerenza le
faceva pensare che < violenze, minacce... non ne avevano usate»
i parenti e dove, infine le metteva in bocca quelle parole intese
ad occultare il vero con soverchia ostentazione: « i miei parenti
desiderano certo che io sia monaca; ma mi hanno lasciata libera».
Le risposte che tra felici rilievi, con che le accompagna il poeta,
dello sforzo durato a nascondere l' interno travaglio, dà Gertrude
forme all'indole strana della giovinetta perchè il Manzoni la trascurasse e perciò, nel
rimaneggiamento dell'analisi, l'ha più delicatamente espressa in quella frase: «ne
trovò una sola [risposta] che potesse liberarla presto e sicuramente da quel suppli-
zio » (Prom. sp., loc. cit.).
(1) Sp. prom., pp. 225-6.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 335
nel romanzo con quel loro tono laconico, diritto, rigido scolpiscono
mirabilmente l'ostinata determinazione di mentire sino alla fine,
dopo che « r infelice rifuggi spaventata > dali' idea di rivelare tutto
il vero. In quel momento 1' orrore di dovere umiliare il suo orgo-
glio, confessar la sua vergogna non meno che la paura del padre
le imprimevano nel volto la maschera tragica della simulazione
fredda e imperturbabile. Il Manzoni, semplificando l'analisi e rinvi-
gorendo il dramma rappresentativo, ha espresso tutta la verità poe-
tica della sua originale creazione.
L'aver presentata Gertrude, cosi nell' attesa come durante l'esame,
dominata dalla paura di un grande pericolo da affrontare, tanto
sollecita d'evitare spiegazioni e rivelazioni, quanto contenta d'uscire,
come che fosse, da quella difficoltà, aveva fatto immaginare al Man-
zoni, nella prima stesura, che ella stessa dopo il colloquio, «ancor
più fortemente compresa dall' idea del pericolo che aveva passato,
che dal pensiero dell'impegno che aveva preso», corresse «tutta
commossa » a raccontare al padre « frettolosamente l'esito della
conferenza > ; mentre nel romanzo è il padre — come si sa — che
va « quasi di corsa » da Gertrude, tutto giubilante e intenerito dopo
aver sentito il vicario compiacersi delle < buone disposizioni > da
lei dimostrate (*). È un mutamento che, se conta poco o nulla per
l'intreccio e la disposizione delle parti in azioni, ha valore rispetto
ai caratteri e alla situazione psicologica loro; ed è mutamento do-
vuto alla concezione più pura^ più austera e alla figurazione, più
pensosamente composta e sobria che abbiamo rilevato, del carattere
di Gertrude. È più verosimile l'atto spontaneo del principe, poiché
risponde a quello stato di « esasperazione molto penosa » che bene
ha fatto il Manzoni a lumeggiare con nuova efficacia nel romanzo ;
ed è più consentaneo alla natura e all'ordine de' sentimenti e al
particolare stato di Gertrude quel!' atteggiamento che il poeta non
descrive, ma lascia intravedere, di raccoglimento silenzioso, d'im-
mobilità d'atti e di spirito, di occulta prostrazione pel grande sforzo
compiuto, mentre il padre la ricolma « di lodi, di carezze e di
promesse >.
VI. Che il Manzoni abbia mirato ad elevare poeticamente la fi-
gura di Gertrude, a conferire un tòno più nobile e serio al racconto
de' suoi casi dolorosi, a colorire la stessa rappresentazione d' am-
biente con rinnovata libertà artistica è provato, oltre che dai raf-
(1) Provfi. sp., cap. X, p. 155.
336 PARTE TERZA
fronti fatti fin qui, da altri mutamenti di minor conto, che tuttavia
ritengo di non dover trascurare ; come quelli che 'attestano lo
sforzo durato dal poeta per vincere alcuno tendenze del suo inge-
gno e della sua cultura, quali la soverchia inclinazione all' analisi,
il psicologismo sottile e talora ardito, il realismo comico, troppo
crudo o volgare, lo storicismo e il moralismo censorio e satirico che
già ho largamente dimostrato come prevalessero nella prima com-
posizione del romanzo.
Tocchi più abbondanti e arditi che non siano nel romanzo per
ritrar la bellezza fisica della giovinetta ('), qualche pennellata più
colorita data al carattere vivace, superbo, incline alla vita monda-
na (2), un tratto di precocità raziocinativa eh' era troppo per una
fanciulletta di sei anni (^), un' analisi vivace e sottile, condita di
sapide osservazioni, che l'arguto psicologo faceva delle competizioni
di Gertrude con le sue compagne d'educandato {*), un'accesa di-
pintura della passionalità morbosa di lei (^) che segna spiccata-
mente i caratteri essenziali di quella che sarà l' inquieta e fosca
anima della signora, quale vedremo rappresentata nelle forti scene
della colpa e del delitto, tutto ciò è stato o soppresso o ridotto con
più sobrietà o, più spesso, raddolcito nelle tinte e ricomposto con
un' ispirazione di più gentile pietà e con una più pacata e serena
osservazione di quell'anima giovanile.
Erano pagine che, uscendo così dal primo getto lucide e vigorose,
attestavano le fresche attitudini dello scrittore all'indagine psicolo-
gica e che sostanzialmente sono rimaste nel romanzo, ma risentivano
di quella spiccata tendenza all' analisi sovrabbondante che il Man-
zoni adoprerà ogni sforzo a correggere e a contenere, rivelavano,
anzi, la tendenza già osservata più addietro, al psicologismo sottile
e talora ardito, che medesimamente 1' autore verrà, nella riforma
(1) Sp. prom., p. 178. Ne' Prom. sp. non è rimasto che un cenno dell' «aspetto
prosperoso della fanciullina » (cap. IX, p. 132).
(2) Sp. proni., loc. cit.
(3) Era !'« idea... che per esser monaca era mestieri del suo assenso volontario»
(Sp. proni., p. 179).
(4) Sp. prom-, pp. 180, 181. Più limpida, più svelta e ordinata ne' Protn. sp.,
cap. IX, pp. 134-5. È da notare che, in luogo de' pochi cenni squallidi e stenti della
minuta, troviamo ne' Prom. sp., un accurato e vivo studio dell'esultanza delle mo-
nache, nel ricevere l'educanda, e delle arti che metton subito in opera per secondare
il segreto disegno del principe, (cap. IX, pp. 133-4).
(5) Val la pena di riferirla per intero: «Questa sventurata non aveva un animo
ostile, non si dilettava naturalmente nell'odio; ma le sue passioni erano tanto vio-
lente e tanto delicate, ella le idolatrava tanto che tutto ciò che poteva essere ad esse
di ostacolo, offenderle, contristarle, diveniva per lei oggetto di avversione, e sarebbe
stato vittima del suo furore, quand'ella avesse potuto impunemente sfogarlo» (pp. 181-2).
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 337
dell'opera, attenuando mediante quel processo d'idealizzazione poe-
tica a cui, come più volte ebbi ad osservare, sottopose tutta la ma-
teria del romanzo.
Ma anche più osservabile, per questo riguardo, era la descrizione
delle immagini mondane, che pullulavano nella mente dell' appas-
sionata giovinetta. Erano esse analizzate e figurate in qualche sce-
na, che prendeva concretezza nella fantasia di Gertrude. * L'orgo-
glio di giovane vagheggiata — aveva scritto il Manzoni — adorata,
supplicata con umili sospiri, di sposa ricca e fastosa, di padrona
che comanda a damigelle ed a paggi, ben vestiti, era ben più dolce
che l'orgoglio di madre badessa e in quello tutta s'immerse la fan-
tasia orgogliosa di Geltrudina. Cominciò dunque a far castelli in
aria, a figurarsi un giovane ai piedi^ a levarsi spaventata, e fuggire
dicendo : « come ha ella ardito di venir qui ? » Ma quella fuga e
queir asprezza non erano a fine di scacciarlo daddovero : il gio-
vane non perdeva coraggio; nascevano nuovi casi, e tutto finiva col
matrimonio, come la più parte delle commedie. Eichiamava alla
memoria quel poco che aveva veduto dei passeggi della città e vi
girava in carrozza innanzi indietro ; ripensava la casa domestica, le
anticamere, le livree, il comando e rifaceva tutto per suo uso, ma in
modo più splendido. Questi pensieri l'assediavano nel dormitorio,
nel refettorio, nell'orto, nel coro; ella confrontava col brillante di
essi lo squallido che aveva sott' occhi e [si confermava sempre più
nel proposito di non dire quel « si » che si aspettava da lei » (*).
Ora chi raffronti questo passo col testo definitivo, in cui parte di
esso è caduto e parte è stato notevolmente trasformato, s' accorge
che il Manzoni ha corretto la plastica evidenza delle immaginazioni
di Gertrude, ha scancellato quella macchietta tra patetica e comica
dell' innamorato rifondendo e ricolorendo figure, sentimenti e stile
con delicata spiritualità, cosi che le fanciullesche visioni dell' edu-
canda vi appaiono in un aspetto fantasticamente vago e velatamente
castigato. Piccolo, ma notevole esempio del lavorio fatto dall'autore
per idealizzare il suo mondo tra storico e romanzesco, per infon-
dervi una più pura vita di poesia, con la riduzione o, addirittura,
l'eliminazione di tutto ciò che eravi entrato di troppo pittorescamente
realistico, di troppo grossamente caratteristico e circoscritto nella
rappresentazione della vita e de' costumi del secolo.
(1) Sp. proni., pp. 1S4-5. Su quel giovane fantastico ritornava il Manzoni a p. 190,
aggiungendo che « bellezza, grazia, ricchezza, nobiltà, eloquenza, sincerità, costanza,
e sovra tutto appassionatezza, nulla gli mancava ». « Se non che — commentava con
amabile ironia l'autore — aveva il difetto di non esistere».
Busetto — 22
338 PARTE TERZA
In altro luogo, una piccola scena, disegnata certamente per co-
desta tendenza al realismo comico e al caratteristico della storia,
presentava nella minuta, assieme con la madre e il fratello di Ger-
trude chiamati dal principe dopo la scena del perdono, il segretario
di casa. Già vi ho accennato, osservando che ben altro carattere e
significato acquista la scena com' è stata rinnovata nel romanzo :
e riconfermo che la soppressione di quella macchietta è dovuta al
motivo di purificare il quadro d'elementi burleschi spiccatamente
realistici, col fine di trarre dall' uso della supplica al vicario la
materia per una situazione poetica che giovasse, piuttosto che al
colorito storico de' tempi, all'analisi di passioni e di sentimnti u-
mani. È la comprensione limpida e profonda della realtà psicologica
che vince lo storicismo ingenito nell'intellettualità manzoniana: è
r umanità che s' inalza sopra il costume e vi si specchia co' suoi
eterni riflessi.
Parimente il Manzoni in quella descrizione della vita d'educan-
dato, che per ogni parte ha resa più agile e lucida e infusa di più
pensosa poesia col sopprimere o condensare, avvivare, ingentilire
dovunque vi trovasse qualche cosa di trito, di verboso, di fiacco, di
volgare, d' eterogeneo alla rappresentazione artistica, ci presenta
Gertrude turbata nelle sue « brillanti e faticose » immaginazioni
mondane non da un vero e caldo e gagliardo sentimento di fede —
di che ella, educata all'orgoglio, era incapace — ma da « una larva,
come le altre », tale, però, che quando grandeggiava nella fantasia,
« r infelice, sopraffatta dai terrori confusi e compresa da una con-
fusa idea di doveri, s'immaginava che la sua ripugnanza al chiostro,
e la resistenza all' insinuazioni de' suoi maggiori, nella scelta dello
stato, fossero una colpa; e prometteva in cuor suo d'espiarla, chiu-
dendosi volontariamente nel chiostro > (*). È questa una situazione
complicata e delicata ch'era sfuggita nella fretta della prima stesura
allo sguardo penetrante del poeta e che egli accortamente adope-
ra per predisporre, diversamente dal modo che abbiamo veduto,
l'invio della supplica al vicario delle monache; poiché — seguita
a narrare l'autore — « quelle monache che avevan preso il tristo
incarico di far che Gertrude s'obbligasse per sempre, con la minor
possìbile cognizione di ciò che faceva, colsero » appunto « uno de'
momenti che abbiam detto, per farle trascrivere e sottoscrivere una
tal supplica». Ora, può sembrare più felice l'idea d'avere scelto
il momento che Gertrude, abbattuta, pentita, bisognosa di perdono,
(1) Prom. sp., cap. IX, p. 136.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 339
s'abbandonava alla volontà del padre per farle compiere un atto
di tanta importanza; e certamente, rilavorata con più acume ed
arte, quella scena della prima stesura sarebbe potuta rimanere a
rappresentazion viva ed efficace de' caratteri e della più grave si-
tuazione, in cui era precipitata Gertrude implorando il perdono.
Ma — contrariamente alla minuta, dove il Manzoni non aveva cu-
rato « di dare determinazioni precise di tempo > (*) — ei dice nel
romanzo che 1'* esame non poteva aver luogo, se non un anno dopo
ch'ella avesse esposto a quel vicario il suo desiderio, con una sup-
plica in iscritto » (*) ; né poteva essere « ammessa a quell'esame
della vocazione se non dopo aver dimorato almeno un mese fuori
del monastero ». Di conseguenza, quando Gertrude fu per uscirne
era logico che fosse scorso un anno o giù di li dall' invio della
supplica (^). Precisati e circoscritti così, per l'esattezza storica, i
termini degli avvenimenti, non poteva l'autore far cadere la scena
della compilazione e della sottoscrizione di quella tal supplica nel
mese di dimora in famiglia antecedente all'esame, e gli fu gioco-
forza collocarla nello stesso ambiente monastico un anno prima
della fine dell'educandato. Curiosissimo caso codesto, in cui vediamo
che la stessa osservanza del costume storico (dal quale, per contro,
il Manzoni, inteso a rifare il romanzo, venne allontanandosi tante
volte con più libera fantasia, nella ricomposizione poetica de' per-
sonaggi e de' fatti) costringe il poeta ad operare un sostanziale mu-
tamento nella creazione artistica. Con la logica della storia egli ha,
però, conciliato la logica della poesia, poiché la poveretta Gertrude
si lascia indurre a sottoscrivere quella malaugurata supplica in uno
stato d' animo non molto distinto, come abbiamo veduto, da quello
figurato nella minuta e risalta al vivo l' arte coperta e insinuante
delle monache, « congiurate a tirar la poverina nel laccio > : anzi
quei turbamenti morali, in cui la repugnanza al chiostro era so-
praffatta da un curioso sentimento di dovere e d'espiazione, quel-
l'intrigo di suore, spianti i momenti di tenerezza e di compunzione
dell'adolescente per sacrificarla, circonfondono la figura di Gertrude
di una tal luce benigna e pietosa, che, armonizzando coi vivaci ri-
flessi di quell'impetuosità che la trasportava talora a cercar « tutta
buona » le compagne, « ad implorar benevolenza, consigli, corag-
gio >, ne rabbellisce l'immagine inquieta e dolorosa.
(1) Sp. prom., pp. 186, 188.
(2) Prom. sp., loc. cit.
(3) Ibid., pp. 136-7.
340 PARTE TERZA
Il psico'ogo e il moralista — già l'abbiamo più volte osservato —
col suo abituale procedere amabilmente scherzoso e ironico s'insi-
nuava troppo spesso nel racconto della triste storia, compiacendosi
di digressioni riflessive, come se la materia narrata fosse buona oc-
casione ai ragionamenti dell'autore. Sdoppiamento tra la fantasia e
l'intelletto, tra la riflessione storica ed etica e la rappresentazione
poetica, del quale son rimaste tracce nella redazione definitiva del
romanzo, ma che nella prima, per manco di vigore fantastico, era
troppo accentuato e grossolano.
Erano osservazioni suggerite dalla conoscenza storica e dal giu-
dizio morale de' tempi, come quella sulla coltura universale del se-
colo e sulla poverissima e storta istruzione che si riceveva ne' mo-
nasteri (*); altre, suggerite dall'acuto studio dell'anima giovanile
e riflettenti l' inclinazione alla derisione dei superiori (^), la faci-
lità del dissimulare (^), dell'abbandonarsi alle fantasticherie (^) ; altre
argute e brillanti sulla stima che fanno gli uomini de' piaceri e
delle ricchezze (^), e sull' invenzione delle formalità e gli effetti
contrari che ne seguono (^) ; altre, infine, serie e gravi, sull'effica-
cia morale della religione e su i pregiudizi che la danneggiano C),
sulle passioni (*), senza contare quelle che ho riferite o indicate
nelle analisi precedenti, e alcune che, isveltite di pensiero e di
stile, sono rimaste nel romanzo.
*
* *
VII. Con quaie ardore paziente il Manzoni cercasse di conseguire
con la riduzione dell'analisi e la condensazione dello stile una mag-
gior coerenza poetica e una più pura rappresentazione artistica del
suo personaggio si vede, altresì, dal racconto dell' inquieta vigilia,
che precedette la solenne professione.
(1) Sp. prom., pp. 179, 182, 183.
(2) Acutamente, a proposito delle « superiore » del monastero, diceva che sono
«sorta di persone per le quali la puerizia prova così facilmente l'ammirazione come
lo scherno» (p. 180).
(3) « Dissimulazione profonda che è data a quella età, e che forse non ritorna più
in nessuna altra epoca della vita, e che appena appena — aggiungeva con sorridente
ironia — potrà aver riconquistata un diplomatico di ottant'anni » (p. 186).
(4) «Nei sogni caldi ed ardili della pubertà v'è una parte di stranio, di fanta-
stico, d'individuale che non si confida, né s'indovina » (ivi).
(5) Sp. proni., pp. 180-1.
(6) Jbid., pp. 186-8.
(7) Ibid., pp. 183, 184.
(8) Jbid., p. 184.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 341
S'attardava egli^ nella minuta, a descrivere Gertrude tutta occu-
p;ita nel persuader sé stessa d' esser « contenta della sua scelta > ,
nel raccogliere il pensiero sulle « immaginazioni » gradevoli e sulle
« consolazioni celesti o mondane » che s'aspettava dalla vita del
chiostro; tutta sollecita, nel tempo stesso, ad affrettar la vestizione
« per esser chiusa una volta, per precludersi ogni strada al tornare
addietro, per non sentirsi più nascere in cuore queir intollerabile :
— potrei forse ancora — » ; tutta intenta, durante il tempo del no-
viziato, a mostrare una « risoluzione sempre più spontanea e ferma,
mentre « divorava nel suo cuore tutto ciò che avrebbe potuto far
credere il contrario » (*), Ma qui il Manzoni aveva sforzata la si-
tuazione, esagerando, nel descrivere il contegno di Gertrude, un'im-
pazienza, che in realtà era angoscioso sgomento, di entrare nel chio-
stro, così da darle tutta 1' apparenza d'un desiderio sicuro e spon-
taneo. E, in fondo, il difetto di tutta la prima stesura del romanzo
così neir analisi psicologica come nelle situazioni drammatiche, di
scolpire cioè, le anime in modo troppo spiccato e tagliente, di co-
struire le scene e rappresentarne lo svolgimento con certa vibra-
tezza di movimento e colore eccitante di sentimento e di fantasia,
che confermano — e ne porterò altre prove anche più convincenti —
come agi' influssi del romanticismo patetico e pittoresco non abbia
potuto sottrarsi il Manzoni nella prima composizione del suo capo-
lavoro. Come egli se ne liberasse — non dico nell' ispirazione che
rimase, per talune figure e situazioni, prettamente romantica — ma
neir artistica rappresentazione, con lo sforzo maraviglioso di ripla-
smare il suo mondo poetico nella sobria forma d' una classicità ni-
tida, armoniosa e ricca d' umanità, risalta in modo perspicuo dal
rifacimento del tratto, testé riferito ; nel quale il poeta^ non contento
di scorciare e limare, ha rivissuto addirittura quell' estrema situa-
zione della sventurata Gertrude^ 1' ha avvolta nell' aura di un più
accorato mistero, ne ha risentita e più potentemente espressa quella
nota dominante in tutte le sue dolorose vicende, che è l' insoddi-
sfatta perplessità, sgomenta d'un'anima data in balia dell'altrui vo-
lontà. Ed ecco il poeta, con altra gagliardia d' ispirazione e con più
contenuto, ma anche più profondo vigore fantastico ritrova quei
nuovi tocchi, ripercotenti la desolata tristezza d' un' ardente natura
ormai sopraffatta e alterata: « Lei medesima, stanca di quel lungo
strazio, chiese allora d' entrare più presto che fosse possibite, nel
monastero — Dopo dodici mesi di noviziato, pieni di pentimenti e
(1) Ibid., p. 227.
342 - PARTE TERZA
di ripentimenti, si trovò al momento della professione, al momento
cioè in cui conveniva, o dire un no più strano, più inaspettato, più
scandaloso che mai, o ripetere un sì tante volte detto: lo ripetè, e
fu monaca per sempre » (^).
« Lo ripetè e fu monaca per sempre » : sintesi concettuale e fan-
tastica, come sa far l'arte grande, che ne' rintocchi secchi del ritmo,
nella funerea solennità di quel « sempre », che ti echeggia senza
posa nell'animo, risuona come il calar pesante d'un coperchio se-
polcrale, destando la commozion muta e pensosa dell'irreparabile.
E una di quelle rare frasi dense, dirò così, di passione e di storia,
come la dantesca
« quel giorno più non vi leggemmo avante »
e r altra, non meno insigne dello stesso Manzoni : « La sventurata
rispose», che, lampeggiando al colmo d'una situazione concitata, ti
lasciano intraveder gli abissi d' un' anima e la paurosa inesorabilità
del suo destino. Gli è che il Manzoni attraverso i rifacimenti è per-
venuto all' ultima forma del romanzo risalendo con nuova potenza
fantastica da uno stato di soggettività commossa, da una concezione
ancor dibattentesi tra il lirismo e il moralismo (due forme inferiori
deirarte, anzi due forme pseudoartistiche che spesso nel romanti-
cismo così de' capiscuola come degli adepti si sforzano d' andare
insieme) ad una visione resa più serena, più profonda e perspicua
mercè quell' oggettivismo artistico nella cui disciplina la poesia si
fa contemplazione^ cioè da psicologica, umana, da romantica, clas-
sica. Confrontate, infatti, quel finale stupendo nella sua tranquillità
pensosa, or ora osservato, con questo che si leggeva nella prima
stesura: «Il sacrificio fu consumato, il dono fu posto sull'altare,
ma era di frutti della terra; la mano che ve lo aveva posto non
era monda; e lo sguardo del cielo non discese sovr'esso » ; sforza
lirico, che tutt'al più s'attaglia all'apologeta delle Osservazioni sulla
morale cattolica, non al poeta de' Promessi sposi (*).
Che codesta tendenza a correggere il facile romanticismo della
prima stesura prevalesse con crescente vigore nell'elaborazione del-
l'episodio monzasco, appare evidente dai mutamenti e miglioramenti
non solo di lingua e di tecnica formale, ma di disegno e di sviluppo
(1) Prom. sp., cap. X, p. 156.
(2) Lo stesso visconti in margine annotò: « troppo ascetismo» (Sp. prom-, p. 227,
n. 12).
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 343
psicologico e morale operato dal poeta nello studio della vita mo-
nastica di Gertrude. La minuta, dopo le osservazioni sulla virtù dì
rassegnazione, di ravvedimento e di tranquilla contentezza che ispira
la religione cristiana sinceramente invocata e profondamente sentita
(anche qui il Manzoni nel romanzo ha riordinato e ripulito, or con-
densato e ora svolto, congiungendo ad una maggiore semplicità d'e-
loquio una più viva agilità di pensiero), accennava a donne che,
chiuse contro lor voglia nel chiostro, vi fecero vita santa e contenta,
a donne anche de' tempi di Gertrude; e faceva, in modo spiccio,
allusione all' « esempio insigne » che ne oflFri la stessa Gertrude (la
fonte storica, qui sottintesa, è sempre il buon Ripamonti); « ma —
soggiungeva — più tardi e dopo aver [commessi] ben altri errori,
anzi delitti, dopo sofferta ben altra forza che quella di cui abbiamo
parlato » (*). Notizia storica, inopportunamente anticipata ed ete-
rogeneamente mischiata alla visione poetica di quella vita dispettosa
e trista, della quale, dopo il solenne preludio intonato con lucida
armonia di sentimenti e di stile in lode della fede religiosa rassere-
natrice delle anime travagliate, ii poeta descrive le prime ombre
crepuscolari. Quell' accenno alla conversione della disgraziata di-
sparve dal romanzo non meno che una consimile notizia, ma assai
più particolareggiata e suffragata da citazioni storiche, che troviamo
dopo il racconto degli errori e dei delitti di Gertrude (*) ; sulla
quale ultima dovrò tornare fra poco per una questione più grave.
Cosicché della vita d' espiazione di lei non è restato nel romanzo
che un cenno verso la fine e lasciato cadere indirettamente ne' di-
scorsi della mercantessa a Lucia.
Da ciò, intanto, vien fatto d'osservare che il Manzoni nella prima
stesura, tutto occupato nell' applicar fedelmente la sua teoria del
romanzo storico^ oscillava tra la storia e il romanzo, tra le preoc-
cupazioni etiche e le esigenze dell'arte, senza poter raggiungere per
impulso di fantasia idealizzatrice l' unità poetica della rappresen-
tazione.
Soppresso quel passo, il Manzoni, per contro, sviluppò 1' analisi
con tale profondità di sguardo e scolpitezza di tratti che la dogliosa
figura della giovine sacrificata s'aderge a' nostri occhi, per la prima
volta, in tutta la pienezza della sua tragica umanità. La prima ste
sura conteneva, si, l'idea primigenia del meraviglioso ritratto in
quel luogo dove si diceva che la bellezza era per Gertrude « un
(1) Sp. proìn., p. 228.
(2) Ibid., pp. 324-6.
344 PARTE TERZA
rodimento continuo, un'occasione di regressi affannosi nel passato
e di sguardi disperati nell'avvenire » ; ma non era che uno scorcio,
senza gradazioni e contrasti di luce, senza vigor di rilievi : un iho-
tivo patetico coordinato a quei sentimenti di sterile vanità e d'in-
soddisfatto orgoglio che, come vedremo, ella derivava dalla sua
stessa bellezza. Il Manzoni riflette con tutta la forza del suo genio
su queste che sono fra le più tormentate pagine del romanzo ; l' ispi-
razione gli si rinnova nell' anima dilatandosi e nobilitandosi; il do-
minante motivo della bellezza non sparisce, ma si tempera nell'ana-
lisi con altri, secondo appunto la discreta e perciò più profonda e
pietosa ispirazione del poeta; l'impressionismo psicologico cede al-
l'oggettività drammatica; i particolari, l'aneddotico, il realistico si
dileguano al soffio vigoroso di una poesia che dalla natura s' inalza
allo spirito; taluni sparsi frammenti, caduti fuor di luogo nel pro-
lisso racconto, si radunano, come a portar materia ed alimento per
la nuova fuzione; ed ecco uscire da questo paziente e ardente lavorio
di ricomposizione e di sviluppo, in vivo contrasto con la precedente
celebrazione della religione cristiana, quella densa lucida e gagliarda
dipintura, in cui la coscienza etica e la potenza fantastica del poeta
cospirano al medesimo fine di esprimere tutto il ^ai/io* dell'infelice
oppressa dagli uomini e incapace di fortezza, di rassegnazione, di
carità: « L'infelice si dibatteva... sotto il giogo e così ne sentiva
più forte il peso e le scosse. Un rammarico incessante della libertà
perduta, l'abborimento dello stato presente, un vagar faticoso dietro
a desideri che non sarebbero mai soddisfatti, tali erano le principali
occupazioni dell'animo suo. Rimasticava quell'amaro passato, ricom-
poneva nella memoria tutte le circostanze per le quali si trovava
11; e disfaceva mille volte inutilmente col pensiero ciò che aveva
fatto con l'opera; accusava sé di dappocaggine, altri di tirannia e
di perfidia; e si rodeva. Idolatrava e insieme piangeva la sua bel-
lezza, deplorava una gioventù destinata a struggersi in un lento
martirio, e invidiava, in certi momenti, qualunque donna, in qualun-
que condizione, con qualunque coscienza, potesse liberamente go-
dei'si nel mondo que' doni » (*).
Questo ritratto delF anima, in perpetuo travaglio, campeggia nel
quadro, disegnato con agilità nuova di tocchi, della vita di Gertrude
nel chiostro, e da esso la luce irradia tutt' intorno, o tratteggi il
poeta la crucciosa avversione della disgraziata per le monache « che
(1) Proni, sp., cap. X, pp. 156-7.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 345
avevano tenuto di mano a tirarla là dentro » (*), o il dispetto e la
rabbia che le suscita 1' « aria di pietà e di contentezza » delle altre,
innocenti (^) , o metta in contrasto con le « consolazioni », vana-
mente desiate, della religione, quelle mondane degli ossequi che
riceveva e della protezione che, per esser figlia d'un potente, si
scapricciava ad ostentare; dalle quali, però, ritraeva così poco con-
tento (3). .>r- . C.1''-'---
Ma perchè il senso tragico di quella rappresentazione dominasse ,
la mente del lettore, come aveva ispirato con nuova forza la co-
scienza del poeta, bisognava toglier via tutto ciò che nella prima
stesura rimpiccioliva la figura morale di Gertrude e distraeva dalla jS
visione totale ed organica del suo concitato e fosco dolore. Ecco
perchè non troviamo più nel romanzo quella lunga pagina in cui
il Manzoni ci presentava Gertrude tutta occupata e orgogliosa della
sua bellezza, irridente agli « occhi sciarpellati della madre badessa »
e al «mento incartocciato della madre celleraria>, o intesa ad
« adornarsi come poteva» e a « ridurre l'abbigliamento monastico
alle fogge secolaresche » o ad « accordarlo all'aria del suo volto > ;
né pili vi troviamo il particolare dello specchio, che Gertrude inge-
gnosamente s'era procurato (''). Tratti di volgaruccia fatuità e vanità
che, per quanto dica il Manzoni che da quelle mondane compiacenze
Gertrude ritraeva maggiore inquietitudine, perturbavano con intem-
perante realismo la poetica rappresentazione del carattere.
Eppure qualcuno potrebbe osservare che la logica della conve-
nienza psicologica avrebbe potuto far riflettere al Manzoni che il
figurare Gertrude orgogliosa della sua bellezza e occupata in certe
cure mondane della sua persona non solo s'accordava all'analisi del
suo temperamento leggero, stravagante, appassionato, ma faceva
(1) Ivi. Più prolissamente negli Sp. prom., (p. 229) e con un'intonazione scherzosa,
ch'era fuori posto, ma che comprova l'eccessiva disposizione burlesca e umoristica
del Manzoni nello stendere la prima volta il romanzo, cosi che non ne andarono im-
muni neppure le concezioni e le situazioni gravi. Diceva, per es., che Gertrude « si
sfogava avventando beccate agli uccelli che avevano cantato per farla venire nella
loro gabbia ».
(2) Queste compaiono per la prima volta ne' rifacimenti; ed è evocazione oppor-
tuna che giova allo sviluppo psicologico del carattere di Gertrude e aggiunge rilievo
al contrasto tra quello che la religione avrebbe potuto su lei e il suo animo restìo ai
conforti della fede.
(3) Prom. sp., loc. cit.
(4) Sp. proìn., pp. 229-30. Narrava il Manzoni che, «essendo gli specchi proibiti
nei chiostri come i lumi nelle polveriere», Gertrude «aveva fatto porre dietro ad un
quadretto, ch'ella teneva appeso nella sua camera, una lastra di latta levigatissima,
e a quella si consultava segretamente ».
346 PARTE TERZA
quasi presentire la fatalità del peccato e intender la disposizione
— ove una diabolica volontà l'avesse afferrata — a più gravi travia-
menti. Forse il Manzoni pensò anche a questo, ma tuttavia preferì di
sopprimere quella pagina, poiché non meno della legge dell'armo-
nia e della convenienza, non meno dell'esigenza dell'abbreviare, nel
rifacimento dell'episodio monzasco ha influito sul suo vigile spirito
un motivo, dirò così, di decoro morale, che nella sua mente faceva
tutt'uno con la convenienza poetica; onde l'elevazione etica del per-
sonaggio (e non solo di Gertrude, ma dì tutti), dovuta alla disposi-
zione più serena e pietosa con cui la coscienza del poeta rielaborò
il suo mondo storico-romanzesco, si tradusse in forme d' arte più
temperate e pensose.
Vili. Questo criterio d' un maggior decoro morale, riflettentesi
nella classica compostezza della nuova forma che assume il roman-
zo, ha modificato anche più efficacemente e profondamente la de-
scrizione del colpevole amore di Gertrude e dei delitti cui la so-
spinse la folle passione. Trattando ora questo argomento, entreremo
nel vivo di una anche troppo rumorosa questione letteraria, comin-
ciata fin dalla prima apparizione de' Brani inediti e non ancora de-
finitivamente risoluta.
Descriveva il Manzoni nella prima stesura in modo particolareg-
giato, sebbene alquanto confuso, il quartiere dell'educande e di Ger-
trude, addetta alla loro sorveglianza, e la contigua « casa privata e
signorile », da un abbaino della quale, sopra i tetti, Egidio, guar-
dando nel < cortiletto del chiostro », veniva spesso ad occhieggiar
le giovanette allieve. Venendo a parlare di quel « giovane scelle-
rato », s'intratteneva a ritrarre lo spirito facinoroso e sanguinario
del secolo, l'impunità dilagante de' delitti, il mal presunto senso
d'onore che s'annetteva alle vendette private, la perversa indulgenza
agli omicidi per quel « sentimento »- divenuto ormai « universale,
che una certa misura di animosità, di crudeltà e dì delitto fosse
una condizione necessaria ed inevitabile della società ». Accortosi
di essersi avviato « in una nuova digressione », s'affrettava poi il
Manzoni a ritornare alla storia de' suoi personaggi; e, nella revi-
sione del romanzo, avvedutosi d'aver fatto nel principio dell'opera
una consimile descrizione della società secentesca (*), die' un gran
(1) Cfr. Sp. prora., pp. 22-5; Prom. sp., cap. I, pp. 13-15. Del quadro nuovo, che
leggiamo nel luogo dell'episodio di Gertrude, non conservò alcuna linea nel romanzo,
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 347
frego a codesta dissertazioncella storica, che, oltre ad essere digres-
siva, era addirittura superflua. Tornato al racconto, schizzava un
magro ritratto del padre di Egidio e ne sbozzava un altro, con qual-
che più vivo rilievo, di costui (ci servirà piti innanzi per ricostruire
la figura psicologica del seduttore di Gertrude) e lo metteva quindi
in azione di sfacciato curioso, dedito agli amoreggiamenti, che, dopo
essere riuscito a civettare con una delle più adulte delle educande,
quando costei lasciò il monastero, « allettato più che atterrito dal-
l'empietà » del nuovo disegno, « si diede ad agguatare » la stessa
Gertrude (*). Confrontando a questo punto l'ultimo testo definitivo,
vi troviamo ridotte ai puri cenni necessari la descrizione de' luoghi
e la figurazione del nuovo personaggio, segnata a tocchi svelti e con-
cisi l'improntitudine con cui il giovane scellerato osò un giorno ri-
volgere il discorso a Gertrude, e, quindi, risonante come una battuta
potente e improvvisa la grande frase: « La sventurata rispose » (-).
La minuta narrava con tutt' altro spirito e stile la successione de'
fatti e il cominciamento della tresca. « Un giorno » — vi si leggeva
— la Signora passeggiava essa sola innanzi e indietro nel cortiletto
del chiostro », senza alcun sospetto, « come il pettirosso sbadato
saltella di ramo in ramo » e non sa neppure immaginare i « panioni »
e il « cacciatore » nascosti, quand'ecco la colpì « come un romore di
voce non articolata >; « macchinalmente » levò la faccia e sogguardò
qua e là; « una chiamata misteriosa e cauta > la fece rivolgere a
un punto: « guardò più fissamente » e « i cenni che vide non le
lasciarono dubbio sull'intenzione di quella chiamata ».
Fermiamoci un po' e immaginiamo che, a questo punto, seguisse
la nota frase: « La sventurata rispose». Ogni analisi ulteriore del-
l'agitazion di Gertrude sarebbe, non che superflua, contraddittoria;
una situazione precisa ci si prospetterebbe dinanzi, proprio quella
della corrispondenza immediata, a cui s' abbandona, come sospinta
da una forza irresistibile, l'anima inquieta ed esacerbata di Gertrude
nemmeno trasferendola nella dipintura storica delle prime pagine, dove anzi condensò
la materia trattata nel luogo corrispondente del primo testo. Questo punto, per quanto
secondario, andava rilevato, avendo il Manzoni operato quel taglio, non perchè inten-
desse rifondere alcun che della nuova analisi storica nella descrizione iniziale, ma
perchè capì d'aver fatta una digressione vera e propria e del tutto soverchia. Ciò,
piuttosto, prova un'altra cosa; come, cioè, l'autore nella prima redazione dell'opera,
fosse tutto immerso nella storia del secolo che veniva dipingendo, e fosse dominato
dall'interpretazione etica di quella società, e dall' impressicne che ne riceveva, come
d'un secolo violento e sanguinario, al punto d'abbandonarsi a dissertarne di nuovo,
sul medesimo tono, quand'era ancora a poco più d'un terzo dell'opera.
(1) Sp. prora., pp. 237-9.
(2) Prom. sp., cap. X, p. 158.
348 PARTE TERZA
nell'ultima redazione del romanzo. Invece la minuta la prospettava
sotto ben altra luce.
« Il sentimento eh' ella provò in quel punto fu un terrore schietto
e forte: chinò tosto lo sguardo, fece un cipiglio severo e sprezzante,
e corse come a rifuggirsi » sotto il portico attiguo a quella casa;
quindi « tirando lunghesso il muro, rannicchiata e ristretta come se
fosse inseguita », giunse a una scaletta, salì nelle sue stanze « e vi
si chiuse, quasi per porsi in sicuro > (*). Come spiegare quest' at-
teggiamento dell'infelice, del quale non rimarrà neppur l'ombra
nella rinnovata dipintura del romanzo? Certamente esso è il riflesso
poetico d'una disposizione pietosa e simpatica del Manzoni verso la
singolare creatura della sua fantasia; ma soprattutto è il segno evi-
dente del modo com' egli, la prima volta, immaginò la genesi psi-
cologica di quella sciagurata passione. Gertrude — noi lo sappiamo —
non è una perversa di natura, ma piuttosto la vittima di una falsa
educazione e d'una perfida violenza; quel suo primo impulso di ter-
rore, quell'atteggiamento di sprezzante disapprovazione — nonché
accordare alle linee essenziali della figura psicologica — riflettevano
i suoi naturali sentimenti della vergogna e dell'orgoglio (unici forse
in lei) che più le nocquero nella lotta co' suoi tiranni: terrore e
disprezzo, a cui il Manzoni dava rilievo anche per la ragione, come
apparirà meglio fra poco, che aveva ormai disegnato nella sua mente
di rappresentare la colpa di Gertrude attraverso una lotta interiore,
ch'ella non seppe volgere al fine della propria salvezza.
Chiusa nella sua stanza, « fu assalita da una folla di pensieri » :
aveva ella dato motivo «all'arditezza di lui? » No, si sentì inno-
cente, e « se ne rallegrò ». Ma mentre detestava ciò che aveva ve-
duto, « se lo andava raffigurando e rimettendo nella immagina-
zione ». Certo, lo faceva per venir al chiaro ; se non che, intanto,
a furia di pensarci, si andava « famigliarizzando con quella imma-
gine, e diminuiva quel primo orrore e quella prima sorpresa ». Sì,
era la coscienza della sua innocenza che « le dava una certa sicurtà
a tornare su quelle immagini »; ma intanto s'abbandonava in balia
d'una « curiosità » pericolosa e « guardava senza rimorso e senza
precauzione una colpa che non era la sua » : si levò di là « stanca
di tanti pensieri». Noi già entriamo nel segreto intento dell'ana-
lizzatore acuto e pensoso, e prevediamo a che andrà a finire tutta
codesta preparazione psicologica. Se Gertrude avesse coltivato con
tutta la vigoria possibile del suo animo quelle prime affezioni d'or-
(1) Sp. prom., p. 239.
IL ROMAKZO IN FORMAZIONE 349
rore e di disprezzo, sarebbe stata salva. È il tormentio degli opposti
pensieri, sono le fluttuazioni e gli avvolgimenti della sua mente
inquieta, a cui non splende un' alta e pura luce morale, che così
in questo nuovo e più funesto cimento a cui la trascina il suo de-
stino, come già nella lunga impari lotta col padre, la ridurranno in
servitù di uno più forte e più iniquo di lei. Il poeta, mentre ac-
cresce l'ansia in noi per la sorte dell'infelice, ci fa già presentire
il non lontano trionfo del male. Che fece poi Gertrude? Che doveva
fare? Sottrarsi per sempre dallo sguardo insidioso del nuovo ne-
mico; denunziare l'empia temerità ai superiori. Non fece nulla di
ciò. Esitò alquanto tempo : la « curiosità » o — soggiungeva il
poeta con rapida intuizione — « qualche cosa di peggio > la voleva
indurre a ripassare il cortiletto per lanciar lassù uno sguardo... Ma .
a qual fine? Oh, solo «per saper meglio come regolarsi! » rispon-
deva a sé stessa : sofisma di mente curiosa e fantastica ! Se ne rav-
vide e prese la via del dormitorio per giungere nella stanza del-
l'educande. Ivi, « o fosse caso o un resto di quell'esitazione, ella
s'affacciò ad una finestra, che aveva dirimpetto appunto quei tetti,
vi guardò e vide » fermo in agguato, come prima, il « temerario ».
Ora crescono i turbamenti, cui non varrà a colmare nemmeno la
coscienza di riconoscersi innocente. Fuggì anche di lì, dicendo brevi
parole all'educande « con voce commossa ». Nel giardino del chio-
stro, ove scese a passeggiare, « stava peggio » di prima. Nuovi con-
trastanti pensieri e appassionate consulte! Avvertire i superiori?
E se si fosse ingannata? prima di parlare doveva esser certa !.. Era
sua colpa se quel monastero era piantato li vicino a quella casa?
« Così non foss'egli stato piantato in nessun angolo della terra! »
E in uno scatto d'insolita energia disse a sé stessa: «Vada come
sa andare io non voglio pensarvi ». Non pensarvi? con quella natura
debole e contraddittoria avrebbe dovuto sfuggir per sempre all' «as-
sedio dello scellerato Egidio », che « non rallentò ». Invece il primo
impulso d'orrore e sprezzo era fiaccato: ella accettò la lotta: e fu
la sua rovina; ecco dal disapprovare le « istanze » di colui, alle
dimostrazioni di « noncuranza », a quella più pericolosa di « tolle-
ranza » era breve il passo: dopo, in un'anima fragile, ardente, non
rassegnata alla sua sorte ineluttabile, poteva esserci ancor qualche
esitazione e contrasto, ma ella sarebbe caduta nella colpa. « Final-
mente dopo un doloroso combattimento si diede per vinta in cuor
(1) ima., pp. 239-40.
350 PARTE TERZA
SUO, e, con quei mezzi che lo scellerato aveva saputo trovare e
additarle, lo fece certo della sua infame vittoria » (^).
Ognuno intende, ormai, la differenza profonda tra la rappresenta-
zione di una resistenza che, se si fiacca all'ultimo, dura in un con-
trasto d'alternate passioni, e quel risponder pronto al primo appello
di Egidio. Che cosa rispose Gertrude? Parole di cortesia, di simpatia,
di consenso? Tanto è significativo l'atto, quanto è misterioso il
senso, lo spirito, la portata di esso. Ma potevano esser parole di di-
sapprovazione, come quelle che indoviniamo dagli accenni della
minuta? No, se guardiamo il nesso logico e psicologico, in cui la
minuta e l' ultima redazione, dopo il lungo divario ora osservato, si
congiungono per identità di situazione, se non di stile. Di fatto quel
che leggevasi dopo i segni d'assenso di Gertrude al suo tentatore:
« cessato il combattimento, la sventurata provò per un istante una
falsa gioia», s'è trasformato in queste parole, seguenti immediata-
mente alla famosa frase: « In que' primi momenti, provò una con-
tentezza non schietta al certo, ma viva ». Lo stesso avviamento d'a-
nima che s' abbandona alle lusinghe d'emozioni nuove e liete; gli
stessi effetti nel sentire e nell'agire di lei^ salvo lievi ritocchi di
figurazione, che nel primo testo era, come al solito, analitica ed al-
quanto accesa. ( — « Alla noia, alla svogliatezza, al rancore intimo,
succedeva tutto ad un tratto nel suo animo un'occupazione, forte,
gradita, continua, una vita potente si trasfondeva nel vuoto dei suoi
affetti. Gertrude ne fu come inebbriata » — ) ed è più sobria, ma non
meno robusta nell' ultimo ( — « Nel vóto uggioso dell' animo suo
s' era venuto a infondere un' occupazione forte, continua e direi quasi
una vita potente » — ).
Se non che la serie de' sentimenti e degli accidenti descritta
nella minuta, non che esser sottintesa, non è punto concepibile:
l'avvio alla passione peccaminosa è Io stesso; ma la preparazione
è profondamente diversa. Non nego che la valutazione compara-
tiva, che i critici vennero facendo tra le primitive pagine, analiz-
zanti le interne vicende per cui passa Gertrude prima di rispon-
dere al tentatore, e la frase: «La sventurata rispose», sia stata
destra e acuta e, sotto un certo rispetto, utile altresì all'intendimento
dell' arte manzoniana ; ma mi sia lecito osservare che la questione,
qualora miri a determinare la superiorità artistica ^dell' un passo
sull'altro, non può reggersi se non in quanto si tratti di rifacimento
stilistico, di procedimento più. profondo e più efficace nel figurare
(1) Ibid., pp. 240-1.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 351
un medesimo stato d' animo, di lineazione, dirò così, più risentita
di una data situazione, che, come l' avesse concepita il poeta nel
primitivo disegno, tale fosse rimasta nel romanzo.
Gli è invece che abbiamo due situazioni psicologiche diverse, due
modi diversi d'immaginare come ebbe cominciamento la colpa d'a-
more dell'infelice reclusa.
Nel romanzo Gertrude non sostiene combattimenti interni, non ha
sentimenti d'orrore, dì disapprovazione, propositi — per quanto ca-
duchi — di noncuranza, trapassi graduali alla tolleranza e da ultimo
alla condiscendenza: ella all'appello insinuante risponde, senza esi-
tazione, come attratta d'impeto in un cerchio magico. Fondamento
e preparazione a questo abbandono immediato sono i precedenti
psicologici, il disordine morale, o analizzati o drammatizzati nelle
pagine consacrate al racconto dell'adolescenza di lei e della prima
sua vita nel monastero. Quella frase è un passo de' piìi breviloquenti
che siano nel romanzo: lapidario nella sua semplicità, contenuto,
vibrato, conclusivo nella sua concinnità; se ne riceve l'impressione
come d' un lampeggiamento tanto vasto e abbagliante quanto rapido
e fugace. Non c'è che un epiteto « la sventurata » ; ma non scolpisce,
non colorisce un moto, un atto, un sentimento, un pensiero di lei,
giacche è, piuttosto, l'eco riflessa della commiserazione grave del
poeta. Frase nuda, quasi scheletrica; epigrammatica, senza colore,
senz' ombra e luci, in cui aliti la pena dell'anima, ma che tuttavia
conquide per la pienezza di realtà ond' è materiata, per il fulmineo
avanzare verso la catastrofe, senza svolgimento o contrasto, di quel
breve dramma della seduzione.
Taluni critici hanno insistito anche troppo sul modo restrittivo
con cui il Manzoni significò i primi passi di Gertrude nella colpa,
suir eliminazione assoluta eh' ei venne facendo d'ogni elemento rap-
presentativo della passione amorosa, poiché hanno riguardato quel
« rapido e asciutto » : « La sventurata rispose » come il residuo sin-
tetico della più lunga storia interna descritta nella minuta. Che essa
non significhi neppur in ombra i « principi » dell'amore quali al-
meno sono analizzati nella prima redazione, è un'impressione che
viene spontanea se la si confronti con la descrizione primitiva: ma
che rispetto a questa sia come il risultato di un processo di corre-
zione e attenuazione, imposto al Manzoni dalla sua stessa teoria pro-
fessata nella « Digressione sull'amore», io non convengo. Ecco ap-
punto lo Zumbini spiegare il fatto del mutamento dall'una all'altra
stesura pensando che da principio « con quegli accenni, rapidi e
quasi fuggitivi, all' amore di Gertrude » dovè parere al Manzoni di
352 PARTE TERZA
«rimaner fedele ai suoi rigorosi concetti etici», ma che poi « dovè
persuadersi » che fosse ancor troppo ciò che aveva scritto nella mi-
nuta; onde «nuove eliminazioni e nuove correzioni e sempre in
omaggio a quegli stessi criteri etici per cui erano state fatte le
prime » (^).
10 penso, al contrario, che il Manzoni ritenesse di aver poco o
male applicati e interpretati, nella prima analisi della colpevole pas-
sione di Gertrude, i criteri etici esposti fin da quando gli si affac-
ciò il problema se doveva descrivere il nascimento e i progressi del
puro amore de' due promessi, perchè è difficilmente ammissibile che
uno scrittore della logica e della dirittura del Manzoni, dopo aver
espresso a chiare note una sua dottrina che è come la rivelazione
de' suoi intenti e procedimenti artistici rispetto ad una speciale ma-
teria d'arte, se ne dilungasse nel fatto e poi, correggendosi, venisse
a confessare a sé stesso di non averla fedelmente osservata. E sa-
rebbe anche più grave il trascorso del poeta, secondo l' interpreta-
zione data dai critici a quelle parole eh' egli esciva a dire in un
punto della descrizione: « Il nostro manoscritto segue qui con lun-
ghi particolari il progresso dei falli di Geltrude ; noi saltiamo tutti
questi particolari e diremo soltanto ciò che è necessario a fare in-
tendere in che abisso ella fosse caduta e a motivare gli orribili ec-
cessi d' un altro genere, ai quali la trascinò la sua caduta » (*).
Protesta « tardiva » — dice lo Zumbini — « quando già aveva de-
scritto i primi e i piìi potenti effetti dell'amore » e soggiunge che
« i salti che il Manzoni disse di dover fare, qui non li fece » e che
insomma « in quei rapidi tocchi, c'è quanto basta per farci assiste-
re, non veramente alle « comunicazioni » dell'amore (oh, questo no !),
ma certo ai « principi » e agli « aumenti » che, pure secondo il con-
cetto manzoniano, andavano scartati » (^).
Più. drittamente mostra di pensare il D' Ovidio lasciando inten-
dere, di passata, che contraddizione non ci fosse tra la « digressione
sull'amore » e l'analisi della prima stesura; nella quale ei non trova
«nemmeno i «principi» della passione amorosa» {*).
11 fatto è che il Manzoni a buon diritto poteva asserire di aver
saltati e di esser per saltare i « particolari » della sciagurata tresca
(1) B. Zumbini, L'episodio della monaca di Monza nella prima minuta dei Pro-
messi sposi, nella Misceli, di Scritti di storia di filologia e d'arte, per nozze Fedele-De
Fabritiis, Napoli, Ricciardi, 1908, p. 269.
(2) Sp. prom., p. 241.
(3) Scritto cit., pp. 267-8.
(4) Nuovi st. nianz. cit., p. 480.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 353
di Gertrude; che s'attenne, senza contraddirsi, ai canoni della sua
dottrina nella rappresentazione artistica dell' amore, descrivendo,
così nella minuta come nel romanzo, solo ciò eh' era necessario a
intendere la rovinosa caduta di quella disgraziata ; e che se un cri-
terio morale, espressamente dichiarato, governò e contenne l'analisi
de' primi combattimenti e della funesta dedizione nella prima ste-
sura, è stato piuttosto un criterio estetico quello che suggerì al
poeta di tagliarla via per sostituirvi la frase famosa.
)4 E stata, non dico — come valenti studiosi hanno asserito — 1' e-
sigenza di ridurre e di coordinare, che per vero dire quelle appena
quattro pagine non avrebbero nociuto alla proporzione e all'armonia
dell' episodio (*), ma l' intuizione nuova che del carattere del suo
personaggio e di quella situazione particolare ebbe il poeta, rimedi-
tando il suo lavoro, e che dovè parergli più rispondente a quel pro-
cedimento di compostezza, di temperanza, di serenità artistica, con
cui era venuto rinnovando e si preparava a rinnovare tutto l'episodio.
La frase mirabile non sintetizza, come s'è sentito dire più volte
nella discussione intorno ai Brani Inediti, l'analisi della prima re-
dazione: il radicale mutamento di disegno, di condotta, di stile è
dipeso dalla diversa concezione morale e dalla diversa attitudine
psicologica ed artistica del poeta nel rimeditare quella situazione
della creatura immortale della sua fantasia.
Gertrude certamente non è la stessa nelle due redazioni e ad
osservarne la lotta e i patimenti ch'ella sostiene prima di darsi per
vinta al colpevole amore, può apparire, come parve allo Zumbini,
« moralmente migliore » e « più drammatica » (*) nella prima che
nella seconda. Se non che avviene subito di domandarci : è possi-
bile che il Manzoni, il cui studio è stato finora, nella rielaborazione
- dell'episodio, di presentar l'infelice in un aspetto più decorosamente
morale e più altamente poetico, abbia inteso, in questo punto, ad
oscurare anche quel po' di virtù e di nobiltà che, secondo il giu-
dizio dell' insigne critico calabrese, splendeva ancora nella primitiva
figura della sventurata ? 0 non dovette piuttosto il Manzoni sentirsi
sollecitato dalla cura contraria? E dove gli paresse non fosse luogo
a pietà nell'analisi della minuta, cercasse di suscitarla col creare
(1) È un'obiezione che può servire anche a que' critici i quali in questo come in
altri mutamenti dell'episodio monzasco hanno scorto l'influsso di scrupoli morali e
religiosi, e, perfino, di consigli altrui. Per me, al contrario, essa ha valore solo in
quanto solleciti, lo studioso ad approfondire l'indagine delle ragioni artistiche de'
mutamenti operati.
(2) Scritto CU., p. 268.
Busetto — 23
354 PARTE TERZA
una situazione più delicata, più densa di mistero, più dolorosamente
tragica ?
E vero che in quella descrizione Gertrude ha un primo moto di
sorpresa sdegnosa e di schietto orrore pel giovane temerario; ma
ne' dibattiti de' suoi sentimenti e pensieri rivela una fantasiosa sen-
sibilità, una sofìstica curiosità, un dispettoso orgoglio, che sono
propriamente i caratteri, già da me analizzati, di quel suo tempe-
ramento quale il Manzoni con certa crudezza di linee e di toni aveva
ritratto nella prima stesura. Quegli stessi combattimenti dell'anima
agitata da opposte passioni, quel primo proposito, forse non molto
sicuro, ma insistente, di ritrarre il pensiero da ciò eh' aveva veduto
e sentito, di sfuggire alle insidie, danno l'impressione ch'ella può
durar nella lotta e vincerla, purché secondi con vigore i primi
buoni impulsi della coscienza. Per contro, in quel digradare dalla
disapprovazione alla noncuranza sforzata, da questa alla tolleranza,
e finalmente al consentimento, si manifesta tutta la contaddittoria
e fragile natura di Gertrude e il gran vuoto ch'era nella sua co-
scienza morale. Poiché si tenga ben presente che — o non ci sia
riuscito r artista psicologo o non l' abbia voluto — dall' analisi
fatta non traspare che un' inquietitudine scomposta, non già palpiti
e fremiti di una passione, che cresca e divampi, e piuttosto l'on-
deggiar d'una volontà torbida e fiacca che il turbamento profondo
d'una coscienza.
E guardatela quando tira in campo il monastero e lo maledice,
e quando cerca di persuadersi a guardare verso 1' abbaino se colui
sia ancora là in agguato, col pretesto di potersi, poi, regolar meglio,
e ricalcitra, pel dubbio (ma poteva esservi più dubbio?) d'essersi
ingannata, dal buon consiglio, che le si « presentava » pur « come un
dovere >, di denunziar l'accaduto a chi l'avrebbe potuto proteggere
e liberare da ogni fastidio. Chi non scorge in codesti suoi atteggia-
menti un'ombra di volgare e sofistica debolezza? Io, dunque, non
trovo nulla, nella rappresentazione della minuta, che raffiguri una
migliore moralità del personaggio. E neppure un più vivo carattere
drammatico. Tutto sta intendersi su ciò che sia e che valga esteti-
camente l'essenza del dramma.
Se è dramma vero e profondo non il patetico fluttuar de' senti-
menti leggeri e fiacchi, non l'aggirarsi dello spirito fra immagina-
zioni e impressioni confuse, che turbino la mente più che sconvolgere
il cuore o la coscienza, ma il tumultuar tempestoso degli affetti e
delle passioni in contrasto o il tra volgimento ed offuscamento di
un'anima, cui trabalza dalla quiete all'affanno, dall'innocenza alla
IL ROMANZO IX FORMAZIONE 355
colpa il malig-no istinto invincibile o il fato inesorabile, allora io
non deduco dalla primitiva analisi manzoniana alcun senso di alta
tragedia.
E c'è del vero — se si tolga qualcosa di sottilmente esagerato
o di crudo — nel giudizio che di recente ne ha dato lo Scarano,
al quale è parso che essa « abbia la dote della perfetta regolarità »
e che « il processo de' fatti psicologici segua troppo l'ordine lo-
gico ». Giustamente e bellamente egli si chiede: « dove i pensieri
dolci e il molto desìo che menarono costei al passo deUa colpa?
ove le incertezze, le fluttuazioni, le trepide attese, i proponimenti
fatti e disfatti, la prepotenza de' fantasmi lusinghieri, lo scoppio
della passione? » (^). Non direi, però, che in Gertrude «abbiamo!
sentimenti tipici, la logica de' sentimenti, non i sentimenti in atto »,
ne pretenderei di trovare rappresentata fin dal primo abbozzo « una
lotta tra la ragione o il dovere e l'istinto prepotente della sua na-
tura amorosa, nutrita d' immagini seduttrici » (*), perchè non si
tratta tanto di schemi tipici o logici, quanto di scarso sviluppo
d'analisi, e perchè, infine, ogni autore bisogna accettarlo e valutarlo
per quello che è, ovverosia per quello che si è proposto di dire
secondo la natura e i modi della sua tempra e della sua arte; ond'è
vano far colpa al Manzoni di non aver figurata « la fiumana rapi-
nosa della voluttà » quand'egli — sia che affisi lo sguardo sull' a-
more puro di Lucia o sulla passione peccaminosa di Gertrude, sia
che ne dia la rappresentazione per analisi o per sintesi — non ne
traccerà che le linee essenziali con vigorosa idealizzazione della
realtà, e nelle lucide forme della sua arte sobria e decorosa non
svelerà dell'una se non la delicata umanità e dell'altra il tragico
afi'anno.
Tornando al confronto della descrizione della prima stesura con
la nuova rappresentazione rapida e concisa del romanzo, non solo
possiamo dire che il Manzoni non ha inteso di raccogliere in co-
desta con vigore sintetico l'analisi primitiva, ma altresì che Gertrude
ne è uscita moralmente migliore ed esteticamente più compiuta e
luminosa.
Il Manzoni ha risentito, con intuizione mirabile e tutta nuova,
l'insorgere di un'umanità ardente e folle nel cuore e ne' sensi della
misera, appena la toccasse il malefico fascino dell' amore e della
colpa. È appunto per rendere con immediatezza artistica il prorom-
(1) Scritto CU., p. 465.
(2) Ivi.
356 PARTE TERZA
pere della natura maldoma che ha posti l'un di fronte all'altra, con
viva azione drammatica, senza alcun processo psicologico, la donna
e il suo tentatore. Egli osò rivolgerle il discorso ed ella rispose ; in
questo breve giro di parole, dove non e' è che il fatto subitaneo,
fulmineo, il poeta ha significato il rapimento irrefrenabile dell'ani-
ma inquieta e fantasiosa^ che, giovinetta, pochi anni innanzi con-
dotta per breve tempo nel bel mezzo della splendida vita mondana,
si sentiva tutta presa da « un'ebbrezza », da « un ardor tale di vi-
ver lieto » da giurare a sé stessa di soffrire tutti i patimenti pur
di sfuggire al chiostro. É quella medesima « ebbrezza » che la e-
salta e conquide all' apparire d' un' immagine di quello splendido
mondo. Chi è Egidio per la deserta anima di Gertrude ? É appunto
una sembianza di ciò che più brillantemente aveva arriso alla sua
fantasia di fanciulla, di ciò ch'ella aveva contemplato con gli occhi
ebri di desiderio nel forzato addio ai beni del mondo. Il sorriso
procace, lo sguardo carezzevole, la parola amica di quel profano,
che d' improvviso appare tra le ombre fredde e fastidiose della vita
claustrale, l'attraggono, l' inebbriano ; né l'esser ormai monaca per
sempre la perturba o la fa esitare, perché in lei è cresciuto, con
r amara esperienza, 1' orrore del chiostro, perchè il conforto della
fede o il severo richiamo alla religione non hanno presa nella sua
anima inaridita.
« La sventurata rispose > : ecco una di quelle sintesi semplici e
pur dense di spiritualità che segnano il rapido sopravvenire della
catastrofe di un dramma lungo e intenso: di quel dramma che fu
la fanciullezza di Gertrude, martoriata e trascinata all'infausto sa-
crifizio, e la vita vissuta poi entro le squallide mura del monastero,
tra ii rovello, l'odio e la sregolata svagatezza d'effimeri tripudi.
Nell'apparizione di Egidio risorge con la potente attrattiva della
realtà concreta e della giovinezza audace il mondo tante volte va-
gheggiato: da questa attrazione magica alla colpa non sarà lungo
il passo. Il Manzoni rimutando radicalmente la situazione psicologica
e drammatica dell' innamoramento di Gertrude, ha sollevato questa
immortale creatura della sua fantasia tra le figure più tragiche della
letteratura antica e moderna; e v' è riuscito con una semplicità di
mezzi, che è il segreto della grande arte classica.
Gertrude porta in sé il germe della passione irresistibile: tocco,
come da fugace alito primaverile, dallo sguardo pensosamente af-
fettuoso d' un povero paggio, si schiude quasi a una prima tenera
vita ; avvampato dalle fiamme d' un allettamento più audace e ga-
gliardo, scoppia con la virulenza de' fremiti latenti. Questo intese
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 357
il Manzoni, spìngendo lo sguardo con rinvigorito acume in quel-
l'anima, e al nuovo fantasma poetico die vita in quella grande e
semplice frase.
' *
* *
IX. Nel seguito del racconto le differenze dalla prima all' ultima j^\
redazione si accentuano in modo che, pel disegno, la condotta della
narrazione, il carattere de' personaggi, ci par di trovarci dinanzi a
due forme d'arte, se non essenzialmente opposte nell' intima ispira-
zione romantica, certo spiccatamente diverse nella concezione delle 1
singole parti e ne' modi dell' analisi psicologica e della rappresen- J
tazione.
Fanno impressione i tagli profondi operati dal poeta nel processo
d'elaborazione, l'eliminazione d'alcuni personaggi e d'alcune scene
di grande rilievo, la riduzione a figura appena lineata di scorcio,
e relegata sullo sfondo scenico, di queir Egidio, che nella prima
costruzione del grandioso episodio campeggiava in tratti pieni e forti,
nel bel mezzo della scena; onde non possiamo fare a meno di do-
mandarci : ma perchè il Manzoni, che nel corso di tutto il romanzo
più volte s' è mostrato consapevole e preoccupato di narrazioni e di
meditazioni, che gli pareva troppo si dilungassero dalla trama so-
stanziale della sua « storia », ha speso tanto studio d'analisi e tanta
energia di sceneggiamenti vivaci attorno non solo alla figura di
Gertrude, ma a quella del suo tristo amante e delle due converse,
a lei unite nella colpa e nel delitto? E perchè e per quali nuovi
atteggiamenti di pensiero e ragioni d' arte ha così profondamente
rimutato il primitivo disegno, che — chi conosca la dirittura e la
lucidità della sua mente — doveva essere stato da lui ben meditato
ne' motivi etici e religiosi, non effimeri o superficiali in una co-
scienza come la sua, e negli effetti dell'arte? A queste gravi do-
mande che, quando si conobbero le pagine inedite nell'edizione
sforzesca, hanno assillato l'intelletto critico di tanti valentuomini,
cercherò di dare anch' io un' adeguata risposta. Per arrivare alla
quale, devo intanto riprendere in esame la minuta e le successive
elaborazioni.
L' innammoramento di Gertrude e il suo mutato contegno erano
scrutati e ritratti, nella prima stesura, con un'attitudine morale e
psicologica, di cui non trbviamo che lievi tracce nel romanzo. Poco
diceva il Manzoni del crescere della sciagurata passione di lei e del
modo come giunse alla colpa ; ma in queir atteggiarla intesa a con-
358 PARTE TERZA
templare «l'avvenire come piano e delizioso », in queir accennare
ai « momenti della giornata spesi » nella nuova occupazione « forte,
gradita, continua », tutta piena di una potente vitalità affettiva, in
quel figurarla raccolta a « pensare a quelli, ad aspettarli, a prepa-
rarli » cullandosi nell' illusione di un' « esistenza beata che non la-
scerebbe né cure, né desideri » in quel tratto, infine, ov'era detto
che « r accecamento di Geltrude e le insidie di Egidio s' avanza-
vano di pari passo al punto che il muro divisorio non lo fu più
che di nome » (*), in tutto ciò abbiamo qualcosa dì più del tipo o
dello schema, qualche linea di psicologia femminile che, ripulita,
affinata e alleggerita del superfluo e del prolisso, avrebbe potuto,
con la consueta sobrietà manzoniana, caratterizzare il graduale svi-
luppo di quell'accecante amore.
Ma fin da codesti primi tratti noi intravediamo il motivo senti-
mentale che s' é trasfigurato e attuato nella dipintura della passione
di Gertrude e nelle scene di sangue e di terrore, in cui spiccano
Egidio e le sue complici: motivo d'arte, la cui genesi alla fin fine
si risolve nella disposizione etica del poeta durante il primo con-
cepimento e disegno della fosca e truce materia.
Quale fosse codesta disposizione di fronte al mondo ch'ei veniva
creando sulle orme della storia e a specchio dell'eterna realtà umana,
abbiamo già veduto ragionando delle sue idee morali nella prima
parte di questo lavoro: l'esame particolareggiato della minuta viene
via via confermando le nostre premesse.
Un severo giudizio, ovverosia una dolorosa concezione pessimi-
stica della storia e dell'uomo governa i truci episodi, che dovremo
ora analizzare: giudizio non così occulto che non si riveli di tanto
in tanto in aperti atteggiamenti fieramente pensosi o sentenziosi
dell' autore (*), ma che anche più spiccatamente s' afferma nell' aver
segnalato con uno studio ed un'eloquenza non consueta il risveglio
de' peggiori istinti dì Gertrude e il pervertimento morale e intellet-
tuale in lei operato da Egidio, Erano nella minuta certi tratti che in-
foscavano il ritratto della sciagurata: « Tutte le inclinazioni viziose,
che vi erano come addormentate^ sì risvegliarono più forti e più
adulte e a tutte queste s'aggiunse l'ipocrisia» (^): dì che nell'ul-
tima redazione non é rimasta che una nota fugace e lieve laddove
il poeta, a proposito del rallegrarsi delle suore pel nuovo contegno
(1) Sp. prom., p. 242.
(2) Ivi.
(3) Ivi.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 359
regolare e manieroso di Gertrude, dice che erano lontane dal com-
prendere che « quella nuova virtù non era altro che ipocrisia ag-
giunta all' antiche magnagne » (*).
Ma quella finzione non poteva durare ed ecco ripullulare i « soliti
dispetti » e i « soliti capricci», « le imprecazioni e gli scherni con-
tro la prigione claustrale e talvolta espressi in un linguaggio inso-
lito in quel luogo, e anche in quella bocca » : ma ecco altresì seguire
a quegli sfoghi i pentimenti e le « moine » e le « buone parole »
per far dimenticare gli accessi di collera (^). Così leggiamo ora
nel romanzo, e, affisando lo sguardo a traverso i fitti veli che il
poeta avvolge attorno alla colpevole, inseguiamo sì col nostro tre-
pido pensiero gli avanzamenti dell' empia tresca e gì' impronti effetti
morali della contaminazione, ma quante ombre s'addensano su quelle
poche righe! con quanta cura tenta il poeta di distrarci dalla ri-
flessione del fallo e delle sue circostanze per occuparci tutto l'animo
nella visione della misera peccatrice, aggirantesi dispettosa e triste
nel piccolo mondo del monastero !
È evidente l'apprensione del magnanimo scrittore, che vuole salva
la verità sacra della storia nel tempo stesso che aff'rena l' ingegno
nella pittura di quell'animo, pervertito da un impuro amore: egli,
dibattuto tra la brutta realtà e la morale, non trova altro modo di
conciliarle che temprando l' una e l' altra all' intimo fuoco di quella
pietà che gli arde nella sua pensosa coscienza cristiana. In quel-
l'incessante vicenda di collere e di pentimenti, tracciati con agile
mano senza particolari e con grande potenza sintetica di fantasia,
la colpevole si ricompone ai nostri occhi in una figura d'alta tra-
gedia, che vagola inquieta, convulsa, inseguita sempre dall'ombra
del suo peccato.
Nella minuta Gertrude aveva un'altra sembianza, e il poeta ne
studiava l' anima con altro intento e arte diversa. « Quando all' 60*6110
naturale del fallo — vi si leggeva — si aggiunse la scuola viva e
diretta dello scellerato giovane, ognuno può immaginarsi quali diven-
tassero le idee di Geltrude. Tutto ciò che era dovere, pietà, morigera-
tezza era già da gran tempo associato nella sua mente alla violenza
ed alla perfidia, ed aveva un lato odioso e sospetto: i ragionamenti che
tendevano a mostrare che tutto ciò era una invenzione dell'astu-
zia, un' arte per godere a spese altrui, accolti dal cuore e presentati
dall'intelletto, furono ricevuti in essi come amici savi e sinceri... ».
(1) Prom. sp., cap. X, p. 159.
(2) Ivi.
360 PARTE TERZA
A scorgere la fallacia delle lusingatrici « teorie del vizio » Gertrude
non aveva, come sarebbe stato necessario, né « una meditazione po-
tente > né « un sentimento retto », onde « fu una docile e cieca di-
scepola e ricevè e conobbe tutte » « le idee generali di perversità »
che il suo seduttore le instillava. Intanto « aveva a poco a poco
trasandate quelle cure di apparente regolarità che si era prescritte:
la licenza a cui s' era abbandonata le rendeva più insopportabile
ogni contegno; e così si rilasciò tanto che negli atti e nei discorsi
divenne più libera e più irregolare di prima. Insieme a quelle cure
cominciò senza avvedersene a trascurare anche le precauzioni, che
aveva da prima messe in opera, per nascondere quello che tanto
le importava di nascondere > (*). Notate: «inclinazioni viziose»,
«sentimento» non «retto», insofferenza d'ogni « contegno », srego-
latezza crescente, abbandono d' ogni precauzione e quello scetticismo
cinico che rende amaro e torvo l'animo di Gertrude, infastidito e
sospettoso perfino della virtù altrui e più aizzato a odiare il dovere,
la pietà, la morigeratezza dai diabolici insegnamenti di Egidio: è
un'analisi cupa e spietata, che l'austera coscienza del moralista detta
al poeta, imprimendo all'accento, all'epiteto, al giudizio un' appas-
sionatezza amara e dogliosa : riflesso artistico di quella comprensione
profonda e severa del male che informa tante pagine della Morale
cattolica e le due tragedie e che non ha ancora trovate le forme
benigne e serene della sorridente pietà, onde splendono rinnovati
di spirito e d' arte i Promessi sposi.
Dove in questi 1' autore, frenando il giudizio morale, lascia nel-
r ombra i segreti motivi de' mutamenti d'umore e di contegno della
signora, nella minuta li persegue e li svela con spirito inquisitorio
e, mentre in essi ne risolve in un ritratto, perfetto per sapiente ar-
monia d' ombre e di luci, l' occulta inquietitudine che ora s'ammanta
d'apparenze benigne e tranquille, ora si sferra in isfoghi sinistri,
ma poi, paurosa di scoprirsi nel suo vero essere, riprende la ma-
schera dell' ostentata mitezza, nella minuta, invece, v' ha tutT;' altro
processo psicologico, nel quale è scolpito con minore finezza, ma
con eguale gagliardia, il digradar dell' anima, accecata dalla pas-
sione, sino alla sfrenatezza.
Son due profili morali, colti e fissati con differente sguardo : non
per diseguale vigore di penetrazione psicologica, ma per diversa
disposizione morale.
(1) Sp. prom., pp. 242-3.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 361
Indagare il pervertimento, in cui s'offusca e s' abietta colei che
alla sua sventura non sapeva trovar lenimento e pace ne' divini con-
forti della religione; smascherare i funesti cavilli, che l'intelletto
unicamente perverso offre a giustificazione della colpa ; additare gli
eccessi a cui trasporta una passione morbosa : con quest' animo d' a-
nalizzatore lucido e severo il Manzoni veniva preparando le scene
tragiche, che, rifacendo il romanzo, soppresse. L'agitava una fiera
moralità, un acuto orrore della tristizia umana, insieme col desiderio
di destarlo in altrui: guardava, già nel primo disegno, dall'alto
della dottrina e della fede cattolica, ma per ammonire con austero
dolore che all' infuori di esse non e' è salvezza ; ne' Promessi sposi,
fermo in quella religione, eh' è per lui l' unica e vera fonte della
moralità umana, ricontempla la creatura uscita dalla sua concezione
morale di quel che sono e producono gì' istinti e le passioni, sottratti
alla disciplina della sana volontà e della fede costante ; quel caso,
queir esempio di pervertimento, eh' egli aveva tratto dalla storia
ad illustrazione di una verità morale e della corruttela di un secolo
giudicato barbaro e delittuoso, gli riappare, dirò cosi, sostanziato
dell' universale miseria della nostra natura, onde si fa e si svolge
la storia umana ; scorge nella tragedia morale di Gertrude il segno
di una vasta tragedia in cui l'umanità si dibatte, tra gl'impeti
delle passioni, i deliri dell'orgoglio intellettuale, le sopraffazioni
dell' iniquità sui deboli e i pavidi ; e allora dalle altezze di quella
morale religiosa donde guarda il suo mondo, attinge una pietosa
mestizia, una larga e più benigna capacità di comprensione del
male. L'aneddoto, l'episodio, il bozzetto, la scena cupamente pit-
toresca si dissolvono nel chiaro e sereno lume della nuova fan-
tasia, al fuoco purificatore di codesta più profonda e più pensosa
coscienza de' tralignamenti umani; sopra e oltre il ciclo storico di
quella società italiana del Seicento, entro cui s' aggirava la prima
volta che si mise a costruire il suo mondo con passione di storico
moralista^ il poeta inalza e dilata lo spirito per foggiare a specchio
di queir età storica prescelti caratteri universali e rappresentazioni
materiate di verità e d'umanità, che superano i confini, lo spirito,
il costume d' un secolo.
Perchè e a che fine conservare, in questa più tranquilla e più alta
disposizione di spirito, l'analisi di quel pervertimento «a cui l' igno-
ranza e r irreflessione di quei tempi permetteva d' arrivare » (.*) il
racconto dell' abbominevole associazione alla tresca delle due suore
(]) Ivi.
362 PARTE TERZA
addette alla signora, la scena dell' uccisione della conversa, la
descrizione dell' operazione fatta per togliere ogni traccia del delitto,
la dipintura del freddo spavento che incombe sulle tre sciagurate
dopo il misfatto, e delle loro consulte, il colloquio di Gertrude con
Egidio, che vuole il sacrifizio di Lucia?
Di tutto ciò non è rimasto nel romanzo quasi nulla, se si tolga
quel fulmineo accenno all' orrenda verità circa la scomparsa della
conversa : « e forse se ne sarebbe potuto saper di piti, se, invece di
cercar lontano, si fosse scavato vicino» (*), e quella svelta e ga-
gliarda rappresentazione de' terrori di Gertrude, assediata dalla larva
dell'uccisa, che esamineremo fra poco, e infine, quell'eco vaga e
fugace del truce delitto che risuona lontano da questo punto del
racconto, là dove, detto che Egidio, richiesto d' aiuto dall'Innomi-
nato per rapire Lucia, pensa di valersi senz'altro della complicità
di Gertrude, il Manzoni soggiunge « Noi ab])iamo riferito come la
sciagurata signora desse una volta retta alle sue parole ; e il lettore
può aver inteso che quella volta non fu l'ultima, non fu che un
primo passo in una strada d' abbominazione e di sangue » (^)
Non mi pare che dai critici, che s' occuparono de' Brani inediti,
sia stato rilevato convenientemente l'intimo nesso che la soppres-
sione delle fosche scene sumentovate ha col rimutamento profondo
a cui il Manzoni sottopose, come abbiam visto, la descrizione del-
l'innamoramento di Gertrude e il ritratto della sua anima pervertita.
Sollevata la figura della colpevole dallo stato d'abiezione e di
volgarità in cui l' aveva descritta nella prima stesura, circonfusa la
passione di lei d'ombre e di pudico mistero, fatto silenzio sulle arti
sottili, onde il tristo amante l'ammaestrava a sprezzare la virtù, il
pudore e la sfrenava alla licenza, i romanzeschi episodi che dovevano
servire a presentare in viva e manifesta azione l' animo accecato
dalla passione e rotto ai misfatti, non potevano più sostenersi.
È stata r intima revisione morale di quel!' anima, non so se più
sventurata o più colpevole, è stata, cioè, la nuova energia idealiz-
zatrice della realtà, onde il poeta ha ricomposta e riatteggiata tutta
la materia del romanzo, attingendola da una concezione religiosa
più indulgente e più serena e da un'interpretazione più libera e più
vasta della particolare storia d'un secolo; è stato insomma un più
vivido senso d' umanità, capace d'abbracciare, senza orrore fremente,
anche il male e di comprenderlo e di coglierne con etica sobrietà
(1) Prom. sp., cap. X, pp. 259-60.
(2) Prorn. sp., cap. XX, p, 293.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 363
la sintesi tragica, che ha rinnovato, di conseguenza, la genesi
poetica e la rappresentazione artistica di tutto l'episodio monzasco.
Il Manzoni, quando veniva narrando i casi di Gertrude, era
dominato da due sentimenti : da un profondo stupore e orrore, che
gli faceva lo spettacolo del Seicento italiano, quale a lui s'era
rivelato attraverso un' indagine incompiuta de' documenti e delle
testimonianze, e da un'austerità etica che conferiva al giudizio la
voce dell' ammonitore, alla realtà osservata e rappresentata il valore
d'esempio solenne; che è a quanto dire storicismo e moralismo
governavano la creazione artistica, non senza danno di quella eterna
umanità che si esprime nella vera e grande poesia.
A riprova di ciò esaminiamo gli ormai famosi episodi della pri-
ma stesura. Sentite il tono di chi vuol narrare una vera storia di
corruzione sempre piìi abbominevole: « Non andò molto che il maestro
ebbe a domandarle o ad imporle nuovi passi nella carriera ch'ella
aveva intrapresa» (*). Le due suore dalla trascuranza d'ogni precau-
zione di Gertrude ebbero qualche sospetto : Gertrude, accortasene,
« tutta atterrita comunicò la sua scoperta a colui eh' era il suo solo
consigliere > ; pur lui «atterrito » ma assai meno di lei, né così da non
saper disegnar « freddamente » un riparo, « coltivò il terrore di
quella poveretta, le fece tanta paura del male che nessun rimedio
le paresse troppo doloroso: e finalmente propose di render partecipi
del segreto e di associare alla colpa le due che la sospettavano ».
L'astuzia, il potente fascino dell'amore, le malsane «dottrine»
ch'egli adoperò indussero la misera a trasfondere « prudentemente, a
gradi a gradi nelle menti delle due suore il pervertimento ch'era
necessario, per renderle sue complici, e consumò il proprio avvili-
mento nella loro colpa ». Quale ne poteva essere la conseguenza
morale ? Che, « venuta in questo fondo, la sventurata perdette con
ogni dignità ogni ritegno, e, agguerrita contro ogni pudore^ si
trovò disposta ad agguerrirsi ad ogni attentato » (j^). Così di colpa
in colpa Gertrude s'avvia al delitto. Il meditato disegno, la chiara
intenzione di trattarne in una compiuta rappresentazione rivolta ad
alto significato morale ha una riprova nel fatto che, conforme al
metodo usato nel preparare la narrazione di qualche grande avve-
nimento morale (corne, ad esempio, il colloquio di fra Cristoforo con
don Rodrigo, il voto di Lucia, la conversione dell'Innominato), il
Manzoni anche a questa, cui stava per accingersi, mandava innanzi
(1) Sp. prom.i loc. cit.
(2) Sp. prom., pp. 243-4.
364 PARTE TERZA
un'analisi psicologica viva ed acuta, per segnalare nel progressivo
pervertimento della sciagurata i motiyi della prossima scena di san-
gue e della sua indiretta partecipazione. Codesta analisi, anche se è
sommaria come comportavano l' ardua materia e la norma impostasi
dal poeta nella dipintura dell'amore e delle passioni sensuali, rivela
il movente ascetico del moralista nel tratteggiare le triste figure
del quadro, come s'intende da quelle parole che hanno il tuono
biblico e il furore austero della sacra oratoria : « L' albero della
scienza aveva maturato un frutto amaro e schifoso, ma Geltrude
aveva la passione nell' animo e il serpente al fianco ; e lo colse > (*).
Detto frettolosamente come una di quelle due suore avesse con-
fidato il suo sospetto ad una terza e questa, incuriosita, non cessasse
dallo spiare il vero, anche quando 1' altra, divenuta complice della
tresca, disdisse ogni cosa, e come un giorno la curiosa, villanamente
aspreggiata dalla signora, minacciasse una denunzia ai superiori,
il Manzoni descrive « l' orrenda consulta « delle « tre sciagurate > e
del « loro infernale consigliero » sul « modo d' imporre silenzio alla
suora » .
Egli propose freddamente ed esse, dopo una vana resistenza, ac-
consentirono (^). Gertrude, piti che scellerata, era un'anima fragile e
inquieta. Com'è che si determina al truce delitto? Nel romanzo fitte
tenebre avvolgono la parte ch'ella avesse potuto avervi e il modo
come fu consumato. La minuta discopriva i precedenti e lo svolgi-
mento del fatto e preparava, così, ad intendere il terrore e 1' angoscia
di lei, che pur nell'ultima redazione sono descritti, dopo il misfatto.
« Fece più resistenza delle altre, protestò più volte che era pronta
a tutto soffrire piuttosto che dar mano ad una tanta scelleratezza ;
ma finalmente, vinta dalle istanze di Egidio e delle due, e nello
stesso tempo dal suo terrore», mise come condizione di non prendervi
parte diretta: « transazione » con cui « si sforzò di fingere a sé stessa
che sarebbe men rea > ('). La suora confidente della designata alla
morte tornò un giorno a riaccenderle i sospetti e la curiosità ; non
volendo, a studio, intrattenersi a dirle di più, le propose di venir
la notte nella sua cella dove le avrebbe parlato più a lungo e forse
fatto veder «qualche cosa». «La meschina cadde uel laccio».
Macchinatore dell' inganno è sempre Egidio. E la notte, mentre
(1) Ivi. Notevole l' impressione immediata che ne riceveva il Visconti, il quale
annotava a questo luogo: « Qui l'ascetismo è bellezza: di pensiero, di stile {due parole
illeggibili] alle intenzioni religiose dello scrittore » [ivi, n. 4).
(2) Sp. prora., p. 245.
(3) Ivi.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 365
quella stava nascosta e « rannicchiata » « tra il letticciuolo e la
mura » , la scellerata, « pig-liato da Egidio l' orribile coraggio che le
abbisognava, entrò nella cella armata d'uno sgabello con la sua
compagna » e alla « dubbia luce » che veniva per la porta aperta
da una lume nella stanza vicina, le si avvicinò pianamente, « le si
avventò, e prima che quella potesse né difendersi, né gettare un
grido, né quasi avvedersi, con un colpo la lasciò senza vita».
Consumato il delitto, le vediamo le due colpevoli affaccendarsi a
farne sparire ogni vestigio, prima spaventate, poi rianimate dalla
calma e dal freddo impero dell' istigatore, « che aveva acquistata
un' orribile autorità sugli animi loro » e « che faceva loro sempre
paura e dava loro sempre coraggio » (*).
Gertrude nella sua stanza < stava nelle angoscie di chi sente
l'orrore del delitto, e lo vuole. Sedeva, si alzava, andava ad origliare
alla porta; intese il colpo, e fuggì ella pure a rannicchiarsi sull'angolo
il più lontano della sua stanza, orribilmente agitata tra il terrore
del misfatto, e il terrore che non fosse consumato ». Entra 1' omicida
a chiamarla per aiutare a rimetter le cose in ordine. Gertrude si
schermisce inorridita : « No, no per 1' amor del cielo ! » esclama. E
l'altra beffardamente: « Che c'entra il cielo?». Gertrude supplica:
« Lasciami, lasciami » ; e l'altra rabbiosamente : « Chi ò stata quella ? » ;
ma Gertrude con angoscia : « Sì, è vero, ma tu sai eh' io sono una
povera sciocca nelle faccende; non sono buona da nulla; lasciami
stare per amor. . . ».
Traspare « in modo così orribile 1' orrore del fatto » dagli « atti »
e dal « vólto » di lei, che l'omicida torna in fretta presso Egidio,
dicendo: « non vuol venire: é una dappoca » , « con un moto convulso
delle labbra^ che avrebbe voluto essere un sorriso di scherno ».
Egidio fa un motto di spregio; poi, con l'aiuto delle due donne si
carica « del terribile peso, sale » per una scaletta al solaio e, giunto
nella sua casa, « per bugigattoli e andirivieni » discende in una
« cantina abbandonata » e in una « buca », già da lui scavata, depone
« il testimonio del delitto» , facendo sopra un « mucchio » di rottami,
« un monte se avesse potuto » (*).
A questo punto del racconto, l' anima del poeta ha uno scatto di
passione morale, indizio costante del segreto suo intendimento, e
commenta con enfasi tonante: « l'omicidio uscì per la porta che
era stata aperta al sacrilegio ».
(1) Sp. prom., pp. 245-7,
(2) Sp. prom., pp.- 248-9.
366 PARTE TERZA
Ora alla scena del sangue succede quella de' freddi spaventi e
degl' inquieti dibattimenti sulla condotta da tenersi il giorno seguente
nel monastero. Le donne sono rimaste sole: incombe su loro un si-
lenzio tormentoso ; si muovono e vanno a bussare « sommessamente »
alla porta di Gertrude che vi sta « in agguato » ; tirata da loro,
questa viene « nella più orrenda stanza di quell'orrendo quartiere» ;
volge «in giro entrando un'occhiata sospettosa» e propone quindi
alle triste compagne di tornar nella sua. Pronte vi s'avviano. Poiché
— dice il Manzoni, soffermandosi a scrutar dentro quell'anime per-
vertite, — « ognuna delle tre sciagurate sentiva nella sua agitazione
come il bisogno di far qualche cosa, di appigliarsi ad un partito,
che avesse qualche cosa di opportuno; e nessuna sapeva pensare
quello che fosse da farsi ; quando una faceva una proposta, le altre
vi si arrendevano^ come ad una risoluzione » (^).
Il racconto, condotto fino a questo punto con aridità e regolarità
di cronistoria e con sovrabbondanza di particolari realistici superflui,
avvivato solo di tanto in fanto da qualche pennellata rubesta piut-
tosto che luminosa, attinge, per profondità di visione psicologica,
le forme dell' arte grande in quel quadro delle tre colpevoli, sedute
attorno al lume spento della stanza : « Stavano cosi tacite, guardan-
dosi furtivamente di tratto in tratto : quando gli sguardi si incon-
travano ognuna abbassava gli occhi come se temesse un giudice e
avesse ribrezzo d'un colpevole. Ma l'omicida, più agitata, e agitata
in un modo diverso dalle altre, cercava ad ogni momento comin-
ciare un discorso, voleva parlare del fatto e del da farsi, come di
cosa comune, parlava sempre in plurale, come per tener afferrate
le compagne nella colpa, per esser nulla più che una loro pari » (*).
Concertarono finalmente d'annunziare, il giorno dopo, dalla finestra
un' indisposizione della signora, per rimanere ad assisterla e cosi
non farsi vedere, perchè « il delitto aveva loro appreso un'altra
cosa: che il sangue si sarebbe rivelato nei loro atti, nel loro con-
tegno, nel loro vólto » (^).
Egidio intanto a «notte fitta» esce con «alcuni suoi scherani»,
li dispone « come a guardia » in un luogo appartato, « lasciando loro
credere che andasse ad una delle sue solite avventure » e « per lun-
ghi circuiti » si porta in un < campo disabitato », confinante con
l'orto del monastero, « dal quale era diviso da un muro; con certi
(1) Ivi.
(2) Sp. protn., p. 250.
(3) Ivi.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 367
suoi ferri fa in questo un « pertugio » , tanto clie possa passarvi una
persona: quindi uscito di là, « camminando non senza terrore, mi-
nacciato com'era da più d'un nemico >, raggiunge i suoi bravi e
tra motteggi allusivi ad altre sue avventure, torna a casa. Ecco di-
stesamente spiegato il mistero di quella « buca nel muro dell'orto »
che, neir ultima redazione del romanzo, dà alle suore tutte la cer-
tezza della fuga della conversa, e suggerisce al poeta quella pen-
sosa ironia : « chi sa quali congetture si sarebber fatte » (*)^ se non
la si fosse scoperta.
« E facile supporre — seguitava il Manzoni nella minuta — « che
da quel giorno in poi il carattere di Geltrude (giacché di essa sola
esige la nostra storia che ci occupiamo) fu sempre più stravolto.
Combattuta continuamente tra il rimorso e la perversità, tra il ter-
rore d' essere scoverta, e un certo bisogno di lasciare uno sfogo alle
sue tante passioni, e tutte tumultuose, dominata più che mai da
colui eh' ella riguardava come l'origine dei suoi più gravi^ più veri
e più terribili mali, e nello stesso tempo come il suo solo soccorso,
l'infelice era nel suo interno ben più conturbata e confusa che non
apparisse nel suo discorso, per quanto poco ordinato egli fosse. > (*).
Questo tratto riallaccia la minuta all' ultima redazione del romanzo,
vuotata della materia tragica e pittoresca che ho or ora riassun-
ta. Se esso ancora risente dello spìrito e della forma di quella
materia, poiché approfondisce in un quadro, artisticamente non ri-
finito, ma di viva ispirazione, la misera vita di Gertrude e il con-
trasto tra lo sforzo della dissimulazione e l' angoscia paurosa che
l'agitava; se, anzi, difficilmente avrebbe l'autore potuto conservarlo
così, nel suo cupo colorito originario, una volta che erano svanite
al sofiìo potente di una nuova concezione poetica le fosche e lugubri
scene del delitto; tuttavia l'eco di quei terrori e di quell'angoscia
tremola anche per entro la trama dell' episodio rinnovato.
Ciò che di diverso é entrato a questo punto nello studio del ca-
rattere dì Gertrude è il ritratto del contegno guardingo e dissimu-
latore di lei rispetto alla scomparsa della povera conversa ; il quale
si contrappone e si sostituisce a quello delle tumultuose e paurose
passioni, che leggiamo nella minuta; 1' uno composto con tanta sem-
plicità di mezzi quanto l'altro è carico di colore, concitato ne' toni
e tumultuante di passionalità troppo forzatamente tragica. La qual
differenza si spiega^ chi consideri la diversità de' contenuti, ma,
(1) Prom. sp., cap. X, p. 159.
(2) Sp. prom., p. 252.
368 PARTE TERZA
soprattutto, la corretta e sobria classicità, che il Manzoni si propose
di raggiungere rifacendo d' ispirazione e di stile il grandioso episodio.
« Ma quanto meno ne parlava, tanto più ci pensava » — dice il
poeta — preludiando, con pacata armonia, a quel maraviglioso cre-
scendo di passione, d' immagini e d'accenti, in cui rappresenta, con
impeto lirico contenuto ma gagliardo, la paurosa lotta dell'animo di
Gertrude con la larva dell'uccisa che l'opprime senza posa.
La trasandata frase della minuta : « Una immagine la assediava
perpetuamente » si svolge in una dipintura drammatica delle più ar-
moniose, che siano nel romanzo, per corretta agilità di linee e per-
fetta fusione del motivo sentimentale con la rappresentazione di
esso, non meno che per 1' efficacia, ond' è espresso il pathos tragico
nel premere sempre più minaccioso di quel fantasma dell' uccisa
su r anima che invano si dibatte per liberarsene.
Tu senti l'agghiacciante emozione di terrore in quel «Quante
volte al giorno l' immagine di quella donna veniva a cacciarsi d' im-
provviso nella sua mente e si piantava lì e non voleva muoversi! »;
la vanità dell'angoscioso sospiro a sottrarsi alla vista interiore del-
l'irremovibile e impassibile immagine del delitto in quel «Quante
volte avrebbe desiderato vedersela dinanzi viva e reale, piuttosto che
averla sempre fissa nel pensiero, piuttosto che dover trovarsi, gior-
no e notte, in compagnia di quella forma vana, terribile, impas-
sibile !» ; la crescente disperazione dell' anima di continuo percossa
dalla stessa voce dell' uccisa, tanto più assillante quanto più irreale,
in quel « Quante volte avrebbe voluto sentir davvero la voce di
colei, qualunque cosa avesse potuto minacciare, piuttosto che aver
sempre nell'intimo dell'orecchio mentale il susurro fantastico della
stessa voce, e sentirne parole ripetute con una pertinacia, con
un' insistenza infaticabile, che nessuna persona vivente non ebbe
mai ! » (*).
Se noi riconduciamo il processo analitico di codesta rappresenta-
zione alla sua unità estetica, che consiste nella visione lirica del
rimorso, quei tre momenti — l'irrompere improvviso del fantasma
nella mente, il persistervi giorno e notte con immutabile impassi-
bilità, il susurrìo pertinace di esso — si sciolgono dall' ordine con-
secutivo generato dall' attitudine osservatrice del poeta e dalla
natura stessa del mezzo artistico, che è la parola, per concretarsi
neir integrale e totale figurazione del cruccioso e minaccioso fantasma,
(1) Sp. prora., ivi; Prom. sp., cap. X, p. 160.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 369
dominante nei pensieri della colpevole, e per convergere, col conci-
tato movimento lirico ascendente della triplice rappresentazione, in
una sintesi ideale che al disopra dei limiti dello spazio e del tempo
rispecchia tutto il carattere tragico di quel perpetuo travaglio.
Come la nuova dipintura mira alla visione fantastica del rimorso,
così la prima della minuta scaturiva da quella del delitto. Vi si
leggeva infatti : « Tentava ella di rappresentarsi alla fantasia la
sventurata suora, quale l' aveva veduta, infocata di collera e con la
minaccia sul labbro, queir ultimo giorno. Ma l' immaginazione s' im-
pallidiva sempre nella sua mente, invano ella cercava di raffigurarla
con la testa alta, con 1' occhio acceso, con una mano sul fianco ; la
vedeva indebolirsi, non poter reggere, abbandonarsi, cadere; se la
sentiva pesare addosso » (*). Era tutt' un' altra concezione e, di
conseguenza, tutt' un' altra situazione. Gertrude ricostruiva con la
sua fantasia inquieta il delitto, da lei consentito, ma non consumato :
il suo era piìi travaglio di sensi che d' anima ; risentiva piuttosto il
rinnovarsi del terrore, provato quando l'aveva percossa l'eco del
colpo mortale, piuttosto che la passione del rimorso^ che germina
dalla consapevolezza della colpa; perciò di tanto era plasticamente
teatrale l'immaginazione di quel trapasso della suora dalla collera
al pallore, all'abbattimento della morte, di quanto è, nella sua
intensità lirica, intimamente psicologica la nuova fantasia del ro-
manzo; in quella v' era lo sforzo mentale di figurarsela viva, anche
se irata e minacciosa, per liberarsi dal terrore che le suscitava il
ricordo del delitto e dall' incubo della tragica scena intraveduta ; in
questa palpita 1' anelito della coscienza all' irrevocabile tempo che
l'aveva vista e sentita quella fiera suora accusare e^minacciare_, ma
con la sua viva voce — giorni di cruccio e di paura, ma mille volte
migliori della vita presente e avvenire, perpetuamente gravata d'una
nuova e più abbominevole colpa.
Smorzate le tinte della penosa fantasia, messa in più vivida luce
r inquietudine di un troppo tardo pentimento, lasciata nell' ombra la
sua parte di colpa con queir arte novella che pudica e pietosa
sorvola sui particolari del delitto, il poeta ci presenta Gertrude più
spiritualizzata nella sua peccaminosa umanità: da quel tetro tra-
vaglio, più profondo nella coscienza che manifesto negli atti esteriori,
da quel non so che d'impreciso e dì misterioso ond'è avvolta, si
proietta un' ombra di tragicità grave che accresce d' efficacia la
rappresentazione artistica. La quale nella minuta aveva più colorito
(1) Sp. prom., ivi.
Busetto — 24
370 . PARTE TERZA
rilievo, più drammatica appariscenza, ma assai meno di poesia.
Quelle memorie or lugubri ora crucciose che « si gettavano a traverso
alle sue idee » e « le scompaginavano, e lasciavano nelle sue parole
un indizio del disordine che regnava nella sua mente » ; quella
stravaganza e sregolatezza ch'era nel suo contegno e che sarebbe
stato uno scandolo insopportabile in un secolo meno bestiale » (*)
del suo; ciò che Lucia, Agnese e il padre guardiano osservano nel
comportamento di lei, durante il colloquio di presentazione — « s'al-
zava ella talora con impeto a mezzo il discorso come se temesse in
quel momento d' esser tenuta, e passeggiava pel parlatorio, talvolta
dava in risa smoderate, talvolta levando gli occhi^ senza che se
nMntendesse una cagione, prorompeva in sospiri; talvolta, dopo una
lunga e manifesta distrazione, si risentiva ed approvava con negli-
genza ragionamenti che la sua mente non aveva avvertito » — (^) ; ciò
che il Manzoni osservava, facendo il ritratto della signora, nei neri
occhi di lei, cioè « un non so che di inquieto e di erratico, una
espressione istantanea, che annunziava qualche cosa di più vivo, di
più recondito, talvolta di opposto a quello che suonavano le parole
che quegli sguardi accompagnavano » {^) ; quel sorriso, con cui la
signora accompagnava le parole di complimento ai « buoni amici i
padri cappuccini » , « che ad altri avrebbe potuto parere di compia-
cenza, ad altri di scherno» {*); quel «non so che di sinistro e di
feroce > nell' aspetto, quando diede sulla voce alla troppo sollecita
Agnese, tenendo sopra di lei gli sguardi fissi « torvi e sospettosi,
come se cercassero a raffigurare un nemicò » (^) e la sfuriata a cui
s' abbandonava contro la violenza e l' ipocrisia de' genitori nel
sacrificare i figli (*'), tutto ciò e altro ancora, che verremo notando,
conferiva contorni precisi e rilevati e vivace colore alla pittura
(1) Ivi. '
(2\ Sp. prora.., p. 168.
(3) Sp. prom., p. 169.
(4) Ivi.
(5) Sp. prom., pp. 170-1.
(6) Valga come saggio della sua lunga sfuriata questo tratto: «Certo, lo sposo
che i parenti destinano ad una figlia è sempre un uomo compito, e il monastero dove
la vogliono rinchiudere è così allegro in così bella situazione! così tranquillo! è un
paradiso! Poveretti! portano invidia alla loro figlia: vorrebbero anch'essi ritirarsi in
quel porto di pace, ah! a far vita beata; ma purtroppo son legati nel mondo.
Scusi il mio caldo, padre, ma ella sa meglio di me, almeno ella deve saper troppo
bene, come vanno queste cose, la menzogna la più imperterrita, la più persistente,
la più solenne è quella che sta sul labbro di colui che vuole sacrificare i suoi figli e
far loro violenza. Questi sono i peccati, contro i quali si dovrebbe predicare: a costoro
bisognerebbe minacciare l'inferno» (Sp. prom., p. 172).
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 371
di quel carattere, fantastico di natura ed appassionato, sconvolto e
sovreccitato dai funesti casi della vita. Ma v' era in questo sfarzo di
una esteriorità eccessiva lo studio dell' osservatore curioso ed ansioso
di scoprire tutta la singolare natura del personaggio; v'era altresì
la preoccupazione del moralista a far toccare con mano i torbidi
pervertimenti di pensiero e di parola che la forzata monacazione e
le ciniche teorie d'Egidio avevano generato in quella sventurata.
Quel sentenziare tra sarcastico e iracondo di Gertrude può avere
forse qualcosa di shakesperiano (e più d'una traccia deil'arte sha-
kesperiana c'è veramente nella prima concezione e figurazione di
taluni personaggi manzoniani), ma insieme con altri atteggiamenti
del carattere lascia scoperta con troppa viva rudezza il realismo e
il moralismo della prima maniera. Abbiamo insomma la macchietta,
il bozzetto ; abbiamo la dimostrazione in atto di quello che 1' analisi
psicologica e la riflessione morale avevano, dirò così, diagnosticato
nello studio di queir anima traviata, ma non abbiamo ancora il
carattere tragico dell'ultima forma, così pieno di spiritualità dolorosa
e misteriosa^ così puramente e nitidamente segnato nelle sue linee
essenziali, così ricco, nella gentile finezza di disegno e di colori,
d'un' umanità profonda e complessa, che lo solleva sopra i lìmiti
storici d' un episodio secentesco, sopra il mondo della natura, cioè
de' sensi e delle apparenze, sopra l'umile orizzonte della realtà caduca,
e ne fa una creatura universale ed immortale.
Quell'analisi d'ogni mutabile atteggiamento della psiche, quel
rappresentarcela principalmente ne' gesti e nella colorita vivacità
dell' espressione esteriore ; quel soffermarsi sugli occulti motivi d' atti
e parole, a cui ogni commento è superfluo (*), sono procedimenti
d' arte romantica oscillante tra le forme del naturalismo minuto e
superficiale e quelle del sentimentalismo or molleggiante ne' lan-
guori or sermoneggiante nella tesi e ne' precetti morali. Gli è che il
Manzoni nel comporre e foggiare la prima volta il suo personaggio
sullo sfondo storico dell' età che veniva rievocando, con la coscienza
(1) Era inutile, dopo le amare parole della signora, soggiungere: «Sifpose a sedere,
tutta turbata, ed ognuno si sarebbe avveduto che un pensiero che i discorsi di Agnese
avevan fatto nascere, dominava allora la sua mente, e che gli afTari di Lucia non
erano che un oggetto di considerazione secondaria » (ivi) ; giacché quelle parole erano
così abbondanti e chiare da fare intendere anche troppo il rancore di Gertrude contro
i suoi oppressori. Nell'ultima redazione il Manzoni, non che sopprimere la notazione
superflua, ha ristretto il pensiero dell'oppressa in quei detti brevi e taglienti : « già
lo so che i parenti hanno sempre una risposta da dare in nome de' loro figliuoli » !
(cap. IX, p. 130); ne' quali è come uno sfolgorio improvviso e fugace, ma potente della
torva ambascia di quell'infelice.
372 PARTS TERZA
agitata dai motivi morali della sua creazione, con l' apprensione di
rivelare quanto di strano, d'abnorme, di dissennato s'affacciava al
suo pensiero meditante, con la tendenza, non ancor mortificata da
un sentimento più austero dell' arte, a secondare nell' espressione
l'intima ispirazione romantica de' suoi fantasmi poetici, vedeva in
Gertrude lo spirito, il costume del secolo, il prodotto d'una funesta
realtà contingente, il simbolo d'un' aberrazione peculiare di casta,
V esempio d' una verità morale da lui eloquentemente predicata nelle
Osservazioni sulla Morale cattolica: partecipava insomma appas-
sionatamente^ con la coscienza di storico e di moralista, all' intima
vita del suo personaggio. È il naturale processo d' ogni creazione
artistica nella sua primitiva genesi sentimentale.
In un secondo ed ultimo momento, che suole esser quello della
chiara e tranquilla contemplazione, rivide in Gertrude più che il
costume, più che la parvente realtà, più che la singolare passionalità,
il contenuto umano della sua sventura e delle sue colpe, il segno
eterno dell' universale follia, il documento pietoso della perenne tra-
gedia dell'uomo, mal difeso dalla giustizia terrena, trascinato al male
dagl'istinti e dalle passioni. Visione più austera e profonda, onde
il poeta trasse vigore per riplasmare la figura ; minutezze d' analisi,
complicanza di linee, esuberanze pittoriche, eccessività etiche o sa-
tiriche o romantiche disparvero o s'attenuarono in forme sobrie e
delicate: nel misurato e nitido disegno, nel fine rilievo de' linea-
menti più intimamente spirituali, nella sapiente armonia di ìndi e
d'ombre che mitiga l'orrore di quella rovina morale, destandovi
vibrazioni d' un' accorata e pensosa pietà, Gertrude ne esce trasfor-
mata in un'altra creatura, il cui tormento d'animo e di sensi ora
s' intuisce dal lampeggiar d' un accento o d' un atto fugace, ora di
riflesso si scorge in taluni improvvisi sprazzi di luce con che il psi-
cologo illumina l'abisso di quello spirito,
X. Vedete gli occhi della nuova Gertrude : il poeta, che con grande
sforzo aveva cercato di cogliervi 1' animo nel primitivo ritratto, ma
non ne aveva ricevuto che un'impressione generica, confusa, su-
perficiale, li scruta, li penetra, e ne ha la visione integrale e com-
plessa in questa nuova dipintura meravigliosa: « In certi momenti
un attento osservatore avrebbe argomentato che chiedessero affetto,
corrispondenza, pietà ; altre volte avrebbe creduto coglierci la rive-
lazione istantanea di un odio inveterato e complesso, un non so che
di minaccioso e feroce ; quando restavano immobili e fissi senza
attenzione, chi ci avrebbe immaginato una svogliatezza orgogliosa
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 373
e chi avrebbe potuto sospettarci il travaglio d' un pensiero nascosto,
di una preoccupazione familiare all'animo e più forte su quello che
gli oggetti circostanti » (*). Quest' analisi, rivolta più all' interno
dello spirito che ai caratteri esteriori, riflette quel mirabile equilibrio
della fantasia e della coscienza che il Manzoni raggiunse solo nel-
r ultima forma del romanzo e che è il segno immortale della grande
arte classica. Altre particolarità del ritratto, per quanto sieno state
attenuate e ingentilite (*), potrebbero togliersi via anche dalla re-
dazione corretta, e la linea essenziale che segna il travaglio del mi-
stero di quell'anima ne risalterebbe con più potente vigore. Io credo
che il Manzoni, nel rielaborarlo, fosse sospinto dalla medesima cura,
ma che . non abbia saputo rinunciare del tutto a quella tendenza
analitica che, per essere un abito della sua mentalità, non poteva
non lasciar traccia di sé anche nell'opera rifusa e rifinita. I «moti»
delle labbra, « come quelli degli occhi, subitanei, vivi, pieni di espres-
sione e di mistero», hanno nell'analisi di quell'intimo affanno una
significazione poetica, né spiacciono quello scomparire della « gran-
dezza ben formata della persona » « in un certo abbandono del
portamento » e quel comparire « sfigurata in certe mosse repentine,
irregolari e troppo risolute » e anche quel « qualcosa di studiato o
di negletto » nel « vestire stesso della monaca » : elementi utili alla
visione sintetica del complesso carattere di Gertrude.
Quanto al resto, se il Manzoni avesse coraggiosamente ridotta ad
una semplice linea fisica i particolari del viso e dell'abbigliamento,
avrebbe dato un ritratto immortale. Quello che abbiamo, ad ogni
modo, segna rispetto al primitivo un notevole progresso di spiri-
tualizzazione della figura e di sobrietà artistica nel rappresentarla.
Nel colloquio col padre guardiano e con le due fuggiasche, la
medesima misura, nitidezza e compostezza e, in cambio, una maggior
densità e finezza spirituale ha ricevuto la rappresentazione del
(1) Prom. sp., cap. IX, p. 128.
(2) La parte visibile della fronte bianca come «un candido avorio», « liscia ed
elevata»; le « labbra regolarissime, dolcemente prominenti »; il « mento rilevato ap-
pena come quello d'una statua greca»; la «striscia di collo bianco e tornito» che
« una gorgiera bianca, increspata, lasciava intravedere »; le « forme di alta e regolare
proporzione», che il « portamento disinvolto e risoluto rivelava»; il «seno succinto
con un certo garbo secolaresco» dovettero parere al Manzoni elementi d'un realismo
troppo vivo, d'una plasticità troppo rilevata; e pur qui corresse, direi quasi mortificò
la sua fantasia, come fece nel descrivere la bellezza di Gertrude adolescente. Se qualche
spunto del ritratto fisico rimase, lo ritoccò per rivolgerlo ad un fine psicologico, come
Dell'accennare alla « ben formata grandezza », o per suscitare un' impressione dolorosa,
come nel dipingere « alterato e reso mancante da una lenta estenuazione » il « contorno
delicato e grazioso» delle gote «pallidissime» (ivi).
374 PARTE TERZA
carattere: brevi e generose (') le parole d' acconsentimento alla ri-
chiesta del cappuccino, dette senza 1' ambiguo sorriso della minuta ;
pronto l'interessamento pel «caso» di quella «giovane», un pò*
più corretta quell'espressione di curiosità che la signora pur non sa
trattenere, circa 1 « gravi pericoli » di Lucia accennati dal frate ;(')
più tenue il suo rossore e più composta 1' espressione del volto che
r accompagnava (3) nel ricredersi di quella curiosità; più temperata
ne' movimenti, negli atti, nelle parole stesse (^) che le vengono sulle
labbra alla dipintura, che il padre ha fatto di don Rodrigo; più
contenuta nella collera e nel rancore (^) da cui è presa, come ab-
biam visto, quando Agnese inopportunamente s'intromette a narrar
la storia della figliuola; meno diffidente uell' accogliere sotto la sua
protezione Lucia (^),
Una conseguenza di questa più nobile e più composta concezione
del carattere di Gertrude si avverte altresì nel modo come si com-
(1) Prima diceva: «I servigi fatti agli amici hanno con sé il loro guiderdone; e
del resto ad ogni evento io non dubiterei di far conto sul ricambio dei nostri buoni
padri. 11 mondo è pieno di tristi e d'individiosi: e nessuno può assicurarsi che non
venga un momento in cui possa aver bisogno d'una buona testimonianza e d'aiuto»
(Sp. prom., p. 109). Vero è che anche nell'ultima redazione dice: «anch'io in un caso,
in un bisogno, saprei far capitale dell'assistenza de' padri cappuccini»; e commenta
con « un sorriso » dal quale traspare « un non so che d' ironico e d'amaro » : « alla fine
non Siam noi fratelli e sorelle ?»; ma qui è così occulto il proposito di valersi della
testimonianza e dell'assistenza de^li amici cappuccini nel caso che cadesse sotto so-
spetto od accusa pe' suoi segreti amori con Egidio, che non se ne ha che un'impres-
sione vaga e indefinita; mentre nella minuta traluceva troppo evidentemente dalle
sue molte e brusche parole, con disdoro non lieve del carattere di Gertrude; e l'ironia
di quella domanda e di quel sorriso non ha la nota aspra di scherno, che il primo
testo lasciava trapelare.
(2) Sp. prom., p. 170; Prom. sp., cap. IX, p. 129.
(3) Negli Sp. prom.: «Si fece tutta di porpora. Era verecondia* Chi avesse osser-
vata una subitanea, ma viva espressione di scherno e di dispetto che accompagnò
quel rossore avrebbe potuto dubitarne» (ìoi). E nei Prom. sp.: « arrossendo alquanto.
Era verecondia* Chi avesse osservata una rapida espressione di dispetto che accom-
pagnava quel rossore, avrebbe potuto dubitarne» (ivi).
(4) Negli Sp. prom.: «■ Ma voi — disse la Signora, rivolta repentinamente a Lucia —
voi che dite di codesto Signore? A voi tocca a dirci se egli era un persecutore, e se
aveva gli artigli sozzi» (p. 171). E ne' Prom. sp.: «Accostatevi, quella giovane —
disse la signora a Lucia, facendole cenno col dito — . So che il padre guardiano è la
bocca della verità; ma nessuno può esser meglio informato di voi, in quest'affare.
Tocca a voi a dirci se questo cavaliere era un persecutore odioso » (ivi).
(5) I Protri, sp., non accennano che ad « un atto altero e iracondo, che la fece
quasi parer brutta » (p. 130).
(6) Negli Sp. prom.: «Voglio sentirvi da sola a sola. Padre guardiano, se elja
conoscesse per testimonianza degli occhi suoi i casi di questa giovane, certo eh' io non
starei ora in dubbio: ma ella non li conosce che per relazione: e per me, piuttosto
che servire alla violenza fatta ad una povera giovane... ». E ne' Prom. sp.: « Avrò
piacere di sentirvi da solo a solo. Non ch'io abbia bisogno d'altri schiarimenti, né
d'altri motivi, per servire alle premure del padre guardiano... » pp. 130-1).
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 375
porta con Lucia e le si aflfeziona da quando rimane a solo a solo
con lei fino al giorno che, accecata dal prepotente volere di Egidio,
la tradisce.
Nel trattare de' mutamenti che subì il carattere di Lucia attra-
verso l'intensa elaborazione del romanzo, osservavo, a proposito
dell'ultimo colloquio della poveretta con la signora (il colloquio
del tradimento), come, per effetto di quella convenienza psicologica
ed artistica che regola i mutui rapporti de' personaggi tra loro e, per
riflesso, de' mutamenti recati nello svolgimento dell'azione generale
e degli episodi particolari, di cui i personaggi stessi sono i fattori
necessari, abbia il Manzoni variato l'analisi e gli atteggiamenti
drammatici dell'una rispetto all'altra.
Quella scena del tradimento attesta per le mutazioni operate —
come mi pare d' aver dimostrato — il proposito del poeta^ di smor-
zare il troppo vivace colore che assumeva nella minufa la perfidia
di Gertrude destando un senso di profonda ripugnanza per quel-
l'ostentazione d'una falsa carità; comprova altresì con quanta cura
e con quanto coraggio egli sia venuto epurando l'opera sua d'o-
gni elemento troppo patetico o troppo pittorescamente drammatico,
e, quando non l'abbia potuto sopprimere per la sua intima ispira-
zione romantica (ad es. il ratto di Lucia e quell'orrenda notte nel
castello dell'Innominato), ne abbia ingentilito lo spirito e il colore
con classica compostezza. Ebbene: quella medesima legge di rela-
tività psicologica de' personaggi in azione e l' intento d' idealizzare
alquanto il carattere della signora hanno suggerito al Manzoni di
mutare in rapidi riferimenti indiretti tutto il lungo dialogo vivace
tra Lucia e la suora, quale aveva egli primamente esteso nella mi-
nuta. Non si dimentichi che il Manzoni aveva voluto notare con
speciale rilievo come la stravaganza e la sregolatezza fossero diven-
tate quasi una seconda natura nella sciagurata Gertrude, che una
trista educazione e la consuetudine di sentimenti e d' idee con Egi-
dio avevano pervertito (*) ; alla qual cosa nel romanzo rifatto egli
non dà un così vivo risalto né un particolar posto nell'analisi psi-
cologica; e solo qua e là ne tocca con vaghi e rapidi accenni e in
(1) « Quella regola nei discorsi, quel contegno nei modi, ch'ella non poteva avere
naturalmente, e per ispirazione dalla pace dell'animo, non aveva i mezzi per trovarlo
nella esperienza e per comandarselo. La sua esperienza non era altro che del chiostro,
di quel poco che aveva veduto nel tempo burrascoso passato nella casa paterna, e di
ciò che aveva imparato dall'infame suo maestro; le sue idee erano un guazzabuglio
composto di questi elementi....» (Sp. prom., pp. 252-3).
376 PARTE TKRZA
modi più contenuti (*). Effetti, certamente, di quella più alta con-
cezione del personaggio che abbiamo tanto spesso notato, ma, per
contrapposto, le maniere e le parole, più che capricciose, sfrenate
e imprudenti del colloquio con Lucia volevano essere, nell' inten-
zione prima dell' autore, un saggio, che deliberatamente ci metteva
innanzi, di quella strana morbosità scandalosa, su cui s'era soffer-
mato con la serietà dello storico che vuol documentare l'animo e
i costumi di un secolo. Gertrude ne era, per l'autore degli Sposi
promessi, uno de' documenti più singolari. Come non sentirsi at-
tratto a presentarla in azione nell'abbandono, anche più smodato
e più strano che non avesse potuto poco prima in presenza del padre
guardiano, al disordine, in lei connaturale, de' pensieri e delle parole?
Da queir interrogazioni curiose, insistenti, ardite, da queir impres-
sioni e da quei giudizi non meno stravaganti riceveva risalto la
scompigliata mente della pervertita, così come 1' angoscia, il terrore,
la debolezza del carattere, l' abietta schiavitù, in cui l' aveva ridotta
il peccato, 'avevano avuto una rappresentazione diretta e colorita
nell'analisi del suo pervertimento e, assai più, nella scena dell'uc-
cisione della conversa, ne' dialoghi tenebrosi con le altre due suore,
e — come, vedremo — nel colloquio con Egidio e ne' dibattiti
con quelle sciagurate, in cui si ordisce il tradimento della povera
Lucia. Il dialogo è lungo, (*) e non conviene che mi attardi a ri-
ferirne di troppo, ma è evidente che nel primitivo disegno del Man-
zoni doveva servire all' analisi e al ritratto de' caratteri e non solo
della sciagurata reclusa, ma pur di Lucia e di don Rodrigo. Quel-
l'aria quasi d'intimazione di dirle il «vero>, d'esser «sincera», di
raccontarle « tutta la storia >, quel!' « affogare Lucia d'inchieste » per
sapere minutamente e del fidanzato e del vagheggiatore, quelle pa-
role di confessione pel « poveretto » don Rodrigo che « pativa » per
Lucia e ne era oggetto di « tanto orrore » — al qual sentimento si
rimescolava il rancore contro i cattivi « tiranni » suoi, il riso
senz'ombra di pudore, che le lampeggiava tra le labbra all'espresso
timor di Lucia di quelle cose che offendono la santa ignoranza di
(1) Ne tocca a proposito de' giochi e discorsi delle educande, ch'ella eccitava e
rendeva più intemperanti (Prom. sp., cap. X, p. 158) e a proposito delle « imprecazioni »
e degli «scherni» «espressi in un linguaggio insolito» nel tempo che — possiamo
arguirlo, anche se il guardingo Manzoni non lo dica — la tresca con Egidio doveva
essere di molto avanzata (ibicl., p. 159).
(2) Sp. proni., pp. 254-<j. K si noli che rimane incompiuto, almeno secondo il testo
che ne ha dato il Lesca, il qilale trovò a questo punto l'autografo mancante di fogli,
dispersi o lacerati.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 377
lei — , tutto ciò e qualche altro elemento del dialogo svolgono in azio-
ne l'analisi già fatta dell'indole e del contegno morboso e sregolato
di Gertrude, come, del pari, ne ritraggono l' avvilimento cruccioso
che la rodeva nel sentirsi sprezzata dal suo seduttore e abiettamente
accomunata in una tresca in quattro^ i ripetuti scatti di sdegno contro
il persecutore di Lucia, dopo il racconto fattole dalla giovane del
modo come la sua amica Bettina era stata sedotta e poi abbandonata
dal prepotente donnaiuolo; come, infine, del pari si riflette l'abito
da lei contratto -della simulazione in quel tentar di stornare il so-
spetto 0 almeno Jo stupore della giovine col mostrar d'avere equi-
vocato sull'intenzione del signorotto. In codesto dialogo dunque
c'è tutta la primiera Gertrude manzoniana, disordinata, triviale,
tetra, impulsiva; l'averlo soppresso è dovuto indubbiamente alla
nuova concezione del personaggio. Ma non a questa soltanto.
C era pur Lucia, in quella singolare conversazione, che faceva
figura non dico d' una loquacità scaltra e banale (che sarebbe
troppo), ma certamente di una vivacità abbondevole di sentimenti
€ di giudizi e d'una certa esperienza di mondo che ne mettevano
in luce non meno la sana onestà campagnuola che il vigile accor-
gimento (*): si badi massimamente alla storia, ch'ella racconta,
dell'amica sedotta (*) e al modo come la racconta, alla sicurezza
quasi risentita con cui risponde allo strano compatimento e alla piti
strana difesa che la monaca fa di don Rodrigo (^j, al ragionare
(1) V. la garbata analisi del D'Ovidio in N. st. manz. cit-, pp. 450-1. Il D'Ovidio
nell'esame di questo colloquio ritiene che il Manzoni « coi soliti ritocchi e con degli
smorzi» «l'avrebbe potuto rendere più che ammissibile»; che «gli eccessi» della
signora « nel tu per tu con Lucia » « potevano andare » ; che insomma non ne sarebbe
rimasta «snaturata l'arte del Manzoni o turbata sostanzialmente la figura di Lucia»
(pp. 453, 454). Troppo mi par conceda l'insigne critico, dopo che egli stesso ha poco
prima osservato che l'impressione che fa Gertrude nella nuova redazione dell'episodio
è « più consona al decoro della lugubre storia» (p. 451) e che «il velo messo su
quel dialogo e tutto il risalto dato solo allo sgomento » dell'interrogarla «sono molto
più appropriati alla figurazione di Lucia, quale l'autore stesso se la proponeva» (ivi).
Dal punto di vista, sotto cui io riguardo l'elaborazione poetica e artistica de' Pro-
messi sposi, come, cioè, spiritualizzazione della materia plasmata nel primo getto, non
ho dubbio alcuno che quel dialogo anche con de* ritocchi non poteva più reggere nella
rinnovellata compagine del romanzo.
(2) Sp. prova., pp. 256-7. Accennando al libertinaggio di don Rodrigo, scappava a
dire: « Eh! le cose si sanno pur troppo»: e raccontava delle « lagrime che spargeva
in segreto la sedotta », di quanto questa « soffriva », senza che sapesse « staccarsi da
lui »: insomma Lucia sapeva troppe cose di quella « sua povera Bettina»!
(3) « Ben contenta che m'avesse detto ogni sorta d'ingiurie — s'accalorava a dire
Lucia — piuttosto che quello che mi è toccato sentire da lui. . . Quanto al bene ch'egli
mi poteva volere Santissima Vergine, che razza di bene!* (pp. 255, 256).
378 PARTE TERZA
arguto intorno alla sorte riserbata all'amica tradita (*), Insomma,
tralasciando altri rilievi, che farei se non temessi di dilungarmi
troppo dal primo proposito, sprizzava da tutti i discorsi e gli atti
di Lucia (compreso quel procedere guardingo e sospettoso di dir
cose sconvenienti alla « reverenda madre » e quel comportarsi di
fronte alle richieste di lei « come si fa a quelle indiscretissime dei
ragazzi, dalle quali uno si sbriga alla meglio, cercando di non ri-
spondere direttamente e di mandare in pace l' interrogante >) (*),
sprizzava, dirò così, un tal quale realismo borghese, vivo, gradevo-
lissimo, ma di cui al Manzoni, nell' elevare ad una semplicilà più
pudica e nobile il suo personaggio, parve evidente l' eterogeneità e
la sconvenienza. Cosi per nobilitare non meno la figura di Gertrude
che quella di Lucia, indissolubilmente congiunte nell'ideale d'una
ricomposizione poetica del mondo del suo romanzo, egli fé sacrifizio
di tutto il dialogo, di tutta la scena. Nella quale indirettamente
anche don Eodrigo era delineato alla brava in figura di vagheg-
giatore e di seduttore delle ragazze del paese, più volgare e più
odioso che non sia nel romanzo, dove non lo vediamo che brutal-
mente invaghito di Lucia: anche don Eodrigo era, al di là della
sua individualità artistica, il tipo storico del signorotto, persecutore
dell' onor femminile, tanto più spadroneggiante in un secolo che il
Manzoni reputava «bestiale». La scena, dunque, nel suo complesso
recava le tracce di quelle tendenze al moralismo censorio e satirico,
al realismo minuto pittorescamente borghese, allo storicismo inda-
gatore dello spirito e de' costumi della società rappresentata, che,
come vengo abbondantemente provando, predominavano nella pri-
mitiva composizione del romanzo.
Ciò che a quel dialogo il Manzoni ha sostituito nell' ultima reda-
zione, può apparire, di primo acchito, un sobrio e svelto riassunto
della materia primamente dialogata; ma, nello spirito e nel fatto,
è qualcosa di più. Che vi intravediamo del contenuto de' pensieri e
sentimenti dell' interrogatrice ? che delle vivaci risposte e delle pic-
canti narrazioni di Lucia?
Dice il romanzo: «Entrava in certi particolari- cpn un'intrepi-
dezza che riuscì e doveva riuscire più che nuova a Lucia » ; « fram-
mischiava all' interrogazione, o lasciava trasparire » « giudizi » « non
(1) Suonavano strane queste parole in bocca a Lucia: « spero che Dio le farà mi-
sericordia; perchè poi finalmente è stata tradita. Ma per me dico davvero, che se per
andare in Paradiso bisognasse fare la vita di quella povera figlia, la mi parrebbe
molto dura» (Ivi).
(2) Sp. prora., p, 254.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 379
meno strani >. Brevi linee che scolpiscono la curiosità inquieta della
monaca, ma non lasciano indovinar facilmente gli sfrenati discorsi
della prima stesura.
E, al confrario, rilevante codesto tratto : « pareva quasi che ridesse
del gran ribrezzo che Lucia aveva sempre avuto di quel signore e
domandava se era un mostro da far tanta paura: pareva quasi che
avrebbe trovato irragionevole e sciocca la ritrosia della giovine, se
non avesse avuto per ragione la preferenza data a Eenzo » (^) : un
tratto a cui non corrisponde nulla del dialogo della minuta, mate-
riato d'altri giudizi e d'altre espressioni riguardo a don Rodrigo
e che, per essere un saggio degli « svagamenti > di quel « cervello »,
dietro cui « troppo » la signora lasciava « correr la lingua » , piacque
al Manzoni d'aggiungere, per raccoglier 1' attenzione del lettore sul
contrasto tra la mondanità loquace della misera pervertita e l'om-
broso pudore della fanciulla innocente.
E che altro dice, poi, il romanzo ? « Cercò di correggere e d' in-
terpretare in meglio quelle sue ciarle ; ma non potè fare che a Lucia
non ne rimanesse uno stupore dispiacevole e come un confuso spa-
vento > Ciarle! Ma nel primitivo dialogo, cosi ricco di stati d'animo
diversi e appassionati, e vivace, talora, d'accenti sinceri, non erano
tutte ciarle: c'erano impeti di convinzione e di doglia amara che
infoschivano la figura della strana interrogatrice (*).
Il vero è — per concludere — che il Manzoni nella sobria ridu-
zione di quella scena non ha già puramente rifuso i tratti essen-
ziali del colloquio, ma altresì epurata Gertrude di ciò che v'era in
lei di troppo sensualisticamente sentimentale e di foscamente dolo-
roso ; ha riatteggiato nel medesimo tempo 1' anima e il contegno di
Lucia, il cui rilievo psicologico, cercato con gentile studio dal poeta,
è in quel rossore e stupore, che l'agita durante l' interrogatorio,
mischiato alla confusa impressione di sgomento, che le resta nello
spirito semplice e puro.
(1) Prom. sp., cap. X, p. 160.
(2) Ad un punto la signora prorompeva: » Convien dire che voi non abbiate mai
avuto chi vi volesse male, giacché sentite tanto orrore per chi vi ha voluto bene —
Birbone, cattivo, tiranno! che parolone, figliuola E la carità del prossimo*.. . Se
gli aveste provati i tiranni davvero — ! ». (p. 255). Ma quando sentì dire dell'abban-
dono della povera Bettina, scattò; « È un vile birbante!... Sì, sì, è un birbante: son
tutti cosi costoro. Date loro retta sul principio: voi, voi sola siete la loro vita .:
voi siete la sola donna di questo mondo, e poi fortunata voi che potete sbrigar-
vene. Vi avrebbe voluta vedere amica di Bettina amica! e sprezzarvi tutte e due;
e vi so dire io come vi avrebbe trattate: peggio che serve. Se aveste fatto il prima
passo , (pp. 257, 258).
380 PARTE TERZA
Mentre nella minuta non le ritroviamo più, Gertrude e Lucia, in
confidente colloquio (*) nel romanzo l'autore ne riprende il motivo,
svolgendolo, anzi, in nuovi, più gentili e composti atteggiamenti :
«Gertrude la faceva venire spesso in un suo parlatorio privato e
la tratteneva, talvolta lungamente, compiacendosi dell'ingenuità e
della dolcezza della poverina, e nel sentirsi ringraziare e benedire
ogni momento. Le raccontava anche, in confidenza, una parte (la
parte netta) della sua storia, di ciò che aveva patito per andare a
patire; e quella prima meraviglia sospettosa di Lucia s'andava cam-
biando in compassione. Trovava in quella storia ragioni più che
sufficienti a spiegare ciò che e' era d' un po' strano nelle maniere
•della sua benefattrice; tanto più con l'aiuto di quella dottrina
d'Agnese, su' cervelli de' signori » (*).
Non senza intenzione ha aggiunto il Manzoni questo nuovo qua-
dretto lumeggiante i rapporti della signora con Lucia; non senza
intenzione ripiglia il motivo delle « domande curiose di quella sulla
storia antecedente alla promessa», per rappresentare così il variar
de' sentimenti e delle affezioni nell'animo della sventurata: « Qualche
volta quasi s'indispettiva di quello star così sulle difese, ma vi
traspariva tanta amorevolezza, tanto rispetto, tanta riconoscenza, e
anche tanta fiducia! Qualche volta forse, quel pudore così delicato
le dispiaceva ancor più per un altro verso ; ma tutto si perdeva
nella soavità d' un pensiero che le tornava ogni momento, guar-
dando Lucia: «a questa fo del bene » (^). Svolgimenti psicologici
(1) Veramente leggiamo questo tratto nella minuta poco prima del colloquio del
tradimento: «Dopo la partenza della madre, rimasta come smarrita, senza consiglio,
senz'altro appoggio che quello della Signora, non si sentiva mai tanto sicura come
presso di lei. Ben è vero che quel non so che d'inusitato e di strano, ch'ella aveva
trovato nei discorsi e nel contegno di essa, gli (sic) aveva lasciata una impressione
d'incertezza e quasi di timore; ma ella era tanto lontana dal sospettar pure le vere
cagioni di quell'inusitato, che le prime rilles^ioni della madre l'avevano rassicurata»
<p. 320). Ma è un tratto che solo nel giudizio — e anche questo modificato — che Lucia
faceva delle stranezze della signora, corrisponde vagamente al nuovo testo; ed è
tutt' insieme un rimettiticcio pedestre che serve di passaggio alla scena del tradimento
e da cui non viene luce e moto alcuno alla figura psicologica di Gertrude.
(2) Prom. sp., cap. XVIII, p. 267.
(3) Ibid., pp. 2()7, 208: Questo moto gentile dell'animo di Gertrude era vagamente
balenato nella fantasia del Manzoni fin dal primo getto, ma in tutt'altra circostanza
■e per altro fine, nel concitato colloquio ch'ella aveva con Kgidio prima di piegarsi
a sacrificargli Lucia (Sp. proin., p. 316). Se non che in quel discorso ella esprime anzi
fastidio e quasi odio per la sua protetta: del che non v'ha neppur l'ombra nelle
nuove pagine del romanzo. A questo proposito è interessante la nota, scritta in mar-
gine all'autografo — come par certo — dal Visconti; (ivi, n. 4i nella quale si sugge-
riva al Manzoni di rappresentare in Gertrude un tumulto d'affezioni or d'odio e or
d'amore verso Lucia, e che può avere influito ne' mutamenti e negli atteggiamenti
nuovi in cui la vediamo ripresentata nell'ultima redazione.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 381
e abbellimenti morali che hanno servito alla ricomposizione poetica
del meraviglioso personaggio manzoniano. Oh, su quel dialogo della
minuta, che pur è stato giudicato « una gemma » (*), quanto sovra-
stano per delicatezza elegiaca nell' ispirazione e vigorosa comples-
sità di motivi e di gradazioni spirituali e lucida armonia di stile,
queste nuove dipinture! Una curiosità inquieta d'anima avvolta nel
peccato, ansiosa di conoscere una pura storia d'amore, così diversa
dalla sua ; un impronto dispetto di quell'ingenuo delicato pudore di
Lucia, che era come un inconsapevole rimbrotto alla sensual leg-
gerezza e sregolatezza de' suoi occulti costumi ; ma, di ricontro,
un insolito intenerimento per quell'innocente che con tanta sempli-
cità di contegno le disarmava l'animo cruccioso ; anzi una dolcezza
pura, che le fluiva, come un refrigerio nel cuore, dal pensiero che
quella sua protezione esercitata con crescente carità era — come
con potente frase rivelerà il poeta nel dipingerci lo sgomento di
lei all'imposizione d'Egidio di sacrificargli Lucia — « un mezzo d'e-
spiazione » : questo è l'animo nuovo di Gertrude; questa è l'in-
quieta, complessa, ma non triviale spiritualità che nasce dalla spe-
cial situazione d' essere ella, vittima dolorosa di pregiudizi e pas-
sioni, chiamata dal destino a ricoverare e proteggere un' oppressa,
d' esser ella, misteriosa colpevole, messa a contatto con la purità
innocente. Spiritualità nuova diffusa in una non so qual malinconia
grave e trepida di tenerezza (ricordate che già « perder Lucia per
un caso impreveduto, senza colpa, le sarebbe parsa una sventura,
una punizione amara » ('), che invano cercheremmo nelle pagine
della prima redazione del romanzo.
XI. Ora dobbiamo soffermarci sur un passo di capitale importanza,
la scena della sottomissione di Gertrude, alla imperiosa richiesta
del sacrifizio di Lucia, che presenta così profondo divario tra la
minuta e l'ultima redazione del romanzo. Il Manzoni ha operato
non solo inesorabili tagli e scorci, ma rimutamenti sostanziali d'ordine
psicologico ed artistico. Io, nel ricercarne le ragioni e il processo,
non dimenticherò quei principi generali che spesso ho dovuto ri-
chiamare nello studio del carattere di Gertrude e delle situazioni
(1) V. F. D'Ovidio, N. st. manz. cit., p. 452.
(2) Prom. sp., cap. XX, p. 293. Anche il D'Ovidio {op. cit., pp. 456 segg.) ricerca
il divario tra il libro e la minuta « nel pentimento intimo di Gertrude per Lucia »,
ma sotto un punto di vista diverso dal mio, quello, cioè, dell'* intreccio dei motivi
interessati coi disinteressati » nell' animo della monaca, riguardato nella minuta e
nel testo definitivo.
382 PARTE TERZA
psicologiche e drammatiche che il Manzoni venne intorno ad essa
disegnando e ricreando con la coscienza e la fantasia tutte tese ad
un ideale d' arte armoniosamente serena e nitidamente classica.
La tragica scena, che rappresentava primamente l'aspettazione
ansiosa d'Egidio da parte di Gertrude, poi quella «specie di con-
solazione angosciosa, e di rincoramento agitato » che le si dipinge
nel rosso delle guance nell' andargli incontro e s'esprime in con-
vulse parole, l' incubo tormentoso ch'ella descrive con terrore mach-
betiano dello spettro della conversa uccisa, la supplicazione dispe-
rata che rivolge e ripete al tristo amante di trasportarne il cadavere
lontano dalla cantina della sua casa attigua, il finto consentimento
dello scellerato e il patto che imperiosamente le pone d'aiutarlo a
rapire Lucia, il nuovo orrore di Gertrude, riluttante con affanno
indicibile all'idea di un nuovo delitto, è senza dubbio uno de' luo-
ghi più altamente drammatici del romanzo. Ma la ragion d'essere,
il valore psicologico, il colorito artistico di essa non si possono in-
tendere se non in relazione col primitivo concepimento della tene-
brosa storia di Monza e de' personaggi partecipanti al dramma.
Critici valorosi hanno lamentata, fin dalla priiha pubblicazione
fatta dell'episodio ne' Brani inediti^ la soppressione di esso e un
maestro di studi manzoniani ha perfino concluso col chiamarla « per-
dita grande ed irreparabile » (*). E perchè? perchè s'è guardata la
scena in sé stessa, nella sua peculiare bellezza, nel suo intenso vi-
gore drammatico, apprezzandola a tal segno che molti han deplorato
che il Manzoni non dispiegasse l'attitudine, che pur possedeva po-
tente e di cui fan fede le fosche scene soppresse, alla gagliarda e
colorita drammatizzazione delle forti e accese passioni.
Esaminiamo anzitutto la ormai celebre scena ne' suoi caratteri
intrinseci e ne' rapporti d' ispirazione e di rappresentazione che essa
ha con la concezione primitiva del romanzo.
La critica, che suole essere anche troppo studiosa del verosimile .
« del razionale nell'analisi delle opere d'arte, avrebbe da ridire su
quelle prime parole del dialogo : « Sia lodato il cielo^ vi riveggo !
Oh che giorni ho passati! e che notti! Che paura ho avuto questa
volta!» (*), poiché dall'intreccio de' tatti risulta che Egidio era as-
sente da Monza poco più d'una notte e poco più d'un giorno (3).
(1) D'Ovidio, N. st. manz. cit., p. 460.
(2) Sp. prom., p. 312.
(3) La mattina dopo ch'ebbe ricevuta la lettera dal Conte di Sagrato, mosse, di
buon'ora, alla volta del castello; all'indomani era di ritorno a Monza (Sp. prom.,
pp. 292, 296).
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 383
Ma son quisquilie, che non possono intaccar d'inverosimiglianza
queir agitazione, più spasmodica del solito, che è uno de' motivi
sentimentali del drammatico colloquio. Non v'ha nulla di determi-
nato, di congrao, di logico in una psiche disordinata per natura e
sconvolta dalle immaginazioni del proprio delitto e della propria
colpa.
Ma il motivo piti profondo e più vero, e perciò risultante come
il precedente psicologico e la ragion poetica di quel dialogo, il
quale può apparire inaspettato e forzato solo ad un osservatore su-
perficiale, è nella ripresa di queir accorata supplicazione di Gertrude,
ripetuta chi sa quant' altre volte senz'effetto, per liberarsi dall'osses-
sione dell'ombra della monaca uccisa. Quando Egidio seccato chiama
quelle di Gertrude «sciocchezze», ella sospira: «> Oh sciocchezze!
so io quel che soffro : e fossero anche sciocchezze, a chi tocca aver
compassione di me? Mai, mai non avete voluto compiacermi. Se
provaste un'ora quello ch'io sento tutto il giorno! tutta la notte!
J^on posso più, non posso più vivere con colei così vicina » (*). E
quando più innanzi Egidio, per le lunghe insistenze della donna,
« fingendo d'acconsentire alla domanda, risponde «vi compiacerò:
è un impiccio, è un fastidio, ed un pericolo, ma per voi lo farò »,
ella esce in queste esitanti parole : « Oh, davvero ! non lo dite per
acquetarmi, come avete fatto altre volte... vi ricordate?.. ». Nulla
di strano dunque che Gertrude torni a dipingere i suoi terrori pur
a molta distanza dal delitto, dacché pare che questo fosse il motivo
de' suoi discorsi affannosi^ e si tenga, piuttosto, in conto al Man-
zoni l'avere osservato la connession logica e psicologica di que-
st'altro colloquio con le agitazioni incessanti, acuite dall'assenza
dell'amante della colpevole.
Dalla trama, com' era distesamente svolta nella minuta, de' truci
casi di Gertrude e delle terribili e discordi passioni tumultuanti
neir animo suo, originò con vigor logico anche questa situazione,
la quale alla sua volta doveva preparare, secondo l'intendimento
dell'accorto psicologo-artista, l'altra, più strettamente connessa con
l'intreccio generale del romanzo, in cui Egidio vuole ad ogni costo
la complicità della suora nel ratto di Lucia. Tutto è preordinato,
concatenato e svolto con una precisione e verosimiglianza impeccabile.
È vero; ma codeste due situazioni, in cui il terrore, l'angoscia, il
rimorso della donna, 1' orror suo di nuove infamie mal combattono
(1) Sp. prom., p. 313.
384 PARTE TEKZA
col perverso amore, che la incatena, con la beffarda risoluta ferocia
del giovane che la soggioga, entrano in quel medesimo disegno
generale in cui abbiam visto pigliar forma piena e vivace l' analisi
delle origini della tresca e del pervertimento di Gertrude, il racconto
dell'uccisione della conversa, la dipintura dell'agitazione delle col-
pevoli, radunate a consulta. Che il Manzoni nel rappresentarci la
scena del fiero colloquio superasse per intento psicologico e vigore
artistico le altre non meno foscamente romanzesche ora accennate ;
che in esso rivelasse le sue pronte attitudini a scrutare le passioni
più perverse e le più tragiche inquietitudini del delitto e a lumeg-
giarle con arte gagliarda, questo è vero, ma che, perciò, — pur
sopprimendo tutte le altre — dovesse conservare almeno codesta,
in cui campeggiano gli opposti caratteri di Gertrude, e del suo
seduttore, in questo, poi, mi sia lecito dissentire.
Noi abbiamo veduto per quali ragioni d' arte il Manzoni rifece 1' e-
pisodio di Monza, distruggendo tutto ciò che di truce, di fosco, di
pittorescamente realistico vi sovrabbondasse sulla prima stesura:
r esprit romanesque, che gli aveva preso la mano nell' ardore impe-
tuoso del primo getto, là dove s' è mantenuto per aver salde radici
nell'ispirazione romantica stessa della materia, riappare nella sobria
e lucida correttezza della lirica classica.
Ora, quel medesimo spirito di elevazione poetica, quel medesimo
impulso a rinnovar la rappresentazione del suo mondo in forma
d'arte composta e armoniosa che travolse e distrusse dipinture e
scene di forte ispirazione romantica, perchè avrebbe dovuto rispar-
miare quel colloquio che manifestamente aveva in comune con esse
la medesima genesi sentimentale ed estetica? Disparvero o si ri-
fusero di novello spirito analisi e situazioni, in cui fosse figurato
r amore, 1' odio o il delitto, non già per sopravvenute ragioni mo-
rali, che è impossibile non fossero sentite in modo chiaro, deter-
minato e sicuro dalla coscienza del poeta già durante la prima
composizione dell'opera, ma per motivi d'arte, vissuti, dirò così,
con quella che lo stesso Manzoni — come in altro luogo dimostram-
mo — chiamò riflessione sentita, e che altro non è che attività medi-
tante e ricreatrice del genio.
Ma analizziamo più a fondo tutta la scena (*), che implica una
questione estetica di tanta importanza. Che cosa rappresentava il
poeta in quel dialogo? Poneva, anzi riponeva, in azione due ca-
ci) Sp. prom., pp. 312-17.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 385
ratteri che già aveva con vivo colorito tratteggiati in pagine ante-
riori della minuta e di cui aveva già drammaticamente espressa
r indole e atteggiati ,i costumi : di Gertrude queir irrequietezza fan-
tastica, quell'impulsività disordinata, quel fluttuar tempestoso tra
opposte passioni, quella perpetua contraddizion di se stessa e dedi-
zione della sua volontà, che abbiamo già analizzato nella primitiva
concezione del personaggio ; di Egidio i tratti psicologici del de-
linquente rotto ai dissoluti amori e ai delitti. Debole schiava d' un
abbominevole amore, la sciagurata cova un geloso rancore verso
le compagne d' abiezione. Leggiamo : « Non andate in collera, per-
chè chi altri ho io ? a chi mi posso confidare ?» e continuò con
voce piìi sommessa : « quelle altre non mi consoleranno, vedete, se
racconterò loro che siete in collera con me . . . Voi sapete pur tante
cose! Non sarete piti contento quando mi vedrete tranquilla?» E
poi con brusca mossa d' animo insieme pavida e volgare : « Scen-
dete una notte solo, già voi non avete paura; fortunati gli uomini!
prendetela, portatela al fiume, gettatela in un pozzo abbandonato...»
E, dopo le parole di Egidio, dette « con un sorriso di rabbia e di
scherno » : « savio disegno ! sapete voi dirmi un luogo dove possa
star piti nascosta che non è ? », quelle di lei miste di cinismo e
d'angoscia: «È vero, gran cosa che non si sappia che fare d'un
morto ! » .
Più austeramente doloroso è il contrasto fra due anime così di-
verse in quel tratto vivace del colloquio:
« Dimenticatela, pensate quello che pensano tutte le vostre suore :
è andata alle Indie su una nave olandese e pensa a vivere allegra-
mente: lo credono tutte...»
«Ma non è vero» rispose Gertrude.
«Che fa questo?» disse bruscamente Egidio.
«Fa tutto» replicò tristamente Geltrude; e proseguì: «anch'io
prima credeva che, purché lo sapessimo noi soli, la cosa sarebbe
come se non fosse avvenuta, ma ora...»
« Ora è tempo di finirla!» interruppe sempre aspramente Egidio».
L'angoscia della donna, turbata senza tregua dal rimorso, tocca
qui le piti alte vette del dramma; la cìnica indifferenza dell'uomo
che r ha trascinata alla colpa, la stupisce, l' atterrisce :
— « Oh ecco come son trattata ! » disse con accoramento Geltrude ;
« mi strapazzate, perchè patisco ; siete voi quello che mi strapazzate,
voi... che colpa ho io se sono una poveretta? Vorrei anch'io non
curarmi di ouUa. esser come voi . . . voi siete un uomo, voi mi date
animo, ma no no... voi avete troppo coraggio, troppa presenza di
Busetto — 25
386 PARTE TERZA
spìrito... mi fate quasi... paura... penso che se... mi odiaste...
ah, i morti non vi danno travaglio! »
E poi ancora in tono supplichevole : « Compiacetemi, levatemi
questa spina dal cuore, allontanate colei da questa abitazione >.
Innegabile è la bellezza di questi tratti, dove spicca l' aspetto
meno tristo e volgare dell'anima dell'infelice colpevole, ma come
non sentirvi l' irrequietezza spasmodica, il terror freddo, l' esaltazione
tragica che caratterizzano l'immortale creatura, quale è uscita dal
primitivo concepimento e dalle prime analisi abbondanti ed ardite
degli Sposi promessi ? Ma il correttore paziente e inesorabile dell'opera
sua^ dopo che 1' aveva, dirò cosi, rivissuta quella creatura immortale
con più alta coscienza religiosa, ovverosia con più serena e profonda
comprensione del male, studiandosi d' indagare e d' esprimere dalla
dolorosa storia di una tale anima, tiranneggiata non meno dagli
uomini che da' suoi istinti indocili alle consolazioni rasserenatrici
della fede, un solenne signijficato morale, più che un vivace dramma
di colpe e delitti ; dopo che, conforme codesta più nobile e pensosa
concezione etica del personaggio, spese ogni più decorosa sobrietà
di mezzi d' arte e studio d' ombre e di luci in una ben composta
armonia dell' ispirazione con la rappresentazione, sollevando la figura
con classica gagliardia a simbolo d' alta e solenne tragedia umana,
come poteva conservare una cotal scena, dove è manifesta l'espressa
dovizia d' arte romantica non meno che lo studio di gareggiare,
sceneggiando il patetico e il lugubre, col suo grande Shakespeare,
tanto caro ai Romantici ; dove la passionalità complessa di Gertrude
è figurata con tale pienezza di motivi, di movenze e sfumature da
non dar luogo a giochi d' ombre e di luci ; dove il brutale realismo
del delitto traspira da ogni tratto e la scena si popola delle più
sinistre immagini ; dove infine la rappresentazione di Gertrude è
tutta animata sì di pittoreschi rilievi e fremiti tragici, ma perciò
stesso non consuona più con l'ideai figurazione che ne ha rifatta
il poeta nelle pagine precedenti del romanzo rinnovato ?
Oltr' acciò codesta scena, nel motivo suo fondamentale e nello
sviluppo stesso degli elementi psicologici e drammatici, si connette
intimamente con quella in cui avveniva l'uccisione della conversa,
con quelle che rappresentavano le lugubri operazioni d' Egidio e
delle complici per far sparire le tracce del delitto e le tre colpevoli
strette a colloquio attorno al lume spento, e con la descrizione del
luogo e del modo del funesto seppellimento. Che è rimasto di tutta
questa materia romanzesca nel libro ? che di tanto fosco realismo ?
Nulla. Pensate a quel vago cenno fatto là nello svelto racco' to della
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 387
sparizion della suora con la sollecitudine di non lasciarvi pensar
troppo al lettore : « Forse se ne sarebbe potuto saper di più, se
invece di cercar lontano si fosse scavato vicino > (*) : uno spunto
fugace, da cui non poteva esimersi il narratore più sobrio e guar-
dingo per non lasciare il lettore nel buio fitto di quel mistero, per
motivare, con perfetta coerenza sentimentale ed artistica, la dissi-
mulazione circospetta e, l'affannoso incubo segreto dì Gertrude che
subito dopo descrive. Ma in quel cenno lampeggiante, in quella
potente e vigorosa rappresentazione del terrore, del rimorso di lei
c'è quanto basta per iscorgere la profondità del dramma senza di-
lagare nell'analisi e ne' sceneggiamenti d'un romanticisiho tetro
e patetico.
Per contro, senza la distesa descrizione del modo come fu uccisa
la vittima designata, come ne fu trasportato e seppellito il cadavere,
senza la rappresentazione della parte indiretta che con piena con-
sapevolezza di tutto vi aveva avuta Gertrude, non intenderemmo
quella fantasia che insorge nelle turbate parole di lei, sin dalle prime
battute del dialogo: « Qua giù, qua sotto, a pochi passi, nella vo-
stra cantina : e quando voi non ci siete !.. l' ho veduta sempre,
sempre; l'ho veduta muovere a poco a poco il mucchio di sassi, e
poi metter fuori il capo, e poi venir su . . . avrei gridato se non
avessi temuto di far correre tutto il monastero ... e poi entrare qua
dentro per questo pertugio, senza mai volersi fermare e poi sedersi
qui . . . quello sgabello son ben sicura d' averlo bruciato : e pure quan-
do colei arriva, si trova sempre a quel posto, ed ella vi si adagia,
e non vuol partire ». Tragica fantasia, che, sebbene rozza e alquanto
prolissa, è piaciuta e tutt'ora piace a molti ; ma, senza quei prece-
denti romanzeschi della cui soppressione i critici pur lodano 1' au-
tore, senza quegli altri elementi di così cupo realismo, come potrebbe
essa reggersi nel vivo del dialogo? Questo è materiato d'immagina-
zioni^ di reminiscenze, anche di riferimenti realistici, che hanno
il lor fonte, la loro ragion d'essere nella romanzesca trama primi-
tiva dell'orrenda storia del monastero monzasco. Conservarlo dopo
quel po' po' di tagli, di riduzione, di rifusione della materia, di
trasfigurazione psicologica ed estetica de' personaggi sarebbe stato
uno strano caso d' incoerenza, che neppure la bellezza intrinseca di
qualche tratto potrebbe attenuare o scusare: incoerenza rispetto ai
nuovi procedimenti con cui il Manzoni è venuto, poi, ideando e
intrecciando alla tela generale del romanzo la storia di Gertrude;
(1) Prom. sp., cap. X, pp. 159-60.
388 PARTE TERZA
incoerenza rispetto a quello sforzo potente con cui tutta l'agitata
materia della prima creazione ha egli rifusa e rifoggiata per rifran-
gerla in novelle forme d' arte d' una classicità nitida, sobria, serena.
Se non risultasse ormai chiaro dai raffronti fatti che il Manzoni
nel riformare 1' episodio di Monza s' era proposto di lasciar nell' om-
bra impenetrabile de' misteriosi avvenimenti che ivi si compivano,
le due suore, che pur dal processo della storia apparvero più col-
pevoli della stessa Gertrude, di restringere nelle svelte linee d'un
profilo la figura d'Egidio, non facendone mai sentire la voce né
atteggiandone mai l'anima ne' sinistri lampeggiamenti del dialo-
go, nell'azione drammatizzata, potrei pur io desiderare che fosse
ancor vivo nel romanzo il dibattito che s'accendeva nella minuta
fra i due amanti, quando Egidio chiede alla misera donna il sacri-
fizio di Lucia.
« A questa proposta Geltrude incrocicchiò le mani con forza, le
presse al petto, si strinse tutta, levò al cielo uno sguardo nel quale
brillava momentaneamente un raggio dell'antica innocenza e con
voce supplichevole e commossa disse : « Ah no : non ne facciamo
più, non ne facciamo più per pietà. Chi sa che quel che abbiamo
fatto non possa ancora esser perdonato? V'era una scusa, ma qui
non ve n'è. Perchè fare ancora delle cose che si vorranno dimen-
ticare e non si potrà? Non ne abbiamo abbastanza?».
É questo uno de' tratti più vivi e profondi del dramma. E quando
Egidio con affettato sdegno le rinfaccia di far più conto di quella
« villana » che di lui, dicendo forte : « Questa è quella che voi a-
mate », Gertrude si ribella all'insinuazione, s'arrovella anzi contro
Lucia, ma supplica lo scellerato di recedere dalla sua richiesta :
«no, ch'io non l'amo, ma lasciatemela per carità, questa lasciate-
mela, mi diventerà cara e quando un altro pensiero verrà a tormen-
tarmi, riposerò i miei occhi sopra di lei, e dirò fra di me : « ecco,
anche questa l'avrei dovuta sagrificare ; ed è qui».
Il terribile uomo « con uno sdegno in parte vero, in parte diabo-
licamente affettato » minaccia di troncare senz' altro la tresca, ma
nella donna all'idea dell'abbandono riprende il sopravvento la mor-
bosa passione che irrompe in quelle poche parole, dense di vigore
drammatico : « No, no, no . . , dite, che volete eh' io faccia ? » La scena
volge alla fine e prepara quella del tristo conciliabolo, in cui si de-»
cide della sorte di Lucia.
Egidio sa il debole della sua schiava e tira in mezzo le altre due
suore: «Quelle, quelle saranno certamente più pronte a rendermi
un servizio » ; e a Gertrude, che le aborre e invano ora vorrebbe
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 389
non averle partecipi e consapevoli della nuova scelleraggine, im-
pone fieramente di chiamarle. « Geltrude strascinata ancora una
volta un passo più innanzi nella via della perversità, avvezza ad
ubbidire, ubbidì e andò a chiamare le sue complici >.
Non mi soffermo ne' concerti della trista compagnia (*), se non
per segnalare e nella viva rappresentazione che ne faceva il poeta
e neir acuta analisi che la precedeva un' intuizione potente della
criminalità umana e di talune sue varietà, essendovi scolpiti non
solo in Egidio, ma pur nelle due suore, « più tranquillamente e più
risolutamente perverse di Gertrude », quei tipi di delinquenti cinici
e freddi che la scienza moderna chiama « folli morali » ; e, al con-
trario, un tipo di delinquente per passione in Gertrude che, dopo
aver sentito tanto orrore della proposta, « risoluta ora di obbedire
allo spirito infernale, che la possedeva, non avrebbe voluto che altri
mostrasse più ardore, più prontezza, più sagacità nel farlo » e, * av-
vezza ad essere trascinata, e a far sempre qualche cosa di più di
ciò che sul principio aveva ricusato di fare, rispose tosto che pigliava
essa l'impegno, che ne aveva i mezzi più di chicchessia >, Discordi
d' indole e d'educazione, ma strette insieme dal medesimo destino
e cioè « la partecipazione d'un sangue, l' avere una sola coscienza »
« vivevano insieme — scriveva immaginoso e profondo il Manzoni
— come lo sbigottimento e 1' audacia, il desiderio di rimpiattarsi e
il desiderio di assalire, il rimorso e il delitto vivono insieme nel-
r animo d'un masnadiere ».
Tutto questo è sparito: così l'ultima parte del colloquio de' due
amanti teste esaminata, come la scena del consulto. Che questa do-
vesse cadere con l'eliminazione totale delle due complici dal ro-
manzo rifatto_, è ovvio ; che quella, al contrario, potesse con vantaggio
dell'arte rimanere, l'han pensato non pochi studiosi del Manzoni.
Ma oltre l'argomento, che non mi par trascurabile, del manifesto
proposito eh' ebbe il Manzoni, come sopra dicevo, di tratteggiare
in altro modo i suoi personaggi, quelle medesime ragioni per le
quali ho dimostrato l'incompatibilità della prima parte del dialogo
col nuovo spirito e la nuova forma del romanzo, valgono anche
per l'ultima. L'una, anzitutto, procedeva dall'altra, che è chiaro
avere il Manzoni concepito il dibatiito circa il cadavere della con-
versa come avviamento alla nuova richiesta scellerata di Egidio,
e il finto consentimento di lui come strumento e ragione di ado-
ti) Sp. prom., pp. 317-19.
390 PARTE TERZA
prare Gertrude nelle macchinazioni del ratto di Lucia, volendo,
nel primo disegno, analiticamente motivare il trapasso della sven-
turata al nuovo delitto ; ma appunto perchè le due parti sono
strettamente dipendenti, l'ultima non potrebbe reggersi senza la
prima. Guardata poi nel suo intrinseco, non è, checché si dica,
una scena di omogenea bellezza : bello sì quello scongiurare di Ger-
trude che non se ne facesse piìi; ma stona e decade la sua figura,
dopo questo momento di tragica eroicità, nel dramma borghese,
quand'ella scatta: «Io amarla! io colei! non la posso soffrire», fin-
ché non si rialza alquanto di tono al punto che é minacciata del-
l' abbandono.
Neil' insieme e' é anche qui il romanzesco, il patetico, il colpo dì
scena: c'è, specialmente, l'affannata, contradditoria e, diciamolo
pure, melodrammatica Gertrude della prima maniera, che — come
sappiamo — il Manzoni trasformò secondo un suo più vivo e chiaro
concetto di decoro morale, che, per lui, s"* identificava con la con-
venienza poetica.
La figura del drudo facinoroso, tratteggiata nella minuta con
tanta copia di particolari, scolpita con tanta vivezza concreta di
risentiti rilievi così nell'analisi del carattere come ne' dialoghi, é
colta e segnata soltanto di scorcio nel romanzo, cioè nella sicura
prontezza con cui risponde, come vedremo, alla richiesta dell'In-
nominato e nella vittoriosa imposizione che fa a Gertrude. Prima
di conoscere i Brani inediti e, più compiutamente, gli Sposi promessi,
ne indovinavamo l'azione potente di seduttore e di complice, non
ne udivamo la voce di malandrino fiero e beffardo, non ne scor-
gevamo la complessa indole in atto. Era nella minuta un personag-
gio balzato vivo e intero, come da una cronaca del Seicento: il
Manzoni ne descriveva la fanciullezza, passata per volere del padre,
uomo delittuoso, fra gli scherani, e la giovinezza divisa fra « i gar-
bugli e il macello», il suo primo delitto, la vendetta presa sul-
l'uccisore di suo padre (*) e l'amoreggiare, che era anzi la sua
passione predominante» e più temeraria (*) ; ne svelava le sottili
arti di pervertimento morale operate su Gertrude per adusarla al
turpe amore segreto, per farla pervertitrice, alla sua volta, delle
due suore addette al suo servizio (^), e ne rappresentava la diabo-
li) Sp. prom., p. 237. Tantoera vivo il senso storico del Manzoni nel ricostruire la
figura di questo personaggio che ne prende occasione per dissertare sulla delinquenza
del secolo e sull'indulgenza dello spirito pubblico verso l'omicidio (cfr. pp. 234-7).
(2) Sp. pfom., p. 2:^8.
(3) Sp. prora., p. 242.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 391
lica azione d' istigatore all' uccisione della conversa (^), la fred-
da calma, con cui attese a tutte le operazioni necessarie ed opportune
per cancellare le tracce del delitto e per stornare ogni sospetto {^) ;
lo rimetteva ancora in i scena in un fiero e spedito colloquio con
l'Innominato, tenuto per concertare il ratto di Lucia (^) ; ne de-
scrìveva il ritorno a Monza in mezzo a' suoi bravi, sospettoso e
guardingo, come dovevan fare allora tutti i «facinorosi e sover-
chiatori di mestiere » {*), pensieroso intorno al modo di condurre a
compimento senza scandalo l'iniqua impresa, preso da gioia feroce
quando s'imbattè in Agnese, che ritornava al suo paesello (^); gli
assegnava quindi quella parte campeggiante che ora abbiamo visto,
nel colloquio con Gertrude e nel consulto con le suore; lo ripre-
sentava occupato neir allestire ii ratto e nel dare istruzioni ad un
suo bravo fidato per stornare la gente dalle congetture che pote-
vano condurre alla verità; e raccontava infine come, scoperta la
tresca e i delitti di lui e delle suore, lo scellerato € bandito nella
testa» perisse per mano di un suo ospite e «la testa ne fosse pre-
sentata al giudice» (®).
Chi non avverte come la cronistoria avesse preso la mano al poeta
neir effigiare cotesto personaggio; come per la parte rilevante e com-
plessa, assegnatagli dalla prima redazione, il racconto si colorisse
d'un romanzesco forte ed acceso e dilagasse in una cruda dram-
maticità ; come, di riflesso, si accentuassero i tratti lugubri e patetici
della stessa Gertrude; come, insomma, lo zelo della verità storica,
ricercata, riprodotta quasi con l'animo e con le tinte stesse de'
cronisti contemporanei, mortificasse lo spirito della grande poesia,
che interpreta la storia idealizzandola e ne rifrange con vigore di
sintesi epica e lirica i drammi eterni della vita?
E il Manzoni tagliò via dove potè : ciò eh' era strettamente essen-
ziale alla trama ha condensato, rifuso, riplasmato : le due suore
complici sono scomparse, Egidio è ridotto ad una figura di scorcio;
resta in piena luce Gertrude con la sua colpa, i suoi terrori e ri-
morsi, con la sua debole volontà soffocata dalla trista passione: (") la
scenografia ha ceduto alla psicologia, l'analisi alla sìntesi, lo ste-
li) Sp. proni., p. 245.
(2) Sp. prora., pp. 247-9, 251.
(3) Sp. prom., 293-6.
(4) Sp. prom., p. 297.
(5) Sp. prom., pp. 297, 311-12.
(6) Sp. prom., pp. 326-7.
(7) Prom. sp., cap. XX, p. 293.
392 PARTE TERZA
rìcismo minuto e pittoresco al dramma, il romanzo alla poesia:
proprio così: la materia e la prima forma, improntate di realismo
storico e di psicologismo romantico, passando e rifondendosi at-
traverso un processo di idealizzazione poetica, ne sono uscite
spiritualizzate, e la riforma poetica ha inalzato il dramma di
Gertrude ad un significato più profondamente morale. La scena in
cui Egidio faceva di Gertrude la sua complice nel ratto di Lucia,
così circostanziata ne' motivi e ricca di particolari concreti, non c'è
più nel nuovo assetto del romanzo^ ma non perciò la condensata rap-
presentazione che r ha sostituita è fiacca, incerta, incoerente e
inverosimile. Per rendercene ragione, non dobbiamo dimenticare
che essa è della medesima struttura e del medesimo spirito con cui
il poeta aveva rifatto il racconto dell' innamoramento, stringendolo
nel giro d' una pittoresca frase e d' un' analisi contenuta e temprata
di drammatica spiritualità, e aveva rifuso le molteplici scene e de-
scrizioni del delitto e dell'animo della colpevole in una narrazione
concisa, vibrata, densa di ombre e di misteri, donde non sorge
in tragico aspetto che la figura di Gertrude travagliata nell'intimo
della coscienza dall' ostinato fantasma.
Al delitto, con rapido movimento, si collega la nuova iniquità.
Quella «. strada d' abbominazione e di sangue » che è la vita mi-
steriosa della infelice colpevole, non ha più le immagini piene e
concrete della prima rappresentazione, ma il tratto essenziale di
un'anima, la sintesi poetica d'una situazione, l'orma luminosa di
un dramma che si consuma ineluttabilmente; ecco ciò che ha il
poeta ricreato con classica misura ed armonia.
La voce dello scellerato amante — dicevo non s' ode più
nel romanzo : prima era distinta in parole brevi, triviali, minac-
ciose, toccanti il senso e l'immaginazione; ora ha qualche cosa di
misterioso, eppur di potente, che agisce sulla nostra fantasia me-
ditante : é la « voce che aveva acquistato forza, e direi quasi,
autorità dal delitto », e « quella stessa » « impose ora » all' amante
« il sagrifizio dell' innocente che aveva in custodia » . Non vediamo
r uomo in atto, non ne vediamo i subdoli o imperiosi discorsi in
concreto, ma sentiamo la fierezza del dominatore vibrare dal contesto
sintattico, dal crescente tono del robusto fraseggio, non solo di
questo, ma pur de' periodi seguenti: nulla di particolareggiato, di
realisticamente caratteristico in quel colloquio tremendo, ma perciò
stesso un alto spirito tragico, tanto più pauroso quanto più vago,
lo pervade : la circoscritta figura secentesca del seduttore facinoroso
co' suoi lineamenti concreti, definiti, precisi, aveva un colorito
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 393
Storico e, sia pure, una certa compattezza psicologica non sgradevole,
ma nel romanzo nell'indeterminatezza stessa de' contorni ha qualche
cosa di grandioso e profondo che, al disopra della storia, ne scolpisce
epicamente la perversa umanità. Non vediamo il quadro, il bozzetto,
la macchietta, ma sentiamo di trovarci davanti ad un grande
dramma morale.
E il dramma di Gertrude, non più affastellato, com'era nella mi-
nuta, di passioni e situazioni di natura mediocre, quali l'ubbia circa
il cadavere, la stizza dell'uomo, la finta prorcressa e il baratto che
egli impone, col sacrifizio di Lucia, la simulata gelosia dell'uno,
l'esagerato sfogo dell'altra riguardo a quella poveretta; ma rico-
struito con una comprensione lucida e viva del suo contenuto sem-
plice e a un tempo profondo. Le figure sono adombrate e tutta la
luce è raccolta nel conflitto delle anime. La prima alta battuta di
questo morale conflitto è nel colorito vigore di quella frase : « La
proposta riusci spaventosa a Gertrude » ; a cui segue una forte pausa,
durante la quale il poeta analizza con concisione mirabile il tumulto
di sentimenti e d'idee destato nel cuor della donna. «Perder Lucia
per un caso impreveduto, senza colpa, le sarebbe parsa una sven-
tura, una punizione amara: e le veniva comandato di privarsene
con una scellerata perfidia, di cambiare in nuovo rimorso un mezzo
di espiazione». Il poeta la contempla con dolorosa pietà, la segna
di un epiteto pieno di misericordiosa mestizia, di quel medesimo
usato per il primo rapimento verso la colpa: « la sventurata ». Dopo
questo risuona la seconda battuta, con che il dramma si riprende
disperato e precipitoso verso la sua fine : < la sventurata tentò tutte
le strade per esimersi dall'orribile comando : tutte, fuorché la sola
ch'era sicura, e che le stava pur sempre aperta davanti » : ombre
e luci si avvicendano in questa corta lotta, descritta dall' artista con
lo stesso movimento incalzante e quasi vorticoso, con cui si svol-
geva nella intuita realtà dello spirito : ma noi intravediamo tutte le
vie, tutti i mezzi affannosamente tentati per scuotere quell' « orri-
bile comando » che pesa superbamente incrollabile sulla sciagurata
coscienza ; vediamo la via luminosa e sicura per la quale essa,
staccatasi dall'uomo, avrebbe trovato l' intera sua redenzione. Anche
questo secondo momento psicologico del dramma è seguito da una
pausa, durante la quale trepida il presentimento della catastrofe e
il poeta ricontempla la * sventurata » con austera amarezza. E sen-
tenzia ed ammonisce, come ammoniva la coscienza religiosa del
popolo ne' solenni cori della tragedia greca: « il delitto è un pa-
drone rigido, e inflessibile, contro cui non diviene forte se non chi
394 PARTE TERZA
se ne ribella interamente». Rapido, fulmineo l'epilogo, con un non
so che d' abbattimento per stremo di forze in quel suono secco e
tronco con che la parola, il periodo si chiude, e par che si spezzi:
« a questo Gertrude non voleva risolversi e ubbidì». È uno schianto
che riceve tanto più potente risalto dalla frase calma e solenne del
nuovo periodo: «Era il giorno stabilito; l'ora convenuta s'avvici-
nava » : pauroso preludio alla scena del tradimento.
* *
XII. Di questa scena ho già toccato poche pagine addietro e pili
distesamente discorso nell'analisi del carattere di Lucia, onde non
mi resta da aggiungere che attraverso l'elaborazione abbastanza
profonda di quelle pagine anche ciò che di agitato, di scomposto,
di garrulo, di volgare era nel contegno della signora, s' è consu-
mato ; onde la delicata sobrietà dell'analisi psicologica d'ambedue
le pagine ha conferito alla scena un tono di decoro e di tragica
gravità più consono alla situazione morale di essa, e Gertrude, che
mentisce e incita e si duole come in preda all'infernale suggestione
di « un pensiero », di « una volontà » che aveva assoluto impero su
lei, lascia dietro a sé, nel dileguarsi per sempre dall' azione viva
del romanzo, un' impressione, più che di orrore, di tristezza inef-
fabile, rinnovando in noi quella meditazione commossa sull'eterna
tragedia dell' umane passioni, onde il poeta rifaceva la storia e il
carattere del suo immortai personaggio.
Dal quale ormai dovrei licenziarmi, se non mi convenisse di dire
pur io una parola su un argomento che ha affaticata la critica man-
zoniana negli ultimi anni.
Rifare la storia e insieme la critica degli svariati giudizi che fu-
ron dati sulle scene tagliate via dal romanzo di Gertrude, mi por-
terebbe troppo fuori dal rigoroso proposito, che mi sono proposto,
d'indagare i segreti procedimenti con cui il genio paziente venne
elaborando la materia e la forma del romanzo : chi, ad ogni modo,
la vuol conoscere per disteso, sa di poterla trovare ricostruita con
chiara eleganza da uno de' più giovani e più battaglieri studiosi
del Manzoni ; (*) e può, altresì, rimeditare le eloquenti pagine che
uno de' maggiori maestri vi ha dedicate (*). Ma varrà tuttavia te-
li) A. Pellizzari, studi manzoniani, Napoli, Perrella, 1914, pp. 25-63, 95-140,
177, 180, 183-5, 187-88, 190, 198-9.
(2) F. D'Ovidio, N. st. manz. cit., pp. 461-96.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 395
ner presenti le conclusioni ultime de' critici per tentar di risolvere
codesta questione, che coinvolge tutta l'arte dello scrittore lombardo.
C'è chi nella soppressione e ne' mutamenti cui andò soggetto il
lungo episodio monzasco, ha visto non altro che motivi religiosi e
morali e perfino l'efficacia de' consigli di monsignor Tosi ; chi non
altro che motivi letterari e principalmente il senso della misura e
dell'armonia, il freno dell'arte, ma piìi specialmente, come il Pel-
lizzari, l'intento dell'autore di las(riar indovinare al lettore, di la-
sciargli « ricostruire » con la sua « fantasia » la colpa della signora
sulla traccia de' segni da lui dati; chi, come il d'Ovidio, tutt' in-
sieme codesti motivi, pur pensando che non se ne possa positivamente
valutare la relativa efficacia, ma con propensione, come vedremo, a
scorgere l' influsso di taluni scrupoli religiosi del Manzoni nel rive-
dere personaggi e situazioni dopo il primo getto.
Alla questione — per dire sinceramente il mio pensiero — mi
pare sia stato data anche soverchia importanza e che essa, sotto
un certo aspetto, somigli a quella, pur messa innanzi e dibattuta
con gran calore, se il Manzoni credesse ai miracoli o no a pro-
posito della conversione dell'Innominato; tanto è vero che la
critica, più volte sviata, dietro la ricerca de' motivi, nella biografia
e neir aneddotica manzoniana, ha perduto di vista il punto centrale
del problema, — se ha da essere, come dev'essere, un ^problema
essenzialmente letterario —, come cioè si sia venuto trasmutando
l'episodio dall'una all' altra redazione e siasi arricchito di signifi-
cativa bellezza. Potrebbe avere tanto grave importanza, per Tesame
e la valutazione dell' arte manzoniana, se un bel giorno saltasse
fuori un documento d'inconcussa autorità, che desse causa vinta a
coloro che sostengono avere il Manzoni tagliato e mutato per con-
sentire al vescovo dì Pavia ; o un altro documento, che valesse per
quelli che pensano avere 1' autore spontaneamente sentita 1' oppor-
tunità di rifare tutto per ragioni morali sue proprie, per i propri
scrupoli religiosi; o infine venissimo a conoscere le ragioni artistiche
del profondo rifacimento, confessate, proclamate in qualche lettera
dallo stesso poeta? Io — se non mi sono ingannato — nello studio
della genesi e della formazione poetica del carattere di Gertrude,
come del resto si potrà fare d' ogni altro personaggio manzoniano,
ho, quasi senza premeditazione, adombrata la più semplice delle
teorie in fatto di motivi e intenti, che sospingono gli artisti a rifare
r opera propria, quella, cioè, di ricercarli studiando i segreti pro-
cedimenti dell' elaborazione poetica e valutando il più alto grado di
bellezza raggiunto : nel qual modo o sforzo di approfondire i motivi
396 PARTE TERZA
sentimentali ed etici della propria creazione e di renderla più ni-
tida, più elevata, più armoniosa, più ricca d'umanità consiste il
vero, e forse unico, motivo del loro paziente lavorìo di rifusione e
di trasformazione artistica.
Perchè, infine, tanti valentuomini hanno discusso su questa o su
quella ragione, che abbia mosso il poeta a rifare, se non perchè nel
poter determinare la giusta e la vera si presumeva di possedere
il miglior mezzo e strumento per l' interpretazione critica dell' opera
d' arte ?
Ma se la ragione trovata fosse estrinseca alla coscienza artistica
dell'autore, se si riducesse a riguardi morali o a scrupoli religiosi,
ciò sarebbe un buon guadagno per la biografia morale di lui, ma
Ufto scarso vantaggio per la critica letteraria. E poi, fossero anche
rdotivi di quel genere, non da essi sarebbe dipeso il più o il meno
di poesia che avesse 1' episodio rimutato, ma dalla comprensione
etica, dalla organicità di visione e dalla vigoria fantastica con cui
il poeta si sarebbe rimesso all' opera rinnovatrice.
E fossero pur motivi letterari, come quelli che abbiamo accennato,
non sarebbe bastato al Manzoni di proporsi il criterio della pro-
porzione, della sobrietà, dell'armonia, per riuscir nell'intento, ma
codeste leggi classiche dell'arte saranno dovute discendere dall'or-
dine teorico, in cui ogni mediocre autore potrebbe concepirle, nella
realtà della poesia, transustanziarsi, direi quasi, con la coscienza
creatrice, diventare esse stesse lo spirito e la forma nuova dell'u-
manità palpitante nella materia del primo getto. E questo è avve-
nuto nel Manzoni, ma non questo solo, come fra breve vedremo.
Che il ricercare i motivi religiosi, morali o teorici del rifacimento
anzi che proseguire, nell'intimo dell'opera in formazione, il processo
per il quale essa si è perfezionata non basti a risolvere la questione,
ne son riprova la stessa abbondanza delle congetture affacciate e il
dispendio d' acume e di ragionamento che hanno fatto ingegni
cospicui ed esperti. Il D'Ovidio, per esempio, pur procedendo con
cautela tra le opposte ragioni de' critici, crede tra l'altro che
« il proposito di dar di bianco > alle « due figure ignobili » delle
suore addette alla signora, « sia stato uno dei motivi della risolu-
zione di ridurre ad un misterioso compendio tutta la storia delit-
tuosa » (^) di lei : lo scrupolo religioso, dunque, che la pittura di
una corruttela alquanto diffusa scandalizzasse i lettori timidi e desse
(1) Op. cit., p. 471. V. anche pp. 472-3,
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 397
appìglio a condanne ai mal disposti. Forse sì, forse no : e tra dubbi
la questione rimarrà eternamente insoluta. Poiché può sorgere uno
ad obbiettare, con la debita riverenza all'illustre maeslro, che ben
poteva il Manzoni toglier via la parte turpissima che facevano
Gertrude e le suore in quel « ménage à quatre » come argutamente
dice lo stesso d' Ovidio, lasciando quelle nell'ombra più fitta; poteva,
altresì, narrare diversamente il delitto, cancellando del tutto la
complicità delle suore, caricando il solo Egidio; ma che ciò non
importava la soppressione dell' analisi del colpevole innamoramento
di Gertrude ne quella del colloquio di lei coli' amante prima del
tradimento di Lucia, né insomma i grandi e piccoli mutamenti, già
da me esaminati, che quasi in ogni parte operò in quello che
s' apparteneva al carattere della , signora e alla sua storia. E non
dico nulla degli altri motivi o scrupoli morali e religiosi e dei
'consigli estranei che sarebbero — secondo taluni critici — soprav-
venuti dopo la prima stesura perchè io stimo — come già scrivevo
altrove — (*) che il pensiero morale e religioso del Manzoni, tra
il 24 aprile 1821 e il settembre 1823 — nel quale periodo egli
scrisse la minuta del romanzo — non poteva essere sostanzialmente
diverso ne' due o tre anni immediatamente successivi, in cui rifece
l'opera sua; onde l'ispirazione etica e religiosa che lo guidava
nel descrivere il colpevole amore di Gertrude e il delitto a cui ella
indirettamente partecipò, e la scena de' suoi tetri terrori e della
sua disperata lotta col triste amante, (come del pari la selvaggia
apparizione e la forsennata morte di don Eodrigo) non poteva, da
un anno all' altro, essere infirmata e riprovata per i nuovi criteri
del moralista credente; cosicché si può ammettere soltanto che un
motivo sentimentale, e cioè una più serena e indulgente pietà cri-
stiana — come del resto credo d'aver dimostrato nella prima parte
di questo lavoro — abbia contribuito alle modificazioni operate.
Ma ora, dopo la minuta analisi fatta dell' episodio di Gertrude e
delle trasformazioni subite dalla prima stesura alla stampa, possiamo
liberamente concludere secondo più sicuri accertamenti.
Giova anzitutto determinare perché il Manzoni l'abbia disegnato
e colorito la prima volta nel modo cha ormai sappiamo. Giacché s'è
parlato di scrupoli morali e religiosi, e' è da osservare che l'autore
li ebbe sì, e flnanco li manifestò nell'accingersi al racconto di quei
fatti « tristi e straordinari > (^). Egli non avrebbe narrato nulla
(1) Saggi manz. cit., p. 39, n. 1.
(2) Sp. prom., p. 175. Alludendo « alle cose più forti », narrate dal Ripamonti e
a cui era ricorso per suffragar l'Anonimo, soggiungeva: «Se non che queste cose.
398 PARTE TERZA
della vita e della colpa di Gertrude — posto pure che il farlo fosse
essenziale al disegno e allo svolg^imento di tutto il romanzo, che è
a quanto dire all'intelligenza [delle disavventure di Lucia, — o a
queste avrebbe, comunque, intrecciati altri casi e altri personaggi,
se la ragione etica e l'edificazione religiosa non ne fossero uscite
salve e cpnsolate dal « grande esempio » di un pentimento e d' un'e-
spiazione. Infatti alla fine del lungo episodio manteneva la promessa,
narrando gli ultimi casi della sventurata, collegati con le ultime
scelleraggini di Egidio, il mutamento improvviso dell' animo di lei
a sentire lo scempio che egli aveva fatto delle due converse, l' or-
rore di tutto il male commesso, l'espiazione ardente, rigorosa fin
all'ultimo respiro, col conforto assiduo del cardinal Borromeo (*).
Vero è che codest' ultima narrazione è alquanto spiccia e magra,
come osservò accortamente anche il d' Ovidio, e non contrappesa,
perciò, al fine dell' efficacia morale ed artistica, la particolareggiata
e vivace rappresentazione della colpa, ma noi dobbiamo tenere in
conto le intenzioni del Manzoni e le giustificazioni ch'egli volle dare
dell' opera e dedurre che nella sua mente e ne' suoi propositi l'una
era indissolubilmente legata coli' altra; che la ragione logica del ro-
manzo di Gertrude, qual era nella minuta, trovò un fondamento nelle
appagate ragioni morali e religiose dell'autore, secondo il quale la
descrizione della nobile fine espiatrice della colpevole valeva a conci-
liare la descrizione di violenti e turpi passsioni co' suoi concetti morali.
Ma al Manzoni sopravenne, quasi a racconto finito, un altro pen-
siero, quello che, alla fin fine, i lettori ne avrebbero ricevuta
«un'impressione d'orrore», onde l'aveva conservato, com'era nel-
r anonimo, sembrandogli che « la cognizione del male quando ne
produce l' orrore sia non solo innocua, ma utile » (*).
Se questa è la ragione piìi vera e piìi logica (3) dell'aver trovato
il coraggio a narrare quelle «turpi e atroci avventure», non credo
tuttavia che non fosse sincero e valevole anche il proposito di
narrare, sìa pure in stretto compendio, la storia della redenzione
così di Gertrude come delle due complici e la fine (anche questo
quantunque rese più che probabili da una tale testimonianza, e quantunque essen-
ziali al filo del racconto, noi le avremmo taciute; avremmo anche soppresso tutto il
racconto, se non avessimo potuto anche raccontare in progresso un tale mutamento
d'animo della Signora, che non solo tempera e raddolcisce l'impressione che deggiono
farci i primi fatti della Signora, ima] deve crear una impressione d'opposto genere e
consolante » (p. 176).
(1) Sp. prom., pp. 324-7.
(2) Sp. prom., p. 253.
^3) Cfr. D'Ovidio, Op. cit., pp. 468 segg.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE . 399
premeva al Manzoni) orribilmente infame, ma meritata, del loro
scellerato pervertitore.
In fondo il concetto che la rappresentazione dell' anima perver-
tita e disillusa, quando desti orrore, sia utile, non contraddiceva a
quello di suscitare^ poi, anche un po' di pietà e di consolare la
coscienza cristiana del lettore col ripresentarla profondamente pen-
tita e tutta dedita alla più severa espiazione.
Questo è certo, che nel primo concepimento e disegno il motivo
del celebre episodio fu di destare orrore del male; dove si vede
l'influsso di quella teoria che egli aveva eloquentemente ragionata
a proposito della tragedia, l' applicazione, cioè, come già vedem-
mo seguendo le acute indagini del Galletti, della filosofia storica
del Bossuet ai drammi dello Shakespeare : quella stessa moralità,
quello stesso significato cristiano che egli trovava nelle grandiose
e fosche rappresentazioni shakesperiane del male, scaturisce dalla
drammatica storia di Gertrude e richiama a profondi e ad austeri
pensieri sul doloroso destino umano e sulla necessità di una morale
religiosa, disciplina e freno degli istinti e delle violente passioni.
Questa concezione pessimistica della vita morale dell' uomo che
già ho esaminato a suo luogo, e che informa tutta la primitiva vi-
sione e figurazione del mondo romanzesco e storico de' Promessi
sposi, ha influito potentemente sulla fosca plasticità e i suggestivi
particolari di quel triste dramma monastico, ha sollecitato il poeta
a non negare vigore e larghezza e colore d' arte all' analisi e alla
rappresentazione di folli pervertimenti e di sfrenate passioni. Con-
cezione che abbiamo veduto in qual modo venne formandosi nella
prima stesura del romanzo, nella quale ne veniva di conseguenza
che troppo acutamente si facesse sentire la preoccupazione etica
del poeta nella scelta e nella dipintura de' fatti e de' caratteri. Ma
oltr' acciò, il romanzesco, il drammatico, che sovrabbonda nella
prima redazione dell' episodio scaturivano da quel reale storico
al quale il Manzoni — come pure ho dimostrato — si sentiva rigi-
damente obbligato per la teoria del romanzo storico. Quel rife-
rirsi fin dai preliminari alla «storia» dell'anonimo, quell' andar
« frugando per vedere se altrove si trovasse qualche traccia di que-
sta storia», la lieta solennità con cui presenta la «testimonianza»
del canonico Ripamonti, «scrittore di quel tempo, che per le sue
circostanze doveva essere informatissimo », (*) il citarlo così sul
(1) Era de' familiari del card. Federigo, che ebbe tanta parte nel ravvedimento
della signora. " •
400 PARTE TERZA
principio del racconto come sulla fine, dove, dichiarando di non
poter riferire che compendiosamente gli ultimi casi di Gertrude,
rimanda alla fonte con la sua brava indicazione del libro e della
decade, tutto ciò costituisce una prova esplicita e significativa dello
zelo dello storico^ e conferma ciò che nello studio introduttivo affer-
mavo circa la concessione fatta dal Manzoni all'elemento fescamente
romanzesco, come quello che gli risultava dalla stessa realtà storica,
dallo stesso racconto de' contemporanei, che gli offrivano con non
simulato candore e in pittoresco linguaggio larga copia di delitti e
di colpe. Ma la prova di ciò, anche più rilevante per essese intrin-
seca all' ideazione e rappresentazione stessa de' fatti e de' perso-
naggi, è lo studio di figurarli nella fosca crudezza e nell' appas-
sionatezza violenta de' loro tempi, ne' quali, diceva commosso il
narratore, eran « comuni molte cose che sarebbero portentose ai
nostri > (*).
Se colali sono stati i motivi e i modi per i quali l'episodio di
Monza ricevette la primitiva forma, che conosciamo, la via mi-
gliore per determinare le ragioni de' mutamenti dell' ultima defini-
tiva redazione, è di chiarire con quali procedimenti e a quali effetti
d'arte questa s'è maturata.
Io li ho attentamente seguiti e valutati, e in essi, secondo me, si
risolvono i veri intenti che ebbe il Manzoni nell'ultima revisione
dell'episodio.
La professione di quel principio morale, diremo così, di compen-
sazione tra la rappresentazione sinistra de' delitti e quella conso-
lante dell'espiazione, non ricompare più; il racconto, sia pure affret-
tato, ma compiuto e particolareggiato de' nuovi casi e della fine di
Gertrude, s'è ridotto ad un accenno, ad una notizia fuggevole che
cade lontano, in tutt' altro luogo (*) ; il Ripamonti, non più solen-
nemente presentato come fonte di notizie raccolte con tanto zelo
« per render più compiuta la storia particolare della signora», ma
adoprato con arguta ironia per venire all' induzione erudita del
paese di lei taciuto dall'anonimo (^) e citato con aria sbrigativa
per chi volesse conoscere tutta la « trista storia » delle accuse, del
pentimento e dell' espiazione {*) ; le due suore complici sparite ;
Egidio lasciato quanto più è possibile nell'ombra; sull'innamora-
mento di Gertrude, sulla soppressione della conversa un rapido
(1) Sp. prom., p. 175.
(2) Ne' discorsi della mercantessa a Lucia (Prom. sp., cap. XXXVII, p. 556).
(3) Prom. sp., cap. IX, p. 124.
(4) Prom. sp., cap. XXXVII, p.. 556.
IL ROMANZO IN FORMAZIONE 401
tocco, un cenno fuggitivo ; dispersa la scena del misfatto, de' ter-
rori della stessa Gertrude; reso più temprato e delicato il profilo
psicologico, più misterioso e profondo il dramma morale.
In questo e altro, da me già minutamente esaminato, splende
gloriosamente l'intento e la virtù dello scrittore: l'avere cioè con-
seguita una maggiore indipendenza dalle fonti storiche, l' avere poe-
ticamente idealizzato la stessa realtà storica, intuita od evocata,
sollevandosi con più pietosa e profonda coscienza di poeta cristiano
e con più libero spirito sulla materia episodica e anedottica delle
cronache contemporanee, per rifonderla nelle linee essenziali e fi-
gurarvi il simbolo non solo de' tempi, ma della vita umana e de'
suoi drammi perpetui ; 1' avere infine purificato de' caduchi elementi
di un romanticismo lugubre e fosco la figura poetica dell' infelice
colpevole, ricomponendola in una forma dalle linee più sobriamente
corrette e più nitidamente vigorose, donde si diffonde un senso di
doloroso mistero, che ne accresce la tragica grandezza.
Busetto — 26
APPENDICE
Gertrude e La vie de Marianne del MARIVEAUX
Fonti letterarie vere e proprie del dramma di Gertrude non sarà mai possi-
bile scoprire, chi intenda la meditativa originalità della psicologia manzoniana.
Rilevante è tuttavia il raffronto fatto dal Luzio con la Religieuse del Di-
derot {Manzoni e Diderot, in Studi e bozzetti di st. letter. e polit., voi. I,
Milano, Cogliati, 1910, pp. 215 - 71); vera, altresì, 1' osservazione del D'Ovidio
{N. st. Manz, cit. p. 674) che se «una differenza enorme» c'è tra la descri-
zione della vita claustrale di Gertrude e quella della vita di suor Susanna,
« la differenza, però, era minore nella prima minuta, perchè gli orrori e le
violenze ivi descritte determinavano altri punti di contatto col libro del Di-
derot ».
Io non stimo opportuno riprender in esame la questione, perchè essa — a
rigore — non rientra nello studio, propostomi, della genesi intima del dramma
monzasco e perchè a buona parte dalle conclusioni del Luzio sottoscrivo an-
ch' io senza discussione.
C'è pur un'altra storia — una lunga storia — d'una monacazione forzata,
che una « religieuse » racconta in un celebre e diffusissimo romanzo francese,
Le vie de Marianne del Marivaux (in Oeuvre» complettes, Paris, Duschesne,
DCCLXXXI, voi. VII, pp. 395-635).
L'ebbe il Manzoni presente al pensiero quando lavorava attorno a Gertrude?
Non oso affermarlo, che le confidenze di quella povera suora a Marianna
contengono fatti, intrecci, caratteri di personaggi, una trama, insomma, di-
versa da quella dell'episodio manzoniano: ma taluni particolari e sparse ri-
flessioni del racconto francese hanno un'affinità — non saprei se fortuita o
meno — con luoghi del racconto italiano.
È quell'incognita « religieuse » « une personue de vingt-cinque à vingt-six
ans, grand fille d'une figure aimable et intéressante plus seriense que
les autres », con dei « grands yeux languissants » (p. 395).
Ne' moniti che fa a Marianna di guardarsi dalle illusioni del chiostro e
dalle lusinghe delle monache, dice di sé: «j'était une cadette, tonte ma fa-
mille aidoit au charme qui m'attiroit chez elles » (p. 398). Del noviziato e
406 APPENDICE
della vestizione racconta : « j 'eus cependant des ennuis et des dégoxits sur la
fin de mon noviciat.... A l'àge ou jetoit on n'a pas le courage de resister
à toiit le monde, je cnis ce qu'on me disoit, tant par docilité, que par per-
suasion; le jour de la cérémonie de mes voeux arriva, je me laissai entraìner,
je fis ce qu' on me disoit: j'éloit dans une émotion qui avoit arreté toutes
mes pensées: les autres déciderent de mon sort, et je ne fus moi-mème qu'
une spectatrice stupide de l'engagement éternel que je pris » (p. 399).
Non è una peccatrice, ma pur nella sua fiera innocenza, teme di non saper
resistere al corteggiamento di un falso abate che mira a sedurla : a Marianna
dà l'incarico di dire al tentatore: « dites-lui qu'il doit trembler de l'état ou
je suis: je ne réponds de rien, sije le revois; je suis capable de le suivre, je
suis capable d'abréger ma vie, je suis capable de tout: je ne prévois que des
horreurs, je n'imagine que des abìmes, et il est sur que nous péririons tous
deux » (p. 404).
Marianna, dopo questo primo colloquio, manifesta a Madame de S.ainte
Hermieres, che l' ha raccolta fanciulla per prepararla alla vita claustrale, la
sua risoluzione di non prendere il velo : di qui stupore, freddezze nella dama
protettrice e nella piccola società che la circonda: la giovinetta, come Ger-
trude dopo la lettera di ritrattazione, è trascurata con disdegno : « je déchus
— ella dice — de toutes fagons; et pour me punir de l'importance don
j'avois joui, jousque alors, on porta si loin l'indifférence et l'inattention
pour moi quand j'étois présente, qu'à peine paroissoit-on scavoir que j'etois
là » (pp. 411-13).
La « religieuse » in altro colloquio, detto com'ella diventasse monaca, non
ostante un suo vivo amore, descrive così il suo stato : « Cependant ma fiamme,
qui n'étoit qu' assoupie, reprit toute son activité; mon esclavage m'eff"raja;
la dévotion me par ut fade et insipide; j'envisageai les austérités de ma regie
comme un joug pesent et insupport^ble » (p. 625): parole che richiamano al
tormentoso giogo di Gertrude dopo la vestizione. Ma anche quel succinto ri-
tratto della « religieuse •» — se non offre precisi punti di somiglianza con
quello della monaca di Monza — ha tuttavia in comune con questo la segreta
ispirazione, onde e il Marivaux e il Manzoni furon mossi a comporlo, di rap-
presentare, cioè, nell'aspetto delle due monache l'intimo affanno di un'infausta
vocazione; e altresì nel breve racconto francese della monacazione hanno ri-
lievo nen meno che nella altrettanto rapida narrazione manzoniana l'inconsa-
pevolezza abulica della vittima e la suggestiva violenza dell'altrui volontà.
Prefazione pag. 1
PARTE PRIMA
LA GENESI ETICO-RELIGIOSA ,
Capitolo I.
Presupposti e fondamenti dell'etica manzoniana
I. L'uomo e la rivelazione pay. 9
IL L'etica pagana e il cristianesimo » 12
III. Lo spirito del secolo ed il Vangelo » 24
IV. La religione e le leggi » 39
Capitolo IL
Problemi e motivi etico-religiosi del mondo manzoniano
I. Il dominio delle passioni pag, 50
IL Umiltà ed orgoglio » 57
III. Carità e giustizia » 59
IV.v/^(t1ì umili e i potenty, ■ ' i . . . . . . '. ; _^ * ^^
V. Il coraggio cristiano > 75
Capitolo IIL
L'ispirazione etico-religiosa nella genesi primitiva de' « Promessi sposi >
e ne' successivi' rinnovamenti
l. Le predisposizioni apologetiche e moralistiche pag. 84
^tll. y La visione pessimistica dell'uomo e della società del Seicento
^ nella prima stesura » 90
408 INDICE - SOMMARIO
y III. Altri atteggiamenti e riflessi di forte pessimismo psicologico
e sociale nell'originaria concezione del romanzo .... pag. 102
^ IV, L'unificazione della duplice tendenza pessimistica e ideali-
stica nella più alta e serena concezione cristiana del ro-
manzo rinnovato » 111
PARTE SECONDA
LA GENESI LETTERARIA
Capitolo I.
Fondamenti dell'estetica manzoniana
I. L'arte come rappresentazione della verità eterne dello spirito pag. 127
II. La poesia in relazione con l'ideale di perfezione e con la
realtà conosciuta » 131
III. La poesia e la verità storica » 133
Capitolo IL
La teoria del romanzo storico e la primitiva composizione de' « Promessi sposi »
I. La creazione poetica e la giustificazione estetica del romanzo
storico pag. 137
' - ltr~* La teoria letteraria del romanzo storico e lo storicismo degli
i Sposi pì'omessi » 140
III. I reciproci influssi della tendenza storica e della tendenza
etica nella prima concezione del romanzo » 142
IV. Singolari prove della preoccupazione storica del Manzoni,
rivelate dalla prima stesura. Le digressioni storiche . . >; 147
V. Le rivelazioni al Fauriel e la costruzione storica degli Sposi
pì'omessi »
Capitolo III.
il romanticismo teorico e la genesi e la trasformazione de' « Promessi sposi »
I. Là dottrina romantica e la poetica manzoniana: affinità e
/ divergenze pag. 151
^V II « crocchio » romantico milanese. L' « Ildegonda » del Grossi
/' nel giudizio del Manzoni. L' « esprit romanesque » negli
Sposi promessi »
III. L'intima disarmonia classico-romantica nella stesura primi-
tiva del romanzo e l'unificazione estetica raggiunta nella
forma rinnovata » 161
INDICE - SOMMARIO 409
PARTE TERZA
IL ROMANZO IN FORMAZIONE
Capitolo I.
L'azione generale e gli episodi
I. Riordinamento del racconto e rimutamenti di scene . . . pag. 169
II. Soppressioni e riduzioni di scene e di episodi » 180
III. Diversi procedimenti e sviluppi di sceneggiatura e aggiunte
di scene e di elementi episodici > 184
Capitolo II.
La genesi e la composizione poetica di Lucia
I. L'ideale evangelico del Manzoni e la genesi etico - religiosa
di Lucia pag. 190
II. La preoccupazione storica e realistica nella primitiva con-
cezione del carattere » 195
III. L'elevazione poetica del carattere in ragione diretta del
progressivo chiarirsi e illuminarsi dell' idea di carità che
r informa * 199
IV. Mutamenti nelle situazioni e rappresentazioni, dovuti alla
legge della convenienza psicologica ed artistica de' per-
sonaggi ne' loro mutui rapporti » 201
V. L' eliminazione del patetico e del pittorescamente dramma-
tico e ancora dell'idealizzazione di Lucia nel carattere
e nelle peripezie: [la separazione dalla madre; il ratto
e il viaggio coi bravi ; il primo incontro con l' Innomi-
nato; la notte passata al castello] » 204
y\. Ancora della profonda trasformazione poetica di Lucia nel
rimaneggiamento della scena del perdono che l' Innominato
ottiene da lei * 217
YII. Nel rinnovamento d'analisi e di rappresentazione della vita
di Lucia dopo il voto e dopo la liberazione: [Ospite in
casa del sarto del villaggio ; la famiglia del sarto ; il cuo-
re di Lucia fra il voto e l'amore; il primo ed il secondo
incontro col card. Federigo: ancora del voto e de' com-
battimenti interni di Lucia] » 221
YIIL Una nuova scena nell'ultima redazione del romanzo: la ri-
velazione del voto alla madre. Com'è stata rimaneggiata
la scena del commiato * 245
410 INDICE - SOMMARIO
IX. I mutamenti profondi dal primo getto alla forma definitiva
nella scena dell' incontro di Lucia con Renzo nel lazzaretto, pag. 253
X. Il proscioglimento del voto e le variazioni nel carattere e
negli atteggiamenti di Lucia » 273
Capitolo III.
La genesi e la composizione poetica di Gertrude
I. Il motivo delle vocazioni forzate e la genesi etico - religiosa
della « storia » di (lertrude ?.. pag. 280
II. Effetti della rigida interpretazione storica de' personaggi
nella prima redazioire e la maggiore indipendenza del poeta
nell'ultima [la famiglia di Oeltrude: il comico nella px'i-
mitiva concezione de' personaggi minori] » 286
III. Rinnovamenti e sviluppi d analisi nell'ultima redazione al
fine di raggiungere maggiore unità e coerenza psicologica
ed estetica del carattere di Gertrude adolescente [il pri-
mo fallo; la prigionia; la vergogna e il pentimento; la
sottomissione] » 290
IV. Procedimenti di chiarificazione e di condensazione al mede-
simo fine [il perdono; la conciliazione; il breve giro tra
gli splendori mondani prima della vestizione; il principe
e Gertrude nell' avviarsi al monastero per la richiesta] . » 306
V. La progressiva idealizzazione poetica di Gertrude negli epi-
sodi auteriosi alla monacazione [la visita al monastero;
la richiesta: il vicario delle monache e la scena dell'esa-
me: dopo il colloquio] > 316
VI. La sua efficacia corrottrice sulle trojìpo forti tendenze della
prima stesura al psicologismo sottile, al realismo comico,
allo storicismo e al moralismo satirico » 335
VII. Il dileguarsi del romanticismo patetico e pittoresco della
prima stesura al soffio vigoroso di classicità che penetra
e rinnova l'arte del poeta [la vigilia della professione dei
voti; la vita nel chiostro] » 340
VIII. Gli splendidi segni di questo rinnovamento classico nell' a-
nalisi del colpevole amore di (Gertrude e nella rappresen-
tazione de' suoi delitti . . • » 346
IX. Le fosche scene della prima stesura, disegnate sotto gl'in-
fl\i88i delle tendenze suaccennate, e la nuova umanità
onde il poeta ha rifuso il carattere tragico di (Gertrude . » 357
X. Altri riflessi di quella classicità artistica rinnovatrice [il ri-
tratto di Gertrude : la scena della presentazione di Lucia
alla, signora; il contegno di questa nel colloquio succes-
sivo e di poi, fino al giorno del tradimento] » 372^
INDICE - SOMMARIO 411
XI. La scena in cui Egidio trascina Gertrude alla complicità
nel ratto di Lucia : genesi di essa e ragioni della soppres-
sione fattane dal Manzoni nel rifacimento dell'episodio.
La rapida narrazione, che vi ha sostituita : suo alto valore
poetico po.g. 381
XII. Discussione conclusiva sulla trasformazione totale dell'epi-
sodio monzasco e sui motivi e fini del poeta > 394
Appendice: Gertrude e La vie de Marianne del MARIVEAUX . . > 403
ERRATA-CORRIGE
Pag. 52 (linea 24*) : scriuatura — incrinatura.
» 61, n. 1: invece di « alla p. 23 », si legga « alla p. 34 >.
» 89, n. 2 : dalla lettera — dalle lettere.
» 114 (linea 13*): sulla — nella.
» 122, n. 1 : invece di « n. 296 » « si legga : n. 4 a p. 97 ».
» 133 (lin. ult.) : nettamente — strettamente.
» 149 (linea 4 ) : conservano — conservino.
» 151 (nel Sommario) : poesia manzoniana — poetica manzoniana.
» 152 (linea 26'^) : vuol dire — non vuol dire.
» 153 (linea terzult.) : effettuate — effettuata.
» 156 (linea 35*) : lettera — letteratura.
» 157 (linea 23^^) : né — ne'.
» 160 (linea 27*) : Si — Si.
» 160 (linea 28*): dell'opera — dall'opera.
» 165 (linea 20*) : dedicato — dedicata.
» 191 (linea 23'^): dell'azione — dall'azione.
> 243 (linea ult.) : risvegliarono — risvegliavano.
» 253 (linea 32*) : rivelandone — rilevandone.
» 255 (linea 10*) : in solo — solo in.
» 361 (linea 33*): prescelti — prescelta.
» 278 (linea 13*) : in proseguo — nel seguito
» 295 (linea 2*) : tratto — ritratto.
» 329 (linea 1*) : non sempre non — non sempre,
» 349 (linea 20*) : colmare — calmare.
» 365 (Hnea 15*) : sull' — nell'.
» 377, u. 1: dell'interrogarla — dell'interrogata.
r> 381, n. 2 : pentimento — sentimento.
» 384 (linea 21'): lirica — linea.
» 389 (linea 5*) : ne' — sui.
» 395 (linea 16*): stato — stata.
» 401 (linea 9*) : anedottica — aneddotica.
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Finito di stampare
il giorno 30 Giugno 1921
nello Stabilimento
della Società Tipografica Editrice «Taddei,
in Ferrara
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